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La società imperiale (3-4 parte del capitolo precedente).

Il principato come soluzione duratura


Ciò che accomunava la dinastia dei Giulio-Claudi e quella dei Flavi era la difficoltà di
trovare una vera soluzione istituzionale alla crisi della vecchia repubblica romana. Roma,
dopo la cacciata dei Tarquini, non avrebbe mai ammesso di essersi nuovamente trasformata
in un regno. Nonostante il tentativo di Vespasiano di dare all’imperatore un ruolo
istituzionale, l’ordinamento costituzionale repubblicano restò formalmente vigente, e i vari
principi poterono governare solo mediante l’accumulo personale di poteri e funzioni. Questo
potrebbe dare l’impressione di transitorietà e precarietà; non fu così perchè, il principato
sarà ancora per secoli il sistema di governo per Roma. L’apparente non soluzione della crisi
delle istituzioni repubblicane fu in realtà una soluzione vera e duratura, che consentì: da un
lato il rafforzamento del dominio romano nel Mediterraneo, dall’altro una fase abbastanza
lunga di prosperità economica e di relativa pace sociale.

Una società complessa


L’età dei flavi si presta a una riflessione sulle dinamiche sociali, economiche e religiose di
Roma per due motivi molto diversi:
- i flavi, soprattutto vespasiano, svilupparono l’idea che il governo di Roma dovesse avere
anche un ruolo attivo di guida nella formazione della società imperiale, e non solo di muto
spettatore o di severo controllore;
- L’eruzione del Vesuvio che sommerse Pompei ed Ercolano, ci ha consegnato una sorta di
fotografia di una città romana nell’anno 79 d.c., fornendoci importanti informazioni anche
sulla vita quotidiana di allora.

La piramide sociale e la possibile mobilità


Secondo Géza Alfoldy la società imperiale romana si può rappresentare come una piramide,
che aveva al suo vertice l’imperatore con la sua famiglia, e comprendeva poi:
- il senato (con incarichi politici) e l’ordine equestre (con importanti carichi
amministrativi);
- Gli esponenti delle più grandi famiglie delle varie città italiche (che potevano diventare
decurioni, membri di un senato locale) e i ricchi e potenti liberti imperiali.
Sotto di loro, c’era la grande maggioranza, la gente comune, che comprendeva:
- i nati liberi (ingenui);
- I nativi schiavi (servi);
- Schiavi liberati (liberti).

Qualche forma di rinnovamento


I membri del senato erano coloro che ricoprivano i ruoli di consoli, comandanti militari e
governatori di provincia, e si trattava di nobili proprietari terrieri. Vespasiano rimescolò il
senato introducendo esponenti di famiglie italiche estranee all’aristocrazia. Si rendeva conto
della necessità di un pur parziale rinnovamento della classe dirigente e della formazione di
quadri intermedi di governo. Certamente il nucleo di questa nuova componente della società
romana erano i cavalieri, che svolgevano la carriera burocratico-amministrativa di
procuratori e assumevano anche importanti prefetture. Per svolgere tali compiti era
necessaria una buona preparazione culturale: primo tra gli imperatori romani, vespasiano,
promosse un sistema di istruzione pubblica superiore statale.
La mobilità sociale: i ceti medi
È dunque possibile rilevare in età imperiale forme di mobilità sociale verso l’alto. Dovette
interessare anche i gradini più bassi della piramide, se è vero che spesso i veterani tornavano
dalle loro città carichi di prestigio per le vittorie riportate, ma soprattutto ricevendo dallo
stato qualche appezzamento di terreno e un pò di denaro da investire. L’intraprendenza di
alcuni liberti li portò a un certo benessere economico, tramite attività imprenditoriali o
commerciali.
Con la prudenza necessaria, si è dunque parlato per l’età imperiale, della nascita di ceti medi
(burocrati, soldati e commercianti) nella società romana.

L’età degli Antonini


L’epoca dal 96 al 192 d.c. è chiamata età degli Antonini e corrisponde a uno dei periodi più
felici della storia della Roma antica.

