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PRIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE

LUNEDI’ 06.10.2014 ORE: 15,00 17,00

L’ IMPERO ROMANO era un enorme stato imperniato sul Mediterraneo.


Sia a nord che a sud, questo grande impero era delimitato da barriere naturali abbastanza
rilevanti:
a SUD i grandi deserti africani (deserto Egiziano, deserto del Sahara);
a NORD i grandi fiumi (Reno e Danubio soprattutto).
In particolare lungo il corso del Reno e lungo il corso del Danubio l’ impero romano aveva
costruito tutta una serie di fortificazioni per proteggersi dalle incursioni dei popoli
germanici; tant’ è che gli storici parlano di Limes Renano Danubiano, cioè il confine tra
quella che i romani consideravano la civiltà e quella che consideravano la barbarie, ovvero
i barbari delle grandi pianure e delle steppe dell’ Europa nord orientale.
Molte colonie, molte città fortificate erano nate lungo questa zona settentrionale, si pensi
per esempio anche ad alcune città tedesche tutt’ora importanti, in Germania, nate per la
colonizzazione romana e per la difesa del limes renano (Colonia – il cui nome è del tutto
rivelatore, e Magonza, ma anche Treviri, Strasburgo ecc.); una cintura di città a
baluardo della civiltà romana.

Così come erano presenti anche varie città lungo il Danubio, molte delle quali saranno
spazzate via nel corso del VII secolo dalle incursioni degli Slavi.

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Un altro baluardo, costruito dall’uomo in Britannia era il Vallo di Adriano, un gigantesco
terrapieno con fossato che separava la Britannia romanizzata dalla parte più settentrionale
dell’ isola.
A OVEST l’ impero era delimitato dall’ oceano Atlantico.
A EST si avevano confini più incerti, perché erano confini regolati di volta in volta da
guerre con potenze orientali , l’impero dei Parti, l’Impero Sassanide etc., cioè il confine che
grosso modo passa oggi per la Siria, per Turchia orientale e per la parte più settentrionale
dell’ Arabia Saudita e via dicendo.
Quello era un confine un po’ labile, non stabile come quello rappresentato dalle barriere
naturali del Limes Renano.

LIMES AFRICANO
Il limes africano era il più lungo da difendere estendendosi per più di 4000 km. Andava dal
Mar Rosso fino a raggiungere le coste africane nord occidentali bagnate dall’Oceano Atlantico.
Il limes inoltre attraversava tutto il deserto del Sarah e paradossalmente essendo il più lungo
fu il più facile da difendere, grazie anche alle afose temperature e a una minore
urbanizzazione in diversi parti del territorio.

BRITANNICUS
A fronte di un invasione di Pitti (confederazioni di celti nella Scozia orientale ) si pensò di
erigere nuove strutture dedite alla salvaguardia delle città romane nella provincia; Il Vallum di
Adriano (122-125 d.C.) e quello di Antonino Pio (142-144 d.C.) segnarono il confine britannico
dell’Impero romano; l’antichissimo fossato “Fosse Way “ poi ricoperto e trasformato in strada
della provincia e il Gask Ridge sono altri esempi di fortificazioni e del genio militare romano.

LIMES RENANO
Il limes renano fu senza dubbio uno dei più difficili da gestire a causa delle numerosi e ostili
tribù germaniche. Esso sanciva il confine con la Gallia romana. Qui si tenne la disfatta di
Teutoburgo (9 d.C.) dove il generale Varo e 3 intere legioni furono annientate. L’imperatore di
allora, Augusto, fu costretto a sancire i confini territoriali della zona con il fiume Reno
annullando le campagne di conquista verso la Germania Magna. Non voglio dilagarmi troppo
data la miriade di informazioni e storie riguardo questo limes. Dopo la disfatta di Teutoburgo,
Germanico fu inviato nelle confine renano a risolvere la situazione caotica sconfiggendo
Arminio (capo dei Cherusci) e recuperando due delle tre aquile romane perse. Da lì in poi
furono disposti (dai futuri imperatori) notevoli contingenti di legionari per sorvegliare il confine
tra la Germania Superiore e quella Inferiore.

LIMES DANUBIANO
Il limes Danubiano - Comprendeva le barriere naturali del fiume Danubio e della catena
montuosa dei Carpazi oltre alle fortezza stanziate. Fu assieme a quello renano il più ostile da

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difendere a causa della sua enorme lunghezza, circa 3000 km. Le legioni stanziate salirono a 12
dopo la conquista della Dacia (odierna Romania) ai tempi di Traiano nel 106-107 d.C.
sconfiggendo Decebalo re dei Daci.

ARMENO - CAPPADOCIO
Comprendeva la provincia della Cappadocia (che venne conquistata definitivamente nel 17 d.C. da
Tiberio e fin dalla terza guerra macedonica fu un’alleata di Roma) e la provincia dell’Armenia,
istituita dall’imperatore Traiano dopo averla conquistata nel 114 d.C. Dato che la Cappadocia si
trovò in una posizione anteriore rispetto all’Armenia e che quest’ultima fu conquistata solo 100
anni dopo, possono essere visti in parte come due limites differenti. La provincia dell’Armenia fu
un continuo teatro di scontro tra Parti e Romani e non fu tenuta in mano dagli ultimi
costantemente; l’imperatore Adriano dopo la morte del suo predecessore (Traiano) la abbandonò
nel 117 d.C. per poi essere riconquistata da Marco Aurelio nel 166 d.C.

MESOPOTAMICO
Comprendeva la provincia della Mesopotamia istituita sempre nella campagna partica
di Traiano nel 116 d.C. Ebbe la stessa sorte di quello cappadocio/armenico, abbandonato da
Adriano appena un anno dopo la conquista, nel 117 d.C. Fino alla metà del IV secolo d.C. fu
territorio di scontro tra Parti e Romani. Ai confini furono poste da Traiano due legioni: la
PARTHICA e la III PARTHICA.

ARABICO
Andava dal fiume Eufrate fino al Mar Rosso attraversando la fascia nordica del deserto
arabico; qui furono costruite la Via Traiana Nova e la Strata Dioclezianea, lunghissime vie di
comunicazione comprendenti castra, castella e statio. Lungo la striscia del deserto arabico si
affacciavano le province della Siria, dell’Arabia e della Giudea (dietro le due province). Tra il
60 d.C. e il 135 d.C. si combatterono le tre guerre giudaiche, dove ebbe inizio la Grande
Diaspora ebraica (dispersione nel mondo). Le tre guerre giudaiche comportarono non solo nel
74 d.C. la distruzione del Tempio di Gerusalemme, ma addirittura la distruzione dell’omonima
città nel 135 d.C.
Gli accampamenti romani nei confini divenivano prima o poi la residenze dei legionari e degli
ausiliari e nacquero a ridosso delle frontiere vere e proprie città chiamate CANABAE
(agglomerati civili) che potevano diventare col tempo municipi e colonie dell'impero. Gli
abitanti dei luoghi assoggettati iniziavano a subire la "romanizzazione", ovvero le influenze
degli stili di vita latini. Città come Colonia e Magonza in Germania, da semplici accampamenti
militari posti nei confini divennero vere e proprie città dotate di anfiteatri e terme. Un altro tipo
di forza di Roma oltre a quella militare, fu proprio questo, cioè integrare culturalmente i popoli
assoggettati, ma concedendogli un'ampia gamma di autonomia (es. la religione).

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L’impero Romano era di fatto una grandissima federazione di città; imperniato sul
Mediterraneo comprendeva un numero enorme di municipi, cioè di città le quali godevano
di ampie autonomie amministrative.
Soprattutto nelle città più grandi (ma anche in quelle più piccole) operavano delle
assemblee locali che erano più o meno la copia in miniatura ( a seconda dei casi), del
senato romano.
Quindi ripetevano lo schema del governo della città con assemblee di ottimati, di
aristocratici e via dicendo.
Naturalmente questa immagine dell’impero a base cittadina vale soprattutto per l’ area
propriamente mediterranea (la Grecia, l’Italia, quella porzione di Africa che oggi fa parte
della Tunisia e dell’Algeria Orientale, l’Egitto che guarda sul mare, le coste della penisola
iberica e della Gallia più meridionale).
A mano a mano che ci si allontana dal cuore del Mediterraneo, l’ aspetto del territorio e del
paesaggio cambia: le città sono più piccole, più rade, meno sviluppate e via dicendo, per
cui l’ urbanesimo lascia un’ impronta più debole nella Gallia settentrionale, nell’ odierno
Belgio, in Britannia, nella parte più interna della penisola Iberica, nel cuore dei Balcani,
etc.

Pertanto un impero a base urbana ma con le sfumature ora descritte.

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Queste città almeno fino alla seconda metà del III secolo non avevano delle mura, cioè
dei baluardi difensivi; se le avevano avute, come molte delle città preromane, non le
avevano mantenute efficienti, e per esse non era stata fatta più nessuna manutenzione
perché:
1) la pax imperiale romana, aveva fatto in modo che non ci fosse più bisogno di
tenerle in piedi;
Pax Romana, che in latino significa Pace Romana, è il lungo periodo di pace imposto sugli stati
all'interno dell'Impero Romano grazie alla presa del potere da parte di Augusto e chiamato
per questo anche Pax Augustea. L'espressione deriva dal fatto che il dominio romano e il suo
sistema legale pacificarono le regioni che avevano sofferto per le dispute tra capi rivali. Durante
questo periodo Roma combatté comunque un numero di guerre contro gli stati e le tribù vicine,
soprattutto le tribù germaniche e la Partia. Fu un'epoca di relativa tranquillità, nella quale Roma non
subì né le grandi guerre civili, come il bagno di sangue perpetuo del I secolo a.C., né gravi invasioni,
come quelle della seconda guerra punica del secolo precedente.
2) la manutenzione di queste opere difensive costava troppo.

Quando si parla di città preromane, si allude a città di fondazione greca nell’ Italia
meridionale, a città di fondazione punica nella Sicilia occidentale, in Sardegna e nell’
Africa settentrionale, a città della Grecia, e, ovviamente, quasi tutte le città del Medio
Oriente, dell’Egitto, Palestina, Siria e via dicendo.
In gran parte dell’Impero nord occidentale alcune città erano state fondate proprio dai
romani: trattasi di colonie che si erano sviluppate proprio in seguito all’occupazione
militare.
Queste città, dicevamo, non hanno le mura o le hanno lasciate deteriorare; le
ricostruiranno solo dalla fine del III secolo in poi perché la minaccia di saccheggi,
soprattutto nella zona più settentrionale dell’ impero, renderà indispensabile una nuova
cinta difensiva.
Ad esempio, le gigantesche mura di Roma (mura aureliane) che tutt’ oggi vediamo, furono
iniziate dall’ imperatore Aureliano intorno al 270 d.C.

La civitas era costituita da un nucleo urbano più denso, cioè più fortemente edificato
e popolato, da un suburbium dove le abitazioni si facevano più rade, e da una
campagna dove si svolgevano fondamentalmente le operazioni agricole; non c’era una
separazione fisica tra il cuore della città, il suburbio e le campagne circostanti.
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Questi centri urbani che si vanno rimilitarizzando dalla fine del III secolo in poi, avevano
delle basi economiche che poggiavano principalmente sul settore primario, cioè
sull’ agricoltura: questo vuol dire, non solo che la stragrande maggioranza della
popolazione era impegnata, dal punto di vista lavorativo, nell’ agricoltura, ma che la
ricchezza dei ceti dominanti proveniva in grandissima parte dalla rendita fondiaria.

Nel mondo imperiale greco romano , i ceti dominanti, i patrizi o i senatori, vivevano nelle
città, ma la loro base economica era costituita da giganteschi latifondi, in cui veniva
impiegata manodopera servile.

Ricapitolando: l’impero romano è costituito da città, più o meno grandi.


La politica si svolge nelle città
la cultura si svolge nelle città
l’ organizzazione del tempo libero prevede come luogo di elezione la città (si pensi ai
teatri, agli anfiteatri, alle terme, alle biblioteche, tutti edifici giganteschi se paragonati a
qualsiasi edificio pubblico o simile dell’età medievale).

Tutto imperniato sulla città, ma la ricchezza è legata al settore primario


cioè all’agricoltura.

I ceti eminenti ci tengono, e molto, a spendere il proprio denaro per aumentare il proprio
prestigio: è un fenomeno che gli storici hanno definito energetismo (dal greco ben
lavorare – ben operare).

Questo impero, che si era venuto a creare con secoli di guerre e di conquiste, comincia ad
entrare in crisi, da molti punti di vista, intorno alla metà del III secolo; la crisi riguarda, per
la verità, più la parte occidentale dell’impero che quella orientale.

FATTORI DI DEBOLEZZA:
1) un tasso di urbanizzazione troppo elevato per la capacità del settore primario
di sostenere questo squilibrio. Il tasso di urbanizzazione è la percentuale di
individui che vive in città; all’ epoca (seconda metà del III° secolo), per quanto

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riguarda l’Italia, si parla di un tasso di urbanizzazione di circa il 25 %, che è una
percentuale enorme per il periodo. Intorno al II secolo (cioè all’apogeo
demografico), la popolazione in Italia era di circa 8 milioni di abitanti: di questi, 1
milione viveva a Roma.
Si pensi al peso straordinario che questa megalopoli aveva sull’intera penisola:
per avere una città che raggiunga di nuovo 1 milione di abitanti, dopo la decadenza
dell’impero romano d’occidente, in Europa, bisognerà attendere l’età napoleonica,
quando Londra raggiungerà il milione di abitanti.
Ciò dà l’idea di quanto fosse enorme, per gli standard demografici antichi, la città di
Roma, che, proprio per la sua grandezza, si trovava a dover affrontare grossi
problemi. Una città di 1 milione di abitanti all’epoca, è come dire una città di 15 – 20
milioni di abitanti oggi: con livelli di povertà straordinari, nelle periferie.
Pertanto lo stato doveva farsi carico, di distribuire grano a prezzo praticamente
gratuito alla plebe, pena rivolte o tumulti , le così dette (frumentationes).
Ma per portare il grano necessario a sfamare 1 milione di abitanti, bisognava
andare a prenderlo o in Sicilia o in Sardegna o in Africa, e via dicendo.
Questo un fattore di squilibrio ( ovvero l’incapacità di soddisfare le necessità
primarie), era accentuato dal fatto che la tecnologia del tempo non permetteva livelli
di produttività soddisfacenti.

Poi, un elemento che gli storici hanno giustamente sottolineato, un elemento di stasi e
di freno allo sviluppo economico nell’intero mondo antico greco romano, era quello
legato ad un’etica economica tutto sommato parassitaria.

2) etica economica parassitaria: i valori dominanti nel mondo greco romano, cioè i
valori fatti propri e diffusi dall’élite, erano valori economici che premiavano la figura
del rentier cioè di quello che, ricco di immobili, di terre, non si sporca le mani con le
attività imprenditoriali.
Un passo del De Officiis di Cicerone illumina perfettamente l’ etica economica
dei senatori romani: ignobili ed abietti sono i guadagni di tutti coloro che vendono il
lavoro delle loro braccia perché in tali casi la mercede è di per sé stessa il prezzo
del servaggio. Chiunque faccia un lavoro manuale è considerato alla stregua di un
servo, anche un artigiano è un servo.

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Quanto al commercio, se condotto su piccola scala, è da considerarsi
vergognoso; se condotto su vasta scala ed è fonte di ricchezza non è da
disprezzarsi del tutto, ma può essere lodato soltanto se esercitato per
procacciarsi i mezzi e per acquistare terre e proprietà.
Quindi l’attività imprenditoriale in grande stile è vista come un passaggio
temporaneo per acquisire quelle terre e quegli immobili che garantiscano una vita
da rentier… da ereditiere!!!
Questo modo di vedere le cose noi lo troviamo anche nel Vangelo, cosa fa Matteo?
Il pubblicano, l’esattore delle imposte, ed ha una fama più che negativa.
E si potrebbero citare altri esempi, tipo il Satyricon di Petronio: Trimalcione, che
organizza faraoniche cene, con una sequenza interminabile di piatti fantasiosi e dal
cattivo gusto. Trimalcione diventa il simbolo dei nuovi arricchiti, che però puzzano
ancora di servaggio.
Nella fattispecie si tratta dei liberti (gli schiavi liberati) che si danno ad attività
commerciali e, nei confronti di questi nuovi arricchiti, Petronio, che appartiene
all’aristocrazia senatoria, esprime, pur con il suo garbo e pur con la sua
straordinaria ironia ed eleganza, un sostanziale disprezzo.
Quindi personaggi come Trimalcione si possono redimere soltanto se prendono il
denaro, ci comprano le terre e vivono nell’ozio letterario e possibilmente politico .

3) La ricchezza dell’ impero veniva indirizzata, soprattutto dal III° secolo in poi,
verso spese sempre più crescenti e improduttive: quali sono queste spese?
Intanto la difesa, cioè il costo dell’ esercito; all’inizio del IV secolo si sono stimati
contingenti militari superiori a seicentomila soldati, che devono essere pagati,
perché non è che ci sia una leva obbligatoria (c’è anche una quota di leva
obbligatoria ma nelle provincie di confine).
Poi c’è una burocrazia crescente: lo stato imperiale romano è uno stato con un
apparato amministrativo e burocratico di enorme rilievo.
Nessuno stato antico aveva avuto una burocrazia come quella romana e nessuno
stato medievale avrà un apparato amministrativo e burocratico paragonabile
nemmeno lontanamente a quello romano.
Poi c’erano le spese di tipo annonario, cioè bisognava rifornire di prodotti di
base (dal punto di vista alimentare), le città più grandi.

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Molta economia girava quindi intorno alla domanda dello Stato stesso: rifornimenti degli
eserciti, costruzioni di opere di difesa, gigantesche opere pubbliche, edifici ornamentali
cittadini .
Per esempio, pensiamo alle strade: le strade romane sono opere di edilizia mirabili, che
erano state realizzate quasi essenzialmente per motivi di ordine militare; la larghezza
delle strade romane era fatta apposta per far passare due carri in senso uno opposto
all’altro.
Anche in questo caso nessuno stato medievale avrà un sistema viario paragonabile a
quello imperiale romano.
Naturalmente una spesa crescente comporta una fiscalità crescente, un aumento
della pressione fiscale sia diretta che indiretta, quindi aumento dei dazi sui
consumi, etc., e quindi anche inflazione, a volte provocata dagli imperatori stessi
che mettevano in circolazione monete sempre più svilite anche per guadagnarci.

La moneta, fino a tempi relativamente recenti era soprattutto un pezzo di metallo prezioso e se si svilisce il
contenuto intrinseco della moneta, cioè se si dice che quella moneta, che vale un sesterzio, continua a
chiamarsi sesterzio ma ha un decimo di argento in meno rispetto a prima, nessuno che abbia un minimo di
cervello continuerà a spendere i vecchi sesterzi che contengono più argento. Allora tutti andranno alla
zecca, all’ufficio di coniazione delle monete, per far fondere le vecchie monete e farsi dare le nuove: ma per
far questo bisogna pagare una tassa, come al frantoio con l’olio, e quindi la svalutazione della moneta è
sempre un’operazione che giova all’imperatore.

4) Il fenomeno di crisi è poi accentuato da fenomeni contingenti come ad esempio


la grande anarchia militare che coinvolge l’ impero grosso modo dagli anni 30
del III secolo fino agli anni 80.
C’è una successione interminabile di imperatori creati, deposti, uccisi, molti dei
quali sono semplicemente nominati dai propri soldati, dai propri eserciti: un caos
assoluto!
Un caos che verrà finalmente normalizzato da un imperatore proveniente dalla
provincia dell’Illirico, (oggi grosso modo Croazia, Serbia, Bosnia Erzegovina -
insomma i Balcani), di nome Diocleziano.
Questa crisi, che inizia grosso modo nella metà del III° secolo, pur tra alti e bassi
continuerà lentamente ma inesorabilmente fino all’ inizio del V secolo, quando poi

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assumerà un carattere più drammatico per le invasioni dei popoli germanici
all’interno della parte occidentale dell’impero stesso.

Quando queste popolazioni penetrano, abbastanza stabilmente, al di la del Limes


Renano, in Gallia, poi in Bretagna, nella Penisola Iberica fino all’Italia, l’aumento
demografico della popolazione, elemento che determinava il progredire del ricco mondo
imperiale romano, si era fermato: alcune città avevano perso già molti abitanti e alcune
campagne erano state abbandonate.
In una lettera scritta nel 387, Ambrogio, vescovo di Milano, percorrendo la pianura
Padana ad un certo punto dice che gli sembra di osservare dei “cadaveri di città
semidistrutte”: probabilmente c’è un’enfasi retorica negativa in questa descrizione però
dopo più di un secolo di crisi economica gli effetti sul popolamento urbano si cominciavano
proprio a notare.

L’ anarchia militare, menzionata al punto 4), che dura circa 50 anni, dagli anni 30 agli
anni 80 del III secolo, viene superata grazie all’imperatore Diocleziano con una
profonda trasformazione dell’ impero stesso.

Profonda trasformazione nel senso della militarizzazione di alcune istituzioni ( cariche


militari ai generali) e nella promozione della figura dell’ imperatore ad autocrate, cioè
come se fosse una sorta di Dio in terra.
L’imperatore romano delle origini, Augusto ed i suoi successori, soprattutto fino al II°
secolo era una sorta di “primus inter pares”, cioè comandava lui ma c’era sempre
questa dialettica continua tra lui ed il senato, tra lui e le grandi famiglie senatorie e via
dicendo.

Questa drammatica lunghissima parentesi, questa sorta di guerra civile, era stata
superata soltanto attraverso una trasformazione anche dei valori all’interno
dell’Impero, con una promozione della figura dell’imperatore, issato sugli scudi dai
soldati, che ne facevano una specie di condottiero invincibile.
Diocleziano prima di diventare imperatore era un generale, e anche molti prima di
lui erano generali. Lo stato quindi viene militarizzato e diventa sempre più
autoritario.

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L’élite senatoria invece, non è più quella della Roma repubblicana; l’elemento guerresco
non fa più parte del bagaglio di questa élite.
E’ una élite molto colta, che alterna l’attività politica all’attività letteraria o alla promozione
delle arti, al fenomeno del mecenatismo e via dicendo. Tant’è che questi imperatori che si
susseguono dal III° secolo in poi non è che siano estranei al corpo senatorio, ma un po’ si,
perché appartengono al mondo militare.
E infatti nel IV° secolo abbiamo una netta separazione tra le cariche civili e le
cariche militari.
Le cariche civili, soprattutto quelle più importanti, si pensi alle prefetture delle mega
province, sono sempre appannaggio dell’élite senatoria, che ha anche gli strumenti per
esercitare questo tipo di controllo del territorio, mentre le cariche militari ovviamente sono
appannaggio soprattutto di un certo tipo di generali alcuni dei quali cominciano ad essere
di estrazione germanica.
Quindi abbiamo un esercito romano barbarizzato.

Con Diocleziano la figura dell’imperatore assume quei caratteri autocratici che poi
sono tipici degli imperatori medievali.

Per esempio, alla figura dell’imperatore viene associato il culto mitriatico solare, cioè il
culto del dio sole, che è un culto di derivazione orientale, e statue dell’ imperatore
cominciano ad essere vengono poste nelle principali piazze delle principali città per
incentivare il culto della figura imperiale.

Quando si parla di stato autoritario si pensa anche, ad esempio, a certe misure varate da
Diocleziano.
Per esempio l’editto sui prezzi, editto per il quale l’imperatore cercò di fissare per legge il
tetto dei prezzi e dei salari. Alla fine non ci riuscì, perché di solito questi calmieri sono
infruttuosi o quanto meno generano mercato nero.
Oppure, per esempio, varando leggi, promulgando editti, in cui si imponeva l’
ereditarietà dei mestieri. Tu fai il calzolaio, tuo figlio dovrà fare il calzolaio, tu fai il
contadino e tuo figlio dovrà fare il contadino e via dicendo. Questo per far si che il gettito
fiscale rimanesse costante: almeno questa era l’idea, in fondo…l’utopia!!

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Diocleziano aveva anche pensato di creare un sistema che si autoregolasse nel modo
seguente:

Diocleziano era imperatore, ma associò a sé un altro imperatore che governasse la


parte occidentale dell’ impero, lui si riservava la parte orientale che era la più ricca.
Quindi col sistema Dioclezianeo ci dovevano essere due Augusti, cioè due imperatori
(quello d’Oriente, più importante, e quello d’Occidente) e sotto ogni Augusto ci doveva
essere un Cesare, quindi un subordinato.
Ad un certo punto, con la morte dell’Augusto sarebbe subentrato un Cesare nella
funzione di Augusto, il quale avrebbe cooptato un altro Cesare.
Questo sistema, quindi, teoricamente, doveva fare in modo che la successione non fosse
traumatica e, coinvolgendo più persone, che si evitassero tutte quelle guerre civili che
c’erano state precedentemente.
Lui stesso diede il buon esempio e si ritirò a vita privata nella sua villa di Spalato dove c’è
ancora un gigantesco palazzo di Diocleziano.
Questo sistema ha preso il nome di Tetrarchia: potere di quattro e, secondo
Diocleziano, doveva funzionare automaticamente.
In realtà ciò non avvenne, perché quando Lui si dimise esortò il suo collega d’occidente a
fare altrettanto, ma questi non lo ascoltò.

Si scatenarono contese tra i vari generali dell’impero e scoppiò un’altra guerra civile
che sarebbe stata risolta solo dalla vittoria finale di Costantino, il quale era figlio di un
altro generale.
Si ebbe una nuova serie di guerre e di contrasti, stavolta tra i grandi generali che erano a
capo della tetrarchia imperiale.

Mentre l’ impero è attanagliato da queste difficoltà, si viene diffondendo all’interno delle


sue provincie e, inizialmente nelle sue provincie più ricche, più urbanizzate e più orientali,
una nuova religione.

Teoricamente questo non doveva sconvolgere niente, perché il mondo imperiale greco
romano era un coacervo molto disordinato, però molto tollerante, di religioni differenti.

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Si parla infatti di sincretismo religioso, cioè ogni provincia, ogni zona, ogni popolo,
portava la sua religione e poi ogni dio entrava a far parte del bagaglio più o meno generale
dell’impero, per cui abbiamo nomi greci o latini per quella stessa divinità o simili.

Dopo il I° secolo d.C. l’ impero romano viene invaso da culti orientali.

Tra queste sette orientali si va diffondendo dal I° secolo d.C. il Cristianesimo che,
soprattutto nei suoi esordi, viene percepito come una variante dell’ ebraismo.

D’altra parte i primi cristiani sono fondamentalmente ebrei, e gli apostoli sono ebrei, e
per questo, fin dall’inizio, il rapporto tra cristianesimo e autorità imperiali romane è
difficile; non per motivi religiosi, le autorità romane non trovavano almeno
teoricamente, nessun motivo per perseguitare i cristiani, da un punto di vista
schiettamente religioso, ma, soprattutto nella prima fase, associandoli agli ebrei
trovavano dei motivi politici.
Ciò perché gli ebrei appartenevano a un regno di recente conquista che si era distinto, in
molti casi, per la sua ribellione all’ autorità imperiale romana; basterebbe pensare alle
numerose rivolte degli ebrei nel I° secolo, fino alla grande distruzione di Gerusalemme nel
70 d.C.
Il famoso muro del pianto che viene fatto vedere ogni tanto in televisione è ciò che resta
delle mura della Gerusalemme antica distrutta da Tito, il figlio di Vespasiano nel 70
d.C., e quindi questa associazione iniziale tra ebrei e cristiani comportò, almeno
inizialmente, non pochi problemi.

Il Cristianesimo è in ordine di tempo la seconda religione Monoteista: la prima è


l’ebraismo e la terza è l’Islam. Tutte e tre sono considerate religioni Abramitiche perché
tutte hanno come antenato Abramo, cioè il personaggio dell’ Antico Testamento che
abbandona il politeismo (il paganesimo) per abbracciare il monoteismo, cioè l’adorazione
di un unico Dio.
Penso che molti di voi non abbiano letto in tutta la loro vita la Bibbia, forse hanno letto il
Vangelo! Perché l’Italia è un paese cattolico dove non si conosce il cristianesimo…. che
è un fatto culturale prima che spirituale.

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Il cristianesimo si diffonde nel I° secolo d.C. nelle grandi città ellenizzate dell’ impero e ha
come veicolo fondamentale, la lingua greca; il vangelo è scritto in greco, non abbiamo
testimonianza diretta di vangeli scritti in aramaico, che era la lingua parlata nella Palestina
dell’epoca di Cristo.
Si noti che, tutti i vangeli sono stati scritti, almeno nella versione che noi conosciamo, dopo
la distruzione del 70 d.C., perché in essi si parla della distruzione del Tempio di
Gerusalemme.

Il cristianesimo compie un grande salto di qualità con la predicazione di Paolo il Tarso.


Paolo il Tarso era si ebreo, ma cittadino romano, il suo nome originario in realtà era Saul e
veniva da una zona che oggi appartiene alla Turchia sud-orientale. La predicazione di
San Paolo fa compiere un salto di qualità alla predicazione di questa nuova religione
perché fa diventare il cristianesimo una religione Ecumenica.
L’ebraismo è la religione del popolo eletto, quindi l’ebraismo non ha velleità
espansionistiche, non c’è un programmatico proselitismo nell’ebraismo, perché quello
che è eletto è quel popolo lì, non chi abbraccia quella religione.
Per i cristiani, invece, quello che conta è solo la religione, non l’etnia, non le
tradizioni, non la lingua, nient’altro; infatti, per esempio, San Paolo è quello che dice
basta con la circoncisione, la circoncisione deve essere spirituale. Perché non ci deve
essere nessun elemento che fa identificare etnicamente i fedeli cristiani.

I destinatari delle lettere di San Paolo sono gli abitanti delle città del Mediterraneo
orientale, molti dei quali sono di lingua greca.
Pertanto: la predicazione di San Paolo e dei primi cristiani è indirizzata verso ceti
urbani generalmente di lingua greca.
Infatti abbiamo le lettere scritte agli Ateniesi, le lettere scritte agli abitanti di Corinto, le
lettere scritte agli abitanti di Efeso, e via dicendo. Tutte città di lingua greca,
profondamente ellenizzate.
Quando si parla di città di lingua greca nell’antichità, non si intende semplicemente
città greche, ma città dove il greco era la lingua della cultura.
Per esempio Alessandria d’Egitto era una città di lingua greca, la lingua parlata in Egitto
era il Copto, ma ad Alessandria, città fondata da Alessandro Magno, la lingua
maggiormente conosciuta era il greco.

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Lo stesso vale per Antiochia, città fondata da Antioco che era un generale di Alessandro
Magno. Antiochia si trova in un contesto linguistico aramaico, in cui però si parla
greco.
L’ellenismo, questa grande diffusione della cultura greca passava attraverso queste
grandi città ed esse ne conservavano la lingua, la formazione e la filosofia.
Ed è questo ambiente, quello delle città ellenizzate che costituisce il cuore della
diffusione del cristianesimo, e quindi si diffonde soprattutto nella zona più ricca
dell’ impero; in occidente ci arriverà molto più tardi.
Infatti le prime grandi chiese apostoliche delle comunità cristiane, sono quasi tutte
orientali: Efeso, Tessalonica cioè l’odierna Salonicco, Corinto, Antiochia,
Alessandria… e ovviamente Gerusalemme.
In occidente le comunità si diffondono più tardi: avremo 15 chiese apostoliche a Roma,
nel cuore dell’impero dove vuole San Pietro, Milano, Cartagine.
Per uscire dall’ ambito strettamente mediterraneo il cristianesimo farà molta fatica; per
cristianizzare gli abitanti della Gallia bisognerà arrivare al IV° secolo, IV° secolo
inoltrato.
Queste comunità cristiane, quando il numero dei fedeli si moltiplica, si danno una
Organizzazione Istituzionale.
A capo delle comunità troviamo figure come quelle dei Presbiteri (in greco significa
anziano), da cui discende la parola prete, cioè colui che officia i sacramenti.
Poi gli Episcopi (dal verbo greco episcopei, che significa sorvegliare – colui che sorveglia
la comunità dei fedeli), da cui il nostro vescovo che ha il controllo di una determinata
regione, di una determinata zona che prenderà il nome di Diocesi: la diocesi nella tarda
antichità era una provincia dell’ impero.
Tutto ciò perché la chiesa cristiana modella le sue istituzioni e la sua distrettuazione
sul territorio sulle istituzioni imperiali romane.
Poi, ancora, abbiamo per esempio la figura dei Diaconi, che sono quelli che assistono i
presbiteri e soprattutto i vescovi nella loro attività pastorale.
La strutturazione delle diocesi e poi delle arcidiocesi, cioè dove c’è un arcivescovo, sarà
graduale, sarà lenta e progressiva, e, ancora una volta la porzione orientale dell’impero
anticipa fenomeni che si verificheranno più tardi nella parte occidentale.
Perché il cristianesimo entra in rotta di collisione con l’ impero, cioè perché alcuni
imperatori, non certamente tutti e non in tutte le epoche, hanno perseguitato le
comunità cristiane?
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Intanto, come dicevamo precedentemente, in un primo momento perché assimilano i
cristiani agli ebrei e quindi ne fanno un fatto politico.
Poi, attenzione alla cinematografia hollywoodiana, i films degli anni 50 e 60, sono tutte
fandonie perché a Roma, soprattutto fino al III° secolo avanzato si aveva un’idea vaga di
che cosa fosse il cristianesimo, quindi figuriamoci se perseguitavano i cristiani in massa
all’epoca di Nerone: probabilmente Nerone non sapeva neppure chi fossero i cristiani!
Perché a un certo punto i cristiani vengono perseguitati? Perché si rifiutano di
adorare l’ imperatore, quindi le persecuzioni sono massicce ed organizzate soprattutto
nel III° secolo, cioè, mentre la figura dell’imperatore viene sottoposta a quel processo
mediante il quale Lui diventa una sorta di dio in terra e viene adorato dai sudditi e dai
soldati, con le statue sparse in tutte le città, in quello stesso momento si diffonde il
cristianesimo, e questi cristiani si rifiutano di adorare la statua dell’imperatore – questa è
idolatria, Dio non me lo consente – e quindi vengono processati. Vengono processati
perché non vogliono svolgere i servizio militare, e via dicendo.
Quindi, vengono perseguitati non perché cristiani ma perché si rifiutano di ottemperare a
quelli che l’imperatore considera dei doveri da parte dei sudditi. E non a caso, la più
grande ondata di persecuzione di cristiani viene scatenata dall’imperatore
Diocleziano, che governa per circa venti anni ed è il teorizzatore massimo della
divinizzazione del culto dell’imperatore.
La nuova guerra civile che si scatena dopo che Diocleziano ha abdicato, si conclude
inopinatamente con un operazione un po’ ambigua ( e sulla quale gli storici non sono
nemmeno concordi) di colui che poi sarebbe risultato il vincitore del conflitto, cioè
Costantino.
Egli promulgò un editto, l’ Editto di Tolleranza: in base a questo editto Costantino
dichiarava il cristianesimo religio licita, cioè religione tollerata, al pari di tutte altre.

Alla fine del III secolo venne realizzata un'importante riforma della funzione imperiale. Il potere non fu
più incarnato in un'unica persona, ma venne esercitato da un collegio composto da due Augusti e due
Cesari (tetrarchia). Il territorio dell'impero fu diviso in due parti: Occidente e Oriente. Furono nominati
un Augusto e un Cesare per l'Occidente e un Augusto e un Cesare per l'Oriente.
Ciascun tetrarca scelse la propria residenza in una città diversa. Le quattro sedi imperiali
furono Treviri e Milano (Occidente), Sirmio e Serdica (Oriente). Per la prima volta, Roma non fu più
capitale dell'impero. A Roma rimase il senato.

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Nell'ottobre 306 il generale Massenzio pretese di ripristinare la sede imperiale romana e, con il
suo esercito, si pose come capo incontrastato dell'Urbe. Massenzio riempì un vuoto lasciato dai due
tetrarchi d'Occidente, che avevano scelto come rispettive residenze Treviri e Milano.

Nel 308 la tetrarchia era composta da Licinio e Costantino in Occidente e Galerio e Massimino Daia in
Oriente. Galerio, Primus Augustus, incaricò Licinio di sconfiggere Massenzio. La missione però fallì.
Nel 311 Galerio firmò il suo ultimo provvedimento: un editto di perdono per i cristiani. Alla sua morte il
suo posto fu preso da Licinio, che quindi si trasferì in Oriente.

Licinio, interessato a diventare Augusto d'Oriente, strinse un patto con Costantino in funzione anti-
Massimino.
Per suggellare l'accordo Costantino promise in moglie a Licinio la propria sorella, Costanza. Secondo
l'accordo, la tetrarchia doveva cessare di esistere: sarebbero rimasti Costantino in Occidente e Licinio
in Oriente.

Nella primavera del 312 Costantino discese con il suo esercito in Italia per affrontare Massenzio. Lo
scontro decisivo si ebbe il 28 ottobre 312 (Battaglia di Ponte Milvio).
La sera prima Costantino non eseguì i sacrifici rituali della religione tradizionale. Prima di ogni evento
importante, i romani interrogavano gli dei chiedendo loro di assisterli.
Un aruspice eseguiva il sacrificio di un animale e, scrutando nelle sue viscere, interpretava il volere
degli dei.
Di fronte al proprio esercito, invece, Costantino affermò che un sommo Dio (summus Deus) lo avrebbe
guidato nella battaglia. Gli studi cristiani hanno tramandato questo accadimento attraverso un racconto:
quella notte Dio apparve a Costantino in sogno e gli pronosticò la vittoria. In cambio, sugli scudi dei
suoi soldati egli avrebbe dovuto far dipingere il simbolo che Dio gli aveva mostrato(in hoc signo vinces),
formato dalle due lettere greche iniziali del nome di Cristo, X e P.

Le divinità ufficiali della tetrarchia erano Giove (protettore degli Augusti) ed Ercole, figlio di Giove
(invocato dai Cesari). Costantino invece aveva mostrato fin dai suoi primi anni da tetrarca di ricercare
una divinità tutelare personale.

Costantino uscì vincitore dalla battaglia. Entrato in Roma come unico Augusto d'Occidente, celebrò
il Trionfo, ma non salì il colle del Campidoglio, sede del tempio più sacro ai romani. Per la prima volta i
cittadini dell'Urbe conobbero un imperatore che non eseguiva i tradizionali sacrifici agli dei.
Ormai la sua conversione al cristianesimo era compiuta.

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Costantino non rimase a lungo a Roma: nel gennaio 313 si recò a Milano, città scelta per il matrimonio
della sorella Costanza con Licinio. Nella capitale dell'Occidente, Costantino e Licinio concordarono una
linea comune in materia di religione.

Secondo l'interpretazione tradizionale, Costantino e Licinio firmarono a Milano, capitale della parte
occidentale dell'impero, un editto per concedere a tutti i cittadini, e quindi anche ai cristiani, la libertà di
onorare le proprie divinità. Una interpretazione recente delle fonti, ha portato alcuni storici a
considerare che nel febbraio 313 a Milano Costantino e Licinio decisero, piuttosto che nella
promulgazione di un vero e proprio editto, di dare attuazione alle misure contenute nell’Editto di
Galerio del 311, con il quale era stato definitivamente posto termine alle persecuzioni, accordandosi
nel contempo per emanare precise disposizioni ai governatori delle province.

I due Augusti stabilirono di dare piena applicazione all'editto di perdono firmato da Galerio due anni
prima (Editto di Serdica). Furono probabilmente fissate anche delle norme integrative rispetto al testo di
Galerio. Anche se l'accordo scaturì dalla volontà comune, l'iniziativa di dare rilievo alla questione
religiosa fu di Costantino.
Dopo gli accordi di Milano, la politica religiosa verso i cristiani passò dalla tolleranza al sostegno della
nuova religione.

Licinio, pur essendosi alleato con Costantino, era rimasto fedele alla religione tradizionale. L'alleanza
per lui aveva scopi eminentemente politici.

In Oriente i cristiani erano ancora mal tollerati. Massimino Daia, nel novembre del 311, aveva
ripreso le esecuzioni capitali di cristiani nella parte dell'impero sotto la sua giurisdizione.

Nell'aprile 313 Licinio affrontò e sconfisse Massimino in Tracia. Cessarono così del tutto le persecuzioni
dei cristiani in Oriente. Successivamente, in applicazione degli accordi di Milano, Licinio
concesse a tutti i cristiani della sua parte dell'impero il diritto di costruire luoghi di culto; inoltre
dispose che fossero loro restituite le proprietà confiscate. Tali disposizioni furono esposte
pubblicamente a Nicomedia in un rescritto.

La diarchia Costantino-Licinio durò per undici anni. I due imperatori governarono in pratica in due regni
separati. La pace interna cessò nel 323. Nel 324 Costantino sconfisse Licinio in una serie di
battaglie, costringendolo a cedergli la sua parte dell'impero.

L'impero ritornò così ad essere un'istituzione monocratica, per la prima volta


guidata da un cristiano. Costantino, abbandonata la pluralità degli dei tutelari della tetrarchia,

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pose il suo governo sotto il segno del Dio unico dei cristiani. La guida spirituale di Costantino fu il
vescovo Osio di Cordova (256-357).

Costantino emise nuovi editti in favore dei cristiani. Obiettivo della politica religiosa dell'imperatore fu di
«far confluire in un'unica forma e idea le credenze religiose di tutti i popoli», e poi «di rivitalizzare e
riequilibrare l'intero corpo dell'Impero, che giaceva in rovina come per l'effetto di una grave ferita.
Per questo Costantino scelse come interlocutrice la Chiesa “cattolica”, cioè universale, avente come
suo scopo primario il mantenimento della comunione con le altre comunità cristiane.

I principali provvedimenti religiosi emessi dall'imperatore furono i seguenti:

• nel 321 stabilì che la domenica dovesse essere riconosciuta anche dallo Stato come
giorno festivo (dies Solis);
• nel 324 proibì magie e alcuni riti della religione tradizionale (la divinazione privata, fatta
nelle case), chiuse i templi e vietò che nei giochi circensi si sacrificassero i condannati a
morte;
• nel 326 emanò una legge che proibiva l’adulterio e vietava di portare a casa le concubine,
inoltre stabilì che gli ebrei non potessero più convertire gli schiavi né praticare su di loro la
circoncisione.

Con Costantino, il clero assunse un’importanza sociale elevata, attirando anche per questa
ragione le migliori intelligenze dell’impero.

D'altra parte Costantino non proibì mai il culto pagano. Manifestò rispetto verso i fedeli della
vecchia religione, cercando il dialogo con le correnti monoteizzanti del paganesimo.

Egli inoltre sapeva che i membri del Senato avevano continuato a professare la religione
tradizionale. Così decise di impostare una politica verso il Senato tesa ad evitare l'insorgere di
contrasti. Il fatto che nel 315 Senato abbia dedicato a Costantino un arco di trionfo (che campeggia
ancora oggi a fianco del Colosseo) lascia pensare che la linea di compromesso perseguita da
Costantino avesse avuto successo.

Non si sa se Costantino si fosse convertito davvero al cristianesimo: la madre si, ma lui è


dubbio che lo abbia fatto. Comunque, a prescindere dalle sue idee, a prescindere da
quello che veramente pensava in materia di religione, certamente la sua mossa ha dei

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risvolti politici importantissimi. Soprattutto perché lui vincerà la battaglia di Ponte Milvio e
quindi le comunità cristiane diventano uno dei sostegni principali dell’imperatore
Costantino.
Dopo la sua grande vittoria, Costantino fa ampie donazioni di terre e di immobili del
demanio alle chiese cristiane, e le libera anche da tutta una serie di balzelli, di tasse… e
via dicendo!
Quindi, le comunità cristiane, non solo passano nel giro di pochissimo tempo dalla
clandestinità o dalla semi clandestinità alla piena libertà di azione, ma diventano anche,
abbastanza rapidamente, ricche (almeno collettivamente parlando, non a livello di
singolo).
Quando Costantino promulga l’ editto, il cristianesimo non era affatto la religione
maggioritaria dell’ impero, lo era forse solo in alcune province orientali, come per esempio
l’Egitto, o la Palestina, non certo l’Italia, e meno che mai in Gallia, nella penisola Iberica, in
Britannia, in Renania.
Però la vittoria di Costantino, dà un impulso enorme alla diffusione del cristianesimo, e
soprattutto, ancora una volta, a prescindere dai motivi spirituali, cioè dai motivi intrinseci
della religione stessa, costituisce un potente stimolo alla conversione al cristianesimo delle
élites laiche occidentali. Noi troviamo fenomeni veramente singolari nel IV° secolo, di
senatori stimati di grandi città dell’impero che, di tutto punto, nel giro di qualche
settimana, vengono nominati vescovi. Senza essere stati religiosi prima, cioè senza
avere avuto gli ordini religiosi. Perché? Perché la carica di vescovo viene percepita dalla
collettività cristiana come qualcosa che può tranquillamente ricoprire un ottimate locale
perché le prerogative culturali, morali, sono più o meno le stesse.
Non sono rari questi passaggi abbastanza repentini: si pensi anche alla vita di
Sant’Agostino, il quale ha tutto un pregresso Manicheo, ostile ai cristiani, ha una vita
abbastanza libertina, poi ad un certo punto si converte e diventa più zelante di tutti gli
zelanti e finisce a fare l’Arcivescovo in Algeria.
Va a fondare Comunità Monastiche, scrive lettere alla sorella su come organizzare
monasteri femminili e via dicendo.
Assistiamo veramente ad una grande trasformazione religiosa nel IV° secolo e le
istituzioni cristiane si rafforzano potentemente, praticamente ricalcando quasi alla
lettera le istituzioni imperiali romane.
La rete delle diocesi e delle arcidiocesi si stende su tutto l’ impero, e poi si comincia ad
organizzare una vita assembleare delle comunità.
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Ecco che nascono le Sinodi , le grandi assemblee a livello diocesano e a livello
arcidiocesano, per regolare il rito, il cerimoniale, la vita religiosa, i dogmi ecc.
Le comunità cristiane crescono enormemente, pur tra contrasti, e nel 380, solo 67 anni
dopo l’Editto di Costantino, un altro imperatore, Teodosio , che è un altro generale
dell’impero, promulga a Tessalonica, cioè l’odierna Salonicco in Grecia, un Editto,
seguito poi da altri che vanno a completare l’opera legislativa, nel quale il Cristianesimo
viene dichiarato Religione di Stato, e quindi tutte le altre religioni sono messe
fuorilegge; chi si professa apertamente pagano è considerato un pazzo secondo l’Editto
di Tessalonica e tutti gli ufficiali pubblici dell’impero che si professano apertamente
pagani, e non cristiani, devono essere licenziati, devono perdere le loro cariche.
A questo punto l’impero romano diventa veramente l’ impero cristiano.
Tutti i ceti dominanti hanno una sorta di travaso dalle cariche imperiali a quelle religiose,
anche perché i vescovi cominciano ad assumere funzioni che non sono semplicemente
spirituali ma talvolta anche politiche.
Fanno assistenza, cioè gestiscono l’assistenza delle loro diocesi, quindi godono di
donazioni di denaro dalle casse dell’impero verso le casse della diocesi stessa, cioè
amministrano denaro pubblico perché svolgono funzioni pubbliche.

In questo periodo, e per molti secoli ancora, la chiesa di Roma non ha nessun ruolo
dirigente, nessun ruolo di comando all’interno della comunità cristiana.

La parola papa, che deriva dal greco e significa padre, sta ad indicare l’ arcivescovo di
Roma, ma l’arcivescovo di Roma non può imporre la propria volontà agli altri vescovi dell’
impero.
Non può imporre la sua volontà all’arcivescovo di Gerusalemme, di Alessandria d’Egitto, di
Antiochia, della neofondata Costantinopoli, di Cartagine e via dicendo.

Al massimo può imporre la sua volontà nelle diocesi intorno a Roma, cioè svolge quelle
funzioni di controllo delle diocesi soggette che svolgono tutti gli arcivescovi.

Il primato romano, ora e per molti secoli, sarà un primato di natura morale,
spirituale, ma non giurisdizionale: noi oggi siamo abituati a pensare al papato come un
monarca assoluto, e tale è oggi, i vescovi sono nominati dal Papa, tutti i vescovi!!

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Questo però è un portato della riforma della chiesa occidentale che si è verificato tra l’XI°
ed il XII° secolo, di cui parleremo successivamente: la chiesa tanto antica e tanto
medievale non era affatto così, era una chiesa “orizzontale”, non “piramidale” come
quella attuale.

Chi sceglieva il papa, cioè chi sceglieva gli arcivescovi, chi sceglieva i vescovi?

Non era così semplice perché una normativa sicura e chiara non esisteva.

Si diceva che i vescovi dovevano essere eletti da una assemblea del clero e del
popolo locale, che vuol dire tutto e niente: a) quanti sono questi chierici; b) hanno tutti la
stessa influenza nell’elezione; c) chi del popolo locale poteva dire la sua in un’assemblea
che, nel caso di grandi città poteva coinvolgere tantissime persone!

Il risultato è che spesso, come era inevitabile, l’ elezione era fortemente influenzata dalle
aristocrazie locali che imponevano quello che loro ritenevano il migliore.
Poi vedremo nel corso dei secoli come questa soluzione, molto ambigua, si prestasse
anche ad abusi familistici molto pronunciati, cioè a forme di clientele locali molto spinte.

Roma, su tutte le altre città dell’impero romano, aveva semplicemente un primato


morale, determinato fondamentalmente da due motivi:
1) era capitale dell’ impero ed il cristianesimo era la religione dell’impero.
2) S. Pietro era morto a Roma e quindi la basilica cristiana per eccellenza era
considerata quella di S. Pietro fondata in epoca Costantiniana e che poi verrà
abbattuta in epoca rinascimentale per fare spazio all’attuale basilica tutt’ora
esistente.
Il cristianesimo, poi, subito dopo l’ editto di Costantino, vive una stagione abbastanza
lunga di scontri molto forti intorno a principi dogmatici, cioè a quei valori che devono
essere accettati come verità di fede e che non possono essere messi in discussione.

Per regolare i dogmi, per regolare il rito della messa, per mettere ordine nei principi
fondamentali dei sacramenti della chiesa cristiana, fu convocato, per volontà anche dello
stesso imperatore Costantino, un grande Concilio Ecumenico a Nicea(325 d.C.) (oggi in
Turchia, all’ epoca in Bitinia, cioè nella porzione nord occidentale dell’odierna Turchia
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Asiatica, che all’epoca si chiamava Asia Minore): si noti il fatto che un concilio
ecumenico della chiesa cristiana viene tenuto in una città orientale di lingua greca.

