La morte di Nerone, 68 a. C, segnò la fine della dinastia giulio- claudia e diede avvio a una serie di vicende molto complesse. Questo fu dovuto principalmente all’incapacità del Senato di imporre il proprio volere, e alle rivalità dei diversi capi dell’esercito, ciascuno dei quali voleva mettere al trono il proprio generale. A Nerone successe l’anziano generale Servio Sulpicio Galba, ma fu ucciso da una sommossa di pretoriani guidata da Salvio Otone. Salvio Otone fu ucciso da Aulo Vitellio, acclamato imperatore dalle legioni del Reno. A questo punto insorsero le legioni dell’Oriente, impegnate a domare le rivolte dei giudei nel 66, che nominarono imperatore il loro generale Vespasiano. Vespasiano lasciò il comando della guerra giudaica al figlio Tito e sconfisse Vitellio, marciò su Roma e la conquistò. Nel 69, chiamato “l’anno dei quattro imperatori”, Vespasiano assunse il potere, ponendo fine alle lotte fra i vari pretendenti al trono. Tito Flavio Vespasiano, era un generale appartenente a una famiglia di rango equestre. Nel 69 riuscì ad ottenere il potere, dando avvio alla dinastia flavia. Egli promosse una rigida politica di risanamento finanziario, introducendo nuovi tributi, fece costruire numerose opere pubbliche e favorì l’ingresso dei provinciali nell’esercito e nel Senato. Vespasiano sciolse alcune legioni e ne rafforzò altre con elementi provinciali. A lui si deve la definizione giuridica del principato e l’affermazione esplicita del criterio di successione ereditaria. Vespasiano rimase al potere per dieci anni. Alla sua morte gli successe il figlio Tito (79-81), artefice della vittoria giudaica contro gli ebrei ribelli (66-74). Tito continuò la politica del padre guadagnandosi la piena fiducia del Senato, che gli conferì l’appellativo di “amore e delizia del genere umano” in quanto rispettò profondamente i Senatori e fu un conservatore. Egli, nonostante il suo breve regno, riuscì a promuovere le prime campagne militari verso il nord della Britannia affidando il compito al generale Gneo Giulio Agricola, suocero di Tacito. Gestì molto bene l’amministrazione e completò la costruzione, avviata dal padre Vespasiano, dell’Anfiteatro flavio (Il Colosseo) inaugurato nell’80. Il suo breve principato, fu attraversato da gravi calamità: nel 79 vi fu l’eruzione del Vesuvio che distrusse la città di Pompei, Ercolano e Stabia, nell’80 un incendio devastò molti quartieri di Roma e a ciò seguì anche un epidemia che colpì numerose persone. Nell’81 Tito morì senza lasciare eredi diretti, quindi il regno passò nelle mani del fratello Domiziano (81-96). Egli diede al proprio principato un deciso carattere assolutista, sul modello delle monarchie orientali e pretese di essere chiamato “signore dio” (“Domus et Deus”). Questo sue tendenze autocratiche del principato lo portarono alla scontro con l’aristocrazia senatoria, che organizzò una congiura nel 96 di cui Domiziano cadde vittima. Durante il suo regno amministrò le province con cura e istituì misure protezionistiche a favore dell’agricoltura italica, pesantemente in crisi a causa della produzione provinciale. Egli ampliò il dominio romano nel settore nord- occidentale, dove istituì due province ovvero la Germania Inferiore e della Germania Superiore. Il Generale Agricola si spinse nel nord della Britannia fino alla Scozia meridionale. Dopo l’uccisione di Domiziano salì al potere Nerva (96- 98), discendente da una famiglia senatoria di antica nobiltà, e che pose fine alla dinastia flavia. Egli si trovò a fronteggiare una situazione di precarietà in quanto la fedeltà della legioni delle province veniva meno e molto incerto era l’appoggio dei pretoriani, quindi cercò di assicurarsi il favore del popolo attraverso la donazione di denaro e la distribuzione di terre ai nullatenenti. La sua più importante iniziativa fu l’adozione del generale d’origine spagnola Marco Ulpio Traiano, con cui nacque l’istituto del principato adottivo, gradito da tutte le componenti sociali perché capace di conciliare il criterio dinastico con quello meritocratico. Alla morte di Nerva salì al trono Traiano (98- 117). Egli era membro