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Parafrasi della Divina commedia

DANTE ALIGHIERI: PARAFRASI DELLA DIVINA COMMEDIA

INFERNO

PURGATORIO

PARADISO

10 11 12

10 11 12

10 11 12

13 14 15 16

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2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO I
A met della nostra esistenza terrena mi trovai a vagare in una buia foresta, nella condizione di chi ha
smarrito la via del retto vivere.
Nel mezzo del cammin di nostra vita: " [la nostra vita] procede a imagine... di arco, montando e
discendendo... lo punto sommo di questo arco... io credo, che... sia nel trentacinquesimo anno"`
(Convivio IV, XXIII, 6 e 9).
Mi ritrovai per una selva oscura: la selva oscura ("la selva erronea di questa vita: Convivio IV. XXIV, 12),
che ciascuno di noi singolarmente, e il genere umano nel suo complesso, costretto ad attraversare,
simboleggia il peccato e le difficolt che dobbiamo superare per vincerlo. Per aver ceduto alle lusinghe di
una vita che lo ha allontanato da Dio, il Poeta si accorge all'improvviso, con terrore, di non aver pi alcun
saldo punto di riferimento che possa guidarlo nelle sue azioni, cammina nel buio, e le passioni, non pi
frenate da un principio razionale, Io dilaniano crudelmente. La sua vicenda quella di ognuno di noi. Fin
da questi primi versi Dante trasferisce quindi la sua esperienza personale su un piano di validit
universale.
Mi assai difficile descrivere questa selva inospitale, irta di ostacoli e ardua da attraversare, che al solo
pensarci risuscita in me lo sgomento.
Il tormento che provoca di poco inferiore allangoscia della morte; ma per giungere a parlare del bene
incontratovi, dir prima delle altre cose che in essa ho vedute.
Tant' amara che poco pi morte: allegoricamente: il peccato vicino alla dannazione, la morte
dell'anima.
Non sono in grado di spiegare il modo in cui vi entrai, tanto la mia mente era ottenebrata dallerrore,
quando abbandonai il cammino della verit.
Tant'era pieno di sonno: l'abbandono della via del bene graduale e progressivo, e perci non pu
essere determinato il momento in cui si comincia a peccare.
Ma, giunto alle pendici di un colle, dove terminava la selva che mi aveva trafitto il cuore di angoscia,
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volsi lo sguardo in alto, e vidi i declivi presso la cima gi illuminati dai raggi dellastro (il sole) che guida
secondo verit ciascuno nel suo cammino.
Per Dante, come per tutti i dotti del suo tempo, che seguivano su questo punto la teoria dell'astronomo
egiziano Tolomeo, vissuto nel Il sec. d. C., centro dell'universo era la terra ( teoria geocentrica ).
Nel sistema tolemaico il sole era un pianeta come gli altri e come gli altri ruotava intorno alla terra.
Qui, sul piano allegorico, il sole simbolo della grazia divina ('Nullo sensibile in tutto lo mondo pi
degno di farsi esempio di Dio che 'l sole"; Convivio III, XII, 7). Dio, che, a un certo momento, nella sua
infinita misericordia, si manifesta al peccatore; le cose, rischiarate da questa luce, riacquistano un senso,
il loro vero senso: chi disperava intravede finalmente la via della salvezza.
Allora la paura che, per tutta la notte da me trascorsa in cos compassionevole affanno, mi aveva
attanagliato nel profondo del cuore, plac in parte la sua violenza,
La notte ch'i' passai con tanta pita: naturalmente le tenebre. contrapposte alla luce, hanno in Dante, e
particolarmente in questo canto introduttivo, una portata simbolico-allusiva che, al di l della lettera, ci
pone in presenza di quello che il dramma della coscienza impegnata a vivere moralmente. Esse stanno
a significare il caotico contrastare degli istinti, laddove la luce, principio ordinatore, rappresenta il sorgere
di un'armonia, di un'equa contemperazione del bene concepito secondo il principio dell'unicuique suum.
Lago del cor: la parte pi interna del cuore. Si tratta di quella parte che lo stesso Dante, nella Vita Nova
(II), chiama "la secretissima camera" del cuore. Il Boccaccio, nel suo commento ai primi diciassette canti
dell'inferno. riferisce l'opinione dei suoi contemporanei, secondo cui, in questa cavit, abiterebbero "gli
spiriti vitali" ed aggiunge: " quella parte ricettacolo di ogni nostra passione: e perci [Dante] dice che in
quella gli era perseverata la passione della paura avuta".

E con laspetto del naufrago che, appena raggiunta con affannoso respiro la terraferma, si volge ad
abbracciare con lo sguardo crucciato limmensit degli elementi scatenati,
mi volsi indietro, con lanimo ancora atterrito, a rimirare la impervia plaga da cui nessun essere vivente
riusc mai a venir fuori.
Cos il paragone del naufrago rivive nella partecipe interpretazione di un poeta: "... ancora fora senza
storia, se non latente, ancora a se stesso il naufrago solo, il naufrago che ancora non s' riavuto
d'essersi dibattuto con la burrasca; ancora l'assonnato, il " pieno di sonno " che si sta sbrogliando dalla
notte, trattenuto nella sorpresa del risveglio. E' l'ora deserta, in mezzo alla quale, solo, sta un
uomo" (Ungaretti ) .
Lo passo: il luogo attraverso il quale Dante era passato, cio la selva, ma anche, sul piano allegorico, il
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passaggio che congiunge il peccato alla dannazione.


Dopo aver riposato un poco il corpo stanco, ripresi ( senza interruzioni) la mia salita lungo il pendio
desolato, in modo che il piede fermo era sempre pi basso rispetto a quello in movimento.
Ma, giunto quasi allinizio della salita vera e propria, ecco apparirmi una lince snella e veloce, dal manto
chiazzato:
essa non si allontanava dal mio cospetto, ma al contrario ostacolava a tal punto il mio procedere, che pi
di una volta fui sul punto di tornarmene indietro.
Pi che un animale reale, la lonza, il cui nome ci ricorda quello della lince (lonce francese antico), una
fantasiosa creazione del Poeta. Questi ce la presenta come un felino di singolare eleganza, snello e quasi
attraente; il suo aspetto piacevole alla vista pu forse alludere alle multiformi (il pel maculato e, pi
sotto, la gaetta pelle) tentazioni del peccato. Terribile sar invece l'aspetto del leone: forza, ostinazione,
furore si sprigionano dalla sua statuaria figura, tanto che lo sgomento sembra da essa propagarsi a tutto
il paesaggio circostante. Nella terza delle tre fiere, la lupa, il male supremo l'allegoria sembra quasi
soverchiare la evidenza plastica, mentre s'infittisce l'alone di mistero e di angoscia che la circonda. Ma
anche la lupa, la bestia sanza pace, vive ai nostri occhi di vita poetica propria, al di l di ogni angusta
determinazione concettuale; n pu parlarsi al riguardo di una raffigurazione "lievemente
grottesca" (Rossi). Proprio la sua famelica magrezza, il controsenso logico che in essa s'incarna, l'aspetto
irreale, continuamente contraddetto dalla sua viva presenza e in cui pare configurarsi una minaccia che
non e di questo mondo, costringeranno alla fine il Poeta a tornarsene sui propri passi, a disperare. Che le
tre fiere propongano una lettura in chiave allegorica chiaro. Non facile apparsa tuttavia ai
commentatori l'identificazione delle tre inclinazioni al male che esse simboleggiano. Gli antichi hanno
visto nella lonza la lussuria, nel leone la superbia, nella lupa l'avarizia, intesa in senso lato come
cupidigia, avidit: "tre vizi che comunemente pi occupano l'umana generazione" (Ottimo). Dei moderni
alcuni hanno visto in esse le tre faville c'hanno i cuori accesi ( Inferno VI, 75 ), cio superbia, invidia,
avarizia; altri, le tre disposizion che 'l ciel non vole ( Inferno XI, 81 ), cio malizia, matta bestialit e
incontinenza.
Era lalba e il sole saliva in cielo nella costellazione dellAriete, con la quale si era trovato in congiunzione
allorch Iddio
cre, imprimendo loro il movimento, gli astri; per questa ragione erano per me auspicio di vittoria su
quella belva dalla pelle screziata
lora mattutina e la primavera (la dolce stagione: il sole nel segno dellAriete appunto in questa
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stagione), non tanto tuttavia da far si chio non restassi nuovamente atterrito allapparizione di un leone.
Questo sembrava venirmi incontro rabbioso e famelico, col capo eretto, e diffondeva intorno a s tanto
spavento che laria stessa sembrava rabbrividirne.
E (oltre al leone) una lupa, nella cui macilenta figura covavano brame insaziabili, e che gi molte genti
aveva reso infelici,
mi oppresse di tale sbigottimento con il suo aspetto, che disperai di raggiungere la cima del colle.
La Lupa simboleggia probabilmente la avarizia, intesa nel suo significato originario, come avidit, brama
smodata di possesso. Per San Paolo, che la definisce "radice di tutti i mali, l'avidit il vizio che ha pi
contribuito ad allontanare gli uomini da Dio (I Timoteo VI, 10).
In questi versi, come altrove nella Commedia, l'allegoria riflette un pensiero della Sacra Scrittura.
Occorre tuttavia aggiungere che qui, come quasi ovunque nel poema, Dante non precisa l'allegoria fino a
farla corrispondere, in tutti i suoi particolari, a un concetto. Una simile puntuale corrispondenza non
farebbe che immeschinire la poesia, privandola di quell'alone di indefinito che ad essa essenziale. In
questa pagina, ad esempio, la viva presenza delle tre fiere si ripercuote di continuo in un mondo di
sublimi significati, tanto pi ricco e universale quanto meno precisato. Dio, la legge morale, l'ordine del
creato pervadono ogni aspetto della realt, ma si manifestano per cenni, per balenanti illuminazioni; non
possono essere imprigionati nella pochezza dei nostri concetti. Questo ha sentito Dante, questo pi volte
ha ribadito esplicitamente, questo riuscito a far dire ai suoi versi, anche l dove questi sembrano pi
gravati da intenti dottrinali o di edificazione.
E come colui che, avido di guadagni, quando arriva il momento che gli fa perdere ci che ha acquistato,
si cruccia e si addolora nel profondo del suo animo,
tale mi rese la insaziabile lupa, che, dirigendosi verso di me, mi respingeva nuovamente verso la selva, l
dove il sole non penetra con i suoi raggi.
Mentre stavo precipitando in basso, mi apparve allimprovviso colui che, per essere stato a lungo
silenzioso, sembrava ormai incapace di far intendere la sua voce.
Ruvinava: precipitavo. "Ma il sovrassenso si fonde col significato letterale perch in quel "ruinare" - che
rappresenta piuttosto l'entit che la velocit della caduta - e in quel basso loco, che si riferisce
ugualmente bene alla bassura della selva e alla bassezza della vita viziosa, c' l'immagine della doppia
caduta: materiale e morale. " ( Grabher )
Chi per lungo silenzio parea fioco: allegoricamente: la voce della ragione, dopo un lungo silenzio, stenta
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a farsi intendere. Ma, al di l di ogni intento allegorico, quest'ombra ingigantita dal silenzio, isolata in uno
spazio vuoto, si annuncia come portatrice di un mistero ed esercita una profonda suggestione.

Quando lo scorsi nella grande solitudine, implorai il suo aiuto: " Abbi piet di me, chiunque tu sia,
fantasma o uomo in carne ed ossa !"
Miserere: la forma latina conferisce tragica solennit all'invocazione del Poeta.
Mi rispose: " Non sono vivo, ma lo sono stato, e i miei genitori furono entrambi lombardi, originari di
Mantova.
Non omo, omo gi fui: la risposta di Virgilio "articolata, intorno a quella realt umana, in negazione
rispetto al presente e in affermazione rispetto al passato, sembra definitivamente ribadire la distinzione
tonale del canto fra mondo infraumano e sovrumano, metafisico e simbolico, trascendente e biblico, e
mondo umano, della storia e della poesia" ( Getto) .
Vidi la luce mentre era ancora in vita Giulio Cesare, bench troppo tardi (per esserne conosciuto e
apprezzato), e vissi a Roma al tempo di Ottaviano Augusto, principe di gran valore, in unet in cui
vigeva il culto di divinit non vere e ingannevoli.
Virgilio nacque nel 70 a.C. ad Andes, presso Mantova. Giulio Cesare mor nel 44 a.C. Non pot quindi
conoscere ed apprezzare l'autore dell'Eneide.
Fui poeta, e celebrai in versi le imprese di quel paladino della giustizia (Enea), figlio di Anchise, che
venne da Troia ( a stabilirsi in Italia ), dopo che la superba citt fu incendiata.
Ma tu perch vuoi ridiscendere a tanta pena, gi nella valle? Perch non ascendi invece il gaudioso colle,
dispensatore e origine di ogni perfetta letizia? "
La risposta di Virgilio contrasta, nella sua distaccata serenit, che quella del saggio, dell'anima ormai
immune da ogni passione - con la concitata ammirazione di Dante. Gi in queste prime battute si delinea
il rapporto da maestro a discepolo che caratterizzer i dialoghi dei due personaggi.

"Sei proprio tu " risposi reverente ed umile " il grande Virgilio, sorgente copiosa dinesauribile poesia?

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O tu che onori e illumini chiunque coltivi larte del poetare, mi acquistino la tua benevolenza lassidua
consuetudine e il grande amore che mi ha spinto ad accostarmi alla tua opera.
Tu sei lo scrittore e il maestro che ha avuto su di me autorit indiscussa; sei lunico dal quale ho appreso
il bello scrivere che mi ha arrecato fama.
Guarda la lupa che mi ha fatto tornare sui miei passi: chiedo il tuo aiuto, famoso sapiente, poich essa
mi fa tremare di paura in ogni fibra."
Famoso saggio: per Dante il poeta deve anzitutto essere un maestro, un sapiente.
I polsi: le arterie, nell'atto di pulsare.
Virgilio, reso pietoso dalle mie lagrime: "Tu devi, se vuoi uscire da questo luogo impervio, seguire una
altra strada:
perch la belva, per la quale tanto ti lamenti, ostacola il cammino a chiunque in essa si imbatte,
perseguitandolo senza tregua sino ad ucciderlo;
e tanto perversa e malvagia la sua indole, che nulla pu placarne le smodate cupidigie e, invece di
saziarla. il cibo ne accresce gli appetiti.
Numerosi sono gli animali ai quali si accoppia, e il loro numero destinato a crescere, fino alla venuta
( in veste di liberatore) di un Veltro, che la uccider crudelmente.
Animali: esseri animati in genere e quindi anche uomini.
'l Veltro: per aver ragione della lupa, occorre un veloce cane da caccia. In quest'allegoria dobbiamo
vedere l'attesa messianica di un papa riformatore o di un imperatore giusto.
Tutta l'umanit per Dante avrebbe dovuto essere ricondotta sotto una sola autorit nel campo temporale,
sotto un solo magistero in quello spirituale. Ma ai suoi tempi egli vedeva questi due poteri, da Dio
ordinati alla guida degli uomini, degradarsi in abusi e compromessi, offuscarsi nella mediocrit di coloro
che li rappresentavano. L'interpretazione dei fatti politici di cui fu testimone in Dante improntata al pi
deciso pessimismo. Da qui, da questa considerazione negativa del presente, prendono l'avvio alcune delle
sue pagine di pi alta poesia, animate da un ardore profetico che trova riscontro soltanto nell'Antico
Testamento. I commentatori hanno dissertato a lungo nella speranza di giungere ad una plausibile
identificazione del personaggio storico che si celerebbe dietro l'allegoria del Veltro. Ma anche a proposito
del Veltro giova ricordare che la poesia ha una sua vita autonoma, e che l'allegoria pu trasfigurarsi in
lirica, nella misura in cui d voce a un sentimento. La figura della lupa e quella del Veltro esprimono una
profonda ansia di rinnovamento morale, una fede saldissima.
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Per quel che riguarda l'interpretazione degli eruditi, alcuni hanno visto nel Veltro un capo ghibellino
( Cangrande della Scala, di cui Dante fu ospite nel suo esilio, o Arrigo VII di Lussemburgo); altri
Benedetto XI, pontefice dal 1303 al 1304. Non esistono per documenti che permettano di risolvere la
questione in modo probante.

N il potere n la ricchezza saranno il suo nutrimento, ma soltanto le qualit della mente e dellanimo, e
la sua nascita avverr tra poveri panni.
Questi non ciber terra n peltro: l'azione politica del Veltro non sar dettata n da cupidigia di
possedimenti (terra) n da brama di denaro (peltro: lega metallica di stagno, piombo e mercurio ) .
Sapienza, amore e virtute: pi che qualit generiche, suggeriscono le tre persone della Trinit: virtute
(nel senso latino di potenza, capacit ), il Padre onnipotente; sapienza, il Figlio ("il Verbo si fatto
carne"; Giovanni I, 14); amore, l'afflato di carit dello Spirito Santo.
Sar la salvezza di quella Italia, ora umiliata, per la quale si immolarono in combattimento la giovinetta
Camilla, Eurialo e Turno e Niso.
Camilla e Turno combatterono e morirono in guerra contro l'esercito di Enea sbarcato nel Lazio. Eurialo e
Niso s'immolarono invece per la salvezza dei Troiani. " L'aver unito nella esaltazione i vincitori e i vinti
che combatterono per la patria tratto virgiliano, ma anche dantesco." (Gallardo)
Egli dar la caccia alla lupa in ogni citt, fino a costringerla a tornarsene nella sua sede naturale,
linferno, da dove Lucifero, odio primigenio, la fece uscire.
Perci penso e giudico che, per la tua salvezza, tu mi debba seguire, e io sar tua guida, e ti condurr da
qui nel luogo della pena eterna,
dove udrai i disperati lamenti dei malvagi, vedrai gli spiriti di coloro che, fin dalla pi remota antichit,
soffrono per linappellabile dannazione;
La seconda morte ciascun grida: lamentano la loro condizione di reprobi, la morte dell'anima; secondo
altri interpreti, i dannati invocherebbero, dopo quello del corpo, l'annullamento anche dell'anima, la loro
definitiva estinzione anche come spiriti. E' questo il primo alto annunzio della condizione morale dei
dannati, del loro tormento spirituale. Alla forza della disperazione morale dei dannati si contrappone la
forza della speranza delle anime purganti: perch sperano nel paradiso, son contenti nel foco. Le parole
di Virgilio sono gi una viva sintesi della fisionomia morale dei due regni." (Momigliano)
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e vedrai coloro che sono contenti di espiare le loro colpe nei tormenti purificatori del purgatorio, certi di
salire prima o poi al cielo.
Se tu vorrai giungere fin lass, unanima pi nobile di me ti accompagner: con lei ti lascer al momento
del mio distacco;
poich Dio, che lass regna, non permette che qualcuno possa penetrare nella sua citt (tra i beati)
senza essere stato in terra sottomesso alla sua legge ( cio cristiano ).
Dio in ogni luogo sovrano onnipotente e ha nel cielo la sua sede; qui si trovano la sua citt e leccelso
trono: felice colui che Dio sceglie perch risieda in cielo"
Ed io: " Poeta, ti chiedo in nome di quel Dio che non hai potuto conoscere, per la mia salvezza temporale
ed eterna,
Acci ch'io fugga...: perch io eviti "lo smarrimento presente (questo male) e poi la dannazione, sua
naturale conseguenza (e peggio)" ( Grabher) .
La porta di san Pietro: la porta del paradiso, a guardia della quale, nella immaginazione popolare, era
posto San Pietro ("a te dar le chiavi del regno dei cieli"; Matteo XVI, 19).

di condurmi l dove ora hai detto, tanto che io possa vedere la porta del paradiso e le anime che dici
immerse in cos grandi pene".
Virgilio s incammin, e io lo seguii.
2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO II
Il giorno finiva, e loscurit faceva interrompere ai vivi in terra le loro fatiche; io solo
mi preparavo a sostenere il travaglio fisico e morale (del viaggio), che la memoria, esatta nel trascrivere
ci che ha appreso, narrer.
Dante non indulge mai in descrizioni di mero colore: nella Divina Commedia la natura sempre ricca di
dramma, di umana tensione. Cos nell'attacco di questo canto, che prende rilievo dal contrasto tra il
destino di tutti, che quello di riposare dopo le fatiche della giornata, e quello del Poeta, oppresso dal
peso della sua responsabilit, insonne, travagliato dall'angoscia.
Le parole che Dante rivolger a Virgilio per esporgli i propri dubbi trarranno solennit e concentrazione
proprio dal fatto di essere dette in questo tramonto, simbolo del commiato di un uomo da tutto ci che di
umano ancora lo tiene legato al mondo dei vivi.
O Muse, o mia forza intellettuale, soccorretemi; o memoria, che porti impressa in te la mia visione, qui
apparir il tuo valore.
Io cominciai con queste parole: "Poeta, mia guida, guarda se le mie capacit sono sufficienti, prima di
affidarmi allarduo passaggio.
(NellEneide) tu narri che il padre di Silvio (cio Enea, che gener Silvio da Lavinia), mentre era ancora in
vita, and nel mondo dei morti (immortale: perch in esso le anime hanno vita eterna), e fece ci in
carne e ossa.
Ma, se Dio (lavversario dogni male) fu con lui cortese, riflettendo sullimportanza dei risultati ( Roma, la
sua storia, il suo impero) che avrebbero avuto in Enea la loro origine, e sulle sue qualit personali e sulla
sua stirpe regale,
Per, se l'avversario d'ogni male: contro i presupposti dell'esegesi tradizionale, per i quali oggetto del
giudizio dell'uomo assennato la cortesia usata da Dio ad Enea, il Pagliaro sottolinea "l'impossibilit, per
cos dire, ideologica, di attribuire al Poeta della cristianit medievale, che nella teologia ha concentrato e
trasfigurato la pienezza e la purezza del suo amore terreno, un atteggiamento irrispettoso o per lo meno
distratto, al punto da fargli dire che un uomo di senno non pu obbiettare nulla contro il favore
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dimostrato da Dio nei riguardi di Enea..." Il giudizio dell'uomo assennato verterebbe quindi sulla persona
di Enea, non sulla cortesia di Dio. Quanto alla domanda affacciata da alcuni interpreti, se cio Dante
credeva alla discesa agli Inferi di Enea (di cui Virgilio parla nell'Eneide, canto VI, 237 sgg.) come a un
evento storicamente accertato, occorre ricordare che per la mentalit medievale il problema non si
poneva in questi termini: un fatto veniva accettato come vero per il momento di verit interiore che in
esso appariva contenuto.
Nell'empireo ciel per padre eletto: il cielo Empireo il decimo, il pi remoto dalla terra, quello che
rinchiude in se tutto il creato ed sede di Dio.
la cosa non appare ingiustificata a chi ragiona; poich egli fu prescelto da Dio come capostipite della
nobile Roma e del suo impero:
Roma e il suo impero, se vogliamo essere esatti, furono costituiti da Dio per preparare il luogo sacro dove
ha sede il pontefice, successore del grande Pietro.
A causa di questa discesa ( nel regno dei morti), di cui (nel tuo poema) lo hai considerato degno, apprese
fatti (il padre Anchise gli pronostic il felice esito dei suoi travagli e la grandezza di Roma) che furono le
premesse della sua vittoria (nella guerra contro i Latini e i loro alleati) e dellautorit papale.
L'apostrofe di Dante a Virgilio inizia sul tono di un ragionamento dimostrativo, "ma si trasforma via via in
una commossa apoteosi di quella Roma ideale, latina e cristiana, che, per divina elezione, doveva essere
luce di vita temporale e spirituale al genere umano" (Grabher).
La seconda discesa nelloltretomba quella di San Paolo, leletto da Dio, il quale vi and per trarne forza
per la diffusione della fede cristiana, senza la quale la salvezza impossibile.
Vas d'elezione: il vaso della scelta, il recipiente colmo, per decisione divina, di grazia; nel Paradiso
( canto XXI, versi 127-128) Dante chiamer San Paolo il gran vasello dello Spirito Santo. Il verso allude
al rapimento mistico che San Paolo rivela di aver avuto, allorch "se nel suo corpo, o fuori del suo
corpo..., lo sa Iddio, fu rapito fino al terzo cielo" (II Corinti XII. 2-4).
Ma qual il motivo per il quale io devo intraprendere questo viaggio? chi mi autorizza a farlo? Non sono
n Enea n San Paolo: n io mi ritengo allaltezza del compito, n qualcun altro me ne ritiene degno.
A pi riprese, nella Divina Commedia, Dante manifesta l'alta coscienza che ha di s e della missione
affidatagli; ma qui, in questo severo e tormentato dibattito con se stesso, vediamo quanto sia profonda
la sua umilt dinanzi ai supremi ideali in cui crede. L'Impero e la Chiesa si levano giganteschi davanti a
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lui nelle persone: Enea e di San Paolo, a testimoniargli la provvidenzialit del corso della storia. Di fronte
a questi due fulcri della volont di Dio in terra, il Poeta ha vivo il sentimento della sua umana piccolezza.
Perci, se, per quel che riguarda questo viaggio, minduco ad acconsentire, temo che la mia venuta
(nelloltretomba) sia temeraria: sei saggio; sei in grado di comprendere meglio di quanto io non sia in
grado di esprimermi.
E nello stato danimo di chi cessa di volere ci che ha voluto prima e cambia intento per il sopraggiungere
di nuovi pensieri, in modo da scostarsi dal proposito iniziale,
venni a trovarmi io su quel buio pendio (e scesa nel frattempo la notte), perch portai a termine, col
pensiero ( prevedendone tutti gli ostacoli e rendendomi conto della sua folle temerariet), limpresa cui
mi ero accinto con tanta baldanza.
Il paragone, volto a illustrare uno stato d'animo, senza avere l'ampiezza di risonanze della similitudine
del naufrago del primo canto, condotto con "energia nervosa ", cui "conferisce l'evidenza d'una scena
drammatica lo scenario interposto, tal mi fec'io in quella oscura costa" (Momigliano).
"Se ho capito bene il tuo discorso" rispose lombra di Virgilio, "il tuo animo fiaccato dalla pusillanimit:
Magnanimo: si contrappone alla viltate del verso 45: "Sempre lo magnanimo si magnifica in suo cuore, e
cos lo pusillanime, per contrario, sempre si tiene meno che non e" (Convivio I, XI, 18).
essa molte volte ostacola luomo tanto da allontanarlo da unimpresa onorata, cos come una ingannevole
apparenza fa volgere indietro una bestia quando si adombra.
Perch tu ti liberi da questo timore, ti esporr il motivo per cui sono venuto (in tuo aiuto) e ci che udii
quando per la prima volta sentii piet per il tuo stato.
Mi trovavo (nel limbo) tra coloro che sono in una condizione intermedia tra i beati e i dannati al fuoco
eterno, quando fui chiamato da una donna di tale bellezza e soffusa di tanta letizia, da essere indotto a
pregarla di comandare.
I critici hanno variamente insistito sugli aspetti che ricollegano l'apparizione di Beatrice a Virgilio in
questo canto ai modi in cui la figura di Beatrice presentata nella Vita Nova, lo scritto giovanile con cui
Dante ha celebrato le virt della donna amata. Per il Sapegno tutta l'intonazione dell'episodio riflette quel
"misticismo amoroso" che aveva trovato in Dante il suo pi sicuro interprete, nell'ambito della scuola
poetica del dolce stil novo. Il Momigliano nota anch'egli la "continuit ideale e artistica" fra la Vita Nova e
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

la Commedia, rilevando in questo episodio maggiore maturit e sicurezza d'impianto rispetto agli scritti
giovanili.
La luce dei suoi occhi vinceva quella delle stelle; e cominci a parlarmi dolcemente e pacatamente, con
voce dangelo:
"O cortese anima mantovana, la cui fama dura ancora fra gli uomini, ed destinata a durare tanto a
lungo quanto durer il mondo,
colui che amato da me, ma non dalla sorte, ha trovato tali ostacoli sul deserto pendio del colle, che si
gi volto indietro per la paura;
il mio timore che egli si sia a tal punto nuovamente perduto (nel buio del peccato), da rendere ormai
tardivo (e quindi inutile) il mio aiuto, per quel che di lui mi stato riferito in cielo.
Alcuni credono che con l'espressione l'amico mio Beatrice intenda accennare all'amore di Dante per lei,
anzich a quello suo per Dante. Questa interpretazione concorderebbe con quella di un antico
commentatore che insiste sul senso allegorico: ''molti amano Beatrice, cio la dottrina delle cose divine,
non per lei n per aver quella, ma per acquistarne fama e reputazione mondana e ricchezze e dignit, le
quali cose son beni di fortuna" (Buti).
Va dunque, e aiutalo sia con la tua eloquenza sia con tutto ci che altrimenti occorra per la sua salvezza,
in modo da rendermi contenta.
Io, che ti invito ad andare, sono Beatrice; vengo dal cielo, dove desidero tornare; sono stata spinta (fin
qui) da amore e amore ha ispirato le mie parole.
Il termine "amore", ha qui una grande complessit di significati. "' l'amore di Beatrice per il suo fedele;
ma anche l'Amore inteso nel suo valore assoluto, cio Dio, da cui deriva ogni impulso
caritatevole." ( Sapegno )
Quando sar davanti a Dio, spesso Gli parler degnamente di te." Allora tacque, e poi io cominciai:
"O signora di virt, per la quale virt soltanto il genere umano superiore ad ogni altro essere contenuto
dal cielo (quello della Luna) che compie (nel suo moto di rotazione intorno alla terra) i giri pi piccoli,
Di quel ciel c'ha minor li cerchi sui: secondo il sistema tolemaico, nove cieli concentrici girano intorno alla
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terra, che viene quindi a trovarsi come contenuta in essi. Il pi basso e quindi il pi piccolo (e il pi vicino
alla terra) il cielo della Luna.
il tuo comando mi cos gradito, che, se anche avessi iniziato ad obbedirti, mi sembrerebbe pur sempre
daver fatto tardi; pi non occorre che tu mi manifesti: il tuo volere.
Dimmi piuttosto il motivo per cui non temi di scendere qua in basso, nel centro delluniverso ( occupato
appunto dallinferno), dal luogo sconfinato (IEmpireo), dove bruci dal desiderio di ritornare."
"Poich vuoi penetrare tanto in profondit con la tua mente, ti dir in breve perch non temo di scendere
nellinferno" mi rispose.
Conviene temere soltanto quelle cose che possono arrecare danno; le altre no, poich non sono temibili.
Il Boccaccio, riportandosi a un passo dell'Etica di Aristotile, afferma: "il non temer le cose che possono
nuocere... atto di bestiale e di temerario uomo; e cos temere quelle che nuocere non possono... atto
di vilissimo uomo..."
Questa cos ovvia risposta di Beatrice - sarebbe sufficiente alla domanda di Virgilio. "Ma Beatrice ha
compreso che Virgilio desidera sapere la ragione personale, intima, della improvvisa e affatto
straordinaria discesa di lei, non gi di udire una sentenza filosofica." (Torraca)
Dio mi cre, per sua grazia,tale che la vostra miseria di peccatori non mi tocca, n possono attaccarmi le
fiamme infernali.
In queste parole di Beatrice "non c' disprezzo per la miseria e l'incendio... che travaglia i dannati, ma il
senso di una pace, di una felicit sicura, di un distacco ineffabile dal mondo e dalla materia... e nello
stesso tempo il candore della creatura celestiale, trionfante con tanta semplicit e umilt (Chimenz).
Nel cielo una donna gentile (la Vergine) ha compassione per queste difficolt verso le quali io ti mando (a
liberare Dante), tanto da mitigare la severit della giustizia divina.
Questa chiam Lucia e disse: "Il tuo fedele ha ora bisogno di te, ed io a te lo raccomando".
Lucia: martire siracusana, protettrice della vista, simboleggia la Grazia illuminante; forse Dante le fu
particolarmente devoto in seguito ad una malattia degli occhi di cui ebbe a soffrire (Convivio III, IX, 1516).

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Lucia, nemica di ogni crudelt, si mosse, e venne dove io sedevo insieme allantica Rachele.
Rachele: personaggio dell'Antico Testamento, nel Medioevo simboleggia la vita contemplativa ed perci
posta accanto a Beatrice, simbolo della teologia.
Parl: - Beatrice, vera gloria di Dio (loda: lode, in quanto la sua perfezione torna a gloria di chi la cre),
perch non aiuti chi tanto ti am, colui che, per amor tuo, seppe elevarsi sulla turba dei mediocri?
Beatrice, loda di Dio vera: il senso di questa espressione cos concisa si chiarisce attraverso una pagina
della Vita Nova, ove scritto che la gente, dopo aver visto Beatrice, ringrazia il Signore per la perfezione
delle sue creature: "Questa una maraviglia; che benedetto sia lo Segnore, che s mirabilmente sae
adoperare!" (XXVI).
Ch'usc per te della volgare schiera: Dante consapevole di essere riuscito, per altezza di poesia, per
coerenza di vita morale, per sicurezza di dottrina. a sollevarsi al disopra dei suoi contemporanei. Questo
verso pu riferirsi "sia al bello stile che ha fatto onore a Dante cantando di Beatrice, sia alla superiorit
spirituale sopra la gente volgare, raggiunta dal Poeta in virt del suo amore" (Chimenz).
non odi il suo pianto angoscioso? non vedi il pericolo della dannazione che lo assale sul fiume (del
peccato), sul quale il mare non pu vantare la sua forza?
La fiumana ove 'l mar non ha vanto: nella fiumana dobbiamo vedere lo scorrere della vita dell'uomo nel
peccato e nel male. Una interpretazione diversa stata avanzata dal Pagliaro, il quale, accertato che ove
pu avere soltanto il significato di "nel luogo in cui", ricostruisce cos il senso della metafora: "Dante in
pericolo come colui che si trova su una fiumana, nel punto in cui questa si incontra col mare, e il mare
non riesce a vincerla". In questa interpretazione, l'immagine, circoscritta al senso letterale, non richiede
l'aggiunta di un sovrassenso.
Sulla terra non ci furono mai persone cos pronte a perseguire il loro utile e a evitare ci che potesse
danneggiarle, come fui pronta io, dopo che tali parole mi furono dette,
nello scendere fin quaggi dal mio seggio di beata, confidando nella tua nobile eloquenza, che onora sia
te sia quelli che lhanno intesa (traendone profitto spirituale)."
Dopo avermi dette queste cose, volse verso di me gli occhi lucidi di lagrime; e per questo mi rese pi
sollecito a venire (dove tu eri);
La figura di Beatrice in lagrime suggerisce al Boccaccio questo commento: "atto d'amante e
massimamente di donna; le quali, come hanno pregato d'alcuna cosa la quale desiderino, incontanente
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lagrimano, mostrando in quello il desiderio loro essere ardentissimo". Beatrice ha qui un contorno
luminoso e celestiale, senza tuttavia nulla perdere della trepidazione di una donna che ama. C' in tutto il
suo discorso "una linea pura, la semplicit di una sfera remota dal mondo" (Momigliano).
Nel suo saggio su Dante il Croce sembra voler suggerire una ideale collocazione di Beatrice quale appare
in questo "prologo in cielo", accanto alle grandi eroine della letteratura mondiale, allorch osserva:
"Beatrice ora veramente l'eterno femminile, la piet, la sollecitudine quasi materna, con alcunch di
molle e di amoroso, una santa, e pur sempre una donna bella, che in qualche modo gli appartenne e fu di
lui solo, di lui suo cantore, che la celebr viva e morta".
e come Beatrice volle venni da te; ti portai via dal cospetto della lupa, che taveva impedito di
raggiungere per la via pi breve la cima del colle.
Che hai dunque? perch, perch indugi ? perch accogli in cuore tanta pusillanimit? perch non hai
coraggio e schietta fiducia in te stesso?
dal momento che tre beate tanto potenti perorano la tua causa davanti al tribunale di Dio, e che le mie
parole promettono (al tuo viaggio) un esito cos felice? "
Come i gracili fiori, prostrati a terra con le corolle serrate per difendersi dal freddo della notte, appena li
rischiara allalba il primo raggio di sole si ergono sui loro steli con le corolle tutte aperte,
cos mi ripresi dal mio precedente stato di abbattimento, e tanto coraggio entr nel mio animo, che
cominciai (a parlare) libero da ogni timore:
Quali i fioretti...: la similitudine riflette, attraverso un particolare aspetto della natura all'alba. il
progressivo ritorno della fiducia (buono ardire) nel cuore di Dante. La preziosa sostanza dell'immagine, il
delicato atteggiarsi dei fioretti, il senso di fragilit che c' nel loro risveglio, propongono un confronto tra
l'arte di Dante e la grande tradizione figurativa del Trecento.
C' in questa similitudine qualcosa che attesta... una malattia solo da poco decisamente superata: Dante
puo ben paragonarsi a un convalescente. Guardate quei fiori: sono gracili, teneri fiori, sono soltanto
fioretti: e il primo sole, che i color vari suscita dovunque si riposa, non fa che imbiancarli solamente,
quasi non fossero ben capaci ancora di sopportare l'intensit dei loro colori; torna lo slancio vitale e si
manifesta in quell'aprirsi, dilatarsi tutta, avidamente, della corolla, come a inebriarsi della luce del nuovo
giorno, quasi di una nuova vita... (Chimenz)
"Oh misericordiosa colei che mi venne in aiuto! e te generoso, che non hai tardato a prestare obbedienza
alle veritiere parole che ti indirizzo!
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Col tuo ragionamento mi hai a tal punto predisposto lanimo con desiderio al viaggio, che sono tornato ad
avere lintenzione che avevo in origine.
Incamminati dunque, poich ununica volont ci governa: siimi guida, padrone, maestro. " Cosi parlai; ed
essendosi egli avviato,
entrai (dietro a lui) nellarduo e orrido cammino.
2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO III
Attraverso me si entra nella citt dolorosa, nel dolore che mai avr termine, tra le anime dannate.
Ossessiva e agghiacciante si ripete nella prima terzina "la stessa idea, come presente immobile, eterno,
ripetizione di se stesso: dolore e sempre dolore, quel luogo e sempre quel luogo" (De Sanctis) .
Dio, mio eccelso creatore, fu mosso dalla giustizia: sono opera del Padre (la divina potestate), del Figlio
(la somma sapienza) e dello Spirito Santo ('I primo amore).
Prima di me non fu creata nessuna cosa se non eterna, e io durer fino alla fine dei tempi. Abbandonate,
entrando, ogni speranza .
Se non etterne: le cose create per essere eterne, prima dell'inferno, sono i cieli, gli angeli, la materia
ancora informe.
Vidi questa sentenza dal minaccioso significato. incisa in cima a una porta; per cui mi rivolsi a Virgilio:
Maestro, ci che essa dice per me terribile .
Ed egli, da persona perspicace qual era: A questo punto occorre abbandonare ogni esitazione; ogni
forma di pusillanimit deve ora sparire.
Siamo giunti dove ti dissi che avresti veduto le anime doloranti che hanno perduto la speranza di vedere
Dio .
Il ben dell'intelletto: secondo Aristotile, il vero e, quindi, la verit suprema, Dio.
Ivi echeggiavano nell'aria senza luce gemiti, pianti e acuti lamenti, tanto che (udendoli) per la prima
volta ne piansi.
Differenti lingue, orribili pronunce, espressioni di dolore, esclamazioni di rabbia, grida acute e soffocate,
miste al percuotersi delle mani l'una contro l'altra
creavano nell'aria buia, priva di tempo, una confusione eternamente vorticante, cos come (rapida
vortica) la sabbia quando soffia un vento turbinoso.
Il Mazzoni ha ravvisato una suggestiva rispondenza tra il contenuto di questa similitudine e la sua
struttura sintattica: "La rena si avvolge a spirale crescendo rapida dall'inerzia al moto culminante, per
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quindi ricadere dal moto culminante all'inerzia: non altrimenti troviamo nella descrizione del Poeta un
salire dal meno al pi, e un ridiscendere dal pi al meno".
E io che avevo la testa attanagliata dall'orrore, esclamai: "Maestro, che significano queste grida? che
gente questa, che appare cos sopraffatta dal dolore ?"
E Virgilio: "Questa infelice condizione propria delle anime spregevol di quelli che vissero senza meritare
n biasimo n lode.
Gli ignavi non possono, a rigore, essere inclusi fra i dannati, non avendo essi trasgredito in modo
esplicito la legge morale. Questo il motivo per cui Dante li colloca al di qua del fiume Acheronte, in quel
vestibolo dell'inferno che l'autore dell'Eneide aveva assegnato agli insepolti.
Ma la concezione eroica ed intransigente che il Poeta ha del nostro compito in terra, conferisce alla sua
parola vigore eccezionale nell'atto in cui li addita alla nostra riprovazione. Cos ha osservato il Croce: ."la
vera loro punizione sono i versi che li fustigano in eterno: questi sciaurati, che mai non fur vivi...; che
visser senza infamia e senza lodo...; a Dio spiacenti ed a nimici sui...: che fece per viltate il gran
rifiuto...; non ragioniam di lor, ma guarda e passa".
Il disprezzo di Dante per coloro che per vilt si astennero dall'agire, disprezzo che il Poeta manifesta con
estrema violenza, " correlativo alla simpatia, in lui cos viva sempre, per i magnanimi, per coloro cio
che, in bene o in male, seppero imprimere una potente impronta nella storia del loro tempo" (Sapegno).
Sono mescolate alla malvagia schiera degli angeli che (in occasione della rivolta di Lucifero) non si
ribellarono n rimasero fedeli a Dio, ma fecero parte a s.
Perch il loro splendore non ne sia offuscato, i cieli li tengono lontani da s, n in s li accoglie la
voragine infernale, perch i colpevoli (gli angeli che parteggiarono per Lucifero) avrebbero di che vantarsi
rispetto ad essi " .
Ed io: "Maestro, cosa riesce loro cos insopportabile, da farli prorompere in cos disperati lamenti?"
Rispose: "Te lo dir in pochissime parole.
Costoro non possono sperare in un completo annullamento del loro essere (cio nella morte dell'anima) e
(d'altra parte) la loro vita senza scopo tanto miserabile, da renderli invidiosi di qualsiasi altro destino.
Il mondo non lascia sussistere alcun ricordo di loro; Dio non li degna n della sua piet n di una
sentenza di condanna non parliamo di loro, ma osserva e va oltre ".
E io, guardando con maggiore attenzione, scorsi un vessillo che girava correndo cos velocemente, da
sembrare incapace di una qualsiasi forma di quiete;
e dietro ad esso avanzava una tale moltitudine, quale mai avrei immaginato fosse stata annientata dalla
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

morte.
Le pene dell'inferno e del purgatorio riflettono, nella Divina Commedia, la razionalit della giustizia
divina. Tra esse e il peccato che colpiscono c' sempre una stretta relazione, il cosiddetto contrappasso:
questa punizione in alcuni casi si manifesta per analogia, in altri, invece, per contrapposizione, come qui,
per gli ignavi. "... indegno di riposo chi non milita, chi non arrischia, chi non combatte. Dopo la vittoria
ci si riposa, e dopo la sconfitta; o anche dopo il cammino: e costoro non vollero vincere, temerono di
perdere, non si mossero mai. Vadano dunque eternamente, camminando rapidi, senza saper neppure
quale insegna sia quella che li precede; e poi che per nulla mai si scaldarono, prorompano ora in accenti
d'ira; poi che per nulla mai gemerono, versino ora lamenti e lagrime; poi che per nulla mai rischiarono
una goccia di sangue, stillino sangue. Lagrime e sangue, che furono da loro negati al servigio delle cause
umane, e di quella di Dio, scendano a impinguare i vermi che brulicano ai loro piedi con tormentoso
fastidio" (Mazzoni).
L'infinita moltitudine degli ignavi riecheggia, qui, un passo della Sacra Scrittura: "Degli stolti il numero
infinito" (Ecclesiaste 1, 15). Scrive il Momigliano: "il mondo, dunque, secondo Dante fatto soprattutto
di ignavi, di una folla amorfa e grigia, su cui emergono quelli che vivono con infamia o con lode".
Dopo aver ravvisato qualcuno nella folla, vidi e riconobbi l'anima di colui che per pusillanimit rifiut il
trono papale (fece per vilt il gran rifiuto).
L'eremita Pier da Morrone, eletto papa nel 1294 col nome di Celestino V, dopo cinque mesi rinunci al
pontificato.
Gli succedette, sulla cattedra di Pietro, Bonifacio VIII, il quale, nel conflitto divampato a Firenze fra le due
fazioni dei Guelfi, i Bianchi e i Neri, favor questi ultimi. In seguito al prevalere dei Neri, Dante, che era
andato a Roma in missione ufficiale presso il papa, non pot pi tornare nella sua citt (1302).
Compresi allora d'un tratto e fui sicuro che questa era la turba dei vili, sgraditi a Dio non meno che ai
suoi nemici (i diavoli).
Questi miserabili, che vissero come se non fossero vivi (in quanto non seppero affermare la loro
personalit), erano nudi, continuamente punti da mosconi e da vespe che si trovavano l.
Esse rigavano il loro volto di sangue, che, misto a lagrime, era succhiato ai loro piedi da vermi
nauseabondi.
E dopo aver spinto il mio sguardo pi in l, vidi sulla riva di un gran fiume una folla; perci interpellai
Virgilio: "Maestro, consentimi
di apprendere chi sono queste genti, e quale consuetudine le fa apparire cos ansiose di passare sull'altra
riva, come intravedo attraverso la debole luce".
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Osserva il Momigliano, a proposito della scena che qui inizia: "Il tema direttivo della seconda parte del
canto questa lividit sconfinata e minacciosa, dentro cui s'inquadra cos bene l'immagine autunnale
delle anime che si staccano dalla riva come foglie morte dall'albero. Tutta la vita della scena spira dalla
livida palude, da questa tinta, da questo tragico barlume dell'orizzonte, che Dante accenna solo e che
pure si stende dovunque come il colore che evapora naturalmente da quell'affollarsi di dannati che hanno
lasciato ogni speranza. Perfino il terremoto che chiude il canto, in armonia con quella tinta di corruccio
che ne domina lo sfondo".
Virgilio mi rispose: Le cose ti saranno note (conte: conosciute) quando fermeremo i nostri passi presso
il doloroso fiume Acheronte .
Allora, con gli occhi abbassati per la vergogna, temendo che il mio discorso gli riuscisse fastidioso, cessai
di parlare finch arrivammo al fiume.
Questo, come altri atteggiamenti di umilt di Dante nei confronti del maestro, rischia di apparire
eccessivo rispetto al motivo che lo ha determinato, se lo si limita al suo significato pi ovvio.
In realt, Virgilio, nelle prime due cantiche, non un personaggio al pari degli altri, come d'altronde non
nemmeno solo un'allegoria, un semplice simbolo. Per capire il rapporto che si stabilisce nel corso del
poema tra Dante e Virgilio, occorre tener presente che in quest'ultimo si incarnano, per Dante, le pi
eccelse qualit della poesia, quasi un traguardo di perfezione nella cui contemplazione egli si perde. Non
si tratta di un sovrassenso meccanicamente imposto alla lettera (come potrebbe essere la ragione, o la
filosofia, o - sul piano politico - l'idea imperiale, cui di volta in volta la figura di Virgilio stata ricondotta,
con scrupolo forse eccessivo, dagli interpreti), ma di un senso pi vasto del significato letterale, che da
quest'ultimo continuamente trabocca. La trascendenza come poesia: ecco quello che il personaggio di
Virgilio incarna agli occhi di Dante. Il poeta latino - avverte il Montanari " la persona viva che ha rivelato
a Dante il pi alto valore della poesia: di una poesia che sia capace di assorbire nella propria forma non
solo la ragione umana che si esercita sulle cose visibili, ma l'aspirazione dell'uomo a varcare le soglie di
quel cammino invisibile senza del quale l'uomo non pu raggiungere il suo ultimo destino". Solo un
sentimento religioso pu dettare parole come quelle che la reverenza per il maestro ha ispirato a Dante.
E (dopo essere qui giunti) ecco dirigersi alla nostra volta, su un'imbarcazione, un vecchio, canuto (bianco
per antico pelo), che gridava: Sventura a voi, anime malvage !
Non illudetevi di poter pi vedere il cielo: vengo per traghettarvi sull'altra riva nel buio eterno, nel fuoco
e nel ghiaccio.
E tu che, ancora in vita, ti trovi con loro, allontanati dalla turba dei gi morti. Ma dopo aver visto che
non me n'andavo,
continu: Attraverso vie e luoghi di imbarco diversi giungerai alla riva, che non questa, da dove sarai
traghettato (per passare): una barca pi leggiera ti dovr trasportare .
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Caronte il primo dei custodi infernali che i due poeti incontrano nel loro viaggio. La sua figura
desunta, come altre della prima cantica, dal libro VI dell'Eneide, in cui narrata la discesa di Enea
nell'oltretomba. Ma su qualunque argomento Dante si soffermi, sia esso tratto dall'osservazione diretta
della realt o invece rivissuto sulle pagine degli autori a lui cari, gli imprime i tratti della sua poesia:
essenzialit, concisione, vigore drammatico ed espressivo. A proposito dei mostri passati dalla mitologia
classica nell'inferno dantesco, il Momigliano osserva: "hanno tutti un'imponenza che, fusa con l'aspetto
minaccioso e mostruoso, tradisce in questi guardiani sotterranei la espressione d'una potenza superiore
intesa a flagellare il regno del peccato. Tutti hanno una gagliarda, quasi tutti una monumentale, violenza
di atteggiamenti e di movimenti, e condensano in s la disperata vitalit che il carattere dominante
dell'Inferno".
Caronte sa che Dante destinato a salvarsi: l'anima del Poeta, dopo la morte del suo corpo, sar tra
quelle che si raccoglieranno alla foce del Tevere, per essere trasportate in purgatorio da un vasello
snelletto e leggiero (Purgatorio II, 41) , ossia dal pi lieve legno cui accenna Caronte.
E Virgilio gli disse: Non te n'avere a male, o Caronte: si vuole cos l dove si pu fare tutto ci che si
vuole ( la decisione divina presa nel cielo Empireo, dove tutto ci che voluto pu avere immediata
attuazione), e non chiedere altro .
Vuolsi cos col dove si puote: Dante non nomina mai Dio parlando con i custodi infernali, ma la perifrasi
esplicita nell'indicare Colui che ha decretato il suo viaggio nell'al di l.
Un motivo pi intimamente poetico pu tuttavia rendere ragione di questa formula, che verr ripetuta
tale quale o con lievi modifiche in occasione di altri incontri con i guardiani infernali. "Se infatti Virgilio
avesse risposto semplicemente che questo era voluto da Dio, Caronte non sarebbe stato colpito come da
quel tortuoso intrico di parole, che lo circuiscono tremende e misteriose, incidendo, ossessionanti, la
volont e la potenza del Cielo..." (Grabher)
Il Sapegno scorge invece in questo procedimento "un certo schematismo e una certa meccanicit
d'invenzione", destinati a sparire col progressivo maturare, in senso drammatico e mosso, dell'arte del
Poeta.
Da questo istante si calmarono le gote ricoperte di fluente barba del traghettatore del buio fiume (livida
palude: livido , per antonomasia, il colore della morte), che aveva intorno agli occhi cerchi di fuoco.
Quinci fuor quete le lanose gote: Caronte ha cessato di parlare. Dante non si sofferma. tanto sull'aspetto
auditivo di questo silenzio, quanto su quello visivo. "Infatti le parole di Caronte, nella loro violenza,
specialmente iniziale (guai a voi ecc.) hanno scomposto la plastica di quel volto, facendo sobbalzare
l'antica e copiosa canizie. Appena Caronte tace; ci che pi colpisce Dante, fisso con stupore e terrore nel
volto del vecchio, il ricomporsi del volto stesso, nella sua compostezza plastica. Ecco perch il Poeta
dice: fuor quete le lanose gote; e lanose, richiamando il vello degli animali, aggiunge qualcosa di bestiale
a quella che, nel Caronte virgiliano, solo una abbondante, incolta canizie ." (Grabher)
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Ma quelle anime, che erano affrante e inermi, trascolorarono e batterono i denti, non appena ebbero
udite le crudeli parole:
maledicevano Dio e i loro genitori, il genere umano e il luogo e il tempo (in cui erano state generate) e
l'origine della loro stirpe e della loro nascita.
La bestemmia , tra le manifestazioni dei dannati, forse la pi tipica. Privati della possibilit del
pentimento, all'ingresso dell'inferno, essi sfogano, in questa incalzante e grandiosa maledizione, che ha
per oggetto il creato nei suoi principii di vita e di generazione (Dio e lor parenti... e 'l seme), la loro
rabbia cieca e impotente.
Ma la bestemmia solo apparentemente pu sembrare in loro una manifestazione di rivolta; in realt essi,
come automi, riflettono una volont che li trascende, glorificano, sia pure negativamente, Colui che le
loro imprecazioni invano bersagliano.
"Il dannato stesso parola di Dio, esercita un ministerium, inviato al vivente per ammonizione
salvifica." (Montanari)
Qui, sulla riva dell'Acheronte, i reprobi sono impazienti di varcare la livida palude. La paura che incutono
in essi i prossimi tormenti infernali vinta dal desiderio di eseguire i comandi di Chi giustamente li ha
dannati, e perci ogni bestemmia, pronunciata da loro, assume tragici riflessi.
Poi si adunarono tutte insieme, piangendo dirottamente, sulla riva del fiume del male che aspetta tutti
coloro che non temono Dio.
II demonio Caronte, con occhi fiammeggianti, facendo loro segni, le accoglie tutte (nella barca); percuote
col remo chiunque tarda (ad obbedirgli).
Caron dimonio, con occhi di bragia: il virgiliano "stant lumina flamma " (Eneide VI, 300) precedentemente riprodotto da Dante (che 'ntorno all occhi avea di fiamme rote) "con una di quelle
immagini stilizzate, quasi di pittura pregiottesca, che erano dello stile lirico" (Sapegno) - viene qui
interpretato nel senso di una pi intensa espressivit e di un maggiore realismo: con occhi di bragia.
Domina su tutta la scena il muto cenno del nocchiero, che basta da solo a far salire le anime nella barca.
Come in autunno le foglie si staccano l'una dopo l'altra (dal ramo), finch questo vede sparsa a terra
tutta la sua veste frondosa,
allo stesso modo la corrotta progenie di Adamo si precipita da quella riva, anima dopo anima, a un cenno
(di Caronte), come il falco (auge!) al richiamo (del falconiere).
La similitudine delle foglie che si staccano dall'albero gi in Virgilio (Eneide VI, 305-312), a significare
la sterminata turba dei defunti. Dante la ricrea conferendole movimento drammatico e un che di
ineluttabile (come auge! per suo rchiarno) che sottolinea la perdita, nei trapassati, di qualsiasi forma di
libero arbitrio. La similitudine in Dante, pur nella sua immediatezza e nel suo realismo, si carica sempre
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

di accenti morali.
Avanzano cos sull'acqua buia, e prima che questa moltitudine sia sbarcata sulla riva opposta, un'altra gi
s'accalca nel punto d'imbarco.
Figlio mio , spieg cortesemente Virgilio, tutti coloro che muoiono in stato di peccato (nell'ira di Dio)
si radunano qui (venendo) da ogni luogo della terra:
e sono (spiritualmente) disposti a varcare il fiume, poich la giustizia di Dio li stimola, in modo che il
timore (delle pene) si converte in loro nel desiderio (di affrontarle).
Di qui non passano mai anime virtuose: e perci, se Caronte si lamenta della tua presenza, puoi ben
comprendere ormai quale significato hanno le sue parole.
Appena Virgilio ebbe finito di parlare, la terra buia trem con tanta violenza, che il ricordo (la mente: la
memoria) dello spavento provato m'inonda ancora di sudore.
Dalla terra bagnata dalle lagrime dei dannati usc un vento, che si convert in un lampo sanguigno il
quale mi fece perdere i sensi;
Nel Medioevo si credeva che i terremoti fossero provocati da masse aeriformi compresse nelle viscere
della terra. L'origine dei lampi era attribuita al subitaneo erompere di vapori.
e caddi come chi cede al sonno.
2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO IV
Un cupo tuono interruppe il profondo sonno nella mia testa, cos ripresi coscienza come una persona che
destata violentemente;
Un greve truono: quasi tutti gli interpreti moderni respingono l'identificazione del greve truono con il
truono... d'infiniti guai del verso 9. Mentre il primo, per svegliare Dante, deve avere un carattere di
subitaneit, il secondo continuo, ininterrotto. "Inoltre, il prodigio atmosferico del lampo, che provoca
l'immediato addormentamento di Dante, richiede - allegoricamente e poeticamente - un altro prodigio,
laddove il preteso fragore infernale sarebbe uno stato di fatto normale, permanente e invariabile.
" ( Chimenz )
Gli antichi hanno visto, tanto nel lampo che addormenta il Poeta alla fine del canto precedente quanto nel
truono che qui lo ridesta, due manifestazioni della Grazia (in particolare della Grazia illuminante, in
relazione al bagliore improvviso che rischiara le tenebre infernali: balen una luce vermiglia: Inferno
canto III, 133-134), la quale dapprima assopisce la concupiscenza del Poeta e poi lo risveglia nella
condizione di giudicare rettamente i propri peccati.
allora, levatomi in piedi, volsi intorno gli occhi riposati, e guardai attentamente per rendermi conto del
luogo dove ero.
Il fatto che mi trovai sul margine della profonda voragine del dolore, che in s contiene il fragore di
innumerevoli lamenti,
Vero che: l'espressione meno prosaica di quanto a una prima lettura pu apparire; infatti essa
"conserva in parte l'originario valore di attestazione solenne, e sta spesso a sottolineare la stranezza o
l'importanza della verit rappresentata o asserita" (Sapegno).
Che truono accoglie d'infiniti guai: non esprime una reale sensazione del Poeta in quel momento, ma
una perifrasi per indicare l'inferno, in una sua qualit permanente. Le grida dei dannati, tuttavia,
cominceranno a farsi sentire soltanto a partire dal cerchio dei lussuriosi (ora incomincian le dolenti note a
farmisi sentire; Inferno canto V, 25-26).
(La voragine) era buia e profonda e fumosa tanto che, per quanto tentassi di penetrarvi fino in fondo con
lo sguardo, non riuscivo a distinguervi nulla.

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

"Ora scendiamo quaggi nel mondo delle tenebre" cominci a dirmi Virgilio, che era impallidito, "io andr
per primo, e tu mi seguirai. "
Ed io, che avevo notato il suo pallore, dissi: "Con quale animo potr seguirti, se tu, che sempre mi
infondi coraggio allorch sono preso dal timore, hai paura? "
Ed egli: "La tragica sorte dei dannati diffonde sul mio volto quel pallore che tu interpreti come un segno
di paura.
Muoviamoci, poich il lungo cammino (che dobbiamo percorrere) ci costringe a non perdere tempo".
Dicendo questo si avvi e mi fece entrare nel primo cerchio che chiude tuttintorno il baratro.
Virgilio manifesta profonda piet per quei dannati di cui egli si trova a dividere le sorti. Il pensiero
angoscioso delle pene infernali gli fa troncare il discorso: Andiam, ch la via lunga ne sospigne. Il poeta
latino ha perduto la sicurezza e la baldanza dimostrate nella risposta a Caronte e negli incitamenti a
Dante del canto precedente. Un'ombra di tristezza vela le sue parole.
Qui, per quel che si poteva arguire dalludito, non vi era altra manifestazione di dolore fuorch sospiri,
che facevano fremere latmosfera infernale.
Sospiri, che l'aura etterna facevan tremare: questi " sospiri " si contrappongono idealmente
all'incomposto bestemmiare delle anime del canto precedente, e individuano una nuova tonalit:
elegiaca, non pi tragica.
Ci avveniva a causa del dolore non provocato da tormenti corporali che colpiva schiere, numerose e
folte, di bambini e di donne e di uomini.
D'infanti e di femmine e di viri: oltre ai bambini non battezzati, si trovano qui le anime di coloro che
conobbero e praticarono le quattro virt cardinali, senza aver avuto conoscenza delle tre virt teologali;
l'unica loro colpa il peccato originale, retaggio comune del genere umano. San Tommaso sostiene che il
peccato originale, ove non si accompagni ad altre manifestazioni peccaminose dovute al libero arbitrio,
non riceve nell'al di l una punizione in senso proprio, ma soltanto il "danno" derivante dalla privazione
della visione di Dio. Gli adulti virtuosi, morti prima della venuta di Cristo o senza che ne siano giunti a
conoscenza, vengono definiti generalmente dai teologi ''infedeli negativi". in particolare San Tommaso
sostiene che di per s l'infedelt negativa non peccato, ma nega che, ove non soccorra la fede, il
peccato originale possa sussistere da solo, senza indurre l'adulto in altri peccati. Soltanto i bambini non
battezzati e i patriarchi dell'Antico Testamento sarebbero nella condizione di non avere in s altro peccato
fuorch quello originale. Dante, su questo punto, si allontana dalla tradizione pi rigorosa e autorevole,
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

per accogliere nel suo limbo anche gli infedeli negativi adulti, dell'antichit pagana e dello stesso
Medioevo, seguaci di altre religioni.
l buon maestro mi disse: "Non mi chiedi che sorta di anime sono queste che si offrono al tuo sguardo?
Voglio dunque che tu sappia, prima di procedere oltre,
che non hanno commesso peccato; e se hanno meriti, questi non bastano (a redimerli), perch furono
privi del battesimo, che la parte essenziale della fede in cui tu credi.
E se vissero prima dellavvento del Cristianesimo, non adorarono nel modo dovuto Dio (come invece
avevano fatto i patriarchi dellAntico Testamento): e io stesso sono uno di loro.
Per tale mancanza, non per altra colpa, siamo esclusi dalla beatitudine, e siamo tormentati in questo
soltanto, che viviamo nel desiderio (di conseguire la visione beatifica di Dio) destinato a restare
inappagato".
I chiarimenti che d qui Virgilio, prevenendo la domanda del suo discepolo e quasi intuendone lo
smarrimento hanno uno sviluppo nobilmente didascalico e si concludono in un verso che sintetizza la
condizione degli spiriti privati della visione di Dio. Questo verso, tuttavia, pur nella sua concisione, non
ha nulla della tensione drammatica che vibra in altri endecasillabi della Commedia, nei quali la
compattezza della forma pare venire sedata dall'urgenza del contenuto. Qui lo svolgimento logico
chiaro, riposato, e il tono sentimentale che ad esso corrisponde anch'esso sereno, disteso. Se nelle
parole di Virgilio c' nostalgia per il Bene Supremo, dal quale destinato ad essere per sempre lontano,
questa nostalgia non ha nulla di drammatico e si inquadra armoniosamente in quello che deve apparire
anzitutto come il discorso di un "saggio". Solo se si considera questo verso a s, senza tener conto di
quelli che precedono, si pu vedere in esso "un verso disperato". E' stato detto che le parole di Virgilio si
smorzano, nella definizione dello stato delle anime nel limbo, come in un sospiro. "Ma, come la tristezza
di quelle anime in certo modo placata dalla consolante memoria di una vita terrena vissuta senza
peccato e dal confronto con i terribili martiri infernali di cui sono esenti, cos quel verso, nel discorso e nel
punto del discorso in cui si trova, non esprime pi che una dolente, ma composta e consapevole
rassegnazione." (Chimenz)
Provai un grande dolore nelludire queste parole, poich seppi che alti ingegni (gente di molto valore) si
trovavano in una condizione intermedia fra la disperazione dei dannati e la felicit dei beati in quellorlo
estremo (della voragine infernale).
La terzina rende esplicito quello che il sentimento animatore di tutto il canto. Pi ancora che di piet, si
tratta di "perplessit della ragione, che al tempo stesso avverte la sua grandezza e la sua insufficienza,
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/quartoi.htm (3 di 10)08/12/2005 9.01.07

Divina commedia: Parafrasi Inferno

allorch non l'assista il lume della Grazia, e alla fine s'arrende, sebbene riluttante, al mistero del
dogma" ( Sapegno) . Il dolore del Poeta per la sorte degli " spiriti magni ", qui appena accennato, non
destinato ad assumere neppure in seguito rilievo drammatico. Anzi, nella scena dell'incontro con i poeti,
Dante sar tutto preso da un sentimento opposto e soverchiante: la gioia di potersi trovare in presenza
dei grandi che hanno incarnato un ideale di civilt, da lui giudicato non pi raggiungibile.
Desiderando avere da lui la conferma (per volere esser certo) delle verit di quella fede che al di sopra
di qualsiasi dubbio, gli chiesi: "Dimmi, maestro, dimmi, signore,
usc mai di qui alcuno, o per merito proprio o per merito altrui, per assurgere poi alla beatitudine?"
Dimmi. maestro mio, dimmi, segnore: modo particolarmente affettuoso in cui c' come un'eco del gran
duol della terzina precedente. "La compassione dello stato di Virgilio sentita da Dante rende ragione di
questo doppio titolo, ch' una lode ' delicata e pietosa." (Tommaseo)
Ed egli, che comprese il significato nascosto delle mie parole, rispose: "Mi trovavo da poco in questa
condizione, quando vidi scendere quaggi un potente (Cristo), circonfuso dello splendore della sua
divinit.
Un possente, con segno di vittoria coronato: il Redentore non mai nominato nell'Inferno, ma la
perifrasi, pi che trovare la sua spiegazione in un rispetto che resta estraneo alla poesia di questo passo,
mira a rendere, velandolo di mistero, un carattere essenziale della divinit: l'onnipotenza, la serenit con
cui essa esercita il suo impero anche l dove ostacoli insormontabili si oppongono all'intervento degli
uomini. Quanto al segno di vittoria pu essere o interpretato in senso generico, come fa ad esempio il
Boccaccio ("non mi ricorda d'avere n udito n letto che segno di vittoria Cristo si portasse al limbo, altro
che lo splendore della sua divinit" ), oppure riferito alle rappresentazioni di Cristo trionfante nell'arte
figurativa medievale, in cui appare incoronato dell'aureola crocifera", ossia dell'aureola traversata dal
segno della croce. Altri ancora ricollegano questo verso a una frase del Vangelo apocrifo di Nicodemo ("e
il Signore pose la sua croce, che segno di vittoria, in mezzo all'inferno" ), e alla iconografia che ad essa
si ispira: il Figlio di Dio, visto come "re forte", come un possente... coronato, calpesta le porte schiodate
e abbattute dell'inferno tenendo in mano la sua croce.
Port via di qui lanima di Adamo, il capostipite del genere umano (primo parente: primo genitore),
quelle del figlio di lui Abele e di No, quella del legislatore Mos, sempre sottomesso ai voleri di Dio;
e inoltre port via il patriarca Abramo e il re Davide, Giacobbe (Isral) col padre Isacco e i suoi dodici figli
e la moglie Rachele, per ottenere la mano della quale tanto si adoper;
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

e molti altri ancora, e li rese beati; e voglio che tu sappia che, prima di loro, nessun altro era salito in
paradiso" .
L'elenco dei protagonisti della storia del popolo eletto, resi beati, inizia col capostipite Adamo per
proseguire col suo secondogenito, col patriarca scampato al diluvio universale e a cui si deve il
ripopolamento della terra, col grande condottiero e legislatore, che sul Sinai ebbe da Dio la rivelazione
dei principii ai quali il suo popolo avrebbe dovuto attenersi per trionfare sugli avversari e raggiungere la
Terra Promessa. Esso continua con la figura del patriarca che non esit, per obbedire al Signore, a
preparare il sacrificio del figlio Isacco, del re guerriero e poeta, autore dei Salmi, che, altrove, nella
Divina Commedia chiamato il cantor dello Spirito Santo (Paradiso XX, 38) e sommo cantor del sommo
duce (Paradiso XXV, 72), di Isacco e del figlio Giacobbe, che dopo la lotta con l'angelo (Genesi XXXII, 2529) fu chiamato Israele ("forte con Dio"), dei dodici capostipiti delle trib d'Israele, di Rachele, andata
sposa a Giacobbe dopo che questi ebbe servito per quattordici anni il padre di lei, Labano (Genesi XXIX,
18-30).
Per il fatto che egli parlasse non interrompevamo il nostro procedere, continuando ad aprirci un varco
nella selva, nella selva, intendo, costituita da un numero sterminato di anime vicinissime le une alle altre.
Non avevamo ancora percorso molta strada dal margine pi alto del cerchio, quando vidi una sorgente di
luce che per mezzo cerchio intorno a s dissipava le tenebre.
Ch'emisperio di tenebre vinca: L'espressione risulta figurativamente e poeticamente pi persuasiva se si
da a vinca il significato di " vinceva ", invece che di " avvinceva ", " legava", come vogliono taluni
interpreti, e si pone quindi, come soggetto, foco invece che emisperio. Questa interpretazione tiene conto
del modo di sentire del Poeta, della sua emozione "colma del pathos dell'intelligenza e concorde
istintivamente con la vulgata metafora che parla di luce dell'ingegno e di tenebre dell'ignoranza ( fede
dunque, nei grandi uomini della scienza e della poesia che appaiono come una luminosa visione,
un'accolta capace di dissipare e vincere con la luce della cultura le simboliche tenebre della
barbarie)" (Getto).
Ci trovavamo ancora un poco lontani da questa sorgente di luce, non tanto tuttavia, che io non potessi
intuire che una schiera di anime degne di onore occupava quel posto.
"O tu che onori scienza e arte, chi sono costoro che hanno tanta dignit, che li distingue dalla condizione
degli altri? "
E Virgilio a me: "La fama onorevole di cui godono nel mondo dei vivi, ottiene (per essi) un particolare
favore presso Dio che conferisce loro un tale privilegio.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

In quellistante fu da me udita una voce: "Onorate il sublime poeta: la sua anima, che si era allontanata,
torna fra noi ",
Onorate l'altissimo poeta: la parola "onore" e quelle da essa derivate ritornano con singolare frequenza in
questi versi, quasi a ribadire il carattere di entusiastica, celebrazione che l'incontro coi poeti riveste,
Questa una delle pagine della Commedia ove pi compiutamente si esprime la venerazione, quasi
religiosa, che Dante aveva per i supremi valori dell'intelligenza, oltre ai quali non dato all'uomo di
alzarsi con le sole sue forze.
Dopo che la voce si arrest e ci fu silenzio, vidi venire verso di noi quattro ombre maestose: il loro
aspetto non era n triste n lieto.
Sembianza avean n trista n lieta: un antico commentatore spiega: "non erano tristi, perch non
aveano martirio; n lieti, perch non aveano beatitudine" (Buti). Ma pi che a precisare uno stato
d'animo, il verso serve a conferire a ciascuna delle quattro grand'ombre l'aspetto tradizionale del saggio,
nel suo raccoglimento meditativo e solenne.
Virgilio prese a dire: " Guarda, quello che ha in mano la spada, e precede gli altri tre come un sovrano.
Omero, il sommo di tutti i poeti; dietro di lui viene Orazio, poeta satirico; Ovidio il terzo, e lultimo
Lucano.
Il Momigliano ha indicato in questa scena una difformit, sul piano della cultura e del gusto, tra lo spirito
umanistico che la pervade e i particolari in cui si traduce, ancora medievali: "questo poeta che esce con
una spada in mano da un nobile castello, cerchiato da sette mura per cui si entra da sette porte, , nel
complesso, una figurazione lontana dal gusto antico; e quello che c' di fantastico nello scenario e quello
che in esso infuso di allegorico, ci trasportano nel Medioevo cavalleresco e simbolico".
Di Omero Dante aveva soltanto notizia indiretta, poich non conosceva il greco e non erano ancora state
tradotte in latino l'Iliade e l'Odissea.
Di Orazio apprezzava probabilmente, secondo il gusto dell'epoca, soprattutto la produzione
moraleggiante (Satire ed Epistole); di Ovidio, vissuto a Roma ai tempi di Augusto, come Orazio e Virgilio,
dovevano essergli care in particolar modo le Metamorfosi, da cui trasse quasi tutte le sue conoscenze
sull'antica mitologia. Anneo Lucano fu poeta epico del periodo argenteo della letteratura latina ed
considerato oggi un minore. Diversa era l'opinione che di lui si aveva nel Medioevo.
Poich ciascuno si accomuna a me nellappellativo di poeta pronunciato poco fa da uno di loro (nel nome
che son la voce sola), mi tributano onore, e fanno bene a tributarmelo ( perch in me onorano la
poesia )".
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/quartoi.htm (6 di 10)08/12/2005 9.01.07

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Vidi cos adunarsi il bel gruppo guidato dal pi eccelso dei poeti epici, la cui poesia si leva come aquila al
di sopra di quella degli altri.
Dopo aver parlato a lungo tra loro, si volsero a me con un cenno di saluto; e Virgilio sorrise per questo
segno di onore:
e mi onorarono ancora di pi, poich mi accolsero nel loro gruppo, in modo che diventai il sesto tra quei
cos grandi sapienti,
Procedemmo insieme fino alla zona luminosa, trattando argomenti di cui (ora) opportuno tacere, non
meno di quanto fosse conveniente parlarne nel luogo ove allora mi trovavo.
Giungemmo ai piedi di un maestoso castello, circondato da sette ordini di alte mura, protetto tuttintorno
da un leggiadro corso dacqua.
Lo attraversammo come se fosse stato di terra solida; penetrai con quei sapienti (nel castello) attraverso
sette porte: arrivammo in un prato verde e fresco.
Il castello stato concepito in funzione chiaramente allegorica. Secondo Pietro di Dante, figlio del Poeta,
esso simboleggerebbe la filosofia, intesa genericamente come sapienza; le sette mura
corrisponderebbero alle sette discipline in cui la filosofia era fatta consistere: fisica, metafisica, etica,
politica, economia, matematica, dialettica. Secondo altri commentatori antichi le sette mura
indicherebbero le sette arti liberali, oppure le quattro virt cardinali e le tre speculative (intelletto,
scienza, sapienza). Di meno agevole interpretazione appare il significato allegorico del bel fiumicello.
Forse l'opinione pi plausibile quella del Sapegno, per il quale esso simboleggia gli ostacoli che si
oppongono all'acquisto del sapere.
Ivi erano persone dagli sguardi pacati e dignitosi, di grande autorit nel loro aspetto: scambiavano fra
loro poche parole, con persuasiva dolcezza.
Allora ci portammo in uno degli angoli, in una radura, luminosa e sovrastante il terreno circostante, in
modo che (di qui) era possibile abbracciare con lo sguardo tutti gli spiriti (ivi raccolti).
L dirimpetto a me, sul verde compatto e brillante dellerba mi vennero indicati i grandi spiriti,
ripensando alla vista dei quali sento ancora il mio animo esultare.

http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/quartoi.htm (7 di 10)08/12/2005 9.01.07

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Vidi Elettra con molti dei suoi discendenti, fra i quali riconobbi Ettore ed Enea, Giulio Cesare in armi e con
occhi sfavillanti come quelli di un uccello rapace.
Vidi Camilla e Pentesilea; dal lato opposto, vidi il re Latino che sedeva accanto a sua figlia Lavinia.
Vidi quel Bruto che cacci Tarquinio, Lucrezia, Giulia, Marzia e Cornelia: e isolato, in disparte, vidi il
Saladino.
Il primo gruppo di " spiriti magni " costituito in prevalenza da eroi e personaggi storici i cui nomi sono
stati tramandati dai grandi scrittori dell'antichit. L'ammirazione che Dante prova per questi ultimi si
estende a tutti i personaggi che, per virt di poesia, grandeggiano nei loro scritti. Osserva in proposito il
Getto: "qui si afferma incondizionato il sentimento dell'aristocrazia della cultura e della nobilt che
all'uomo deriva dagli studi e dalla poesia (non solo quando attivamente li coltivi, ma ancora quando
divenga oggetto di quegli studi e di quella poesia: tale infatti la giustificazione della presenza nel nobile
castello di personaggi leggendari o politici come Ettore o Bruto)". Elettra fu progenitrice della stirpe
troiana e quindi dei Romani; Camilla e l'eroina italica morta nella guerra che segu all'insediamento dei
Troiani nel Lazio, e di cui gi stata fatta menzione alla fine del canto primo (verso 107). Pentesilea la
mitica regina delle Amazzoni uccisa da Achille. ricordata nell'Eneide (1, 490 sgg.), dove Latino e sua
figlia Lavinia (promessa a Turno, re dei Rutuli, spos poi Enea; questo matrimonio scaten la guerra fra
Troiani e Italici) sono personaggi di primo piano. Il primo personaggio storico dell'elenco il creatore
dell'impero romano, Giulio Cesare, " primo prencipe sommo (Convivio IV, V, 12 ), visto in un verso di
straordinario rilievo come il prototipo del guerriero. Accanto a lui sono i due eroi pi valorosi dell'antica
Troia. Bruto fu il fondatore della Repubblica romana, dopo aver scacciato l'ultimo re, Tarquinio il
Superbo, e Lucrezia la donna per vendicare l'onore della quale Bruto, con Collatino, capeggi la rivolta
contro i Tarquini. Giulia fu figlia di Giulio Cesare e moglie di Pompeo, Marzia moglie di Catone Uticense,
uccisosi in seguito alla sconfitta del partito pompeiano in Africa ad opera di Cesare, Cornelia madre di
Tiberio e Caio Gracco.
La rassegna si conclude, dopo questo elenco di figure del periodo repubblicano, con un verso divenuto
celebre non meno di quello che caratterizza Cesare. In esso Salah-ed-Din, sultano d'Egitto dal 1174 al
1193, celebrato dagli scrittori del Medioevo come principe di grande liberalit e giustizia, appare solo e in
disparte. Il suo isolamento, dovuto al fatto che di altra stirpe e di altra religione, conferisce alla sua
figura, nel quadro di questa enumerazione, proporzioni eroiche. E' solo un accenno, ma il verso si
arricchisce di risonanze segrete, se ripensiamo all'isolamento in cui grandeggiano altre figure eroiche
nella Commedia (come Farinata o Sordello).
Dopo aver sollevato un poco gli occhi (il gruppo dei filosofi e degli scienziati si trova pi in alto di quello
degli uomini dazione), vidi Aristotile, il maestro dei sapienti, seduto in mezzo ad altri filosofi.
Tutti hanno gli occhi fissi su di lui. tutti gli rendono onore: tra gli altri vidi Socrate e Platone, che, in
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

posizione preminente rispetto agli altri, sono a lui pi vicini;


Democrito, che attribuisce al caso la formazione del mondo, Diogene, Anassagora e Talete, Empedocle,
Eraclito e Zenone;
Democrito, filosofo greco del V-IV secolo a. C., sostenne la teoria degli atomi che costituirebbero il
mondo. Diogene il Cinico (V-IV secolo a. C.) invece predic il disprezzo dei beni materiali. Anassagora,
Talete, Empedocle, Eraclito, Zenone furono esponenti del pensiero filosofico presocratito.
e vidi il sagace classificatore delle qualit (delle erbe), intendo dire Dioscoride; e vidi Orfeo, Tullio
Cicerone e Lino e Seneca, autore di scritti di morale;
Dioscoride ( I secolo d. C. ) scrisse un trattato sulle qualit delle erbe. Orfeo e Lino sono mitiche figure di
poeti greci Seneca il famoso scrittore romano del I secolo d. C.
Euclide geometra e Tolomeo, Ippocrate, Avicenna e Galeno, Averro, autore del grande commento.
Euclide (IV-III secolo a. C.) fu ritenuto il pi grande geometra dell'antichit. Di fama identica godettero,
nel campo dell'astronomia, Tolomeo ( I-II secolo d. C. ), nel campo della medicina, Ippocrate e Galeno.
L'arabo Avicenna, morto nel 1036, fu famoso per la sua scienza medica e filosofica. Averro, morto nel
1198, anch'egli medico e filosofo, fu considerato " il commentatore " per antonomasia, di Aristotile
durante tutto il Medioevo, il quale conobbe le opere del grande pensatore greco attraverso le traduzioni
arabe e i commenti di Averro.
Non posso riferire su tutti in modo esauriente, poich la lunghezza dellargomento (che devo trattare) mi
sollecita a tal punto, che spesso il mio racconto insufficiente rispetto al grande numero di eventi da
narrare.
La schiera dei sei poeti diminuisce dividendosi in due gruppi: la mia saggia guida mi conduce per un
cammino diverso, fuori dellaria immobile (del castello), nellaria tremante (per i sospiri delle anime);
e giungo in un punto dove, non c traccia di luce.
2003 - Luigi De Bellis

http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/quartoi.htm (9 di 10)08/12/2005 9.01.07

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO V
Scesi dunque dal primo nel secondo cerchio, che contiene in s meno spazio (essendo la sua
circonferenza pi piccola), ma una pena tanto pi crudele, che spinge a lamentarsi .
L'inferno dantesco ha la forma di un imbuto: i cerchi sono tanto pi stretti quanto pi sono vicini al
centro della terra, occupato da Lucifero. A mano a mano che il loro diametro decresce, aumenta la
gravit dei peccati che in essi vengono puniti.
Ivi si trova Minosse in atteggiamento terrificante, e ringhia: valuta, allingresso del cerchio, le colpe (dei
peccatori); li giudica e li destina (ai rispettivi luoghi di punizione) a seconda del numero di volte che
attorciglia (la coda intorno al proprio corpo).
Voglio dire che quando lanima sciagurata si presenta al suo cospetto, rivela tutto di s; e quel giudice
dei peccati
comprende quale parte dellinferno si addice ad essa; si avvolge con la coda tante volte per quanti cerchi
infernali vuole che venga precipitata in basso.
Davanti a lui ve ne sono sempre in gran numero: le une dopo le altre si sottopongono ciascuna al suo
giudizio; si confessano e ascoltano (la sentenza), e poi vengono travolte nellabisso.
Mins: mitico re di Creta, che nel sesto libro dell'Eneide (versi 432-433) giudica le anime dei trapassati.
La scena delle anime davanti a Minosse ha, nella sua straordinaria concisione, una tragica grandiosit. Il
Momigliano ha visto, in questa figura di belva giudicante, "una stupenda fusione di maest e di
grottesco", rilevando, tra l'altro, nella contaminazione, che si ritrova in tutti i guardiani infernali, di
elementi desunti dalla mitologia classica con elementi cristiani, una solidit di figurazione che "toglie ogni
impressione anacronistica, come l'unit della composizione impedisce di vedere una stonatura nei vestiti
o negli sfondi architettonici moderni dei quadri sacri o classici del Rinascimento". Da notare, anche, come
l'incalzante rapidit del giudizio di Minosse si concreti in una particolare struttura del verso ( il verbo in
posizione privilegiata: stavvi... giudica... vede... cignesi... vanno... dicono). Ma tutte queste osservazioni
rischiano di essere inutili se non ci aiutano a cogliere il significato pi profondo di queste terzine, che
quello di una brutale, spasmodica, insensata messa in scena. Il vero giudizio gi avvenuto in cielo. Qui
non ne possibile se non una sorta di grottesca contraffazione.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/quintoi.htm (1 di 10)08/12/2005 9.01.15

Divina commedia: Parafrasi Inferno

"O tu che giungi alla dimora del dolore", disse Minosse a me quando si accorse della mia presenza,
interrompendo lesercizio della sua cos alta funzione,
"considera attentamente il modo in cui stai per entrare (se hai cio i meriti necessari per compiere
incolume il viaggio nellinferno) e colui in cui riponi la tua fiducia (Virgilio non unanima redenta): non
lasciarti trarre in inganno dalla larghezza dellingresso!" E Virgilio di rimando: " Perch ti affatichi a
gridare ?
Non ostacolare il suo viaggio predestinato: si vuole cos l dove si pu fare tutto ci che si vuole, e non
chiedere altro".
Virgilio ripete a Minosse la formula gi usata nel canto III, versi 95-96.
A questo punto cominciano a farsi sentire le voci del dolore; ora sono arrivato l dove molti pianti
colpiscono il mio udito.
Giunsi in un posto privo dogni chiarore, che rumoreggia come un mare in tempesta, sotto la furia di
venti contrari.
La tempesta di questo cerchio dellinferno, destinata a non avere mai tregua, trascina le anime con
impeto travolgente: le tormenta facendole vorticare (in tutti i sensi) e facendole cozzare (fra loro ).
Quando giungono davanti alla rupe franata, qui prorompono in grida, in pianto unanime, in lamenti;
bestemmiano qui la potenza di Dio.
Quando giungon davanti alla ruina: il termine ruina indica lo scoscendimento attraverso il quale le anime,
dopo la sentenza di Minosse, cadono, precipitando dall'alto, nel cerchio.
Compresi che a una siffatta pena sono condannati i lussuriosi, che sottomettono la ragione alla passione.
Il Poeta stesso ci avverte di aver intuito il significato che si adombra nel contrappasso della bufera. Tale
precisazione non affatto superflua a questo punto del canto, dal momento che "il nodo drammatico che
d vita a tutto l'episodio, ossia lo stretto legame che allaccia tra loro indissolubilmente la passione
carnale, il peccato e l'eterno tormento della bufera, messo in luce, per la prima volta, proprio
attraverso questa inequivocabile denuncia, da parte del Poeta, della sostanza violenta e sovvertitrice di
quella passione, dell'arbitrio, cristianamente inammissibile, che l'istinto esercita per essa
sull'intelletto" ( Caretti ) .
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/quintoi.htm (2 di 10)08/12/2005 9.01.15

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Enno dannati i peeeator carnali: San Gregorio Magno aveva considerato i peccati "carnali" (lussuria, gola,
avarizia, ira, accidia) meno gravi di quelli "spirituali". San Tommaso aveva dato a questa valutazione un
fondamento teorico. Anche nell'inferno dantesco i peccati "carnali", dovuti a semplice incontinenza,
precedono, in rapporto alla loro gravit e al posto in cui sono puniti (i primi quattro cerchi dopo il limbo),
quelli " spirituali ", dovuti a consapevole malizia.
E come le ali portano nella stagione invernale gli stornelli, che si dispongono in gruppi ora diradati ora
compatti, cos da quel vento le anime perverse
sono trascinate di qua, di l, in basso, in alto; mai nessuna speranza, non solo di una cessazione
temporanea, ma nemmeno di un castigo alleviato, loro di conforto.
E come le gru sono solite intonare i loro lamenti, quando solcano laria in lunghe file, cos vidi avvicinarsi,
emettendo gemiti,
le anime portate dal turbine sopra menzionato: per questo dissi: " Chi sono mai, maestro, quegli spiriti
che il vento buio in tal modo punisce? "
La similitudine degli stornelli e quella delle gru hanno una singolare analogia d'impianto, pur differendo
l'una dall'altra per la funzione che esplicano. "Come nella prima similitudine, infatti, l'elemento comune,
che avvicina, agli occhi del Poeta, gli stornai agli spiriti mali, non tanto l'andare, gli uni e gli altri, in
schiera larga e piena, quanto piuttosto il particolare modo con cui improvvisamente s'impennano nel
volo; cos nella seconda l'elemento che accomuna le gru alle ombre non tanto quel procedere nell'aria
"faccenda di s lunga riga ", quanto piuttosto l'identico lamento, la stessa eco lacrimosa che uccelli e
spiriti lasciano dietro di s, nella loro scia." ( Caretti )
"La prima di quelle anime di cui tu mi chiedi notizia" mi rispose allora Virgilio, "regn su molti popoli di
lingua diversa.
Fu a tal punto dedita alla lussuria, che dichiar, sotto le sue leggi, permesso ci che a ciascuno piacesse,
per cancellare la riprovazione in cui era incorsa.
E Semiramide, di cui le storie narrano che fu sposa di Nino, cui succedette (sul trono): fu sovrana della
regione che attualmente il sultano governa,
Semiramide, regina degli Assiri nel XIV o Xlll secolo a. C., citata da tutti gli storiografi medievali come
esempio di assoluta immoralit. Il Sultano era, ai tempi di Dante, sovrano dell'Egitto. Il Poeta scambia
qui probabilmente la Babilonia assira con quella egiziana (l'attuale il Cairo ) .
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Laltra Didone, che si tolse la vita, per amore, e non rimase fedele al marito morto, Sicheo, e ce anche
la lussuriosa Cleopatra.
Narra Virgilio nei quarto libro dell'Eneide che Didone, innamoratasi di Enea, infranse il giuramento di
fedelt fatto sulla tomba del marito, e che, in seguito all'abbandono da parte dell'eroe troiano, si uccise.
Cleopatra, regina d'Egitto, riusc a fare innamorare di se Giulio Cesare e, dopo la morte di questi, il
tribuno Marco Antonio.
Guarda Elena, a causa della quale trascorsero tanti anni luttuosi, e guarda il famoso Achille, che alla fine
ebbe per avversario amore.
Per Elena, moglie di Menelao, fuggita a Troia con Paride, si scaten la guerra, durata dieci anni, tra Greci
e Troiani. Secondo una leggenda, ella sarebbe stata uccisa da una donna, che, in tal modo, avrebbe
inteso vendicare la morte del marito avvenuta in battaglia. Un'altra leggenda narra che Achille, preso da
amore per Polissena, figlia di Priamo, re dei Troiani, e recatosi a celebrare le nozze con lei, fu ucciso in
un'imboscata da Paride.
Guarda Paride, Tristano "; e mi indic pi di mille anime, facendo i nomi di persone che amore strapp
alla vita.
Vedi Paris, Tristano: il rapitore di Elena mor per mano di Filottete, un guerriero greco; Tristano, cavaliere
della Tavola Rotonda, innamoratosi di Isotta, moglie di suo zio Marco, re di Cornovaglia, fu da costui
ucciso. La rassegna degli eroi morti per amore non rappresenta una digressione rispetto a quello che sar
il tema dominante dell'ultima parte del canto, anzi lo prepara e gli d un naturalissimo avvio.
Dopo aver ascoltato il mio maestro in quella lunga rassegna di donne ed eroi dellantichit, fui colto da
compassione, e fui sul punto di perdere i sensi.
Piet mi giunse: sul valore da attribuire a piet (una delle due " parole-tema " dell'episodio che sta per
cominciare; l'altra amore) hanno scritto a lungo i critici. Per il Foscolo e il De Sanctis il termine sarebbe
qui usato nella sua accezione pi consueta. Esso designerebbe la "compassione" di Dante per i peccatori
e quindi anche, implicitamente, la sua "comprensione" per le ragioni che li hanno indotti a peccare. Il
Sapegno, in ci pi attento alla ispirazione etico-religiosa del poema, interpreta la piet di Dante come
"turbamento, che nasce dalla considerazione delle terribili conseguenze del peccato"; esso "non importa
comunque mai da parte di Dante un atteggiamento di adesione e di compartecipazione e non attenua in
nessun modo la recisa condanna morale".
I dannati del secondo cerchio sono tutti, per usare un'espressione dello stesso Dante, gente di molto
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

valore, anime nobili. E' questo un particolare che pu aiutarci ad intendere, nella loro origine
contraddittoria e sfumata, i motivi dello " smarrimento " del Poeta.
Presi a dire: "Poeta, desidererei parlare con quei due che procedono uniti, e che sembrano opporre cos
debole resistenza al vento".
Quei due che 'nsieme vanno: sono Francesca, figlia di Guido da Polenta, signore di Ravenna, e Paolo
Malatesta. Poco dopo il 1275 Francesca spos, con un matrimonio dettato da ragioni soltanto politiche,
Gianciotto Malatesta, signore di Rimini e uomo rozzo e deforme. Si innamor poi del giovane e avvenente
Paolo, fratello del marito, e ne fu ricambiata. Allorch Gianciotto li sorprese, li uccise entrambi. L'eco
della tragedia, avvenuta fra il 1283 e il 1285, doveva essere ancora viva quando Dante fu
generosamente accolto a Ravenna, negli ultimi anni della sua vita, da Guido Novello, nipote di Guido il
Vecchio da Polenta.
E paion s al vento esser leggieri: sul significato da attribuire alla minor resistenza che Paolo e Francesca
oppongono alla bufera infernale, i pareri sono discordi. Alcuni vedono in questo particolare un
alleggerimento della pena, altri un aggravamento di essa, perch i due sarebbero con pi violenza
trascinati dal turbine. Il quesito di quelli che rischiano di rimanere insoluti. Ma se, anzich considerare
in astratto il castigo dei due cognati, volgiamo la nostra attenzione ai modi in cui il Poeta ce lo
rappresenta, a quella "leggerezza di toni e poi di sentimenti, un poco stilizzata com' della poesia
giovanile di Dante e del suo stilnovismo" (Gallardo), allora le interpretazioni
"romantiche" (alleggerimento della pena) sembrano pi legittime di quelle strettamente "dottrinali".
E Virgilio: " Farai attenzione al momento in cui ci saranno pi vicini; e tu allora pregali in nome di
quellamore che li conduce, ed essi verranno.
Non appena il vento li volse verso di noi, dissi: "O anime tormentate, venite a parlarci, se qualcuno (Dio)
non lo vieta ! "
Come le colombe, ubbidendo allimpulso amoroso, si dirigono nel cielo verso lamato nido, planando con
le ali spiegate e immobili, portate dal desiderio,
cos esse uscirono dalla schiera delle anime di cui fa parte anche Didone, venendo verso noi attraverso
laria infernale, tanto efficace era stata la mia ardente preghiera.
Quali colombe, dal disio chiamate: la similitudine ne ricorda due di Virgilio (Eneide canto V, versi 213217; canto VI, versi 190-192), ma mentre nel poeta latino le colombe non sono che "graziose colombe",
qui esse paiono invece " animate da una volont quasi umana"( Parodi ).
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

"O uomo cortese e benevolo che attraverso laria buia vieni a trovare noi che (morendo) macchiammo il
mondo col nostro sangue.
se il re del creato ci fosse amico, noi lo pregheremmo di darti serenit, dal momento che provi
compassione per il nostro atroce tormento.
Sulle prime parole di Francesca, cosi gentili e accorate, scrive il Momigliano, " pesa stancamente tutto il
dolore di quella tragedia" e aggiunge che il verso 90 "solleva questo che fu, a quei tempi, un fatto di
cronaca, all'altezza d'un esemplare eterno di sciagura".
La "preghiera condizionata" (De Sanctis) dei versi 91-93, in cui alla delicatezza dell'espressione
Francesca indissolubilmente unisce la consapevolezza di essere esclusa da ogni forma di speranza (Dio,
rifugio e sostegno per chi soffre, non d ascolto ai reprobi), ha ispirato una delle pi belle pagine del
saggio dedicato a questo episodio dal Parodi: "Francesca, laggi nell'inferno, dove la preghiera vana e
si tramuta in bestemmia, ad un tratto, alla voce di questo vivo che ha compassione del suo affanno,
ripensa alle preghiere di quando era buona e pia, e si duole di non potergli con esse impetrare da Dio, che cosa? - quello che a lei negato per sempre e che implora con disperato lamento, la pace! Ma che sa
ella se Dante abbia bisogno di pace? Eppure, mentre l'anima di lei sconvolta da una bufera pi violenta
di quella che le rugge d'intorno, come potrebbero gli uomini tutti e le fiere e tutta intera la natura non
struggersi della medesima angoscia?"
Ascolteremo e vi diremo quelle cose che vorrete dire e ascoltare, per tutto il tempo che la bufera, come
fa (adesso), attenuer la sua violenza,
La citt dove nacqui si stende sul litorale verso il quale discende il Po per trovare, coi suoi affluenti,
quiete.
Nota il De Sanctis, a proposito del modo in cui Francesca sa animare della sua rassegnata e dolente
femminilit anche i particolari di minor rilievo (come potrebbe essere, se la volgessimo nel linguaggio
utilitario da noi usato quotidianamente, la precisazione topografica di questi versi), che ella "anche
dicendo cose indifferenti, ci mette non so che [di] molle e soave, che rivela animo nobile e delicato". Il
Parodi precisa il senso dell'immagine: "Anche il Po, che discende alla marina di Ravenna, e i "suoi
seguaci", i fiumi che vanno con lui, pare a Francesca che anelino al momento d'aver pace, di scomparire,
di dimenticarsi nel mare".
Amore, che rapidamente fa presa su un cuore nobile, si impadron di Paolo per la mia bellezza fisica,
bellezza di cui fui privata (quando venni uccisa); e lintensit di questo amore fu tale, che ancora ne sono
sopraffatta.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/quintoi.htm (6 di 10)08/12/2005 9.01.15

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Amore, che non permette che chi amato non ami a sua volta, mi sospinse con tanta forza a
innamorarmi della bellezza di Paolo, che, come ben puoi vedere (dal fatto che siamo uniti), ancora mi
lega a lui.
Amore ci port a morire insieme: colui che ci ha tolto la vita atteso nel cerchio dei traditori (la Caina
la zona del nono cerchio destinata ai traditori dei parenti)." Queste parole ci vennero rivolte da loro.
Nella prima parte del discorso di Francesca a Dante non c' neppure un accenno alla sua personale
vicenda: protagonisti del dramma non furono due fragili esseri in preda alla passione, ma questa
passione stessa, che li soggiog fino al punto di privarli di ogni difesa, di ogni capacit di reagire. Osserva
il Sapegno che Francesca si sforza di spiegare e giustificare la sua colpa, "sottraendo l'impulso primo del
peccato ad una precisa responsabilit individuale, per trasferirlo sul piano di una forza trascendente e
irresistibile: Amore".
E' strano che il Momigliano abbia tacciato queste parole di eccessiva enfasi, mentre il Vossler si , al
contrario, meravigliato che una donna possa esprimere la propria passione in cadenze cos nette e
decise, oltre che in accenni di indubbia crudezza. In realt questa prima parte del discorso di Francesca
ha una funzione essenziale nell'episodio: sia perch in essa le illusioni del tempo felice, in cui la vita
pareva destinata a scorrere come "letteratura", non meno raffinata che ignara delle esigenze del dovere,
sono messe continuamente a raffronto con la realt che da esse scaturita, sia perch proprio questa
apologia di Amore che pone Dante di fronte alla necessit di valutare, sul piano delle loro conseguenze,
le teorie di cui si era fatto in giovent il propugnatore.
Udite quelle anime travagliate, abbassai io sguardo, e lo tenni abbassato tanto a lungo, che alla fine
Virgilio mi chiese: "A cosa pensi? "
Quando risposi, cominciai: "Ohim, quanti teneri pensieri, quanto reciproco desiderio condusse costoro a
peccare (al doloroso passo)! "
Al doloroso passo: "al passo dall'amore onesto al disonesto, e dalla fama all'infamia, e dalla vita alla
morte" (Buti). La risposta di Dante come il proseguimento della sua assorta meditazione e sembra
essere rivolta non tanto a Virgilio quanto a se stesso. "Gli occupa l'anima uno sgomento attonito per il
mistero della vita morale degli uomini, liberi di giudizio e di volont, eppur destinati nell'arcano consiglio
della Provvidenza, altri alle vittorie della volont buona, altri alle disfatte della ragione consigliera
impotente, altri alla redenzione del pentimento e altri alle cadute irreparabili. Il senso del mistero tanto
pi acuto e tormentoso si accoglie nel poeta credente, quanto pi viva e la piet per ci che al corto
vedere umano sembra ineluttabile. " (Rossi-Frascino)
Nel canto quinto Dante entra, per cosi dire, in uno stato di crisi, di perplessit, di lotta con se stesso.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Completo, incontrastato era stato il suo disprezzo per gli ignavi, altrettanto netta la sua simpatia per i
grandi spiriti del limbo. Ma la colpa dei due cognati non era di quelle che ripugnavano al suo senso dei
valori. Tutta una lunga tradizione (la Cavalleria, i trovatori, la poesia dotta siciliana fiorita alla corte di
Palermo sotto gli Svevi) aveva idealizzato l'amore. Dante medesimo aveva fatto parte della scuola
poetica del dolce stil novo, per la quale la donna amata era un riflesso in terra della perfezione divina e
un mezzo per ascendere al Bene Supremo, a Dio. Le tre terzine in cui Francesca proclama la ineluttabile
forza di Amore, riecheggiano, nel pensiero e nello stile, i principii di questa scuola poetica. Ma qui,
nell'episodio di Paolo e Francesca, il cor gentil e la donna angelicata da strumenti di elevazione si
convertono in strumenti di peccato. Scrive il Croce: "I due non sono aiutati a resistere, ma anzi preparati
a cedere, dal cor gentile, dai dolci pensieri, dai dolci sospiri, dalle sentenze della dottrina d'amore, ch'a
nullo amato amar perdona; da tutto l'idealizzamento che dell'amore avevano fatto la poesia occitanica e
quella dello stil novo, e dai ricordi e dall'esempio degli appassionati e nobili eroi ed eroine dei romanzi. E'
questa l'insidia che li porta all'orto del baratro e ve li spinge dentro".
Poi, rivolto a loro, parlai, e dissi: "Francesca, le tue sofferenze mi rendono triste e pietoso fino alle
lagrime.
Per dimmi: quando la vostra passione si manifestava soltanto attraverso dolci sospiri, con quale indizio
e in che modo Amore permise che luno conoscesse i sentimenti dellaltra, fino allora incerti dessere
corrisposti ? "
Non oziosa curiosit quella che ha spinto Dante a formulare questa domanda. Egli vuole chiarire, a s e
agli altri, il rapporto che corre tra nobilt d'animo, delicatezza di sentimenti e peccato. L'uomo nuovo, da
poco ridestatosi in lui, si erge a giudice dei giovanili entusiasmi che lo avevano portato ad identificare
bellezza e bont, finezza di animo e di modi e vita morale.
E Francesca "Nulla addolora maggiormente che ripensare ai momenti di gioia quando si nel dolore; e di
ci consapevole il tuo maestro.
Ma se un cos affettuoso interesse ti spinge a interrogarmi sul modo in cui si manifest per la prima volta
il nostro amore, far come chi parla tra le lagrime.
Tu hai cotanto affetto: il De Sanctis rileva come qui la parola affetto non possa essere interpretata
soltanto come sinonimo di "desiderio", secondo una spiegazione scolasticamente insensibile ai valori della
poesia: "Quando Francesca, sforzando la grammatica, dice affetto, non gi il desiderio che Dante abbia
di conoscere la sua storia che le si presenta immediatamente innanzi, ma l'affetto col quale esprime il
suo desiderio... "

http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/quintoi.htm (8 di 10)08/12/2005 9.01.15

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Noi leggevamo un giorno, per svago, la storia di Lancillotto e dellamore che simpadron di lui: eravamo
soli e non avevamo nulla da temere.
Lancillotto del Lago l'eroe di uno dei pi celebri romanzi francesi del ciclo brettone, che Dante ben
conosceva. Nel romanzo si raccontano non solo le imprese militari di Lancillotto, ma anche il suo amore
per Ginevra, moglie di re Art.
Soli eravamo e sanza alcun sospetto: osserva il De Sanctis: "Chi mai fa quest'osservazione se non
l'amore colpevole? Leggono una storia d'amore e non osano di guardarsi e temono che i loro sguardi
tradiscano quello che l'uno sa dell'altro e l'uno nasconde all'altro; e quando in alcuni punti della lettura
veggono un'allusione al loro stato... gli occhi immemori s'incontrano, n gi osano di sostenerli e li
riabbassano, e la coscienza di essersi traditi e il fremito della carne si rivela nel volto che si scolara".
Pi volte quella lettura fece incontrare i nostri sguardi, e ci fece impallidire; ma solo un passo ebbe
ragione di ogni nostra resistenza.
Quando leggemmo come la bocca desiderata ( di Ginevra ) fu baciata da un cos nobile innamorato,
Paolo, che mai sar separato da me,
mi baci, trepidante, la bocca. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno non proseguimmo oltre
nella sua lettura".
Nel romanzo brettone il siniscalco Galehaut esorta i due innamorati a rivelarsi il loro amore, spingendo
Ginevra a baciare Lancillotto. Il libro, dunque, svolge per Paolo e Francesca il ruolo che nella vicenda
narrata assegnato a Galehaut.
Che mai da me non fia diviso: sempre il De Sanctis ha saputo stupendamente cogliere il senso disperato
di questo inciso in tutta la sua tragica bellezza: "tra l'amante e il peccato si gitta in mezzo l'inferno, e il
tempo felice si congiunge con la miseria, e quel momento d'oblio,` il peccato, non si cancella pi, diviene
l'eternit".
Mentre una delle due anime diceva queste cose, laltra (Paolo) piangeva, cos che per la compassione
perdetti i sensi non altrimenti che per morte:
e caddi come cade un corpo inanimato.
2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO VI
Quando riprendo la conoscenza, che era rimasta in me offuscata alla vista del pianto doloroso di Paolo e
Francesca, pianto che mi aveva, per la tristezza, completamente sconvolto,
vedo intorno a me nuove pene e nuovi puniti, dovunque io vada, o mi rigiri, o volga lo sguardo.
Mi trovo nel terzo cerchio, il cerchio della pioggia destinata a non aver termine, tormentatrice, gelida e
pesante; mai non cambia il suo ritmo ne la materia di cui fatta.
La monotona insistenza della piova etterna sembra ripercuotersi anche nella struttura sintattica e nel
ritmo dei primi versi del canto. Da terzina a terzina non c' quasi svolgimento: ognuna appare come
chiusa in s, ognuna ostinatamente ribadisce l'incubo paralizzante del tetro paesaggio infernale.
Grossi chicchi di grandine, acqua sudicia e neve cadono con violenza attraverso laria buia; la terra che
accoglie tutto questo emana un fetido odore.
La legge del contrappasso ha qui, per i dannati del terzo cerchio - i golosi - un'applicazione evidente:
"Questa sozzura ("fastidio" dice uno degli antichi commentatori) in forma di pioggia appropriato
castigo, quasi fetente reciticcio di crapula, agl'ingordi gustatori d'ogni pi raffinata squisitezza di cibi e di
bevande" (Del Lungo).
Cerbero, belva crudele e mostruosa, latra, a modo di cane, attraverso tre gole, incombendo sulle turbe
che in questacqua impura sono immerse.
Ha gli occhi iniettati di sangue, la barba unta e nera, il ventre capace, e le mani munite di artigli; graffia
le anime dei peccatori, le scuoia e le squarta.
Sul piano allegorico, secondo gli antichi commentatori, gli occhi... vermigli stanno a significare l'avidit
rabbiosa, la barba unta la ributtante ingordigia, il ventre largo l'insaziabilit, le unghiate mani l'indole
rapace.
Anche Cerbero, come Caronte e Minosse, figura desunta dalla mitologia classica. Tuttavia, mentre in
Virgilio e in Ovidio il cane dal trifauce latrato posto a guardia del regno dei morti, nell'Inferno esso
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/sestoi.htm (1 di 7)08/12/2005 9.01.22