A partecipare a questo concilio furono soprattutto vescovi orientali, quelli occidentali erano
pochissimi, un’esigua minoranza.
A Nicea furono poste le basi per alcuni dogmi e per alcuni usi liturgici: per esempio
il Concilio di Nicea fissò il credo – quello che viene recitato alla messa – così come
fissò la datazione della pasqua.
La pasqua è una festività ebraica, la pesac, che fa riferimento alla fuga degli ebrei
dall’Egitto ecc., è una festività legata al calendario lunare – perché gli ebrei hanno il
calendario lunare – e veniva festeggiata di sabato, che è il giorno sacro degli ebrei.
I cristiani festeggiavano e festeggiano la pasqua per il sacrificio di Cristo e per la sua
resurrezione, ma ad un certo punto i vescovi dissero: non possiamo continuare a
festeggiarla di sabato, perché il sabato è il giorno sacro degli ebrei: allora la festeggiamo
il giorno successivo, che chiameremo domenica, cioè il giorno del Signore!
Arrivano a definirne la datazione dicendo che la pasqua verrà festeggiata nella prima
domenica che cade dopo il primo plenilunio successivo all’equinozio di primavera.
Quindi bisogna superare l’equinozio di primavera, osservare il primo plenilunio, e poi
prendere la prima domenica utile.
Ecco perché la pasqua fluttua, perché è legata ai cicli stagionali.
Ecco, la fissazione della data della pasqua è determinata da un provvedimento
preso nel Concilio di Nicea.

Poi, per esempio, il Concilio di Nicea stabilisce cosa è ortodossia e cosa è eresia: cosa
è interpretazione corretta ed ammissibile della religione – ortodossia -, cosa invece non va
bene perché viola la giusta interpretazione e i dogmi della religione.

La prima eresia ad essere condannata fu l’ Arianesimo.


Gli ariani non appartengono ad un’altra religione, sono cristiani, solo che interpretano il
cristianesimo così come si era venuto diffondendo in alcune zone dell’oriente in seguito
alla predicazione del vescovo Ario.
Secondo gli ariani, la natura umana del Cristo prevaleva in modo schiacciante su quella
divina: quindi la figura di Cristo come Figlio di Dio, come verbo incarnato, veniva un po’
sminuita, perché l’elemento umano era prevalente.
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Invece il dogma ritenuto ortodosso al Concilio di Nicea è che in Cristo ci sono due
nature, perfettamente operanti allo stesso modo: la natura divina e la natura
umana , altrimenti, dicevano gli ortodossi, noi non ci potremmo salvare, perché l’unico
modo per salvarsi è che il Dio stesso incarnato si offra a se stesso come sacrificio.
Cioè che sia spirito e carne al tempo stesso.

Dopo questo concilio ve ne saranno anche altri; perché, in realtà, alcune province
dell’impero avevano sviluppato una propria visione del Cristianesimo con propri riti, con
propri modi di celebrare l’Eucarestia, con varianti dogmatiche e via dicendo.
Per cui, la storia del cristianesimo, grosso modo fino alla metà del VI° secolo è un
susseguirsi continuo di concili ecumenici, alcuni dei quali caratterizzati da vere e proprie
risse, cioè con vescovi che si prendevano a seggiolate, perché per far prevalere una
visione sull’altra si era arrivati anche alla violenza.
Le disposizioni dei concili venivano fatte applicare dai soldati imperiali, per cui i vescovi
che si rifiutavano di obbedire alle decisioni conciliari, venivano espulsi con la forza
dalla chiesa dai soldati dell’imperatore.
L’imperatore faceva questo perché aveva interesse che la religione cui credeva, e di cui
godeva il supporto ideologico dell’impero stesso, fosse omogenea da un punto di vista
ideologico e quindi perseguiva le minoranze spirituali.
Facciamo qualche esempio: intorno agli anni 30 del V° secolo vengono dichiarati fuori
legge i Nestoriani, cioè i seguaci di colui che era stato l’arcivescovo di Costantinopoli,
Nestorio, per motivi che a noi paiono incomprensibili, perché Nestorio diceva che la
Vergine, cioè la Madre di Dio, non era Teotokos, cioè generatrice di Dio, ma
Christotokos, cioè generatrice di Cristo.
Perché la Vergine era un essere umano e quindi non poteva generare una divinità.
1) Il punto fondamentale è che queste dispute cristologiche sulla natura di
Cristo, sulla natura della Vergine, sulla natura del Verbo Incarnato e via
dicendo, da una parte riflettono il modo di ragionare del mondo antico: si
pensi alle dispute filosofiche, ai paradossi di Zenone, cioè a quel modo di vedere la
realtà e di spaccare il capello in quattro con la dialettica che è tipico del mondo
greco romano. Quel tipo di educazione e di atteggiamento, poi venne riversato
nell’élite Ecclesiastica.

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Si trova una grande letteratura apologetica (celebrativa, che tende ad esaltare) cristiana
che dice che il mondo greco romano è un mondo da cancellare, perché è un mondo del
peccato, però quegli stessi autori si sono formati sulla letteratura, sulla filosofia e sull’arte
greco romana, altrimenti non scriverebbero con quel grado di raffinatezza retorica con cui
scrivono.
Quindi, alcune cose andavano bene, altre meno, però l’educazione era quella. Erano
contro il teatro, però lo conoscevano bene!
Questo il primo punto!!!
2) dietro queste dispute ci sono anche conflitti tra le singole province, conflitti tra
le province e la sede imperiale, perché il modo di vedere il cristianesimo
diventa ad un certo punto fattore identitario.
L’identità dell’Irlanda, contrapposta per secoli, o forse anche per millenni all’Inghilterra, si
fonda sul fatto che gli Irlandesi sono anche Cattolici, rispetto agli Inglesi che sono
Protestanti (Anglicani).

L’opposizione polacca all’unione sovietica negli anni 80, si basava anche sull’opera dei
preti e dei vescovi ed il movimento di protesta contro l’unione sovietica di Breznev era
guidato da cattolici praticanti, perché la Polonia si sentiva legata da questo collante
religioso contro l’Unione Sovietica che si proferiva atea.

Attenzione che i fattori religiosi possono anche diventare e lo vediamo oggi dram_
maticamente, fattori identitari.

Dietro questi scontri tra un vescovo ariano, uno ortodosso, tra un vescovo egiziano ed uno
greco, ci sono anche lotte tra le province e la sede centrale. Per questo poi abbiamo
questi soldati che arrivano nelle cattedrali e mandano via il vescovo a manganellate
mentre sta predicando.
Spesso queste liti o polemiche apparentemente insulse, nascondono motivazioni
molto concrete: protesta per la fiscalità centrale dell’impero e via dicendo.

Un esempio è dato dalla fortissima contrapposizione tra la dottrina ufficiale che verrà,
nel 5° secolo dall’Egitto e dalla Siria dove i vescovi e con essi anche i fedeli, sono in
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netta maggioranza Monofisiti (dal greco monos e fisis = unica natura ma quale in questo
caso? Quella divina). Per i vescovi monofisiti dell’Egitto e della Siria, Cristo ha una
sola la natura divina.
Questa posizione venne condannata come eresia nel Concilio di Calcedonia, un’altra
città greca dell’asia minore, nel 451: la dottrina ufficiale sarà dunque quella diofisita
(delle due nature: quella umana e quella divina).

Da questo momento in poi ci saranno problemi a non finire nella gestione delle province
dell’Egitto e della Siria per motivi di ordine religioso.
Le Autorità di Costantinopoli, capitale dell’impero romano d’oriente e poi capitale
dell’unico impero romano che sopravvive, perseguiteranno, con violenza, i vescovi
monofisiti.
Mentre il cristianesimo si afferma dandosi queste istituzioni il messaggio cristiano è diffuso
anche attraverso forme di vita abbastanza originali, cioè il cristianesimo si diffonde da una
parte con un intervento massiccio nella società: prete, vescovo, arcivescovo, diacono,
tutte persone che hanno un’ attività pastorale e quindi quotidianamente sono a contatto
con i fedeli, sono strettamente nella società.

Poi c’è anche un’altra forma di vita che si sviluppa ai margini della società e che però ha
un fortissimo fascino, un fortissimo ascendente per via dell’esempio che viene dato.
Questa forma di vita è il Monachesimo, nella forma anacoretica cioè individuale,
solitaria, radicale, estremista, e in quella cenobitica (conos e bios in greco = vita in
comune).
Vediamo in cosa si differenziano.

Forme di vita separate dalla società esistevano anche prima del monachesimo cristiano, e
anche in altre religioni: intanto i monaci buddisti per esempio.
Forme più o meno simili c’erano anche nell’ebraismo e poi c’erano forme particolari di vita
ritirate in comunità filosofiche, basterebbe pensare ai pitagorici, ai non pitagorici etc.
Certo nel mondo mediterraneo il monachesimo cristiano rappresenta una forma molto
originale di vita separata dalla società.
I primi monaci sono anacoreti e vivono separati dalla società.

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Ancora una volta è nelle province orientali che troviamo le prime forme di monachesimo,
soprattutto dell’Egitto ed in particolare dei deserti egiziani, che sono il luogo di elezione
della vita eremitica.
Questi primi anacoreti conducono un’esistenza veramente molto aspra: hanno lasciato le
loro case, le loro famiglie, le loro ricchezze, vivono in grotte, spesso in solitudine, si
incontrano magri una volta la settimana e vivono di niente.
Qualcuno gli porta un po’ di cibo in elemosina, intrecciano la paglia, fanno stuoie, che
danno in cambio di un po’ di cibo, conducono una vita fatta di ascetismo, pregano,
recitano i salmi a memoria, dormono il meno possibile, mangiano il meno possibile,
spesso hanno un solo vestito, non si lavano quasi mai.
E’ una vita fatta di rinunce estreme perché l’anacoreta pensa che solo mortificando
tutto ciò che ha a che fare con la corporeità Lui potrà entrare in contatto con Dio; la
società è peccato, bisogna stare il più lontano possibile da tutti gli aspetti materiali
ed anche spirituali.
Ovviamente il pericolo maggiore per tutti questi anacoreti è la donna, che è la fonte di tutte
le tentazioni!
La letteratura cristiana delle origini ha come vero e proprio genere letterario la vita del
monaco anacoreta.
La più famosa di queste vite è la vita di Antonio, il padre del deserto, un cittadino di
Alessandria che ad un certo punto (rimasto orfano con una sorella) da tutto ai poveri e
passa quasi tutto il resto della sua vita a fare l’eremita e morirà centenario.
Ecco, la vita di questo santo, di questo padre del deserto, considerato il padre fondatore
dell’eretismo e che è redatta dal vescovo di Alessandria, quindi da una persona molto
importante e molto colta – vita che poi verrà tradotta in latino perché questo vescovo si
troverà esiliato per motivi politici in occidente, questa vita ha dei passaggi fondamentali:
l’abbandono delle ricchezze, l’abbandono degli affetti, le tentazioni del diavolo durante il
giorno, durante il periodo infuocato della giornata, con questo diavolo che si presenta sotto
vesti femminili, sotto vesti di un ragazzo, perché le tentazioni della carne vanno in un
senso e nell’altro, la tentazione degli affetti, e lui per superare queste tentazioni (c’è tutta
un’iconografia, un’arte medievale, rinascimentale e barocca che fa vedere Sant’Antonio
sotto le tentazioni del diavolo).
Lui supera queste tentazioni continuando progressivamente a mortificare se
stesso.

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Ci sono centinaia e centinaia di vite di monaci anacoreti, scritte nel IV°, nel V° e nel VI°
secolo da vescovi o semplicemente da individui letterati che descrivono come funzionava
la vita di questi eremiti egiziani e siriani.
Alcune di queste vite noi le conosciamo: si sono tramandate nell’occidente perché ad un
certo punto, alcuni occidentali, affascinati da questo stile di vita, sono andati lì, hanno
fatto quella vita, si sono immedesimati in quella parte e poi hanno portato in occidente
quel sistema di vita.
Un campione di questo modo di comportarsi è stato San Gerolamo, che era un Istriano,
veniva dall’Occidente, lui era originario di un posto vicino a Pola (la città principale
dell’Istria, oggi Croazia).
Era un individuo molto inquieto perché sempre in giro, con una condotta di vita anche
instabile, che però spesso si portava dietro personaggi influenti e matrone romane, quindi
personaggi ricchi, facoltosi, importanti, prestigiosi.
Fondò un monastero in Palestina poi tornò a Roma e fondò monasteri a Roma nelle ville
di queste matrone romane e tradusse una massa sterminata di testi scritti in greco e in
ebraico. Personaggio coltissimo che poi avrebbe tradotto in latino anche il vangelo e tutti i
testi sacri: la famosa vulgata di San Gerolamo.
Questo è un tipo di forma di vita, l’anacoretismo, la separazione totale, che arriverà in
occidente in ritardo.
L’altra forma di vita è invece il cenobitismo, una vita comunitaria che si basa su un altro
principio, completamente differente.
Questo principio, più o meno, era il seguente: la vita anacoretica è per gli eletti, è per
gli spiriti forti, è molto rischiosa perché le tentazioni sono molte, compresa quella
della superbia, cioè di pensare di essere migliore degli altri.
Tutto ciò non va bene secondo gli assertori della vita cenobitica.
Bisogna vivere in comunità perché ognuno deve aiutare l’altro, perché ognuno si deve
umiliare di fronte agli altri, perché ognuno si deve mortificare di fronte agli altri, perché ci
vuole una disciplina e tutti dobbiamo ubbidire a quella disciplina.
E tutti dobbiamo lavorare perché il lavoro, come dice Cicerone, come pensavano gli
antichi, era una cosa umiliante, e quindi il vero monaco, dovendosi umiliare deve lavorare
e deve contribuire all’organizzazione del cenobio, cioè del monastero.
Nascono quindi le comunità che si danno una propria regola: la prima di queste comunità
è la Comunità di Pacomio, che era un monaco egiziano.

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Un’altra grande comunità che si diffonde in asia minore e poi in tutto il mondo greco
propriamente detto, è quella diffusa da Basilio di Cesarea, che diventerà appunto
vescovo di questa città del cuore dell’asia minore.
Quasi tutto il monachesimo ortodosso anche attuale, cioè il monachesimo che fa capo al
mondo Greco, al mondo della Serbia, della Russia, cioè al mondo ortodosso, è un
monachesimo detto basiliano, perché si basa sulle regole messe per iscritto da
Basilio di Cesarea.
Lui è veramente il primo grande teorico del monachesimo cenobitico, quello che dice:
attenzione alla vita eremitica perché è molto pericolosa. E’ molto pericolosa e
probabilmente nemmeno giusta proprio perché non c’è questo confronto continuo:
non si può esercitare la carità l’uno verso l’altro, non ci si può umiliare e via
dicendo.
La forma di monachesimo cenobita poi si affermerà anche in occidente, più tardi.
Pacomio e Basilio sono del IV° secolo, il cenobitismo si afferma in occidente,
segnatamente in Italia e nella Provenza, cioè l’attuale Francia sud-orientale, solo alla fine
del V° secolo.
Anche qui abbiamo tutta una serie di regole diverse perché ogni monastero faceva capo a
se stesso, c’era un’organizzazione piramidale ed ogni abate provvedeva a scrivere delle
norme per la gestione della sua abazia, e così noi abbiamo regole provenzali, regole
italiche.
Una tra queste regole, una tra le tante regole, è la regola redatta da Benedetto da
Norcia, la regola benedettina, una regola molto duttile, che tiene conto anche delle
debolezze umane….. ( io direi di non bere vino, ma se non ne potete fare a meno
bevetene un po’! Dovete fare quello che dice l’abate, se non ce la fate dite all’abate che
non avete i mezzi per farlo …. e se Lui vi dice di farlo fatelo lo stesso confidando nell’aiuto
di Dio.)
E’ una regola che tiene conto di molto aspetti legati alle debolezze umane, è una regola
che copia da altre regole, che le assembla, che fa propria la tradizione orientale e la
adatta all’occidente, che dice cosa si deve mangiare, a che ora si deve mangiare, a che
ora si deve pregare, qual’è il calendario della preghiera giorno per giorno, e dice che si
deve lavorare – anche in questo caso!
Non si può solo pregare, bisogna anche lavorare, perché queste comunità monastiche
nelle origini sono relativamente povere, i monasteri vengono creati in campagna e quindi i
monaci devono adattarsi alla vita rurale, nel cibo, nelle vesti ed in tutto il resto.
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SECONDA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
MARTEDI’ 07.10.2014 ORE: 15,00 17,00

Ieri si è cominciato a parlare dell’Impero Romano negli ultimi secoli della sua esistenza.
Ovviamente quando parliamo degli ultimi secoli della sua esistenza, ci riferiamo solo alla
porzione occidentale, perché la porzione orientale avrà una vita ancora molto, molto
lunga.
Abbiamo parlato della grande diffusione del cristianesimo e dell’esplosione di questa
nuova religione monoteista soprattutto dopo l’Editto di Costantino (Editto di Tolleranza
del 313 d.C.) e, a maggior ragione, dopo l’Editto di Teodosio (Editto di Tessalonica del
380 d.C.) che proclama il cristianesimo religione di stato quindi l’unica permessa.
Il che poi concretamente a livello di edifici, soprattutto urbani, del paesaggio urbano,
significa anche un notevole cambiamento edilizio.
Si pensi, per esempio, a tutte le chiese paleocristiane, cioè costruite nel IV,V e inizio VI
secolo che hanno generalmente materiale di spoglio, cioè sono costruite in larga parte
prendendo le colonne e anche altro, dai preesistenti edifici religiosi pagani.
Per questo si parla di materiale di spoglio perché gli edifici pagani, che ormai sono fuori
legge, vengono trasformati in cave a cielo aperto, di cui si può disporre più o meno
liberamente.
Alcuni edifici vengono completamente riutilizzati, altri invece appunto spogliati.
Per esempio il Duomo di Siracusa è costruito su un antichissimo tempio dorico, del V
secolo a.C., dedicato alla dea Atena.
Verrebbe da pensare che era impossibile utilizzare un edificio pagano per un edificio
cristiano, ma c’erano motivazioni che lo consentivano.
Atena è parthenos, cioè è vergine, come la Vergine, e quindi un edificio pagano
intitolato ad una divinità vergine greca, viene trasformato in un edificio dedicato a
una Vergine Cristiana, cioè la Madre di Dio.
Perché il cristianesimo per affermarsi nelle masse popolari doveva per forza fare i conti
con le religiosità presenti presso questi stessi popoli; così accade, per esempio, che i
templi delle vestali diventino sedi di monasteri femminili e via dicendo.
Perché, generalmente, il luogo di culto viene trasformato e adattato alle nuove esigenze.
L’Impero Romano, in particolare quello occidentale, quando crolla nel corso del V
secolo, è un impero totalmente cristianizzato.
O meglio, è totalmente cristianizzato nelle città.
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Nelle campagne si è sono ancora lontani dalla piena affermazione del cristianesimo.
Si badi come la parola pagano rimanda al “pagus” cioè al villaggio, perché nelle
campagne il processo di conversione al cristianesimo fu più lento.
Soprattutto nelle campagne, per esempio, della Gallia, cioè nelle zone più lontane
dall’area mediterranea.
Questo impero crolla in maniera irreversibile nel corso del V secolo.
Il tema del crollo dell’Impero Romano è un tema che ha appassionato gli studiosi fin
dall’Umanesimo, cioè fin dal ‘400: gli umanisti pensavano che tutti i secoli che erano
trascorsi tra la civiltà classica e la loro civiltà fossero secoli bui.
Secoli di barbarie, secoli di fine di una civiltà e sostenevano di essere loro i nuovi classici.
Quindi stabilivano un ponte tra se stessi e la civiltà antica.
Sono gli umanisti che si sono inventati il concetto di Medioevo, cioè di età intermedia tra
quella classica e quella in cui vivevano.
E’ per questo che viene tenuto insieme un periodo così lungo, e così pieno di realtà
differenti, che altrimenti non sarebbe tenuto insieme.
È per questa definizione negativa degli umanisti che è nato e si è sviluppato il
concetto di Medioevo: un concetto che tiene insieme cose così differenti che si fa fatica
a pensare a un blocco unico che fra l’altro dura mille anni.
Si tratta di un blocco che riguarda solo una porzione limitata, non solo della Terra, ma
anche dell’emisfero settentrionale.
Non si parla di medioevo americano, di medioevo asiatico, di medioevo australiano e via
dicendo.
Il Medioevo è un concetto che vale soltanto per l’Europa.
L’Europa come entità culturale è nata nel Medioevo.
L’Impero d’Occidente crolla nel corso del V secolo per tante motivazioni.
Negli ultimi tempi, molti storici soprattutto di aria tedesca, anglosassone, hanno cercato di
smitizzare questa idea di crollo violento che invece aveva prevalso a lungo nella
storiografia rinascimentale e in quella illuministica, in quella ovviamente risorgimentale in
Italia e via dicendo.
Queste tesi, che tendono a sfumare la rottura, però si scontrano con le evidenze
archeologiche, che attestano un crollo dei livelli di complessità socio-economico e
culturale.
Città e villaggi che scompaiono, commercio che si atrofizza, monete che non si coniano
più, tecnologia che torna quasi al neolitico e via dicendo.
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Tali evidenze archeologiche (degli ultimi decenni) fanno pensare a fenomeni di caduta di
livello di sviluppo che non è legato a una connotazione morale ma è semplicemente una
presa d’atto di un cambiamento della società.
Come avviene quindi questo crollo, questa caduta dell’Impero Romano d’Occidente?
Un bel contributo lo danno le invasioni dei popoli germanici, quelli che i romani
chiamavano barbari, cioè quelli che tartagliano, perché non sanno parlare bene le
lingue civili, cioè il latino e greco.
Su queste etnie germaniche è stato detto moltissimo ed il discorso su di esse è stato
influenzato anche dalle vicende politiche dell’otto – novecento.
E molto si è discusso nelle epoche dei nazionalismi, per l’appunto tra ‘800 e ‘900, sul mito
della razza.
Sul mito di cosa rappresentassero queste popolazioni. E su questo gli storici sono
generalmente d’accordo oggi, cioè sul fatto che questi popoli, spesso, erano creazioni
artificiali.
Con le parole Ostrogoto, Franco, Longobardo, generalmente si intendevano etnie
disparate, che si coagulavano, si radunavano attorno a un capo guerriero che poi veniva
mitizzato, nella tradizione generalmente orale.
Che livello di sviluppo avevano queste popolazioni germaniche?
Differenti gradi di sviluppo a seconda delle epoche e dei contesti geografici in cui
si osservano.
Un conto sono le popolazioni germaniche di cui ci parlano Cesare, nel De Bello Gallico, o
Tacito nella Germania circa 150 anni dopo.
Queste popolazioni, all’epoca, erano popolazioni ini larga parte nomadi, cioè si
spostavano da un luogo all’altro perché la loro organizzazione produttiva, cioè la loro
economia, era un economia che si potrebbe definire “senza nessun intento moralista” di
rapina.
Sfruttavano il loro territorio per un certo periodo, poi dopo averlo reso improduttivo
si dirigevano verso altre zone.
Praticavano un’agricoltura che rende sterili i suoli molto rapidamente.
Per esempio bruciavano le stoppie o i boschi. La cenere è un fertilizzante, molto potente,
ma solo nel breve periodo perché alla fine il terreno si impoverisce, la produttività cala e
quindi bisogna andarsene da un’altra parte.
Queste popolazioni i praticavano in grande stile la caccia, la pesca nei grandi fiumi e negli
stagni.
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Generalmente erano costituite da gruppi di guerrieri: cioè i maschi adulti, ordinariamente,
erano dediti alle attività belliche e la caccia era il pendant economico dell’attività bellica.
La stessa attività bellica era un’attività economica, perché razziare il nemico
comportava accaparrarsi un bottino e quindi qualcosa da spartire con tutti gli altri.
Non avevano re, anche se le fonti latine parlano di re, ma non sono re nel senso pieno.
Non sono re appartenenti ad una dinastia, sono capi guerrieri scelti dalle élites belliche in
occasione di una spedizione o di una emigrazione. Capi guerrieri e/o condottieri, figure
legate al nomadismo, e via dicendo.
Una volta morto il “re” se ne sceglieva un altro.
Non c’era il senso dinastico della monarchia.
Queste popolazioni cominciano a entrare in contatto, abbastanza stretto, con il mondo
greco e romano a partire dal II° – III° secolo d.C..
In parte perché cercano di penetrare al di là dei “limes”, per saccheggiare e per
depredare, ma poi anche perché, in particolare a partire dal periodo della grande
anarchia militare (dagli anni ‘30 agli anni ’80 del III° secolo), cominciano ad entrare
nelle file dell’esercito imperiale romano.
Così si trovano, per esempio, steli funerarie, come quella del II° o IV° secolo rinvenuta in
Pannonia, grosso modo nella odierna Ungheria, che era una provincia limitanea, dove
passa il Danubio.
In essa si legge la seguente iscrizione: “FRANCUS EGO CIVIS MILES ROMANUS IN
ARMIS”. Traduzione: Cittadino franco di etnia ma soldato romano.
Quindi guerrieri franchi, cioè appartenenti ad un etnia germanica, militavano, come tanti
altri, nell’esercito imperiale romano. Ma alcune di queste popolazioni germaniche
entrarono in contatto, altrettanto ravvicinato, ma diverso, con la romanità, attraverso i
“foedera”, cioè i patti, le alleanze con l’Impero.
Accadeva che per difendere una porzione di confine, i funzionari provinciali garantissero,
ad alcune tribù, terre al di qua del limes, quindi in territorio imperiale, a patto che quella
tribù si facesse carico della difesa del limes stesso.
Troviamo un esercito imperiale con guerrieri provenienti dal mondo germanico e tribù
germaniche stanziate al di la dei confini, all’interno del “limes romano”, per difendere quei
confini stessi da altre popolazioni germaniche.
All’inizio del IV° secolo la maggioranza dei soldati imperiali è di etnia germanica. E
naturalmente questo era un potente veicolo di romanizzazione dei costumi per questi
soldati che militavano lungo il confine.
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Particolare assai importante: le popolazioni germaniche che entrano in contatto in
queste due maniere differenti col mondo romano, cominciano a convertirsi al
cristianesimo.
Questo all’inizio del IV secolo, praticamente subito dopo l’editto di Costantino (313 d.C.).
Ma la conversione di queste popolazioni germaniche, la dove avviene, in molti avviene
nella forma ariana.
Cioè si convertono attraverso l’opera di missionari che appartenevano a quella corrente
del cristianesimo che poi verrà giudicata eretica al concilio Nicea (325 d.C.).
Questa corrente, pur giudicata eretica, sarà molto importante per tutto il corso del IV°
secolo, in quanto succede che, almeno un figlio o addirittura due figli di Costantino siano
ariani e quindi rovesciano il dettato del Concilio di Nicea.
E’ pur vero che poi un altro concilio asserisce che si sono sbagliati e che aveva ragione il
Concilio di Nicea, nel contempo, però queste popolazioni germaniche vengono
cristianizzate nella forma ariana.
Questo comporterà notevoli problemi quando queste popolazioni entreranno in massa al
di la del limes; non qualche tribù o semplici e singoli guerrieri, ma intere popolazioni.
Il problema, che sembrava gestibile nella maniera che abbiamo detto, precipita dopo una
disastrosa battaglia campale svoltasi nelle campagne della Tracia, una zona che oggi è
spartita a metà tra la Bulgaria e il lembo europeo della Turchia, cioè la battaglia di
Adrianopoli, oggi Edirne, città turca ma in continente europeo, la città più europea della
Turchia, che ha origine fondamentalmente greca.
Ad Adrianopoli, nel 378, l’esercito imperiale romano fu completamente distrutto.
Ma come e perché si arriva a questo? Due o tre anni prima del 378, i Goti, una
popolazione di etnia germanica che gravitava attorno al bacino Nord Occidentale del Mar
Nero (quindi zone che oggi fanno parte della Bulgaria della Romania, dell’Ucraina) sono
spinte, drammaticamente, oltre il confine danubiano dalle incursione degli Unni.
Gli Unni sono una popolazione di ceppo turco mongolico, quindi asiatico, non
germanico.
Sono razziatori, predoni e grandi cavalieri abituati a spostarsi tra le steppe dell’Asia e le
steppe dell’Europa Orientale.
Queste orde Unne premono sull’Europa, e i Goti, terrorizzati, cercano di passare al di la
del Danubio.
Tale migrazione di un popolo può ricordare alcune migrazioni che si svolgono oggi con
popolazioni che vengono dal cuore dell’Africa e via dicendo.
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Cosa accade? I Goti si spostano, non ci sono solo guerrieri, ci sono bambini, donne,
anziani.
È proprio la popolazione che si sposta in massa con tutto ciò che ha.
I Goti vanno sul Danubio, un fiume difficile da attraversare soprattutto se dall’altra
parte c’è un esercito che non ti fa passare.
Non so se avete visto le immagini impressionanti del confine turco, a Kobane, con i
guerrieri dell’Isis che dove passano ammazzano tutti, e con i Curdi asserragliati al confine
e con i soldati turchi che non fanno passare nessuno con il filo spinato. Quindi questi Curdi
possono solo morire.
Quindi i soldati dell’esercito imperiale romano si sono attestati sulla riva del
Danubio per impedire la migrazione.
Ad un certo punto, però, da Costantinopoli, che è la nuova capitale della parte
orientale dell’impero, arriva l’ordine di far passare i Goti in quanto, essendo
guerrieri valorosi, potevano essere utilizzati per difendersi dagli Unni.
Ma questi fenomeni sono difficili da gestire.
Gli Ostrogoti iniziano infatti ad attraversare il fiume con delle zattere, si formano campi
profughi al di qua del Danubio e gli ufficiali e i soldati imperiali cominciano a chiedergli
denaro per farli passare.
Si creano situazioni igieniche particolari nei campi profughi, un contesto intollerabile tanto
che, a un certo punto, questi Goti si ribellano.
Bruciano l’accampamento e se ne vanno via per i Balcani.
L’esercito imperiale li insegue per i Balcani e ad un certo punto i due eserciti si scontrano
ad Adrianopoli.
L’esercito romano viene annientato.
E pure l’imperatore della parte orientale muore.
Teodosio diventa imperatore subito dopo la battaglia di Adrianopoli perché
l’imperatore è morto.
A questo punto il problema è molto grave, perché qui non abbiamo semplicemente un
popolo foederato, o guerrieri che militano sotto l’esercito imperiale, ma un popolo intero
che scorrazza per i Balcani.
Si cerca in qualche modo di tamponare la situazione concedendo le terre dei
Balcani Settentrionali, che oggi fanno parte della Croazia della Serbia, però il problema è
di difficile soluzione.

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La parte orientale, che era la più ricca, e che può da un certo punto di vista permetterselo
perché il fenomeno nella sua parte era meno pronunciato, decide che la soluzione
radicale è quella di far fuori, cioè di eliminare, tutti i soldati di etnia germanica dall’esercito
imperiale.
Alcuni ufficiali, alti ufficiali, vengono uccisi a tradimento per questa reazione xenofoba di
fronte al pericolo goto.
La situazione in Occidente prende una piega molto diversa.
Intanto il comandante in capo dell’esercito imperiale in Occidente, Stilicone, è un
vandalo, cioè appartiene a un’etnia germanica.
L’esercito dalla parte occidentale è totalmente germanizzato e quindi non era possibile
espellere tutti i soldati tedeschi altrimenti non ci sarebbe stato più esercito.
L’Oriente si salva spingendo i goti, sempre più, verso l’Occidente, cioè spingendoli
verso l’Istria, e poi il confine con le Alpi Giulie.
Contemporaneamente numerose tribù germaniche, nella notte di Natale del 406,
passando sul Reno, che è ghiacciato per il freddo, entrano in Gallia e quindi irrompono nel
cuore della parte occidentale dell’Impero.
Pochi anni dopo, siamo nel 410, il re dei Visigoti, cioè dei Goti occidentali, Alarico,
ritenendo di essere stato truffato dalle autorità imperiali romane, perché gli era stata
garantita una carica che poi non era stata mantenuta, arriva a Roma e per tre giorni
saccheggia la città.
Roma all’epoca non era più la capitale dell’Impero d’Occidente.
La capitale per un certo periodo era stata Milano, in quel periodo, all’epoca del
saccheggio, la capitale era Ravenna. La scelta di Ravenna era dovuta al fatto che si
trovava in mezzo alle paludi e vicino al mare. Oggi non è più vicino al mare perché, per
fenomeni di lungo periodo, il bel porto antico di Ravenna si è completamente interrato, per
cui uno va a Classe, dove c’era il porto romano, e ci trova campi.
Però Ravenna aveva questi pregi dal punto di vista strategico: essere circondata da
paludi ed essere vicina al mare quindi facilmente rifornibile e difendibile.
Roma era la città più grande dell’Impero e per ragioni di tradizione, di cultura e di
prestigio era pure la città più importante. Immaginatevi il trauma vissuto soprattutto dalle
èlites culturali, religiose, sociali, politiche dell’impero di fronte a questa città saccheggiata.
Per San Gerolamo era la fine del mondo. Gli intellettuali pagani rinfacciavano al
cristianesimo la rovina, “siete stati voi che avete chiuso i templi dei nostri dei che ci
hanno garantito vittorie per molti secoli, ecco cosa succede”.
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E in risposta a tutta questa polemica Sant’Agostino scrisse il “De Civitate Dei” dicendo:
“la città di Dio non è quella terrena ma quella ultraterrena, pensiamo a quella
ultraterrena”.
Tuttavia cosa accade? Accade che dopo i primi anni del V secolo l’autorità imperiale in
Occidente, dopo il sacco dei Visigoti, è di fatto limitata all’Italia, alle isole maggiori e
all’Africa. I Goti dopo il saccheggio se ne sono andati in Gallia meridionale,
occupandola stabilmente: la zona che oggi è grosso modo la Linguadoca, la zona
dei Pirenei, la zona di Bordeaux e via dicendo.
Le zone della Gallia Settentrionale sono anche esse perdute: sono entrati i Franchi,
gli Alamanni, gli Svevi e via dicendo.
La Britannia è stata addirittura abbandonata, prima ancora che arrivassero le
popolazioni germaniche, cioè gli Angli, i Sassoni e gli Juti, le legioni romane se ne
sono andate giudicando indifendibile l’isola maggiore e lasciando le popolazioni
celtiche in balia degli invasori.
Quindi l’impero romano d’Occidente, dopo il 410, si limita all’Italia, alle isole,
all’Africa e a poco altro, come l’Istria, e via dicendo.
Cosa accade nelle terre occupate da queste tribù? Siamo di fronte ancora una volta a una
migrazione. Una migrazione che comunque deve essere ridimensionata da un punto di
vista numerico, da un punto di vista meramente demografico. Queste popolazioni
rappresentavano comunque una minoranza di fronte alle etnie locali. Però una minoranza
armata, perché tutti i liberi di queste popolazioni germaniche sono guerrieri: “Non esiste
libertà senza esercizio delle armi”. È proprio questo l’ethos di queste popolazioni, il
sistema di valori improntato alla guerra.
Quindi, l’uomo libero è, ipso facto, un guerriero.
Se non è guerriero non è libero. Perde la libertà personale.
Quindi una minoranza però armata. Questa minoranza occupa le terre, a volte in maniera
violenta, più spesso facendo accordi con le èlites locali.
Questi tipo di accordo viene elaborato da un principio giuridico chiamato hospitalitas,
cioè l’ospitalità. Cosa accade concretamente?
Accade che le élites locali, spesso rappresentate dai vescovi, o da quei funzionari locali
che comunque si sono erti a Ras locali, fanno un accordo in base al quale dicono ai capi e
ai guerrieri principali di queste etnie: “prendetevi un terzo delle terre, tanto molte sono
ormai abbandonate”.

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Siamo di fronte ad un consistente calo demografico e ci sono diverse terre incolte;
generalmente ne vengono cedute un terzo, talvolta due terzi.
Poi accade anche un'altra cosa: le istituzioni pubbliche vanno rapidamente in malora.
Perché la prima cosa che si deteriora, a parte le distruzioni, è il sistema fiscale. L’impero
romano è uno stato a base fiscale, ovvero un sistema basato sul prelievo di risorse
che affluiscono nelle casse dell’Impero e che poi vengono utilizzate per pagare
determinati servizi.
Mantenere l’esercito, la burocrazia, effettuare la manutenzione delle strade, costruire gli
argini dei corsi d’acqua, realizzare i canali di drenaggio, costruire edifici pubblici e via
dicendo.
Ma nel momento in cui arrivano queste etnie e occupano le terre, questi hanno un
idea molto diversa della gestione del territorio: “Mi prendo le terre” ma non “Mi
impossesso del sistema fiscale”, fatto che avrebbe previsto un salto di qualità non
indifferente.
Certo, non è che tutto scompaia dall'oggi al domani, il sistema fiscale, in qualche modo,
resiste su alcune terre ma, diciamo, ci vuole qualche decennio.
Comunque all’inizio del VI° secolo non c’è più il sistema fiscale romano.
E se il sistema fiscale non esiste più anche i servizi se ne vanno in malora.
Chi difende il territorio? I guerrieri stessi.
Non c’è bisogno di pagare i soldati, perché i guerrieri sono, come abbiamo detto, ipso
facto proprietari terrieri e combattenti allo stesso tempo.
E così vanno in malora anche altre istituzioni preposte all’erogazione di determinati
servizi.
Ecco perché le strade romane degradano rapidamente, quindi non c’è più chi fa la
manutenzione; perché vaste zone di pianura in Italia e in altre zone subiscono un
processo di impaludamento?
Perché non ci sono più operai e funzionari che si occupano di controllare il letto dei fiumi.
Non ci sono più persone che si occupano di drenare le acque dalle paludi e via dicendo.
Quindi l’habitat si degrada e si inselvatichisce abbastanza rapidamente.
Quello che invece persiste abbastanza è l’ordine sociale, cioè il venir meno delle
istituzioni pubbliche ma non delle istituzioni ecclesiastiche, attenzione, non produce
un sconvolgimento sul piano sociale.

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Generalmente, anche se non ovunque, le etnie e i ceti dominanti originari sopravvivono,
accordandosi con i capi guerrieri di estrazione germanica. Il principio stesso
dell’hospitalitas ne segna in qualche modo l’accordo.
Per esempio in Gallia i grandi proprietari terrieri continuano a possedere le terre.
La loro capacità di entrare in contatto, di manovrare e trovare compromesso con le etnie
germaniche non avviene attraverso l’opera dei funzionari pubblici, ma attraverso il
vescovo.
Le grandi famiglie gallo - romane si attaccano come ostriche alle cariche vescovili, perché
una tale carica non è più una carica semplicemente spirituale ma è anche una carica
pubblica esercitata da chi ha ottenuto le funzioni pubbliche.
In Italia per esempio l’egemonia della classe senatoria durerà a lungo, verrà infranta
per sempre soltanto con i Longobardi, ma siamo ben al di la del V secolo.
Questo dominio, naturalmente, non è “indolore”.
Non è che questi ceti dominanti continuino a mantenere gli standard di vita delle epoche
precedenti; intanto c’è un crollo abbastanza rapido del livello culturale.
Non ci sono più istituzioni scolastiche, pubbliche o private, gli unici fari di
istruzione sono, ancora una volta, le scuole presenti presso le grandi sedi vescovili.
Quindi l’istruzione inizia a diventare dalla fine del V secolo, in occidente, un
monopolio ecclesiastico che però è esercitato solo in alcune ristrette sedi urbane.
Dov’è che invece il sovvertimento è più forte, il cambiamento è più forte anche a livello
sociale? In ambito mediterraneo, certamente, e nell’Africa occidentale, la terra di
Sant’Agostino.
Quella terra che oggi fa parte della Tunisia, della costa algerina e via dicendo, che è
una delle zone più urbanizzate e più colte e anche più ricche della tarda antichità:
basterebbe pensare a quante ceramiche, quanti contenitori di ceramica africana si trovano
sparsi in giro per tutti gli scavi archeologici del Mediterraneo. Cioè loro erano grandi
produttori di anfore che esportavano a Costantinopoli, a Roma, a Marsiglia, nella penisola
iberica e via dicendo.
In questa zona irrompono, negli anni ’30 del V secolo, i barbari, I VANDALI, popolazione
germanica, che si sono distinti per una scarsa attitudine, un eufemismo naturalmente, nel
trovare un compromesso con le autorità locali.
Arrivano i barbari e prendono tutto. Distruggono le chiese. Ci sono lettere
drammatiche, inviate dall’Africa a Roma, in cui si parla di cosa avviene nei
monasteri femminili quando arrivano questi guerrieri barbari.
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Quindi li il possesso è militare e basta. Si prendono l’Africa e si prendono anche la
Sardegna, ma la Sardegna è lontana rispetto all’Africa, gli interessa poco.
È così blando il controllo vandalo sulla Sardegna, che in realtà molti vescovi della chiesa
africana vanno in Sardegna; uno di questi esempi è San Fulgenzio.
Però nominalmente la Sardegna fa parte del regno vandalico.
L'altro polo in cui la vita, veramente, cambia totalmente è la Britannia, anche
perché la Britannia aveva subito uno scarso processo di romanizzazione.
Li la romanizzazione era arrivata solo con le legioni, con i castra, tanto è vero che molti
insediamenti urbani ancora oggi si chiamano “CHESTER”, Colchester, Winchester e via
dicendo. Chester cioè castrum, accampamento, non città ma accampamenti.
Le popolazioni erano state cristianizzate sino ad un certo punto e comunque la civiltà
urbana, rispetto al modello mediterraneo, era molto poco sviluppata.
Le legioni se ne vanno, arrivano queste popolazioni germaniche e praticamente la vita
socioeconomico culturale regredisce al neolitico.
Non si sa niente di cosa è avvenuto in Britannia per quasi cento anni perché le fonti scritte
non ci sono più.
Anche il cristianesimo regredisce fortemente.
Pensate che la Britannia è forse la zona più grande dell’attuale Europa dove non si parla
un idioma romanzo, perché lì la tradizione latina era già superficiale e poi è stata spazzata
via.
Quando finisce completamente l’impero romano d’Occidente?
La data canonica è il 476, quando l’ultimo imperatore, che ha questo nome curioso,
Romolo Augustolo, cioè il nome del primo re di Roma e il nome del primo imperatore,
viene deposto dal comandante in capo dell’esercito romano, lo sciro, cioè un germano,
Odoacre.
Lo depone, dice “Tanto te non conti più niente”, lo fa rinchiudere in un castello vicino a
Napoli, più o meno nella zona dove oggi c’è Castel dell’Ovo (che all’epoca era un’isola,
ora c’è un istmo che collega Castel dell’Ovo alla città Napoli, ma all’epoca era un’isola) e
rimanda le insegne imperiali a Costantinopoli come dire “Io riconosco solo
l’imperatore di Costantinopoli, qui in Italia comando io”.
Come si è arrivati a questa situazione? Perché gli imperatori, dopo il 410 sino al 476,
praticamente registrano una serie di sconfitte, una dietro l’altra e poi un incursione
veramente devastante soprattutto nella zona Nord Orientale degli Unni guidata da
Attila.
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Questi Unni passano per mezza Europa Orientale, distruggono molte città balcaniche,
molte città che si trovano in zone che oggi appartengono alla Slovenia, alla Croazia, alla
Serbia e via dicendo.
Poi irrompono al di qua delle Alpi Giulie e radono al suolo Aquileia.
Oggi se voi andate ad Aquileia trovate scavi archeologici, e fondamentalmente, in mezzo
quasi al nulla una gigantesca basilica che ha uno strato del IV secolo, uno strato del V
secolo, con mosaici e dopo una chiesa romanica.
Oggi Aquileia è poco più che un villaggio, ma nella tarda antichità era una città molto
importante, straordinariamente importante, tant’è che era sede di un arcivescovo.
E le sedi arcivescovili erano pochissime: Aquileia, Milano, Ravenna, Roma,
Siracusa.
Erano pochissime le sedi arcivescovili. Aquileia era un grande porto, anche li ora non c’è
più niente perché il porto è stato interrato e poi ci sono stati terremoti perché il Friuli è una
zona sismica e via dicendo.
Gli Unni di Attila arrivano attorno al 459 e radono al suolo la città, immaginate il
terrore di tutti gli abitanti della zona del nord est italiano.
Ed è in seguito a queste devastazioni Unne nell’Italia nord orientale che alcuni abitanti
dell’entroterra veneto decidono che è meglio scappare sugli isolotti della laguna: pertanto
il 459 sarebbe una sorta di ipotetica data di nascita di quella che poi sarebbe
diventata molto dopo Venezia.
Oggi uno vede Venezia e non si rende conto che quella città è fatta su centinaia, non
decine, centinaia di isolette, tutte collegate una all’altra da ponti.
Quindi una città costruita su lembi di terra dove originariamente c’erano canneti, poi
quando ci va ad abitare qualcuno, qualche vigna e poco altro, una zona totalmente
inospitale; però piuttosto che farsi massacrare dagli Unni alcuni abitanti delle zone
scapparono in mezzo alla laguna.
Si arriva all’evento finale del 476, l’esercito imperiale totalmente in mano ai guerrieri
germanici.
Odoacre, di fatto, controlla l’Italia.
La controlla attraverso i suoi guerrieri.
Non tocca le proprietà dei senatori romani, se ne guarda bene, altrimenti perderebbe il
consenso.

41
Però qualche anno dopo fa comunque una brutta fine perché nel 489 gli Ostrogoti, cioè i
Goti dell’est, si spostano dai Balcani settentrionali, dove risiedevano come foederati
dell’Impero Romano d’Oriente, verso l’Italia.
L’imperatore di Costantinopoli, Zenone, è ben contento di mandarli in Italia così
smetteranno di saccheggiare le province orientali dell’impero.
Dice “Vai a prenderti l’Italia che li c’è un usurpatore”. Vai a nome mio, tanto è
puramente nominale”.
Questa è la prima volta nella storia di Italia che la penisola viene invasa da un
popolo.
Perché quelli che obbedivano a Odoacre erano qualche migliaia di guerrieri, ma non un
popolo.
Qui, invece, si assiste ad una migrazione di un popolo, più di 100.000 individui, che sono
sempre una minoranza nel contesto italico, però ancora una volta una minoranza armata.
Si pensi che come minimo su 100.000 individui, 20-25.00 sono guerrieri, quindi un
problema, un problema questa volta per Odoacre perché gli Ostrogoti arrivano in Italia e
assediano Ravenna per prendere il potere.
Soprattutto per via della figura del loro re: Teodorico. Il re degli Ostrogoti, Teodorico, ha
passato 10 anni della sua vita come ostaggio a Costantinopoli.
Cioè gli imperatori di Costantinopoli ogni tanto, dopo aver fatto un trattato con queste
popolazioni, diceva “Ora ci date degli ostaggi, così siamo sicuri che non fatte scherzi. Ci
mandate i vostri figli più giovani, cioè i figli delle persone più eminenti, così siamo sicuri
che non venite a saccheggiare il nostro territorio” e così il giovane Teodorico passa 10
anni della sua vita a Costantinopoli.
Pertanto subisce un processo di romanizzazione fortissimo.
La sua ideologia del potere è un'ideologia schiettamente romana, non barbarica ma
romana.
Tutta la sua opera di governo è caratterizzata dall’educazione che lui ha ricevuto alla corte
imperiale di Costantinopoli.
I Goti quindi arrivano in Italia, assediano Ravenna e l’assedio dura anni. Poi alla fine
Odoacre deve arrendersi e viene giustiziato.
Teodorico prende il potere come re dei Goti, quindi non è re d’Italia ma è re dei Goti, è
un rex gentium, cioè un re di popolo, però di fatto esercita la sua autorità su un territorio
intero, che consiste nella penisola italiana, la Sicilia, una porzione del litorale Adriatico
Orientale, quindi un pezzetto dei Balcani e la Provenza, un zona abbastanza grande.
42
L’idea di Teodorico è quella di mantenere intatte le istituzioni pubbliche romane. Fa
subito un accordo con i senatori: in base a questo accordo, un terzo delle terre vanno ai
Goti, ma ancora una volta sono terre incolte o del demanio o abbandonate da privati.
L’accordo prevede, soprattutto, che l’élite latina si occupi della parte amministrativa, e
l’élite germanica si occupi della parte militare, così i compiti sono spartiti in maniera
molto netta.
Teodorico sa bene che per governare ha bisogno dell’élite latina e soprattutto ha bisogno
della burocrazia latina, ha bisogno delle conoscenze, della cultura di questi funzionari per
far si che il sistema funzioni.
L’alternativa è occupare il territorio militarmente e basta, però questo è troppo poco per
una persona che ha vissuto 10 anni alla corte imperiale di Costantinopoli, allora pensa di
governare l’Italia come se fosse lui un imperatore.
Quindi i funzionari pubblici sono tutti latini, e l’esercito è tutto germanico.
Si insedia a Ravenna, quindi nel solco della continuità imperiale. Durante la sua epoca il
sistema fiscale, è indebolito rispetto a un secolo prima, ma anche molto più funzionante di
quanto non sia in Spagna, in Gallia, per non parlare della Britannia o dell’Africa.
Quindi il regno di Teodorico ha molto più della romanità degli altri regni che si sono formati
in Europa.
Ricapitolando: il governo di Teodorico in Italia si caratterizza attraverso un compromesso
molto stretto con le èlites senatorie latine.

Per esempio viene mantenuta in piedi la carica di prefetto d’Italia, che era una carica
imperiale. Quindi una carica civile, non militare, posseduta da un senatore romano.

Il senato è ancora in funzione all’epoca di Teodorico, che consulta i senatori romani sule
faccende del regno stesso.

Gli stessi giochi del Colosseo si tengono nel periodo di Teodorico.

E’ l’ultimo periodo in cui si sono tenuti i giochi al Colosseo.

Questo indica la volontà di preservare le istituzioni e la cultura romana.

Un esempio delle modalità con le quali avviene questo incontro, che non è una
fusione, ma un incontro.

43
A parte che ci fu troppo poco tempo perché due popoli si potessero fondere, e anche che
Teodorico non voleva che si fondessero, altrimenti l’elemento goto si sarebbe perso nella
maggioranza latina (per questo vietò i matrimoni misti).

L’incontro pacifico tra élites germaniche e quelle latine, è testimoniato anche da una fonte
posteriore alla morte di Teodorico, cioè una delle Variae di Cassiodoro.

Cassiodoro è un personaggio emblematico del passaggio dell’Italia dalla tarda antichità


all’alto Medioevo, intanto perché ha vissuto quasi 100 anni, poi perché nato intorno al 490,
vive nell’infanzia, il dominio gotico.

Diventerà, poi, un giovane funzionario civile del regno goto, vivrà poi la guerra successiva,
che determinerà la fine del regno ostrogoto, e poi trascorrerà la sua lunga vecchiaia in un
monastero da lui edificato sui territori della sua famiglia, in Calabria, a Squillace.

Ebbe una vita intensa e variegata; visse a cavallo di mondi completamente differenti,
perché l’Itala della fine del V secolo è molto differente dall’Italia della fine del VI secolo.

Cassiodoro ci ha lasciato una serie di testimonianze relative all’incontro tra l’élite latina e
l’élite germanica.

Il primo dei documenti presente nella dispensa fa riferimento al modo con cui Cassiodoro
descrive ciò che avviene quando gli Ostrogoti si insediarono nella penisola.

Quando si parla di insediamento goto bisogna pensare ad un insediamento non


omogeneo: i Goti erano massicciamente presenti nel Nord Italia, perché da lì erano arrivati
e poi degradando verso il centro soprattutto sulla riviera adriatica, nella zona delle Marche,
l’Abruzzo; man mano che si procede verso sud la presenza gota era modesta.