di un’importante famiglia senatoria spagnola, adottato poi da Nerva riuscì a conciliare il Senato e l’Esercito. Il suo principato fu caratterizzato da una serie di campagne militari in Dacia e in Oriente raggiungendo così la massima estensione territoriale dell’impero. Grazie alle ricchezze acquisite attraverso le conquiste, specialmente l’oro in Dacia, Traiano riuscì a sostenere una politica di grandi lavori pubblici: il nuovo Foro, le terme,i mercati, nuove strade e nuovi ponti; prese anche importanti provvedimenti economici e assistenziali come gli alimenta. Per il rispetto mostrato nei confronti delle istituzioni tradizionali, Traiano fu celebrato come restauratore della libertà e ricevette il titolo di optimum princeps. Gli successe Adriano, sempre per adozione (117- 138), il quale abbandonò la politica espansionistica sostituendola con una politica difensiva: rinunciò alle province orientali di recente acquisizione, consolidò il limes (strada militare di confine, sul cui corso sorgevano postazioni di guardia) fortificando lunghi tratti di confine con enormi opere in muratura. Egli trasformò il sistema di reclutamento facendo militari i soldati nelle zone di origine. Amante delle lettere e delle arti e grande ammiratore della cultura greca, promosse la rifioritura di Atene e la costruzione di grandi complessi architettonici a Roma. VITA CULTURALE Come nella dinastia giulio- claudia, anche la dinastia flavia ebbe interesse culturali e svolse attività di promozione delle lettere e della arti. Anche in questo periodo la vita intellettuale venne controllata, al fine di mantenere e risaldare il potere, vennero represse le manifestazioni di pensiero e dell’arte che potevano fornire strumenti all’opposizione politica. Vespasiano scrisse i Commentari (ad oggi perduti) sulle sue gesta e prese importanti iniziative in campo culturale: promosse la scuola pubblica, aprì una nuova biblioteca nel Foro della Pace, iniziò la costruzione dell’Anfiteatro Flavio e finanziò generosamente poeti, attori e artisti. Il suo più importante contributo fu in ambito scolastico (fino ad allora la scuola era principalmente privata): egli fu il primo a stipendiare, a spese del fisco, i retori (insegnati di retorica) greci e latini, inaugurando una nuova istituzione con cattedre finanziate dallo Stato, e se da un lato diede un forte impulso agli studia, dall’altro si tradusse in uno stretto controllo e dipendenza degli insegnanti al potere politico. la scuola di retorica era diventata il luogo in cui si formavano i funzionari imperiali, impegnati a vari livelli del governo e dell’amministrazione a Roma e nelle province. L’azione di promozione della scuola mirava a fornire ai principi collaboratori ed esecutori preparati e fedeli, e contribuiva a favorire anche la diffusione di una cultura unitaria nei diversi territori sottoposti al dominio di Roma. Anche Tito ebbe un’ottima formazione culturale e interessi per la poesia, la musica e le arti figurative. Domiziano si dedicò personalmente alla poesia, componendo uno o più poemi epici – storici sulle imprese del padre e del fratelli, in particolare sulla guerra giudaica. Domiziano come Nerone, promuove le arti istituendo ludi a cui era abbinati concorsi letterari e ai quali partecipavano letterati in cerca di affermazione e di premi. Il dispotismo di Domiziano gli suscitò l’odio della classe senatoria, e la tradizione storiografica successiva raffigurò l’imperatore in luce totalmente negativa, presentandolo, per quanto riguarda i rapporti con gli intellettuali, smanioso di adulazione e persecutore di scrittori e filosofi. Con due editti infatti egli espulse filosofi, retori e astrologi e fece accusare e mettere a morte gli esponenti dell’opposizione aderenti allo stoicismo. Dobbiamo dire che Domiziano non fu l’unico per queste manifestazioni d’intolleranza, anche Vespasiano aveva preso misure repressive dello stesso tipo, espellendo i filosofi, perché a quanto sembra la filosofia continuava a dare sostegno all’opposizione ideologica contro il principato o contro alcune concezioni di esso. Nel complesso la politica culturale degli