Gli imperatori per adozione


Dopo l’assassino di Domiziano nel 96 d.c., fu proclamato imperatore Marco Cocceio Nerva,
gradito all’aristocrazia. Dopo il principato di Nerva (96-98 d.c.), per quasi un secolo
succedettero imperatori, che diversamente dai flavi, non erano imparentati con i loro
predecessori, erano stati da loro adottati in quanto ritenuti i più idonei al governo dello stato:
in questo modo avvenne per Traiano, Adriano, Antonino pio e marco Aurelio. Quest’ultimo,
scegliendo come erede il figlio Commodo, a rompere l’usanza della “scelta del migliore”,
sancendo la fine della dinastia degli Antonini.
Il cognomen Antoninus, apparteneva solo ad Antonino pio, che nelle nomenclature ufficiali
si presentava come Iperator Caesar Titus Aelius Hadrianus Antoninus Augustus Pius. A
causa dei vincoli di parentela adottiva, gli storici definiscono l’intera epoca come età degli
Antonini.

La stabilità politica
La successione imperiale per adozione consenti una transizione morbida e pacifica tra un
principe e l’altro. Il periodo infatti è contrassegnato da una stabilita politica, floridità
economica ed espansione territoriale. Quest’ultima raggiunse la sua massima estensione
sotto il controllo di Traiano. Durante il governo di Marco Aurelio però iniziarono pericolose
incursioni dal nord, da parte di popolazioni barbariche.

La politica sociale
Gli Antonini cercarono sempre una forma di collaborazione con il senato e l’aristocrazia,
senza dimenticarsi delle altre componenti sociali. Mostrarono la giusta attenzione verso i
ceti più bassi (elargizioni, spettacoli circensi, opere pubbliche sontuose); guardarono con
molto favore anche ai ceti emergenti, ai ceti medi, sia italici sia di origine provinciale,
valorizzati dai flavi. Tale atteggiamento equilibrato valse loro l’appoggio di larga parte della
società.

Traiano, l’optimus princeps (98-117 d.c.)


Generale di origine spagnola, marco ulpio Traiano fu adottato da Nerva, prima della sua
morte.
Politica interna
Traiano instaurò una politica di pacificazione sociale, fatta di rispetto. Si mostrò
collaborativo con il senato, ma diede prova anche di attenzione ai ceti medi e alle masse
popolari: promosse gli alimenta, vere e proprie borse di studio per l’educazione dei giovani,
concesse prestiti ai contadini italici e non mancò di sovvenzione distribuzioni di denaro o di
grano per le facce più umili della popolazione. Fece realizzare grandi opere pubbliche, come
la ristrutturazione del porto di ostia, punto di partenza e di arrivo di commerci della capitale
e la costruzione del sontuoso foro traiano di Roma.
Le guerre e l’espansione dell’impero
Traiano è noto per una serie di vittorie militari, cosa che accrebbe notevolmente la
popolarità del principe presso l’esercito: esse ingrandirono l’impero e rafforzarono i confini.
Gli studiosi hanno paragonato la sua azione a quella di Alessandro magno. È necessario
menzionare le seguenti guerre vittoriose:
- 101-102 d.c.—> prima guerra contro i daci;
- 105-106 d.c.—> seconda guerra contro i daci e riduzione della dacia a provincia;
- 105 d.c.—> riduzione a provincia dell’Arabia petrea (circa l’odierna Giordania);
- 113-117 d.c—> campagne vittoriose in oriente, per la conquista di Armenia,
Mesopotamia, Assiria e per fronteggiare i parti, tradizionali amici di Roma.
Tra queste vittorie la più importante è stata quella contro i daci, popolo che viveva
nell’odierna Romania e che costituiva una grave minaccia per i domini romani al di qua del
fiume danubio. La seconda guerra dacica si concluse con la definitiva sconfitta del bellicoso
re decebalo, che si suicidò per non cadere in mani nemiche. Cospicue furono le conseguenze
economiche di questa vittoria, poiché roma rimpinguò le casse dello stato con l’ingente
bottino di guerra e con i provenienti delle ricche miniere d’oro e di salgemma di quella
regione.
È evidente che l’impero era diventato una realtà ecumenica (con l’aspirazione a essere
universale), unificata dalla lingua e dal diritto di roma, ma parimenti aperta alle esperienze
multiculturali in essa comprese: esperienze che sotto il successore di traiano, saranno ancora
più valorizzate.
Un principe molto amato
Traiano fu abilissimo nel mantenere saldo il consenso nei suoi confronti con ogni mezzo:
facendo erigere la colonna traiana, le cui decorazioni illustravano le imprese delle guerre
daciche, oppure assumendo nella sua nomenclatura ufficiale l’epiteto Optimus, che nella
mentalità popolare lo avvicinava alle qualità di Giove e ottimo massimo, divinità principale
della religione romana. Per celebrare le imprese dell’imperatore, vennero eretti numerosi
archi trionfali, come quello di roma (andato distrutto) o quelli famosissimi integri di ancona
e Benevento; tale consuetudine toccò centri minori, dato che le rovine di un probabile arco
per traiano si possono vedere a Carsoli.
Si dice che venne forse fiaccato da qualche morbo contratto durante le guerre in oriente,
l’imperatore morì nel 117 d.c.: gli successe Adriano.