Fonte pagina 1 dispense modulo A - Ci piace riferire, dice Cassiodoro, come nella
ripartizione delle terze [parti delle terre] (in base al principio dell’hospitalitas) egli [il
prefetto del pretorio] unì sia i possessi che gli animi dei Romani e dei Goti. In effetti,
mentre di solito dalla vicinanza scaturiscono contrasti tra gli uomini, per questi sembra che
la comunione dei poderi sia diventata causa di concordia: accade infatti che, vivendo in
comune, l’una e l’altra nazione (nazione non nel senso nostro del termine, ma natio
nel senso di etnia) giungano ad avere una sola volontà. Ecco un fatto nuovo ed assai
lodevole: dalla divisione dei beni è nato l’accordo dei popoli; attraverso i danni si è
accresciuta l’amicizia tra i popoli e con la cessione di una parte del suolo si è acquistato
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un difensore, in modo che la generale sicurezza di tutti i beni possa essere garantita. Una
sola legge, una uguale disciplina li unisce…

Facciamo una tara a questa enfasi retorica. Si tenga conto che Cassiodoro è un
grandissimo letterato e quando scrive è ormai un monaco, perché scrive a posteriori
anche se usa il tempo presente.

Queste Variae, generalmente, sono lettere che lui immagina siano state scritte. Alcune
sono state scritte, altre le immagina.

C’è una patina molto densa, che rimanda alla sua formazione letteraria retorica classica
(basta seguire il periodare).

Lui vuole esaltare, di questo periodo passato, l’incontro latino-germanico.

Però la romanità degli Ostrogoti, nella mente di Teodorico, noi la possiamo cogliere
anche in ciò che rimane degli edifici costruiti a Ravenna, cioè nella capitale, nei
lunghi anni di governo di questo sovrano.

A Ravenna c’è ancora il Mausoleo del re Teodorico che, con caratteri architettonici un po’
diversi da quelli in uso, cambiati, e, sotto certi aspetti “barbari”.

Il richiamo è ai mausolei degli imperatori romani: lui si era fatto fare un mausoleo come se
lo erano fatto fare Augusto, Adriano e via dicendo.

Poi le chiese, gli edifici religiosi che lui fa edificare e di cui si conservano a Ravenna un
battistero e una basilica.

Entrambi questi edifici come molti altri, che probabilmente erano stati edificati in epoca
ostrogota, servivano solo agli Ostrogoti, cioè soltanto agli ariani, tutti gli Ostrogoti erano
cristiani ariani.

Ravenna è un caso unico in Italia, e in tutta Europa, perché conserva due battisteri.

Uno che è quello per i cattolici, l’altro che era stato costruito appunto nell’epoca di
Teodorico per gli ariani.

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L’edificio, di gran lunga, più imponente e sontuoso è la basilica di S. Apollinare
Nuovo, che era la basilica per eccellenza degli ariani in Italia che contiene mosaici
dove vengono raffigurati santi che sono abbigliati come senatori romani.

Anche l’iconografia è decisamente classicheggiante.

Però, questi mosaici realizzati all’epoca di Teodorico si sovrappongono, poi, in altre parti
della chiesa, a mosaici realizzati decenni dopo.

Soprattutto è stato eliminato dai mosaici il palazzo del re, è stato scrostato, perché
quando i bizantini hanno riconquistato l’Italia hanno voluto cancellare le immagini
del potere ostrogoto.

La raffigurazione del palazzo ravennate di Teodorico è stata scrostata dai mosaici.

E quella era la Chiesa simbolo del potere regio ostrogoto in Italia. Vi faccio inoltre notare,
per l’appunto, che a Ravenna esisteva il palatium.

Ora, il termine palazzo ha un significato neutro, ma non a quell’epoca.

La parola palatium viene dal colle Palatino.

Il palatium è l’edificio imperiale per eccellenza, cioè l’edificio costruito sul colle del
Palatino.

La parola “palatium”, in tutti i secoli, soprattutto nell’Alto Medioevo, sta a indicare


un edificio dove c’è un re o comunque un funzionario del re, quindi un edificio di
grandissimo prestigio sul piano politico.

Come vi dicevo gli ostrogoti erano ariani: Teodorico non voleva che i due popoli si
fondessero e certamente le differenze anche sul piano religioso influenzarono la mancata
fusione nel breve periodo dei due popoli. Non sappiamo e non possiamo sapere cosa
sarebbe potuto accadere nel lungo periodo, perché il regno dei goti qualche anno dopo
la morte di Teodorico fu attaccato dalle armate d Giustiniano, Imperatore di
Costantinopoli. Fu una guerra lunghissima che mise fine traumaticamente
all’esperienza ostrogota in Italia.

Di questi dissapori tra goti e latini negli ultimi anni di Teodorico, alimentati in parte da
contrasti di natura religiosa e in parte dalla vecchiaia stessa di Teodorico che cominciò a

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vedere congiure e nemici ovunque, ne fece le spese l’ultimo grande filosofo della tarda
antichità, cioè Boezio. Fu accusato di aver complottato contro il sovrano insieme ad altri
e per questo fu fatto uccidere.

Cosa accade invece nel resto dell’Europa Occidentale? Tenete sempre d’occhio le cartine.

Prendiamo in esame i regni più importanti.

Quello vandalico avrà anch’esso una vita relativamente breve. Abbiamo già detto
della problematicità, della gravità della loro occupazione in Africa. Questo regno sarebbe
durato un centinaio d’anni al termine del quale anche qui l’invasione della armate di
Giustiniano, l’imperatore di Costantinopoli, porrà fine in questo caso molto brevemente (in
pochi mesi) a quest’esperienza di governo.

Invasioni del III secolo (212-305)

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Invasioni del IV secolo (305-399)

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In questo caso la voluta, mancata, deliberata integrazione con l’élite locale e le
violenze perpetrate, e i saccheggi impedirono che la maggioranza della popolazione
si schierasse alla difesa del regno e, ovviamente, le armate di Giustiniano furono
viste come armate di liberatori.

Non lo stesso avvenne in Italia con gli Ostrogoti.

Alcuni regni ebbero una vita molto breve, al massimo qualche decennio, per esempio il
regno dei Burgundi, popolazione germanica che però ha dato il nome a una regione
francese, cioè la Borgogna, la regione grosso modo di Digione, nota oggi per un vino
molto buono.

Oppure il regno degli Svevi nella penisola iberica.

Quali furono invece i regni che durarono più a lungo che si innestarono su un territorio più
ampio?

Innanzitutto quello dei Visigoti.

I Visigoti inizialmente si stanziarono nella Gallia meridionale, quella che poi verrà a
lungo chiamata Aquitania. Un’ampia porzione dell’odierna Francia, compresa tra il
Rodano e l’Oceano Atlantico da una parte, la Loira e i Pirenei dall’altra.

Qui rimasero, inizialmente, come foederati dell’impero romano d’occidente, cioè nei
primi decenni del V secolo.

Poi però all’inizio del VI secolo, furono sconfitti in maniera traumatica, rovinosa, dai
Franchi, popolazione germanica che invece aveva occupato la porzione settentrionale
della Gallia.

I Visigoti furono spinti oltre i Pirenei, dove avrebbero fondato un regno che sarebbe
durato circa due secoli.

In definitiva, i Visigoti, sconfitti dai Franchi si spostano nella penisola Iberica conservando
qualche lembo della Gallia (territori oggi della Linguadoca, quella porzione di territorio
francese che guarda il Mediterraneo, ma non la Provenza, quindi una parte ristretta della
Francia meridionale) e quasi tutta la penisola Iberica.

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Durante quel regno molto lungo si ebbe modo di fondere l’elemento germanico con
l’elemento latino.

Anche in questo caso l‘élite latina mantiene il controllo non tanto delle istituzioni
pubbliche, che sono ormai evanescenti, quanto delle istituzioni ecclesiastiche.

L’élite germanica controlla invece l’apparato militare.

Anche qui assistiamo al fenomeno della “hospitalitas”, cioè della spartizione delle terre,
e anche qui noi troviamo sovrani che portano un appellativo, i “rex visigotorum” che
rimanda più all’idea di un re di popolo, che a un re di un territorio.

Però, progressivamente, ci vorrà molto tempo, ma progressivamente, sia l’aspetto


riguardante l’autorità che quello riguardante il diritto del regno diventeranno omogenei.
Per molto tempo si avranno codificazioni giuridiche applicate per i latini, in quelli che erano
i tribunali del tempo, e codificazioni giuridiche che rimandano al diritto germanico applicati
in altri tribunali gestiti da guerrieri.

Si avranno una lex visigotorum ed una lex romana visigotorum, cioè un diritto che si
rifà al diritto romano e un diritto che invece che si rifà alle consuetudini germaniche.

Lentamente si raggiungerà la fusione delle due tradizioni giuridiche.

Alla fine del VI secolo, un po’ avanti rispetto all’occupazione della penisola Iberica, noi
assistiamo alla conversione dei Visigoti dall’arianesimo al cattolicesimo.

Questo perché anche i Visigoti, come gli Ostrogoti e come quasi tutte le popolazioni
germaniche erano state convertite al cristianesimo nella forma ariana.

Ecco, alla fine del VI secolo i re e i guerrieri di tradizione germanica si convertono al


cristianesimo.

Questo fa si che per tutto il VII secolo, il regno visigoto veda la convocazione abbastanza
regolare di concili a Toledo, che è la capitale del regno visigoto.

Concili ai quali partecipano i più importanti esponenti dell’élite di tradizione germanica


(quindi i grandi proprietari terrieri) e i vescovi del regno che rappresentano la tradizione
latina, la tradizione di governo romana e collaborano con l’elemento germanico.

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Qui il regno visigoto è durato molto più a lungo di quello ostrogoto e la fusione si verifica
anche perché il tempo, la durata è assolutamente maggiore.

Un testimone di questo incontro latino-germanico nella Spagna del VII secolo è


certamente Isidoro, vescovo di Siviglia, che è considerato uno dei più grandi intellettuali
della Spagna e dell’Europa alto medievale.

E naturalmente, quando si parla di intellettuale alto medievale bisogna rendersi conto del
contesto in cui opera un intellettuale nell’alto medioevo.

Un contesto in cui le scuole non ci sono praticamente più, si può studiare solo nei
monasteri più importanti o nelle chiese cattedrali più importanti.

Quindi gli intellettuali sono o vescovi o monaci, non c’è alternativa, perché solo loro
possono studiare, solo loro si formano su ciò che è noto all’epoca dei testi classici.

Alcuni di questi testi classici non si conoscono più perché si sono perduti, oppure si
conoscono solo in alcuni monasteri, in alcune chiese.

Solo gli uomini di chiesa usano un buon latino, perché nel frattempo il crollo delle
istituzioni pubbliche e delle istituzioni scolastiche ha prodotto una forte accelerazione della
trasformazione delle lingue.

Siccome non si insegna più il latino in scuole diffuse, ma solo nelle scuole
ecclesiastiche, solo gli uomini di chiesa parlano un corretto latino, tutti gli altri no, e
così la lingua si trasforma rapidamente in quelli che poi saranno gli idiomi romanzi.

Questo, ovviamente, fa si gli ecclesiastici possono essere in grado di farsi capire e di


capire altri ecclesiastici che vivono a centinaia, migliaia di chilometri di distanza, perché
solo loro conoscono quello che è l’inglese del medioevo, la lingua franca, il latino.

Isidoro era per l’appunto un vescovo di Siviglia e partecipava a questi concili che si
tenevano con cadenza più o meno regolare a Toledo.

Concili durante i quali il re ascoltava i vescovi, ascoltava i grandi proprietari terrieri e poi
emanava delle leggi valide per tutto il regno.

Questo regno quando e perché finisce?

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Finisce nel giro di un paio d’anni tra il 711 e il 712 mentre lì arrivano gli Arabi.
Vedremo poi in che modo gli Arabi arrivano nella penisola iberica.

Il punto fondamentale è che gli Arabi sono superiori dal punto di vista della tecnica
militare.

Il regno visigoto viene spazzato via nel giro di due anni.

Non è possibile resistere all’avanzata di questi eserciti arabi e berberi, e così i territori
cristiani vengono occupati da popolazioni musulmane.

Cosa resta di cristiano, cioè di visigoto nella penisola Iberica?

Alcune zone inospitali della penisola settentrionale: la Cordigliera Cantabrica, la


zona dei Pirenei. Sono zone in cui gli arabi non vanno perché sono zone meno
fertili, meno adatte al popolamento, e quindi lì si concentrano i rifugiati.

I tre quarti della penisola Iberica sono occupati dagli arabi.

Qual è invece il regno più importante soprattutto per i risvolti politici e anche culturali che si
afferma in Europa alla fine del V secolo?

Il regno dei Franchi

L’Europa, il concetto di Europa nasce con i Franchi.

Le sedi attuali dell’Unione Europea si trovano tutte laddove c’era il regno dei Franchi:
Strasburgo, Bruxelles, tutte le città comprese fra il Reno e il Mare del Nord.

I Franchi occupavano la parte più settentrionale della Gallia (si intende anche il Belgio,
un pezzo di Olanda, il Lussemburgo e via dicendo).

Di tutti i popoli che erano entrati nel cuore dell’impero d’occidente era forse quello meno
romanizzato; però il sovrano che hanno i Franchi fra la fine del V e l’inizio del VI secolo è
uno dei più lungimiranti politicamente parlando.

Questo sovrano noi lo chiamiamo Clodoveo, i francesi lo chiamavano Clovis, ed è il


nome da cui viene Louis, Luigi, Ludovico, non a caso è il nome più diffuso tra i re di
Francia.

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Il primo grande re della così detta dinastia Merovingia. Questo nome, Merovingio,
rimanda al nome di un re che forse non è mai esistito, non si sa bene, Meroveo.

Tale nome è servito però da collante mitologico per tenere unite diverse tribù disparate
che si identificano in questo fantomatico mitologico re guerriero.

Clodoveo è anche lui un guerriero, per quasi tutta la sua vita non fa altro che combattere.
Combatte contro funzionari romani che sono rimasti a capo di pezzi di province,
combatte contro i Burgundi, combatte contro i Visigoti.

E’ lui a sconfiggere i Visigoti e li costringe a passare nelle penisola Iberica.

Ma se avesse soltanto conquistato i territori, probabilmente il destino dei Franchi non


sarebbe stato tanto diverso da quello di tanti altri popoli.

Il destino invece cambia per un’idea geniale (che certamente sarà stata influenzata
anche dalle sue idee in materia religiosa, che sul piano politico è un’idea veramente
originale).

Cioè i Franchi che erano un popolo pagano (non cristiano attenzione, ma pagano),
vengono convertiti in massa, per volontà di Clodoveo, al cristianesimo cattolico.

La possibilità di conoscere veramente la personalità di Clodoveo è inficiata da questo atto,


perché le testimonianze scritte che abbiamo su di lui, e che sono posteriori alla sua morte,
sono tutte testimonianze di uomini di Chiesa.

La loro testimonianza è influenzata dal fatto che lui ha fatto convertire il suo popolo al
cattolicesimo.

Quindi sarà stato pure un bandito o un predone, però è anche un santo perché ha
convertito al cattolicesimo il suo popolo.

Questo fatto avrà una conseguenza enorme nella storia dei Franchi, perché i re dei
Franchi si considereranno sempre tutori della Chiesa cattolica, difensori della Chiesa
cattolica e sentivano come loro dovere espandere la fede cattolica.

Questo poi nell’immediato ha conseguenze pratiche molto importanti.

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L’élite gallo - romana presente in Gallia, che aveva occupato le sedi vescovili, trova
un interlocutore all’altezza della situazione. Quindi la conversione è il preludio
all’accordo politico.

“Noi rispettiamo le terre delle Chiese e le terre delle famiglie che esprimono il potere
religioso e andiamo di comune accordo”.

Il risultato è che poi la fusione è più facile.

Naturalmente anche in questo caso quando noi parliamo di presenza franca, dobbiamo
pensare a una presenza non omogenea sul territorio.

I Franchi sono molto presenti anche con un grande possesso fondiario, soprattutto nella
zona del Reno, della Mosa, della Mosella, della Senna; ma al di sotto della Loira, la loro
presenza è sempre più rada.

Tant’è che quando poi si sviluppano gli idiomi romanzi, noi avremo una lingua romanza al
nord della Loira e una lingua romanza al sud della Loira.

Il francese attuale che lingua è?

E’ la lingua che si parlava nel nord della Gallia, la Langue D’oil.

La lingua che si parlava nel sud della Gallia è la langue d’oc, cioè provenzale: è una
lingua simile ma diversa, per certi aspetti simile al catalano, e che risente anche di questa
presenza differenziata dei franchi, cioè di questa etnia germanica, sul territorio della Gallia.

Vediamo quindi come un vescovo intellettuale della Gallia vissuto qualche decennio dopo
la morte di Clodoveo, descrive l’episodio della conversione.

L’autore del piccolo brano che ora leggeremo è Gregorio, vescovo di Tours. Tours è
una città della Loira, però Gregorio veniva dall’Alvernia, che è una regione più interna e
più a sud.

Gregorio apparteneva a una famiglia che lui stesso definisce senatoria. Ma sapete
cosa significa per Gregorio di Tours, nel VI secolo, una “famiglia senatoria “?
Significa una famiglia che ha antenati che sono stati vescovi. Quindi la parola
senatore significa vescovo nella Gallia del VI secolo.

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Gregorio scrive una storia dei Franchi dal loro arrivo in Gallia fino grosso modo alla sua
morte, quindi stiamo parlando degli anni finali del VI secolo. Ecco come descrive dal suo
punto di vista, di uomo di Chiesa, l’episodio della conversione e del battesimo. “Le piazze
erano addobbate con drappi colorati, le chiese adorne di paramenti bianchi e nei battisteri
bastoncini d’incenso emanavano vapori profumati, mentre candele odorose mandavano
intensi bagliori” (atmosfera mistica) “il luogo destinato al battesimo era pervaso di
fragranza divina. Dio infuse con tanta munificenza la propria grazia nel cuore dei presenti
da far loro immaginare di essere stati trasportati in un paradiso profumato”
(evidentemente sono in estasi di fronte a questo sovrano e a questi guerrieri che si
convertono) “Re Clodoveo chiese di essere battezzato per primo dal vescovo.”(Il
vescovo di Reims, città dell’estremo Nord della Gallia, che anche oggi è l’estremo
nord della Francia. Città che conserva il pantheon dei re francesi, perché i re
francesi si facevano seppellire a Reims. Perché si facevano seppellire a Reims?
Perché Clodoveo era stato battezzato lì. E quindi l’elemento fondante della
monarchia francese fino al 1789 era Clodoveo. Guardate come lo definisce Gregorio
di Tours “Novello Costantino”: come Costantino ha reso il cristianesimo religione
tollerante, così Clodoveo sancisce l’incontro dei guerrieri franchi con i latini. “Egli
avanzò verso il fonte battesimale, per lavare le vecchie cicatrici della lebbra” (qui emerge
tutta la sottigliezza terminologica e retorica dell’uomo di Chiesa. Questa lebbra che
cos’è? Sono i massacri che lui ha compiuto insieme ai suoi guerrieri durante le
lunghe guerre in Gallia) “e liberarsi con l’acqua che sgorgava dalle orrende macchie che
aveva portato così a lungo su di sé.”

E quindi questo battesimo, è un battesimo che avrà conseguenze importanti e di


lungo periodo.

La fusione, naturalmente, è una fusione che avviene con una convergenza di costumi.
Questa convergenza di costumi fa sì che queste etnie germaniche si cristianizzino.
Dopo un po’ cominciamo ad avere anche vescovi la cui famiglia apparteneva anticamente
a un’etnia germanica, quindi assistiamo a una latinizzazione, romanizzazione, ad una
cristianizzazione dei costumi degli invasori; ma contemporaneamente assistiamo anche ad
una germanizzazione dei costumi della popolazione nel suo complesso.

Cosa vuol dire?

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Vuol dire che i valori legati alla guerra, prendono corpo, sostanziano anche quelle famiglie
di tradizione latina: certo esprimono vescovi, però la guerra entra a far parte del loro modo
di pensare e non può essere diversamente perché quello che conta in questi regni è il
possesso fondiario e la forza, la violenza, la capacità di combattere.

Questi Stati sono molto primitivi da un punto di vista organizzativo, erogano


pochissimi servizi; come abbiamo detto il prelievo fiscale è modestissimo, quando c’è
spesso è in natura piuttosto che in moneta, la vita economica diventa sempre più povera,
le città rimpiccioliscono sempre di più, quelle che sopravvivono, sopravvivono
perché c’è un vescovo importante.

La vita economica si ruralizza profondamente. E anche il sistema, il modo di pensare


dell’élite si lega a questo contesto ruralizzato.

Contesto ruralizzato dove l’incolto, il bosco, la palude comincia ad avere un peso enorme
rispetto al passato.

Il regno dei Franchi conosce questa profonda integrazione, maggiore rispetto ad altri regni
sviluppatisi dopo la fine del V secolo, a tal punto che già nel VII secolo la parola
“Francus” non identifica più uno che appartiene ad un’etnia germanica, ma
semplicemente l’uomo libero che vive nel regno; quindi per indicare se una persona gode
della libertà personale si utilizza la parola francus. Questo regno avrà una vita molto lunga
ma anche molto frammentata, perché i Franchi, come molte altre popolazioni germaniche,
avevano un’idea di Stato molto differente da quella che avevano avuto in passato i
romani.

La differenza fra pubblico e privato per loro era molto labile.

D’altra parte pensate a questo: in Stati in cui la fiscalità è quasi inesistente da cosa
può trarre la rendita un sovrano? Dalle terre sue personali, proprio dalle terre della sua
famiglia. E il tal demanio. La confusione fra demanio e le terre sue personali teoricamente
non c’è ma nella pratica c’è, perché poi alla fine le gestisce sempre lui, che siano terre
della sua famiglia o che siano terre del demanio, di fatto è roba sua, non ci sono tutti
questi grandi funzionari, non si prelevano imposte.

Non solo ma c’è un ulteriore elemento di complicazione. Il re dei Franchi è un tutore


della Chiesa, quindi le terre della Chiesa sono terre pubbliche o no? Per molti sovrani

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sono terre pubbliche quindi se ne può disporre come se fossero terre del demanio. Quindi
la faccenda è complessa: le nostre categorie interpretative legate allo stato moderno non
funzionano con questi regni dell’alto medioevo.

Poi c’è un altro problema: per i franchi il sovrano non può lasciare in eredità la carica
e le terre al primogenito.

Non è costume loro.

Loro lasciano, in eredità, le terre e il titolo a tutti i figli maschi che sopravvivono alla
morte del padre, come se il regno fosse cosa di famiglia. Tant’è che gli storici parlano
di concezione patrimoniale del regno, cioè come se il regno fosse un patrimonio. Ora
finché si parla delle terre della famiglia tutto bene, sul demanio già qualche problema, sul
titolo è un pasticcio.

E quindi cosa succede? Succede che il regno dei Franchi è una successione continua di
divisioni del regno in due, tre parti. Poi i figli si fanno la guerra, uno vince si prende le terre
degli altri, poi fa tre figli e via che riparte la spartizione. Perciò il regno continuamente si
spezza e si riforma, ha un andamento continuo a fisarmonica. Il che poi produrrà un
indebolimento della figura del re perché a forza di spezzettarsi la figura del sovrano si
indebolisce. Poi vedremo cosa accadrà di questo regno successivamente, grosso modo
tra VII e VIII secolo. Per ora fermiamoci qui. Limitiamoci semplicemente a segnalare che
queste divisioni del regno producono di fatto delle macroregioni, perché sono delle regioni
su cui governano i sovrani dopo la divisione.

Una di queste aree, quella più densamente germanizzata, è l’Austrasia. L’Austrasia è


la zona a cavallo tra l’odierna Francia nord – orientale, l’attuale Renania, il Lussemburgo e
il Belgio. Quindi la zona della Champagne, la zona delle Ardenne, la Renania, insomma il
corso del Reno. A sinistra e a destra la Mosa e la Mosella. Poi abbiamo un’altra grande
macroregione che si chiama Neustria, che è una sorta di bacino della Senna allargato.
Quindi da Parigi fino grosso modo alla Loira. Poi abbiamo l’Aquitania, quindi la Francia
sud – orientale, e poi la Borgogna.

Queste grosso modo, anche qui ci sono spezzettamenti continui e ricomposizioni, sono le
quattro grandi aree del regno.

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La presenza franca era molto forte in Austrasia, tant’è che in alcune di queste zone non si
parla un idioma romanzo, ma si parla un idioma germanico. In Renania si parlava già un
idioma germanico. Come dicevo prima, scendendo a sud della Loira la presenza franca
era più rara.

In generale cosa avviene, quali sono i minimi comuni denominatori di tutti questi regni che
si sono formati nelle terre dell’ex impero romano d’occidente?

Possiamo dire i regni che si sono formati, tranne rare eccezioni, hanno cercato, cioè
hanno visto il tentativo, più o meno riuscito, di far convergere, dopo una fase iniziale, la
tradizione militare germanica, con la tradizione amministrativa e culturale latina, che si
manifesta fondamentalmente attraverso l’elemento ecclesiastico.

L’erede dell’impero romano in occidente è la Chiesa, che conserva istituti, nomi legati al
mondo imperiale romano.

Tant’è che la Chiesa utilizzava anche il titolo di Res publica cristianorum, res publica cioè
come l’impero romano. Assistiamo però al crollo degli apparati stradali, della fiscalità,
della burocrazia, della cultura e dell’economia.

L’economia alto medievale, soprattutto nel VII e inizio VIII secolo, è un’economia
totalmente legata all’agricoltura, con scambi commerciali estremamente rarefatti, e quando
ci sono imperniati sul baratto; la moneta circola molto poco, d’altra parte senza fiscalità c’è
poco bisogno della moneta. Le monete circolano raramente, soprattutto quelle d’oro.
Circola un po’ di più l’argento. Spesso queste monete sono considerate un bene rifugio.
Per tesaurizzare. In Italia si trovano necropoli longobarde, dove il guerriero si è fatto
seppellire con la spada e le monete. Ma queste monete che significato hanno nella
tomba? Il significato di gioielli. Le chiese prendevano queste monete, le facevano fondere,
e ci facevano oggetti liturgici. Quindi la moneta, progressivamente, scompare dagli scambi
di natura commerciale. Assistiamo a un progressivo declino demografico, e soprattutto a
una grave, gravissima crisi del popolamento urbano. Se escludiamo l’area mediterranea
propriamente detta, e anche li assistiamo a crisi del popolamento in modo grave. In
Sardegna le città scompaiono totalmente, non c’è nessuna città che si salva dalla crisi alto
medievale.

Ma il fenomeno della scomparsa delle città è fortissimo nell’Europa continentale: in


Gallia, in Britannia, nell’entroterra iberico e via dicendo.
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Le città che rimangono, sono come accartocciate su stesse. Tant’è che si parla di
città retratte, cioè città che hanno queste mura costruite alla fine della tarda
antichità, però dentro le mura il numero abitato è ristretto; ci sono orti, vigne, cioè
una città ruralizzata.

Il simbolo per eccellenza della città ruralizzata è Roma. Pensate un città che ha un milione
di abitanti circa nel II secolo, forse 500.000 tra IV e V, e che intorno all’VIII secolo ne ha
50.000.

Si pensi a cosa c’era dentro le mura Aureliane: orti, boscaglia, pascoli per le pecore e poi
soprattutto li e altrove, cave a cielo aperto; pensate a cosa facevano, nell’alto medioevo ,di
teatri, anfiteatri, biblioteche, acquedotti, templi e altri edifici pubblici in rovina: prendevano
pezzi di pietra e ognuno si faceva la propria casetta, con i pezzi presi dagli edifici antichi.
Oppure, altro fenomeno curioso, utilizzavano questi edifici antichi per farci le case
sopra.

Le fondamenta del teatro romano a Napoli sono tutt’ora visibili, perché c’è una Napoli
sotterranea, ci sono le case sopra, cioè le case costruite sulle gradinate del teatro.

Qui a Cagliari è evidente che è stato utilizzato l’anfiteatro per prenderci qualche pietra per
farsi le case private.

A Lucca, la piazza del mercato è fatta ad ellisse, perché? Perché le case attuali sono
costruite proprio sull’anfiteatro, e uno vede benissimo la forma dell’anfiteatro e quando
entra nella piazza si trova nell’arena, la dove combattevano i gladiatori. E questo avviene
in molte città. È grazie a questi utilizzi sui generis che queste arene si sono conservate.
Per esempio a Nîmes nella Francia meridionale, a Pola in Istria. Perché ci avevano
costruito le case sopra, poi a un certo punto il contemporaneo ha detto che bisognava
ripristinare il monumento antico e hanno buttato giù le case. In quel modo si è conservato
l’edificio classico.

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TERZA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
MERCOLEDI’ 08.10.2014 ORE: 12,00 14,00

Ci concentriamo su quella porzione importante e ricca del impero romano che sopravvive
alla crisi del V sec, ovvero l'impero romano d'oriente.
Esso continuerà, per molti secoli, a considerarsi un impero romano, nonostante sia
passato alla storia come impero bizantino.
Gli imperatori di Costantinopoli fino alla caduta del 1453 per mano degli ottomani si
considerano imperatori romani.
La separazione dell'impero romano, dovuta a motivi amministrativi ma non solo, si ha con
Diocleziano, separazione enfatizzata dal fatto che ci fosse un augusto per ognuna delle
due parti.
Con Costantino ci fu una di nuovo una composizione, poi altre scomposizioni che
culminano, alla morte di Teodosio, agli inizi del V sec, con una definitiva separazione
dell'impero in due parti.
Una per ognuno dei due figli: Onorio per l occidente e Arcadio per l'oriente.
Alla base di questa separazione non ci sono solo motivi amministrativi e di gestione,
impero troppo vasto per essere governato da una persona, ma anche motivi più
complessi. La parte orientale era più ricca, più colta, più urbanizzata, più cristianizzata,
quella con le capacità artigianali e commerciali più sviluppate.
Le città erano più grandi, una realtà diversa da quella occidentale, soprattutto se come
parte occidentale si considerano quelle grandi provincie lontane dal mediterraneo, la
Gallia, la Britannia, la Renania, territori con elementi molto diversi.
Non solo dunque diversità economiche e sociali ma anche culturali e persino
linguistiche.
Nella parte orientale dell'impero il latino era poco conosciuto (parlato in prevalenza
dai soldati che si spostano da un confine all'altro). I funzionari imperiali orientali parlano il
greco, lingua della cultura e dell'amministrazione, in contesti in cui prevalevano tanti idiomi
locali: il copto in Egitto, l’aramaico in Siria
Un oriente dunque più ricco e popolato, più resistente alle pressioni provenienti dal nord la
cui salvezza, in qualche modo, dopo il disastro di Adrianopoli, sarà possibile solo a
discapito dell'occidente, dirottando queste masse di tribù germaniche verso l occidente.
L’impero orientale ha anche una data di nascita simbolica nel 330, con la
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rifondazione di Costantinopoli (Istanbul, la più grande città europea), città voluta da
Costantino: costruita su una piccola città di origine coloniale greca di nome Bisanzio (da
cui il 'bizantino' usato dagli storici).
Nei documenti medievali si parla però unicamente di impero romano, e gli abitanti
continuano a considerarsi romani anche fino al 1200-1300).
La città auto-celebrativa di Costantino fu edificata in quel luogo per la sua posizione
strategica (cartina p54).
Innanzitutto è il punto di congiunzione tra Asia e Europa, zona di confine tra asiatici
e europei: i popoli sono sempre passati li.
Nel 480, Serse, re di Persia, costruisce un gigantesco ponte per invadere la Grecia.
È il posto dove sono sempre passate le navi dal mediterraneo al mar nero.
La città metteva in comunicazione le province orientali europee (Balcani, Grecia) con le
province orientali asiatiche (Asia minore, Siria).
Inoltre significava costruire la città in un punto dove inevitabilmente si sarebbero creati
bacini portuali e dove si sarebbe costruita la flotta imperiale.
Inaugurata nel 330 per molti anni la città sarà un cantiere a cielo aperto, perché ricreerà
tutti gli spazi fisici, politici, culturali e di svago che si trovavano a Roma.
Vengono costruiti nuovi fori, nuove grandi arterie stradali che vanno dall'uscita della città
verso le campagne, palazzi, chiese e l’ ippodromo, dove gli imperatori venivano intronizzati
di fronte alla folla (divisa in tifoserie, spesso violente che poi si davano al saccheggio della
città).
A Costantinopoli c’è anche un senato che riproduce quello di Roma.
I senatori romani schernivano quelli di Costantinopoli, per il fatto che nella parte orientale
non c'era quell’ aristocrazia di grandi latifondi che invece esisteva in Italia.

E’ una città in crescita tumultuosa, crescita dovuta alla costruzione di edifici religiosi e di
spazi in cui viene esercitata la burocrazia.
Nascono una serie di botteghe e di attività commerciali legate alla presenza della corte.
Cosi la città diventa una sorta di magnete per chiunque cerchi fortuna nella nuova grande
capitale: anche per la popolazione delle provincie circostanti.
La città già all'inizio del V sec ha 200.000 abitanti e le mura fatte erigere da Costantino,
che racchiudevano uno spazio di 700 ettari, devono essere rifatte nella prima metà del V°
sec dall'imperatore Teodosio II.
Esse comprendono uno spazio di 1400 ha, pertanto la superficie racchiusa dalle
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mura è raddoppiata in meno di cento anni (le mura teodosiane sono ancora visibili
nell'odierna Istanbul).
All'inizio del VI° sec la città ha raggiunto la popolazione di 500.000 abitanti,
superando la popolazione di Roma e diventando la città più grande del
mediterraneo.
Anche qui, per evitare tumulti popolari, bisogna distribuire il grano: a prezzo calmierato e a
volte anche gratuito, facendolo arrivare dall'Egitto, grande provincia granaria dell'impero.
Ugualmente si ripeteva lo schema del Panem et circense già praticato a Roma
(spettacoli all'ippodromo e frumentationes, distribuzioni gratuite di grano in periodo di
carestia).
Il processo di divinizzazione dell'imperatore già iniziato alla fine del III sec
raggiunge vette ineguagliate nella Costantinopoli del V e VI sec.
L'imperatore è considerato una rappresentazione della divinità, e si presenta come tutore
della chiesa e dell'ortodossia.
Convoca anche i concili ecumenici (Efeso, Calcedonia, ..).
È l'inizio di un rapporto tra impero e chiesa che sarà molto diverso da quello
occidentale: l’impero occidentale scompare e si dovrà attendere Carlo magno per averne
un altro, anche se con caratteristiche molto diverse.
Il punto fondamentale è che la chiesa orientale è in qualche modo sottoposta alla volontà
dell'imperatore, quindi anche i grandi patriarchi di Costantinopoli, Antiochia, Alessandria,
Gerusalemme, non possono opporsi alla volontà imperiale: sono i vescovi dell'imperatore.
Qualcosa di equivalente a questi patriarchi si ha in occidente con l’arcivescovo di Roma,
che per lungo tempo non ha di fatto nessuno sopra di se, non ha un potere politico sopra
di sé e quindi sviluppa una propria ideologia del potere nel vuoto politico.
Questo spiega perché alla fine di un lungo processo la chiesa di Roma svilupperà un
ideologia politico-ecclesiastica sulla base del comando del papa, che comanda anche da
un punto di vista politico, una cosa impensabile in oriente perché lì l’ impero rimane e
dunque i patriarchi sono sottomessi all'imperatore.( leggasi Fonti: pag.1)

Costantinopoli nella descrizione dello storico greco e pagano Zosimo (V secolo).

Costantinopoli fu ampliata fino a diventare il centro urbano più grande, con il risultato che
molti imperatori venuti dopo di lui la scelsero come sede, attirandovi un gran numero di
abitanti provenienti da tutto il mondo: soldati e funzionari, mercanti e gente dedita ad altre
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attività. Essi hanno perciò eretto altre mura, molto più estese di quelle di Costantino e
hanno permesso che gli edifici fossero tanto vicini gli uni agli altri da costringere gli abitanti
a vivere stipati nelle case e nelle strade, dove è pericoloso camminare per la ressa di
uomini e di animali. Anche il mare circostante è stato riempito affondandovi pilastri e
costruendovi sopra case che da sole sono sufficienti a formare una grande città.

L impero romano d'oriente si salva dalla catastrofe del V sec e anzi all’ inizio del VI è
in piena espansione economica e demografica.
Tant'è che un imperatore, Giustiniano, salito al potere nel 527 e destinato a governare
per quasi 40 anni concepisce un disegno molto ambizioso e grandioso, che impegnerà
molto l’impero, sia con una grande perdita di vite umane che con un notevole esborso di
risorse finanziarie.
Questo disegno grandioso è poi passato alla storia col nome di Rinnovatio Imperi (il
rinnovamento dell impero).
Giustiniano viene cooptato dallo zio Giustino, che lo presentò al senato e all'esercito,
come co-imperatore, dallo zio Giustino, secondo una prassi consueta della tradizione
romana e in parte anche di quella bizantina.
Per arrivare ad una dinastia, cioè all'idea che il potere passi naturalmente di padre
in figlio bisognerà aspettare il IX sec.
Però ci sono alcuni casi di cooptazione diversa e capitava che imperatori venissero scelti
da esercito o senato.
Per creare una successione soft, Giustino aveva cooptato al potere il nipote
Giustiniano.
Giustino era stato un ufficiale di esercito, quindi è arrivato al potere facendo carriera
nell'esercito.
Veniva dai Balcani, da quella che all'epoca veniva chiamata la provincia dell’Illirico.
Questa era prevalentemente di lingua latina.
La Grecia è di lingua greca e man mano che si risalivano i Balcani si parlava il latino o
lingue simili al latino.
Oggi del latino balcanico è rimasto il rumeno, l’unica lingua romanza, l’unica lingua
neolatina dell'Europa orientale, perché le zone limitrofe saranno poi completamente
slavizzate con l'arrivo degli slavi dal nord (si parla slavo in Croazia, Slovenia, Bulgaria,
Macedonia, ecc.).
L'unica lingua rimasta frutto delle conquiste romane del periodo di Traiano (nome
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diffuso ancora oggi in Romania) è appunto il rumeno, una lingua che deriva dalle
conquiste romane.
Quindi Giustino come lingua parla il latino, ovviamente anche greco, e lo stesso
Giustiniano parla latino.
Questo è importante, è importante che Giustiniano provenisse da una zona dove la lingua
prevalente era quella latina, perché il suo programma politico prevedeva
fondamentalmente due obiettivi:
la riconquista dei territori occidentali dell'impero romano perduti nel corso del V sec,
quindi territori dove si parlava latino.
un opera straordinaria di manutenzione generale del diritto romano da realizzarsi in una
codificazione in lingua latina.

Da una parte c'era dunque un ambizione politico militare, la riconquista dei territori
occidentali perduti (Italia, Africa, Spagna), dall'altra intervenire sulla prevenzione giuridica
romana attraverso una gigantesca compilazione che tenesse conto del vecchio e del
nuovo.
Nel giro di qualche anno, attraverso l'intervento dei professori di diritto delle maggiori
scuole cittadine dell'impero (Atene, Costantinopoli, Alessandria) si stila la compilazione di
un opera gigantesca in quattro parti.
Quest'opera si chiama Corpus Iuris Civilis (il corpo del diritto civile).
Per tenere insieme tutti i volumi, tutte le parti di questo Corpus Iuris Civilis ci vuole una
libreria, siamo quindi in presenza i una pubblicazione enorme.
La prima delle quattro parti è il Codex, in 12 volumi : ora, pensando a un volume oggi ci si
riferisce alla concezione di un insieme di fogli rilegati insieme da una copertina più o meno
rigida.
Per i romani antichi un libro era un rotolo, un supporto su cui scrivere.
Nella tarda antichità il rotolo era di papiro, un rotolo di origine vegetale, queste piante
crescevano alle foci di alcuni fiumi del mediterraneo soprattutto in Egitto, lavorate da cui si
otteneva un lungo foglio che poi veniva arrotolato.
Le biblioteche antiche erano fatte di rotoli, si apriva il rotolo e lo si leggeva.
Invece i volumi del Corpus Iuris Civilis non sono fatti di papiro, sono fatti di pergamena,
ovvero di origine animale, pelle di pecora lavorata.
Chiaramente si può scrivere solo da una parte, quella lavorata, il lato-carne più morbido,
non dal lato-pelo.
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La pergamena è molto più resistente e compatta del papiro, che tende a sbriciolarsi nel
corso del tempo (infatti i papiri si sono conservati nel deserto, dove il clima secco e non
umido ha permesso loro di non decomporsi).
E’ potenzialmente indistruttibile, a meno dei topi o di incendi nelle biblioteche,
praticamente immortale.
Quindi, questi volumi sono fatti di pergamena, 12 libri.
I professori di diritto che lavorano per volontà di Giustiniano raccolgono tutta la
legislazione imperiale, tutti gli editti imperiali emanati dall'età di Adriano, siamo all'inizio
del II sec, fino a Giustino, quindi 4 secoli di legislazione imperiale ovviamente con
qualche selezione, le leggi superate non vengono trascritte.
Quindi non è un antologia vera e propria ma è una scelta oculata degli editti imperiali che
hanno ancora valore di legge, in modo che sia a tutti chiaro cosa è legge e cosa no.
Non che non lo avessero fatto anche altri imperatori precedenti, ma in quanto a vastità il
Codex non ha paragoni.
Poi una compilazione ancora più grande il Digestum in greco, 50 libri.
Nel digesto ci troviamo quella che oggi è la giurisprudenza, il parere dei giuristi, o le
sentenze emanate dai giuristi, che è qualcosa di simile per certi aspetti alla common law
anglosassone: il precedente fa legge, la sentenza fa legge, il parere del giurista fa legge.
Così è per il Digesto, si prendono i pareri dei giuristi dell'epoca classica, le sentenze, e si
raccolgono quelle che si ritengono abbiano valore (A fa causa a B in merito al problema X,
parere o sentenza del giurista, si risolve nel modo Y).
Giustiniano stabilisce che solo quelli presenti nel Digestum avranno valore di legge,
quindi da questo momento i pareri dei giuristi non avranno più valore di legge.
Come dire: io do il massimo rispetto, una volta per tutte, alla giurisprudenza, dopo
di che comando io, non comandano più i giuristi in materia di legge.
Poi c’è un altra compilazione, le Institutiones, le istituzioni, che sarebbero un manuale
scolastico, con l'infarinatura dei principi fondamentali del diritto romano (ancora oggi
materia di esame nelle facoltà di giurisprudenza).
Quindi le istituzioni di diritto romano sono i principi fondamentali del diritto romano (cosa è
la patria potestà, cosa è la dote, come si passa l’eredità..).
Infine le Novellae Consecutiones, cioè le leggi emanate dallo stesso Giustiniano.
Il C.I.C. è scritto in latino, tranne le Novellae che sono scritte sia in greco che in
latino.
In questo il disegno di conquista trovò un suo mandante, si scrive una codificazione del
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diritto romano in lingua latina, perché si riafferma la latinità dell'impero di Costantinopoli, e
quindi la sua legittimità a riportare quella legge nei territori appena perduti dell'occidente.
Tutto ciò nonostante il fatto che, nella gran parte delle provincie orientali, il latino fosse
lingua ignota, ma non importa, perché qui c'è una volontà politica oltre che giuridica ben
precisa.
Giustiniano poi cercherà di ricomporre i vari scismi interni della chiesa d'oriente
senza riuscirci.
Anche lui convocherà concili ecumenici che non sortiranno granché, anche perché le varie
diocesi continueranno a scontrarsi l'una contro l'altra.
Poi vi è un altro aspetto della politica di Giustiniano, ovvero le lunghissime
interminabili campagne militari che si concludono come indicato nella cartina (p 54).
Quando lui muore il confine dell'impero romano è tornato alle Alpi, alla parte settentrionale
del deserto del Sahara e occupa la parte più meridionale della penisola iberica, cioè quella
che i romani chiamavano la Baetica, quella che noi chiamiamo l'Andalusia.
Le campagne di Giustiniano hanno prodotto un espansione territoriale molto vasta.
La prima di queste provincie occidentali riconquistata è l'Africa, cioè quel territorio che
comprende l’odierna Tripolitania, cioè la parte di Libia attaccata a Tripoli, la Tunisia, l’
Algeria settentrionale.
Quindi questa zona dell'Africa mediterranea, con la grande città di Cartagine.
Prima dell'arrivo delle armate di Giustiniano regnavano i vandali. Il regno dei vandali
cadde nel giro di pochi mesi tra il 533 e il 534.
Il generale Belisario porta le sue armate in Africa e vince le battaglie quasi senza
combattere.
Gli basta poco per prendere possesso delle terre, perché i vandali si sono imposti con la
brutalità e con la forza, senza cercare un minimo compromesso con le popolazioni locali,
anzi suscitandone il terrore.
Quindi accade che tutte le popolazioni locali accolgono l'esercito di Belisario come un
esercito di liberatori, ed il crollo del regno vandalico è rapidissimo.
L'ultimo sovrano vandalo viene portato come trofeo di guerra a Costantinopoli e poi
relegato in una località del mar nero dove finirà i suoi giorni.
Tra il 553 e il 534 Giustiniano recupera l'Africa e anche la Sardegna che faceva parte
del regno vandalico.
Appena conquistato il regno vandalo le armate di Belisario sbarcano in Sicilia per
attaccare il regno ostrogoto, che non è più ovviamente guidato da Teodorico morto de
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alcuni anni.
All’inizio sembra che anche in questo caso la campagna militare possa essere
relativamente breve, ma mano a mano che risalgono la penisola le armate di Belisario,
incontrano una resistenza sempre maggiore.
Bisogna aspettare 6 anni e arrivare fino al 540, perché le armate di Costantinopoli
raggiungano il Po, e quindi anche Ravenna, e questo non è senza prezzo, perché nel
frattempo ci sono state distruzioni, devastazioni, città assediate, campi mandati in malora.
Poi scoppia una tremenda pestilenza in tutto l'impero nel 541.
Milioni di morti, dall'Egitto fino alla penisola italiana.
L'esercito bizantino è estremamente diminuito, e quindi fa fatica a controllare il territorio.
I goti (gli ostrogoti) contrattaccano sotto la guida di un sovrano dal comportamento
eroico, Totila.
Totila conduce la controffensiva gota assediando Roma, Napoli, giungendo fino alla
Calabria.
Sicuramente incontrò S Benedetto a Montecassino, perché se ne parla nella vita di S
Benedetto redatta da Gregorio Magno, e di questo episodio reca testimonianza anche
un ampia iconografia presente in vari monasteri benedettini italici, cioè l'incontro del santo
monaco con il re goto.
Totila avrebbe tenuto in scacco le armate bizantine per circa 12 anni, morendo
durante una battaglia nel 552 nell'odierno Gualdo Tadino in Umbria.
L'anno successivo i goti si sarebbero arresi.
Si comincia nel 535 e si finisce nel 553, 18 anni di guerra, che sono per la penisola italiana
una sorta di punto di non ritorno, una specie di mini bomba atomica: una quantità
incredibile di morti, non solo per le guerre, ma per le carestie che seguono il passaggio
degli eserciti, campi distrutti o abbandonati, città assediate, durante l’assedio si tagliano gli
acquedotti, per cui anche il consumo di acqua diventa a rischio, altre epidemie, ecc.

Come conseguenza ne deriva una grande crisi demografica, grande crisi del
popolamento urbano, alcune città sono distrutte completamente, come Milano che viene
rasa al suolo. Distrutta fino alle fondamenta almeno due volte, poi gli interventi urbanistici
ottocenteschi le hanno dato il colpo di grazia.
Milano è stata distrutta per la prima volta durante la guerra gotica, sarà distrutta
nuovamente dall'imperatore Barbarossa nel XII sec, e poi ci saranno gli
sventramenti ottocenteschi per trasformare la città sul modello parigino.
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Per questo motivo ora a Milano, che è stata anche capitale dell'impero romano d'occidente
per qualche decennio, e comunque sede di un arcivescovo, quindi una città importante,
non si trova quasi nulla di romano, solo la basilica di S Lorenzo paleocristiana col grande
colonnato.
Il passato è stato dunque cancellato da queste distruzioni, di cui fu testimone quello che
era un ufficiale e segretario del generale Belisario, Procopio di Cesarea.
Questi veniva da una città della Palestina, detta Cesarea (non la Cesarea di Basilio,
quella dell'Asia minore; è una città che oggi si trova nello stato di Israele), nome molto
diffuso tra le città imperiali romane.
Veniva dalla Palestina ma la sua lingua madre era il greco, e lui ha scritto molte opere
storiche, molte cronache dell'epoca di Giustiniano.
Ha scritto la cronaca della guerra contro i vandali e la storia della guerra contro i
goti, oltre ad altre opere alcune encomiastiche, cioè celebrative per l'imperatore, che
vennero rese pubbliche.
Altre invece non vennero rese pubbliche e sono passate alla storia col titolo di “Storia
Segreta”: in esse esprimeva il massimo disprezzo nei confronti dell'imperatore e della
moglie Teodora (con toni che ricalcano quelli dell'odierno gossip).
Teodora avrebbe avuto il torto, e pertanto si era macchiata di una grave colpa sia ai suoi
occhi che a quelli di molti cortigiani del tempo, di essere stata attrice di teatro prima del
matrimonio con Giustiniano, e soprattutto un’ attrice di mimo, un’ attività considerata dalla
chiesa alla stregua della prostituzione.(pag. 2 Procopio guerra gotica).

Procopio di cesarea descrive le drammatiche condizioni della penisola italiana


durante la lunga guerra greco-gotica.
L’anno avanzava verso l’estate e già il grano cresceva spontaneo, non in tal quantità però
come prima, ma assai minore; poiché non essendo stato internato nei solchi con l’aratro,
né con mano dell’uomo, ma rimasto alla superficie, la terra non poté fecondarne che una
piccola parte. Né essendovi alcuno che lo mietesse, passata la maturità, ricadde giù e
niente più ne nacque. La stessa cosa avvenne pure nell’Emilia; per lo che la gente di quei
paesi, lasciate le loro case, si recarono nel Piceno pensando che quella regione, essendo
marittima, non dovesse essere totalmente afflitta da carestia. Né meno visitati dalla fame
per la stessa ragione furono gli abitanti della Tuscia; dei quali quanti abitavano i monti,
macinando ghiande di quercia come grano, ne facevano pane che mangiavano. Ne
avveniva naturalmente che i più fossero colti da malattie di ogni sorta, solo alcuni
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uscendone salvi.