imperatori flavi avendo sicuramente promosso l’attività degli scrittori, non sembra aver influito sulle scelte specifiche letterarie, ossia formali e stilistiche. Anche Traiano e Adriano si dedicarono personalmente alle letteratura. Traiano si inserì nella tradizione memorialistica con un’opera sulla guerra dacica (De bello Dacico, ad oggi perduta); scrisse anche poesia sia R T A O L C E IN U F S M P V Q Z H in latino che in greco. Adriano invece pubblicò discorsi ed epistole (di cui rimangono pochissimi frammenti, riconducibili all’ambito dei poetae novi), compose anche un’autobiografia, ad oggi perduta. In generale il II secolo fu un’epoca favorevole per la cultura grazie alla stabilità politica, alla prosperità economica e all’azione di sostegno della scuola, producendo così una diffusione dell’istruzione che l’antichità non aveva mai conosciuto. Furono aperte nuovi grandi biblioteche, sorsero importanti centri di cultura nelle province occidentali e si sviluppò il movimento cultura della seconda sofistica. POESIA E PROSA NELL’ETà DEI FLAVI La produzione poetica dell’età dei Flavi vede la fioritura di due generi: la poesia epigrammatica (a opera di Marziale) e la poesia epica. Sul versante della prosa, invece, si ha diffuso interesse per trattatistica tecnica.
S M Q P TAZI ARZI UINTI SILIO VLINIO ALERIO VECCHIO FLACCO LLIANO ITALICO O ALE IL
POESIA EPICA, STORICA, EROICA
SILIO ITALICO Silio Italico visse dal 26 al 101 d. C, fece una brillante carriera sotto Nerone come avvocato; nel 68 fu console, successivamente proconsole in Asia al tempo di Vespasiano e infine fu inter principes civitatis sotto Domiziano. Silio Italico era molto ricco, era anche un appassionato collezionista di oggetti d’arte e aveva un particolare culto per Virgilio, di cui fece anche restaurare il sepolcro. Egli scrisse un vasto poema epico- storico, intitolato Punica (“La Guerra Punica”), che narra le vicende della seconda guerra contro Cartagine (219-202 a. C). Quest’opera conta diciassette libri, rimase molto probabilmente incompiuta e forse il progetto originario era di diciotto libri (quanti gli Annales di Ennio). Al centro dei Punica è collocata la sconfitta romana di Canne, a cui sono dedicati ben due libri, il IX e il X. Nei primi otto invece sono narrati gli avvenimenti anteriori, dall’assedio di Sagunto ai preparativi di Canne. I libri successivi presentano la graduale riscossa romana fino alla battaglia di Zama. Silio pur scegliendo l’epos storico narra di un avvenimento lontano nel tempo, accostandosi maggiormente al filone dell’epica eroica, seguendo così la tradizione omerico- virgiliana. Le vicende storiche,che ricostruisce attingendo principalmente all’opera di Tito Livio, sono trasposte epicamente mediante l’inserzione di tutti gli elementi tipici dell’epos: interventi di divinità, cataloghi di popoli e di combattimenti, descrizione opere d’arte, evocazione dei morti per ottenere profezie. Vi sono anche, sul modello di Virgilio, brani encomiastici e celebrativi: tipo nel III libro Giove predice a Venere le imprese di Vespasiano, Tito e Domiziano. L’imitazione virgiliana è una costante ed investe anche la forma e lo stile, che si modella sull’opera di Virgilio precisamente dell’Eneide, a cui fa continuo riferimento riprendendo anche espressioni e addirittura interi versi (nel I verso si trova il termine Arma che rinvia all’Eneide. Attraverso questo termine invocava la musa proprio come la invoca Virgilio). Sotto diversi punti e sotto diversi aspetti Silio “ha contaminato”W, variegato e integrato il suo modello principale servendosi di altri autori, quali Lucano. L’influsso di Lucano si rileva principalmente nella struttura compositiva, che ha il suo centro in una battaglia; ma mentre per Lucano la battaglia di Farsalo è la definitiva rovina dei valori politici e morali, Silio invece presenta Canne come uno dei momenti più difficili, ma anche uno dei più gloriosi della storia di Roma. Altro punto di contato con Lucano è l’assenza di un eroe che diventi il vero protagonista dell’azione, infatti la vittoria sui Cartaginesi non è l’opera dei singoli individui ma del