Adriano, l’imperatore prudente (117-138 d.c)


Sulla’adozione da parte di traiano di Publio elio Adriano, spagnolo come il suo
predecessore, gli storici arrivano a ipotizzare una falsificazione testamentaria; si tratta di una
questione ancora aperta.
La difesa dei confini
Adriano attenuò la politica espansionistica del suo predecessore per rafforzare la difesa dei
confini; cedette territori su alcuni fronti troppo rischiosi (Mesopotamia, Assiria, Armenia) e
costruì in Britannia la celebre fortificazione (vallum hadriani) a difesa dei domini romani
sull’isola. Riteneva che il suo compito fosse quello di garantire pace, protezione e coesione
al vastissimo territorio che gli era stato affidato; un territorio abitato da popoli diversi che
dovevano essere rispettati, e che roma non doveva più vedere come semplici sudditi, ma
come parte integrante della propria civiltà.
L’attenzione per il mondo provinciale
Adriano diede prova concreta della sua attenzione per il mondo provinciale. Dal 120 al 123
d.c., viaggiò per larga parte dell’impero, mostrando amore per oriente ed Egitto. Il luogo da
lui prediletto fu la Grecia, tanto che per due anni abitò ad Atene, città della quale ricoprì a
lungo la carica ormai onorifica di arconte, e dove promosse opere pubbliche di grande utilità
e bellezza. Non disdegnò di far scolpire sulla corazza delle statue che lo rappresentavano la
civetta di Atene e accanto alla lupa capitolina. Questo suo atteggiamento verso gli abitanti ,
gli valse la fama di imperatore tollerante. Seppe però, quando necessario, usare molta
durezza: tra il 132 e il 135 d.c., represse nel sangue la rivolta dei giudei e punì Gerusalemme
mutandole il nome in colonia Elia capitolina.
Un uomo di cultura
La passione per la cultura e la tradizione greca portò Adriano a coltivare la letteratura e la
poesia e anche a far costruire un vero e proprio gioiello architettonico, la villa Adriana di
Tivoli, nella quale fece riprodurre molti edifici greci o egizi. Prima di morire adottò il suo
successore, Antonino pio.

Antonino pio, un principe prudente (138-161 d.c.)


L’italico gaio Aurelio antonino, noto come antonino pio, proseguì nella strategia di Adriano
di prudente difesa dei confini dell’impero considerato non più ampliabile: egli fece costruire
una nuova fortificazione in Britannia in rinforzo al vallo di Adriano. Contrariamente al suo
predecessore, antonino rimase sempre a roma , anche per l’assenza di guerre
particolarmente pericolose. Antonino fu un oculato amministratore del denaro pubblico:
mostrò in ogni suo atto un grande rispetto per il senato, che lo proclamò per tanto Pius (pio)
e pater patriae (padre della patria). La sua proverbiale prudenza lo portò ad adottare i nipoti
marco anni vero (marco aurelio) e Lucio elio (Lucio vero), per garantirsi una successione
sicura e senza traumi: affidò l’educazione dei due giovani a frontone, uno dei più illustri
oratori del tempo.