Quindi quella gotica fu una guerra che si risolse si con una vittoria, ma a un prezzo
sanguinario.
Poi vi sarà anche una terza campagna militare che si svolge più o meno in
concomitanza con quella italiana, quella che si svolge nella penisola iberica contro
il regno dei visigoti.
In questo caso le conquiste saranno molto limitate e legate alla spegna meridionale.
Saranno veramente molto effimere, come quelle italiche, perché nel giro di qualche
decennio i re visigoti riconquisteranno tutti i territori perduti, quindi già a meta del VII sec
tutta la Spagna è tornata sotto il controllo del re di Toledo.
Solo l'Africa rimarrà più a lungo nelle mano degli imperatori di Costantinopoli.
In generale tutte queste conquiste orientali avranno un carattere di relativa breve durata.
Lo sforzo è veramente imponente in termini di vite umane e di risorse finanziarie, tant'è
che dopo la morte di Giustiniano l'impero romano d'oriente dovrà fare i conti con una crisi
in ogni campo delle sue attività molto lunga, una crisi che inizia con la fine del VI sec e
si prolungherà fino all'inizio del VIII.
Qualcosa di simile quindi a ciò che è avvenuto nella parte occidentale, però da questa
lunga e prolungata crisi l’ impero uscirà si ridimensionato ma salvo, quindi continuerà a
sussistere.
Finisce la guerra cosiddetta greco gotica; già questo nome dà da pensare, nel senso che
nella percezione dei contemporanei era una guerra tra gli ostrogoti che comandavano in
Italia e un esercito in cui si parlava il greco.
Le ragioni sulla straordinaria durata di questo conflitto sono molte.
Un ruolo non marginale lo ha giocato il fatto che i goti, durante il periodo precedente non
avessero assoggettato le popolazioni locali, non avessero estorto i possessi fondiari alle
chiese, ma che fossero venuti ad un compromesso.
I funzionari civili della corte di Ravenna erano latini, le loro terre non erano state toccate, e
quindi non era stato infranto il loro predominio sociale.
Ecco perché, per molte popolazioni italiche, forse, erano più preoccupanti gli invasori che
non i difensori.
Sicuramente la fiscalità dell'impero di Costantinopoli era più dura di quella dei goti,
anche perché una volta ripresa l'Italia intendevano in qualche modo rifarsi sulle
popolazioni locali drenando quel poco che si trovava.
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Questo spiega in larga parte la lunghezza di questo conflitto.
L'Italia poi, una volta conquistata, non è il centro dell'impero, ma una provincia: quindi tutto
si risolve sì nel riaffermare il proprio potere a Ravenna, ma a Ravenna c'è un funzionario
mandato da Costantinopoli, l'imperatore continua a risiedere in oriente.
E’ a Ravenna che troviamo la più grande testimonianza iconografica dell'imperatore, della
sua corte e di sua moglie, perché è li che si trova raffigurato Giustiniano, i suoi generali, i
funzionari, la moglie e le dame di corte nei mosaici straordinari della Chiesa di S Vitale.
Sempre a Ravenna poi verrà scrostata quella parte di mosaico dove era raffigurato il
palatium, fatto erigere da Teodorico: tutto ciò proprio con lo scopo di cancellare la
memorie del potere ostrogoto.
Poi verranno edificate anche altre chiese, come San’ Apollinare in Classe, basilica ricca di
mosaici, costruita dove era il porto di Ravenna.

Muore Giustiniano nel 565 e poco dopo comincia ad andare in malora tutto ciò che
aveva costruito.

È una crisi, quella dell'Impero Romano d'Oriente, prolungata, che arriva fino all'inizio
dell’ VIII° sec.

In seguito a questa crisi verranno perduti quasi tutti i territori occidentali, l'Egitto, la
Siria, la Palestina (queste ultime tre verranno conquistate dagli arabi nel corso del VII°
sec) e quasi tutti i Balcani (che in buona parte verranno occupati dalle popolazioni
seminomadi degli slavi), riducendo quindi l'impero bizantino all'inizio dell’ VIII° secolo
alla città di Costantinopoli, ad alcuni lembi della Grecia e a parte dell'Asia Minore,
dunque una contrazione molto forte.

Analizziamo quelle che saranno le prime consistenti perdite territoriali dell'impero romano
d'oriente subito dopo la morte di Giustiniano.
Queste perdite riguardano essenzialmente la penisola italiana.

Tre anni dopo la morte di Giustiniano (565) irrompe in Italia un’ altra popolazione di
origine germanica: i Longobardi, che penetrano in Italia come il coltello nel burro, non
perché la loro organizzazione militare fosse particolarmente sofisticata.

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Il problema era che in Italia i suoi confini settentrionali erano molto mal difesi, perché tutta
quest'area dell'impero era uscita stremata dalla guerra, non c'erano risorse né sul piano
umano né su quello finanziario per organizzare una difesa efficace.

I longobardi entrano quindi quasi senza incontrare resistenza.

Arrivano in Italia dalla Pannonia, nome di un’ antica provincia romana che era stata già da
tempo abbandonata e occupata da varie popolazioni, sia di origine germanica sia di
origine turco-mongolica come gli Unni oppure gli Avari.

I longobardi in realtà erano originari della Germania settentrionale cioè del bacino
settentrionale del fiume Elba (Brema, Amburgo..), dove ovviamente non c'era nessuna
città, non esistevano insediamenti urbani in queste zone d'Europa.
Essi, per alcuni secoli, si spostarono nel territorio dell'attuale Germania perché
praticavano un tipo di agricoltura nomade o semi nomade.
All'inizio del VI° sec si stanziano in Pannonia e lì rimangono per alcuni decenni.
Cominciano a trasformare il loro modus vivendi da un modus tipico delle popolazioni
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nomadi a quello di popolazioni stanziali o semi stanziali.
Prima del loro arrivo in Italia avevano avuto alcuni contatti col mondo romano
attraverso la forma del mercenariato, cioè alcuni guerrieri longobardi avevano militato
nell'esercito bizantino, soprattutto al comando del generale Narsete (personaggio che
compare nei mosaici di Ravenna, completamente glabro perché era eunuco).
Questi aveva ingaggiato alcuni guerrieri longobardi ma ben presto li aveva rimandati a
casa perché questi longobardi si erano dimostrati del tutto indisciplinati e dediti al
saccheggio indiscriminato delle popolazioni locali.
Dopo averli usati per un po’ decide di rimandarli a casa perché non riesce a imporre la
propria volontà.
Nel frattempo questi guerrieri che tornano indietro, parlano di un regno ricchissimo.
Per i longobardi l'Italia mezza diroccata della guerra gotica era ricca, intanto perché
c'erano le città, che loro non sapevano nemmeno cosa fossero, vedere tutto questo
assortimento di persone dentro le mura faceva un effetto notevole.
Cosi i longobardi decidono di penetrare in Italia valicando le Alpi Giulie (oggi confine tra
Italia e Slovenia).
Non a caso passano li, intanto perché vengono dalla Pannonia e poi perché quello è il
punto più penetrabile del lato alpino, perché le Alpi Giulie sono le Alpi più basse dell'intero
arco montuoso.
La prima cittadina che occupano è una città che all'epoca si chiamava Forum Iulii e che
prende il nome di Cividale del Friuli, e li si instaura il potere di un dux, di un condottiero.
I longobardi proseguono nella loro strada, distruggono alcune città, saccheggiano,
prendono possesso delle terre.
Gli si fa loro incontro il vescovo di Treviso, con tutti i prelati per scorta, implorando
di non ucciderli tutti, e il re dei longobardi Alboino li risparmia passando dritto.
La cifra sul numero effettivo dei longobardi è difficile da stabilire, un po’ più di 100.000,
forse 200.000, però i maschi adulti tutti armati fino ai denti.
I cosiddetti arimanni, gli uomini che ipso facto sono anche guerrieri, tant'è che in latino
questi arimanni longobardi sono chiamati con il termine exercitales, cioè coloro che
militavano nell'esercito di popolo.
I longobardi sono molto differenti dai goti, hanno avuto scarsi contatti con la romanità, non
hanno la scrittura, non sanno il latino, arrivano e arraffano tutto quello che passa loro per
le mani, chi si oppone viene ucciso.
Quindi è un’occupazione.
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I bizantini difendono il territorio come possono, cioè arroccandosi intorno ad alcune
città (Ravenna, Rimini, Padova, quelle lungo il Po o vicine al Po, Mantova).
Pavia resiste ad un assedio di tre anni.
I generali bizantini poi si arroccano nelle città dell'Italia centro-meridionale, tengono
Ravenna e tengono soprattutto le città costiere, vicine alla costa dell'Italia centro-
meridionale.
La società longobarda è una società militarizzata.
Il re che porta i longobardi in Italia è un capo guerriero, Alboino.
Le usanze delle popolazioni longobarde sono agli occhi dei latini del tempo e anche ai
nostri abbastanza primitive.
Alboino ha sposato la figlia di un re che lui ha sconfitto in battaglia, una donna che si
chiama Rosmunda che è la figlia di Cunimondo, re dei Gepidi, una popolazione
germanica che lui ha sconfitto in Pannonia.
Dopo averlo sconfitto e ucciso gli ha staccato la testa e ha ricavato da questa una coppa
per bere (c'era l’ idea che bevendo dalla testa del re vinto e sconfitto si riteneva di
acquisire la forza anche del re sconfitto).
Purtroppo decide di fare bere alla moglie dalla coppa del padre ucciso: la moglie, per
vendetta, lo fa uccidere da un servo mentre fa il bagno: questo dà la dimensione delle
usanze di questo popolo.
Chi comanda all’interno di questo popolo? I guerrieri, gli arimanni, e all'interno degli
arimanni comandano i duces (con cui si traduce in latino una parola germanica, cioè i
condottieri, i capi guerrieri).
Questi capi guerrieri comandano degli aggregati tribali chiamati fare.
Fare è una parola di lingua germanica che indica un popolo in movimento.
Questo nome sta ad indicare anche il nome di alcuni villaggi formatisi, in quei tempi in
Italia, dall'insediamento di queste mega tribù longobarde (c’è il nome di una nota pasta
italiana, Fara S Martino, che prende il nome da un villaggio di origine longobarda in
Abruzzo).
I longobardi vengono da nord ed occupano prima di tutto le zone settentrionali, quelle
dove trovano minor resistenza, per esempio non occupano tutta la fascia costiera veneta,
dove poi si svilupperà Venezia, non riescono a prendere la zona di Ravenna, che non a
caso poi prenderà il nome di Romagna.
Quella che noi chiamiamo la Romagna, perché l'Emilia era tutta, da Rimini a Piacenza
(ci passa la via Emilia, oggi autostrada), però la porzione orientale diventa la terra dei
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romagni, cioè dei bizantini, perché la parte occidentale è invece occupata dai
longobardi, quindi Piacenza, Parma, Modena sono longobarde, mentre da Bologna
in giù rimane ai bizantini, quindi ai romani.
Quello che conta quindi della società longobarda sono i legami orizzontali, cioè non
hanno una struttura basata sui legami di tipo verticale (nonno, padre, figlio), ciò che conta
sono le alleanze orizzontali, che si realizzano generalmente per via matrimoniale.
Per questo la donna diventa merce di scambio.
La donna della società longobarda, come si dice anche nell'Editto di Rotari, non è “self
mundia”, cioè non è autonoma giuridicamente.
Se vuole vendere qualcosa o comprare qualcosa o se vuole fare testamento non può farlo
se non ce un mundualdo, cioè un maschio, un parente che esercita la protezione, cioè il
mundium nei suoi confronti e che quindi dà valore giuridico all'atto.
Affinché una donna venda, compri, o faccia testamento, all'atto deve essere presente il
mundualdo.

La figura del mundualdo è terminata in Italia nel XIX° secolo, quindi questa
tradizione giuridica longobarda ha avuto una vita lunghissima.

I longobardi occupano completamente in un lasso di tempo abbastanza lungo, qualche


decennio, tutto il Friuli tranne la fascia costiera estrema, Grado, dove scappa il patriarca
di Aquileia, buona parte del veneto eccetto anche qui la zona costiera, la laguna e le città
più vicine alla costa.

Tutta quella zona che prenderà il nome da loro, la langobardia, cioè la Lombardia, la terra
dei longobardi, quasi tutto il Piemonte.

La Liguria la occuperanno dopo circa 60 70 anni, poi l'Emilia occidentale, quasi tutta la
Toscana, le Marche meridionali (Ascoli, Macerata..), un pezzetto di Umbria (zona Spoleto),
l'Abruzzo, il Molise, la Puglia centro settentrionale (ancora oggi c'è un luogo vicino a
Brindisi chiamato il Limitone dei longobardi, cioè il limite tra il territorio dei longobardi e
quello che rimane ai bizantini), e poi buona parte della Campania e della Basilicata.
Ci sono paesi, per esempio in Irpinia, che portano ancora i nomi dovuti alla formazione dei
villaggi dovuti ai nuovi insediamenti longobardi (tipo S Angelo dei Lombardi in provincia di
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Avellino).

Quindi questi longobardi entrano nella penisola italiana fino all'appennino


meridionale, occupando la penisola in maniera non del tutto omogenea, perché
laddove i bizantini resistono meglio loro non penetrano, non occupano Ravenna, né
la pentapoli (fascia costiera che va da Ancona fino a Rimini), né Perugia, né
l'odierno Lazio, Roma rimane bizantina, né Napoli, né Gaeta, non occupano la
Calabria, la Sicilia, la Sardegna.

(l’espansione max dei Longobardi intorno al VII° secolo).

In seguito a questa espansione si vengono a creare tre distinte unita statuali: il regno
longobardo con capitale Pavia, il ducato di Spoleto, che controlla buona parte delle
Marche meridionali e dell'Abruzzo, il ducato di Benevento, che controlla buona parte
della Campania, della Basilicata, della Puglia settentrionale e del Molise.

Il resto sono drappelli più o meno grandi di territori bizantini.

L'impatto che l'arrivo dei longobardi ha sulla società locale è molto duro: violenza

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saccheggi, distruzioni.
Da un punto di vista religioso i longobardi sono in larga parte ancora pagani, quel poco di
infarinatura del cristianesimo che hanno assorbito lo hanno assorbito nella variante ariana,
in ogni caso non sono cattolici, e le chiese e i monasteri sono troppo ricchi ai loro occhi
per non portare via le tele.
Con i longobardi finisce per sempre in Italia un ceto sociale: il ceto dei senatori.

Le terre gli vengono portate via e loro, se si oppongono, vengono uccisi.

Quindi in gran parte di questi grandi latifondisti scappa verso le terre che
rimangono in mano ai bizantini, perdendo comunque gran parte delle loro ricchezze.
Il testimone fondamentale dell'arrivo e della storia dei longobardi in Italia è Paolo
Diacono, di origine longobarda vissuto nel VIII° sec, circa 200 anni dopo gli eventi di cui si
parla, originario di Cividale del Friuli, funzionario della corte di Pavia in gioventù,
poi, dopo la conquista franca del regno longobardo, monaco a Montecassino.
Quindi uomo di chiesa, religioso, che negli ultimi anni della sua vita, nel 780 circa, scrive
la Historia Langobardorum, la storia dei longobardi dalle origini mitiche in Germania fino
alla metà del VIII° secolo.
Interrompe la sua storia prima dell'arrivo dei franchi: non poteva parlare della conquista
franca del regno longobardo, si sarebbe compromesso.
Paolo Diacono non è un testimone diretto di questi fatti, risalenti a 200 anni prima, ma si è
rifatto ad altre fonti che a noi non sono pervenute.
Questo è un grosso problema perché lui ha maneggiato altre fonti storiche perdute, le ha
rielaborate, ha messo la sua interpretazione, la sua versione dei fatti e deve fare i conti
con un sacco di problemi: lui era longobardo, e contemporaneamente un uomo di chiesa,
e che apparteneva a un popolo vinto, sconfitto dai franchi e dalla storia, quindi attenzione
è importante il fatto che lui ci metta del suo e che lo reinterpreti.

(pag. 3 libro II cap. 26) Paolo Diacono, Storia dei Longobardi.


Cap. 26: Della città di Pavia assediata per tre anni, dei Longobardi che invadono la Tuscia
e dei molto loro alleati.
Pavia resistette salda oltre tre anni all’assedio Longobardo che si era accampato nei suoi
dintorni, nel settore occidentale più precisamente, mentre Alboino con le avanguardie
dilagava in tutta la Toscana, lasciando stare però Roma, Ravenna ed alcune fortezze
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situate sul litorale. Né i Romani avevano forze tali da poterglisi opporre perché la
pestilenza, scoppiata dopo Narsete aveva fatto moltissime vittime nella Liguria, [Italia
nord-occidentale] e nelle Venezie [Italia nord-orientale], e a quell’anno di grande
abbondanza di cui abbiamo parlato, teneva dietro una terribile carestia. E’ certo poi che
Alboino condusse con sé una moltitudine di genti diverse, sottomesse da lui o da altri re.

Questo testo presenta una spia di etnogenesi per cui sotto l'etichetta di “longobardi” ci
sono in realtà popoli diversi che a un certo punto si mettono insieme per partecipare a una
migrazione o ad una conquista.
Alboino viene ucciso nel 572, pochi anni dopo essere arrivato in Italia e prende il suo
posto il figlio Clefi (pag. 3 libro II cap. 31).
Cap.31: De regno di Clefi che fu il secondo re e della sua morte.
Tutti i Longobardi d’Italia, con decisione unanime, elessero re in Pavia Clefi, di stirpe
nobilissima. Costui uccise molti tra i più influenti Romani e molti ne cacciò dall’Italia. Dopo
un anno e sei mesi che regnava con Messana, sua moglie, fu sgozzato da un servitore del
suo seguito.

Dopo il 574 i longobardi del regno di Pavia rimangono senza re per almeno 10 anni.
Come già detto il re spesso è semplicemente un condottiero per queste popolazioni
germaniche, che, ora che hanno conquistato il territorio, ritengono di poter fare a meno di
un re.
Pertanto questi longobardi vivono sotto l'autorità dei duces, dei duchi, ognuno dei quali
controlla una città: infatti capiscono che comandare in Pannonia e comandare in Italia è
una cosa profondamente diversa.
In Italia si comanda dalle città, non si può stare in campagna perché la città pur
depressa come era all'epoca rappresenta un foro politico e religioso fondamentale,
quindi si comanda da li, non si comanda dal borgo rurale, e cosi ogni duca si
insedia in una città.
Questa è un’epoca di grande violenza, alcuni vescovi scappano.
Per esempio l'arcivescovo di Milano fugge a Genova che rimane sotto il controllo
bizantino. Il patriarca di Aquileia scappa a Grado, nell'estremità nord orientale della
laguna.
Di questa violenza ci parla ancora una volta Paolo Diacono (pag. 3, libro II cap. 32).
Cap.32: Dei duchi Longobardi che per dieci anni rimasero senza re, e del giogo per essi
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imposto all’Italia.
Dopo la sua morte e per un interregno di dieci anni, i Longobardi vissero sotto i duchi.
Ognuno di questi ultimi infatti governava una città,
Zaban si insedia a Pavia, Ballari a Bergamo, Alachis a Brescia, Evin a Trento, Aginulfo a
Cividale. E inoltre c’erano trenta altri Duchi, ognuno in una sua città. (Duchi a Piacenza, a
Parma, a Lucca ,a Siena, a Spoleto, a Benevento e via dicendo).
In questo periodo, molti nobili romani, (grandi possidenti) vennero uccisi per cupidigia delle
loro ricchezze. I superstiti, spartiti tra gli invasori, furono resi tributari, e dovettero pagare ai
Longobardi la terza parte dei loro raccolti.
Per opera di questi Duchi, a sei anni dalla calata di Alboino e dei suoi, spogliate le chiese,
uccisi i sacerdoti, rase al suolo le città, sterminate le popolazioni che erano cresciute come
messi, gran parte dell’Italia, escluse quelle regioni già occupate da Alboino, fu invasa e
posta sotto il giogo dei Longobardi.
Tra queste distruzioni, per esempio, c’è la distruzione del Monastero di Montecassino,
fondato da San Benedetto, che viene reso un ammasso di macerie fumanti dai Duchi di
Benevento e quindi i monaci fuggono a Roma.
Il monastero verrà restaurato molto dopo, all’inizio dell’VIII° secolo, guarda caso da
parte di un gruppo di monaci Bresciani di etnia Longobarda.
Ormai siamo in un contesto politico, sociale, religioso profondamente trasformato.
Quindi è una rottura importante quella dei Longobardi, intanto una rottura politica e l’Italia,
politicamente è molto frammentata.
L’Italia, politicamente parlando si ricompone nel 1861, quindi questa rottura longobarda è
importante.
E’ così importante che l’arrivo dei Longobardi in Italia diventa materia di letteratura storica
nel risorgimento: basterebbe pensare all’Adelchi di Manzoni e quindi l’arrivo dei
longobardi, in Italia, è stato sottoposto alle interpretazioni le più varie che hanno risentito
della temperie culturale e politica in cui queste interpretazioni si sono formate.
Nel 584 viene rinnovata la monarchia, cioè viene scelto Autari, duca di Torino, come
re di Pavia.
I duchi Longobardi si accorgono che non possono continuare ad autogovernarsi ognuno
per suo conto perché altrimenti tutti avrebbero rischiato una possibile riscossa bizantina,
avrebbero potuto rischiare l’invasione di popolazioni vicine, per esempio i Franchi, che
avevano occupato anche la Gallia Meridionale.
Così decidono di eleggere un nuovo re, nel 584 e soprattutto decidono, molto
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emblematicamente, di dotare il nuovo sovrano di Pavia con metà dei possedimenti terrieri
che ogni duca aveva.
Questa operazione ha un senso molto chiaro: sappiamo che i sistemi fiscali romani e
germanici in questi tempi sono molto primitivi, quindi il re non può far leva sui tributi in
moneta, perché praticamente non esistono.
Deve fare leva sul suo patrimonio, allora bisogna che abbia un patrimonio in modo che
possa governare effettivamente.
Quindi ogni duca prende meta del suo territorio e lo devolve al re che ha di che
sostentarsi.

L'esercito regio poi funziona con la chiamata alle armi, perché ogni duca o ogni
arimanno che è sotto la volontà di quel duca è tenuto a combattere, perché ogni
arimanno possiede le terre ma ogni arimanno deve combattere.
Non si sfugge da questi legami; rifiutarsi di combattere significa perdere le terre, quindi
perdere lo status sociale preminente di cui gode l'arimanno stesso.
Anche del rinnovamento della monarchia parla Paolo Diacono (pag. 3libro III cap. 16).

Cap. 16: Del Regno di Autari e di quanta sicurezza regnasse ai suoi tempi.
I Longobardi, dopo essere rimasti per dieci anni sotto il potere dei duchi, infine di comune
accordo decisero di darsi un re nella persona di Autari, figlio di quel Clefi di cui abbiamo
parlato in precedenza. Per la dignità di cui era stato insignito, lo chiamavano Flavio: titolo
che in seguito fu felicemente di tutti i re Longobardi. Per dare forza e prestigio al trono
inoltre stanziarono metà delle loro sostanze per le necessità della corte e perché i dignitari
avessero di che vivere nell’adempimento dei loro diversi incarichi. Tuttavia le popolazioni,
sempre vessate e tributarie, rimasero distribuite tra i longobardi invasori. C’era tuttavia
questo straordinario nel regno longobardo: non si avevano violenze, non si tendevano
agguati, nessuno angariava o spogliava a proprio arbitrio, non c’erano furti né rapine,
ciascuno poteva andarsene dove voleva senza preoccupazioni di sorta.

Il re longobardo è insignito del titolo di Flavio, titolo riservato agli imperatori


romani, quindi questi longobardi hanno già capito come funziona il potere in Italia.
Non si può comandare se non attraverso un certo cerimoniale, attraverso certi simboli,
attraverso un certo modo di presentarsi di fronte agli altri.
La tradizione romana è troppo forte per questi re germanici, la distanza che separa la loro
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cultura da quella romana è tale per cui, per quanto sbiadita e scolorita, questa
tradizione romana è per loro un attrazione magnetica.
Perché il potere inteso romanamente ha un prestigio infinitamente superiore a
quello che può avere un guerriero che ha sgozzato altri guerrieri in combattimento.

Per cui assumono il titolo di Flavio, e cominciano a usare la lingua latina, lingua
della cultura, del diritto e del potere.

Gli slavi nel medioevo chiamavano Costantinopoli Zargrad, la terra degli zar, dei Cesari.
Questa concezione romana del potere è troppo forte per non essere fatta propria.

Autari è il primo dei sovrani longobardi che dà il via alla conversione al


cattolicesimo, anche se è un processo lento, non immediato.
Allora, Paolo Diacono, monaco, sottolinea che con Autari c'è una svolta importante, e fa
passare un inizio molto lento di un fenomeno di compromesso reciproco per un fenomeno
quasi istantaneo, ma non è così.
Il periodo di regno di Autari dura solo sei anni fino al 590, poi gli succede Agilulfo, che
governa dal 590 fino al 616.
Si tratta di un sovrano molto dinamico che conquisterà altre città italiane.
Sia lui che il suo predecessore, ovvero, sia Autari che Agilulfo hanno avuto la
medesima moglie, Teodolinda.
Teodolinda è una principessa cattolica originaria della Baviera, prima moglie di Autari
poi quando rimane vedova sposa Agilulfo.
Questa sovrana ha un importanza fondamentale nell'avvio della fusione tra latini e
longobardi perché è cattolica.
La fusione per mezzo della via religiosa è una della fusioni più classiche della storia
dell'Europa alto medievale (vedasi ad esempio i visigoti).
La regina Teodolinda ha uno scambio epistolare con uno dei più grandi papi
dell'alto medioevo, Gregorio Magno.
Sono rimaste delle lettere dello scambio tra questo grande pontefice, che governa a
Roma dal 590 al 604 e la regina Teodolinda.

Gregorio Magno è un po’ il simbolo del passaggio dalla tarda antichità all'alto
medioevo, è il primo grande papa che esercita anche un potere politico sul territorio
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laziale e che ha lasciato numerose fonti per la storia della società italica, e non solo
italica, dell'alto medioevo.

Gregorio Magno appartiene ad una famiglia di tradizione senatoria, è stato prefetto di


Roma in gioventù, poi ha deciso di farsi monaco e trasformando la sua abitazione romana
in un monastero, come avveniva spesso a Roma e nelle campagna laziali del tempo.

Si segnala alla chiesa romana per la sua capacità in campo culturale, viene mandato
anche come diplomatico della chiesa pontificia a Costantinopoli, .
Non solo dal punto di vista linguistico: da una parte si usa greco dall'altra il latino, ma
anche diversità di cerimoniale e difformità di liturgia.
Prende atto del fatto che gli imperatori di Bisanzio possono aiutare molto poco le
popolazioni italiche.
Cosi accade che quando diventa papa surroga le funzioni che dovrebbe avere il
funzionario bizantino a Roma: è lui che si occupa di distribuire cibo ai poveri, che si
preoccupa, talvolta, di difendere il territorio dalle pulsioni dei duchi di Spoleto e Benevento.

Ha lasciato attraverso numerose lettere tutta una serie di informazioni su quale era la vita
dell'Italia del tempo (le ultime fonti scritte sulla Sardegna prima del XI sec sono le
lettere che Gregorio Magno ha mandato ai vescovi sardi per incitarli a evangelizzare
i pagani delle zone interne, le zone del Nuorese).
Promuove l'evangelizzazione della Britannia, mandando i monaci nella zona di Canterbury
(S Agostino santo patrono dell'Inghilterra era un monaco romano mandato in Britannia a
evangelizzare le popolazioni anglosassoni pagane).
È lui che riforma la liturgia con il canto gregoriano.
Un papa molto attivo che ci ha lasciato numerose fonti letterarie tra cui la biografia di
Benedetto da Norcia.
Un papa di quelli che hanno lasciato la loro impronta indelebile nella storia.
È lui che conia l'espressione “servus servorum Dei” per identificare il papa, formula che
si usa ancora oggi.
Gregori Magno certifica l'idea che la chiesa romana sia l'erede in occidente
dell'impero romano perché le istituzioni bizantine in Italia sono completamente
evanescenti; c'è un esarca a Ravenna facente le funzioni imperiali ma è in preda alle
scorrerie longobarde.
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È quindi dallo scambio epistolare tra Teodolinda e Gregorio Magno che si avvia la
conversione dei longobardi al cristianesimo cattolico, e di questo ci parla sempre Paolo
Diacono (pag.4 libro IV cap. 6)

Cap. 6: Delle buone azioni della regina Teodolinda.


Per questa regina la chiesa di Dio conseguì molti vantaggi. Infatti i Longobardi, mentre
vivevano ancora nell’errore della religione pagana, avevano confiscato quasi tutti i beni
della chiesa. Ma dopo che il re [Agilulfo], mosso dalle salutari insistenze di Teodolinda, si
fu convertito alla fede cattolica, donò molti possedimenti alla chiesa di Cristo e restituì
all’onore della loro carica i vescovi in cattività e in avvilizione.

Tra queste donazioni, forse la più importante di tutte è legata alla fondazione, in Emilia, del
monastero irlandese (irlandese perché legato ad un monaco irlandese San Colombano) di
San Colombano di Bobbio.
Trattasi di uno dei più grandi e antichi monasteri del periodo alto medievale che ci ha
lasciato fonti straordinarie di tipo amministrativo utilissime per conoscere la vita rurale,
cioè la vita dei contadini dei secoli IX° e X°: testimonianze importanti quindi non solo della
storia religiosa d'Italia ma anche della storia del mondo rurale.

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QUARTA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
GIOVEDI’ 09.10.2014 ORE: 12,00 14,00.

Ieri ci siamo interrotti parlando della dominazione longobarda in Italia con l’epoca del
sovrano Agilulfo, la moglie Teodolinda e il pontefice Gregorio Magno.

Abbiamo detto che con Gregorio Magno i vescovi di Roma cominciano a esercitare anche
funzioni pubbliche importanti, in un momento nel quale la presenza imperiale
romana/bizantina in Italia è molto debole.
I bizantini si sono arroccati in alcune zone d’Italia, segnatamente nell’Italia meridionale, ma
anche a Ravenna e nel Lazio, ma loro effettiva autorità, la loro capacità di azione è molto
debole.
Tant’è che i pontefici cominciano a espletare funzioni pubbliche.
E’ in questo contesto, con Gregorio Magno e poi con i suoi successori, che la Chiesa di
Roma comincia, per la prima volta, a maturare l’idea di poter esercitare pieni poteri su un
determinato territorio italiano;
Questa aspirazione troverà sempre un ostacolo nella presenza longobarda, perché
l’obiettivo dei re longobardi, che si farà sempre più definito col passare del tempo, sarebbe
quello di creare una dominazione compatta dalle Alpi fino alla Calabria; ma questo
progetto politico di creare un regno omogeneo sul tutto territorio peninsulare, si scontrerà,
sempre, con la volontà della Chiesa di Roma di mantenere una forte autonomia politica,
una autonomia politica che poi si dovrebbe tradurre in un effettivo potere politico in alcune
zone dell’Italia.
E’ per questo che, sempre, la Chiesa di Roma ha dipinto i longobardi come dei
barbari feroci, anche dopo che questi si erano convertiti al cattolicesimo.

Conversione al cattolicesimo che comincia, timidamente, a manifestarsi, per l’appunto, tra


la fine del VI e l’inizio del VII secolo.
È una conversione che è lenta ma progressiva; ci vorranno circa cento anni perché
tutti i longobardi si convertano al cattolicesimo, fatto che si realizza alla fine del VII
secolo.
Pertanto, anche nell’Italia longobarda avremo sovrani e duchi che s’impegnano a fondare
chiese, a donare monasteri e via dicendo.
Ieri per esempio parlavamo del monastero di San Colombano di Bobbio, che viene
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fondato nell’epoca di Agilulfo, grazie a questo monaco di origine irlandese, Colombano,
che ha passato quasi tutta la sua vita in Gallia a fondare monasteri, e che poi in vecchiaia
arriva in Italia e che fonda questo cenobio nell’Appennino emiliano.

Cosa succede quindi dopo l’età di Agilulfo?


Dopo l’età di Agilulfo, il sovrano più significativo (non immediato successore ma di poco
posteriore) è Rotari, che diventa re nel 635, è l ultimo sovrano longobardo che
professa l'arianesimo, cioè che è cristiano ariano.
Rotari realizzerà l’ultima grande conquista territoriale longobarda con l’acquisizione della
Liguria, che negli anni 40 del VII secolo viene inglobata nel regno longobardo di
Pavia.

Ma Rotari è noto soprattutto per aver avviato, per aver promosso la prima
codificazione giuridica delle consuetudini longobarde, che in precedenza si erano
trasmesse solo per via orale.

Noi conosciamo usi e costumi dei longobardi quasi essenzialmente per via
dell'Editto di Rotari, promulgato a Pavia nel 643.
Abbiamo detto che il corpus iuris civilis ha bisogno di una libreria, ecco l’Editto di Rotari è
un libretto solo e nemmeno tanto grande; questo già da la dimensione della differenza di
complessità del quadro giuridico e quindi, inevitabilmente, di quello sociale, culturale,
economico e via dicendo.
I longobardi quando erano arrivati in Italia non avevano la scrittura, quindi l'editto è
scritto in latino, la lingua del diritto per eccellenza, la lingua della maggior parte
della popolazione governata dai longobardi.
E che lingua avranno parlato i Longobardi nel 643? Cioè circa 75 anni dopo il loro arrivo in
Italia.
Probabilmente all’epoca erano bilingue: parlavano una specie di latino, che ormai si
andava profondamente modificando, e un idioma germanico.
Ancora per poco però, perché già all’inizio dell’VIII secolo l’idioma germanico, molto
probabilmente, non era più parlato.
Paolo Diacono, che vive nell’VIII secolo, e che è di etnia germanica, non parlava un
idioma germanico, parlava soltanto un idioma locale, quindi romanzo, oltre al fatto che
conosceva il latino perché prima è funzionario alla corte di Pavia e poi monaco a
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Montecassino.
Partiamo dalla questione linguistica: che tipo di latino è quello dell’editto di Rotari?
L’editto di Rotari è scritto in un latino problematico. Perché ha un proemio, cioè un
proemio retorico in cui si spiega chi sono i longobardi e perché si mettono per iscritto le
loro consuetudini, scritto in un latino non classico ma grammaticalmente corretto, il che
non desta problemi, è un proemio molto breve.
Poi inizia l’editto vero e proprio, cioè il testo giuridico.
Questo latino è agli occhi del classicista un orrore, non torna niente, i casi non
tornano, le desinenze dei verbi non tornano etc. etc.

È pieno di vocaboli di origine germanica latinizzati. Perché questo editto di Rotari ha


questo latino corrotto? Non sapevano scrivere? A Pavia non riuscivano a trovare un notaio
che sapesse scrivere in latino corretto? Improbabile, cioè improbabile che non ci fosse
qualcuno, soprattutto in ambito ecclesiastico, che riuscisse a scrivere un testo in un latino
grammaticalmente corretto. E allora perché scrivere in quel latino? Per renderlo più
comprensibile. Per renderlo più comprensibile a chi, poi, lo doveva applicare nei
tribunali, che doveva usare quelle norme per stendere atti notarili e via dicendo.
Questo è importante. Perché? Perché quel latino li, corrotto e scorretto, creerà dei
precedenti.
Tutti i re longobardi successivi che vorranno aggiornare l'editto saranno obbligati a
usare volutamente quel latino scorretto.
I notai della tarda età longobarda e anche dell'età carolingia fino al XI secolo utilizzano
quel latino li, volutamente scorretto, perché è una caratteristica formale che dà valore
giuridico al documento stesso, come se ci fosse un timbro, una bolla, cioè quel tipo di
formulario scorretto in quel modo lì è il richiamo del testo di diritto per eccellenza, che poi
viene applicato nel diritto privato (eredità, testamenti, matrimoni, doti, successioni ecc.
ecc.).

Cosa c’è dentro questo editto?


Si tratta della messa per iscritto delle consuetudini tramandate fino ad allora solo
oralmente.
Noi non sappiamo nemmeno se quelle consuetudini fossero veramente le stesse
dell'epoca precedente al loro arrivo in Italia, forse si, forse no, le congetture si sprecano.
Quello che è certo è che li c'è poco di diritto romano; la lingua rimanda al diritto romano,
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cioè il latino, seppur scorretto come abbiamo detto, ma da un punto di vista dei principi,
li c’è poco di diritto romano, e c’è molto delle consuetudini dei popoli germanici.
Infatti vediamo come si configura questo editto: c'è la prima parte, molto breve, di
norme, in cui si stabiliscono le pene per coloro che attentano al potere costituito, quindi al
potere del re, dei suoi funzionari, dei così detti gastaldi, al potere dei duchi, qualsiasi
attentato all'ordine pubblico.
Poi c’è un ampia, innumerevole, estenuante, casistica molto simile a una sorta di tariffario,
di manuale di procedura penale, ma molto semplice e molto rozzo.
Il principio fondamentale di questo tariffario delle pene è il guidrigildo (dal tedesco
wergild), il valore pecuniario della persona, cioè la stima di quanto vale la persona in
base allo status sociale.
Il guidrigildo massimo è quello relativo alla vita dell'arimanno, poi a scendere.
Ci sono i semiliberi, poi ci sono i servi veri e propri. Nell'ambito dei servi bisogna
considerare quale mestiere svolgono: sono agricoltori, sono allevatori.
Dai guidrigildi scopriamo cose interessanti dal punto di vista socio-economico, perché
nell'ambito dei servi quelli che hanno un guidrigildo più elevato sono i guardiani di maiali;
il che vuol dire che fare il guardiano di maiali era ritenuto qualcosa di più importante che
fare il semplice contadino.
D’altra parte bisogna tener conto del fatto che l’Italia longobarda ha toccato il minimo
demografico, vi erano ampi spazi incolti, quindi con grande possibilità di allevare bestiame
allo stato brado, tant'è che vi sono documenti della tarda età longobarda in cui si misurano
le estensioni di boschi sulla base del numero di maiali che possono pascolare allo stato
brado (quanto è grande quel bosco? È un bosco da 100 maiali).
Da quanto detto si trae la dimensione dell’importanza dell'allevamento del bestiame allo
stato brado.
Le tariffe delle pene si basano sul valore della persona, sul guidrigildo.
Facciamo qualche esempio: se un arimanno stacca un dito ad un servo, pagherà al
padrone del servo 10 soldi, se gli stacca una mano ne pagherà 50, se gli taglia un
orecchio ne pagherà 12 e via dicendo)
Trattasi di un tariffario continuo (se durante una rissa uno spaccherà un dente ad un altro
pagherà tot., se gli spacca due denti il doppio, se gli spacca tre denti il triplo e via
dicendo).
Questo è l'editto di Rotari, un elenco continuo di multe.

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Un simile formulario consente di avere una certezza della pena, a parte le considerazioni
sull’adeguatezza o sulla giustizia della punizione in se, anche se un po’ rozza.
Ma qual era l’alternativa a comminare pene di questo tipo? La faida, parola di origine
germanica che sta ad indicare come si regolavano i conti prima dell’introduzione del
guidrigildo (tu uccidi un servo che apparteneva alla nostra tribù, e io uccido un servo
che appartiene alla tua tribù).

Quindi con il guidrigildo si arriva a disciplinare in qualche modo la società, a evitare


le degenerazioni della faida.
Naturalmente non tutto poteva essere regolato tramite compensazioni pecuniarie, perché
la giustizia è programmaticamente non uguale per tutti, quindi se un servo uccide un
arimanno verrà messo a morte.
Le multe: tutte queste tariffe, tutti questi guidrigildi, sono espressi in solidi (da qui
l’italiano Soldi).
Questa parola, solidus, rimanda a una moneta coniata dall’età di Costantino in poi, il
solidus aureus, cioè una moneta d'oro, quindi, teoricamente, se un arimanno uccideva un
altro arimanno doveva tirar fuori 900 monete d’oro, 900 soldi.
Però è totalmente inverosimile che qualcuno potesse tirar fuori 900 soldi nel VII secolo,
per il semplice fatto che la moneta circolava poco, ne venivano coniate pochissime.

Cosa significano tutti questi tariffari?


Significano che quelle monete, per esempio nell’editto di Rotari, non indicano una moneta
coniata che poi verrà versata (magari verrà versata solo in piccola parte).

Quella moneta serve fondamentalmente come misura di valore, più che come
mezzo di scambio.
C'è una bella differenza tra misura di valore e mezzo di scambio. Mezzo di scambio
significa che quella moneta viene effettivamente usata per regolare i pagamenti.
Se è solo misura di valore, vuol dire che ci vogliono altri mezzi di scambio alternativi.
Quali possono essere questi mezzi di scambio? Per esempio mucche, pecore, terre,
maiali e via dicendo. Cioè un pagamento regolato in natura. Quindi, naturalmente, prima
bisogna stabilire quanto costa una mucca, quanto costa una pecora, quanto costa un
maiale, quanto costa un ettaro di terra e via dicendo.
Comunque il pagamento non poteva essere regolato, se non in minima misura, dalle
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monete, perché queste circolavano troppo poco.
Dall’editto di Rotari apprendiamo altre norme di vita civile: ad esempio in una norma
dell’editto di Rotari si dice che la donna non è selp-mundia, cioè non ha autonomia
giuridica: deve essere sottoposta alla protezione di un padre, di un fratello, di un marito, il
quale esercita appunto la protezione, il mundium.
Questo fa la sua differenza, per alcuni secoli, tra la condizione femminile nell'Italia del
diritto privato longobardo e la condizione femminile nelle zone dove, invece,
continuerà a prevalere il diritto privato romano.
Questo vuol dire che in una zona, per esempio, come la Campania, a distanza di
pochissimi chilometri, la condizione giuridica della donna cambia notevolmente: a
Benevento, a Capua, a Salerno, dove vige il diritto longobardo, perché quella è terra del
duca di Benevento, la donna non è selp-mundia, non può in prima persona fare atti di
natura giuridica, ad Amalfi e a Napoli, invece si, perché li siamo in terra bizantina, e quindi
prevale il diritto romano.
Ci sono fonti anche più tarde rispetto all'editto di Rotari, dove noi vediamo che, quando la
donna veniva data in sposa, veniva registrato nell’atto notarile anche il passaggio del
mundium, dal padre o da un fratello (se non c’era il padre), al marito.
Ci sono documenti della Campania, anche di età posteriore al VII secolo, in cui
troviamo, per esempio, preti che si sposano, perché anche i preti si sposavano, e quel
prete prende il mundium della donna, cioè prende la protezione della donna, pertanto
questa cosa è durata per secoli.
L'editto di Rotari è molto importante per gli storici perché è una testimonianza decisiva per
comprendere i molti aspetti della società longobarda.
Inoltre segna un passaggio fondamentale nella storia dell’Italia longobarda, cioè il
passaggio dal diritto non scritto al diritto scritto, un elemento strutturale in quella lunga
fase al termine della quale le popolazioni longobarde e italiche tendono progressivamente
a fondersi dal punto di vista linguistico e giuridico.
Quelli che non compaiono nell’editto di Rotari sono i latini. Perché l'editto di Rotari
legifera, apparentemente, solo per i longobardi, ma è molto improbabile che quel
diritto non fosse applicato anche ai latini, perché comandavano i longobardi.

Come potevano i latini amministrare la giustizia in maniera autonoma? È quindi è molto


probabile che quell'editto, che formalmente è promulgato apparentemente solo per i
longobardi, venisse applicato territorialmente, cioè non ad personam, ma territorialmente
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su i territori controllati o dai re di Pavia o dai duchi.

Si diceva che Rotari è l’ultimo sovrano ariano, perché dalla seconda metà del VII secolo
si susseguono fondamentalmente sovrani cattolici, e questo facilita enormemente la
fusione tra le due componenti sul territorio italico.
In questo senso il periodo nel quale la fusione viene praticamente realizzata è quello
legato alla lunga stagione di governo del re Liutprando che governa dal 713 al 744,
oltre trent'anni.
Liutprando viene descritto da Paolo Diacono come un sovrano non solo illuminato, ma
anche particolarmente attento agli aspetti religiosi.
Fu grande costruttore di chiese e monasteri, benefattore da un punto di vista patrimoniale
di enti ecclesiastici e con la sua morte si interrompe la Historia Langobardorum; non
perché, diciamo la morte abbia sorpreso Paolo Diacono mentre la scriveva, ma perché lui
ha voluto programmaticamente interrompere la narrazione della storia del suo popolo con
l’ultimo grande sovrano di Pavia.

(dispense pag. 4 libro IV cap. 42- libro VI cap.58 Historia Langobardorum).


…..Questo gloriosissimo principe, nei diversi luoghi dove soleva vivere, costruì molte
basiliche in onore di Cristo. Eresse il monastero del beato Pietro che è chiamato “Cielo
d’oro”, fuori delle mura di Pavia. Fece costruire un monastero, il <<Berceto>>, anche sulla
cima del monte Bardone. In Olona, a Cristo ed in onore di Sant’Anastasio Martire, fece
innalzare una splendida chiesa con una bella scalinata, aggregandole anche un
monastero. Parimenti edificò chiese in onore di Dio in altri luoghi. Ne fece costruire una, in
onore di Dio Salvatore, anche all’interno della reggia, istituendo inoltre (ciò che nessun re
aveva mai avuto) un collegio di sacerdoti e chierici che gli celebrassero quotidianamente
gli uffici divini.
…… Liutprando, dopo trentun anni e sette mesi di regno, compì il corso della sua vita in
cui era già avanzato e venne sepolto nella basilica del beato Adriano martire dove riposa
anche suo Padre.
Figlio di Ansprando, scampò in giovanissima età alla vendetta di Ariperto II, che fece imprigionare
e mutilare la madre e i fratelli; Liutprando fu invece riconsegnato al padre, esule in Baviera. Rientrò
in Italia nel 712, quando il padre sconfisse e subentrò ad Ariperto, e venne immediatamente
associato al trono. Ansprando morì dopo appena tre mesi, lasciando Liutprando unico re.
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Fu un uomo di grande saggezza, prudente nelle decisioni, molto pio e amante della pace.
Valoroso in guerra, clemente coi re, casto, pudico, oratore pronto, generoso nelle
elemosine, pressoché ignaro di lettere e tuttavia degno di essere paragonato ai filosofi,
premuroso del benessere del popolo e attento legislatore. Agli inizi del regno occupò
moltissime fortezze dei Bavari; poi, confidando più nella preghiera che nelle armi,
conservò con somma attenzione le buone relazioni con i Franchi e con gli Avari.
Liutprando è noto anche per una decisione che riguarda in un certo modo anche la
Sardegna, perché durante il suo governo gli Arabi avevano occupato l'Africa, le zone di
Cartagine, Tunisi e via dicendo .
Dall’Africa avevano cominciato le loro scorrerie nel Mediterraneo occidentale.
Liutprando, animato da questo fervore religioso, di cui ci parla anche Paolo
Diacono, decide di mandare una nave a Cagliari per portare via la salma di
Sant’Agostino, che era stata da poco trasportata in Sardegna; l’avevano portata via
per impedire che la salma, di questo padre della Chiesa, cadesse nelle mani degli
infedeli.
La salma che era sepolta ad Ippona, cioè nell’odierna Algeria, era arrivata in Sardegna, ed
era stata seppellita a Cagliari nella zona del Largo Carlo Felice.
Arriva questa nave mandata da Liutprando per farsi dare la salma come per dire “datela a
noi perché qui non si sa se arriveranno gli infedeli, forse si”.
Questa salma viene portata a Pavia dove si trova tutt'ora, seppellita in una tomba
nel monastero di San Pietro in Ciel d’oro, dove fra l’altro c’è anche la salma di
Boezio (De Consolazione Filosofia).
Quindi, in San Pietro in Ciel d’oro sono sepolti questi due grandi pensatori della tarda
antichità.
Liutprando non è cosi pacifico come dice Paolo Diacono, anzi, lui è il primo che cerca di
occupare, riuscendoci solo in parte, il territorio bizantino dell'Italia settentrionale, cioè il
cosiddetto Esarcato di Ravenna.
Per il motivo detto in precedenza.
Liutprando ha l’ambizione di unificare tutta la penisola, eliminando tutti gli
insediamenti bizantini a partire dall'Esarcato e dalla Pentapoli, cosa che gli avrebbe
permesso di occupare, de facto, anche il ducato di Spoleto e quello di Benevento e
quindi ridurre a niente la presenza bizantina in Italia.
Questo fatto mette subito in allarme i vescovi di Roma.
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Uno dei successori di Liutprando, Astolfo, conquisterà effettivamente l'Esarcato, e
questo getterà nel panico i vescovi di Roma, che dicono “I prossimi a cadere saremo noi,
quindi noi diventeremo i vescovi del re di Pavia, la nostra capacità di azione politica
nell’Italia centrale sarà nulla”.
Ecco che si scatena la propaganda della chiesa di Roma, che continua a dipingere i
re longobardi come dei selvaggi nemici della chiesa, mentre sappiamo da Paolo
Diacono che non è così.
Il conflitto non è sul piano religioso, ma sul piano politico, e di questo erano consapevoli
anche gli umanisti italiani, perché il primo che ha detto che in Italia non c’è mai stato un
regno unito, perché il papa non ha mai voluto, è stato Nicolò Machiavelli, che ha fatto
proprio l’esempio della storia dei longobardi in Italia.
In effetti avviene questo: Astolfo conquista l'Esarcato.

Lo conquista in un periodo in cui non esiste più distinzione tra latini e longobardi, l'esercito
di Astolfo è un esercito formato su base censitaria, non etnica; cioè l’armatura che ognuno
deve portare addosso e pagarsi per conto suo, è regolato sulla base della ricchezza non
sulla base dell’origine etnica, quindi non si parla più né di longobardi né di latini, ma si
parla di terre e di ricchezze che uno può mettere in campo per armarsi.

L’Italia longobarda della metà del VIII secolo era un’Italia nel quale la fusione era
ormai cosa fatta.
Però c’è una motivazione politica che rende problematico questo disegno
longobardo, i pontefici non vogliono; e così chiamano in soccorso il re dei Franchi,
Pipino il Breve, che fra l’altro aveva un grosso debito nei confronti dei vescovi di
Roma.
Poi vedremo qual è questo grosso debito.
Questo grosso debito viene regolato con una spedizione militare con la quale
Pipino il Breve sconfigge Astolfo.
Astolfo è costretto a cedere, quindi, l' Esarcato a Pipino, che invece di restituirlo ai
bizantini, i legittimi proprietari, ne fa donazione al papa, e qui siamo all’origine dello
Stato della Chiesa.

Perché questa donazione territoriale dell'Esarcato, sicuramente non

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voluta dall'arcivescovo di Ravenna, che finiva in pasto all’arcivescovo
di Roma, segna l’inizio almeno a livello teorico, perché la sovranità
effettiva esercitata è tutta un’altra cosa, lo Stato della Chiesa
concretamente, come sul piano concreto nasce con il ‘200; però la
Chiesa ha una memoria molto lunga, conserva i documenti e porta
avanti un’ideologia politica, cosa che molti re non sono in grado di fare,
perché gli mancano proprio gli strumenti culturali per farlo. Qui,
effettivamente, siamo all'origine del potere temporale dei vescovi di
Roma.
I re longobardi che si succedono dal 754 al 768 sono dei re che stanno sulla difensiva,
che aspettano da un momento all'altro la loro fine, che si verificherà nel 774, quando il
figlio di Pipino il Breve, Carlo, detto Magno, re dei franchi, invade nuovamente
l’Italia chiamato in soccorso da un altro papa, e così finirà per conquistare tutto il
regno longobardo.
Ma di questo parleremo successivamente.
Quindi la fine del regno longobardo avviene per motivazioni che non
hanno niente a che fare con il conflitto di natura religiosa, ma che
hanno a che fare invece con la volontà politica dei pontefici romani di
non sottostare ad un potere superiore di natura temporale, cioè di non
diventare quello che erano diventati i patriarchi a Costantinopoli, cioè
gli arcivescovi dell'imperatore.