Divina commedia: Parafrasi Inferno

assolve la funzione di tormentatore dei dannati del terzo cerchio. Il Cerbero dantesco appare, inoltre, in
confronto a quello degli antichi, assai pi complesso e inquietante, sia per l'intrecciarsi in lui degli
elementi ferini e umani ( rappresentati questi ultimi dalla barba, dalle mani, dalle facce) sia per la vitalit
che si sprigiona da ogni suo atto: "vitalit immediata o animale", annota il Croce, tutta tesa a soddisfare
il pi elementare degli impulsi: la fame. E' "il laceratore - scrive il Del Lungo - il consumatore, a graffi a
morsi a bocconi, dei gi divoratori brutali e sfrenati, ora in ben altra condizione che di gozzoviglia, e fra
ben altro tumulto che quello sconciamente giocondo dell'orgia".
La pioggia li spinge a lamentarsi in modo disumano: con uno dei fianchi proteggono laltro; gli infelici
peccatori continuano a rivoltarsi (cercando inutilmente di sottrarsi al tormento).
Volgonsi spesso i miseri profani: il termine profani pu suggerire genericamente l'empiet di chi pecca, o
anche riferirsi in senso pi specifico ai golosi: "profani", in quanto adoratori del ventre, "perch il loro dio
il ventre", come dice San Paolo (Epistola ai Filippesi III, 19).
Quando Cerbero, lorribile mostro, ci vide, spalanc le bocche e ci mostr i denti; un fremito di rabbia lo
agitava tutto.
Non avea membro che tenesse fermo: questo verso condensa come in una definizione quanto c' di
parossistico e inane nel furore di questo, non meno che degli altri mostri infernali, alla vista di Dante.
Virgilio tese le mani aperte, afferr della terra, e, riempitosene i pugni, la gett nelle tre bramose gole.
Virgilio ripete il gesto della Sibilla di fronte a Cerbero (Eneide V, I, 419-421).
Come quello del cane che, abbaiando, manifesta il suo desiderio, e si calma solo dopo aver addentato il
cibo, poich tutto intento nello sforzo di divorarlo,
tale divenne il sozzo aspetto del triplice volto del diavolo Cerbero, che (coi suoi latrati) stordisce i
peccatori a tal punto, da far loro desiderare la sordit.
(Camminando) calpestavamo le ombre che la pioggia fastidiosa prostra, e mettevamo le piante dei nostri
piedi sulla loro inconsistenza materiale, che ha lapparenza di un corpo umano.
Dopo la mossa e vibrante raffigurazione di Cerbero questa terzina ci ripropone il tema, improntato a
pesante tristezza, dell'uggioso paesaggio infernale. Qui la tristezza accresciuta dal fatto che i due poeti
sono costretti, per poter procedere nel loro cammino, a calpestare le ombre dei golosi; la perifrasi sopra
lor ` vanit che par persona, dandoci quasi la trascrizione in chiave morale dell'inconsistenza di questi
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/sestoi.htm (2 di 7)08/12/2005 9.01.22

Divina commedia: Parafrasi Inferno

spettri, conferisce allo stato d'animo di Dante una straordinaria profondit di risonanze.
Erano tutte distese per terra, ad eccezione di una che si lev a sedere, non appena ci vide passarle
davanti.
Bene osserva il Del Lungo come la terzina precedente prepari, insieme al primo verso di questa, la
subitanea apparizione dell'ombra che rivolger la parola a Dante: "quella serie d'imperfetti passavam,
ponevam, giacean, inchiude e quasi strascica qualche cosa come di preparazione e d'attesa di novit, la
quale, poi, al verso fuor chiana ch'a seder si lev, scatta baldanzosa di suoni, di sintassi, d'imagine, che
secondano mirabilmente l'atto dell'ignoto dannato". L'ombra che si leva a sedere al passaggio dei due
poeti quella di Ciacco, un fiorentino in cui qualcuno ha voluto ravvisare il poeta Ciacco dell'Anguillaia.
Secondo altri, Ciacco (nel significato di " porco ") sarebbe soltanto un soprannome dato a questo goloso.
Di questo fiorentino ci ha lasciato un vivo ritratto il Boccaccio "Era morditore di parole, e le sue usanze
erano sempre co' gentili uomini e ricchi, e massimamente con quelli che splendidamente e delicatamente
mangiavano e beveano, da' quali, se chiamato era a mangiare, v'andava e similmente, se invitato non
era, esso medesimo s'invitava".
"O tu che sei condotto per questo inferno", parl, "vedi se sei in grado di riconoscermi: tu nascesti prima
che io morissi."
Ciacco, dolorosamente consapevole di essere sfigurato nei suoi lineamenti dal dolore che lo tormenta,
propone a Dante l'enigma della sua identit: riconoscimi, se sai "E, per dire che Dante nato prima
ch'egli morisse, usa un apparente bisticcio, che serve invece a porre pi forte la tremenda antitesi, anche
verbale, di due decisivi momenti della vita umana, il " farsi " e il " disfarsi " la nascita e la morte; dalla
quale - e ne risalta la potenza distruttrice - fu disfatto." (Grabher)
L'alterarsi delle fattezze umane nei dannati uno dei motivi sui quali la fantasia del Poeta torna con
maggior insistenza e con effetti di notevole efficacia sul piano della poesia, quasi a ribadire il carattere di
semplice apparenza che il nostro corpo riveste, agli occhi di Dio, di contro alla indistruttibile sostanza che
l'anima.
E io: "La pena che ti tormenta forse ti allontana dalla mia memoria, cos che mi sembra di non averti mai
veduto.
Ma dimmi chi sei, anima collocata in un posto cos doloroso ed assegnata ad un tale tormento, che, se
pur ve ne sono di pi grandi, nessuno altrettanto fastidioso".
Ed egli "Firenze, che a tal punto colma di odio da non poterne pi contenere, mi ebbe fra i suoi abitanti
quando vivevo sulla terra.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/sestoi.htm (3 di 7)08/12/2005 9.01.22

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Il piacevole motteggiatore di un tempo qui serio, pensoso, amaro: quanta malinconia in quell'attributo
serena, che qualifica la vita sulla terra idealmente contrapponendola alla dura condizione dei dannati! La
morte conferisce, nel poema di Dante, un tragico rilievo anche a figure che, considerate in se stesse, non
avrebbero nessuna delle qualit che caratterizzano l'eroe tragico.
Voi concittadini mi chiamaste Ciacco: per il peccato rovinoso della gola, come vedi, mi struggo sotto la
pioggia.
N io (qui) sono il solo spirito infelice, poich tutti questi altri sono soggetti ai medesimi tormenti per la
medesima colpa". E pi non pronunci parola.
Gli risposi: "Ciacco, il tuo dolore mi affligge tanto, da indurmi a piangere; ma dimmi, se lo sai, a quali
estremi si ridurranno gli abitanti della citt divisa in fazioni; se in essa si trova qualcuno che sia giusto; e
dimmi anche il motivo per cui tanta discordia ha cominciato a travagliarla".
Le parole riguardose con cui il Poeta manifesta a Ciacco la sua simpatia riecheggiano quelle indirizzate a
Francesca. Dante benevolo con coloro che hanno peccato per incontinenza. Assai pi aspra sar la sua
reazione alla vista delle pene che tormentano i peccatori che hanno fatto il male per fredda malizia.
Ed egli: "Dopo una lunga contesa si arriver a un fatto di sangue, e il partito degli uomini del contado (la
parte selvaggia: quella dei Cerchi, i Bianchi) mander in esilio gli esponenti del partito avversario (quello
dei Donati, i Neri) danneggiandoli gravemente.
In seguito destino che il partito dei Bianchi soccomba prima che siano trascorsi tre anni, e che il partito
dei Neri abbia il sopravvento con laiuto di qualcuno che attualmente si barcamena (fra le due opposte
fazioni).
Le due fazioni, in cui si era divisa la guelfa Firenze sul finire del XIII secolo, erano capeggiate dalla
famiglia dei Cerchi e da quella dei Donati. Un primo scontro fra cerchieschi e donateschi, soprannominati
in seguito rispettivamente Bianchi e Neri, si ebbe nel 1300 in occasione delle feste di Calendimaggio. Le
due parti vennero al sangue, come dice Dante, e ci furono alcuni feriti.
Per ristabilire l'ordine i Priori, tra i quali era anche Dante ne esiliarono gli esponenti pi in vista, che per
riuscirono ben presto a tornare in Firenze. Un anno dopo lo scontro di Calendimaggio, nel giugno 1301, i
Bianchi (la parte selvaggia) espulsero dalla citt i capi di parte nera, per esserne a loro volta cacciati, al
rientro in Firenze di questi, nel 1302 (infra tre soli: cio prima di tre rivoluzioni solari a partire dal 1300,
data dell'immaginario viaggio di Dante nell'oltretomba ) . La riscossa del partito dei Donati avvenne con
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

l'appoggio di Bonifacio VIII (con la forza di tal che test piaggia). Questo papa, che in un primo tempo
pareva deciso a mantenere un atteggiamento neutrale fra le due fazioni in lotta per il predominio in
Firenze, opt alla fine per i Neri, che si mostravano propensi ad accettare le sue richieste.
Il partito dei Neri spadronegger a lungo. tenendo sottomessa la fazione avversa con provvedimenti
iniqui, per quanto questa si lamenti e si sdegni.
I cittadini giusti sono due, ma nessuno d loro ascolto: la superbia, linvidia e la brama di guadagni sono
le tre scintille che hanno appiccato il fuoco agli animi (aizzando i Fiorentini gli uni contro gli altri)".
Giusti son due: gi i primi commentatori mostrano di non sapere a quali personaggi della vita pubblica
fiorentina Dante intendesse fare riferimento con questa espressione. Ma pu anche darsi come sostiene il
Del Lungo - che il Poeta abbia solamente inteso "senza allusioni personali, significare che in si grande
cittadinanza il numero dei giusti era piccolissimo, e quasi nullo; e quei pochissimi, non ascoltati".
A questo punto pose termine al suo discorso doloroso; e io: "Vorrei avere da te ancora altri schiarimenti,
e vorrei che tu mi facessi la grazia di continuare a parlare.
Farinata e Tegghiaio, che furono cos degni di onore, Jacopo Rusticucci, Arrigo e Mosca e gli altri cittadini
che si adoperarono per il bene di Firenze, dimmi dove si trovano e fa in modo che io apprenda qualcosa
di loro; perch grande il desiderio che ho di sapere se il paradiso d loro dolcezza, o linferno li
amareggia".
Dante chiede al suo concittadino notizie di alcuni uomini politici del tempo passato. Di questi, troveremo
Farinata degli Uberti, capo ghibellino e vincitore dei Guelfi a Montaperti, tra gli eretici; Tegghiaio
Aldobrandi degli Adimari e Jacopo Rusticucci, guelfi entrambi, tra i violenti contro natura; Mosca dei
Lamberti, considerato il primo responsabile del divampare in Firenze delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, fra
i seminatori di discordia. Arrigo sarebbe un membro della famiglia dei Fifanti, il quale partecip nel 1215
alla uccisione di Buondelmonte: da questo delitto gli storici del tempo fecero dipendere la divisione dei
Fiorentini in Guelfi e Ghibellini. Non e pi menzionato nel poema.
E Ciacco: "Si trovano tra i dannati pi colpevoli: peccati diversi (da quello punito in questo cerchio)
pesano su di loro in modo da tenerli nella parte bassa dellinferno: se scenderai fin laggi, potrai vederli.
Ma quando sarai tornato tra i vivi, ti prego di richiamare il mio nome alla loro memoria: pi non parler
n ti risponder".
Il ricordo accorato della vita serena, con cui gi si era iniziato il discorso di Ciacco, colora di mestizia
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

anche il commiato di quest'ombra da Dante "e s'accompagna a un disperato bisogno, cos vivo nei
dannati: quello di essere ancora avvinti a questo mondo delle loro passioni e del loro peccato che vivr
sempre in essi; e ci mediante l'unica illusoria forma di sopravvivenza che salvi di loro qualche cosa: la
fama presso le creature della terra" (Grabher).
Allora stravolse gli occhi che fino allora avevano guardato diritti davanti a se; per un attimo ancora mi
guard, e poi abbass la testa: piomb gi con essa allo stesso livello degli altri dannati (ciechi: in
quanto privi della luce dellintelletto).
Cadde con essa a par delli altri ciechi: il termine "ciechi" ha qui un significato morale, e in questa
accezione ricorre nel linguaggio dei mistici.
Il Del Lungo cita, a questo proposito, il passo di un dottore della Chiesa: ""il non vedere" , in questa vita
mondana, la pena inavvertita dei peccatori; il "non poter vedere", cio la cecit, , nell'altro mondo, la
pena sentita dai dannati". Tuttavia l'espressione ciechi, in questo quadro che - come ha notato il
Momigliano - "ha del macabro, quasi come una scena di decapitazione, si colora, per suggestione della
rima, anche di "un sinistro riflesso pittorico singolarmente armonizzato con li diritti occhi torse allora in
biechi".
Sempre del Momigliano l'osservazione che questa terzina suggerisce "il primo esempio di uno dei motivi
poetici pi frequenti del poema: la rappresentazione della figura e della fisionomia dei dannati, stravolta
dal tormento e oscurata dalla depravazione: la pittura di un'umanit imbestiata in cui la bestialit rende
pi miserando quel tanto di umano che ciascuno dei dannati conserva, e l'umanit fa sembrare pi
ripugnante quel tanto di bestiale che ciascuno dei dannati ha portato con s dalla mala vita della terra e
acquistato nella proterva o disperata sopportazione della pena".
E Virgilio mi disse: "Pi non si alzer prima del suono delle trombe degli angeli, quando verr il giudice
nemico del reprobi (Cristo):
ogni dannato rivedr ( allora ) il suo triste sepolcro, assumer nuovamente il corpo e laspetto che aveva
da vivo, ascolter la sentenza che decider la sua sorte per leternit".
Pi non si desta: nota il Del Lungo che questo presente storico "dice un futuro che si distende per secoli".
La solennit di questa rappresentazione del Giudizio Universale non trova riscontro che in alcuni dei pi
grandi capolavori delle arti figurative.
Cosi, razionando un poco intorno alla vita doltretomba, camminammo lentamente attraverso limmondo
miscuglio fatto di ombre di peccatori e di acqua;
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

e pertanto mi rivolsi a Virgilio: " Maestro, queste pene aumenteranno o diminuiranno dintensit dopo Il
Giudizio Universale, o saranno dolorose come adesso? "
E Virgilio: "Ripensa alla tua dottrina, secondo la quale, quanto pi una cosa perfetta, tanto pi
intensamente sente il piacere non meno del dolore.
Bench i dannati non possano mai conseguire la vera perfezione (che si ha solo quando luomo e vicino a
Dio), attendono di essere perfetti dopo il Giudizio pi che non prima".
Il pensiero aristotelico-tomista, accettato da Dante, afferma che nella misura in cui una realt perfetta
essa avverte con maggiore intensit la gioia o il dolore. Ora la vera perfezion dell'uomo, secondo la
definizione della Scolastica, nell'unione dell'anima e del corpo, che, scissa con la morte, si ricostituir
solo nel giorno del Giudizio Universale.
Percorremmo il cerchio secondo la sua circonferenza, discorrendo assai di pi di quanto io non abbia qui
riferito; giungemmo nel punto ove da questo cerchio si scende nel successivo:
ivi ci imbattemmo in Pluto, lorribile diavolo.
Pluto: il diavolo posto a guardia del cerchio degli avari e dei prodighi. Nella mitologia greca Pluto, figlio
di Iasone e di Demetra, era considerato dio della ricchezza.
2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO VII
"Pap Satn, pap Satn aleppe!" prese a gridare Pluto con voce rauca; e quel nobile saggio (Virgilio),
dalla sconfinata dottrina,
Pap Satn, pap Satn aleppe: discordi sono le interpretazioni che i commentatori hanno dato a questo
verso. Per alcuni esso non avrebbe alcun significato riferibile ad una lingua umana; le parole poste in
bocca a Pluto sarebbero un esempio del linguaggio dei diavoli, incomprensibile per noi, se non addirittura
suono privo di qualsiasi significato, espressione di una mente confusa e abbrutita. Il Momigliano, ad
esempio. ritiene che esse vogliano essere un segno dell'imbecillit a cui riduce l'avidit della ricchezza".
E' pi probabile, tuttavia, che esse significhino qualcosa come: "O Satana, o Satana, Dio! " oppure: " O
Satana, O Satana, ahim!" Infatti papae in latino una interiezione di meraviglia e aleph la prima
lettera dell'alfabeto ebraico, che pu essere quindi letta come se volesse dire " primo principio" ( e quindi
Dio), oppure, con riferimento alle Lamentazioni attribuite a Geremia che si aprono appunto con questa
parola, come una interiezione di dolore.
per rincuorarmi cos mi parl: "Il tuo spavento non ti arrechi danno; infatti, per quanto egli sia potente,
non ci impedir di scendere (dal terzo al quarto cerchio) per questo dirupo.
Quindi, rivolto verso quel tumido volto, disse: "Taci, maledetto demonio: struggiti internamente per la
rabbia.
Non senza motivo la nostra andata nella voragine infernale: cos si vuole nel cielo, l dove larcangelo
Michele pun lorgogliosa ribellione (di Lucifero e dei suoi seguaci)".
Fe' la vendetta del superbo strepo: pi che derivare dal latino medievale stropas (gregge), per cui
starebbe ad indicare la schiera degli angeli ribelli a Dio, strupo sembra essere metatesi di "stupro",
violenza dovuta a desiderio smodato. Giova qui ricordare che nelle pagine di un teologo del Medioevo,
Scoto Eriugena, il peccato degli angeli che si ribellarono a Dio e definito "lussuria". Scrive lo Scoto che,
per quanto la lussuria propriamente detta riguardi soltanto gli atti carnali, "tuttavia ogni brama smodata
di qualcosa' di piacevole, in quanto piacevole, pu essere chiamata lussuria", a meno che oggetto della
brama non sia il bene, il che non pu dirsi certo sia avvenuto nel caso della ribellione degli angeli: il loro
desiderio di una maggiore beatitudine si opponeva infatti ai voleri di Dio.

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Come le vele gonfiate dal vento cadono (confusamente) avviluppate, se lalbero della nave si spezza, cos
piomb a terra il mostro malvagio.
La figura di Pluto suscita in chi legge l'impressione di una massa enorme e amorfa e, sul piano morale,
quella di un furore ottuso e impotente. Essa non ci viene infatti presentata dal Poeta attraverso questo o
quel particolare del suo aspetto esteriore, come avviene per Caronte, ad esempio, e per Minosse. Il
carattere rissoso del traghettatore dell'Acheronte gi tutto contenuto in una determinazione come
quella degli occhi di bragie, mentre l'enigmatico conoscitor delle peccata del secondo cerchio resta
indissolubilmente legato nella nostra memoria - all'atto bestiale - di avvolgere la coda, per significare un
giudizio dettato dalla pi pura razionalit. Scrive il Torraca, a proposito di Pluto: "Enfiata labbia
suggerisce, si, l'imagine di un gran faccione, ma vanamente. Ma ecco le vele gonfiate dal vento e l'albero
della nave portar in questa indeterminatezza qualche cosa di enorme, di gigantesco..." Per quanto
riguarda il significato morale di questa inaspettata similitudine, un altro acuto lettore del settimo canto, il
Vallone, osserva come essa racchiuda in s l'intera vicenda di questo guardiano infernale "protervo,
bestemmiatore, superbo e poi schiacciato umiliato e vinto'', e aggiunge un'osservazione generale
sull'umiliazione cui, nell'inferno dantesco, le potenze del male soggiaciono di fronte all'affermarsi della
razionalit chiarificatrice ( Virgilio ): "Forse il destino dei diavoli pi inesorabilmente crudele di quello
delle anime malvagie che essi custodiscono. Queste, almeno, di tanto in tanto, possono reagire, a loro
modo e nella loro misura, contro un potere ch' a tutti superiore... i diavoli, vinti che siano e sempre son
vinti, si degradano a " poveri diavoli ", arnesi di idiota materia...
Scendemmo in tal modo nella quarta fossa, percorrendo un altro tratto della china dolorosa che contiene
tutto il male delluniverso.
Ahim, giustizia di Dio! chi mai ammassa tanti inimmaginabili supplizi e dolori, quanti io ne vidi? e perch
lumana colpa a tal punto ci strazia ?
Come (nello stretto di Messina) presso Cariddi le onde (del mar Ionio) si infrangono cozzando contro
quelle del mar Tirreno, cos necessariamente avviene che qui le turbe ballino.
Scrive il Marti, a proposito di questa grandiosa similitudine, che Dante con essa ci suggerisce non gi un
"urto di persone, di individui, ma urto di gente, di masse informi: anonime superfici in movimento che si
infrangono reciprocamente l'una contro l'altra; vaste chiazze brulicanti e semoventi, che tristemente
spumeggiano a quel loro pendolare scontrarsi. Nessuno stacco fra le anime e i massi che esse voltano...
la figurazione risolta in movimento ritmico, eterno e sempre uguale, ma anche meccanico ed insensato,
di superfici e di colore"

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Cos convien che qui la gente riddi: il richiamo alla ridda, ballo circolare dal ritmo molto veloce, che in
altra circostanza evocherebbe una scena lieta, qui sarcastico e sferzante.
Qui vidi una moltitudine pi numerosa che in altri luoghi, la quale provenendo dalluno e dallaltro lato del
cerchio rotolava pesi, spingendoli col petto ed emettendo alti lamenti.
(Incontrandosi) cozzavano gli uni contro gli altri; e poi, in quello stesso punto, ognuno si volgeva
indietro, rivoltando (anche il suo peso), e urlava: "Perch conservi? " e "Perch sperperi ? "
La pena degli avari e dei prodighi ricorda quella di Sisifo, oppure quella delle anime che nel Tartaro Enea
vede intente a rotolare enormi macigni (Eneide VI, 616-617). I pesi che essi spingono stanno a
significare probabilmente i mucchi di denaro che in vita passarono per le loro mani.
In tal maniera tornavano indietro attraverso il cerchio tenebroso da entrambe le direzioni fino al punto
diametralmente opposto, gridandosi di nuovo (anche) il loro ritornello ingiurioso;
poi, una volta qui arrivato, ciascuno tornava indietro, ripercorrendo il suo semicerchio fino allo scontro
successivo. E io, che mi sentivo quasi turbato, dissi: "Maestro, spiegami ora quale moltitudine questa, e
se costoro che sono alla nostra sinistra e hanno la tonsura, furono tutti ecclesiastici ".
Ed egli: "Tutti quanti ebbero la mente cos ottenebrata durante la vita in terra (la vita primaia: la prima
vita), che non fecero alcuna spesa misuratamente.
Le loro parole lo dichiarano abbastanza esplicitamente, allorch giungono nei due punti del cerchio dove i
loro opposti peccati li separano.
Assai la voce lor chiaro l'abbaia: il verbo "abbaiare", riferito alla voce di quei dannati, aggiunge una
caratteristica disarmonica, scostante, alla descrizione, cos esatta e impietosa, della loro inumana fatica.
Un antico commentatore, il Lana, spiega l'uso di questo termine con il disprezzo che il Poeta
intenderebbe qui manifestare nei confronti degli avari e dei prodighi, trattandoli come se fossero cani.
Tra i moderni, il Grabher mette in rilievo "la sintetica potenza di abbaia costruito transitivamente con
l'accusativo lo e piegato a riferirsi a voce umana. E' voce d'uomini che abbaia parole; trasfigurata in
qualcosa di non pi umano e quasi di bestiale".
Questi, che portano la tonsura, furono ecclesiastici, e papi e cardinali, nei quali lavarizia si manifest in
modo eccessivo".

http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/settimoi.htm (3 di 8)08/12/2005 9.01.57

Divina commedia: Parafrasi Inferno

E io: "Fra costoro, maestro, dovrei certo riconoscere qualcuno che si macchi di queste colpe".
E Virgilio: "Accogli nella tua mente un pensiero assurdo: la dissennata vita che li rese turpi, li rende ora
oscuri ad ogni tentativo di riconoscerli.
Come gli ignavi, cos anche coloro che posero lo scopo della loro vita nel denaro sono destinati a
rimanere anonimi nell'inferno di Dante. Il Poeta che ha vivo l'interesse per le forti personalit e che non
si stanca mai di frugare, con curiosit insaziata, nell'animo umano, non considera nemmeno degni di
attenzione coloro che tutto hanno sacrificato ad una divinit cos impersonale e vile qual il denaro.
Virgilio enuncia in questa terzina una sorta di contrappasso morale: l'anonimato si aggiunge, infatti,
come una condanna supplementare, ai tormenti corporali che affliggono questi peccatori.
Per leternit accorreranno ai due punti per scontrarsi: gli uni risorgeranno dalla tomba coi pugni chiusi,
gli altri con i capelli recisi.
Come gi nel cerchio dei golosi, anche qui, in un immagine allucinante e sinistra, il giorno del Giudizio
Universale si impone alla fantasia del Poeta: il pugno chiuso degli avari denuncer, alla fine dei tempi, il
loro interesse rivolto al solo possesso dei beni materiali, mentre lo sperpero, che in vita li priv di tutto,
sar simboleggiato nei prodighi dai loro capelli recisi: come se il loro peccato li avesse privati anche di
quelli.
Lo spendere e il risparmiare in misura smodata li ha privati del paradiso, e condannati a questa mischia:
per farti capire di qual genere essa sia, non c bisogno che io ladorni di belle parole.
Gi nel Convivio (X-XIII) Dante aveva polemicamente preso posizione contro coloro che attribuivano alle
ricchezze un valore formativo nella vita dell'uomo e, opponendosi ad un parere espresso dall'imperatore
Federico II, aveva sostenuto che la vera nobilt una qualit dell'animo, sulla quale non pu in alcun
modo influire il possesso dei beni materiali, per loro natura caduchi e incerti. Nella canzone "Doglia mi
reca ne lo core ardire", raccolta tra le sue Rime, viene drammaticamente prospettata dal Poeta all'avaro
l'assurdit del suo cieco affannarsi: di fronte alla morte tutte le sue fatiche sono inutili ("dimmi, che hai
tu fatto, cieco avaro disfatto? Rispondimi, se puoi altro che nulla").
Puoi ora vedere, figlio, quanto sia breve linganno dei beni che sono affidati alla Fortuna, per i quali il
genere umano si accapiglia;
poich tutte le ricchezze che sono e furono sulla terra, non potrebbero dar pace neppure a una sola di
queste anime affaticate ".
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/settimoi.htm (4 di 8)08/12/2005 9.01.57

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Nel presentare il tema della ricchezza perturbatrice dell'animo umano Dante si ispirato al De
consolazione philosophiae di Severino Boezio. In una pagina del Convivio (IV, Xll, 7) e citato, nella
traduzione in volgare, il seguente passo del filosofo latino: "Se quanta rena volve lo mare turbato dal
vento, se quante stelle rilucono, la dea de la ricchezza largisca, l'umana generazione non cesser di
piangere". Il Momigliano richiama, nel suo commento, l'attenzione sulla funzione di pausa che hanno
questi versi, tra la parte del canto che descrive il duro tormento degli avari e dei prodighi e quella in cui
viene evocata, in un'aura di estatico silenzio, la paradisiaca figura della Fortuna. Essi infatti "suggellano il
senso di eternit ineluttabile che spira qua e l nella rappresentazione della travagliosa giostra; e, non
pi duri, ma ispirati da una pateticit solenne, lasciano nel lettore, nel momento che il cerchio si
allontana dal suo sguardo, un'immagine pensosa che sfuma l'asprezza dello spettacolo".
" Maestro ", dissi a Virgilio, " spiegami ancora: questa Fortuna, di cui tu mi fai cenno, cos mai, per
poter tenere cos tra i suoi artigli i beni della terra? "
E Virgilio: "O esseri stolti, quanto grande lignoranza che vi arreca danno! Voglio dunque che tu accolga
la mia spiegazione (come il bambino riceve in bocca il cibo ).
Nella digressione che a questo punto interrompe la tesa atmosfera del canto, e a proposito della quale
pi di un critico si richiamato alle serene atmosfere del Paradiso, Dante espone, per bocca della sua
guida nel viaggio oltremondano, una sua personale concezione di quella che gli antichi avevano
immaginato come "la dea bendata", modificando altres il punto di vista gi manifestato nel Convivio, in
un passo del quale la distribuzione delle ricchezze era definita ingiusta: "Dico che la loro imperfezione
primamente si pu notare ne la indiscrezione del loro avvenimento, nel quale nulla distributiva giustizia
risplende, ma tutta iniquitade quasi sempre, la quale iniquitade proprio effetto d'imperfezione" (IV, Xl,
6).
Qui invece la Fortuna, pur non identificandosi con la Provvidenza di Dio, di cui soltanto ministra, svolge
una funzione provvidenziale. La concezione di Dante nuova e profonda.
Dio, la cui sapienza oltrepassa ogni realt, cre i cieli e assegn a ciascuno di loro una guida in modo che
ogni gerarchia angelica trasmette la luce al suo cielo,
distribuendola equamente: allo stesso modo prepose a tutte le glorie del mondo una guida che le
amministrasse tutte e che trasferisse a tempo debito i beni perituri da un popolo allaltro e da una stirpe
allaltra, senza che la previdenza degli uomini potesse a lei opporsi;
per questo una nazione domina, mentre unaltra si indebolisce, secondo la decisione da lei presa,
decisione che resta nascosta come il serpente nellerba.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/settimoi.htm (5 di 8)08/12/2005 9.01.57

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Il senso di queste terzine si chiarisce se teniamo presente che, nella cosmologia di Dante, ad ognuno dei
nove cieli mobili assegnata da Dio, perch ne regoli il moto, una gerarchia angelica ( intelligenza
motrice ) . La Fortuna anch'essa un'intelligenza, ministra della volont di Dio ma, invece di presiedere
ai movimenti di un cielo, governa quelli dei ben vani della terra.
Laccortezza degli uomini non pu contrastare con lei: essa predispone, valuta (le opportunit), e svolge
da regina il suo incarico come le intelligenze angeliche svolgono il loro.
L'uso della parola dei per indicare le pure intelligenze (sprovviste quindi di attributi sensibili ) motrici dei
cieli, si spiega con la funzione nobilitante che il Poeta attribuisce di solito al vocabolo di origine latina.
L'impasto linguistico della Commedia, in cui il termine comune accostato di continuo a quello aulico o
dotto, traduce, sul piano dello stile, la dialettica del temporale e dell'eterno, che rappresenta il
fondamentale motivo animatore dell'epos dantesco.
I cambiamenti da essa causati si succedono senza sosta: il suo dovere verso Dio lobbliga ad operare
rapidamente; perci avviene spesso che qualcuno muti il proprio stato.
Questa colei che tanto avversata anche da coloro che dovrebbero elogiarla, laddove invece la
biasimano ingiustamente e la denigrano; ma essa se ne sta beata e non li ascolta: serena, insieme alle
intelligenze angeliche, governa il moto della sua sfera e gode della sua beatitudine.
Ma tempo di scendere ormai verso un dolore pi grande; gi ogni stella che, quando venni in tuo aiuto,
saliva in cielo, tramonta e non ci concesso un lungo indugio ".
Il Momigliano avverte acutamente la grande solennit dell'accenno al cielo stellato che Virgilio fa qui, per
la prima volta, da quando i due poeti sono entrati nella voragine infernale. Il Getto, dal canto suo, nota
come Dante sappia cogliere,"in quel declinare di stelle, in quella inesorabile vicenda di astri che la
vicenda del tempo'', il "solenne ritmo universale, e l'assorto respiro... che ad esso si accompagna".
Attraversammo il cerchio fino al margine opposto, allaltezza di una sorgente che ribolle e si riversa in un
fossato che da essa deriva.
Lacqua era pi nera che livida; e noi, insieme alle onde torbide, scendemmo nel cerchio quinto
attraverso un cammino malagevole.
Questo triste ruscello sfocia nella palude chiamata Stige, dopo essere sceso fino alla base dei crudeli e
foschi dirupi.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/settimoi.htm (6 di 8)08/12/2005 9.01.57

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Nel quinto cerchio il paesaggio e la atmosfera appaiono profondamente diversi rispetto a quelli del
cerchio precedente; lo stile stesso della terzina dantesca ne risente e non abbiamo pi una sensazione di
asperit, ma di diffusa tristezza. A questa sensazione contribuiscono le note coloristiche (buia.., bige...
grige ).
Ed io, che ero intento a guardare, vidi in quella palude moltitudini imbrattate di fango, tutte nude, con
lespressione crucciata.
Questi peccatori si colpivano lun laltro non solo con le mani, ma con la testa e col petto e coi piedi, e si
dilaniavano a pezzo a pezzo coi denti.
Virgilio disse: "Figlio, puoi ora vedere gli spiriti di coloro che furono sopraffatti dallira; e voglio che tu
inoltre sappia che sotto il pelo dellacqua vi sono dannati che sospirano, e fanno gorgogliare questacqua
alla superficie, come puoi vedere, da qualunque parte tu guardi.
Immersi nella fanghiglia, dicono: "Fummo malinconici nellaria dolce allietata dal sole, portando nel
nostro animo la caligine dellaccidia:
ora ci addoloriamo nella nera melma". Si gorgogliano questo lamento (inno: qui in senso ironico) in gola,
perch non lo possono pronunciare con parole chiare e complete".
Secondo Pietro Alighieri nella palude stigia si troverebbero gli iracondi e i superbi e, sotto di essi, immersi
interamente nel fango, gli accidiosi e gli invidiosi. Questo parere non sembra tuttavia suffragato da alcun
richiamo al testo. Pi plausibile l'opinione che alla superficie della palude si trovino gli " iracondi acuti
" ( la cui collera suole cio prorompere con impetuosa violenza), mentre immersi in essa sarebbero gli
accidiosi, che corrisponderebbero, in questa partizione dantesca, agli "iracondi amari" di Aristotile e San
Tommaso. L'accidioso fummo starebbe quindi ad indicare l'ira a lungo repressa. Il contrappasso risulta
evidente nel caso degli iracondi acuti: il loro sbranarsi a vicenda esemplifica in modo inequivocabile la
passione dell'animo che li indusse a compiere il male. Per gli iracondi amari la corrispondenza tra pena e
peccato potrebbe essere la seguente: come in vita hanno soffocato dentro di se l'ira, pur continuando ad
alimentarla segretamente, cos ora sono soffocati dalla melma.
Quest'inno si gorgoglian nella strozza: nota il Grabber come questa ardita immagine (vicina, per vigore
espressivo all'abbaia del verso 43) "fonde in un tutto la voce umana e quella dell'acqua, che ne la strozza
soffoca le parole umane per trasformarle nel gorgogliare dell'acqua stessa".
Costeggiammo cos per lungo tratto la sozza palude, tenendoci tra il pendio asciutto e la melma, con lo
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

sguardo rivolto a coloro che ingurgitano fango:


giungemmo alla fine alla base duna torre.
2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO VIII
Proseguendo il mio racconto, dico che, molto prima di giungere ai piedi dellalta torre, i nostri sguardi si
diressero verso la sua sommit attratti da due fiammelle che vedemmo apparire lass, e da unaltra che
rispondeva ai segnali da tanto lontano, che a stento il nostro sguardo poteva distinguerla.
In questo canto, uno dei pi ricchi di movimento di tutto il poema, anche il paesaggio si anima, quasi ad
incarnare visibilmente lo stato di attesa e la trepidazione del Poeta.
I segnali luminosi che, accendendosi nella notte infernale, sembrano preannunciare un evento insolito e
misterioso, sono uguali a quelli che, in terra, servivano a trasmettere informazioni militari. I diavoli che
difendono le mura della strana citt, alla quale i due viandanti si stanno avvicinando, sono organizzati
militarmente: diversamente che nei guardiani dei cerchi superiori, in essi il male guidato da una
intelligenza viva.
Allora mi rivolsi a Virgilio, dicendo: " Che significato ha questo segnale? e quale risposta d quellaltra
luce? e chi sono quelli che lhanno accesa ? "
E Virgilio di rimando: " Sullacqua melmosa puoi gi scorgere colui che atteso (da chi ha fatto i segnali),
se i vapori che lo stagno esala non lo celano ai tuoi occhi ".
Nessuna corda darco scocc mai una freccia che volasse nellaria con una velocit paragonabile a quella
della piccola imbarcazione che vidi in quellistante dirigersi sullacqua verso di noi, pilotata da un solo
nocchiero, che urlava: " Ti ho finalmente raggiunto, spirito malvagio! "
La similitudine gi in Virgilio: "fugge sulle onde, pi rapida di un dardo e di una saetta che uguaglia i
venti" (Eneide X, 247-248). Dante la ricrea conferendole maggiore essenzialit e vigore, e imprimendo
alle parole "un movimento rapido e incalzante, in cui viene a culminare il senso di tensione e di attesa
delle terzine che precedono e si preannunzia il movimento drammatico, violento e concitato, dell'episodio
che seguir" (Sapegno).
Da notare anche la sapiente scelta delle parole e la suggestione che queste esercitano anche al di l del
loro significato pi immediato. Come nota il Venturi, nel primo verso corda non pinse mai da s saetta, "i
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suoni esprimono il sibilar della freccia; nel verso successivo il celere volo".
" Flegis, Flegis, tu gridi inutilmente contro di noi " ribatte il mio maestro, "a non ci avrai in tuo potere
che il tempo necessario per attraversare la palude fangosa."
Flegis, figlio di Marte, per avere incendiato, accecato dall'ira, il tempio di Apollo a Delfi, fu punito
nell'Averno (cfr. Virgilio, Eneide VI, 618-620). E questo un altro dei personaggi tratti dalla mitologia e
ricreati da Dante in forme nuove, meglio rispondenti alla sostanza profondamente religiosa e morale del
suo poema. La figura di Flegis "drammatizzata nella sua qualit essenziale: l'ardore dell'ira: per cui
diventa uno scorcio appena balenante ma tempestoso: scolpito proprio nel secco rilievo della sua violenta
irruzione e del furioso gridare (versi 13-18) e poi ( verso 24 ) nel torbido silenzio dell'ira
accolta" (Grabher).
La risposta di Virgilio a Flegias non ha la calma solenne delle risposte da lui date ai guardiani dei cerchi
superiori. Una impazienza irosa sembra trasmettersi alle sue parole. Il peccato punito in questo cerchio l'ira - "si propaga all'intorno, nello scenario, in Virgilio, in Dante, che proprio qui d il primo e pi
continuato segno del suo aspro spirito combattivo" (Momigliano).
Come colui che apprende di essere stato gravemente ingannato, e allora prova rammarico, cos divenne
Flegis per lira che in lui si raccolse.
Virgilio scese nella barca, e poi mi fece scendere dopo di lui; soltanto quando anchio fui entrato, essa
sembr carica (gli abitanti delloltretomba, essendo esseri privi del corpo, non hanno peso).
Non appena Virgilio e io fummo a bordo, lantica (perch coeva dellinferno) barca cominci a fendere
lacqua, immergendosi in essa pi profondamente di quanto non faccia di solito, quando trasporta le
anime.
Mentre solcavamo limmobile palude, mi si par davanti uno spirito coperto di fango, e disse: "Chi sei tu
che arrivi anzitempo (prima del termine stabilito, cio prima della morte ) ? "
In questa terzina, alla stagnante immobilit dello Stige, si contrappone l'aspra repentinit dell'apostrofe
del dannato che, nella maligna domanda rivolta a Dante, rivela il suo godimento per le sofferenze altrui.
Il suo apparire improvviso pu ricordarci quello di Ciacco nel cerchio dei golosi, ma il dialogo con Dante
improntato qui a tutt'altro spirito.

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Nell'episodio del canto sesto il Poeta era preso da un sentimento di compassione e quasi di riverente
rispetto per il concittadino che aveva conosciuto di persona i grandi uomini politici della passata
generazione; qui invece reagisce violentemente contro il suo interlocutore e, come vedremo fra poco,
gode del suo strazio. Possiamo restare meravigliati per tale atteggiamento di Dante, in cui il Momigliano
ha ravvisato addirittura "qualcosa di satanico", ma non dobbiamo dimenticare che l'iracondo nei riguardi
del quale egli manifesta tale spirito vendicativo, come osserva il Grabher, "non che lo spunto realistico,
cui Dante sempre attinge, per passare dal contingente all'eterno, dal particolare all'universale; per colpire
quanti si tengono or l su gran regi e tuffarli tutti, idealmente, come porci in brago".
Il dannato il fiorentino Filippo dei Cavicciuli ( un ramo degli Adimari )',
Ed io: " Se arrivo, non certo per rimanere; ma chi sei tu, reso cosi sporco dal fango?" Rispose: "Vedi
bene che sono uno di quelli che piangono (cio un dannato) ".
Il motivo che spinge Filippo Argenti a celare il suo nome il desiderio, comune anche agli altri dannati, di
non avere cattiva fama tra i vivi. Egli cerca di reagire al disprezzo manifestatogli dal Poeta ostentando la
propria infelice condizione (un che piango). Ma le sue parole tradiscono un'insofferenza sprezzante e
amara. Il loro senso : lo vedi da te che sono un dannato; che bisogno c' di farmi questa domanda?
Ed io: " Restatene, anima maledetta, col pianto e col dolore; perch ti riconosco, anche se sei tutto
imbrattato di fango ".
Il tono della replica di Dante, in cui egli riprende le parole del suo interlucatore per ritorcerle contro di lui
(chi se' tu che vieni... s'i' degno, non rimango...; un che piango... con piangere e con lutto), dettato da
un'ira repressa, che finir col manifestarsi esplicitamente nella soddisfazione con cui il Poeta assister al
tormento del peccatore.
Allora allung verso la barca entrambe le mani (per rovesciarla o per colpire Dante ); ma Virgilio pronto
lo respinse, dicendogli: " Via di qui, vattene a stare con gli altri maledetti ! "
Poi mi abbraccio: mi baci in viso, e disse: "Anima fiera, sia benedetta colei che ti ha portato nel grembo!
Quello fu in vita un prepotente; nessuna azione buona abbellisce il ricordo che di s ha lasciato: per
questo la sua anima e qui in preda al furore.
Quanti che si considerano adesso nel mondo persone di grande importanza, qui staranno come porci nel
fango, lasciando di s il ricordo di atti spregevoli ! "
L'intervento di Virgilio conclude l'incontro del suo discepolo col dannato e conferisce a questo episodio
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una dignit esemplare. Ma la figura del saggio, che il poeta latino di solito incarna, ci appare qui
singolarmente animata. Egli non soltanto il commentatore distaccato dell'episodio al quale ha assistito,
ma ne diventa uno dei protagonisti. Il personaggio di Virgilio perde in tal modo ogni schematicit
inerente alla sua funzione di simbolo, per riflettere in s l'animo appassionato del discepolo ed inserirsi,
con polemica asprezza, in quello che uno dei temi etici dell'Inferno: la condanna della superbia che
boriosamente ostenta la propria autosufficienza.
Ed io: "Maestro, sarei molto desideroso, prima di uscire dalla palude, di vederlo immergere in questa
melma".
E Virgilio: "Prima che tu possa vedere la riva, sarai appagato: giusto che tu goda del soddisfacimento di
questo tuo desiderio" .
Poco dopo vidi gli iracondi fare di lui un tale scempio, che per esso ancora glorifico e rendo grazie a Dio.
Che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio: Dante gioisce dello spettacolo offerto dai dannati che puniscono
Filippo Argenti, sia per motivi di carattere contingente, come potrebbe essere la sua inimicizia
determinata da motivi politici nei confronti della oltracotata schiatta (Paradiso XVI, 115) degli Adimari,
sia perch questo spettacolo una dimostrazione inoppugnabile della giustizia di Dio, vendicatore delle
offese e riparatore dei torti. Ci non toglie che la scena, considerata in s, sia manifestazione, da parte
dei dannati che vi partecipano, di uno spirito ottuso e brutale: i seviziatori appaiono, non meno della loro
vittima, lontani dalla ragione e da Dio.
Tutti insieme gridavano: " Addosso a Filippo Argenti! "; e il rabbioso dannato fiorentino volgeva contro s
stesso la propria ira, dilaniandosi coi denti.
Lo abbandonammo a questo punto, in condizioni tali, che non occorre aggiungere altre parole; ma ecco
che un suono doloroso colp il mio udito, per la qual cosa spalancai gli occhi guardando attentamente
davanti a me.
In questo canto il linguaggio sempre teso e ricco di movimento drammatico; il presente storico sbarro
sottolinea la subitaneit della nuova impressione che il Poeta avverte.
Virgilio mi disse: " Ormai, figlio, si avvicina la citt chiamata Dite, coi suoi abitanti oppressi dal dolore, col
grande esercito (dei diavoli)".
Dite, o Plutone, era per gli antichi il sovrano del regno dei morti, Dante lo identifica con Lucifero. La citt
che da lui prende nome l'insieme dei cerchi infernali dal sesto al nono, che costituiscono il basso
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inferno, di contro all'alto che racchiude i primi cinque cerchi. In essa sono punite due categorie di
peccati: quelli di violenza e quelli di malizia.
Ed io: " Maestro, distinguo gi chiaramente laggi nellavvallamento le sue torri, rosseggianti come se
fossero uscite dal fuoco ".
Gi le sue meschite... : secondo il Boccaccio le torri fortificate poste a difesa della citt di Dite sono
chiamate meschite (moschee, dall'arabo masghid "siccome edifici composti ad onor del demonio, e non di
Dio".

Il paesaggio squallido e geometrico nel cerchio degli avari e prodighi, intriso di tristezza e umor nero in
quello degli iracondi, assume qui un rilievo allucinato, che trascende ogni possibilit di riferimenti umani.
Intorno alla citt di Dite, nota il Grabher,"il Poeta... crea un senso di ermetico isolamento e di grandiosit
desolata". Gi in Virgilio (Eneide Vl, 548 sgg.) la citt del Tartaro era difesa da torri di ferro rovente. Ma,
nell'abbondanza dei particolari, l'aspetto sinistro delle fortificazioni infernali non spiccava come nei pochi
cenni che vi dedica Dante.
E Virgilio mi disse: "Il fuoco eterno che allinterno le arroventa, le fa apparire rosse, come puoi vedere in
questa parte bassa dellinferno ".
Arrivammo infine dentro i profondi fossati che difendono quella citt desolata: mi sembrava che le mura
fossero di ferro.
Non senza aver prima fatto un ampio giro, giungemmo in un punto dove il nocchiero grid ad alta voce: "
Uscite da qui (dalla barca): ecco la porta (della citt di Dite) ".
Vidi pi di mille diavoli a guardia delle porte, i quali con stizza dicevano: " Chi e costui che ancora in vita
visita il regno dei morti?". E il mio saggio maestro accenn di voler parlare con loro in disparte.
A proposito dell'immagine da ciel piovuti, il Romagnoli rileva in essa una certa ambiguit: "collocate cos
le parole, pare che si tratti di gente piovuta allora allora". In realt, leggendo questi versi, difficile
soffermarsi sul valore logico che in essi le parole assumono, tanto vigorosa la capacit del Poeta di
infondere vita e concretezza alle creazioni della sua fantasia. Giustamente osserva il Bosco: "con quella
semplice parola, piovuti, Dante riesce a trasformare il concetto del loro gran numero, in un'immagine:
una pioggia di angeli; tutta l'aria piena di angeli precipitanti".
Allora frenarono un poco la loro grande ira, e dissero: "Vieni soltanto tu, e vada via quello, che con tanto
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ardire e penetrato in questo regno.


Ripercorra da solo il cammino temerario (fatto fin qui): provi, se ne capace; perch tu, che gli hai fatto
da guida in un paese cos buio, resterai qui ".
Immagina, lettore, quanto mi perdetti danimo nelludire queste parole maledette, perch credetti di non
poter mai pi tornare fra i vivi.
Come nei cerchi superiori, anche all'ingresso del sesto il cammino dei due poeti ostacolato dalle
potenze infernali. Ma i difensori della citt di Dite sono - come abbiamo gi detto dotati di intelligenza
oltre che malvagi. Assai pi difficile sar averne ragione. Mentre Caronte, Minosse, Cerbero, Pluto,
simboli di cieco furore, si trovavano disarmati e impotenti di fronte all'intelligenza, simboleggiata da
Virgilio, i demoni posti a custodia dei cerchi inferiori del regno di Lucifero sono in grado di opporre
ragione a ragione, intelligenza a intelligenza: il male non si configura in loro nelle sue forme pi vistose e
brutali, come disordinato imperversare degli istinti, ma si nasconde insidiosamente dietro le apparenze di
un vivere disciplinato. Qui appunto il grande pericolo che Dante e Virgilio devono fronteggiare: a
sbarrare il cammino loro prescritto in cielo trovano non la natura deforme, ma una citt. L'intelligenza al
servizio del male ha nelle mura di Dite la sua prima, indimenticabile espressione visiva. La scena
drammatica che qui comincia e si svilupper per buona parte del canto seguente ha un significato
allegorico ( la ragione che vuole il bene non pu trionfare su quella indirizzata al male senza il soccorso
della Grazia ), ma, come ha rilevato il Croce, "ne ha uno altres effettivo e poetico, che tutta l'informa e
la rende per se comprensibile e chiarissima".
Questo significato fa "tutt'una cosa con lo svolgimento stesso della scena: la tensione che si prova tra
le difficolt e gli ostacoli, la fiducia che si avvicenda con la sfiducia e pur la vince, nella lotta del giusto
contro l'ingiusto, della virt contro l'iniquit, del diritto contro la forza".
" Mia amata guida, che innumerevoli volte mi hai ridato coraggio e salvato dai grandi pericoli che mi si
pararono contro, non mi abbandonare " dissi " in questo stato di angoscia; e se non ci consentito di
andare avanti, ripercorriamo subito insieme il cammino che abbiamo fatto (per venire fin qui). "
E Virgilio, che mi aveva condotto li, mi disse: "Non aver paura; perch nessuno pu precluderci il
passaggio: tanto potente colui dal quale voluto.
Tu attendimi qui, e conforta il tuo animo prostrato alimentandolo con lasperanza che non inganna, poich
io non ti abbandoner in questa parte bassa dellinferno (nel mondo basso)".

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Cos dicendo il mio padre affettuoso se ne va, e qui mi lascia solo, e io resto nel dubbio, poich nella mia
testa il timore combatte con la speranza.
Dante in ansia per l'esito del colloquio di Virgilio coi diavoli, anzi ha gi cominciato a disperare: la
prima volta che i ministri di Satana osano ribattere alle parole del suo maestro; e ribattono con una
proposta terribile, in tutto degna della loro natura: Virgilio resti prigioniero nelle loro mani e Dante sia
pur libero di tornarsene indietro, ammesso che ne sia capace. Virgilio lo rincuora, ma Dante continua a
dubitare della potenza della sua guida, pur sentendo che in essa sono riposte tutte le sue speranze di
salvezza. Da ci quella ricchezza di espressioni affettuose verso il maestro, in cui e tutto il suo timore e il
desiderio insieme di confidente abbandono.
Non potei udire quello che disse loro: ma egli non si trattenne a lungo l con essi, che gi ciascuno dei
diavoli gareggiava in velocit con gli altri nel tornare correndo dentro le mura.
Quei nostri nemici chiusero le porte davanti a Virgilio, che rest fuori, e torn verso di me con passi lenti.
Teneva gli occhi abbassati ed aveva unespressione sfiduciata, e diceva sospirando: "Da chi mai mi viene
impedito lingresso nelle sedi del dolore! ".
Anche in questo suo mesto ritorno dal colloquio con i guardiani della citt del male Virgilio , non meno
che nell'episodio di Filippo Argenti, personaggio vivo e umanissimo. Egli non il maestro che impartisce
la verit dall'alto, ma partecipa all'azione e si getta allo sbaraglio per trarre in salvo il suo discepolo. Le
qualit del suo animo non sono didascalicamente enunciate, ma risultano da tutti i suoi atti.
E rivolto a me: "Anche se io mi cruccio, non perderti danimo, perch vincer questa prova di forza,
chiunque dentro le mura si adoperi per vietarci lingresso.
Questa loro presunzione non nuova: perch gi ladoperarono davanti a una porta meno interna, la
quale si trova ancor oggi spalancata.
In questa terzina evidente l'allusione alla discesa di Cristo nel regno dei dannati: il Redentore, dopo la
sua morte, liber dal limbo le anime dei Patriarchi dell'Antico Testamento, scardinando la porta
dell'inferno, esterna (men secreta) rispetto a quella di Dite.
Sopra di essa hai veduto liscrizione che parla della morte eterna: e varcatala gi scende per la china,
passando di cerchio in cerchio senza guida o protezione,
colui ad opera del quale la citt ci sar aperta".
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2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO IX
Quel colore smorto che la paura aveva diffuso sul mio volto, quando avevo veduto Virgilio tornare
indietro, fece sparire pi presto il pallore che da poco era apparso sul suo.
Si arrest attento come chi cerca di percepire un suono; lo sguardo, infatti, non poteva portarlo a
distinguere lontano attraverso laria buia e la densa caligine.
"Eppure dovremo vincere questa battaglia" prese a dire, "a meno che... (ma no, non possibile). Tanto
potente colei (Beatrice) che ci promise il suo aiuto: oh quanto mi preoccupa il ritardo di qualcuno! "
Virgilio, respinto dai difensori della citt di Dite, preso per un attimo dal dubbio, ma poi riacquista
fiducia: ecco il senso generale, sul quale sono tutti d'accordo, del breve soliloquio contenuto in questa
terzina, Quanto al significato pi preciso adombrato nell'espressione se non, varie ipotesi sono state
avanzate. Ad esempio Virgilio pu aver pensato per un momento di non aver ben capito il discorso
fattogli da Beatrice nel limbo, oppure addirittura che il procedere oltre fosse ormai del tutto impossibile.
Ma per penetrare il valore poetico di questa apertura di canto, che, come rileva lo Zannoni, "prende
l'avvio proprio dal giuoco psicologico dei due personaggi, Dante e Virgilio, dai loro silenzi e dalle loro
parole, dalle ansie e dalle speranze loro, sullo sfondo di quella fantastica e fiammeggiante citt
infernale", non occorre andar oltre le intenzioni del Poeta e voler chiarire termini che traggono forza
suggestiva proprio dall'essere circondati da un alone di mistero.
Mi accorsi facilmente come Virgilio cancellasse il senso delle prime parole con quelle aggiunte in seguito,
diverse dalle prime;
ci nonostante il suo discorso mi diede timore, poich io attribuivo alla frase non conclusa un significato
forse peggiore di quello che aveva.
La peggior sentenzia che Dante attribuisce alle parole del suo maestro, completando nella sua mente la
frase dubitativa da questi lasciata interrotta (se non...), probabilmente questa: " a meno che
l'opposizione dei diavoli non ci costringa a tornarcene indietro ". La domanda che egli sta per rivolgere al
suo maestro, esprime appunto questo stato d'animo angosciato del discepolo che vede ad un tratto la
sua guida, il mar di tutto 'l senno, fin qui apparsa infallibile, umiliata e schernita dalle forze del male.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/nonoi.htm (1 di 9)08/12/2005 9.02.11

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"Nel fondo della dolorosa voragine infernale avviene mai che discenda qualcuno del primo cerchio (il
limbo), dove le anime hanno come sola punizione la speranza (di vedere Dio) destinata a non realizzarsi
mai ?"
Feci questa domanda; e Virgilio mi rispose: "Raramente avviene che qualcuno di noi faccia la strada che
io sto percorrendo.
E bens vero che gi unaltra volta fui quaggi, richiamato dagli scongiuri di quella crudele Eritone che
faceva tornare le anime nei loro corpi,
Virgilio aveva nel Medioevo fama di mago. Nessuna tuttavia delle leggende che si erano formate intorno
alla sua figura accenna a questa discesa agli Inferi. E' probabile quindi che Dante abbia tenuto presente,
nell'immaginare questo primo viaggio di Virgilio fin dentro il cerchio pi profondo della voragione
infernale ( il nono, dove sono puniti i traditori), un passo della Farsaglia di Lucano, in cui detto che la
maga Eritone fece ritornare nel corpo l'anima di un soldato morto, per predire a Sesto Pompeo l'esito
della battaglia di Farsalo (VI, 507 sgg.).
Da poco tempo il mio corpo era privo dellanima, allorch costei mi fece entrare nella citt di Dite, per
fare uscire unanima del cerchio dove e dannato Giuda.
Quello il posto pi basso e pi buio, e pi lontano dal cielo che imprime il movimento alluniverso:
conosco bene il cammino; perci rassicurati.
Nella cosmologia della Commedia, il ciel che tutto gira , rispetto alla terra, l'ultimo dei nove cieli fisici. E'
chiamato Primo Mobile, perch da esso si trasmette il movimento a tutto il creato.
Lacquitrino da cui emana il grande fetore circonda tuttintorno la citt dei dannati, nella quale non
possiamo ormai entrare senza lotta.
Le informazioni che Virgilio fornisce in questo discorso al suo discepolo, sono state considerate da molti
come una digressione oziosa, la quale interromperebbe la tesa atmosfera drammatica che Dante aveva
saputo creare, con un crescendo di effetti, sin dal canto precedente. Cosi, ad esempio, il Porena ha
l'impressione che, soprattutto nella parte finale del suo discorso, Virgilio parli al discepolo solo per
"occuparlo e distrarlo in qualche modo".

Assai difficile riesce, tuttavia, aderire a simili opinioni, che risolvono, in modo troppo semplicistico e
ovvio, i non sempre facili problemi che pone l'interpretazione di questo e di altri passi della Commedia. In
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/nonoi.htm (2 di 9)08/12/2005 9.02.11

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particolare, per quel che si riferisce all'episodio di Eritone, in esso, scrive lo Zannoni, "il mondo mitologico
dona alla suggestiva vicenda del pellegrino medievale uno sfondo remoto di pi solenne, di pi oscuro, di
pi alto mistero" e, possiamo aggiungere, preannuncia l'apparizione delle figure mitologiche destinate a
svolgere un ruolo cos importante nel canto. Inoltre il tono pacato e didascalico con il quale il poeta latino
fornisce a Dante ragguagli sulla palude che'l gran pazzo spira, serve a mettere maggiormente in rilievo la
drammaticissima sostanza delle terzine successive.
E disse altre cose, ma non le ricordo; poich lo sguardo mi aveva tutto portato verso lalta torre dalla
cima arroventata, dove allimprovviso si erano levate tutte nel medesimo istante tre furie infernali
imbrattate di sangue, che avevano corpo e atteggiamentodi donna, e portavano annodati intorno al corpo
serpenti dacqua dintenso color verde; per capelli avevano serpentelli e serpenti muniti di corna, che ne
cingevano le spaventose teste,
Le Furie o Erinni, figlie di Acheronte e della Notte, erano, nella mitologia, le dee della vendetta e del
rimorso. Esse perseguitavano il colpevole fino a fargli perdere il lume della ragione. La loro
rappresentazione, in questi versi dell'Inferno, di una potenza mai raggiunta dai poeti dell'antichit. Ci
dovuto proprio al fatto che in queste, come nelle altre figure della mitologia, Dante sa infondere un
significato morale nuovo, derivante dalla sua profonda fede. Qui, ad esempio, le Furie non sono vedute
soltanto nel loro aspetto negativo, come emblemi cio di un male dal quale non ci si riscatta, ma anche
nel loro aspetto positivo: esse sono s ostacoli a quell'itinerarium mentis in Deum, che il viaggio nell'al di
l dei due poeti simboleggia, ma ostacoli concepiti anzitutto come strumenti di perfezionamento morale.
Tale il senso pi profondo di questa allegoria del male, al di l di ogni interpretazione troppo particolare
di essa. I critici hanno concordemente sottolineato la perfetta riuscita fantastica ed espressiva di questa
creazione dell'arte di Dante, rilevando il carattere convulso e irreale di questa visione d'incubo.
E Virgilio, che non aveva tardato a riconoscere le ancelle della regina (Proserpina) dellinferno, mi disse: "
Ecco le implacabili Erinni.
Dalla parte sinistra Megera; quella piangente, a destra, Aletto: nel mezzo c Tesifone"; ci detto,
tacque.
Ciascuna si lacerava il petto con le unghie; si percuotevano con le mani aperte e urlavano cos forte, che
per la paura mi strinsi a Virgilio.
"Venga Medusa: cosi lo faremo diventare di pietra" dicevano tutte quante guardando verso il basso: "fu
male non punire nella persona di Teseo lassalto (portato al regno delloltretomba). "
Medusa, altra figura mitologica, era una delle tre Gorgoni, figlie del dio marino Forco; fu uccisa e
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decapitata da Perseo. La sua testa trasformava in pietra chi la guardava.


Un'antica leggenda greca narrava della discesa nel regno dei morti dell'eroe Teseo, il quale vi era
penetrato per rapire Proserpina, regina del mondo sotterraneo. Fatto prigioniero dalle potenze delle
tenebre, era stato in seguito liberato da Ercole (Virgilio- Eneide Vl, 392 sgg.).
"Voltati e tieni gli occhi chiusi; poich se Medusa appare e tu la vedessi, non ti sarebbe pi possibile
tornare sulla terra. "
Cos parl Virgilio; ed egli stesso mi fece voltare, e non si accontent che io mi coprissi gli occhi con le
mie mani, ma volle coprirmeli anche con le sue.
O voi che avete le menti non ottenebrate, contemplate linsegnamento che si nasconde sotto il velo dei
versi misteriosi.
L'insegnamento morale cui Dante esplicitamente allude in questa terzina ha dato luogo alle pi disparate
interpretazioni. Tra le opinioni degli antichi commentatori le pi interessanti sono quelle del Lana, che
vede simboleggiata in Medusa l'eresia, che "fa diventare 1'uomo pietra, perch lo eretico vuole pi
credere alle sensualitadi che alla Sacra Scrittura'' e di uno dei figli del Poeta, Pietro, per il quale Medusa
una raffigurazione allegorica del terrore.

Le Furie, simbolo dei rimorsi, invocando Medusa, cercano, secondo Pietro di Dante, di paralizzare col
terrore l'animo e la mente del Poeta, per impedirgli l'accesso al basso inferno.

Fra i moderni lo Scartazzini ha visto nelle Erinni il simbolo della mala coscienza e in Medusa quello del
dubbio, "che ha la virt di rendere l'uomo insensibile come pietra". Una spiegazione assai convincente di
tutta la scena delle Erinni ci data dallo Steiner: "Le Furie, i rimorsi, condurrebbero Dante a guardare la
testa della Medusa, cio a impietrarsi nello stato della disperazione: Virgilio, la ragione corretta dalla
fede, vuole che Dante guardi le Erinni, cio che ascolti la voce del rimorso, ma non guardi la Gorgone,
cio non vuole che cada per questo nella indifferenza del disperato, che poi ricade nuovamente, secondo
la sentenza di San Paolo, nella vita sensuale, senza riscattarsi mai pi".
E gi si stava avvicinando sulla superficie fangosa della palude un rumore fragoroso e terrificante, che
faceva tremare sia luna che laltra riva dello Stige,
non diverso da quello di un vento reso violento dal calore delle masse daria (che trova sul suo
cammino), il quale colpisce la foresta e senza che nulla possa trattenerlo
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

spezza i rami, li scaglia a terra e li trascina fuori (della selva); avanza imponente, in una nuvola di
polvere, e causa la fuga dei greggi e dei pastori.
Dante, con gli occhi ancora coperti dalle mani di Virgilio, ode approssimarsi come un uragano; in tal
modo, con questa impressione di maestosa ed inarrestabile potenza, si preannuncia al pellegrino
smarrito l'arrivo dell'angelo che aprir le porte della citt di Dite e che, sul piano dell'allegoria,
simboleggia l'intervento della Grazia nel punto in cui la ragione (Virgilio) non riesce ad impedire che
l'anima disperi. La similitudine del vento impetuoso gi negli autori dell'antichit (Virgilio, Stazio,
Lucano) pi cari al Poeta, ma egli la ricrea interamente, arricchendola di tratti realistici, che testimoniano
un appassionato spirito di osservazione della natura.

Nota giustamente il Gallardo, a questo proposito, che in Dante, diversamente da quanto avveniva nella
poesia classica, spesso "I'immagine poetica non si basa solo sull'osservazione del fenomeno e dei suoi
effetti", ma anche su quella delle cause. Qui, ad esempio, Dante non si contenta di caratterizzare il vento
attraverso quella che appare la sua qualit pi rilevante (l'impeto), ma specifica anche il motivo del
determinarsi di questa qualit (li avversi ardori).
Questo spirito di osservazione e l'insaziato interesse per tutti gli aspetti del mondo visibile, tipici di
Dante, fanno s che, anche ove lo spunto iniziale di una sua immagine libresco, egli riesca sempre a
dare a questa immagine la freschezza di una cosa viva e reale. Tra i critici che si sono pi attentamente
soffermati su questa similitudine, il Momigliano ha osservato come fin dall'inizio (e gi...) essa sia colma
di religiosa aspettazione, rilevando altres nel verso dinanzi polveroso va superbo "una delle pi
stupefacenti sintesi poetiche di Dante".

Sempre a proposito di questo verso il Sapegno ha indicato in esso, e particolarmente nell'attributo


superbo, il trasferirsi sul piano psicologico di un dato della realt esteriore, con il quale "l'attenzione del
lettore riportata dal paragone alla cosa paragonata, dal vento al messaggero in cui s'incarna il volere
dell'Onnipotente". Anche qui, come altrove nel poema, la natura profondamente penetrata di ragioni
umane, senza con ci perdere nulla della sua concretezza; anche qui stato d'animo e mondo visibile sono
cos perfettamente fusi da apparire inscindibili.
Virgilio mi liber gli occhi (che erano coperti dalle sue mani) e disse: "Dirigi adesso la forza del tuo
sguardo sulla superficie schiumosa dellantica palude, verso quella parte dove la nebbia pi molesta".
Come le rane allapparire della biscia, loro nemica, si disperdono tutte nel lacqua, fino ad appiattirsi
ognuna contro terra, cos vidi innumerevoli dannati darsi alla fuga allavvicinarsi di qualcuno che
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

attraversava camminando lo Stige senza bagnarsi neppure le piante dei piedi.


Anche la similitudine con le rane, gi presente in Ovidio (Metamorfosi VI, 370-381), rivive in Dante con
tanta concretezza di determinazioni, da risultare cosa nuova e del tutto originale. La fuga delle rane
all'avvicinarsi della biscia, oltre a costituire un quadro a se, serve, come ha osservato il Sapegno, "a
portare ancor pi sul piano della realt" la figura sovrannaturale dell'inviato dal cielo, senza per questo
privarla della sua grandezza.
Allontanava dal suo viso la fitta nebbia, muovendo spesso davanti a s la mano sinistra; e sembrava
infastidito soltanto da questa preoccupazione.
Il gesto con cui l'angelo allontana da s la densa caligine infernale esprime assai pi il carattere del
personaggio, un essere sceso dal mondo della perfezione e della luce in quello della irrimediabile
disarmonia e del buio di quanto non far l'aspro rimprovero che rivolger fra poco agli angeli ribelli, Pochi
tratti bastano a Dante per dar vita ai suoi personaggi: la sua soprattutto un'arte di concentrazione e di
sintesi.
Compresi facilmente che era inviato dal cielo, e mi volsi a Virgilio; ed egli mi fece intendere con un cenno
che dovevo restare tranquillo ed inchinarmi davanti a lui.
Ahi come mi sembrava pieno di sdegno! Giunse alla porta (di Dite) e, toccandola con una piccola verga,
la apr senza incontrare alcun ostacolo.
Con una verghetta: il diminutivo mette in risalto l'estrema facilit con cui l'angelo riesce ad avere ragione
dell'impedimento opposto dalle forze del male al proseguimento del viaggio dei due poeti. Egli non tocca
la porta della citt di Dite con le proprie mani (anche questo particolare contribuisce a farcelo apparire
distaccato da tutto l'orrore che lo circonda), ma con un piccolo scettro, quasi a riaffermare su di essa il
potere assoluto di Colui che lo ha inviato.
"O espulsi dal cielo, stirpe disprezzata", prese a dire sullo spaventoso limitare, " da dove viene questa
tracotanza che si raccoglie in voi ?
Perch vi opponete a quella volont (la volont di Dio) il cui compimento non pu mai essere ostacolato,
e che pi di una volta ha accresciuto il vostro dolore?
A che serve opporsi ai decreti divini ? Se ben ricordate, il vostro Cerbero, per questa ragione, ha tuttora
privi di pelo la parte inferiore del muso e il collo. "
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Secondo il racconto di Virgilio (Eneide VI, 395-396 ), Ercole, sceso nell'Ade, vinse e incaten Cerbero. I
critici sono concordi nel giudicare il rimprovero dell'angelo ai custodi della citt di Dite assai meno
efficace dei versi che solo indirettamente ne suggerivano la figura. Precisandosi, questa viene a perdere
quell'aura di mistero con cui si era preannunciata da lontano alla fantasia del Poeta. Il ministro della
volont di Dio qui indulge forse ad una polemica troppo umana.
Poi torn indietro ripercorrendo il sozzo cammino, e non ci rivolse neppure una parola, ma assunse
laspetto di uno che assillato e stimolato da una preoccupazione diversa da quella di colui che gli sta
davanti; e noi ci incamminammo verso la citt, rassicurati dopo le sante parole da lui dette.
Entrammo in essa senza incontrare opposizioni; e io, che desideravo osservare lo stato delle cose
contenute dentro quelle mura fortificate, non appena entrato, mi guardai dattorno; e vidi da ogni parte
una grande pianura colma di dolore e di supplizi crudeli.
Il paesaggio sinistro delle mura della citt di Dite, davanti alla quale si svolto il dramma dell'anima
tentata dalla disperazione, cede il posto, una volta che i due viandanti sono entrati in questa citt, a una
natura diversa, di uno squallore desolato, in cui predominano le linee orizzontali. "La grande campagna osserva il Momigliano - piena di lamenti: ma non si vede un'anima; di qui un'impressione sospesa, che
tanto pi sensibile dopo la scena affollata e mossa di prima."
Come ad Arles, dove la corrente del Rodano (sfociando nel mare) si arresta, e come a Pola, presso il
golfo del Quarnaro che delimita lItalia e ne bagna i confini,
le tombe rendono tutto il terreno vario, cos facevano qui in qualsiasi punto, solo che la forma della
sepoltura era pi angosciosa;
poich fra i sepolcri erano sparse fiamme, a causa delle quali erano tanto roventi, che nessunarte (di
fabbro) chiede che il ferro lo sia di pi.
Ad Arles, in Provenza, e a Pola, erano ben visibili nel Medioevo i ruderi di vaste necropoli romane. Si
diceva che quella di Arles fosse sorta miracolosamente nel corso di una sola notte per consentire a Carlo
Magno di seppellire i suoi soldati morti in uno scontro con gli infedeli.
Il richiamo a questi cimiteri abbandonati precisa da vicino la visione che si offre agli occhi di Dante e le
conferisce al tempo stesso una sua mesta solennit.
Le pietre tombali erano tutte sollevate, e uscivano dai sepolcri lamenti cos disperati, che parevano
davvero (lamenti) di infelici e di suppliziati.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

E io: "Maestro, quali sono quelle turbe che sepolte dentro quelle tombe, si fanno udire attraverso i loro
dolorosi gemiti ? "
E Virgilio: "Qui si trovano i capi di eresie con i loro seguaci, di ogni setta, e i sepolcri sono molto pi pieni
di quanto tu creda.
Collocati fra i cerchi degli incontinenti e quelli del basso inferno, gli eresiarchi costituiscono una Categoria
a s.

Il fuoco che li tormenta negli avelli arroventati pu forse essere messo in relazione con quello dei roghi a
cui venivano condannati sulla terra, o meglio, in base ad un pi sottile contrappasso, con le " fiammelle
sotto la cui forma discese agli Apostoli lo Spirito Santo, infondendo in essi l'ardore della vera fede: di che
tutti questi dannati furono privi" (Chimenz).
Un nesso profondo unisce, come osserva il Bozzetti, il significato del posto assegnato a queste anime con
quello del grande dramma allegorico che si concluso con l'entrata dei due poeti nella citt di Dite: "Il
controllo della ragione (Virgilio) non stato sufficiente alla vittoria e ha dovuto intervenire la Grazia.
Orbene, qui, negli eretici delle arche infuocate, sulla linea di confine fra i peccatori per incontinenza e i
peccatori per malizia, sono puniti gli esseri che non offesero Dio altro che per essersi privati
volontariamente della sua Grazia".
I seguaci di una stessa eresia sono sepolti insieme, e i monumenti sepolcrali sono ora pi ora meno
caldi". E dopo essersi volto a destra,
ci incamminammo fra il luogo dei supplizi e le alte mura.
Poich i due pellegrini, nello scendere da un cerchio al successivo, girano sempre alla loro sinistra, si
voluto vedere anche in questo particolare un significato simbolico. Solo qui, e quando si dirigono verso il
gruppo degli usurai (canto XVII, 31), Dante e Virgilio girano a destra.
Lo Scartazzini, a questo proposito, osserva che "l'andare a man destra si prende per segno o simbolo di
dirittura, lealt, sincerit, schiettezza". .
2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO X
Ora il mio maestro avanza per uno stretto sentiero, tra il muro che cinge la citt e i sepolcri roventi, e io
lo seguo.
"O virt eccelsa (Virgilio), che mi conduci, come tu vuoi, attraverso i cerchi degli empi" presi a dire,
"parla ed esaudisci il mio desiderio.
Sarebbe possibile vedere i peccatori che giacciono dentro le tombe? tutti i coperchi, infatti, sono sollevati,
e nessuno fa ad essi la guardia. "
La scenografia dei primi cerchi infernali si ispira ai grandi fenomeni naturali della terra: l'unico elemento
che distingue la bufera che mai non resta dei lussuriosi o la pioggia maledetta del terzo cerchio da una
bufera o da una pioggia reali, la loro durata infinita. Dio si manifesta appunto attraverso questo
carattere di eternit impresso a forme e movimenti altrimenti pienamente verosimili, in virt della loro
naturalezza, anche agli occhi di chi non riesca a vedere nella natura nulla che la trascenda. La stessa
osservazione pu ripetersi per la giostra degli avari e prodighi, che viene espressamente riallacciata dal
Poeta a un particolare, l'urto delle onde di due mari nello stretto di Messina, e che, indipendentemente da
questo accostamento, ha, del fenomeno naturale, la rigorosa periodicit e monotonia.
Ad accrescere l'orrore di questi spettacoli - orrore immediato e quasi fisico, non ancora pervaso nel
profondo da quella problematica religiosa e morale che trover le sue soluzioni pi ricche soltanto in un
secondo tempo - contribuisce il commento di grida e invocazioni con cui i dannati manifestano la
sopravvivenza in loro di un barlume di libert spirituale: la libert del dolore, del rifiuto, della bestemmia.
Ma nel quinto cerchio la sofferenza delle fangose genti muta: gli iracondi si troncano a brano a brano
senza che Dante accenni ad un solo lamento da loro emesso. Il dramma allegorico, che prelude all'arrivo
del messo celeste e che non gi pi traducibile in termini "naturali" con la stessa facilit con cui lo
erano gli spettacoli dei cerchi superiori, si svolge anch'esso in uno spazio che, per essere vuoto di suoni,
si arricchisce di risonanze spirituali e parla direttamente all'anima. Il paesaggio del cerchio degli eretici,
desolato nella sua quasi assoluta orizzontalit e cosparso di avelli aperti, sembra esso pure immerso nel
silenzio, nonostante il cenno ai duri lamenti di questi peccatori (Inferno IX, 122 ).
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Ma anche qui il silenzio non se non la condizione in cui meglio si ascolta la voce di Dio. La campagna
cosparsa di tombe evoca uno scenario da Giudizio Universale. Anche il particolare, solo in apparenza
secondario, del sentiero angusto che egli deve percorrere dietro la sua guida, accentua il senso di
solitudine e lo sbigottimento del Poeta. Da tale stato d'animo nascono gli appellativi, ora solenni ora
affettuosi, con cui Dante si rivolge in quest'apertura di canto a Virgilio, e tutto il tono sospeso delle sue
parole.
E Virgilio: "Tutte le tombe saranno chiuse quando (nel giorno del Giudizio Universale) le anime
torneranno qui dalla valle di Giosaft insieme ai corpi che hanno lasciato in terra.
In questa zona del cerchio hanno il loro luogo di sepoltura Epicuro e i suoi adepti, i quali credono che
lanima muoia insieme al corpo.
Il filosofo greco Epicuro (341-270 a. C.) aveva negato la sopravvivenza dell'anima al corpo, opinione
questa, come scrisse Dante nel Convivio ( Il, VIII, 8), "intra tutte le bestialitadi... stoltissima, vilissima e
dannosissima". Le sue teorie erano conosciute nel Medioevo soltanto indirettamente, attraverso gli
scrittori latini, e in modo incompleto; per tale motivo poterono essere qualificati "epicurei" tutti coloro
che si mostravano indifferenti in materia religiosa. In particolare i Ghibellini vennero spesso designati
come epicurei.
Perci ben presto dentro questo stesso cerchio sar data soddisfazione alla domanda che mi fai, e anche
al desiderio che mi nascondi ".
E io: "Mia buona guida, io non ti tengo celato il mio animo se non per parlare poco, e tu stesso mi hai
indotto a ci non soltanto ora".
"O Toscano che ancora in vita percorri la citt infuocata parlando in modo cos decoroso, abbi la
compiacenza di fermarti qui.
Il tuo modo di parlare rivela che sei nato in quella nobile terra alla quale forse arrecai troppo danno."
Il dannato che rivolge queste parole a Dante Manente, detto Farinata, degli Uberti. Nato a Firenze
all'inizio del secolo XIII, fu dal 1239 capo del partito ghibellino e come tale ebbe un ruolo di primo piano
nel determinare la cacciata dei Guelfi dalla citt nel 1248. Tornati questi nel 1251, dovette, a sua volta,
allontanarsi da Firenze insieme ai suoi seguaci. Trov rifugio a Siena, dove prepar la controffensiva
contro il partito avverso. I Guelfi fiorentini subirono nel 1260 una sanguinosa disfatta a Montaperti ad
opera dei fuorusciti ghibellini e dei Senesi comandati appunto da Farinata, Rientrato in patria, vi mori nel
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

1264. Dopo la sua morte, e in seguito alla definitiva disfatta del partito ghibellino in Italia, gli Uberti
furono messi al bando da Firenze e le loro case rase al suolo. Farinata, dopo la sua morte, fu processato
per eresia.
Nel Farinata dantesco i romantici videro soprattutto l'eroe tutto d'un pezzo, il prodotto di un'epoca ancora
barbarica, quasi un "superuomo" del Medioevo. In realt il suo carattere assai pi sfumato,
contraddittorio e umano; proprio in questa umanit la sua grandezza. Bene osserva il Romani, a
proposito di queste prime parole rivolte a Dante: "Nel violento impulso di affetto verso la sua patria, e nel
subitaneo crescere e innalzarsi dell'immagine di lei, Farinata intravede, forse per la prima volta, di non
averla in vita amata abbastanza, anzi di averle indegnamente recato offesa; e, in quell'impeto d'amore,
l'anima s'apre alla sincerit, e confessa nobilmente la sua colpa".
Questa voce si lev allimprovviso da uno dei sepolcri; mi avvicinai, intimorito, un po pi a Virgilio.
Ed egli mi disse: "Voltati: che cosa fai? Ecco l Farinata che si levato: lo vedrai interamente dalla
cintola in su ".
Dalla cintola in su tutto 'I vedrai: il De Sanctis interpretava questo verso in senso morale, come un
equivalente di: "lo vedrai in tutta la sua grandezza".
Il Barbi ha voluto invalidare questa esegesi, mostrando come espressioni del tipo "dalla cintola in su" e
"dalla cintola in gi", accompagnate a volte anche dalla specificazione "tutto", fossero comuni ai tempi di
Dante, per designare "la parte superiore o inferiore del corpo". Ma uno dei pregi pi rilevanti dell'arte del
Poeta sta appunto nel saper conferire un significato nuovo, pi ricco e profondo, ad espressioni che in
nulla sembrano scostarsi dal parlare comune.
Io avevo gi fissato il mio sguardo nel suo; ed egli stava eretto con il petto e con la fronte quasi avesse
linferno in grande disprezzo.
La rappresentazione di Farinata che si erge solitario e immobile in mezzo alla pianura del dolore, ha
ispirato le pi suggestive pagine del saggio del De Sanctis; questi, peraltro, non si soffermato
abbastanza su quanto di complesso e di tormentato c' nella figura di questo eroe, vincitore in terra, ma
definitivamente perdente agli occhi di Chi lo ha giudicato per l'eternit. Scrive il De Sanctis, a proposito
dell'"ergersi" di Farinata, che questo verbo " sublime non per il suo significato diretto, ma come segno
ed espressione d'una grandezza tanto maggiore quanto meno misurabile, dell'ergersi, dell'innalzarsi
dell'anima di Farinata sopra tutto l'inferno..."
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/decimoi.htm (3 di 10)08/12/2005 9.02.20

Divina commedia: Parafrasi Inferno

E le mani incoraggianti e sollecite ti Virgilio mi sospinsero fra le tombe verso quel dannato, con questa
esortazione: "Le tue parole siano misurate".
Non appena fui ai piedi della sua tomba, mi osserv un poco, e poi, quasi sprezzante, mi chiese: "Chi
furono i tuoi antenati ? "
C' un grande divario fra il tono appassionato, affabile e nobilmente ornato della preghiera che Farinata
ha poc'anzi rivolto a Dante e il tono brusco e imperioso con cui gli pone la domanda circa i suoi antenati.
Ma, come ha giustamente notato il Sansone, "l Farinata parlava a quell'ignoto concittadino, a colui che
gli rimenava alla memoria la sua terra, nell'inferno, li dov' una distanza immensa ed implacabile da ogni
cosa terrena. Qui si rivolge a un solo determinato Fiorentino, e sta guardingo come se preavvertisse il
nemico".
Io, che desideravo obbedire, non glieli nascosi, ma tutti glieli indicai; per cui egli sollev un poco le ciglia,
poi disse: "Furono acerrimi nemici miei e dei miei avi e del mio partito, tanto che per due volte li
debellai".
Farinata bandi due volte da Firenze i Guelfi (nel 1248 e nel 1260), ma dispersi suggerisce l'idea di una
sconfitta in battaglia (il che, se pu essere vero per la cacciata dei Guelfi nel 1260, in seguito allo scontro
di Montaperti, non lo certo per quella del 1248). Scrive il Romani, sempre in merito al tono che assume
questo termine guerresco nelle parole del Ghibellino: "Farinata non dice: In conseguenza della loro
inimicizia li combattei; ma semplicemente li dispersi: per lui il combattere i suoi nemici e il disperderli
sono una cosa sola; egli non conosce battaglia senza vittoria".
" Se furono mandati in esilio, tornarono da ogni luogo" gli risposi "sia la prima che la seconda volta; ma i
vostri non impararono bene larte del ritornare".
Dante rettifica l'espressione con cui Farinata ha accennato alla messa al bando degli Alighieri: essi non
furono dispersi, ma soltanto cacciati, mandati in esilio. Poi, da vero uomo di parte che si trova a dover
difendere l'onore politico della propria famiglia e l'integrit delle tradizioni domestiche, "gli ritorna quel
plurale [due fiate] distinto in due singolari [l'una e l'altra fata]; due colpi, l'uno appresso all'altro; e
niente pareggia il sarcasmo dell'ultimo verso [ma i vostri non appreser ben quell'arte] " ( De Sanctis).
A questo punto si lev dallapertura scoperchiata unombra accanto a quella di Farinata, visibile dal
mento in su: penso si fosse alzata sulle ginocchia.

http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/decimoi.htm (4 di 10)08/12/2005 9.02.20

Divina commedia: Parafrasi Inferno

L'ombra che interrompe, nel punto della sua pi alta tensione, il dialogo tra Farinata e Dante quella di
Cavalcante dei Cavalcanti, padre del poeta Guido, il migliore amico di Dante, che gli dedic la sua opera
giovanile, la Vita Nova. Cavalcante ebbe in vita fama di miscredente: in particolare, non avrebbe creduto
all'immortalit dell'anima. Guelfo, dette il suo consenso al fidanzamento del figlio Guido con Beatrice,
figlia di Farinata, allorch nel 1267 le due opposte fazioni tentarono una riconciliazione.

La figura di Cavalcante l'antitesi di quella di Farinata. La grandezza del capo ghibellino deriva, infatti,
dalla forza con cui egli riesce a dominare il dolore per la definitiva sconfitta dei suoi, la pena segreta del
suo fallimento umano (identificando patria e partito, ha creduto di agire per il bene della patria, mentre
non ha fatto altro che opporsi ad essa in nome di una fazione), e tale forza si riflette nel suo
atteggiamento statuario. Cavalcante, di fronte a questa statua, un'ombra, e delle ombre ha la
fuggevole inconsistenza. Come ha notato l'Agliana: "La figura di Cavalcante sembra dominata dal dubbio
sin dal suo primo apparire. Una condizione d'incertezza nella sua positura fisica, nello sguardo che egli
rivolge intorno, nella domanda che pone a Dante".
Guard intorno a me, come se avesse desiderio di vedere se con me cera qualcun altro; e dopo che ebbe
finito di dubitare,
tra le lagrime disse: "Se il tuo alto ingegno ti consente di attraversare la buia prigione infernale, dov
mio figlio? perch non con te? ".
L'ateo Cavalcante crede bastino, per visitare il regno dei morti, le sole forze umane (altezza d'ingegno);
ignora la dimensione della Grazia. Perch suo figlio Guido, anch'egli, come l'amico Dante, cultore di studi
filosofici, non con lui in questo viaggio? Guido Cavalcanti, pi giovane di qualche anno di Dante, fu con
l'Alighieri il pi cospicuo rappresentante della scuola poetica del dolce stil novo. Come studioso di filosofia
egli si interess soprattutto al pensiero dell'arabo Averro. Guelfo bianco, fu esiliato dai Priori, tra i quali
era anche Dante, nel giugno del 1300, a Sarzana. Mori due mesi dopo.
Ed io: "Non giungo per mio merito: Virgilio, che l mi aspetta, attraverso questo luogo mi conduce, se
riuscir a seguirlo, fino a colei (Beatrice, simbolo della fede) che il vostro Guido ebbe in dispregio".
Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno: uno degli endecasillabi pi controversi dell'intero poema. L
opinione oggi prevalente che in esso Dante contrapponga, al proprio interesse per la teologia
(simboleggiata nella Commedia da Beatrice), il disprezzo manifestato per questi studi dall'eretico ( e
forse ateo) Guido, seguace in ci del padre. Ecco dunque la ragione per la quale il figlio di Cavalcante non
ha potuto intraprendere anche lui il viaggio nel regno dei morti; questo viaggio non opera di una
volont e di una intelligenza umane; esso stato voluto in cielo; chi lo compie ha la fede.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Le sue parole e la qualit del supplizio mi avevano gi palesato il nome di questo peccatore; perci la mia
risposta fu tanto esauriente.
Alzatosi di scatto in piedi grid: "Come hai detto? egli ebbe? non vive pi? la dolce luce non colpisce pi i
suoi occhi? "
Quando si avvide di un certo indugio che io facevo prima di rispondergli, cadde nuovamente indietro e
non si mostr pi fuori.
E' bastato un verbo riferito al passato piuttosto che al presente (ebbe invece di " ha ") perch il padre
angosciato subito pensasse alla morte del suo Guido.

Le tre domande che rivolge a Dante per ottenere un chiarimento al suo dubbio non trovano risposta
immediata. Non occorre altro perch Cavalcante, sopraffatto dal dolore, cada come fulminato nella
tomba. Egli ha creduto che il silenzio di Dante significasse: " Tuo figlio non pi tra i vivi ", mentre il
Poeta in realt, come spiegher poi a Farinata, era tutto preso da un altro pensiero: "se Cavalcante
ignora che Guido ancora in vita, vuol dire che questi dannati non conoscono il presente, pur
conoscendo l'avvenire. Come pu la profezia di Ciacco accordarsi con questa cecit di Cavalcante nei
riguardi degli eventi contemporanei? "
Ma il magnanimo Farinata, a richiesta del quale mi ero fermato, non cambi espressione, n mosse il
collo, n chin il suo fianco;
e proseguendo il discorso di prima, disse: " Se hanno male imparato larte del ritornare, ci mi procura
un dolore pi grande di quanto non faccia la tomba in cui sto a giacere.
Farinata rimane insensibile allo strazio di Cavalcante perch - come osserva il De Sanctis - "egli non vede
e non ode, perch le parole di Cavalcante giungono al suo orecchio senza andare sino all'anima, perch la
sua anima tutta in un pensiero unico, rimastole infisso come uno strale, l'arte... male appresa, e tutto
quello che avviene fuori di s, come non avvenuto per lei". Ma nell'intermezzo, in cui racchiuso tutto
il dramma umanissimo di questo morto che, soggetto ai supplizi infernali, ad altro non pensa che alla
sorte del figlio rimasto sulla terra, l'atteggiamento di Farinata si approfondito, si fatto pi intimo e
raccolto: abbiamo lasciato l'uomo di parte per ritrovare solo l'uomo. Un nuovo dolore si aggiunto a
quelle pene infernali che egli ostentava poco fa di tenere in nessun conto: il dolore per l'arte... male
appresa. Il superbo Farinata non ha riguardo adesso di confessare la sua sofferenza "con un verso fatto
sublime dalla terribile antitesi di due strazi ugualmente sconfinati: ci mi tormenta pi che questo
letto" (Parodi).
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/decimoi.htm (6 di 10)08/12/2005 9.02.20

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Ma il volto della donna che qui governa non si riaccender nemmeno cinquanta volte, che tu stesso
apprenderai quanto sia dura larte di ritornare in patria.
L'esilio che qui Farinata predice a Dante menzionato indirettamente, nello stile oscuro delle profezie.
Richiamandosi alla mitologia, il Poeta definisce la luna signora dell'inferno: essa infatti veniva spesso
identificata dagli antichi con Proserpina, moglie di Plutone, re dell'Ade. Il senso delle parole di Farinata
questo: " non trascorreranno nemmeno cinquanta mesi lunari da ora fino al momento in cui dovrai
rassegnarti alla tua condizione di esule " (dall'aprile 1300, anno in cui avviene l'immaginario viaggio, al
giugno 1304, quando Dante si stacc dai Bianchi, insieme ai quali aveva fino allora tentato di rientrare in
Firenze).

Ancora il Parodi analizza con grande finezza, in rapporto alla profezia contenuta in questa terzina, il
progressivo umanizzarsi della figura di Farinata: "mentre nell'annunziare a Dante la sua prossima
sventura dovrebbe provare una soddisfazione o quasi un sollievo, costretto a riconoscere che il dolore
purtroppo non risparmia nessuno, onde il colloquio viene ad assumere un tono sempre pi pacato".
E voglia il cielo che tu possa ritornare nel mondo dei vivi, dimmi (per questo augurio che ti faccio):
perch il popolo fiorentino cos spietato in ogni sua legge contro quelli della mia famiglia? "
Gli risposi: " La crudelissima strage che tinse del colore del sangue il fiume Arbia, fa prendere tali
decisioni nelle nostre assemblee ".
L'Arbia il fiume che scorre presso Montaperti. In uno scritto dell'epoca detto che nel giorno della
battaglia, tutte le strade, e poggi e ogni rigo d'acqua pareva un grosso fiume di sangue.
Tali orazion la lar nel nostro tempio: non da credere che nelle chiese di Firenze, come hanno sostenuto
alcuni, si tenessero suppliche di deprecazione contro i discendenti di Farinata. Tutta l'espressione ha un
senso traslato, che tuttavia "aggiunge qualcosa al nudo senso letterale, trasfigurandolo: d la
rappresentazione concreta dell'avversione generale diffusa nel popolo contro gli Uberti" (Malagoli).
Dopo aver sospirato e scosso la testa, disse: " Non fui io solo a provocare questa strage n certamente
senza un motivo mi sarei mosso insieme agli altri esuli.
Ma fui io solo, l dove fu da tutti tollerato che Firenze venisse rasa al suolo, colui che la difesi
apertamente "
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Come tutti i dannati, anche Farinata, inappellabilmente giudicato agli occhi di Dio. cerca di addurre
ragioni umane per giustificare il proprio operato di fronte a Dante (a ci non fu' io sol... n certe sanza
cagion ... ). Ma tutte queste giustficazioni passano in seconda linea di fronte a quello che costituisce il
maggior titolo di Farinata alla riconoscenza dei posteri: l'aver perorato senza infingimenti la causa della
sua citt allorch, nel convegno di Empoli, subito dopo la vittoria di Montaperti, tutti i Ghibeilini toscani
ne decretarono la distruzione. Fu proprio per l'opposizione di Farinata che questo spietato provvedimento
fu alla fine respinto. Anche uno storico guelfo come Giovanni Villani ha parole di elogio per
l'atteggiamento preso in quell'occasione da Farinata. che non esita a paragonare al "buonoantico
Cammillo di Roma" (VI, 81).
"Deh, possa aver pace un giorno la vostra discendenza " lo pregai, "scioglietemi (in nome di questo
augurio) quel dubbio che in questo cerchio ha confuso le mie idee.
Sembra che voi prevediate , se intendo bene, quello che il tempo porta con s (il futuro), ma per il
presente vi trovate in una condizione diversa. "
" Noi vediamo " disse " come colui che ha la vista difettosa, le cose che sono da noi lontane; di tanto
ancora ci illumina Dio.
Quando esse si avvicinano o sono presenti, la nostra mente non ci di nessun aiuto; e se qualcun altro
non ci porta notizie, non sappiamo nulla del vostro stato sulla terra.
Quale differenza tra il Farinata che pareva avere l'inferno in gran dispitto e il Farinata che adesso,
consapevole della sua condizione di dannato, parla con tanta reverenza di Dio! Questa ultima parte del
canto stata generalmente giudicata impoetica dai critici, ma a torto: l'umilt di Farinata di fronte al
sommo duce il punto d'approdo necessario di quel processo di interiore approfondimento, di
meditazione sul dolore, che, lungi dal diminuirne la figura, la completa, dando un significato etico e
religioso alla monumentalit un po' schematica della sua presentazione iniziale. Anche il superbo Farinata
testimonia la grandezza di Dio. Il Poeta, che lo ha innalzato su un piedistallo di gloria, lo ha portato a
riconoscere la vanit della sua come di tutte le glorie umane, ove non siano illuminate dai valori che
trascendono l'umano metro di giudizio.
Puoi pertanto capire come la nostra conoscenza sar del tutto offuscata dal momento in cui (dopo il
Giudizio Universale) la porta del futuro si chiuder. "
Un sottile contrappasso adombrato nella pena morale che si aggiunge ai tormenti che straziano gli
epicurei nelle loro arche infuocate: essi, che in vita non hanno prestato fede che alle cose visibili,
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presenti davanti ai loro occhi, ora non possono percepire che il futuro, gli eventi che infallibilmente si
preparano nella prescienza di Dio.
Allora, come punto dal rimorso per una colpa da me compiuta, parlai: " Ora direte dunque allombra che
ricaduta (nel sepolcro) che suo figlio ancora unito ai vivi;
e riferitele che, se pocanzi tacqui invece di risponderle, lo feci perch gi stavo pensando al dubbio che
mi avete chiarito ".
Ormai Virgilio mi stava richiamando; perci con maggior sollecitudine pregai Farinata che mi facesse i
nomi dei suoi compagni di pena.
Mi disse: " In questa parte del cerchio giaccio con moltissimi altri: qui dentro ci sono Federico Il, e il
Cardinale; e taccio dei rimanenti ".
Su Federico Il di Svevia, vissuto e morto in fama di eretico (anche Dante, che pur mostra di stimarlo,
avvalla nel Convivio questa opinione), uno storico dell'epoca scrisse che era epicureo e che poneva ogni
sforzo nel cercare di dimostrare, servendosi di passi della Sacra Scrittura, che l'anima mortale.
Il Cardinale il vescovo ghibellino di Bologna, Ottaviano degli Ubaldini, morto nel 1273.
Gli antichi commentatori sottolineano concordi la sua miscredenza. A proposito dell'anima sosteneva,
riferisce il Lana , che, seppure esiste, egli l'aveva perduta per essersi fatto ghibellino.
Poi si nascose (nel sepolcro); ed io mi diressi verso Virgilio, riandando col pensiero a quella profezia che
mi sembrava ostile.
Egli sincammin; e poi, mentre procedevamo, mi chese: " Perch sei cos turbato? " E io risposi alla sua
domanda.
"La tua memoria serbi ci che di ostile ti stato predetto " mi ingiunse Virgilio. "Ed ora fa attenzione a
queste parole " ed alz lindice:
" quando ti troverai in presenza della soave luce che si sprigiona da colei (Beatrice) che vede tutte le
cose, apprenderai da lei il corso della tua vita. "
Poi si diresse verso sinstra: ci allontanammo dal muro e procedemmo, verso la parte centrale del cerchio
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seguendo un sentiero che terminava in un baratro


il quale faceva giungere fin lass il suo puzzo nauseabondo.
2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO XI
Sullorlo di un alto pendio, formato da grandi macigni spaccati disposti circolarmente, Giungemmo al di
sopra di una folla sottoposta a pi dolorosi tormenti;
e qui per lo spaventoso insopportabile fetore che esala il basso inferno, cercammo riparo dietro il
coperchio
di una grande tomba, sul quale vidi la seguente iscrizione: " Custodisco papa Anastasio, che Fotino
allontan dalla giusta strada ".
Secondo una tradizione diffusa nel Medioevo, Anastasio II, pontefice dal 496 al 498, sarebbe incorso
nell'ira di Dio per aver aderito all'eresia monofisita (secondo la quale la persona del Cristo aveva accolto
in s una sola natura, quella umana) in seguito ai suggerimenti di Fotino, diacono di Tessalonica.
"Occorre che la nostra discesa sia ritardata, in modo che prima il nostro olfatto si abitui un poco alla
pestifera esalazione; dopo non dovremo pi prendere, riguardo ad essa, alcuna precauzione."
Cos parl Virgilio; e io gli dissi: "Trova un compenso (alla nostra sosta), in modo che il tempo non scorra
inutilmente ". E Virgilio: " E proprio ci a cui sto pensando".
La richiesta che qui Dante rivolge al maestro non si ispira al concetto che occorre in un modo qualsiasi
riempire il tempo per sfuggire alla noia, ma alla profonda concezione morale secondo la quale siamo
responsabili di fronte alla nostra coscienza del tempo da noi speso male o nell'ozio. Il tempo prezioso
per colui che concepisce la vita anzitutto come dovere: perder tempo a chi pi sa pi spiace dir Virgilio
al discepolo durante l'ascesa del purgatorio (canto III, verso 78).
"Figliolo, allinterno di questa riva pietrosa" prese poi a dire "si trovano tre cerchi piccoli, (rispetto ai
precedenti), digradanti come quelli dai quali sei uscito.
Sono tutti pieni di anime dannate; ma perch poi ti sia sufficiente soltanto vederle (senza pi bisogno di
spiegazioni), odi in che modo e per quale motivo si trovano in essi stipate.
Lo scopo di ogni cattiva azione, che suscita ira in cielo, la violazione di un diritto, ed ogni scopo di
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questo genere (ogni ingiuria) offende qualcuno o con la violenza o con la frode.
Tre sono le fonti principali da cui Dante attinge i criteri che presiedono alla struttura morale e topografica
del basso inferno: Aristotile, il diritto romano e il pensiero scolastico nella formulazione di San Tommaso.
Qui in particolare i termini malizia e ingiuria sono usati in un'accezione specificamente giuridica: la "
malizia " quella disposizione al male, il cui fine, deliberatamente voluto e perseguito, l'infrazione
(iniuria: violazione di un diritto) di una legge fissata da Dio. La ingiuria pu essere perseguita e per
mezzo della violenza e per mezzo della frode: questa distinzione, fondamentale nel dritto romano, si
trova enunciata nel De Offlciis di Cicerone.
Ma poich la frode malvagit propria delluomo, essa spiace maggiormente a Dio; perci i fraudolenti
stanno in basso e sono sottoposti a tormenti maggiori.
La violenza comune sia agli uomini che agli animali; non cos la frode, il raggiro, l'inganno premeditato,
che si fondano sulla ragione e designano colpe specificamente umane. L'uomo si addentra tanto pi nel
male quanto pi consapevolmente e freddamente lo compie. Gi Aristotile aveva indicato, nella
consapevole partecipazione del raziocinio all'atto moralmente negativo, il criterio per distinguere le colpe
in base alla loro gravit.
Il primo dei tre cerchi interamente occupato dai violenti; ma poich si compie violenza contro tre specie
di persone, esso stato costruito e suddiviso in tre zone concentriche.
Si pu usar violenza contro Dio, se stessi, il prossimo, e precisamente tanto contro loro personalmente
quanto contro le cose che loro appartengono, come ti sar spiegato attraverso un ragionamento pi
chiaro.
La gravit dell'azione violenta cresce in misura proporzionale all'amore che il peccatore avrebbe dovuto
avere per la persona da lui offesa. L'amore per il prossimo naturalmente meno forte di quello per se
stessi; perci suicidi e scialacquatori si trovano in un girone pi basso - il secondo - di coloro che hanno
attentato all'integrit fisica e alle ricchezze altrui. Ma i pi gravi peccati di violenza sono quelli compiuti
contro Dio; infatti l'amore che la creatura deve al suo Creatore pi grande di quello che deve a se
stessa o agli altri. Nel terzo girone, il pi basso, quindi punita la violenza che offende Dio nella sua
persona (bestemmiatori).
Al prossimo si possono infliggere morte violenta e dolorose ferite, e ai suoi beni distruzioni, incendi ed
estorsioni dannose;
perci il primo girone punisce, divisi in gruppi (per diverse schiere), tutti quanti gli omicidi e chiunque
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/undicii.htm (2 di 7)08/12/2005 9.02.26

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colpevolmente ferisce, i saccheggiatori e i ladroni.