popolo romano nel suo complesso. Proprio come Lucano aveva fatto con Cesare anche nei Punica Silio pone in risalto la figura di Annibale, il principale antagonista di Roma. Silio però a differenza di Virgilio e di Lucano ci appare privo di profonde motivazioni ideologiche che sorreggono la sua opera. VALERIO FLACCO Gaio Valerio Flacco Balbo Setino è autore di un poema epico- mitologico, incompiuto, intitolato Argonautica (“Storie degli Argonauti”). Della sua vita si sa molto poco, ad esempio che era originario del Lazio. Gli unici riferimenti sono costituiti da accenni, presenti nei libri III e IV, in riferimento all’eruzione del Vesuvio del 79 d. C, quindi si può presupporre che l’opera sia stata compiuta tra il 70 e il 90. Gli Argonautica riprendo nel titolo il poema del greco Apollonio Rodio. Quest’opera narra, in otto libri, la spedizione degli eroi guidati da Giasone e imbarcati sulla nave Argo, alla conquista del vello d’oro. I libri I- IV espongono l’antefatto, i preparativi della partenza e le avventure del viaggio. Il V libro narra della spedizione che arriva a Colchide, dove infuria una guerra feroce tra il re Eeta e il fratello Perse: gli Argonauti si alleano con Eeta in cambio della consegna del vello d’oro alla fine del conflitto. Nel frattempo la maga Medea, figlia del re, s’innamora grazie all’intervento divino di Giasone. Nel VII si narra che dopo la vittoria Eeta manca alla sua promessa e impone a Giasone di superare una serie di terribili prove per ottenere il vello. Medea va in soccorso dell’eroe che ama, fornendogli il filtro che gli permette di compiere felicemente l’impresa. Nell’VIII libro Giasone s’impadronisce del vello d’oro e fugge con la donna e con gli altri Argonauti. Eeta manda al loro inseguimento una spedizione che li raggiunge e che chiede la restituzione di Medea ed è qui che il poema s’interrompe. La vicenda segue nel complesso gli avvenimenti raccontati nelle Argonautiche di Apollonio Rodio, con una sola eccezione: l’inserzione della guerra tra Eeta e Perse. Tale innovazione, apportata dal desiderio di Flacco di avvicinarsi nella tematica bellica all’Eneide, comporta altre differenze: come la sostituzione della tripartizione presente in Apollonio in bipartizione, che ricalca almeno per questo aspetto l’opera virgiliana. La parte più originale del poema è la seconda parte, in cui spicca la figura di Medea. Medea era stata già descritta da Apollonio, che aveva privilegiato la dimensione della psicologia amorosa, subordinando ad essa la magia; Valerio Flacco invece tiene conto di entrambi gli aspetti, creando così una figura di potente e affascinante ambiguità. A secondo delle circostanze prevale la tipologia ora della principessa ora della maga ora della donna innamorata, soprattutto in questo caso Flacco dispiega la sua capacità di osservazione psicologica, descrivendo la passione di Medea con una nuova sensibilità ma con richiami virgiliani. L’idea dell’amore che prevale è quella della follia amorosa, propria del IV libro dell’Eneide, che qui però la forma caratteristica della cura, un’ossessiva malattia dell’anima, che brucia ed annulla la volontà ed esaurisce le energie psichiche in uno scontro con le remore del pudore. Anche Giasone, come Medea, subisce importanti modifiche: Apollonio ne aveva fatto un personaggio inconsueto, cioè che possiede aspetti antieroici; Valerio Flacco invece torna al registro epico, ispirandosi all’eroe virgiliano. L’attribuzione a Giasone di qualità come la virtus, la pietas e la fama lo rende molto simile ad Enea di Virgilio. STAZIO Stazio nacque a Napoli tra il 40 e il 50 d. C da un affermato insegnante di Grammatica, si trasferì a Roma quando il padre portò la sua scuola nella capitale. Coltivò la letteratura come professione da cui attingere i mezzi per vivere: egli scrisse molte poesie celebrative ed encomiastiche su commissione, partecipò ai concorsi letterari in occasione dei ludi. Tornò nella sua città natale nel 95 e morì a Napoli in un anno che non riusciamo a stabilire. Egli fu un autore molto letto e apprezzato nel medioevo, e questo è dimostrato anche dal posto che gli