Diamo invece uno sguardo a cosa accade all’Italia che continua a rimanere sotto Bisanzio.

Cosa accade nella laguna veneta, cosa accade in Romagna, fino a che questa zona non
fa la fine che abbiamo detto, cosa accade nelle campagne laziali, a Napoli, in Calabria,
nella Puglia Meridionale, in Sicilia, in Sardegna.
Quali sono i fenomeni che caratterizzano le società di queste zone che rimangono in
possesso dei bizantini.

Intanto una profonda trasformazione, anche in questo caso delle èlites locali, che non

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sono più èlites di grandi latifondisti, perché la gran parte delle terre sono andate perdute.

Vi è poi una trasformazione notevole da punto di vista culturale; pure in queste zone
assistiamo ad una crisi molto forte da un punto di vista della cultura, perché anche
qui le istituzioni educative conoscono veramente un crollo.

Quindi, anche nelle zone che rimangono sotto dominazione bizantina, si assiste a
fenomeni che sono molto simili a quelli delle zone limitrofe sotto i longobardi:
militarizzazione delle élite per motivi ovvi “ci dobbiamo difendere”.

L'esercito che viene da Bisanzio arriva un anno si e venti no, quindi bisogna
organizzarsi localmente: chi possiede delle terre è obbligato a combattere per
difendere queste zone di confine.

Si assiste a cambiamenti profondi della società italica, anche nelle zone bizantine.
Tali cambiamenti, in qualche modo, richiamano fenomeni che stanno maturando, che sono
maturati nelle zone occupate dai longobardi.

Le differenze fondamentali sono sul piano giuridico, perché qui continua a prevalere
il diritto privato romano e non il diritto privato longobardo.

Qui ovviamente il potere delle chiese è più forte, almeno inizialmente: il potere
dell'arcivescovo di Ravenna è quasi pari a quello dell’Esarca, perché l’arcivescovo
possiede la gran parte del territorio ravennate, per non parlare del potere e della ricchezza
dei vescovi di Roma, ma anche delle chiese siciliane.

In alcune di queste zone assistiamo a fenomeni comuni che consistono nella lenta, ma
progressiva, tendenza all'autonomia sul piano politico delle élite locali.
L'autorità bizantina si fa sentire molto di più in Sicilia, in Calabria e nella Puglia
Meridionale che nel resto delle altre province.

In queste province più lontane, i contatti con Costantinopoli vanno rarefacendosi ed i


funzionari mandati da Bisanzio tendono a essere accettati sempre più malvolentieri perché
visti come dei corpi estranei, se non altro dal punto di viste linguistico, perché questi
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funzionari parlano greco, una lingua spesso mal compresa.

In queste zone, si assiste alla tendenza, da parte delle èlites locali, a trasformare le
cariche pubbliche, che dovrebbero essere coperte dai funzionari provenienti da
Costantinopoli, in cariche pubbliche ricoperte da membri delle élite locali stessi.
Dove noi troviamo più concretamente questi fenomeni, che poi si realizzeranno
completamente grosso modo tra VIII e IX secolo?

Intanto nella laguna veneta; alla fine del IV secolo il dux, cioè il governatore della
laguna, non sarà più un funzionario che viene da Bisanzio, ma sarà un membro
dell'élite locale lagunare: la parola doge, veneziana, viene da dux.

La parola è la stessa; fino a un certo momento indica un funzionario che


viene da fuori, e a un certo punto, invece, gli abitanti della laguna
dicono “no, noi accettiamo la sovranità di Bisanzio, ma il duca ce lo
scegliamo noi, è uno dei nostri.

In un certo periodo, un periodo di passaggio, c’è bisogno di una conferma, cioè che
l’imperatore dica “Si va bene quello che avete scelto è ok”, poi da un certo momento in
poi, i veneziani fanno per conto loro e basta.

Non è una rottura traumatica, è una rottura che sta nelle cose, perché l'impero bizantino, a
lungo, fino grosso modo alla metà del IX secolo è un impero sulla difensiva, è attaccato da
tutte le parti.

Prima i longobardi, poi gli slavi, poi i persiani, poi arriveranno gli arabi, quindi è un
impero che tende ad accartocciarsi sulla sua capitale, e quindi, come dire, accetta un dato
di fatto.
D’altra parte non poteva inviare flotte a riportare l’ordine, e quindi accetta di rimanere
imperatore nominale di queste zone, anche se non di fatto.

Dove troviamo fenomeni simili a quello veneziano? Per esempio a Gaeta, ad Amalfi,
a Napoli: anche qui troviamo dei duchi, solo che da un certo momento in poi non
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sono più funzionari bizantini, ma principi locali.

La differenza sostanziale, nel lungo periodo, tra il caso veneziano e quello dei ducati
campani è che mentre a Venezia il doge è eletto, anche se la carica è vitalizia, a Gaeta, a
Napoli e ad Amalfi si affermeranno dinastie, il che vuol dire che il potere si passa di padre
in figlio.

Naturalmente, anche in questo caso, c’è bisogno del consenso dell'élite, altrimenti
queste dinastie saltano.

Però intanto c’è una differenza sostanziale.


Anche nel Lazio assistiamo a un fenomeno del genere, solo che in questo caso chi
è che prende il posto di fatto del funzionario bizantino? Il papa, che esercita un
potere sulle campagne laziali.
Poi ancora dove troviamo questo fenomeno, sul quale però possiamo solo
fare congetture perché non sappiamo niente sino all’inizio dell’XI secolo? La
Sardegna: il giudice, il cui titolo compare per indicare un re locale all'inizio del
IX secolo, è un titolo che rimanda a un funzionario bizantino; ma in un
momento imprecisato di cui non sappiamo praticamente niente perché
mancano testimonianza scritte, si passa anche in questo caso da un giudice
che viene da Bisanzio ad un giudice espressione di élite locali, e così quando
usciamo dalle nebbie documentarie, quindi nel XI secolo, noi troviamo quattro
giudici, cioè quattro signori, che controllano altrettante zone dell’isola.

Quindi è un fenomeno che riguarda la laguna veneta, le città campane, la Sardegna, e


quindi tutto questo mondo, come dire, periferico, lontano bizantino.

C'è poi un elemento che sconvolge l'Italia bizantina nel VIII secolo, un fenomeno di
carattere politico religioso, che si manifesta però nel cuore dell'impero bizantino ma che ha
riflessi importantissimi nel rapporto tra Bisanzio e la chiesa di Roma.
Questo fenomeno si chiama Iconoclastia.
L’Iconoclastia, letteralmente, è la distruzione delle immagini: è una politica

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perseguita da alcuni imperatori bizantini del VIII secolo, che si concretizza poi nella
distruzione di dipinti di santi e anche della Vergine, e la sostituzione di queste
immagini con immagini dell'imperatore.
Ora non è il caso di approfondire questo argomento, perché ci porterebbe troppo lontano,
ci porterebbe a discutere di aspetti molto particolari della Chiesa ortodossa.
Ci interessa sottolineare un fatto: questa politica voluta dagli imperatori ha molte
motivazioni.
Certamente contano le numerose sconfitte degli imperatori ad opera degli Arabi,
che erano considerati infedeli.
E quindi l’imperatore diceva “Dio ci ha allontanato, noi perdiamo perché abbiamo fatto
qualcosa di male a Dio. Cosa abbiamo fatto di male? Stiamo tornando all’idolatria”.
Come si configura l’idolatria?
Adorando i santi, la Vergine, tutte forme molto diffuse nell'oriente bizantino e che parevano
agli imperatori di Bisanzio, e forse non avevano del tutto torto, una sorta di ritorno al
paganesimo.
Questa adorazione delle immagini, questa adorazione delle icone, che è molto forte,
ancora oggi, nella tradizione ecclesiastica bizantina, ma è abbastanza forte anche
nell'Italia Meridionale (basterebbe vedere quante edicole e quante icone ci sono a Napoli).

Ha molto a che fare con le modalità con cui il Cristianesimo si è sovrapposto con il
paganesimo, a tutte quelle religiosità pagane che vengono sussunte all’interno della
religiosità cristiana (quindi si adora la vergine come prima si adorava la dea Atena, la dea
Era, Afrodite, ecc.); la vergine poi ha una serie di sfumature che riassumono per certi
aspetti le religiosità pagane precedenti.

Fatto sta che gli imperatori dichiarano guerra al culto delle immagini e impongono a tutti i
vescovi dell'impero di obbedire, e quindi di distruggere le immagini sacre, soprattutto
quelle dei santi.
Si scagliano soprattutto contro i monaci.
Ebbene il pontefice dice “no, questa è una cosa sbagliata”.
E poi c’è anche il problema politico, perché l'imperatore vuole usare l'iconoclastia
per imporre la sua volontà anche al pontefice; il pontefice si oppone, e a questo
punto l’imperatore sottrae tutte le diocesi dell’Italia meridionale al controllo
dell’arcidiocesi romana e le pone sotto il controllo del patriarca di Costantinopoli,
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poi prende tutti i latifondi che la chiesa di Roma aveva in Calabria e Sicilia e li
confisca, e li passa al demanio imperiale.

A questo punto i pontefici sono molto arrabbiati: hanno perso il controllo delle chiese
nell’Italia meridionale e il controllo delle terre che loro gestivano in Calabria e in Sicilia.
E questo cosa fa pensare ai papi?
Fa pensare che da est c’è poco da aspettarsi di buono, “vogliamo avere un aiuto di fronte
ai longobardi, non ce lo possiamo più sognare da oriente, cerchiamolo a occidente”.
E dove lo troveranno?
Nel regno dei Franchi.
Quindi questa svolta occidentale, da un punto di vista politico, della Chiesa di Roma, è
legata a questo scontro di natura politico – ecclesiastica con la Chiesa d’Oriente; con il
fenomeno dell’iconoclastia.

Abbiamo detto che l’Italia bizantina, le provincie bizantine dell’impero devono organizzare
autonomamente, su base locale la propria difesa, perché l'impero non è in grado di
mandare significativi contingenti, cioè non ha le risorse per proteggere le sue provincie
occidentali: perché?
Perché l’impero è sulla difensiva su molti fronti.
L'occupazione longobarda della penisola italiana è solo il primo di questi attacchi
profondi e incisivi all'impero stesso.

Tra al fine del VI e l inizio del VII secolo, numerosissime tribù slave, provenienti
dell'Europa orientale, passano il Danubio e cominciano a insediarsi nei Balcani, non solo
nei Balcani settentrionali, ma penetrano anche nella Grecia stessa.
Ci sono insediamenti tribali slavi persino nel Peloponneso, cioè nella Grecia più
meridionale. La Grecia del VII secolo è una terra sulla quale la sovranità dell'imperatore è
minima e nella quale si parla più slavo che greco.

Ci vorrà un’intensa opera di acculturazione, di grecizzazione di queste popolazioni, che


poi tramite la grecizzazione verranno riassorbite all’interno della compagine imperiale,
perché nel corso del VII secolo molte di queste zone erano andate perdute e si parlava
una lingua slava.

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Gli slavi determinano, nella loro penetrazione balcanica, anche una gravissima crisi
dell’urbanesimo: non erano abituati a vivere nelle città e quindi si insediano nelle
campagne, molte campagne vengono attaccate, saccheggiate e quindi c’è una fortissima
crisi del popolamento urbano.

Dove è che resiste il popolamento nei Balcani? Solo lungo la costa, cioè lungo la
cosiddetta Dalmazia (Sebenico, Zara, Ragusa, Spalato, l’odierna Durazzo e via
dicendo).
Questi slavi erano pagani e anche loro non conoscevano la scrittura. E quindi anche in
questo caso l’impero di Costantinopoli si trova a fronteggiare un gravissimo problema.
Oltretutto nel corso della seconda metà del VII secolo, penetrano da nord nei Balcani
anche popolazioni turco – mongoliche, che poi si fonderanno con le popolazioni slave.

La più importante di queste popolazioni, di origine turco – mongolica è quella dei


Bulgari.
I bulgari delle origini sono turchi, linguisticamente e etnicamente. Siccome erano in
minoranza rispetto agli slavi, poi furono slavizzati nella lingua e nei costumi.

Quale fu nel corso dei secoli la politica bizantina nei confronti di queste popolazioni
slave?
Fu una politica condotta con metodi differenti, da una parte la guerra, che spesso
però non vedeva vincitori le armate di Bisanzio, dall'altra la conversione al
Cristianesimo.

Non di rado la conversione al cristianesimo fu il preludio a trattati di alleanza e alla


sottomissione delle popolazioni slave all'impero (riassumo molto sommariamente).
Fate caso a quali paesi slavi, oggi, usano l'alfabeto cirillico (la Bulgaria, la Serbia, la
Russia): i paesi che oggi usano l’alfabeto cirillico, sono paesi che sono stati cristianizzati
da missionari greci venuti da Bisanzio, mandati dal patriarca di Costantinopoli, che
generalmente parlavano sia il greco che l’antico slavo e che hanno costruito sulla base
dell'alfabeto greco un alfabeto adatto alla fonetica slava, appunto il cirillico che prende il
nome da uno di questi monaci bilingue che veniva da Salonicco, Cirillo, che col fratello
Metodio nel corso del IX secolo avrebbe iniziato questa campagna di evangelizzazione.

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Quindi i bulgari, i serbi, i macedoni sono stati evangelizzati da missionari
provenienti da Bisanzio.

Ci sono poi altri stati, ed altri popoli slavi, oggi, cristiani, che però non usano
l’alfabeto cirillico: i croati, gli sloveni, i polacchi, i boemi.

Questi usano l'alfabeto latino.

Come mai usano l’alfabeto latino? Perché non sono stati convertiti al
cristianesimo da missionari provenienti da Costantinopoli, sono stati convertiti
al cristianesimo da missionari provenienti dell'occidente, dall'impero franco o
da Roma. quindi sono stati convertiti al cristianesimo nella forma romana e
non nella forma greca, e per questo hanno ancora oggi l’alfabeto latino.

Quali altri pericoli deve affrontare l’impero di Bisanzio nel corso del VII secolo:
inizialmente, durante i primi trent'anni circa, l'impero di Bisanzio si trova davanti
alla gravissima sfida portata dall'impero persiano, l’impero della dinastia Sassanide.

Anche qui riassumo molto sommariamente, si tratta di una guerra che dura quasi
trent’anni e che sembra sul punto di far scomparire l’impero di Costantinopoli, perché i
persiani occupano l'Egitto , la Palestina, la Siria.

Poi però, un imperatore, Eraclio, che governerà da 610 al 641, riuscirà a sconfiggere
l’impero persiano, arrivando, addirittura, a Ctesifonte capitale dell'impero persiano.

Questa però è una guerra che avrà un impatto devastante sull’impero, perché è una
guerra molto lunga, molto sanguinosa e molto dispendiosa.

L'impero bizantino esce vincitore da questa guerra pluridecennale con l’impero persiano,
ma non fa in tempo a gioire che da sud – est arriva un altra minaccia, ancora più grave,
che proprio sconvolgerà completamente l'asseto politico del Mediterraneo e del Medio –
Oriente.
Questa nuova minaccia è costituita dagli ARABI.
99
Gli Arabi costituiscono con la loro irruzione nella civiltà mediterranea uno degli
elementi fondamentali della storia dell’alto medioevo.

Oggi, infatti, siamo abituati a pensare, anzi è la realtà, che esiste una sponda
settentrionale del Mediterraneo, e esiste una sponda meridionale del Mediterraneo.
E queste due sponde purtroppo, per motivi di tutta evidenza, hanno dei problemi a
confrontarsi tra loro.
Quando è nata questa divisione tra la sponda settentrionale e la sponda meridionale del
Mediterraneo?
È nata con l’impero degli Arabi.
Il Mediterraneo era un tutt’uno con l’impero romano e continuava, per certi aspetti, ad
essere un tutt’uno anche dopo la fine dell’impero romano d’occidente, perché sempre
cristiani c’erano, sia a nord che a sud.
Anche se si parlavano lingue differenti.
Con gli Arabi la storia del Mediterraneo cambia, cambia radicalmente.
Cambia non tanto per gli aspetti di cui si parla oggi, ma cambia perché c’è una frattura
politica importante. Chi sono questi Arabi? Da dove vengono? Cioè qual è la storia degli
Arabi prima della loro irruzione nel Mediterraneo?

È una storia marginale, cioè gli Arabi, il cui nome è legato appunto all’Arabia, per secoli
sono stati ai margini della grande storia e ai margini dei grandi imperi.

Sono stati ai margini della storia dell’antico Oriente, se ne parla pochissimo; sono
generalmente abitanti del deserto che fanno una vita particolare, dediti a pratiche di
nomadismo, che non hanno costituito delle entità statuali degne di questo nome, tranne
che nello Yemen, che ha un clima tutto suo particolare, che è già in contatto con le civiltà
indiane.
Anche nell’antico testamento si parla degli Arabi, ma come, appunto, di popoli sullo
sfondo.

Secondo la genesi è dalla schiava di Abramo, Agar, che sarebbero nati gli Arabi, da
cui il nome, anche di Agareni, che sarebbe il termine letteralmente corretto, e non
quello di Saraceni, Saraceni in realtà deriva da un errore interpretativo perché Sara era la
100
moglie di Abramo, non la schiava, quindi la discendenza legittima, quella che hanno
Abramo e Sara, che partorisce quando ormai non potrebbe più, ormai è anziana,
sarebbero in realtà gli Ebrei, non dovrebbero essere gli Arabi.

Gli Arabi, quindi, sono una popolazione di tipo semita, come gli Ebrei, di cui si sa
poco o niente prima della fine del VI secolo.
Provengono dall’Arabia.
L’Arabia è un territorio molto ostile, un deserto senza quasi soluzione di continuità, quindi
con un clima non propizio all’insediamento umano, tranne in alcune zone dove si trovano
le oasi, dove si trovano le sorgenti d’acqua.
Gli abitanti di questi deserti erano abituati a spostarsi con carovane di cammelli, lungo
antichi corso d’acqua disseccati, i cosiddetti uadi.
La zona meridionale della penisola arabica ha, invece, un clima diverso, perché li arrivano
i monsoni dall’Oceano Indiano.

Quindi ci sono le piogge lungo la costa, è possibile praticare l’agricoltura, che invece è
impossibile all’interno e al nord.
Il mondo del deserto è per eccellenza il mondo dei beduini.
Beduino significa letteralmente, abitante del deserto in arabo.

Che tipo di società è quella dei beduini? È una società caratterizzata dal nomadismo,
dall’attività pastorale e dalle razzie.

I beduini hanno nel loro stile di vita anche la razzia. Che è un connotato di molte
popolazioni nomadi che praticano l’allevamento.

E quindi sono anche società nelle quali il beduino spesso gira armato e nelle quali i valori
della fierezza, del coraggio e della lotta sono particolarmente apprezzati.
Questi beduini vivono in tribù, in arabo umma.
Queste tribù, queste umme, si regolano sulla base di consuetudini trasmesse oralmente,
le cosiddette sunne.
Il capo della tribù porta il nome di Sayyid.
È un capo generalmente eletto, quindi c’è una similitudine tra le modalità in cui si
regolavano queste tribù di beduini e le tribù meno progredite dei popoli germanici, con
101
questo capo eletto prima di spedizioni, di migrazioni e via dicendo.

In queste tribù di beduini, la donna è considerata un bene acquisibile, quindi non


c’è la dote, come nel mondo romano, cioè non è la famiglia della sposa che tira fuori
la dote, ma è la famiglia dello sposo che dà qualcosa in occasione del matrimonio.

Fatte attenzione a questi elementi perché la religione islamica si è


sviluppata in questo contesto, in un contesto in cui la donna viene
acquistata, e in cui gli uomini possono avere tante donne, infinite
donne, quindi non è l’Islam che genera questo meccanismo in cui la
donna è assoggettata, è la società in cui nasce questa nuova religione
che prevede questa condizione di assoggettamento della donna; cioè le
religioni monoteiste si sviluppano in contesti, tutte e tre, in contesti nei
quali c’è una forte gerarchia, e c’è un assoggettamento della donna
all’uomo.

Non c’è una grande differenza (a parte la poligamia che viene disciplinata
dall’Islam), tra l’Islam, l’Ebraismo e il Cristianesimo.
E’ sufficiente ricordare che l’adultera nel Vangelo doveva essere lapidata, come ancora
accade in certi paesi islamici.
Una donna che commetteva adulterio, secondo la Bibbia, doveva essere lapidata, perché
questa era la punizione adeguata per l’adulterio femminile.
(Nella Bibbia si dice, in alcuni dei libri, che anche gli omosessuali dovevano essere uccisi,
perché compiono atti spregevoli contro natura).

Quindi, attenzione, le religioni si sviluppano in contesti in cui la donna, come altre


categorie, sono in condizione di sudditanza, quindi non è la religione che genera la
sudditanza, è il contesto di sudditanza in cui si sviluppa la religione che fa si che la
religione prenda questi costumi. Quindi la donna un bene acquisibile.

Che tipo di religione prevaleva nell’Arabia preislamica?


Un vasto ed eterogeneo politeismo: chi adorava gli astri, chi gli alberi, chi le pietre;

102
esisteva quindi un pantheon differenziato di divinità.
Tra queste divinità c’era anche quella ritenuta superiore, ALLAH, che letteralmente
significa “il Dio”.
Non ha un nome come il Dio dell’Antico Testamento.
Esistevano, ovviamente, anche dei luoghi di culto politeisti, luoghi di culto che,
generalmente, erano meta, sia del pellegrinaggio, sia di attività commerciali, come spesso
avviene, il luogo di culto diventa luogo di culto e quindi un centro dove si scambiano le
merci.
Nelle poche città presenti nell’Arabia preislamica, erano presenti anche piccole comunità
ebraiche e cristiane; piccole da un punto di vista numerico, però importanti, perché la
presenza dell’ebraismo e del cristianesimo nelle poche città arabe, ha un’importanza
fondamentale nello sviluppo dell’Islam.
Da un punto di vista politico, l’Arabia era completamente disgregata, cioè non esisteva un
centro politico, non esisteva un’unità politica, molte zone si autogovernavano, l’una
rispetto all’altra.
La città più importante dell’Arabia era La Mecca, non molto distante dalla costa del Mar
Rosso.
La Mecca era uno di quei centri fondamentali del pellegrinaggio religioso e del commercio.

Perché? Perché li, oltre a sorgenti d’acqua che rendevano possibile la vita urbana, c’era
anche una gigantesca pietra, molto probabilmente un meteorite, la cosiddetta KAABA,
che era meta di pellegrini, di fedeli.

Questa pietra, che veniva adorata dal politeismo arabo, verrà poi fatta propria dall’Islam, e
si dirà quindi che quella pietra è il dono fatto ad Abramo, in arabo Ibrahim, ma è la stessa
parola, è lo stesso nome ( il calciatore Ibrahimovic, è un bosniaco di origine, quindi i suoi
antenati erano musulmani; ic in slavo vuol dire “figlio di”, quindi sarebbe il figlio di Ibrahim,
in slavo, in serbo).
Per l’Islam, Abramo, come per gli ebrei e come per i cristiani, ha un’importanza
fondamentale, perché è il primo che rigetta il politeismo per accettare il
monoteismo, l’unico Dio.

Questa pietra nera, quindi, diventerà un dono dell’arcangelo Gabriele ad Abramo e a suo
figlio Ismaele, che è considerato per l’appunto il fondatore mitico del popolo arabo.
103
Chi comanda a La Mecca? Comanda un clan tribale, i cosiddetti QURAYSH, un clan
tribale di cui faceva parte anche la famiglia di MUHAMMAD, MAOMETTO, il quale nasce
a La Mecca nel 570.

Muhammad in arabo significa “il lodatissimo”.

Il nonno di Maometto era il custode di una fonte d’acqua: può sembrare un particolare di
nessun rilievo, ma in un ambiente come quello dell’Arabia l’acqua è molto importante,
quindi il custode di una fonte d’acqua è una carica non del tutto secondaria.

Sappiamo molto poco, anzi quasi niente, della gioventù di Maometto; probabilmente
svolse attività commerciali, ma non sappiamo nemmeno, perché non è sicuro, se lui
sapesse leggere e scrivere, e per la verità non sappiamo nemmeno quanto fosse diffusa la
scrittura nell’ambiente arabo precedente la diffusione dell’Islam.

Comunque sia, ad un certo punto della sua vita sposa un ricca vedova, KHADIJA, che è
considerata una delle donne sante dell’Islam, insieme a Maria madre di Gesù e alla
moglie del faraone che salva Mosè dalle acque.
Questa Khadija permette a Maometto di abbandonare, per molti aspetti, il lavoro e di
dedicarsi alla meditazione spirituale.
Maometto quindi entra in contatto con ebrei, con cristiani e comincia a riflettere sulla
religiosità.
Tra il 26 e il 27 del mese di RAMADAN dell’anno 610 (calendario lunare, perché gli Arabi
seguivano un calendario lunare, quindi un ciclo di 354 giorni, il che vuol dire che ogni anno
si perdono più di 10 giorni, e del resto anche gli Ebrei avevano un calendario lunare),
durante la notte, mentre vaga nel deserto, Maometto riceve la visione dell’arcangelo
Gabriele, in arabo Jibril.
In questa visione Maometto riceve, come dire, l’obbligo di lodare Allah, e soltanto
Allah, cioè la visione dell’arcangelo Gabriele è la data di nascita del monoteismo
islamico.

Oggi, quindi, quando i musulmani festeggiano il Ramadan, cioè il mese durante il quale
con la luce del sole non si può ne mangiare, ne bere, ne avere rapporti sessuali, ricordano
il mese della cosiddetta NOTTE DEL DESTINO, cioè della notte in cui sarebbe cambiato il
104
destino di Maometto e di tutti gli arabi con il passaggio all’Islam, che significa
“sottomissione ad Allah”.

Maometto quindi si considera un profeta, cioè una persona dalla cui bocca esce la parola
di Dio: lui non è una divinità, è un intermediario, un profeta.
Maometto si considera l’ultimo di una lunga serie di profeti; quando iniziano questi profeti
per Maometto?
Con Abramo, poi c’è Mosè, poi ci sono tutti i profeti dell’Antico Testamento e poi c’è Gesù
Cristo che è considerato un profeta, non il figlio di Dio, per i musulmani, però è un profeta.

Questo cosa significa? Significa che Maometto considerava l’Islam, cioè la religione che
lui professava, come il completamento, il perfezionamento dell’Ebraismo e del
Cristianesimo, infatti per Maometto e per i musulmani, Ebrei e Cristiani erano considerati i
popoli del libro, perché avevano avuto un libro sacro da Dio: l’Antico Testamento e il
Nuovo Testamento.
Con chi ce l’ha Maometto? Con i pagani, con il politeismo, che considera semplicemente
degli idolatri.
Islam, quindi, è sottomissione ad Allah, MUSLIM, il musulmano, il credente, colui che
crede ad Allah.

Sapete come pregava inizialmente Maometto? Con lo sguardo rivolto verso


Gerusalemme, per alcuni anni, poi siccome non riusciva a convincere Ebrei e Cristiani che
loro dovevano adeguarsi a questo perfezionamento disse “basta, allora io non prego più
verso Gerusalemme, e prego verso La Mecca”.

Però, inizialmente, pregava verso Gerusalemme.


C’è, quindi, un fortissimo legame, un indissolubile legame tra Ebraismo, Cristianesimo e
Islam, almeno da un punto di vista ideologico. Se vi capitasse di leggero il Corano, voi
trovereste li dentro passi biblici, cioè ci sono episodi della Genesi ripresi, riassunti
modificati, la storia di Giuseppe e i suoi fratelli in Egitto, si trovano tra le sure del Corano,
episodi della vita di Gesù Cristo, nelle sure del Corano.

Durante questa predicazione Maometto incontra delle fortissime ostilità.


Perché? Perché lui gira per la mecca dicendo a tutti che le statue, le pietre, tutto quello
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che adorano gli arabi è niente, è fumo, è idolatria.
Dice “distruggeteli tutti questi idoli”.
E’ Allah, invece, l’unico Dio.
Solo che i capi clan dei Quraysh la prendono molto male, perché la loro supremazia
politica in città si fondava su quei culti, su quei culti pagani.
Negare la validità a quei culti voleva dire minare le basi ideologiche del loro potere in città.
Non potevano, quindi, sconfessare quegli dei che sostenevano la loro supremazia, la loro
egemonia cittadina.
E così i capi clan Quraysh decidono che l’unico mezzo per risolvere la questione è
ammazzare Maometto.
A questo punto Maometto, avvertito, fugge da La Mecca: 16 luglio dell’anno 622, l’anno
zero del calendario islamico, la cosiddetta ÈGIRA, la fuga, la fuga di Maometto nel
deserto, finché, dopo centinaia di chilometri, Maometto e i suoi seguaci raggiungono
un’oasi nel deserto, YATHRIB, che poi cambierà nome in MEDINA, che significa “la città
del profeta”.
In questa città, più a nord de La Mecca, Maometto e i suoi seguaci rimarranno per alcuni
anni.
Lì Maometto diventa, oltre che un capo religioso, anche un capo politico.

Questa è forse la più profonda differenza tra l’Islam e il Cristianesimo, cioè il fatto
che non c’è una separazione sul piano giuridico tra il testo sacro e il testo che si
deve utilizzare in un tribunale, che invece è molto ovvia nel mondo cristiano, perché
il Cristianesimo si è innestato nell’impero romano, l’impero romano aveva una
concezione della religione tale che non poteva essere sconvolta e infatti il diritto
romano, da un certo momento in poi, è influenzato, ma è separato dal testo sacro.

Invece nell’Islam, (per questo si parla di legge coranica), storicamente, si utilizzavano i


testi sacri per applicare la legge nei tribunali.
Maometto, è contemporaneamente un capo politico e un capo religioso.

Per alcuni anni, quindi, Maometto fa proselitismo nell’Arabia, ma contemporaneamente,


mentre fa proselitismo, fa guerra agli abitanti de La Mecca, perché li considera nemici
della fede, e così ci sono continue spedizioni contro, per esempio, le carovane che escono
da La Mecca che portano merci in giro per tutta l’Arabia.
106
Ad un certo punto i capi clan de La Mecca dicono “basta, ci convertiamo, ci
convertiamo tutti all’Islam”, e così Maometto fa il suo ingresso in città.

E sapete come è sancita questa alleanza tra i medinesi e i meccani?


Con tutta una serie di matrimoni: i Maometto sposa la figlia di un capo Quraysh, dà la
propria figlia in sposa a uno di loro e via dicendo.
Il matrimonio sancisce questo legame, la fine delle ostilità tra i medinesi e i
meccani.
Quali sono gli elementi fondamentali dell’Islam? Il testo sacro dell’Islam è il Corano che
letteralmente significa “recitazione”, perché il Corano è scritto in forma poetica, quindi era
ed è adatto ad essere cantilenato, quindi mandato a memoria.
La lingua in cui è scritto il Corano è la lingua dei beduini del deserto, cioè l’arabo parlato
nel deserto.
Il Corano si compone di 114 sure, cioè 114 capitoli. E li si trovano i cosiddetti pilastri della
fede.

Il Corano, però, non è stato messo per iscritto al tempo di Maometto, è stato messo per
iscritto circa 20 anni dopo la sua morte. Quindi c’è stata una fortissima tradizione orale che
è stata conservata mnemonicamente dai suoi seguaci, e poi fatta mettere per iscritto da un
CALIFFO, il califfo OTHMAN, circa 20 anni dopo la morte del profeta.

Infatti nel Corano voi trovate sure meccane e sure medinesi, cioè sure che rimandano al
periodo di Medina e sure che rimandano al periodo de La Mecca.
Quali sono quindi i pilastri fondamentali della religione islamica?
Intanto la doppia professione di fede, Allah è l’unico Dio e Maometto è il suo profeta, e
soprattutto è l’ultimo profeta, la cosiddetta SHADADA.

(Domanda studente: perché non ci poteva essere un altro profeta? Risposta prof: perché
lui perfeziona, avendo perfezionato non ci può essere un ulteriore sviluppo).
Cosa si fa di coloro che non vogliono accettare l’Islam? Se sono politeisti, niente, si
devono convertire, altrimenti bisogna ucciderli.

Cosa si fa, invece, di ebrei e cristiani? Quelli sono tollerati, sono considerati DHIMMI, che
107
significa, appunto, tollerati: possono tranquillamente continuare a praticare i loro culti,
quindi possono continuare ad avere le loro chiese, però non devono fare proselitismo.

Con il problema però del matrimonio femminile, una donna cristiana che sposa un
musulmano ha l’obbligo di convertirsi.
Altro pilastro della fede: la preghiera. La preghiera individuale 5 volte al giorno.
Come però? Bisogna isolarsi dal terreno, con una stuoia, un tappeto, qualsiasi cosa che
isoli il fedele inginocchiato dal terreno.
Questo quello individuale.
Altrimenti c’è la preghiera collettiva, il venerdì giorno sacro dell’Islam, nella Moschea, con
la partecipazione di studiosi del Corano e delle SUNNE, che sono i testi interpretativi ed
esplicativi del Corano.
Questi studiosi sono gli IMAM.
Altro pilastro fondamentale è il Ramadan, il mese sacro, però non c’è un obbligo
stretto, per esempio donne incinta, anziani e bambini non sono obbligati a seguire il
Ramadan.
C’è il pellegrinaggio a La Mecca, che diventa città santa. Anche qui sarebbe obbligatorio
almeno una volta nella vita, fatte salve condizioni di forza maggiore.
C’è l’elemosina legale, il 10% del proprio reddito, un’elemosina che serve per fare
assistenza, quindi per dare sostegno ai poveri e via dicendo.
E poi ci sarebbe un sesto pilastro la cui interpretazione, ovviamente, è molto controversa.
Qual è questo sesto pilastro? La JIHAD.

La jihad che sempre è stata interpretata in maniera differente. Perché secondo alcuni
teologi musulmani, la jihad è semplicemente una lotta interiore, cioè una lotta contro le
tentazioni, una forma di lotta che troviamo in qualsiasi religione monoteista, cioè l’individuo
che lotta di fronte alle tentazioni del male, quindi una lotta con se stesso e contro parti di
se stesso che si vogliono rimuovere.

Per altri, invece, la jihad è la guerra santa, conquistare le terre per espandere la
fede.

Ora, in realtà, gli Arabi subito dopo la morte di Maometto, che si verifica nell’anno 632,
hanno conquistato mezzo mondo.
108
Quindi hanno fatto la guerra a tutti.
Però ci sono molti dubbi fondati che il movente principale fosse la volontà di convertire i
popoli sottomessi, perché molte delle regioni che loro conquistarono continuarono a lungo
a conservare le religioni monoteiste precedenti.
Le motivazioni per le quali gli Arabi si lanciarono in guerre, che riuscirono tutte vittoriose
nel giro di pochi anni, non sono difficili da trovare: il fanatismo?
Va beh però questo non è sufficiente. Desiderio di far bottino? Ovviamente.
Certo dovevano sentirsi in qualche modo sostenuti dal loro Dio, però a lungo non
imposero la religione agli altri, non imposero a cristiani ed ebrei di convertirsi. Questo è un
fenomeno molto tardo, per secoli gli arabi quando conquistavano territori si
accontentavano di riscuotere le tasse dai vinti, ma non imponevano agli altri di adorare il
proprio Dio.

109
QUINTA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
LUNEDI’’ 13.10.2014 ORE: 15,00 17,00

Nel 632 Maometto muore, senza aver predisposto un meccanismo di successione e

provocando una fase di incertezza e di conflittualità.

Viene stabilito di eleggere un sostituto del profeta, cioè uno capace di governare la

popolazione islamica ma che non abbia il suo carisma divino.

Califfo significa sostituto del profeta: quando lui parla non parla per influsso divino,
come si ritiene avvenisse con Maometto.

Il primo della lunga serie di califfi è il suocero stesso di Maometto.

Se vi ricordate l’entrata solenne di Maometto alla Mecca viene poi sanzionata da una serie

di matrimoni vicendevoli.

Il primo califfo è Abu Bakr, suocero di Maometto.

Poi seguono:

‘Omar,

‘Uthman, il califfo che fa compilare il corano

‘Alì, genero di Maometto.

I quattro califfi, che sono tutti eletti (non era ancora presente infatti nel mondo islamico il
principio dinastico), appartengono tutti al clan dei Geraci della Mecca. La grande

espansione politica e militare islamica comincia dal secondo di questi califfi, cioè ‘Omar,

che governa dal 634 al 644.


In questi dieci anni vengono realizzate conquiste straordinarie: viene conquistata la

Palestina, la Siria, l’Egitto, l’Iraq e l’Iran.

In seguito a ciò, l’Impero Persiano, governato dalla dinastia Sassanide, che era già uscito

molto provato dalla guerra con Bisanzio, viene completamente spazzato via.

110
Tutto l’impero persiano è inglobato dall’espansione islamica e l’impero di Costantinopoli

perde la maggior parte dei suoi territori, soprattutto le ricche e colte province orientali.
Conquiste immense.

In meno di 30 anni, dall’Arabia, i musulmani si sono espansi verso l’Africa ma soprattutto

verso l’Asia.

Un’espansione fulminea su territori vastissimi e anche molto eterogenei tra loro dal punto

di vista delle tradizioni, della cultura, del diritto, del popolamento urbano, dell’economia e

via dicendo.

Intorno al 660 arrivano al confine occidentale dell’odierno Pakistan: un’espansione

veramente impetuosa.
Gli storici si sono interrogati, e si interrogano ancora, sulle motivazioni di queste conquiste

così rapide e soprattutto sulla debolezza della difesa opposta sia dall’impero di Bisanzio

sia da quello persiano.


Abbiamo visto come questi due imperi si siano dati battaglia per molti anni, indebolendosi

vicendevolmente e quindi creando le premesse per una incapacità di difendere le proprie

frontiere: questo sarà fatale soprattutto all’impero persiano.

Poi, soprattutto per quanto riguarda l’impero di Costantinopoli hanno operato altri

meccanismi che hanno facilitato la penetrazione dei musulmani.


A Costantinopoli non si sapeva nulla di questi popoli e queste province furono prese alla

sprovvista; l’esercito non si aspettava un attacco dal fronte arabo.

Le popolazioni locali, soprattutto in Egitto e in Siria, inizialmente non videro in questa


occupazione un elemento particolarmente traumatico.

Anzi, poiché ormai da lungo tempo per motivi religiosi in Egitto e Siria si guardava con

ostilità a Costantinopoli, non sorprende che, le prime testimonianze relative agli arabi in

queste zone, siano tutto sommato testimonianze positive, come se essi fossero stati dei
liberatori rispetto ai funzionari, ai burocrati e ai soldati di Costantinopoli.

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Come per esempio si può leggere (leggasi a pagina 6: un intellettuale monofisita descrive

entusiasticamente l’arrivo degli Arabi in Siria) in un brevissimo passo in cui, a parlare, è un

uomo colto della Siria: un cristiano, ovviamente, ma monofisita, un cristiano che faceva

parte di quella corrente del cristianesimo orientale che vedeva in Gesù Cristo operare

fondamentalmente la natura divina. Questa posizione era stata condannata molto tempo
prima, al concilio di Calcedonia

(venne convocato dall'imperatore romano d'Oriente Marciano (450-457) e da sua moglie,


l'imperatrice Pulcheria. Le sedute cominciarono l'8 ottobre 451 e contarono fra i cinquecento e i
seicento vescovi. In continuità con i concili precedenti, vennero trattati argomenti cristologici. Inoltre, in
chiara opposizione con il secondo concilio di Efeso del 449, vi fu condannato
il monofisismo di Eutiche e di Dioscoro) (volendo meglio specificare, si noti che la teoria monofisita
venne sviluppata da Eutiche (378 - 454), archimandrìta di un monastero con più di trecento monaci a
Costantinopoli. Nel 448 Eutiche scese in campo nella disputa teologica con Nestorio, che affermava la
presenza di due persone distinte (l'una divina e l'altra umana) in Cristo. Eutiche, invece, affermò che
prima dell'incarnazione c'erano due nature, ma dopo una sola, derivata dall'unione delle due nature
stesse. Era solito riassumere il concetto, affermando che la Divinità aveva accolto l'Umanità, come il
mare accoglie una goccia d'acqua)

nella metà del V secolo e per questo motivo molti vescovi dell’Egitto e della Siria erano

stati rimossi con la forza perché si opponevano al credo calcedonino. Il brano dice: Quando

Egli (DIO) vide che la misura dei peccati dei Romani (l’imperatore di Costantinopoli) era colma

da traboccare […] suscitò i figli di Ismaele (Ismaele è il capostipite degli arabi - Agar partorì ad

Abram un figlio e Abram chiamò Ismaele il figlio che Agar gli aveva partorito ) e li attrasse al

di qua della loro terra meridionale […] Tuttavia, è stato stringendo un accordo con loro che noi ci

siamo assicurati la nostra liberazione. E questo non è stato un piccolo vantaggio, l’essere liberati

dal regno tirannico dei Romani.

Sembra fantascienza, ma i cristiani monofisiti della Siria e dell’Egitto preferivano

stare sotto il potere musulmano piuttosto che sotto il potere di Bisanzio.


Questi elementi di natura religiosa hanno operato in maniera sostanziale. Le conquiste si
verificano nel periodo dei primi quattro califfi.
112
Il periodo del califfato elettivo, con capi eletti dai membri più importanti della

comunità islamica, termina nel 660. L’ultimo è ‘Alì il genero di Maometto che si

scontra con altri esponenti e verrà deposto perché accusato della morte violenta del

precedente califfo ‘Uthman.

Tra l’altro ‘Alì ha dato il nome ad una corrente del pensiero islamico, tuttora presente e

anche dominante in alcuni stati, lo sciismo, il partito di ‘Alì.

I seguaci di ‘Alì erano coloro che ritenevano che la successione califfale dovesse essere

strettamente legata ai parenti o affini del profeta.

Ci doveva essere un legame organico tra il califfo e Maometto.

Gli Sciiti poi, costituiscono l’unica vera corrente islamica che ha creato una vera e

propria gerarchia ecclesiastica.

Quali sono oggi gli stati a maggioranza sciita? Per esempio l’Iraq (la Persia - è il più

grande stato sciita del mondo). Ancora oggi come nella seconda metà del VII secolo i

sunniti (la grande maggioranza dei musulmani) e gli sciiti, sono in contrasto (se le danno di
santa ragione). Cosa avviene in seguito a queste grandi conquiste? Abbiamo qualcosa di

molto diverso rispetto a ciò che abbiamo visto nell’Europa Occidentale.

Nell’Europa Occidentale questi popoli germanici conquistano le terre e praticamente

mettono fine alla tradizione statuale romana.

Anche se in effetti poi si appropriano di titoli onorifici e tipici del potere romano. Nei fatti la

burocrazia non c’è più, molte istituzioni pubbliche non funzionano più, anche perché, lo

abbiamo ripetuto più volte, il sistema fiscale viene eliminato.

Gli arabi conquistano però province molto più ricche ed evolute di quanto non

potessero essere la Penisola Iberica, la Gallia o l’Italia dopo la guerra del

113
Peloponneso. Sono province con città enormi, con sofisticati sistemi monetari, grandi

tradizioni scolastiche e letterarie.


Gli arabi hanno questa intuizione geniale: prendono possesso delle terre, non

smantellano i sistemi amministrativi locali, anzi li lasciano in gestione all’élite del

luogo e tengono per loro il potere militare e il comando supremo.

Questo cosa significa?


Significa che i guerrieri arabi non occupano la maggior parte delle terre ma si
arricchiscono con il bottino di guerra e con la riscossione delle tasse delle terre occupate.

Il neonato impero islamico è, come i precedenti, Impero Romano d’Oriente ed Impero

Sassanide, un impero a base fiscale, cioè si riscuotono le tasse nella maggior parte dei

casi sotto forma di moneta, e, con le risorse drenate fiscalmente, si erogano servizi che

spesso e volentieri, in queste province, per molti decenni, saranno gestiti dalle élite locali.

Ecco perché nell’Egitto, nei primi periodi di dominazione araba, noi troviamo scritti

stesi in triplice lingue: l’arabo - la lingua dei dominatori, il greco - la lingua dell'élite

di Alessandria, il cotto - la lingua maggiormente parlata dalle popolazioni locali


(soprattutto nelle campagne).

Un grande teologo di lingua greca di Damasco vissuto fra il VII e VIII secolo, Giovanni
Damasceno, era cristiano. La sua famiglia era una famiglia di alti funzionari dello stato (lo

erano sotto l’impero bizantino e continuano ad esserlo sotto l’impero islamico), ciò non

toglie che lui sia un teologo cristiano: nessuno gli vieta di scrivere trattati di teologia sotto

l’impero islamico e la sua famiglia rappresenta, come molte altre, questa lunga fase di

continuità amministrativa.

Gli arabi infatti, in queste terre non impongono il passaggio all’Islam.

114
L’unica cosa rigorosamente vietata era la professione di politeismo, ma gli ebrei e i

cristiani sono considerati protetti e una volta pagato un “testatico”, cioè una tassa per la

persona, sono liberi di continuare a professare i propri culti. L’importante è non fare

proselitismo: possono tenere i luoghi di culto, le loro chiese e sinagoghe ma teoricamente


non ne dovrebbero costruire altre.

Gli arabi nei confronti di queste civiltà si comportano assorbendo, facendo proprie, molte

delle tradizioni culturali e scientifiche dei popoli sconfitti.

Poiché creano un impero che va dall’Oceano Indiano fino al Mar Mediterraneo, poi,

alla lunga, assorbendo tutte le culture, diventeranno dei formidabili mediatori

culturali – trasferendo tutta una serie di tradizioni e di culture - anche tradizioni

economiche e tradizioni agricole, dalle province più orientali a quelle più

occidentali.

Gli arabi però non si sono limitati a questo, perché il modello urbano, il modello della città

che prevaleva in questi imperi sconfitti, viene fatto proprio e così anche gli arabi fondano

città che poi diventeranno delle vere e proprie megalopoli, gigantesche se confrontate con

le piccole e misere città dell’Europa Alto Medievale.

Per esempio, il Cairo è una città di fondazione araba, oppure Bassora nell’Iraq

meridionale, ancora Mossul.


Quindi gli Arabi assorbono molto rapidamente il modello cittadino tipico di questi imperi
sconfitti.

Tutta l’organizzazione amministrativa viene ripresa dall’impero persiano e

dall’impero bizantino.

115
Queste enormi province generalmente hanno un capo politico e militare arabo, il cosi

detto “amir”, l’emiro.

Chi comanda in tutte queste terre? Fondamentalmente gli arabi.

Anche i convertiti, anche coloro che decidono di passare all’Islam, per lungo tempo non

hanno possibilità di accedere alle cariche politiche più importanti: sono i così detti mavani,

cioè i musulmani non arabi.

Ci vorrà un grosso scossone politico per farli accedere alle cariche pubbliche più

importanti. C’è una predominanza assoluta dell’elemento etnico arabo grosso modo fino

alla metà dell’VIII secolo.

In questi paesi i musulmani saranno a lungo una minoranza. In Egitto o in Siria perché la

maggioranza della popolazione diventi musulmana occorreranno almeno 100 anni. Per
circa un secolo i musulmani in Egitto sono una minoranza di fronte ai cristiani.

Non è un caso che anche oggi, quasi tutti i cristiani che si trovano in Egitto, che sono

circa il 10% della popolazione, siano concentrati ad Alessandria, che è la città più

organizzata e più greca dell’Egitto Bizantino.

Quindi con gli arabi si crea questo duopolio tra il Cairo che è una città totalmente

musulmana ed Alessandria che invece rimanda a tradizioni cristiane.

Il periodo del califfato elettivo si interrompe nel 660. In quell’anno prende il potere un

generale di nome Moadya che instaurerà una vera e propria dinastia, la dinastia degli

Omayyadi.

Quindi, dal 660 al 750 nell’impero islamico si afferma il principio dinastico, che è un

principio che gli arabi desumono dalla tradizione persiana, perché nella tradizione

bizantina il principio dinastico non si era ancora affermato. Questo vuol dire che poi

116
il potere viene trasmesso di padre in figlio; pertanto non abbiamo più califfi eletti ma

una vera e propria dinastia monarchica.

Con i califfi della dinastia Omayyade la capitale viene trasferita dalla Mecca, in
arabia, a Damasco, in Siria. Questo spostamento ha, evidentemente un senso e
questo da molti punti di vista.

Nell’impero del 660 la Mecca, la città santa, è ormai una capitale periferica, marginale dal

punto di vista geografico.

Damasco non solo era più centrale, a metà strada tra l’Egitto e la Mesopotamia, ma è

molto più vicina al Mediterraneo e ha una tradizione millenaria.

E’ a Damasco che ancora oggi si può vedere la moschea fondata dai primi califfi della

dinastia Omayyade , la più grande e antica moschea presente nel mondo; stiamo

parlando di una moschea costruita nella seconda metà del VII secolo.

In questo periodo i modelli del potere dell’impero islamico sono chiaramente quelli romani

e bizantini in particolare e per esempio l’arte islamica si apre all’influenza ellenistica, cioè

dell’arte greca.

Durante il periodo Omayyade vendono portate avanti nuove conquiste territoriali.

Rifacendosi alla cartina allegata alle dispense del modulo A, “L’espansione islamica dal

VII° alla fine del X° secolo”, si nota che, da una parte, ad EST, si arriva nella parte più

orientale al fiume Indo, raggiungendo città e regioni che fanno parte di quella grande

macroregione asiatica che si chiama il Turkestain, oggi occupata da tutti quegli stati che

hanno avuto origine dallo spappolamento dell’impero sovietico.

117
Ad OVEST l’impero islamico occupa prima quel territorio cui poi si darà il nome di

Maghreb, cioè l’antica africa proconsolare romana – i territori che l’impero di Bisanzio

aveva riconquistato ai Vandali; successivamente conquista quasi tutta la penisola iberica.

Il Maghreb viene conquistato negli ultimi anni del VII° secolo, con la presa di Cartagine nel

798.

All’inizio dell’VIII secolo, schiere di soldati arabi e berberi (i berberi sono le popolazioni

locali del Maghreb), invadono il Regno dei Visigoti, passano uno stretto condotti da un
comandante di nome Tariq che gli da il suo nome: Gebel El Tariq = monte di Taric, ovvero
Gibilterra.

Nel giro di un paio di anni le armate islamiche mettono fuori gioco l’impero visigoto: ciò che

resta dei nobili fuggiti è una striscia tra i Pirenei e l’Oceano Atlantico.