Si pu usar violenza contro se stessi e contro i propri averi; e perci giusto che nel secondo girone si
penta inutilmente
chiunque priva se stesso della vita, dilapida al gioco e sperpera le sue ricchezze, e (quindi) piange l
dove avrebbe dovuto essere lieto.
Dell'ultimo verso di questa terzina si danno due interpretazioni, a seconda del senso che si attribuisce
alla determinazione locale l; per alcuni, gli scialacquatori piangerebbero in terra dopo aver dato fondo a
tutte le loro sostanze; per altri, invece - e questa sembra l'esegesi pi aderente allo spirito del passo - il
pianto di questi violenti sarebbe la conseguenza della loro dannazione che li ha privati nell'al di l della
felicit eterna.
Si pu usare violenza contro Dio, rinnegandolo in cuore e apertamente bestemmiandolo, e recando
oltraggio alla sua bont nella natura;
perci il girone pi piccolo segna del suo marchio sia Sodoma sia Cahors, sia colui che parla disprezzando
Dio nel suo animo (il bestemmiatore).
I sodomiti (violenti contro natura) e gli usurai (violenti contro l'arte, intesa, in senso lato, come lavoro,
operosit) sono designati indirettamente in questa terzina attraverso i nomi delle due citt che,
nell'antichit e nel Medioevo, dovettero la loro celebrit a quei vizi. Nella Genesi (XIX, 24-25) narrata la
distruzione di Sodoma ad opera del fuoco celeste: i suoi abitanti si erano macchiati infatti del peccato
contro natura. La citt francese di Cahors godeva fama, ai tempi di Dante, di essere un covo di usurai.
Significativa in proposito la seguente frase del Boccaccio: "Come l'uomo dice d alcuno - egli Caorsino
- come s'intende ch'egli sia usuraio".
La frode, che offende ogni coscienza, pu essere usata tanto contro colui che si fida quanto contro colui
che non ha fiducia.
Questo secondo tipo di frode sembra distruggere soltanto il vincolo damore creato (tra gli uomini) dalla
natura; perci nel secondo cerchio (della citt di Dite, ottavo di tutto linferno) sono raccolti
i peccati di ipocrisia, adulazione e magia, falsificazione, latrocinio e simonia, seduzione, baratteria e colpe
ugualmente immonde.
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Laltro tipo di frode fa dimenticare sia il vincolo dellamore naturale, sia quello che ad esso si aggiunge in
seguito, dal quale nasce la fiducia specifica;
perci,nel cerchio pi piccolo, dove si trova il punto delluniverso occupato da Lucifero (Dite), chiunque
tradisce dilaniato da tormenti eterni. "
Anche la gravit della frode in rapporto alla persona che essa colpisce Meno grave appare quindi
l'inganno esercitato contro chi non ha particolari motivi per fidarsi, pi grave quello che si configura come
tradimento. Il vincolo che dovrebbe legare tutti gli uomini tra loro l'amore naturale, poich, come
Dante scrive nel Convivio (I, I, 8), Per natura "ciascun uomo a ciascuno uomo naturalmente amico". Ma
al vincolo comune dell'amore naturale si aggiungono vincoli pi specifici, come la parentela, la patria,
l'ospitalit, il beneficio ricevuto, l'amicizia. I fraudolenti contro chi non si fida infrangono il solo vincolo
dell'amore naturale, quelli contro chi si fida (i traditori) distruggono anche i vincoli umani che ad esso si
aggiungono e dovrebbero consolidarlo.
Nell'inferno di Dante i traditori, imprigionati nel ghiaccio dello stagno Cocito, occupano l'ultmo dei nove
cerchi.
Ed io: " Maestro, il tuo ragionamento si svolge con grande chiarezza, e descrive assai bene questo abisso
e le genti in esso contenute.
Ma spiegami: quelli della palude melmosa, quelli travolti dal vento, e quelli che la pioggia percuote, e
quegli altri che, incontrandosi, cos aspramente si insultano,
perch non sono puniti dentro la citt arroventata, se Dio li ha in odio? e se non li ha, perch si trovano
in tali condizioni ? "
Tra i peccatori elencati da Virgilio non hanno trovato posto gli iracondi (quei della palude pingue), i
lussuriosi (che mena il vento), i golosi (che batte la pioggia), gli avari e prodighi (che s'incontran con s
aspre lingue). Da ci Dante, nella falsa opinione che tutti i peccati siano riconducibili alla malizia, tratto
ad argomentare: se essi sono peccatori, dovrebbero trovarsi dentro la cinta di mura che delimita il basso
inferno; se invece non lo sono, perch sono in quel modo puniti?
Il Poeta, che vuole rappresentare tutta l'umanit, sembra prevedere i dubbi, le domande del lettore,
anche se talvolta, come in questo caso, la sua preoccupazione di offrire una risposta conferisce un tono
eccessivamente didascalico alla poesia.
Il Boccaccio sottolinea che "delirare" significa "uscire dal solco": l'affettuoso rimprovero della ragione a
Dante, il quale sembra dimenticare in questo momento quei principi filosofici che Virgilio subito gli
richiamer alla memoria.

http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/undicii.htm (4 di 7)08/12/2005 9.02.26

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Non ti ricordi delle parole con le quali IEtica, libro a te familiare, tratta a fondo le tre inclinazioni che Dio
disapprova,
lincontinenza, la malizia e la sfrenata bestialit? e di come lincontinenza offenda meno Dio, e attiri su di
s una condanna minore?
Se tu riesamini attentamente questa affermazione, e ricordi chi sono coloro che vengono puniti nella
parte alta dellinferno, fuori della citt di Dite,
Il pensiero di Aristotile era molto studiato nel Medioevo. Si riteneva che il grande filosofo greco avesse
trovato le risposte pi persuasive ed esaurienti a tutti i problemi che l'uomo pu risolvere servendosi
della sola ragione.
Nell'Etica Nicomachea Aristotile classifica il male in base alla maggiore o minore partecipazione della
volont cosciente al suo compimento. Virgilio, richiamando alla memoria del discepolo il capitolo primo
del libro VII, intende sottolineare la razionalit del criterio secondo cui sono distribuite le pene infernali.
Dio ci giudica, infatti, tenendo conto di quel lume naturale che in ciascuno di noi e che ci mette in grado
di distinguere con chiarezza il bene dal male e di agire conseguentemente.
comprenderai perch si trovino separati da questi malvagi, e perch la giustizia di Dio li
colpisca meno adirata ".
Virgilio ricorda al suo discepolo che nell'Etica Nicomachea di Aristotile gli atti peccaminosi non sono tutti
riconducibili alla malizia: il filosofo greco aveva infatti considerato non una, ma tre disposizioni
moralmente negative, l'incontinenza, la malizia e la bestialit. Ora, nei cerchi superiori dell'inferno sono
puniti i peccati d'incontinenza. Questa rappresenta una disposizione al male in quanto l'incontinente
portato a ricercare al di l del lecito cose che, di per se stesse, entro i limiti loro assegnati nell'economia
della creazione, sono un bene. Il peccato d'incontinenza quindi un peccato di dismisura. Per questo
esso si distingue radicalmente da quello di malizia, deliberatamente volto al male, ed punito al di fuori
della citt di Dite. Poich in questa sono presenti solo i peccati dovuti a malizia (divisi a loro volta, come
stato chiarito da Virgilio nella prima parte del canto, in violenza e frode), i commentatori si sono chiesti
in quale parte dell'inferno sia punita la matta bestialitade. Alcuni hanno voluto identificarla nella violenza
dei settimo cerchio, altri nell'eresia del sesto. Ma, come ha dimostrato il Nardi, l'Etica di Aristotile
menzionata da Virgilio a questo punto non tanto al fine di convalidare con l'autorit del maestro di color
che sanno l'intero ordinamento dell'inferno, quanto per dimostrare soltanto che l'incontinenza non pu
essere accomunata alla malizia, essendo peccato assai meno grave.
Nella partizione del peccati Dante ha fatto uso di due delle categorie stabilite da Aristotile, tralasciando la
terza (la bestialit).
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

"O luce che come sole liberi la vista (dellintelletto) da ogni offuscamento, mi riempi di tanta gioia quando
sciogli i miei dubbi, che il dubitare non mi meno gradito del sapere.
Le parole di Dante, che a prima vista possono apparire improntate a una certa retorica, esprimono invece
la gioia profonda dell'uomo che comprende, con il suo intelletto, la razionalit del creato e che ha la
sicurezza che ogni altro dubbio potr essere sciolto.
Torna ancora un po indietro " dissi, " nel punto in cui dici che lusura oltraggia la bont di Dio, e chiarisci
questa difficolt. "
"A colui che sa capirla " disse " la filosofia dimostra e non in un solo punto, come la natura prende origine
dalla mente e dallopera di Dio; e se tu leggi attentamente la Fisica (di Aristotile), a te ben familiare,
troverai, dopo non molte pagine,
che loperato umano imita, per quanto pu, la natura, come lalunno imita il maestro; tanto che il vostro
operare quasi nipote di Dio.
Il pensiero medievale sosteneva, d'accordo in ci con la speculazione degli antichi, che i prodotti del
lavoro umano (arte) avevano il loro fondamento nei prodotti della mente divina, nelle opere cio della
creazione (natura). L'uomo doveva quindi tendere, al fine di conferire valore sempre pi alto alle proprie
opere, ad imitare la natura, concepita appunto come il veicolo del Verbo divino, il suo ricettacolo in terra.
Essendo quindi l'arte una riproduzione della natura, ed essendo quest'ultima opera diretta di Dio, anche
l'arte, l'umana operosit, ha in Dio la sua origine e la sua legittimazione; perci se metaforicamente la
natura pu essere chiamata figlia di Dio, l'arte pu apparirne come la nepote. Con questa spiegazione
Virgilio intende chiarire al suo discepolo la sostanziale affinit che lega il peccato contro la natura a quello
contro l'arte: entrambi infatti, attraverso la natura e l'arte, offendono, per analoghe ragioni, Dio.
Se tu richiami alla tua memoria linizio del libro della Genesi, vedrai che dalla natura e dallarte che gli
uomini devono trarre i mezzi per vivere e migliorare le proprie condizioni;
e poich lusuraio segue un altro cammino, offende la natura in se stessa e nella sua imitatrice, affidando ad altro la sua
speranza.
Ma tempo ormai che tu mi venga dietro, poich ritengo che dobbiamo incamminarci; la costellazione
dei Pesci (che precede di tre ore lapparizione dellalba), infatti, sale scintillando sopra lorizzonte e quella
dellOrsa Maggiore si trova esattamente nella direzione del vento Cauro,
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

e si discende il dirupo assai pi in l."


Alla fine di questo canto dottrinale la poesia torna ad affermarsi in una precisazione cronologica (in terra
sta per spuntare il sole; un nuovo giorno comincer tra poco; tempo di riprendere il cammino) che fa
balenare per un attimo, sulla desolazione dello scenario infernale, la solenne maest del cielo stellato.
2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO XII
Il luogo in cui giungemmo per scendere lungo il dirupo era scosceso e, per di pi a causa di ci che in
esso si trovava (il Minotauro), tale, che ogni sguardo lo avrebbe evitato.
Quale la frana che a valle di Trento colp in una delle sue rive lAdige, o a causa di un terremoto o per
lerosione del terreno sottostante,
in modo che il pendio dalla vetta della montagna, dalla quale la frana si stacc, alla pianura cos
inclinato, da offrire una via di discesa a chi si trovasse in alto,
Dante precisa le forme del paesaggio infernale mediante riferimenti a luoghi della terra. Questi riferimenti
sono, condotti a volte con uno scrupolo che pu apparire scientifico, come qui, dove indicato non solo il
risultato, di un fenomeno (la particolare configurazione del terreno: s la roccia discoscesa), ma il
fenomeno stesso (la ruina che percosse l'Adige) e le sue pi probabili cause (terremoto o erosione del
terreno).
Come giUstamente osserva Montanari, occorreva vedere "in queste insistenze descrittive pi ancora che
la mentaIit realistica, esatta, scientifica di Dante, l'impegno verso il suo tema sentito come cosa
assolutamente seria e pi che poetica". Diversamente infatti che nelle altre visioni medievali
dell'oltretomba, dove l'elemento immaginativo prevale sempre su quello reale, nella Commedia, pi la
situazione irreale, fantastica, pi appare convalidata , dall'assoluta seriet con cui il Poeta la descrive.
In perfetto accordo con il pensiero cristiano, per Dante la vera realt l'oltretomba; essa, appunto
perch reale, appare dotato di leggi proprie e intimamente coerente con se stesso. Di qui la scientiflcit
di cui spesso l'elemento fantastico si colora in Dante.
La frana a sud di Trento, alla quale paragonato il dirupo che porta dal sesto al settimo cerchio, va
probabilmente identificata negli Slavini di Marco, dei quali una esatta descrizione in un passo del
trattato Sulle meteore di Alberto Magno.
tale era la discesa di quel burrone; e nella parte superiore della Costa franata giaceva distesa la
vergogna, dei Cretesi
che fu concepita nella finta vacca; e quando ci vide, morse se stesso, come colui che sopraffatto
internamente dallira.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/dodicii.htm (1 di 8)08/12/2005 9.02.33

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Il Minotauro, che per gli antichi era un uomo con la testa di toro, ma che Dante, equivocando forse
un'espressione di Ovidio ("uomo per met bovino, bove per met umano"), immagina come toro con la
testa di uomo, definito infamia in quanto rappresenta la testimonianza vivente del degradarsi
dell'umano nel bestiale. Sua madre Pasifae, moglie del re di Creta Minosse, presa d'amore per un toro, si
fece rinchiudere in una vacca d legno. Nato che fu, il Minotauro venne imprigionato in un luogo da cui
era impossibile uscire: il Labrinto. Nel Minotauro dantesco i richiami mitologici si fondono con il realismo
della scena colta dal vivo. Il simbolo (l'infamia) non resta confinato nell'ambito del riferimento dotto (la
leggenda di Parsifae), ma acquista concretezza, esprime una vitalt disperata nella descrizione del
mostro che prima morde se stesso, poi, quando l'ira al culmine (versi 22-24), saltella come il toro
morente.
Il mio saggio maestro gli si rivolse gridando: " Pensi forse di trovarti in presenza del signore dAtene, che
sulla terra ti diede la morte?
Allontanati, bestia: costui non giunge infatti guidato da tua sorella, ma si reca a vedere i vostri tormenti".
Osserva giustamente il Sapegno come le parole che Virgilio rivolge al Minotauro, mentre sembrano
volerlo rassicurare, in realt, richiamandogli alla memoria la sua cruenta uccisione e il tradimento della
sorellastra Arianna, figlia di Minosse, ne accrescono l'ira e "la portano a sfogarsi in gesti dissennati e
bestiali, sui quali facilmente. anche questa volta, avr il sopravvento l'astuta ragione dell'uomo"
Secondo una leggenda, Arianna aut Teseo a raggiungere il Minotauro perch lo uccidesse; e, affinch
l'eroe non si smarrisse nell'intrico del Labirinto, gli diede un gomitolo da dipanare lungo il suo cammino.
Come fa il toro che si scioglie dai nodi che lo legano nellistante in cui, mortalmente colpito, non pi
capace di camminare, ma barcolla qua e l,
tale io vidi diventare il Minotauro; e il sagace Virgilio grid: " Corri al punto di discesa; bene che tu
scenda, mentre infuriato ".
L'immagine del toro colpito a morte gi in Seneca e Virgilio. Questi autori, nel descrivere l'uccisione
dell'animale in occasione di un sacriflco agli dei, sanno infondere a tutta la scena un senso di nobile
piet. In Dante il quadro sembra ritrarre piuttosto la scena di un macello, e si concretizza in una
accentuazione dei tratti pi crudi e realistici. Come Cerbero, il Minotauro anch'esso animalit allo stato
puro, forza cieca che l'umana ragione non pu non disprezzare e deridere.
Cos ci avviammo attraverso lammasso di quelle pietre, che si muovevano spesso sotto i miei piedi per
linsolito peso.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/dodicii.htm (2 di 8)08/12/2005 9.02.33

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Dante ravviva sovente la narrazone del suo viaggio nell'al di l con osservazioni, come questa, solo in
apparenza insignificanti; in realt esse hanno tutte la funzione di insistere sulla singolarit della sua
esperienza nel mondo dei morti. Egli il vivo, dotato di consistenza e peso, nel regno degli spettri, egli
ha il potere, come osserver in questo stesso canto il centauro Chirone, di muovere ci che tocca. Questo
motivo si ripresenter diverse volte nel corso del poema e dar luogo, soprattutto nella seconda cantica,
a momenti di delicata poesia.
Procedevo meditabondo; e Virgilio disse: "Tu pensi forse a questa frana custodita da quella belva irosa
che ora ho reso inoffensiva.
Voglio dunque che tu sappia che la volta precedente, allorch scesi nella parte inferiore dellinferno,
questo pendio non era ancora franato.
Ma, se non mi inganno, senza dubbio poco prima della venuta di colui che tolse a Satana il glorioso
bottino del limbo,
il profondo abisso immondo trem in ogni sua parte tanto, che io credetti che luniverso fosse preso da
quellamore, a causa del quale alcuni ritengono
che pi di una volta il mondo sia ritornato nel caos; e allora questa antica rupe sub, in questo luogo e
altrove (nella bolgia degli ipocriti; Inferno XXI, 106-108), tale franamento.
Virgilio spiega al discepolo come il terremoto che determin la frana tra il sesto,e il settimo cerchio abbia
preannunciato la discesa di Cristo nel limbo, e la liberazione delle anime, in esso racchiuse, dei Patriarchi
dell'Antico Testamento. Tutto l'inferno trem; il poeta latino credette per un istante che l'universo stesse
per tornare nel caos primigenio.
Secondo la teoria del filosofo greco Empedocle, riportata e discussa da Aristotile nella Metafisica, il
mondo esiste infatti in virt dell'odio reciproco tra gli elementi costitutivi della materia; qualora a
quest'odio dovesse sostituirsi l'amore, essi si confonderebbero l'uno nell'altro, dando origine al caos.
Ma guarda attentamente in basso, poich si avvicina il fiume di sangue bollente in cui immerso
chiunque rechi danno ad altri con la violenza ".
O irragionevole avidit e ira sconsiderata, che a tal punto ci stimoli nella breve vita terrena, e poi in tanto
dolore ci immergi in quella eterna!

http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/dodicii.htm (3 di 8)08/12/2005 9.02.33

Divina commedia: Parafrasi Inferno

Vidi un largo fossato circolare, in quanto cinge tutto il piano (del settimo cerchio), secondo quello che
aveva detto il mio accompagnatore;
e tra la base del dirupo e questo fossato, dei centauri correvano raccolti in gruppo, armati di frecce,
come solevano fare sulla terra quando andavano a caccia.
I centauri, cavalli fino al busto e uomini dal busto in su, sono protagonisti, nelle leggende dell'antica
mtologia, di episodi di violenza (alle nozze di Piritoo la loro impulsivit provoca uno scontro armato coi
Lapiti; Nesso rapisce Deianira, ecc.), ma anche di episodi che ne mettono in rilievo i tratti umani e la
saggezza (Chirone istruisce Achille). Secondo l'opinione di antichi commentatori, come il Boccaccio e
Benvenuto da Imola, essi rappresenterebbero, per la legge del contrappasso, gli armigeri di cui i tiranni,
qui immersi nel sangue bollente, si sono serviti in vita per opprimere i loro sudditi. Ora, nell'al di l,
l'oggetto delle violenze di questi esecutori d'ordini sono i tiranni stessi. E' indubbio che nei loro
atteggiamenti, nel loro andare in gruppo, nella pronta obbedienza agli ordini di un capo, nella semplicit
imperiosa del loro linguaggio c' qualcosa di militaresco, ma si tratta di un elemento interamente calato
in una raffigurazione concreta, la quale non ha bisogno dell'aggiunta di interpretazioni allegoriche per
riuscire persuasiva. Opportunamente osserva in proposito il Sapegno: "Ia ragione morale non
sopravviene in Dante a limitare e impoverire la pienezza dell'immaginazione, sempre attenta alla
ricchezza e alla complessit del dato fantastico. Egli pu pertanto darci delle belle fiere una
rappresentazione attenta e vivacissima, tutta rivolta a far campeggiare quelle immagini di agilit e di
potenza fisica, di cui ricavava lo spunto da qualche verso di Virgilio, di Ovidio e di Stazio; con un'intensit
di rilievo plastico, che il segno del suo robusto realismo, alieno da ogni compiacimento meramente
estetistico e decorativo e sempre contenuto, e come trasportato, nel ritmo incalzante e grave del
racconto".
Vedendoci scendere, ciascuno si ferm, e tre di loro si separarono dalla schiera con archi e frecce scelte
in precedenza;
e uno grid da lontano: " Verso quale pena vi dirigete voi che scendete il pendio ? Ditelo dal punto in cui
vi trovate; altrimenti tendo larco ".
La minaccia di questo centauro, cos diversa dalle incomposte manifestazioni di sdegno e rabbia bestiale
degli altri guardiani infernali, esprime un'intelligenza pronta e decisa. I centauri non hanno nulla di
abbietto nella raffigurazione che ne fa il Poeta. Sono i ministri della giustizia divina, non i tormentatori
(come Cerbero) dei dannati. Il loro compito quello di far rispettare le leggi imposte da Dio
all'oltretomba, non di infliggere il dolore per il gusto perverso di fare del male. Tra i custodi dell'inferno
sono inoltre gli unici che si dimostrano in grado di sostenere un dialogo con Virgilio.

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Virgilio disse: " Risponderemo a Chirone quando vi saremo vicini: con tuo danno la tua volont fu sempre
cos impulsiva ".
Poi mi tocc, e disse: "Quello Nesso, che perdette la vita per amore della bella Deianira e vendic da s
la propria morte.
Il centauro Nesso, preso da amore per Deianira, moglie di Ercole, aveva tentato di rapirla; colpito a
morte dall'eroe, con una freccia avvelenata, aveva fatto dono a Deianira di una camicia intrisa del suo
sangue, facendole credere che aveva la virt di far innamorare chi la indossasse. Deianira, volendo
riacquistare l'amore di Ercole, che si era invaghito di Iole, ne fece dono al marito. Ma, non appena l'ebbe
indossata, l'eroe fu preso da spasimi atroci e dopo poco mor. In tal modo Nesso fu il vendicatore della
propria morte.
E quello che sta In mezzo, e tiene lo sguardo abbassato, il grande Chirone, che educ Achille; laltro
Folo, che fu cos iroso.
Chirone qui ritratto in un atteggiamento meditativo che concorda con quanto la leggenda ha
tramandato di lui (fu maestro di Achille). Folo, secondo quanto narra Ovidio nelle Metamorfosi (XII, 219
sgg.), invitato con altri centauri al banchetto per le nozze tra Piritoo e Ippodamia, tent di rapire la sposa
e le donne degli altri Lapiti.
Girano a migliaia intorno al fossato, colpendo con frecce qualsiasi dannato si trae fuori dal sangue pi di
quanto il suo peccato gli diede in sorte ".
Ci avvicinammo a quegli animali ve1oci: Chirone prese una freccia, e con la cocca trasse indietro la barba
sulle mascelle.
Il gesto di Chirone che, prima di parlare, si serve della freccia per allontanare la barba dalla bocca, ha in
s dell'umano e del ferino, ma resta un gesto nobile, che sottolinea la maest di questa figura. Tutta la
raffigurazione, dei centauri si ispira ad un senso vivissimo dei decoro esteriore.
Quando la grande bocca fu completamente libera disse ai compagni: "Vi siete accorti che colui che sta di
dietro un essere vivente ?
E Virgilio, che gi gli era di fronte, e arrivava allaltezza del suo petto, l dove le due nature (di uomo e di
cavallo) si uniscono,
rispose: " E veramente vivo, e a lui, a lui solo, devo mostrare linferno: ci spinge a ci la necessit, non il
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

piacere.
Dal cielo si mosse qualcuno che mi affid questo straordinario incarico: non un ladrone, n io sono
lanima di un ladro.
Ma in nome di quel potere divino, ad opera del quale percorro un cammino cosi impervio, dacci uno dei
tuoi, a cui possiamo stare vicini,
e che ci indichi il punto dove il fiume pu essere attraversato e trasporti costui sulla sua groppa, poich
egli non uno spirito che possa volare ".
Il tono di questa risposta di Virgilio a Chirone si differenzia nettamente da quello delle risposte date ai
guardiani dei cerchi superiori. Questi sono stati trattati finora, se non sempre con aperto disprezzo (come
Cerbero, Pluto e il Minotauro), con un'impazienza che non ammetteva repliche (nel caso di Caronte,
Minosse, Flegis). Qui, per la prima volta, Virgilio non si accontenta della solita formula, breve, solenne
ed enigmatica, per rivelare ad un ministro dell'inferno la volont di Dio. Egli tenta di convincete Chirone
della fondatezza delle sue ragioni, non di imporgliele dall'alto della sua superiorit intellettuale. Questo
perch in Chirone si esprime un'intelligenza forse "elementare ed aliena da sottigliezze" (Sapegno ),
quale quella che meglio si addice alla sua indole militaresca ed autoritaria, ma pronta ed acuta. Virgilio
crede quindi doveroso ricordare a Chirone gli antefatti della discesa di Dante nel regno dei morti
(l'incarico affidatogli da Beatrice), protesta l'innocenza propria e del suo compagno (non ladron, n io
anima fuia) e motiva (ch non spirto che per l'acre vada) la sua richiesta di una guida che indichi il
punto di pi facile guado del fiume.
Chirone si volse a destra, e parl a Nesso: "Volgiti indietro, e fa loro da guida, e fa scansare qualunque
altra schiera simbatta in voi".
Ci avviammo dunque insieme col sicuro accompagnatore lungo la sponda del sangue bollente, nel quale i
dannat emettevano grida laceranti.
Vidi una rnoltitudine immersa fino agli occhi; e Nesso spieg: "Essi sono tiranni che uccisero e
depredarono.
Qui si sconta il male arrecato agli altri senza piet; qui si trovano Alessandro, e il crudele Dionisio, che fu
causa alla Sicilia di anni dolorosi.
Alessandro potrebbe essere il tiranno di Fere, in Tessaglia, della cui crudelt parla fra gli altri Cicerone,
oppure il re dei Macedoni, che alcuni autori latini hanno descritto come un tiranno sanguinario (Seneca lo
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chiama "ladro e distruttore di popoli", Lucano lo definisce fortunato predone"), ma che Dante elogia tanto
nel Convivio quanto nella Monarchia. Questo peraltro non sarebbe motivo sufficiente per farci ritenere
impossibile la sua destinazione all'inferno; molti tra i personaggi della storia che il Poeta ammira
maggiormente sono infatti, nella Commedia, fra i reprobi, essendo i criteri della giustizia divina
necessariamente superiori a quelli del giudizio degli uomini.
E quella fronte coperta di cos neri capelli, (la fronte) di Ezzelino; quello biondo invece Obizzo dEste,
il quale davvero
fu ucciso in terra dal figlio snaturato ". Allora mi rivolsi a Virgilio, ed egli disse: " Nesso sia ora la tua
guida, io verr secondo ".
Ezzelino III da Romano, capo ghibellino e signore della Marca Trevigiana, morto nel 1259, definito da
uno storico di parte guelfa, il Villani, il pi crudele tiranno della cristianit (Cronaca VI, 72).
Obizzo II d'Este, marchese di Ferrara, fu, secondo una leggenda che qui Dante sembra voler confermare,
ucciso dal figlio Azio VIII nel 1293.
Poco pi oltre il Centauro si arrest presso una moltitudine che appariva immersa in quel bollore fino alla
gola.
Ci indic unombra isolata in un angolo e disse: " Quel dannato trafisse in chiesa il cuore che ancora
venerato a Londra ".
Guido, conte di Montfort, vicario in Toscana di Carlo I d'Angi, pugnal nel 1272, in una chiesa di Viterbo,
Arrigo, cugno del re d'Inghilterra Edoardo I, che gli aveva ucciso il padre. Sulla tomba di Arrigo, posta
sul ponte del Tamigi a Londra, una statua dorata, secondo quanto riferisce un antico commentatore,
Benvenuto da ImoIa, reggeva un calice contenente il suo cuore imbalsamato.
Vidi in seguito una moltitudine che teneva fuori del fiume il capo ed anche tutto il petto; e riconobbi
parecchi di costoro.
A questo modo il livello del sangue andava sempre pi diminuendo, fino a bruciare soltanto i piedi; qui
guadammo il fossato.
" Cos come vedi che il liquido bollente si abbassa progressivamente da questa parte " disse il Centauro, "
voglio che tu sappia

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

che dalla parte opposta il suo alveo diventa sempre pi profondo, finch si ricongiunge al punto dove
giusto che i tiranni espiino.
Da questaltra parte la giustizia di Dio punisce Attila che sulla terra fu strumento di dolore e Pirro e
Sesto; e per leternit spreme
le lagrime, che fa sgorgare con il supplizio del sangue bollente, a Rinieri da Corneto, a Rinieri dei Pazzi,
che resero cos pericolose le strade. "
Attila, re degli Unni dal 433 al 453, fu soprannominato, per la sua crudet, il " flagello di Dio".
Pirro qui, probabilmente, non il re dell'Epiro che mosse guerra ai Romani, ma Neottolemo, il
sanguinario figlio di Achille, uccisore, secondo quanto narra Virgilio nel secondo libro dell'Eneide (versi
526-558), del giovane Polite, figlio di Priamo, e poi di Priamo stesso.
Sesto probabilmente il figlio di Pompeo, datosi alla pirateria dopo la morte del padre.
Rinieri da Corneto fu un brigante ai tempi del Poeta, terrorizz tutta la Maremma.
Rinieri dei Pazzi di Valdarno, anch'egli un famoso ladrone di quei tempi, fu scomunicato da papa
Clemente IV e dichiarato ribelle dal comune di Firenze.
Poi si volt indietro, e riattravers il pantano.
2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO XIII

Nesso non era, ancora arrivato di l (dal guado), quando noi entrammo in un bosco che non aveva
alcuna traccia di sentieri.
Non cerano foglie verdi, ma di colore scuro; non rami lisci e diritti, ma nodosi e contorti; non frutti, ma
spine con veleno:
quegli animali selvaggi che (in Maremma) tra il fiume Cecina e la localit di Corneto odiano i luoghi
coltivati, non hanno (per loro dimora) macchie cos irte e pungent e cos folte.
Il bosco rigido, scheletrico, innaturale; l'armonioso scorrere della vita qui fissit, desolazione, morte.
Fosco il colore delle fronde; aggrovigliati e come rivolti contro se stessi ('nvolti) i rami; infine la
cattiveria: spine avvelenate, strumenti di dolore. L'antitesi, ripetuta tre volte, suggerisce l'innaturalit del
paesaggio. Questo a sua volta come un'introduzione a una tragedia innaturale: il suicidio. Come ha
finemente osservato il Sapegno, lo stile elaborato e aspro di questo canto si accorda, fin dalle terzine
iniziali, "con un proposito di strane e orrende fantasie, in cui si rifletta e prenda consistenza poetica
l'incubo d una tragedia che trascende la norma comune dell'umano sentire".
Qui fanno i loro nidi le sozze Arpie, che costrinsero alla fuga dalle isole Strofadi i Troiani con la funesta
profezia di mali futuri.
Le Arpie, mostri della mitologia classica, per met donne e per met uccelli, cacciarono i Troiani di Enea
dalle isole Strofadi con la profezia della fame che essi avrebbero dovuto sopportare nel viaggio verso le
rive dei Lazio (Virgilio -Eneide III, 209 sgg). Qui appaiono come annunciatrici d un male misterioso che
si cela nel bosco.
Hanno ali larghe, colli e facce di esseri umani, piedi con artigli, e il grande ventre coperto di penne; si
lamentano, in modo strano, sugli alberi.
E il valente maestro: " Prima che tu ti inoltri, sappi che sei nel secondo girone " cominci a dirmi, " e vi
starai fino a quando
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

tu arriverai allorribile distesa sabbiosa: perci guarda ripetutamente e con attenzione; cos facendo
vedrai cose tali che toglierebbero credito alle mie parole".
Un momento di pausa: la ragione (Virgilio) interviene. L'uomo (Dante), guardando e esaminando
(riguarda ben), prenda coscienza della realt; si basi anche sull'esperienza maturata da altri, ma faccia le
proprie esperienze dirette; la ragione indica la via, d suggerimenti di metodo; la sperimentazione
diritto e dovere dell'individuo.
lo sentivo da ogni parte emettere lamenti acuti, e non vedevo nessuno che li facesse; per questo tutto
smarrito mi fermai.
Ritengo che Virgilio pensasse che io credessi che voci cos numerose uscissero, (passando) tra quegli
alberi secchi, da gente che si nasc:ondesse a noi.
Alcuni critici hanno voluto attribuire l'uso di artifici retorici come quello del verso cred'io ch'ei credette
ch'io credesse all'intento di parafrasare lo stile concettoso di Pier delle Vigne, il protagonista dell'episodio
che sta per cominciare, ma questa spiegazione non chiarisce la funzione che simili moduli espressivi
hanno sul piano della poesia. In essi dobbiamo vedere altrettanti mezzi dei quali il Poeta si serve per
esprimere, attraverso la distorsione del linguaggio, l'errore intellettuale e morale che ha condotto i suicidi
al loro peccato, nonch, al tempo stesso, l'allucinante atmosfera in cui il loro empio proposito maturato.
Qui gli occhi, i sentimenti, l'atto perplesso e interrogatorio di Dante vanno da Virgilio agli alberi, da questi
alla ricerca dell'origine delle voci, poi ancora a Virgilio: all'intrico dei rami si aggiunge questo intrico
psicologico, dell'incertezza di Dante.
Perci il maestro disse: " Se tu spezzi un qualsiasi ramoscello di una di queste piante, i tuoi pensieri si
dimostreranno tutti erronei ".
Gli interventi di Virgilio (versi 16 -21, 28 -30) sono quelli del " maestro "; partecipi ma controllati, calmi,
come di chi assolve un grave dovere; Virgilio sa, dunque non c' stupore o timore in lui, ma la sicurezza
precisa e quasi impassibile del chirurgo che guida la mano incerta (allor porsi la mano un poco avante)
dell'allievo sul corpo dell'ammalato: sappi... riguarda ben... se tu tronchi.
Allora stesi la mano un poco in avanti, e colsi un ramoscello da un grande albero spinoso; e il suo tronco
grid: " Perch mi schianti ? "
L'inquietante crescendo dei primi trentatr versi, l'ansia tesa che dal paesaggio, si trasmette all'animo di
Dante, si raccolgono e culminano in questo grido innaturale: e 'l tronco suo grid. Un vegetale con voce
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

umana. E voce che si articola nell'atto pi alto dell'intelletto umano, l'interrogazione, lo strumento teso
alla ricerca della conoscenza perch... Fin qui Dante aveva, in silenzio, maturato domande; le aveva
tradotte in un gesto (e colsi); ora la risposta arrivata, ma rimbalza, terribile domanda, quasi atto
d'accusa, sul richiedente: non hai tu ... ?
Poi, dopo che si copr di sangue, ricominci a dire: " Perch mi strappi ? non hai tu alcun senso di piet?
Fummo uomini, e ora siamo trasformati in piante selvatiche: la tua mano dovrebbe essere anche pi
pietosa, se fossimo state anime di serpi ".
Il bosco ha rivelato il suo segreto: fummo uomini, e ora siamo fatti sterpi. Le anime dei suicidi che
rifiutarono violentemente il corpo, sono degradate alla prigionia in queste forme arboree dove, impotenti,
soffrono contorcendosi e contorcendole, con un dolore che spasima, muto, cieco, sordo, murato nelle
fibre del legno, fino a quando le Arpie, pascendosi delle foglie fosche, lo accrescono ma anche gli aprono
una via di sfogo: fenestra.
Come da un tizzone verde al quale ad una estremit sia appiccato il fuoco, che dallaltra stilla gocce di
umore e stride a causa dellarla interna che ne esce,
allo stesso modo dal ramo rotto uscivano insieme parole e sangue; perci io lasciai cadere il ramoscello,
e rimasi immobile come chi ha paura.
La similitudine dei legno che lagrima g nel provenzale Gaucelm Faidt: "Dagli occhi piango - per dolore
- come la legna verde che nel fuoco ardente s'accende piangendo. In Dante essa esprime un'attenzione
tesa a cogliere nella natura un significato drammatico, non la pausa lirica, e si inserisce mirabilmente nel
tema che alla base di questo canto: il perdersi dell'umano nella natura arborea, il cristallizzarsi degli
alberi nella rigidit della morte. Quando, attraverso il dolore (il ramoscello spezzato), l'albero-uomo
riprende a vivere, ad esprimersi (sanguina, parla), questa manifestazione di vita simile in tutto ad un
processo meccanico, non c' nulla di libero in essa. Cos, in conseguenza del calore che ne prosciuga una
estremit, l'umidit di cui il pezzo di legno messo sul fuoco pregno, affluisce tutta all'estremit opposta,
e di qui geme, si riversa, condensata in gocce, all'esterno. La reazione di Dante all'innaturale spettacolo
non analizzata: si concretizza in un gesto (lasciai la cima cadere) e in un atteggiamento (stetti come
l'uom che teme). "Come spesso avviene in Dante, un fatto si commenta con un altro fatto, e non con
termini soggettivi." (Aglian)
"Se egli avesse potuto credere senza provare" rispose il saggio Virgilio: "o anima ferita, ci che ha veduto
soltanto per mezzo della mia poesia,
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

non avrebbe stesa la mano contro di te; ma la cosa, in s incredibile, mi spinse a indurlo a compiere un
atto che rincresce a me per primo.
Rima sta per poesia; qui in particolare indica il poema di Virgilio, l'Eneide. Nel libro terzo (versi 19 -68)
Virgilio narra l'episodio di Polidoro, figlio di Priamo re di Troia, fatto uccidere a tradimento da Polinestore,
re della Tracia, e sul cui tumulo crebbero dei virgulti. Enea, giunto sul luogo, ne strapp alcuni; dai rami
spezzati e sanguinanti usci la voce di Polidoro. Ma il senso della trasformazione dell'uomo in pianta
profondamente diverso, nei versi di questo canto, rispetto a quello dell'episodio virgiliano. Il contrasto
cos netto fin dall'inizio in Dante, tra natura arborea e natura umana (dal ramo escono parole e sangue),
appare in Virgilio assai pi attenuato. Ci che atterrisce Enea il sangue che sgorga dal virgulto
spezzato. Solo in un secondo momento Polidoro parler; le sue parole non saranno pi allora motivo di
terrore, ma soltanto di meraviglia. L'idea tragica si diluisce cos in una successione cronologica. Bene
osserva in proposito l'Aglian: "In Virgilio gli effetti sono sempre anticipati... e al momento culminante, al
gemito e alle parole di Polidoro, si arriva progressivamente, attraverso un regolare crescendo... La linea
ascendente invece in Dante rapidissima". E ancora: "A Virgilio interessava l'episodio nel suo complesso,
il fatto prodigioso, l'avventura sensazionale, nel quadro generale delle peripezie di Enea; a Dante
interessa far sentire l'angoscia, la pena anche morale dello stato in cui si trovano i suicidi".
Nell'episodio di Polidoro il dramma dell'anima-pianta si risolve in un raffinato contrappunto di impressioni
naturalistiche, non prorompe, come qui, nel grido di una coscienza offesa (ben dovrebb'esser la tua man
pi pia).
Va aggiunto inoltre che, mentre questa metamorfosi ha in Virgilio un valore positivo, essendo per
Polidoro "il risarcimento, accordato dal cielo in compenso dell'iniqua morte datagli da
Polinestore" (Medin), in Dante la espressione della condanna inflitta da Dio a chi si privato da s della
vita.
Di qui anche la diversit di tono tra i due episodi: elegiaco nell'Eneide, tragico in questo canto
dell'inferno.
Ma digli chi tu fosti, cosicch invece di un qualche risarcimento ravvivi la tua fama nel mondo dei vivi,
dove gli lecito ritornare. "
Tua fama rinfreschi: quasi tutti i dannati manifestano il desiderio che la loro memoria continui a vivere in
terra; soprattutto quelli che, pur essendo peccatori, furono anche magnanimi e degni, per alcuni aspetti,
di ammirazione. Pier delle Vigne sembra crucciarsi, pi che della sua condizione presente, delle calunnie
con le quali stata offesa la sua fama, la sua onorabilit. Dante sentir piet di questo cruccio fino a
esserne accorato. Non sar piet per la sorte del peccatore che voluta dalla giustizia di Dio, alla quale il
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Poeta cristiano non pu non consentire; sar invece partecipazione alla giusta sofferenza di Pier delle
Vigne provocata dal misconoscimento della sua lealt.
E il tronco (disse) : " Mi attiri, con lesca delle tue dolci parole in modo tale, che io non posso tacere; e a
voi non pesi se io mi trattengo un poco a discorrere.
Io sono colui, che tenni tutte e due le chiavi del cuore di Federico, e che le girai, aprendo e chiudendo,
cos delicatamente,
che esclusi quasi ogni altra persona dalla sua intimit: fui tanto fedele al mio glorioso incarico, che a
causa di ci perdetti la quiete e la salute.
Linvidia, rovina di tutti male delle corti, che mai ha distolto il suo sguardo disonesto dalla corte
imperiale,
aizz tutti gli animi contro di me; e gli aizzati aizzarono tanto limperatore, che le gloriose onorificenze si
convertirono in cupi dolori.
Pier delle Vigne nato a Capua alla fine del secolo XII, studi legge a Bologna; in giovent conobbe la
miseria e gli stenti; acquistatosi suoi meriti, fece parte come notaio della corte imperiale di Palermo,
dove entr nelle grazie di Federico Il di Svevia, fino a diventare consigliere segreto, " protonotaro ",
giudice della Magna Curia e cancelliere del Regno di Sicilia. Accusato - e Dante ritiene a torto - forse di
arricchimenti illeciti, di eccesso di potere e di tradimento, da cortigiani invidiosi e offesi dalla sua fortuna,
dopo vent'anni di onori, cadde in disgrazia del suo signore che lo fece incatenare e accecare (1248);
l'anno dopo, disperato, si uccise. Fu uomo colto, raffinato, poeta in volgare, rinomato per la sua
eloquenza e per la maestria del suo comporre in latino.
Il mio animo, per sprezzante compiacimento, credendo che con la morte si sarebbe sottratto al disprezzo,
mi rese ingiusto contro me stesso (che ero invece) giusto.
Ingiusto fece Me contra me giusto: la ingiustizia che Pier delle Vigne fa a se stesso anzitutto violazione
di un diritto inalienabile: il diritto alla vita. Per un cristiano l'uomo non pu togliersi la vita, essendo
questa un dono di Dio. Con molta penetrazione si esprime in proposito un antico commentatore, il Buti:
"Quelle cose che l'uomo non si pu dare, non si dee togliere; anzi le dee tenere quanto vuole colui che
gliele d; e, se le rifiuta, ragione che non le riabbia".
L'ingiustizia, che il protonotaro imperiale ha commesso uccidendosi, non va quindi considerata soltanto in
rapporto alla sua vita giusta, ma in rapporto alla sua vita senza ulteriori specificazioni di valore. In altri
termini, agli occhi di Dio l'atto del suicida altrettanto riprovevole qualunque sia la validit morale delle
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

opere da questo compiute in vita. Naturalmente, sul piano umano, e agli effetti della poesia, il fatto che
Pier delle Vigne si uccida senza aver nulla da rimproverarsi colora di patetico la sua tragedia.
Giova ricordare n proposito come tutte le vicende che, nella Commedia, le anime narrano di se stesse,
sono dal Poeta concepite come messaggi di verit morale che ci giungono dal mondo dove pi non si pu
mentire; le azioni pi abominevoli, per il fatto di proporsi come esempi negativi, acquistano la dignit del
sacro. Nessuna per di queste storie, messe nella cornice dell'al di l, a contrasto con la condizione
eterna, di chi ne fu il protagonista, in Dante soltanto un esempio: quale pi quale, meno, tutte
sfuggono ad una definizione unilaterale e aprioristica delle nozioni di bene e di male in esse contenute.
Come in tutta la grande arte, questa definizione in Dante sempre proposta, mai imposta: lo schema,
concettuale si invera di continuo nella varia e ricca umanit dei suoi personaggi.
Per le mostruose radici di questo albero vi giuro che mai venni meno alla fedelt verso il mio signore, che
fu tanto degno di rispetto.
E' del De Sanctis l'osservazione che fino a questo appassionato giuramento Pier delle Vigne ha parlato
senza commuoversi, esprimendosi in una forma ricercata (in cui come un compiacimento per la propria
perizia di maestro dell'ars dictandi) e sottile, e che solo di fronte all'accusa di tradimento egli palesa,
attraverso il dolore, la propria umanit, mentre il suo linguaggio, libero infine da ogni preoccupazione
formale, ritrova la schiettezza delle grandi passioni: "vi una cosa, una sola cosa seria che gli pesa,
l'infamia che si tenta gittare sulla sua memoria, l'accusa che gli lanciata di traditore. Qui il patetico
del racconto: qui la sua immaginazione si scalda, di sotto alla veste del cortigiano spunta l'uomo, e il suo
linguaggio diviene semplice ed eloquente".
E se luno o laltro di voi torna nel mondo, renda giustizia alla mia memoria, che ancora prostrata per il
colpo che linvidia le inferse ".
Virgilio attese un poco, e poi mi disse: " Dal momento che egli tace non perdere tempo; ma parla,
rivolgigli domande, se hai piacere di sapere di pi ".
Perci io dissi a lui: " Domanda ancora tu ci che credi possa appagarmi; perch io non potrei, da cos
grande piet sono toccato nel cuore! "
Perci riprese: " Se ti verr fatto spontaneamente il favore che le tue parole chiedono in tono di
preghera, spirito prigioniero, ti sia gradito ancora
di dirci in che modo lanima si rapprende in questi duri nodi; e rivelaci, se puoi, se mai qualche anima si
libera da simili membra.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Allora il tronco soffi forte, e poi quel soffio si convert in tali parole " Vi sar data una risposta breve.
Il suo secondo discorso - premette Pier delle Vigne - sar una breve comunicazione. In realt i sedici
versi di cui composto non sono pochi, soprattutto se paragonati ai ventiquattro del primo. Brevemente
sta per a significare la volont dell'anima di non parIar troppo del proprio supplizio; il tono staccato,
oggettivo, impersonale: sar risposto a voi.
Quando lanima crudele (contro il corpo) si separa dal corpo dal quale essa stessa si strappata, Minosse
la manda al settimo cerchio.
Cade nella selva, e non le prescelto il luogo; ma l dove il caso la scaglia, qui germoglia come seme di
frumento.
Cresce in forma di virgulto e di pianta selvatica: poi le Arpie, pascendosi delle sue foglie, le procurano
dolore, e un varco alle manifestazioni di esso.
Come le altre (anime) verremo (nella valle di Giosaft) a riprendere i nostri corpi, ma non per questo
alcuna di noi se ne rivestir, poich non giusto avere ci di cui ci si privati.
Trascinererno penosamente i nostri corpi (fin qui), ed essi saranno appesi nella mesta selva, ciascuno
alla pianta in cui chiusa la sua anima nemica a se stessa ".
L'anima, mentre d le notizie richieste sul proprio itinerario attraverso l'inferno (si parte... la manda...
cade... la balestra... germoglia... surge), si fa a poco a poco nuovamente partecipe, della sua estrema
vicenda: l'anima del suicida feroce contro il corpo dal quale s' divelta, strappata con violenza e sforzo
come radice dal proprio terreno, e contro se stessa; e alla fine - dopo la prefigurazione oggettiva della
processione che seguir al Giudizio Universale - scopre con un brivido, fra tanti corpi, il suo: ciascuno al
prun..
Noi eravamo ancora tutti intenti allalbero, credendo che ci volesse dire altre cose, quando fummo
sorpresi da un rumore,
come colui che sente arrivare il cinghiaie e i cani e i cacciatori al luogo dove si appostato, e ode le
bestie e lo stormire delle fronde.
Finora questo canto stato quasi totalmente privo di azione apparente, anche se ricchissimo di
svolgimenti psicologici. Qui, con notevolissimo risalto, irrompe nell'immobile il movimento. "La selva che
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

credevamo ormai di conoscere ci rivela ignote paurose profondit sprigionando dal suo oscuro seno
inattesi esseri umani e inattesi mostri, in un tumulto di caccia, dove con infernale travolgimento il
cacciato l'uomo." (Parodi)
Ed ecco apparire due dal lato sinistro, nudi e pieni di graffi, che scappavano cos in fretta, da rompere
ogni fronda del bosco.
Quello (che correva) davanti (gridava): " Presto corrimi in aiuto, corrimi in aiuto, o morte ! " E laltro, che
si accorgeva di restare pericolosamente indietro, gridava: " Lano, non furono cos abili
le tue gambe nella battaglia del Toppo! " E poich forse gli mancava il fiato, di s e di un cespuglio fece
un viluppo annodato strettamente.
Dilapidatori dei propri beni, quindi nudi, inseguiti dalle cagne (forse i rimorsi o, secondo alcuni, i
creditori), i due sono Lano da Siena (forse Ercolano Maconi), ucciso a Pieve del Toppo in una battaglia fra
Senesi e Aretini (alle giostre: ai tornei; detto con crudele ironia), e Giacomo da Sant'Andrea, padovano,
morto nel 1239, famoso per le sue stravaganze.
Lano grida invocando una seconda morte impossibile; il compagno colui che "si sente rimaner solo nel
pericolo e grida dietro all'altro uno scherno ch' una maledizione, in cui si fondono insieme invidia e
disperazione"(Parodi).
Dietro di loro cera la selva piena di nere cagne, bramose e veloci come cani da caccia sguinzagliati in
quel momento,
Azzannarono quello che si era nascosto (nel cespuglio), e lo lacerarono pezzo per pezzo; poi se ne
andarono portando (con s) quelle membra dolenti.
Allora la mia guida mi prese per mano, e mi condusse al cespuglio che piangeva inutilmente attraverso
gli squarci sanguinanti.
Diceva il cespuglio: " O Giacomo da SantAndrea, a che ti servito farti scudo di me? che colpa ho io
della tua vita colpevole? "
Quando il maestro si ferm presso di lui, disse: " Chi fosti, che attraverso tante ferite emetti parole
dolorose insieme a sangue? "
Il bosco non costituito di soli alberi; come le selve maremmane non tocche ancora dall'uomo, che
Dante prende come punto di partenza naturale per la sua fantasia: esso un intrico quasi impenetrabile
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

di piante grandi e piccole, sterpi, alberi, bronchi, pruno, vermena, pianta silvestra, e poi ancora una
proliferazione di fronde, rami, ramicel, stecchi, frasche, fraschette, rosta, punte, cesto. Pier delle Vigne,
anima nobile, un gran pruno; ora invece Virgilio fermo, ritto presso un cespuglio: un'anima da poco.
Chi fosse non si sa. Il Boccaccio parla dei molti suicidi fiorentini di quel tempo: forse Dante lo ha lasciato
di proposito anonimo. E' un fiorentino: i' fui della citt... e tanto basta.
La selva infernale scompare in dissolvenza, e dietro, a chiusura di canto, si profila Firenze, l'altra citt di
Satana, gemella di Dite, la tua citt, che di colui pianta che pria volse le spalle al suo fattore (Paradiso
IX, 127-128). Ancora una volta l'inferno ha la sua controfigura in terra.
Ed egli (rispose) a noi: " O anime che siete arrivate per vedere lo strazio indecoroso che ha staccato con
tanta violenza le mie fronde da me stesso,
radunatele ai piedi del cespuglio miserevole. Io fui della citt (Firenze) che mut il primo patrono (Marte)
con il Battista (San Giovanni Battista); onde egli (Marte) a causa di ci
sempre la affligger con la sua arte (la guerra); e se non fosse che sul ponte dellArno rimane ancora
unimmagine di lui,
quei cittadini che pi tardi la fondarono nuovamente sulle ceneri rimaste dopo Attila, avrebbero fatto fare
il lavoro inutilmente.
La distruzione di Firenze ad opera di Attila - confuso con Totila re dei Goti, che assedi la citt nel 542 -
leggenda. Come osserva l'Aglian, Firenze appare, nelle parole di questo suicida, "dominata da un potere
diabolico". Il suo destino sembra dipendere "da quel frammento di statua, quasi da un idolo". Al riparo
dell'effigie (coniata sul fiorino) del patrono cristiano operano ancora gli influssi malefici dell'antico dio
della guerra: una minaccia di annientamento incombe sulla citt dilaniata dalla discordia e induce i suoi
abitanti al suicidio.
Io mi impiccai nella mia casa ".

2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO XIV

Poich lamore di patria mi riemp di commozione, raccolsi le fronde disperse, e le restituii a quellanima,
che ormai era muta.
Qui finisce il racconto delle cose vedute nella selva dei suicidi, cosicch questa terzina si lega idealmente,
per quanto riguarda il contenuto, pi che al canto che inizia, a quello precedente.
Quest'ultimo non poteva tuttavia terminare con una nota patetica e di raccoglimento (nel verbo strinse
sono presenti le due connotazioni, quella affettuosa e quella che indica l'intensit, la concentrazione di
questo affetto), senza contraddire il senso intimo del suo sviluppo. Il tredicesimo canto infatti il canto
dell'orrore, del paradosso divenuto realt, del dolore che non pu sfogarsi che per mezzo di un dolore
momentaneamente pi vivo (le piante si esprimono soltanto attraverso le " fenestre " che in esse aprono
le Arpie; Pier delle Vigne messo nella condizione di parlare dopo che Dante ha reciso un membro del
suo corpo vegetale), del suicidio che assurge, nelle parole del fiorentino anonimo, a simbolo della rovina
della sua citt. D'altra parte questa terzina iniziale si isola, sia per l'argomento sia per il tono, anche dal
canto di cui fa parte. Il tema della violenza (Capaneo) le estraneo, come le estraneo quello
dell'universale corruzione da cui si origina il pianto della umanit peccatrice (Veglio di Creta). Lo Spitzer
ha messo in rilievo il parallelismo tra i due gesti che Dante compie all'inizio e alla fine dell'episodio dei
suicidi: "Dante fa ammenda al suo atto involontario di aprire ferite, col suo atto, deliberato e
compassionevole, di ristorarle; l'episodio giunge ad una conclusione con il suo gesto, che intende placare
il turbamento che l'altro gesto aveva provocato".
Giungemmo quindi al confine dove il secondo girone si separa dal terzo, e dove si contempla una
spaventosa opera della giustizia.
Per spiegare bene le cose qui vedute per la prima volta, dico che arrivammo presso una pianura che
respinge dalla sua superficie ogni forma di vegetazione.
La triste foresta (dei suicidi) la circonda, come il fiume di sangue circonda questultima: qui ci
arrestammo sul margine.
Il terreno era una sabbia asciutta e compatta, non dissimile da quella che fu calpestata un tempo da
Catone.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

I critici hanno variamente notato l'andamento discorsivo di questa prima parte del canto. Dante indugia
stranamente qui nella descrizione e nella precisazione. Come giustamente osserva il Varese, ivi
"l'abbondanza delle pause, delle inflessioni di raccoglimento, d'indicazione, imprimono sin da principio un
senso di chiarezza, direi di minuziosa logicit: sono punti di passaggio e d'obbligo, che ci danno tuttavia il
segno della lucidit preoccupata della mente dantesca, nel suo bisogno di aiutare e non di confondere il
lettore".
Per quello che riguarda l'accenno a Catone Uticense, occorre ricordare che Dante non aveva mai veduto
un deserto. Il riferimento storico (la guerra combattuta in Libia tra Cesare e i Pompeiani guidati da
Catone nel 45 a. C.) serve qui, come nei versi 31 -36, a suggerire per via indiretta il riferimento reale per
uno spettacolo fantastico. Lo scrupolo della realt non abbandona mai Dante; questo un altro aspetto
della seriet del suo impegno morale e, nello stesso tempo, un elemento indispensabile alla sua poesia,
la quale, quanto pi ritrae l'irreale, tanto pi lo convalida attraverso l'oggettiva fermezza della cosa vista
e documentabile. Il linguaggio, di Dante non quello del sogno, ma sempre, anche nel Paradiso, alle
soglie dell'inesprimibile, quello delle distinzioni nette.
O castigo di Dio, quanto devi essere temuto da chiunque legge ci che apparve ai miei occhi!
Vidi molte schiere di dannati indifesi che piangevano tutte con grande strazio, e appariva imposta a
ciascuna una diversa punizione.
Alcuni (i bestemmiatori) giacevano in terra in posizione supina; altri (gli usurai) sedevano tutti
rannicchiati, altri ancora (i sodomiti) camminavano senza posa.
Quelli che camminavano girando intorno erano pi numerosi, mentre quelli che sostenevano il castigo
distesi erano in minor numero, ma pi pronti a manifestare il dolore.
Sulla distesa d sabbia, per tutta la sua ampiezza, scendevano lentamente, larghe falde di fuoco, come
(falde) di neve su una montagna senza vento.
L'idea della pioggia di fuoco venuta a Dante probabilmente dalla Bibbia (distruzione di Sodoma, Genesi
XIX, 24). Ma nuovo, e tipicamente dantesco, l'accostamento di questa pioggia ignea ad una nevicata.
La precisazione sanza vento suggerisce indirettamente la lentezza del fenomeno, come rilevava gi un
antico commentatore, il Buti: "nevica la neve a falde nell'alpi quando non vento; impero che quando
vento, la rompe, e nevica pi minuta". Il verso come di neve in alpe sanza vento la rielaborazione di un
analogo verso di Guido Cavalcanti: "e bianca neve scender sanza venti". Ma, come ha mostrato il
Sapegno, mentre nel Cavalcanti si afferma un gusto decorativo "da gotico fiorito", gusto che si manifesta
attraverso una specificazione elegante, ma non necessaria, "bianca", in Dante tutto ridotto
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

all'essenziale, messo in rapporto con lo spettacolo innaturale che intende presentarci. Dove, come
nell'inferno, la natura contraddice se stessa, anche l'arte deve saper trovare i mezzi per esprimere questa
contraddizione.
La forza dell'immagine contenuta in questa terzina nasce dall'accostamento immediato, senza mezzi toni
interposti, di due termini (foco, neve) che nella nostra comune percezione si escludono reciprocamente.
Come le fiamme che nelle calde regioni dellIndia Alessandro vide cadere compatte fino a terra sul suo
esercito,
e perci fece calpestare il terreno dalle schiere, perch il fuoco si spegneva meglio, finch era isolato,
allo stesso modo, scendeva il fuoco eterno; e perci la sabbia si infiammava, come materia infiammabile
sotto lacciarino, per raddoppiare la sofferenza.
Dante attinge le notizie riguardanti Alessandro Magno ad un passo del trattato sulle meteore di
Sant'Alberto Magno, ma in questo passo appaiono fusi insieme due eventi descritti separatamente in una
lettera attribuita ad Alessandro e diretta ad Aristotile: una abbondante nevicata, dopo la quale il re
macedone ordin ai suoi soldati di calpestare il suolo, e una pioggia di fuoco dalla quale si ripararono
opponendo ad essa i loro indumenti.
Il movimento frenetico delle misere mani era incessante, nello scostare dai corpi il fuoco appena caduto.
La tresca , secondo la definizione del Buti, un "ballo saltereccio, ove sia grande e veloce movimento e di
molti, inviluppato". Qui il termine usato in senso figurato come l'analogo riddi del settimo canto (verso
24). Soltanto che mentre l riddi acquistava rilievo dallo stile volutamente " aspro " del brano in cui era
inserito (lo preparava un crescendo di rime intenzionalmente disarmoniche) ed esprimeva un
atteggiamento di sarcastica condanna, qui tresca, immesso in un contesto rispondente ad altre esigenze
stilistiche, implica soprattutto un sentimento di commiserazione e di stupito orrore.
Cominciai a parlare: " Maestro, tu che superi ogni difficolt, tranne i diavoli ostinati che ci uscirono
incontro mentre stavamo per entrare attraverso la porta (di Dite),
chi quel grande che non sembra tenere in considerazione le fiamme e giace sprezzante e torvo, in
modo che la pioggia (di fuoco) non sembra fiaccarlo ?"
E quello stesso accortosi che chiedevo di lui a Virgilio, grid: " Come fui da vvo, cos sono da morto.
Chi parla Capaneo, uno dei sette re che assediarono Tebe. Gi nella Tebaide di Stazio (III, 602, 605,
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

661) appare come empio e disprezzatore degli dei. Il poeta latino narra che, dopo essere salito sulle
mura di Tebe, os sfidare Bacco ed Ercole, protettori della citt, e infine lo stesso Giove, che, sdegnato,
lo fulmin (Tebaide X, 845 sgg.).
Il par, due volte ripetuto in questa terzina (versi 46 e 48), stato addotto da alcuni critici a conferma
dell'interpretazione secondo la quale il tratto che contraddistinguerebbe il personaggio di Capaneo
sarebbe la vanagloria; par starebbe cos ad indicare una contraddizione tra apparenza e realt,
ostentazione di forza e intima debolezza. In realt, come altrove in Dante, il termine ha qui soltanto il
significato di " essere manifesto ", "essere visibile ". Del resto, la presentazione della figura di Farinata
avviene in modo analogo: com'avesse l'inferno in gran dispitto.
La tesi che vede in Capaneo un personaggio privo di forza morale, compiaciuto di s e vacuo, avanzata
dal De Sanctis, stata ripresa recentemente, tra gli altri, dall'Apollonio, che riduce il mitico
bestemmiatore alla statura di un eroe da melodramma: "Intona il suo pezzo canoro, al primo pretesto
che gli si presenta: dipana il suo dire senza sosta, in una unica cadenza di parola e di canto, d'un fiato...
quando il periodo oratorio, metrico e musicale al suo culmine, all'acuto, e accompagnato dal gesto
mimico contratto con cui il protagonista istituisce da solo la battaglia contro l'antagonista invisibile,
chiude con un riso di scherno proclamandosi da s vittorioso: non ne potrebbe aver vendetta allegra".
Per altri (Scherillo) Capaneo sarebbe la "personificazione della forza materiale".
Pi nel giusto appare il Croce, allorch avverte in questa figura "una forza che qualcosa di pi che forza
fisica e materiale, ancora energia spirituale, volont, ma volont rabbiosa, indomita e ostinata, che,
appunto perch tale, inclina in qualche modo verso la forza materiale e irrazonale. Dante lo chiama
grande, e non solo per la prestanza della persona; e nella risposta di lui: qual io fui vivo, tal son morto, si
sente l'ammirazione, che non abolita ed solo repressa dal rimbrotto morale-religioso, messo in bocca
a Virgilio".
N meno esatta la seguente osservazione del Varese: "Capaneo permane nella sua situazione umana,
nel suo peccato, che era in lui la ribellione, come Francesca nel suo amore colpevole, nel momento stesso
del peccato. Di questo atteggiamento... Capaneo ha coscienza, unico forse fra tutti i dannati, appunto
perch il suo stesso peccato consiste in questa coscienza, ed , in questo senso, esemplare".
Anche se Giove facesse lavorare fino allesaurimento delle forze il suo fabbro (Vulcano) dal quale adirato
prese il fulmine acuminato con cui mi colp nellultimo giorno della mia vita;
anche se facesse stancare gli altri (i Ciclopi), un gruppo dopo laltro, nella nera fucina dentro lEtna,
invocando: "Esperto Vulcano. Aiuto, aiuto!",
cos come fece durante la battaglia di Flegra (combattuta tra i giganti che tentavano di scalare lOlimpo e
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

gli dei), e mi fulminasse con tutta la sua forza, non potrebbe gioire della sua vendetta".
Nel discorso di Capaneo, l'accavallarsi tumultuoso delle subordinate e degli incisi, se d l'impressione di
una forza immane e quasi gioiosamente scatenata, che non conosce limiti, si svolge in realt per nessi
rigorosissimi ed esprime un forte potere di sintesi e organizzazione logica. Nel suo tono beffardo non c'
traccia di quella fiacchezza morale che alcuni hanno voluto vedervi. Cos giustamente osserva il Varese:
"L'ampiezza del periodo serve questa volta alla concentrazione e a mettere in evidenza, nello sfondo di
questa scena agitata e goffa, la immobilit tetragona di Capaneo..." La contrapposizione fra il gruppo
delle prime due condizionali (se Giove... o s'elli ... ) e la terza (e me saetti) l'espressione sintattica della
irriducibilit di questo grande, che oppone se stesso inerme a suo onnipotente antagonista.
Allora Virgilio parl con tanta veemenza, come non lo avevo udito mai fino allora: " O Capaneo, proprio
nel fatto che non si modera
la tua superbia, tu sei maggiormente punito: nessun supplizio, allinfuori della tua rabbia, sarebbe una
sofferenza adeguata al tuo furore " .
Poi si rivolse verso di me con viso pi sereno dicendo: "Quello fu uno dei sette re che assediarono Tebe;
ed ebbe e sembra abbia
Dio in dispregio, e sembra che poco lo stimi; ma, come gli dissi, i suoi atteggiamenti di disprezzo sono
ornamenti assai appropriati al suo animo.
Il Momigliano nota una certa affinit fra l'episodio di Capaneo e quello di Filippo Argenti. In senso
generico, sia l'uno sia l'altro prospettano un esempio di superbia punita, ma il critico ravvisa in essi
anche una somiglianza pi stretta: nelle parole di cui Virgilio si serve per condannare la presunzione di
questi dannati, in cui "ritornano...le rime regi e fregi, e la seconda sembra aver suggerito tutta l'idea
della frase li suoi dispetti sono al suo petto assai debiti fregi. Identico appare. inoltre, l'atteggiamento
benevolo del maestro verso Dante. Pi che all'episodio di Filippo Argenti, tuttavia, il rimprovero di Virgilio
a Capaneo fa pensare al discorso con cui il poeta latino apostrofa Pluto: in esso gi anticipato il
concetto dei furore impotente che tormenta, nell'inferno, sia i dannati che i loro carnefici.
Seguimi adesso, e stai attento, anche ora, a non mettere i piedi nella sabbia bruciata; ma tieni sempre i
piedi a contatto col suolo del bosco ".
In silenzio giungemmo, nel punto dove scaturisce dalla selva un fiumicello, il cui colore rosso ancora mi
fa raccapricciare.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Come dal Bulicame esce un ruscello che le pettinatrici (della canapa) dividono poi fra di loro, similmente
quello scorreva attraverso la sabbia.
Fin dal XIII secolo la lavorazione della canapa si svolgeva intorno a Viterbo in piscine che derivavano
l'acqua dal Bulicame, piccolo lago d'acqua sulfurea bollente, nelle vicinanze della citt. Le pettatrici
potrebbero essere qui le donne addette a cardare la canapa. La lezione peccatrici, che si ritrova nei
manoscritti, non trova conferma nelle testimonianze del tempo; non risulta in alcun documento che le
meretrici di Viterbo usassero servirsi delle acque del Bulicame per i loro bagni, come spiegano basandosi
su questo verso, gli antichi commentatori.
Il suo letto ed entrambe le sponde erano fatti di pietra, come pure gli argini laterali; e perci mi accorsi
che l era il passaggio (attraverso la sabbia infuocata).
" Fra tutte le altre cose che ti ho mostrato, dopo che entrammo attraverso la porta (dellinferno) il cui
ingresso non precluso a nessuno,
i tuoi occhi non videro nessuna cosa notevole come questo corso dacqua, che sopra di s smorza tutte le
fiammelle. "
C' un contrasto fra l'apparenza modesta di questo ruscello e la portata universale del suo significato.
Virgilio prepara l'alunno alla grandiosa leggenda che sta per raccontargli: il suo vocabolario scelto, non
senza un'ombra di pedanteria; Dante dovr accogliere le sue parole come espressione di una verit che
non nega, ma convalida i sistemi dottrinal da lui appresi nelle scuole.
Queste furono le parole della mia guida; perci la pregai che mi concedesse il cibo di cui mi aveva dato il
desiderio (che mi spiegasse le cose che, dopo il suo accenno, desideravo sapere).
" In mezzo al mare si trova una terra desolata " disse Virgilio allora, " che si chiama Creta, sotto il cui re
un tempo il mondo fu virtuoso.
Sotto il re cretese Saturno il mondo godette della favolosa " et dell'oro ", durante la quale gli uomini
vissero in perfetta pace e in completa felicit (cfr. Virgilio - Eneide VIII, 319 sgg.).
Anche la rappresentazione dell'isola di Creta un tempo ricca e ora caduta in rovina, di origine virgiliana
(Eneide 111, 104 sgg.).
Vi si trova una montagna una volta allietata da acque e vegetazione, il cui nome fu Ida: ora
abbandonata come cosa vecchia.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Rea la scelse una volta come nascondiglio sicuro per suo figlio, e per celarlo meglio, quando piangeva,
ordinava di gridare.
Rea, moglie di Saturno, per. sottrarre il figlioletto Giove al padre che voleva divorarlo, lo nascose sul
monte Ida e quando il bambino vagiva, i Coribanti, seguaci del suo culto (cfr. Virgilio, - Eneide III, 111113), facevano un grande fragore perch non lo si udisse.
Dentro il monte sta eretto un gran vecchio, che tiene le spalle volte verso Damiata (Damietta, su una
delle foci del Nilo: indica qui lOriente) e guarda Roma come fosse il suo specchio,
Il discorso di Virgilio procede. come ha, osservato il Momigliano, "senza legami sintattici, per tempi
staccati, che isolano via via i luoghi e i fatti in una stupita lontananza, in un magico silenzio". La favola
del Veglio di Creta, che qui inizia, poetica soprattutto nella sua parte iniziale, dove prevale il senso del
mistero, come afferma anche il Croce.
L'idea profonda che alla base dell'allegora del Veglio il legame che unisce il peccato al dolore, il
mondo in cui il peccato si compie a quello in cui esso punito. Dante fonde in questa leggenda un passo
della Bibbia e uno di Ovidio.
Nel Libro di Daniele (II, 31-33) detto della statua apparsa in sogn a Nabucodonosor: essa appare fatta
di materiali sempre pi vili a mano a mano che lo sguardo del re babilonese la percorre dalla testa ai
piedi.
Nelle Metamorfosi (I, 89-150) il progressivo decadere dell'umanit dallo stato di innocenza adombrato
nel mito delle "quattro et dell'uomo": l'aurea, l'argentea, quella del rame, quella del ferro.
Il suo capo fatto di oro puro, le braccia e il petto sono di puro argento, poi di rame fino al punto in cui
le gambe si biforcano;
da questo punto in gi tutto di ferro scelto, eccetto il piede destro che di terracotta; e si appoggia pi
su questo che sullaltro piede.
Stabilito che la statua del Veglio simboleggia il decadimento del genere umano, l'interpretazone pi
plausibile di questa allegoria che i metalli di cui la statua formata, alludano alle " et dell'uomo "
elencate da Ovidio. In particolare, la parte meno nobile di essa, quella dalla forcata in gi, indicherebbe
l'era della massima corruzione. Nel piede di ferro occorrerebbe allora vedere l'Impero, e in quello di
terracotta la Chiesa che si arrogata il potere temporale ed erroneamente, secondo Dante, pretende di
essere la suprema autorit politica in terra.
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Ogni parte, fuorch quella doro, incisa da una fessura che stilla lagrime, le quali, raccolte insieme,
perforano la roccia.
Esse precipitano di roccia in roccia in questo abisso: formano lAcheronte, lo Stige e il Flegetonte; poi
scendono attraverso questo stretto canale
fino al punto ove pi non si scende: formano il Cocito; e che aspetto abbia quella palude, lo vedrai;
perci adesso non ne parlo."
Cocito lo stagno ghiacciato che occupa il nono cerchio; in esso sono immersi i traditori e lo 'mperador
del doloroso regno, Lucifero, che trad la fiducia in lui riposta da Dio.
L'origine dei fiumi infernali un elemento nuovo che non si trova nei modelli biblico e classico, che hanno
ispirato l'allegoria dei Veglio. Dante voleva, come scrive lo Steiner, "che il dolore, in quanto
conseguenza dei peccato, fosse restituito a colui che del peccato la prima origine". Perci il pianto
dell'umanit intera "cinge l'inferno, lo attraversa, diventa strumento della punizione di quei tristi che lo
hanno fatto versare pi copioso ai loro simili, ma infine scende a cercare nel profondo di quello il signore
d'ogni malizia e al ripugnante contatto di esso si muta in ghiaccio e costituisce cos i ceppi eterni del
superbo che ha scatenato nel mondo il peccato e la morte, e che fu agli uomini causa prima di infelicit".
L'allegoria dei Veglio di Creta e la teoria dei fiumi infernali non hanno soltanto un valore strutturale (in
quanto ci mettono al corrente della topografia infernale), ma anche e soprattutto poetico, nella misura in
cui si concretano in una solenne, accorata meditazione sul corso della storia umana. Quello simboleggiato
nella figura del Veglio di Creta e nella teoria sulla formazione dei fiumi infernali tuttavia soltanto
l'aspetto negativo - indispensabile, ma non definitivo - del pensiero di Dante sulla storia: cardine di
questo pensiero infatti la provvidenzialit divina, la ferma fede nel trionfo del bene e della razionalit,
oltre ogni ingiustizia e dolore.
E io: " Se questo fiumicello scaturisce quindi dalla terra, perch ci si mostra soltanto su questo margine ?
"
E Virgilio: "Tu sai che questo luogo ha forma circolare; bench, scendendo verso il fondo, tu ti sia
inoltrato parecchio procedendo sempre a sinistra,
non hai ancora compiuto un giro intero: perci, se appare una cosa nuova, essa non deve apportare
unespressione di stupore sul tuo volto ".
E io ancora: " Maestro, dove si trovano il Flegetonte e il Let ? poich di uno di questi non parli, e
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

dellaltro dici che ha origine da questa pioggia (di lagrime)".


Il Flegetonte il fiume di sangue bollente in cui sono puniti i violenti contro il prossimo; il Let scorre
sulla vetta del monte del purgatorio (dove il paradiso terrestre) e fa perdere alle anime che si sono
pentite, e sono sul punto di ascendere al cielo, la memoria delle loro colpe.
" In tutte le tue domande riscuoti certamente la mia approvazione " rispose; "ma il ribollire dellacqua
rossa doveva ben risolvere uno dei due quesiti che proponi.
Vedrai il Let, ma fuori di questo abisso, l dove le anime vanno a detergersi quando ogni peccato di cui
si sono pentite cancellato. "
Quindi disse: " Ormai tempo di allontanarsi dal bosco; fa in modo di seguire i miei passi: gli argini, che
non sono bruciati dal fuoco, indicano la strada,
e sopra di loro ogni fiamma si spegne "..

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO XV

Ora ci porta una delle due salde sponde; e il vapore del ruscello fa schermo, in modo da riparare dalle
fiamme lacqua e gli argini.
Come la diga che i Fiamminghi, temendo la marea che si scaglia contro di loro, innalzano tra Wissant e
Bruges perch il mare si ritiri,
e come quella che i Padovani (innalzano) lungo il corso del Brenta, per proteggere le loro citt e i loro
borghi fortificati, prima che la Carinzia (comprendeva anche la Valsugana dove nasce il Brenta) senta il
caldo (che, sciogliendo le nevi, fa ingrossare i fiumi),
in tal modo erano costruiti quegli argini, bench lartefice, chiunque egli fosse stato, non li avesse fatti n
cos alti n cos larghi.
Nell'impegno di dar consistenza visiva e verosimiglianza alle scene da lui immaginate, Dante spesso non
si contenta di un solo termine di riferimento, ma raffronta il dato fantastico a diversi aspetti della realt a
noi pi consuete. La prima di queste due similitudini grandiosa e cupa; i suoni stessi suggeriscono la lotta
senza quartiere l'uomo e il mare, veduto come un mostro scatenato. Di fronte all'impeto alla paura
espressi in s'avventa e fuggia posto il semplice, disadorno impersonale fanno, quasi a significare che la
forza dell'uomo inerme nella sua operosit e nel suo essere sociale. La seconda similitudine, pi
iposata precisa (l'avversario da combattere non l'oceano misterioso e lontano, ma un fiume noto al
Poeta), evoca, qui per contrasto, nel momento in cui dopo il lungo letargo invernale le nevi sciolgono, un
clima dolce e sereno.
Gi ci eravamo allontanati dalla selva tanto, che non avrei veduto dove essa era, anche se io mi fossi
voltato indietro,
quando incontrammo un gruppo di anime che camminavano lungo largine, e ognuna ci osservava come
ci si scruta di sera
nel periodo del novilunio; e aguzzavano lo sguardo verso di noi avvicinando luna allaltra le palpebre cos
come il vecchio sarto fa (nello sforzo di introdurre il filo) nella cruna dellago.
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Due immagini tratte dalla nostra esperienza pi comune suggeriscono, pi che l'oscurit del luogo, la
difficolt (una pena che si aggiunge al loro consueto dolore) che hanno queste anime di riconoscere
forme e aspetti del mondo, e la loro tesa attenzione. La prima si ispira a due passi dell'Eneide (VI, 268
sgg. e 452 sgg.), ma non ha nulla della solennit distaccata del suo modello; un momento di vita colto
nella sua pi fresca e felice immediatezza. L'accenno alla nuova luna (innocente dunque, appena nata)
nel buio di questo cerchio, dove la sola luce quella crudele della pioggia di fuoco che solca l'aria,
propone il tema della nostalgia per il mondo dei vivi, ribadito, con maggiore insistenza che altrove,
nell'episodio di Brunetto Latini che qui ha inizio. Soltanto alcune trasparenze notturne dei cieli del
Leopardi hanno, la casta evidenza di questa evocazione.
La seconda immagine "ci introduce decisamente nell'atmosfera del canto. Troveremo pi innanzi un
Brunetto paterno rispetto a Dante, e dunque anziano, ma non descritto propriamente come vecchio: se la
nostra fantasia lo vede tale, ci si deve anche alla suggestione che su essa opera questa similitudine
iniziale; e sulla tenerezza che la figura di Brunetto ci ispirer, nella sua debolezza umiliata, influisce certo
anche questa immagine del vecchio tremante sartore" (Bosco).
Osservato in tal modo da questa schiera, fui riconosciuto da uno, che afferr lorlo della mia veste e
grid: "Quale sorpresa! "
E io, allorch tese il suo braccio verso di me, fissai lo sguardo in quei lineamenti bruciati, in modo che il
volto ustionato non imped
alla mia mente di riconoscerlo; e chinando il mio viso verso il suo, risposi: "Qui vi trovate, ser Brunetto? "
La domanda breve, scarna, il suo altissimo potenziale affettivo pu passare inosservato, l'accento batte
sul qui, in posizione di forte rilievo prima della seconda cesura, e sul ser che ad esso si giustappone:
l'uomo da tutti onorato in terra, il maestro di sapienza e di rettitudine, il politico esperto , nell'al di l,
tra i peccatori lerci, secondo la definizione che poi (verso 108) egli stesso dar di un vizio infamante. Gli
scrittori dell'antichit classica avevano sempre cercato di moderare, entro una cornice di decoro formale,
gli aspetti pi dolorosi della condizione umana. Dante non ha queste preoccupazioni. Egli esprime, con
una violenza priva di riscontri nella letteratura mondiale, il contrasto tra il nostro modo di manifestarci
agli occhi, dotati di vista insufficiente, dei nostri simili e il nostro apparire agli occhi di Dio.
E quello: " Figliolo, non ti rincresca il fatto che Brunetto Latini torni un po indietro con te e abbandoni la
schiera ".
Brunetto Latini, nato a Firenze intorno al 1220, fu uomo di lettere (scrisse in francese i Lvres du Trsor,
enciclopedia della scienza medievale, e un breve poemetto didascalico in italiano, il Tesoretto; tradusse le
opere retoriche di Cicerone), notaio (di qui la qualifica di ser) e cancelliere del comune. Partecip alla vita
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politica militando tra i Guelfi. Mor nel 1294.


Nelle parole che Brunetto rivolge in questa terzina al suo discepolo di un tempo "cozzano insieme - come
scrive il Parodi - mirabilmente contraddittorie e concordi, la preghiera e l'accorato rimprovero,
l'angoscioso riconoscimento dell'umiliazione presente e l'allusione al tempo cos diverso che fu, e questa
culmina in quel nome pronunciato lentamente, e per intero. Brunetto Latini, che dice tante cose, ed
soprattutto una malinconica e velata ma energica affermazione della propria dignit personale, offuscata
ma non in tutto perduta".
Gli dissi: " Ve ne prego di tutto cuore; e se volete che mi sieda con voi, lo far, se la cosa incontra
lapprovazione di costui insieme al quale cammino ".
Brunetto ha pregato Dante di permettergli di percorrere un tratto del cammino insieme a lui; ma il tono
della sua preghiera esprimeva dolorosa incertezza: il suo antico discepolo non Io avrebbe rinnegato?
Nella sua risposta Dante sottolinea la sua immutata venerazione (quanto posso, ven preco; e se
volete ... ), si fa umile egli stesso, pone il notaio fiorentino sullo stesso piano di Virgilio (farl, se
piace ...).
" Figlio ", disse, " chiunque di questa schiera si ferma per un attiimo, giace poi per cento anni senza poter
difendersi quando la pioggia di fuoco lo colpisce.
Perci continua a procedere: io ti camminer accanto; poi raggiunger la mia schiera, che sconta
dolorosamente la sua pena eterna. "
Io non osavo scendere dallargine (della strada) per camminare al suo stesso livello; ma tenevo la testa
china come chi cammina pieno di riverenza.
A questo punto ha termine la parte introduttiva dell'episodio. Le parole pronunciate sin qui da Brunetto
Latini, cos sommesse e dignitose al tempo stesso, fanno di lui un personaggio al quale va tutta la nostra
simpatia; la riverenza dimostratagli dal Poeta lo innalza al di sopra dei suoi compagni di pena e ci fa
sentire che siamo in presenza di un non comune ingegno e di una forte personalit. E' stata cos
preparata la parte centrale dell'episodio, nella quale l'indignazione di Dante per l'ingratitudine dei
Fiorentini trover, proprio nelle parole di Brunetto Latini, e per la prima volta nel poema, le espressioni
del suo stile pi alto e immaginoso: quello profetico.
Egli cominci a parlare: "Quale caso o quale volere divino ti conduce quaggi prima dellultimo giorno
(prima della morte)? e chi costui che indica la strada? "
" Lass, nel mondo luminoso " gli risposi " mi perdetti in una valle, prima che la parabola della mia vita
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fosse giunta al suo culmine.


Soltanto ieri mattina lho lasciata: costui mi si mostr nel momento in cui stavo per rientrare in essa, e
mi riconduce a casa (sulla retta via) attraverso questo cammino."
Dante cerca quasi di mettere in ombra, per reverenza verso il suo antico maestro, i propri meriti e
racconta l'antefatto dei suo viaggio con dimessa semplicit (l su di sopra... in una valIe-... e reducemi a
ca ... ).
Nell'episodio di Brunetto Latini il vero protagonista Dante. Argomento dell'incontro il destino del
Poeta, la sua persecuzione ad opera dei concittadini. Le parole del notaio fiorentino, nella parte centrale
dell'episodio, esprimono anch'esse la passione civile di Dante. Lo stile qui l'opposto di quello che, nel
canto tredicesimo, caratterizzava le effusioni di un personaggio intimamente incoerente, egli pure vittima
dell'odio politico, Pier delle Vigne. L un discorrere raffinato ma contraddittorio, concettoso e fiorito, qui la
semplicit delle cose evidenti e corpose, dei simboli elementari e perenni (la valle, la stella, il porto, il
monte, il macigno ecc.).
Ed egli: " Se tu segui lastro che ti guida, non puoi non approdare alla gloria, se non errai nel mio giudizio
mentre ero tra i vivi;
e se io non fossi morto tanto presto, vedendo il cielo a te cos favorevole, ti avrei incoraggiato e
sostenuto nella tua opera.
La profezia di Brunetto si articola in due tempi. Nel primo predetto al Poeta, genericamente, un futuro
di gloria; nel secondo, che fa seguito alla espressione del suo desiderio che il vecchio maestro fosse
ancora in vita ( il momento in cui Dante, non pi impacciato dalla necessit di convincere Brunetto della
propria venerazione nei suoi confronti, manifesta liberamente la piena del suo affetto), si accenna, con
maggiore dovizia di particolari e di riferimenti, all'odio dei Fiorentini per Dante, conseguenza del suo
disinteressato operare. L'immagine della stella che guida il Poeta nella sua vita (ripresa, nella terzina
successiva, da quella del cielo a lui benigno) poggerebbe, per alcuni, su un presupposto astrologico.
Dante nato nel segno dei Gemelli, dagli astrologi ritenuto favorevole allo studio delle arti liberali, in
quanto, come scrive un antico commentatore, l'Ottimo, "significatore di scrittura, e di scienza e di
cognoscibilitade". Il presupposto astrologico che pur non da escludersi, non appare tuttavia
indispensabile.
Per il Bosco questa immagine non astrologica, ma, come risulta dall'immagine che la completa, quella
del porto, soltanto nautica.
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"La stella quella che guida i naviganti: se la seguono, questi giungono al loro porto. Brunetto dice
insomma a Dante: se seguirai la tua stella, se non devierai dal tuo cammino, se terrai il timone della tua
vita dritto verso la meta che ti sei prefissa, non potrai mancarla."
Ma quel popolo ingrato e perverso che anticamente scese da Fiesole, e ancora conserva lindole della
rupe e della pietra,
diventer, per il tuo retto agire, tuo nemco: ed giusto, poich il dolce fico non deve produrre i suoi
frutti in mezzo ai sorbi aspri.
Secondo una leggenda diffusa nel Medioevo, Firenze era stata fondata dai Romani subito dopo la
distruzione di Fiesole, che aveva aiutato Catilina nella sua ultima disperata impresa. La nuova citt
sarebbe stata popolata, secondo questa leggenda, in parte con abitanti di Fiesole, in parte con cittadini
romani. Dante attribuisce qui le miserie della sua patria alla natura, ancora barbara ai suoi tempi, dei
discendenti dei Fiesolani. Anche il Villani (Cronaca I, 38) vede l'origine delle discordie intestine di Firenze
nella convivenza entro la stessa cerchia di mura "di due popoli cos contrari e nemici e diversi di costumi,
come furono gli nobili Romani virtudiosi, e Fiesolani ruddi e aspri di guerra". La rozzezza di cui parla il
Villani, in Dante condensata in un'immagine che ripropone, in forma nuova ed energica, e nel tono di
popolare saggezza che caratteristico di questa parte del canto, il tema tradizonale dell'insensibilit
della natura inorganica: tiene ancor del monte e del macigno. Di fronte alla pervicacia del rifiuto opposto
dal popolo maligno ad ogni forma d educazone spirituale, di ingentilimento dei costumi, si profila, nella
terzina successiva, il doloroso contrasto fra i sorbi selvatici (i Fiorentini incivili) e il dolce fico (Dante).
L'immagine di ispirazione biblica, e nello stile biblico, come avverte il Marzot, "le piante e i frutti sono
piuttosto idee che cose, e perci entrano meglio nel linguaggio del proverbiare".
Nelle profezie della Commedia la realt, che nelle similitudini colta sempre nella sua immediatezza,
anche l dove il riferimento letterario appare evidente, si carica di un solenne peso di pensieri, si circonda
di echi che vanno al di l del visibile e, pi genericamente, al di l dell'esperienza storica nel suo
complesso.
Un antico detto nel mondo dei vivi li definisce ciechi; gente avara, invidiosa e superba: fa in modo di
mantenerti immune dai loro costumi .
Un antico detto accusava di cecit i Fiorentini per essersi lasciati ingannare dal re goto Totila, che, dopo
essersi detto loro amico, ne distrusse la citt, oppure, secondo altri, per aver accettato come buone due
colonne spezzate che i Pisani inviarono loro, avvolte in panno scarlatto, come ricompensa per l'aiuto dato
da Firenze a Pisa in una spedizione alle Baleari. La citazione di questo proverbio si accorda con il tono
generale della profezia di Brunetto Latini, espressa nelle forme vigorose dei linguaggio popolaresco.

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La tua sorte ti riserva tanto onore, che sia luno che laltro partito (sia i Neri che i Bianchi) vorranno
divorarti; ma lerba sar lontana dal caprone,
Le belve discese da Fiesole facciano foraggio di loro medesime (si divorino fra di loro), e non tocchino
lalbero, se in mezzo alla loro sozzura se ne eleva ancor uno,
nel quale riviva il sacro seme di quei Romani che l si fermarono allorch si costitu il covo di tanta
malvagit ".
Come rileva il Rossi, il discorso di Brunetto Latini, cominciato "con largo movimento oratorio", esprime,
nei versi 65-66 una mordace ironia, per traboccare quindi "in accenti di scherno e di ingiuria (versi 6768) e in frasi e immagini di rude gagliardia popolaresca (versi 69-72)", e placarsi infine "nella ampia
trama di un solenne e risonante periodo (versi 73-78)", in cui Dante, nato da stirpe romana, giganteggia
in mezzo alle risse dei suoi concittadini. La logica dei fatti , in questa profezia, adombrata in una trama
di richiami analogici, attraverso i quali i simboli si legano fra loro. Alla compattezza indifferenziata del
mondo minerale (monte, macigno) fa seguito la variet delle forme vegetali e animali: i lazzi sorbi
contrastano col dolce fico, l'immagine dell'erba suggerisce quella del becco malefico che la bruca,
continuandosi poi in pianta e sementa, cui si contrappone strame.
" Se la mia preghiera fosse stata interamente esaudita " gli risposi, " voi non sareste ancora morto
(dellumana natura posto in bando: esiliato dalla vita umana).
poich nella mia memoria impresso, e adesso mi addolora, il caro e buon aspetto paterno che avevate
quando in vita di tanto in tanto
mi insegnavate come luomo acquista gloria imperitura: e quanto (il vostro aspetto) mi sia gradito,
giusto che si veda attraverso le mie parole.
Quello che mi raccontate sul corso della mia vita lo annoto nella memoria, e lo conservo per farlo
interpretare insieme con unaltra predizione (la profezia di Farinata) da una donna (Beatrce) che ne sar
capace, se sar in grado di arrivare fino a lei.
Questo soltanto voglio che sappiate: sono preparato ai colpi della Fortuna, comunque voglia colpirmi,
purch la mia coscienza non mi rimproveri.
Una tale promessa non nuova al mio udito: perci la Fortuna giri pure la sua ruota come vuole, e il
contadino la sua zappa."
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Nella risposta di Dante a Brunetto alla malinconia dei ricordi fa seguito un sentimento pi deciso,
vigorosamente scandito nella sua dichiarazione di essere pronto a raccogliere la sfida della Fortuna. Esso
prorompe alfine impaziente nel motto che accomuna, fatte oggetto di una medesima sdegnosa
indifferenza, le misteriose operazioni della Fortuna all'innocuo lavoro del contadino. Il tema della Fortuna,
gi trattato ampiamente nel canto degli avari e prodighi, qui ripreso, ma in una prospettiva mutata.
Mentre nella digressione di Virgilio del canto settimo la Fortuna veduta nel suo aspetto impersonale ed
astratto, come la reggitrice delle sorti di tutti gli uomini, qui appare invece come colei che
volontariamente insidia il corso della nostra vita e che, in quanto tale, deve essere affrontata a viso
aperto. La Fortuna non onnipotente sostiene il Poeta basta la coscienza del dovere compiuto per poterla
affrontare.
Virgilio si volse allora indietro verso destra, e mi fiss; poi disse: "Ascolta con profitto una cosa chi sa
ricordarla ".
Nondimeno continuo a camminare parlando con ser Brunetto, e chiedo chi siano i suoi compagni pi
celebri e pi egregi.
Ed egli: " E bene apprendere qualcosa intorno ad alcuni (di loro); degli altri sar cosa lodevole non fare
menzione, poich il tempo non basterebbe a un discorso cos lungo.
Sappi in breve che furono tutti ecclesiastici e dotti di grande valore e di grande rinomanza, insozzati in
vita da un medesimo peccato.
Con quella folla infelice se ne vanno Prisciano e Francesco dAccorso; e se avessi avuto desiderio di
guardare una tale sozzura,
avresti potuto vedere in essa colui che dal pontefice fu trasferito da Firenze a Vicenza, dove lasci la sua
vita peccaminosa.
Fra i dotti e gli ecclesiastici che fanno parte della sua schiera, Brunetto ne menziona tre soli, senza
indugiare peraltro in una loro caratterizzazione; solo a proposito dell'ultimo, definito genericamente tigna
(malattia ripugnante della pelle), un particolare incisivo e grottesco (li mal protesi nervi); allude al vizio
di cui si macchi.
I tre sono: Prisciano di Cesarea, autore delle Institutiones gramaticae, vissuto nel sesto secolo dopo
Cristo, Francesco d'Accorso (c. 1225-1294), docente di diritto all'universit di Bologna e di Oxford, e
Andrea de' Mozzi, vescovo di Firenze, trasferito poi a Vicenza (nel 1295) da Bonifacio VIII.
L'espressione servo de' servi (servus servorum Dei), con cui i pontefici sogliono designare se stessi,
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forse qui usata, trattandosi di Bonifacio VIII, in senso ironico.


Parlerei pi a lungo; ma il camminare e il parlare non possono essere prolungati, poich vedo laggi
levarsi nuova polvere dalla distesa sabbiosa.
Si avvicina una schiera alla quale non devo unirmi: ti sia raccomandato il mio Tesoro nel quale
sopravvvo, e non chiedo altro ".
Tutti i dannati si preoccupano della fama che hanno lasciato fra gli uomini. E' il loro modo pi tipico di
partecipare ancora alla vita. In Brunetto c' per qualcosa di pi: la certezza di sopravvivere attraverso
un'opera di cultura. Del suo Tesoro parla come di una persona cara, sottolineando che gli appartiene
(mio... nel qual io vivo ancora). Anche qui, non diversamente che nella prima domanda rivolta dal Poeta
al suo antico maestro, una carica affettiva fortissima si traduce in una estrema semplicit di espressione.
Poi si volt, e sembr uno di quelli che a Verona corrono nella campagna (gareggiando per vincere) il
drappo verde; e sembr
quello che tra costoro vince, non quello che perde.
Nei dintorni di Verona, come in quelli di altre citt italiane, si correva il palio, gara di velocit che
prendeva il nome dal drappo che il vincitore otteneva in premio; l'ultimo arrivato riceveva invece un gallo
ed era oggetto di scherno da parte degli spettatori. Dante, volendo indicare la rapidit con cui Brunetto si
allontana da lui per raggiungere la sua schiera, lo paragona al vincitore del palio. Ma l'ultimo verso
sembra quasi distaccarsi dagli altri e alludere al riscatto della figura di Brunetto, per virt di poesia, dalla
colpa infame che lo costringe tra i dannati.

2003 - Luigi De Bellis

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INFERNO CANTO XVI

Mi trovavo gi in un luogo dal quale si udiva il fragore dellacqua (del fiumicello) che precipitava nel
cerchio seguente, simile a quel ronzio cupo che producono gli alveari,
allorch tre ombre si staccarono contemporaneamente, correndo, da una schiera che passava sotto la
pioggia del crudele supplizio.
I due poeti sono giunti in un punto in cui percepibile il rumore che fanno le acque del Flegetonte,
convogliate nel fiumicello che esce dalla selva dei suicidi, precipitando nell'ottavo cerchio. A un rumore
ancora avvertito in lontananza e come indistinto. E' stato messo in rilievo, nel succedersi dei suoni cupi
della similitudine contenuta nell'ultimo verso della prima terzina, come un equivalente fonico
dell'immagine che essa ci comunica. Questa immagine non ha tuttavia nulla di terribile come parso ad
alcuni; essa anzi, introducendoci nell'atmosfera di questo canto - nel quale l'orrore della pena infernale
di continuo attenuato dall'affettuoso rispetto dei Poeta per i dannati che ivi incontra - mira a dissipare,
con l'evocazione di una natura docile all'uomo, quello che di misterioso e di ineluttabile era contenuto nei
primi due versi della terzina. Al rimbombo del fiume infernale si sovrappone il pi familiare rombo delle
arnie, alle tenebre che non consentono al Poeta di individuare il posto in cui si trova se non attraverso un
confuso dato acustico, si sostituisce, implicitamente contenuta nell'immagine, la campagna serena e
assolata, nella quale le api armonicamente, in fervida concordia, attendono al loro lavoro.
Venivano verso di noi, e ciascuna gridava: " Fermati tu che dallabito ci sembri essere uno della nostra
citt malvagia ".
Le tre ombre che corrono verso l'argine sul quale si trovano Dante e Virgilio sono quelle di tre uomini
politici fiorentini di parte guelfa, appartenenti alla generazione che precedette di poco quella del Poeta.
Non deve apparire strano il fatto che riconoscano in lui immediatamente un loro concittadino. Scrive il
Boccaccio, che a quei tempi "quasi ciascuna citt aveva un suo singular modo di vestire, distinto e variato
da quello delle circunvicine" . I Fiorentini portavano il " lucco " (veste senza pieghe stretta alla vita) e il
cappuccio.
Fin da questi versi di apertura dell'episodio fortemente messo in rilievo il sentimento che spinge le tre
anime dannate a interrogare Dante: l'amore di patria. Come in Farinata, questo sentimento sembra quasi
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abolire in esse per un attimo la coscienza del luogo in cui si trovano. Ma Farinata immobile, torreggia
solitario in un atteggiamento di disprezzo: la tragedia nel canto degli eretici si sviluppa a poco a poco
entro una cornice di epica grandezza. Qui la situazione fin dall'inizio appare diametralmente opposta a
quella dell'incontro con Farinata: i tre concittadini del Poeta, ch'a ben far puoser li 'ngegni (Inferno VI,
81), corrono verso di lui e neppure si fermano nel rivolgergli la parola. Il loro affanno bene messo in
evidenza in un verso all'apparenza puramente descrittivo - venan ver noi, e ciascuna gridava - in cui al
generico plurale venan, inteso ad esprimere l'automatico accordarsi dei loro movimenti esteriori, si
contrappone il singolare gridava, ad indicare l'incoercibile spontaneit del loro sentire.
Ahim, quali ferite recenti e antiche, aperte dalle fiamme, vidi nelle loro membra! Ne provo ancora dolore
soltanto a ricordarmene.
Alle loro grida Virgilio ferm la propria attenzione; volse il viso verso di me, e disse: " Aspetta: bisogna
essere cortesi con costoro.
E se non fosse per le fiamme che la natura del luogo scaglia, direi che converrebbe a te pi che a loro
laffrettarsi ".
Non appena ci fummo fermati, essi ripresero (a muoversi) nel solito modo; e quando furono giunti presso
di noi, si disposero in cerchio tutti e tre,
come sono soliti fare i lottatori nudi e unti, nel momento in cui cercano con gli occhi la presa pi
vantaggiosa, prima di colpirsi e ferirsi a vicenda;
e cos girando, ciascuno volgeva il viso verso di me, in modo che il collo si muoveva continuamente in
direzione opposta a quella dei piedi.
L'immagine della rota con tutto quello che di meccanico essa evoca (non un movimento indirizzato a un
fine, ma una periodicit insensata), sottolinea in senso grottesco la reale condizione di queste anime:
nonostante i loro grandi meriti sono dei dannati. La loro libert interiore, la schiettezza del loro modo di
esprimersi, propria di chi stato uomo d'azione (quale differenza fra i loro discorsi e quelli di un Pier
delle Vigne, ad esempio!), il loro appassionato disinteresse, per cui i loro dolori personali sono come
obliati nella contemplazione delle sciagure di Firenze, vengono di continuo contraddetti da quanto c' di
ridicolo nei loro movimenti: la rota e il continuo viaggio che fanno i loro colli. A sua volta, per,
l'immagine della rota si umanizza e si nobilita in quella dei campion, attraverso la quale anche
suggerita la figura morale di questi dannati, che in vita furono dei lottatori, sostenitori dell'idea guelfa in
Firenze.
La similitudine dei campion si riferisce, secondo alcuni, ad un uso diffuso nel Medioevo: il giudizio di Dio,
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al quale si faceva ricorso allorch due parti non avevano argomenti sufficienti per dirimere una
controversia.
E " Se la triste condizione di questo luogo sabbioso e il nostro aspetto annerito e devastato rendono
spregevoli noi e le nostre preghiere" cominci uno di essi
" la nostra fama induca il tuo animo a dirci chi sei tu, che cos immune da tormenti cammini ancora vivo
nellinferno.
In queste prime parole che Jacopo Rusticucci (dir egli stesso il proprio nome alla fine del suo discorso)
rivolge a Dante, si sente l'esitazione, il dubbio che tormenta questi dannati: "temono che vedendoli... [il
Poeta] li abbia in dispregio. E perch sentono che cos meriterebbero, al noi aggiungono subito: e nostri
prieghi, ben sapendo la durezza d'animo che ci vorrebbe a disprezzare anche le preghiere degli
infelici" (Pietrobono).
Questo, di cui mi vedi calpestare le orme, bench cammini nudo e spellato, fu di condizione pi elevata di
quanto tu possa credere:
fu nipote della virtuosa Gualdrada; ebbe nome Guido Guerra, e nella sua vita si distinse per ingegno e
valore,
Il primo dei dannati presentati a Dante da Jacopo Rusticucci Guido Guerra, appartenente alla famiglia
dei conti Guidi, valoroso combattente di parte guelfa, nato verso il 1220. Bandito da Firenze dopo la
sconfitta di Montaperti (1260), fu capo dei fuorusciti guelfi nella battaglia di Benevento (1266),
combattuta contro i Ghibellini di re Manfredi, figlio di Federico II. Questa battaglia segn il crollo delle
fortune del partito ghibellino in Italia. Guido Guerra era, come qui viene ricordato. nipote di Gualdrada,
figlia di Bellincione Berti de' Ravignani, il quale sar presentato dal Poeta, attraverso le parole
dell'antenato Cacciaguida (Paradiso XV, 112-113), come il modello del fiorentino frugale di antico
stampo. Molte leggende celebravano, ai tempi di Dante, insieme alla sua bellezza, la virt di Gualdrada.
Laltro, che dietro me calpesta la rena, Tegghiaio Aldobrandi, le cui parole avrebbero dovuto essere
apprezzate nel mondo.
Tegghiaio Aldobrandi degli Adimari, Il "cavaliere savio e prode in arme e di grande autoritade" (Villani Cronaca VI, 78), appartenne anch'egli al partito guelfo. Si narra che tent vanamente di dissuadere i suoi
concittadini dall'intraprendere la spedizione contro i Senesi e i fuorusciti ghibeilni comandati da Farinata
degli Uberti, spedizione destinata a concludersi tragicamente a Montaperti (1260). Per questo Dante fa
dire a Jacopo Rusticucci che i pareri espressi da Tegghaio avrebbero dovuto essere tenuti in maggior
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considerazione.
Come di Tegghiaio Aldobrandi, anche di Jacopo Rusticucci Dante aveva chiesto notizie a Ciacco,
ricordandolo tra i protagonisti della storia recente di Firenze. Secondo l'Anonimo Fiorentino fu "valoroso
uomo e piacevole". Non abbiamo molte altre notizie di lui. Nelle parole che il Poeta gli attribuisce appare
un velato cenno al suo peccato (e certo la fiera moglie pi ch'altro mi noce).
Se io fossi stato al riparo dal fuoco, mi sarei lanciato di sotto in mezzo a loro, e credo che Virgilio lo
avrebbe permesso;
ma poich sarei stato arso dalle fiamme, il timore prevalse sul mio lodevole desiderio che mi rendeva
bramoso di abbracciarli.
Poi cominciai: "La condizione nella quale vi trovate non ha suscitato in me disprezzo, ma un dolore tanto
grande che passer molto tempo prima che io me ne liberi completamente,
allorch Virgilio mi disse parole dalle quali argomentai che si avvicinassero anime grandi quali voi siete.
Appartengo alla vostra citt, e ho sempre appreso e ascoltato le vostre opere e i vostri nomi onorati con
commozione.
Nota opportunamente il Montanari come l'affetto che Dante sente per questi concittadini " pi
impetuoso e fiero di quello per Brunetto che pur aveva, a differenza di questi, conosciuto familiarmente".
L'incontro con queste tre anime "pi drammaticamente concitato" di quello col suo antico maestro,
risolto in una tonalit elegiaca, poich in Dante "la passione di patria ha accenti pi sonori dell'affetto
familiare".
Lascio lamarezza del peccato e mi dirigo verso i dolci frutti del bene a me promessi dalla mia guida
(Virgilio) veritiera; ma occorre che io precipiti prima fino al centro (della terra) ".
In questa terzina il Poeta riassume, come gi nella risposta a Brunetto Latini, ma in forma pi concisa,
armonizzando cos il suo modo di parlare a quello dei suoi interlocutori, la vicenda del suo viaggio nell'al
di l. Riappare per un attimo il linguaggio simbolico, di chiara intonazione scritturale (lo tele... dolci
pomi), che aveva caratterizzato il suo colloquio con il notaio fiorentino nel canto precedente.
"Possa tu vivere a lungo" rispose ancora quello, " e la tua fama risplendere dopo la tua morte,

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

ma di se nella nostra citt abitano ancora cortesia e valore cos come solevano, o se sono
completamente scomparsi;
poich Guglielmo Borsiere, il quale da poco soffre qui con noi, e cammina l con i compagni, ci addolora
molto con le sue parole."
Come gi nell'episodio di Farinata, sembra che anche per questi tre Fiorentini i tormenti dell'inferno
passino in seconda linea di fronte all'interesse che essi nutrono per la sorte della loro citt. Ma in loro la
carit del nato loco (Inferno XIV, 1) pi pura che in Farinata: essi non guardano agli interessi della
patria attraverso quelli del loro partito; la loro dedizione va intera a Firenze, al di l di ogni discordia
intestina; la loro attenzione si rivolge, non al fatto politico in s, ma ai suoi riflessi civili e morali (cortesia
e valor di' se dimora).
Guglielmo Borsiere fu, secondo il Boccaccio, "cavalier di corte, uomo costumato molto di laudevol
maniera".
" La gente nuova (pervenuta di recente alle cariche politiche e arrivata in gran parte dal contado) e gli
improvvisi guadagni hanno prodotto superbia e sfrenatezza, in te, Firenze, tanto che gi te ne duoli."
L'apostrofe di Dante, una delle pi celebri della Commedia, ripropone, in questa terzina, quelli che gi
negli episodi di Ciacco e di Brunetto Latini sono stati considerati i motivi determinanti del corrompersi
delle antiche virt in Firenze. Qui, alla domanda di Jacopo Rusticucci, ansioso di sapere la sorte toccata in
Firenze a cortesia e valor, il Poeta risponde rivolgendosi, nel tono degli antichi profeti, direttamente alla
sua citt: al binomio cortesia e valor, se ne oppongono, nelle sue parole, due, quasi a rafforzare, col peso
delle determinazioni, la durezza della sua affermazione: la gente nova e' subiti guadagni, cui fa eco,
subito dopo, il duplice complemento oggetto orgoglio e dismisura. Nel drammatico prorompere del suo
dolore Dante insiste sulla presenza in Firenze del male, pi che soffermarsi sul suo primo manifestarsi nel
tempo: ecco perch i quattro sostantivi che questo male denunziano sono anteposti, come a formare un
unico indissolubile blocco, al verbo che sintatticamente li unisce (han generata).
Cos gridai a testa alta; e i tre, che interpretarono queste parole come una risposta, si guardarono lun
laltro come ci si guarda quando si ode una verit (che rattrista).
" Se ti costa sempre cos poco sforzo " risposero tutti " accontentare gli altri, te fortunato se riesci ad
esprimerti cos bene !
Perci, possa tu scampare a questi luoghi oscuri e tornare a rivedere le belle stelle, quando ti sar dolce
dire "Io fui (nellinferno)",
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(in nome di questo augurio) fa in modo di parlare alla gente di noi. " Quindi ruppero il cerchio, e le loro
agili gambe sembrarono ali nel fuggire.
Il Momigliano attira l'attenzione, a proposito di questa immagine, sulla "precisione visiva di rupper" e
sull'impressione che da tutto il periodo scaturisce, "d'una ruota che si spezza in tanti raggi sbalestrati
nell'aria".
Non si sarebbe potuto pronunciare un amen cos rapidamente come essi sparirono; e perci Virgilio
giudic opportuno che ci allontanassimo.
lo lo seguivo, ed avevamo percorso poco cammino, quando il fragore dellacqua ci fu cos vicino, che se
avessimo parlato ci saremmo uditi appena.
Come quel fiume che, per primo (per chi guarda) dal Monviso verso levante, ha (tra i fiumi che nascono)
dal versante sinistro dellAppennino, un corso interamente suo,
il quale nella parte superiore si chiama Acquacheta, prima di scendere nel suo alveo in pianura, e a Forl
non ha pi quel nome
rimbomba sopra San Benedetto dellAlpe per il fatto che precipita attraverso una sola cascata ove
dovrebbe essere ricevuto da mille (cascate),
cos trovammo che rimbombava quellacqua oscura, riversandosi attraverso un pendio ripido, in modo
tale che avrebbe in poco tempo danneggiato ludito.
Anche questa similitudine, cos ricca di riferimenti ad una realt che non pare concedere nulla
all'insorgere del sentimento, cos minuziosa nella determinazione di particolari apparentemente superflui
(come, ad esempio, quello riguardante il nome che il fiume, il Montone, ha, prima di precipitare nella
cascata sopra San Benedetto dell'Alpe), concepita in funzione di quella umanizzazione della cupa
atmosfera infernale gi rilevata nelle similitudini delle arnie e della rota. Come opportunamente scrive il
Caretti, "tutta la serie delle precisazioni geografiche (inutili soltanto per chi tenga d'occhio la similitudine
in se stessa) hanno lo scopo di togliere ogni carattere fantomatico al fragore ormai vicino e di prepararci
progressivamente all'incontro con la ripa discoscesa e con l'acqua tinta".
Io avevo una corda legata intorno (ai fianchi), e con essa avevo pensato una volta di catturare la lonza
dal manto screziato.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Il significato del simbolo adombrato nella corda piuttosto oscuro. Non sembra che in essa possa
vedersi, come voleva un antico commentatore, il Buti, il cordiglio francescano. Tra le varie ipotesi
avanzate al riguardo, grande credito ha goduto quella dello Scartazzini, secondo il quale la corda
alluderebbe alla castit che vince la lussuria (simboleggiata dalla lonza). La corda non servirebbe ormai
pi a Dante, "dal momento che egli ha lasciato dietro di s l'ultimo cerchio dove si puniscono peccati di
lussuria" (quelli dei violenti contro natura). Egli pu quindi a questo punto liberarsene. Secondo un'altra
interpretazione, essa non designerebbe soltanto una difesa contro la lussuria, ma anche contro la frode
(il peccato punito nei due cerchi che il Poeta si appresta a visitare) : in essa dovremmo pertanto vedere,
oltre la mortificazione della carne, anche il senso della legalit, il potere della legge. "La corda gettata
via prima che Dante scenda tra i fraudolenti, perch la legge si rivela insufficiente quando a sostegno
della colpa sopravviene l'ausilio dell'intelletto, quando il peccatore si arrocca nelle agili formule del
farisaismo leguleio..." (Pasquazi)
Dopo essermi completamente slegato, cos come mi aveva ordinato Virgilio, gliela porsi stretta e avvolta.
Per cui egli si volse verso destra, e la gett gi in quel profondo precipizio alquanto lontano dalla sponda.
" Eppure occorre che qualcosa di nuovo appaia " dicevo fra me stesso " in risposta al segnale inusitato
che Vrglio segue con lo sguardo cos attentamente. "
Ahi quanto prudenti devono essere gli uommi davanti a coloro che non vedono soltanto le azioni, ma
penetrano con linteffigenza dentro i pensieri !
Egli mi disse: " Fra poco salir ci che attendo e che il tuo pensiero confusamente immagina : fra poco
dovr apparire alla tua vista ".
Luomo deve sempre tacere, finch pu, quella verit che ha apparenza di menzogna (per il fatto che
incredibile), poich essa, senza che egli ne abbia colpa, lo pone nella condizione di vergognarsi;
ma a questo punto non posso tacere (la verit); e sui versi di questa commedia, o lettore, ti giuro, cos
possano essi non essere privi di accoglienza gradita che duri a lungo,
che vidi attraverso quellaria densa e tenebrosa venire nuotando verso lalto una figura, tale da destare
sgomento in ogni animo forte,
cos come torna alla superficie colui che scende talvolta a disincagliare lancora impigliata o in uno scoglio
o in altra cosa chiusa nel mare,
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

il quale si tende nella parte superiore del corpo, e si rattrappisce in quella inferiore.
Per conferire maggior credibilit alla scena irreale che si prepara a descrivere (l'arrivo del mostro
Gerione, simbolo della frode), Dante giura sui versi del proprio poema. Secondo quanto il Poeta dice nella
lettera da lui indirizzata a Cangrande della Scala per dedicargli il poema (XIII, 29-31) e in un passo del
De vulgari eloquentia (II, IV, 5-6), il termine comedia designerebbe ogni componimento poetico trattato
in uno stile familiare e in una lingua semplice e caratterizzato da un lieto scioglimento. Nel Paradiso
(XXV, 1-2) il poema sar invece definito 'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra.
Il mostro che sale dall'abisso, in risposta al segnale della corda gettata da Virglio, per ora ancora
soltanto una immagine indeterminata (figura), animata per da una vitalit possente e armonica. La
similitudine del sommozzatore mette in rilievo l'energia controllata di ogni suo movimento. Proprio
perch simboleggia la frode, Gerione appare, fin da questi primi versi, del tutto diverso, nelle sue
manifestazioni, dalle potenze infernali poste a custodia dei cerchi degli incontinenti e dei violenti .