assegna Dante nel Purgatorio. Scrisse la Tebaide che è un poema epico- mitologico suddiviso in dodici libri, dedicato a Domiziano e composto dall’80 al 92. All’interno di esso sono narrate le vicende del ciclo tebano, relative all’inimicizia tra i due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, che si contendono il dominio su Tebe. I primi sei libri del poema narrano dell’antefatto e dei preparativi della guerra; i successivi sei libri narrano il terribile conflitto, che si conclude con l’uccisione reciproca dei due fratelli durante un duello. Nell’ultimo libro il re ateniese Teseo interviene nella vicenda, riportando la pace nella città. Stazio ha riprodotto nel suo poema la bipartizione dell’Eneide, riportando le vicende della guerra nella seconda metà dell’opera e questo lo ha portato ad inserire nei primi sei libri una serie di episodi secondari e di digressioni, che danno alla struttura compositiva un immagine poco unitaria e organica. I richiami a Virgilio sono costanti, infatti riprende tutti i topoi dell’epos omerico- virgiliano come i concili degli dei, gli interventi delle divinità nelle vicende belliche, cataloghi di eserciti ecc. La Tebaide però non è solo l’imitazione del modello virgiliano, infatti rivela la sua originalità proprio nella differenza da quest’ultimo che deriva dall’influsso di altri testi come ad esempio quello di Lucano. Con Lucano condivide la tematica della selvaggia brama di potere, dell’odio feroce e della guerra atroce tra congiunti; da ciò deriva quindi un’intonazione cupa, un pathos caricato e la predilezione per l’orrido tutti elementi che lo accomunano più a Lucano e a Seneca che a Virgilio. Per quanto riguarda i personaggi, proprio come in Lucano, la tebaide è un poema senza un protagonista positivo che domini la vicenda dall’inizio alla fine: i pochi personaggi positivi sono travolti dalle forze del male trionfanti e ai quali soccombono miseramente. Questa visione impedisce però il sorgere di una concezione eroica, come nell’Eneide, che viene ricercata quindi nell’eccesso e nella dismisura. Nel 95 Stazio iniziò la composizione di un altro poema epico- mitologico, l’Achilleide, che però rimase incompiuto per la morte dell’autore. L’opera narra la vita e le imprese di Achille ma si interrompe all’inizio del II libro, prima della partenza dell’eroe per la guerra di Troia. L’opera si presenta diversa dalla Tebaide in quanto in Achilleide sono presenti i toni idilliaci, patetici e sentimentali. Si notano gli influssi dell’elegia e vi è uno spiccato gusto descrittivo. POESIA LIRICA Stazio scrisse oltre ai due poemi epici, anche le Silvae, suddivise in cinque libri e che raccolgono trentadue componimenti e il metro prevalente utilizzato è l’esametro. Si tratta di poesie d’occasione, che nell’impostazione soggettiva e nelle situazioni e nei temi rinviano alla lirica greca e latina. Il carattere occasionale di questi temi, in molti casi scritti su commissione, è sottolineato dall’autore nell’epistola introduttiva del I libro infatti in essa egli insiste sulla rapidità della composizione. Stazio intende inserirsi con questi componimenti in una tradizione di poesia improvvisata, e forse a tale aspetto sembra alludere il titolo della raccolta “Silva” cioè “Abbozzo”. All’interno della raccolta troviamo carmi consolatori per la morte di persone e anche di animali, epitalami, encomi, genetliaci (componimenti scritti in occasione del compleanno di un personaggio, vivo o defunto), carmi di ringraziamento. Molto spazio viene occupato dalle descrizioni, inserite spesso in contesti celebrativi ed encomiastici, tipo il carme per la statua equestre eretta nel Foro a Domiziano. D’argomento autobiografico e di tono più intimo sono i carmi consolatori per il padre, il poeta rievoca con commozione la vita; vi è anche dal tono intimo la lettera alla moglie Claudia, riluttante di lasciare Roma per trasferirsi a Napoli con il marito. POESIA TECNICA PLINIO IL VECCHIO Gaio Plinio Secondo (“detto “il Vecchio”) nacque a Novum Comum (oggi Como) nel 23 o nel 24 d. C da una famiglia equestre. Divenne funzionario imperiale sotto Claudio e