La superiorità militare islamica è schiacciante. La maggior parte della popolazione

cristiana non fugge di fronte agli arabi, solo una ristretta élite politica e militare che si

rifugia nell’estremo Nord della Penisola Iberica, cioè in quella zona dei Pirenei che ancora

oggi costituisce il confine tra la Francia e la Spagna, e la zona dei paesi bassi e delle

Asturie, cioè la zona dell’estremo nord della penisola iberica.

Alla metà dell’VIII secolo, cioè quando regna l’impero del califfato omayyade, noi ci

troviamo di fronte ad un impero che va dal cuore dell’Asia, praticamente toccando quelli

che oggi sono i territori più occidentali dell’India fino all’Oceano Atlantico.

Un impero immenso!!

118
L’impero islamico diventa anche una grande potenza navale. E’ già nel periodo del

califfato omayyade che gli arabi cercheranno, per almeno due volte, di conquistare

Costantinopoli assediandola con le loro navi. Per due volte la città si salverà, protetta in

119
parte dalle difese naturali del luogo e in parte dalla superiore tecnologia bizantina che

fronteggiò la flotta musulmana con l’utilizzo del così detto fuoco greco (una miscela

ignota agli arabi, costituita da pece ed altro materiale infiammabile, che non si spegneva

nemmeno al contatto con l’acqua). Queste enormi palle incendiarie venivano scagliate

dalle mura di Costantinopoli contro le navi provocando la distruzione della flotta; fu grazie

a questa arma strategica che la città riuscì a sopravvivere a due giganteschi assedi via

mare.

Nel 750 una congiura di palazzo pone fine alla dinastia degli Omayyadi. In realtà questa

congiura di palazzo fu spalleggiata da un forte consenso che i congiuranti avevano tra i

cosiddetti mavani, ovvero tra i convertiti all’Islam che però non appartenevano alla

tradizione etnica araba.

In seguito a tutte queste grandi conquiste, col passare del tempo, aumentavano i

musulmani che non appartenevano al mondo arabo: musulmani della Siria, dell’Iran,

dell’Iraq e via dicendo.

Costoro rivendicavano la possibilità di ricoprire cariche pubbliche militari importanti.

Dietro la congiura c’erano motivazioni più ampie e più complesse che aprirono

effettivamente le porte delle principali cariche provinciali dell’esercito ai musulmani non

arabi, soprattutto ai persiani.

Nel 750 si afferma una nuova dinastia, quella degli Abbassidi, dal fondatore Abbass.

Questo periodo non è un periodo caratterizzato da grandi conquiste.

Furono conquistate alcune isole come Creta, Cipro, insomma avamposti strategici.

La dinastia Abbaside ha governato sull’Islam per lungo tempo, fino al 1258.

120
In quell’anno le truppe mongole, dopo un lungo assedio, prendono la città e ammazzano

tutti: è uno dei più grandi bagni di sangue della storia, la presa di Baghdad da parte dei

mongoli.

Nel 750 Baghdad non esiste, non c’è niente in questa zona dell’Iraq. Questa nuova

dinastia decide di spostare nuovamente la capitale dalla Siria alla Mesopotamia e


di far costruire una gigantesca megalopoli. Sembra che per costruirla siano stati

impiegati almeno 100.000 lavoratori – per tirar su di sana pianta, dal nulla, una

nuova città tra i due fiumi, tra il Tigri e l’Eufrate.

Quindi una città immensa, che costituisce il luogo di ambientazione, per eccellenza, di una

delle opere letterarie più famose dell’ islam medievale, cioè le “Mille e una notte”.

Questo ciclo infinito di racconti, uno dietro l’altro, uno incastrato dentro l’altro che sono

appunto ambientati nella Bagdad Abbasside.

Dove si descrivono anche grandi festini notturni con grandi licenziosità, dove le donne

bevono vino insieme agli uomini: questo semplicemente per dire che non esistono

condizionamenti, all’origine, di stampo religioso. Sono le condizioni, le congiunture

politiche, sociali ed economiche che causano determinate situazioni: non c’è scritto da

nessuna parte, nel Corano, che si debba picchiare la donna, che si debba praticare

l’infibulazione o cose di questo tipo.

Il periodo Abbaside rappresenta il periodo più importante e più fulgido della storia

dell’Islam. La civiltà islamica dell’VIII°, IX°, X° ed anche XI° secolo, era una civiltà

nettamente superiore, da qualsiasi punto di vista, a quella europea.

Era una civiltà più ricca, le città erano più grandi, l’economia era più fiorente,

circolavano ampiamente monete d’argento e di oro, fiorivano studi di matematica, di

filosofia, di medicina e la letteratura era a sua volta molto importante. Pensiamo per
esempio a cosa hanno portato gli arabi nel Mediterraneo.

121
Partiamo dall’agricoltura: lo zucchero.

Lo zucchero era una cosa del tutto sconosciuta alla civiltà e anche alle civiltà dell’Europa

Medievale fino al 300-400 ( a meno che non si trattasse della Sicilia Islamica che infatti fu

occupata dagli arabi tra il IX° ed il X° secolo). Gli arabi, nel Mediterraneo portano la canna

da zucchero: la parola zucchero è una parola di derivazione persiana. Gli arabi sono

grandi mediatori, prendono la canna da zucchero, la portano prima nel medio oriente e poi

nel cuore del mediterraneo. Con lo zucchero, all’inizio, gli arabi ci facevano medicinali. Ci

sono ricette per il califfo di Bagdad che soffre di mal di stomaco; anche in Europa, tra il
400 ed il 500, lo zucchero veniva usato soprattutto nelle botteghe degli speziali e veniva
venduto come lo zafferano, il pepe, la cannella, i fiori di garofano e via dicendo. In Europa,
in occidente nel 500 veniva utilizzato per dolcificare il te.

Oppure la pesca: la parola pesca è una parola che noi oggi in italiano pronunciamo per

contrazione, in realtà sarebbe persica, cioè un frutto persiano.

Poi tutti gli agrumi: gli agrumi sono stati portati nel Mediterraneo dagli arabi.

I meloni, la palma coi datteri, il dattero è il frutto che il buon musulmano mangia appena

cala il sole durante il mese del Ramadan (mangia il dattero per segnare la fine del suo
digiuno).
Poi per esempio, alcune piante industriali: il gelso.

Il gelso è una pianta industriale perché il bacco che produce il filo da seta mangia una

cosa sola, le foglie del gelso: non mangia altro. Bisogna staccare le foglie di questi alberi,

generalmente all’inizio della primavera, e dare da mangiare a questi bacchi che mangiano

per circa un mese o un mese e mezzo; poi cominciano ad emettere questa bava con la
quale si avvolgono formando il bozzolo. Il filo del baco da seta ha una lunghezza
compresa tra uno e due km.

La produzione di filo di seta è degli arabi; anche i Bizantini cominciano a piantare gelsi,

ma solo alla fine del III° secolo, per imitazione di ciò che vedevano nelle terre prima

Persiane e poi Arabe.

122
La maggior parte dei termini dei tessuti di seta, anche oggi ha un’origine orientale; il

“saten” – che sarebbe il raso – è una parola persiana. Il tessuto damascato viene appunto

dalla Damasco islamica e gli esempi si potrebbero moltiplicare.

Poi, per esempio il cotone: il cotone è una pianta industriale che viene dall’Asia attraverso

la mediazione islamica tanto che, per esempio, in Castigliano, cotone si dice al bodon

perché al, in arabo, è l’articolo: il cotone!

Anche il cotone è una pianta portata dagli Arabi. Nella Sicilia islamica tra il X° e l’XI°

secolo si coltivava la pianta da zucchero, si piantavano alberi di arancio e si produceva


cotone.

Quindi la Sicilia come il “nord” di una civiltà, non il sud di un’altra: la Sicilia diventerà il sud

di una civiltà europea dopo, nel basso medioevo. Intorno al mille rappresentava la punta di

un’altra: quella islamica.

L’aeroporto di Palermo si chiama aeroporto Punta Rais, rais il capo, che poi in dialetto

siciliano sta ad indicare il capo della tonnara durante le “mattanze” del tonno.

Qui la civiltà islamica, nei secoli in cui la civiltà europea si trovava in depressione sotto tutti

i punti di vista, era particolarmente avanzata; le sue città producevano manufatti, da

queste città partivano mercanti, in queste città si battevano monete d’oro e d’argento: una

di queste monete è sopravvissuta quasi fino ai nostri giorni nella variante siciliana. Gli

arabi avevano fondamentalmente due monete: i dinar d’oro ed i dilemma d’argento. Nella

ex Iugoslavia la moneta ufficiale era il dinaro, che rimanda ad un’antica tradizione

musulmana arrivata lì con i Turchi; in Sicilia, quando gli arabi la conquistano nel corso del

IX secolo, si conierà una moneta che corrisponde ad un quarto di dinaro, il cosiddetto tarì.

E’ una moneta che è stata utilizzata in Sicilia per mille anni perché se si leggono le novelle

di Verga, che sono ottocentesche, soprattutto “la giara” (con l’uomo che vi rimane
123
incastrato dentro etc., e fa riferimento al fatto che la giara gli sia costata quanti tarì e che

gli debba essere ricostruita…), si evince che in quel periodo, pur non venendo più coniato

quel tarì – nella Sicilia dell’800 – pur esistendo più una moneta coniata avente quel nome,

i siciliani usavano il termine tarì per indicare la misura di un valore che poi veniva

espressa o con monete del regno borbonico prima del 1860 o con la lira del regno
sabaudo dopo quella data. Quindi era un modo di contare poi magari i pagamenti
venivano effettuati con le monete coniate in questi due regni.

La Sicilia è l’ultima grande conquista islamica che si realizza, a partire dal 927 con

lo sbarco a Marsala. Marsala è una parola araba “mars Alì”, il porto di Alì che da il

suo stesso nome a quella località.

La Sicilia è islamica grosso modo dalla metà del IX° secolo fino alla fine dell’XI, quindi

oltre due secoli di islamizzazione. La capitale della Sicilia islamica è Palermo; per secoli la

città più importante della Sicilia è stata Siracusa, mentre il decoro della città di Palermo è

dovuto alla scelta fatta dagli emiri islamici.

Cosa avviene poi del califfato nel corso del X° secolo?

Nel corso del decimo secolo il califfato si divide in 3 parti: l’impero era così grande

che si vengono a formare i tre califfati:


quello Abbaside di Baghdad;
quello retto dalla dinastia dei Fatimidi in Egitto e Libia;

quello di Cordova che a lungo sarà governato da un ramo sopravvissuto della dinastia

degli Omayyadi.

Quindi anche a Cordova, oggi, noi possiamo vedere una gigantesca moschea fatta
costruire dagli emiri e poi califfi della dinastia Omayyade emigrata in Spagna. La moschea

di Cordova è un edificio imponente fatto costruire nel corso dei secoli, dall’VIII° sino

124
all’inizio del X° secolo ed è l’unica grande moschea iberica che non è stata soggetta a

distruzioni o a fortissimi rimaneggiamenti da parte dei cristiani. Quindi una moschea che a

tutt’oggi conserva in gran parte intatte le caratteristiche alto medievali – perché, nella

maggior parte dei casi, in Spagna, le moschee sono state distrutte.

E’ in questo periodo che la Spagna Islamica prenderà il nome di Andalus (Andalusia):

oggi col termine Andalusia noi indichiamo una regione della Spagna meridionale che
corrisponde grosso modo a quella che i romani chiamavano la zona di Siviglia, Cordova,
Granada, ma col termine Andalus essi intendevano tutta la penisola Iberica.
Anche in Spagna noi sappiamo che una gran fetta della popolazione non fu obbligata a

convertirsi all’Islam, ma il dominio fu così lungo che qui, come anche del resto in Sicilia, i

cristiani parlavano fondamentalmente l’arabo e quindi avveniva che nelle chiese cristiane

si celebrassero le messe in arabo invocando Allah, perché Allah è un termine neutro che

significa Dio e quindi durante la messa i cristiani in Spagna si rivolgevano ad Allah per

indicare il loro Dio. Diciamo che gli arabi non avevano nessuna volontà di perseguitare i

cristiani in quanto tali, non rientrava nel loro schema mentale.

Si noti che il cristianesimo e l’ebraismo sono considerati nella profezia di Maometto, degli

stadi preparatori all’islam, ed in quanto tali non possono essere condannati. Cioè, prima

c’è l’ebraismo, poi il cristianesimo, poi arriviamo noi che perfezioniamo il messaggio di

Dio.

Quindi i cristiani non devono essere perseguitati in quanto tali, perché il

musulmano ritiene l’ebreo ed il cristiano come dei fedeli “incompiuti”, però

importanti perché hanno intrapreso un cammino che è il cammino verso

l’adorazione del loro Dio.

125
Per esempio gli ebrei hanno avuto una vita molto facile sotto il dominio islamico, anzi la

diaspora ebraica per il mediterraneo ha seguito passo dopo passo l’espansione politica e

militare dell’islam.

Sono arrivati gli ebrei nella penisola iberica seguendo ad ondate l’espansione militare

dell’impero islamico; per questo si parla di ebrei di tradizione separatita, ovvero di ebrei

che provengono dal Maghreb, dall’africa, mentre gli ebrei di tradizione asseranzita è

quella che viene dall’Europa centrale. Quindi intorno al X° secolo si creano questi tre

grandi poli: il polo di Cordova, il polo egiziano, e quello abbaside di Bagdad.

Da un punto di vista dell’attività economica e del commercio il mondo islamico è molto più

avanti rispetto a quello europeo e noi usiamo molti termini di derivazione islamica, per

esempio: magazzino, dogana, arsenale, darsena, cioè tutti termini che rimandano ad

attività commerciali ed armatoriali; poi, alcuni termini che rimandano ad esempio alla

manifattura del cotone come giubba, giubbotto, fustagno – sono tutti dei termini di origine

araba.

L’inerzia della storia soprattutto nel mediterraneo e nel vicino oriente verrà poi invertita nel

corso dell’XI° secolo.

Ma la formazione di questo enorme impero ha provocato una frattura nella storia sia del

Mediterraneo che del Medio Oriente, tant’è che intorno alla creazione di questo gigantesco

Impero si sono sviluppate molte teorie legate all’origine stessa del concetto di medio evo.

L’idea che esista un’età di mezzo, il medio evo, è solo un’idea degli umanisti del 400

e la civiltà antica c’era questo enorme buco nero che è il medio evo. Questa è

l’interpretazione dei filologi, dei letterati, dei grandi pensatori del 4 o 500.

126
Quindi un concetto di medioevo in senso negativo, che è arrivato sino ai nostri giorni.

Qualsiasi nefandezza oggi viene collegata al medioevo, anche se non c’entra nulla.

La maggior parte delle streghe sono state bruciate tra il 500 e 600 però la caccia alle

streghe è di memoria medievale; qualunque cosa non vada …. questa è una cosa

medievale!!
Poi ci si misero anche i protestanti a pensare che questo fosse un periodo brutto,

soprattutto perché rappresentava per la chiesa cristiana un’epoca corrotta. Epoca che loro

protestanti avrebbero fatto rinascere.

Poi sono arrivati pure gli Illuministi, nel 700, a dire che il medioevo era l’età della barbarie,

dell’ignoranza, della superstizione, del privilegio.

I primi che hanno cominciato a rivalutare il medioevo sono stati i Romantici

dell’800, per motivi anche letterari. Poi è arrivato il nazionalismo, soprattutto quello

tedesco che ha cercato un’origine della propria identità che dice… no…la nostra

identità è nei popoli tedeschi, i Goti, i Franchi, i Longobardi e via dicendo… quindi

c’è sempre un intento polemico nemmeno mascherato.

Poi nella prima metà del 900 la cosa si è fatta molto più complessa in seguito ad una serie

di conferenze e poi di pubblicazioni di un grandissimo storico belga, Henry Pirenne,


storico belga di lingua francese, quindi un Vallone, il quale durante la prima guerra

mondiale finisce in un campo di prigionia tedesco. I tedeschi hanno violato la neutralità del

Belgio, Pirenne finisce in un campo di prigionia, il figlio muore in battaglia, e lui sta per due

anni in un campo di prigionia. Per non morire di depressione, senza l’ausilio di libri scrive

una gigantesca storia d’Europa, dall’Impero Romano al 500, tutta piena di date che sono

pure tutte giuste. Pirenne era uno fondamentalmente studioso delle città Fiamminghe, del

mondo dei Paesi Bassi, molto colto e si cimenta con la storia dell’Europa cominciando una

127
polemica (che durerà anche negli anni successivi alla prima guerra mondiale) contro gli

storici tedeschi.
I Belgi, Pirenne ed anche i Francesi si sentirono traditi dal mondo intellettuale tedesco che
ritenevano avesse dato origine allo scatenamento della prima guerra mondiale.
Quindi, Pirenne, deluso anche dagli intellettuali, anche dai colleghi tedeschi che avevano

appoggiato la guerra e l’invasione del Belgio, comincia a fare conferenze ed elaborare

studi per i quali secondo lui c’è stato un trauma all’origine dell’età medievale e che questo

trauma abbia appunto rappresentato un salto, cioè un momento di non ritorno.

L’idea di Pirenne è che i popoli germanici, una volta entrati nell’Impero d’Occidente non

abbiano sostanzialmente cambiato quasi niente.


Presto simpatizzano, assorbono i costumi del popolo romano, assorbono le tradizioni
amministrative romane e via dicendo (si tenga conto che in quei tempi non esisteva una

disciplina medievale e che le conoscenze erano molto più limitate di quelle attuali).

Quindi per Pirenne di fatto che c’è una transizione dolce fra il V e il VII secolo. Il suo

punto di osservazione è soprattutto la Gallia Merovingia – come è ovvio – perché lui è uno

storico di lingua francese – con un qualche sguardo alla Penisola Iberica e all’Italia.

Dice che il regno franco merovingio guarda al mediterraneo, quindi alla tradizione romana

e non ci sono grandi cambiamenti. L’impero di Carlo Magno invece guarda a nord, guarda

alla Renania, la sua capitale è a Aben, dove si parla un idioma germanico; quindi l’impero

di Carlo Magno non è romano ma è continentale, guarda verso l’Europa del Nord e,

naturalmente, questo fatto per Lui è un elemento decisivo.

Perché questa tradizione post romana cambia da uno sguardo verso il mediterraneo ad un

arroccamento verso l’Europa continentale del Nord?

128
Perché sono entrati gli Arabi nel mediterraneo e hanno rotto una tradizione plurisecolare di

unità di questo mare. Quindi secondo Pirenne l’arrivo degli arabi, in particolare l’arrivo

degli arabi in Maghreb, segna la fine dei collegamenti, dei rapporti fra i regni romano
germanici e Costantinopoli.

E’ un periodo di frattura profonda fra le sponde settentrionali e il Mediterraneo; quindi

l’Europa povera e depressa si ritrae dal Mediterraneo per concentrarsi nelle zone

continentali.

“Senza Maometto - dice Pirenne - non ci sarebbe Carlo Magno”. Senza l’irruzione degli

arabi nel Mediterraneo non ci sarebbe un impero a base continentale, tanto che il suo

saggio forse più importante, uscito postumo nel 1937, si intitola “Maometto e Carlo

Magno”. (Ancora oggi ristampato in edizione italiana dall’editore Laterza).

Molte vicende hanno dimostrato che la tesi di Pirenne poggiava su basi non solide, perché

l’analisi delle vicende della Gallia e dell’Italia ha testimoniato ad abundantiam il fatto che

non siamo in presenza di una transizione soft e quindi anche la vita economica e culturale

crolla nel giro di qualche decennio, non c’è una sostanziale continuità.

Non solo, ma gli studi sull’economia islamica hanno dimostrato che gli arabi hanno messo

in piedi una rete mercantile; non solo non possono aver distrutto quello che era già debole

ma a loro volta hanno messo in piedi un circuito mercantile molto importante: solo che gli

europei non partecipavano a questo circuito e non partecipavano perché non avevano le

risorse, i mezzi, anche culturali per partecipare a questo circuito mercantile. Tranne in

quelle zone dell’Italia Meridionale, che sfruttando una posizione geografica e geopolitica di

rendita si inserivano tra le terre bizantine e gli emirati islamici.

Questa tesi di Pirenne viene sempre citata nei manuali, perché tutte le discussioni

sull’origine dell’Età Medievale, tutte le discussioni sull’economia del mediterraneo alto

129
medievale partono sempre dalle sue tesi. E’ un personaggio che ha lasciato la sua

impronta sul modo di vedere questo momento di passaggio epocale.

Se questo è l’aspetto della civiltà islamica, di questa civiltà fiorente segnata da queste

grandi conquiste, a cui poi fanno seguito conquiste sul campo culturale, scientifico,

artistico, qual è il destino dell’Europa mentre si affermava il califfato Abbaside?

Come si arriva a quell’impero che guarda al continente e non al Mediterraneo? Come si

arriva all’idea di Europa che ancora oggi è dominante: si pensi a quante volte si spreca

l’aggettivo “Europeo” per dire di una cosa che non è mediterraneo.

Facciamo l’ipotesi di avere una scuola di tipo Europeo: quindi quella italiana e quella

spagnola non sono una scuola europea, evidentemente!

Questo modo di definire l’Europa come un qualcosa di non mediterraneo è legato

alla nascita dell’Europa Carolingia, perché la parola Europa assume un significato

molto preciso e non vago con l’alto medioevo, con l’Impero di Carlo Magno, cioè

con una civiltà Europea impegnata in regioni toccate dal Reno, dalla Mosa e dalla

Senna.

Quella è l’area in cui viene partorita l’idea di Europa: come qualcosa di profondamente

diverso dall’impero di Bisanzio che pure è in parte di Roma e dal mondo islamico. Quindi è

una definizione che nasce per il fatto che ci definisce per quello che non si è.

Quindi l’impero è nato da una dinastia Franca, ma quale dinastia? Perché noi nelle

precedenti lezioni eravamo rimasti alla Gallia Franca governata dalla dinastia dei
Merolingi.

I Merolingi non hanno creato il grande impero, il Sacro Romano Impero: esso è stato

creato da un’altra dinastia, quella Carolingia, legata al suo personaggio più famoso, Carlo

detto Magno, il Grande, il primo a portare la corona imperiale.

130
Cerchiamo di capire come si arriva al passaggio fra la precedente dinastia franca
dei merovingi e la nuova dinastia dei carolingi.

Abbiamo accennato al fatto che per via delle consuetudini politiche germaniche, in

particolare franche, il re della dinastia carolingia era solito pensare alla regalità e al

patrimonio regio come qualcosa che si dovesse dividere tra tutti gli eredi sopravvissuti al
padre.

Questo alimentò per lungo tempo, per almeno due secoli, continue scissioni del regno,

lotte fratricide, ricomposizione del regno, nuove disgregazioni e via dicendo.

Questo inizia già molto presto: basta leggere la storia dei franchi di “Gregorio Vescovo di

Tour” per capire come fosse il clima in Gallia nel VI secolo: guerre civili continue,

massacri, congiure e via dicendo! (La testimonianza di Gregorio vescovo di Tours, che visse tra il
539 e il 594 a contatto di re, regine, usurpatori, personaggi indimenticabili, vescovi, martiri, guerrieri,
malfattori, traditori. L'immensa opera dei "Dieci libri delle Storie" conduce in un mondo imperfetto,
ossessionato da guerre e rivalità).

L’utilizzo della violenza per cambiare le cose era la prassi. Con queste continue tensioni

del regno, a lungo andare il potere regio finì per intimorirsi avvantaggiando alcune figure:

i cosiddetti Maggiordomi di Palazzo o Maestri di palazzo.

Maggiordomi perché sarebbero i “maiores domus”, i maggiori della casa (del re).

Nei vari regni in cui tendeva periodicamente a frazionarsi la monarchia merolingia, presero
potere i rispettivi maestri di palazzo.

Quindi c’erano maestri di palazzo in Borgogna, maestri di palazzo in Neustria, maestri di

palazzo in Aquitania ed uno in Austrasia.


Alla fine del VII secolo, attraverso azioni militari e attraverso una sagace politica di
alleanze matrimoniali rimase in sella un unico maestro di palazzo, quello originario

dell’Austrasia. Il primo grande maestro di palazzo che esercita di fatto, ma non di diritto,

poteri regi nel regno è Pipino di Herstal.

131
Pipino di Herstal, già maestro della sola Austrasia, proveniva dall’unica area veramente

bilingue del Regno, l’Austrasia, che comprendeva sia territori in cui si parlavano idiomi

germanici, sia territori in cui si parlavano idiomi romanzi. Cioè parte dell’Alsazia, la Lorena,

il Belgio, la Champagne, la zona di Parigi ed anche la Renania ovvero zone


tradizionalmente a cavallo di frontiere linguistiche ( alcune zone della Francia attuale sono

francofone da tempo relativamente breve, l’Alsazia, la cui capitale è Strasburgo, è una

zona francese da poco tempo, conquistata alla fine del 600, ha mantenuto per molto

tempo una parlata tedesca e solo col passare dei secoli è passata al francese, ma i dialetti

locali sono ancora germanici. Basta passeggiare per Strasburgo per rendersi conto che

tutto, lì, rimanda al mondo tedesco, a partire dall’architettura - e anche la cucina.

Lo stesso dicasi, seppure in maniera ridotta, in Lorena; quelle zone erano il cuore

dell’Austrasia, insieme alla zona di Parigi, di Reims, alla zona delle Ardenne – tra l’altro la

famiglia di Pipino di Herstal proveniva proprio dalle Ardenne, da questa zona attuale del
Belgio Vallone.

Quindi, si afferma sugli altri il maestro di palazzo dell’Austrasia.

Il maestro di palazzo era di fatto una sorta di viceré; in questi regni la fiscalità è

quasi inesistente ed il re per comandare utilizza le terre o il bestiame per


ricompensare i funzionari fedeli; questi maestri di palazzo, di fatto, amministravano
le terre del demanio e anche quelle della famiglia del re e nel farlo, col passare del
tempo, abusavano dei loro poteri amministrativi e utilizzavano terre del demanio ma

anche della Chiesa – perché non c’è questa grande separazione, anche

concettualmente parlando tra terre pubbliche e terre della chiesa – perché le chiese

erano nate in seguito a donazioni del re – quindi il re considerava le chiese parte del

demanio, per ricompensare i guerrieri a loro fedeli.

132
Utilizzavano questi beni con concessioni temporanee: finché tu mi sei fedele puoi

utilizzare questa terra, finché tu mi sei fedele puoi sfruttare questa parte di bestiame,

finché tu mi sei fedele puoi vivere a casa mia, cioè creando dei legami personali basati

sulla fedeltà di natura militare.

Questo fenomeno si dilaterà con il figlio d Pipino di Herstal, Carlo detto il Martello che, di

fatto ma non di diritto governa il regno nella prima metà dell’VIII° secolo. Carlo Martello

guiderà i franchi in spedizioni nel cuore della Germania e poi sottometterà in maniera

definitiva molte zone della Gallia Meridionale.

Anche se Lui è passato alla storia fondamentalmente per aver sconfitto un esercito

islamico che dalla penisola iberica era arrivato in Gallia. Si ebbe la battaglia di Poitiers

nel 732. Si tratta di una battaglia che viene considerata una specie di battaglia di civiltà -

mitizzata ovviamente dalla propaganda Franca e poi anche dalla propaganda

ecclesiastica – perché avrebbe determinato la fine dell’espansione Islamica in Europa.

Il figlio di Carlo Martello, Pipino detto il Breve, anche lui maestro di palazzo compie

un’operazione definitiva: prende l’ultimo re della dinastia merovingia, ormai in sua balia da

tempo, lo fa rapare a zero e lo chiudere in un monastero.


Ovviamente raparlo a zero ha una valenza simbolica: si tenga conto che nella tradizione

dei popoli germanici i capelli lunghi avevano un’importanza notevole perché erano simbolo

di virtù militare.

Poi, qualche anno dopo, Pipino il Breve manda emissari a Roma dal Papa per chiedergli

se aveva fatto bene; cioè se fosse giusto che a governare fosse chi veramente aveva il

potere per farlo o se invece lo doveva fare chi aveva il titolo ma non le capacità.

133
Il Papa gli da ragione e dice che è giusto che lui abbia il potere, perché ha la capacità ed

i mezzi per esercitarlo: siamo nel 750, in quello stesso anno in cui Astolfo, re dei

Longobardi attacca l’esarcato da pentapoli e quindi producendo seri imbarazzi e difficoltà

ai Papi che volevano creare un potere nell’Italia centrale.

Nelle dispense (pag.7), è presente un brano estrapolato da una lettera inserita all’interno

di un’opera storica celebrativa della nuova dinastia, quella poi detta Carolingia, Gli

Annales Regni Francorum (cioè la narrazione anno per anno) - gli Annali del Regno dei

Franchi.

All’interno di questa narrazione, che è tutta volta a celebrare i fasti della nuova dinastia e

quindi a mettere in cattiva luce la vecchia, ad un certo punto si dice:


Burcando vescovo di Wurzburg e il cappellano Fulrado furono inviati a papa Zaccaria ( gli

ambasciatori erano due uomini di chiesa – non si poteva fare diversamente perché solo gli

uomini di chiesa, tutti e due di lingua germanica, potevano farsi capire a Roma, perché

erano gli unici che sapevano parlare, leggere e scrivere in latino) per interrogarlo sulla

questione dei re di Francia, che in quel tempo non avevano l’effettivo potere Regio: era

un bene o no? Il papa Zaccaria fece rispondere a Pipino che era meglio che fosse detto re
colui che esercitava un effettivo potere che non chi era privo di vero potere regale. E

affinché non si turbasse l’ordine delle cose , ordinò con l’autorità apostolica che Pipino

fosse fatto re.

Pertanto nel 750 accade che papa Zaccaria riconosce la bontà di un colpo di stato:

di un passaggio dinastico che sancisce una svolta epocale nella storia, non solo dei
rapporti politico e religiosi tra il vescovo di Roma e la monarchia Franca, ma nella

storia della chiesa occidentale nel suo insieme. Perché l’opzione di un’alleanza franca

avviene dopo lo scontro con l’impero di Costantinopoli sul tema dell’iconoclastia (che

ricordiamo ha comportato al papa, nell’Italia meridionale, perdita di patrimoni e di diocesi)

e la scelta del papa di avere come alleato un monarca lontano o presunto lontano, per
134
contrastare la presenza di un monarca in Italia, cioè dei Longobardi. Quindi l’appoggio a

questo dinastico passaggio al regno dei Franchi è il preludio al successivo intervento

militare dei Franchi in Italia: il preludio ad un rapporto politico molto stretto tra il vescovo di
Roma ed il potere Imperiale franco.

La monarchia Merovingia da allora in poi verrà descritta nelle fonti annalistiche, nelle

cronache del tempo, come una monarchia di “re fannulloni”, questo è il termine che si

trova nelle fonti storiche del tempo, nelle fonti narrative, letterarie. I re fannulloni, che non
in grado di fare nulla.

E’ una descrizione grottesca che serve però propagandisticamente per spiegare perché il

papa e quindi Dio hanno voluto che ci fosse questo cambiamento alla guida del popolo

eletto, cioè alla guida del popolo dei Franchi.

Questa descrizione propagandistica la vediamo anche in una fonte diversi decenni

posteriore al 650, cioè la biografia di Carlo Magno, scritta da Eginaldo, che era un

funzionario di corte.

Eginaldo scrive dopo la morte di Carlo Magno, però nel redigere la vita dell’imperatore

scomparso parte dall’inizio, cioè dalla fine della dinastia Merolingia.

Eginaldo dice:
Al di fuori del titolo, il re non aveva altra soddisfazione che quella di sedere sul suo trono,
colla sua lunga chioma (ecco la ragione del taglio dei capelli) e la sua barba pendente,
farvi figura di sovrano, dare udienza agli ambasciatori dei diversi paesi ed incaricarli,
quando partivano, di trasmettere in suo nome le risposte che gli erano state suggerite e
magari anche dettate (magari dettate dal maestro di palazzo).
Tolto il titolo reale, divenuto inutile, e gli incerti mezzi di esistenza che il maggiordomo gli
concedeva come voleva, il re non aveva di suo che un piccolo dominio, di modestissimo
reddito (dominio patrimoniale), con una casa e pochi servitori a sua disposizione per
fornirgli il necessario.
Quando il re doveva viaggiare, saliva sopra una carretta tirata da buoi e guidata da un
boaro secondo il costume rustico. In tale equipaggio il re era solito andare al palazzo e

presentarsi all’assemblea pubblica del suo popolo( per popolo si intende “i capi guerrieri”) ,
135
e ritornare poi alla sua abitazione. L’amministrazione e tutte le decisioni da prendere, tanto

all’interno che per l’estero, erano competenza esclusiva del maestro di palazzo.

Qui Reginaldo, come si suol dire, mette il carro davanti ai buoi: perché non è che il

maestro di palazzo perché il re non le vuole fare, è il re che non le fa perché è stato

messo in un angolo dal maestro.

Quindi, concretamente come è avvenuto il passaggio di consegne? Come è che il potere

ad un certo punto è scivolato nelle mani del maestro di palazzo? Attraverso l’utilizzo dei

beni patrimoniali dello stato a scopo privato.


Avviene che il maestro di palazzo crea attorno a se, alla sua figura, alla sua famiglia una
clientela armata, quella che nelle fonti narrative del tempo si chiama trustis; la parola

trustis rimanda all’inglese trust: trust è un gruppo di pressione un gruppo di potere, il trust

in economia sarebbe il monopolio, il trust è il pool di cervelli, un gruppo forte. Quindi con la

parola trustis si indicava il gruppo di guerrieri che obbediva al suo senior, il gruppo di

“passi” dall’aggettivo “class” che significa ragazzo ma che nel linguaggio franco latinizzato

del tempo sta ad indicare un guerriero che ha giurato fedeltà: quello che noi chiamiamo

generalmente un “passato”.

Sono tutti termini tecnici che non vanno utilizzati in maniera generica; chi è un passus, un

fidelis, uno che fa parte della trustis?

E’ una persona generalmente dedita all’uso delle armi che ha giurato fedeltà ad un senior

(cioè il suo signore), impegnandosi ad aiutarlo combattendo e prestando consiglio. Lo fa

perché ha ricevuto “un beneficium”, cioè una concessione temporanea e revocabile in

qualsiasi momento di un bene che può essere una terra, delle greggi, oppure l’ospitalità a

palazzo e via dicendo.

136
Quindi il maestro di palazzo crea delle clientele armate di fedeli che non obbediscono più

alla regalità, al re, ma obbediscono a quella persona, a quella famiglia perché hanno

giurato fedeltà di natura personale a quell’individuo.

Poi la formula del giuramento di fedeltà si complicherà nei secoli successivi con tutto un

cerimoniale: all’inizio era una cosa molto semplice, e anche molto concreta. Coloro che

vivevano intorno al palazzo gestito dl maggiordomo e che quindi rosicchia decennio dopo
decennio il potere del re.

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SESTA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
MARTEDI’ 14.10.2014 ORE: 12,00 - 14,00

Ieri ci siamo interrotti parlando dell’ascesa di una nuova dinastia all’interno del regno
franco; dinastia legata alle figure istituzionali dei maestri di palazzo di Austrasia, poi
maestri di palazzo unici del regno .

Questa dinastia viene indicata con nomi differenti a seconda che si consideri come
personaggio fondamentale Carlo magno e allora si parla di Dinastia Carolingia o Pipino
il Breve, il primo della dinastia a portare il titolo di re dei franchi e in questo caso
parliamo di Dinastia Pipinide , oppure di Arlonfingi che sarebbe un antenato del VII°
secolo.

Il primo ad essere stato maestro di palazzo prima ancora di Pipino, ma che si parli di
Arlonfingi di Pipini o di Carolingi sempre la stessa dinastia è .

Abbiamo visto attraverso quale meccanismo i maestri di palazzo si impossessano del


potere, utilizzando la terra come forma di remunerazione delle clientele armate .

Ancora una volta, qui emerge uno dei nodi fondamentali dei regni alto medievali ,
cioè l’assenza di un gettito fiscale in moneta significativo .

Quindi il sovrano è potente fino a quando è in grado di controllare un ingente patrimonio


fondiario, quando perde il controllo del patrimonio fondiario emerge la sua debolezza.

La forza militare del maestro di palazzo deriva dall’utilizzo abusivo, secondo il nostro
modo di vedere di terre del demanio e della chiesa per crearsi degli eserciti legati alla
sua figura.

Quando Carlo Martello sconfigge gli arabi a Poitiers lo fa non con un esercito regio ma
con un esercito che ubbidisce a lui cioè che ubbidisce alla sua famiglia.

Tenete presente che tutte queste concessioni di terre o di bestiame dell’VIII° secolo sono
concessioni temporanee cioè che il signor può revocare in qualsiasi momento.

Allora torniamo quindi alle vicende militari.

Pipino il breve dopo il colpo di stato di qui abbiamo parlato nella precedente lezione è
diventato re dei franchi, ha un debito nei confronti dei vescovi di Roma e lo onora
138
invadendo l’Italia per combattere contro i re dei longobardi Astolfo il quale secondo il
papa si è macchiato di una grave colpa.

Questa colpa consiste nell’ aver occupato l’esarcato e la pentapoli che non sono
territori del papa ma sono territori bizantini.

Però il papa teme questa avanzata del regno longobardo di Pavia nell’Italia centrale, in
quanto, qualora il re di Pavia avesse costituito un regno omogeneo organico dalle Alpi
fino alla Calabria, il ruolo politico dei vescovi di Roma si sarebbe ridotto drasticamente.

Pipino arriva in Italia, da dove passa il suo esercito?

Da dove passerà successivamente anche quello di Carlo Magno.

Passa dalla Val di Susa: è quella la strada degli eserciti per eccellenza.

Fra l’altro i franchi avevano un grande vantaggio nel passare dalla Valdisusa come da
altri varchi alpini che oggi segnano il confine tra l’Italia e la Francia, perché in realtà
all’epoca, il confine tra il regno longobardo e il regno franco non correva sullo spartiacque
cioè sui valichi, ma correva al di là dello spartiacque, cioè al di là del limite tra le acque,
per cui il confine era alle chiuse cioè nei fondo valle piemontesi, all’imbocco delle valli
alpine che dal Piemonte vanno verso il crinale.

Questo cosa significa che i Franchi attaccavano dall’alto e quindi i Longobardi si


asserragliavano nelle gole strette ma più in basso rispetto ai varchi alpini e quindi si
difendevano peggio perché si dovevano difendere dal basso.

Pipino sconfigge Astolfo e cede l’esarcato al vescovo di Roma, costituendo quello


che sarà il nucleo del futuro stato della chiesa.

In un contesto del genere cioè di indebolimento del potere longobardo e di


rafforzamento del potere pontificio in Italia, la cancelleria romana elabora uno dei
falsi documentari più famosi dell’età medievale, la cosiddetta donazione di

Costantino.

Dante Alighieri 500 anni dopo pensava che quel documento fosse vero, quindi nella
Divina Commedia se la prende con Costantino, perché avrebbe regalato territori italiani
alla chiesa .

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Dante è un fierissimo oppositore del potere temporale della chiesa e per questo ha
pagato le conseguenze sul piano personale.

Cosa c’è scritto in questo documento elaborato negli ambienti della cancelleria
pontificia? C’è scritto che Costantino nel momento in cui fonda Costantinopoli,
quindi siamo nel 330, cede a papa Silvestro il governo dell’Italia.

Per secoli questo documento è stato preso per oro colato, non solo a Roma ovviamente,
l’avevano fabbricato loro, ma anche nelle cancellerie regie e imperiali di mezza Europa.
Cosa vuol dire produrre un falso?

Vuol dire, non solo scrivere una cosa falsa ma cercare di imitare le tipologie documentarie
che si potevano produrre secoli prima.

Chi è che ha smontato questo falso documentario?

Un filologo umanista del 15 secolo cioè Lorenzo Valla.

L’umanesimo ha prodotto una disciplina nuova, la filologia, cioè lo studio della tradizione
dei testi e, così, su basi filologiche, Lorenzo Valla dimostrerà che quel testo non poteva
essere stato elaborato nel IV° secolo.

Ciò perché la lingua non tornava, in quanto c’erano tante particolarità testuali che non
andavano bene; e anche per la grafia, che non era una grafia rispondente a quelle che
si trovavano nei documenti del IV° secolo .

Quindi su basi scientifiche Lorenzo Valla dimostrerà che quel testo era un falso.

Anche lui però avrà dei problemini personali, e questo ovviamente susciterà le ire papali.
La confezione di questo falso è però a sua volta un documento importante.

Il testo è falso ma la confezione di un falso comunque è un documento storico, perché ci


dice cosa si pensava e quali erano le ambizioni politiche della curia pontificia alla metà
dell’VIII° secolo.

Il fatto che qualcuno, nella cancelleria, ovviamente sotto un input che veniva dall’alto,
abbia pensato di elaborare un documento del genere la dice lunga.

La dice lunga su quelli che erano i progetti politici della chiesa romana.

140
Il regno longobardo quindi è sulla difensiva e per cercare di salvare il salvabile l’ultimo re
longobardo Desiderio, farà sposare una figlia al figlio di Pipino il breve: Carlo poi detto
Magno.

Non si sa se si chiamasse davvero Ermengarda, questa è una invenzione manzoniana,


però è vero che una figlia di Desiderio fu data in sposa a Carlo Magno, che, nel 768,
morto il padre, diventa re dei franchi.

Pochi anni dopo, Adriano l, all’epoca papa, chiede ancora una volta a Carlo di invadere
l’Italia per mettere fine alla peste longobarda.

Carlo effettivamente invade l’Italia, riproponendo questo legame ferreo tra la sua dinastia,
il suo regno e la chiesa romana.

Questo legame non è un legame esclusivamente politico ,cioè non è un legame solamente
cementato da un colpo di stato, dal riconoscimento della corona di Pipino il breve e via
dicendo.

C’è anche una lunga attività iniziata già all’epoca di Carlo Martello, di evangelizzazione
delle popolazioni germaniche, confinanti con il regno franco, voluta prima da Carlo
Martello poi da Pipino e poi continuata da Carlo con l’ausilio di monaci benedettini, molti
dei quali di tradizione anglosassone.

Questi sovrani, prima Carlo Martello poi Pipino il Breve poi Carlo Magno, si servono
largamente di monaci benedettini provenienti dalla Britannia, cristianizzata ormai da
tempo, per evangelizzare le popolazioni germaniche, molte delle quali sono ancora
pagane.

Quindi non c’è solo un rapporto di natura politica, non c’è solo il fatto che il re dei franchi
con Pipino il Breve venne “unto” (il famoso unto del signore).

Venne unto come i re della Bibbia: Davide, Salomone ecc., c’è anche il fatto che i re
franchi della dinastia carolingia si sentono i tutori della “res pubblica cristianorum”,
della cristianità cattolica e sentono come loro missione, voluta da Dio, quella di
evangelizzare i pagani.

C’è un rapporto ideologico oltre che politico molto forte, fortissimo, strettissimo, tra la
Chiesa Romana e il potere Franco.

141
Carlo irrompe nella pianura padana e assedia Pavia, la città verrà assediata per alcuni
mesi, dopo di che Desiderio si arrende.

Il re verrà portato in Gallia e lì passerà gli ultimi anni della sua vita come monaco, anche
lui detronizzato.

Carlo nel 774 prenderà anche il titolo di re dei longobardi, tutti i documenti usciti dalla
cancelleria regia di Carlo Magno tra il 774 e l’800, quindi per 26 anni, portano nell’esordio
del documento l’intitolazione a Carlo Re dei Franchi e dei Longobardi , pertanto una
duplice corona.

Pavia continua ad essere sede di un potere regio.

Carlo, con i territori italiani, si comporta in una maniera che forse i pontefici romani non
avevano immaginato: arriva, sconfigge i longobardi e ne ingloba il territorio, non fa alcun
dono alla chiesa di Roma.

Ad un certo punto alcuni diplomatici della chiesa pontificia fanno presente a Carlo che ci
sarebbe stata una promessa: la famosa Promissio Carisiaca, che prende il nome da
Quierzy, una località della Francia del nord.

In tale località, secondo i messi del pontefice, il padre di Carlo, cioè Pipino il Breve
avrebbe promesso al papa tutta l’Italia a sud del Po.

I delegati di Carlo risposero che non risultava nulla, che nella loro cancelleria non c’era
nessun documento, e, comunque, dissero che il re aveva deciso che tutto il regno
longobardo fosse suo.

Non solo quello ma anche la Romagna e le Marche che pure rientravano nella
donazione di Pipino il Breve.

Viene pure inglobato di fatto anche il ducato longobardo di Spoleto .

Questo cosa vuol dire?

Vuol dire che tutta l’Italia a nord dell’attuale Campania e dell’attuale Molise
diventano parte del Regno d’Italia.

Il Regno d’Italia è uno dei domini del potere franco in Europa.

142
Poi i Franchi prendono possesso dell’Italia centro settentrionale.

Però non siamo in presenza di un’ invasione; cioè, quando si dice che i franchi prendono
possesso, significa che alcuni alti funzionari di origine franca comandano su alcune zone
del regno come funzionari pubblici, così come è altrettanto vero che alcuni guerrieri franchi
si stabiliscono in Italia dopo aver arraffato un bel bottino di terre.

Ma non siamo di fronte ad una vera azione di popolo , siamo di fronte ad una patina franca
costituita da alti funzionari e grandi proprietari terrieri.

Inizialmente, addirittura, per almeno 2 anni, Carlo aveva pensato di continuare a gestire il
regno d’Italia con funzionari longobardi , ma poi una rivolta dei duchi gli fa cambiare idea
e decide di eliminare tutti i duchi di tradizione longobarda e di sostituirli con funzionari a lui
fedeli di origine franca.

Questo non vuol dire ancora una volta che i longobardi scompaiono.

A parte il fatto che distinguere i longobardi dai latini in questa epoca è impossibile, ma le
grandi famiglie di tradizione longobarda rimangono sul territorio, solo che non hanno più il
potere politico al livello alto.

La conquista dell’Italia centro settentrionale è sicuramente per motivi ideologici, di


propaganda, poi molto concreti.

Vedremo tra poco la più importante delle conquiste che porta il Regno Franco di fronte
al papa.

Ma Carlo Magno, nella sua lunghissima attività di governo, non ha fatto altro che stare in
campagna militare, non ha fatto altro che promuovere una guerra dopo l’altra.

La guerra più lunga in assoluto è quella condotta a più riprese nel cuore della
Germania. Questa guerra è dettata dalla volontà del sovrano di convertire al
cattolicesimo i Sassoni pagani.

O vi convertite o vi passo tutti per le armi, e così Carlo Magno conduce ripetute campagne
militari per circa un trentennio nel cuore della Germania, soprattutto della Germania
settentrionale .

143
Ancora oggi in Germania ci stanno dei land cioè delle regioni importanti col nome di
Sassonia, Bassa Sassonia, alta Sassonia …e via dicendo.

In quelle regioni le popolazioni erano pagane, e avviene che l’attività degli eserciti proceda
di pari passo con l’attività missionaria evangelica dei monaci e che, quando conquistano il
territorio si crea una diocesi.

Si fondano dei monasteri e si cerca con le buone o con le cattive di convertire i Sassoni .

Per far questo Carlo arriva anche a servirsi di deportazioni di massa: prende migliaia di
contadini sassoni e li porta in Gallia, prende contadini della zona delle Fiandre del Nord
della Francia e li porta in Germania per promuovere la conversione al cattolicesimo.

Dalle fonti sono anche testimoniate decimazioni di massa, entrano nei villaggi in cui non ci
si vuole convertire al cattolicesimo.

Poiché i Sassoni hanno incendiato chiese edificate dai Franchi e sono tornati ai loro culti
pagani, saranno costretti alla conversione pena decapitazione.

Come si può vedere in un breve passo del Capitulare de partibus Saxonie.

Cos’è un Capitulare?

I capitulari sono le leggi dei re e poi quelle degli imperatori franchi.

Il nome capitolare deriva dal modo in cui si arrivava dalla promulgazione alla messa per
iscritto di una legge.

Di solito l’emissione di un capitolare era preceduta da un placito, il cosiddetto


placito di primavera.

Placito sta per assemblea.

In primavera il sovrano convocava gli alti dignitari laici ed ecclesiastici del regno, conti
palatini, governatori principali delle province, i vescovi più importanti, gli abati più
importanti dei monasteri: discutevano e poi prendevano le decisioni.

Il fatto curioso è che Carlo Magno obbligava gli alti dignitari laici a presentarsi al placito a
digiuno cosi non ci sono intemperanze non ci sono disordini e soprattutto si fa svelto.

144
Sapeva bene con chi aveva a che fare perché, nella cultura, nei sistemi di valore di queste
popolazioni di questi regni romano germanici, mangiare molto e bere molto è considerato
una virtù.

Mangiare e bere molto è considerata una sorta di virtù maschile, perché per le donne è
inopportuno.

Mangiare molta carne, soprattutto arrosto, e bere molto, fa parte di un sistema di valori in
cui anche andare a caccia, combattere, ecc., rappresentano tutta una serie di
dimostrazioni di forze.

Per questo poi, queste aristocrazie, soprattutto dell’Europa centro settentrionale, hanno
spesso sofferto di una malattia della circolazione cioè la gotta .

La gotta deriva proprio da questo sistema alimentare sballato.

Tutto è incentrato sulle proteine e sui grassi animali.

Anche Carlo negli ultimi anni della sua vita soffriva di gotta, infatti i medici giustamente gli
dicevano di smettere di mangiare la carne arrosto e di mangiare la carne lessa , ma lui
non ne voleva sapere.

Sarà stato per il gusto ma anche perché riteneva che il mangiare la carne lessa fosse un
aspetto diminutivo della propria potenza, della propria fierezza.

La carne lessa la mangiano i malati oppure la mangiano i monaci.

Anzi i monaci non dovrebbero nemmeno mangiare carne, ma lui non potendolo fare, se
ne sentiva limitato.

Al termine del placito, di questa assemblea , si prendevano decisioni che dovevano avere
valore su scala territoriale molto ampia.

Che dovevano riguardare questioni di diritto pubblico non di diritto privato, perché ogni
zona faceva storia a sé, giuridicamente, sul piano del diritto privato.

E questioni riguardanti la sfera ecclesiastica, perché la sfera ecclesiastica è considerata


parte integrante dello stato.

Vedremo concretamente cosa significa questo.

145
Dopo di che si mettevano per iscritto i provvedimenti presi nel placito per brevi capitoli.

Per questo si parla di capitolari, perché l’andamento di ognuna di queste leggi è per brevi,
secche disposizioni.

Nel Capitulare de partibus Saxonie, ad un certo punto si dice :

Se uno segue riti pagani e fa si che il corpo di un uomo morto sia consumato dal fuoco
(quindi una ritualità del cerimoniale funebre pagano) paghi con la sua vita - Se c’è
qualcuno della gente sassone che si nasconde fra gli altri senza essere battezzato e se
rifiuta di farsi battezzare e vuole esimersi e rimanere pagano, che muoia . Se qualcuno
viene riconosciuto infedele al nostro signore il re, sia punito con la pena morte .