Marco aurelio, tra guerra e filosofia (161-180 d.c)


Marco aurelio è ricordato come l’imperatore filosofo, costretto però dagli eventi storici e
politici a un costante impegno militare. Fu un uomo educato alle lettere a alla filosofia
storica, autore di una famosa opera di meditazione (i ricordi), e amò sempre farsi ritrarre con
le sembianze tipiche del sapiente. Passò gran parte della sua vita s combattere contro i
nemici dell’impero e a fronteggiare i danni della peste.
I barbari e la peste
Insieme al fratello lucio vero, combatte i parti (dal 161 al 165 d.c.), a più riprese dovete
fronteggiare le incursioni sui confini romani di popolazioni barbariche come i Quadi e i
Marcomanni (che giunsero nel 166 d.c. fino ad Aquileia) e gli iazidi (nella regione
danubiana). I frequenti movimenti di truppe furono tra le cause di una spaventosa pestilenza,
iniziata nel 165 d.c. e durata parecchi anni. Questa fu la causa probabile della morte di
Lucio vero nel 169 d.c.
Primi sintomi di crisi nell’impero
Queste vicende, vennero lette dall’imperatore come primi segni di instabilità del dominio di
roma, indizi di quella crisi che avrebbe colpito l’impero nel secolo successivo, lo resero
stanco e sfiduciato. L’economia della roma di età Antonina non era più così florida, poiché
le spese per continue guerre stavano dissanguando le casse dello stato. Marco aurelio morì
presso Vienna nel 180 d.c. mentre era impegnato in operazioni militari: dal 177 d.c. aveva
reso partecipe del potere il figlio Commodo.

Commodo, la fine degli antonini (180-192 d.c)


Non solo Commodo fu il primo degli antonini a non essere adottato dal suo predecessore, la
sua politica rappresentò una rottura clamorosa con il passato. Venne frettolosamente a patti
con nemici lungamente combattuti dal padre, mostrando scarsa cura per la difesa
dell’impero, che era in quegli anni tormentato da carestie e pestilenze. Governò cercando il
favore del popolo, distribuendo cibo e denaro alla plebe e organizzando spettacoli e giochi
circensi. Tentò di imporri la divinizzazione della propria persona, assumendo il titolo di
ercole. Molte forme di opposizione nei suoi confronti, dentro e fuori il palazzo imperiale, e
la congiura nel quale il principe venne ucciso, fu ordita da alcuni membri della corte nel 192
d.c. questo omicidio pose fine alla dinastia Antonina, che aveva garantito a roma quasi un
secolo di prosperità.

L’età dei Severi


La morte di comodo nel 192 d.c. comportò una grave crisi politica e nel giro di poco tempo,
si alternarono sul trono imperatori di breve durata. Publio Elvio Pertinace e Didio Giuliano
governarono pochi mesi nel 193 d.c., prima che si affermasse Settimo Severo, di origine
africana, acclamato imperatore delle legioni di stanza sul Danubio. Si liberò degli usurpatori
Coldio Albino e Pescennio Nigro, e regnò dal 193 al 211 d.c.: gli successero il figlio
Caracalla, Elagabalo e Alessandro Severo, che costituirono la cosiddetta dinastia dei Severi.

Autoritarismo e militarismo
Le parole chiave dell’età severiana furono:
- il forte autoritarismo degli imperatori, che erano favorevoli a un accentramento assoluto
del potere;
- Il ruolo centrale dell’esercito, la cui costosissima gestione mise in crisi l’economia
dello stato;
- Crescente importanza delle province.
Si tratta di questioni connesse tra di loro. Non solo richiedevano una difesa armata dagli
assalti esterni, ma vi si manifestavano nuovi fermenti sociali e religiosi: su tutti la diffusione
del cristianesimo e dei culti di origine orientale. Non stupisce che un imperatore di questa
dinastia, Caracalla; abbia concesso a tutti i provinciali la cittadinanza romana.