prestò servizio in Germania, fece parte anche dell’esercito di Tito, sempre in Germania e nella guerra contro i Giudei. Rientrato a Roma, diventò uno dei più stretti collaboratori di Vespasiano e gli venne affidato il comando della base navale di Miseno. Qui lo soprese l’eruzione del Vesuvio, nel 79, si imbarcò per prestare soccorso alle popolazioni e per osservare il fenomeno e morì a Stabia per asfissia o per collasso cardiaco. In una lettera di Plinio il Giovane (il nipote) si legge che Plinio il Vecchio dedica la maggior parte del suo tempo alla lettura, dopo il bagno,durante i viaggi in carrozza e le ore dei pasti. Tra le opere perdute si ricordano due opere storiografiche: Guerre Germaniche in venti libri e una trattazione di storia contemporanea. L’unica opere pervenutaci per intero è la Naturalis Historia (“Storia Naturale”), in trentasette libri. Essa tratta di cosmologia, geografia, antropologia, zoologia, metallurgia e mineralogia, riservando un’attenzione particolare ai materiali impiegati nelle arti (pittura,architettura e scultura) e di cui ne traccia anche la storia. Nell’epistola dedicatoria indirizzata a Tito, nel 77 in occasione della pubblicazione, l’autore sottolinea la novità della sua opera. Egli afferma che l’argomento scelto non gli permette di conferire al suo testo pregi letterari, facendo riferimento agli innumerevoli termini tecnici che rendevano ricco il suo vocabolario ma che il purismo classico escludeva dalla letteratura elevata. In questo modo Plinio sottolinea il carattere tecnico scientifico dell’opera e gli scopi pratici che essa perseguiva, affermando anche che meritano più riconoscenza gli autori che forniscono una conoscenza ai lettori piuttosto che il piacere. L’opera di Plinio è una sorta di grande enciclopedia frutto di un lavoro di proporzioni eccezionali. Essa ha un carattere compilativo, ma per noi è molto preziosa in quanto ci ha trasmesso una quantità enorme di dati e di notizie ricavati da numerosi testi perduti. Gran parte dell’opera è costituita da numerose enumerazioni di informazioni: il suo scopo non era indagare le cause dei fenomeni, ma di redigere con la maggior completezza possibile l’inventario del mondo, come lo ha definito uno studioso moderno. Plinio non attua però un atteggiamento del tutto acritico in quando discute spesso le informazioni e le interpretazioni dei fenomeni naturali che ritrova in diversi autori, esprime i propri dubbi, confuta e respinge ciò che non gli appare accettabile, semplicemente non su criteri scientifici ma alla luce del buon senso. L’interesse per tutti gli aspetti della natura si rivela nello spazio dedicato ai mirabilia, cioè ai dati e ai fatti straordinari, eccezionali e paradossali. Su questi temi la cultura greca aveva prodotto una ricca letteratura, detta “paradosso grafica”, e a cui l’autore latino attinge notevolmente. Nelle prefazioni e nelle digressioni Plinio affronta temi di carattere generale, e in cui affiora un accentuato moralismo, per esempio la deplorazione della corruzione dei costumi che si accompagna con i progressi della scienza e della tecnica: Plinio afferma che i progressi della scienza e della tecnica sono motivati dall’avidità di ricchezze e della continua ricerca del piacere e del lusso. In queste parti troviamo luoghi comuni corrispondenti alla diatriba e si può individuare anche il tradizionalismo romano, caratteristica molto comune negli autori tecnico- scientifici. Secondo Plinio l’uomo è debole e fragile e la sua vita può e deve essere migliorata per mezzo dello studio della natura, ma senza che siano superati determinati limiti che la natura stessa ha fissato, tipo gli uomini non devono scalare le montagne o scavare le viscere della Terra per estrarne metalli preziosi. Queste sue posizioni sono motivate in parte da timori di tipo superstizioso, e in parte dal moralismo che sfocia in un atteggiamento antitecnologico. Plinio pur essendo un convinto assertore della ricerca scientifica, biasima le applicazioni tecniche di essa, in quanto le considera incentivi all’avidità e all’ambizione, strumenti del lusso e della corruzione morale.