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO XVII

"Ecco il mostro dalla coda acuminata, che varca le montagne, e infrange ogni ostacolo; ecco quello che
appesta col suo fetore lintero universo! "
Virgilio annuncia l'arrivo di un altro custode infernale, Gerione, simbolo della frode. Soltanto un
particolare dell'aspetto fisico del mostro messo in rilievo in questa terzina - la coda - ma il particolare
che meglio ne caratterizza l'indole ambigua e pericolosa e sul quale con maggior insistenza si soffermer
la fantasia del Poeta. E' solo col guizzare della coda che Gerione, protagonista muto di questo canto, di
una quasi agghiacciante sottomissione ai comandi di Virgilio ( il primo dei custodi infernali che non tenta
di ostacolare il cammino dei due poeti), mostrer il nervosismo della bestia non doma. La frode colpisce a
tradimento, senza dichiarare le proprie intenzioni; ecco perch vedremo, dietro la faccia di uomo giusto
di Gerione, enigmatica nella sua immobilit, celarsi l'insidia, rappresentata dalla sua coda armata di
aculei velenosi.
Anche la figura di Gerione deriva, come quelle dei custodi infernali sin qui incontrati dai due poeti, dalla
mitologia. Le leggende ne parlavano come di un re crudelissimo, che accoglieva gli ospiti benignamente
per poi ucciderli; fu a sua volta ucciso da Ercole. I poeti latini lo descrivono come un gigante che aveva
tre corpi e tre teste. "Ma non solo quella natura tricorporea non aveva una descrizione precisa, essa non
appariva chiara come simbolo, e a Dante importa ritrovare nelle favole della mitologia, almeno
adombrato, un valore simbolico. Per questo la stranezza di quei tre corpi gli sugger l'idea dell'inganno,
della frode, ma egli volle dare concretezza visiva e simbolica a quella figura e la immagin non con tre
corpi, ma con tre nature diverse in un corpo solo." (Gallardo)
Ma nella figura di Gerione confluisce, insieme all'ispirazione mitologica, anche quella scritturale. E
probabile, infatti, che nell'immaginarla il Poeta abbia tenuto presente un passo dell'Apocalisse (IX, 7-11)
ove si parla di locuste dal volto umano e dalla coda di scorpione. Il re di queste locuste, Abaddon,
chiamato "angelo dell'abisso", salir, secondo la profezia di San Giovanni - e in ci forse un'altra
concordanza fra questa pagina della Commedia e il testo biblico, - dal "pozzo dell'abisso" per dirigersi
verso Gerusalemme. Anche il moto ascendente di Gerione, tenuto conto di quella che la posizione
dell'inferno dantesco, diretto verso Gerusalemme. Occorre altres ricordare che nella pittura, nella
scultura e nella miniatura del Medioevo frequente la rappresentazione di figure mostruose o grottesche.
Nell'immaginare Gerione Dante pu quindi essersi ispirato anche alle arti figurative del suo tempo. Scrive
al riguardo A. Venturi: "Da una sfinge, scolpita dai Cosmati sotto le cattedre vescovili, sotto le colonne
tortili dei pulpiti, innanzi ai parapetti degli altari, Dante ricava la figura di Gerione, che poi colora secondo
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

le rappresentazioni comuni di belve nelle stoffe orientali, con la cute dipinta di nodi e di rotelle".
Cos cominci a dirmi Virgilio; e gli fece segno di accostarsi allorlo del burrone, vicino al termine degli
argini pietrosi che avevamo percorso.
E quellimmondo simbolo di frode gunse, e port sullorlo la testa e il tronco, ma non depose sulla riva la
coda.
Il suo volto era volto di uomo onesto, tanto benevolo era il suo aspetto esteriore, e tutto il resto del
corpo era quello di un serpente;
Diversamente da quello degli altri custodi infernali, il viso di Gerione non ha nulla di bestiale, anzi
suggerisce una perfetta equit di pensieri ed azioni (era faccia d'uom giusto).La frode per essenza un
male che non si rivela, occultato sotto apparenza di bene. Un passo del Convivio chiarisce il significato
simbolico di questi versi: "quelle cose che prima non mostrano li loro difetti sono pi pericolose, per che
di loro molte fiate prendere guardia non si pu; s come vedemo nel traditore, che ne la faccia dinanzi si
mostra amico, s che fa di s fede avere, e sotto pretesto d'amistade chiude lo difetto de la
inimistade" (IV, XII, 3).
aveva due zampe artigliate pelose fino alle ascelle; aveva il dorso e il petto e ambedue i fianchi disegnati
con nodi e piccoli cerchi:
n Tartari n Turchi fecero mai tappeti con pi colori, con maggior variet di fondi e di disegni a rilievo,
n simili tele furono tessute da Aracne (espertissima tessitrice della Lida che sfid Minerva e fu dalla dea
trasformata in ragno).
Le zampe pelose e artigliate ricordano quelle del drago, animale che ossession la fantasia dei narratori,
pittori e scultori del Medioevo e si riferiscono alla crudelt del male da Gerione simboleggiato; il
complicato arabesco che stria la pelle del mostro allude probabilmente alle tortuose macchinazioni di cui i
fraudolenti si servono per sorprendere la buona fede altrui. Nessuno dei custodi infernali stato descritto
con tanta dovizia di particolari come questa immagine di froda. Erano tutti stati colti sinteticamente in
una manifestazione di vitalit incomposta, che da sola bastava a denunciare il male che personificavano.
Ma Gerione appare tranquillo, per nulla turbato dalla presenza di un vivo nel regno delle ombre. Anzi,
nella prima parte del canto, se non fosse per il minaccioso guizzare della coda nel vuoto, dal quale, come
abile nuotatore, emerso, sembra quasi non avere vita. A determinare in noi questa impressione
contribuiscono, oltre che il volto inespressivo e la sincronia di ogni suo movimento, messa in luce nelle
due ultime terzine dei canto precedente, le smilitudini usate per dare verosimiglianza alla sua figura.
Queste similitudini, fatta eccezione per quella del castoro (versi 21-22), riallacciano la figura di Gerione al
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

mondo inorganico anzich a quello della vita. Tuttavia si tratta di mondo inorganico che porta in s la
traccia dell'intelligenza umana (i drappi, le tele, i burchi). La frode smentisce ogni forma di passionalit,
proprio perch la passionalit, quale, che sia il giudizio morale che su di essa possiamo formulare, non
pu non essere schietta e manifestarsi per quella che . L'inganno invece richiede calcolo, pazienza,
capacit di dissimulazione, sangue freddo. Gerione, misterioso e immobile nella prima parte del canto,
scender poi lentamente, docile alle ingiunzioni di Virgilio, fino a deporre i due poeti alla base del costone
roccioso che dal settimo cerchio precipita nell'ottavo, ma soltanto dopo avere adempiuto a questo suo
ufficio manifester compiutamente, per un attimo, l'estrema mobilit di cui capace.
Come a volte le barche sono ferme a riva, con una parte del loro scafo in acqua e una parte sulla
terraferma, e come nelle terre abitate dai Tedeschi crapuloni
il castoro si dispone a cacciare i pesci, cos il peggiore dei mostri, stava sul margine che, pietroso, cinge
la distesa di sabbia.
Calzante il paragone con le barche per questa figura che era venuta nuotando attraverso l'aria ed ora
giace in subdola calma sull'orlo pietroso del sabbione. Nota il Soldati come Gerione sia "bestia e veicolo
insieme" e suggerisce un accostamento, per quel che riguarda il loro aspetto esteriore, fra il mostro e
quelle navi da corsa la cui poppa era sormontata da un fregio alto e ricurvo. Figuriamocene una, di notte,
appoggiata alla riva nella posizione dei burchi. Gerione, nave-fiera-demonio, cos!". Il secondo
paragone richiama, come ha giustamente rilevato il Grabher, non solo la posizione di Gerione sull'orlo
interno del cerchio, ma anche "l'intenzione di lui: quel disporsi a far sua guerra e in modo cos insidioso".
Lintera sua coda si agitava nel vuoto, contorcendo in alto la velenosa estremit biforcuta che aveva le
punte munite di aculei come quella di uno scorpione.
La coda biforcuta di Gerione sta ad indicare la doppiezza dell'azione fraudolenta. Secondo alcuni
interpreti le due punte della coda alluderebbero ai due tipi di frode: la frode contro chi si fida e quella,
contro chi non si fida (cfr. Inferno XI, versi 53-54).
Occorre notare che il paragone con la coda dello scorpione si riferisce al veleno di cui munita quella di
Gerione, non alla biforcazione, che richiama piuttosto le due pinze poste sul capo dello scorpione, dato
che la coda finisce in una punta sola.
Virgilio disse: " Occorre adesso che il nostro cammino sia deviato un poco fino a quella bestia perversa
che si trova l ".
Cos un antico commentatore, l'Ottimo, spiega la deviazione che a questo punto i due poeti compiono,
allontanandosi dalla direzione fino allora seguita: Il non si potea per diritto calle andare alla frode, anzi
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

per tortuoso; nulla via mena a lei diritto".


Perci scendemmo verso destra, e percorremmo dieci passi sullestremit del cerchio, per evitare
completamente la sabbia e la pioggia di fuoco.
E quando fummo giunti vicino a lei, vidi un po pi in l sulla sabbia gente che sedeva vicino allabisso.
Qui Virgilio: " Affinch tu abbia una conoscenza completa di questo girone" mi disse, "avvicinati a loro, e
osserva la loro condizione.
I tuoi discorsi siano l brevi: finch non sarai tornato, parler con questa (bestia), perch ci offra le sue
vigorose spalle ".
Dante non assiste al colloquio di Virgilio con Gerione, il quale rimane chiuso, in tutto il canto, in un
assoluto mutismo. Il silenzio che circonda il mostro rende con grande evidenza il carattere ambiguo e
sfuggente della fiera, che presenta ai due pellegrini, assoggettato ed obbediente, il solo corpo.
Cos me ne andai tutto solo ancora sullorlo estremo del settimo cerchio, dove sedeva la gente
tormentata.
Il dolore di questi dannati prorompeva in lagrime attraverso gli occhi; si proteggevano con le mani,
agitandole di qua e di l, ora dalle fiamme, e ora dal terreno infuocato:
non diversamente fanno i cani destate ora con il muso, ora con la zampa, quando sono morsicati o dalle
pulci o dalle mosche o dai tafani.
Per esprimere l'inanit degli sforzi, destinati a ripetersi in eterno, di questi dannati (gli usurai), il Poeta
ricorre ad una similitudine efficace nella sua brutale immediatezza: quella dei cani che cercano di
difendersi dal morso fastidioso di parassiti ed insetti. "L'assllo della pena e il meccanico ripetersi dei gesti
sono sottolineati anche da certe insistenti ripetizioni: quando... quando ... ; or col... or col ... ; o da... o
da... o da." (Grabher) L'atteggiamento degli usurai esprime qui e alla fine del discorso di Reginaldo degli
Scrovegni (versi 74-75) tutta la degradazione del loro essere.
Dopo che ebbi fissato lo sguardo nel volto di alcuni, sui quali cade il fuoco tormentatore, non riconobbi
nessuno; ma osservai
che a ciascuno di loro pendeva dal collo una borsa, che aveva un colore determinato e un determinato
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

disegno, e sembrava che il loro sguardo traesse nutrimento da queste borse.


Come nel canto degli avari e prodighi, Dante mostra di ignorare l'identit di questi peccatori: la borsa,
simbolo della loro sfrenata cupidigia di beni materiali, appare come l'espressione pi esauriente della loro
personalit. Per maggior irrisione, sul sacchetto che pende dal collo dei dannati dipinto lo stemma della
loro famiglia.
E a mano a mano che li andavo osservando pi attentamente, vidi su una borsa gialla dellazzurro che
aveva sembianza e atteggiamento di leone.
Il leone azzurro in campo giallo rappresenta lo stemma dei Gianfigliazzi, famiglia guelfa fiorentina, alla
quale apparteneva Catello Gianfigliazzi, usuraio in Francia. L'attenzione dei Poeta non si ferma sulla
persona di questo peccatore, che rimane del tutto nell'ombra, come se non esistesse, ma sull'emblema
del suo peccato.
Poi, mentre il carro dei mio sguardo procedeva, oltre, ne vidi unaltra rossa come sangue, che ostentava
unoca candida pi del burro.
L'oca bianca in campo rosso lo stemma degli Obriachi, nobile famiglia. ghibellina, i cui membri
esercitarono l'usura. Quanto al raffronto del colore dell'oca con quello del burro il Sapegno rileva che
"I'immagine gastronomica si intona... aI tono beffardo e sarcastico, che serpeggia per tutto questo
gruppo di terzine". Ma forse, nella descrizione degli stemmi degli usurai, prevale, sull'intento
moraleggiante, il puro gusto degli accostamenti di colore.
E uno che aveva disegnata sulla sua borsa bianca una scrofa azzurra e pingue, mi disse: " Che fai in
questa voragine?
Parla, secondo la maggior parte dei critici, il padovano Reginaldo degli Scrovegni. "L'interrogazione
stizzosa - scrive il Torraca - lascia intendere che l'usuraio s' accorto di aver innanzi un vivo, e ne
scontento".
Ora vattene; e poich sei ancora vivo, sappi che il mio concittadino Vitaliano sieder qui alla mia sinistra.
Reginaldo si compiace di riversare sui suoi compagni di pena (verso 70) l'onta che gli deriva dall'essere
stato veduto dal Poeta, che riporter questa notizia nel mondo dei vivi. Egli perci ne denuncia, non
richiesto, la presenza accanto a lui e il prossimo arrivo nel suo girone. Osserva ancora il Torraca: "Dopo
l'interrogazione scortese, l'ingiunzione sgarbata. E non basta: non per usar cortesia a quel vivo, ma per
sfogare la sua stizza, se la piglia con due, che sono ancora in terra, e con i suoi stessi compagni di pena;
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/diciassettei.htm (5 di 9)08/12/2005 9.03.24

Divina commedia: Parafrasi Inferno

di questi fa la caricatura, di quelli proclama il peccato e annunzia la punizione, di s e degli altri


cinicamente dice la patria".
L'usuraio qui menzionato probabilmente Vitaliano del Dente, podest a Vicenza nel 1304 e a Padova nel
1307.
Insieme a questi fiorentini sono padovano: molte volte mi assordano ludto gridando: "Venga il grande
cavaliere,
che porter la borsa coi tre caproni !" " A questo punto storse la bocca e tir fuori la lingua come un bue
che s lecca, il naso.
Il cavalier sovrano il fiorentino Giovanni Buiamonte della famiglia dei Becchi, morto nel 1319. Il Poeta
"vuol mettere proprio in vista che l'usuraio atteso in inferno era cavaliere, e dei pi rinomati, a maggior
vergogna di Gianni Buiamonte e della citt che dava l'onore della cavalleria a siffatta gente", poich "
ben pi vergognosa l'usura in tale che si teneva o era tenuto primo dei cavalieri, come , d'altra parte,
vergogna dar l'onore della cavalleria a siffatta gente" (Barbi).
E io, temendo che un ulteriore indugio infastidisse Virgilio che mi aveva raccomandato una breve sosta,
tornai indietro (allontanandomi) da quelle anime afflitte.
Trovai Virgilio che era gi salito sulla groppa del mostro terrificante, e che mi disse: " Ora sii forte e
coraggioso.
Dora in poi si scende con tali mezzi: sali davanti, perch io voglio stare nel mezzo, in modo che la coda
non possa nuocere ".
Oma si scende per s latte scale: i due poeti scenderanno dal settimo all'ottavo cerchio sulle spalle di
Gerione, saranno deposti sulla superficie ghiacciata dello stagno Cocito (nono cerchio) dalla mano del
gigante Anteo e raggiungeranno il centro della terra calandosi lungo il corpo di Lucifero. Il loro viaggio
diventer sempre pi pericoloso a mano a mano che si inoltreranno nel regno della frode.
Come colui che sente cos vicino il brivido della malaria, da averne gi le unghie livide, e che trema in
ogni sua fibra al solo vedere un luogo pieno dombra,
tale divenni dopo le parole pronunciate (da Virgilio); ma mi ammon il pudore, il quale rende il servo
coraggioso in presenza di un valente padrone.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Vivissimo in Dante il senso della concretezza, l'attenzione ai particolari che tutta una tradizione
letteraria, prima e dopo di lui, ha sdegnato. In questa similitudine, ad esempio, il Poeta non si limita a
dire che il malarico impallidisce, ma ci pone sotto gli occhi questo pallore e ne suggerisce il subitaneo
diffondersi attraverso la relativa c'ha gi l'unghie smorte.
lo mi sedetti su quelle paurose spalle: provai bens a dire, ma la voce non usc come credetti: " Fa in
modo di cingermi con le tue braccia ".
Ma egli, che gi altre volte mi aveva aiutato in altri momenti di pericolo, appena fui salito, mi cinse e mi
sorresse con le braccia;
e disse: " Gerione, tempo di partire: i giri siano ampi, e la discesa graduale: tieni conto del carico
inusitato che trasporti ".
Corne la barca si stacca dal punto dove ha attraccato procedendo a ritroso, cos si stacc di l; e dopo che
si sent del tutto a suo agio,
volse la coda, l dove prima era il petto, e, tesa, la mosse come unanguilla, e con le zampe tir a s
laria.
Non credo che fosse maggiore la paura quando Fetonte lasci andare le redini, motivo per cui il cielo,
come ancora si vede, fu bruciato;
n quando linfelice Icaro sent le spalle perdere le penne a causa della cera che si era scaldata, mentre il
padre gli gridava: " Fai un percorso sbagliato! ",
di quanto fosse la mia, allorch vidi che mi trovavo circondato da ogni parte dallaria, e vidi scomparire la
vista di ogni cosa fuorch quella del mostro.
Fetonte, figlio del Sole, avendo ottenuto dal padre il permesso di guidarne il carro, fu colpito da un
fulmine di Gove per aver deviato dal giusto cammino e precipit nell'Eridano. Secondo questa leggenda
la Via Lattea il segno della bruciatura provocata sulla superficie del cielo dal passaggio del carro del
Sole guidato da Fetonte. Dante rappresenta il giovinetto nel momento in cui, perduto il controllo dei
cavalli, colto dal terrore (Ovidio - Metamorfosi II, 1 sgg.).
lcaro, figlio di Dedalo, l'architetto che aveva edificato a Creta il labirinto, era stato imprigionato insieme
con il padre in questa costruzione. I due riuscirono ad evadere servendosi, delle ali che Dedalo aveva
fabbricate e incollate alle proprie spalle e a quelle del figlio con la cera. Mentre volavano sul
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Mediterraneo, per essersi Icaro troppo avvicinato al sole, la cera che teneva attaccate le ali alle sue
spalle si sciolse, le ali caddero ed egli precipit nel mare (Ovidio - Metamorfosi VIII, 182-235).
Il Poeta ricorre a questi due richiami mitologici per esprimere la paura da lui provata durante la
navigazione aerea, sul dorso di Gerione. Ma tanto l'interesse con cui si sofferma sul volo dei due
personaggi ovidiani (notiamo il vigore di un termine cos inconsueto come questo si cosse, riferito a ciel,
e lo scorcio grandioso del verso 111: quel padre isolato in uno spazio senza confini, padrone delle vie
dell'aria, che con tanta semplicit - tre parole in tutto sa manifestare la sua angoscia, per la sorte del
figlio), che finisce, quasi per dimenticare la sua paura.
Esso procede nuotando lentamente: scende compiendo cerchi, ma non me ne rendo conto se non per il
fatto che laria mi colpisce in volto e dal basso.
Io sentivo gi a destra la cascata (del Flegetonte) fare sotto di noi uno spaventoso fragore, per cui sporsi
verso il basso la testa per vedere,
Opportunamente il Getto rileva come in questi versi non sia la paura ad occupare la fantasia del Poeta,
"ma la sostanza, profondamente assaporata, delle immagini della discesa lenta, progressiva e circolare,
che avvicina e rende percepibile ai sensi quel che ne era prima lontano ed estraneo, e, intrecciate a
queste, quelle della posizione del corpo nell'aerea cavalcata, gli occhi e il capo che, si piegano in gi
curiosamente, e le cosce che solo timidamente, ad assecondare quello sguardo nel vuoto, si scostano
dalla cavalcatura e subito istintivamente vi si stringono".
Allora temetti maggiormente di cadere, perch vidi fuochi e udii pianti; perci tremando strinsi
fortemente le gambe (al dorso di Gerione).
E mi resi conto allora, poich non me ne ero accorto prima, dello scendere in cerchio a causa dei grandi
supplizi che si avvicinavano ora da una parte ora dallaltra.
Come il falco che stato a lungo in volo, il quale, senza aver veduto il richiamo del cacciatore o alcuna
preda, fa dire al falconiere " Ahim, tu stai calando! ",
scende stanco verso il luogo dal quale si era mosso agile, con innumerevoli giri, e si posa lontano dal suo
padrone, sdegnoso e crucciato,
cos Gerione ci depose sul fondo, proprio ai piedi della rupe tagliata a picco e, liberatosi del peso dei
nostri corpi,
spar come freccia che si stacchi dalla corda dellarco.
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Di queste due similitudini, quella del falcone disdegnoso e fello sembra per un istante avvicinare a un
mondo di consuetudini umane (la caccia) la figura di Gerione; quella della cocca ne ripropone appieno
l'enigma. Nulla giustifica, infatti, questa sparizione improvvisa se non l'obbedienza del mostro a un volere
che trascenda ogni nostra capacit di intendimento.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


INFERNO CANTO XVIII

Vi nellinferno un luogo chiamato Malebolge, fatto interamente di una pietra del colore del ferro, come
la parete rocciosa che tuttintorno lo circonda.
Il canto inizia con la descrizione della topografia dellottavo cerchio, nel quale sono puniti i fraudolenti
contro chi non si fida. Il cerchio diviso in dieci bolge (borse, sacche: cio fossati, avvallamenti)
concentriche. Il verso di apertura, cos solenne e sobro, segna un netto distacco dalla fine del canto
precedente, tutto dominato dalla presenza del sovrannaturale e culminante nella miracolosa sparizione di
Gerione. Esso, se da un lato rimanda, per la sua struttura, ad altri inizi di discorsi o di narrazioni
dellInferno, come, ad esempio, allendecasillabo, cos delicatamente atteggiato, siede la terra dove nata
fui del canto di Francesca, e a quello che apre la leggenda del Veglio di Creta, in mezzo mar siede un
paese guasto, da questi si distacca per la scansione severa, che nulla concede al patetico o al fiabesco.
Proprio nel centro di questo piano malvagio si apre un pozzo molto largo e profondo, del quale descriver
la struttura quando sar il momento.
Il pozzo che si apre nel centro di Malebolge porta dallottavo al nono cerchio, nel quale sono puniti i
fraudolenti contro chi si fida, cio i traditori. In questa descrizione preliminare della parte pi bassa
dellinferno la natura "contemplata con distacco, nella sua definizione architettonica" (Sanguineti) : di
qui luso del termine pozzo per designare lultimo precipizio della voragine infernale. La rigorosa
geometria dellottavo cerchio la manifestazione visibile "della mente ordinatrice che ad ogni colpa ha
assegnato il suo luogo di punizione" (Gallardo).
Quella fascia che resta tra il pozzo e la base dellalta parete rocciosa pertanto circolare, e ha la
superficie suddivisa in dieci avvallamenti.
Quale aspetto presenta, dove numerosi fossati circondano i castelli, per proteggerne le mura, il luogo in
cui questi si trovano,
tale figura offrivano l quegli avvallamenti e come tali fortezze hanno dalle loro soglie fino alla riva
esterna dellultimo fossato dei piccoli ponti,
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

cos dalla base della parete partivano ponti di pietra che attraversavano gli argini e i fossati fino al pozzo
che li interrompe e nel quale convergono.
Opportunamente il Grana rileva che in questa descrizione "la grandiosa topografia del basso inferno
come rimpicciolita in un plastico, semplificata e spoglia di particolari, ridotta a forme e dimensioni
rigorosamente geometriche. Nel corso della discesa, Malebolge riveler un cumulo di forme sconvolte,
informi, con tutti gli orrori che la giustizia divina vi ha racchiusi; ma ora, nella sua conformazione
generale, offre una visione gelida, e impressionante di armonia, una forma orrida ma mirabile per
precisione e simmetria: orma dellEterno Fattore impressa anche nellinferno, come in tutto il creato,
secondo il disposto duna " alta Provvedenza ", visibile nella natura del luogo di pena, come nei tormenti
inflitti ai dannati". Eppure anche in una descrizione cos volutamente distaccata e impersonale, il
linguaggio prepotentemente dinamico e drammatico del Poeta sa ricondurre la vita. Moven, riciden,
tronca e raccogli sono immagini che rendono la natura geometrica di questo cerchio "quasi partecipe
dellatto di giustizia che lha plasmata" (Grana).
In questo luogo ci venimmo a trovare, scesi dal dorso di Gerione; e Virgilio si diresse verso sinistra, e io
mi avviai dietro di lui.
Vidi verso destra nuovo dolore, pene mai prima vedute e fustigatori di nuovo genere, di cui il primo
avvallamento era pieno.
I dannati stavano nudi nel fondo: dalla met della bolgia verso lesterno procedevano in direzione
contraria alla nostra, dallaltra parte camminavano nella nostra stessa direzione, ma pi velocemente,
come i Romani a causa della grande folla, nellanno del giubileo, hanno trovato un espediente per far
transitare la moltitudine sul ponte (di Castel SantAngelo),
in modo che da un lato del ponte tutti avevano la fronte rivolta al Castello e si dirigevano verso San
Pietro; dallaltro lato andavano verso il monte (Giordano: collina sta alla sinistra del Tevere).
Nel 1300, anno del giubileo indetto Bonifacio VIII, Roma fu visitata da un gran numero di pellegrini.
Scrive in proposito il Villani (Cronaca VIII, 36): "al continuo in tutto lanno durante avea in Roma, oltre al
popolo romano, duecentomila pellegrini, sanza quegli cherano per gli cammini andando e tornando". Per
regolarne il transito sul ponte di Castel SantAngelo, esso fu diviso con un tramezzo, in modo che tutti
quelli che camminavano nella medesima direzione si trovassero dalla stessa parte.La prima bolgia
idealmente divisa in due zone concentriche. In quella esterna camminano, sferzati dai diavoli, i seduttori
per conto altrui (ruffiani), nella seconda, sottoposti ad analogo tormento, i seduttori per conto proprio.
Lordine rigoroso messo in luce nella descrizione della topografia del cerchio presente anche in questa
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veduta dinsieme della bolgia. "Senza posa, per leternit, con una simmetria, che piace a quellarchitetto
che Dante (come piaceva ai suoi contemporanei educati alla logica della scolastica) conservare anche
nello inferno, circolano cos i frodatori dellonore e della verginit femminile." (Gallarati-Scotti)
Da tutte le parti, sulla buia pietra vidi diavoli cornuti con grandi fruste, che Ii percuotevano
spietatamente sulla schiena.
Ahi come facevano loro alzare le calcagna fin dai primi colpi! nessuno certo aspettava i secondi e i terzi.
Il linguaggio astratto e solenne delle prime terzine qui dei tutto dimenticato. Ancora nel presentare la
visione della bolgia (versi 22-24) il Poeta si era servito di termini estremamente generici (pita,
tormento, frustatori nel senso di tormentatori) o letterari (il latinismo repleta). Qui la stessa scena,
veduta nella sua concretezza, dopo il paragone con lessercito molto, che mirava a cogliere in essa un
significato di portata universale - lordine che si riflette, in quanto manifestazione della mente di Dio,
anche nellinferno - si rivela comica e volgare. "I frustatori sono adesso ritrascritti come i demon cornuti,
il tormento, cos astrattamente posto allnizio, si traduce ora in aperta visione: li battien crudelmente; la
nova pieta trova alfine una esauriente illustrazione." (Sanguineti)
Mentre camminavo, il mio sguardo simbatt in uno di loro; e immediatamente dissi: "Non la prima
volta che vedo costui ";
perci per poterlo osservare meglio mi fermai: e la mia cara guida si ferm con me, e acconsent che
tornassi un po indietro.
Dante non solo rinuncia a darci un ritratto di questo personaggio, ma, quasi a sottolinearne labiezione, il
nessun conto in cui deve essere tenuto, lo indica attraverso un pronome indefinito: uno. Questa
designazione anonima acquista tuttavia il suo intero significato soltanto se messa in rapporto con
lepisodio che qui ha inizio e nel quale Dante costringer il dannato a confessare la sua colpa, facendogli
capire di averlo riconosciuto e chiamandolo per nome.
E quel frustato credette di nascondersi abbassando il viso; ma a poco gli serv, poich io gli dissi: " O tu
che volgi lo sguardo a terra,
se le tue fattezze non sono ingannevoli, tu sei Venedico Caccianemico: ma quale peccato ti conduce a
cos brucianti supplizi ? "
Il bolognese Venedico Caccianemico (c. 1228-1302) fu a capo del partito guelfo nella sua citt e ricopr la
carica di podest in diversi comuni dellItalia centrale e settentrionale. Favor la politica degli Estensi, che
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

miravano ad estendere la loro influenza su Bologna, e, secondo la diceria alla quale Dante mostra di dar
credito, indusse sua sorella Ghisolabella, gi sposata, a concedersi a uno di loro (Obizzo II o Azzo VIII).
Le parole che Dante rivolge a questo dannato sono, "sotto lapparenza della corretta
educazione" (Caretti), crudeli e sarcastiche. Il frustato ha cercato di non farsi riconoscere: non vuole che
nel mondo dei vivi si sappia che egli nellinferno per una colpa cos abietta. Il Poeta, per mostrare di
averlo riconosciuto, ne pronuncia il nome, ma, per maggiore derisione, finge di non essere del tutto certo
del suo riconoscimento (se le fazion che porti non son false). Infine, per far ben capire a Venedico di
averlo identificato, si serve del termine salse, che, se in unaccezione immediata soltanto una metafora
per " supplizi ", rappresenta anche il nome di una valle nei pressi di Bologna, dove venivano gettat i
cadaveri dei giustiziati, dei suicidi e degli scomunicati.
Ed egli: " Lo dico controvoglia; ma mi costringono le tue precise parole, che richiamano alla mia memoria
la vita terrena.
lo fui colui che indusse Ghisolabella a cedere alle brame del Marchese, comunque venga narrata questa
turpe storia.
Ma non sono il solo bolognese che qui dolorosamente sconta la sua colpa; al contrario, questo luogo
cos pieno di Bolognesi, che attualmente non vi sono tante lingue avvezze
a dire "sia" tra i fiumi Svena e Reno; e se di questo fatto vuoi una prova sicura, ricordati del nostro
animo avido ".
"Sipa": forma dellantico dialetto bolognese per la terza persona singolare del congiuntivo presente del
verbo essere. La risposta di Venedico - osserva il Caretti - "non fa che perfezionare il tono di cinica
commedia, gi reperibile nellallusiva interrogazione... Costretto a ricordare il mondo antico, Venedico
non sa infatti far altro che sciorinare impudicamente il poco onorevole catalogo delle proprie
benemerenze ....."
Mentre cos parlava un diavolo lo colp con la sua frusta, e disse: " Vattene, ruffiano! qui non ci sono
donne da prostituire ".
lo mi riaccostai alla mia guida; poi, percorsi pochi passi, arrivammo in un punto dove dalla parete
rocciosa si staccava un ponte di pietra.
Salimmo su di esso con molta facilit; e, diretti verso destra, su per la sua superficie scheggiata, ci
allontanammo da quelleterno girare.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Quando fummo nel punto in cui (il ponte) vuoto sotto di s per consentire ai frustati di passare, Virgilio
disse: " Fermati, e fa in modo che cada
su di te lo sguardo di questi altri sciagurati, dei quali ancora non hai veduto il volto poich hanno
camminato nella nostra stessa direzione ".
Dal ponte antico osservavamo la fila che avanzava nella nostra direzione percorrendo laltra parte della
bolgia, e che la frusta sospingeva cos come faceva con i ruffiani.
E Virgilio, senza che io facessi domande, mi disse: " Guarda quel grande che si avvicina, e che non
sembra versare lagrime per il dolore.
Quale portamento regale ancora conserva! Quello Giasone, che con il coraggio e la saggezza priv i
Colchi del montone.
Giasone un personaggio della mitologia del quale Dante ebbe notizia probabilmente attraverso la
Tebaide di Stazio (V, 404-485). Figlio di Esone re della Tessaglia, questo eroe guid la spedizione degli
Argonauti nella Colchide per conquistare il vello doro. La figura di Giasone si isola nella folla grottesca
dei dannati di questa bolgia. Egli non alza le berze per fuggire, ma incede dignitosamente, come si addice
ad un sovrano: vene. Non diversamente da Capaneo, egli additato come quel grande, non
diversamente da Capaneo anche Giasone sa dominare il proprio dolore. La presentazione di questa figura
ad opera di Virgilio richiama anche il modo in cui lo stesso Virgilio indica Omero al suo discepolo, nel
quarto canto (versi 86-88).Come nota il Fubini, a Virgilio affidato, nella grottesca commedia dellottavo
cerchio, "il compito di ricordare gli eroi e i miti della poesia antica, e per le sue parole si dischiude nella
greve atmosfera di Malebolge unapertura verso un mondo diverso, quello che gi commosse lanimo suo
e degli altri antichi poeti e che commuove tuttora lanimo di Dante".
Egli pass per lisola di Lemno, dono che le audaci donne senza piet avevano ucciso tutti i loro uomini.
Qui con gesti e con parole lusinghiere ingann Isifile, la giovane che prima aveva ingannato tutte le altre
donne.
La abbandon l, incinta, sola; questo peccato lo rende meritevole di tale supplizio; e si rende giustizia
anche per il male da lui fatto a Medea.
Con lui va chi usa linganno in tal modo: e basti questa conoscenza della prima bolgia e di coloro che
essa strazia ".
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Ci trovavamo gi nel punto dove langusto sentiero sincrocia con il secondo argine, e di questo fa
sostegno per un altro arco di ponte.
Di qui udimmo gente che emetteva lamenti soffocati nellaltra bolgia e soffiava rumorosamente, e
percuoteva se stessa con le palme aperte.
Le sponde erano incrostate di muffa, a causa delle esalazioni che, provenendo dal basso vi si
solidificavano formando come una pasta, la quale irritava la vista e lolfatto.
Il fondo cos profondo, che non vi luogo adatto per vedere in esso, a meno di salire sulla sommit
dellarco, l dove il ponticello di petra pi alto.
Arrivammo in quel punto; e di l vidi in basso nella bolgia una moltitudine immersa in uno sterco che
sembrava provenire dalle latrine umane.
E mentre io percorrevo con lo sguardo il fondo della bolgia, scorsi uno con la testa, cos imbrattata di
sterco, che non si distingueva se avesse o no la tonsura.
Quello mi apostrof " Perch sei cos avido di fermare il tuo sguardo su di me pi che sugli altri
insozzati ? " E io: " Perch, se ricordo bene,
io ti ho gi veduto quando i tuoi capelli erano puliti, e sei Alessio Interminelli di Lucca: per questo ti
osservo pi di tutti gli altri ".
Ed egli allora, picchiandosi il capo: " Mi hanno fatto affondare in questo luogo le adulazioni delle quali non
ebbi mai sazia la lingua ".
Poi Virgilio mi disse: " Fa in modo di spingere lo sguardo un po pi avanti, in modo da raggiungere con
gli occhi la faccia
di quella sudicia e scarmigliata donnaccia che si graffia laggi con le unghie lorde, e ora si siede in terra,
e ora dritta in piedi.
E Taide, la meretrice che al suo amante, quando costui le chiese "Ho io per te grandi meriti?" rispose:
"Pi che grandi, straordinari!"
E di questo spettacolo i nostri occhi siano sazi ".
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO I

La navicella dei mio ingegno, che lascia dietro di s un mare cos tempestoso (l'inferno), si prepara a una
materia pi serena (il purgatorio);
e canter del secondo regno (dell'oltretomba) nel quale l'anima umana si purifica e diviene degna di
salire al cielo.
Ma qui la poesia, che ha avuto finora per argomento la morte spirituale (dei dannati), riviva (trattando
della vita spirituale di coloro che raggiungeranno la beatitudine), o sante Muse, poich a voi ho
consacrato la mia vita; e a questo punto si levi pi alta la voce di Calliope (la maggiore delle nove Muse,
rtenuta dagli antichi l'ispiratrice della poesia epica; il nome, etimologicamente, significa dalla bella
voce ),
accompagnando il mio canto con quella melodia della quale le sciagurate figlie di Pierio, poi trasformate
in gazze, avvertirono la superiorit a tal punto che disperarono di sottrarsi alla punizione che le
attendeva.
Narra Ovidio (Metamorfosi V, versi 300 sgg.) che, avendo le figlie del re Pierio osato sfidare le Muse nel
canto, furono sconfitte da Calliope e trasformate in piche. Anche nel Purgatorio Dante fa grande uso dei
miti dell'antichit classica. Osserva il D'Ovidio: "nel simbolismo, che permetteva di veder sotto a quei
fantasmi una verit leggiadramente velata, egli acquetava la sua coscienza di cristiano; e accarezzava
con il immaginazione compiacente le belle favole, alle quali come poeta e come studioso dell'antichit
teneva assai".
Nell'esordio del Purgatorio il Raimondi nota che il discorso del Poeta corre su un pano retorico e su uno
morale. " Il mar crudele che ci lasciamo dietro, non soltanto il mare delle rime aspre e chiocce, il
pelago della poesia di cui si parler pi tardi nel Paradiso; ma insieme l'acqua perigliosa che s'era
intravista attraverso una comparazione nel primo canto dell'Inferno: ossia, come spiega il Convivio, il
mare di questa vita che ogni cristiano ha da percorrere per giungere al suo porto . Ed poi ancora lo
stesso mare a cui pensa il lettore della Bibbia, ogni volta che ricorda la vicenda degli Ebrei fuggiti
dall'Egitto: un mare-simbolo, che si converte in certezza di acque migliori, perch prefigura, come
mistero della fede, l'idea del battesimo e, a un tempo, quella della vittoria di Cristo sulla morte."
Per quel che riguarda la tonalit di questo proemio, in esso si preannunciano quell'euritmia e quella
delicatezza di sfumature che saranno caratteristici del canto. "La stessa proposizione ha un accento
riposato e fidente, piuttosto che squillante: n inganni la lieve impennata, piuttosto verbale ed apparente
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

che reale, dell'alzar le vele, giacch essa sta come espressione asseverativa e non ortativa o iussiva...
Non dice: tu, o ingegno, alza le vele, ma semplicemente: la navicella del mio ingegno alza le vele per
correre ora acque pi pacate e tranquille, quella navicella che lascia dietro di s il mare crudele
dell'inferno. Era mare, ed ora son solo acque; era vasto pelago, ed ora navigazione per acque pi
chiuse e quiete." (Sansone)
Un tenero colore di zaffiro orientale (la pi pura e splendente fra le varie qualit di zaffiri, secondo
quanto attestano i Lapidari medieval), contenuto nella limpida atmosfera, pura fino al cerchio
dell'orizzonte,
procur nuovamente gioia ai miei occhi, appena uscii dall'aria infernale, che aveva rattristato la mia vista
e il mio animo.
Per un poeta romantico come il Coleridge il cielo assumeva l'aspetto delI' "interno di un bacino di zaffiro".
Dante assai pi preciso nel determinare le sue sensazioni; le sue metafore, pur radicate in un fondo
analogico, non sono mai considerate in se stesse, in quanto pure intuizioni, attimi di felice contatto con
una realt pi ricca d quella che il linguaggio comune ci offre, ma si ordinano in una gerarchia razionale
di significati. L'immagine del Coleridge pu servire "a mostrare per contrasto come in Dante la gioia della
scoperta sensitiva sia subito controllata dall'intelligenza: nella terzina, a parte il contrappunto allusivosimbolico dello sfondo, interviene infatti, quasi a frenare ogni suggestione pittorica, il gusto didascalico
della descriptio temporis con i tecnicismi di aspetto del mezzo e primo giro in corrispondenza di aggettivi
affettivi come sereno e puro (Raimondi).
Venere, il bel pianeta che predispone all'amore, faceva gioire tutta la parte orientale del cielo,
attenuando con la sua luce quella della costellazione dei Pesci, con la quale si trovava in congiunzione.
L'accenno al pianeta Venere, attraverso qualificazioni (bel... rider) che si riferiscono direttamente alla dea
della bellezza e dell'amore, ha un significato allegorico, per cui l'amore paganamente celebrato dai poeti
dell'antichit classica viene interpretato come una semplice, imperfetta prefigurazione dell'unico amore
degno di questo nome: la carit cristiana. Nel Convivio (Il, V, 13) detto: "...ragionevole credere che li
movitori... [del cielo] di Venere siano li Troni; li quali ... fanno la loro operazione, connaturale ad essi,
cio lo movimento di quello cielo, pieno di amore, dal quale prende la forma del detto cielo uno ardore
virtuoso per lo quale le anime di qua giuso s'accendono ad amore, secondo la loro disposizione".
Mi volsi a destra, e diressi la mia attenzione al polo australe, e vidi quattro stelle che soltanto i primi
uomini (Adamo ed Eva) videro.
Il cielo sembrava gioire delle loro luci intensissime: o luogo settentrionale spoglio, dal momento che ti
preclusa la possibilit di vederle!
Le quattro stelle splendenti nel cielo australe e che solo Adamo ed Eva, prima della loro cacciata dal
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

paradiso terrestre (situato, per Dante, sulla sommit del monte del purgatorio) poterono vedere,
simboleggiano le quattro virt cardinali. Questo simbolo deve essere interpretato - secondo quanto
scrive, sulla base di alcune osservazioni del Singleton, il Raimondi - nel senso che Dante rimpiange (oh
settentrional vedovo sito) "una perdita irrimediabile, iscritta per sempre nella storia dell'uomo, per cui
nessuno potr mai far ritorno al paradiso terrestre con la stessa innocenza e la giustizia onde Dio aveva
fatto dono nella persona di Adamo alla natura umana". Questo rimpianto "si colora di tristezza... e reca in
s, al fondo, la mestizia della condizione umana, della nostra umanit postedenica, necessariamente
affaticata e corrotta, fuori per sempre della dolcissima felicit dell'innocenza.
Ed perci che il simbolo... trapassa in accenti umani che hanno la vibrazione della poesia" (Sansone).
Appena mi fui distolto dal guardarle, volgendomi un poco verso il polo boreale. nel quale l'Orsa Maggiore
non era pi visibile,
vidi vicino a me, solo, un vecchio, degno nell'aspetto di una riverenza tale, che nessun figlio tenuto ad
una riverenza maggiore verso suo padre.
Portava la barba lunga e brizzolata, simile ai suoi capelli, dei quali due ciocche scendevano sul petto.
A tal punto i raggi delle quattro stelle sante ornavano di luce il suo volto, che io lo vedevo (illuminato)
come se davanti a lui ci fosse il sole.
Il veglio, sul cui volto convergono, quasi isolandolo "in una sacra oasi di luce". (Momigliano) i raggi delle
quattro stelle che adornano e rendono santo il cielo australe, Marco Porcio Catone Uticense (95-46 a.
C.), strenuo difensore della libert e delle istituzioni repubblicane in un periodo in cui, attraverso lotte
sanguinose, maturavano in Roma quelle nuove forme di governo, imposte con la forza e basate
sull'accentramento di tutti i poteri nelle mani di un singolo, che avrebbero condotto, con Augusto,
all'impero. Si oppose in giovent alla dittatura di Silla, poi, insieme con Cicerone, al tentativo eversore di
Catilina; denunci i pericoli insiti in una forma di governo, quale il primo triumvirato, tendente a
sovrapporsi alle magistrature della repubblica. Nella guerra civile tra Cesare e Pompeo fu seguace di
questo ultimo. Dopo la morte di Pompeo comand un esercito di anticesariani in Africa. Sconfitto ad
Utica, si diede la morte per non cadere prigioniero di Cesare e per non sopravvivere al crollo della libert
repubblicana.
Dopo avere, nel Convivio (IV, XXVIII, 15-19) e nella Monarchia (II, V, 15), manifestato la sua
ammirazione per Catone, Dante pone questo pagano, suicida ed avversario dell'idea imperiale, quale
custode del purgatorio, tra le anime alle quali assicurata la beatitudine. Osserva l'Auerbach che questo
avviene perch la "storia d Catone isolata dal suo contesto politico-terreno... ed diventata figura
futurorum [simbolo di cose future]. Catone una figura , o piuttosto era tale il Catone terreno, che a
Utica rinunci alla vita per la libert, e il Catone che qui appare nel purgatorio la figura svelata o
adempiuta, la verit d quell'avvenimento figurale. Infatt la libert politica e terrena per cui morto era
soltanto umbra futurorum: una prefigurazione di quella libert cristiana che ora egli chiamato a
custodire". Nel personaggio di Catone - scrive il De Sanctis - "vi il savio antico, e qualche altra cosa
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

ancora; il savio cristianizzato, sulla cui fronte il poeta ha versato l'acqua battesimale della nuova
religione... Vi dunque in quell'aspetto iI savio antico, ma qualche altra cosa ancora; vi il paradiso, la
grazia illuminante, le quattro mistiche stelle dei purgatorio, che comunicano splendore e vita alla calma
de' suoi lineamenti, e lo fanno parere un sole".
Gi in Lucano, la fonte alla quale Dante ha maggiormente attinto per delineare i tratti fisici e morali del
personaggio di Catone, la figura di questo seguace della dottrina stoica appare permeata di un sentire
religioso in cui sono come presagiti alcuni dei pi sublimi temi del messaggio cristiano. Nel momento in
cui decide di prendere parte alla guerra civile, l'eroe di Lucano (Farsaglia II, versi 306-313) esclama: "E
cos piacesse agli dei del cielo e dell'inferno che sul mio capo si potesser raccogliere tutte le espiazioni. E,
nuovo Decio, cadessi trafitto da ambe le schiere, ed io trapassato da tutte le aste stessi in mezzo a
ricevere le ferite di tutta la guerra; e questo sangue redimesse i popoli, e questa morte redimesse tutte
le corruttele romane" (traduzione del D'Ovidio). E quando il suo luogotenente Labieno lo esorta ad
interrogare l'oracolo di Giove Ammone, Catone risponde che Dio non ha scelto le sterli sabbie del deserto
africano "per ricantare il vero a pochi, n lo ha sommerso in questa polvere. C' forse una sede di Dio,
fuorch la terra e il mare e l'aria e il cielo e la virt ?... Giove tutto quanto tu vedi, dovunque ti muovi".
Chi siete voi, che seguendo una direzione opposta a quella del fiume sotterraneo (il ruscelletto di cui al
verso 130 dei canto XXXIV dell'Inferno) siete evasi dal carcere eterno (l'inferno)? disse, muovendo la
sua veneranda barba.
Chi v ha fatto da guida ? o che cosa vi ha rischiarato il cammino, mentre uscivate dalle tenebre
profonde che rendono sempre nera la voragine infernale?
A tal punto sono violate le leggi dell'inferno ? o in cielo stato fatto un nuovo decreto, per cui, pur
essendo dannati, giungete alla montagna da me custodita ?
Nelle domande che Catone rivolge ai due pellegrini stata indicata una espressione di sdegno
(Scartazzini), di sbigottimento (Grabher), di stupore (Fass). Il Mattalia scorge in Catone i "tratt
psicologici del duro legalitatario, del sospettoso (non vogliamo proprio dir burocratico) custode del
Regolamento". Simili caratterizzazioni tuttavia, per eccesso di realismo psicologico, non rendono conto
della maest della figura di Catone, dell'aura di miracolo che la circonda, del sovrannaturale che in essa
si incarna. Rileva opportunamente il Sansone che "al fondo del suo domandare c' il presentimento di
qualcosa di provvidenziale che regga il viaggio dei due pellegrini", mentre il Raimondi, analizzando i versi
40-48, osserva: "Sono tutte domande le sue, come di persona sorpresa che voglia sapere e incalzi
I'interlocutore; ma la didascalia delle piume oneste, che interrompe il discorso diretto quasi per indicare il
tono della scena con un lontano riferimento, forse, alle lanose gote di Caronte, e pi ancora le formule
numinose e le antitesi gravi che affollano la sua apostrofe (da lucerna a profonda notte, da valle inferna a
leggi d'abisso, da novo consiglio a dannati, venite alle mie grotte) rivelano che, interrogando Virgilio,
Catone non mira a informarsi, quanto a provocare in chi gli sta davanti una presa di posizione che deve
poi valere, in fondo, come una specie di abiura, di decisa rinunzia".
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Virgilio allora mi afferr,e mi fece inginocchiare e abbassare gli occhi in segno di riverenza, incitandomi a
ci con parole e con l'atto delle sue mani e con segni.
Poi gli rispose: Non sono arrivato di mia iniziativa: scese dal cielo una donna (Beatrice), grazie alle cui
preghiere soccorsi costui con la mia compagnia.
Ma poich tuo desiderio che la nostra condizione, quale essa veramente, ti venga maggiormente
chiarita, non pu essere mio desiderio che questo (chiarimento) ti sia negato.
Costui non vide mai la morte (Sia quella corporale che quella spirituale; non mor cio e non dannato);
ma a causa dei suoi peccati fu cos vicino alla morte spirituale, che pochissimo tempo sarebbe dovuto
trascorrere (perch egli la vedesse).
Come ti ho detto, fui inviato da lui per salvarlo; e non era possibile percorrere altra va che questa per la
quale mi sono incamminato.
Gli ho mostrato tutti i dannati; ed ora intendo mostrargli quelle anime che si purificano sotto la tua
giurisdizione.
Lungo sarebbe riferirti come l'ho portato fin qui: dal cielo scende una forza che mi aiuta a guidarlo per
vederti e per ascoltarti.
Voglia tu dunque considerare benevolmente il suo arrivo: egli va in cerca della libert, che tanto
preziosa, come sa colui che per essa rifiuta di vivere.
Tu lo sai, poich in suo nome (per lei: la libert) non fu per te dolorosa la morte a Utica, dove lasciasti il
tuo corpo che il giorno della risurrezione dei morti risplender (con l'anima) di tanta gloria.
Nota finemente il Momigliano che nella terzina 73 "il discorso di Virgilio si accende e si fa, per un
momento, inno: e l'inno si corona con la fiammeggiante immagine d Catone splendente di gloria nel
giorno della resurrezione, quando le anime riprendono il loro corpo (la vesta) : bastano a quest'apoteosi
due parole: al gran d, s chiara".
Le leggi di Dio non sono state violate da noi; poich costui vivo, ed io non sono un dannato, assegnato
a Minosse (e Mins me non lega. la giurisdizione di Minosse inizia con il secondo cerchio dell'inferno; cfr.
Inferno V, 4-15); ma provengo dal limbo, dove sono gli occhi pudichi
della tua Marzia, che nel sembiante ancora ti prega, o animo venerabile, che tu la consideri tua: per
l'amore che ella ti porta accondiscendi dunque alla nostra richiesta.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Marzia, moglie di Catone e poi di Quinto Ortensio, dopo la morte di questi si rimarit con Catone. Nel
Convivio (IV, XXVIII, 13-19) Dante interpreta allegoricamente il ritorno di Marzia al suo primo marito,
scorgendo in esso adombrato il ritorno dell'anima a Dio nel periodo della vecchiaia. Improntate a
profondo affetto sono le parole che Dante fa rivolgere da Marzia al suo primo marito: " Dammi li patti
de li antichi letti, dammi lo nome solo del maritaggio ; che a dire che la nobile anima dice a Dio:
Dammi, Signor mio, omai lo riposo di te; dammi, almeno, che io in questa tanta vita sia chiamata tua .
E dice Marzia: Due ragioni mi muovono a dire questo: l'una si che dopo me si dica ch'io sia morta
moglie di Catone; l'altra, che dopo me si dica che tu non mi scacciasti, ma di buono animo mi maritasti
".
Lasciaci andare per i sette gironi del tuo dominio (il purgatorio): riferir a lei, nei tuoi riguardi, cose
gradite, se hai piacere di essere nominato laggi.
Come quello di Catone, anche l'atteggiamento di Virgilio in questo episodio stato generalmente
interpretato su un piano angustamente psicologico, senza tener conto della dimensione allegoricofigurale che in esso si esprime. Il D'Ovidio giunto addirittura a vedere in esso, con alquanto discutibile
gusto, quello di "una buona istitutrice, che guida per mano alla signora incollerita la figlioletta colpevole e
penitente". E' pi che naturale che, considerando l'episodio da un tale punto di vista, sia sfuggito al
critico il carattere religioso e rituale che il colloquio tra Catone e Virgilio riveste. Nel turbamento di Virgilio
- osserva il Bigi - "Dante ha voluto significare l'atteggiamento della scienza o ragione umana di fronte alla
sopraggiunta consapevolezza della nuova condizione di libert: un atteggiamento complesso, in cui la
sicurezza di possedere l'autorizzazione teologica per poter affrontare l'alto compito che attende l'anima
penitente, non esclude il tentativo di ricorrere anche ai nobili ma qui inadeguati mezzi umani della parola
ornata e affettuosa. Questo significato di Virgilio (su cui poco o nulla dicono i commentatori moderni) non
sfugge ai commentatori antichi: e il Buti, a proposito dell'accenno di Virgilio a Marzia, osserva: "Si pu
notare che in questo finga l'autore che Virgilio parli a questo modo, per dare ad intendere che la ragione
umana non apprende de le cose dell'altra vita se non come pratica in questa de le cose mondane ".
Marzia mi fu tanto cara (piacque tanto alli occhi miei) mentre fui in vita disse Catone allora, che le
concessi tutte le cose a lei gradite e da lei desiderate.
Ora che ella risiede al di l dell'Acheronte, non pu pi influire sul mio volere, in virt di quella legge (che
separa in modo netto gli spiriti dannati da quelli salvati) la quale fu stabilita quando uscii fuori dal limbo
(insieme ai patriarchi dell'Antico Testamento; cfr., Inferno IV, versi 53-63).
Ma se una beata ti incita ad andare e ti guida, come tu dici, non occorre che tu mi lusinghi: ti sia
sufficiente rivolgermi la tua richiesta in nome suo.
Dunque vai, e fa in modo di cingere costui di un giunco liscio e di lavargli il volto, in modo da cancellare
da esso ogni sudiciume;
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

poich sarebbe disdicevole, con l'occhio offuscato da qualcosa di torbido, presentarsi davanti al primo
esecutore dei decreti di Dio, che un angelo (di quei di paradiso; si tratta dell'angelo posto a custodia
della porta del purgatorio; cfr. Purgatorio canto IX, versi 78 sgg.).
Questa piccola isola, nella sua parte pi bassa, sulla spiaggia percossa dalle onde, coperta tutt'intorno
sull'umida sabbia da giunchi:
nessun'altra pianta, di quelle che portano rami con foglie o diventano rigide, pu vivervi, poich non
asseconda (flettendosi) i colpi (delle onde).
Il vostro ritorno non avvenga poi da questa parte; il sole, che sta per sorgere, vi indicher da che parte
affrontare pi agevolmente la salita del monte.
Gran parte dei critici hanno veduto in Catone soltanto il guardiano rigoroso ed nflessibile, accentuandone
indebitamente la severit e la rudezza. Valga per tutti il giudizio del Croce, per il quale Catone "la
figura in cui il Poeta attua uno dei lati del suo ideale etico: la rigida rettitudine, l'adempimento dell'alto
dovere, che par che non possa adempiersi, n operare sugli altri affinch a lor volta lo adempiano, senza
rivestirsi di una certa asprezza, senza l'abito ritroso e alquanto diffidente di chi vigila sempre su se stesso
e sugli altri". Questa interpretazione laica del personaggio di Catone non tiene conto del progressivo
interiorizzarsi e spiritualizzarsi della sua figura in questo secondo discorso che rivolge ai due pellegrini.
Nota il Sansone che nella figura del veglia "la severit e rigidit del filosofo stoico appare attenuata di
affettuosit e umana temperanza" e che, per quel che riguarda in particolare la terzina 97, Catone lascia
trasparite nelle sue parole "una distanza dalle pure essenze divine, che, quasi Io agguaglia ai suoi due
ascoltatori, e che distende ogni tensione e insieme riapre l'atmosfera dell'attesa e del prodigio.
Gli angeli sono quei di paradiso, creature di cos alto privilegio che Catone non osa indicarle se non con
una perifrasi". Poi, a poco a poco, il suo dire perde ogni residua asprezza: "l'accento queto e quasi
intimo, e la semplicit degli annunzi ribadisce la consuetudine del soprannaturale, nei modi che qui
assume la condizione lirica del meraviglioso, cio non nel rilievo, ma in una sua naturale misura".
Ci detto si dilegu; ed io mi levai in piedi senza parlare, e mi accostai con tutto il corpo a Virgilio, e
rivolsi a lui lo sguardo.
Egli cominci a parlare: Segui i miei passi: volgiamoci indietro, poich da questa parte la pianura
scende verso il suo orlo basso (la spiaggia) .
L'alba trionfava dell'ultima ora della notte (l'ora mattutina l'ultima delle ore canoniche della notte), la
quale le fuggiva dinanzi, in modo che da lontano distinsi il tremolio della luce sul mare.
Pi che nelle due altre cantiche, in cui riflette una condizione remota - nell'orrore delle tenebre o nel
tripudio di una luce che non tramonta - da quella terrestre, e partecipa, fuori del tempo, di una certa
astrazione, il paesaggio del purgatorio appare intimo, vibrante di umana trepidazione, penetrato di
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

spiritualit. Le vicende della luce e del buio, che accompagneranno i due pellegrini nell'ascesa della
montagna dell'espiazione, ne interpreteranno gli stati d'animo, ad essi docilmente accordandosi. Qui in
particolare il "cielo notturno e sereno che via via si stenebra, un maestoso e pensoso preludio
dell'ascesa purificatrice a cui Dante si prepara" (Momigliano). Nella terzina 115 il gusto prezioso delle
personificazioni - per cui l'apparire della luce si configura come una gioiosa vittoria di quest'ultima sulle
tenebre debellate e messe in fuga - si risolve sul piano di una impressione direttamente ed intensamente
rivissuta dalla memoria: il mare si annuncia di lontano attraverso la mobilit della luce che in esso si
specchia. Nel tremolar della marina la traduzione visiva della fiduciosa trepidazione dei due viandanti, il
partecipe, beneaugurante consenso del creato alla speranza che li anima.
Noi avanzavamo nella pianura solitaria come colui che torna alla strada che ha smarrito, il quale ritiene
che il suo cammino sia inutile finch non l'abbia ritrovata.
Quando fummo l dove la rugiada resiste, opponendosi, al sole e, per il fatto di essere in una zona dove
spira un venticello, evapora poco,
Virgilio pos delicatamente entrambe le mani aperte sulla tenera erba: per cui io, che compresi lo scopo
del suo gesto,
gli porsi le guance bagnate di lagrime: su di esse egli fece riapparire interamente quel colore (il mio
colorito naturale) che l'inferno aveva occultato (con la sua caligine).
Il combattimento della rugiada col sole ripropone, sul piano di una maggior discrezione, quello trionfale e
squillante dell'alba che mette in fuga le tenebre. Qui il calore tarda ad essere vittorioso; la rugiada
mantiene intatta la sua freschezza, la sua forza purificatrice, perch Dante possa, con l'aiuto del maestro,
detergersi degli orrori della notte trascorsa fra i dannati.
Giungemmo quindi sulla spiaggia deserta, che mai vide solcate le sue acque da qualcuno che sia poi
riuscito a tornare indietro (Ulisse infatti, giunto in vista della montagna del purgatorio, naufrag).
Qui mi cinse come Catone aveva voluto: o meraviglia! infatti l'umile giunco ricrebbe tale quale egli
l'aveva scelto (cio schietto, liscio)
immediatamente, nel punto in cui l'aveva strappato.
Il giunco pieghevole e puro simboleggia l'umilt; il suo istantaneo rinascere la fecondit di questa
disposizione dell'animo, per cui un atto d'umilt non si esaurisce in se stesso, ma d origine ad altri atti
d'umilt.
Il sovrannaturale, ovunque presente nel canto, e al quale hanno alluso allegorie, simboli, riti, trova, nel
miracolo dei giunco che ricresce, la sua conferma esplicita ed inequivocabile.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO II

Il sole aveva gi toccato l'orizzonte il cui cerchio meridiano sovrasta col suo punto pi alto (lo zenit)
Gerusalemme;
e la notte, che ruota intorno alla terra agli antipodi del sole, sorgeva dal Gange, nella costellazione della
Libra (con le Bilance: durante l'equinozio di primavera, quando il sole nella costellazione dell'Ariete),
che le cade di mano quando (dopo l'equinozio d'autunno: il sole entra allora nella Libra) supera la durata
del giorno (entrando nella costellazione dello Scorpione);
in modo che nel purgatorio le gote, prima bianche, poi rosse, della leggiadra Aurora col passare del
tempo divenivano gialle.
I due poeti sono emersi sul lido del purgatorio poco prima dell'alba. La prima luce apparsa loro mentre
si avviavano in silenzio verso la spiaggia bagnata dall'onda per compiere i riti prescritti dal veglio: un rito
lustrale, inteso a cancellare il passato, il peso del male e dell'errore, e un rito orientato verso il futuro,
una promessa di umilt gioiosa e riconoscente. La descrizione dell'alba (canto I, versi 115-117), animata
da una stilizzata contrapposizione della luce alle tenebre, si era risolta in una notazione soggettiva
(conobbi), in un grido trionfale, in una panica professione di fede nella bellezza del creato. Il canto Il
inizia con una precisazione rigorosa, fondata sulla scienza astronomica, dell'ora nella quale ha inizio,
dopo i due riti di purificazione, il cammino dei due pellegrini. Il sole apparso all'orizzonte del purgatorio,
situato agli antipodi d Gerusalemme. Come nei versi 112-115 del canto XXXIV dell'Inferno, messa
anche qui in rilievo l'esatta opposizione, agli estremi di un segmento che passa per il centro della terra,
della montagna sulla cui cima l'uomo visse innocente e pecc, e della citt in cui Cristo vers il suo
sangue per redimere il genere umano dal peccato. La prima terzina del canto non contiene dunque, come
molti critici ritengono, una semplice precisazione erudita, priva di risonanze che oltrepassino il senso
letterale, poich l'astronomia - come del resto ogni branca del sapere - non si pu mai considerare in
Dante nella sua opaca empiricit, essendo permeata, nella sua stessa geometrica esattezza, di ragioni
morali, di significati che trovano nella sfera del divino la loro determinazione ultima.
Nella seconda terzina viene ulteriormente indicata l'ora della gran secca (cfr. Inferno, canto XXXIV, verso
113) che occupa l'emisfero boreale, il quale ha come punti estremi le sorgenti dell'Ebro e la foce del
Gange, distanti fra di loro 180 gradi: tramontando, nel momento in cui sorge all'orizzonte del purgatorio,
il sole a Gerusalemme, 90 gradi ad oriente di Gerusalemme l dove il Gange sfocia nell'Oceano Indiano,
mezzanotte. Dovendo infatti il sole percorrere l'intera rotazione intorno alla terra (360 gradi, una
circonferenza completa) in 24 ore, l'arco di circonferenza di 90 gradi sar percorso in 6 ore (per cui alla
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

mezzanotte alle foci del Gange corrisponderanno le sei di sera a Gerusalemme) e quello di 180 gradi in
un tempo doppio (per cui alle 1 6 pomeridiane di Gerusalemme corrisponderanno l 6 antimeridiane del
purgatorio). Questa seconda terzina stata giudicata da taluno (Pistelli) superflua, ma a questa
osservazione si deve obiettare che ci che ad una lettura immediata pu apparire puro sfoggio di
crudizione, evoca, nella poesia di questo passo, il senso dell'ordinato svolgersi delle vicende del cosmo,
per cui ad ogni apparizione di astri in un emisfero della volta celeste risponde un'apparizione contraria
agli antipodi, in un quadro smisurato in rapporto alle nostre capacit di giudicare e intendere, ma che
trova la sua esatta misura nella mente ordinatrice di Dio. Per quello che riguarda i particolari di questa
terzina, arduo non cogliere la sicura energia che si sprigiona da un'espressione pregnante come che
opposita a lui cerchia, la quale ha la funzione di conferire, attraverso una determinazione razionale, un
pi intenso rilievo al miracolo della notte personificata (regge in mano le bilance) che emerge, ai limiti
del mondo, dalle acque del mitico Gange.
Neppure la terzina che trae le conseguenze (s che ... ) dalle premesse poste nelle due precedenti, ha
generalmente incontrato il favore dei critici. Il trasformarsi delle guance dell'Aurora da bianche e
vermiglie in rance , sempre per il Pistelli, "mutamento non bello e non desiderabile", poich "l'oro
scintillante del sole non pu farci in nessun modo pensare a un viso ingiallito per vecchiezza mentre
tutt'insieme e immagine e causa e fonte di forza, di vita piena e vigorosa. In realt questa immagine (le
guance della bella Aurora) che riproduce modi della tradizione letteraria classica, filtrati attraverso
l'esperienza stilnovistica ed adeguati all'andamento intellettualmente robusto, aderente alle
determinazioni del reale (per troppa etate) proprio della poesia della Commedia, valida in virt della
semplicit del disegno, della stringatezza delle sue determinazioni dell'ordine logico in cui queste
risultano disposte.
Ci trovavamo ancora lungo la riva del mare, come coloro che meditano sul cammino da percorrere, i
quali con l'animo camminano e col corpo stanno fermi.
Nella sua struttura questa terzina riecheggia la musica stanca dei versi 118-120 del I canto. I due
pellegrini sono soli, lungo la riva di quel mare sul quale videro compiersi - dopo la lunga, interminabile
notte infernale -il rinnovato, prodigio dell'alba. Pensano al cammino da percorrere, che sar duro
anch'esso ed aspro, per quanto illuminato da una Grazia ormai benigna, ed evidente nel suo fulgore.
Virgilio, il savio gentil, che tutto seppe, non pi qui la guida autorevole che stato nell'inferno, perch
"se nell'inferno la sapienza dell'antica poesia poteva dire tutto, poich all'inferno sufficiente la sola
natura umana, ora Virgilio stesso di fronte a un mondo totalmente nuovo non pi colmato dalla ragione
umana: nel canto XI dell'Inferno la ragione di Virgilio comprende in s e domina perfettamente la
struttura infernale. Ora qui no: il paesaggio stesso , fin dal primo canto, espressione di un vuoto che
non pu essere colmato dalla natura umana, ma invoca un aiuto superiore che' elevi la natura a una
profondit metafisica pi intensa, alla vita di Dio stesso" (Montanari).
Ed ecco, allo stesso modo in cui mentre si abbassa, tramontando, sulla superficie del mare, il pianeta
Marte colora di rosso all'avvicinarsi del mattino, a causa dei densi vapori che lo avvolgono,
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

si pales ai miei occhi, e tale possa io vederla, nuovamente (allorch, morto, mi trover ancora una volta
sul lido del purgatorio), una luce (il volto dell'angelo nocchiero) avanzante sul mare con tanta celerit,
che nessun volo uguaglia il suo movimento.
Dopo avere per poco distolto lo sguardo da essa per chiedere schiarimenti a Virgilio, la rividi divenuta pi
luminosa e pi grande.
Poi mi apparve ai due lati di essa un bianco di cui non riuscivo a precisare la forma, e sotto, questo
bianco (sono le ali dell'angelo) un altro bianco si rese gradatamente manifesto ( la veste dell'angelo).
I versi 10-12 hanno segnato come una battuta d'arresto nella esposizione oggettiva dei fatti, una pausa
nello svolgersi della narrazione, un meditativo ripiegamento dell'anima, ancora trepidante dopo la
dolorosa prova infernale, ancora incerta sui modi della propria redenzione, e come soverchiata
dall'atmosfera di miracolo nella quale si trova immersa (le terzine iniziali del canto hanno ribadito il
trionfo della luce come vittoria implacabile, necessaria - irriducibile alle sfumature, ai cedimenti, che
caratterizzano la nostra soggettivit - legata ad un ritmo che, per vastit di tempi e spazi, e per rigore, di
sviluppi, paurosamente ci sovrasta). A partire dal verso 13 la narrazione riprende, la trepidazione si muta
in aspettazione colma di fiducia, il paesaggio, carico sin qui di presentimenti ma immobile, accoglie in s
un movimento velocissimo. E' una semplice luce, che determinata per analogico richiamo all'intonazione
Scientifica dell'esordio, in termini astronomici appare dapprima . corrusca, minacciosa (l'accenno a
Marte, la pesantezza dei vapori che lo avvolgono, l'energia espressa da rossieggia collocato in fine di
verso sembrano per un attimo suscitare un clima di minaccia analogo a quello in cui venne celebrata,
nella dignit profetca dell'ultimo discorso di Varmi Fucci a Dante, la travolgente vittoria di Moroello
Malaspina), per poi spogliarsi di ogni terrestre opacit nel lume del verso 17, e successivamente cingersi,
da tre lati, di un ancora informe candore. Il realismo, in virt del quale Dante identificava
immediatamente nella prima cantica l'aspetto essenziale di una forma del mondo sensibile, di un
atteggiamento umano, di un carattere, cede il posto nel Purgatorio ad una rappresentazione graduale
della realt, poich la realt del purgatorio non si configura nella definitivit di una sentenza gi applicata
e pertanto nella stasi, che un solo colpo d'occhio in grado di rilevare plasticamente, ma in quanto
itinerario verso la perfezione, in quanto espletamento di atti simbolici che hanno luogo nel tempo si rivela
progressivamente all'anima che si resa degna di percepirla. Questa, gradualit nella manifestazione del
reale - in cui artisticamente si concreta il processo di graduale conquista del Bene da parte delle anime
purganti - alla base dello stile della seconda cantica, che alcuni critici hanno definito "pittorico", in
contrapposizione a quello pi rilevato, caratterizzato come "scultoreo", dell'Inferno.
Virgilio si trattenne dal parlare, finch i bianchi apparsi ai lati della luce rosseggiante apparvero essere
ali: ma nel momento in cui fu certo di riconoscere il nocchiero,
grid: Fa in modo di inginocchiarti: ecco l'angelo di Dio: congiungi le mani: da ora in poi vedrai simili
ministri di Dio.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

L'enfasi con cui Virgilio esorta Dante ad inginocchiarsi, non interrompe il processo attraverso il quale si
progressivamente definita - dal paragone iniziale con Marte alla individuazione delle ali nell'indistinto
candore che si affiancava ai due lati del lume - la figura del noccbiero delle anime, ma ne rappresenta il
coronamento naturale e armonico. Osserva il Montanari che il grido deI poeta latino, pi che esprimere
stupore, grido "di esultanza e quasi di trionfo poich Virgilio constata, di aver condotto il suo discepolo
nel sicuro porto della Grazia: perci ... pi lieve ed agile che non il corrispondente comportamento di
fronte a Catone, (canto I, versi 49 sgg.); l dopo il primo, emergere dalla profondit della terra qualche
cosa c'era ancora disticamente duro e quasi forzato (mi di di piglio); qui invece dal silenzio pieno
d'aspettativa sboccia un punto luminoso, e dall'ingrandirsi di questo fino a figura d'angelo, nasce il grido
esultante di Virgilio, alto eppur libero e lieve, esultante, nella libert ormai della graza".
Vedi che non si serve di strumenti umani, in modo da rifiutare i remi e le vele che non siano le sue ali per
percorrere il tragitto tra spiagge cos lontane (dalla foce del Tevere, come sar spiegato nei versi 100105, al lido del purgatorio).
Vedi come le tiene alte verso il cielo, penetrando nell'aria con le penne eterne, le quali non sono
sottoposte al cambiamento che il pelo (o le penne) degli esseri destinati a morire subisce .
Poi, nell'avvicinarsi a noi, il santo uccello appariva sempre pi luminoso, per cui, da vicino, lo sguardo
non ne sostenne lo splendore,
ma fui costretto ad abbassarlo; e quello approd con una navicella rapida e priva di peso, tanto che di
essa l'acqua non sommergeva alcuna parte.
Il celeste nocchiero stava a poppa, tale che sembrava portare scritta in tutto il suo aspetto la
beatitudine; e pi di cento anime sedevano nella navicella.
La figura dell'angelo nocchiero ricorda, per certi tratti, quella del messo celeste che apre ai due pellegrini
le porte della citt di Dite (vedi che sdegna li argomenti umani esprime lo stesso potere sovrannaturale
che, nell'episodio del IX canto dell'Inferno, reso da passava Stige con le piante asciutte o da con una
verghetta l'aperse, che non v'ebbe alcun ritegno), distinguendosi tuttavia da quella per un aspetto meno
maestoso, meno imperatorio, e plasticamente saliente, rria in compenso pi spiritualizzato. Il linguaggio,
pur esprimendo, come nel canto IX deII'Inferno, il potere, da Dio trasmesso ai suoi officiali, di vincere le
leggi della, natura (che l'ali sue tra liti s lontani... che non si mutan come mortal pelo), non mira ad
imporre questo potere ad una ostinazione ad esso estranea (Inferno, canto IX, Versi 76-81 e 91-99), ma
a risolverlo piuttosto nel principio, da cui promana, avvicinandosi in tal modo, nonostante la struttura
razionale che lo sostiene, al linguaggio infuocato dei mistici, come risulta da una definizione quale l'uccel
divino, inconcepibile nello stile della morta poesia infernale.
Tutti insieme, concordi, cantavano Quando usc Israele dall'Egitto ( l'inizio del Salrno CXIII) con
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

quello che, in quel salmo, segue.


In un passo del Convivio (Il, I, 7) nel quale sono elencati i quattro sensi che pu avere un componimento
di stile "alto" (o "tragico"), ad esemplificare il quarto di questi sensi (I' "anagogico") citato il Salmo
CXIII, a proposito del quale viene espressa l'opinione che, per quanto siano veri i fatti in esso narrati
(l'uscita dei popolo d'Israele dall'Egitto e la libert da esso riacquistata), "non meno vera quello che
spiritualmente (in questo salmo) s'intende, cio che ne l'uscita de l'anima dal peccato, essa sia fatta
santa e libera in sua potestate".
Poi fece, rivolto a loro, il segno della santa croce; essi allora si precipitarono tutti sul lido: ed egli se ne
and con la stessa velocit con la quale era venuto.
La moltitudine rmasta sulla riva sembrava ignara del luogo, e guardava intorno come colui che
sperimenta cose nuove.
Il sole, che aveva messo in fuga con le sue frecce precise (saette conte: presso gli antichi, Apollo, dio dei
sole, era arciere infallibile) dal punto pi alto del cielo la costellazione dei Capricorno (che, distando 90
gradi da quella dell'Ariete, si trovava allo zenit del meridiano mentre il sole stava sorgendo), scagliava la
sua luce in tutte le direzioni,
allorch la gente allora arrivata sollev lo sguardo verso di noi, dicendoci: Se la conoscete, indicateci la
via per raggiungere il monte (del purgatorio) .
Osserva, in un passo della sua penetrante analisi di questo canto il Montanari, che, a partire dal verso
13, il "primo tempo deI motivo proprio di questo canto: terminato: dalla attesa quasi spaurita, alla
rivelazione serenatrice. Ora comincia il secondo tempo, riprendendo in altro tono il tema dell'attesa: la
turba che rimase l, selvaggia... L'attesa non pi sottolineata dall'alba, ora, bens dalla piena luce del
sole; e le prime parole della nova gente allargano ulteriormente il senso dell'attesa: queste anime non
sanno nulla della via da compiere: Dante e Virgilio, che attendevano chi li indirizzasse, sanno ora che
neppure le anime li possono indirizzare (52-60). Lo smarrimento, ora, sarebbe perci pi forte se la luce
non fosse pi intensa e sicura; ma siamo nella luce, e il vuoto dell'attesa un vuoto sereno". Occorre
tuttavia rilevare che la determinazione di questa luce "pi intensa e sicura" ottenuta anche qui, come
nei versi dell'esordio, attraverso una, rigorosa determinazione della posizione del sole, (con effetto
analogo a quello dei versi 1-12), e il ritmo impassibile del cosmo soverchia d tanto le capacit
dell'umano sentire ed intendere da accentuare lo sbigottimento dei pellegrini all'inizio del loro viaggio. A
ci contribuisce l'impeto guerriero impresso all'avvicendarsi degli astri sulla volta celeste dalla
trasposizione in chiave mitologica, per cui l'ascesa del sole assume il ritmo incalzante di una caccia (ove il
Capricorno la selvaggina stanata ed inseguita).
E Virgilio rispose: Voi immaginate forse che conosciamo questo luogo; ma noi siamo forestieri al pari d
voi.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Siamo giunti poco prima di voi, attraverso un altro cammino, il quale fu cos arduo da percorrere e duro,
che la ascesa del monte ci sembrer da ora innanzi cosa piacevole.
Le anime che 'si resero conto, per il fatto che respiravo, che ero ancora in vita, impallidirono per lo
stupore.
E come la gente accorre verso un messaggero apportatore di liete notizie per esserne messa a
conoscenza, e nessuno rifugge dal far ressa intorno a lui,
cos tutte quante quelle anime fortunate fissarono il loro sguardo su di me, quasi dimenticando di andare
a purificarsi dei loro peccati.
Il motivo della meraviglia delle anime messe in presenza di un vivo, accennato sporadicamente nella
prima cantica, tra quelli destinati a ritornare con maggiore frequenza nel Purgatorio.
Qui la condizione delle anime la pi vicina a quella di Dante: come il Poeta, non sono sottratte al
tempo, ma peregrinanti, in un tempo che, se non e pi quello umano, pur sempre segnato
dall'alternarsi di giorni e notti, di luci e ombre sulle cose e negli animi. Il tema, della meraviglia dei
penitenti rappresenta, l'avvio al colloquio tra i morti e il vivo, che insieme ad essi percorre lo stesso
cammino, mosso dalla stessa fede, ne condivide le ansie. Esso non costituisce, come nell'Inferno, una
barriera al di qua e al di l della quale il vivo e i morti si trincerano polemicamente nei limiti delle loro
soggettivit, ma l'avvio ad una concordia destinata a perfezionarsi a mano a mano che gli ostacoli del
monte renderanno pi fruttuosi gli atti di penitenza, pi luminosamente fervido lo spirito di carit.
Io vidi una di esse uscire dalla schiera per abbracciarmi, con affetto cos grande, che mi indusse a fare
altrettanto.
O ombre inconsistenti, tranne che nell'apprenza! Tre volte congiunsi le mani circondandola, e altrettante
volte tornai con esse al mio petto.
Lanima che si fa avanti per abbracciare Dante quella di Casella, del quale lAnonimo Fiorentino scrive:
Fue Casella, da Pistoia grandissimo musico e massimamente nellarte dello ntonare; e fu molto dimestico
dellautore, per che in sua giovinezza fece Dante molte canzone e ballate che questi inton; e a Dante
dilett forte ludirle da lui e massimamente al tempo chera innamorato di Beatrice. Altri antichi
commentatori ne parlano come di un musicista fiorentino.
Il motivo del triplice, vano abbraccio allombra di un defunto, stato ispirato al Poeta da un passo
dellEneide (VI, versi 700~702): Enea tenta vanamente di abbracciare lombra del padre Anchise, ma
questa sfugge al suo abbraccio. Dante condensa, precisandolo, il motivo virgiliano, e lo rende pi
concitato e drammatico, privandolo delle similitudini che conferivano allincontro di Enea con Anchise un
tono di mesta elegia, Se infatti per un pagano la vita dellal di l rappresentava una dIminuzione, una
pallida eco della pienezza della vita terrena, per un cristiano la vita terrena che appare monca,
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

incompleta, rispetto a quella delloltretomba. Per questo il tema del triplice abbraccio, desolato e patetico
in Virgilio ha in Dante unicamente la funzione di far risaltare laffetto che sopravvive alla morte, lamicizia
di due spiriti che trova il suo compimento nel mondo della vita eterna.
Nel mio aspetto, credo, si manifest lo stupore; per questo l'anima sorrise e si trasse indietro, ed io,
seguendola, mi spinsi avanti.
Con dolcezza mi esort a fermarmi: riconobbi allora chi era, e la pregai di fermarsi un poco per parlare
con me.
Mi rispose: Cos come ti volli bene mentre era chiusa nel corpo destinato a morire, cos ti voglio bene
ora che dal corpo sono libera: perci mi fermo; ma tu perch percorri (essendo vivo) questo cammino ?
Casella ci appare remoto da ogni assillo che rende combattuta, problematica, irreale la ricerca della
felicit sulla terra (soavemente disse ch'io posasse), ma, al tempo stesso, legato a quanto, sulla terra,
apparso come un'anticipazione del modo di sentire che proprio delle anime del purgatorio: la spiritualit
degli affetti, una, mansuetudine. una dolcezza, che esprimono un'ardente carit. Il suo affetto per il
Poeta "ora il concreta nel desiderio di sapere come mai Dante l, con le sue spoglie mortali nel regno
delle.anime e va, come vanno loro che sono ormai sciolte dal corpo mortale. Non dice dove va;
avvolge invece la meta di suggestiva indeterminatezza, adattissima al luogo, che lontananza estrema
ed assoluta da ogni determinatezza terrena" (Chiari).
Casella mio, percorro questo itinerario per essere degno di tornare un'altra volta (dopo la morte) nel
punto in cui adesso mi trovo dissi; ma perch tanto tempo stato sottratto alla tua espiazione
(perch, essendo morto da tempo, giungi soltanto adesso alla spiaggia del purgatorio) ?
Alla domanda di Casella ma tu perch vai? fa riscontro quella di Dante ma a te com tanta ora tolta?
Osserva in merito il Pistelli: Nulla potrebbe esprimere linteressamento scambievole dei due amici meglio
di questo e due domande rotte, rapide, quasi affannose.
Dove i ma interpongono un altro discorso incominciato e significano ambedue le volte: ma lasciamo quel
che riguarda me: parlami di te, ch questo solo mi preme.
Ed egli: Non mi viene fatto nessun torto, se colui (l'angelo nocchiero) che imbarca le anime che ritiene
giusto imbarcare, e lo fa nel Momento da lui ritenuto giusto, mi ha pi volte
negato questo tragitto,
poich la sua volont procede da una volont giusta (quella di Dio): tuttavia da tre mesi a questa parte
(cio dalla promulgazione del giubileo ad opera di Bonifacio VIII, avvenuta nel Natale 1299, alla cui
indulgenza poterono partecipare anche le anime in attesa di essere traghettate nell'isola del purgatorio)
egli ha imbarcato chiunque ha voluto entrare (nella navicella), senza fare opposizione.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Perci io, che allora volgevo lo sguardo al mare nel quale l'acqua del Tevere (che in esso sfocia) diventa
salina, fui da lui benevolmente accolto (nella navicella).
Ora egli ha alzato le ali verso quella foce, poich l si raccolgono sempre tutte le anime non destnate
all'inferno.
Casella non spiega il motivo della lunga attesa alla quale stato costretto, alle foci dei Tevere, prima di
essere accolto nel vasello dell'angelo. Per il Montanari "inutile, forse, cercare quello che Dante non ha
detto: ma non , forse, del tutto arbitrario vedere nel ritardo una espressione della ancora imperfetta
volont di Casella, ancora pauroso d'incominciare, dalle foci dei Tevere, il viaggio verso l'ignoto creduto,
ma non sperimentalmente conosciuto. Cos interpretato, anche questo passo si legherebbe al tema
generale del viaggio verso l'ignoto", che, per il critico, caratterizza il canto. Il Chiari, dal canto suo,
ritiene che il Poeta, lasciando "indeterminata e misteriosa - ma d'altra parte indicandola come giustissima
- la ragione del ritardo, rende in qualche modo l'idea della impenetrabilit delle cose spirituali, di questa
specie di ineffabilit dell'indefinito e indefinibile mistero dei rapporti tra l'anima e Dio".
Ed io: Se una prescrizione propria del purgatorio non ti priva del ricordo dei canti d'amore che solevano
placare tutte le mie inquietudini, o della facolt di intonarli,
L'espressione amoroso canto indica, secondo i pi, il canto di poesie d'amore; ma amoroso pu
significare anche dolce , caro , tanto pi che la canzone intonata da Casella esalta in forma
allegorica la filosofia.
voglia tu in tal modo confortare un poco la mia anima, la quale, insieme al mio corpo, tanto stanca per
il cammino sin qui percorso (attraverso l'inferno)!
Amor che ne la mente mi ragiona cominci egli allora a cantare cos dolcemente, che la dolcezza di
questo canto echeggia ancora nel mio animo.
Amor che ne la mente mi ragiona e il verso con cui inizia la canzone commentata nel III libro del
Convivio. Dante interpreta questa canzone allegoricamente, cercando di dimostrare che le lodi della
donna amata sono lodi rivolte alla filosofia e conclude il suo commento esortando gli uomini a seguire gli
insegnamenti dei filosofi. Ma, prescindendo da questa interpretazione dottrinale, il componimento, che in
pi luoghi si risolve in melodia purissima, riecheggia motivi e forme di alcuni fra quelli inclusi nella Vita
Nova. E' - nota il Chiari - la canzone del gaudioso rapimento d'amore, cos smemorante che l'intelletto
sovr'esso disvia... ed la canzone dell'assoluta impossibilit di esprimere a parole quel che l'anima
sente". Per quanto riguarda il senso dell'intero episodio di Casella risultano di grande interesse le
seguenti osservazioni del Montanari: "Il mito virgiliano dell'incontro di Enea con il padre defunto
significava l'illusione del ricordo che ti fa presente per un attimo lo scomparso, con lo stesso senso che ne
avevi nella presenza viva, e poi d'un tratto nell'attimo stesso ti abbandona, rendendo pi desolato il
sentimento dell'irrimediabile assenza. Di tale umana esperienza non certo ignaro Dante: ma al mito
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

dell'illusione subito delusa si aggiunge qui un soprassenso, senza distruggere il primo: l'amicizia pi alta
ed eterna... non si appaga pi dei sensi corporei: e pure, nello sbalzo dal temporale all'eterno, dal
corporeo allo spirituale, soffre un distacco dolente... L'antico tema della consolazione dell'amicizia,
rivissuto prima nell'atmosfera dell'amore cortese, rivissuto poi nel clima della solenne lode della filosofia
sentita come suprema vetta della grandezza umana, risuona ora come umana consolazione in cui sono
fuse insieme musica, amicizia, filosofia..."
Virgilio e io e le anime che erano insieme con lui apparivamo cos felici, come se a nessuno di noi un altro
pensiero occupasse la mente.
Noi tenevamo tutti lo sguardo fisso su di lui e la nostra attenzione era interamente rivolta al suo canto;
ed ecco apparire il venerando vecchio (Catone), il quale grid: Cosa significa questo, anime pigre ?
che senso ha questa negligenza, questo indugio? Affrettatevi verso il monte per liberarvi della scorza
peccaminosa che non consente che Dio vi appaia .
Alla stasi delle anime, ancora avvinte, attraverso lo spirituale legame della musica, a quanto di
parzialmente puro e felice in loro riaffiora del passato, si contrappone drammaticamente l'imperativo di
Catone. Essendo lo stato contemplativo prerogativa dei beati (ai quali soltanto Dio manifesto in tutto il
suo splendore), occorre che esse rinuncino a guardare nel passato le oasi di bene in cui credettero di
intravedere prefigurata la felicit eterna. Il loro sguardo deve tendersi invece verso il futuro, non sfuggire
al ricordo delle colpe, ma superarlo espiandole (correte al monte). "Casella e Catone sono come i due
temi fondamentali del canto Il del Purgatorio: quello dello stupefatto smarrimento, dell'incertezza un po'
lenta e nebbiosa, e l'altro della indiscutibile ed assoluta sicurezza, della certezza salda ed infallibile. E se
non temessimo di cadere in un simbolismo alquanto meccanico e di effetto, non esiteremmo ad
aggiungere che Casella e Catone rappresentano ora i due aspetti fondamentali dello stato d'animo di
Dante pellegrino nel nuovo regno: la certezza di realizzare in s presto l'assoluta libert, e lo
smarrimento stupefatto e meravigliato che gliel'appanna e gliel'annebbia." (Marti)
Con la stessa rapidit con la quale i colombi, adunati per il pasto, tranquilli, senza ostentare la solita
baldanza (a causa della quale, impettiti, gonfiano il collo), mentre sono intenti a beccare la biada o il
loglio,
se appare alcunch di cui abbiano timore, all'improvviso si distolgono dal cibo, perch sono sotto l'assillo
di una preoccupazione pi grande,
vidi quella schiera da poco arrivata distogliere l'attenzione dal canto (di Casella), ed avviarsi verso il
pendio (del monte), come chi si avvia senza sapere dove vada a finire
n la nostra partenza fu meno veloce.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Osserva finemente il Chiari che, nonostante il brusco richiamo di Catone alla realt, il paragone dei
colombi "ci riporta alla quiete offerta dalla amorosa pastura del canto di Casella, e bene armonizza con
tutta l'immagine di dolce mitezza con la quale entrata nell'animo nostro questa prima delle molte
schiere di anime che incontreremo lungo la montagna del purgatorio; ed immagine del nuovo mondo,
ove deve sparire del tutto ogni turbamento del mondo terreno". A questa la prima delle similitudini che
illustrano la condizione delle anime dei purgatorio, caratterizzata, come ha ben veduto il De Sanctis,
dall'obliarsi della coscienza individuale "in uno stesso spirito di carit e d'amore. Nell'Inferno vi sono
grandi individualit, ma non vi sono cori; l'odio solitario: nel Purgatorio non ci ha grandi individualit,
ma invece vi son cori: l'amore simpatia, dualit, un'anima che cerca un'altra anima". Per questo
numerose similitudini della seconda cantica riguardano gruppi di anime, anzich anime singole,
propongono alla nostra meditazione il tema dell'umilt e dell'armonia, anzich quello dell'affermazione
orgogliosa di s che introduce nell'universo il seme della ribellione e del disordine.

2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO III

Sebbene l'improvvisa fuga sparpagliasse quelle anime per la pianura, verso il monte dove la giustizia
divina ci tormenta (per purificarci),
io mi accostai alla fedele compagnia: e come avrei potuto allontanarmi senza di lui? chi mi avrebbe
guidato su per il monte?
Egli mi sembrava tormentato dalla sua stessa coscienza: o spirito retto e puro, come un piccolo errore
per te causa di crudele dolore!
Queste terzine, mentre costituiscono un elemento di collegamento con il canto precedente (si nota
spesso nel Purgatorio la tendenza ad eliminare ogni soluzione di continuit per evidenziare anche da un
punto di vista compositivo la compatta struttura spirituale del mondo della purificazione), impostano il
tema fondamentale del nuovo canto, il cui svolgimento complesso ma graduale ci porter da questa
apertura drammatica e ansiosa ai toni elegiaci ed idillici della parte centrale, alle distensioni intime e
pensose di quella finale. Il paesaggio silenzioso e grandioso della campagna in cui le anime rimproverate
da Catone si disperdono, isola l'intenso turbamento di Dante e Virgilio, l'improvviso stagliarsi del monte
accentua il loro smarrimento, denunciando la prima delle costanti tematiche che il Caccia bene mette in
rilievo: "l'accusa precisa dei limiti della ragione umana, di quella ragione che persino in un grande come
Virgilio commette errori, o perde la propria dignit nello smarrimento di un istante", ma anche la
ragione stessa che "invita le anime a correre verso il sacro monte: e solo il momentaneo oblio al canto di
Casella pu averle distolte dal loro cammino. Virgilio da se stesso rimorso".
Quando i passi di Virgilio non procedettero pi con la fretta. che toglie decoro ad ogni azione, la mia
mente, che prima era raccolta (in un solo pensiero),
allarg la sua attenzione, come desiderosa di altre cose, e alzai gli occhi in direzione del monte che pi
alto (di tutti gli altri) si erge dalle acque verso il cielo.
Il sole, che rosso ardeva alle nostre spalle, era interrotto davanti al mio corpo, che faceva da
impedimento ai suoi raggi.
Mi girai di fianco temendo d'essere abbandonato, quando scorsi che la terra era scura solo davanti a me;
e Virgilio: Perch dubiti ancora ? prese a dirmi volgendosi interamente verso di me: non credi che io
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

sia, con te e che ti guidi?