Si veda come il mancato battesimo è considerato una specie di tradimento nei confronti
del potere regio e quindi meritevole dell’uccisione .

Al termine di questa guerra trentennale anche la Sassonia entra a far parte del Regno
Franco.

Ma vi sono anche altre zone: un’ area meridionale della Germania, la Baviera, che pure
era cattolica, viene anch’ essa inglobata perché il duca di Baviera viene accusato da Carlo
di aver tradito un giuramento di fedeltà nei suoi confronti e quindi viene considerato
fellone.

La parola fellone è una parola che oggi in italiano è arcaica, non la usa nessuno.

Invece la parola “felony” cioè fellonia, in inglese, è molto usata perché ha un significato
anche giuridico.

Il presidente Nixon all’epoca del Water gate, fu accusato di fellonia cioè tradimento.

Che origine ha questa parola? Ha un ‘origine di tipo feudale.

Il fellone è colui che viene meno al giuramento prestato al senior , cioè non lo ha aiutato
né militarmente né con altre tipologie di azioni.

Quindi Carlo dice: tu non mi hai aiutato quando ne avevo bisogno, sei un fellone per cui io
sono autorizzato ad attaccarti e a prenderti il territorio.

146
Così dopo la Germania del nord si prende anche la Germania del sud.

Poi sempre per via di questa missione divina di cui si sente interprete, porta le sue armate
anche al di là dei Pirenei contro l’emirato islamico di Cordova.

Ma qui le cose gli vanno un po’ meno bene, perché dopo alcuni anni di combattimenti,
riesce soltanto ad ottenere una piccola porzione di territorio iberico, che poi prenderà il
nome di marca ispanica che corrisponde grosso modo all’attuale Catalogna, e nemmeno
tutta.

Il che spiega anche per quale motivo la Catalogna ha una storia differente dalla Castiglia
e dal resto della penisola iberica.

Perché la Catalogna rientra nel mondo Franco, mentre il regno di Castiglia e Leon che,
all’epoca era molto più a nord, non entra nell’orbita Franca.

Trattasi di regni molto piccoli nell’estremo nord della Penisola Iberica.

L’evento più noto in negativo di questa campagna militare nella penisola iberica, è legato
all’episodio della famosa rotta di Roncisvalle nella zona dei Pirenei, dove il conte palatino
Orlando (Roland in francese), perse la vita.

E’ un episodio noto soprattutto per la Chanson de Roland, che appartiene ad un ‘epoca


assai posteriore, siamo nel pieno dell’epoca delle crociate, della riconquista iberica, cioè
un’ opera scritta alla fine dell’XI° secolo e che quindi trasforma completamente questa
campagna militare avvenuta 3 secoli prima.

L’ultima zona d’Europa in cui Carlo porta le sue armate è la zona, che poi prenderà il
nome di Ostenmark, cioè l'Austria.

La parola Austria deriva da osten cioè orientale.

In questa area d’Europa erano presenti gli Avari, una popolazione di origine turco
mongolica, come precedentemente gli Unni.

Questo popolo per lungo tempo aveva razziato le provincie occidentali dell’impero di
Costantinopoli , accumulando un enorme bottino.

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Quando Carlo sconfigge gli arabi mette le mani sul tesoro da loro accumulato nei decenni
e di questo ci parla per esempio Eginardo il biografo di Carlo Magno, il quale ad un certo
punto nella sua “Vita di Carlo” ci dice:

Fu depredato tutto il denaro insieme agli altri tesori , a memoria d’uomo nessuno ricorda
che i franchi abbiano ottenuto in nessun altra guerra mossa contro di loro, un bottino e
ricchezze maggiori. Fino ad allora si era ritenuto che fossero quasi poveri.

Tuttavia dopo aver trovato cosi tanto oro e argento nel palazzo del re, e dopo aver
ottenuto un bottino così prezioso in combattimento, si poté pensare che i franchi avessero
sottratto a ragione, agli Unni ciò che essi avevano depredato a torto ad altri popoli .

Eginardo qui fa confusione, cioè confonde gli Avari con gli Unni, e li confonde non del
tutto a torto, perché sono popolazioni provenienti dallo stesso circo etnico.

Si noti il richiamo all’oro, che nell’occidente franco era una metallo prezioso quasi
scomparso.

Ora vedremo quali conseguenze avrà questa rarefazione dell’oro in occidente.

Carlo ha conquistato una bella fetta di Aquilonia.

Voi avete una carta in cui vengono indicati i territori conquistati dalle armate di Carlo
Magno.

Si va dalla Catalogna fino all’Austria, dall’Olanda fino all’Italia centrale.

Il cuore politico di tutta questa entità statuale, non batte in Italia ma batte laddove
voi trovate indicata l’Austrasia.

La capitale del regno franco è Aquisgrana, città tedesca oggi a pochi chilometri di
confine dal Belgio.

Quindi le città più importanti politicamente parlando dopo Aquisgrana, sono Colonia,
Magonza, Parigi.

Queste sono le città che contano da un punto di vista politico .

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L’aristocrazia guerriera che segue Carlo Magno nelle conquiste, proviene da queste aree,
da sempre confinanti tra idiomi romanzi della Francia del nord e gli idiomi germanici.

Ma da un punto di vista ideologico e intellettuale è tutta un ‘altra questione.

Carlo forse sapeva un po’ di latino, la sua lingua madre era sicuramente una lingua
di ceppo germanico, ma parlava anche una lingua romanza.

Era già molto: se ricordate Paolo Diacono quando parla di Liutprando dice che non
sapeva niente di lettere, cioè vuol dire che non sapeva neanche cosa fosse il latino
soprattutto quello scritto.

Però i suoi guerrieri sono per la stragrande maggioranza dei casi di analfabeti.

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Abbiamo già visto con l’epoca di Pipino chi sono i suoi ambasciatori, sono uomini di
chiesa: monaci, abati vescovi, cappellani di corte, cioè il cuore politico batte in questa
zona nord occidentale dell’Europa, ma da un punto di vista dell’ elaborazione di un
pensiero politico, sono gli uomini di chiesa a dettar legge .

Lui non può che affidarsi agli uomini di chiesa, e qui un ruolo straordinario lo gioca
la chiesa romana.

L’impero è una creazione politico militare Franca, ma l’ideologia imperiale è romana.

E’ la chiesa di Roma, in senso lato, che fornisce il supporto ideologico e spirituale del
potere di Carlo Magno.

Era difficile che potesse andare diversamente se tutti gli intellettuali, se tutti gli uomini di
lettere del tempo erano nel 99 per cento dei casi uomini di chiesa.

Ed è il vescovo di Roma cioè il papa che nella notte di Natale dell’800 incorona Carlo con
il titolo di imperatore romano.

Questa idea di trasformare un re franco in un imperatore romano poteva venire soltanto ad


un papa.

Perché lo investiva di un carisma di cui la chiesa romana si sentiva erede: res pubblica
cristianorum, la res pubblica che rimanda alla concezione del potere pubblico e del diritto
pubblico romano.

Che l’ideologia e la tradizione romana fossero penetrate ecclesiasticamente nella curia di


Aquisgrana, noi lo deduciamo anche da elementi architettonici, perché la cappella palatina
di Aachen riprende i modelli architettonici della chiesa di San Vitale di Ravenna, cioè una
chiesa imperiale romana.

Come si arriva poi all’incoronazione di Carlo magno?

Papa Leone lll°, nell’anno 799, fugge da Roma perché una parte degli ecclesiastici della
sua curia e anche dell’ aristocrazia cittadina lo accusa di 2 crimini.

Di aver spergiurato, cioè di aver giurato il falso.

Essere giurati di spergiuro non è una colpa da poco perché si giura toccando il Vangelo , e
poi viene accusato di adulterio.
151
Fatto sta che lui deve fuggire da Roma, si reca al di la delle Alpi e chiede a Carlo di
aiutarlo di fronte ai suoi accusatori.

Carlo quindi scende con il suo esercito in Italia per l’ennesima volta , arriva a Roma e il 23
di dicembre dell’ 800, convoca un ‘assemblea di fronte a laici ed ecclesiastici di Roma e
chiede al papa: Tu sei pronto a giurare di non aver commesso i crimini di cui vieni
accusato? Sei pronto a giurare di fronte a me ?

Si, sono pronto - dice il Papa.

Bene, allora io ti assolvo da tutte le accuse e tu ritorni sul suolo Pontificio!

L’autorità politica di Carlo con tutto l’esercito schierato alle porte di Roma ha la meglio
sugli accusatori dentro la città.

Due giorni dopo il papa lo incorona, come ci racconta un breve passo estrapolato dal
Liber Pontificalis, che è un insieme di biografie di pontefici.

Quelle più antiche cioè quelle che fanno riferimento al periodo da San Pietro fino all’inizio
dell’età medievale sono biografie realizzate a posteriori, quindi utilizzando fonti di
seconda e terza mano.

Questo perché la scrittura del Liber Pontificalis inizia nell’alto medioevo dove invece
queste vite venivano stese subito dopo la morte del pontefice.

L’obiettivo principale di un testo di questo tipo è esaltare l’operato dei papi e della chiesa
di Roma.

Ci sono equivalenti del Liber Pontificalis in tante altre grandi sedi vescovili dell’ Europa,
perché come già accennavamo nella precedente lezione, il papa non ha un ‘autorità
giurisdizionale su diocesi e vescovi fuori dalla sua portata.

La chiesa occidentale è una chiesa orizzontale che comanda solo ai vescovi ognuno
nel suo ambito ed è quindi normale che noi troviamo biografie e gesta vescovili in tante
altre zone dell’Europa. Ciò che conta è l’importanza della sede cattedrale.

Nel Liber Pontificalis romano si dice: Il venerabile e benefico pontefice [Leone III]
incoronò con le sue stesse mani Carlo, con una corona preziosissima. Accadde allora che
i romani, vedendo come Carlo aveva difeso la santa romana chiesa e il suo vicario, tutti

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insieme ad altissima voce, ispirati da Dio e dal beato Pietro - colui che ha le chiavi del
regno dei Cieli - esclamassero:<< A Carlo, piissimo Augusto, incoronato da Dio, grande e
pacifico imperatore, vita e vittoria!>>.

Quindi nella notte di natale dell’800, Carlo non è più re dei Franchi e dei Longobardi
ma imperatore romano.

Imperatore del sacro romano impero.

Questa è la versione del Liber Pontificalis.

Nella Vita di Carlo di “Eginardo”, le cose vengono presentate in maniera diversa, perché
secondo Eginardo, pare che Carlo non fosse tanto contento.

Soprattutto non fosse tanto contento che la corona gli venisse messa sulla testa dal papa,
come dire, se lui mi mette la corona in testa vuol dire che conta più di me e questo gli dava
un po’ di fastidio.

Sono aspetti del cerimoniale che però poi hanno delle ricadute concrete.

In ogni caso questa incoronazione, sanziona in maniera definitiva il legame tra la dinastia
di Carlo e la chiesa romana.

E’ questa una legittimazione vicendevole perché Carlo diventa una sorte di


imperatore divino e la chiesa di Roma assume un primato che ancora non è: c’è
ancora molto da fare sul piano giurisdizionale però da un punto di vista morale è
chiaro che la chiesa di Roma conta più di tutte le altre.

Questa unione tra il Regnum ed il Sacerdotium, cioè tra il potere temporale e il potere
spirituale è un fenomeno che avrà una vita abbastanza lunga nell’età medievale

La capacità e la congiuntura momentanea stabiliranno se questa unione avvantaggia i


sovrani o i pontefici.

Sono poi vicende plurisecolari che dimostreranno chi avrà la meglio in questa unione .
All’epoca di Carlo era lui che comandava, lui era il tutore della chiesa, la chiesa fa parte
dello stato, fa parte dell’impero!

Quindi cosa fa Carlo? Si sceglie i vescovi, è lui che li nomina.

153
Il vescovo di Magonza, il vescovo di Colonia, queste sono città e soprattutto sedi vescovili
troppo importanti per Lui .

Siccome poi questi personaggi vengono utilizzati per missioni diplomatiche e per compiti di
natura pubblica, lui trova naturalissimo nominare i vescovi .

Se volete presentatemi dei candidati ma poi scelgo io, perché questi sono uomini miei che
mi servono per amministrare l’impero.

Questo avveniva anche nelle abazie, nelle grandi abazie: anche nel caso di grandi
monasteri capitava che l’abate fosse di nomina imperiale.

Nelle dispense ci sono 2 brevi brani ripresi da altrettante lettere inviate dalla cancelleria di
Carlo, una al papa e l’altra ad un abate, alla fine dell’VIII° secolo, pochi anni prima in cui
fosse incoronato, che ci fanno toccare con mano quali erano i rapporti tra il potere politico
e il potere religioso mentre il sovrano Franco stava conquistando mezza Europa.

Partiamo dalla lettera inviata dalla cancelleria di Carlo al Papa Leone lll° nell’anno 796.
All’interno di questa lettera il sovrano ad un certo punto afferma :

Il nostro compito è difendere, con l‘aiuto della benevolenza divina, dall’esterno la Chiesa
di Cristo dall’irruzione dei pagani e dalle devastazioni degli infedeli e rafforzare
dall’interno il riconoscimento della fede cattolica. Il vostro compito, invece, o Santo Padre
è questo: innalzate le mani come Mosè in aiuto del nostro esercito, in modo tale che il
popolo cristiano, guidato da Dio, possa ottenere ovunque la vittoria contro i nemici grazie
alla vostra intercessione e il nome del nostro Signore Gesù Cristo possa irradiarsi in tutto
il mondo.

Non è ironico, sta parlando con cognizione di causa.

La lettera successiva è inviata ad un abate .

Qui il tema è un po’ diverso non si parla tanto di politica ecclesiastica , ma un po’ si perché
in realtà Carlo incoraggia tutte le grandi sedi monastiche e cattedrali a promuovere le
scuole locali che del resto, all’epoca, erano le uniche funzionanti.

Le promuove perché ha bisogno di personale qualificato che sappia di latino e di diritto per
amministrare i suoi territori.

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In questa lettera si dice: Carlo, per grazia di Dio re dei Franchi e dei Longobardi e patrizio
dei Romani, (siamo quindi prima del 25 dicembre dell’800) all’abate Baugulfo e a tutta la
congrega, e anche ai fedeli a te affidati, con i nostri oratori, nel nome di Dio onnipotente,
mandiamo un cordiale saluto.

Sia noto alla devozione vostra a Dio gradita che noi insieme con i nostri fedeli, abbiamo
ritenuto essere utile che i vescovadi ed i monasteri a noi affidati col favore di Cristo, oltre
alle occupazioni ordinarie ed alle conversazioni della santa religione, debbano anche
intraprendere lo studio delle lettere, secondo la capacità di insegnare che ciascuno, per
dono divino possiede… Per la qual cosa esortiamo voi non solo a non negligere lo studio
delle lettere, ma anche, con intenzione umilissima a Dio gradita, ad apprenderli a gara,
acciocché più facilmente e rettamente possiate penetrare i misteri delle divine scritture

Ovviamente questa prosa non è la prosa di Carlo magno.

Carlo avrà detto la sua al suo cancelliere che è un uomo di chiesa e che scrive quindi in
questo modo.

Da questi due brevi brani si comprende qual è l’atmosfera politico religiosa che presiede al
governo di Carlo.

Dopo essere stato incoronato Carlo però ha un problema di legittimazione perché


c’è ancora un impero romano che è quello di Costantinopoli, anzi per gli imperatori
di Costantinopoli esiste solo l’impero romano con sede a Costantinopoli; Carlo è
un barbaro ai loro occhi.

Però, l’impero di Costantinopoli, in questi anni ha i suoi problemi, anche perché a


governare l’impero c’è una donna, Irene, che ha fatto accecare il figlio per prendergli il
posto e quindi ha dei grossi problemi a casa sua.

Insomma Carlo manda i suoi ambasciatori per dire facciamo un bel matrimonio e così si
crea un vero impero ecumenico.

Ma la cosa non va perché a Bisanzio l’idea di unirsi con un rozzo che proviene dal nord
della Gallia è assolutamente impensabile.

Però c’è un accordo politico diplomatico per cui alla fine a Bisanzio si riconosce che Carlo
è imperatore, non si sa bene di cosa, l’importante è che non si fregi del titolo di romano.

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In cambio Carlo Magno restituisce alcuni territori orientali da poco conquistati,
l’Istria e la Dalmazia che quindi tornano nell’orbita bizantina.

Come funziona questo impero ? Come viene amministrato? Quali sono i funzionari?

L’amministrazione e quindi anche la legislazione è omogenea solo sul piano del


diritto pubblico ma non sul piano del diritto privato perché l’impero costituito solo
con la forza delle armi, in un contesto così arretrato dal punto di vista economico
non poteva pretendere l’omogeneità.

Si mettevano insieme zone urbanizzate con zone totalmente rurali, zone in cui si
parlavano lingue differenti e quindi tradizioni giuridiche differenti, allora l’intuizione è che
sul piano del diritto privato ognuno fa quel che vuole e cioè mantiene le tradizioni
precedenti.

Così per esempio nel regno d’Italia, si continua ad utilizzare il diritto Longobardo,
così come in Gallia il diritto Franco, il diritto Sassone in Germania e via dicendo.

Quindi i capitolari non legiferano su aspetti di diritto privato, come per il matrimonio, la
dote, l’eredità, qualsiasi cosa che abbia a che fare con compravendite, contratti
commerciali ecc.

Tutto questo rimane legato alla sfera del diritto privato locale.

Gli imperatori da Carlo Magno in poi legiferano sul piano del diritto pubblico, la
difesa e poi la Chiesa ovviamente, perché è considerata parte integrante dello
Stato.

All’interno dell’impero ci sono dei regni che hanno una larga autonomia e che vengono
governati dai figli, il regno d’Italia il regno di Aquitania cioè della Gallia sud occidentale.
Poi ci sono alcuni grandi ducati, che hanno una semi economia , la Baviera , la Britannia.
Poi c’è, in generale, la seguente modalità di suddivisione amministrativa provinciale: il
funzionario pubblico per eccellenza dell’impero carolingio è il comes, il conte.

Ogni conte governa su un comitatus da cui la parola italiana contado , e questa zona
governata dal conte assumerà anche il termine Italiano di contea.

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Nelle zone di confine , vengono create delle contee molto grandi che prenderanno il nome
di marche governate dal marchese, la marca ispanica è una di queste , la marca
orientale cioè l’Austria è un ‘altra e via dicendo .

Che compiti hanno questi funzionari pubblici conti e marchesi?

Fondamentalmente la difesa del territorio e della provincia che loro amministrano e


l’amministrazione della giustizia: riscuotono anche delle imposte ma sono imposte
prevalentemente in natura, e generalmente indirette, imposte cioè su merci che
transitano, che vengono scambiate e via dicendo.

Questi funzionari pubblici provengono quasi in generale dall’aristocrazia militare


Franca. L’abbiamo visto anche per il regno d’Italia . Talvolta questi funzionari pubblici
possono ma non sono obbligati ad avere un legame , di natura vassallatica con
l’imperatore cioè possono essere i suoi vassalli ma non è necessario .

Ci possono benissimo essere conti e marchesi che non hanno un legame di natura
feudale, pertanto conti e marchesi non sono vassalli per il semplice fatto di essere
conti e marchesi.

Questa è una cosa in più ma potrebbero anche non essere vassalli, quindi se uno vi
chiedesse cosa sono conti e marchesi?

Funzionari pubblici dell’impero che poi possono anche essere vassalli.

Poi vedremo che essere vassalli significa aver giurato fedeltà di natura personale e per
questo fatto aver ricevuto un beneficio ancora una volta temporaneo e revocabile in
qualsiasi momento.

Revocabile ovviamente se si vien meno al giuramento.

Allora quali sono le reali relazioni , di questi funzionari pubblici?

Se pensassimo ad un funzionario provinciale romano a uno bizantino, ad un emiro arabo,


se ne trarrebbe che la remunerazione di questi funzionari avviene soprattutto sul piano
pecuniario, cioè a seguito di uno stipendio che arriva delle casse dello stato.

Ma questa modalità può essere messa in atto soltanto se siamo di fronte ad uno stato a
base fiscale, come l’impero romano o bizantino e come l’impero islamico.

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Ma se non esiste una fiscalità imperniata sulla riscossione di monete, è molto difficile
avere dei funzionari provinciali remunerati in questo modo. Allora come viene remunerato
il conte?

Dicendo lui che deve sostentarsi con i proventi della provincia che amministra.

Pertanto, da un punto di vista teorico il funzionario provinciale carolingio potrebbe essere


remunerato in 3 forme.

La prima è rappresentata dalle entrate che vengono dalle terre sue cioè della sua
famiglia, quelle che con il termine di origine germanica viene definita allodio.

L’allodio è la terra in piena proprietà.

Molte delle terre questi funzionari le hanno avute come bottino di guerra, cioè sono il
risultato delle conquiste realizzate dall’esercito di Carlo.

Ma ovviamente in un comitatus non ci sono solo le terre allodiali dei funzionari ma anche
le terre del demanio cioè terre dell’impero che vengono date in gestione al conte stesso.

Il conte trae il suo sostentamento, la sua remunerazione anche dalla gestione delle terre
pubbliche.

Poi nel caso in cui lui dovesse essere anche un vassallo dell’imperatore, c’è una terza
fonte di remunerazione, le entrate provenienti dalla gestione dei benefici, cioè le terre a lui
infeudate.

Le terre sue sono assicurate, le terre del demanio lo stesso , le terre feudali sono nel caso
in cui lui sia vassallo , il che non è detto.

Questi funzionari sono nella maggior parte dei casi funzionari pubblici.

Però c’è un grosso problema che mina la base dell’ordinamento imperiale.

Questi funzionari governano le province, non sono stipendiati, devono sostentarsi con le
ricchezze della provincia, il principale gettito del sovrano sono i proventi del tribunale
provinciale, cioè le multe.

Le confische vanno tutte a lui, cioè sono entrate dello Stato che molto spesso sono in
natura, che vanno a lui perché funzionario.

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Però queste entrate non finiscono poi in una fantomatica cassa centrale, quindi accade
che i funzionari provinciali, rappresentino la principale fonte centrifuga dell’impero, perché
queste famiglie di funzionari provinciali tendono a diventare dei ras locali.

Per controllare che questi Conti non commettessero degli abusi di potere, spesso a danno
delle proprietà ecclesiastiche, si inventò una figura di funzionari itineranti : i missi
dominici, cioè gli inviati del sovrano .

Questi funzionari generalmente in coppia, un laico ed un ecclesiastico , giravano per le


varie contee chiedendo alle persone importanti del luogo, se la provincia era ben
amministrata, se erano stati commessi abusi e via dicendo.

Raramente capitava che una coppia di missi dominici arrivasse alla contea.

I trasporti erano un affare molto complicato e difficoltoso, essi dovevano girare a cavallo,
quindi esiste fin dall’inizio un problema di controllo del territorio che deriva dal fatto che il
sovrano non dispone di entrate per remunerare i funzionari e quindi non ha i mezzi per
rimuovere per controllare i funzionari stessi.

La stessa burocrazia centrale è molto debole.

Nel palatium di Aquisgrana abbiamo un cancelliere che è un ecclesiastico, un arci


cappellano cioè uno che svolge le funzioni religiose, qualche conte palatino cioè un
funzionario della capitale, Roland della battaglia di Aquisgrana e era un conte palatino,
cioè un conte di palazzo di Aquisgrana.

A corte c’è una burocrazia molto leggera.

Carlo e i suoi successori, oltre alla figura dei missi dominici, si erano caratterizzati per
l’assenza totale di stanzialità, questo voleva dire che la corte che era composta non da
molti individui , si spostava in continuazione per controllare il territorio e anche per
consumare le proprie entrate, perché spostandosi da una contea all’altra, la corte stava
sulle spese del funzionario che alloggiava.

Infatti le tasse principali dell’impero carolingio erano l’albergaria cioè l’obbligo per il
funzionario provinciale di ospitare nei suoi locali il sovrano e la sua corte, quindi vitto e
alloggio per la corte, il fodrum era l’obbligo di ospitare le cavalcature della corte quindi
mettere il cavallo nella stalla, il fieno e via dicendo.

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L’ambito più importante di intervento dell’imperatore riguardava la legislazione: i
cosiddetti capitolari di cui abbiamo già parlato.

Alcuni di questi capitolari sono stati a lungo studiati, analizzati, approfonditi per questioni
le più varie.

Per esempio uno di questi capitolari emanati da Carlo Magno si chiama capitolari de
villis che significa la legge sulle aziende agrarie perché con villa si intende una Curtis
cioè una azienda agraria, ma quale tipo di azienda?

Siccome i capitolari si occupano delle questioni di ordine pubblico, di diritto pubblico e


della chiesa, le aziende agrarie di cui si parla in questo capitolare, sono le grandi aziende
del demanio e della chiesa.

Queste grandi aziende agrarie del demanio e della chiesa come erano fatte?

In età carolingia erano composte di numerosi appezzamenti non necessariamente


contigui e venivano gestite nel modo seguente: esisteva una riserva padronale, che
generalmente prendeva la porzione più ampia dell’azienda indicata con il nome di pars
dominica, la parte del signore, del padrone, non importa però se laico o ecclesiastico.

In questa riserva padronale troviamo campi coltivati ma anche vaste zone non coltivate,
boschi, foreste, paludi, pascoli e via dicendo.

Chi lavora nella riserva in maniera continua per tutto l’anno, sono i cosiddetti servi
prebendari, cioè schiavi o ciò che rimane della schiavitù antica: sono detti prebendari
perché ricevevano dal signore la prebenda, cioè il vitto e l’alloggio.

La condizione giuridica di questi schiavi era però leggermente migliorata rispetto


agli schiavi della tarda antichità per opera fondamentalmente della chiesa .

Gli schiavi antichi sono assimilati agli animali, il valore di uno schiavo antico è
tranquillamente assimilabile a quello di una pecora.

Il padrone ne può disporre come e meglio crede.

Nell’impero romano c’era una legge che stabiliva che se uno schiavo uccideva un padrone
dovevano essere messi a morte tutti gli schiavi che appartenevano a quel padrone, in
modo tale che tutti gli schiavi si tenessero d’occhio l’un con l’altro.

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Un senatore romano alla fine del primo secolo d.C. venne ucciso da uno schiavo, ci fu una
grande discussione in senato perché questo senatore aveva una quantità immensa di
schiavi .

Quindi si trattava di uccidere migliaia di individui.

La discussione in senato verteva sull’opportunità o meno di seguire il dettato della legge.

La parte favorevole all’uccisione, che poi prevalse nel senato, diceva che bisognava dare
l’esempio: l’ordine sociale si basa sulla sottomissione totale dello schiavo e se si viene
meno meno a questa legge si rischia la pelle.

Non ci sarebbe stato più il terrore per la punizione a fermare gli schiavi, pertanto ne
furono massacrati moltissimi.

Questi comportamenti non erano più tollerabili nell’alto medioevo, perché i padroni
sarebbero stati scomunicati dal vescovo locale e quindi privati del possesso.

Nella pars dominica determinati giorni dell’anno lavoravano anche altri individui, questi
individui erano chiamati con il nome di massari, perché nell’ azienda agraria esisteva un’
altra porzione di territorio, tutta coltivata data in concessione ai massari i quali avevano
questo nome perché ricevevano in concessione, con contratto scritto o orale, un manzus,
un podere.

I massari potevano essere sia uomini liberi oppure servi accasati cioè messi sul masus.
La condizione politica largamente differente e anche la prestazione di onori si
differenziavano tra massari liberi e servi casati.

Comunque tutti e due erano tenuti nei confronti del signore a 2 obblighi: consegnare una
parte del prodotto agropastorale, un tot di grano, di vino, carne e prestare delle opere,
opere termine latino, in francese si usa il termine corvè, cioè prestazioni di lavoro in
determinati periodi della settimana o dell’anno nella riserva padronale.

Ci sono dei periodi dell’anno in cui la manodopera serve di più: per esempio quando si
deve fare la raccolta del grano, la vendemmia, la raccolta delle olive, e via dicendo.

Questo sistema chiamato dagli storici sistema curtense , perché imperniato sulla curtis, è
un sistema che si è diffuso in tutta l’Europa carolingia e grosso modo è arrivato fino alla

161
Toscana, ma non più a sud, non si trova né in Calabria, né in Sicilia, né in Sardegna e
neppure nella Penisola Iberica perché non facevano parte del l’impero Carolingio.

Questo sistema tiene conto della scarsità di manodopera cioè, ha un utilizzo flessibile
della manodopera perché è creato in un contesto di depressioni demografiche.

I tributi versati dai vassalli sono, in questo periodo, tutti in natura, tranne rarissime
eccezioni, perché ancora una volta siamo in presenza di una economia scarsamente
monetizzata.

Ci sono poi altri interventi della legislazione carolingia.

Ci si limita a 3 tipologie di interventi che hanno avuto un impatto di lunghissima durata.


Partiamo dal mondo ecclesiastico e in particolare dal mondo monastico: Carlo magno ma
soprattutto suo figlio Ludovico il Pio, negli anni successivi alla morte del padre
intervennero pesantemente sull’organizzazione della vita dei monasteri, imponendo a tutti
i monasteri dell’impero, per legge, con i capitolari, la Regola Benedettina .

Facciamo un breve passo indietro.

Il monastero di Montecassino è distrutto dai Longobardi nel 500, i monaci fuggono, alcuni
a Terracina e altri a Roma, non si sa bene che fine abbia fatto la regola cioè il testo
redatto da San Benedetto.

Per molti e molti decenni non si sa nulla della regola in Italia, e questo sta ad indicare che
i monasteri italiani non si governavano sulla base della regola Benedettina , ma ognuno si
governava sulla basi di regole locali.

Quando San Colombano Arriva in Italia chiamato da Aginulfo, Re dei Longobardi e fonda
il monastero di Bobbio, ecco, quel monastero, per molti decenni, fu governato sulla base
della regola di San Colombano, che è una regola di origine irlandese (celtica).

Buona parte dei monasteri della Gallia del VII° secolo si governavano sulla base di regole
celtiche , cioè che provenivano dai missionari irlandesi, poi però nella stessa Gallia verso
gli ultimi decenni del settimo secolo, compare in alcuni monasteri la regola benedettina.

Sappiamo che lì si utilizzava la regola benedettina, poi la regola prende piede


mescolandosi con quelle di origine celtiche, per cui parliamo anche di regola mista, però

162
nell’VIII° secolo soprattutto a partire dalla Gallia meridionale, a prevalere è la regola di San
Benedetto.

Il nucleo di diffusione della regola di benedettina non è tanto in Italia , ma la Gallia


meridionale.

La regola benedettina è una regola moderata, l’ascetismo è previsto ma attenuato e


quindi si adatta molto bene ad essere diffusa.

I sovrani franchi si trovano in un contesto dove la regola si sta diffondendo e la


promuovono a loro modo.

Subito dopo la morte di Carlo Magno, Ludovico il Pio che era stato re di Aquitania,
della zona dove la regola di san Benedetto era più diffusa, chiama a corte, ad Aquisgrana,
un monaco già guerriero franco proveniente dalla Gallia meridionale, tale Bitiza che
fattosi monaco, stimando San Benedetto, si era auto ribattezzato Benedetto, Benedetto
di Anian, da questa località della lingua doc della Gallia Meridionale.

Questo Benedetto di Anian ha una vita molto particolare, prima un guerriero dell’esercito
di Carlo Magno, poi si fa monaco, vive una parte della sua vita come asceta anacoreta
nelle foreste della Gallia, poi decide che la vita cenobitica è meglio, si mette a girare in tutti
i monasteri alla ricerca delle differenti regole con le quali vengono amministrati ne mette
in fila 23.

La maggior parte sono regole dinastiche per cenobi maschili ma ci sono anche regole per
cenobi femminili.

Dopo tutta questa fase di studio, concluse che la migliore era quella di San Benedetto.

E grazie a lui che si conoscono tante regole alto-medievali: sarebbero andate perdute se
non le avesse ricopiate e se non le avesse raggruppate in un corpus unico.

Opera quasi da filologo: le raccoglie tutte impedendo che naufragassero con la biblioteca
monastica.

Viene chiamato a corte ed è lui che scrive 2 capitolari che successivamente verranno
approvati ad Aquisgrana, e che imporranno la regola benedettina a tutti i monasteri
dell’impero.

163
Il suo impulso era di tipo ecclesiastico, riteneva che la regola di San Benedetto fosse la
migliore per questo motivo voleva che fosse imposta.

Ma gli imperatori perché volevano questa regola?

Loro volevano che ci fosse una sola regola dell’Impero: uno è l’impero e una
dev’essere la regola.

I monaci devono pregare o no per l’imperatore Certo devono pregare per la salvezza sua
e di tutti i guerrieri franchi, essi sono una parte fondamentale del potere imperiale.

I monaci dovevano pregare per la salvezza eterna degli individui , i sovrani avevano cura
di fondare i monasteri, concedere le terre ai monasteri, e volevano che tutti i monasteri
fossero ricordati secondo il medesimo principio.

Ecco perché la regola di San Benedetto è diventata la regola più diffusa in tutto
l’occidente cattolico.

San Benedetto è il santo patrono dell’Unione Europea e dal punto di vista filologico
non è certo un errore, perché la regola di San Benedetto è stata imposta
nell’Europa, quella Carolingia, all’inizio del XI° secolo .

Ci sono poi altri due campi di intervento su cui ha operato la legislazione Imperiale.

La monetazione

Carlo Magno interviene sulla monetazione dicendo: l'oro ormai è troppo scarso, in
occidente non ce n’è quasi più, circola qualche moneta di provenienza bizantina ma solo
in Italia, perché fuori non circola, le miniere d’oro non ci sono oppure non le sanno
utilizzare perché non c’è la tecnologia.

E’ diffuso soprattutto l’argento.

Allora Carlo Magno decide di porre termine a tutta la confusione di moneta che circola.

Stabilisce che dal quel momento la moneta in uso sarà una sola dando ad essa un nome
che era già di una precedente moneta romana, il denarius.

Quanto pesa e quanto argento puro c’è in questa moneta?

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Questa moneta pesa l’equivalente dei nostri 1,7 grammi. Il grammo ovviamente non
esisteva, e quanto argento puro c’è in una moneta che pesa 1,7 grammi? 1,6, quindi una
lega molto buona!

Questa moneta è l’unica circolante.

Carlo magno riforma anche il peso.

Stabilisce che da una libbra, unità di peso che è equivalente ai nostri 410 grammi di
argento, con quella lega lì, circa 950 millesimi, perché la lega dell’argento si stabilisce in
millesimi (quando si dice 950 millesimi vuol dire che 950 parti di argento puro sono dentro
mille parti).

Una libbra d’ argento, con quella lega, produce 240 monete da 1 denarius.

In realtà il calcolo quasi preciso è il seguente.

Ad una libbra Carolingia corrisponde un peso di 404-409 grammi, noi prendiamo 404
grammi, lo moltiplichiamo per 0,95 che è la percentuale di cui è costituita la lega di quella
moneta, e poi lo dividiamo per il numero di grammi d’argento, 1,6, presenti in un denarius.

Pertanto: 404 x 0,95 x 1,6 = 240

Allora cosa accade dall’Età Carolingia in poi?

Che la parola libbra latina, assume 2 significati: uno quello tradizionale di peso e l’altro
di moneta di conto, la nostra lira.

La parola lira viene da libbra, quindi la parola libbra nel senso di moneta sta ad indicare
240 monete da un denarius .

Ma la lira moneta non esiste, non è coniata, circola solo il denarius, quindi la lira, la libbra
moneta è solo una moneta di conto: un multiplo, però immaginario, non circolante.

Siccome la distanza tra questo multiplo e la moneta effettiva è molto alta, 1 a 240, poi si
inventa un multiplo intermedio, anche qui utilizzando una parola che rimanda ad una
vecchia moneta romana.

Questa parola è il solidus, soldo. Quanto vale questo multiplo immaginario? 12 denari!

Quindi per fare una lira ci vogliono o venti solidi immaginari o 240 monete da un denarius.
165
Avete fatto caso che la parola pound in inglese ha due significati?

Significa libbra, ma significa anche sterlina; questa parola deriva dal latino pondus (che
significa peso), perché i sovrani inglesi adottarono quasi contemporaneamente a Carlo
Magno questo sistema.

In Inghilterra, fino agli inizi degli anni 70 del 900 per fare una sterlina ci volevano 20
shillings, cioè 20 scellini, 20 soldi. Per fare 1 shilling ci vogliono 12 pences.

Il sistema metrico decimale l’ha inventato napoleone.

Quindi gli inglesi hanno resistito il più possibile perché dovevano adottare un sistema
francese.

In Inghilterra hanno ancora le misure medievali: il miglio è medievale, la libbra è


medievale, l’oncia è medievale e via dicendo.

Il sistema decimale è arrivato in Italia con le armate napoleoniche.

Quindi tutte le monete europee si contavano in base 12, in base 20, in base 240 fino a
Napoleone.

In Inghilterra fino agli anni 70 del 900.

Pertanto, quando si trova in un documento medievale la parola lira, sta ad indicare non 1
libbra ma 240 pezzi da 1 denarius, quando trovate la parola solidus vuol dire che vi
trovate di fronte ad un modo di contare per cui non si dice 12 denarius ma solidus.

Un altro campo di intervento, riguarda il modo in cui si scrive.

Si scrive con la scrittura di Carlo Magno, per un fraintendimento grottesco degli umanisti
italiani del 400, perché Carlo Magno si appoggia ad alcuni uomini di chiesa,
principalmente ad Alcuino, monaco anglosassone, originario di York e a cui demanda
la riforma della scrittura.

La Bibbia copiata da Alcuino è il testo più antico di scrittura carolina.

E’ una scrittura minuscola, corsiva, molto facilmente leggibile, con un ductus (termine
tecnico dei paleografi) molto regolare; con le lettere non appiccicate ma tratteggiate in
maniera molto piana.

166
La scrittura della cancelleria dell’impero, la scrittura delle scuole, delle cattedrali e dei
monasteri, le scritture con le quali i monaci dell’età carolingia copiavano i testi antichi.

I testi letterari poetici dell’antichità latina si sono salvati perché i monaci dell’età
carolingia sotto l’impulso anche di queste lettere dell’imperatore creavano delle
scuole e copiavano testi sacri e anche testi letterari.

Se loro non avessero copiato quei testi classici, noi oggi non conosceremmo buona parte
della letteratura latina, che non ci è pervenuta in esemplari antichi ma in copie alto
medievali.

Nel 400 gli umanisti italiani vanno a ripescare nei monasteri, la dove sanno che si trovano,
i testi della classicità, Seneca, Tacito, Cicerone, Cesare e via dicendo; trovano questi
manoscritti, ma questi manoscritti che loro pensano siano dell’età classica, sono in realtà
testi alto medievali vergati da monaci dell’età Carolingia e quando stampano questi
testi vogliono utilizzare una scrittura che li mandi alla classicità.

Quei caratteri non erano classici erano caratteri dell’età carolingia e quindi i caratteri della
stampa sono i caratteri della scrittura carolingia voi scrivete nella scrittura dei monaci
dell’età di Carlo Magno e Ludovico il Pio .

167
SETTIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE

MERCOLEDI’ 15.10.2014 ORE: 12,00 - 14,00

Ieri abbiamo esaminato la formazione dell’impero creato da Carlo Magno fino grosso
modo ai primissimi anni del IX° secolo, e abbiamo analizzato le strutture amministrative
fondamentali dell’impero stesso.

Vediamo ora cosa accade dell’impero all’indomani della morte del suo fondatore.

E’ per puro caso che l’impero non abbia incontrato delle grosse difficoltà già
nell’814, cioè con la morte di Carlo.

Perché non le incontra?

Perché al sovrano sopravvive un unico figlio maschio, ne fossero sopravvissuti di più si


sarebbero presentati in anticipo problemi di successione ereditaria che poi si sarebbero
manifestati alcuni decenni più tardi.

Infatti, nell’806, Carlo aveva previsto in un documento intitolato Divisio Imperi che i suoi
territori sarebbero dovuti essere divisi in 3 parti, perché 3 figli maschi aveva in quel
periodo.

Poi, due di questi muoiono prima dell’814, cioè prima della sua scomparsa, cosi tutto è
più facile, perché rimane un unico figlio Ludovico, che assumerà il titolo di Imperatore
all’indomani della morte del padre.

Dall’814 abbiamo di nuovo un unico sovrano, Ludovico detto poi il Pio.

Ludovico il Pio ha questo titolo per i suoi interventi in ambito ecclesiastico, è lui che
promuove più concretamente l’adozione obbligatoria della regola di San Benedetto nei
monasteri dell'impero, è lui che porta dall’Aquitania il monaco Benedetto di Aniana ad
Aquisgrana, e in base ai suoi suggerimenti emana dei capitolari detti di Aquisgrana tra
l’816 e l’817 che regolano la vita dei monasteri imperiali.

Inoltre, Ludovico il Pio accentua alcuni privilegi concessi già da Carlo a favore di enti
ecclesiastici.

168
Questi privilegi, di natura giurisdizionale, si caratterizzano per il termine di immunità.
Questi privilegi di immunità garantiscono a enti ecclesiastici, monasteri o chiese
cattedrali, che i funzionari pubblici, conti e marchesi non possano entrare nei territori,
quindi all’interno dei patrimoni di questi stessi enti, per arrestare eventuali trasgressori
della legge oppure riscuotere imposte.

Che senso ha la concessione di privilegi di immunità a questo o a quell’ente


ecclesiastico?

Ha il senso che abbiamo già visto, insito nella figura dei missi dominici.

Cioè, poiché l’imperatore diffida dei suoi funzionari, in seguito alle richieste di alcuni enti
particolarmente importanti, generalmente quegli stessi enti a capo dei quali poi è
l’imperatore che pone un uomo di sua fiducia, l’imperatore concede dei diplomi dai testi
solenni in pergamena.

In essi si dice che il funzionario pubblico non può entrare nelle terre di quell’ente
ecclesiastico per far rispettare la legge, perché si teme che questa legge non solo non sia
rispettata, ma che quel funzionario abusi del suo potere per mettere le mani sulle terre di
quell’ente ecclesiastico.

Così l’Imperatore cerca di proteggere questi enti concedendo privilegi di immunità.


Ludovico interviene anche pesantemente sulla procedura di nomina dei vescovi di
Roma.

Lui e suo figlio Lotario, che assume il titolo di re d’Italia emanano nell’824 un capitolare
poi definito con il termine di Constitutio Romana, in cui si dice che colui che è stato
scelto dall’assemblea del popolo e del clero di Roma, come arcivescovo quindi

come papa, non possa prendere possesso effettivo della carica se non dopo aver
giurato fedeltà all’imperatore.

Quindi il giuramento di fedeltà è condizione indispensabile per il giuramento del Pontefice.

Io vi proteggo, quindi voi mi dovete giurare preventivamente fedeltà.

Ludovico, ha rispetto al padre Carlo, una concezione della sacralità, della indivisibilità del
potere imperiale più marcata, più spiccata.

169
Carlo sarebbe stato pronto a dividere l’impero tra i suoi eventuali successori e solo il caso
ha impedito che questo avvenisse.

Ludovico il quale ha più figli con mogli diverse, ha presente il pericolo che l’impero possa
disgregarsi e, fin dai primi anni del suo governo, pensa ad una soluzione che salvi
l’integrità del potere imperiale.

Così nell’817 emana la ordinatio imperi, cioè una legge che avrebbe dovuto regolare in
maniera pacifica la successione al trono.

Questa ordinatio imperi prevedeva che uno solo tra i suoi figli, il maggiore, Lotario, che
già aveva associato al potere come re d’Italia, avrebbe ricoperto la carica di imperatore.

A lui sarebbe spettato il compito di amministrare direttamente la gran parte dei


territori franchi dei territori imperiali.

Ad un altro figlio, di nome Ludovico sarebbe spettato il Ducato di Baviera e ad un altro


ancora, prima ad un figlio di nome Pipino che scompare, poi all’ultimo dei suoi figli, Carlo
detto il Calvo il Ducato di Aquitania e la Marca Ispanica.

La stragrande maggioranza dei territori doveva aspettare all’erede al trono, Lotario.

Solo porzioni ridotte, e comunque geograficamente non centrali, la Baviera da una parte,
l’Aquitania con la Marca Ispanica dall’altra, agli altri 2 figli.

Questa decisione, però, però causa una forte instabilità, perché gli altri figli ritengono che il
padre li stia defraudando dei loro diritti in base alle tradizioni politiche e giuridiche franche.

Pertanto, il lungo periodo di governo di Ludovico il Pio, che governa dall’814 fino all’840
(26 anni ), è caratterizzato (soprattutto gli anni 20 e 30 sono anni tormentati) da continui
scontri con i figli, che poi si risolvono anche in una condizione di guerra civile.

Dietro ai pretendenti al trono ci sono poi aristocrazie militari, radicate in determinate


regioni, e quindi si vanno contrapponendo non solo singole versioni, ma anche specifiche
aree geografiche di questo impero che è un impero multi etnico, multi linguistico, con
tradizioni giuridiche differenti, e via dicendo.

Questi forti conflitti esplodono in maniera drammatica nell’840 quindi con la morte
dell’imperatore.

170
Si arriva ad alcune battaglie, a cui partecipa gran parte dei guerrieri dell’impero, in territori
che oggi appartengono alla Francia a Fontenoy e a Verdun.

La guerra civile vede questi 2 capi contrapposti:

da una parte Lotario, cioè l’erede al trono, dall’altra i 2 fratelli, Carlo il Calvo e Ludovico
detto il Germanico.

Al termine di questa guerra si arriva ad una soluzione che è quella che voi vedrete in una
cartina delle vostre dispense la cui leggenda è l’impero carolingio e la sua divisione dopo il
trattato di Verdun 843.

La soluzione trovata con il trattato di Verdun, dopo almeno 3 anni di battaglie è la


seguente:

171
si crea un regno dei franchi occidentali, che comprende buona parte dell’attuale Francia
più l’Area Pirenaica ed una porzione di Catalogna, governato da Carlo il Calvo;

una bella porzione dell’attuale Germania e dell’Austria finisce nelle mani di Ludovico il
Germanico;

a Lotario, sconfitto, rimane una striscia di territorio molto lunga che va dall’Olanda fino
alla Provenza e poi il regno d’Italia.

Questa striscia costituirà poi un grosso problema verrà spartita nei decenni, soprattutto
nei secoli successivi, perché è una striscia totalmente disomogenea.

Disomogenea perché si va da aree fortemente germanizzate, l’Olanda con certe zone


della Renania fino ad aree totalmente romanze e di cultura mediterranea come la
Provenza.

La parte centrale di questa lunga e stretta striscia, dallo stesso Lotario, prenderà il nome
di Lotaringia.

Lotario, ancora, darà il nome ad una regione attuale della Francia cioè la Lorena che
deriva appunto da lotaringia la terra di Lotario (ma si tratta di una porzione molto più
ristretta).

Sono tutte zone di frontiera linguistica, politica, e via dicendo.

Il Regno d’Italia è più compatto e non poteva che rimanere nelle mani dell’imperatore
perché l’imperatore viene incoronato a Roma, quindi senza regno d’Italia non ci può
essere un vero imperatore.

L’anno prima di questa spartizione, gli eserciti di Carlo il Calvo e gli eserciti di Ludovico il
Germanico si erano giurati vicendevole fedeltà e alleanza, il cosiddetto Giuramento di
Strasburgo.

A Strasburgo, che all’epoca si chiamava Argentaria, la città dell’argento, e che fino a


tempi recenti è stata una città di lingua tedesca, questi due eserciti si giurano alleanza.

Perché è importante questo giuramento di Strasburgo?

Oltre che per ragioni storiche, militari e politiche, per motivi linguistici, di storia
della lingua tedesca e di storia della lingua francese.
172
Questo documento è molto interessante perché ci fa vedere come si stanno già
affermando gli idiomi volgari.

Nel mondo tedesco è ovvio, lo è di meno nel mondo romanzo: che lingua si parlava nelle
terre nelle quali un tempo si parlava il latino? O una specie di latino?

Il fatto è che noi conosciamo perfettamente il latino letterario, sappiamo poco del latino
popolare.

E’ molto probabile che nessuno dicesse equus nel tardo impero romano, ma che si
dicesse invece caballus; certo non è una parola del latino classico.

Per molte lingue, per molti idiomi europei, noi abbiamo attestazioni che sono ben più
antiche rispetto agli idiomi italiani, in cui il documento più antico risale a quello compilato
da Placido Capuano, in cui si riporta la sentenza di un tribunale giudiziario della
amministrazione della Campagna che risale al 960.

Un documento tardo rispetto ad uno come questo, dell’842, dove noi troviamo messo per
iscritto il giuramento in antico tedesco, e in antico francese .

Il giuramento di Strasburgo(842) secondo le Historiae di Nitardo.

Il 14 febbraio Ludovico e Carlo si incontrarono nella città chiamata un tempo argentaria,


oggi Strasburgo .

La città ha cambiato nome assumendo caratteristica di origine germanica, assumendo un


toponimo di origine germanica, Burg, Burgo sarebbe la città.

e si scambiarono i giuramenti qui di seguito riportati: Ludovico in lingua romanica e Carlo


in lingua tedesca, ognuno giura nella lingua dell’altro per farsi capire. E, prima di giurare,
arringarono come segue le rispettive schiere, l’uno in lingua tedesca, l’altro in lingua
romanica. Ludovico prese la parola in questi termini: voi sapete quante volte dopo la
scomparsa di nostro padre Lotario ha cercato di eliminare me e questo mio fratello,
perseguitandoci a morte. Poiché né la qualità di fratelli , né la religione di cristiani, né
qualsivoglia compromesso compatibile con la giustizia, hanno potuto giovare a che tra di
noi ci fosse la pace, siamo stati finalmente costretti a rimettere la soluzione al giudizio di
Dio onnipotente, pronti ad inchinarci al suo verdetto quanto ai diritti di ciascuno di noi. Il
risultato, come sapete, è che per misericordia di Dio noi siamo riusciti vincitori, ed egli,

173
vinto, si è dovuto ritirare con i suoi dove ha potuto. Dopo ciò, tuttavia, stretti dall’amore
fraterno e mossi altresì a compassione per il popolo cristiano, non abbiamo voluto
perseguitarli e distruggerli, ma soltanto abbiamo intimato che siano rispettati in futuro i
diritti a ciascuno in passato già spettanti.

Si tenga presente che questo giuramento è riportato all’interno di un opera storica da un


uomo di chiesa e la prosa di un uomo di chiesa emerge: questo non è un modo di parlare
di un capo guerriero.

Malgrado ciò, egli, non contento del giudizio di Dio, non cessa dal rinnovare ostilità
armate contro di me e contro questo mio fratello, e porta ancora la desolazione tra il
nostro popolo con incendi, saccheggi, massacri. Perciò, costretti dalla necessità, noi ci
siamo oggi incontrati, e poiché sospettiamo che voi possiate dubitare della stabilità dei
nostri sentimenti di fede e fratellanza, abbiamo deciso di scambiarci questo solenne
giuramento in vostra presenza.

Ci si rammenti che il giuramento ha una straordinaria importanza.