Settimo Severo (193-211 d.c.), l’imperatore soldato


Il regno del primo dei Severi fu contrassegnato da continue guerre, contro i due usurpatori,
Nigro in oriente e Albino in Britannia. Settimo Severo lottò a lungo e con successo, contro i
Parti che avevano invaso la provincia di Mesopotamia. L’imperatore sapeva che non era più
il senato, ma ‘esercito il vero protagonista della politica romana. Le milizie non solo
garantivano al principe il necessario appoggio per regnare, ma erano anche il baluardo
contro gli attacchi ai confini dell’impero.

Militarizzazione dell’impero e svalutazione della moneta


Ciò comportò una militarizzazione, con reclutamento massiccio anche di contingenti di
barbari e con una conseguente emorragia di denaro pubblico dovuta al bisogno di soddisfare
le richieste economiche e le necessità organizzative dei soldati. L’imperatore cercò di far
fronte a ciò sia aumentando la pressione fiscale sia con una svalutazione della moneta, il cui
valore intrinseco era sempre più basso rispetto a quello normale. Alla sua morte nel 211
d.c., gli successe il figlio Caracalla, il quale ben presto fece uccidere il fratello Geta.

Caracalla (211-217 d.c.), l’estensione della cittadinanza ai


provinciali
Caracalla fu un vero tiranno crudele che si appoggiò solo all’esercito, con l’aiuto del quale
sperava di guadagnare una gloria pari a quella di Alessandro magno. Per questo motivo
aumentò ai soldati il loro salario del 50% con grave sofferenza per le casse dello stato. Egli
sognava un impero sempre meno romano e più orientale; nel 212 d.c. emanò la constitutio
antoniniana (editto di Caracalla), un provvedimento con il quale concedeva la cittadinanza
romana a tutti gli abitanti delle province. Tale editto traduceva in legge l’oramai evidente
ecumenicità dell’impero, la cui classe dirigente era largamente originaria delle aree
provinciali, e rendeva gli abitanti delle zone periferiche, cittadini romani, cioè membri di
una stessa realtà politico-religiosa. Le ragioni più concrete dell’editto furono di natura
finanziaria: l’imperatore aumentava considerevolmente le entrate fiscali, i nuovi cittadini
erano tutti soggetti alle tasse di successione, che erano state aumentate. Nel 217 d.c.
Caracalla morì in Mesopotamia, assassinato. Lasciò un impero stremato, con tasse sempre
più alte, un rincaro dei prezzi e una moneta svalutata. Al di là del limes romani, le
popolazioni barbariche mostravano segni di inquietudine e aggressività.

Marino ed Elagabalo
Dopo Caracalla fu acclamato imperatore Marco Opellio Macrino, rapidamente sostituito da
Elagabalo, nipote di Settimo Severo (Vario Avito), così chiamato perchè era sacerdote del
dio solare Elagabal. La sua acclamazione è simbolo di un’epoca di grande rimescolamento
religioso: in larga parte dell’impero si diffondevano, con il cristianesimo, culti orientali
come quelli del sole o quello della divinità egizia Iside.

Alessandro Severo (217-234 d.c.) e la fine dei Severi


Assassinato Elagabalo durante una congiura, salì a capo dell’impero il cugino Alessandro
Severo, che dovette fronteggiare numerose situazioni critiche, nella regione mesopotamica e
sul limes renano, dove venne ucciso dalle proprie truppe: aveva provato a restituire
all’esercito la disciplina dei tempi passati, e cercò di ridare prestigio all’aristocrazia
senatoria. Alla sua morte fu imposto sul trono un comandante di origine Tracia di nome
Massimino: e così ebbe fine la dinastia dei severi.

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