E' gi l'ora del vespro l dove sepolto il mio corpo col quale facevo ombra: si trova a Napoli, e fu
trasportato da Brindisi.
Virgilio mor a Brindisi nel 19 a. C. e il suo corpo, per ordine di Augusto, fu trasportato a Napoli e sepolto
sulla via di Pozzuoli. Poich il sole da poco sorto nel purgatorio, e quindi da poco tramontato a
Gerusalemme, a Napoli (secondo i calcoli di Dante l'Italia meridionale a 45 gradi di longitudine da
Gerusalemme) l'ora del vespro. In questo momento la vita del personaggio Virgilio viene approfondita
al di l di ogni altra sua precedente individuazione e condotta al centro pi intimo del suo significato
umano, storico, religioso (tutto il canto ricco di echi virgiliani: nella poesia della terra, nella
contemplazione del cielo, nel tema dei sepolcri e in quello dei corpi insepolti), mentre "si sviluppa il primo
movimento elegiaco: nella indicazione del corpo lontano, e quindi della assenza dell'ombra di Virgilio,
vibra pi intimamente il compianto della sepoltura terrena e lontana e tutte le determinazioni geografiche
e storiche... sensibilizzano il motivo poetico della separazione, della lontananza, della nostalgia e vespro
ed ombra inducono indirettamente la coerente suggestione di una luce attenuata e malinconica, come le
indicazioni sepolcrali... la lentezza pensosa del ritmo collaborano ad una musica funebre ed elegiaca, alla
creazione di un epicedio affettuoso e dolente che anticipa quello pi scoperto e diretto di
Manfredi" (Binni).
Adesso, se davanti a me non si forma alcuna ombra, ci non deve stupirti pi del fatto che i cieli non
impediscono che i raggi passino dall'uno all'altro.
Per sopportare pene, caldo e freddo, Dio onnipotente crea tali corpi, ma come faccia ci, non vuole che
sia rivelato agli uomini.
Stolto colui il quale spera che la ragione umana possa percorrere la via infinita che Dio, uno nella
sostanza e trino nelle persone, segue.
Limitatevi a considerare, o uomini, le cose come sono: giacch se aveste potuto capire tutte le cose, non
sarebbe stato necessario che Maria partorisse;
e vedeste bramare invano uomini siffatti che (meglio di altri) avrebbero potuto soddisfare (se fosse stato
possibile con la sola ragione umana) la loro ansia di conoscenza, mentre invece (tale desiderio) motivo
per loro di pena etema:
parlo di Aristotile e di Platone e di molti altri . E qui chin il capo, e non aggiunse parola, e ristette
turbato.
Una lettura che si fermi solo al valore didascalico dei versi 34-39, considerandoli come la parte centrale
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/terzop.htm (2 di 8)08/12/2005 9.03.53

Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

del discorso di Virgilio, corre il pericolo di non comprendere la profonda poesia che, attraverso le ombre
ancora legate alla materia (versi 21-26), si libera nella trasparenza dei corpi dei trapassati (verso 28), si
identifica con la luce rassicurante dei cieli (versi 29-30), si adagia infine nella Virt che tutto dispone,
enunciando le imperscrutabili disposizioni divine. Le affermazioni della filosofia scolastica che sostengono
qui il pensiero di Dante si arricchiscono di vibrazioni liriche proprio perch sono pronunciate da chi, non
avendo mai avuto esperienza della fede e del Dio cristiano, vede ora questa esperienza tramutarsi in
nostalgia per un bene perduto, in eterna esclusione da un mondo ora intensamente desiderato, in
condanna per s e per la civilt alla quale appartenne (versi 40-44). Quella che poteva essere una breve
digressione per colpire la follia di chi pone ogni speranza nella sola ragione, diventa motivo teologico
centrale di tutto il canto, che quello, secondo la specificazione del Binni, della esclusione e della
comunione delle anime: esclusione perpetua di chi disiar vedeste sanza frutto e ritrovata comunione
"degli scomunicati redenti dal loro pentimento in punto di morte e vivi nell'esperienza letificante della
ritrovata comunione, e nel ricordo dolente dell'esclusione passata".
Giungemmo frattanto alla base del monte: qui trovammo la roccia talmente ripida, che invano le gambe
l sarebbero volonterose di salire.
Tra Lerici (un castello sulla riviera ligure, alla foce del fiume Magra) e Turbia (un borgo nizzardo) la roccia
pi inaccessibile e impraticabile , al confronto di quella, una scala comoda e ampia.
Il paesaggio dei primi due canti del Purgatorio viveva in un prorompere continuo di luce, si profilava
come una immensit oceanica davanti ai due pellegrini, fino allora costretti nella voragine infernale: ora
gli occhi di Dante e Virgilio si sono abituati alla luce, e nel paesaggio prima senza forme possono ora,
distinguere meglio il poggio che 'nverso il cel pi alto si dislaga, le ombre si precisano, le pareti appaiono
rocciose, erte, le notazioni si fanno realistiche, attente, e Dante, che prima aveva fatto riferimento alle
costellazioni, al corso del sole, ai movimenti dei cieli, ritorna con animo quasi angosciato al mondo che
conosce, alla terra, per trovare in essa qualche termine di paragone. Sar lo stesso paesaggio che con
una muta sgomenta elegia, ritmata quasi sul tono di una funebre marcia, fa da sfondo alla cupa
avventura del cadavere di Manfredi" (Caccia).
Adesso chiss da quale parte la costa meno ripida disse, il mio maestro arrestandosi, in modo da
consentire la salita anche a chi non ha ali?
E mentre egli, con gli occhi rivolti a terra, rifletteva sul cammino da tenere, e io guardavo in alto
tuttintorno alla roccia,
da sinistra vidi comparire una schiera di anime, che procedevano verso d noi, e quasi non sembrava che
ci avvenisse, tanto lentamente si avvicinavano.
Alza, o maestro , dissi, il tuo sguardo: ecco da questa parte chi ci dar consiglio, se tu non riesci a
trovarlo in te stesso.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/terzop.htm (3 di 8)08/12/2005 9.03.53

Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Allora guard, e con viso rasserenato, rispose: Avviciniamoci a loro, poich essi avanzano lentamente;
e tu, figlio caro, rafforza la tua speranza .
Quella schiera era ancora cos lontana, dico dopo aver noi fatto un migliaio di passi, quanta pu essere la
distanza cui un buon lanciatore scaglierebbe una pietra,
quando tutti si addossarono alle dure rocce dell'alta costa, e stettero fermi e raccolti come, chi va, si
ferma a guardare quando colto da un dubbio.
La critica concorde nel considerare il canto III uno dei pi rappresentativi deIl'atmosfera corale del
Purgatorio, "dove tutto folla e gruppo, unici e monocordi" (Mattalia).
Cessate le violente apparizioni dell'inferno, le anime avanzano a schiera, cantando in un accordo
profondo di atteggiamenti e di gesti, "come processioni di penitenti tutti raccolti interiormente e gravati
da un ignoto peso dell'anima" (Grabber).
In Dante e Virgilio ogni residuo del turbamento iniziale si dissolve davanti a questa gente d'anime, a
questo popol "il cui procedere lentissimo, agevola e sottolinea... il prevalere di un ritmo costante e
distensivo che prepara il nuovo culmine poetico di un altissimo idillio, di una pastorale purissima ai cui
margini pur vibra, in forme sempre pi attenuate di stupore e di trepidazione, l'eco di quel movimento di
incertezza... e che qui mai si dissocia completamente dal fondamentale sentimento letificante di
concordia e di salvezza in comune delle anime degli scomunicati pentiti e avviati alla loro totale
liberazione" (Binni). L'avanzare deciso dei due pellegrini (con libero piglio) contrasta con quello lentissimo
delle anime che, di fronte a un'apparizione cos lontana ormai dal loro mondo, arretrano e si addossano
al monte "con un risultato figurativo di mobile bassorilievo" (Binni), che, accostato alla similitudine
successiva delle pecorelle sembra richiamare i bassorilievi paleocristiani, o certi mosaici ravennati o
alcuni affreschi romanici.
O voi che siete morti in grazia di Dio, o spiriti gi destinati alla salvezza eterna , prese a dire Virgilio,
in nome di quella pace che io credo sia attesa da voi tutti,
diteci in qual punto la montagna pi agevole, s da poterla salire, perch perder tempo dispiace a chi ne
conosce il valore.
Come le pecore escono dal recinto da sole, o a gruppi di due e di tre, e le altre sostano timide
abbassando il muso e lo sguardo,
e quello che fa la prima, fanno anche le altre, raggruppandosi dietro a lei, se si ferma, obbedienti e
mansuete, senza conoscerne il motivo,
cos io vidi allora avvicinarsi le prime anime di quella felice moltitudine, umile nei volti e dignitosa nel
procedere,
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Questa similitudine di mirabile evidenza, le cui componenti, semplicit e mansuetudine, richiamano


quella dei colombi (canto Il, versi 124-129), la sintesi visiva di tutti gli elementi elegiaci del canto:
l'animo del Poeta sembra abbandonarsi al nuovo sentimento di pace che avverte in s e attorno a s, alla
comunione con le anime purganti, vuole vivere di quella umilt alla quale stato consacrato sulla
spiaggia del purgatorio. Anche se la tradizione letteraria bucolica, di Virgilio in particolare, il ricordo
evangelico (le anime presentate attraverso l'immagine degli agnelli e delle pecorelle) e un passo del
Convivio (I, XI, 9-10) lo sorreggono, questo quadro - pur essendo "uno dei pi nitidi studi dal vero di
tutto il poema, uno di quelli in cui Dante ha trovato pi genialmente la parola pittrice" (Momigliano) - non
che l'estremo sviluppo del tema centrale dell'umilt delle anime che si abbandonano alla volont divina,
che sono contente del quia. Infatti l'osservazione dei movimento lento ma sicuro (a una, a due, a tre),
dell'atteggiamento (atterrando l'occhio e 'l muso), della concordia (e ci che la la prima, e l'altre fanno),
l'uso dei diminutivi (pecorelle, timidette), la scelta degli aggettivi (semplici, quete), preparano le ultime
parole della similitudine: e lo 'mperch non sanno. Se il turbamento genera incertezza - nota il Caccia "incertezza genera umilt, e tutto il canto si ispira a questo motivo della umilt, che poi la virt opposta
all'antica colpa". Cos umile Virgilio, che esorta ad accontentarsi della realt contingente e riconosce di
aver bisogno egli stesso di consiglio, umili sono queste anime, umiIe sar Dante di fronte a Manfredi, ma
umile sar soprattutto lo stesso Manfredi la cui alta personalit si china alle universali leggi divine e che,
pur conservando ancora per istinto e per abitudine tutta la sua aristocraticit regale, si fa riconoscere non
per una corona ma per due ferite". Il primo incontro di Dante con le anime del purgatorio avviene con
coloro che pi sono lontani dalla salvezza, cio con gli scomunicati, "coloro la cui ribellione alla legge
divina non fu solo individuale ma sociale, coloro che rifiutarono obbedienza alla Chiesa". Secondo la legge
del contrappasso essi che in vita furono superbi, orgogliosi, ribelli. dovranno ora essere umili, mansueti,
docili al destino e all'altrui volont: "anzi, sono fra le anime pi timide del purgatorio, non solo perch la
loro personalit ribelle ebbe esemplare annullamento nel disonore della scomunica... ma perch fra tutte
le anime... queste hanno pur tutta l'incertezza e il tremore di chi si trova ancora assai prossimo alla
piaggia cui si giunge affannati e smarriti" (Caccia).
Non appena quelle anime videro in terra, alla mia destra, la luce interrotta, poich la mia ombra stava fra
me e la roccia,
si arrestarono, e indietreggiarono un poco, e tutte le altre che venivano dietro, pur non conoscendone il
motivo, fecero altrettanto.
Senza attendere che voi me lo domandiate, vi dichiaro che questo che voi vedete un corpo umano,
per questo la luce del sole , in terra, interrotta.
Non stupitevi; ma credete che non senza l'aiuto del cielo che io cerco di superare questa roccia.
Cos parl Virgilio; e quegli spiriti eletti. Tornate indietro e camminate dunque davanti a noi, dissero,
facendoci segno col dorso delle mani.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

E uno di loro prese a dire: Chiunque tu sia, mentre cammini volgi gli occhi: cerca di ricordare se in
terra tu mi abbia mai veduto .
Parla Manfredi, figlio naturale di Federico II che appena diciottenne, nel 1250, alla morte del padre,
govern il regno di Napoli e Sicilia per il fratello Corrado IV, dopo la morte del quale si fece incoronare re
a Palermo (1258). Guid il partito ghibellino in Italia, lottando duramente contro la Chiesa che lo
scomunic, finch il pontefice Clemente IV chiam in Italia Carlo I d'Angi, che sconfisse a Benevento nel
1266 Manfredi, il quale mor in battaglia. I cronisti del tempo lo giudicarono in modo opposto: quelli
ghibellini lo esaltarono entusiastcamente, quelli guelfi lo accusarono di ogni nefandezza. Tuttavia il
Villani (Cronaca VI, 46), bench guelfo, afferma: "Fu bello del corpo e, come il padre e pi, dissoluto in
ogni lussuria; sonatore e cantatore era;... molto fu largo e cortese e di buon aire, sicch egli era molto
amato e grazioso; ma tutta sua vita fu epicuria, non curando quasi n Iddo n Santi". Dante in un passo
del De Vulgari Eloquentia (I, XII, 4), tesse grandi lodi per l'opera politica e culturale di Federico Il e di
Manfredi, tralasciando ogni giudizio morale. E, se pone Federico Il fra gli epicurei nell'inferno, salva
Manfredi in virt di un pentimento poco prima della morte.
Io mi girai verso di lui e lo guardai attentamente: era biondo, bello e di nobile aspetto, ma aveva un
sopracciglio diviso in due da una ferita.
Quand'ebbi con cortesia negato d'averlo mai conosciuto, egli dsse: Adesso guarda; e mi mostr una
ferita vicino al cuore.
Poi aggiunse sorridendo: Sono Manfredi, nipote dell'imperatrice Costanza; perci ti prego, quando
ritornerai in terra,
di andare dalla mia bella figlia, madre di coloro che sono i sovrani di Sicilia e d'Aragona, per dirle la verit
su di me, se si raccontano altre cose.
Costanza imperadrice Costanza d'Altavilla, sposa dell'imperatore Arrigo VI e madre di Federico II.
La figlia di Manfredi Costanza che spos Pietro III d'Aragona ed ebbe come figli Federico II, re di Sicilia,
e Giacomo Il, re d'Aragona.
Quand'ebbi il corpo trafitto da due colpi mortali, io mi rivolsi, piangendo (per il pentimento dei peccati), a
Colui che sempre pronto a concedere il suo perdono.
I miei peccati furono orribili; ma la infinita misericordia ha braccia tanto ampie da accogliere tutti coloro
che a Lei si rivolgono.
Se il Purgatorio la cantica delle idealit e degli affetti, l'animo di Dante pur sempre impegnato con la
cronaca e con la storia, con il dramma e la tragedia dei suoi tempi; il Poeta muta solo il tono, osserva in
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

lontananza, acquista un senso di distacco. "Manfredi prende tutto il suo rilievo non solo sullo sfondo di
quel paesaggio e di quelle anime scorate che lo accompagnano, ma anche sullo sfondo di quei profondi
ideali, di quella epica lotta, di quelle sue stesse amare vicende innalzate alla piet che vince l'orrore, alla
sofferenza che redime, alla bont che perdona." (Caccia) Solo rilevando con forza il netto contrasto fra gli
orribil... peccati miei e la bont infinita, l'episodio acquista valore e funzione di exemplum, di "lezione
profonda di umilt" (Sapegno) .
Nella figura del re svevo si attua appieno il processo di spiritualizzazione proprio di tutta la seconda
cantica: il sorriso con cui si rivolge a Dante quasi per attenuare l'orrore delle ferite, segna il distacco fra
la tragedia della sua vita terrena e la raggiunta serenit, che ha liberato Manfredi dei suoi peccati, ma gli
mantiene la regalit di un tempo, trasumanandola anzi in santa regalit, dopo averla liberata da ogni
superbia. pon mente se di l mi vedesti unque... io son Manfredi... ond'io ti priego.
Infatti alto e distaccato il tono delle sue parole, quasi solenne l'accenno a Costanza mperadrice, alla
figlia genitrice dell'onor di Cicilia e d'Aragona, Il regale il suo discorrere ampio e la sua sintassi
latineggiante (ondio ti priego che quando tu riedi ... ); regale quel suo ricordare, di tanto odio, solo
quel suo cadavere gettato oltre i confini del regno: persino l'immagine stessa della bont divina (la bont
divina ha s gran braccia) acquista in lui una latitudine regale... Quel sorriso, come quel suo volto bello e
gentile, sono ora le sue vere insegne di re" (Caccia). Avvertiamo la nobilt del suo animo proprio
nell'umile confessione della sua miseria umana (io mi rendei, piangendo), nel riconoscimento di un
potere superiore che si manifesta come amore (la bont infinita), verso il quale la sua anima vibra e si
slancia stanca delle lotte della vita.
Se il vescovo di Cosenza, che da papa Clemente fu indotto allora a perseguitarmi, avesse potuto
penetrare questo aspetto di Dio,
le mie ossa sarebbero ancora in capo a un ponte vicno a Benevento, custodite da un mucchio di pietre.
Adesso la pioggia le bagna e il vento le agita; fuori del regno (di Napoli e di Sicilia), quasi sul Garigliano,
dove egli le trasport a ceri spenti (come si usava per i cadaveri degli scomunicati e degli eretici).
Il pastor di Cosenza l'arcivescovo Bartolomeo Pignatelli; che rappresentava Clemente IV presso Carlo
d'Angi. Il Villani (Cronaca, VII, 9) narra che il cadavere di Manfredi, ritrovato sul campo di battaglia
dopo tre giorni, fu sepolto dagli stessi nemici sotto una "grande mora di sassi" e che invece secondo altri
il vescovo di Cosenza fece dissotterrare il corpo e trasportarlo fuori del regno d Napoli, "ch'era terra di
Chiesa", per abbandonarlo lungo le rive del Garigliano, che segnava il confine fra il regno meridionale e lo
stato della Chiesa.
Nelle parole di Manfredi tutto diventa rappresentazione ed immagine: l'ostilit dei pastor di Cosenza si
trasforma in.movimento di caccia selvaggia e le feroce, le fasi della battaglia si riassumono nel pesante
tumulo di sassi che la piet dei nemici ha eretto sopra il suo corpo, l'odio dei suoi persecutori appare nel
trascinarsi di quelle povere ossa battute dalla pioggia e dal vento: eppure non c' dura polemica contro
alcuno, ma solo, l'amara constatazione, di vedere altri uomini peccare come tante volte ha peccato lui
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

stesso.
In seguito alle loro scomuniche (maladizion: la scomunica infatti non comporta di necessit la dannazione
spirituale) la grazia di Dio non si perde a tal punto che non si possa recuperare, finch la speranza non
del tutto inaridita.
Tuttavia chi muore scomunicato, anche se si pente in punto di morte, deve restare fuori di questo monte,
per un periodo di tempo trenta volte pi lungo di quello che da vivo ha nella sua ostinazione orgogliosa, a
meno che tale decreto non venga abbreviato dalle preghiere dei buoni.
Vedi dunque se puoi farmi contento, rivelando, alla mia buona Costanza dove e in che modo mi hai visto,
e anche questo divieto,
poich noi molto progrediamo nella purificazione grazie, ai suffragi dei vivi .
L'elegia che aveva raggiunto, il suo tono pi cupo nei versi 130-132 e si era tramutata.in uno slancio di
fede e di speranza (versi 134-135). si conclude ristabilendo "quell'armonia tra il mondo dei vivi e il
mondo dei morti che il drammatico racconto sembrerebbe aver spezzato" e chiude l'episodo proprio in
questo tono di umilt familiare, nel sigillo di quello spirito comunitario che... anima il corale respiro lirico
del canto" (Caccia).

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO IV

Quando per un'impressione di piacere o di dolore, che una qualche potenza della nostra anima riceve in
s, l'anima si concentra tutta in quella facolt,
sembra allora che essa non presti pi attenzione a nessun'altra sua facolt; e questo fatto una prova
contro quella dottrina errata la quale ritiene che in noi si formino pi anime una accanto all'altra.
Dante sostiene, secondo il principio scolastico, una sola essenza dell'anima, che "hae tre potenze, cio
vivere, sentire e ragionare" (Convivio III, Il, 11), e quando essa intensamente occupata in
un'operazione, non pu impegnarsi in altre. Viene cos confutata la teoria platonica della formazione e
dell'esistenza di tre anime, la vegetativa, la sensitiva, l'intellettiva.
E perci. quando si ascolta o si vede qualcosa che attiri a s fortemente l'anima, il tempo trascorre senza
che uno se ne accorga,
poich una la facolt che percepisce il passare del tempo (che l'ascolta: la facolt intellettiva), e una
altra (la facolt senstiva) quella che concentra in s l'anima intera: questa come legata (alle
impressioni che percepisce), quella invece sciolta da ogni ufficio (perch l'attenzione dell'anima rivolta
altrove).
L'esordio solenne rivestito dei moduli espressivi della Scolastica pare chiudere il canto IV in una di quelle
zone che il Croce definisce, nell'esclusione di ogni forma di scienza dalla poesia, non poetiche e che il
D'Ovidio censura affermando che "se Dante ebbe il proposito di riposar l'animo dei lettori
dall'ammirazione dei tre canti che precedono" e dargli lena ad ammirare la bellezza del successivo e la
sublimit dei tre appresso, riposarlo dallo stupore con la fatica, non si pu negare che v' riuscito!" In
realt, pur essendo innegabile il peso degli elementi didascalici (il massimo sviluppo si avr nei versi 6196), da Dante ritenuti necessari al fine di spiegare la disposizione cosmografica del secondo regno,
necessario rilevare che nel pensiero medievale la scienza costituisce elemento di elevazione e modo di
purificazione, portando l'uomo. attraverso la meditazione, a considerare ogni vicenda, ed esteriore ed
interiore, della sua vita in una prospettiva universale, trovando in quella vicenda lo stesso ritmo di leggi e
principii generali. Tale posizione garantisce la validit strutturale di questo inizio, ma assicura anche la
liricit, polarizzando l'interesse sulla nuova situazione spirituale di Dante. Finora ogni suo gesto e ogni
suo passo implicanti una conquista purificatoria erano stati guidati, o addirittura voluti attraverso duri
rimproveri, da Catone e da Virgilio, quasi il Poeta fosse ancora troppo impedito dai legami terreni. Ora,
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

"fisso e attento alle parole di Manfredi con la medesima fissit e attenzione che ebbe di fronte al canto di
Casella, Dante ha ... saputo superare il pericolo della lentezza e della negligenza - l'accusa di Catone ~
intendendo appieno verso quali oggetti debba convergere il suo spirito nella via del purgatorio. Qui Dante
giustifica filosoficamente la necessit della rampogna di Catone. La scienza filosofica lo illumina sul
pericolo della contentezza provata durante il canto dell'amico musico" (Romagnoli). Dante, al quale ormai
basta un semplice cenno delle anime (verso 18) per riscuotersi, entra dunque nella legge morale del
purgatorio, preannunziando "la sua prima vittoria conseguita nella vicenda della dura e vincolante
dialettica, dei rapporti anima-corpo, intelletto-senso" (Mattalia)
Di questo fatto io ebbi personale esperienza, ascoltando e guardando intensamente Manfredi; infatti di
oltre cinquanta gradi era salito
il sole (esso percorre quindici gradi ogni ora: perci sono trascorse pi di tre ore dal levarsi del sole e
dall'apparizione dell'angelo nocchiero), ed io non me ne ero accorto, quando giungemmo in un punto in
cui quelle anime ci gridarono tutte insieme: Questo il luogo di cui ci avete domandato .
Il contadino quando l'uva incomincia a maturare (imbruna; bisogna perci difenderla dai ladri) spesso
con una piccola forcata di spine chiude con questi pruni un'apertura della siepe pi larga
di quello che non fosse il sentiero lungo il quale salimmo Virgilio, ed io dietro di lui, soli, dopo che la
schiera delle anime si era congedata da noi.
Se l'apertura di questa similitudine d la misura di un'attenzione concretissima alla terra, qui osservata
nell'animato ritmo di una scena campestre, tuttavia il verso 23 - con il suo stile duro, spezzato da
continue pause, che si raccolgono tutte in un'unica, lunga sospensione nell'aggettivo soli - che apre un
tema maestro, facendo del IV canto "uno dei pi importanti dall'angolo visuale del contenuto " (Jenni) : i
due pellegrini iniziano l'ascesa dei monte, che finora avevano osservato solo dalla spiaggia e del quale
avevano gi guardato con preoccupazione la ripidit (canto III, versi 46-51). Le due similitudini
realistiche (maggiore aperta... vassi in Sanleo... ) poste in successione immediata, "come una ripresa,
una movenza stilistica di constatazione vagamente esclamativa" (Jenni), sono per il Poeta necessarie al
fine di mettere subito in rilievo il carattere eccezionale della salita, contemporaneamente introducendoci
nell'atmosfera di silenzio e di solitudine, che, secondo il Momigliano, il motivo lirico del canto, accanto
alla "presenza solenne e muta della montagna, che nel Purgatorio protagonista della poesia ben pi che
l'abisso nell'Inferno".
E' possibile arrivare a Sanleo (borgo del ducato d'Urbino, posto su un ripido colle che si raggiungeva con
un sentiero scavato nella roccia) e scendere a Noli (cittadina della riviera ligure di ponente, alla quale si
accedeva scendendo lungo pareti a picco sul mare), salire sul Bismantova (alto monte dell'Appennino nel
territorio di Reggio Emilia) fin sulla vetta solamente coi piedi; ma qui necessario che si voli;
dico con le ali veloci e con le piume del grande desiderio, seguendo quella guida che mi dava speranza e
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

mi faceva luce.
I mezzi necessari per salire il monte del purgatorio - la cui ripidit supera ogni confronto umano - sono
quelli spirituali: "colla fede e colla speranza che sono l'ali che portano i virtuosi e fedeli" (Anonimo
Fiorentino).
Salivamo per un sentiero scavato nella roccia, e (era tanto angusto che) le sue sponde ci stringevano a
destra e a sinistra, e il suolo sottostante costringeva ad aiutarsi con i piedi e con le mani.
Dopo essere giunti al termine dell'alta parete (alta ripa; essa costituisce la base del monte), su uno
spiazzo aperto (non incassato nella roccia), dissi: Maestro, che via seguiremo?
Ed egli mi rispose: Il tuo passo non pieghi n a destra n a sinistra: avanza sempre verso l'alto
seguendo me finch ci appaia qualche guida esperta del cammino .
La vetta del monte era cos alta che superava ogni possibilit della nostra vista, e il pendio era assai pi
ripido di una linea condotta dal punto mediano di un quadrante al centro del cerchio (poich il quadrante
di un cerchio corrisponde ad un angolo al centro di 90 gradi, la linea ha un'inclinazione di 45 gradi: la
costa perci quasi perpendicolare al monte).
Ero stanco, quando dissi: O dolce padre, volgiti, e guarda che rimango indietro, solo, se non ti ferm ad'
aspettarmi .
Figliolo, cerca di trascinarti fin qui disse, indicandomi un ripiano poco pi in alto, che cingeva tutto il
monte dalla, parte a noi visibile.
Le sue parole mi spronarono a tal punto, che riunii tutti i miei sforzi, procedendo a carponi dietro di lui,
finch raggiunsi quella sporgenza.
L'ascensione di Dante e Virgilio - pur resa con una rappresentazione molto mossa, in cui il dialogo tra i
due poeti ricco di una familiarit sostenuta dalla comune fatica dell'ascesa ed espressa nel rapporto
padre-figlio, che ora ha sostituito quello maestro-discepolo - ha il significato allegorico-morale di
purificazione raggiunta via via attraverso la fatica del superamento. "Ci troviamo di fronte a uno di quei
luoghi del poema dove l'allegoria si aggruma" (Jenni) in un'ascesa ambivalente, accostata da alcuni critici
moderni a quella del Petrarca sul monte Ventoux, descritta; nell'epistola datata Malaucne 26 aprile
1336. Anche il Petrarca conferisce ad ogni gesto suo e del fratello Gherardo che l'accompagna, una
significazione morale, ma mentre in lui il senso letterale e quello allegorico restano sempre distinti, in
Dante essi sono fusi a un grado cos avanzata", che nei migliori momenti non s danneggiano. Noi
possiamo leggere questo primo episodio d'una scalata con una partecipazione viva come per un'impresa
di montagna... E quando Virgilio d al suo protetto il mezzo ordine e mezzo consiglio di non fare
nemmeno un passo in gi, si tratta d'un ammonimento morale che per vale alla perfezione gi per la
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

sola fatica fisica. Senza contare che sempre, nei luoghi danteschi di allegoria pi ricca, restano dei
particolari il cui senso non oltrepassa quello letterale: come, qui, l'ultimo carpare di Dante per
giungere al cnghio" (Jenni).
L ci sedemmo entrambi rivolti verso oriente, da dove eravamo saliti, poich guardare il cammino gi
fatto suole apportare conforto e gioia agli uomini.
Dapprima volsi lo sguardo verso la spiaggia; poi lo alzai verso il sole, e mi accorsi con stupore che i suoi
raggi ci colpivano provenendo da sinistra.
Molti critici moderni vedono nel volgersi di Dante verso oriente un significato mistico, dal momento che,
prima ancora della letteratura medievale, gi quella patristica avvertiva del valore della preghiera fatta
verso oriente, da dove era venuto Cristo. Ma poich i pi antichi commentatori non hanno rilevato nei
versi 53~54 tale significato, il Sapegno ritiene giustamente che "Dante non guarda all'oriente in quanto
tale, bens alla parte da cui salito".
Bench il gran disio sospinga verso l'alto. il cammino resta pur sempre aspro per il corpo e lo spirito, crea
un affanno fisico e un affanno morale (che via faremo?; rimira com'io rimango sol, se non restai) in
Dante, motivando uno stato di perplessit smarrita che era gi stato presente nei canti precedenti, ma
che ora viene superato in virt della vicinanza della meta (additandomi un balzo poco in sue). E' il
"momento - afferma il Romagnoli - pi schietto e fresco della gioia di Dante: e non possiamo non
partecipare a questo silenzioso trionfo della vista sua... e non possiamo non assentire a quel gesto di
alzare gli occhi al sole, di muovere la propria vista nella libert degli spazi infiniti... Il canto sembra
giunto al suo culmine, sembra sciogliere tutti gli elementi del dramma umano di Dante per liberarli
nell'infinitezza del cielo", ma una pausa contemplativa breve, anche se molto intensa, perch subito
interrotta dallo stupore (versi 56-57). "Il fatto che Dante non pu indugiare sugli elementi
contemplativi... in un canto tutto incentrato sullo slancio morale della conquista, sull'acquisto di scienza
certa", che pu essergli data solo da Virgilio, la ragione, che, dominando l'apparente mistero del
fenomeno fisico, ricompone "in filosofica quiete lo spirito dianzi stupefatto." (Romagnoli)
Virgilio si accorse facilmente che io guardavo tutto stupefatto il sole, l dove entrava nel suo cammino fra
noi e il settentrione.
Per questo egli mi disse: Se la costellazione dei Gemelli (Castore e Polluce) fosse in compagnia del sole
che rischiara alternativamente l'emisfero settentrionale e quello meridionale,
tu vedresti la parte rosseggiante dello Zodiaco (la via percorsa dal sole) ruotare ancora pi vicina alla
costellazione delle Orse (cio al polo artico, essendo la costellazione dei Gemelli pi a nord di quella
dell'Ariete con la quale il sole era allora in congiunzione), a meno che il sole non deviasse dal suo
cammino abituale.
Se vuoi sapere come ci avvenga, pensa, raccogliendoti in te stesso che Gerusalemme e il monte del
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

purgatorio si trovano sulla terra


in modo tale che tutti e due hanno lo stesso orizzonte astronomico e giacciono in diversi emisferi; per
questo la strada (cio la eclittica) che male Fetonte (cfr. Inferno XVII 107-108) seppe percorrere col
carro del sole,
vedrai come necessario che corra, rispetto al monte del purgatorio, da un lato (cio da destra a
sinistra) e, rispetto a Gerusalemme, da un altro (cio da sinistra a destra), se la tua mente bene
discerne.
Di certo, maestro mio dissi non ho mai compreso cos chiaramente alcuna cosa davanti alla quale il
mio ingegno appariva insufficiente, come ora comprendo
che il cerchio mediano della rotazione celeste, che in astronomia si chiama Equatore, e che rimane
sempre tra il sole e l'inverno, (perch quando in un emisfero inverno, nell'altro estate e viceversa),
per il motivo che tu dici (cio che il purgatorio agli antipodi di Gerusalemme), da questo monte si
allontana verso settentrione, mentre gli Ebrei (quando abitavano la Palestina) lo vedevano allontanarsi
verso il sud.
Ma se tu vuoi, volentieri desidererei sapere quanto cammino resta da percorrere, perch il monte si
innalza pi di quanto possa salire il mio sguardo.
Ed egli: Questo monte tale, che la ascesa sempre ardua per chi l'inizia dal basso; ma quanto pi si
sale tanto meno essa appare faticosa.
Perci, quando essa ti sembrer dolce a tal punto, che il salire diventer per te facile come procedere su
una nave seguendo la corrente,
allora sarai giunto alla fine di questo cammino: qui soltanto potrai riposarti dell'affanno della salita. Non ti
rispondo oltre, e questo so come cosa certa .
"Il monte della virt tanto alto e tanto si profonda, che occhio suo n d'altrui non vede la sua sommit,
cio la sua profondit." (Anonimo Fiorentino) L'immagine del monte della virt di frequente uso
scritturistico e liturgico ed unita, quasi sempre, al concetto d ascensione, di rinuncia, d progressiva
conquista della Grazia attraverso la liberazione dal male, perch il passaggio dalla fatica dell'esercizio
ascetico alla beatitudine della contemplazione l'itinerario consueto della mistica cristiana.
E non appena egli ebbe finito di parlare, risuon vicina una voce: Forse avrai bisogno di rposarti prima
d giungere lass!
E la voce di Belacqua che, secondo l'Anonimo Fiorentino, "fu uno cittadino di Firenze, artefice, e facea
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

cotai colli di liuti e di chitarre, e era il pi pigro uomo che fosse mai. E si dice di lui ch'egli venia la
mattina a bottega, e ponevasi a sedere, e mai non si levava se non quando egli voleva ire a desinare e a
dormire. Ora l'autore fu forte suo dimestico: molto il rprendea di questa sua nigligenzia".
Questa voce interviene dando l'impressione di continuare il tono del discorso di Virgilio, ed invece,
secondo l'acuta analisi del Sapegno, la proiezione che Dante fa di un suo sentimento contrastante con le
nobili parole di Virgilio, per "esprimere le esigenze e i bisogni realistici della sua carne fragile",
oggettivando il conflitto che si svolge nel suo intimo. "Lo slancio dello spirito deve pur fare in ogni
momento i conti con la fragilit della carne", e deve moderare la sua baldanza di fronte alle difficolt che
attendono di essere superate, abbandonandosi pi pazientemente e docilmente alla volont divina.
Proprio in questo apparente contrasto, tra il senso di fatica e di ascesi sottolineato dallo spirito del Poeta
e il senso di abbandono e di passivit di Belacqua (esprimente la staticit del corpo), la poesia autentica
del canto: la quale fondata nella prospettiva di equilibrio e di unit tra la debolezza dell'uomo e la forza
della Grazia; equilibrio che sostiene l'umanesimo cristiano di Dante e di tutta la Commedia.
Perci questo episodio non deve essere letto, come molte volte stato fatto dalla critica, in chiave
comica, ma, pur tenendo conto della sua venatura scherzosa, permessa anche dallo spunto
autobiografico che riporta ad un ambiente fiorentino fresco e vero, deve essere visto come un serio
richiamo ad una maggiore purificazione. Per l'Apollonio "l'orgoglio razionale di Virgilio e Dante, usciti
appena dalla scansione eroica che ha misurato, dopo l'ascesa della balza, il cammino delle stelle" a
Belacqua "pare, ed , cosa dappoco; e mentre Dante, orgoglioso ancora, si permette di canzonarlo con
aperte parole, e preziose (colui che mostra s ... ) egli si contenta di staccarlo da s: va tu su..."
Al suono di questa voce entrambi ci volgemmo, e scorgemmo a sinistra un grosso macigno, del quale n
io n Virgilio ci eravamo prima accorti.
Lo raggiungemmo con fatica; e l c'era un gruppo di anime che giacevano all'ombra di questa rupe
nell'atteggiamento che suole indicare pigrizia.
Sono le anime di coloro che, per negligenza e pigrizia, aspettarono a pentirsi alla fine della vita e che
devono rimanere nell'antipurgatorio tanto tempo quanto vissero.
E una di loro, che mi sembrava stanca, sedeva abbracciando le ginocchia, e abbandonando il viso tra
esse.
O mia dolce guida dissi osserva quello che appare pi negligente degli altri, come se la pigrizia
fosse una sua sorella.
Allora quello si volse verso di noi, e guard, muovendo solo gli occhi lungo la coscia (senza alzare il viso),
e disse: Sali tu ora, dal momento che sei cos bravo!
Riconobbi allora chi era, e l'affanno che rendeva ancora un poco affrettato il mio respiro, non mi imped
di accostarmi a lui; e dopo
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

che gli giunsi accanto, sollev un poco la testa, dicendo: Hai capito bene come il sole manda i suoi
raggi dalla parte sinistra?
La derisione di Belacqua sottolinea, ironizzandola, l'eccessiva attenzione di Dante alla spiegazione
astronomica di Virgilio e contrappone, a quell'impegno di conoscenza, la propria indolente saggezza, che
supera quelle questioni perch non se le pone, quasi sentisse la sua pigrizia come una fatalit. Alcuni
tuttavia intendono l'ironia di Belacqua rivolta non all'attenzione di Dante, ma alla lentezza della sua
capacit di intendere una spiegazione cos semplice. Gli atti... pigri e le corte parole muoveranno il riso di
Dante. "La prima volta ch'e' rida - nota il Tommaseo - l'altra sar alle parole di Stazio: l'uno sorriso di
sdegno, ma amico, l'altro d'affetto, ma riverente; le due aie di Dante."
I suoi atti pigri e le sue parole brevi mossero un poco le mie labbra al sorriso; poi dissi: Belacqua, io
non sono pi in ansia
per te ormai (sapendoti salvo); ma dimmi: perch te ne stai seduto appunto qui? aspetti forse una guida,
oppure sei stato ripreso dalla pigrizia abituale?
E quello; Fratello, che giova il salire? infatti l'angelo di Dio che custodisce la porta del purgatorio non
mi lascerebbe affrontare le pene dell'espiazione.
Belacqua non solo ha un atteggiamento passivo, ma sembra giustificare la sua stessa indolenza: o frate,
l'andar su che porta? Infatti l'angelo gli impedirebbe di salire anche se egli lo volesse. Questa
giustificazione della pigrizia sembrata ad alcuni discordante dallo spirito di tutta la cantica, la quale
liberazione progressiva dal terrestre e, comunque, sempre tensione verso la beatitudine, mentre a quello
spirito si ricollega appieno. Il Pietrobono cos nota a proposito: "Se l'angelo portiere non gli permette
d'entrare, e Dio agli accidiosi ha negato il conforto e il beneficio della preghiera, e l nell'antipurgatorio le
anime non sono soggette a pene fisiche, che dovrebbe fare Belacqua? Altro non pu se non aspettare il
tempo stabilito e, per sua vergogna, in un'attitudine che gli ricorda di continuo la colpa. In fondo gli
spiriti dei pigri, come tanti altri, patiscono del male che hanno commesso".
E' necessario che prima il cielo giri intorno a me fuori di quella porta, per tutto il tempo che mi gir
intorno in vita, poich rimandai fino all'estremo il pentimento,
se non mi aiuta prima la preghiera che sgorga da un cuore in grazia di Dio: che vale l'altra (quella del
peccatore), che non esaudita in cielo?
L'apparente scontrosa ironia di Belacqua, unico spiraglio in quella sua compatta staticit, si scioglie
dinanzi alla invocazione - pur contenuta - di preghiere: "Belacqua si trasforma, come doveva
inevitabilmente avvenire, in un personaggio di gentilezza, perfettamente circoscritto nella luce morale
che vela di malinconia, di trepida attesa le anime della seconda cantica"(Romagnoli).
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

E gi Virgilio, saliva precedendomi, e dicendomi, Vieni ormai: vedi che il sole al meridiano ( tocco
meridian dal sole: cio mezzogiorno) mentre (nell'emisfero boreale) sulla riva dell'Oceano
la notte gi si distende fino al Marocco (Morrocco: esso costituiva l'estrema parte occidentale della terra
abitata) .

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Paradiso

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PARADISO CANTO XVII

Come Fetonte, lesempio del quale rende ancor oggi i padri restii a indulgere alle richieste dei figli, and dalla
madre Climene, desideroso di accertarsi se era vero ci che aveva udito contro di se;
Fetonte, avendo udito da Epafo (suo coetaneo e figlio di Giove), che egli non era figlio di Apollo, dio del sole;
volle sapere dalla madre Climene la verit sulla sua nascita. Allora Apollo, per persuaderlo, gli concesse di
guidare per un giorno il carro del sole e questo fatto fu poi causa della morte di Fetonte (cfr. Inferno XVII,
106-108; Ovidio, Metamorfosi I, 747 sgg.).
cos ero io ansioso di sapere, e questo stato danimo era avvertito e da Beatrice e dallanima santa di
Cacciaguida, che prima per parlare con me aveva cambiato posto (scendendo ai piedi della croce luminosa ).
Anche Dante, come Fetonte, ansioso di conoscere la spiegazione di quanto ha udito incontro a s da
Farinata (Inferno X, 79-81 ), Brunetto Latini ( Inferno XV, 61-72 ), Vanni Pucci ( Inferno XXIV, 140-151),
Oderisi da Gubbio (Purgatorio XI, i39-141).
Perci la mia donna mi disse: Esprimi il tuo ardente desiderio, in modo che lintensit interiore appaia bene
evidente esternamente,
non gi perch la nostra conoscenza aumenti per le tue parole, ma perch ti abitui ad esprimere la sete del
tuo desiderio, Cos che gli altri ti possano appagare .
O cara radice della mia famiglia, che tinnalzi cos in alto, che, come la mente dei mortali vede che due
angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo,
con la stessa chiarezza discerni le cose che possono essere o non essere prima che esistano in atto
contemplando la divina essenza, il punto in cui tutti i tempi sono presenti,
mentre seguivo Virgilio su per il monte del purgatorio che purifica le anime e mentre discendevo nel mondo
dei dannati,
mi furono dette parole preoccupanti riguardo alla mia vita futura, sebbene io mi senta incrollabile
( tetragono: il termine indica ogni figura geometrica dotata di quattro angoli e, in particolare, il cubo), di
fronte ai colpi della fortuna (di ventura).
Perci lanimo mio ansioso di conoscere quale sorte mi viene incontro, perch il colpo previsto sembra
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Divina commedia: Parafrasi Paradiso

avanzare pi lentamente.
Su uno sfondo pervaso di passione morale ( l'immagine dell'antica Firenze presentata al mondo come
modello dell'invocato rinnovamento) e di note intime del cuore (la dolorosa meditazione sulla sua travagliata
sorte), si profila ora la figura stessa del Poeta, la cui storia ha un inizio preciso ( tu lascerai ogni cosa diletta
pi caramente), con vicende ben determinate (il pianto del distacco: tal di Fiorenza partir ti convene;
l'amarezza del mendicare: tu proverai si come sa di sale lo pane altrui; il peso dell'incomprensione e della
diffidenza: quel che pi ti graver le spalle, sar la compagnia malvagia e scempia; la prova cruciale della
solitudine: averti fatta parte per te stessso), per sublimarsi poi nella certezza di una missione morale (versi
124-135) e di un futuro di gloria ( verso 98 ). Il contrasto fra la Firenze di un tempo e la Firenze presente,
delineato nei due canti precedenti, "la sottintesa ragione del dramma della sua vita di cittadino e della
catastrofe con la quale per allora si era chiusa: l'esilio. E l'esilio, con l'angoscia del distacco, con la povert,
con la compagnia malvagia e scempia, con le umiliazioni, e insieme coi lenimenti che buoni soccorritori vi
apportano, delineato a grandi tratti da un animo sensibilissimo, che soffre di tutte le punture... ma tutte le
sostiene e contiene: ben tetragono ai colpi di ventura. Le sostiene per quella dignit di se medesimo della
quale costantemente compreso, per quella speranza che anche maggiore dell'altra, affatto privata e
contingente, del ritorno nella sua citt, la speranza dell'immortalit e della gloria, dell'approvazione e lode
dei di futuri. Egli, come tutti i grandi, vive, pi assai che nel presente, nel futuro..." (Croce).
Cosi io dissi a quella luce che prima mi aveva parlato; e manifestai il mio desiderio come aveva voluto
Beatrice.
Non con oracoli oscuri, nei quali un tempo si invischia, vano le genti pagane prima che fosse ucciso Ges,
lAgnello di Dio che riscatto i peccati del mondo,
ma con parole chiare e con preciso linguaggio mi rispose quel padre amoroso, avvolto nella sua luce e
visibile a causa della sua letizia:
Ci che pu essere o non essere, che non oltrepassa la sfera del vostro mondo materiale ( perch nel
mondo divino esiste solo leterno e il necessario), tutto presente nel pensiero di Dio:
Tuttavia non per questo ci che contingente diventa necessario, cos come una nave che discende lungo la
corrente (pu essere osservata, ma) non deriva il suo moto dallocchio nel quale si specchia.
Dalla visione del pensiero eterno di Dio cos come dallorgano giunge allorecchio una dolce armonia, mi
viene davanti agli occhi il futuro che ti si prepara.
Come Ippolito se ne and da Atene per le calunnie della spietata e perfida matrigna, cos tu dovrai andartene
da Firenze.
Ippolito, figlio di Teseo, avendo respinto le offerte amorose della matrigna Fedra, fu da questa accusato di
aver tentato di sedurla; il padre, maledicendolo, lo scacci da Atene ( cfr. Ovidio - Metamorfosi XV, 497
sgg.).
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Divina commedia: Parafrasi Paradiso

Questo si desidera e questo gi si cerca di attuare, e presto sar fatto da parte di chi ordisce tali
macchinazioni l (nella curia pontificia) dove ogni giorno si fa mercato della religione.
Bonifacio VIII da tempo era intervenuto nella vita politica fiorentina, aiutando le mire dei Neri contro i
Bianchi, il partito al quale Dante apparteneva. Il Poeta, sia come priore sia come membro dei vari Consigli
della citt, si era opposto con decisione ai piani del pontefice, che minacciavano la pace del comune. Come
rivelano chiaramente le parole di Cacciaguida (l'osservazione del Chimenz), Dante ha la convinzione di
essere stato vittima di una personale animosit del pontefice contro di lui.
Tosto verr fatto: Dante lascio Firenze alla fine dell'ottobre 1301 con 1'abasceria inviata dalla citt a
Bonifacio VIII per chiedere assicurazioni in occasione della discesa in Italia di Carlo di Valois. Dopo l'entrata
del principe francese a Firenze (1novembre 1301), Dante probabilmente non ritorn pi nella sua citt. La
sentenza del 27 gennaio 1302 lo condannava a pagare cinquemila fiorini, a due anni di confino, all'esclusione
perpetua da qualunque ufficio. fu confermata il 10 marzo 1302, con un bando che comminava a Dante anche
la pena di morte.
La colpa, come al solito, sar attribuita dallopinione pubblica alla parte vinta, ma la punizione dar
testimonianza della verit, la quale assegna giustamente i suoi castighi.
La voce pubblica, come accade di solito, attribuir la colpa delle discordie civili ai vinti, ma la giustizia divina
si abbatter sui veri colpevoli. La profezia, alla quale il Poeta conferisce un tono volutamente indeterminato,
allude ai tristi eventi che funestarono Firenze e il partito dei Neri dopo la cacciata dei Bianchi e, in
particolare, alla misera fine dei suoi due implacabili nemici, Corso Donati ( cfr. Purgatorio XXIV, 82-90) e
Bonifacio VIII (cfr. Purgatorio XX, 86-90).
Tu dovrai lasciare ogni cosa pi cara; e questo il colpo doloroso che prima di tutto ti infligger lesilio.
Tu proverai quanto sia amaro il pane chiesto agli altri, e quanto sia duro cammino scendere e salire le scale
delle case; altrui.
E quello che ti riuscir pi gravoso, sar la compagnia cattiva e sciocca con la quale ti troverai precipitando
in questa miseria;
essa si volger contro di te piena di ingratitudine, dissennata e piena di odi, ma poco dopo, essa, non tu, ne
avr le tempie rosse di sangue.
I fuorusciti Bianchi e Ghibellini, unitisi fra di loro, tentarono a pi riprese di ritornare a Firenze con le armi.
Nei documenti di un convegno preparatorio, quello di San Godenzo nel Mugello (8 giugno 1302), compare
anche il nome di Dante. Subito dopo, per, il Poeta si allontan dai compagni di esilio e non prese parte al
tentativo che si concluse con la sanguinosa sconfitta della Lastra (20 luglio 1304), alla quale, probabilmente,
egli intende riferirsi con l'espressione n'avr rossa la tempia. Non conosciamo con esattezza i motivi che
portarono alla rottura fra Dante e gli altri fuorusciti, sui quali il Poeta esprime qui un giudizio particolarmente
duro, n sappiamo quali colpe essi gli imputassero per odiarlo al pari dei Neri (cfr. Inferno XV, 70-72). Il Del
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Divina commedia: Parafrasi Paradiso

Lungo ha avanzato questa ipotesi: "lo sconforto del suo ritrarsi, la sfiducia nell'opera loro, il dissenso circa le
opportunit dell'operare o dell'attendere, furono interpretati come defezione, e quasi come tradimento, dalla
compagnia sciagurata".
Il suo modo di agire costituir la prova della sua folle sconsideratezza, cos che sar motivo di onore per te
laver fatto partito per te stesso.
L'esilio certamente il momento centrale e decisivo della vita di Dante: la sua personalit raggiunge la piena
formazione, il suo spirito si apre ad una pi ampia visione dei problemi umani, la sua forza morale si tempra
nelle difficolt e nel dolore dell'esule. L'argomento fondamentale del presente colloquio con Cacciaguida
l'esilio. Per tale motivo il XVII "fra i cento del poema si pu chiamare il canto di Dante. E' il canto dell'esilio,
della dignit, dell'onest imperterrita: ed la chiave del tono artistico che assume l'etica della Commedia. La
quale , prima di tutto, il rifugio di un'anima esulcerata in un mondo di giustizia, che ristabilisce l'equilibrio
rotto in terra fra virt e premio, vizio e castigo. Questo duro atteggiamento di sacerdote della giustizia
solenne e vibrato pi che altrove in questo canto. I primi ventiquattro versi (46-69) della risposta di
Cacciaguida, quelle rime risolute e gagliarde, quei periodi monumentalmente isolati, quelle frasi ora quasi
sillabate (49-50, 64) ora tempestose (51, 54) ora tenacemente ribadite (69) ora rallentate dal rimpianto e
dall'amarezza (55-56, 58-60), quella frenata irruenza, lo scandiscono maestosamente. Non lasciano
l'impressione d'una vicenda individuale, ma d'un dramma della storia che si ripercuote
nell'alto" (Momigliano). Infatti per il Poeta, in questo momento, la narrazione delle vicende del suo esilio non
uno sfogo personale, una pagina autobiografica fine a se stessa: non si tratta, cio, solo del suo caso
personale. Si tratta di sapere che egli con l'esilio incomincer la sua missione nel mondo. Cacciaguida non si
soffermerebbe sulle sofferenze transitorie della vita dell'esule, se queste non costituissero una prova e un
presagio. La storia del Poeta congiunta, come ogni cosa, ogni personaggio della Commedia, a una visione
escatologica del mondo. Questa caratteristica costante della narrazione dantesca spiega la compostezza e
fermezza di linee con cui il Poeta, attraverso un continuo ricorso alla metafora e alle figurazioni visive, si
rivolge al suo dramma umano, chiarificando la voce delle passioni terrene nell'orbita del senso del divino: " Il
ritmo delle terzine si fa... staccato e forte, i netti contorni delle cose ci trasportano in una atmosfera... tesa e
chiara. pur sempre la solennit paradisiaca, ma provveduta di un timbro pi distinto, proprio quando
l'argomento si volge a delineare un umano destino: ma il destino umano di Dante pronunciato da una voce
superna e in quel destino di uomo si compendia la sacra missione di un rinnovamento del
mondo" ( Malagoli ) .
Il tuo primo rifugio, la tua prima dimora ospitale ti sar offerta dalla liberalit del grande lombardo che ha
per suo stemma una scala sormontata dallaquila imperiale;
Il gran Lombardo , secondo la maggior parte dei commentatori antichi e moderni, Bartolomeo della Scala,
signore di Verona, morto nel marzo 1304 E' perci da escludere l'ipotesi di chi ritiene trattarsi del padre
Alberto, morto prima ancora dell'esilio di Dante o del fratello e successore, Alboino, che il Poeta giudica
severamente in un passo del Convivio (IV, XVI, 6). Verona, quindi, fu la prima tappa dell'esilio dell'Alighieri,
subito dopo la sua separazione dalla compagnia malvagia e scempia. Il soggiorno, tuttavia, fu molto breve,
tanto che di esso non rimasta alcuna notizia, mentre ben pi lungo e importante fu quello avvenuto
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Divina commedia: Parafrasi Paradiso

durante la signoria di Cangrande.


'N su la scala porta il santo uccello: lo stemma degli Scaligeri e una scala in cima alla quale compare l'aquila,
l'uccello santo perch insegna dell'lmpero voluto da Dio.
cos benevola sar la considerazione che nutrir nei tuoi riguardi, che, nei rapporti tra voi due, rispetto
allesaudire un desiderio e allesprimerlo, sar primo (non colui che chiede ma) colui che esaudisce, il quale,
normalmente, agisce dopo che il primo ha espresso il desiderio.
Con Bartolomeo vedrai Cangrande, colui che, al momento della nascita, ricevette un cos forte influsso da
questo cielo, che le sue azioni diventeranno memorabili.
Cangrande, fratello minore di Bartolomeo, nacque il 9 marzo 1291 e dopo essere stato associato al governo
da Alboino nel 1311, alla scomparsa di questo (1312) divenne signore assoluto di Verona fino al 1329, anno
della sua morte. Egli ricevette con particolare intensit l'influsso del pianeta Marte, che dispone a forti
imprese in campo militare.
Le genti non si sono ancora accorte di lui per la sua giovane et, perch i cieli ruotano intorno a lui solo da
nove anni (Cangrande, infatti, nacque nel 1291 e Dante immagina di compiere il suo viaggio nelloltretomba
nel 1300);
ma prima che il papa guascone Clemente V inganni limperatore Arrigo VII, appariranno i primi segni della
sua virt nel disprezzo del denaro e della fatica.
Il pontefice Clemente V, originario della Guascogna (cfr. Inferno XIX, 83), nel 1310 invit Arrigo VII in Italia
per ristabilirvi l'autorit imperiale. In un secondo tempo divenne fautore degli interessi della casa francese
degli Angi, che mirava ad estendere il suo dominio in Italia, e ostacol l'imperatore nel suo tentativo.
Le sue splendide imprese saranno allora cos conosciute, che i suoi stessi nemici non le potranno tacere.
Le sue magnificenze conosciute saranno: tutti i cronisti e gli scrittori del tempo sono concordi nell'esaltare le
doti militari e politiche di Cangrande della Scala, nonch la sua liberalit (Villani Cronaca X, 140; Petrarca Rerum memorandarum liber 11, 83-84; Boccaccio Decamerone I, VII, 5 ) . Dante, che fu suo ospite dal 1315
al 1320 circa, vide in lui un possibile restauratore dell'autorit ghibellina, e quindi imperiale, in Italia,
lodandolo anche nella Epistola XIII, 2-3.
Affidati a lui e ai suoi benefici; per opera sua cambier condizione molta gente, poich i ricchi diventeranno
poveri e i poveri diventeranno ricchi.
Porterai scolpite nella tua memoria queste cose che lo riguardano, ma non le dirai ; e rivel fatti incredibili
persino per coloro che li vedranno accadere.
Dopo che gli amori, gli odi, i dolori dell'esilio si sono risolti e assommati in quel - fatta parte per te stesso,
("dov', commenta il Grabher - l'orgoglio e il dramma di una solitudine a cui giungono i sublimi cercatori di
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Divina commedia: Parafrasi Paradiso

quelle vette inaccessibili che danno si l'ebbrezza di sentirsi al di sopra di tutti, ma anche la sdegnata tristezza
di vedere che nessuno ti segua e ti raggiunga" ), l'animo del Poeta si riposa sereno nell'oasi dell'ospitalit di
signori generosi e "cortesi" che sotto l'insegna del santo uccello fanno sperare a Dante qualcosa di pi di un
aiuto per le sue necessit materiali, perch negli Scaligeri, e in modo particolare in Cangrande, il Poeta
confidava per la realizzazione di uno dei suoi pi alti ideali: la restaurazione dell'Impero. "Questo di Dante a
Cangrande infatti un elogio che trascende non dico ogni forma di interessata adulazione, ma perfino quasi
la personale riconoscenza che pure il Poeta ebbe e che certo d lo spunto alla accesa esaltazione. Se infatti
nell'elogio del gran Lombardo, che pure vedi come ideale incarnazione di cortesia, v' un cenno al personale
riguardo avuto verso il Poeta, in Cangrande il Poeta sublima quasi la virt in se stessa e per se stessa,
idealizzando nella fortezza, nella liberalit, nella giustizia di lui, in tutte le sue magnificenze, le alte virt di
un perfetto reggitore, ben degno del sacrosanto segno che egli porta 'n su la scala." (Grabber). Prima di
proclamare il valore della sua poesia e la missione della sua arte, Dante ha cos tratteggiato gli ideali che
essa si propone di realizzare in terra: la citt ideale (Firenze), il cittadino ideale (Cacciaguida), il sovrano
ideale (Cangrande). E al di sopra di tutto questo la voce, il grido della sua poesia.
Poi aggiunse: Figlio, queste sono le spiegazioni di quello che ti fu detto (nellinferno e nel purgatorio
riguardo al tuo esilio ); ecco le insidie che si preparano (per te) nello spazio di pochi anni ( dietro a pochi
giri: dietro a pochi giri di sole).
Non voglio per che tu porti odio ai tuoi concittadini, poich la tua vita (per mezzo della fama) si prolungher
nel tempo ben oltre il momento nel quale essi riceveranno la punizione della loro perfidia .
Dopo che, tacendo, lanima santa di Cacciaguida si mostr libera dal compito di rispondermi (letteralmente:
di mettere la trama in quella tela di Cui le avevo presentato lordito con le mie domande),
io cominciai, come colui che, nel dubbio, desidera il consiglio della persona che capace di distinguere la
verit e che agisce rettamente e ha una caritatevole disposizione:
Ben vedo, padre mio, come il tempo incalza contro di me, per infliggermi un colpo di tale gravit, che
riuscir pi pesante a chi vi si abbandoner senza reagire;
per questo motivo bene che io sia previdente, in modo che, se mi tolta la patria, io non debba perdere a
causa dei miei versi la possibilit di rifugiarmi in altri luoghi.
Scendendo nellinferno, il mondo del dolore eterno, e salendo sul monte del purgatorio, dalla cui bella cima
gli occhi di Beatrice mi hanno sollevato (alle sfere celesti ) ,
e poi attraverso il paradiso di cielo in cielo, ho appreso cose che, se le riferisco avranno per molti un sapore
fortemente aspro;
e se ( tacendo per paura ) mi mostro timido amico della verit, temo di perdere fama tra i posteri (coloro
che questo tempo chiameranno antico).
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Divina commedia: Parafrasi Paradiso

La luce nella quale splendeva Cacciaguida, la gemma che avevo trovato in quel cielo, dapprima divenne pi
fulgida, simile a una lamina doro investita dal raggio del sole,
poi rispose: Colui che ha la coscienza macchiata o dalle proprie colpe o da quelle di parenti e amici sentir
certamente la durezza delle tue parole.
Ma nondimeno, messa da parte ogni menzogna, rivela tutto ci che hai visto; e si dolga pure delle tue parole
chi in colpa ( lascia pur grattar dov la rogna: lascia pure che si gratti chi affetto da rogna),
Perch se le tue parole riusciranno sgradite ad un primo assaggio, lasceranno poi un nutrimento vitale, non
appena saranno state digerite .
Queste tue affermazioni faranno come il vento, che percuote pi violentemente le cime pi alte, e questo ( la
proclamazione della verit fatta senza paura ) non costituisce piccolo motivo donore;
Per tale ragione in questi cieli, nel purgatorio e nellinferno, ti sono stati mostrati solo spiriti di persone
famose,
perch lanimo di chi ascolta non si appaga n presta fede ad esempi che si fondano su cose o persone
sconosciute e non sufficientemente evidenti,
n su altre dimostrazioni di scarsa apparenza .
Nell'ultima parte del canto il dialogo fra Dante e Cacciaguida diventa, palesemente, un protratto monologo
che il Poeta recita a s stesso. Un doloroso contrasto tante volte avvertito nelle sue peregrinazioni d'esilio,
frena in lui l'ardore messianico che Cacciaguida vuole comunicargli. L'esule ha bisogno d'aiuto, deve
dipendere dagli altri, specialmente dai potenti, proprio quelli contro i quali il suo grido si levato con pi
violenza: la sua coscienza dovr, dunque, venire a patti con il vero; tuttavia solo la verit assicura all'uomo
la fama tra coloro che questo tempo chiameranno antico. Brevi, violente metafore scoprono questa tensione
interiore che si venuta accumulando nel mondo sanza fine amaro e nel monte dal bel cacume: il tempo
sprona verso il Poeta per colpirlo con tagliente ferro (versi 106-107) e solo chi tetragono non s'abbandona,
ma pu "armarsi" di provedenza. Dopo la dichiarazione dei versi 112-120, che ha il sapore di una rabbiosa
confessione, quasi il Poeta si sentisse prigioniero delle meschine necessit della vita, Cacciaguida non spiega,
non giustifica, impone: tutta tua vision fa manifesta. Nei versi 124-142 "lo stile, dapprima cos tenero ed
affettuoso quando si descrivono i dolori dell'esilio,... prende una... magnificenza epica ispirata dalla
grandezza dell'animo, il trionfo della dignit umana sopra quei bassi calcoli d'interessi perituri che
costituiscono ci che dicasi la prudenza; il trionfo della poesia sulla parte prosaica dell'anima" (De Sanctis).
La crudezza plebea del verso 129 (e lascia par grattar dov' la rogna) diventa allora "espressione
insostituibile di offeso orgoglio morale e misura delle pi pure idealit" (Grabher), violenta affermazione della
propria libert e della propria ansia di rigenerazione morale. Dante cosi proclama i due principii fondamentali
della Commedia e della vera arte: profondamente radicata nel vero, e di esso solenne banditrice, la poesia,
senza mai scendere a puro valore pratico, deve offrire vital nutrimento agli uomini bisognosi di verit oltre
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Divina commedia: Parafrasi Paradiso

che di bellezza e questo grido far come vento, che le pi alte cime pi percuote: "Le cime, il vento:
balenante suggestione di paesaggio alpestre e di forza di natura che ingigantisce una statura morale,
richiamando ben tetragono; s che il canto come racchiuso entro queste sue fondamentali immagini di
potenza spirituale" (Grabher). Ma per essere vital nutrimento, la poesia deve poggiare sul concreto (versi
136-142), deve far sorgere le creazioni della fantasia dalla pi viva realt. "Senti qui, conclude il critico - la
sodezza di un'arte, che, altamente ideale nello spirito, mai si perde nel nebuloso e nell'astratto, rendendo
veramente " salde" anche le pi labili "ombre"". L'esule, superati i suoi risentimenti, trascesi i suoi orgogli, i
suoi amori e le sue angosce nella certezza di una missione universale affidata alla sua poesia, proclama il
suo atto di fede nei valori della vita e dello spirito.

2003 - Luigi De Bellis

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Dante

LETTERATURA ITALIANA: DANTE ALIGHIERI

DANTE

SCEGLI L'ARGOMENTO

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AGGIORNAMENTI
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LA VITA

BIOGRAFIA

LE OPERE

LA DIVINA COMMEDIA

BEATRICE

DANTE AUTORE E PERSONAGGIO

DANTE E DIO

2003 - Luigi De Bellis

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Dante Alighieri

DANTE: Dante autore e personaggio

Per poter fare un qualsiasi discorso interpretativo sulla Divina Commedia, indispensabile anzitutto
chiarire alcune questioni.
La Prima questa: Dante va, di volta in volta, distinto in tre ruoli specifici: quello dell'autore, quello del
narratore e quello del personaggio. Come "autore" colui che scrive l'opera; come "narratore" colui
che racconta all'autore gli eventi che costituIscono la trama dell'opera; come "personaggio" il
protagonista degli eventi stessi. Naturalmente la sequenza autore-narratore-Personaggio, valida per il
lettore che si avvicina alla Divina Commedia e scopre nell'autore il narratore e nel narratore il
personaggio, si ribalta totalmente per Dante, il quale, da "protagonista" di una "visione", si fa prima
"narratore" della stessa" e, quindi, "autore" di un'opera che quella visione racconta. Un esempio: il
personaggio Dante, a trentacinque anni di et, si smarr in una selva oscura; il narratore Dante
confessa l'episodio; l'autore versifica: "Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva
oscura". Come si vede chiaramente l' "autore" traduce in versi il racconto del "narratore" che,
ovviamente,usa il verbo al passato ("mi ritrovai") per distinguersi dal "personaggio". A sua volta l'
"autore", quasi a voler sottolineare il distacco da entrambi (cio dal narratore e dal personaggio) ed a
voler affermare il suo diritto ad esprimere giudizi sul significato morale ed anagogico della vicenda
narrata, dice "di nostra vita" col chiaro intento di coinvolgere, fin dalle prime battute, nell'esperienza
del personaggio l'intera umanit.
Per se i ruoli del personaggio, del narratore e dell'autore vanno distinti, non si deve tuttavia
pretendere che essi non si confondano o sovrappongano, trattandosi pur sempre della stessa persona,
cio di Dante. Per esempio, nella terzina successiva, autore e narratore si confondono ("Ahi quanto a
dir qual era cosa dura"), mentre subito dopo autore e personaggio si distinguono l'uno dall'altro
alternandosi: "ma per trattar del ben (qui c' l'autore) ch'io vi trovai (qui c' il personaggio), dir de
l'altre cose (autore) ch' i' v'ho scorte (personaggio). Io non so ben ridir (autore) com' i' v'entrai
(personaggio)".
La seconda questione da chiarire quella dei "sensi" da attribuire alla scrittura per interpretare
compiutamente l'opera.
Come si sa, fin dai primi secoli del Medioevo, era invalso l'uso di interpretare i Sacri testi (Antico e
Nuovo testamento) risalendo dal senso letterale a quello allegorico, a quello morale ed a quello
anagogico. Verso la fine del Medioevo tale metodo interpretativo fu esteso anche alle opere letterarie e,
in particolare, a quelle poetiche. Lo dice lo stesso Dante nel "Convivio", chiarendo anche il valore e le
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Dante Alighieri

caratteristiche dei quattro sensi: quello "letterale" si ricava dalle parole pure e semplici usate
dall'autore per narrare un episodio (Dante, perdutosi in una selva oscura, ai primi raggi del sole scopre
un colle che potrebbe costituite per lui la strada della salvezza, ma impedito nell'ascesa da tre fiere
che lo risospingono in basso); quello "allegorico" bisogna intuirlo dal letterale (ad esempio, la selva
oscura rappresenta il peccato, il Sole la Grazia Divina illuminante che indica la via della redenzione, il
colle indica la via del riscatto dal peccato, le tre fiere - lonza, leone e lupa - rispettivamente i tre vizi
capitali che ostacolano il cammino dell'uomo peccatore verso il bene, e cio la lussuria, la superbia e
l'avarizia); quello "morale" si ricava poi dal senso allegorico: nell'episodio riferito sarebbe che l'uomo
caduto nel peccato mortale non pu, con la sola forza della volont, riscattarsi, anche se la Grazia
Divina gli indica la strada, ma ha bisogno di ricorrere alla Ragione umana (Virgilio),la quale tuttavia, se
vale a far superare l'ostacolo rappresentato dai vizi capitali, nemmeno potrebbe condurre alla salvezza
eterna, cio al Paradiso,senza la Fede (Beatrice).
Pi ardua la definizione del senso "anagogico", per quanto riguarda l'interpretazione della Divina
Commedia, perch lo stesso Dante, sempre nel "Convivio", sembra riservarlo alle sole Scritture. Infatti
egli porta l'esempio del popolo d'Israele che, guidato da Mos, si libera dalla schiavit egiziana
attraversando il Mar Rosso, e interpreta l'episodio narrato nella Bibbia come simbolico del popolo dei
credenti che, guidato dal Cristo, si libera dalla schiavit del paganesimo. C' per da dire che nell'
Epistola a Cangrande il Poeta riconosce che comunque il senso anagogico possibile riscontrarlo in
tutte le opere che trattano di cose riguardanti l'eternit, il mondo dell' aldil, e quindi anche nella
"Commedia". Ma per poter estendere il senso "anagogico" alla interpretazione della Divina Commedia,
bisogna far ricorso alla proposta dell'Auerbach. Questi, riferendosi al metodo dell'esegesi biblica
medievale, afferma che i primi teologi cattolici consideravano i fatti della vita terrena narrati nel
Vecchio Testamento come "figure" di una realt pi solida ed eterna, quella rivelata nel Nuovo
testamento. Con questo procedimento un avvenimento o un personaggio storico vengono proiettati
verso l'eternit, l dove si realizza il disegno divino, e perci sono "figura" reale di una realt ancor pi
vera. Insomma, come afferma il Pasquazi, l'interpretazione figurale proposta dall' Auerbach "vede la
realt terrena e la realt eterna come due momenti di cui il primo significa anche l'altro, mentre l'altro
comprende e adempie il primo". Infatti l'Auerbach cos spiega il significato anagogico della Commedia:
essa " la storia dell'evoluzione e della salvezza d'un uomo singolo, di Dante, e come tale una
figurazione della salvezza dell'umanit". Anche Umberto Bosco concorda con la tesi dell' Auerbach
quando afferma che la legge generale della Commedia consiste nell' "assunzione del personale a valore
universale".
Tuttavia, nel leggere e nello studiare la Divina Commedia, non dobbiamo mai dimenticarci che essa
essenzialmente un'opera di altissima poesia. Tutto il discorso fatto prima ci aiuta a penetrare nel
significato morale dell'opera, in un certo senso ad assecondare la volont dello stesso Dante che,
appunto, nella Commedia intendeva dare un contributo al riscatto dell'umanit dal peccato. Ma, al di l
delle intenzioni, il poeta ha prevalso sul moralista. Come afferma giustamente il De Sanctis, "Dante
stato illogico; ha fatto altra cosa che non intendeva". Infatti la Commedia appare al critico Irpino "il
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Dante Alighieri

Medio Evo realizzato, come arte, malgrado l'autore e malgrado i contemporanei". Questo giudizio basta
da solo a spiegarci come sia possibile, in un poema che si propone di esaltare la beatitudine eterna e di
indicare la strada del riscatto e della purificazione dal peccato, dalla carne, dalla storia, dalla vita
terrena, trovarvi tanto peccato, tanta carne, tanta storia descritti con un linguaggio crudo e finanche
"ripugnante" (come osserv il Goethe). A tal proposito l'Auerbach cita un verso, apparentemente
volgare, che compare in uno dei passi pi "solenni" del "Paradiso", e cio: "e lascia pur grattar dov' la
rogna", ma il critico ha precedentemente precisato che "Dante non conosce limiti nella
rappresentazione esatta e schietta del quotidiano, del grottesco e del repellente; cose che in s non
potevano venir considerate "sublimi" nel senso antico, lo diventano con lui per la prima volta". Proprio
da ci l'Auerbach nota l'enorme distanza che intercorre tra Virgilio (classico) e Dante (moderno). E,
rifacendosi ad un giudizio di Benvenuto da Imola, afferma che la Divina Commedia contiene ogni sorta
di poesia ed ogni sorta di scienza, ed anche se l'autore l'ha definita "Commedia" per lo stile umile e la
lingua popolare, essa tuttavia appartiene al genere di poesia "sublime e grandioso".

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: Biografia

Autore Prof. Giuseppe Bonghi


Di antica nobilt sono i suoi antenati, discendenti addirittura dai Romani. Cacciaguida, suo trisavolo, a
Firenze vive con le famiglie dei fratelli Moronto ed Eliseo, nella zona del Mercato Vecchio; armato
cavaliere dall'imperatore Corrado III, mentre era al suo seguito durante la seconda Crociata, muore in
Terrasanta. La moglie, una Alighiera forse di Ferrara, gli d dei figli, uno dei quali si chiama come lei,
Alighiero I, da cui derivano i rami dei Bellincione e dei Bello. Al primo appartiene Durante, chiamato
Dante, figlio di Alighiero II e nipote di Bellincione.
Il padre di Dante vivacchia facendo il cambiavalute e forse anche l'usuraio, a giudicare da alcune voci
maligne. Abita nel Sesto di Porta San Pietro, di tradizione guelfa, ma non si getta certo nel vivo della
lotte faziose; figura scialba che il poeta passa sotto silenzio. Dante nasce in una casa posta di fronte
alla Torre della Castagna, verso la fine del mese di maggio del 1265, sotto la costellazione dei Gemelli
da Alighiero Alighieri di Bellincione e da donna Bella (Gabriella) di casato ignoto e battezzato in San
Giovanni.
Cos racconta Boccaccio:

Del quale, come che alquanti figliuoli e nepoti e de' nepoti figliuoli discendessero, regnante Federico secondo
imperadore, uno ne nacque, il cui nome fu Alighieri, il quale pi per la futura prole che per s doveva esser chiaro; la
cui donna gravida, non guari lontana al tempo del partorire, per sogno vide quale doveva essere il frutto del ventre
suo; come che ci non fosse allora da lei conosciuto n da altrui, e oggi, per lo effetto seguto, sia manifestissimo a
tutti.
Pareva alla gentil donna nel suo sonno essere sotto uno altissimo alloro, sopra uno verde prato, allato ad una
chiarissima fonte, e quivi si sentia partorire unofigliuolo, il quale in brevissimo tempo, nutricandosi solo delle orbache,
le quali dello alloro cadevano, e delle onde della chiara fonte, le parea che divenisse un pastore, e s'ingegnasse a suo
potere d'avere delle fronde dell'albero, il cui frutto l'avea nudrito; e, a ci sforzandosi, le parea vederlo cadere, e nel
rilevarsi non uomo pi, ma uno paone il vedea divenuto. Della qual cosa tanta ammirazione le giunse, che ruppe il
sonno; n guari di tempo pass che il termine debito al suo parto venne, e partor uno figliuolo, il quale di comune
consentimento col padre di lui per nome chiamaron Dante: e meritamente, perci che ottimamente, s come si vedr
procedendo, segu al nome l'effetto.
Questi fu quel Dante, del quale il presente sermone; questi fu quel Dante che a' nostri seculi fu conceduto di speziale
grazia da Dio; questi fu quel Dante, il qual primo doveva al ritorno delle Muse, sbandite d'Italia, aprir la via. Per costui
la chiarezza del fiorentino idioma dimostrata; per costui ogni bellezza di volgar parlare sotto debiti numeri regolata;
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

per costui la morta poes meritamente si pu dir suscitata: le quali cose, debitamente guardate, lui niuno altro nome
che Dante poter degnamente avere avuto dimostreranno.

La madre muore ancor giovane, lasciando il figlioletto in tenera et; subito dopo il padre Alighiero si
risposa con Lapa di Chiarissimo Cialuffi che gli d due figli; Francesco e Tana (Gaetana). Prima del
1283 Anche il padre muore, ma gi dal 1277 (Dante ha 12 anni) aveva "provveduto al futuro coniugale
del figlio, stipulando l'instrumentum dotis, una specie di fidanzamento ufficiale garantito con atto
notarile, col quale Dante veniva promesso in matrimonio a Gemma Donati".
Poco si sa dell'infanzia del poeta; studia presso i francescani, poi ascolta le lezioni di retorica di
Brunetto Latini e segue le lezioni di diritto, filosofia e forse anche di medicina all'Universit di Bologna,
fra l'estate del 1286 e la primavera del 1287. Nel 1274 (all'et di nove anni, come afferma nella Vita
nova) conosce Beatrice, figlia di Folco Portinari, che andr sposa a Simone Bardi, e la rivede nove anni
dopo, nel 1283: l'avvenimento amoroso decisivo della sua vita, che durer anche dopo la morte della
donna avvenuta nel 1290.
Giovanissimo, da vero autodidatta comincia a dire parole per rima, assorbendo la lezione dei numerosi
poeti fiorentini, di scuola guittoniana e stilnovista. La sua curiosit e il desiderio di sperimentare
tecniche diverse, lo inducono a tentare anche il genere giocoso e forme poetiche di vario genere, in
componimenti raccolti nelle Rime. I suoi primi tentativi sono opere anonime come il Fiore, che
ripropone in 232 sonetti l'allegoria del Roman de la Rose (dei francesi Guillaume de Lorris e Jean de
Meung), completato intorno al 1280 e il Detto d'Amore, poemetto allegorico che segna il trapasso ai
moduli guinizelliani. Questi due componimenti, comunque, solo da Gianfranco Contini e pochi altri, con
argomenti puramente indiziari, sono attribuiti a Dante: i dubbi restano molti.
Non mancano le esperienze tipicamente giovanili, di prammatica per un nobile rampollo di un comune
del Duecento; l'1 giugno del 1289 combatte nella battaglia di Campaldino contro Arezzo e i ghibellini
toscani, mentre nell'agosto dello stesso anno partecipa all'assedio del castello di Caprona, in Valdarno,
tenuto dai ghibellini. Ma la guerra non fa per lui; meglio la letteratura e anche la politica, intesa come
dovere e contributo al pubblico bene.
L'amore, come abbiamo detto, si impersona nell'austera e angelica Beatrice, moglie di Simone dei Bardi
e figlia di un ricchissimo borghese che ha donato alla citt l'ospedale degli Innocenti, Folco Portinari.
L'ha conosciuta a nove anni, la rivede e ne riceve il saluto a diciotto; l'ama in silenzio, pago di vederla,
di ricevere la salute dello spirito dal suo saluto per via, di lodarla nelle sue liriche quando lei, forse per
le voci che circolano sul suo conto, gli toglie anche questo esile filo di comunicazione. Dante, infatti, per
evitare i pettegolezzi, finge di corteggiare altre donne. La sua morte ha il potere di prostrare Dante sino
all'abbrutimento, da cui esce con l'aiuto di amici, conoscenti, forse anche di fanciulle pietose, sogni
premonitori; decide, allora, di scrivere per Beatrice qualcosa di straordinario e inedito, qualcosa che
nessun altro prima d'allora, mai aveva pensato in onore di una donna. E intanto pubblica nel 1292-93
un prosimetro (insieme di poesie e prose), intitolato Vita nuova in cui ricostruisce le fasi e la storia del
suo amore per la fanciulla-angelo che gli sembra essere scesa in terra a miracol mostrare, tanto
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

intensa la bellezza e purezza della sua immagine.


Beatrice, guida di Dante nel Paradiso e sollecitata dal Cielo a trarlo dalla vita di traviamento in cui s'
lasciato cadere dopo la sua morte, sembrerebbe l'obiettivo della Commedia; ma il poema, forse, al di l
delle stesse aspettative del poeta, diventer qualcosa di pi che una semplice apologia della donna
amata.
Abbandonati i divertimenti giovanili, Dante si dedica agli studi di filosofia (Boezio, Cicerone, Aristotele,
Platone, san Tommaso d'Aquino) e di teologia presso i Domenicani di Santa Maria Novella e presso i
Francescani di Santa Croce; fra l'estate del 1286 e l'agosto del 1287 lo troviamo a Bologna, a seguire le
lezioni di diritto, filosofia e forse anche di medicina.
Intanto, probabilmente nel 1285, comunque prima del 1290, Dante si sposa con Gemma di Manetto
Donati parente del fazioso Corso; dalla moglie, sulla quale non scriver mai una riga, ha tre figli:
Iacopo, Pietro e Antonia (forse la suor Beatrice del Convento di Santo Stefano degli Olivi a Ravenna) e
probabilmente un Giovanni che premuore al padre, ma risulta da un atto notarile del 1308. Quale parte
abbia avuto Gemma nella vita di Dante, non sappiamo. "Fu la madre de' suoi figli e la reggitrice della
casa. E paga di tanto ufizio, ella, secondo ogni probabilit, pi oltre non amb. Il marito era poeta, e
cercava la vita dove le consuetudini del tempo gliela facevano trovare. Perci il matrimonio non gli
imped di continuare a cantare la donna che aveva fino allora servito... (Umberto Cosmo, Vita di Dante,
La nuova Italia, Firenze 1965, III edizione).
A trent'anni, nel 1295, Dante pu buttarsi in politica, dopo che sono stati parzialmente rettificati gli
Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella che, in origine (1293), impedivano ai nobili di accedere alle
cariche pubbliche. Ora un nobile che sia iscritto alla matricola di un'Arte, pu essere eletto nel Consigli
del popolo e al Priorato. Dante diviene membro dell'Arte dei Medici e Speziali, la meno lontana dalle sue
attitudini di intellettuale, poeta e scienziato. Non gli difficile venire eletto; a Firenze tutti lo conoscono
come uomo accorto, colto, equilibrato. Nel semestre novembre 1295-aprile 1296 membro del
Consiglio speciale del Capitano del Popolo: 36 cittadini, sei per sestiere (i quartieri di Firenze): Dante
era stato eletto con altri cinque compagni per il "sesto" di Por San Pietro; nel dicembre 1296 viene
invitato, come uno de' Savi, nel Consiglio delle Capitudini a dire il suo parere sulla procedura, che si
sarebbe dovuta seguire per la nomina dei nuovi Priori. "Nel Consiglio dei Capitani - quale ne fosse la
ragione - non proffer verbo; in quello delle Capitudini confort della sua autorit il parere di un altro
Savio: Dantes Alaghieri consuluit. (Cosmo, cit.).
Nel maggio 1296 nel Consiglio dei Cento, che si occupa dell'amministrazione del pubblico denaro,
quattro anni, il 7 maggio, dopo viene inviato come ambasciatore a san Gimignano per rafforzare la lega
Guelfa tra i comuni della Toscana e serviva a Firenze per esercitare la sua egemonia. Il 15 giugno,
come continuatore della politica di resistenza del Comune contro le ingerenze e le sopraffazioni del
Pontefice, proprio mentre si trovava in citt il Cardinale d'Acquasparta mandatovi in apparenza come
paciere fra le opposte fazioni, chiamato a far parte della Signoria: il momento della massima
considerazione goduta il patria. Ma ovunque volge lo sguardo vede violenza e cupidigia che generano
scontri violenti di fazioni, la voglia del Papa Bonifacio VIII di piegare Firenze alla sua egemonia politica.
Il 1300 un anno cruciale per la citt. A Calendimaggio nella piazza di Santa Trinit scoppia una zuffa
tra giovani esponenti della fazione dei Guelfi neri (capeggiata da Corso Donati, violento e fazioso, e dei
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Guelfi bianchi (guidata da Vieri dei Cerchi, commercianti inurbatisi da poco).


La tensione tra e Bonifacio VIII altissima e negli ultimi tempi si era acuita per la condanna di tre
cittadini fiorentini, Guelfi Neri e banchieri della Corte di Roma, per macchinazioni contro la libert di
Firenze e della Toscana. Il Papa si sente colpito dalla condanna ed esige che vengano annullati processo
e condanna: ma la Signoria resiste imperterrita, firma la sentenza di condanna dei cospiratori,
impedisce con una provvisione dei Consigli ogni intromissione pontificia nell'esercizio della giurisdizione
cittadina e frena le facolt stesse dell'inquisitore romano. Il 15 giugno entra in carica la nuova Signoria
e il Notaio della Camera del Comuni presenta nelle mani dei Nuovi Priori la condanna inflitta ai tre
cittadini fiorentini residenti presso la corte di Roma. Comincia cos il primo giorno del Priorato di Dante,
eletto Priore per il bimestre 15 giugno-15 agosto 1300, proprio quando pi insistenti si fanno i tentativi
di papa Bonifacio VIII di mettere le mani su Firenze, attraverso gli intrallazzi del suo legato, cardinal
Matteo d'Acquasparta, apparentemente incaricato di pacificare le fazioni in lotta.
Il 23 giugno una nuova zuffa, ai danni dei consoli delle Arti, che, come era usanza, andavano in
processione a San Giovanni, insanguina le vie della citt. I priori decidono, pare proprio per
suggerimento di Dante, di espellere i capi pi sediziosi delle due parti. In esilio andr pure Guido
Cavalcanti, il migliore amico di Dante.
Finito il suo priorato, Dante non rinuncia a dar battaglia a Bonifacio VIII, mandando a monte alcune sue
iniziative egemoniche. Nel 1302, per evitare una rottura con il pontefice, Firenze invia alla Corte
romana tre ambasciatori: Dante, Maso Minerbetti che aveva buone conoscenze presso la Curia romana,
e Guido Ubaldini degli Aldobrandi detto il Corazza, uomo 'guelfissimo', che era stato Gonfaloniere della
Signoria, principale autore del processo contro i tre fiorentini di cui abbiamo detto.
L'ambasceria si presentava in atto di sottomissione, confidando in un atto di resipiscenza del Papa, di
"quel peccatore di grande animo. In Laterano il Pontefice accolse l'ambasceria: "cos Dante si trov
finalmente di fronte all'uomo che in nome del Dio ond'era sacerdote si proclamava padrone del mondo:
un uomo dal corpo disfatto, cui non rimanevano pi che lingua e occhi; l'impressione che da quel
colloquio il poeta ritrasse di quell'uomo, ironico, sarcastico, satanicamente tentatore, rimasta in
alcuni atteggiamenti di una scena famosa del canto XXVII dell'Inferno." (Cosmo, cit.). Il Papa chiede
agli ambasciatori di umiliarsi e sottomettersi a lui e afferma che le sue azioni erano dirette solo al bene
della citt; rimanda indietro gli altri due e trattiene Dante.
La situazione grave; sta scendendo in Italia, con cinquecento cavalieri, il fratello del re di Francia,
Carlo di Valois, che entra in Firenze il 1 novembre, con il pretesto di pacificarla. In realt i Neri
approfittano del cambiamento di regime, intrallazzando con Carlo. Corso Donati e i fuorusciti fanno
ritorno, vendicandosi crudelmente sui beni e sui familiari, oltre che sulle persone dei nemici. La casa di
Dante viene saccheggiata, mentre il nuovo podest, favorevole ormai ai Neri, bandisce i pi importanti
esponenti dei Bianchi dalla citt. Dante, che si sottratto in tutta fretta dall'assillante protezione di
Bonifacio VIII, viene raggiunto a Siena dalla condanna all'esilio per due anni, il 27 gennaio 1302.
stato accusato di baratteria, con l'ammenda di 5.000 fiorini. La pena viene trasformato in condanna al
rogo il 1 marzo successivo, poich il poeta non si presentato a discolparsi, per timore della cattura.
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

L'esule
Uno dei massimi dantisti italiani, Michele Barbi (Dante, Vita opere e fortuna, Firenze, Sansoni, 1952),
nota che l'esilio fa di Dante un uomo sopra le parti, lo spoglia del suo municipalismo, per renderlo
cittadino d'Italia. Il Foscolo nell'Ottocento, sposa la tesi di un ghibellinismo del poeta che, allontanato
dalla patria, si accosta al partito avverso e rivaluta il ruolo dell'imperatore. In effetti l'esilio muta
radicalmente la vita del poeta; l'inizio durissimo, come egli stesso confessa nel Canto XVII del
Paradiso. Si tratta di lasciare le persone care, i luoghi sicuri, i beni che danno sostentamento. Si trova
in bala della sorte e con la pessima etichetta di bandito dalla patria, come funzionario corrotto e ladro
del pubblico denaro (in questo consiste l'accusa di baratteria con cui a Firenze i Neri giustificano il
bando del poeta).
Nei primi tempi egli si unisce ai fuorusciti bianchi per tentare di rientrare in citt con la forza:
presente a Gorgonza e a San Godenzo, dove l'8 giugno 1302 i guelfi Bianchi e i Ghibellini stringono
un'alleanza e si accordano con gli Ubaldini di Mugello contro i Guelfi neri. Ma l'impresa fallisce. La
necessit di sopravvivere trasforma Dante in uomo di corte; lo troviamo come poeta, segretario,
ambasciatore, delegato dei maggiori signori dell'Italia settentrionale che gli offrono ospitalit, accettata
con buona grazia, ma vissuta come una durissima umiliazione.
Nel 1303 segretario presso il signore di Forl Scarpetta Ordelaffi, poi si sposta a Verona, presso
Bartolommeo della Scala. L'anno successivo partecipa alla delegazione di Parte Bianca che tratta la
pace con i Neri di Firenze, attraverso la mediazione del legato pontificio Niccol da Prato. Intanto
Bonifacio VIII morto e gli succeduto Benedetto XI. La trattativa non va in porto, i Bianchi
organizzano una sortita violenta che si risolver nella sanguinosa e drammatica battaglia della Lastra
(1304). Tra polemiche, accuse ingiuste, sospetti, Dante si toglie dal gruppo e preferisce lottare da solo
per la propria vita, aspettando una congiuntura politica pi favorevole per il ritorno in citt. Gi da un
anno la condanna comminatagli dai magistrati fiorentini stata estesa ai suoi figli, quando
raggiungeranno l'et di quattordici anni; giunto il momento di rafforzare la sua posizione, e, bench
esule, acquisire fama, prestigio, dignit che gli consentano di vivere alla meno peggio lontano dalla
patria. Il problema maggiore la questione economica che il fratello cerca di alleggerire con prestiti.
Per guadagnarsi buona fama, Dante inizia la stesura di trattati e opere letterarie, che rappresentino
una sorta di biglietto da visita per i suoi futuri ospiti.
Nel 1304 inizia il Convivio, un banchetto di sapere che rimane incompiuto e che, steso in volgare, si
indirizza ai nobili che vogliano approfondire la propria cultura. Rimane incompiuto al quarto libro: dopo
il trattato iniziale, gli altri chiosano tre canzoni che saranno citate nella Commedia; Voi che 'intendendo
il terzo ciel movete (sulle gerarchie angeliche), Amor che nella mente mi ragiona sulla scienza e la
filosofia), Le dolci rime d'amor ch''i sola (sulla nobilt come conquista morale e intellettuale).
Negli stessi anni (1304-1309), mentre stende l'Inferno, progetta un'altra opera di argomento
linguistico, il De vulgari eloquentia in latino, in difesa del volgare. Interrotto a met del secondo libro,
esamina le origini del linguaggio, i vari dialetti italiani e definisce le caratteristiche di un volgare
privilegiato che dovrebbe essere preso a modello degli intellettuali, come lingua comune italiana. Sono
anni molto tristi; il poeta si sposta dalla corte di Gherardo da Camino signore di Treviso, alla casa degli
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

Scrovegni, ricchi mercanti padovani. A Bologna conosce Cino da Pistoia, giurista e poeta stilnovista, poi
si ferma in Lunigiana, presso Moroello Malaspina e a Lucca. Pare che tra il 1308 e il 1310 sia in Francia
per frequentare la facolt di teologia a Parigi. Sicuramente, se la notizia vera, ascolta, in vico degli
strami le lezioni di filosofia di Sigieri di Brabante. Con l'elezione di Arrigo VII di Lussemburgo a
imperatore, Dante spera vivamente che la pace e la giustizia tornino a regnare in Italia.
Il 10 0ttobre 1310 invia una Epistola ai Signori e Comuni e Popoli d'Italia affinch accolgano con
obbedienza e umilt le disposizioni dell'imperatore che sta scendendo in Italia per l'incoronazione. Papa
Clemente V ha invitato le citt italiane a porsi a sua disposizione, ma ben presto si palesa il suo
voltafaccia. Firenze per prima si oppone all'imperatore seguita da altre citt timorose di perdere la
propria autonomia. L'imperatore mette Firenze al bando dell'impero e l'assedia, ma invano.
Le speranze di Dante svaniscono; non torner pi in patria in un clima di giustizia. Arrigo VII viene
incoronato a Roma nel giugno 1312, ma il Papa lo invita a tornare in Germania, su istigazione degli
Angioini e del re di Francia; Dante sente questo come un tradimento. Sta scrivendo un trattato in
latino, De Monarchia in tre libri, in cui rivaluta il ruolo dell'impero, dichiara il potere imperiale e quello
pontificio indipendenti e sostiene che entrambi derivano dalla volont di Dio, che vuole garantire agli
uomini due mezzi per ottenere la salvezza.
Il 24 agosto 1313 Arrigo VII muore a Buonconvento, presso Siena, di febbri malariche. Dante ha
terminato la stesura dell'Inferno e del Purgatorio.
Scrive Boccaccio nel Trattatello in onore di Dante: "Questo libro della Comedia, secondo il ragionare
d'alcuno, intitol egli a tre solennissimi uomini italiani, secondo la sua triplice divisione, a ciascuno la
sua, in questa guisa: la prima parte, cio lo 'Nferno, intitol a Uguiccione della Faggiuola, il quale allora
in Toscana signore di Pisa era mirabilmente glorioso; la seconda parte, cio il Purgatoro, intitol al
marchese Moruello Malespina; la terza parte, cio il Paradiso, a Federigo III re di Cicilia. Alcuni vogliono
dire lui averlo intitolato tutto a messer Cane della Scala; ma, quale si sia di queste due la verit, niuna
cosa altra n'abbiamo che solamente il volontario ragionare di diversi; n egli s gran fatto che solenne
investigazione ne bisogni."
Dante ha perso definitivamente la speranza di tornare a Firenze. Nel 1311, infatti, a Firenze Baldo
d'Aguglione ha varato una riforma che consente il ritorno di molti esuli, ma Dante ne stato escluso;
trover ospitalit presso Cangrande della Scala, succeduto al fratello Bartolommeo nella signoria su
Verona. Presso di lui Dante si ferma sino al 1318-19.
Il 19 maggio 1315 il Comune di Firenze approva un'amnistia a tutti gli esiliati, e questa volta senza
limitazioni (dalla precedente, infatti, Dante era stato volutamente e dichiaratamente escluso); il 24 di
giugno, in occasione della festa del Patrono della citt. La cerimonia per gli amnistiati prevedeva che
partendo dal carcere, avrebbero dovuto percorrere il tragitto in processione a piedi scalzi, vestiti d'un
sacco, con una mitra di carta con sopra scritto il nome e il reato dei malfattori in capo, un cero acceso
in una mano e una borsa con danaro nell'altra, fino al Battistero, al "bel San San Giovanni", dove
venivano offerti in stato di pentimento all'altare e al santo della citt. Compiuto questo rito sarebbero
stati reintegrati nei loro beni e in ogni loro altro diritto. Se si trattava di fuorusciti politici che, al
momento del provvedimento non erano in carcere, l'oblatio consisteva nel toccare simbolicamente col
piede la soglia del carcere e quindi presentarsi al tempio, senza l'umiliazione della mitra n altre
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

condizioni degradanti.
Con sdegno rifiuta l'umiliante proposta: mai avrebbe accettato di stare a fianco di malfattori, come
Ciolo degli Abati, che, condannato nel 1291, era stato poi assolto proprio mediante una amnistia. Come
Dante si trovava tra gli esuli contumaci, anche lui escluso dalla riforma di Messer Baldo d'Aguglione del
settembre 1311.
All'amico (anonimo, ma dalla lettera si ricava che era un religioso, parente di Dante col quale aveva in
comune "un nipote", forse Niccol di Fusino di Manetto Donati, figlio di un fratello di Gemma) risponde
con questa lettera, dichiarandosi pronto a rientrare, ma con tutto il rispetto dovuto alla sua innocenza
conclamata e a tutti manifesta e al suo lavoro, per il quale in esilio non gli manca il pane e pu
continuare i suoi studi, a cercare le dolcissime verit (Epistola XII):
[I] Per mezzo delle vostre lettere ricevute e con la debita riverenza e affetto, ho con animo grato e
diligente attenzione appreso, quanto vi stia a a cuore e quanta cura abbiate per il mio rimpatrio; e
quindi tanto pi strettamente mi avete obbligato, quanto pi raramente agli esuli accade di trovare
amici. Per questo, anche se non sar quale la pusillanimit di alcuni desidererebbe, vi chiedo
affettuosamente che la risposta al loro contenuto, prima di essere giudicata, sia ponderata all'esame
della vostra saggezza.
[II] Ecco dunque ci che per mezzo delle lettere vostre e di mio nipote e di parecchi altri amici mi fu
comunicato riguardo al decreto da poco emanato in Firenze sul proscioglimento dei banditi che se
volessi pagare una certa quantit di denaro e volessi patire l'onta dell'offerta, potrei sia essere assolto
che ritornare subito. Ma ci sono, o padre, due cose degne di riso e oggetto di cattivo consiglio nelle
lettere di quelli che mi hanno comunicato tali cose; le vostre lettere, infatti, formulate con maggiore
discrezione e saggezza, non contenevano nulla di ci.
[III] proprio questo il grazioso proscioglimento con cui richiamato in patria Dante Alighieri, che per
quasi tre lustri ha sofferto l'esilio? Questo ha meritato l'innocenza a tutti manifesta? questo ha meritato
il sudore e l'assidua fatica nello studio? Sia lontana da un uomo, familiare con la filosofia, una cos
avvilente bassezza d'animo da sopportare di offrirsi come un carcerato al modo di un Ciolo e di altri
infami! Sia lontano da un uomo che predica la giustizia, che dopo aver patito un ingiusto oltraggio,
paghi il suo denaro a quelli stessi che l'hanno oltraggiato, come se lo meritassero!
[IV] Non questa, padre mio, la via del ritorno in patria; ma se un'altra via prima o poi da voi o da altri
verr trovata, che non deroghi alla fama e all'onore di Dante, l'accetter a passi non lenti; ma se per
nessuna onorevole via s'entra a Firenze, a Firenze non entrer mai. E che? forse che non potr vedere
dovunque la luce del sole o degli astri? o forse che dovunque non potr sotto il cielo indagare le
dolcissime verit, senza prima restituirmi abietto e ignominioso al popolo e alla citt di Firenze? E
certamente non mi mancher il pane.
Negli anni del soggiorno veronese scrive la famosa Epistola a Cangrande in cui gli dedica il Paradiso.
Nel 1319 Dante si trasferisce presso Guido Novello da Polenta con i figli. Mentre compone il Paradiso
risponde con due Ecloghe a Giovanni del Virgilio che vorrebbe rielaborasse la Commedia in latino. Poi
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Divina commedia: Parafrasi Inferno

scrive il trattatello scientificoQuaestio de aqua et terra che presenta a Verona in una dissertazione del
20 gennaio 1320.
Muore di ritorno da un'ambasceria a Venezia per conto del signore di Ravenna, dopo aver contratto le
febbri malariche; il 22 agosto vennero firmati i patti dell'alleanza tra Forl e Venezia e Dante chiese di
poter tornare a Ravenna. "L'uomo era stanco, malazzato. Probabilmente chiese e ottenne licenza per il
ritorno. Mai, in tanto peregrinare fece viaggio pi triste. Attraverso la laguna, lungo il cordone litorale:
le terre deserte... La sera del secondo giorno sost secondo il costume, a Pomposa... Arriv a Ravenna
per riposare sul letto di morte. Il corpo bruciante per febbre, lo spirito immerso in Dio. Intorno i figli
piangenti, gli amici, il Signore stesso nelle ore che consentiva l'aggravarsi della situazione politica. ... Il
mondo veniva dinanzi a lui: tra lui e Dio non c'era pi alcuno. E sent che Egli giungeva. Era la notte fra
il 14 e il 15 settembre 1321.Mentre il grande mistero si compiva, Beatrice, levata con le sorelle per il
mattutino, pregava nella piccola cappella dell'Uliva. Il cielo incominciava a imbianchire, e Beatrice
sollev gli occhi umidi di pianto verso quella luce: pareva il cielo si aprisse ad accogliere il padre
suo." (Bosco, cit., pag. 261-2).
Secondo l'Altomonte " una notte di settembre, tra il 13 e il 14, quando entra nel suo maggior
sonno, dopo che il medico Fiducio de' Milotti aveva usato tutta la sua scienza per salvarlo. "Guido
Novello aveva predisposto una cerimonia pubblica. Subito dopo il cadavere veniva seppellito a grande
onore in abito di poeta e di grande filosofo. Lo annotava un cronista, confermato poi da Boccaccio, il
quale aggiungeva che Guido aveva adornare il morto corpo di ornamenti poetici sopra un funebre
letto. La chiesa della tumulazione - in un'arca lapidea - era quella di San Pietro Maggiore. Usciti
dalla chiesa, quanto avevano partecipato al rito tornarono alla casa in cui Dante aveva abitato. Guido vi
tenne uno ornato e lungo sermone."
In quella casa erano conservati gli ultimi 13 canti del Paradiso; li trover il figlio Jacopo, dopo un sogno
nel quale il padre gli era apparso indicandogli il luogo nel quale aveva nascosto la parte conclusiva del
suo lavoro. Intanto la figlia Antonia entrava in convento (o forse vi era gi) assumendo il nome di
Beatrice.
Bibliografia:
Antonio Altomonte, Dante una vita per l'imperatore, Rusconi, Milano 1985
Umberto Cosmo, Vita di Dante, a cura di bruno Maier, La Nuova Italia, Firenze, III edizione 1965.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

DANTE: La vita e la personalit

Nacque a Firenze nel maggio del 1265 da Alighiero, di famiglia guelfa nobile ma non ricca. Presso scuole
e maestri, a Firenze e Bologna, apprese l'arte retorica e da se stesso l'arte di "dir parole per rima", cui si
dedic con ingegno e passione fin dai primi anni della giovinezza. Fu amico di molti poeti e soprattutto di
Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Cino da Pistoia, coi quali ebbe, secondo l'uso del tempo, una
corrispondenza in versi. A 18 anni si innamor di Beatrice, figlia di Folco Portinari andata poi sposa a
Simone dei Bardi,e per lei scrisse numerose rime alla maniera stilnovistica. Dopo la morte di lei,avvenuta
nel 1290,si dedic con maggiore impegno ai suoi studi, che riguardavano i classici antichi e le opere
letterarie moderne italiane, francesi e provenzali, la teologia, la politica, la filosofia, la retorica, l'arte, la
lingua. Per partecipare alla vita politica di Firenze si iscrisse all'arte dei medici e speziali. A quel tempo i
guelfi di Firenze, dopo aver cacciato i ghibellini dalla citt, s'erano divisi in due fazioni: i Bianchi,
capeggiati dalla famiglia dei Cerchi, ed i Neri, guidati dai Donati. Dante appoggi i primi, pi gelosi
dell'indipendenza della propria citt, pur avendo sposato una Donati, Gemma, dalla quale ebbe tre figli,
Iacopo, Pietro ed Antonia, che poi divenne suora ed assunse il nome di Beatrice. Tra il 1295 e il 1296
fece parte del Consiglio speciale del Capitano del Popolo e del Consiglio dei Cento. Dal 15 giugno al 15
agosto del 1300 fu uno dei Priori. L'anno successivo i Neri, con l'aiuto di Carlo di Valois, inviato dal Papa
Bonifacio VIII, si impadronirono del potere, mettendo al bando i Bianchi. Dante, che si era recato dal
papa per convincerlo a desistere dai suoi propositi di interferire nella politica del comune fiorentino, non
pot far ritorno in citt, perch condannato per due anni all'esilio sotto la falsa accusa di baratteria. Da
allora visse in esilio, non avendo mai accettato l'invito dei Fiorentini a rientrare in citt a patto di
riconoscersi colpevole dei reati di cui era stato ingiustamente accusato. Fu ospite di Bartolomeo della
Scala a Verona, dei marchesi Malaspina in Lunigiana, ancora a Verona di Cangrande della Scala ed infine
di Guido Novello da Polenta a Ravenna, dove mor nel settembre del 1321.
Di temperamento fiero e risoluto, Dante non mostr mai debolezze e tentennamenti. Convinto che la
giustizia superiore di Dio dovesse compiersi anche nella vita terrestre, pose tutto il suo impegno di
studioso e di scrittore al servizio della redenzione dell'umanit, che gli sembrava ai suoi tempi aver
toccato il fondo del male.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Inferno

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Dante

LETTERATURA ITALIANA: DANTE ALIGHIERI

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO V

Io mi ero ormai allontanato da quelle ombre (le anime dei negligenti), e seguivo le orme della mia guida,
quando alle mie spalle, indicandomi,
una di esse grid: Osserva che il raggio del sole non si vede rilucere alla sinistra (Dante e Virgilio,
mentre salgono, volgono le spalle a levante e il Sole, perci, li colpisce a destra) di quello che sta sotto
(Dante infatti segue Virgilio), e come sembra si comporti come un vivente!
Quando udii queste parole volsi lo sguardo, e vidi le anime guardare con stupore me, solo me, e i raggi
dei sole che erano interrotti (dal mio corpo).
Quella che ad una prima lettura pu apparire come una zona poetica di passaggio o tutt'al pi come un
motivo preparatorio dell'intervento didascalico di Virgilio (versi 10-18), si arricchisce di risonanze
profonde se consideriamo che nota caratteristica (poeticamente validissima) della seconda cantica
l'attenzione precisa con la quale il Poeta dispone gi all'inizio la tonalit dominante del canto. Deciso il
movimento di Dante (e il gi posto nel primo verso segna uno stacco quasi violento dal gruppo dei
negligenti), ma altrettanto scattanti sono quel dito e quella voce che grida, colpita dalla vita presente
nell'atteggiamento di Dante (e come vivo par che si conduca!), sul quale si ripercuote questa agitazione
(li occhi rivolsi): una breve rappresentazione drammatica che - ampliata dall'intervento di Virgilio e
dalla corsa delle due anime (versi 28-29) che si trasforma in una corsa collettiva di tutte le altre (verso
42) - fa da prologo a quella ben pi vasta e grave della seconda parte del canto.
Perch, il tuo animo si lascia distrarre a tal punto disse il maestro, che rallenti i tuoi passi? che
importanza pu avere per te ci che queste anime mormorano?
Vieni dietro a me, e lascia parlare la gente: comportati come una torre solida, la cui cima non si muove
mai per quanto i venti possano soffiare;
poich accade sempre che l'uomo nel quale continuamente un pensiero germoglia dall'altro, allontana da
s il raggiungimento della meta, in quanto l'impeto del nuovo pensiero indebolisce l'altro.
Che cosa potevo rispondere, se non Io vengo ? Cos infatti risposi, un poco soffuso di quel rossore che
talvolta (quando la vergogna non induce all'ira per essere stato colto in errore e quando la colpa non
troppo grave) rende l'uomo degno di essere perdonato.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Il rimprovero di Virgilio apparso, ad alcuni critici, eccessivo ("ramanzina" alla quale Dante reagisce con
il rossore di chi si accorge di essere bersaglio di un biasimo eccessivo, secondo il Mattalia, "rimprovero...
sproporzionato a cos lieve colpa", secondo il Momigliano), troppo pedagogico, laddove il richiamo morale
(che si congiunge in una stessa significazione con quello di Catone nel canto II e con, quello di Virgilio
stesso nel canto III) il motivo lirico nel quale si trasforma il concetto teologico della fragilit dell'anima
e della necessit che la ragione (in questo caso Virgilio) sostenga la paziente attesa della Grazia.
L'intensit con la quale Dante avverte questa verit rivelata dalla potenza dell'immagine della torre, la
cui cima sa opporsi anche ai venti pi violenti, immagine di urto e di resistenza, mentre la espressione
lascia dir le genti pare suggerire la fierezza dell'esule di fronte a quanto il mondo pispiglia.
Frattanto lungo la costa (del monte) in direzione trasversale (rispetto ai due poeti) avanzava un gruppo
di anime che ci precedevano di poco, cantando il salmo Miserere a versetti alternati.
Quando si accorsero che non lasciavo passare attraverso il mio corpo i raggi del sole, il loro canto si
trasform in un Oh! lungo e fioco;
e due di loro, in qualit di messaggeri, corsero incontro a noi e ci chiesero: Informateci della vostra
condizione .
Quelle che avanzano cantando il Salmo L, uno dei sette salmi penitenziali, sono le anime di coloro che
perirono di morte violenta e che, pentitisi solo in punto di morte, devono restare nell'antipurgatorio
probabilmente (Dante infatti non lo specifica) tanto tempo quanto vissero. La processione avanza
lentissima, quasi i passi fossero scanditi dai tristi versetti del salmo, che sembrano ritmare anche lo stato
d'animo di questi penitenti, quella cupa malinconia che dalle parole del canto si prolunga nell' Oh!
lungo e roco. Dopo essersi ripercossa nella magica lentezza della terzina 22, trover la tensione pi acuta
e nello stesso tempo pi sconsolata nell'espressione noi . fummo tutti gi per forza morti, con la quale le
anime iniziano a rievocare la loro drammatica vicenda terrena. La stasi che sembrava stringere queste
anime di perseguitati al monte, creando una raffigurazione da bassorilievo vicina a quella delle anime
degli scomunicati (canto III, versi 70-72 e 91-93), subito spezzata dall'ansiosa corsa di due di loro
verso quel corpo che non dava loco... al trapassar de' raggi, e che pareva riportare in mezzo a loro la
terra lontana e proprio attraverso quella realt, il corpo, che in essi era stata colpita e umiliata.
E il mio maestro: Voi potete ritornare e riferire a coloro che vi hanno mandato che il corpo di costui
ancora vivo.
Se essi si sono fermati perch hanno visto la sua ombra, come penso, hanno avuto una sufficiente
spiegazione: lo accolgano con gentilezza, perch potr essere prezioso per loro (chiedendo preghiere ai
vivi, dopo essere ritornato nel mondo) .
Lo Hatzfeld, commentando attentamente questo canto, trova che "la risposta di Virgilio in stile sublime
un capolavoro di solennit e di accorta disposizione. Vi solennit perch Virgilio imita le parole che
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Cristo rivolge ai messaggeri di San Giovanni in un caso analogo (Matteo XI, 4: "Andate e riferite a
Giovanni"), usa il verbo elevato ritrarre per riferire , termine che all'epoca di Dante era riservato alle
ambascerie, usa espressioni comuni nelle discussioni eucaristiche degli Scolastici (verso 33) ... L'accorta
disposizione consiste nel rimandare fino all'ultimo dei sei versi ci che il fatto pi importante per i
messi, l'annunzio che Dante pu aiutare i pellegrini, e ci a sua volta viene comunicato con una velata
circonlocuzione: esser pu lor caro".
Non vidi mai stelle cadenti fendere il cielo sereno all'inizio della notte, n, al tramonto del sole, (vidi mai)
lampi fendere le nuvole d'agosto tanto rapidamente,
Vapori accesi: poich la scienza medievale riteneva che le stelle cadenti e i lampi avessero origine da una
stessa causa, l'accensione dei vapori, essa li indicava con uno stesso termine.
che quelli non tornassero in minor tempo alla loro schiera; e, dopo esservi giunti, tornarono indietro con
gli altri verso di noi come una schiera che si lancia in una corsa sfrenata.
Queste anime che si accalcano intorno a noi sono numerose, e vengono per pregarti disse Virgilio:
tuttavia tu continua a procedere e mentre cammini ascolta.
O anima che compi questo viaggio per purificarti con quel corpo al quale fosti legata fin dalla nascita
gridavano, arresta un poco i tuoi passi.
Guarda se mai hai visto qualcuno di noi, in modo da riportare notizie di lui sulla terra: perch cammini?
perch non ti fermi?
Noi un tempo fummo tutti uccisi con la violenza, e fummo peccatori fino all'ultirno istante della notra
vta: in punto di morte la grazia divina ci rese consapevoli dei nostri peccati,
in modo che, pentendoci (dei nostri peccati) e perdonando (i nostri nemici), morimmo riconciliati con Dio,
che ci consuma col grande desiderio di vederLo.
Il guizzare dei vapori accesi aveva evocato la pura visione di una notte stellata e di un sole al tramonto,
ma lungi dall'allontanare, l'attenzione del lettore dalla scena, ve la immerge totalmente, perch essa non
pu non seguire quella schiera tumultuosa e disordinata - dove prima c'era la compattezza e l'ordine di
una processione che si accalca intorno a Dante (anche per lui non c' respiro n questo canto: deve
continuare quasi ansioso, quasi affannato di fronte a quell'ammonitore pur va del suo maestro). "L'ansia
delle anime che si esprime con tanta vivacit nei loro movimenti nell'intonazione della loro supplica, la
quale gridata (venian gridandi), non detta, e ha un ritmo inesistente e affannoso (deh, perch vai?
deh, perch non t'arresti?), nasce naturalmente dal desiderio di essere ricordate nel mondo e aiutate con
le preghiere ad affrettare l'espiazione, sicch pi presto possano soddisfare a quella sete d veder Do che
le consuma (versi 56-57: Dio... che del disio di s veder n'accora)." (Puppo) Tuttavia l'ispirazione
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

profonda di questo canto, da cercarsi nel tema poetco del corpo che, introdotto nei versi 25-26 e
ripreso da Virgilio (verso 33), svolto dalle anime nei versi 46-47, dove affiora la nostalgia del corpo dal
quale furono staccate con la violenza. Il dramma della separazione violenta dell'anima dal corpo, gi
svolto da Dante neIl'Inferno nel canto dei suicidi, dove si :trasformava nell'angoscia eterna degli uomini
divenuti sterpi, percorre, naturalmente con una diversa tonalit, anche questo canto nel "sentimento vivo
del destino del corpo , del corpo involontariamente .abbandonato in una solitudine indifesa, esposto
alle forze avverse della natura e del demonio" (Puppo). Questo motivo, che sembrerebbe legare in modo
quasi carnale i penitenti al mondo (il Sapegno osserva che la tragedia di sangue, che concluse la loro
esistenza agitata e peccaminosa e coincise con l'istante della loro conversione, crea, fra essi e il mondo,
dei vivi un rapporto pi stretto e doloroso", concorrendovi anche I'immagine di un dramma sempre
presente alla memoria e il sentimento di non aver lasciato dietro di s nessuno che li ami e preghi per
loro"), anche quello che li libera e li purifica: la loro vita, che fu peccaminosa, si riduce all'istante
supremo della morte quando l'orrore del sangue - un orrore cos straziante da ricordarlo ancora - port
con s il desiderio struggente della pace e la forza del perdono. L'emblematica triade peccato-violenzasangue, secondo la definizione del Mattalia, ci riporta al canto V dell'Inferno, ad altre anime che
affermano: noi che tignemmo il mondo di sanguigno, ma "la tragica serie consequenziale peccato-mortedannazione, nell'attimo stesso di affondare nella tenebra infernale s'incurva, improvvisamente,
prodigiosamente, verso l'alto: peccato-morte-salvazione.
Ed io Per quanto vi osservi attentamente, non riconosco alcuno di voi; ma se voi desiderate qualcosa
che io possa fare, o spiriti destinati alla salvezza,
ditemelo, ed io lo far in nome di quella pace che debbo cercare attraverso i regni dell'oltretomba
seguendo questa guida
Ed uno di quegli spiriti cominci a parlare: Ciascuno di noi si fida del tuo servigio senza bisogno di
giuramenti, a meno, che una impossibilIt indipendente impedisca d realizzare il tuo proposito.
Perci io, che parlo da solo davanti agli altri, ti prego, se mai tu possa vedere la Marca Anconetana (quel
paese che siede tra Romagna e quel di Carlo: posto a sud della Romagna e a nord del regno di Napoli,
governato nel 1300 da Carlo Il d'Ang),
di essere generoso nelle tue richieste per me nella citt, di Fano, cosicch per me si preghi da persone in
grazia di Dio affinch possa espiare le mie gravi colpe.
Il penitente Jacopo di Uguccione del Cassero, che nacque a Fano da nobile famiglia. Partecip nelle
truppe guelfe alla battaglia d Campaldino (1289); fu podest di Bologna nel 1296-1297 e difese
energicamente il Comune di fronte ai tentativi di Azzo VIII d'Este, signore di Ferrara. Nel 1298 fu
nominato podest di Milano e, per evitare il territorio estense, raggiunse per mare Venezia, e attraverso
il territorio di Padova si diresse verso Milano, ma fu raggiunto dai sicari di Azzo VIII nei pressi del
castello, di Oriago sul Brenta e ucciso.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Nacqui in questa citt, ma le ferite mortali dalle quali sgorg il sangue nel quale risiedeva la mia anima
(in sul quale io sedea: era pensiero comune, ai tempi di Dante, che il sangue fosse la sede dell'anima),
mi furono prodotte nel territorio di Padova (in grembo alli Antenori: Antenore fu il troiano fondatore di
Padova, secondo Virgilio - Eneide I, versi 247 sgg.).
l dove, io ritenevo di essere pi sicuro (essendo fuori del territorio estense): fui ucciso per volere di
Azzo VIII, che mi aveva in odio assai pi di quello che fosse giusto.
Ma se io fossi fuggito verso Mira (borgo tra Padova e Oriago), quando fui raggiunto (dai sicari) nelle
vicinanze di Oriago, sarei ancora nel mondo dei vivi.
Invece corsi verso una palude, e le canne palustri e il fango mi avvilupparono a tal punto, che caddi; e in
quel luogo vidi il mio sangue formare in terra un lago ,
Il dramma della morte violenta si precisa in un trittico che assume man mano sfumature diverse e nel
quale le "anime stesse, quanto pi pure e sole, si allontanano da quel gorgo di sangue"(Apollonio).
Jacopo ancora preso dai ricordi terreni, la sua dignit di un tempo ancora presente (io, che solo
innanzi alli altri parlo), il suo linguaggio elaborato quello del dignitario, tuttavia la sua terra gi
sfumata in lontananza: basta un semplice aggettivo quel, per allontanare visivamente e
sentimentalmente il paese che siede tra Romagna e quel di Carlo, laddove in Francesca l'espressione
siede la terra dove nata fui (Inferno canto V, verso 97) costituisce come intensamente presente una
lontananza di spazio e di tempo. La fisionomia del personaggio si precisa meglio a partire dal verso 73,
perch in lui, come in Bonconte e in Pia, il punto vitale "il modo della morte o il sentimento con cui essi
la ripensano" (Momigliano). A un'impressione fortemente fisica quella che Jacopo ancora avverte, lo
strazio della carne (li profondi fori), la corsa fino alla palude, l'urto contro le canne, il peso del fango che
pare voglia attirarlo a s, la caduta, infine il rosso del sangue intorno, e tuttavia non c' nessun accento
d'odio verso il suo assassino (verso 77). La pace conquistata in punto di morte, che ha prima esaltato
insieme con le altre anime, fa s che contempli quel lago di sangue come "qualche cosa di estraneo, di
staccato, quasi di materiale, che si adegua alla terra, mentre prima proprio in esso risiedeva quell'io che
ora lo contempla distinto da s" (Puppo).
Poi parl un altro spirito: Possa realizzarsi quel desiderio (il ricongiungimento a Dio) che ti porta verso
l'alto monte del purgatorio, (in nome di questo augurio) cerca di aiutare il mio (che identico al tuo) con
preghiere efficaci !
Appartenni alla casata dei Montefeltro, sono Bonconte: Giovanna (vedova di Bonconte) o altri miei
parenti non si preoccupano di me; per questo cammino fra costoro a fronte bassa .
Bonconte da Montefeltro fu figlio di Guido, da Dante posto nell'inferno fra i consiglieri fraudolenti (canto
XXVII, versi 19 sgg.), e come il padre fu acceso ghibellino. Ebbe molta parte nella cacciata dei Guelfi da
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Arezzo (1287) e nella sconfitta che gli Aretini inflissero ai Senesi alla Pieve del Toppo (1288). Comand i
Ghibellini di Arezzo nella guerra contro Firenze, che culmin nella battaglia di Campaldino (1289), nella
quale Bonconte mor; il suo corpo non fu pi ritrovato.
E io gli risposi: Quale forza (umana o divina) o quale caso fortuito ti trascin cos lontano da
Campaldino, che non si conobbe mai la tua sepoltura?
Dante combatt nella battaglia di Campaldino fra i "feditori" a cavallo, ma nella parte guelfa. Di fronte al
nemico di un tempo, una sola la sua preoccupazione: sapere come Bonconte mor e quale fu la sua
sepoltura. Mentre ci riportano al tema fondamentale del canto, quello della morte, le sue parole sono la
logica conseguenza di quelle con cui il suo nemico si presentato (io fui da Montefeltro, io son
Bonconte), scandendo "il distacco dal mondo terreno con le sue effimere determinazioni di luoghi, di
titoli, di potenza"(Grabher), perch "ora gli resta solo quel che veramente non muore e cio la sua
interiore persona legata ancora al suo nome: io son Bonconte"; anche gli affetti terreni sono persi, ed
egli si isola dagli altri in una solitudine che non quella orgogliosa di un Farinata, ma quella dolente di
chi medita intorno alla brevit dei beni mondani. Commentando questo incontro, il Puppo rileva che "al
livello del purgatorio, dove entrambi si trovano nel faticoso cammino della perfezione, le antitesi politiche
hanno perduto qualsiasi significato, come l'hanno perduto tutte le dignit e le distinzioni terrene... Fra
Dante e Farinata poteva accendersi il duello delle affilate parole; non fra Dante e Bonconte".
Oh! rispose, ai piedi dei monti del Casentino scorre nella valle un torrente chiamato Archiano, che
nasce sull'Appennino sopra l'eremo di Camaldoli.
Arrivai, ferito alla gola, nel punto in cui esso perde il suo nome ('l vocabol suo diventa vano: perch si
getta nell'Arno), fuggendo a piedi e insanguinando la terra.
Qui i miei occhi si velarono, e la mia voce si spense pronunciando il nome di Maria, e qui caddi e il mio
corpo rimase inanimato.
La grandiosit della figura di Bonconte nasce non dallo scontro delle potenze infernali con quelle
angeliche per il possesso della sua anima, ma dallo sfondo paesistico sul quale si distende non pi la
piccola palude di Jacopo, ma la lunga catena dei monti del Casentino, mentre lontano domina, nella sua
superba solitudine, quasi simbolo ammonitore di una pace ottenuta solo nel distacco dal mondo, l'eremo
di Camaldoli. La corsa affannosa di Bonconte, nel vano tentativo di salvarsi dall'odio dei nemici, non
nascosta subito dal fango, ma campeggia in tutto il piano, diventando qualcosa di epico: il suo sangue
"una striscia che riga la pianura con straziante evidenza" (Puppo), in contrapposto al lento allargarsi della
pozza di sangue di Jacopo. Il paesaggio, prima cos nitido e preciso, osservato quasi con gli occhi di un
capo militare, ancora padrone di s, si vela improvvisamente davanti a lui, mentre appare il lume del ciel,
finch anche per lui "il cadere e il morire tutt'uno. Non rimane che il peso inerte della carne; sola
perch senz'anima; sola anche materialmente, un piccolo mucchio nella vasta campagna. I due versi
precedenti costituiscono un'unit ritmica che si arresta sul caddi: poi, il rimanente del verso terzo ha
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

suono martellato e solenne" (Bosco), segnando in tal modo "tre gradi della morte: il velarsi della vista, lo
spegnersi sulle labbra della parola, il cadere".
Ti racconter cose vere e tu le riferirai nel mondo dei vivi: l'angelo di Dio prese la mia anima, mentre il
diavolo gridava: "Perch mi privi di quest'anima peccatrice, tu che sei un angelo del cielo?
Porti via con te l'anima di costui per una lagrimuccia che me la sottrae; ma user per il corpo (dell'altro)
un trattamento ben diverso!"
L'episodio di Bonconte s'inoltra nella parte pi propriamente fantastica, dove il Poeta risolve in termini
inventivi quella che era l'ipotesi comune intorno alla scomparsa di Bonconte, e di molti altri, dopo la
battaglia di Campaldino: che i loro corpi fossero stati travolti dalle acque dell'Arno in piena.
La critica, concordemente accosta questo contrasto fra l'angelo e il diavolo (uno dei tanti "contrasti" della
tradizione letteraria e figurativa del Medioevo) a quello fra San Francesco e il diavolo per l'anima del
padre di Bonconte, Guido, nel canto XXVII dell'Inferno. Poich la ricerca di simmetria ha un suo profondo
valore in Dante, nella convergenza o divergenza di significati, occorre rilevare - d'accordo col Sapegno che mentre quel primo contrasto voleva indicare l'inutilit di un lungo periodo di penitenza, se esso
interrotto da un peccato senza pentimento, questo sottolinea come un solo attimo di penitenza basta a
salvare un'anima, essendo il giudizio di Dio indipendente dalla opinione umana.
Tu sai con chiarezza come nell'aria si raccoglie il vapore acqueo che si trasforma di nuovo in acqua, non
appena sale nella regione fredda del cielo.
Sopraggiunse il diavolo che desidera soltanto il male con il suo intelletto, e provoc il vapore acqueo e il
vento con quel potere che gli proviene dalla sua natura.
Poi, non appena giunse la notte, coperse di nebbia la valle (di Campaldino) dal monte Pratomagno alla
Giogaia di Camaldoli; e provoc nel cielo un cos grande ammasso di vapori,
che l'aria satura di nubi si convert in acqua: cadde la pioggia e quella parte di essa che la terra non
riusc ad assorbire si raccolse nei fossi;
e quando raggiunse i torrenti, si convogli verso l'Arno (fiume real: secondo l'espressione usata nel
Medioevo per indicare i fiumi che sfociano in mare) con tanta velocit, che nessun ostacolo pot
trattenerla.
L'Archiano in piena trov il mio cadavere alla sua foce, e lo spinse nell'Arno, e sciolse dal mio petto la
croce
che avevo fatto delle mie braccia quando mi aveva sopraffatto il dolore del pentimento: mi volt lungo le
rive e sul fondo; poi mi coperse e mi nascose con i suoi detriti.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Poich la voce di Bonconte che racconta, la lunga inserzione scientifica, se pare diminuire
momentaneamente il grado di tensione, testimonia il distacco con cui il penitente osserva l'ultimo giorno
della sua. vita. La salma diventa ara "il punto, prospettico di convergenza del fantastico e grandioso
quadro della bufera ..." (Mattalia); contro di essa si getter il movimento che, iniziato con ritmo.
dapprima lento, (mosse il fummo e 'l vento), assumer man mano, nelle diverse fasi, un impeto
travolgente (si converse.. cadde... venne... si convenne si, ruin ... ), finch trover la sua preda. C' un
accanimento al quale hanno concorso le forze naturali e quelle savrannaturali, laddove contro Manfredi
(al cui episodio ci riporta la scena della tempesta e dell'oltraggio fatto al corpo) era soprattutto il cieco
odio di una povera umanit che ignorava la misericordia divina. Dapprima l'anima distingue separato da
s il suo corpo gelato, chiuso nella maest della morte, ma, quando l'acqua lo ghermisce trascinandolo
con s, "improvvisamente essa si identifica con questo, dice voltommi; dice mi coperse e cinse. Torna
dunque alla fine esplicito l'accoramento di Bonconte per fl misero corpo: accoramento per la cieca
crudelt degli uomini" (Bosco).
Quando sarai tornato nel mondo, e ti sarai riposato del lungo cammino , disse un altro spirito dopo il
secondo,
ricordati di Pia: Siena mi diede i natali; la Maremma mi diede la morte; (come morii) lo sa colui che
prima mi aveva dato l'anello nuziale
prendendomi in moglie.
Nei versi 135-136 Dante allude a una sola cerimonia: la promessa d prendere in moglie e la consegna
dell'anello, mentre le nozze vere e proprie erano celebrate pi tardi in casa dello sposo. Parla Pia, una
senese appartenente forse alla famiglia dei Tolomei. Spos Nello d'Inghiramo dei Pannoccheschi, signore
del castello della Pietra in Maremma. Secondo alcuni antichi commentatori sarebbe stata uccisa dal
marito che voleva sposarsi con Margherita Aldobrandeschi, secondo altri sarebbe stata uccisa per una sua
infedelt, secondo altri ancora per sospetto di infedelt.
Se tuttavia la critica romantica ha creato il mito d una Pia vittima innocente, contrapposta alla peccatrice
Francesca, non inutile ricordare che Dante la pone fra coloro che furono peccatori infino all'ultima ora.
L'apparizione di questa figura, nella quale la preghiera sicura di s di Jacopo e quella pi incerta e
sofferente di Bonconte, si purifica nella dolce preoccupazione per Dante (quando tu sarai... riposato della
lunga via), avviene dopo che il crescendo ritmico della bufera si era placato in uno di quei versi (verso
129) che il Bosco definisce "definitivi" e che "cos caratteristicamente suggellano in Dante un motivo
drammatico", segnando nella "sinfonia lo stacco tra il terzo tempo, cos mosso e drammatico, e il quarto,
un pianissimo elegiaco". Ma anche se, sempre secondo l'analisi del Bosco, la poesia dei due episodi
precedenti fatto , perch soprattutto costituita dal paesaggio, dal gesto, dal colore, "un visibile
parlare e soffrire", non si possono dissolvere le parole di Pia in una semplice suggestione musicale, come
tende a fare anche il Momigliano. Il verso 134 ha una sua forza interiore che ripropone ancora una volta
il tema del distacco (disfecemi) innaturale dell'anima dal corpo, anche se il movimento drammatico dei
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due episodi precedenti "si contrae e si smorza nell'ultimo, che da questa smorzatura musicale acquista il
suo fascino poetico" (Puppo), anche se Pia, pi ancora che Jacopo e Bonconte, vela la sua vita e la sua
morte, e, nell'accenno a colui che fu causa della sua fine, accanto al perdono, fa vibrare pur sempre un
sentimento di amore.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO VI

Quando si divide e si scioglie il gruppo dei giocatori nel gioco dei dadi, il perdente resta solo e addolorato,
tentando e ritentando nuove gettate, e malinconico cerca di imparare (a far meglio per il futuro)
mentre tutti g li spettatori se ne vanno col vincitore; c' chi gli va innanzi, e chi lo sollecita tirandogli
l'abito alle spalle, e chi gli si raccomanda standogli di fianco:
ma il vincitore non si ferma, e porge orecchio ora a questo ora a quello; colui al quale tende la mano
(dandogli qualche cosa), non insiste pi; e in tal modo egli si difende dalla ressa.
Il Poeta allude a un gioco di dadi diffusissimo. bench vietato dagli statuti comunali, nel secolo XIV in
tutta Italia (e in molte parti d'Europa), consistente nell'indovinare in anticipo i numeri che risultavano
dalla combinazione di tre dad gettati su un tavoliere, mentre intorno ai giocatori si affollavano i curiosi:
una scena alla quale Dante avr tante volfe assistito sulla piazza del Mercato Vecchio di Firenze. Questa
osservazione dal vero spiega il realismo dal ritmo vivace e incalzante di questa similitudine, staccando
decisamente l'esordio del canto VI dal tono mestamente elegiaco con il quale terminava il canto
precedente, La differenza tonale ha fatto osservare al Gentile che "la tragedia scende fino alla farsa", e al
Momigliano che "I'immagine lavorata come un pezzo a s, con una scarsa aderenza al contesto".
Tuttavia se la mescolanza di stili (tante volte osservata nell'Inferno) si giustifica con la libert di cui il
Poeta deve disporre per realizzare di volta in volta la sua ispirazione, la sua presenza anche nel
Purgatorio non pu essere motivo di stupore, anche perch "in Dante la preoccupazione della sintonia
che diremo interna, qualitativa, delle comparazioni non costante n preminente" (Mattalia). Inoltre,
considerando l'importanza che il Poeta conferisce sempre.agli esordi dei canti, non si pu non vedere
nella similitudine della zara il contrappunto alla solennit dell'episodio di Sordello e nello stesso tempo il
richiamo al tema fondamentale della seconda cantica, la richiesta di preghiere: richiamo tanto pi
importante in quanto proviene da coloro che furono vittime della malvagit del mondo e che ora sono
uniti al mondo solo dal sacro legame della preghiera.
Cos mi trovavo io in mezzo a quella fitta schiera, guardando verso di loro ora a destra, ora a sinistra, e
promettendo (di fare quanto ciascuno mi chiedeva) me ne liberavo.
Tra quelle anime c'era l'Aretino che fu ucciso ferocemente da Ghino di Tacco, e l'altro (Guccio dei Tarlati)
che anneg mentre inseguiva i nemici.
Dante inizia la rassegna delle anime dei morti violentemente con la figura di Benincasa da Laterina (nel
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

territorio di Arezzo), famoso giureconsulto del XIII secolo. Mentre era vicario del podest di Siena,
condann a morte uno zio e un fratello di Ghino di Tacco, un senese divenuto famoso "per la sua fierezza
e per le sue ruberie" (Boccaccio - Decamerone X, II, 5), il quale si vendic uccidendo Benincasa in una
sala dei tribunale a Roma.
L'attro ch'anneg correndo in caccia Guccio dei Tarlati da Pietramala, appartenente a una famiglia
ghibellina di Arezzo, vissuto nella seconda met dei '200; mori annegando nell'Arno, mentre combatteva
contro i fuorusciti guelfi della famiglia dei Bostoli.
Qui pregava con le mani tese Federigo Novello, e qui c'era Gano, il quale dette al padre, il virtuoso
Marzucco, l'occasione di mostrare la sua forza d'anmo.
Federigo Novello dei conti Guidi fu ucciso nel 1289 o nel 1291 presso Bibbiena da uno dei Bostoli.
Quel da Pisa fu, secondo gli antichi commentatori, Farinata, figlio di Marzucco degli Scornigiani, e venne
assassinato da un pisano suo concittadino; secondo gli ultimi studi si tratterebbe invece di Gano, un altro
figlio di Marzucco, che fu fatto uccidere dal conte Ugolino nel 1287. Marzucco era entrato l'anno prima
nell'ordine francescano, e dimostr la sua forza d'animo sia nell'accettazione serena di quel dolore, sia
nella decisione con la quale si oppose ad ogni tentativo di vendetta da parte dei suoi consorti: "e cos
ordin poi che si fece la pace, ed elli volse baciare quella mano che avea morto lo suo figliuolo" (Buti).
Vidi il conte Orso e vidi pure colui che ebbe l'anima divisa dal suo corpo per odio e per invidia, com'egli
diceva, e non per colpa commessa;
voglio dire Pierre de la Brosse (Pier dalla Broccia); e riguardo a ci, mentre ancora in vita, la regina di
Brabante provveda (in tempo a purificarsi del male commesso), onde per questo non vada a far parte di
una moltitudine peggiore (di quella di cui fa parte Pierre de la Brosse, cio fra i falsi accusatori della
decima bolgia).
Orso degli Alberti, figlio del conte Napoleone, fu ucciso nel 1286 dal cugino Alberto, figlio del conte
Alessandro. Continuava in tal modo la catena di odi e di vendette sanguinose che era iniziata con i padri
di Orso e Alberto, che Dante ha posto nella Caina (Inferno XXXII , 41 sgg.).
Pierre de la Brosse, nato da umile famiglia, divenne medico alla corte di Francia al tempo di Luigi IX e di
Filippo III l'Ardito, dal quale fu nominato gran ciambellano. Allorch nel 1276 mor misteriosamente il
primogenito di Filippo, Luigi, egli accus Maria di Brabante, seconda moglie del re, di esserne
responsabile per potere, in tal modo, assicurare il trono al proprio figlio Filippo il Bello. Attiratosi l'odio
della regina, due anni dopo, durante la guerra tra la Francia e Alfonso X di Castiglia, fu accusato di
tradimento e condannato a morte. Secondo alcuni antichi commentatori, invece, la regna lo avrebbe
accusato di avere tentato di sedurla. Dante lo considera innocente e vittima, come Pier delle Vigne,
dell'invidia, morte comune, delle corti vizio (Inferno XIII, 60).
Quando fui libero da tutte quelle anime che mi pregavano soltanto perch inducessi altri a pregare per
loro, in modo da affrettare la loro purificazione,
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io dissi a Virgilio: Sembra, o maestro, che in un passo del tuo poema tu neghi esplicitamente, che la
preghiera possa mutare un decreto divino;
e queste anime soltanto per questo pregano: la loro speranza sarebbe dunque vana, oppure non mi
ben chiaro il tuo testo?
Ed egli mi rispose, La mia espressione chiara; e la speranza di costoro non fallace, se si medita
bene con la mente sgombra da erronee opinioni;
poich la sublime altezza del giudizio divino non s'abbassa per il fatto che l'ardore di carit (di chi prega
per costoro) porti a perfezione in un momento solo quell'espiazione a Dio dovuta da chi ha in questo
luogo la sua dimora;
e in quel passo dove feci questa affermazione, la mancanza dell'espiazione non poteva essere corretta
con la preghiera, perch essa era da Dio (essendo fatta da pagani).
Dante ricorda la risposta che la Sibilla diede a Palinuro, il quale la pregava di essere traghettato oltre
l'Acheronte pur non avendone diritto, in quanto era insepolto: "cessa di sperare che i decreti divini
possano essere piegati con la preghiera" (Eneide canto VI, verso 376). Questa affermazione gli pare in
contrasto con l'atteggiamento delle anime invocanti preghiere che possano modificare la legge divina,
mentre Virgilio chiarisce il dubbio: la preghiera nel mondo pagano non era indirizzata al vero Dio, perci
essa non poteva offrire alcun aiuto, n sopperire ad alcuna mancanza (nel caso di Palinuro la mancanza
di sepoltura), mentre la preghiera cristiana soddisfa quanto richiede la sentenza divina, la quale resta
immutabile, ma permette, con la sua misericordia, che venga completato, attraverso questo foco d'amor,
il riscatto che dovuto dall'anima del peccatore. Digressione oziosa secondo alcuni critici (Momigliano),
secondo altri invece (Mattalia), un interessante documento storico-culturale: esso infatti testimonia la
lettura in chiave allegorica che veniva fatta delle opere classiche nel Medioevo, allorch gli interpreti, con
squisite sottigliezze, cercavano "il punto d'incontro e di sutura tra la favola e la lettera del testo
interpretato, e le verit cristiane che dall'una e dall'altro s'intendeva ricavare". Tuttavia questi versi
costituiscono un'opaca pausa meditativa condotta secondo uno stanco modulo didascalico (el par che tu
mi nieghi... la mia scrittura piana) che il Poeta tenta faticosamente di risollevare con la preziosit
espressiva del verso 37, nella ricercata contrapposizione di cima a s'avvalla, riuscendo forse meglio a
determinare il suo pensiero nell'improvviso lampeggiare di quel foco damor che dalla terra sembra
innalzarsi per muovere chi qui si stalla.
Tuttavia non devi fermare il travaglio della tua mente di fronte a un dubbio cos arduo, se non te lo dir
colei che far da tramite tra la verit (sovrannaturale) e il tuo intelletto:
non so se mi comprendi; io intendo parlare di Beatrice: tu la vedrai in alto, sulla vetta di questo monte,
sorridente e felice.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

E io gli dissi: Sgnore, camminiamo pi in fretta, perch ora non sento pi la fatica come prima, e vedi
ormai che il monte (essendo le prime ore del pomeriggio) proietta la sua ombra .
Egli rispose: Continueremo ormai a salire finch dura il giorno, quanto pi potremo; ma la realt
diversa da quello che tu giudichi.
Virgilio, che aveva terminato la sua spiegazione esortando il discepolo a completare la chiarificazione
offertagli dalla ragione con quella che far Beatrice, quale simbolo della teologia, anticipa quasi una
visione paradisiaca (versi 47-48), davanti alla quale Dante assume un atteggiamento "cos schietto e
ingenuo che ha qualche cosa dell'infantile", compiendo "lui le parti che di solito fa Virgilio, stimolando alla
fretta... affermando anche di non sentir pi la fatica di prima, il che non vero o un effetto tutto
psicologico dell'idea di veder Beatrice" (Porena). Con questo tratto umanissimo il Poeta dissipa la durezza
narrativa dei versi precedenti, incentrando nella sua figura quello slancio d'ascesa che si manifester
come desiderio di ordine morale e come forza di missione profetica nell'episodio di Sordello. Questa
particolare prospettiva giustifica la dimensione strutturale e poetica della rassegna delle anime (versi 1324), che, ben lontana dal voler "glorificare talune illustri casate toscane", come invece ritiene il Novati,
profilava "a poco a poco l'immagine di una societ profondamente corrotta, in cui venuto meno ogni
senso di ordine e di giustizia: prepotenza di tiranni e di briganti, guerre di comuni e di partiti, smania di
dominio e di ricchezza che acquisce fino al delitto le rivalit familiari, invidie e calunnie
cortigiane" (Sapegno), spingendo il Poeta "a riprendere in esame le cause profonde di questa ingiustizia e
di questo disordine sociale".
Prima che tu giunga sulla vetta, vedrai sorgere pi volte, il sole, che ora gi si nasconde dietro la costa
del monte, cosicch tu non interrompi pi i suoi raggi (proiettando la tua ombra).
Ma vedi l quell'anima che sta tutta sola e che guarda insistentemente verso di noi: essa ci mostrer la
via pi breve .
Quella che appare l'anima di Sordello da Goito (nel Mantovano), nato da una famiglia di noblt
campagnola all'inizio del '200. Fu il pi famoso fra i trovatori italiani e Dante nel De Vulgari Eloquentia (I,
XV, 2) loda grandemente la sua poesia. Dapprima visse alla corte di Riccardo di San Bonifacio, signore di
Verona, la cui moglie, Cunizza da Romano, celebr nei suoi versi. Tra il 1224-1226 rap o favor la fuga di
Cunizza dalla casa del marito, e fu costretto a riparare nella Marca Trivigiana; ma dovette ben presto, in
seguito, ad altre non chiare vicende, rifugiarsi alla corte di Raimondo Berlinghieri, in Provenza. Pass poi
al servizio di Carlo d'Angi, seguendolo nella spedizione in Italia contro Manfredi e ricevendo in feudo
alcune localit dell'Abruzzo. Mor intorno al 1270.
Uno dei motivi principali per cui Dante lo ha scelto come protagonista dell'episodio che si apre, da
vedersi in due componimenti poetici di Sordello, il Compianto per la morte di ser Blacatz, in cui sottopone
a severo e spregiudicato giudizio i re e i principi del suo tempo, e il poemetto Ensenhamen d'onor, nel
quale rimprovera quei ricchi e quei potenti che si sono allontanati dalle leggi di cortesia e di virt proprie
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del mondo cavalleresco. A buon diritto perci, isolata dalle altre anime della "valletta fiorita", la sua
figura in questo canto pu offrire l'occasione di criticare il disordine politico del mondo e nel canto
successivo la sua voce pu indicare e giudicare i potenti della terra.
Ci avviammo verso di lei: o anima lombarda, come te ne stavi altera e sdegnosa e com'eri dignitosa e
grave nel muovere i tuoi occhi!
Essa non ci diceva nulla, ma ci lasciava avanzare, seguendoci solo con lo sguardo attento come un leone
quando si riposa.
Soltanto Virgilio le si avvicin, pregandola che ci indicasse la strada migliore per salire; ed essa non
rispose alla sua domanda,ma chiese notizie sulla nostra patria e sulla nostra condizione; e mentre la mia
dolce guida cominciava a dire: Mantova ... , quell'ombra, tutta solitaria e raccolta in se stessa,
si lev dal luogo dove stava prima protendendosi verso di lui, dicendo: O mantovano, io sono Sordello,
della tua stessa terra! ; e si abbracciavano l'un l'altro.
Tutta la critica romantica ha visto in Sordello la figura stessa dell'Alighieri, ardente di amor di patria,
cercando nell'atteggiamento e nel gesto del trovatore mantovano l'atteggiamento e il gesto del Poeta
fiorentino. Ma se grande fu la simpatia "che Dante, poeta ed esule, errabondo di corte in corte, dovette
sentire per questo poeta, protagonista di una fortunosa vicenda biografica, uomo di corte e pur ardito
giudice di re e principi" (Mattalia), evidenziare i punti di contatto non significa dimenticare la
sapientissima costruzione poetica della sua figura. La solitudine e il silenzio del paesaggio al tramonto secondo l'osservazione del Momigliano - si legano con la solitudine e il silenzio di Sordello, accrescendone
la solennit, avvertendo che la vita del personaggio procede tutta da una concentrazione spirituale, da
una tensione (o anima lombarda, come ti stavi altera e disdegnosa), la quale, chiude nell'intimo questa
immagine statuaria "pi sbozzata forse che accuratamente scolpita" (Novati) e che riveler la sua
violenza nel gesto improvviso, animando esteriormente il suo dramma. Il Croce ha definito Sordello il
Farinata del Purgatorio, puntualizzando la stessa imponenza fisica e la stessa grandezza morale e
politica, ma "in Farinata non c' raccoglimento bens un imporsi per mezzo di sentimenti umani violenti, e
un proceder per spigoli del discorso e un intervallar frequente di pause... qui una solennit pacata che
irradia una luce la quale ha in s una forza nascosta d'attrazione; la poesia di Sordello si scioglie in un
impeto di calore affettivo, il quale il termine di quella sua chiusa interiorit che l'ha fatta maestosa. Per
questo il moto espressivo ha una caratteristica apertura, ed entro questo tono il canto si sviluppa
nell'invettiva all'Italia, che oratoria retta da sostenutezza sentimentale ed espressiva" (Malagoli).
Ahi, schiava Italia, albergo di dolori, nave senza pilota nel mezzo d'una immane tempesta, non pi
signora di popoli, ma luogo di turpitudine!
Quell'anima nobile l, nel purgatorio, fu cos pronta a far festa al suo concittadino, solo al sentire il dolce
suono del nome della sua terra;
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mentre ora dentro i tuoi confini non sanno stare senza guerra i tuoi abitanti, e quelli che sono chiusi
entro le mura e il fossato (d'una stessa citt) si dilaniano l'un l'altro.
Guardati, infelice, intorno cominciando dalle coste del mare che ti circonda, e osserva poi il tuo territorio
interno, e vedi se ti riesce di trovare una regione sola che goda pace.
Termini pregnanti di significato politico o giuridico e metafore di larga analogia, espressioni di pacata
dolcezza e immagini di aspra violenza contraddistinguono la prima parte dell'invettiva, che secondo il
Gentile si svolge in quattro motivi: "apostrofe all'Italia lacerata dalle fazioni, dimentica delle sacre leggi
pacificatrici dell'Impero (versi 76-96); apostrofe all'imperatore tedesco distratto, immemore, negligente
del suo divino mandato (versi 97-117); invocazione di Dio, che solo conosce le ragioni e i fini del
disordine politico e sociale che permette (versi 118-126); invettiva ferocemente sarcastica contro
Firenze: la grande inferma (versi 127-151)".
L'aggettivo serva richiama molteplici passi della Monarchia, dove il concetto di servit, nel campo morale,
legato al peccato, nel campo politico, alla mancanza di leggi, essendo veramente libero solo chi vive
secondo la legge morale e politica. Gi nel Convivio (IV, IV, 5) la nave figura della comunit, dello
Stato, in cui un potere supremo unifica le funzioni e le suddivisioni dei singoli, mentre in una glossa del
COrpus luris Civilis (la famosa raccolta di leggi fatta fare da Giustiniano) l'Italia viene chiamata "non
provincia sed dornina provinciarum, non semplice provincia, ma prima fra tutte le province. Dopo il primo
furore biblico, lo sguardo del Poeta ritorna al gruppo di Virgilio e di Sordello, uniti dal vincolo dell'amor di
patria anche nell'oltretomba, mentre in Italia ogni comunit civile si sfaldata, effetto ultimo e pi grave
del disordine politico che dilaga nella penisola. Balza evidente da questa requisitoria "la idea e il
sentimento di patria, come elemento primo e assoluto di fusione o di conciliazione o di caldi incontri, al di
sopra di ogni distinzione e considerazione. A Farinata Dante, per il convegno di Empoli, ha perdonato in
parte Montaperti, pesando sulla giusta bilancia il bene e il male, ma non ha forse dimenticato di esserne
stato accolto col moto sopraccillare di nobilesco disdegno proprio di chi ama segnare, socialmente e
politicamente, le distanze. Si pu osservare che l'esempio offerto da Virgilio e Sordello di amor patrio
regionale o municipale, non nazionale, come amarono vedere gli interpreti dell'Ottocento: la requisitoria
di Dante, in effetti, che per questo riprende e inquadra in una prospettiva pi ampia il motivo politico del
VI canto dell'Inferno, (dramma di Firenze), corre sul binario-motivo del disordine generale dovuto alla
carenza dell'autorit imperiale, estesosi fino ad alterare e dissociare le fibre delle collettivit comunali, E
dall'indicazione delle cause generali (carenza dell'autorit imperiale degradazione, apportatrice di
confusione, del magistero spirituale della Chiesa) la spietata e dura diagnosi procede, esemplificando,
fino a concludersi con l'amaro-sardonico elogio d Firenze, esempio quintessenziale di feroce lacerazione
e di instabilit politica. Altro e diretto punto di raccordo col VI dell'Inferno" (Mattalia).
A che servito che Giustiniano ti abbia aggiustato il freno del vivere civile (con le leggi) se ora non hai in
sella l'imperatore (che fa osservare le leggi)? Senza questo freno oggi la tua vergogna sarebbe minore
(perch un popolo senza leggi non colpevole della sua anarchia).
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Ahi, gente di Chiesa, che dovresti dedicarti solo a opere di piet, e lasciar sedere l'imperatore sulla sella
(a esercitare l'autorit civile), se comprendi rettamente quello che Dio ti ha prescritto,
osserva come questa cavalla diventata ribelle per il fatto che non guidata e domata dagli speroni
dell'imperatore, da quando hai preso in mano la sua briglia.
La missione che Dante si proposto una missione di salvezza spirituale e insieme di salvezza terrena,
essendo la prima, nel suo pensiero, legata alla seconda, cio alla efficiente ricostituzione dell'impero, che,
solo, pu garantire all'umanit la pace e la giustizia di cui essa ha bisogno al fine di conseguire la felicit
temporale: questa, eliminando ogni odio e divisione e aiutando l'uomo ad esplicare le sue virt, crea le
premesse della felicit eterna. Giustiniano (imperatore d'Oriente dal 527 al 565), riordinando il diritto
romano nel suo Corpus Iuris (base di tutta la dottrina giuridica del medioevo), e costituendolo
fondamento di ogni vivere civile, aveva voluto essere "lo cavalcatore de la umana volontade. Lo quale
cavallo come vada sanza lo cavalcatore per lo campo assai manifesto, e spezialmente ne la misera
Italia, che sanza mezzo alcuno a la sua governazione rimasa!" (Convivio IV, IX, 10). Quello, per, che
ha concorso grandemente alla rovina dell'autorit imperiale stato l'intervento in campo temporale della
Chiesa, che ha violato l'ordine esplicito di Cristo (Matteo XXII, 21; Giovanni XVIII, 36).
O Alberto d'Asburgo, che abbandoni a se stessa questa cavalla divenuta indomita e selvaggia, mentre
dovresti inforcare i suoi arcioni,
scenda dal cielo una giusta punizione sopra te e la tua stirpe, e sia una punizione inaudita e chiara, e tale
che il tuo successore ne concepisca timore!
Perch tu e il padre tuo, tutti presi dalla cupidigia degli interessi della Germania, avete tollerato che
l'Italia, il giardino dell'impero, fosse devastata.
Alberto I d'Asburgo fu imperatore dal 1298 al 1308 e assorbito, come un tempo il padre Rodolfo I, dalle
preoccupazioni del regno tedesco, trascur la situazione politica italiana, sempre pi complessa e caotica.
Su di loro il Poeta invoca la vendetta divina che, nell'interpretazione della maggior parte dei
commentatori, si sarebbe abbattuta con la morte precoce di Rodolfo, figlio primogenito di Alberto (giugno
1307) e con la morte dello stesso Alberto (ucciso nel giugno 1308), il cui successore fu Arrigo VII.
Vieni a vedere, o uomo senza interesse, i Montecchi e i Cappelletti, i Monaldi e i Filippeschi: quelli ormai
vinti, e questi pieni di timore!
Vieni, o uomo crudele, vieni a vedere le umiliazioni e le dfficolt della tua nobilt, e poni rimedio alla sua
rovina; e vedrai Santafiora come tranquilla!
Vieni a vedere la tua Roma che piange nella sua solitudine e vedovanza, e giorno e notte invoca: 0 mio
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

re, perch mi abbandoni? .


Vieni a vedere come la gente d'Italia si vuol bene! e se non vi alcun sentimento di piet verso di noi
che ti possa commuovere, vieni a cogliere la vergogna del discredito (che ti sei procurato con il tuo
disinteresse).
Dante presenta in sintesi la situazione di colei che dovrebbe essere, in quanto culla della civilt romana e
sede della cattedra di Pietro, il giardin dell'Europa. Non si sa se il Poeta indichi in questi versi famiglie
della stessa citt in lotta fra loro o famiglie ghibelline di citt diverse. Secondo le ultime ricerche storiche,
tuttavia, il nome di Montecchi e di Cappelletti indicava nel '300 non le due famiglie veronesi nemiche, ma
il partito imperiale e quello ante imperiale, il primo gi battuto, il secondo ormai incapace di dominare i
signori delle diverse citt. Mentre questa la situazione nell'Italia settentrionale, nell'Italia centrale, a
Orvieto, ferve la lotta fra i Monaldi guelfi e i Filippeschi ghibellini, ormai prossimi alla rovina, che ha gi
fatto scomparire, di fronte all'incalzare dei Comuni. tutte le famiglie che reggevano feudi imperiali (versi
109-110), fra le quali anche gli Aldobrandeschi, signori di Santafiora, nella zona di Monte Amiata.
La degradazione dell'Italia totale e trascina con s anche, Roma, la citt imperiale,, la cui immagine di
desolazione e di abbandono richiama un versetto delle Lamentazioni di Geremia (I, 1) sulla distruzione di
Gerusalemme.
O Cristo che sulla terra fosti per noi crocifisso, se ci mi permesso, ti chiedo: la tua giustizia si rivolta
altrove?
Oppure nell'abisso della tua sapienza permetti, tutto questo in preparazione di qualche bene totalmente
inaccessibile al nostro intelletto?
Poich le citt d'Italia sono tutte piene di tiranni, e qualsiasi villano che diventa capo di una fazione
assume di fronte all'impero atteggiamento di un Marcello (appartenente al partito pompeiano e console
nel 50 a. C., fu acerrimo nemico di Cesare).
Tu Firenze mia, puoi proprio esser lieta di questa digressione che non ti sfiora, grazie al tuo popolo che
s'ingegna per il tuo bene.
All'indignazione e al pathos sottentrano nuovamente l'ironia e il sarcasmo; come se, toccando di Firenze
e accostandosi alla ragione pi intima e segreta della sua pena, il Poeta si sforzasse di allontanare da s
ogni impulso di compassione e d giustificazione; ma alla fine la piet, lungamente trattenuta, prevale e
l'invettiva torna a risolversi in elegia." (Sapegno)
Molti (in altre citt) hanno in cuore il senso della giustizia, eppure lentamente si manifesta, per non
essere espresso sconsideratamente; invece il tuo popolo ha sempre la giustizia sulle labbra.
Molti (altrove) rifiutano le cariche pubbliche; invece il tuo popolo senza essere chiamato risponde
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

sollecito, grdando: Io sono pronto ad accettare il grave peso delle cariche!


Ora rallegrati, perch ne hai proprio motivo, tu sei ricca, tu sei in pace, tu sei saggia! I fatti dimostrano la
verit che io affermo.
Atene e Sparta, che fecero le antiche leggi ed ebbero una civilt tanto elevata, riguardo a una ordinata
vita civile fecero appena un insignificante tentativo
in confronto di te che decidi provvedimenti tanto ingegnosi e fragili, che quello che escogiti in ottobre non
giunge alla met di novembre.
Quante volte, in questi ultimi anni hai cambiato leggi, moneta, cariche e costumi e hai rinnovato
(secondo il prevalere delle fazioni e il susseguirsi degli esili) i tuoi cittadini!
E se ti ricordi bene e non sei completamente cieca, ti scoprirai somigliante a quell'inferma che non riesce
a trovare riposo nemmeno giacendo sulle piume,
e voltandosi e rivoltandosi sui fianchi, cerca invano di fare schermo al suo dolore.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO VII

Dopo che le accoglienze cortesi e gioiose furono ripetute pi volte, Sordello si tir indietro, e chiese: Ma
voi, chi siete?
Prima che le anime degne della salvezza (di salire a Dio: in quanto riscattate dalla morte di Cristo)
fossero avviate a questo monte, io morii e fui sepolto per ordine di Ottaviano.
Sono Virgilio; e per nessun'altra colpa fui escluso dal cielo che per non aver avuto la fede in Cristo. In
questo modo rispose allora la mia guida.
Come colui che vede improvvisamente dinanzi a s una cosa che desta in lui stupore, e non sa se
credervi o no e dice: E'... non ... ,
cos parve Sordello; quindi abbass gli occhi, e torn in atteggiamento umile verso Virgilio, e l'abbracci
l dove l'inferiore abbraccia chi gli superiore ("dal petto in gi", secondo l'Anonimo Fiorentino).
La concitazione che aveva fatto vibrare nei toni dell'apostrofe e del sarcasmo la seconda parte del canto
sesto si smorza improvvisamente, allorch lo sguardo del Poeta torna a posarsi sul fraterno gruppo di
Sordello e Virgilio, mentre il ritmo del verso, non pi sostenuto dal movimento passionale dell'invettiva,
riacquista una pacatezza di accenti, velata di commozione, che preannunzia i tre momenti successivi, la
dolente spiegazione di Virgilio (versi 22-36), la descrizione, secondo i motivi stilnovistci, della "valletta
fiorita" (versi 73-81), la rassegna dei principi (versi 88-136). L'atteggiamento di Sordello, in queste
prime terzine, ancora ricco di quello slancio di affetto che, interrompendo la sua immobilit, lo ha
spinto verso il suo concittadino (canto VI, versi 73-75), anche se subentra un momento di riflessione (si
trasse, e disse: Voi, chi siete? ), durante il quale per mai rivolge attenzione a Dante, non
accorgendosi, per il momento, che ancora vivo, tutto preso ancora da quel sentimento di amore patrio,
che percorrer, sia pure in forme pi moderate, anche il canto VII.
Disse: O gloria di tutti gli Italiani per mezzo del quale la nostra lingua (nostra perch ancora usata
come strumento culturale) mostr tutta la sua potenza espressiva, o pregio eterno della regione
mantovana dov'io nacqui,
quale merito mio o quale grazia divina permette che io ti possa vedere? Se io sono degno di udire le te
parole, dimmi se vieni dall'inferno, e da quale cerchio .
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Tessuta di eloquenza e vagamente retorica appare l'espressione con la quale Sordello si rivolge a Virgilio,
ma in accordo con la dignit e alterezza che ne avevano caratterizzato l'apparizione e che ne
sorreggeranno la figura, allorch si assumer il compito di indicare e giudicare i principi. Ad una lettura
attenta a cogliere il significato di cui Dante arricchisce le zone di passaggio fra momenti poetici
particolarmente importanti, non sfugge l'ampliarsi di dimensioni della figura di Virgilio, attraverso le
parole di Sordello che poet in provenzale (o gloria de' Latin... per cui mostr ci che potea la lingua
nostra): "Dove a chi ripensi a quanto Dante aveva gi scritto nel Convivio sulla dignit del volgare come
lingua capace di esprimere qualsiasi pi alto concetto, il potere della lingua latina, in Virgilio non
certo un potere soltanto retorico, bens sapienziale: tutto ci che poteva essere espresso dal latino
precristiano, cio dalla lingua che Dante ritiene, nell'ordine naturale, relativamente perfetta, fu da Virgilio
espresso. Il tutto evidentemente non si riferisce alla estensione quantitativa, bens alla intensit
qualitativa: Virgilio ha detto le cose pi alte che era possibile dire nell'ordine naturale(Montanari). Giusta
glorificazione nel momento in cui Virgilio affida se stesso e il suo discepolo alla guida di Sordello.
Virgilio gli rispose: Passando attraverso tutti i cerchi del mondo della dannazione sono giunto in
purgatorio: una forza celeste mi ha mosso, e vengo assistito da questa.
Non per aver commesso qualche colpa, ma per non aver avuto la vera fede ho perduto la possibilit di
vedere Dio che tu desideri contemplare e che da me fu conosciuto troppo tardi (dopo la morte).
Nell'inferno vi un luogo non rattristato da tormenti veri e propri, ma solo dalle tenebre, dove i lamenti
delle anime non risuonano con acute grida, ma solo con sospiri.
L io sono confinato insieme ai bambini innocenti sorpresi dalla morte prima d'essere lavati (che fosser...
essenti: con il battesimo) dalla macchia del peccato originale (dall'umana colpa);
l mi trovo con coloro che non si rivestirono delle tre sante virt (quelle teologali), ma conobbero e
praticarono tutte le altre (le virt cardinali), senza commettere alcuna colpa vera e propria.
Ma se tu conosci il cammino e ti permesso indicarlo, donaci qualche spiegazione per cui possiamo pi
celermente giungere l dove ha veramente inizio il purgatorio .
Virgilio ripete intorno al limbo, quanto aveva gi detto a Dante nell'Inferno (canto IV, 33-42): la lunga
digressione non giustificata da alcun motivo didascalico, n era richiesta dalla breve domanda di
Sordello (dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra). Tuttavia essa si sviluppa in profonda unit con le
parole pronunciate dal poeta latino nel terzo canto (versi 40-44), a chiusura di un momento di profondo
turbamento, che, nato dalla mesta meditazione intorno al corpo lontano, si era trasformato nel rimpianto
per l'eterna condanna di tutto il suo mondo, e si era chiuso nella visione della nobile e dolorosa
comunione degli spiriti magni esclusa dalla superiore comunione della rivelazione cristiana. E' un
richiamo continuo di motivi in uno svolgimento per gradi e con vario intreccio che dimostra la validit di
questo giudizio del Momigliano: nel Purgatorio "la costruzione non pi soltanto sorretta da motivi
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geometrici, logici, concettuali [come nell'Inferno], ma anche da motivi di sentimento e da un'insolita


continuit di azioni. Le quali sono costituite dalle scene dell'antipurgatorio, da quelle del purgatorio e da
quelle del paradiso terrestre, diverse fra di loro per scenario e per stati d'animo", essendo esso
"concepito prevalentemente per ambienti, per stati d'animo".
Nella misura in cui il discepolo avanza nella purificazione e diminuiscono le possibilit di guida da parte di
Virgilio, bisognoso anch'egli di consiglio in un mondo che non conosce, la figura del poeta latino, al quale
Dante consacrer la seconda esaltazione nell'incontro con Stazio, si chiude in una dolente elegia fatta di
insistenti richiami al castello degli spiriti grandi.
Rispose: Non ci imposto di stare in un luogo fisso; mi permesso salire e girare intorno al monte;
finch potr salire, ti accompagner per farti da guida.
Le parole di Sordello, loco certo non c' posto, che riecheggiano quelle pronunziate da un personaggio
virgiliano nei campi Elisi (Eneide canto VI, verso 673), indicano probabilmente che tutte le anime
dell'antipurgatorio possono salire lungo le prime balze del monte senza, naturalmente, oltrepassare la
porta del vero purgatorio. Dante pone Sordello fra coloro che si pentirono solo alla fine della vita,
presentandolo lontano dal gruppo dei negligenti e altrettanto isolato rispetto alle anime della "valletta
fiorita". Determinare a quale schiera egli appartenga, non problema di facile soluzione, anche se deve
essere scartata la posizione di alcuni critici che, accettando la notizia di un antico commentatore,
Benvenuto da Imola, secondo la quale Sordello fu fatto uccidere da Ezzelino da Romano, a causa della
sua relazione con Cunizza, sorella di Ezzelino, pongono il trovatore mantovano fra i morti violentemente.
Secondo il D'Ancona Dante isola Sordello intendendo in tal modo "separare e distinguere il fiero
mantovano dai suoi consorti, facendolo poi rientrare nella valletta, come in sua propria dimora,
protagonista dell'episodio che segue, o perch principe anch'esso... o almeno quale frequentatore di
corti, come ci ricordato dalla storia, o meglio, qual giudice, anche in vita, di azioni e costumi
principeschi".
Per vedi come gi il giorno declina, e non possibile salire di notte; perci opportuno pensare a
trovare un luogo piacevole (bel soggiorno, dove trascorrere il tempo notturno).
Da questa parte a destra vi sono delle anime appartate: se non ti dispiace, io ti condurr presso di esse,
e con gioia le conoscerai .
Virgilio rispose chiedendo: Com' questa legge? Colui che volesse salire di notte, sarebbe impedito da
qualche forza esterna, oppure non salirebbe per il fatto di non aver in s la forza necessaria ?
E il nobile Sordello tracci col dito una linea in terra, dicendo: Vedi? neppure questa linea varcheresti
dopo il tramonto del sole;
non perch al salire sia d'impedimento nessun'altra cosa se non la tenebra notturna: questa togliendo la
possibilit impaccia la volont.
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Certamente durante la notte, finch l'orizzonte chiude sotto di s la luce del giorno, si potrebbe scendere
in basso e vagare camminando intorno alla costa del monte .
Significato totalmente allegorico riveste il divieto di salire il monte dopo il tramonto del sole: senza la
luce della grazia divina (il sole), non possibile progredire nella via della purificazione. E' la ripetizione di
un insegnamento evangelico: "Camminate mentre avete luce ... ; perch chi cammina nel buio, non sa
dove va" (Giovanni XII, 35), ma, essendo le immagini della luce e della tenebra continuamente ricorrenti
nella liturgia, la terzina costituisce anche un richiamo al tema liturgico che il Poeta approfondir nel canto
della Salve, Regina (verso 82), la preghiera che i fedeli innalzano a Maria dopo i vespri ad invocare il
suo aiuto nei dolori della vita, per diventare degni di vedere Cristo. La Chiesa penitente compie la sua
purificazione seguendo gli stessi riti, innalzando le stesse preghiere della Chiesa militante, continuando lo
stesso movimento d'ascesa iniziato sulla terra come Chiesa militante.
A questo punto la mia guida, con l'aspetto di uno che si meraviglia, disse: Guidaci dunque al luogo ove
affermi che possiamo trovare una dimora piacevole .
Ci eravamo di poco allontanati di l, quand'io mi accorsi che il monte era incavato, allo stesso modo che i
valloni incavano i fianchi dei monti sulla terra.
Sordello disse: Andremo l dove la costa si avvalla; ed ivi attenderemo l'alba del nuovo giorno .
C'era un sentiero obliquo n ripido n piano, che ci condusse alla parete laterale dell'avvallamento, in un
punto dove il suo orlo si abbassa di pi della met (dell'altezza che esso ha nella parte superiore).
Il colore dell'oro e dell'argento puro, il rosso della porpora e il bianco della biacca, il turchino dell'indaco,
il riflesso del legno levigato e terso, e il verde vivo dello smeraldo nel momento in cui si spezza,
collocati in quella valletta sarebbero stati vinti nella purezza del colore da quell'erba e da quei fiori, come
il meno vinto dal pi.
La natura col non solo aveva sparso i suoi colori, ma vi diffondeva un profumo sconosciuto e ineffabile
composto di mille soavi odori.
Descrivendo il luogo in cui si trovano i principi che, troppo occupati da interessi terreni, si ricordarono
tardi della loro salvezza, il Poeta opera un'improvvisa apertura - nel paesaggio aspro e difficile delle falde
del monte - su una natura dolcestilnovistica, nella quale la raffinatezza fastosa dei colori ("nell'aria della
sera incipiente, il fondo della valletta appariva smaltato di colori di un'intensit vivissima, vergine, quasi
primeva, com' dei colori fondamentali o dei metalli o pietre o legni che, di un colore, danno il
maximum", secondo il Mattalia), se viene presentata attraverso una precisa enumerazione, che sembra
limitare rigidamente quella visione, si stempera infine, unita alla soavit di mille odori, in qualcosa di
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incognito e indistinto, nel quale l'anima sembra smarrirsi. Con questo sentimento ricco e luminoso della
natura Dante giunge alla "rappresentazione del soprannaturale attraverso la dilatazione della
rappresentazione degli elementi umani; la terra trasportata in cielo; ma in questo far uscire il divino dal
terreno in una poesia splendida Dante guidato da un senso di misura che modera i colori, anche
quando pare che li accentui" (Malagoli).
Il Poeta, nel creare la "valletta fiorita", ha presente il passo virgiliano in cui si descrive nel mondo
dell'oltretomha l'Eliso (Eneide canto VI, versi 679 sgg.), ma egli le conferisce anche un significato
allegorico. che un antico commentatore, il Landino, cosi spiega: "n sanza cagione che tal valle sia
vestita di verdissime erbe e di fiori bellissimi all'aspetto e suavissimi all'odore, perch gli onori, le dignit,
gli stati e le signorie sono simili all'erbe e ai fiori, imper che, come quegli dilettono el senso, ma presto
appassono e secconsi, cos tale stato arreca gran dilettazione agli uomini ne' quali pu pi la sensualit
che la ragione, ma presto passa".
Dante isola dalle altre le anime dei re e dei principi della terra in omaggio al concetto medievale di
autorit, che vedeva il potere di quei re e di quei principi provenire direttamente da Dio, considerandoli
anzi ministri della divina potenza. La "valletta fiorita" la trasposizione nel purgatorio, su un piano di
maggiore spiritualizzazione, del castello degli spiriti magni del limbo (non a caso Dante lo ha
ricordato poco prima attraverso le parole di Virgilio), come esaltazione dell'umana virt intensamente
spiegata nel mondo, ma mancante, nell'un caso e nell'altro, della coscienza del limite ad essa posto.
Quanto pi alto, infatti, era il compito di questi potenti in terra, tanto pi gravemente erano impegnate
tutte le virt e tutta la forza del loro animo per conseguire la giustizia e la pace; per questo "i tiranni son
posti a bollire nel lago di bollor vermiglio, e molti che si tengono, nel loro orgoglio, gran regi staranno poi
nell'inferno come porci in brago. Ma l'ufficio ad essi commesso, quando fosse, in tutto o in parte,
rettamente esercitato, bastava nel giudizio di Dante a sollevarli sopra il volgo degli uomini, sicch nella
seconda vita, di purgazione o di gloria, splende ancora sul loro capo un raggio di sovrana dignit. Anche
nella luce del paradiso... lo spirito della gran Gostanza imperatrice, si accende di tutto il lume della prima
sfera; e sopra quello di Giustiniano si addua un doppio lume, della gloria terrena nel diritto e nelle armi, e
della celeste: e cos pure nella spera del sole, la luce pi bella quella del re Salomone. Pi su,
nell'empireo, v'ha una sedia trionfale, una sola, vuota ma aspettante chi l'occupi: un gran seggio, ov' su
posta la corona imperiale, e che riserbato all'alto Arrigo. Medesimamente, qui nel purgatorio,
l'uguaglianza fra i nudi spiriti violata e rotta in favore dei reggitori d'uomini e di terre, segregati dagli
altri negligenti in una insenatura della costa: privilegio che insieme ossequio ed ammonimento, dacch
Arrigo d'Inghilterra potrebbe stare dove abbiam visto Belacqua, e il re di Boemia non lungi dal
Buonconte" (D'Ancona). Mentre per le anime degli altri negligenti sono ormai libere da ogni tentazione,
quelle della "valletta fiorita" devono ancora lottare contro di essa (canto VIII, versi 22 sgg.), che
continua, anche nel mondo penitenziaIe, a sottoporli alle lusinghe della vita: "Il previlegio di esser posti
in disparte dal volgo, temperato dal sottostare, essi soli, alle rinnovate insidie del nemico, che gli altri
invece ormai non paventano"(D'Ancona).
La prospettiva in cui va considerata la "valletta", la quale racchiude, nascondendoli alla vista, i principi,
che Sordello stando sul balzo sottopone al suo severo giudizio, non pu prescindere perci dal
sentimento d'umilt (il canto stesso della Salve, Regina il canto dell'esilio, che sottolinea la vanit
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del mondo, contrapponendo ai beni terreni la visione dei futuri beni celesti) : ne anzi l'elogio pi
determinato, provenendo da anime che - isolate dalle altre in omaggio ad un costume di pensiero e di
vita terreno - nella solitudine e nel raccoglimento acquistano una consapevolezza pi intensa del male
commesso, che ha coinvolto non solo la loro persona, ma la vita di interi popoli. In loro, pi che nelle
altre anime dell'antipurgatorio, la terra ha una presenza continua nel rimorso di una missione universale
non compiuta.
Sul verde e sui fiori da l vidi anime che sedevano cantando Salve, Regina , le quali a causa
dell'avvallamento non apparivano dal di fuori.
Prima che tramonti ormai il poco sole rimasto, non vogliate che io vi porti in mezzo a costoro
cominci il mantovano Sordello che ci aveva condotti fin l.
Da questo balzo voi potrete osservare l'atteggiamento e l'aspetto di tutti questi spiriti, meglio che gi
nella valle mescolandovi a loro.
La rassegna dei principi, che non "esaltazione, ma atto di giustizia, severo e, in qualche punto,
pungente bilancio del bene e del male" (Mattalia), presenta, secondo il D'Ancona, una "gran pagina di
storia del mondo contemporaneo o di poco anteriore", e bench sia evidente nel Poeta lo sforzo di
conservare il tono solenne, profeticamente impegnato, dell'invettiva all'Italia, si avverte una diminuita,
tensione, che da alcuni critici stata considerata uno scadimento nella cronaca, che, in quanto
direttamente legata alla realt, non pu diventare oggetto di trasfigurazione nella fantasia del Poeta.
Tuttavia, il valore significante di questo episodio nella sua spiritualit profonda, per cui, anche se
l'imperatore Rodolfo conserva la sua dignit su tutti e Guglielmo chiude la rassegna perch inferiore a
tutti gli altri per potenza, "tutti s'accordano nel severo senso della propria missione e sono congiunti da
una fraternit spirituale che - nel canto religioso (verso 82) e negli occhi volti verso il Cielo - si manifesta
pure come elevazione verso Dio: in una fusione di sentimenti in cui il Poeta sembra vagheggiare
quell'armonia di principi, che invano sognava di veder attuata in terra sotto il segno dell'Impero... Tra
non poche e talora complesse allusioni storiche, notiamo tuttavia qualche tocco che illumina qua e l un
tratto fisico o spirituale - si ricordi soprattutto il dolente atteggiamento del padre e del suocero di Filippo
il Bello (versi 103 sgg.) - e notiamo osservazioni piene di verit umana (versi 121 sgg.), nonch l'alto
clima morale in cui sentita la missione dei principi e sono guardati i mali derivanti dalla loro negligenza
o inettitudine... Povera di rilievo nei singoli particolari, questa rassegna ha tuttavia una sua vita per la
suggestiva cornice della valletta, per l'aura pensosa che aleggia su tante ombre fraternamente assorte
tra gravi cure della terra e desiderio del Cielo: in un clima di passioni che, mentre in parte riecheggiano
quelle dell'apostrofe all'Italia (canto VI, versi 76 sgg.), si smorzano sullo sfondo di una religiosa
elevazione balenante come un mistico contrappunto a tutta la scena" (Grabher).
Colui che siede sovrastando gli altri principi e mostra nel suo atteggiamento d'aver trascurato il proprio
dovere (di scendere in Italia), e che non partecipa al canto come gli altri,
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

fu l'imperatore Rodolfo, il quale poteva sanare le piaghe che hanno distrutto l'Italia, cosicch troppo tardi
per opera di un altro si tenter di farla risorgere.
Rodolfo d'Asburgo, che Dante ha gi colpito col suo biasimo nel canto precedente (versi 103-105)
insieme al figlio Alberto, fu imperatore dal 1273 al 1291; di lui il Villani dice: "questo re Ridolfo fu di
grande affare e magnanimo e pro' in arme e bene avventuroso in battaglie" (Cronaca VII, 55). La sua
trascuratezza di fronte alla situazione italiana render vano ogni sforzo dei suoi successori per risanarla.
E' nel giusto il Sapegno, il quale ritiene che il verso 96 alluda in modo indeterminato ai successori,
mentre la maggior parte dei critici vi vede un riferimento alla discesa in Italia di Arrgo VII, concludendo
che questi versi sono stati scritti dopo il fallimento della sua impresa. cio dopo il 1310, mentre il Poeta
vi fa riferimento con fiducia e con speranza nel canto XXXIII del Purgatorio, versi 37-51.
Quell'altro, che nell'aspetto mostra di confortarlo, fu re nella terra (la Boemia) dove nascono le acque che
la Moldava porta all'Elba, e l'Elba al mare:
si chiam Ottocaro, e fin da bambino super di gran lunga suo figlio Venceslao che ora, nell'et virile,
vive completamente immerso nella lussuria e nell'ozio.
Ottocaro Il, eletto re di Boemia nel 1253, mori nel 1278 combattendo contro Rodolfo, di cui fu acerrimo
nemico, mentre ora ne conforta l'austero dolore. Il figlio Venceslao IV regn fino al 1305 e fu "dappoco
uomo, vile e rimesso" (Anonimo Fiorentino).
E quello dal piccolissimo naso, che sembra in segreto colloquio con quell'altro che ha un aspetto cos
mite, mor fuggendo e facendo sfiorire nel disonore il giglio (insegna della casa reale di Francia erano,
infatti, tre gigli d'oro in campo azzurro).
osservate l come si batte il petto! Guardate invece l'altro che ha appoggiato la guancia sulla palma della
mano, sospirando malinconicamente.
Sono il padre e il suocero del disonore di Francia (Filippo il Bello) : conoscono la sua vita piena di vizi e
vergognosa, e da qui nasce il dolore che cos profondamente li trafigge.
Quel Nasetto Filippo III l'Ardito, che fu re di Francia dal 1270 al 1285 (quando mor a Perpignano) e fu
"nasello, imper che ebbe piccolo naso"(Buti). Combatt contro Pietro III di
Aragona per il possesso della Sicilia, e, dopo la sconfitta della sua flotta ad opera dell'ammiraglio
Ruggero di Lauria, "sbigottito, quasi come rotto si part, e venendo per quelle montagne di Raona, per
dolore e per affanno mor"(Anonimo Fiorentino).
L'altro vedete Enrico il Grasso, che regn sulla Navarra dal 1270 al 1274.
Il primo fu padre, il secondo suocero di Filippo IV il Bello, che Dante gi colp nell'Inferno (canto XIX,
verso 87) e sul quale altre volte si abbatter il suo biasimo (Purgatorio XX, 85 sgg.; XXXII, 151 sgg.;
Paradiso XIX, 118 sgg.).
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Quello che appare cos nerboruto e che canta in perfetto accordo con l'altro dal gran naso, fu rivestito e
ornato da ogni virt;
e se gli fosse successo nel regno il giovinetto che qui siede dietro a lui, il retaggio della virt si sarebbe
egregiamente trasmesso di padre in figlio,
mentre questo non si pu affermare degli altri eredi: Giacomo e Federigo hanno ora i regni; ma nessuno
dei due ha preso il meglio dell'eredit paterna (del retaggio miglior, cio la virt).
Quel che par s membruto Pietro III d'Aragona, re dal 1276 al 1285, "Io quale lo bello e membruto de
soa persona, e savio e virtuoso" (Lana). Combatt a causa della Sicilia contro Carlo I d'Angi, con il quale
ora s'accorda, cantando, entrambi dimentichi, in questo luogo di penitenza, delle discordie del mondo.
Carlo I d'Angi, figlio del re di Francia Luigi VIII, fu re di Napoli dopo il 1266. Mor nel 1285, e nonostante
Dante condanni la sua politica (Paradiso VIII, 73-75) e lo accusi dell'uccisione di Corradino di Svevia e
del supposto assassinio di San Tommaso (Purgatorio XX, 67-69), lo salva perch mor cristianamente
(cfr. il Villani nella sua Cronaca VII, 95).
Lo giovanetto sarebbe secondo alcuni Alfonso III, che successe al padre nel 1285 nel regno d'Aragona,
ma pi giustamente altri commentatori ritengono che qui Dante alluda a Pietro, ultimogenito di Pietro III,
il quale mor giovanissimo prima del padre, mentre Alfonso divenne effettivamente re, lasciando una
triste fama. Ora invece l'eredit di Pietro in mano al figlio Giacomo Il, re di Sicilia dal 1286 e, dopo la
morte di Alfonso, re di Aragona dal 1291, e all'altro figlio Federigo Il, che divenne re di Sicilia nel 1296.
Raramente la virt dei padri ricompare nei figli; e questo voluto da Dio che la d, affinch la si
riconosca derivata da Lui (da lui: e non ricevuta per eredit).
Anche a Carlo d'Angi, il Nasuto, sono dirette le mie parole, non meno che all'altro che canta con lui,
Pietro, per la quale degenerazione la Puglia e la Provenza gi si dolgono.
La pianta (cio il figlio Carlo II) tanto inferiore al suo seme (cio al padre Carlo I), quanto Costanza
(vedova di Pietro III d'Aragona) ha motivo di vantarsi ancora di suo marito pi di quanto abbiano motivo
di vantarsi del loro Beatrice di Provenza e Margherita di Borgogna (prima e seconda moglie di Carlo I
d'Angi).
Dante vuole rivolgere le sue parole in torno ai discendenti degeneri non solo a Pietro III, ma anche a
Carlo d'Angi, perch la Puglia (il regno di Napoli) e la Provenza si dolgono per il malgoverno del figlio
Carlo II, detto lo Zoppo, che inferiore al padre, quanto questo, per meriti, lo nei confronti di Pietro
d'Aragona.
Osservate invece l come siede appartato il re dalla vita semplice, Enrico d'Inghilterra: egli ha nei suoi
discendenti un esito migliore.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Arrigo III, re d'Inghilterra, morto nel 1272, fu figlio di Giovanni Senzaterra. Uomo "semplice... e di buona
f e di poco valore" secondo il Villani (Cronaca V, 4), fu da Sordello accusato di vilt nel Compianto.
Dante lo definisce re della semplice vita, dove semplice pu significare sciocca oppure modesta,
come ritenevano gli antichi commentatori: il suo isolamento non sarebbe altro che un riflesso di quella
sua semplice vita. Tuttavia fu pi fortunato nei suoi discendenti, perch il figlio Edoardo I (re d'Inghilterra
dal 1272 al 1307) fu "buono e valente re" (Villani - Cronaca VIII, 90).
Quello fra loro che sta seduto pi in basso, con lo sguardo rivolta verso il cielo, il marchese Guglielmo,
a causa del quale Alessandria e la sua guerra
portano desolazione e pianto nel Monferrato e nel Canavese.
Guglielmo VII, detto Spadalunga, marchese di Monferrato dal 1254 al 1292, fu vicario imperiale e come
capo dei Ghibellini combatt contro i Comuni guelfi. Nel 1290 i cittadini di Alessandra, istigati da quelli di
Asti, si ribellarono e lo fecero prigioniero, chiudendolo in una gabbia di ferro, dove rimase fino alla morte,
avvenuta nel 1292. Il figlio Giovanni I, per vendicarlo, assal la citt di Alessandria, scatenando una lunga
guerra che sparse la desolazione nelle regioni del Monferrato e del Canavese.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO VIII

Era ormai l'ora (l'ultima della sera) che fa tornare un senso di nostalgia nel cuore dei naviganti e ne
riempie l'animo di commozione ricordando il giorno nel quale hanno detto addio alle persone care;
era l'ora che fa sentire pi struggente l'amore al pellegrino che ha appena abbandonato la sua terra,
mentre ode il suono lontano d'una campana che sembra piangere il giorno che muore,
quando io cominciai a non udire pi la voce di Sordello e il canto dei principi e cominciai a fissare una
delle anime che, levatasi in piedi, chiedeva con un cenno della mano che tutte l'ascoltassero.
Quasi a creare l'atmosfera affettiva degli incontri che caratterizzeranno il canto, la rappresentazione si
apre con un preludio di toccante malinconia, nel quale la musicalit del ritmo, con gli affetti immediati
che sommuove, d pienezza perfetta e congruente alla rappresentazione del momento lirico. Sta per
compiersi la prima giornata del pellegrino nel secondo regno, preannunciata dalla nitida aurora, arricchita
via via da profondi motivi consolatori, che hanno fatto definire questa, primo giorno, il giorno del pathos,
della commozione (Fergusson) : dal canto solitario di Casella e da quello, corale, dei penitenti, ai discorsi
di Virgilio sul limite della ragione e sul valore della preghiera, all'incontro con Sordello. L'esordio illumina
subito la struttura poetica del canto, mediante la sua costruzione per via di similitudini, dove il richiamo
immediato, nella serena presenza della natura, alla figura del viandante, riporta la situazione, perseguita
fin qui come oggetto di rappresentazione, verso la figura del Poeta, recuperando la dimensione
soggettiva, anche se, ancora una volta, il sentimento in Dante vuole tradursi in concreto dato sensibile,
in segni visibili, che lo Eliot giudica "chiare immagini visive". L'intenso definirsi, nella figura dei marinai e
del pellegrino, dello stato d'animo dell'esule, che riassume nell'evidenza facile di quelle due
rappresentazioni la meditazione morale del canto e il suo inquieto svolgimento, riguarda s Dante (e lo
dimostrer la profezia dell'esilio che chiuder il canto), ma anche le anime della "valletta fiorita", perch
"dolcezza e tristezza di ricordi, su cui indugia il cuore che vorrebbe e ancor non sa staccarsi appieno
dalle cose della terra; timore di oscure e malvagie insidie, che si placa nella certezza di un soccorso
trascendente; inquieta nostalgia di pace e di felicit, che si tempera nella penitenza e si raffina nella
preghiera" (Sapegno). C' infatti un perfetto parallelismo tra la situazione psicologica del marinaio e del
pellegrino, e quella di Dante e delle anime che intonano il Te lucis ante : sono stati emotivi, in
situazioni diverse ma affini, che sorgono in rapporto all'ora della sera, che predispone al raccoglimento e
alla tenerezza degli affetti. Cos il giorno del distacco dai propri cari non giorno come spazio
temporale (lo stesso giorno), ma quale soggettivamente si qualifica per i naviganti in quanto ricordo,
che fa affiorare e prendere contorno l'immagine della partenza. Il giorno della partenza nota il Pagliaro http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/ottavop.htm (1 di 8)08/12/2005 9.20.19

Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

pu essere ormai lontano nel tempo, ma non lo nella coscienza dei naviganti, poich la suggestione
dell'ora riesce ad annullare quella lontananza e a fare s che esso torni a essere presente con tutta la
commozione di quei saluti; per il peregrin il rintocco lontano di una campana un richiamo alla
solidariet degli affetti, un invito a raccogliersi nella dolce tranquillit dei sentimenti familiari: al mutarsi
del desiderio di arrivo in desiderio di ritorno, corrisponde qui un intenerimento che penetra nel cuore
come una fitta (punge), improvvisamente, come improvviso si era alzato il suono della squilla.
Essa congiunse ed elev al cielo le mani, rivolgendo lo sguardo intento verso l'oriente, nell'atteggiamento
di chi dice a Dio: "Nient'altro mi preme".
Dalle sue labbra l'inno Te lucis ante usc con tale devota e modulata dolcezza, che mi rap in estasi;
poi tutte le altre anime dolcemente e con devozione la seguirono cantando tutto l'inno, tenendo gli occhi
fissi alle sfere celesti.
Te lucis ante terminum ("Prima che finisca il giorno...") l'inno attribuito a Sant'Ambrogio e cantato
durante compieta , l'ultima delle ore canoniche (indicata dal suono della squilla): vi si invoca l'aiuto di
Dio contro i sogni cattvi e l'assalto del demonio durante la notte. Si apre una vera e propria officiatura
liturgica attraverso il gesto ieratico di quell'anima volta verso oriente (secondo l'uso antico della
preghiera cristiana), che impera per cenni, iniziando l'inno corale degli altri penitenti, che continua, senza
soluzioni, nello stesso ritmo spirituale, il canto della Salve, Regina . Di quest'anima Dante non rivela
n il nome n la dignit che ebbe nel mondo, perch " un'annegata nella brama di Dio, E' lo spasimo
verso la luce, il terrore della notte che avanza... L'uomo della terra ascolta, tratto fuori di s, l'armonia
di quelle voci; ma tutto una fascinatrice armonia intorno a lui: l'ora e la luce dell'azzurro tramonto, e il
gesto di quell'anima e la compostezza degli oranti, e il loro sguardo levato ai cieli, in una umile e trepida
attesa" (Donadoni).
O lettore, qui aguzza bene gli occhi della tua intelligenza a ci che veramente voglio sgnificare, poich il
velo (che copre il senso nascosto di quanto ora segue) cos sottile che certamente non ti coster fatica
il penetrarlo esattamente.
Finito il canto, io vidi quella nobile schiera di anime guardare intensamente verso l'alto, pallide ed umili,
come chi aspetta qualcosa;
e vidi uscire dall'alto del cielo e scendere in basso due angeli, ciascuno con una spada fiammeggiante,
tronca e priva della punta.
Erano verdi come foglioline appena spuntate le vesti che essi portavano fluenti, percosse e agitate dal
vento delle verdi ali.
Uno degli angeli venne a posarsi poco pi in alto di noi, l'altro invece scese sulla sponda opposta (della
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valletta), in modo che le anime furono racchiuse tra loro due.


Scorgevo distintamente la loro testa bionda; ma nel fulgore del volto l'occhio si smarriva, come ogni
facolt sensitiva si confonde di fronte a un oggetto superiore alle sue capacit,
Vengono entrambi dal cielo Empireo, dove sta Maria disse Sordello per far la guardia alla valle, a
causa del serpente che verr da un momento all'altro.
L'invito che Dante rivolge al lettore stato generalmente interpretato come un'esortazione a cogliere il
significato emblematico dell'apparizione dei due angeli sulla sponda della "valletta" e del serpente che
verr vie via. Ma non giustificando questo solenne richiamo la facilit con cui quell'allegoria (la tentazione
che la preghiera respinge invocando l'intervento divino) si pu interpretare, gi Pietro di Dante avvisava
che essa celava una profondit maggiore di quanto potesse apparire ad una prima lettura. Infatti tali
anime, essendo salve, non possono pi temere di peccare, ma, poich la seconda cantica vuole essere
l'esplicazione della vita dell'anima che inizia la sua ascesa, esse rappresentano, allegoricamente, la
condizione di quelle creature che in terra hanno appena cominciato la loro penitenza e che quindi sono
ancora soggette alla tentazione.
Se l'esercito di quei principi, muti, pallidi nell'aspettazione del miracolo ("si ricordi - osserva il Mattalia dai canti precedenti, con quanta facilit le anime del Purgatorio impallidiscono per un'emozione: la loro
caratteristica: un'umbratile emotivit"), immagine di grande delicatezza, di grande vigore
rappresentativo quell'uscir dell'alto dei due angeli, grandiosi nelle loro linee, possenti nelle loro masse,
pieni di quell'austerit che contraddistingue le apparizioni degli angeli danteschi, dal messo celeste che
apre le porte della citt di Dite all'angelo nocchiero, a quello che sieder davanti alla porta del purgatorio
(canto IX, versi 78 sgg.). Il Donadoni nota con molta acutezza che gli angeli di Dante si confonderanno
con l'uomo solo quando l'uomo si sar innalzato fino ad essi, compiendo tutta la sua purificazione. Bene il
Signorelli, traducendo i primi undici canti del Purgatorio nei monocromati affreschi della cattedrale di
Orvieto, ha saputo ritrarre l'attimo di esaltazione energetica delle due creature angeliche, le quali si
abbattono fulmineamente, come sparvieri, sull'acuminato piedistallo di due pinnacoli, anche se solo la
pittura del Beato Angelico avrebbe potuto ritrarre, nelle sue tinte lievi e smorzate, la dolce luce del
crepuscolo, che rende "vago" e "sfumato" questo momento poetico.
Secondo l'Anonimo Fiorentino il verde degli abiti e delle penne degli angeli indica "la etternit della
speranza, la quale si figura verde", le due spade simboleggiano "la giustizia e la misericordia di Dio". ma
sono senza punta per dimostrare "che non con rigore di giustizia [Dio] condanna senza misericordia, n
con misericordia senza giustizia", il rosso che le affoca ricorda "l'ardore della carit con la quale sono
menate". Altri commentatori ritengono invece che i due angeli rappresentino le due supreme potest in
terra, l'Impero e la Chiesa.
Perci io, che non sapevo da che parte (sarebbe venuto il serpente), mi guardai intorno, e tutto gelido
per la paura, mi strinsi al fianco del mio fidato maestro.
Poi Sordello soggiunse: Ora scendiamo nella valle in mezzo alle grandi ombre, e parleremo ad esse:
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

sar loro assai gradito vedervi.


Credo di esser disceso soltanto di tre passi. e mi trovai in basso, e vidi un'ombra che guardava con
insistenza verso di me, come se mi volesse riconoscere.
In quel momento l'aria gi si faceva buia, ma non tanto che a breve distanza non lasciasse scorgere
chiaramente ci che prima rendeva invsibile.
Egli si port verso di me, e io andai verso di lui: o nobile giudice Nino, quanta gioia provai quando vidi
che non eri tra i dannati!
Ugolino o Nino Visconti appartenne a una nobile famiglia guelfa di Pisa e fu nipote del conte Ugolino della
Gherardesca (Inferno, canto XXXII, versi 125 sgg.). Fu bandito pi volte da Psa, finch riusc ad
impadronirsi della signoria della citt con Ugolino (1285); costretto all'esilio dopo la vittoria
dell'arcivescovo Ruggieri, fece parte di molte leghe guelfe contro la sua citt, dove rientr nel 1293. Si
ritir infine nel giudicato di Gallura, in Sardegna, dove mor nel 1296. Dante ebbe forse occasione di
conoscerlo fra il 1288 e il 1293, quando Nino Visconti fu spesso a Firenze.
Nessuna affettuosa espressione di saluto fu risparmiata fra noi; poi egli chiese: Da quanto tempo sei
giunto nell'antipurgatorio attraverso l'oceano?
Oh! gli risposi, sono giunto questa mattina attraverso l'inferno, e sono ancora vivo, sebbene,
facendo questo viaggio, io cerchi di guadagnare la vita eterna.
All'udire la mia risposta, Sordello e Nino si ritrassero come chi colto da improvviso smarrimento.
Sordello si volse a Virgilio e Nino Visconti a uno che stava seduto l accanto, gridando: Su, Corrado!
vieni a vedere quale mirabile cosa Dio volle per grazia speciale .
La figura di Nino Visconti, prima ancora di rivelare la sua complessa ricchezza di motivi psicologici, si
apre nel sentimento dell'amicizia (che pi di ogni altro sembra adeguarsi all'ambiente della seconda
cantica, dove le passioni si sono estinte e sopravvivono gli affetti gentili e delicati) attraverso
l'appassionata insistenza del bel salutar e l'affettuosa sollecitudine per la sorte dell'amico (versi 56-57),
che risponde alla prima manifestazione di gioia di Dante (versi 53-54). Ma anche la comune esperienza
dell'esilio arricchisce questo incontro, essendo "anche Nino esule dalla patria senza colpa, anche Nino non
mai disperato di potervi, quando che fosse, rientrare. Vinto, non domato, dal destino, era poi morto
esule... Dante vede in Nino, pi che un amico, un fratello, perch, fra quanti vincoli stringono l'uomo
all'uomo, niuno ve ne ha di pi saldo di quello costituito da sventure virilmente patite per comuni
ideali" (Steiner),
Poi, rivolto a me, disse: Per quella particolare gratitudine che tu devi a Dio che tiene cos occulte le
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

ragioni ultime del suo operare, che non esiste possibilit per l'uomo di giungere mai a comprenderle.
quando ritornerai sulla terra, di' a Giovanna che preghi per me il cielo dove vengono esaudite le
invocazioni delle anime innocenti.
Non credo che sua madre mi ami pi, dopo che pass a seconde nozze (trasmut le bianche bende: le
vedove portavano veli bianchi su vesti nere), anche se accadr che, infelice!, debba rimpiangere il suo
primitivo stato vedovile.
Dal suo esempio facilmente si comprende quanto poco duri in una donna il fuoco dell'amore, se di
continuo non sia tenuto acceso dalla vista o dalla presenza dell'amato.
Giovanna, l'unica figlia di Nino Visconti, aveva solo nove anni nel 1300; spos poi Rizzardo da Camino, e,
rimasta vedova nel 1312, visse dal 1323 al 1339, anno della sua morte, a Firenze. La moglie di Nino fu
Beatrice d'Este, figlia di Obizzo Il, la quale nel 1300 si rispos con Galeazzo Visconti, signore di Milano,
che, dopo essere stato scacciato dalla citt nel 1302, trascorse il resto della vita in esilio fra gravi
difficolt. A queste tristi vicende alludono le parole di Nino al verso 75, anche se Beatrice, dopo la morte
del secondo marito, pot rientrare a Milano, quando il figlio Azzo riconquist la citt.
La spiritualizzazione a cui il Poeta ha saputo innalzare la prima parte del canto ottavo attraverso la
similitudine iniziale, l'intensit della preghiera corale, l'intervento di potenze sovrannaturali e l'accento
posto sul tema della amicizia, nell'incontro con Nino, prima che su altre realt terrene, attenuano la
rievocazione di motivi umani che altrimenti graverebbero sull'anima con il peso di un dolore troppo
crudo. Il mondo di l dalle larghe onde, per le lontane acque, riportatogli dall'arrivo dell'amico, per Nino
non significa l'eco di lotte politiche o di battaglie, ma la presenza di un mondo pi intimo e suo, fatto
delle immagini di persone che gli furono e gli sono ancora care. "E se anche il cuore ha una dolorosa
certezza, umanamente vuole ancora illudersi che un simile oblio non possa esser vero. Beatrice, la
moglie, non pi tale per Nino; solo la sua madre, la madre di Giovanna; eppure egli premette quel
non credo, che vorrebbe salvare un'ultima speranza, non credo che la sua madre pi m'ami. E spiega il
perch di tale oblio velando la cosa - le seconde nozze di Beatrice - in un particolare esteriore che ne
attenua la crudezza: poscia che trasmut le bianche bende, ed ha, ultimo bagliore d'una tenerezza non
sopita, un senso di piet anche per lei mutevole, fragile creatura che fa soffrire, anche dopo la morte,
soffrendo anche lei com' destino degli uomini: le quai convien che, misera!, ancor brami." (Grabher)
L'insegna del biscione intorno alla quale i Milanesi sogliono porre il campo in tempo di guerra, quando
sar scolpita sul suo sepolcro non lo render cos bello, come l'avrebbe reso il gallo di Gallura .
Lo stemma dei Visconti (una vipera con in bocca un bambino) non dar alla tomba di Beatrice quell'onore
che le avrebbe conferito l'immagine del gallo, stemma dei Visconti pisani, che indicava anche il loro
possesso del giudicato di Gallura. Varie sono le interpretazioni intorno al paragone fra i due stemmi,
perch secondo alcuni esso solo una critica al fatto che Beatrice non si mantenuta fedele al marito
morto, secondo altri si risolve in un biasimo per la donna che da una famiglia guelfa passata ad una
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

famiglia ghibellina, quale quella dei Visconti di Milano. Probabilmente Dante intende alludere all'uno e
all'altro motivo.
Cos parlava Nino, avendo impresso sul volto, quel giusto sdegno che senza eccedere gli ardeva nel cuore.
I miei occhi, avidi di novit, si volgevano con insistenza al cielo, sempre verso il polo dove le stelle girano
pi lente, allo stesso modo che i raggi di una ruota (si muovono pi lenti) nella parte pi vicina all'asse.
E la mia guida mi domand: Figliolo, che cosa quardi lassu? Io gli risposi: Guardo quelle tre piccole
luci che illuminano tutto quanto il polo antartico .
Perci egli replic: Le quattro stelle luminose che vedevi stamattina sono gi scese sotto l'orizzonte, e
queste sono salite al loro posto .
Le tre stelle che illuminano il polo antartico, simboleggiano, secondo tutti i pi antichi commentatori, le
tre virt teologali, e sostituiscono le quattro che erano apparse nel cielo del purgatorio al mattino (canto
I, verso 23), indicanti le quattro virt cardinali: le prime riguardano la vita contemplativa e perci sono
pi adatte durante la notte, le seconde la vita attiva, che si svolge durante il giorno. Meglio per
l'interpretazione proposta dal Sapegno, secondo la quale "nel punto in cui culmina la lotta dell'anima per
liberarsi da ogni legame colla terra, diventa pi urgente la necessit del soccorso delle virt
soprannaturali".
Mentre Virgilio parlava, ecco che Sordello lo attir a s dicendo: Vedi l il nostro avversario; e indic
col dito il punto dove guardare.
Dal lato dove la valletta non chiusa da alcuna sponda, c'era un serpente, simile forse a quello che diede
a Eva il frutto, causa di tante amarezze.
Il serpe maligno veniva strisciando tra l'erba e i fiori, volgendo il capo ora a destra ora a sinistra, e
leccandosi il dorso come una bestia che si liscia (con la lingua il pelo).
Non riuscii a vedere, e perci non posso dire, come spiccarono il volo i due angeli; ma vidi bene l'uno e
l'altro dopo che si furono mossi.
Al solo udire il rumore delle verdi ali che fendevano l'aria, il serpente fugg, e allora gli angeli si
voltarono, ritornando con volo concorde in alto ai loro posti di guardia.
La scena, nella quale il simbolo, come avviene in Dante nei momenti di maggiore felicit creativa, diventa
cosa viva, ha una singolare efficacia rappresentativa nel movimento sinuoso e viscido che rappresenta,
nella loro essenzialit, il corpo e il moto della mala striscia. Essa assume un ritmo drammatico
nell'irrompere rapido e improvviso dei due angeli, che si placa altrettanto improvvisamente quando, con
la stessa potenza di volo dispiegata nella discesa, risalgono alle poste, ricostituendosi nella loro imperiosa
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immobilit.
L'anima che s'era accostata al giudice Nino, quando questi l'aveva chiamata durante tutto l'assalto (degli
angeli contro il serpente) non si era per nulla distolta dal guardarmi.
Possa la grazia divina che ti guida verso l'alto, trovare nella tua libera volont tanta corrispondenza,
quanta ne occorre per salire fino alla vetta del monte smaltata di verde
cominci a dire, se hai notizie certe della Val di Magra (in Lunigiana) o dei paes vicini, dimmele, poich
un tempo io ero potente in quei luoghi.
Mi chiamai Corrado Malaspina; non sono Corrado Malaspina il vecchio, ma da lui sono disceso: alla mia
famiglia e alla sua potenza portai un amore che qui si purifica d'ogni scoria.
Corrado Malaspina il giovane, morto nel 1294, fu nipote di Corrado il vecchio, capostipite dei Malaspina
dello Spino secco, che dominarono la Lunigiana. Dante fu in Lunigiana nel 1306 (perch il suo nome
appare in un documento di tale anno, allorch dai marchesi Franceschino, Moroello e Corradino ebbe
l'incarico di porre fine ad alcune controversie con il vescovo di Luni) e fu legato da grande amicizia con
Moroello, marchese di Giovagallo, al quale indirizz l'Epistola IV.
Oh! gli dissi, non sono mai stato nei vostri paesi; ma vi pu essere un luogo in tutta Europa dove
essi non siano noti?
La fama che onora la vostra casata, esalta i signori e gli abitanti di tutta la regione, in modo tale che
viene conosciuta anche da chi non ancora passato per quei luoghi.
E vi giuro, cos possa io salire fino alla vetta del monte, che la vostra nobile famiglia continua a fregiarsi
delle virt della liberalit e della prodezza.
L'abitudine alla virt e l'indole naturale la pongono in una condizione cos privilegiata, che, per quanto la
cattiva guida del Papa e dell'Imperatore faccia deviare il mondo dalla retta via, essa sola continua nella
strada della perfezione e disprezza il male.
Ed egli: Ora va; il sole non torner sette volte in quel tratto dell'eclittica che la costellazione dell'Ariete
(con la quale il sole ora in congiunzione) copre e cavalca con tutte e quattro le zampe ripiegate (cio
non passeranno sette anni),
che questa gentile opinione (sulla mia famiglia) ti sar fissata nella mente con argomenti pi persuasivi
che non siano i discorsi della gente,
a meno che non si arresti il corso dei decreti divini.
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/ottavop.htm (7 di 8)08/12/2005 9.20.19

Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Nell'atmosfera di sospeso silenzio, seguita all'assalto del serpente, si prepara la severa grandezza
dell'ultima scena: Corrado Malaspina, che non aveva mai distolto gli occhi dal privilegiato viandante
(versi 110~111), "come a penetrare, con uno sguardo lungo, intenso e silenzioso, nelle profondit del
doloroso tempo che per quel vivente si apparecchiava" (Sacchetto), l'eletto a rappresentare, nella
"valletta fiorita", il principe ideale, l'esponente degno di quella famiglia, che, fra i grandi d'Italia e
d'Europa, si pone come quella che sola va dritta e 'l mal cammin dispregia, il nobile signore che ha
realizzato, secondo il giudizio del Sacchetto, con la esemplarit della sua vita e l'assolvimento pieno della
sua missione, il sogno generoso di Dante.
Si stacca dalla schiera dei principi raccolti nella valletta... Non lo hanno sfiorato le accuse scagliate dal
Poeta contro i mali reggitori della terra. E, durante l'assalto del serpente, apparso persino sdegnoso di
seguirne la vicenda, come a sottolineare che egli si poneva al di sopra delle suggestioni esercitate dalla
cupidigia, radice di ogni male. N ha cessato di guardare insistentemente il Poeta. E ci non tanto perch
intorno a costui fosse lo stupore del gran privilegio per cui attraversava, vivente, il regno dei morti,
quanto perch egli era colui che avrebbe, con la sua non peritura parola, celebrato nella gloria della sua
casa quelle virt che, sole, avrebbero restituito al genere umano la promessa e la certezza di un ordine
migliore." (Sacchetto) E nella profezia dell'esilio il ricordo della Val di Magra, "una delle poche regioni di
cui Dante abbia conservato un ricordo puro, senza veleno, un'acuta nostalgia, senz'ombra di
amaritudine... sopra tutto lo ha consolato, in essa, l'ospitalit schietta del nobile signore che lo ha
accolto, e della cui casa, celebrata in tutta Europa per il retto uso della borsa e della spada, c' appunto,
in questo canto, l'elogio alto e commosso" (Sacchetto). Perci il preannuncio severo e solenne dell'esilio
consolato dal dono di quella gentilezza e di quella cortesia che lo salveranno dalla disperazione.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO IX

Gi (sulla terra) l'Aurora, moglie dell'invecchiato Titone, lontana dalle braccia del suo dolce amico, stava
sorgendo (al balco d'oriente: come se fosse affacciata al balcone dell'oriente) facendosi bella;
L'Aurora rap e spos Titone (figlio di Laomedonte e fratello di Priamo), ottenendo per lui da Giove
l'immortalit. ma non l'eterna giovinezza.
la sua fronte era lucente per le stelle, disposte a formare la costellazione dello Scorpione (freddo
animale: secondo la zoologia medievale era considerato di sangue freddo) che ferisce la gente con la sua
coda;
e in purgatorio, dove eravamo, la notte aveva percorso due passi (erano passate due ore) di quelli
mediante i quali essa compie il suo itinerario nel cielo, mentre il terzo passo (la terza ora) stava
terminando il suo volo,
La notte personificata nell'immagine di una donna che cammina con passi alati, intendendo per passi le
ore, sei ascendenti fino a mezzanotte, e sei discendenti. Avendo essa ormai compiuto quasi tre dei passi
con che sale, sono circa le ventuno nel purgatorio, mentre agli antipodi, in Italia. sta sorgendo l'alba. Alla
metafora dei passi se ne aggiunge una seconda, ispirata dall'immagine mitologica delle ore alate: 'l terzo
gi chinava in giuso l'ale.
quand'io, che sentivo il peso della mia carne, vinto dal sonno, mi coricai sull'erba l dove stavamo seduti
gi tutti e cinque (Dante, Virgilio, Nino Visconti, Corrado Malaspina, Sordello).
A la seconda aurora da Dante descritta nel Purgatorio. La prima aveva tutto il colore delle cose
immaginate, in quel dolce color d'oriental zaffiro, questa, invece, pi preziosa nella scelta degli
elementi astronomici, che ne rendono anche difficile l'interpretazione. Ma se l'attenzione si rivolge
all'immagine visiva e poetica, subito le difficolt spariscono, e si comprende che, aprendo il canto con la
figura di una giovane donna che si fa bella, Dante ha voluto suggerire la gioia delle nuove verit e
bellezze di cui sta per godere: quasi un nuovo rinascere, in cui prevale il senso della dolcezza, il
sovrastare della giovinezza sulla vecchiaia, la lucentezza splendente delle stelle che sembrano gemme.
Dante ci prepara a guardare, al di l degli oggetti che ci presenta (il canto si articola dapprima intorno
alla figura dell'aurora, poi a quella dell'aquila, infine all'entrata nel purgatorio vero e proprio), a quella
verit che essi celano, al significato mistico della loro presenza, che meglio sar rilevato quando egli
chiamer i particolari dei graditi e dell'angelo ad indicare i momenti di un processo sacramentale, sotto le
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/nonop.htm (1 di 9)08/12/2005 9.23.23

Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

vesti di una simbologia liturgica.


Tuttavia la nostra fantasia pi portata a seguire l'immagine iniziale della giovane donna, di immediata
freschezza, quasi sensibile, mentre nei simboli sacramentali annota un maggior descrittivismo
intellettuale nello sforzo di non tralasciare nessuno dei molteplici significati che possono esserci
consegnati.
Nell'ora in cui vicino al mattino la rondinella comincia i suoi dolrosi lamenti, forse ricordando le sue
antiche sventure,
Dante, ispirandosi ad Ovidio (Metamorfosi VI, versi 412 sgg.), ricorda il mito di Filomela e di Progne, due
sorelle che gli dei trasformarono, rispettivamente, in usignolo e in rondine (Dante tuttavia attribuisce a
Progne la metamorfosi di Filomela e viceversa, seguendo un'altra versione della leggenda), in seguito al
banchetto imbandito da Progne al marito Tereo con la carne dei figli, per vendicarsi del tradimento di lui
con Filomela.
quando la nostra mente, pi libera dal peso della carne e meno presa dalle preoccupazioni, quasi
indovina del vero nei suoi sogni,
Secondo la concezione medievale, quando la mente umana libera dalle preoccupazioni materiali ed
meno presa dalla vita intellettiva, assecondando il cammino stravagante del sogno, ha spesso modo di
divinare il futuro con una certa rispondenza alla verit.
mi pareva in sogno di vedere un'aquila con le penne dorate librata nel cielo con le ali aperte e pronta a
calarsi;
e mi pareva di essere l (sul monte Ida) dove da Ganimede furono abbandonati i suoi (compagni di
caccia), quando fu portato nel concilio degli dei.
Ganimede, figlio di Troo, re di Troia, mentre si trovava a caccia sul monte Ida nella Troade, fu rapito da
Giove, che si era trasformato in aquila, e fu portato in cielo dove divenne coppiere nei banchetti degli dei
(Ovidio - Metamorfosi XI, verso 756).
Diverse sono le interpretazioni a proposito dell'aquila. Alcuni critici la considerano rappresentazione
dell'Impero, richiamando il fatto che anche l'aquila di Giustiniano muove il suo volo dai monti vicino a
Troia (Paradiso canto VI, verso 6), che l'aguglia discende come fulmine allo stesso modo nel quale Dante
la raffigura nella Epistola ai principi e popoli d'Italia perch accolgano Arrigo VII e in quella ai Fiorentini
che si oppongono allo stesso imperatore, e che l'imperatore Traiano in paradiso si trova l dove le anime
si dispongono a formare la figura dell'aquila (Paradiso canti XVII1-XX).
In questo caso l'aquila significher, secondo il Porena, che l'Impero in certo modo strumento anch'esso
della divina grazia nella funzione di avviare Dante alla rivelazione divina, e l'aver Dante finora parlato con
Sordello sulle lotte politiche, nonch l'essersi trovato nella valletta dei principi pacificati tra loro e
fraternamente uniti, avvalora tale tesi. Ma ci non esclude che l'aquila sia una prefigurazione di Lucia,
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

sicch mentre l'uccello rapisce Dante verso la sfera del fuoco, che sta tra la terra e il cielo della luna, la
donna lo porta di fatto alle soglie del purgatorio.
Il Mattalia osserva che le azioni dell'aquila e di Lucia sono "sincrone e parallele, ma l'una in rapporto con
l'altra; identica la direzione (verso l'alto) : evidente allegoria, ci pare, della funzione complementare dei
due magisteri: temporale (Impero) e spirituale (Chiesa) ". Alla salvazione finale l'uomo arriva aiutato attraverso le leggi - dal magistero dell'autorit imperiale: perci il Poeta accosta l'aquila a Lucia per
significare che Chiesa e Impero debbono agire concomitanti, anche se poi sotto, linea che il suggello
finale non pu che venire dalla Chiesa: infatti se l'aquila e Lucia compiono lo stesso gesto, la prima
anticipa soltanto in sogno quello che la donna attua poi nella realt, portando Dante all'entrata del
purgatorio.
Pensavo dentro di me: Forse l'aquila si cala a ferire sempre in questo luogo per abitudine, e forse non
si degna di portar su la preda con gli artigli da nessun altro luogo ..
Poi mi sembrava che, compiuti ampi giri nel cielo, si calasse gi terribile come un fulmine, e mi rapisse in
alto fino alla sfera del fuoco.
Giunti qui sembrava che ci incendiassimo; e a tal punto l'incendio, che pur era solo un sogno, mi bruci,
che fu necessario interrompere il sonno.
Non diversamente Achille si risvegli, volgendo in giro gli occhi ormai aperti senza sapere dove si
trovasse,
quando la madre (Teti) lo port via di nascosto tra le sue braccia, mentre egli dormiva, sottraendolo a
Chirone e portandolo a Sciro, da dove i Greci poi lo allontanarono (per Troia),
Secondo quanto narra Stazio (Achilleide I, versi 104 sgg.), Teti, sapendo che il figlio Achille sarebbe
morto alla guerra di Troia, mentre dormiva lo trasport dalla Tessaglia. dove era affidato al centauro
Chirone, nell'isola di Sciro. Qui Achille visse travestito da donna fra le figlie del re Licomede, finch con
un'astuzia Ulisse e Diomede non lo costrinsero a partecipare alla guerra di Troia.
da come mi rsvegliai io, alIorch il sonno si allontan dal mio volto, e impallidii, come fa un uomo
quando, per uno spavento, si sente rabbrividire.
Dante sembra sottolineare soprattutto lo stupore dell'eroe greco, onde mettere in evidenza la propria
meraviglia, e suggerire cos l'immagine di s come di un nuovo Achille, di un eroe moderno e cristiano
(secondo il Momigliano mai prima d'ora Dante stato tanto grande) disposto all'eroismo di gravi e
tormentose prove. Dove per le imprese di Achille furono compiute con le armi materiali, egli operer
invece con quelle spirituali, e soprattutto con l'umilt; tuttavia necessario ricordare che il Poeta
trasportato in alto, come prima Ganimede da parte di Giove, da un messo celeste, cio, come annota il
Lesca, in ambedue i casi la stessa divinit che innalza gli animi degli uomini alla contemplazione di s.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Cos il mito di Ganimede e l'eroismo di Achille servono di preannuncio al trasumanare del nuovo eroe,
Dante, che per rivendica anzitutto a Dio la gratuit della vocazione a tale pi alta chiamata. Il fuoco del
sogno, mirabilmente fuso con l'idea della Grazia che purifica, richiama la stessa immagine di un salire al
cielo e di un consumarsi nel fuoco (ugualmente accaduto in sogno) che all'inizio dell'opera giovanile di
Dante, nella quale egli esalta il suo amore per Beatrice, la Vita Nova (III): essa dunque qui
esplicitamente richiamata, poich anche in questo caso s'intende iniziare l'esperimentazione di una nuova
realt interiore, quella dell'azione della Grazia in noi, come una volta lo era stata quella dell'amore
umano.
Di fianco stava solo Virgilio, ed il sole era da pi di due ore gi alto sull'orizzonte (erano cio passate le
otto), e il mio sguardo era rivolto verso il mare.
La mia guida disse: Non aver paura, sta sicuro, perch noi siamo giunti ad un buon punto del nostro
viaggio: non devi indebolire, ma rinvigorire le tue forze.
Tu sei ormai giunto al purgatorio: vedi l il pendio praticabile che lo circonda tutto attorno; osserva
l'entrata dove il pendio sembra quasi interrotto.
Poco fa, durante l'alba che viene prima del giorno, quando la tua anima era insensibile alla realt del
mondo, sopra i fiori di cui quella valletta tutta ornata,
venne una donna, e disse: "Io sono Lucia: lasciatemi prendere questo uomo che dorme, cos lo aiuter
nel suo cammino".
E' la seconda volta che Santa Lucia interviene a favore di Dante (cfr. Interno canto Il, versi 100 sgg.),
sempre quale simbolo della grazia illuminante.
Rimasero l Sordello e le altre nobili anime; Lucia ti prese, e quando si fece giorno, ncominci a salire; e
io seguii i suoi passi.
Ti pos in questo luogo, ma prima i suoi begli occhi mi indicarono la fessura aperta nella roccia; poi Lucia
se ne and via assieme al tuo sonno .
Allo stesso modo in cui un uomo, prima dubbioso, si rassicura, e cambia la sua paura in fiduciosa attesa,
una volta che gli stata mostrata la verit (su ci di cui dubitava),
cos io mi mutai; e quando il mio maestro vide che io ero senza alcuna preoccupazione, si mosse su per il
pendio, ed io lo seguii verso l'alto.
Analizzando la resa poetica della prima parte del canto, si nota dapprima la prevalenza di un tono forte in una visione solenne, che ben rende lo stupore, e pi l'entusiasmo, di Dante di fronte alla grandiosit di
quanto sta per accadere - di un senso di sacralit magica che si distende nella figura dell'aquila protesa
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

nell'ampiezza dei cieli. Con l'apparizione di Lucia il tono si fa pi persuasivo, pi delicato, in una gioia
interiore che nasce dal grato ricordo dell'istante di quell'avvenimento solenne, ricordo che si tramuta in
dolcezza di parole, in freschezza di immagini: l'aprirsi di un auroraIe mondo in quell'anima che dentro
dorma. Per Dante sono infatti molte le ragioni della meraviglia allorch, svegliandosi, ha vicino ormai
solo Virgilio, mentre il sole gi alto nel cielo ed il suo sguardo rivolto verso il mare, sicch lo stesso
paesaggio, come annota il Mattalia, ha veramente una "vastit di visuale in forte contrasto con la
ristrettezza della valletta in cui si era addormentato".
Lettore, tu t'accorgi che io tratto ora un argomento pi solenne, e perci non meravigliarti se io lo
avvaloro con procedimenti artistici pi raffinati.
"Avvisa il lettore... dicendogli ch'egli innalza la materia sua... a trattare di cose autorevoli. e poi la
rincalza, cio l'addorna e vela con belle finzioni poetiche," (Anonimo Fiorentino) Questi inviti di Dante
(cfr. anche il canto VIII, versi 19-21) segnano come le tappe di un suo crescere poetico, sicch egli
annota con orgoglio questa ulteriore scelta di una tematica pi ardimentosa, secondo un procedimento
che avvalora il proprio linguaggio attraverso l'uso di scene figurative, di invenzioni allegoriche, di
suggerimenti dottrinali, di reminiscenze scritturali, per esprimere le sue progressive conquiste spirituali.
Noi ci avvicinammo (alla fessura), ed eravamo gi ad un punto, per cui l dove prima mi appariva solo
una fessura, proprio come un varco che divide le parti di un unico muro,
mi fu possibile vedere una porta, e salire fino ad essa per tre gradini sotto, diversi tra loro quanto al
colore, e un custode (un angelo) che ancora non parlava.
L'angelo portinaio non parla, sia perch la sua missione non umana, sia perch attende che sia il
peccatore, di propria spontanea volont, ad avvicinarsi. Egli sta sul pi alto dei gradini perch subito
risulti evidente l'autorit di cui investito da Dio, ed il suo volto chiaro come devono esserlo il suo
animo e la sapienza da lui posseduta.
E quando il mio occhio si fiss sempre pi attento su di lui, vidi che sedeva sul gradino pi alto, e che era
talmente splendente nel volto che io non sopportai tanta luce;
e aveva in mano una spada snudata, che rifletteva verso di noi i raggi del sole, cos che io spesso
indirizzavo invano i miei occhi verso di lui.
La spada, simbolo solitamente del potere, qui rappresenta la giustizia, che deve essere nuda, cio
schietta, senza dubbi, e lucente, perch deve risplendere come la verit. Per questo Dante, che non vi
ancora abituato, ha difficolt nel rivolgere gli occhi alla verit divina, che dalla spada traluce, e dalla
quale egli resta abbagliato.
Egli cominci a dire: Dal luogo dove siete dite: che cosa volete? e dov' colui che vi accompagna?
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

badate che il vostro salire non vi torni a danno .


L'angelo, come sacerdote, deve accertarsi che il peccatore affidi la propria redenzione non solo alla sua
buona volont, ma anche alla componente divina di ogni sacramento, in questo caso rappresentata da
Lucia come donna del ciel.
Il mio maestro gli rispose: Una donna del cielo (Lucia), esperta di queste cose, or non molto ci disse:
"Recatevi (andate) l: ivi la porta".
L'angelo cortese ricominci a parlare: Ed ella vi faccia progredire nel cammino del bene: venite dunque
fino a questi gradini .
Li raggiungemmo; ed il primo gradino era fatto di marmo bianco, cos pulito e lucente, che io potei
specchiarmi in esso proprio come appaio.
Il secondo era pi che scuro, addirittura nero, composto di una pietra non levigata ed arida, attraversata
da fessure nella sua lunghezza e larghezza.
Il terzo gradino, che si sovrappone con la massa del suo peso agli altri, mi sembrava di porfido dal color
rosso fuoco, come fosse stato sangue sgorgante da una vena.
Il primo gradino indica il primo momento della confessione, l'esame di coscienza, attraverso il quale
l'anima si guarda come in uno specchio ed appare com' in realt.
Il secondo rappresenta la confessione verbale, durante la quale il penitente riconosce i suoi peccati nella
loro gravit; ma quelle fessure, che formano una croce, indicano che tale bruttura dell'anima pu essere
spezzata dalla croce, cio dai meriti di Cristo.
Il terzo gradino spiega il terzo momento, che segue gli altri perch l'atto pi solenne della confessione:
la soddisfazione, che consiste in un movimento d'amore, da parte del peccatore, verso Dio, e
nell'applicazione dei meriti del sangue, cio del sacrificio di Cristo, che completa il gesto d'amore, sempre
limitato, del peccatore pentito.
Altri commentatori invece, pur essendo d'accordo nel considerare rappresentati in questi versi i tre
momenti del rito della confessione, vedono simboleggiata nel primo gradino la confessione orale e nel
secondo la contrizione.
Sopra quest'ultimo gradino stava saldamente appoggiato l'angelo di Dio, sedendo sulla soglia, che mi
sembrava di diamante.
L'angelo, simbolo dell'autorit della Chiesa che sanziona l'atto dei penitente, tiene i piedi sull'ultimo
gradino, cio sulla soddisfazione data dal peccatore, e ad un tempo sta seduto sopra la soglia di
diamante, simbolo della costanza nell'uso dell'autorit da parte del sacerdote, che deve svolgere il
proprio ministero con rigida giustizia, senza lasciarsi fuorviare da simpatia, da violenza, da speranza di
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ricompensa. A sua volta, il diamante, nella sua purezza, simbolo del solido fondamento su cui basata
la Chiesa, dispensatrice dell'assoluzione dei peccati.
La mia guida accompagn me, ben disposto in questo, su per i tre gradini, dicendomi: Con umilt
chiedi che si apra la serratura .
Mi gettai devotamente ai santi piedi dell'angelo: gli chiesi la grazia che mi aprisse, ma prima mi battei tre
volte il petto.
Tutta la confessione deve essere manifestazione di una volont ben precisa e di un'umilt convinta. Per
questo Dante deve chiedere che l'angelo apra, deve cio volerlo lui, e poi battersi il petto in segno di
umilt: "la prima volta per li peccati commessi nel pensiero, la seconda per li peccati prodotti con la
lingua, la terza per li peccati conseguiti con le operazioni"(Ottimo).
L'angelo mi disegn cor la punta della spada sulla fronte sette P, e aggiunse: Quando sarai dentro (il
vero purgatorio), cerca di cancellare questi segni.
Rimessi i peccati ed ottenuta la salvezza dalla dannazione eterna, rimane nell'animo la disposizione al
male, ed il debito da soddisfare nei confronti di Dio, salvezza e debito qui rappresentati dai sette P,
corrispondenti a ciascuno dei sette peccati capitali puniti nei sette gironi in cui si articola il purgatorio.
L'incisione dei P si rif a passi biblici e ad usanze dei tempi di Dante. Se il Sarolli ricorda infatti che gli
angeli dell'Apocalisse portano i sette segni e che secondo Ezechiele (IX, 3-6) i giusti di Gerusalemme, per
potere uscire salvi dalla citt, dovettero avere sulla fronte una Thau (T greca), nei documenti fiorentini
raccolti dal D'Ovidio e dal Medin, detto che i ladri erano costretti a portare una mitria cartacea con
l'iniziale di furto, cio P.
La cenere o la terra secca che sia stata appena estratta dalla cava sarebbe dello stesso colore della veste
dell'angelo; e da sotto di questa egli trasse fuori due chiavi.
Una era d'oro e l'altra d'argento: prima con la chiave d'argento e poi con quella d'oro l'angelo fece s, che
io rimanessi contento (al veder aperta la porta).
Il colore della veste dell'angelo simbolo del ministero della penitenza da lui esercitato, oppure, secondo
altri, dell'umilt necessaria per esercitarlo. La chiave d'oro indica l'autorit di Dio, senza la quale
l'assoluzione nulla, e quella d'argento la conoscenza della teologia morale e l'intuizione psicologica, cio
la sapienza umana necessaria al confessore per capire e giudicare il peccatore.
Egli ci disse: Ogni volta che una di queste chiavi fallisce nel suo compito, cos da non poter girare nella
serratura, questa porta non si apre.
L'una pi preziosa (cara: cio quella dell'autorit divina); ma l'altra (quella d'argento) esige molta
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

sapienza ed intuizione prima di riuscire ad aprire, perch essa (la chiave argentea) proprio quella che
scioglie il nodo del peccato.
Io le ho ricevute in consegna da San Pietro; ed egli mi disse di sbagliare nell'aprire (con indulgenza)
piuttosto che nel tener chiusa la porta (per eccesso di rigore), alla condizione che la gente si getti ai miei
piedi (a richieder ci con umilt.
Il passo evangelico (Matteo XVIII, 21-22), nel quale Cristo raccomanda a Pietro di peccare piuttosto in
generosit che in rigore, una volta riscontrata la buona volont dell'uomo, suggerito forse alla fantasia
di Dante anche dallo spettacolo del giubileo del 1300, con l'ampiezza delle sue indulgenze e del suo
perdono.
Poi spinse l'uscio di quella sacra porta, dicendo: Entrate; ma vi avviso che torna fuori colui che si volge
a guardare indietro .
Dante ricorda in questi versi l'episodio biblico della moglie di Lot (Genesi XIX, 26), che disubbid all'ordine
degli angeli volgendosi a guardare la citt di Sodoma, per cui fu trasformata in una statua di sale, e il
mito di Orfeo e di Euridice. Dopo la morte della moglie, Orfeo, disceso agli inferi, ottenne da Proserpina di
poterla riportare sulla terra, purch durante il cammino egli non si volgesse ad osservarla; non avendo
ubbidito al comando. Euridice gli fu tolta per sempre.
E quando gli spigoli di quella sacra porta, che sono di metallo, forti e sonori, furono volti sui cardini.
non procur un cos stridente rumore e non si mostr cos dura ad aprirsi neppure la rupe Tarpea,
quando (da Cesare) ne fu allontanato il custode, il buon Metello (per sottrarre il denaro del pubblico
erario ivi custodito), per cui in seguito rimase priva (del tesoro custodito).
Io prestai orecchio attento a quel primo rumore, e mi parve di udire Te Deum laudamus (l'inno
ambrosiano del ringraziamento) con un canto misto a quel dolce suono.
Ci che udivo mi procurava esattamente l'impressione che si prova solitamente quando si canta in coro,
quando le parole ora si capiscono ed ora no.
L'espressione cantar con organi da intendersi come composizione di pi voci umane, perch
l'organo, come strumento, non ebbe mai il compito di accompagnare le voci fino al 1500. Tale termine ha
dunque senso vocale, secondo il Casimiri, cio "voleva significare unione di due o pi voci in
consonanza". Ma al di l di questa dotta disquisizione, resta l'immagine di Dante che entra in questa
cattedrale che il monte del purgatorio, e la dolcezza di un canto che gli invade l'animo commosso. E'
una commozione diversa, per, da quella che lo aveva preso accanto a Casella (canto Il, versi 106 sgg.),
la quale era divagazione tutta umana nell'ascolto di un canto, delle cui parole comprendeva esattamente
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il significato, mentre le espressioni qui non sempre giungono ugualmente chiare alla sua mente. Tuttavia
quello che conta il loro disporsi a formare un'armonia, che Dante tenta di rendere anche nel ritmo di
quell'ultimo verso, dove i brevi vocaboli si susseguono ondeggiando, cos come importante che quel
suono, dapprima aspro, si muti poi in onda sonora d gradevole ascolto: la verit, di cui il Poeta dovr
partecipare, pu nel suo primo ascolto apparire aspra e perfino sgradevole, ma poi si muta in dolcezza di
interiore rigustamento per chi le si rivolga attento.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO X

Dopo che fummo oltre il limitare della porta, che l'amore degli uomini indirizzato male (malo amor: usato
per il male dei prossimo o per i falsi beni) fa aprire raramente, perch (tale amore) fa apparire come
buona una via sbagliata,
mi accorsi dal suono che essa si richiudeva; e se io mi fossi voltato verso di lei, quale scusa sarebbe stata
sufficiente per giustificare tale mio errore?
L'angelo infatti (canto IX, versi 131-132) aveva invitato perentoriamente Dante a non volgersi indietro.
Noi salivamo attraverso la roccia tagliata da un sentiero, che si protendeva ora a destra ora a sinistra,
cos come fa l'onda che ora fugge ed ora si avvicina alla riva.
Il mio accompagnatore cominci a dire: Qui necessario usare un po' di accortezza, accostandoci ora
da una parte, ora dall'altra alle rientranze del sentiero (al lato che si parte: per evitare le sporgenze).
Questo procedere rese corti i nostri passi, tanto che il disco diminuito (scemo: perch sono gi passati
quattro giorni dal plenilunio) della luna era giunto nuovamente all'orizzonte per tramontare,
Secondo i calcoli astronomici la luna, che ora prossima all'ultimo quarto, tramonta in purgatorio dopo
pi di quattro ore rispetto al sorgere del sole: sono perci passate le dieci del mattino.
E' questa "un'altra solinga apertura di paesaggio: quello spicchio di luna che tramonta fra le strette pareti
della roccia, quella visione tanto pi ariosa del monte che - al di l della cruna - si raccoglie e si slancia
verso il cielo, quel ripiano deserto su cui restano i due pellegrini. Il paesaggio s'intona tutto sulla nota
iniziale della luna che tramonta; e questa getta su tutto il quadro un senso mattinale di freddo, di
raccoglimento e di silenzio. Sulle tracce di questa nota ritorna quel senso di lontananza dalla terra che
uno dei temi pi insistenti e pi reconditi del Purgatorio... l'azione, Dante, i personaggi, il paesaggio,
tutto parla, esplicitamente o implicitamente, di questa infinita distanza; e forse l'infinito che insiste in
tutto il Purgatorio, senza l'appoggio di immagini o di misure, sentimentalmente e poeticamente pi
forte che quello cos spesso raffigurato o misurato nel Paradiso. Il Purgatorio tutto immerso in un'aria di
lontananza" (Momigliano).
prima che noi uscissimo fuori di quel sentiero (cruna: stretto come una cruna d'ago): ma quando ci
fummo liberati di quelle difficolt e ci trovammo in luogo aperto, in alto, dove il monte si restringe in
dentro formando un ripiano,
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/decimop.htm (1 di 7)08/12/2005 9.23.35

Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

essendo io stanco ed ambedue incerti sulla direzione da prendere, sostammo in un luogo piano privo di
gente pi che non sia una strada tracciata attraverso un deserto.
(Questo ripiano) dalla sponda esterna confinante con il vuoto, fino all'inizio dell'alta montagna che
continua a salire, misurerebbe tre volte il corpo umano (cio da cinque a sei metri);
e per quanto la mia vista poteva spaziare, sia a destra che a sinistra, la cornice mi sembrava sempre
della stessa larghezza.
I nostri piedi ancora non si erano mossi lass, quando io mi accorsi che quella fascia inferiore della
parete che era meno ripida (dritto di salita aveva manco: affinch potesse essere vista anche dai superbi
che camminano curvi),
era di marmo candido ed ornato di sculture cos perfette, che non solo Policleto, ma anche la natura l si
vedrebbe superata.
Policleto, famoso scultore greco del V secolo a.C., fu conosciuto nel Medioevo attraverso le lodi che di lui
fecero gli scrittori latini (Cicerone, Plinio, Quintiliano) e venne esaltato come l'artista che nel suo campo
seppe realizzare l'ideale supremo di perfezione. In ogni girone del purgatorio le anime, oltre a sopportare
una pena particolare dovuta al contrappasso, devono meditare intorno ad esempi che sono stati divisi da
Dante in due gruppi. Quelli della virt contraria al vizio di cui si sconta la pena in quel particolare girone,
stanno all'inizio dell'episodio a dominare artisticamente, a fissare il tono poetico di quel canto e di
quell'episodio, e quelli del vizio che, stando a chiusura, quasi sempre, dell'episodio, sono solitamente pi
fuggevoli man mano che si sale, e come sopraffatti dagli esempi delle virt immediatamente seguenti.
Tuttavia in questa prima occasione gli esempi della superbia sono tredici, quasi ad indicare quanto ancora
gravi su Dante il peso del peccato del quale egli si dichiara particolarmente colpevole.
A Ioro volta ciascun gruppo di esempi si distribuisce con identica scelta, cio viene indicato un
personaggio della Bibbia, uno della classicit, uno dei tempi moderni, poich Dante intende ricapitolare
tutta quanta la storia dell'umanit, di quella che ha atteso il Cristo e di quella che si attuata dopo la sua
venuta, perch "ugualmente sacro il valore delle due civilt", in quanto "in Roma e nella civilt pagana
ordinata dalla Provvidenza a preparare il ritorno della giustizia e della pace, si adombra il travaglio della
umanit che lungo il corso dei secoli muove alla riconquista della pienezza delle virt morali" (Sacchetto).
L'arcangelo Gabriele che scese sulla terra per annunciare la decisione divina della pace da molti anni
chiesta dagli uomini con infinite lagrime, decisione che aperse il cielo (all'umanit) dopo un cos lungo
divieto (da quando Adamo ed Eva erano stati cacciati dal paradiso terrestre),
Ma si sarebbe giurato che egli dicesse: Ave! , perch l era pure rappresentata Maria che aperse agli
uomini l'amore divino;
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/decimop.htm (2 di 7)08/12/2005 9.23.35

Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Nel primo esempio di umilt Dante presenta l'annunciazione alla Vergine (Luca I, 26-38), e di argomento
mariano saranno sempre i primi esempi di virt nei singoli gironi del purgatorio: "la Vergine si trova al
vertice della scala: prima dopo Dio, pi in alto di tutti gli uomini; ed naturale e ragionevole che,
nell'esemplificare, si segua l'ordine gerarchico: dall'alto al basso" (Mattalia).
"La figurazione plastica esprime con tanta intensit il sentimento, da suggerire anche le parole in cui
questo si traduce. Il fenomeno, che Dante sottolinea fin d'ora servendosi di quelle formule di cui anche
altrove si giova per attestare cose a prima vista incredibili, cresce da un esempio all'altro, fino al visibile
parlare del terzo, dove addirittura resa una successione di sentimenti e di corrispondenti parole, e cio
tutto lo svolgersi di un dialogo. Si passa cos a poco a poco da un'asserzione metaforica, e come tale
verisimile, ad un fatto propriamente e dichiaratamente miracoloso! (Sapegno)
e c'erano realmente impresse (o perch veramente scritte, o perch sembrava, dal movimento delle
labbra, che le stesse pronunciando) queste parole: Ecco l'ancella del Signore , proprio come la figura
del suggello si imprime nella cera.
"Il verso come figura in cera si suggella condensa tutta una serie di usanze artistiche e idee anagogiche
del Medioevo, che sfuggono al lettore moderno. Nel Medioevo la parola figura, significa anche detto,
parola, frase; si usava scrivere le lettere della cartella a destra in senso inverso, da leggere da
destra a sinistra, cio quasi sigillate in cera o viste in uno specchio, mentre la cartella di sinistra era
normale. Ma se il contemplante leggeva tutte due le cartelle da destra a sinistra, veniva a leggere Eva
invece di Ave; e questo significava... che il peccato di Eva era abolito per mezzo dell'Ave Maria, cio dalla
nascita del Redentore, idea che dirige la meditazione dell'umilt verso la grande idea centrale dei
Cristianesimo. (Gmelin)
Non guardare e meditare solo una rappresentazione disse il dolce maestro, che mi teneva dalla parte
del cuore (cio alla sinistra).
Perci io mossi gli occhi, e dietro a Maria vidi, dalla parte in cui si trovava Virgilio, colui che mi guidava,
un'altra storia intagliata nella roccia; per cui io passai oltre Virgilio, e mi avvicinai, affinch quella
raffigurazione fosse tutta spiegata davanti ai miei occhi.
L, sempre nel marmo, era intagliato il carro con i buoi, che tiravano l'arca santa, quell'arca per cui si
teme di fare qualcosa che non ci sia stata ordinata.
Durante il trasporto dell'arca, ordinato da Davide, da Baala a Get, avvenne che Oza, uno dei conducenti,
vedendo l'arca sul punto di cadere, stese la mano per sorreggerla, e fu fulminato per avere compiuto un
gesto permesso solo ai sacerdoti (11 Samuele VI, 1-7).
Davanti all'arca appariva della gente; e tutta quanta, divisa in sette schiere, (cantando) faceva dire ai
miei due sensi (udito e vista), all'uno No (se si affidava al senso dell'udito), all'altro Si, canta (se
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si affidava a quello della vista).


Allo stesso modo gli occhi ed il naso si fecero discordi nel rispondere l'uno di si (gli occhi) e l'altro di no (il
naso) rispetto al fumo dell'incenso che vi era rappresentato.
Nel bassorilievo Davide, umile salmista, stava davanti all'arca santa, con la veste rialzata mentre
danzava, e in quel gesto era nello stesso tempo pi e meno di un re.
Davide, compositore dei Salmi, con quell'umile comportamento intendeva abbassarsi davanti a Dio e
appariva pi... che re perch il suo umiliarsi lo innalzava a Dio pi della sua stessa autorit, men che re
essendo i suoi atti sconvenienti alla dignit regale.
In faccia a Davide (di contra: dall'altra parte della scultura), rappresentata ad una finestra di un gran
palazzo, Micol (figlia di Saul e prima moglie di Davide) guardava stupefatta come fa di solito una donna
sprezzante e insofferente.
Micol, per questo suo atteggiamento di fronte al gesto di Davide, fu punita con la sterilit. L'esempio di
umilt diventa anche esempio di superbia punita. Dante tuttavia unisce due episodi che si succedono in
tempi diversi, poich il secondo avvenne durante il trasporto dell'arca da Get a Gerusalemme (II Samuele
VI, 12-23).
lo mi mossi dal luogo dove mi trovavo, per guardare da vicino un'altra storia, che al di l della figura di
Micol mi attraeva con il suo bianco.
Vi era raffigurato il grande fatto glorioso del principe romano, il quale con la sua giustizia mosse papa
Gregorio Magno alla sua grande vittoria (sulla morte e sull'inferno);
La leggenda dell'intervento di papa Gregorio Magno in favore di Traiano compare per la prima volta nel
IX secolo, ricordata poi da molti scrittori e confluisce in diverse raccolte medievali di novelle. Nel
Novellino si narra: "Lo 'mperadore Traiano fu molto giustissimo signore. Andando un giorno con la sua
grande cavalleria, contra suoi nemici, una femina vedova li si fece dinanzi, e presolo per la staffa e disse:
- Messer, fammi diritto di quelli ch'a torto m'hanno morto il mio figliuolo! - E lo 'mperadore disse: - Io ti
sodisfar, quando io tornar. - Ed ella disse: Se tu non torni? - Ed elli rispose: Sodisfaratti lo mio
successore.
- E se 'l tuo successore mi vien meno, tu mi sei debitore. E, pogniamo che pure mi sodisfacesse, l'altrui
giustizia non libera la tua colpa. Bene averre al tuo successore, s'elli liberr s medesimo. - Allora lo
'mperadore smont da cavallo e fece giustizia di coloro, ch'aveano morto il figliuolo di colei. E poi cavalc
e sconfisse i suoi nemici. E dopo non molto tempo, dopo la sua morte, venne il beato San Grigoro papa
e, trovando la sua giustizia, and alla statua sua, e con lagrime l'onor di gran lode e fecelo diseppellire.
Trovaro che tutto era tornato alla terra, salvo che l'ossa e la lingua. E ci dimostrava, come era suto
[stato] giustissimo uomo e giustamente avea parlato. E Santo Grigoro or per lui, a Dio. E dicesi per
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evidente miracolo, che, per li preghi di questo santo Papa, l'anima di questo lmperadore fu liberata dalle
pene dell'inferno e andonne in vita eterna. Ed era stato pagano" (LXIX).
parlo dell'imperatore Traiano; e vicino al freno del suo cavallo era raffigurata una povera vedova in
atteggiamento di pianto e di dolore,
Lo spazio intorno a Traiano sembrava affollato e pieno di cavalieri, mentre le aquile nere in campo d'oro
visibilmente si muovevano al vento sopra la gente accalcata.
In realt le aquile delle insegne militari romane, essendo di metallo, non potevano muoversi; Dante ora
le immagina com'erano ai suoi tempi, cio raffigurate su bandiere.
La povera donna in mezzo a tanta e cos importante gente sembrava dire: Signore, fa giustizia per mio
figlio che stato ucciso, per la qual cosa sono cos addolorata .
E l'imperatore le rispondeva: Ora aspetta finch io ritorni . E la donna aggiungeva, come una persona
nella quale il dolore incalza: Mio signore,
e se tu non tornassi? E l'imperatore: Chi sar al mio posto, porter a termine la vendetta per te . Ed
ella: Il bene compiuto dagli altri che vantaggio ti dar', se trascuri di compiere il tuo dovere?.
Per cui l'imperatore: Confortati dunque; giusto che io assolva il mio dovere prima di muovermi alla
guerra: la giustizia vuole (che io mi comporti cos ) e la piet mi trattiene (dal partire prima di aver fatta
giustizia).
Dio per il quale nessuna cosa, mai nuova (perch le contempla dall'eternt) fu l'autore di queste
sculture che sembrano parlare, con un procedimento artistico che sembra agli uomini straordinario
perch non si trova nelle opere umane.
"La scultura e la pittura ritraggono il momento, non la successione degli atti: Dante invece immagina, per
virt di miracolo, impressa la successione in un solo gruppo scultorio. Questo terzo esempio dunque
assai pi straordinario degli altri due: e pare che Dante abbia voluto in certo modo rendere pi agevole
alla fantasia dei lettori questo miracolo avvicinando il pi possibile i tempi del dialogo, come a tentar di
comprimere in una sola scena gli atteggiamenti delle battute che s'incalzano: di qui la frase cos
pregnante esto visibile parlare." (Momigliano)
Mentre io godevo nel guardare le raffigurazioni di atti di cos grande umilt, che mi riuscivano care a
vedersi perch erano opera diretta di Dio,
L'arte, secondo il concetto platonico, che per il Medioevo ha ricevuto nella rielaborazione alla quale
Aristotile lo ha sottoposto, imitazione, per quanto imperfetta, della natura, che a sua volta copia
imperfetta di Dio, mentre questi bassorilievi sono prodotti direttamente da Dio e quindi partecipano della
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perfezione dell'idea divina. Dante ha certamente presente, nell'immaginare queste sculture, l'arte del suo
tempo: sulle facciate delle chiese, sui balaustri delle reggie sacre, le figure bibliche e cristiane, uscite dai
cicli dell'epopea religiosa, narravano i propri dolori e le gioie alle pene e alle speranze del popolo, in
composizioni ingenue, con forme senza ritmo di proporzioni, ma vive alla fantasia, ma benefiche al
sentimento. Sugli architravi e sugli stipiti nelle porte delle cattedrali.. le rozze sculture, raffiguranti le
opere e i giorni, insegnavano alle turbe dei villani i lavori campestri di ciascun mese per le diverse
stagioni ... Per tal modo l'arte romanica s'era appressata alla vita, rivolgendo a intendimenti didattici
specialmente le istorie bibliche ed evangeliche, scolpite nei sarcofaghi dei bassi tempi, incise negli avori,
intassellate nei mosaici, ridenti dalle carte dei libri liturgici carolingi" (Campanini).
Ma non' si dimentichi anche che Dante era sollecitato dal rinascere della scultura ai suoi tempi,
specialmente.con Andrea Pisano, e da quello della pittura con Cimabue e Giotto.
il poeta mormorava: Ecco da sinistra, molte anime, che per procedono lentamente: esse ci
indicheranno la strada per raggiungere gli alti gironi .
I miei occhi che erano appagati nell'ammirare le sculture, s'affrettarono a volgersi verso Virgilio, per
poter vedere ci che di nuovo si presentava, di cui sono sempre desiderosi.
Non voglio per, lettore, che tu ti distolga da ogni tuo buon proponimento nell'udire come Dio ha voluto
che si paghi il debito (contratto col peccato).
Tu non devi badare alla qualit della pena: devi invece pensare a ci che seguir (la succession: cio la
beatitudine dopo questo periodo di punizione); devi pensare che nella peggiore delle ipotesi, tale pena
non pu protrarsi oltre il giudizio universale.
In seguito al giudizio particolare, pronunciato dopo la morte, l'anima, se non viene condannata per
sempre all'inferno o se non ritenuta subito degna del paradiso, deve subire le pene del purgatorio, il
quale per terminer il giorno del Giudizio Universale; perci a queste punizioni il penitente, nella
peggiore delle ipotesi, dovr soggiacere fino a quel momento.
Io cominciai a dire: Maestro, quelli che io vedo muoversi verso di noi, non mi sembrano persone, e non
so che cosa siano, tanto confusa l'impressione che riceve la mia vista .
E Virgilio mi rispose: La grave condizione della loro pena li piega a terra come fossero rannicchiati, cos
che anche i miei occhi in un primo momento diedero luogo ad un contrastante giudizio (tencione: se cio
si trattasse veramente di uomini o no).
Ma guarda fissamente verso quel punto, e con la vista sforzati di distinguere ci che cammina a fatica
sotto quei massi: gi puoi scorgere che ciascuno di loro (con le ginocchia) si percuote il petto.
O superbi cristiani, poveri infelici, che, privi della capacit di ben discernere, avete fiducia solo nei vostri
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passi che (invece di farv avanzare) vi portano indietro,


non v'accorgete che noi uomini siamo come bruchi destinati a mutare! nell'angelica creatura (angelica
farfalla: cio l'anima, che partecipa della natura spirituale degli angeli), che deve volare fino alla giustizia
divina senza alcuna possibilit di riparo (sanza schermi: senza il sostegno di nessun bene umano)?
Di che s'insuperbisce il vostro animo, dal momento che siete come insetti ancora imperfetti, cos come
bruchi in cui manchi la completa formazione?
Come talvolta si vede, a sostegno del soffitto o del tetto, una figura che ad uso di mensola congiunge le
ginocchia al petto (piegata sotto quel grave carico),
la quale fa nascere in chi la vede un vero dolore per un fatto in s non vero (del non ver, in quanto solo
rappresentato); cos io, quando guardai meglio vidi quei penitenti cos piegati.
Tuttavia essi erano pi o meno piegati a seconda che avessero un peso pi o meno grave addosso; e
colui che nell'atteggiamento pareva pi rassegnato,
sembrava dire tra le lagrime: "Non ne posso pi".

2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO XI

Padre nostro, che stai nel cielo, non perch limitato da questo, ma per il maggiore amore che tu nutri
per i cieli e gli angeli (primi effetti di l su: le prime opere create d Dio),
il tuo nome e la tua potenza siano oggetto di lode da parte di tutte le creature, cos come giusto
rendere grazie al tuo amoroso spirito.
Ci sia concessa la pace del tuo regno, perch noi con le nostre sole forze, per quanto ci adoperiamo, non
possiamo pervenire ad essa, se non ci viene incontro.
Come i tuoi angeli sottomettono a te la loro volont, acclamandoti, cos siano pronti a fare gli uomini
della loro.
Donaci oggi la grazia divina, senza la quale retrocede colui che pi si sforza di procedere attraverso le
difficolt del mondo,
E come noi perdoniamo a ciascun nostro nemico il male che abbiamo ricevuto, anche tu perdona a noi
con misericordia, senza guardare i nostri meriti insufficienti.
Non mettere alla prova la nostra forza che facilmente si abbatte, con le tentazioni del demonio, ma
liberala da lui che con tanta insistenza la spnge (al male).
L'ultima parte della preghiera, o dolce Signore, non pi fatta per noi, dal momento che essa per noi
non pi necessaria, ma per coloro che abbiamo lasciato sulla terra.
Coscienza dei limiti umani e vibrante ansia dei beni superiori, non pi caduchi ma perfetti, sorreggono la
parafrasi del Pater Noster , la preghiera evangelica pi alta, che confessione di umilt del singolo
uomo di fronte a Dio e voce corale di tutta la cristianit. Un largo filone critico, a partire dal Tommaseo,
denuncia la scarsa validit poetica di queste terzine, che si dispongono come dottrinale svolgimento della
ieratica semplicit delle parole di Cristo (Matteo VI, 9-13; Luca XI, 2-4) e giustifica l'inizio del canto XI
come il prodotto di un gusto particolare del Medioevo, che amava parafrasare, in un genere Il tra
dottrinale e retorico" (Parodi), le pi conosciute preghiere biblche. Senza dubbio il commento delle
parole sacre in parte teologico - guidato dalla esatta terminologia della filosofia scolastica (circunscritto,
primi effetti) - e in parte morale - come nel dolente accenno all'aspro diserto che l'umanit deve
percorrere e ai suoi sforzi inutili (verso 15) senza l'aiuto divino - ma il rilievo in cui posto il dramma
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della debolezza umana e il confidente abbandono in Dio (versi 7-9; versi 13, 18; versi 19-21), e la
lentezza del ritmo con cui si snoda la preghiera, non canto esaltante, ma faticosa espressione che
richiama il verso finale del canto precedente, piangendo parca dicer: "Pi non posso", arricchiscono la
parafrasi di un particolare tono di poesia.
Il Fallani nota che l'aver risolto la preghiera nel ritmo della terzina, con pause efficaci, con riprese e lievi
varianti e amplificazioni, non ha sfigurato la purezza originale dell'oratio, mentre questo gruppo che espia
il suo orgoglio di fama e di gloria terrena e che per la superbia era costretto, un tempo, ad un'azione
egoistica e vana, ora con la preghiera per color che dietro noi restaro entra nel circolo vastissimo e corale
di tutto il mondo ch' allo stato di prova".
Di grande efficacia l'aver fatto recitare direttamente la preghiera dai superbi, perch le pause di
riflessione trovano cos la loro giustificazione: il rapporto fra Dio e le creature che deve essere vissuto
come rapporto fra padre e figlio, il rapporto fra gli uomini che vengono cos trasformati in fratelli, il
dovere dell'amore e il bisogno della preghiera reciproca sono realt che i superbi intendono solo ora, con
estrema chiarezza, mentre, curvati verso la terra, gemono sotto il peso del rnacigno che li doma. Per
questo, pur nel legame che impone di per s la preghiera dei Pater, "il Poeta ha saputo trovare una
cadenza ritmica solenne, quasi di salmo gregoriano, che scaturisce dalla realt vivente dei peccatori...
riguadagnati alla Grazia nella rappresentazione del loro ultimo dramma, prima della visione
beatifica" (Fallani).
L'espressione quest'ultima preghiera riferita da molti commentatori alla terzina 19: i superbi chiedono
al signor caro la grazia di assistere chi in terra ancora esposto alla tentazione, "fatti teneri della
tenerezza che il Padre ha mostrato loro, salvandoli dal pericolo estremo" (Marzot). Il Porena pi
giustamente ritiene che essa comprenda tutta l'ultima parte della preghiera (versi 13-21), in cui i
riferimenti alla vita terrena sono continui e diretti.
Cos quelle ombre innalzando una preghiera di buon augurio per s e per gli uomini, procedevano sotto il
peso dei massi, peso simile a quello che talvolta ci opprime nell'incubo di un sogno,
girando tutte intorno al monte lungo la prima cornice, travagliate in modo diverso (disparmente: secondo
la gravit del peccato) e sfinite, purificandosi delle brutture del peccato.
Se nel purgatorio pregano sempre per noi, quali preghiere e quali opere si potrebbero fare nel mondo per
le anime penitenti da parte di coloro la cui volont di suffragio nasce da un cuore in grazia di Dio?
E' giusto aiutarle a cancellare le macchie di peccato che hanno portato dal mondo, in modo che,
purificate e prive di peccato, possano salire al cielo.
Possano la giustizia e la misericordia liberarvi presto dal peso, in modo che possiate iniziare il volo, che
vi innalzi dove desiderate, (in nome di questo augurio)
indicateci da quale parte si giunge prima alla scala (che porta al secondo girone); e se esistono pi
passaggi, mostrateci quello che sale meno ripido,
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

perch questo che procede con me, a causa del peso del corpo di cui rivestito, lento nel salire, di
contro al suo desiderio.
Il centro drammatico del canto. pi che negli incontri che ne occupano la seconda parte, si risolve nelle
terzine 25-39, il cui motivo conduttore . la sofferenza delle anime, la loro serena rassegnazione e la
commossa partecipazione di Dante - non solo si dispone lungo l'arco dei tre canti dedicati ai superbi, ma
momento ricorrente in ogni altra cornice, perch da questo che nasce la poesia del Purgatorio. Essa
infatti "si muove tra i limiti di un passato, che perdura per rendere possibile il rimorso salutifero, e, il
futuro, di cui l'anima coglie qualche vivido presagio. E questi due aspetti si scontrano dentro l'anima del
penitente. che non ha una storia intermedia, su cui posi col pensiero... L'umano delle anime penitenti si
esprime o si esalta in due sospiri: uno di rimorso, uno di speranza , (Marzot). Per questo la nuova
siuazione poetica si sdoppia tra lo spettacolo di quello che l'uomo fu in terra - animoso, prode,
magnanimo - e il senso d quiete laboriosa, nell'esercizio mite della penitenza, che rintuzza ogni
aggressivit di natura e pone un sorriso nella realt della propria storia, sempre pi lontanante. I motivi
drammatici emergenti da questa disposizione interiore delle anime e dalla figurazione scenica si
ripercuotono nell'animo, di Dante - la cui umanit appare tutta in due versi (35-36) - e preparano gli
episodi seguenti.
Le parole, che risposero a quanto aveva detto la mia guida, non si cap da quale anima fossero
pronunciate;
ma si dsse: Seguiteci a destra lungo la parete, e troverete il passaggio che pu essere salito da un
vivente.
E se io non fossi impedito dal masso che piega il mio capo superbo, per cui sono costretto a tenere il viso
abbassato,
guarderei costui, che ancora vivo e non ha detto il proprio nome, per vedere se lo conosco, e per
ispirargli piet di questo peso.
Io fui italiano e fui figlio di un grande toscano: mio padre fu Guglielmo Aldobrandesco; non so se il suo
nome sia mai arrivato alle vostre orecchie.
L'anima che parla a nome dei suoi compagni di pena (le lor parole) quella di Omberto Aldobrandeschi,
figlio di Guglielmo, appartenente alla nobile famiglia ghibellina dei conti di Santaflora. Omberto fu signore
di Campagnatico. nel Grossetano, e con l'aiuto dei Fiorentini continu contro Siena le lotte iniziate dal
padre. Mori nel 1259, e intorno alla sua morte esistono due versioni: secondo la prima fu ucciso da sicari
inviati dai Senesi, secondo l'altra, pi attendibile, mor eroicamente, difendendo il suo castello contro i
Senesi. Il nome di Guglielmo, morto fra il 1253 e il 1256, riemp a lungo le cronache toscane, sia per il
suo accanimento contro Siena. sia per la sua politica incerta fra Papato e Impero.
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L'antichit della mia famiglia e le azioni illustri dei miei antenati mi resero cos superbo, che, non
pensando che unica la madre di tutti, la terra,
disprezzai a tal punto il mio prossimo, che ci fu causa della mia morte; e come essa avvenne, lo sanno i
Senesi e a Campagnatico lo sa ogni essere parlante.
Se si accetta la versione dell'assassinio, bisogna intendere che solo i Senesi che ne furono causa e gli
abitanti di Campagnatico che vi assistettero, conoscono come, cio in quale misero modo, Omberto mor.
Se si accetta la notizia della fine in battaglia, il come si riferir al coraggio con cui egl cadde.
Sono Omberto; e la superbia ha recato danno non solo a me, perch essa ha trascinato con s nel male
(in vita e dopo la morte) tutti i miei consanguinei (consorti: nel significato medievale di membri di
famiglie provenienti dallo stesso ceppo).
Ed necessario che io qui porti questo peso a causa della superbia, fin tanto che la giustizia divina abbia
ricevuto soddisfazione, qui tra i morti, dal momento che non l'ho fatto mentre ero vivo .
La caratterizzazione psicologica di Omberto Aldobrandeschi raggiunta anzitutto attraverso il suo
linguaggio aspro, difficile, continuamente spezzato dall'alzarsi improvviso della voce in un moto
dell'antica superbia (s'io non fossi... guardere'io... io fui latino... io sono Omberto... io questo peso
porti... poi ch'io nol fe') e dal suo piegarsi altrettanto improvviso in una voluta ricerca di umilt (la
cervice mia superba doma... per farlo pietoso a questa soma... non so se 'l nome suo gi mai fu vosco).
Non ironia quella che muove questo discorso, come vorrebbe il Marzot, bens Il sentimento drammatico
di una non compiuta vittoria su se stesso, di un'oscillazione lenta a risolversi fra il guerriero di un tempo,
abituato al comando, e il penitente, che sembra fare tutt'uno con la pietra che lo schiaccia contro la
terra. Non c' pi il cuore di una volta, ma, nel breve cono d'ombra che la colpa proietta dentro di lui, si
muove il superstite senso della terra, cio perdura la condizione del carattere (l'orgoglio dell'antico
sangue e delle opere leggiadre), essendo in lui ancora all'inizio quel processo di ascensione che invece
gi tanto ha eliminato del contingente presente in Oderisi e Provenzano Salvani.
Per ascoltare abbassai il viso; e una di quelle anime, non quella che parlava, si torse sotto il peso che le
opprimeva,
e mi vide e mi riconobbe e mi chiam per nome, tenendo faticosamente fissi gli occhi su di me che
procedevo con loro tutto chinato.
Oh! gli dissi, non sei Oderisi, il vanto di Gubbio e il vanto di quell'arte che a Parigi chiamata
illuminare (alluminar: miniare) ?
Oderisi (o Oderigi) da Gubbio fu un celebre miniatore. vissuto intorno alla met del '200. Alcuni
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documenti attestano la sua presenza a Bologna fra il 1268 e il 1271, e a Roma; pare abbia soggiornato
anche a Firenze. Mor nel 1299. Dante, per quanto possiamo ricavare da questi versi, l'avrebbe
conosciuto e stimato profondamente, quale principale esponente della miniatura bolognese, che in questo
periodo subiva l'influenza di quella francese. Del resto la Francia dominava allora questo campo artistico,
per cui accanto al termine italiano miniare esisteva anche la forma illuminare , coniata sul
francese enluminer, che a sua volta pare derivi dal latino alumen, allume , un materiale particolare
usato per accrescere la lucentezza dei colori adoperati dal miniatore.
Fratello , mi rispose sono pi belle le opere che dipinge il bolognese Franco: la gloria ora tutta
sua, e a me ne resta solo una parte.
Franco fu un miniatore bolognese, pi giovane di Oderisi di qualche anno; secondo il Vasari, che afferma
di aver visto molte opere miniate da lui, sarebbe stato "miglior maestro" di Oderisi. Tuttavia tanto di
Franco quanto di Oderisi non abbiamo alcuna opera che si possa loro attribuire con assoluta certezza.
Certamente, mentre ero in vita, (nell'ammettere la superiorit di un altro) non sarei stato cos generoso,
a causa del grande desiderio di eccellenza al quale il mio animo era tutto rivolto.
Qui si sconta la pena di questa superbia; e non mi troverei neppure qui (sarei ancora nell'antipurgatorio),
se non fosse che mi pentii, mentre (essendo in vita) potevo ancora peccare.
Oderisi, che rappresenta la superbia nell'arte, dopo quella della stirpe di Omberto e prima della superbia
politica di Provenzano, appare "in una condizione spirituale pi monda di scorie psicologiche e terrestri
che non Omberto Aldobrandeschi: egli meglio riuscito a sconfiggere in s i difficili e rissosi orgogli
dell'artista, e all'amichevole enfasi con cui Dante l'aveva salutato onore della sua citt e dell'arte della
miniatura egli contrappone, con libero riconoscimento, il pi luminoso sorriso delle pergamene miniate
dal suo antagonista Franco bolognese. I ricordi delle accanite lotte per la conquista del primato nella
propria arte, e la vicenda delle altre fame artistiche e letterarie, gli si sono ormai chiariti in una religiosa
filosofia della vanit. Ma una filosofia umanamente ancor patita, venata di malinconia, non
tranquillamente serena: Oderisi disserta per persuadere, oltre Dante, anche se stesso, quanto in lui
sopravvive, resistendo all'ultima e suprema liberazione spirituale, di umano e terrestre" (Mattalia).
Oh quanto vana la gloria dell'umano valore! quanto poco tempo resta rigogliosa sulla cima del suo
albero, se non seguita da un periodo di decadenza!
Cimabue credette di essere senza rivali nella pittura, ed ora di Giotto tutta la fama, cosicch la sua
oscurata:
Giovanni di Pepo, soprannominato Cimabue, nacque a Firenze nel 1240 e mor all'inizio del 1300. Inizi
l'opera di distacco della pittura italiana dalla tradizione bizantina, opera che fu continuata, con ancora
maggiore decisione, dal suo allievo, Giotto. Un antico commentatore, l'Ottimo, ripreso poi dal Vasari,
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afferma che fu "pintore... molto nobile", ma particolarmente "arrogante e... sdegnoso".


Giotto di Bondone del Colle nacque a Vespignano (vicino a Firenze) intorno al 1266 e mor nel 1337 a
Firenze, dopo un'intensa attivit, della quale le principali testimonianze si trovano oggi ad Assisi, Padova
e Firenze. Con la sua opera il rinnovamento della pittura italiana ormai un fatto compiuto.
Dopo innumerevoli studi la maggior parte dei critici d'accordo nell'ammettere fra Dante e Giotto
rapporti di amicizia e di stima.
cos Guido Cavalcanti ha strappato a Guido Guinizelli il primato nell'uso della lingua volgare; e forse
nato chi oscurer la loro fama.
Guido Guinizelli, nato a Bologna fra il 1230 e il 1240 e morto nel 1276, fu iniziatore della scuola poetica
del dolce stil novo (della quale Dante fu uno dei principali esponenti), sia per la concezione dell'amore sia
per l'uso raffinato del volgare. Dante lo loda particoIarmente nel Convivio (IV, 20, 7) e nel De Vulgari
Eloquentia (1, 9, 3; 15, 6; Il, 5, 4; 6, 6) ed esalter la sua poesia nel canto XXVI del Purgatorio.
Guido Cavalcanti, figlio di quel Cavalcante dei Cavalcanti da Dante posto nell'inferno fra gli eresiarchi
(canto X, versi 52-72), fu grande rappresentante del dolce stil novo, amico e maestro di Dante. Nato
poco prima del 1260, mor nel 1300.
L'espressione e forse nato chi l'uno e l'altro caccer del nido pare voglia alludere, secondo molti
commentatori antichi e moderni, a colui che, se pittore, oscurer la fama di Gotto (l'uno), se poeta, la
fama di Guido Cavalcanti (l'altro) : riferendo l'uno e l'altro ai due Guidi, c' da superare la difficolt del
fatto che la gloria del Guinizelli non si pu pi oscurare, dal momento che essa gi stata distrutta dal
Cavalcanti. Tuttavia pi esatto intendere, seguendo alcuni interpreti antichi, che qui Dante alluda a se
stesso, che superer in grandezza i due poeti precedenti. Questa affermazione non superba esaltazione
di s, ma consapevolezza delle proprie capacit poetiche (cfr. anche il canto XXIV del Purgatorio, versi
52-54). Tuttavia questo giudizio si svolge nell'ambito di una profonda meditazione intorno alla caducit
dei fatti e della gloria terrena, cosicch anche Dante riconosce di non potersi sottrarre alla legge del
tempo: come Cimabue, il Guinizelli e il Cavalcanti sono gi stati dimenticati, presto lo saranno anche
Giotto e lui stesso.
La gloria umana non altro che un soffio di vento, che ora spira da una parte ed ora spira dall'altra, e
cambia nome ogni volta chi cambia direzione.
Quale fama pi grande avrai, se muori vecchio, di quella che avresti se fossi morto prima.di abbandonare
il linguaggio dei bimbi (il pappo e il dind rappresentano la storpiatura infantile di Pane e moneta ),
prima che siano trascorsi mille anni? perch (mille anni) rispetto all'eternit costituiscono un periodo di
tempo pi breve di un battito di ciglia rispetto al movimento del cielo che ruota pi lentamente degli altri
(al cerchio che pi tardi in cielo torto: il cielo delle stelle fisse che impiega 360 secoli a compiere la sua
rivoluzione).
Colui che cammina a passi cos brevi davanti a me, fece risuonare del suo nome tutta la Toscana; ed ora
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a malapena ricordato a Siena,


della quale era signore quando venne distrutta la baldanza fiorentina, che a quel tempo fu superba cos
come ora avvilita.
Colui che fu sire in Siena Provenzano Salvani, che fu uno dei pi autorevoli ghibellini della Toscana, ed
ebbe nelle sue mani il governo di Siena dopo il 1260, Al concilio d Empoli, dopo la vittoria ghibellina di
Montaperti, fu tra coloro che sostennero la necessit di una distruzione totale della guelfa Firenze (cfr.
Inferno canto X, versi 91-93). Nel 1269 a Colle di Valdelsa partecip ad uno scontro fra Senesi e
Fiorentini e "fu preso e tagliatogli il capo, e per tutto il campo portato fitto in su una lancia" (VillaniGronaca VII, 31).
La vostra fama come il colore dell'erba, che appare e scompare, e viene seccata dal sole ad opera del
quale esce dalla terra ancora immatura.
La perorazione di Oderisi si inquadra perfettamente, nel concetto di tempo del mondo purgatoriale: se
nell'inferno il passato immobilizzato nell'atto del peccato, si identifica col presente. che la dannazione
derivata da quel peccato, e che si distender all'infinito senza mutamenti, nel Purgatorio il ritmo del
tempo avvertito dalle anime perch segnato dalla loro progressiva ascesa verso l'alto attraverso le
varie cornici. La loro vita spirituale in movimento continuo verso la perfezione, e il movimento
presuppone una misura oggettiva delle ore entro cui svolgersi. Solo questo tempo ha valore, perch
in rapporto con l'eternit, mentre i mill'anni della terra rivelano tutti la loro caducit attraverso il rapido
avvicendamento di luci e di ombre, che illuminano e coprono con rapidi trapassi (neppure una
generazione intercorre fra Oderisi e Franco, Cimabue e Giotto, Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti) gli
individui. Questa legge universale, che sembra dapprima affacciarsi con il vigore dell'invettiva (oh vana
gloria del'umane posse!) si svolge poi entro il ritmo solenne di una contemplazione, che trasferisce ogni,
significato ideale nelle immagini prese dalla vita della natura, l dove pi visivamente si impone il
trapassare del tempo: dalla suggestiva figura dell'albero con il suo breve e alterno verde, attraverso
quella della mobilit del fiato di vento, per concludersi con una ripresa del motivo coloristico, la vostra
nominanza color d'erba. Dove per la visione si dispiega pi commossa e fatta pi certa nelle sue
affermazioni, nell'intervento dell'etterno e del cielo: sulla ,fama, grandeggia il tempo (pria che passin
millanni) e sul tempo, l'eterno. Dagli esempi particolari di Omberto e di Oderisi, e dall'esperienza storica
d Cimabue, di Giotto, dei due Guidi, il Poeta giunge all'enunciazione di una legge universale, che
trascende anche lui. "L'alta coscienza che Dante ha di s e della sua opera resta nel fondo, inopprimibile
elemento umano; per, se egli certo si sente tanto al di sopra dei due Guidi, non osa gridare alto il suo
nome e affermare la sua gloria, perch subito il suo nome e la sua gloria sono sommersi dal valore
universale della legge umana che egli, dopo lunga meditazione, sente ed esprime con cos gravi
parole" (Grabher).
Ed io gli dissi: Le tue veraci parole mi infondono un sentimento di buona umilt, e appianano il mio
animo gonfio di grande superbia: ma chi colui del quale ora stavi parlando?
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Quello disse Provenzano Salvani; e si trova qui perch ebbe la superba presunzione di
impadronirsi di tutta Siena.
Cos curvo ha camminato e cammina. senza riposo, dal momento in cui morto: tale pena deve pagare
chi nel mondo ha troppo presunto di s.
Ed io: Se l'anima che aspetta, prima di pentirsi l'ultimo istante di vita, resta qui sotto
(nell'antipurgatorio) e non pu salire il monte
se non l'aiuta la preghiera di un cuore in grazia di Dio, prima che sia passato tanto tempo quanto visse,
per quale motivo a Provenzano fu concesso di accedere (al purgatorio vero e proprio) ?
Quando era nel momento pi glorioso della sua vita disse, messo da parte ogni sentimento di
vergogna, di sua spontanea volont si piant sulla piazza del Campo di Siena (la pi importante piazza
della citt);
e l, per liberare un suo amico dalla pena che soffriva nelle prigioni di Carlo d'Angi, si ridusse (a
mendicare) tremando (per l'umiliazione) in ogni fibra.
A Provenzano Salvani fu concesso di entrare subito nel purgatorio, senza so stare nell'antipurgatorio
come avrebbe dovuto, essendosi pentito solo in fine di vita, grazie ad un grande atto di umilt. Un suo
amico, Bartolomeo Saracini secondo alcuni, Vinea o Mimo dei Mimi, secondo altri, fatto prigioniero da
Carlo I d'Angi nella battaglia di Tagliacozzo, doveva pagare, per aver salva la vita, una taglia di
diecimila fiorini. Provenzano nel Campo di Siena cominci a chiedere l'elemosina ai suoi concittadini, "non
sforzando alcuno, ma umilmente domandando aiuto" (Ottimo), finch raggiunse la somma necessaria.per
liberare l'amico.
Non ti dir altre cose, e so che le mie parole sono oscure; ma passer poco tempo, che i tuoi concittadini
ti metteranno in condizione di poter in terpretare le mie parole.
Questa azione gli evit la sosta nel l'antipurgatorio (li tolse que confini).
L'artista colorito, elegante nei modi, di gentile malinconia nel parlare della ricerca affannosa della fama,
diventa pieno di eloquenza ammirativa nel presentare la figura di Provenzano Salvani, la sua fierezza
partigiana, la volont eroica che lo pieg liberamente a mendicare per l'amico: "C'era, dunque, in quel
superbo, qualcosa oltre la superbia, qualcosa di cos energico da sottomettere la superbia stessa: trionfo
della bont umana tra i pi forti impedimenti, che sono quelli interiori, e perci, in quanto drammatico,
tanto pi significante della forza incoercibile di essa" (Croce). Provenzano non parla, annientato quasi
sotto il masso che lo costringe a prendere del cammin s poco, antitesi amarissima con la sua vita di sire
di un tempo: per questo pi facilmente la sua apparizione si trasforma in autoritratto di Dante, o
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definizione autobiografica attraverso l'incontro con una creatura sorella, portando a compimento quel
processo di identificazione con la sorte dei superbi da Dante iniziato procedendo tutto chin con loro.
Nell'atto di Provenzano, quando " la carne stessa che trema, la sua persona che s'impietra, tutto il suo
essere che si capovolge nell'imperio audace, e finalmente vittorioso, sopra, di s" (ApolIonio), riassunta
la storia dell'esilio di Dante, che Oderisi rivela con quel verbo chiosare , che si conficca alla fine del
verso con la stessa potenza del tremar per ogni vena.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO XII

Io camminavo con Oderisi oppresso dal peso, curvo come lui, come procedono i buoi aggiogati, finch lo
permise il mio dolce maestro;
ma quando disse: Lascia i superbi e procedi oltre, perch nel purgatorio necessario che ciascuno,
quanto pi pu, con ogni mezzo porti avanti la sua barca (cio il suo cammino),
mi raddrizzai nella persona cos come si deve fare per camminare, sebbene i miei pensieri continuassero
a restare umili e privi del turgore della superbia.
Io mi ero incamminato, e seguivo con gioia i passi della mia guida, ed entrambi gi mostravamo
(camminando spediti) quanto eravamo privi di ogni peso;
ed egli mi disse: Abbassa gli occhi a terra: ti sar utile, per distrarti dalla fatica del cammino, osservare
il pavimento sul quale appoggi i piedi ,
La nota altamente umana e pensosamente soggettiva con la quale si era chiuso il canto precedente si
dispiega lungo tutto l'arco di questi quindici versI, nei quali in evidenza il personaggio lirico-drammatico
di Dante. Ha fatto propria la sofferenza dei superbi fino ad accettare lo stesso modo di procedere (come
buoi che vanno a giogo), la sua meditazione continua a svolgersi ansiosamente intorno alla necessit
dell'umilt (avvegna che i pensieri mi rimanessero e chinati e scemi), per approfondirsi ulteriormente in
quel volgi li occhi in gi e, con un significativo moto progrediente dall'astrattezza di una dimensione
interiore - i pensieri - alla concretezza di una proiezione esteriore - lo letto delle piante tue - che inserisce
subito il lettore nella linea del canto, dove il tono morale non diviene sentenza o discussione retorica, ma
si trasforma in evidenza di esempi. Dante dunque sar costantemente attore in questo canto, nel
quale ha volutamente eliminato ogni incontro con anime penitenti, affermando fin dall'inizio, lascia loro e
varca; far riaffiorare, nel silenzio profondo della cornice, le immagini di luoghi familiari, le chiese con le
tombe terragne e le scalee per salire da Firenze a San Miniato; diventer, "fattosi in margine e come
sulla soglia tra il mondo dei vivi e quello dei morti... l'oratore che nei versi or superbite, e via col viso
altero, fIglioli d'Eva assale veemente e con fiera ironia" (Marzot), ma soprattutto proceder da solo sopra
quegli esempi di superbia punita, attirer a s, a proprio tormento e contrizione, quei quadri: non la
schiera dei superbi, ma uno solo, Dante, di fronte allo spettacolo di un male che si distende nel tempo fIn
dalle origini. Il canto, chiuso in un giudizio negativo da parte di molti critici a causa della parte centrale
(versi 25-69), ha invece, come ogni altro, "una sua fisionomia ed una sua unit di tono morale e di modi
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

espressivi, gli uni e gli altri informati ed incentrati sul valore dell'umilt, sulla rinuncia ad ogni atto di
passione scomposta, sulla celebrazione di un rito dinanzi alla prima ascesa. Cosa nuova certo aver
realizzato questo stato d'animo senza ricorso al colloquio. al modi gesticolati, all'usata abilit ritrattistica,
ma se mai affrontando il pi difficile compito di smuovere le cose e farle parlare... Ne viene fuori un
canto altamente impegnato, gravemente mosso, dantesco e medievale in ogni sua parte" (Vallone).
Come le pietre sepolcrali a livello del suolo, per ricordare i morti, recano effigiato quello che il sepolto era
prima di morire,
per cui l si torna spesso a piangerlo per la fitta dolorosa del ricordo, il quale per fa soffrire (d delle
calcagne: come il cavaliere pungola il cavallo con il calcagno che porta lo sprone) solo gli animi pietosi,
allo stesso modo io potei l osservare coperto di sculture, ma con un migliore risultato rispetto
all'esecuzione artistica, tutto il piano che sporge dal monte per servire da strada.
Nei tre canti dedicati ai superbi, il Poeta ha dapprima descritto la loro pena, poi le immagini di umilt che
essi devono meditare (come stimolo a praticare questa virt), in un terzo momento li ha uniti nella
preghiera corale del Pater Noster (per riconoscere come unica gloria quella di Dio), infine riporta
davanti a loro le immagini del male (come freno, nato dal timore, per non ricadere nel peccato). Ma
Dante deve osservare gli esempi di superbia punita per tranquillar la via: non per godere del male l
raffigurato, ma per avvertire la distanza tra il suo spirito, ormai pronto e forte, e lo spettacolo del vizio
superato, poich, osserva il Marzot, dinanzi ai quadri della superbia punita torna la situazione del
pellegrino nei cerchi infernali, con la differenza, per, che c' tra la rappresentazione diretta della colpa,
che fa guerra ai sentimenti e li turba, e la visione di essi, rifatta coi mezzi dell'arte, che d alla materia,
anche triste, una specie di superiore diletto. Senza dubbio l'aver trasferito il peccato dalla materia
vivente della creatura umana al marmo del monte, anche se con visibile parlare, accentua il distacco e la
superiorit morale da Dante raggiunta, ma indubbiamente eccessivo quanto afferma il Croce, e, sulla
sua linea, in parte il Marzot, riguardo a una potenza catartica del bello - del resto lontana dalla dottrina
estetica del Medioevo - per cui risulterebbe, pi che un insegnamento morale, un'ammirazione per l'arte
trionfatrice che, sciogliendosi da ogni materialit e da ogni possibile riflessione, si fa linea, ombra, colore,
odore, suono. Se il Poeta si compiace di un proposito d'arte raffinata (da lui stesso dichiarato nei versi 2223 e 64-68), di una prova di bravura nella ricerca di simmetria e di richiami, l'ordito si viene svolgendo
attraverso un commento morale e ricco di sentimento, e si risolve in una tecnica formalmente perfetta
perch cosciente dei suo effetto didascalico.
Vedevo da una parte della via Lucifero, che fu creato pi perfetto di ogni altra creatura, precipitare dal
cielo come una folgore.
Il primo esempio di superbia punita rappresenta Lucifero che, dopo la sua ribellione, viene precipitato dal
cielo, "come folgore" secondo la stessa espressione del vangelo di Luca (X, 18).
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Vedevo dall'altra parte Briareo, trafitto dalla freccia divina, giacere, gravando sulla terra con il suo corpo
senza vita.
Briareo il gigante dalle cento braccia (Inferno XXXI, 98) che partecip con i Titani al tentativo di
rovesciare Giove dall'Olimpo e che, come gli altri, fu trafitto dalla saetta degli dei.
Vedevo Timbreo, vedevo Pallade e Marte, ancora con le armi in mano, guardare, stando intorno a Giove,
i corpi dei giganti sparsi sul campo di battaglia.
Timbreo il nome con cui veniva indicato Apollo, dalla citt di Timbra (nella Troade), dove sorgeva un
tempio a lui dedicato. Ora, insieme a Pallade Atena e Marte, osserva il campo di Flegra, dove appena
terminata la battaglia contro i Titani.
Vedevo Nembrot stare come smarrito ai piedi della grande torre, e osservare coloro che a Sennaar
ebbero la sua stessa superbia.
Nembrot, da Dante gi presentato nell'Inferno (canto XXXI, versi 58-81), il biblico cacciatore
responsabile dei tentativo di costruzione della torre di Babele nella pianura di Sennaar (Genesi X, 8-9; XI,
1-9).
O Niobe, con quali occhi pieni di dolore io ti vedevo raffigurata sulla via, tra i tuoi quattordici figli morti!
Il quinto esempio di superbia punita ispirato dalle Metamorfos di Ovidio (VI, versi 146-312). Niobe,
moglie di Anfione, re di Tebe, si vant dei suoi quattordici figli (sette maschi e sette femmine) di fronte a
Latona, madre di due soli figli, Apollo e Diana, i quali vendicarono la madre uccidendo i quattordici
giovani, mentre Niobe venne trasformata in una statua.
O Saul, come qui apparivi morto, ucciso dalla tua stessa spada a Gelbo, che dopo questo fatto non ebbe
pi il dono della pioggia e della rugiada!
Saul, primo re d'Israele, a causa della sua superbia fu abbandonato da Dio e, sconfitto dai Filistei, si
uccise gettandosi sulla sua spada sul monte Gelbo (I Samuele XXXI, 1-4). Contro il monte, Davide,
piangendo la morte di Saul, scagli la maledizione: "O monti di Gelbo, n rugiada, n pioggia non cada
pi su di voi, o monti fatali!" (Il Samuele I, 21).
O folle Aracne, cos io ti vedevo g diventata ragno per met, (giacere) angosciata sui resti della tela che
era stata da te tessuta per il tuo male.
Ancora una volta Ovidio offre il tema della leggenda (Metamorfosi VI, versi 5-145), che Dante gi ha
ricordato nel canto XVII dell'Inferno (verso 18).
Aracne, una tessitrice della Lidia, orgogliosa per la sua abilit, os sfidare Minerva, e, vinta, fu
trasformata in ragno.
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O Roboamo, davvero qui la tua figura non sembra pi minacciare; ma un carro la trasporta piena di
spavento, senza che alcuno la insegua.
Roboamo fu uno dei figli d Salomone e suo successore; con la sua prepotenza e la sua severit provoc
la rvolta del popolo, che lo costrinse ad abbandonare Gerusalemine (I Re XII)
Il pavimento di marmo mostrava ancora come Almeone fece sembrare pagata a caro prezzo (perch
pagata con la morte) a sua madre la infausta collana.
Almeone uccise la madre Erifile per vendicare l'uccisione del padre Anfiarao. Quest'ultimo, avendo
presagito, come indovino, la sua morte durante la guerra di Tebe, si era nascosto, ma Erifile, corrotta col
dono di una preziosa collana, svel il suo nascondiglio e Anfiarao, costretto a prendere parte alla guerra,
vi trov la morte. Il peccato di Erifile non peccato di vanit, ma di superbia, poich il monile di cui
voleva impadronirsi era di origine divina, essendo stato fabbricato da Vulcano; per esso fu sventurato,
perch chi lo possedette (Giocasta, Semele, Argia) incontr sempre una fine infausta.
Mostrava come i figli si gettarono su Sennacherib all'interno del tempio, e come lo abbandonarono l
morto.
Sennacherib, re degli Assiri, mosse guerra agli Ebrei, oltraggiandone il re Ezechia; per punizione il suo
esercito venne distrutto e Sennacherib, ritornato a Ninive, fu ucciso dai suoi figli durante una funzione
religiosa (II Re XVIII, 13-37; XIX, 1-37; Isaia XXXVI; XXXVII, 1-38).
Mostrava la strage dell'esercito e il crudele scempio del cadavere di Ciro che fece Tamiri, quando gli
disse: Fosti assetato di sangue, ed io ti sazio di sangue .
Tamiri, regina degli Sciti, dichiar guerra a Ciro, re di Persia, poich le aveva ucciso il figlio che aveva
fatto prigioniero. Sconfitti i Persiani e impadronitasi del re, Tamiri lo fece decapitare e ne gett la testa in
un otre pieno di sangue umano (Orosio - Adversus Paganos Il, 7, 6).
Mostrava come gli Assiri fuggirono sconfitti, dopo la morte di Oloferne, e (mostrava) anche i resti dello
scempio fatto (relquie del martiro: cio il cadavere decapitato di Oloferne).
Oloferne, a capo dell'esercito assiro, assediava Betulia, citt della Giudea, allorch venne ucciso da una
donna del luogo, Giuditta; dopo tale fatto il suo esercito si ritir in fuga disordinata (Giuditta VII, 1-3;
VIII-XV).
Vedevo Troia ridotta in cenere e in rovine: o rocca di Ilio, come ti presentava distrutta e degna di
derisione la raffigurazione che l si vedeva!
Come ultimo esempio di superbia punita, Dante ricorda la distruzione di Troia e del suoi orgogliosi
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

cittadini, ripetendo un giudizio che era stato dato da Virgilio (Eneide III, 2-3).
Gli esempi di superbia punita sono tredici, uno per terzina, con un'alternanza quasi perfetta di esempi
biblici e classici, poich ogni momento della storia, senza distinzione fra mito e realt, si offre come utile
esempio. L'organizzazione dell'insieme grandiosa e la corrispondenza dei particolari precisa, secondo un
tipo di cultura e un gusto d'arte, resistenti al giudizio estetico moderno, ma caratteristici del Medioevo,
per il quale la ricerca di struttura era espressione di una suprema chiarezza mentale e la poesia si
qualificava come "invenzione elaborata secondo retorica e musica" (De Vulgari Eloquentia Il, VI, 2), cio
manifestazione di un gusto dello "ornato".
L'ordinamento strutturale e sintattico di questa parte divide le terzine in tre gruppi di quattro terzine
ciascuno: quelle del primo gruppo iniziano con vedea, quelle del secondo con o seguita (tranne che nel
terzo esempio) da un nome proprio, quelle del terzo con mostrava, finch la terzina 61-63 ripete le tre
formule all'inizio dei suoi versi. Si forma in tal modo un'acrostico (gli acrostici sono comunissimi nella
poesia medievale e ne avremo altri esempi nel Purgatorio e nel Paradiso) : VOM, cio UOM (poich la V
corrisponde alla U secondo la grafia del tempo), essendo l'uomo in questo momento sigla e sintesi di folle
superbia. A questi tre gruppi di terzine corrisponderebbero, secondo il Parodi, tre categorie di superbi: i
colpevoli contro la divinit, i colpevoli contro se stessi, i colpevoli contro il prossimo; i primi puniti da Dio,
i secondi dal loro rimorso, i terzi dai loro nemici, mentre la terzina finale dedicata a Troia riassumerebbe
quelle tre classi di peccato. Secondo il Medin, il Barbi-Casini e il Porena, gli esempi sarebbero dodici
(essendo unico quello di Briareo e dei giganti), sei biblici e sei mitici. Il Marzot ritiene invece che le
immagini siano, allineate in due serie - una ebraica e una pagana - ai lati della via e abbinate secondo la
linea orizzontale e verticale: cos nei primi quattro specchi, a sinistra e a destra, ci sarebbero gli
attentatori della sovranit divina (Lucifero e Nembrot, Briareo e i giganti); nei secondi i denigratori della
legge civile e degli dei (Saul e Roboamo, Niobe e Aracne); nel terzo quelli che fecero violenza agli altri
per cupidigia (Sennacherib e Oloferne, Erifile e Ciro). Per il Vallone i gruppi sono quattro: Lucifero,
Nembrot e Saul sono i superbi contro la divinit; Roboamo, Sennacherib e Oloferne i superbi contro i
simili, gli uni e gli altri tratti dalla Bibbia; Briareo con i giganti, Niobe e Aracne i superbi contro la divinit;
Almeone, Tamiri e Troia i superbi contro i simili, gli uni e gli altri tratti dai miti.
Quale pittore o quale disegnatore ci fu mai che sapesse ritrarre l'aspetto e i contorni delle figure, che in
quelle immagini desterebbero l'ammirazione anche dell'intenditore pi raffinato?
I morti apparivano veramente morti e i vivi veramente vivi: colui che vide realmente quei fatti non vide
meglio di me tutto quanto io calcai con i miei piedi, finch procedetti a capo chino.
L'acrostico costringe l'ispirazione del Poeta entro il breve spazio di una terzina, ma in ciascuna ricorre il
motivo che la lega alle altre e all'impostazone del canto: la realt del bene che vince il male e della
giustizia che si oppone alla violenza. "Quello che qui domina la solitudine, la devastazione, il silenzio. I
protagonisti sono dei vinti. Il loro potere un segno del passato. Il loro presente una rovina. Ma non
urlano, non s'innalzano pieni d'ira e d'orgoglio. Giacciono umiliati, scoperti in ogni loro errore,
tremendamente soli con il loro destino" (Vallone), ma sottoposti ad un diverso giudizio da parte di Dante,
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

che flagella con forza epica i quadri della prima e della terza serie, perch la colpa dei protagonisti si
ripercossa, con tracce dolorose e fatali, sulla storia e sulla natura, mentre il suo sguardo si ferma pi
compassionevole, o almeno, meno ferocemente irridente, su quelli della serie mediana, dove la creatura
umana pi sventurata che colpevole, traviata dalla debolezza e dall'ambizione, pi che dalla deliberata
coscienza di compiere il male.
Tutti i quadri, tuttavia, sono di una grandissima evidenza figurativa, perch vengono dalla fantasia del
Poeta fissati nel momento culminante del dramma. Lucifero visto folgoreggiando scender, i giganti con
le membra sparte, Nembrot smarrito, Niobe con occhi dolenti, Saul su la propria spada, Aracne trista,
Roboamo pien di spavento, Troia in cenere e in caverne.
Ora insuperbitevi, e continuate pure a camminare a testa alta, o figli d'Eva, e cercate di non meditare in
modo da vedere la strada sbagliata che seguite!
Avevamo gi percorso una parte del monte e avevamo speso una parte di tempo pi grandi di quanto
pensasse il mio animo intento (ad osservare i bassorilievi),
quando Virgilio che procedeva attento a guardare sempre davanti a s, disse: Solleva il capo; non
bisogna pi camminare cos assorto.
Osserva da quella parte un angelo che si accinge a venire verso di noi; vedi che l'ora sesta se ne torna
dopo aver prestato il suo servizio al giorno.
La mitologia classica personificava le ore, presentandole come ancelle al servizio del carro del sole
(Ovidio - Metamorfosi Il, versi 118 sgg.). Dante con l'espressione dei versi 80-81 vuole indicare che gi
trascorso il mezzogiorno e che si fermato nella prima cornice circa due ore.
Prepara il tuo volto e il tuo atteggiamento a un sentimento di riverenza, in modo che all'angelo piaccia
permetterci di salire; pensa che questo tempo non torner pi!
Io ero talmente abituato ai suoi continui ammonimenti intorno alla necessit di non perdere il tempo, che
su questo argomento non mi poteva pi parlare in modo oscuro.
Veniva verso di noi la bella creatura, vestita di bianco e (cosi splendente) nel volto come appare
scintifiando la stella del mattino (Venere).
Aperse le braccia, e poi aperse le ali: disse: Venite: qui vicino ci sono i gradini della scala, e ormai si
pu salire facilmente (dopo aver eliminato il peccato della superbia) .
La voce pacata di Virgilio orienta l'animo di Dante, che pareva essersi fermato alla dura apostrofe contro i
superbi del mondo, ad una nuova disposizione, psicologica e stilistica, che si conclude con un richiamo
solenne all'importanza dell'ora: pensa che questo d mai non raggiorna! L'apparizione dell'angelo nella
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

pienezza del fulgore del giorno consacra l'istante pi solenne del cammino di Dante nel purgatorio,
perch viene liberato dal primo peccato, che anche la fonte di tutti gli altri, e coincide con il momento
pi alato del canto, "ove il riso delle poche cose che formano l'angelo - un candore di veste, un moto di
braccia a tempo con un moto d'ale; un volto che il Poeta non pu descrivere, e rimanda al puro tremolio
di stella mattutina - avvolge l'animo di Dante nel mistero gaudioso del Paradiso. Non c' nulla di
veramente descritto, poich ogni tratto che passa per gli occhi musicalmente fuso nell'idea di bellezza;
e quel movimento modulato rivela, da una lontananza profonda, l'idea della bont paterna che accoglie il
cuore pentito" (Marzot).
Pochissime anime rispondono a questo invito: o uomini, creati per volare in alto, perch vi abbattete cos
anche davanti a poche tentazioni?
Ci condusse dove la roccia presentava un passaggio: qui batt con le ali la mia fronte; poi mi promise
che il cammino sarebbe stato libero da impedimenti.
Con il suo gesto l'angelo cancella dalla fronte di Dante il primo dei sette P che gli erano stati impressi alla
porta del purgatorio: scompare cos il primo peccato, quello della superbia (base e fonte di tutti gli altri),
e di ci Dante si accorger durante la salita al secondo girone (versi 116 sgg.).
Come dalla parte destra, per salire al monte dove si trova la chiesa che domina Firenze (la ben guidata:
detto in senso ironico) dalla parte del ponte di Rubaconte,
l'ardito slancio della salita viene interrotto per mezzo di una scalinata che si fece in un tempo in cui i
registri pubblici e le pubbliche misure di capacit non venivano falsificati,
La ripidit della scala tagliata nella roccia ricorda a Dante quella della scalinata che da Firenze portava
alla chiesa di San Miniato al Monte dalla parte del ponte di Rubaconte, chiamato poi ponte delle Grazie, il
quale doveva il suo primo nome al fatto che la sua costruzione era stata iniziata nel 1237 sotto il podest
Rubaconte di Mondello. Riaffiora nel cuore di Dante un motivo polemico contro la sua citt, alla quale ha
gi diretto l'espressione ironica la ben guidata, e contro la sua corruzione, di cui ricorda due episodi. Dei
primo fu protagonista Nicola Acciaioli, priore nel bimestre 15 agosto~15 ottobre 1299, il quale fece
scomparire in quel periodo alcuni atti o quaderni giudiziari dai documenti di un processo a carico del
podest Monfiorito da Padova (cfr. Compagni - Cronaca I, 19).
Nel secondo fatto, avvenuto nel 1283, un certo Donato dei Chiaramontesi, incaricato della vendita del
sale alla cittadinanza, riceveva il sale secondo misure regolari di staio, e lo metteva in commercio dopo
aver tolto per ogni staio una doga, facendo quindi diventare pi piccola la misura, per rivendere la parte
restante per conto proprio. Alla fine venne scoperto e condannato.
allo stesso modo diventa pi agevole il pendio che qui scende ripidissimo dal girone superiore; ma (la
scala cos stretta che) dall'una e dall'altra parte l'alta parete rocciosa sfiora (chi sale).
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Mentre noi ci volgevamo verso quella scala, una voce cant Beati i poveri in spirito! con tale
dolcezza, che non si potrebbe esprirnerla con nessuna parola umana.
Le parole e il gesto dell'angelo, accompagnati dal dolente commento di Dante (versi 94-96), hanno
compiuto uno dei tanti riti liturgici del Purgatorio, il rito dell'assoluzione, dopo l'impositio (imposizione)
dell'angelo portiere e l'executio (esecuzione) espiatoria, ma la conclusione in quella voce misteriosa che
sorge improvvisa, e, all'epilogo della narrazione, si staglia vigorosamente nell'atmosfera trepidante delle
anime e l rimane a lungo, oggetto di riflessione, iniziando il canto delle beatitudini che accompagner
Dante verso il mondo delle anime sante. La prima delle beatitudini evangeliche (Matteo V, 3) deve essere
intesa come esortazione all'umilt e al disprezzo dei beni terreni. Poich in tutti gli altri gironi sar
sempre un angelo a cantare le beatitudini, non c' motivo per pensare che qui cantino i penitenti o pi
angeli: voci solo "un plurale meramente stilistico" (D'Ovidio).
Ah quanto sono diverse queste entrate da quelle infernali! perch in queste si procede accompagnati da
canti, e in quelle da gemiti di dolore e di ira.
Gi noi stavamo salendo lungo i santi gradini, e mi pareva di essere molto pi leggiero di quanto non mi
sembrava (di esserlo) prima nella parte piana del girone.
Per questo dissi: Maestro, spiegami, quale peso mi stato tolto, che quasi non avverto alcuna fatica,
mentre procedo?
Rispose: Quando i P che sono rimasti ancora sulla tua fronte, anche se quasi svaniti, saranno
completamente cancellati come (lo stato) il primo,
i tuoi piedi saranno cos guidati dalla tua buona volont, che non solo non sentiranno pi fatica, ma sar
per loro una gioia essere spinti a salire ,
Allora mi comportai come coloro che camminano portando in testa qualcosa senza saperlo, finch i gesti
degli altri li mettono in sospetto;
per cui la mano si sforza di accertarlo, e cerca e trova e compie la funzione che non si pu esercitare con
la vista;
e con le dita della mano destra allargate costatai che erano solo sei i segni che l'angelo portiere mi aveva
inciso sulla fronte:
Chiude il canto un particolare realistico, un quadretto di sorridente mimica, nel quale si dissolve la
tensione via via accumulatasi nella drammatica raffigurazione della superbia: non momento inutile, ma
elemento strutturalmente importante, perch riporta il lettore, con un frammento umano e familiare, alla
disposizione serena e pacata del Purgatorio. Ci piace osservare Dante che, ancora incredulo dell'azione
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

della Grazia in lui, ne va cercando il segno visibile e Virgilio sorride di quest'ultima debolezza, e sorride
anche il lettore nel trovare il Poeta pronto a mettere in rilievo la propria comica ingenuit.
Virgilio sorrise vedendo il mio gesto.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO XIII

Eravamo giunti al termine della scala (che porta al secondo girone), dove viene tagliato per la seconda
volta il monte che purifica dal male chi lo ascende
l una (seconda) cornice cinge tutt'intorno il monte, cos come la prima; salvo che la sua curvatura
(poich la montagna si restringe man mano verso l'alto) pi stretta.
Qui non appaiono anime n figurazioni scolpite; si mostrano la parete e il piano nudo e liscio col colore
livido della pietra.
Il sorriso di Virgilio, con cui si era chiuso il canto XII, pare continuare durante il percorso dal primo al
secondo girone, assecondando la raggiunta serenit del suo discepolo (canto XII, versi 115-120), mentre
lo sguardo si distende tranquillo sulla cornice che lega dintorno il poggio: un inizio lento e solenne, con
un calcolato richiamo all'apertura del canto precedente, che doveva anticipare anch'essa il senso di
misteriosi eventi. In un secondo tempo, poich ombra non li n segno che si paia, nei poeti ritorna il
tremore della solitudine che avevamo avvertito nel lito diserto, e i loro occhi, abituati al bianco fulgore
del marmo della cornice precedente e al movimento, per quanto lento, dei superbi, vengono quasi legati
al livido color della petraia, che grava ossessionante su un paesaggio rozzo, uniforme, desolato, che si
oppone con il suo squallore allo stato d'animo gioioso dei due pellegrini. Il Poeta, in queste tre terzine, ha
gi tradotto l'atmosfera spirituale e poetica del canto, che si definir in una concreta individuazione di
particolari - nella descrizione della natura, nella ricerca delle similitudini, nella raffigurazione degli
invidiosi, nel ricordo di avvenimenti storico-politici - e in uno scoperto desiderio di trascendere quegli
umani particolari: un gioco dialettico di due momenti in una sapiente alternanza, che continuer anche
nell'unico personaggio del canto, in Sapia, rendendolo "uno dei pi complessi e delicati impasti di ritratto
della Divina Commedia" (Momigliano).
Se qui aspettiamo le anime per chiedere informazioni osservava Virgilio, io temo che forse la nostra
scelta della via tarder troppo.
Poi rivolse intento lo sguardo verso il sole; (per volgersi a destra dove si trovava il sole, essendo gi
passato mezzogiorno) fece perno sul suo fianco destro, e fece girare il fianco sinistro.
O dolce luce nella quale fidando io procedo nella nuova strada, guidaci diceva Virgilio come
necessario guidare in questo girone.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Tu riscaldi il mondo, tu risplendi sopra di esso: se un altro motivo non spinge a seguire una via contraria,
i tuoi raggi devono essere sempre di guida.
La preghiera che Virgilio innalza al sole un'invocazione della Grazia divina, secondo molti commentatori
antichi, una preghiera rivolta alla ragione naturale, che la guida abituale dell'uomo finch non
interviene la sovrannaturalit della Grazia, secondo quasi tutti i commentatori moderni. Tuttavia chi
legge ricorda con sforzo il sottinteso allegorico, essendo la sua attenzione tutta presa da quell'inno al
sole trasferito dal mondo pagano a quello cristiano, da quell'immagine vastissima di luce sospesa sopra
il inondo che "scalda" e "illumina", la quale, pi che ricordare il dolce color d'oriental zaffiro, dove l'animo
si abbandonava a un puro godimento estetico, impregnata dello stesso sentimento di profondo amore
verso il creato che regge nel Cantico delle Creature di San Francesco l'inno di lode al sole: "Laudato sie,
mi signore, cum tucte le tue creature spetialmente messor lo frate sole, lo quale iorna, et allumini per
lui; et ellu bellu e radiante cum grande splendore; de te, altissimo, porta significatione".
Avevamo gi percorso nel girone tanto spazio, quanto nel mondo si calcola per un miglio, in breve
tempo, grazie al nostro ardente desiderio,
quando si sentirono volare verso di noi, ma non si videro, degli spiriti che pronunciavano cortesi inviti alla
carit.
Il fortissimo sentimento narrativo che costruiva in rilievo e in sviluppo le sculture dei primo girone, nulla
tralasciando per una loro migliore determinazione, viene sostituito da una tecnica di suggerimento ,
che nel momento stesso in cui accenna al fatto, lo trasforma in un'eco misteriosa, la quale percepita dai
penitenti, chiusi nella loro cecit, proprio grazie alla sua forza suggestiva: la meditazione in loro pi
immediata che nei superbi, dove si deve svolgere prima attraverso una via visiva, mentre, osserva il
Grabher, queste voci "si prolungano, come in una scia, dalle une alle altre, nell'anima", cosicch "avanti
che la prima si sia spenta per il fatto di essersi allontanata.... balza nell'aria la seconda che dilegua
anch'essa.... mentre la terza irrompe lasciando a Dante appena il tempo (e com'io... ecco ... ) di
rivolgere la brevissima domanda: padre, che voci son queste?" Sar un crescendo musicale e
spirituale che dall'appello a compiere un dono sale al sacrificio della vita per salvare l'amico, per invitare
infine all'eroismo cristiano totale.
La prima voce che pass volando pronunci in tono alto Non hanno vino , e passando oltre noi
continu a ripetere quelle parole.
Nel secondo girone voci misteriose gridano esempi di carit, il primo dei quali si riferisce a un passo del
vangelo di San Giovanni (Il, 1-10), in cui descritto il primo miracolo di Cristo, alle nozze di Cana, dopo
l'amoroso e sollecito intervento della Vergine in favore degli ospiti rimasti senza vino.
E prima che non si udisse pi per il fatto che si allontanava, un'altra voce pass gridando Io sono
Oreste , e anche questa non si arrest.
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Il secondo esempio ricorda l'amore fraterno che legava Oreste, figlio di Agamennone, a Pilade. Il primo,
che voleva vendicare la morte del padre, uccidendone l'assassino Egisto, venne scoperto e arrestato
insieme con Pilade. Inizi fra i due una commovente gara, poich entrambi gridavano "Io sono Oreste",
volendo Pilade sostituirsi all'amico, per evitargli la morte, e opponendosi Oreste al suo sacrificio.
Oh! dissi, padre mio, che voci sono queste? E non appena ebbi fatto questa domanda, ecco la
terza voce che diceva: Amate coloro dai quali avete ricevuto il male .
L'esempio supremo di carit nel precetto dato da Cristo nel discorso della montagna: "Amate i vostri
nemici" (Matteo V, 44; Luca VI, 27).
E il valente maestro: Questo girone punisce il peccato d'invidia, e perci le corde di cui fatta la sferza
che punisce (le corde della ferza: cio gli esempi) sono vibrate dall'amore.
Il freno (cio l'esempio per non cadere nel peccato) deve essere di contenuto opposto al peccato: a mio
giudizio, penso che udrai questo esempio prima di giungere alla scala che porta al terzo girone (al passo
del perdono: dove sar perdonato il peccato d'invidia).
Ma ficca lo sguardo con attenzione attraverso l'aria, e vedrai un gruppo di anime sedere davanti a noi, e
ciascuna appoggiata alla roccia.
Allora osservai con maggior attenzione; guardai davanti a me, e vidi anime ricoperte di manti dello
stesso colore della pietra.
E quando ci fummo portati un poco pi avanti, udii gridare: Maria, prega per noi! ; udii gridare
Michele e Pietro , e Tutti i santi .
Gli invidiosi recitano le litanie dei santi, nelle quali all'inizio invocata per tre volte la Vergine, nella parte
centrale gli angeli (tra cui Michele) e gli apostoli (tra cui Pietro) , mentre alla fine l'invocazione si estende
a tutti i santi.
Non credo che nel mondo esista oggi un uomo tanto duro, da non essere mosso a compassione da
quanto io vidi in seguito,
poich, quando giunsi cos vicino ad essi, che la loro persona mi appariva distinta, dagli occhi usc
con le lagrime il dolore che mi gravava l'animo.
(I penitenti) mi sembravano coperti di una povera veste dura e pungente, e uno sosteneva l'altro con la
spalla, e tutti erano sostenuti dalla parete:
nello stesso atteggiamento i ciechi, a cui manca il necessario, se ne stanno davanti alle chiese durante le
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

feste in cui si concedono indulgenze per chiedere l'elemosina, e l'uno abbandona il capo sulla spalla
dell'altro,
affinch la piet penetri subito nel cuore della gente, non solo per il suono lamentoso delle parole, ma
anche per l'aspetto che chiede piet non meno (delle parole).
E come ai ciechi il sole non giova, cos qui la luce del cielo non vuole concedersi alle anime, di cui ora sto
parlando,
perch un filo di ferro trapassa e cuce le palpebre a tutti i penitenti nello stesso modo in cui si cuciono
agli sparvieri selvatici, quando non rimangono tranquilli.
La pena della cecit colpisce gli invidiosi in base a una dura legge del contrappasso, perch i loro occhi,
che in vita godettero nell'osservare il dolore altrui, sono ora chiusi alla luce del ciel: una cecit flsica che
dipende da quella cecit morale per cui essi capovolsero la visione del mondo e delle cose, sostituendo
all'amore verso il prossimo il desiderio del suo male. Per sottolineare la durezza del castigo Dante
ricorda, nei versi 71-72, un'operazione consueta che nel Medioevo subivano gli sparvieri non ancora
addomesticati e irrequieti, ai quali venivano cucite le palpebre affinch potessero essere pi facilmente
ammaestrati. "Il pellegrino, che coi superbi andava di paro, aggiogato ad una stessa penitenza, qui,
senza accecarsi, s'investe dell'atmosfera psicologica della cornice: piange in silenzio, accenna a Virgilio
quando vorrebbe parlare, intona una allocuzione solennemente retorica, sulla metafora della luce e sulla
metafora del fiume, subito ridiscende alle prime parole accorte di Sapia, che accortamente lo corregge, e
parla da vicino e dimesso" (Apollonio), ed in questo tono dimesso, sommessamente intento, che si
dispone la raffigurazione degli invidiosi. L'elemento essenziale - la staticit di immediata
determinazione nella natura, ridotta ad un solo, immobilizzato termine, la rpa, a sua volta chiuso
nell'aspetto negativo, il livido color, anche se tale natura appare priva di ogni travolgimento, di ogni
deformazione infernale, essendo riferibile, in ogni momento, ad una misura umana (come... per salire al
monte... cos s'allenta la ripa; canto XII, versi 100-108). Le ombre con manti al color della pietra non
diversi partecipano di questa stessa immobilit, non scossa neppure dall'immagine dei mendicanti ciechi
abbandonati davanti alle chiese, creando un bassorilievo uniforme, privo di qualsiasi movimento esteriore
che non sia quello delle lagrime (versi 83-84). fino a dare l'impressione, ad una prima lettura, di una
esasperazione figurativa simile a quelle dell'Inferno. Ma le due similitudini che si susseguono rivelano la
preoccupazione di riportare su un piano di contenuto realismo, di preciso disegno quanto a quel piano
sembrava volersi sottrarre, perch la scena dei mendicanti e l'immagine dei falconi dalle palpebre cucite
appartengono al mondo di normali esperienze del Poeta. Inoltre queste similitudini ribadiscono tutta la
struttura realistica del canto, insieme con l'immagine della ferza (versi 37-39). con quella del mento
levato in alto a guisa d'orbo (verso 102) e con lo svolgimento di tutto il discorso di Sapa, per fornire il
contrappunto alla misteriosa musicalit e lievit degli esempi di carit.
Mi sembrava, mentre camminavo. di compiere un atto scortese, perch io vedevo gli altri, ma non ero da
loro visto: perci mi rivolsi al mio saggio consigliere.
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Egli gi sapeva che cosa volevo dire io che tacevo; e per questo non aspett la mia domanda, ma disse:
Parla, e cerca di essere breve e chiaro.
Virgilio rispetto a me procedeva dalla parte esterna della cornice, poich questa non munita di nessuna
sponda;
dall'altra parte (cio a sinistra) avevo le anime penitenti, le quali premevano con tale forza attraverso
l'orribile cucitura, che bagnavano (di lagrime) le guance.
Mi rivolsi a loro e incominciai a dire: O anime sicure di vedere la divina luce che l'unico oggetto del
vostro desiderio,
possa la Grazia disperdere presto le tracce impure della vostra coscienza, cos che attraverso essa il
fiume dei ricordi possa scendere in tutta la sua purezza (chiaro: cio non intorbidato da nessuna
memoria della colpa),
ditemi (in nome di questo augurio), dal momento che mi sar gradito e caro, se tra di voi c' qualche
anima italiana; e forse (potendo io procurarle suffragi) le sar utile se io lo sapr .
Fratello, ciascuna di noi cittadina della citt di Dio; ma tu vuoi sapere di qualcuna che lontana dalla
vera patria sia vissuta in Italia.
Nel Medioevo la distinzione fra la citt terrena (o Gerusalemme terrena) per indicare il mondo, e la citt
celeste (o Gerusalemme celeste) per indicare il paradiso, era di uso comune, e risaliva ad espressioni
bibliche, diventate poi patrimonio di tutta la letteratura patristica. Poich lo spirito che parla pensa di
avere davanti un suo compagno di pena, spiega che la vera patria di ogni anima il paradiso, mentre la
vita non che un breve pellegrinaggio, un momentaneo esilio, che attesa e preparazione della vera
citt: concetto centrale del pensiero cristiano e avvertito con particolarissima intensit dal mondo
medievale.
Mi parve di udire come risposta queste parole un poco pi oltre il posto in cui mi trovavo, per cui io
(avanzando) mi feci sentire ancora pi in l.
Tra le altre vidi un'anima che nel suo atteggiamento pareva aspettare; e se qualcuno mi domandasse
"Come (lo mostrava)?", (risponderei che) sollevava il mento come fa un cieco (quando aspetta).
O anima dissi che ti sottometti alla pena per poter salire, se tu sei quella che mi hai risposto, fatti
conoscere o attraverso la patria o attraverso il nome.
lo fui senese rispose, e con queste altre anime purifico qui la mia vita peccaminosa, supplicando in
lagrime Dio affinch ci conceda di vederLo.
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Non fui saggia, sebbene il mio nome fosse Sapia, e provai maggior gioia del male altrui che del mio bene
(lui delli altrui danni pi lieta assai che di ventura mia).
Sapa fu una nobildonna senese, moglie di Guinibaldo Saracini, signore di Castiglione presso
Montereggioni e zia di Provenzano Salvani (cfr. canto XI, versi 109 sgg.). Gli ultimi studi intorno alla sua
figura storica hanno rivelato qualcosa di pi dell'odio fierissimo che portava ai suoi concittadini ghibellini,
secondo quanto afferma Dante. Sappiamo che protesse attivamente l'ospizio per pellegrini fondato dal
marito nei pressi di Castiglione, che si trovava sulla strada pi breve per andare da Roma in Francia, e
che negli ultimi anni della sua vita cedette i suoi possedimenti a Siena. Mor nel 1275.
Nel verso 109 Sapa allude al fatto che il suo nome ha la stessa radice etimologica di savia e sappiamo
che per influsso della Scolastica si diffuse in tutto il Medioevo la concezione secondo la quale i nomi
hanno uno stretto rapporto con la sostanza di una cosa o con le qualit di una persona; Dante stesso vi
accenna a proposito del nome di Beatrice nel capitolo XIII della Vita Nova.
E affinch tu non creda che io t'inganni, ascolta se non sono stata, come ti dico, folle, mentre l'arco della
mia vita stava gi declinando (e avrei dovuto essere saggia).
I miei concittadini presso Colle erano venuti a battaglia con i loro nemici, ed io pregavo Dio che fossero
sconfitti (di quel ch'e' volle: di quello che egli volle, perch furono realmente vinti).
Qui furono sconfitti e conobbero l'amarezza della fuga; e vedendo l'inseguimento fatto dai nemici, ne
derivai una gioia non paragonabile a nessun'altra,
tanto che levai verso il cielo il volto con folle audacia, gridando a Dio: "Ormai non ti temo pi (avendo
ricevuto soddisfazione)!", come fa il merlo quando vede un po' di sereno.
Nel giugno 1269 i ghibellini senesi e i loro alleati furono sconfitti dai guelfi fiorentini a Colle di Valdelsa:
'La citt di Siena... ricevette maggiore danno de' suoi cittadini in questa sconfitta, che non fece Firenze a
quella di Montaperti" (Villani - Cronaca VII, 31). Le parole di Sapa nel verso 123 riecheggiano una favola
molto diffusa nel Medioevo: un merlo, alla fine di gennaio, vedendo un po' di bel tempo, incomincia a
cantare credendo che l'inverno sia gi passato, facendosi beffa di tutti gli altri uccelli ed esclamando:
"Domine, pi non ti temo".
Mi riconciliai con Dio alla fine della mia vita; e il mio debito verso di Lui non sarebbe ancora risarcito per
mezzo della penitenza,
se non fosse avvenuto questo, che mi ricord nelle sue sante preghiere Pier Pettinaio, il quale per carit
ebbe piet di me.
Pier Pettinaio, nato forse alla fine del secolo XII, visse a Siena, dove tenne una bottega di pettini (donde
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

il soprannome); fu terziario francescano e mor nel 1289 in fama di santit.


Sapa uno di quei personaggi danteschi intorno ai quali l'esame critico ha offerto i risultati pi diversi,
perch il contrasto insito nella sua stessa figura, oscillante fra il polo del terreno e quello del divino, fra
la presenza nettissima del peccato e la presenza, altrettanto certa, del rimorso. Il Mattalia ritiene di
trovarsi di fronte ad "una acida e altezzosa malalinqua", nella quale l'abito dell'invidia ancora operante,
ad un "personaggio nient'affatto caro e dolce", che chiude alla fine la sua apparizione con una velenosa
battuta a carico dei Senesi, mentre per il Grabher ella ritrae il suo antico carattere peccaminoso per
trascenderlo in una spietata analisi di s, fino all'amarezza grottesca del paragone col merlo, dove si
infligge la massima umiliazione, per poi placarsi nell'abbandono alla pace di Dio e alle preghiere di un
umile "pettinaio". Per il critico anche l'ironia finale intorno ai Senesi pacata e soffusa di tristezza, senza
alcun ritorno alla malignit terrena, che sarebbe fuori di posto nella seriet del Purgatorio. Ma
l'ispirazione del Poeta libera di rivelare, nell'austerit della struttura penitenziale, i tratti salienti del
carattere terreno dei suoi personaggi, di conservare parte della loro natura e delle loro tendenze
(Belacqua ancora un pigro, Omberto Aldobrandeschi assume ancora un atteggiamento superbo). A
maggior ragione poi il Poeta vorr mettere in rilievo in Sapa quel tono di mordace ironia, di aperta
maldicenza, di pronta litigiosit, che proprio dell'animo toscano e che costituisce una parte dello stesso
carattere dantesco. Sapa, dunque, non "la pi notevole personificazione od allegoria dell'invidia, che
mai sia stata immaginata", come vorrebbe lo Zenatti, ma un carattere forte tanto nella colpa quanto
nell'espiazione, pronto e intensamente mordace, ma anche risoluto nel pentimento e nel riconoscimento
degli altrui meriti; una donna, giudica il Biondolillo, che, pur conservando la sua delicata femminilit (o
frate mio), fa intravedere risolutezza di sentimenti e mal celati impeti di durezza, come anche slanci di
fraternit e di carit. Corregge con forza l'espressione di Dante (versi 95-96), con durezza si duole della
sua vita ria, l'intensit del suo pentimento la spinge a "Iagrimare" per vedere Dio, ride con profonda
amarezza di s, che non fu savia sebbene si chiamasse Sapa. Giudica folle l'invida contro i suoi
concittadini ghibellini, ma la memoria della loro sconfitta incancellabile nella sua mente, come
incancellabile il ricordo del suo compiacimento di fronte a quella disfatta, del suo gesto orgoglioso di
fronte a Dio, gesto che ora fa diventare ironicamente quello del merlo. Solo in su lo stremo si pent, ma
"volle" fare pace con Dio da pari a pari, finch la sua fierezza e il suo orgoglio si abbattono di fronte alle
sante orazioni di Pier Pettinaio, in un fervore di carit che si manifester in seguito nel riconoscimento del
gran segno dell'amore divino per Dante, per essere poi superato dall'antica, maligna ironia che la spinge
a deridere la gente vana.
Ma chi sei tu che vai interrogandoci sulla nostra condizione, e porti gli occhi non cuciti, cos come penso
(Sapa si accorta che Dante riuscito ad individuarla), e parli come un vivo?
Gli occhi dissi mi saranno anche qui tolti, ma per breve tempo, perch poca l'offesa che essi
hanno fatta (a Dio) per essersi volti a guardare con invidia (il prossimo).
Maggiore il timore che tiene sospesa la mia anima a causa della pena del girone precedente (di sotto:
dove si espia il peccato della superbia), tanto che gi sento gravarmi addosso il peso di quei massi.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Nel canto degli invidiosi la confessione della superbia di Dante, superbia di stirpe e superbia di ingegno,
che egli ricorder in altri passi del suo poema e che i suoi pi antichi biografi misero concordemente in
luce: "fu il nostro poeta di animo alto e disdegnoso molto... Molto, simigliantemente, presunse di s...
Vaghissimo fu e d'onore e di pompa, per avventura pi che alla sua inclita virt non si sarebbe
richiesto" (Boccaccio - Vita di Dante).
Ed ella mi rispose: Chi ti ha dunque guidato qua su tra noi, se ritieni di dover ritornare tra i superbi?
Ed io: Questo che con me, ma non parla.
E sono ancora vivo; e perci chiedimi pure, o anima destinata alla salvezza, se desideri che in terra mi
adoperi (mova... ancor li mortai piedi) per procurarti suffragi (per te) .
Oh, questa una cosa cos insolita ad udirsi rispose, che una grande manifestazione dell'amore di
Dio verso di te; perci cerca di aiutarmi qualche volta con le tue preghiere.
E ti chiedo, in nome di quello che tu pi desideri (cio: in nome della salvezza), che, se mai ti avvenga di
passare per la Toscana, riabiliti la mia fama presso i miei parenti.
Tu li troverai fra quella gente sciocca che spera in Talamone, e vi perder pi illusioni che non a cercare
di trovare la Diana;
ma pi speranze ancora vi perderanno i comandanti di nave.
Siena nel 1303 acquist a caro prezzo la localit di Talamone sperando d farne un buon porto per un suo
sbocco sul Tirreno; ma il luogo malsano, la cattiva posizione e l'eccessiva lontananza da Siena
impedirono ogni concreta realizzazione. Altro esempio, secondo Sapa, della stoltezza dei Senesi, fu la
ricerca, lunga e dispendiosa, ma senza risultato, di un fiume chiamato Diana, che si diceva scorresse
sotto la citt.
Il termine ammiragli da alcuni interpretato come "appaltatori" addetti ai lavori di ricerca della Diana o a
quelli del porto di Talamone, dalla maggior parte come "capitani di navi", per indicare coloro che si
illudevano di poter disporre, dopo la costruzione del porto di Talamone, di una flotta.

2003 - Luigi De Bellis

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DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO XIV

Chi questo che percorre i gironi del nostro monte prima che la morte abbia liberato la sua anima dal
corpo, e pu aprire e chiudere gli occhi secondo il suo desiderio?
Parla Guido del Duca degli Onesti, appartenente ad una nobile famiglia di Ravenna. Di lui si hanno poche
notizie: fu ghibellino e ricopr la carica di giudice a Faenza, Rimini e in altre localit della Romagna. Mor
intorno al 1250.
Non so chi sia, ma so che non solo: domandaglielo tu che gli se pi vicino, e accoglilo con cortese
gentilezza, in modo che egli acconsenta a parlare.
L'anima che risponde quella di Rinieri dei Paolucci, un nobile guelfo di Forl. Fu podest di Faenza,
Parma, Ravenna e di altre citt dell'Italia centrale, e partecip fattivamente alle lotte politiche che
travagliarorio la Romagna fino alla sua. morte (1296).
Cos due spiriti, l'uno chinato verso l'altro, parlavano di me l a destra; poi, per potermi parlare,
reclinarono indietro i loro visi,
e uno disse: O anima che procedi verso il cielo ancora legata al corpo; donaci conforto in nome della
carit e rivelaci
da dove vieni e chi sei, perch tu ci causi tanto stupore per la grazia che ti stata concessa, quanta ne
produce una cosa mai prima accaduta .
Ed io: Nel centro della Toscana scorre un fiumicello che nasce dal monte Falterona, e non gli basta un
corso di cento miglia.
Io nacqui da un luogo situato lungo le sue rive: rivelarvi chi sono, significherebbe parlare inutilmente,
perch il mio nome non ancora molto noto .
Nel silenzio ancora carico degli accenti antisenesi di Sapa si apre, senza alcun preludio, un dialogo che
immediatamente consegna il clima di alto sentire di tutto il canto, attraverso la sensibilit delle due
anime, resa pi acuta dalla loro cecit, la velata e pensosa malinconia, la gentilezza, tutta umana e
intimamente caritatevole, nell'accogliere dolcemente chi pu aprire li occhi a sua voglia, l'accenno
coperto di Dante alla propria patria, dove il bel fiume d'Arno (Inferno canto XXIII, verso 95) diventa un
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

flumicel, non solo per far suo il modo distaccato di guardare alle cose, proprio di tutto il Purgatorio, ma
per aprire la via alle amare parole e all'invettiva di Guido del Duca contro i territori bagnati dall'Arno.
"L'accentuazione drammatica si lever a poco a poco ed essenzialmente quando il grande tema del canto,
il rimpianto del passato cortese e la deprecazione del tempo presente peccaminoso e corrotto, trarr
forza dalla vicenda, umana e biografica di Dante e storia e poesia si confonderanno insieme: il tema
morale si collegher con la materia politica e anche la tecnica letteraria si varr della satira e di toni
profetici e apocalittici per esprimere l'accorato sentimento di offesa della giustizia per placarsi nella finale
immagine degli eterni corsi dei cieli e delle loro mirabili bellezze" (Piromalli).
In tale senso i due canti dedicati agli invidiosi, oltre ad essere momenti di un'unica sceneggiatura, su uno
sfondo figurativo opaco, aspro e nello stesso tempo pietoso, nascono da una unitaria concezione
drammatica, perch il prorompere eloquente e oratorio del canto XIV, dopo questo lento avvio, si
propone come risultato naturale di un tema e di un dialogo gi avanzato nel canto precedente, con
ricercata gradualit di effetti e di accenti. Il peccato dell'invidia da Dante considerato non come uno
scambio di livore fra persona e persona, ma come il contrario della carit di patria, come pervertimento e
accecamento di ogni senso morale e civile. L'invidia della senese Sapa, che dalla gioia delli altrui danni
perviene alla folle esultanza per la sconfitta disastrosa della propria citt, "traborda nelle sue
conseguenze..., dal danno del singolo prossimo, a quello pi lato della vita civile... Perci una
configurazione drammatica e didascalica dell'invidia non poteva che approdare a una conseguenza eticopolitica, e quindi a uno sbocco oratorio, e attrarre pure sulla sua scia le passioni e le memorie iraconde e
nostalgiche dell'esule toscano, e romagnolo per forza di eventi" (Grana).
Se io con la mia mente penetro bene nel contenuto della tua spiegazione mi rispose allora quello che
prima aveva parlato, tu stai parlando dell'Arno.
E l'altro gli disse: Perch costui ha nascosto il nome di quel fiume, proprio come si fa a proposito di
cose turpi?
E l'anima alla quale era stata rivolta questa domanda si sdebit (dell'obbligo di rispondere) in questo
modo: Non lo so: ma giusto che perisca il nome di questa valle,
perch dalla sua sorgente (dal principio suo: dal Falterona), dove l'Appennino, dal quale staccato il
monte Peloro, cos gonfio ed elevato, che in pochi luoghi supera l'altezza del Falterona,
Dante nel verso 32 allude ad una tradizione di origine classica, secondo la quale la Sicilia si stacc dalla
penisola in seguito a una scossa tellurica.
fino alla foce dove (il fiume) si getta nel mare per ricompensarlo di quelle acque che il sole (con
l'evaporazione) gli ha sottratto, dalla quale evaporazione i fiumi (con la pioggia e la neve) derivano le
loro acque,
a tal punto la virt evitata come una nemica da tutti cos come un serpe, o per una maledizione che
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

viene dal luogo, o per una malvagia consuetudine che li penetra nel profondo,
che gli abitanti della misera valle hanno cos mutato la loro natura, che sembrano essere stati nutriti da
Circe.
Il Poeta, per indicare lo stato di abiezione in cui sono cadute le popolazioni dell'Arno, ricorda la
trasformazione in porci dei compagni di Ulisse operata dalla maga Circe con i suoi incantesimi (pastura),
riprendendo la leggenda omerica attraverso Virgilio (Eneide VII, versi 10-20), Orazio (Epistole I, II, versi
23-26), Ovidio (Metamorfosi XIV, versi 248 sgg.).
La perifrasi descrittiva (versi 16-18) che aveva colto il fiume toscano da una cima ideale, piccolo alla
sorgente, per poi spaziarsi avidamente dalle sue modeste origini, insaziato, per oltre cento miglia, era gi
una metafora morale, una calzante personificazione polemica della cupida anima toscana, ma ora il corso
del fiume viene rifatto attraverso "una apocalittica metamorfosi che avvolge in una fosca visione infernale
tutta la regione toscana e le sue popolazioni", dove "i dati reali, non pure della cronaca e della storia, ma
addirittura di una fisica topografica, di un paesaggio cos familiare e ridente, legato alla memoria affettiva
del Poeta, vengono... trascesi nell'assolutezza di un giudizio storico-politico e morale, nel quale hanno
rilevanza solo la virt e il vizio, i costumi riprovevoli degli uomini; cos che la loro condanna si riflette
sulla stessa natura dei luoghi, dove la virt si fuga da tutti come biscia" (Grana) : in un crescendo
pauroso la Toscana e la Romagna, i limiti geografici della vicenda terrena di Dante, diventano "una specie
d'inferno" (Pistelli) , una misera valle (verso 41) , una maladetta e sventurata fossa (verso 51) . Guido
del Duca la voce accorata di Dante che considera con amarezza la realt morale e sociale del suo
tempo, quanto pi si accosta ai temi dell'esperienza personale e sofferta e "come Gioacchino da Fiore
Dante avverte il problema fondamentale del suo tempo, quello del Medioevo feroce nel quale viveva e
che nei costumi e nelle stirpi era andato sempre pi degenerando, come un problema morale. La
condanna della lotta dell'uomo contro l'uomo e le voci invocanti la pace e la giustizia, la deprecazione
della violenza dentro la stessa citt in cui si lottano quei che un muro ed una fossa serra si esprimono in
Dante con forza polemica che condanna i vizi e i disordini dell'ordinamento comunale" (Piromalli). Per
questo anche il linguaggio si trasforma in eloquenza calda e serrata, con un ordine sintattico
accuratamente elaborato, che dopo aver concluso il primo ritmo del respiro spirituale di questa invettiva
nella descrizione del corso del fiume, introduce, con la figura di Circe e dei suoi incantesimi, l'immagine
medievale della valle abitata da bestie.
Dispiega dapprima il suo corso povero d'acqua tra sudici porci, pi degni di ghiande che di altri cibi fatti
ad uso degli uomini.
Il primo tratto dell'Arno scorre nell'alto Casentino, i cui abitanti vengono presentati come brutti porci, o
per alludere alla loro condizione di vita molto primitiva o per il fatto che si dedicavano particolarmente
all'allevamento dei suini. Secondo altri commentatori, invece, il nome deriverebbe dal castello di Porciano
(ai piedi del Falterona), dimora di un ramo dei conti Guidi.
Trova poi, scendendo verso il piano, cani ringhiosi pi di quanto richiederebbe la loro forza, e si allontana
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da loro con disdegno.


Botoli sono gli Aretini, "perch botoli sono cani piccoli da abbaiare pi che da altro; e cos dice che sono li
Aretini, atti ad orgoglio pi che a forze" (Buti). La valle dell'Arno, presso Arezzo, compie una grande
curva (torce il muso) verso occidente, formando il Valdarno superiore.
Procede scendendo; e quanto pi la maledetta e sventurata valle si va allargando, tanto pi trova cani
che si trasformano in lupi.
I cani aretini cedono il posto ai lupi fiorentini, "li quali come lupi affamati intendono all'avarizia e
all'acquisto per ogni modo, con violenza e rubamento e sottomettendo li loro vicini" (Buti).
Disceso poi attraverso numerosi profondi passaggi, trova volpi cos piene di astuzia, che non temono
trappole capaci di sorprenderle.
L'Arno, dopo essersi incassato nei pelaghi cupi del Valdarno inferiore, giunge a Pisa, i cui abitanti sono
paragonati "alle volpi per la malizia; imper che li pisani sono astuti e coll'astuzia pi che colla forza si
rimediano dai loro vicini" (Buti).
N cesser di parlare per il fatto che un altro (perch'altri: cio Rinieri) mi ascolta; e sar utile a costui
(Dante), se si ricorder anche di ci che una verace ispirazione mi rivela.
Guido del Duca afferma di parlare per puro amore di verit: le sue parole saranno motivo di dolore per
Rinieri, che udr preannunciare le malvage azioni del nipote Fulcieri, ma a Dante esse, anche se amare,
permetteranno di sopportare meno duramente i mali futuri di Firenze, perch quelle sventure non gli
giungeranno inaspettate.
Vedo tuo nipote diventare cacciatore di quei lupi lungo le rive del crudele fiume, spargendo fra loro il
terrore.
Vende la loro carne ancora viva; poi li uccide come belva inveterata nella sua ferocia: priva molti della
vita e se stesso dell'onore.
Esce macchiato di sangue dalla sciagurata selva (da Firenze); e la lascia in uno stato tale, che neppure
fra molti anni potr risorgere ritornando nella primitiva condizione .
I veggio tuo nepote: Fulcieri da Calboli divenne podest di Firenze nel 303 e, per conservare la sua carica
oltre il termine stabilito di sei mesi, fece strumento della politica dei Neri contro i Bianchi e i Ghibellini. Il
Villani, in un passo della sua Cronaca VIII, 59), lo definisce "uomo feroce crudele", rivelando anche il
nome dei cittadini fiorentini che, bench innocenti, egli fece condannare a morte, per avere l'appoggio dei
Neri: vende la carne loro essendo viva.
Nei versi 43-54 la storia era diventata un "attuale mito di bestie, ora sconcie, ora vili, ora feroci, ora
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perfide" (Grabher) : tale mito trova il suo completamento naturale in un annuncio di sciagure pubbliche,
in una rivelazione tragica e barbara, dove di validissimo effetto poetico l'aver fatto pronunciare la
profezia (io veggio) da un cieco, per cui essa pare acquistare l'intensit che pu provenire da una visione
tutta interiore. "Continuando e sviluppando coerentemente l'emblematica fluviale e ferina, la figurazione
esaspera i motivi d'ispirazione infernale, con l'irrompere di una figura nuova, una sorta di demonio
sanguinario che sulla riva del fiero fiume e su quei lupi pare eserciti una superiore vendetta, ma a sua
volta atteggiandosi ferocemente come antica belva. E quindi i lupi sono ora vittime sgomente, e il nuovo
misfatto tale da convertire la riva del fiume in una trista selva". (Grana) In questa immagine, e davanti
ai secoli che non basteranno a risollevarla, Firenze si trasforma agli occhi dell'esule, che la vede straziata
dalle lotte di parte, e grandeggia nella piet che ispira, cosicch la satira si cambia in un momento
vibrante e lirico, nel quale la catastrofe morale e civile della citt dolorosamente rivissuta attraverso il
profondo legame d'affetto che lega il Poeta alla sua patria.
Come all'annunzio di gravi danni si turba il volto di chi ascolta, da qualunque parte il pericolo lo minacci,
allo stesso modo io vidi l'altra anima, che era tutta volta ad ascoltare, turbarsi e diventare preoccupata,
dopo avere accolto e meditato quella profezia.
Le parole della prima anima e l'aspetto dell'altra mi resero desideroso di conoscere i loro nomi, e a
questo proposito rivolsi loro una domanda unita a preghiera;
per la qual cosa lo spirito che mi aveva parlato in precedenza riprese a dire: Tu vuoi che io m'induca a
fare nei tuoi confronti ci che tu non vuoi fare nei miei (nascondendomi il tuo nome).
Ma dal momento che Dio vuole che in te traspaia tanto la sua Grazia, non ti sar avaro delle mie parole;
perci sappi che io sono Guido del Duca.
La mia anima arse a tal punto d'invidia, che se avesse visto uno mostrarsi contento, mi avresti visto
diventare livido.
Da quello che ho seminato (di mia semente: l'invidia) raccolgo questa paglia: o uomini, perch rivolgete
l'anima ai beni terreni dove necessaria (per poterli godere) l'esclusione di altri che ne siano partecipi ?
Guido del Duca nella sua apostrofe contro l'amore dei beni terreni usa un linguaggio giuridico, ricorrente
in una legge degli Statuti comunali del tempo, in base alla quale se un cittadino ricopriva determinate
cariche, i suoi "consorti", cio i membri della sua famiglia, ne restavano esclusi, ricevendo il "divieto" di
parteciparvi.
Questo Rinieri; questo il prestigio e l'onore della casata da Calboli, dove in seguito nessuno si fatto
erede della sua virt.
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E tra il Po, l'Appennino, il mare e il Reno (cio nella Romagna) non solo la sua famiglia diventata priva
delle virt necessarie ai bisogni concreti della vita e ai suoi lati piacevoli,
perch (il territorio) entro questi confini a tal punto pieno di piante velenose, che, per quanto esso si
coltivi, si estirperebbero ormai troppo tardi.
Dov' il nobile Lizio e Arrigo Manardi? Piero dei Traversari e Guido di Carpegna? Oh Romagnoli cambiati
in bastardi!
Lizio di Valbona, Arrigo Manardi di Bertinoro, Piero dei Traversari, Guido di Carpegna sono signori
romagnoli vissuti nel secolo XIII.
Quando a Bologna torner a rivivere un Fabbro? quando a Faenza un Bernardino di Fosco, nobile virgulto
venuto da un'umile erba?
Fabbro dei Lambertazzi appartenne ad un'antica famiglia bolognese e guid il partito dei Ghibellini
romagnoli fino alla sua morte (1259).
Bernardino di Fosco fu un faentino di umili origini, che ricopr la carica di podest di Pisa e di Siena.
Non ti stupire, se io piango, o Toscano, quando ricordo insieme con Guido da Prada Ugolino d'Azzo, che
visse tra noi Romagnoli,
Federigo Tignoso e la sua compagnia, la casata dei Traversari e gli Anastagi (ma l'una e l'altra famiglia si
sono, estinte),
le donne e i cavalieri, le difficili imprese e i raffinati dilettamenti dei quali l'amore e la cortesia
suscitavano in noi il desiderio l (in Romagna) dove gli animi sono diventati cosi crudeli.
Guido da Prada (nel Faentino) visse tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo. Ugolino d'Azzo, della
nobile casata toscana degli Ubaldini, mor nel 1232, dopo aver trascorso la maggior parte della sua
esistenza nella Romagna.
Federigo Tignoso nacque probabilmente a Rimini, e fu generoso e cortese come la brigata che lo
circondava. Sappiamo dell'esistenza di queste compagnie o associazioni mondane e aristocratiche nella
societ del '200 da storici e scrittori del tempo. Dante stesso vi allude nel canto XXIX, verso 130
dell'Inferno.
Al tempo del Poeta due fra le pi potenti e antiche famiglie di Ravenna, quella dei Traversari e quella
degli Anastagi, erano in piena decadenza.
Dante nel Convivio (II, X, 8) afferma che "cortesia e onestade tutt'uno: e per che ne le corti
anticamente le vertudi e li belli costumi s'usavano, s come oggi s'usa lo contrario, si tolse quello
vocabulo da le corti, e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte". Sono parole che aiutano a
comprendere questa parte del canto, nella quale l'indignazione di fronte al tempo presente si scioglie in
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una elegiaca, nostalgica lode del passato, motivo che verr ripreso nel canto XVI e che costituir il tema
patetico - nato dai sentimenti e dai ricordi dell'esule nonch dalle sue aspirazioni ad una vita rnigliore non solo dei canti centrali del Purgatorio, ma anche di quelli del Paradiso: " come un ripiegarsi
dell'animo su di s e scoprire al di l della triste realt, che suscita gli sdegni e li fa violenti; una regione
in cui lo spirito pur piangendo riposa: il mondo dell'antica cortesia, e lo spirito trova nel vagheggiamento
di questo mondo uno dei motivi pi profondi di s" (Malagoli).
In un lungo discorso, che pur in un diverso tono affettivo, conserva il movimento oratorio di quello che lo
ha preceduto, Dante, attraverso le parole di Guido, rievoca il mondo in cui ha trascorso la sua giovinezza,
il mondo che amava ancora la cortesia e le virt individuali, e che aveva fatto proprio un modo di vita
lieta, elegante e operosa. Egli delinea, nota il Mattalia il quadro idealizzato, di una societ feudalecavalleresca, quale risulta dall'incontro del raffinato mondo cantato dalla poesia provenzale con quello,
altrettanto raffinato, ma pi ricco di fatti guerrieri, della poesia e della narrativa brettone, "in rlevante e
certamente intenzionale contrasto col quadro della rissosa ed esagitata Romagna "tirannica" delineato nel
canto XXVII dell'Inferno, e nella figurazione del quale Dante ribadisce il suo atteggiamento e i suoi gusti
di aristocratico conservatore, fieramente, avverso al livellamento e alla degradazione del costume portati
dall'avvento della borghesia plutocratica e mercantilesca: che sar detto in pi chiare e dure note, nei
canti XV e XVI del Paradiso", anche se, occorre rilevare, la "cortesia" per Dante non retaggio di sangue,
ma interiore perfezione, gentilezza di uomini dotati di cuore generoso (nella rassegna di Guido, infatti,
viene esaltato anche chi divenne grande e gentil, pur uscendo da picciola gramigna), che per
"s'ingentilirono in una societ formata da donne e cavalieri viventi tra i nobili svaghi della
pace" (Piromalli). Per questo Dante fa piangere Guido del Duca (versi 124-126), e pi tardi Marco
Lombardo, sulla fine del mondo cavalleresco, quando l'amore per una donna armava il braccio nei tornei
o i castelli aprivano le porte per accogliere generosamente cavalieri: due versi cantano nel loro ritmo
melodico quel sogno di eleganza e di nobilt, donne cavalier, li affanni e li agi che ne 'nvogliava amore
e cortesia, diventando non solo il centro ideale del canto, ma la formula-sintesi di quel mondo, raccolta
prima dal Boccaccio e poi dall'Ariosto nel famoso proemio dell'Orlando Furioso.
O Bertinoro, perch non scompari, dal momento che si estinta la famiglia dei tuoi signori e molte altre
famiglie nobili (sono scomparse) per non corrompersi ?
Bertinoro era una citt fra Cesena e Forl, sede dei Mainardi, che si estinsero nel 1177, e famosa per la
"cortesia" dei suoi gentiluomini.
Fa bene la casata di Bagnacavallo (i conti MalvIcini, signori dei luoghi fra Lugo e Ravenna), che non ha
pi dscendenti; e fa male quella di Castrocaro (in Val Montone), e peggio quella di Conio (vicino ad
Imola), che si d ancora briga di mettere al mondo conti cos degeneri .
Faranno bene i Pagani (a continuare la loro stirpe), dopo che sar scomparso il loro diabolico
rappresentante; ma non per questo accadr che di loro possa pi rimanere una testimonianza pura.
I Pagani, signori di Faenza, ebbero in Maghinardo da Susinana (cfr. Inferno canto XXVII, versi 49-51) il
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

loro peggiore esponente anche dopo la sua morte (1302) la fama della famiglia rester rovinata.
Ugolino dei Fantolini, il tuo nome sicuro, dal momento che non si aspetta pi un discendente che lo
possa oscurare, uscendo dalla retta via.
Ugolino dei Fantolini fu un faentino di parte guelfa, signore di alcuni castelli della Romagna, morto nel
1278 lasciando due figli che morirono alcuni anni dopo senza discendenti.
Ma allontanati ormai, o Toscano, perch ora sento molto desiderio di piangere pi che di parlare, a tal
punto il nostro colloquio mi ha attanagliato l'animo.
Noi sapevamo che quelle anime nobili ci sentivano camminare; perci, con il loro silenzio, ci rendevano
sicuri della nostra. strada.
Dopo che, continuando a procedere, restammo soli, apparve come una folgore quando squarcia l'aria,
una voce che risuon davanti a noi dicendo:
Mi uccider chiunque mi trover ; e scomparve come un tuono che dilegua, quando all'improvviso
squarcia la nuvola.
Anche gli esempi di invidia punita, come quelli di carit (cfr. canto XIII, versi 25-36), sono gridati ad alta
voce. Il primo ripete le parole che Caino pronunci dopo l'uccisione del fratello Abele, consapevole della
maledizione divina che lo avrebbe perseguitato.
Quando non la udimmo pi, ecco la seconda voce con tale fragore, che sembr un tuono che segua
subito quello precedente:
lo sono Aglauro che fui trasformata in sasso ; ed allora, per stringermi tutto a Virgilio, mi mossi verso
destra invece che avanti.
Il secondo esempio ricorda l'invidia di Aglauro, figlia di Cecrope. re d'Atene, nei confronti della sorella
Erse, amata da Mercurio. Per punizione il dio la trasform in pietra.
Ormai l'aria era tranquilla da ogni parte; ed egli mi disse: Quello che hai udito il duro freno che
dovrebbe trattenere gli uomini entro i giusti limiti.
Ma voi vi lasciate adescare dai beni mondani, cos che l'amo del demonio (antico avversaro) vi attira a s
e perci poco serve il freno o il richiamo.
Il cielo vi chiama e vi ruota intorno, mostrandovi le sue eterne bellezze, eppure i vostri occhi guardano
soltanto verso terra;
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

e per questo vi punisce Colui che tutto conosce .

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO XV

Quanto percorso compie il sole che (oscillando nel suo moto apparente fra i due tropici) pare sempre
giocare come un fanciullo, tra l'inizio del giorno e la fine dell'ora terza,
altrettanta parte del suo cammino, sembrava ormai gli fosse rimasta per arrivare al tramonto; nel
purgatorio era il vespero, e in Italia era mezzanotte.
Tenendo presente la divisione canonica delle ore del giorno in ora prima, terza, sesta, nona, partendo
dalle sei del mattino; Dante intende spiegare che la quantit di cammino percorsa dal sole fra le sei e le
nove uguale a quella che deve percorrere per tramontare: mancano cio tre ore, e infatti nel purgatorio
inizia il vespero (tra le quindici e le diciotto), che precede la sera; agli antipodi, cio a Gerusalemme,
sono le tre antimeridiane, e in Italia, dove il Poeta immagina di scrivere, e che si trova a 45 gradi di
longitudine occidentale da Gerusalemme, mezzanotte.
Il paragone tra la luce e il fanciullo che scherza parso privo, di risonanze liriche alla maggior parte degli
interpreti. Anche da un punto di vista logico, il significato del perpetuo scherzare della luce non risulta, a
una prima lettura, evidente. La pi persuasiva spiegazione forse quella fornita dal Porena, per il quale
critico la similitudine del verso 3 "raffronta... la condotta incostante del fanciullo, che sempre vuole e
disvuole, fa, e disf, con quel continuo. e costantemente incostante oscillar del sole, nella vicenda delle
stagioni, fra un tropico e l'altro". Ove si accetti questa esegesi, il quadro con cui il canto si apre perde
quel che di angusto e di irrisorio, che una considerazione immediata del verso 3 suscettibile di
conferirgli (anche un critico smaliziato come il Marti si domanda, facendo eco a chi, come P. Venturi, ha
definito questo verso "miserabile similitudine", o, come il Momigliano, l'ha attribuito ad una "infelice
imposizione della rima": "quale mai scherzo fanciullesco, in questo uguale, solenne ed eterno muoversi
della sfera del sole?"), per acquistare proporzioni di cosmica vastit.
Ma la similitudine, indipendentemente dalla sua interpretazione in termini astronomici,.. si giustifica sul
piano della poesia soprattutto, nella misura in cui prelude alla tematica delle manifestazioni della luce che
sar propria del canto. La luce infatti apparir in questa, pagina della poesia del Purgatorio, in costante,
quasi imprevedibile movimento, per cui il nesso analogico con lo scherzare del fanciullo risulta, fecondo,
ove si ponga mente, oltre, che al motivo del movimento, antiche a quello della impalpabilit ed
inafferrabilit dell'elemento luminoso, cui la mancanza di peso pu conferire, agli occhi di un poeta, il
privilegio di una imperitura giovinezza. In particolare, il verso 3 anticipa il vers 18, ove -o "scherzare" si
definisce fisicamente come "saltare", rimbalzare all'opposta parte, quasi per un inspiegabile, libero
capriccio (per quanto determinabile entro una formulazione astratta: qui e nel Paradiso i fenomeni
luminosi, assunti a suggerire gli aspetti di pi ardua traduzione in termini umani della verit, si
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

definiscono in forme di estremo rigore razionale).


E i raggi del sole ci colpivano in pieno viso, perch avevamo percorso ( da oriente ad occidente) tanta
parte del monte, che ora camminavamo verso occidente in linea retta,
allorch sentii i miei occhi abbassarsi di fronte alla luminosit (dell'angelo) molto pi di prima (davanti
alla luce del sole), e questa cosa nuova mi era motivo di stupore:
per cui portai le mani all'altezza dei miei occhi, e mi riparai dal sole, con un gesto che attenua l'eccesso
della luce.
Come quando un raggio di sole (che stato riflesso) rimbalza dalI'acqua o dallo specchio, nella parte
opposta (a quella da cui era venuto), risalendo in base alla stessa legge
per cui era disceso, e si allontana dalla perpendicolare di uno spazio uguale a quello di cui si era
allontanato cadendo, secondo quanto dimostrano l'esperienza e la scienza,
Dante allude a un noto principio di Euclide: nel fenomeno della riflessione sopra una superficie piana,
l'angolo di riflessione e quello di incidenza sono uguali e si trovano ai lati opposti della perpendicolare a
quella superficie.
con la stessa intensit di quel raggo mi sembr di essere colpito da una luce riflessa che si trovava
dinanzi a me; per la qual cosa i miei occhi furono pronti a sottrarvisi.
Dante ha provato la stessa impressione che d un raggio riflesso improvvisamente e violentemente. Il
suo soltanto un paragone (cos mi parve), perch in realt la luce dell'angelo lo colpisce direttamente.
Il fenomeno della luce riflessa si ripropone, umanizzato, in una terzina del Paradiso ( canto I, versi 4951) : e s come secondo raggio suole uscir del primo e risalire in suso, pur come pellegrin che tornar
vuole..., dove l'esattezza della costatazione scientifica (uscir del primo e risalire in suso
concettualmente pi perspicuo, ma poeticamente meno intenso di salta lo raggio all'opposita parte) si
trasfigura nel sentimento del pellegrino lontano dalla terra dei suoi affetti.
Che luce , dolce Virgilio, quella da cui non posso difendere la vista in modo da poterla sostenere
dissi, e che sembra avanzare verso di noi?
Non ti stupire, se gli angeli ti abbagliano ancora (non essendo completa la tua purificazione) mi
rispose: un messaggero celeste che giunge ad invitare all'ascesa.
Presto accadr che non ti sar pi faticosa la vista di queste cose, ma ti sar piacevole nella misura in cui
le tue facolt naturali ti permetteranno di sentire.
Dopo che giungemmo davanti all'angelo benedetto, egli con voce lieta ci disse: Procedete da questa
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

parte , per una scala meno ripida delle altre due.


Noi salivamo, dopo esserci gi allontanati da l, quando dietro a noi l'angelo cant: Beati i
misericordiosi! e Godi tu che vinci (il peccato)!
-Nel secondo girone, quello degli invidiosi, viene cantata la quinta beatitudine del discorso della
montagna (Matteo V. 7), contrapponendo all'invidia la misericordia; l'espressione Godi tu che vinci da
alcuni commentatori rferita alla seconda parte della beatitudine ("perch otterranno misericordia"), da
altri, e pi giustamente, alle parole conclusive di tutte le beatitudini: "rallegratevi ed esultate, perch
grande la vostra ricompensa nei cieIi" (Matteo V, 12).
Il mio maestro, ed io, soli, salivamo entrambi; ed io pensai, mentre continuavo a camminare, di trarre
profitto mediante le sue parole;
allora mi rivolsi a lui con questa domanda: Che cosa volle dire l'anima del romagnolo Guido del Duca,
accennando a "divieto" e "partecipazione" ?
Dante si riferisce al verso 87 del canto precedente, dove Guido del Duca aveva ricordato l'amore degli
uomin per i beni terreni.
Per cui egIi: Ora conosce gli effetti dannosi del suo peccato principale (di sua maggior magagna, cio
l'invidia); e perci non sia motivo di meraviglia se egli rimprovera gli uomini affinch ne possano
piangere d meno le conseguenze.
L'invidia vi fa sospirare, perch i vostri desideri si rivolgono verso i beni terreni dove per il fatto che altri
vi parteciparlo diminuisce la parte che tocca a ciascuno.
Ma se l'amore dei beni spirituali piegasse verso l'alto i vostri desideri, nel vostro cuore non vi sarebbe
quel timore (di essere privati dagli altri di una parte dei vostri beni materiali),
poich, in paradiso, quanto pi numerosi sono coloro che posseggono il bene comune (per quanti si dice
pi... "nostro": quanto pi numerosi sono coloro che dicono "nostro"), tanta pi grande la quantit di
bene che possiede ciascuno, e tanto pi intenso l'amore che arde in quella comunit .
Sono pi insoddisfatto risposi, di quanto sarei se prima avessi taciuto, perch la mia mente ha ora
dubbi pi grandi.
Come pu avvenire che un bene distribuito fra pi possessori li renda possessori di una quantit pi
grande, che non se viene diviso fra pochi?
Ed egli mi rispose: Per il fatto che tu continui a tenere rivolta la mente solo ai beni terreni, raccogli solo
tenebre dalla luce di verit delle mie parole.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Dio, quel bene infinito ed indicibile che nei cieli, si concede prontamente all'anima che arde d'amore
cos come un raggio di sole corre verso un corpo capace di rifletterlo.
In questa terzina il pensiero, serbando intatto il suo arduo rigore, si traduce in accenti poetici che - per il
fatto di esprimere verit estremamente complesse - nulla perdono della loro limpidit e del loro musicale
fluire. La successione, nei due ultimi versi della terzina, dei verbi , corre, vene adombra il mistero della
carit. II Dio cristiano. non diversamente da quello di Aristotile, si definisce come Essere, ma, a
differenza di quello teorizzato dal maestro di color che sanno, un Essere che non rimane chiuso in una
perfezione remota dal mondo e dall'agire nel mondo. L'essere del Dio cristiano pienezza di amore,
amore che trabocca in un atto di creazione e in un atto di redenzione, di sacrificio volto alla salvezza
degli esseri creati. L'inclinarsi del Creatore verso le sue creature, il dono della sua sollecitudine - che
nessuna considerazione razionale dimostra necessaria, ed miracolo, Grazia - accordato alla fallibilit
degli uomini, espresso, nel secondo emistichio del verso 68, da un verbo (corre) che logicamente si
contrappone all' del primo emistichio. L'impeto di carit che si concreta nell'urgenza di questo "correre"
si colora, nel vene del verso successivo, di una spiritualit intima e raccolta, scevra ormai del trepidare
dell'ansia, irriducibile ad un agire materiale, pacificata in un presagio di fede (la reminiscenza scritturale
, nella scelta di questo termine, evidente).
Tanto pi si concede quanto pi grande l'ardore (dell'anima verso di Lui); cos che, nella misura in cui
l'amore si dispiega nell'anima, cresce sopra di essa la luce divina.
E quanto pi numerosi sono coloro che in paradiso si amano, tanto pi si crea la possibilit di un santo
amore, e tanto pi si amano tra di loro, e l'uno riflette sull'altro la luce ricevuta da Dio come uno
specchio.
E se il mio ragionamento non ti soddisfa vedrai Beatrice, ed ella scioglier completamente questo e
qualsiasi altro dubbio.
Cerca in ogni modo che ti siano presto cancellati, come lo sono gi stati i primi due, i cinque segni. che si
rimarginano solo con il dolore del pentimento .
In questo secondo discorso di Virgilio il tema della fertilit inesauribile dei beni spirituali, affrontato con
una certa secchezza - fino al lirico lievitare di esso nel verso 57 - nella prima spiegazione impartita al
discepolo, emerge ad una pienezza di canto; entro una prospettiva di verit che ormai hanno trasceso,
nel fervore dell'ascesi intellettuale, il motivo occasionale che ha dato l'avvio al dialogo (che volse dir lo
sputo di Romagna...). Osserva in proposito il Marti: "La poetica sensazione di mobile luce e di ardore, con
la quale felicemente si chiudono le prime terzine virgiliane (pi di caritate arde in quel chiostro), ora
diventa luce d'intelletto e calore di affetto, che tutto illuminano e riscaldano; da quel di vera luce tenebre
dispicchi, al paragone com'a lucido corpo raggio vene; da quel tanto si d quanto trova d'ardore all'altro
paragone e come specchio d'uno all'altro rende; fino all'esortazione procaccia pur che tosto sieno
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

spente... le cinque piaghe, dove le cinque piaghe (le cinque P, che ancor segnano la fronte di Dante)
sono anch'esse viste in funzione di sensazione luminosa (spente). E parallelamente a questo accendersi
di fantasia, la generica impersonalit della spera suprema e dei suoi abitatori (per quanti si dice pi l
"nostr') che nei versi precedenti, si tramuta ora nella concretezza poetica di un infinito ed ineffabil
beffe che corre ad amore, che si d quanto trova d'ardore; il cui valore cresce quantunque carit si
stende; e nella concretezza della gente che l su s'intende, ama cio in reciprocit d'amore".
Nel momento in cui volevo dire "Mi hai persuaso", mi accorsi di essere giunto nell'altro girone, per cui il
desiderio di vedere mi fece tacere.
L mi parve di essere improvvisamente rapito in estasi, e di vedere numerose persone raccolte in un
tempio;
e (mi parve di vedere) una donna, sulla soglia che con il tenero atteggiamento di una madre diceva:
Figlio mio, perch hai agito tosi verso di noi ?
Ecco che tuo padre ed io, addolorati, ti stavamo cercando . E non appena la voce a questo punto
tacque: la prima visione scomparve.
II primo esempio di mansuetudine (la virt contraria all'iracondia) tratto da un passo del vangelo di
Luca (Il, 41-50); in esso si narra che Ges, ancora fanciullo, invece di seguire i genitori che da
Gerusalemme ritornavano a Nazareth, si rec nel tempio a discutere coi dottori, e l fu ritrovato, dopo tre
giorni, da Maria e Giuseppe e rimproverato dalla madre. Nota il Porena come le parole della Vergine, che
nel testo evangelico "si presterebbero anche a una intonazione alquanto sostenuta di sia pur calma
severit", esprimono qui soltanto l'accorato affetto di una madre per il proprio figlio. Dante mitiga e
sfuma di trepidazione il rimprovero evangelico, qualificando il vocativo del testo del passo di Luca
("figlio") con il possessivo mio e dando ad esso una forma pi intima e familiare (figliuol). Della Vergine,
in questa visione intesa a proporre un esempio di mansuetudine, posto in luce il solo lato umano (una
donna... con atto dolce di madre), il dolore che in esso contenuto, e l'accettazione di questo dolore.
Tutto questo risulta. oltre che dai singoli particolari, dal respiro stesso di questa terzina, dalla sospesa
cadenza dei perodi. Ogni particolare appare sfumato in questa visione; ogni circostanza pi precisa di
tempi o luoghi abolita, ogni forma di determinazione - in quanto superflua al proporsi universale
dell'esempo - volutamente ignorata. La cornice in cui la scena si inquadra , genericamente, un
tempio, lo sfondo di essa rappresentato da una folla indifferenziata, pi persone, in primo piano spicca
una donna, il cui sentire ed atteggiarsi riportato a quanto di pi intimo, nell'essere della donna, dato
ritrovare, a ci che quest'essere pi da vicino ed esaurientemente definisce: il sentimento materno. Ma
dove l'indeterminatezza raggiunge il suo grado pi alto, riuscendo al contempo ad una cortissima
intensit di espressione, nel cos, rilevato dalla cesura che lo isola fortemente, del verso 90. Questo
semplice avverbio esprime una ricchezza ed una combattuta complessit di sentimenti risolti in perdono,
in tenerezza permeata di mestizia, in gioia che partecipa nel profondo della positivit del dolore.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Poi mi apparve un'altra donna con il volto rigato dalle lagrime che il dolore suscita quando (nell'animo)
nasce un grande sdegno verso gli altri,
e diceva: Se tu sei signore della citt per il cui nome gli dei gareggiarono accanitamente tra loro, e
dalla quale risplende nel mondo ogni scienza,
vendicati, o Pisistrato, di quelle braccia che osarono stringere nostra figlia. E vedevo il sovrano,
benevolo e mite,
risponderle con volto atteggiato a moderazione: Che cosa faremo a chi desidera il nostro male, se
condanniamo chi ci ama?
Dante ricorda un episodio narrato dallo storico romano Valerio Massimo (Facta et dicta memorabilia V, 1,
2) a proposito di Pisistrato, tiranno di Atene nel VI secolo a. C. Un giovane, innamorato della figlia di
Pisistrato, os abbracciarla in pubblico, suscitando lo sdegno della moglie del tiranno, che ne chiese la
punizione.
Il nome Atene fu dato alla citt dopo una gara tra Nettuno e Pallade Atena vinta dalla dea (cfr. Ovidio Metamorfosi VI, versi 70 sgg.) ; la grandezza della citt, nel campo delle arti e delle scienze, da Dante
ricordata nel verso 99, esaltata da scrittori latini e medievali.
La seconda visione priva del sentimento di dolore, riscattato nell'intimo dalla fede, che caratterizza i
due episodi tra i quali inserita. Desunto dalla tradizione classica, pi che un esempio di mansuetudine,
lo diremmo un esempio di equanimit, di serena valutazione delle cose. La compostezza classica di
questo secondo esempio di mansuetudine si traduce in una calcolata bipartizione di esso: al modello del
male, reso plasticamente nel pianto della moglie, fa riscontro il viso temperato del benigno e mite
Pisistrato. Anche qui, non meno che nel quadro precedente, ogni insorgenza di acuminato realismo
appare smussata, ma, mentre nella scena che aveva per protagonista la Vergine la traduzione
dell'episodio in un clima fermo di favola conferiva ad esso una sostanziale drammaticit, qui la narrazione
si distende, piana, nelle cadenze di un ritmo misurato: i singoli termitai non si isolano in una serie di
attonite o dolenti sospensioni, ma sapientemente si dispongono nel fluire di un pensiero generico ed in
certa misura ad essi preordinato.
Poi vidi un gruppo di persone accecate dall'ira che lapidavano un giovanetto, gridandosi forte,
reciprocamente: .Uccidi, uccid!
E lo vedevo accasciarsi, per la morte che gi gli era sopra a terra, ma teneva gli occhi sempre aperti
verso il cielo,
pregando Dio, in tanta sofferenza, di perdonare ai suoi persecutori, con quell'atteggiamento che suscita
la piet.
La visione del terzo esempio rappresenta la lapidazione di Santo Stefano; il primo martire della fede,
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ucciso dai Giudei. (Atti degli Apostoli VII, 54-60).


La figura di Santo Stefano, contro lo sfondo di una umanit imbestiata, ebbra di sanguinario furore,
vorticante, con la cieca irrevocabilit di un fenomeno naturale, verso Il supplizio di un innocente, si
sublima in una dimensione di valori che trascendono il mondo e dal mondo non sono compresi: la
dimensione del perdono, del sacrificio che redime anche coloro che lo deridono, della carit
incommensurabile in rapporto ai criteri della umana giustizia. Il "giusto mezzo" proposto dall'esempio di
Pisistrato, principio regolatore di tutte le manifestazioni della civilt classica, ideale risolventesi in forme
chiuse ed armoniche, qui trasceso in un'ansia d'infinito, in un verticale insorgere dello spirito nel
momento in cui l'elemento fragile che in terra lo esprime sta per dissolversi. Penetrante e sicura
l'analisi che il Porena ha fatto di questo episodio: "Notate nella prima terzina: il pietoso contrasto fra quel
giovinetto, idea e parola tenera, e quella calca di concetti forti e violenti da cui circondato; genti,
accese, foco, ira, pietre; ancider, forte, gridando, martira. Nella seconda terzina, un altro. meraviglioso
contrasto, nella figura del giovinetto, tra la materia, che ubbidisce alla necessit della legge fisica, e,
prossima alla morte, diviene peso bruto che si aggrava a terra; e l'anima, sempre desta e alacre
nell'occhio sollevato e spalancato alla visione del cielo: E lui vedea chinarsi, per la morte che l'aggravava
gi, inver la terra (verso portentoso di pesantezza plumbea) ma degli occhi facea sempre al ciel porte:
addirittura una irruzione di cielo in quel corpo pesto e sanguinoso che sta per tornar terra, alla terra.
Finalmente, nell'ultima terzina, ecco il motivo essenziale: la esemplare mansuetudine, in contrapposto al
peccato dell'ira".
Quando la mia anima ritorn a percepire le cose che fuori di essa hanno una loro realt, compresi che le
visioni erano irreali (errori: cio non esistenti di per s), ma effettivamente viste.
La mia guida, che mi poteva vedere nello stesso atteggiamento di un uomo che si scioglie dal sonno,
disse; Che hai che non puoi reggerti bene,
ma per pi di mezza lega hai camminato con gli occhi semichiusi e con le gambe quasi legate, come un
uomo vinto dal vino o dal sonno?
O dolce Virgilio, se tu mi presti ascolto, io ti descriver dissi ,ci che. mi apparve quando mi fu a
quel modo tolto l'uso normale delle gambe.
Ed egli: Anche se tu avessi il volto celato da cento maschere, i tuoi pensieri, per quanto piccoli, non mi
resterebbero nascosti.
Le visioni apparvero affinch tu non rifiuti di aprire il tuo cuore al sentimento di mansuetudine che sgorga
dalla fonte eterna di Dio.
Non, ho chiesto "Che cos'hai" per la ragione per la quale lo domanda colui che, quando un altro giace col
corpo privo di forze, vede solo con l'occhio materiale (l'occhio che non vede, cio l'occhio capace di
cogliere solo gli aspetti esteriori, ma non quelli interiori, delle cose e che; in questo caso, non pu capire
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il motivo per cui il corpo disanmato);


ma ho fatto quella domanda per spronare il tuo piede: cos necessario stimolare i pigri, che sono lenti a
riprendere la loro attivit quando essa (dopo un periodo di sonno o di smarrimento) ritorna .
Dopo l'ampio e vitale respiro della spiegazione sulla qualit - suggerita per via di analogie ma destinata a
rimanere mistero per una ragione chiusa al trascendente - dei beni spirituali, dopo il folgorare, nella
mente del discepolo, degli esempi di mansuetudine, Virgilio riprende il suo abito consueto di pedagogo. Il
suo linguaggio sale di tono, diventa qua e l nobilmente paludato (ad opera di latinismi come larve...
cogitazion... parve, di un elaborato giro perifrastico come quello dei versi 133-135, di un'altra perifrasi, di
intonazione evangelica - Tacque della pace - ma piegata al ritmo di un ferreo argomentare) e si conclude
con una massima di sapore proverbiale. II sole volge al tramonto ed anche la luce intellettuale che il
maestro ha irradiato con la sua parola sembra piegare verso un temporanea punto di sosta, un ragionare
di minore impegno, un insegnamento pi umile, che una ferma sentenza suggella.
Noi procedevamo nella sera, intenti a guardare davanti a noi per quanto potevano spingersi lontano i
nostri occhi che avevano di fronte gli ultimi ma luminosi raggi del sole.
Ed ecco avvicinarsi a noi a poco a poco un fumo scuro come la notte; e non c'era un luogo dove
ripararsida quello:
questo fumo ci tolse la vista delle cose e l'aria pura.
Questo canto eminentemente dialogico si chiude su una nota di raccoglimento e di silenzio. Il mistero
della sacra montagna (un fummo farsi), lo spazio che il sole occiduo sembra dilatare a perdita d'occhio
impongono una pausa al travagliato proporsi, in termini di ragione, del motivo della purificazione e
dell'ascesa.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO XVI

Le tenebre dell'inferno e di una notte priva di luna e di stelle, osservata da una stretta valle con orizzonte
limitato, e oscurata quanto pi possibile da nuvole,
non stesero mai sui miei occhi un velo cos denso, n cos pungente e fastidioso a sentirsi, come quel
fumo che l ci avvolse,
cos che gli occhi non riuscirono a restare aperti: perci la mia guida esperta e sicura si accost a me e
mi offerse (come appoggio) la sua spalla.
Il motivo delle tenebre che nella terza cornice del purgatorio avvolgono le anime degli iracondi e che
renderanno difficoltoso il procedere dei due pellegrini introdotto, nella prima terzina, attraverso un
succedersi incalzante di determinazioni, mentre la seconda terzina, porgendo, in forma negativa (non
fece... n a sentir), il medesimo tema, determina un effetto di iperbole. Il fummo, che nel primi tre versi
stato riallacciato a una serie di riferimenti oggettivi, qui considerato nel suo riflettersi nella memoria
del narratore: anche se sommati insieme, tutti i raffronti suggeritigli dalla sua esperienza nel mondo dei
vivi appaiono a Dante inadeguati a rendere l'assolutezza del buio in cui s trov immerso nel terzo girone
e la sua sgradevole materialit. Dalla situazione presentata con tanto scrupolo di oggettiva evidenza nei
primi sei versi, scaturisce naturalmente l'azione: Dante non pi in grado di avanzare da solo, ha
bisogno di ricorrere, nel significato pi immediato della parola, al sostegno della sua guida, nelle
condizioni di un cieco. Il motivo delle tenebre dell'ira assumer nel corso del canto, interiorizzandosi, un
significato sempre pi ampio e traslato, si trasfigurer in quello, spirituale e ricco di echi biblici, della
cecit che il vivere stesso comporta, dell'imperfetto discernimento di chi gravato dal peso della carne.
Allo stesso modo in cui un cieco segue la sua guida per non smarrire la via e non urtare contro qualcosa
che gli faccia male, o forse anche lo uccida,
io camminavo attraverso quel fumo acre e nero, ascoltando la mia guida che mi diceva di continuo: "Sta
attento a non separarti da me".
Dante s appoggia all'omero di Virgilio come un cieco: la forza di questo raffronto, che in un autore di
minor capacit di adesione al reale rischierebbe di banalizzarsi nella genericit del luogo comune o di
suscitare amplificazioni retoriche, scaturisce dalle precisazioni cui la simmetrica, bilanciata disposizione
nei quattro emistichi conferisce risalto, quasi isolandole nel fluire del discorso - dei versi 11-12. La
concretezza del suo rappresentare induce Dante a trasferire un generico e prevedibile riferimento nella
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

cornice di un accadere effettivo, delineato con mano ferma in quelle che ne sono le circostanze essenziali.
Io udivo delle voci, e ciascuna sembrava pregare per ottenere pace e misericordia l'Agnello di Dio che
toglie i peccati.
Sempre "Agnello di Dio" era il loro inizio; tutte recitavano la stessa preghiera e con la stessa intonazione,
cosicch tra di loro appariva il pi perfetto accordo.
La preghiera che le anime recitano o cantano quella liturgica dell'Agnus Dei, che, come durante la
celebrazione della Messa, viene ripetuta tre volte per chiedere a Cristo-Agnello di Dio, che si sacrific per
l'umanit (Giovanni I, 29), misericordia (nei primi due versetti) e pace (nell'ultimo).
Le anime che in vita si lasciarono trasportare alla violenza e alla discordia dall'ira, non pi guidata dal
freno della ragione e volta a fini morali, appaiono, per la pena del contrappasso, circondate da un denso
fumo, mentre le loro voci, nell'accordo pi perfetto (ogne concordia), chiedono, invece delle divisioni e
delle lotte di un tempo, pace e misericordia.
Un'efficace contrapposizione si stabilisce tra il tema del fummo dell'ira - passione che preclude ogni
forma di comunicazione, di amore - e quello del coro delle anime espianti. Nella dura, compatta trama
sintattica dell'esordio, gi il primo accenno al motivo della cecit ha insinuato un ritmo pi trepido,
umano. Il coro degli spiriti afferma ora - esaltando, nelle cadenze dell'inno latino, il volontario olocausto
del Figlio di Dio - la fertile, inesauribile positivit del dolore. Nelle terzine 16 e 19 ogni particolare risulta
sfumato, ogni stridente forma di individuazione abolita (io sentia voci, e ciascuna pareva... s che
parea...); il Poeta appare esitante nel definire in termini troppo decisi la consistenza fisica, sensibile delle
forme da lui udite; l'accento posto sul dato interiore, sulla mitezza ed unanimit del sentire, sulla
concordia raggiunta nella rinuncia e nella dedizione.
"Maestro, quelli che io ascolto sono anime?" domandai. E Virgilio mi rispose: "Tu hai colto nel segno, e si
stanno purificando dal peccato dell'iracondia".
"Chi sei tu che passando tagli il nostro fumo, e parli di noi proprio come se tu fossi ancora vivo (partissi
ancor lo tempo per calendi: dividessi ancora il tempo per mesi)?"
La rappresentazione si anima, inclina verso un movimento drammatico. Alla pacata risposta di Virgilio
bruscamente fanno seguito parole come di sfida, di cruccio, che uno degli spiriti indirizza a Dante.
L'espressione or tu chi se' la stessa con la quale nell'Inferno Bocca degli Abati si rivolto al Poeta
(XXXII, 88). L'anima che qui l'ha pronunciata non ancora libera dal nodo dell'ira. L'effetto di
quest'apostrofe (verso 25) accresciuto dalla aspra allitterazione che occupa il secondo emistichio (dove
il fendi esprime energicamente la consistenza materiale del fummo, la sua funzione di impedimento sul
cammino della penitenza), nonch dalla contrapposizione del tu al nostro (il fummo, strumento di
purificazione, appare allo spirito come un privilegio cui un vivo non dovrebbe avere diritto). Di qui
l'impressione che quest'anima consideri Dante alla stregua di un intruso da respingere; analogo era stato
il tono ma senza la sfumatura di quasi superba sufficienza che caratterizza queste prime parole
http://xoomer.virgilio.it/brdeb/Dante/prosa/sedicip.htm (2 di 9)08/12/2005 9.24.41

Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

dell'iracondo - dell'apostrofe di Catone ai due viandanti appena usciti dalla valle inferna.
Cos fu detto da una voce; perci il mio maestro, mi disse: Rispondi, e chiedi se da questa parte si pu
salire.
E io: O creatura che ti purifichi per tornare; ridiventata bella, al tuo Creatore, se mi accompagni udrai
da me cosa degna di meraviglia .
Io ti accompagner fin dove mi permesso rispose; e se il fumo non ci permette di vederci, invece
della vista ci terr uniti l'udito.
Allora cominciai a dire: Sto salendo verso l'alto con quel corpo che la morte dissolver, e sono arrivato
qui attraversando i tormenti dell'inferno.
E se vero che Dio mi ha avvolto nella sua Grazia, tanto da volere che io salga a contemplare la corte
celeste in un modo del tutto inusitato nel nostro tempo,
Il viaggio attraverso il mondo ultraterreno era stato concesso solo ad Enea (cfr. Virgilio - Eneide, canto
VI) e a San Paolo (II Epistola ai Corinti), come Dante ha gi ricordato nel II canto dell'Inferno (versi 13
sgg.).
non nascondermi chi tu fosti prima della morte, ma dimmelo, e dimmi anche se sono sulla via giusta per
il passaggio (che conduce al girone superiore): e le tue parole saranno la nostra guida .
Fui lombardo, e mi chiamai Marco: fui esperto delle cose del mondo, e amai quella virt al cui possesso
oggi nessuno tende pi l'arco del suo desiderio.
Marco, vissuto nella seconda met del '200, fu uomo di corte di grande saggezza, di animo nobile e fiero,
pronto a giudicare con sdegno, per i loro vizi, i potenti signori presso i quali viveva. Queste sono le
notizie che ci hanno tramandato gli antichi commentatori, gli storici, e le raccolte di novelle. perch
nient'altro sappiamo della sua vita. L'Anonimo Fiorentino afferma che appartenne alla casata veneziana
dei Lombardo o Lombardi, mentre l'Ottimo, seguito dagli altri commentatori antichi e da tutti i moderni,
ritiene che lombardo indichi il luogo di nascita: del resto tale aggettivo nel Medioevo veniva adoperato
per designare tutta l'Italia settentrionale.
Sei nella direzione giusta per salire. Cosi rispose, e soggiunse: Ti supplico di pregare per me quando
sarai lass in cielo .
Dante giustifica la sua presenza in quello che l'iracondo ha chiamato il nostro fummo, attraverso un dire
eloquente e misurato. Spicca in esso la perifrasi con cui designato il corpo (quella fascia che la morte
dissolve), concepita in analogia tonale con il simbolo del fummo dell'ira a suggerire quasi l'indissolubilit
di realt corporea e passioni (il corpo "fascia" la realt semplice e trasparente dell'anima e ne rende
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

arduo il discernimento, il cammino in questa nostra vita: infatti i vivi - dir poi il suo interlocutore
esplicitando questo motivo, qui soltanto sfiorato - sono ciechi); ad essa risponde. contrapponendovisi, la
metafora della "chiusura" nella grazia divina (e se Dio m'ha in sua grazia rinchiuso), chiusura che non
occulta e non svia, ma svela e conduce al bene. La perorazione di Dante, cos nobilmente pervasa di
motivi lontani da ogni riferimento al contingente, alla fine si anima, esprime una personale impazienza, il
suo desiderio acuto di ricevere luce dalle parole dell'interlocutore (ma dilmi, e dimmi), quasi un'ansia di
apprendere da lui una verit grave e solenne. Alla ripetizione del verso 44 risponde simmetricamente
quella del verso 46. Le parole di Marco Lombardo mantengono una loro laconica concisione, contribuendo
ad isolare in una luce di dignitoso riserbo questo personaggio: "Si direbbe - osserva il Momigliano un'anticipazione psicologica, come l'atteggiamento meditativo e solenne di Sordello gi prima della
digressone politica".
E io gli dissi: Mi impegno con giuramento a fare quello che mi chiedi; ma sono tanto angustiato da un
dubbio che io scoppio, se non me ne libero.
Prima il mio dubbio era semplice, ma ora si fatto pi grave per le tue parole, che mi convincono,
udendole qui da te e altrove da altri, di quella corruzione del mondo alla quale si riferisce il dubbio stesso.
Il mondo proprio tutto spoglio di ogni virt, cos come tu mi dici, e saturo e coperto di malvagit;
ma ti prego d'indicarmi la causa, in modo che io la possa vedere e mostrare agli altri, poich alcuni la
pongono nell'influsso degli astri, e altri nella volont degli uomini .
Guido del Duca (canto XIV, versi 29 sgg.) aveva lamentato la corruzione del mondo, con particolare
riferimento alla Romagna e alla Toscana, lasciando nell'incertezza se tale situazione dipendesse
dall'influsso dei cieli o dalle azioni umane (cfr. versi 37-39) e facendo nascere un dubbio nell'animo di
Dante, dubbio che ora l'analogo giudizio di Marco (verso 48) rende ancora pi profondo e problematico.
Prima di rispondermi emise un sospiro profondo, che il dolore trasform in un lamento; e poi cominci:
Fratello, il mondo cieco, e tu vieni proprio da lui.
Voi mortali attribuite la causa di tutto solo al cielo, proprio come se esso con il suo movimento
determinasse necessariamente tutto (tutto movesse seco di necessitate).
Se cos fosse, in voi sarebbe distrutto il libero arbitrio, e non ci sarebbe giustizia nell'avere la beatitudine
eterna se si fa il bene, e la dannazione eterna se si fa il male.
L'influsso dei cieli accende gli istinti; e non dico tutti, ma anche se lo dicessi, vi stato dato il lume della
ragione per distinguere il bene e il male,
e una volont libera (di scegliere l'uno o l'altro); essa, anche se incontra difficolt nel combattere gli
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

impulsi suscitati dagli influssi celesti (nelle prime battaglie col ciel), vince poi ogni contrasto, se viene ben
educata.
Pur restando liberi, voi siete soggetti a una potenza pi grande e a una natura migliore (cio a Dio); e
Dio crea in voi l'anima intellettiva, che non sottoposta all'influsso dei cieli ('l ciel non ha in sua cura).
Dante accosta - svolgendolo nei modi e secondo la soluzione formulata da San Tommaso e accettata da
tutta la filosofia scolastica - il problema del rapporto fra il principio del libero arbitrio e la teoria
dell'influsso dei cieli sulle azioni umane, teoria alla quale il pensiero medievale riconosceva carattere di
scientificit, rifacendosi a posizioni del mondo classico. Se gli uomini, secondo un principio deterministico,
ritengono che tutto il mondo e quindi anche le loro azioni, siano guidate dall'influsso astrale, distruggono
ogni possibilit di libera scelta tra il bene e il male, cio il libero arbitrio, ed eliminano il fondamento della
giustizia divina, la quale distribuisce le pene e i premi in base a quella possibilit che ciascuno ha di agire
liberamente. In realt i cieli determinano negli esseri viventi solo gli impulsi, gli istinti, quello che, con
termine moderno, chiameremmo lo stato psico-fisiologico, perch la capacit della ragione nel discernere
il bene dal male e la volont non condizionata nel seguire quello o questo, non sono soggette ad alcun
influsso diretto da parte degli astri, appartenendo, la ragione e la volont, alla vita intellettiva dell'anima,
sulla quale, secondo San Tommaso, quegli influssi non possono operare. L'anima, essendo unita al corpo,
cio ad una parte istintiva e irrazionale, deve combattere contro gli appetiti inferiori determinati dai cieli
(le prime battaglie col ciel) e solo l'aiuto della scienza, attraverso la filosofia e la teologia, le permetter
la vittoria finale. Solo di fronte a Dio, che una potenza e una natura ben pi forte e perfetta degli astri,
l'uomo deve riconoscere la sua dipendenza, pur conservando la sua libert di scelta, che proprio da Dio
stata creata (cria la mente in voi).
Perci, se il mondo presente esce fuori dal giusto cammino, la causa in voi, e in voi si ricerchi; e io
stesso te ne sar verace rivelatore (vera spia).
Esce dalle mani di Dio che la contempla prima che essa esista, comportandosi come una fanciulla che si
rattrista e si rallegra (senza ragione) come i pargoli,
l'anima ingenua la quale ignara di tutto, salvo che, mossa da Dio, somma felicit, si volge volentieri a
ci che la diletta.
Gusta dapprima i beni limitati della terra; e qui cade in inganno, e corre dietro ad essi, se una guida o un
freno non indirizzano sulla retta via il suo amore.
Perci fu necessario stabilire la legge come un freno; fu necessario avere un sovrano per guida, il quale
sapesse discernere almeno la giustizia del mondo ideale.
L'anima, sempre secondo la dottrina tomistica, dopo essere stata creata da Dio (esce di mano a lui), che
la contempla da sempre nel suo pensiero (prima ancora che essa esista) e si compiace della sua bellezza
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

(la vagheggia), entra nel mondo priva di ogni conoscenza, aperta ad ogni impressione, ma pronta, per
sua natura, essendo stata plasmata da Chi sommo bene e somma gioia, a volgersi verso ci che le d
piacere e diletto. Per questo accade che, dopo aver accostato qualche bene terreno, lo segua, "e perch
la sua conoscenza prima imperfetta, per non essere esperta n dottrinata, piccioli beni le paiono
grandi" (Convivio VI, XII, 16). Perci necessario l'intervento della legge e dell'autorit imperiale:
queste, regolando l'umana convivenza, realizzano nel mondo la giustizia, che, portando la pace,
costituisce la base necessaria per conseguire la perfezione umana.
Secondo quanto Dante afferma nel Convivio, soltanto l'imperatore sarebbe in grado di attuare in terra la
giustizia, essendo libero dalla cupidigia che spinge gli uomini alla sopraffazione, all'inganno, alle guerre.
La giustizia simbolicamente designata, nel verso 96, come la torre della vera citt. Quest'ultima
l'agostiniana civitas Dei, che molti interpreti hanno voluto senz'altro identificare con il regno dei cieli, per
analogia con quanto detto nel verso 95 del XIII canto del Purgatorio. In realt, come fa giustamente
notare il Maccarrone basandosi su un passo del De Civitate Dei, la civitas di cui parla Sant'Agostino "ha in
questa terra la sua prima fase". La vera citt deve quindi essere interpretata come l'ordinamento politico
ideale, quello che consente agli uomini di raggiungere il massimo di perfezione in terra e li predispone,
indirettamente, alla felicit eterna.
Le leggi esistono, ma chi opera per farle osservare? Nessuno, perch il pastore che guida il gregge,
capace di interpretare la Scrittura, ma non possiede il retto discernimento del bene e del male
nell'amministrare la giustizia (non ha l'unghie fesse: non ha le unghie divise, cio non distingue il bene
dal male)
e perci l'umanit, che vede la sua guida tendere solo a quei beni materiali di cui essa stessa avida, si
pasce soltanto di tali beni, e non chiede altro.
In due passi della Bibbia (Levitico XI, 3-8: Deuteronomio XIV, 6-8) menzionato il divieto fatto da Mos
agli Ebrei di cibarsi di animali che non siano ruminanti e non abbiano l'unghia del piede divisa. Questa
prescrizione dell'Antico Testamento venne nel Medioevo interpretata in senso allegorico. Secondo San
Tommaso (Summa Theologica II, I, CII, 6) "la divisione dell'unghia significa... il discernimento del bene e
del male; la ruminazione, la meditazione delle Scritture e il loro sano intendimento". Riallacciandosi a
passi del Convivio e della Monarchia il Maccarrone fornisce una plausibile spiegazione della terzina 97,
dopo aver rifiutato l'interpretazione tradizionale, che, sulle orme del commento di Pietro Alighieri, vede
nel simbolo delle unghie fesse la capacit, negata al pontefice, di tener distinte le cose temporali da
quelle spirituali. Riconosciuta - scrive il Maccarrone - al pastor che procede la prerogativa di possedere e
spiegare la Sacra Scrittura (rugumar pu), viene per a lui negata, con la vivacit espressiva del simbolo
biblico, la capacit di "por mano alle leggi" mostrandone la causa: manca delle unghie fesse, figura della
discretio interbonum et malum (discernimento fra il bene e il male) posseduta dall'imperatore, il quale
pu "mostrare e comandare le leggi". Dante afferma quindi, attraverso le parole di Marco Lombardo, la
necessit di una netta separazione e di una reciproca autonomia delle giurisdizioni del pontefice e
dell'imperatore.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Puoi ben vedere come il malgoverno dei pontefici sia la causa che ha reso peccatore il mondo, e non la
natura umana che in voi sia corrotta (dall'influsso degli astri).
Roma, che un tempo diede al mondo la pace e la giustizia, soleva avere due autorit, le quali indicavano
le due strade, quella della felicit materiale (del mondo) e quella della felicit spirituale (di Deo).
In seguito l'autorit papale ha spento l'autorit imperiale; e il potere civile congiunto (nella stessa
persona) con quello religioso, ma uniti insieme con un atto arbitrario devono necessariamente svolgersi
male,
perch, stando uniti nelle stesse mani, l'uno non rispetta pi l'altro: se non vuoi credere alle mie parole,
considera i frutti che ne derivano, poich ogni pianta si conosce dal frutto.
Anche l'immagine dei due soli di origine biblica. Cos descritta nella Genesi (I, 16) la creazione del
sole e della luna: "E Iddio fece i due grandi luminari: il luminare maggiore per presiedere al giorno e il
luminare minore per presiedere alla notte". Nel Medioevo il simbolo dei "due luminari" serv a designare
le massime autorit in terra, quella dell'imperatore e quella del pontefice, e venne usato ampiamente dai
trattatisti di parte imperiale e di parte papale. Dante stesso ne fece uso nei suoi scritti teorici.
Qui il simbolo acquista una concretezza ed un risalto anzitutto lirici. I "due luminari", trasferiti su un
piano di acceso profetismo, di concreta visione, si convertono, nelle appassionate parole di Marco
Lombardo, in due soli. L'astratto teorizzare della trattatistica medievale sfocia cos in un quadro di
cosmica ineluttabilit, di apocalittico sovvertimento d ogni legge naturale: un sole, che dovrebbe essere
unicamente sorgente di luce, ha spento l'altro sole, divenuto fonte di offuscamento, di indebita
confusione tra ordini di cose l'uno all'altro irriducibili ( giunta la spada col pasturale), in dispregio alle
leggi stabilite da Dio, alla' logica intrinseca delle cose.
Dopo aver collocato in un passato lontano e indeterminato, in una et felice della quale sembra quasi
essersi perduta la memoria, in un clima di mito (soleva Roma...) il tempo in cui due soli illuminarono
concordi il cammino dell'umanit, la parola di Marco Lombardo si fa aspra, tradisce un profondo affanno,
un orrore sbigottito per l'innaturale accoppiamento di spada e pasturale, insiste dolorosamente sull'idea
di questa mostruosa congiunzione ( giunta la spada... per che, giunti... ).
Nella regione che l'Adige e il Po bagnano, si era soliti incontrare valore militare e liberalit, prima che
Federico II avesse contrasti con la Chiesa:
Il valore e la cortesia sono scomparsi nell'Italia settentrionale in un momento storico preciso (prima met
del secolo XIII), che coincise con il periodo delle dure lotte tra i Comuni, sobillati dalla Chiesa, e
l'imperatore Federico II, del quale essi non volevano pi riconoscere l'autorit.
ora invece chiunque evitasse (di passare nell'Italia settentrionale) per vergogna di parlare con le persone
oneste o di avvicinarle pu passare per quella regione sicuro (di non incontrarne alcuna).
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Vero che ci sono ancora tre vecchi nei quali la generazione passata rimprovera la nuova, ma (vi si
trovano tanto a disagio che) sembra loro tardare troppo l'ora in cui Dio li chiamer a una vita migliore:
Corrado da Palazzo e il valente Gherardo da Camino e Guido da Castello, che pi conosciuto col
soprannome, foggiato alla francese, di leale Lombardo.
Corrado III da Palazzo, nobile bresciano, fu vicario di Carlo I d'Angi a Firenze nel 1277 e due anni dopo
guid i suoi concittadini contro Trento: infine nel 1288 fu podest di Piacenza. Era ancora vivo nel 1300.
Gherardo da Camino, la cui famiglia raccolse la signoria degli Ezzelini, fu capitano di Belluno e Feltre; poi
ebbe la signoria di Treviso dal 1283 fino al 1306, anno della sua morte.
Guido da Castello, ghibellino appartenente a uno dei tre rami della famiglia dei Roberti di Reggio Emilia,
nato nel 1235, viveva ancora nel 1315. Cacciato dai Guelfi, ripar presso gli Scaligeri di Verona, dove
sembra lo abbia conosciuto Dante, che nel Convivio (IV, XVI, 6) ne parla con ammirazione. Il
soprannome di il semplice Lombardo prende rilievo dal fatto che per i francesi lombardo significava
italiano astuto e avaro, dedito alla mercatura, e semplice , nell'uso francese, era sinonimo di leale,
onesto.
Puoi concludere ormai che la Chiesa di Roma, confondendo in s i due poteri, cade nel fango e insozza se
stessa e il potere civile che si assunto .
Io dissi: O Marco mio, tu parli bene; e ora capisco perch i figli di Levi furono esclusi dall'eredit di beni
materiali.
Nella legislazione ebraica i Leviti, i discendenti di Levi, erano esclusi da ogni possesso di beni materiali
(cfr. Numeri XVIII, 20-24; Giosu XIII, 14 e XXI, 1-22) perch essi costituivano la classe sacerdotale.
Ma chi quel Gherardo che tu dici essere rimasto come un esempio della generazione passata, quasi
vivente rimprovero del vizioso tempo presente?
Mi rispose: O io m'inganno nell'interpretare le tue parole, o esse mi tentano (per farmi ancora parlare),
perch, pur parlando toscano, pare che tu non sappia nulla riguardo all'eccellente Gherardo.
II nome di Gherardo da Camino doveva essere molto conosciuto in Toscana, perch aveva dato il suo
appoggio a Corso Donati nelle lotte contro i Bianchi.
Io non saprei indicarlo con altra denominazione se non con quella desunta da sua figlia Gaia (cio
dall'essere egli il padre di Gaia). Dio vi accompagni, perch non posso venire oltre con voi.
Di Gaia sappiamo soltanto che and sposa a Tolberto da Camino e mor nel 1311. Secondo alcuni
commentatori fu assai nota per la sua onest e le sue virt e Dante la ricorderebbe per sottolineare
ancora di pi la fama del padre, secondo altri per la sua bellezza e i suoi vizi e in tal caso Dante
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metterebbe ancora una volta in luce la corruzione delle corti dell'Italia settentrionale e la degenerazione
dei figli nei confronti dei padri. Questa seconda interpretazione, inserendosi pi facilmente nel discorso
polemico di Marco, la pi accettabile.
Vedi come la luce del giorno che traspare attraverso il fumo incomincia a biancheggiare, e io devo
tornare indietro - l c' l'angelo - prima che gli compaia davanti.
Cos detto si volse, e non volle pi ascoltarmi.

2003 - Luigi De Bellis

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

DANTE: Divina commedia - Parafrasi


PURGATORIO CANTO XXIV

Il parlare non rallentava il cammino, n il camminare rendeva pi lento il discorso; ma, pur conversando,
andavamo speditamente, come una nave spinta da vento favorevole.
E le ombre, che sembravano cose pi che morte, (guardandomi) attraverso gli occhi infossati si
meravigliavano di me, essendosi accorte che io ero ancora vivo.
E io, continuando il mio discorso (interrotto alla fine del canto precedente), dissi: Quell'anima (Stazio)
sale al paradiso forse pi lentamente di quanto non farebbe (se fosse sola), per amore di Virgilio.
Ma se lo sai, dimmi dov' tua sorella Piccarda (di lei Dante parler nel canto IIl del Paradiso, versi 34
sgg.) ; e dimmi se, tra questa gente che mi osserva in questo modo, posso vedere qualche persona
degna di nota .
Mia sorella, che non so se fosse pi bella o pi buona, gi trionfante in paradiso, lieta della sua
corona di gloria.
Domina, nell'esordio del canto, il senso di piet, non di crudele indagine, che scaturisce
dall'accostamento lievissimo, appena sfiorato nel discreto parean, del termine ombre a quello, trascurato
e non ulteriormente definito, di cose, cui I'attributo rimorte, denso di riferimenti alla sorte delle anime
dopo la cessazione della vita in terra conferisce una cadenza di stanca, rassegnata abdicazione del volere
individuale a quello della giustizia divina che impone di espiare. I versi 5-6 acquistano un ulteriore rilievo
per la contrapposizione della vita destinata a manifestarsi nei penitenti di questa cornice in una
condizione dura ed ingrata (per le tosse delli occhi riprende il motivo delle anella sanza gemme, ribadito
poi nell'apertura dell'episodio di Forese - ed ecco del profondo della testa -) alla vita piena, non ancora
votata al macerarsi nell'espiazione, al dissolversi quasi caricaturale del rivestimento corporeo.
Altri temi ancora del canto precedente riaffiorano musicalmente in questo: la evocazione di una figura
femminile santificata nella preghiera e nella privazione (per cui all'immagine di Nella fa qui riscontro
quella di Piccarda, veduta tuttavia quest'ultima non sullo sfondo di angosce costituito per le anime buone
dal vivere in terra, ma nella gloria del suo trionfo paradisiaco), la recisa condanna di un costume e di una
prassi che hanno trasformato l'ordinato agire dei cittadini di Firenze nel disordine assurdo ove l'arbitrio e
la sete di primeggiare di ogni singolo, non trovano pi un freno che li imbrigli e li regoli volgendoli a buon
fine, per cui la condanna degli usi delle stacciate donne fiorentine trover in questo canto (versi 82-87) la
propria naturale continuazione e conclusione nella profezia del destino che attende il superbo Corso
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Donati. Verr ripreso anche il tema dell'amicizia fedele e ormai purificata da ogni scoria terrena, che
detter a Forese l'ansiosa, addolorata domanda del verso 75 (quando fia ch'io ti riveggia?) e
determiner, nella risposta di Dante, gli accenti accorati della sua saziet di vivere.
Cosi disse prima Forese; poi soggiunse: In questo girone non proibito (anzi necessario) indicare
ciascuno per nome, dal momento che, per il digiuno, la nostra fisionomia cos consunta.
Costui e lo mostr col dito Bonaggiunta, voglio dire Bonaggiunta da Lucca; e quello dietro a lui, con
la faccia cosparsa di screpolature pi di tutti gli altri,
fu sposo della Santa Chiesa (ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia): fu di Tours, e col digiuno sconta le
anguille del lago di Bolsena e la vernaccia .
Bonaggiunta Orbicciani degli Overardi fu un rimatore lucchese, vissuto nella seconda met del secolo
XIII. Le sue creazioni, raffinate ma fredde, sono di carattere provenzaleggiante e forse per tale motivo
Dante lo ha scelto per mettere in rilievo la positivit della nuova poesia, quella che chiamiamo dolce stil
novo (versi 55 sgg.), rispetto alla precedente scuola poetica.
Colui che ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia Martino IV, pontefice dal 1281 al 1285. Nacque a
Montpinc nella Brie, e fu tesoriere della cattedrale di Tours. Il Villani (Cronaca VII, 58) lo giudica come
papa "magnanimo e di gran cuore ne' fatti della Chiesa", mentre i cronisti del tempo (fra cui in
particolare F. Pipino nel suo Chronicon) riportano numerosi e divertenti aneddoti sulla golosit di questo
pontefice, particolarmente ghiotto delle anguille del lago di Bolsena, " le quali sono le migliori anguille
che si mangino... e faceale mettere e morire nella vernaccia e poi battere e meschiare con cacio e uova e
certe altre cose".
Forese poi mi nomin a uno a uno molti altri; e tutti apparivano lieti di esser indicati col loro nome, tanto
che per questo non vidi nessuno per disappunto rabbuiarsi in volto.
Vidi Ubaldino della Pila muovere invano i denti per la fame e Bonifacio che, insignito del bastone
pastorale, fu pastore di molte popolazioni.
Ubaldino degli Ubaldini, appartenente alla potente famiglia toscana dei conti della Pila (nel Mugello), fu
padre dell'arcivescovo Ruggieri (Inferno XXXIII, 14) . Mor intorno al 1291.
Bonifacio dei Fieschi, un ligure che fu arcivescovo di Ravenna dal 1274 al 1295. godette fama di
ecclesiastico gaudente.
Vidi messer Marchese degli Argogliosi, che gi ebbe agio di bere a Forl con minor sete di qui, sebbene
sia stato cos grande bevitore da non sentirsi mai sazio.
Marchese degli Argogliosi, nato a Forl, fu eletto podest di Faenza nel 1296. Molti furono gli aneddoti
fioriti intorno alle sue notevoli capacit di bevitore.
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Ma come fa chi guarda pi persone e poi mostra di stimare pi l'una che l'altra, cos feci io verso
Bonaggiunta, che sembrava pi degli altri desideroso di conoscermi.
Egli parlava sottovoce: e io potevo percepire qualcosa come "Gentucca" dalla sua bocca dove egli sentiva
pi viva la tortura della fame e della sete che in tal modo li consuma.
Io dissi: O anima che sembri cos desiderosa di parlare con me, parla in modo che io ti capisca, e
parlandomi appaga il tuo e il mio desiderio .
Egli cominci a dire: gi nata una donna, che non porta ancora il velo maritale, la quale ti far
piacere la mia citt, nonostante di essa si dica tanto male (come ch'uom la riprenda).
I commentatori pi antichi, fra cui il Boccaccio, consideravano Gentucca non un nome proprio, ma un
termine significante all'incirca "gente biasimevole'", "da poco", basandosi sul giudizio negativo da Dante
sempre espresso nei confronti dei Lucchesi (cfr. Inferno XXI, 41-42) . Solo in un secondo tempo, sulla
base di un suggerimento del Buti, si pens ad un nome di donna e si afferm che Dante si sarebbe
innamorato di Gentucca durante un soggiorno a Lucca. Esiste infatti un documento lucchese del 1317 che
parla di Gentucca Morla, la quale spos un certo Bonaccorso Fondora. Tuttavia i versi 43-45 non
permettono in alcun modo di pensare ad un vero e proprio amore, bens ad un sentimento di gratitudine
che in questo momento il Poeta esprime per la cortesia e l'amicizia con cui questa donna lo avrebbe
accolto durante il suo soggiorno a Lucca, avvenuto probabilmente intorno al 1306 mentre il Poeta era
ospite di Moroello Malaspina, o alcuni anni pi tardi.
Tu te ne andrai di qui con questa profezia: se per le parole che io mormoro sorto in te qualche dubbio, i
fatti ti illumineranno pi delle mie parole.
Ma dimmi se qui vedo in te colui che diede l'avvio ad una nuova maniera di poetare, offrendone il primo
esempio con (la canzone) Donne ch'avete intelletto d'amore" .
Ad un poeta come Bonaggiunta, ancora legato ai modi della lirica provenzale (nata spesso priva
d'ispirazione e costruita su modelli ormai diventati canonici secondo uno stile oscuro e complesso, anche
se elegante), non poteva non interessare l'incontro con chi invece da quei moduli si era staccato per
creare un nuovo mondo poetico e un nuovo stile: ci avveniva attraverso la composizione della Vita Nova
e in modo particolare con la creazione di quel gruppo di rime amorose in lode di Beatrice, delle quali la
prima appunto "Donne ch'avete intelletto d'amore". Il Poeta cos afferma a proposito di questa
canzone: "la mia lingua parl quasi come per se stessa mossa, e disse: "Donne ch'avete intelletto
d'amore" (Vita Nova XIX, 2) .
E io gli risposi: Io sono semplicemente uno (fra gli altri) che, quando avverto che l"amore mi parla,
attentamente prendo nota, e cerco di esprimere fedelmente con le parole (vo significando) quello che
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

esso detta dentro di me .


Dopo che il primo verso della canzone "Donne ch'avete intelletto d'amore" ha precisato l'argomento della
nuova poesia - quello dell'amore (in un significato che trascende quello solamente erotico della poesia
passata, per svolgersi su un piano morale-religioso) . Dante vuole sottolineare il carattere
dell'ispirazione, che deve nascere solo dall'anima (e non dalle regole accettate da una scuola poetica,
come spesso avveniva nella lirica provenzale), avendo come unica guida, anzi dittator (verso 59),
l'amore: in tal modo viene impegnata tutta l'esperienza intima di un poeta, nonch la sua capacit di
ricercare una forma espressiva adeguata alla profondit della materia.
Egli disse: O fratello, ora finalmente conosco l'impedimento che tenne il notaio Giacomo da Lentini e
Guittone d'Arezzo e me al di fuori del dolce stiI novo, che ora mi spiego.
Giacomo da Lentini lavor nella curia di Federico II, morendo intorno al 1250. II suo nome viene
ricordato in questo momento per indicare i rimatori della scuola siciliana, che si form intorno alla met
del '200 alla corte di Federico II, prendendo a modello la lirica provenzale.
Guittone d'Arezzo, morto a Firenze nel 1294, viene considerato, nella storiografia letteraria, come poeta
di transizione (di animo vigoroso, ma di stile elaborato) fra la scuola siciliana e quella del dolce stil novo,
sviluppatasi in Toscana. Bench Dante ne sia stato influenzato nella sua giovinezza, lo giudica
severamente, insieme con Bonaggiunta e altri rimatori toscani, in un passo del De Vulgari Eloquentia (I,
131 sgg.) e del Purgatorio (XXVI, 124-126). chiaro che Dante vuole mettere in rilievo la differenza fra
la vecchia poesia (quella provenzale, siciliana, di transizione) e la nuova (che ha tra i suoi esponenti,
oltre all'Alighieri, Guido Guinizelli, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoia, Lapo Gianni), differenza di contenuto
(quando Amor mi spira, noto) e di ispirazione (a quel modo ch' ditta dentro vo significando). Il verso su
cui la critica, soprattutto in sede storiografica, si soffermata, il 57, nel quale l'espressione dolce stil
novo stata poi scelta come nome indicativo di tutta la nuova corrente poetica (dopo che alcuni critici
avevano avanzato l'ipotesi che stil novo fosse proprio di Dante e degli altri poeti e dolce stil novo fosse da
riferirsi solo a Dante). Stil indica la poesia, novo la caratteristica della materia, dove l'amore diventa una
forza di raffinamento e di ascesi spirituale verso Dio, dolce la musicalit dell'espressione, oltre che la
delicatezza del contenuto che tratta d"amore.
Ora vedo bene come le vostre penne seguono con stretta fedelt l'amore che detta, il che non accadde
certamente alle nostre;
e chiunque si metta a considerare ancor pi attentamente, tra l'uno e l'altro stile (il nostro e il vostro)
non vede altra differenza oltre quella che abbiamo detto (quella cio relativa all'argomento d'amore e alla
sincerit dell'ispirazione); e tacque, come appagato.
L'episodio di Bonaggiunta Orbicciani da Lucca stato fatto oggetto di esegesi accurata e ricca di
svolgimenti da parte dei critici. Occorre tuttavia premettere che esso - ed in particolare la terzina 52 -
mantenuto in un clima di voluta imprecisione, in un'atmosfera la quale, mentre da un lato ne sfuma i
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

contorni nell'indeterminato della profezia, insiste dall'altro nel sottolineare unicamente la qualit interiore
del comporre poetico, lo spirito religioso di cui l'atto creativo deve informarsi. Osserva in proposito il
Pellegrini che ognuno dei termini della terzina in esame presenta una notevole indeterminatezza
lessicale. Nell'ambito di quest'ultima il "dittare" di Amore pu essere con pari diritto inteso nel suo senso
pi comune ed immediato - al quale farebbe riscontro, da parte dello scrittore inteso come semplice
scrivano, un mero registrare - quanto in un senso che fu proprio del Medioevo e che poi si perduto
(quello di un'attivit pi specificamente ristretta all'ambito della letteratura, per cui il "dittare", in questa
accezione limitata, sarebbe proprio soltanto di coloro che sanno servirsi degli strumenti espressivi i quali
sono stati fissati da una lunga tradizione retorica) ed equivarrebbe quindi ad "ornare con colori retorici".
II termine noto d'altro canto potrebbe voler dire "tanto scrivo (in abbreviatura o no), ovvero
registro , osservo, quanto metto in musica o canto su note musicali "; analoghe "alternative
semantiche" presenterebbero all'analisi spira e significando, laddove l'intera sintassi dell'espressione e a
quel modo ch' ditta dentro vo significando sarebbe suscettibile di due divergenti letture, a seconda del
valore transitivo o intransitivo attribuito al gerundio significando; l'esegesi corrente interpreta
significando intransitivamente, ma niente vieterebbe, secondo il Pellegrini, d'intendere: "e a quel modo
[cio notando] vo significando ci ch'egli ditta dentro". Le conclusioni cui questo critico perviene sono
pertanto quanto mai caute, per non dire scettiche, circa la possibilit di interpretare in maniera univoca i
versi 52-54 e, di riflesso, l'intero episodio di Bonaggiunta.
Lo studio del Pellegrini tuttavia, se costituisce un'introduzione efficace e quasi indispensabile all'analisi
deil'episodio di Bonaggiunta, rischia - per eccesso di scrupolo e di cautela nella lettura di esso - di riuscire
paralizzante per determinare il tono che la parola di Dante assume in questo passo, tono che ad una
lettura, non ostacolata da remore critiche, risulta quanto mai evidente. Occorre a tale proposito
osservare che tutte le interpretazioni miranti a trasformare il dialogo tra il protagonista e Bonaggiunta in
uno scambio di battute pi o meno velatamente polemiche finiscono con l'astrarre l'episodio di
Bonaggiunta da quella che la atmosfera mai smentita - se non nell'accensione dello sdegno politico, e
quindi per motivi di ben altro peso che non quelli dai quali pu scaturire una disputa fra poeti, una
disquisizione intorno al rapporto fra ispirazione e resa stilistica nell'opera d'arte - dell'intera seconda
cantica, laddove la tonalit che appare propria di questo passo rientra nel quadro di quella
caratterizzante il Purgatorio. Costanti di questa tonalit sono, per quel che riguarda l'incontro fra Dante e
le anime, un reciproco abdicare all'orgoglio ed agli accenti recisi, un festoso, perch spontaneo,
manifestarsi della carit e della gentilezza.
Un retto avvio alla definizione in sede critica del significato di questa pagina pu invece essere fornito da
uno studio del De Negri, il quale mostra come il dialogo fra Dante e Bonaggiunta vada inserito in una
serie di episodi del Purgatorio, nei quali, a proposito delle sue qualit di artefice della parola, Dante viene
via via mettendo a sempre pi severa prova se stesso l'uomo nuovo che in lui faticosamente, di cornice
in cornice, matura la sua umilt - di fronte al compiacimento che gli deriva dalla consapevolezza della
propria eccellenza nel campo poetico. Gli elogi palesatigli da Casella nel canto II, non meno che alcune
parole a lui rivolte da Oderisi da Gubbio nell'XI rappresentano per il protagonista della Commedia una
pericolosa insidia, una vera e propria tentazione. Nel canto XXVI Dante, tessendo a sua volta gli elogi di
Guido Guinizelli, abbandoner d'altro lato ogni pretesa di superiorit sugli altri rimatori. In questo
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

contesto tematico si inserisce naturalmente l'episodio di Bonaggiunta. In particolare, per quel cheriguarda i versi 52-54, il De Negri sostiene, in modo quanto mai convincente, che in essi Dante "esprime
un intento deprecatorio (come di chi vuole sottrarsi ad una lode eccessiva ed immeritata)... Comincia con
una formula (i' mi son un), mediante la quale declina ogni suo merito personale e toglie alla sua
esperienza (che non sua soltanto, ma di altri) ogni carattere di singolarit: e prosegue illustrandola con
un'altra formula" la quale attribuirebbe al poetare dell'autore null'altro che "un compito subalterno di
fedele e diligente registrazione". La medesima posizione del De Negri era stata in precedenza sostenuta
nella monografia di uno studioso americano, lo Shaw, e nel commento del Sapegno. Quella dello Shaw
risulta un'indagine assai accurata, condotta sul duplice binario di una caratterizzazione psicologica dei
due dialoganti e di una interpretazione semantica delle loro parole, la quale mette in discussione pi di
un punto che sembrava ormai pacificamente acquisito all'esegesi tradizionale del passo. Tra l'altro, per
quanto concerne l'issa con cui inizia il riconoscimento da parte di Bonaggiunta dei propri limiti nell'arte
del comporre rime, il critico americano gli attribuisce non un valore esprimente l'immediato accorgersi
(vegg io) di Bonaggiunta dei limiti della sua opera letteraria dopo la affermazione di Dante circa il
"dittare" di Amore nell'animo, ma un'accezione assai pi estesa, per nulla legata all'occasionale incontro
tra i due poeti. Per lo Shaw infatti issa abbraccerebbe l'intero tempo trascorso da Bonaggiunta sulle balze
del sacro monte, ribadendo in tal modo in lui quella qualit di veggente, quella lucidit di giudizio che
caratterizza tutte le anime del purgatorio. In tono con l'esegesi dello Shaw si colloca quella, misurata ed
attenta, del Sapegno, il quale, sempre in rapporto al controverso issa del verso 55, scrive: "Meglio che
non: adesso, dopo avervi udito , sar da intendere: adesso, che sono qui, nel purgatorio, libero da
orgogli e polemiche terrestri, e meglio atto a giudicare secondo il vero . Il carattere della poetica nuova
si rivela a Bonaggiunta come una verit religiosa, in quanto egli salito a una nuova vita spirituale; e si
rende conto ora dell'importanza di quella poesia che celebra un amore inteso come rinnovamento
interiore e fondamento di moralit".
Come gli uccelli (le gru) che svernano lungo il Nilo, talvolta formano in aria una schiera, poi volando pi
in fretta si dispongono in fila,
cos tutta la gente che era l attorno a noi, volgendo gli occhi in direzione del cammino, affrett il suo
passo, resa agile dalla magrezza e dal desiderio di espiare.
E come chi, stanco di correre, lascia andare i compagni, e cos riprende il passo normale finch si calmi
l'ansimare del petto,
cos Forese lasci andar oltre quella santa schiera, e procedeva dietro con me, dicendo: Quando
avverr che ti riveda?
Gli risposi: Non so per quanto tempo vivr ancora; ma certo il mio ritorno qui non sar cos prossimo,
che io non anticipi prima col desiderio la mia venuta alla riva del purgatorio,
perch il luogo (Firenze) dove fui posto a vivere, ogni giorno pi s'impoverisce d'ogni virt, e appare
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

avviato verso una miseranda rovina .


Ors, fatti animo egli disse, perch io vedo il maggior colpevole trascinato dalla coda d'un cavallo
verso la valle (l'inferno) dove le colpe non vengono mai rimesse.
Forese allude alla morte del fratello Corso, del quale non pronuncia il nome per un senso di pudore e
orrore. Corso, uomo violento ed ambizioso, podest a Bologna e altrove, fu tra i capi di parte nera a
Firenze. Cacciato quando Dante era priore (1300) , torn in Firenze alla venuta di Carlo di Valois e
capeggi i Neri nelle vendette contro i Bianchi. Aspirando alla signoria assoluta, si mise in contrasto con il
suo partito e nel 1308 dovette fuggire dalla citt, condannato come traditore: ma fu preso e, mentre
veniva ricondotto a Firenze, presso San Salvi cadde da cavallo, e fu ucciso dai mercenari catalani della
Signoria (cfr. Villani - Cronaca VIII, 96; Compagni - Cronaca III, 21) . L'accesa fantasia di Dante
trasforma il fatto di cronaca, proiettandolo in un torbido alone di leggenda, dove Corso Donati viene
trascinato all'inferno, come un traditore della patria, da un cavallo-demonio.
La bestia che lo trascina accelera la corsa ad ogni passo, e la sua velocit cresce sempre, finch lo
percuote, e lascia il cadavere ignominiosamente sfigurato.
Non dovranno girare a lungo quelle sfere (cio: non passeranno molti anni) , e alz gli occhi al cielo,
prima che ti sar manifesto quello che le mie parole non possono dire pi chiaramente.
Ormai resta pure indietro; perch il tempo prezioso in questo regno, e io ne perdo troppo procedendo
cos al passo con te .
Come talvolta da una schiera di soldati a cavallo esce al galoppo un cavaliere, e corre per avere l'onore
del primo scontro col nemico,
allo stesso modo si allontan da noi Forese con passi pi lunghi dei nostri; e io restai per via insieme con
i due poeti, che furono cos grandi maestri dell'umanit.
E quando Forese si fu allontanato davanti a noi, tanto che i miei occhi lo seguirono a stento, cos come a
stento la mia mente aveva seguito le sue oscure parole profetiche,
mi apparvero carichi di frutti e verdi di fogliame i rami d'un altro albero, e non molto lontani da me,
essendomi io solo allora voltato verso quella parte.
Sotto l'albero vidi della gente alzare le mani, e gridare non so che cosa verso le fronde, quasi fossero
bambinetti golosi e ingenui,
che pregano mentre colui che pregato non risponde, ma tiene alto l'oggetto da essi desiderato e non lo
nasconde, per rendere sempre pi viva la loro brama.
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Questa immagine cos concreta, e tuttavia cos percorsa da una trepida delicatezza, degnamente
conclude l'incontro con le anime dei golosi, incontro sempre dominato dalla presenza di Forese. Infatti
tutti i motivi che hanno definito, nel canto precedente, lo svolgersi della prima parte dell'episodio di
Forese Donati vengono ripresi, in una non diversa disposizione tonale, nella sua seconda parte in questo
canto. Cos avviene ad esempio per il motivo che costituisce lo sfondo, non gi indifferenziato ed amorfo,
non gi riconducibile, secondo un modulo crociano, a mere esigenze della cosiddetta "struttura", di
questa pagina: la descrizione, dalla quale i temi dell'incontro tra i due amici naturalmente scaturiscono,
della magrezza inimmaginabile in terra delle ombre dei golosi, Tale descrizione risulta nel canto XXIV
meno evidenziata, meno analiticamente svolta che in quello precedente, per motivi inerenti alla
disposizione fondamentale del Poeta di fronte alla materia trattata. La poetica di Dante , infatti, una
poetica dell'azione e dell'ascesi, non dell'indugio e della contemplazione ribadita ed ossessiva e
disperante di questo o quel l'aspetto del reale. Dante non torna mai su un medesimo argomento senza
che la riproposizione di quest'ultimo non sia motivata dalla necessit della narrazione, prima che da
esigenze di musicalit e di armonia delle parti, prima cio che da esigenze di stile Ecco perch nel canto
XXIV il tema della magrezza dei golosi, spietatamente delineato in quello precedente (cfr. versi 22-33),
appare soltanto accennato in balenanti scorci, come quello che compare in principio del canto (versi 4-5)
- e che costituisce la conclusione del singolare esordio di questo, concepito, secondo quanto rileva il
Gallardo, "come un inciso di carattere descrittivo tra le ultime parole dette da Dante alla fine del canto
XXIII e la continuazione, che non presuppone alcuna interruzione, dei versi seguenti" - e quello,
indiretto, ma altrettanto evidente che mostra per l'ultima volta le ombre del sesto girone (versi 106-111).
Poi quella gente si allontan come disingannata; e noi ci avvicinammo subito al grande albero, che rifiuta
di esaudire tante preghiere e lagrime.
Passate oltre senza avvicinarvi: pi in alto (nel paradiso terrestre) vi un altro albero il cui frutto fu
gustato da Eva, e quest'albero deriv da quello.
Cos parlava una voce nascosta tra le fronde; per questo Virgilio, Stazio ed io, tenendoci stretti,
procedevamo lungo la parete del monte.
Diceva: Ricordatevi dei maledetti Centauri, figli della nuvola, che, ebbri, combatterono contro Teseo
con i loro petti umani ed equini;
I Centauri, figli di Issione e di Nefele (la nuvola cui Giove aveva dato le sembianze di Giunone), di natura
equina nella parte inferiore del corpo, di natura umana in quella superiore (cfr. Inferno XII, 56 sgg.),
sono qui ricordati per l'intemperanza dimostrata durante il banchetto per le nozze di Piritoo, re dei Lapiti,
con Ippodamia: in preda ai fumi del vino, tentarono di rapire la sposa e le altre donne; ma furono vinti e
in gran parte uccisi dai Lapiti guidati da Teseo (cfr. Ovidio - Metamorfosi XIII, 210-535).
e degli Ebrei che si mostrarono ingordi nel bere, e per questo Gedeone non li volle come compagni,
quando discese dai monti contro i Madianiti .
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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

Il secondo esempio di gola punita ricorda un episodio biblico avvenuto durante la guerra degli Ebrei
contro i Madianiti: Gedeone, il condottiero ebraico, per ordine di Dio scelse a combattere solo trecento
soldati che, alla fonte di Arad, erano stati temperanti nel bere portando l'acqua alla bocca con la mano,
ed escluse gli altri che si mostrar molli inginocchiandosi e tuffando le labbra nell'acqua per bere
abbondantemente (cfr. Giudici VI, ll; VII, 25).
Cosi accostati a uno dei due orli della cornice passammo oltre, udendo ricordare esempi di golosit,
seguiti sempre da tristi castighi.
Poi, distanziati un po' l'uno daIl'altro nella strada deserta, procedemmo oltre di ben mille passi e pi,
ciascuno meditando in silenzio.
Una voce improvvisa ci disse: Che cosa state pensando voi tre cos solitari?; perci io mi scossi come
fanno le bestie giovani quando vengono spaventate.
Alzai il capo per veder chi fosse (colui che aveva parlato); e mai furono visti in una fornace vetri o metalli
cosi fulgenti e incandescenti,
com'era l'angelo che io vidi mentre diceva: Se gradite salire, necessario svoltare qui; da questa parte
va chi vuole andare verso la pace del cielo .
Il suo aspetto mi aveva abbagliato la vista; e per questo io voltai (a sinistra) dietro ai miei due maestri,
come un cieco che cammina seguendo la voce che ode.
E quale il venticello di maggio, che annuncia il prossimo albeggiare, si leva ed olezzante, perch tutto
impregnato del profumo dell'erba e dei fiori,
tale fu il vento che sentii colpirmi in mezzo alla fronte, e sentii distintamente muoversi l'ala, la quale fece
s che l'aria odorasse d'ambrosia.
E udii dire: Beati quelli ai quali splende tanta grazia, che il piacere della gola non eccita nel loro petto
un desiderio eccessivo,
provando sempre fame soltanto della giustizia!
L'angelo della temperanza parafrasa e adatta ai golosi una parte della quarta beatitudine: "Beati qui
esurtunt... iustitiam": "Beati quelli che hanno fame... di giustizia" (Matteo V, 6), gi applicata agli avari
(cfr. Purgatorio XXII, 4-6).

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Divina commedia: Parafrasi Purgatorio

2003 - Luigi De Bellis

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