Ciò non facciamo tratti da una qualsiasi iniqua cupidigia, ma per essere più sicuri del
comune profitto, se Dio con il vostro aiuto ci conceda tranquillità. Se poi che a Dio non
piaccia, io osassi violare il giuramento che presterò ora a mio fratello, ciascuno di voi sia
sciolto dalla sudditanza nei miei riguardi e dal giuramento che mi avete prestato. E dopo
che Carlo ebbe ripetuto le medesime considerazioni in lingua romanica, Ludovico, in
quanto maggiore di età, per primo giurò osservanza al patto, In questi termini:

quindi Ludovico giura in modo tale che i guerrieri di Carlo lo possano comprendere ,cioè
giura in antico francese

"Pro Dea amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d'ist di in avant, in quant Deus savir et
podir me dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadhuna cosa, si cum om per dreit
san fradra salvar dift, in o quid il mi altresi fazet et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai, qui, meon vol,
cist meon fradre Karle in damno sit."
Quando Ludovico ebbe terminato, Carlo ripeté alla lettera il medesimo giuramento in lingua tedesca, in
questi termini:
"In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage
frammordes, so fram so mir Got gewizci indi mahd furgibit, so haldih thesan minan bruodher, soso man mit
rehtu sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango,
the minan willon, imo ce scadhen werdhen."
Il giuramento che poi prestò il popolo dell'uno e dell'altro, ciascuno nella propria lingua, in lingua romanica
suona così:
"Si Lodhuvigs sagrament que san fradre Karlo jurat conservat et Karlus, meos sendra, de suo part non
l'ostanit, si io returnar non l'int pois, ne io ne neuls cui eo retumar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig

174
nun li iu er".
E in lingua tedesca:
"Oba Karl then eid then er sinemo bruodher Ludhuwige gesuor geleistit, indi Ludhuwig, min herro, then er
imo gesuor forbrihchit, ob ih inan es irwenden ne mag, noh ih noh thero nohhein, then ih es irwenden mag,
widhar Karle imo cefollusti ne wirdhif”.
Terminato ciò, Ludovico si diresse verso Worms seguendo il Reno e passando da Spira, Carlo seguendo i
Vosgi e passando da Wissenburg.

Ognuno giura nella lingua dell’altro e poi anche gli eserciti giurano in modo tale che ogni
esercito possa comprendere l’altro.

Si vede che ci sono anche elementi etnico linguistici che determinano la separazione
di queste parti dell’impero.

L’impero era nato in seguito a conquiste militari, difficilmente avrebbe potuto resistere
senza altre conquiste militari, perché le spinte centrifughe erano molte e concomitanti.

Lo stesso tipo di amministrazione spingeva all’emergere di poteri locali, e quindi poi ci


sono queste grandi macro regioni che hanno distinzioni etnico linguistiche troppo forti per
rimanere tutte insieme: per rimanere tutte insieme in un contesto nel quale le risorse
dell’imperatore sono modeste.

Non è paragonabile l’Impero Romano di Carlo Magno con l’Impero Romano Antico.

Tutta la struttura è profondamente diversa.

L’impero viene diviso in 3 parti poi in seguito alla scomparsa di alcuni fratelli si assiste ad
un breve momento di ricomposizione.

Abbiamo un imperatore che governa nuovamente su tutto il territorio nel periodo


degli ultimi anni di regno di Carlo il Calvo (876–884), e poi un l’ultimo imperatore
Carolingio, Carlo detto il Grosso (884-887).

Carlo il Grosso nell’887 viene deposto dai grandi dell’impero, dai grandi aristocratici
dell’impero.

Tutta l’Europa Carolingia è sotto attacco, le armate imperiali si sono dimostrate totalmente
inefficaci nella tutela dei sudditi e nella sorveglianza delle frontiere.

175
Gli attacchi sono, in questo periodo, quelli portati da sud dai cosiddetti pirati
saraceni, cioè pirati che provengono dalle sponde islamiche del Mediterraneo ed in
particolare, in questo periodo dalla Sicilia che è stata occupata dall’Impero Islamico.

Anche Roma viene attaccata e saccheggiata, Montecassino viene di nuovo attaccato e


distrutto, ci sono saccheggi che arrivano fino alla riviera ligure e provenzale.

Da lì alcune bande di pirati si dirigono fino alle Valli Alpine e giungono a devastare anche
il Monastero di S. Gallo, che si trova nella svizzera tedesca.

Sono devastazioni che entrano proprio nel cuore dell’Europa pur provenendo dalle
sponde meridionali del mediterraneo .

L’altro fronte di attacco è quello settentrionale.

Qui ad operare sono i cosiddetti vichinghi cioè i pirati che vengono dalla Scandinavia
e che assaltano non solo l’Inghilterra ma tutta la costa atlantica, la costa tedesca,
olandese, francese, e poi attraverso il corso dei grandi fiumi l’Elba, il Reno, la
Senna, la Loira, risalgono con le loro barche strette e lunghe ( di modesto
pescaggio), e giungono anche ad attaccare e saccheggiare Parigi.

Sono degli attacchi particolarmente rovinosi, che lasciano macerie fumanti soprattutto
laddove questi pirati sanno di poter trovare ricchezze, dove ci sono monasteri
particolarmente importanti, chiese cattedrali ricche e via dicendo.

Di fronte a questi attacchi, la capacità di difesa dell’imperatore è molto modesta, non tanto
per colpe sue personali, tanto per il modo con il quale si era formato e funzionava
l’esercito imperiale.

L’esercito carolingio è un esercito fatto per attaccare, è un esercito che si può tenere
in piedi per un certo numero di settimane, al massimo alcuni mesi all’anno, ma poi si
scioglie.

Non è un esercito remunerato, non si tratta un esercito costituito da soldati pagati,


mercenari, come avveniva per l’impero romano e come in parte avveniva anche
nell’impero bizantino. E’ un esercito che si auto remunera con il bottino di guerra: ma se
questo bottino non c’è è difficile tenerlo in piedi.

176
Inoltre, molte di queste aristocrazie si erano radicate localmente, laddove si erano spartite
le terre, quindi in area tedesca in area italica e via dicendo: era un esercito che stava in
armi per poco tempo e senza bottino si scioglieva ed era poco adatto a difendere le
frontiere.

Per difendere le frontiere ci voleva un esercito stanziale sulle frontiere, e l’esercito


carolingio non aveva queste peculiarità.

Si hanno queste devastazioni e, l’imperatore messo sotto accusa, non ha la capacità di


difendersi .

Il territorio è allora difeso dai poteri presenti in loco, che sfruttano la loro capacità di
difendere una porzione molto limitata di territorio per sottrarre potere pubblico al sovrano.

Viene deposto Carlo il grosso e si formano nuovamente 3 regni: il Regno di Germania, il


Regno di Francia ed il Regno d’Italia: ognuno con una propria dinastia.

Generalmente queste dinastie sono espresse da grandi funzionari pubblici, che vengono
direttamente dall’entourage imperiale: essi si sono creati una base di potere su scala più
ridotta, rispetto a quella della compagine imperiale generale, e che hanno generato
attorno a loro un consenso su scala locale.

La carta della pagina seguente, che ha come intestazione “ Le incursioni di Saraceni,


Ungari e Normanni nell’Europa dopo la divisione dell’impero (IX-XII secolo) fa vedere quali
sono le direttrici di attacco, mussulmani da una parte normanni dall’altra e poi irrompono
ad un certo punto anche gli ungari ma qui siamo negli ultimissimi anni del 9 secolo .

177
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Gli Ungari sono un popolo che viene dalle steppe al confine tra l’Europa e l’Asia , un
popolo pagano e nomade, abituato a vivere di saccheggi e a razziare il territorio con
combattimenti a cavallo: essi devastano soprattutto i territori dell’Europa centrale e della
pianura padana .

Gli ungari sono il primo popolo che ha fatto un utilizzo sistematico della staffa.

La staffa è uno strumento fondamentale per lo sviluppo della tecnica di combattimento a


cavallo.

Senza la staffa il combattente a cavallo è in una condizione non agevole per combattere.

La staffa da stabilità al cavalieri e gli permette di combattere meglio .

Gli ungari erano particolarmente abili nel tiro con l’arco e scoccavano le frecce stando
seduti a cavallo e appoggiandosi alle staffe; senza di esse sarebbe stato molto difficile
compiere queste azioni.

Tutte queste incursioni mettono a nudo la debolezza del potere imperiale e quindi la
debolezza del potere imperiale favorisce l’emergere del potere su scala locale .

I sovrani che si trovano a governare l’Italia, la Germania, la Francia, a loro volta saranno in
condizioni di difficoltà.

Anche su una scala più ridotta rispetto a quella dell’Europa carolingia, i sovrani
faranno molta fatica a controllare il territorio perché la spinta dal basso all’erosione
dei poteri di natura pubblica a sua volta erode i poteri di questi sovrani.

Accade che nell’Europa che aveva fatto parte dell’impero carolingio, a partire dalla fine del
IX° secolo per tutto il X° e anche l’XI° secolo, si assiste ad un fenomeno particolare
definito di “disintegrazione dello stato”: lo stato va in mille pezzi ma nel senso letterale
della parola.

Vediamo con quali caratteristiche: chi è che partecipa a questo smembramento dello
stato? Una pluralità di soggetti.

I primi che più precocemente partecipano a questo smantellamento sono proprio i


funzionari pubblici.

179
Conti e marchesi i quali, in virtù della carica pubblica ricoperta, trasformano abbastanza
rapidamente un onor cioè una funzione dello stato, in una res privata, cioè in un
patrimonio familiare.

Lo abbiamo già visto analizzando le modalità con le quali un conte e un marchese si


sostentavano sul territorio che dovevano amministrare.

Accade che Conti e Marchesi trasformino in senso patrimoniale e dinastico la propria


carica pubblica.

E’ difficile controllare il loro operato: essi tramandano di padre in figlio il titolo di


conte e di marchese.

Nell’accezione popolare del termine, conti e marchesi sono nobili, ma ordinariamente


erano funzionari dell’impero.

Questi titoli diventano titoli nobilitanti quando non indicano più l’esercizio di una
funzione pubblica, ma il controllo di un territorio che si tramanda dinasticamente,
cioè di padre in figlio.

Abbiamo, a partire dal X° secolo, famiglie di conti, famiglie di marchesi.

Generalmente loro tenderebbero ad esercitare un potere di tipo signorile,


progressivamente svincolato dal controllo del re, su tutto il territorio che faceva parte del
comitatus.

Anzi, tendono al massimo possibile, ovvero, se hanno delle terre familiari fuori dal
comitatus tenderebbero a estendere fino a queste la loro area di potere.

Dipende dalla capacità, dalla forza di ogni singolo funzionario pubblico, che tende a
scontrarsi con gli altri funzionari pubblici vicini.

Il risultato è che ci sono mille adattamenti alle condizioni locali e, generalmente, un conte,
ha maggiori possibilità di raggiungere l’obiettivo di dinastizzare la sua carica, di imporre un
potere signorile, se ha la proprietà delle terre per le quali vuole esercitare questo potere.

Ciò è più facile nelle aree rurali, rispetto alle città dove ci sono poteri concorrenti,
primo fra tutti quello del vescovo.

180
Il funzionario pubblico che tende ad eludere il potere del sovrano ha a che fare con altri
soggetti: essi possono essere gli enti ecclesiastici.

Nelle città importanti il vescovo.

In aree rurali può essere un grande monastero, soprattutto se ha ricevuto un


diploma di immunità.

In tal caso cosa fa quell’ente monastico?

Cerca di trasformare un’immunità in negativo, <<voi non potete entrare qui>>, in un potere
in positivo , se non lo fa il conte o il marchese, lo faranno i miei funzionari; la giustizia e la
riscossione dei tributi nei monasteri immunisti che hanno ceduto l’immunità verrà gestita
dai cosiddetti advocati cioè coloro che svolgono il potere per conto di enti ecclesiastici.

E’ una situazione di caos politico e militare generalizzato, una sorta di regno della giungla
in cui alla fine trionfa il più forte.

Ci sono anche altri concorrenti, che non fanno parte né della tradizione funzionariale né
del mondo ecclesiastico.

Sono laici che, per il semplice fatto di avere tante terre in una determinata zona
impongono il loro potere. E’ un potere di fatto!

Si rivolgono ai contadini: qui ci sono le mie terre, io vi proteggo, qui comando io, la
giustizia la amministro io, i tributi li date a me

Questa è una delle possibili varianti e i re che fanno? Si barcamenano, sia in Germania,
sia in Francia, sia in Italia.

Spesso cosa fanno i re?

Concedono diplomi nei quali riconoscono il fatto compiuto: tu che hai tutte queste
terre, che sei valente , proteggi i contadini, da ora in poi hai i pieni poteri su quel
territorio.

Tu vescovo, che si sa che sei importante in quella città, hai diritto di amministrare la
giustizia, di riscuotere i tributi.

Perché lo fanno?

181
Perché sono sovrani deboli: meglio mettere questo velo di riconoscimento giuridico
politico piuttosto che lasciarsi fuggire completamente di mano la situazione.

Non solo ma fanno anche un'altra cosa: nel riconoscere questi poteri che sono
emersi spontaneamente, i sovrani, non di rado, cercano di legare a se questi poteri,
infeudando i soggetti stessi.

Ecco la genesi della così detta piramide feudale, che un po’ si sviluppa nel basso
medioevo, una genesi che non è carolingia ma è post carolingia.

A che serve il legame di natura vassallatica quindi ?

A stabilire un legame che altrimenti non ci sarebbe.

Meglio che niente i re dicono: va bene, la situazione è questa, non ci possiamo fare
niente, c’è caos, ognuno comanda a casa sua.

Per mantenere una parvenza di potere regio sul territorio ampio, io concedo, con diplomi,
la deroga: ovvero la possibilità di esercitare poteri militari, riscuotere tasse e via dicendo e
legando personalmente a me quei soggetti stessi.

Tu vescovo sei il mio vassallo, tu signore di quella zona sei il mio vassallo, tu conte
sei il mio vassallo.

C’è un legame di natura personale che surroga i legami di natura pubblica che stanno
tramontando.

Quindi il feudalesimo non è all’origine del disfacimento dell’impero, è il


disfacimento dell’impero che è all’origine della diffusione dei legami feudali.

Questa genesi di poteri locali avrà poi nel lungo periodo un impatto notevolissimo sul
paesaggio rurale dell’Europa.

Quando questo processo è ormai compiuto in maniera totale, cioè all’inizio del XII° secolo,
1100 circa, noi dobbiamo immaginare un’ Europa rurale in larga parte caratterizzata da un
certo tipo di insediamento: il villaggio incastellato.

Quello che in latino medievale viene chiamato con il termine di Castrum: che ha un
significato diverso dal latino classico.

182
Nel latino classico Castrum sta ad indicare l’accampamento.

Nel latino dell’Europa post carolingia castrum significa borgo murato, castello ,ma non
castello nel senso moderno del termine, ma un vero e proprio villaggio progettato ex
novo dal signore del luogo, attirando i contadini che vivono sparsi su poderi.

Un villaggio che nel X° secolo è protetto in maniera rudimentale: un fossato, una palizzata,
un terrapieno.

Nelle zone dove la pietra viene usata più precocemente, più diffusamente, tipo nel
Lazio, noi troviamo già i villaggi murati con pietre, nel X° secolo,

Ma altrove, verso la Toscana, la Pianura Padana, la Germania, la Francia, la pietra fatica


ad essere utilizzata .

Nel XII° secolo abbiamo, fondamentalmente, borghi murati in pietra .

Cosa significa questa muratura?

E’ il simbolo ma anche una realtà molto completa del potere del signore.

E’ lì che lui esercita la sua autorità giuridica, fiscale, politica e militare.

Nei confronti di una pluralità di soggetti, contadini suoi, contadini di altri, piccoli
proprietari indipendenti: tutti tenuti all’obbedienza nei suoi confronti.

Sul suo territorio, più o meno vasto, un signore può avere un castello, 10 castelli, 20
castelli, 100 castelli ecc., esercita l’autorità pubblica.

E’ lui che riscuote le tasse, è lui che esercita la giustizia.

Quindi dobbiamo pensare ad un’ Europa post carolingia che si frammenta, come un vetro
che si rompe, come un mosaico che viene rovinato.

Con tutte queste tessere, ognuna delle quali va per conto suo.

Il re di Francia, intorno al 1000non conta nulla, conta soltanto dove ha le terre sue,
cioè nelle campagne attorno a Parigi.

A 100 km da Parigi non conta nulla, perché quello che conta sono i grandi signori che
hanno preso il possesso della Francia.

183
E questo succede anche in altre zone d’Europa.

Quindi si deve immaginare una cartina geografica, punteggiata, zone in cui l’autorità regia
è totalmente fittizia e che si esprime semplicemente attraverso i diplomi in cui si investe
feudalmente di poteri avocati.

Vediamo ora attraverso alcuni casi concreti, riguardanti l’Italia post carolingia, come
avviene questo passaggio di potere, cioè come il potere regio viene frantumato in tante
signorie sia laiche che ecclesiastiche.

Partiamo da un estratto di un diploma regio emanato dal re d’Italia, Berengario, nel 912.

Berengario già marchese del Friuli, quindi alto funzionario dell’impero, è il primo re
d’Italia dopo la deposizione di Carlo il Grosso.

Si troverà ad affrontare molti pretendenti al trono, tra cui soprattutto i duchi di Spoleto .

Dovrà opporsi alle prime invasioni ungare della pianura Padana e si dovrà
barcamenare di fronte a sfide molto difficili .

Fronteggerà queste situazioni con anche con grande spregiudicatezza: userà i cavalieri
ungari, noti per le loro devastazioni, per combattere ora l’uno ora l’altro nemico ,

Quindi, accentua tutto quel caos politico che attraversa l’Europa dalla fine del IX° secolo in
poi.

In questo brano, estrapolato da questo diploma del 912, il re d’Italia concede al monastero
lombardo di Santa Teodota di Pavia, di poter fortificare uno o più villaggi.

Quando parliamo di signorie di stampo ecclesiastico, dobbiamo immaginare che questi


monasteri maschili o femminili, avessero la capacità, in virtù del proprio ampio possesso
fondiario, di creare clientele armate.

Di avere alle loro dipendenze, e anche vassallaticamente, dei cavalieri, dei combattenti a
cavallo.

Si entrava in quel meccanismo di guerra di tutti contro tutti, sviluppatosi con la fine
dell’impero.

184
Nei diplomi bisogna salvare la forma, e dalla sua lettura sembra che il Sovrano, in virtù
della sua benevolenza, volesse delegare il potere a laici ed ecclesiastici.

La realtà è ben diversa .

Berengario 14 concede facoltà di "incastellare" al monastero di S. Teodota di Pavia (912)


Diamo facoltà di costruire sui beni e i possedimenti del monastero alcuni castelli, nei luoghi
opportuni, con bertesche, merli difensivi, aggeri e fossati e tutto quanto possa impedire le ostilità
dei pagani [gli Ungari], (in questi diplomi dei re d’Italia della prima metà del X° secolo, il
terrore e le devastazioni degli Ungari sono anche utilizzati come scusa per giustificare la
cessione di potere) e concediamo di poter tagliare e sbarrare le strade pubbliche che sono
intorno ai castelli, previa donazione, in cambio, di altri luoghi di passaggio pubblico.

Il re sta alienando pezzetti di stato: in questo caso ad un monastero.

Esempio successivo: qui i re d’Italia sono Ugo e Lotario, una dinastia provenzale.

Altro diploma, i re d’Italia non governano più.

Come gli imperatori carolingi, la loro attività dal punto di vista della cancelleria consiste
quasi essenzialmente nell’emanare i diplomi in cui si certificano cessioni di potere.

Ugo5 e Lotario6 alienano al conte Aleramo la pienezza dei diritti pubblici in un villaggio del
Piemonte sud-occidentale (935)

Concediamo inoltre al suddetto nostro fedele (fedele è un termine tecnico, sta ad indicare un
fidelis, cioè un bassus) Aleramo e ai suoi eredi, nel villaggio denominato Ronco (nel villaggio
ronco di nuova fondazione perché runcare significa disboscare, la parola ronco sta ad
indicare che siamo in presenza di un neonato villaggio costruito con una operazione sul
territorio, quindi questo indirettamente potrebbe anche essere un indizio di ripresa
demografica in quel territorio) e su tutti gli arimanni (fossile di età longobarda) [uomini liberi
in grado di portare le armi] (di longobarda memoria) che vi risiedono, il potere di coercizione (di
portarlo in tribunale) ed ogni autorità pubblica e di giustizia, quale apparteneva per consuetudine
all'autorità pubblica e ai nostri messi: e come sinora venivano al placito [riunione periodica in cui si
amministrava la giustizia] alla nostra presenza, o del nostro conte palatino o di un qualunque altro
185
messo, così facciano alla presenza del suddetto nostro fedele.

Questi 2 esempi si riferiscono ad ambiti rurali.

Terzo esempio: qui l’ambito è cittadino.

Qui c’è un potere troppo forte da scansare, il potere del vescovo.

Siamo a Parma nella seconda metà del X° secolo: il neo imperatore Ottone l della
dinastia di Sassonia, riconosce di fatto una situazione ed emana un diploma.

L'imperatore Ottone 17 concede al vescovo di Parma i pieni poteri sulla città

In nome della santa ed indivisibile Trinità, Ottone, imperatore Augusto per disposizione della
divina Provvidenza ... concediamo e permettiamo e dal nostro diritto e dominio trasferiamo nel di
lui diritto e dominio completamente e gli affidiamo le mura della città quanto fuori da ogni parte
della città per lo spazio di tre miglia (non solo la città ma anche un area sub urbana fino a 4-
5 km)... e le strade regie e il corso delle acque (il controllo degli eventuali fiumi navigabili) e
tutto il territorio coltivato ed incolto ivi giacente e tutto ciò che appartiene allo stato. Per di più
concediamo anche tutti gli uomini che abitano dentro la medesima città o entro i confini
sopraindicati; ogni volta che abbiano una eredità od un acquisto o una famiglia, tanto entro il
contado di Parma come entro contadi vicini non debbano corrispondere alcuna prestazione da lì ad
alcuna persona del nostro regno, né osservare il placito di chiunque se non del vescovo della chiesa
di Parma che sarà in carica a quel tempo, ma abbia il vescovo della stessa chiesa licenza, come il
conte del nostro palazzo, di definire e deliberare e decidere tutte le cose ...

Si va nel tribunale dei vescovi per avere giustizia, il vescovo che sarà in carica in quel
tempo: “ma abbia il vescovo della stessa chiesa licenza, come il conte del nostro palazzo
di decidere tutte le cose”, quindi comanda il vescovo.

A Verona si sono conservate 2 porte romane, due grandi porte romane.

Una di queste si chiama porta dei borsari: questo nome non è un nome che rimanda alla
Verona antica, ma rimanda alla Verona post carolingia.

Questi borsari erano funzionari del vescovo della città che stavano con la borsa alle porte
a riscuotere da tutti quelli che entravano e uscivano dalla città.

Questi nomi derivavano appunto dai funzionari del vescovo perché il vescovo comandava
in città.

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Nelle dispense c’è anche una tabella dove ci sono le cartine in cui sono elencati tutti i
diplomi emanati dai re d’Italia nel corso del X° secolo.

Diplomi attinenti concessioni sovrane a vescovi.

Le concessioni iniziano nell’anno 900, con Berengario, poi continuano con gli altri sovrani.

Continuano ancora di più nella seconda metà del secolo, quando i re d’Italia sono gli
imperatori della Dinastia Sassone, Ottone I°, Ottone II°, Ottone III°: sono elencate le città
ed il tipo di concessione di poteri pubblici.

All’inizio si parla solo di incastellamento cioè di costruzioni delle mura (è un potere militare
fondamentalmente), poi ci sono concessioni di poteri in materia economica, si parla di
controlli sul mercato ecc. ecc..

Poi Diritti Sovrani: la totalità dei poteri esercitati dal sovrano delegati al vescovo della città.

Ci si rende conto di quale delega di potere venga concessa dai re d’Italia nel corso del X°
secolo .

Tutta questa delega di potere ai vescovi dell’Italia, soprattutto del nord, avrà una grande
importanza nel momento in cui si formeranno i Comuni Cittadini.

I comuni cittadini nascono dall’entourage dell’aristocrazia che gravita intorno al


vescovo.

I milites del vescovo in pratica.

Alcuni dei quali, per esempio a Milano, sono vassalli dell’arcivescovo.

Quindi il comune nasce in un contesto feudale, nel caso di Milano, in altri casi no .

Si è detto che la nascita di queste signorie trasforma poi il paesaggio rurale


militarizzandolo.

Per esempio, San Gimignano, si sviluppa come un castrum del vescovo di Volterra, poi
diventa un comune, non un comune cittadino (non c’è mai stato il vescovo), un Comune
Rurale tecnicamente parlando.

Un altro esempio: Città della Pieve in Umbria.

187
Oggi lo chiamiamo così ma nel medioevo si chiamava “Castrum Plebis”, perché lì c’era
una pieve, una fonte battesimale: tutti i contadini del circondario, per battezzare i figli,
dovevano andare dentro questo castello.

Era il castello di una signoria laica.

Città della Pieve ancora oggi ha le sue mura medievali e dà una bella impressione di cosa
fosse questo grosso borgo incastellato.

E’ qui che è nato uno dei più grandi pittori del Rinascimento: Il Perugino.

Altro castrum che ha una grande ed impetuosa crescita demografica ed economica del
basso medioevo: Fabriano.

Fabriano oggi è una città, all’origine era un castrum.

In particolare l’Italia Centrale ha considerato molta della struttura urbanistica di questi


villaggi incastellati.

Soprattutto ha conservato la struttura “tarda”, due o tre – centesca, quella del massimo
sviluppo demografico.

Più difficilmente noi leggiamo sul territorio questi antichi villaggi nell’Italia del Nord, perché
qui lo sviluppo economico è stato più forte, soprattutto in epoche più recenti, dall’800 in
poi, ed il territorio è stato in buona parte sconvolto.

Quindi è difficile leggere sul territorio questi insediamenti perché sventramenti,


ricostruzioni, rivoluzione industriale, ed il territorio si è molto modificato.

Invece i castelli che si trovano in zone alpine, Val D’Aosta, Trentino Alto Adige, questi
sono castelli più tardi, castelli quattro cinquecenteschi, dell’epoca più o meno dei castelli
della Loira in Francia.

Non hanno l’aspetto tipico del villaggio medievale.

Invece molto paesi dell’Italia Centrale hanno ancora le vie e la struttura del periodo
medievale.

C’è qualcosa di simile in Sardegna? Si!

Però con moduli d’importazione, dal continente.


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Ad esempio il Castello di Bosa.

Il castello di Bosa è un castello fatto costruire dai Malaspina, famiglia signorile che
possedeva svariati castelli nella Valle della Magra, cioè in quella valle che sale dalla
Versilia verso il passo della Cisa.

Ci sono ancora, lì, dei castelli.

Il castello più importante è quello di Fosdinovo ed è un castello tre quattrocentesco.

I Malaspina, ad un certo punto, arrivano in Sardegna al seguito di mercanti Pisani e


Genovesi e si creano una piccola signoria intorno alla zona di Bosa.

Costruiscono un castello secondo i moduli architettonici tipici della zona fra la Toscana,
Liguria e Pianura Padana.

Facciamo un esempio ancora più macroscopico ed in parte distorto: Cagliari.

Il castello di Cagliari è un grosso Castello ed il suo impianto è quello tipico di un castrum


toscano.

La pianta ellittica con una grande via longitudinale che entra da una porta ed esce da
un’altra, e poi alcune vie parallele a quella principale.

Se si confronta la pianta del castello di Cagliari con quella di Montalcino, Montepulciano,


San Gimignano, si nota che sono tutte fatte alla stessa maniera.

Il primo è un castello fatto agli inizi del duecento dai Pisani, che hanno portato a Cagliari
i moduli architettonici tipici dell’area di provenienza.

Si tratta quindi di un tipo di insediamento rurale che ha avuto una vita molto lunga.

Questa Italia, questa Europa signorile, è un’Italia è un’Europa, dove la confusione e i


grovigli dei diritti sono notevoli.

Innanzi tutto perché ci sono tante signorie confinanti l’una con l’altra e spesso in
lotta l’una con l’altra: il che vuol dire che ogni signoria ha le sue clientele armate, i
suoi guerrieri, e che tutto il sistema di valori della società è un sistema di valori
basato sulla guerra, sul saccheggio, sulla distruzione e via dicendo .
189
Poi c’è anche un problema materiale: il signore è l’autorità pubblica su un determinato
territorio, ma quel signore può avere anche delle aziende agrarie sue o della sua famiglia
su quel territorio.

Se ne trae che i contadini delle sue terre in quel territorio signorile, devono doppie
prestazioni al signore, perché sono suoi contadini personali e perché sono sudditi
della sua signoria .

Ancora, ci sono i liberi proprietari, ci sono contadini che magari vivono in una signoria, ma
che devono prestazioni fondiarie in virtù del fatto che coltivano anche le terre di
quell’altro signore.

Insomma, un caos incredibile!

Per cercare di capire qualcosa si possono guardare alcune schematizzazioni sono


riportate nelle dispense.

A pag.112, si parte dal tentativo di schematizzare la signoria territoriale associandola ad


una specie di organismo unicellulare.

Con il termine di Signoria Territoriale intendiamo:

signorie chiamate anche SIGNORIE DI CASTELLO, imperniate su villaggi incastellati, o


SIGNORIE DI BANNO.

ban è un termine di origine tedesca che indica la capacità di costringere le persone a


venire in tribunale.

La parola banale in italiano è proveniente da bannale, cioè da tutto ciò che riguarda il
potere del signore : questa è una cosa che riguarda il signore, è una cosa banale, una
cosa che tutti conoscono.

L’area in cui si esercita il potere del signore è quindi indicata in latino con il termine
districtus, dal verbo destringere, costringere, è l’equivalente latino di ban.

Questo è un tentativo per cercare di schematizzare la formazione del districtus.

190
, si parte da un contesto carolingio in cui, un grande proprietario terriero ha terre di origine
differenti e sparse perché l’aristocrazia rurale carolingia ha terre sparse, è una aristocrazia
generata dalle conquiste , e le conquiste determinano possessi non omogenei . Quindi
abbiamo una situazione che si può schematizzare in questo modo: terre in piena proprietà
e terre eventualmente ricevute in beneficio , che vedete non sono contigue.

Poi quando il potere regio comincia a tentennare, il potere regio tentenna proprio

perché si verificano fenomeni di questo tipo, questo grande aristocratico


comincia ad utilizzare le terre feudali come se fossero allodiali (Il termine allodio (di
origine germanica: Allod, latinizzato in allodium) era utilizzato nel Medioevo per indicare i beni e le terre
possedute in piena proprietà, in opposizione ai termini feudo o "beneficio", con i quali si indicavano invece i
beni ricevuti in concessione da un signore dietro prestazione di un giuramento di fedeltà - il cosiddetto
omaggio feudale o vassallatico).

Questo gli è permesso anche perché già dall’epoca di Carlo il Calvo, i grandi feudi cioè i
feudi concessi dall’imperatore, sono ereditari e quindi non sono più
concessioni temporanee. Capitolare di Quierzy 877.

Ma solo i feudi concessi dall’imperatore.

Accade poi che questo grande signore laico fa una scelta, lascia perdere le terre più
lontane, le permuterà magari con un altro signore, le scambia, e crea (un districtus) un’
area omogenea là dove le terre sono più numerose.

Quindi in quell’area lì lui avrà terre sue, cioè sue patrimoniali, dove ha i suoi contadini che
gli devono le sue corvè, i suoi tributi per le terre che lui ha dato in concessione.

Poi, c’è un'altra ampia area, fatta di terre più numerose, dove ci sono contadini di altri e
piccoli proprietari fondiari.

Tutti costoro devono al signore qualcosa in virtù del potere pubblico che lui esercita.
Devono chiedere giustizia al suo tribunale, devono tributi a lui per il potere pubblico che
esercita, devono, ad esempio, fare dei turni di guardia sulle mura del castello.

Devono portare tutto il loro grano al mulino del signore, perché nell’ambito di una signoria
ci può essere solo il mulino del signore (quello è il monopolio signorile); pertanto, loro
vanno a macinare il grano e devono lasciare una quota al signore.

191
La così detta bannalità del mulino: tutti sono obbligati a macinare al mulino del
signore.

Adesso facciamo un altro tentativo di schematizzazione per far vedere cosa ci può essere
all’interno del districtus imperniato su un castello, su un villaggio fortificato.

Come si vede, all’interno di un districtus, in questa schematizzazione, si hanno case


e campi del dominico cioè della riserva padronale, poi ci sono case e campi date in
concessione a coloni, le case e i campi di altri contadini che quindi dipendono da altre
curtes (aziende) , e poi ci sono pascoli o boschi di uso comunitario.

Questa schematizzazione è fatta in modo tale da far vedere che la situazione del districtus
di un villaggio può differire, anche notevolmente, dalla situazione di un altro.

Questo groviglio di diritti signorili a vari livelli rendeva molto complessa la vita delle
campagne.

In questo contesto, cosa accade alle strutture ecclesiastiche?

Alle uniche istituzioni che sopravvivono dal tardo impero romano.

Cosa accade in un contesto in cui le istituzioni pubbliche sono completamente


evanescenti. Cosa succede a queste istituzioni ?

Vengono modificate profondamente nel loro utilizzo: perché?

Ogni villaggio deve avere la sua chiesa, chi è che dice la messa nella chiesa del villaggio?

Dove lo prendiamo il parroco, o il pievano, se c’è una fonte battesimale, che è ancora più
importante, perché molte parrocchie fanno capo ad una pieve, cioè ad una chiesa con
fonte battesimale. La pieve (dal latino plebs, "popolo") è una chiesa rurale con annesso battistero.
Nell'Alto Medioevo la pieve, detta chiesa matrice o plebana, era al centro di una circoscrizione territoriale
civile e religiosa. A essa erano riservate alcune funzioni liturgiche e da essa dipendevano altre chiese e
cappelle prive di battistero [1]. Dal Basso Medioevo le funzioni proprie della pieve passarono alla parrocchia.

Come viene reclutato il chierico di queste parrocchie di campagna, di queste pieve di


campagna?

Sulla base dei poteri locali!

192
Il figlio del signore, il cugino del signore, il nipote del signore, il nipote il figlio di un alleato
di un grande guerriero.

E’ il signore che sceglie alla fine, non è più il vescovo, non è più il pievano che
controlla i vari parroci.

L’ordinamento ecclesiastico viene sconvolto da questa situazione, perché la logica con


cui si scelgono i chierici è una logica che tiene conto di un contesto locale in cui le varianti
e le variabili sono molteplici.

C’è un ‘ingerenza laica fortissima.

Il vescovo deve accettare la situazione.

E il vescovo chi lo sceglie?

Anche questo è un bel pasticcio!

Se il potere imperiale è debole, la scelta dei vescovi cambia!

Carlo Magno Ludovico il Pio sceglievano i loro vescovi; certo avranno dovuto tener conto
delle situazioni locali, ma per un imperatore romano tutore della chiesa la possibilità di
intervenire con libertà era notevole.

Sulla base di quali criteri sceglie un imperatore potente?

E’ più facile che li scelga sulla base della capacità di quell’individuo di reggere la carica,
perché se quel vescovo è importante anche perché svolge poteri pubblici è meglio
sceglierlo capace piuttosto che no.

Meglio scegliere una persona di prestigio.

L’ideologia imperiale dipende dalla ideologia della chiesa.

Questo non vuol dire che in assoluto, tutti fossero migliori di quanto sarebbe accaduto
dopo, però, certo, la logica strettamente locale cittadina, produceva delle scelte
qualitativamente più scadenti rispetto alle scelte dell'imperatore.

Perché le finalità erano completamente diverse.

193
In una società militarizzata come quella post carolingia è chiaro che a scegliere chi
diventava vescovo erano le aristocrazie cittadine.

Aristocrazie cittadine composte da quelli che nelle fonti del tempo cominciano ad
essere chiamati col termine di milites.

Anche qui c’è uno slittamento semantico rispetto al latino classico.

Nel latino classico miles indica il soldato.

Nel latino dell’Europa post carolingia e basso medievale, miles significa combattente a
cavallo, colui che ha i mezzi la ricchezza il patrimonio l’attitudine mentale per combattere
a cavallo .

Lo sviluppo della cavalleria, cioè del combattimento a cavallo, che poi prelude
allo sviluppo della cavalleria come casta nobiliare, è proprio di questo periodo (tra X°
ed XI° secolo) e questo è anche legato alla diffusione della staffa che permette di
trasformare in maniera notevolissima questo tipo di attività bellica.

Certo che se i vescovi sono scelti dai milites cittadini, la logica sarà una logica
familistica, di equilibrio di potere all’interno della città,

Quei vescovi che sono insigniti dei poteri di natura pubblica dai re d’Italia, quindi
governano spesso appoggiandosi ai milites cittadini.

E così, poi, nell’XI° secolo, in alcune città noi troviamo delle piccole assemblee
identificate dalla parola curia vassallorum , la corte dei vassalli del vescovo.

La troviamo sicuramente a Milano ma anche a Padova.

I commentatori, soprattutto gli osservatori colti, e parte del mondo ecclesiastico,


cominciano ad osservare una profonda decadenza, una profonda corruzione nei costumi
degli uomini di chiesa.

Uomini che sono profondamente inseriti in questa logica dei mercanteggi dei poteri locali

La chiesa si trova coinvolta sia in un fronte che nell’altro.

Da una parte abbiamo ampie testimonianze di monasteri fatti oggetto degli attacchi dei
saccheggi di signori di castello, con contadini malmenati, raccolti portati via.
194
Però troviamo anche signorie monastiche che hanno i loro guerrieri e quindi incutono
paura.

Si riscontra pertanto questa realtà ambivalente, che è una testimonianza molto


eloquente della trasformazione dei costumi .

Ci sono monaci e monasteri palesemente corrotti e inseriti in questi giochi politici sul
territorio rurale e, invece, troviamo monaci che vengono da quello stesso ceto e che
rifiutano totalmente la cultura militare e violenta propria di quel ceto stesso.

I grandi riformatori della chiesa, sono ovviamente uomini di chiesa, che provengono da
questo ceto aristocratico ma che ne combattono l’ideologia, quindi la realtà è molto
complessa, è molto frammentata e deve tenere conto delle differenze notevoli nella realtà
dei casi.

La riforma dei costumi della chiesa, nella seconda metà dell’XI° secolo, sarà generata
soprattutto dagli ambienti monastici.

Da coloro che attraverso esperienze le più varie, sia di natura cenobitica sia di

natura anacoretica, cercano di fuggire da questa realtà violenta, disordinata, di forte


intromissione laica e di assunzione di modelli laici da parte di uomini della chiesa, con
l’intento di ripristinare una separazione netta dei ruoli.

Cosa accade, in concreto, del regno d’Italia nel X° secolo?

Fino al ‘961 quando Ottone I° re di Germania si farà proclamare re d’Italia e poi,


l’anno successivo imperatore, noi siamo di fronte ad una guerra civile quasi
generalizzata, cioè il regno di Italia staccatosi dall’impero ormai frantumato nell’887,
conosce un avvicendarsi rapido e disordinato di varie figure di sovrani.

Abbiamo prima i marchesi del Friuli con Berengario, che si auto proclama re, che però
deve affrontare la concorrenza dei Duchi di Spoleto Guido e Lamberto; poi c’è Arnolfo di
Carinzia che anche lui entra in Italia per cercare di imporre la sua volontà, non
riuscendoci.

Poi ci sono i conti di Provenza che abbiamo visto emanare un diploma nel 935 , che
diventano re di Italia, poi c’è il duca di Borgogna Rodolfo che entra a sua volta in Italia

195
che un brevissimo periodo di tempo sarà re, poi abbiamo Berengario, marchese di Ivrea il
quale a sua volta sarà re per un tempo limitato.

E’ un periodo caratterizzato da una grande confusione, un periodo durante il quale l’Italia,


del nord, del sud, del centro e delle isole, è fortemente battuta dalla pirateria Saracena.

La Sicilia è in mano islamica, molte zone soprattutto centro meridionali, tirreniche,


subiscono gli assalti.

Roma è saccheggiata, Montecassino è saccheggiata e distrutta, la grande abazia


benedettina di San Vincenzo al Volturno, nel Molise è saccheggiata e distrutta.

Tutte le coste della Sardegna e della Corsica devastate dalle incursioni, nella pianura
padana le devastazioni degli Ungari, e ognuno cerca di costruire un piccolo stato a casa
sua .

Questo riguarda non solo l’Italia che ha fatto parte dell’impero ma anche una bella
porzione di Italia meridionale, per esempio quell’Italia meridionale che era rimasta sotto i
longobardi.

E’ il territorio del ducato di Benevento, anche qui abbiamo fenomeni simili a quelli or ora
descritti. Una frantumazione del ducato in 3 parti: Benevento, Capua Salerno.

Ancora, si riscontra l’emergere di poteri locali in varie zone dell’Italia meridionale.

Un po’ in tutta l’Italia si assiste a questi fenomeni di sgretolamento del potere pubblico.
Questo fenomeno di sgretolamento viene parzialmente interrotto dall’arrivo in Italia
dell’esercito di Ottone l°, re di Germania, che ha appena sconfitto in Germania gli Ungari
in una grande campagna campale -Ottone I sconfigge gli Ungari a Lechfeld - 955 -

Ottone I° sposa Adelaide vedova di Lotario già re d’Italia: la sposa per l’ambizione di
prendere possesso anche del regno italico, cosa che accade nel 961.

L’anno successivo, nel 962, Ottone I° re di Germania e re di Italia, si fa incoronare


Imperatore del Sacro Romano Impero.

L’impero, scomparso con Carlo il Grosso, viene fatto rinascere dal re di Germania
Ottone l° nell’anno 962.

E’ un impero che ha contorni geografici abbastanza differenti dal precedente.


196
E’ un impero che gravita tra la Germania e l’Italia e ha perso ormai gran parte di quei
territori che ormai fanno parte del regno di Francia.

Così si interrompe, parzialmente, quella guerra civile che aveva caratterizzato il Regno di
Pavia dalla fine del IX° secolo fino al 961.

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OTTAVA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
GIOVEDI’ 16.10.2014 ORE: 12,00 - 14,00

Ieri abbiamo concluso la lezione parlando dei lunghi decenni di guerra civile che
caratterizzano il regno d’Italia e di Pavia dall’887 fino al 961.

In quell’anno come abbiamo detto il re di Germania Ottone I della dinastia Sassone


uscito vincitore dal conflitto con gli Ungari e quindi capace di riprendere in mano
saldamente il potere regio al di là delle Alpi, sfrutta le contese dinastiche in Italia per
prendere possesso anche del regno di Pavia.

Così si fa incoronare re d’Italia nel 961 e poi nel 962 si fa incoronare dal papa
imperatore romano.

Rinasce quindi il sacro romano impero su basi geografiche un po’ mutate rispetto all’età
carolingia, basi geografiche che si possono vedere nella cartina seguente..

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Sfugge a Ottone quello che ormai è il regno di Francia, cioè l’antico regno dei Franchi
occidentali, però possiede terre che i sovrani carolingi non avevano, per esempio la
Boemia e la Moravia, cioè terre più orientali.

Possiede il regno d’Italia come già i carolingi.

Si vede, invece, che la parte meridionale dell’Italia è frammentata tra possedimenti


bizantini: in Calabria, in Puglia e in parte della Basilicata.

Possedimenti dei principi longobardi di Benevento, Capua e Salerno.

Città stato solo formalmente bizantine ma in verità totalmente autonome come


Gaeta, Napoli e Amalfi.

Poi ci sono la Sicilia islamica e la Sardegna (di cui non si sa niente per questo
periodo perché mancano totalmente le fonti scritte).

Formalmente sarebbe bizantina, ma in realtà i funzionari di Bisanzio non ci vengono


più: non arrivano più in questa porzione di Mediterraneo occidentale.

Chi è il papa che incorona Ottone I°?

È tale Giovanni XII°, il quale all’epoca ha 23 anni, e che è papa da quando ne


aveva 16.

Una delle prime cose che fa Ottone I° una volta incoronato imperatore,
è dichiarare deposto il papa stesso.

Come mai abbiamo un papa eletto a 16 anni di età?

Per motivi puramente familistici.

A Roma comandano i conti di Tuscolo, una famiglia dell’aristocrazia cittadina con vasti
possedimenti soprattutto nelle campagne a sud di Roma, che da alcuni decenni esercita il
potere effettivo sulla città e sulle campagne circostanti.

Lo fa dopo aver messo le mani, con le buone o con le cattive, sulle terre della Chiesa, che
sono in quantità abnorme nell’area laziale.

199
Il padre di questo Giovanni XII°, Alberico dei conti di Tuscolo, aveva a sua volta un fratello
che aveva esercitato la carica pontificia: Giovanni XI.

Quindi questo Giovanni XII° è nipote di un altro papa.

La nonna di Giovanni XII°, tale Marozia, aveva esercitato il potere effettivo in città, cioè
una donna comandava a Roma e nelle campagne e si era sposata ben tre volte.

Un matrimonio con Ugo di Provenza, uno dei tanti re d’Italia nella prima
metà del X secolo, celebrato per motivi politici, per procurarsi un’alleanza politica
forte.

(ora non è che si debbano mandare a memoria tutte queste successioni, sarebbe
assurdo, si dimenticano immediatamente)

Però tutta questa sorta di Beautiful romana del X° secolo, è una spia importante di un
fenomeno che è macroscopico a Roma, ma che è diffuso in tutta Europa.

L’utilizzo delle cariche ecclesiastiche e dei beni della Chiesa, per trarre profitto non
solo e non soltanto da un punto di vista economico, ma da un punto di vista del
controllo del territorio e del potere.

Quindi il papa viene scelto all’interno della famiglia dominante a Roma, cosa che del resto
avveniva in tante altre città dell’Europa del X° secolo.

La disintegrazione del potere pubblico comportava, infatti, che le istituzioni ecclesiastiche


divenissero oggetto di mire di poteri su scala locale.

Quindi troviamo a Roma questo caso che scandalizza ovviamente i cronisti del tempo, ma
troviamo prassi del tutto simili in tante altre città dell’Italia e dell’Europa cattolica.

Ecco perché, poco dopo essere stato incoronato imperatore, Ottone I° depone il papa.
Non sa che farsene di un papa espressione di quest’aristocrazia
cittadina.

Poiché Ottone I° ha come ambizione quella di ripristinare un impero che ideologicamente


sarebbe ecumenico, e quindi rappresentativo della Res pubblica cristianorum, lui
vuole che a Roma, e in tante altre sedi diocesane europee poste sotto il controllo

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imperiale, ci siano, non solo degli uomini di sua fiducia, ma anche degli uomini in
grado di esercitare effettivamente il compito che gli viene affidato.

Lui stesso provvederà a scegliere i vescovi, soprattutto in area tedesca.

Con il 962 rinasce il Sacro Romano Impero e per circa 40 anni, fino ai primi anni quindi
dell’ XI° secolo, l’impero sarà governato dalla cosiddetta dinastia Sassone, perché il cuore
dei possedimenti di questa famiglia era rappresentato dalla Sassonia, zona della
Germania settentrionale.

È per questo motivo, per questa volontà di ripristinare il controllo imperiale, che noi
cogliamo Ottone I, Ottone II e Ottone III a concedere ampi poteri di natura pubblica
ai vescovi dell’Italia del nord; quelle ampie concessioni di poteri sovrani che abbiamo
visto in precedenza.

Perché ai vescovi? Perché meglio i vescovi che i funzionari laici. E perché meglio i vescovi
dei funzionari laici?

Perché i funzionari laici hanno dimostrato di avere una grande capacità di dinastizzare la
carica pubblica.

Allora Ottone dice no, preferisco cedere questo potere ai vescovi, perché almeno a livello
teorico il vescovo non dovrebbe avere figli.

Questo in via generale, perchè in qualche caso figli ne hanno, però la norma, la prassi
sarebbe diversa.

Ottone I° interpreta in pieno il ruolo di restauratore del potere carolingio.

Intanto lui, come già gli imperatori carolingi, è animato da uno zelo missionario ed
evangelizzatore, e per questo promuove la fondazione di nuove diocesi ai

confini orientali.

Crea la diocesi di Magdeburgo, che è una zona che oggi fa parte della ex Germania Est, i
land più orientali dell’attuale Germania.

Lui quindi si erge a protettore della Chiesa e della fede, e un suo editto passato alla storia
con il nome di Privilegium Ottonis, cioè privilegio di Ottone, stabilisce che il papa,
prima di entrare in carica, debba essere giudicato dall’imperatore.
201
Se ricordate, in età carolingia, con la Constitutio Romana, Ludovico il Pio e suo
figlio Lotario re d’Italia, avevano stabilito che prima di entrare in carica, il papa dovesse
giurare fedeltà.

Qui si fa un passo in avanti, perché non basta che si giuri fedeltà, l’imperatore vuole
vagliare colui che dovrebbe salire alla cattedra di Pietro.

Quindi c’è un intervento diretto sulla scelta del nuovo pontefice.

Ottone I° passa alcuni anni della sua vita proprio in Italia: un primo momento tra il 961 e il

963, il tempo in cui prende possesso del regno e si fa incoronare imperatore, e poi di
nuovo tra il 966 e il 972.

Sono numerosi gli anni del suo governo passati nella penisola italiana.

Non fa mistero di voler portare avanti una politica espansionistica


anche verso le regioni meridionali.

Per evitare di essere inglobati, cioè di essere occupati militarmente, i principi


longobardi di Capua, Salerno e Benevento si dichiarano suoi vassalli e quindi suoi
subordinati.

Con l’impero bizantino la faccenda è un po’ più complicata, perché l’impero


di Bisanzio nel X° secolo è un impero in piena espansione.

Espansione economica, demografica, politica e anche militare e quindi Bisanzio è un


osso molto più duro da rodere.

E così si arriva a un’alleanza sancita da un matrimonio: il figlio di Ottone I°, cioè


Ottone II°, sposa una principessa appartenente ad un ramo collaterale della famiglia
regnante a Costantinopoli, la principessa Teofane.

Così si materializza, per la prima volta, un matrimonio tra un principe, tra un aspirante

imperatore tedesco e una principessa bizantina e quindi di lingua greca.


Poco dopo questo matrimonio Ottone I° muore, e gli succede il figlio Ottone II°, il quale
intanto deve risolvere alcuni problemi in Germania.

202
I lunghi anni di soggiorno in Italia del padre hanno infiacchito il potere regio in Germania,
perché lì i feudatari, liberi di agire hanno eroso le prerogative regie.

Quindi prima torna in Germania e risistema la situazione, poi torna in


Italia, dove molto più del padre ha deciso di estendere il potere
imperiale, sfidando sia i Bizantini che i Musulmani di Sicilia.

Però gli va male perché nel 982, in Calabria, a Punta Stilo, il suo esercito viene
rovinosamente sconfitto dai musulmani di Sicilia.

Lui stesso riporta ferite molto gravi, a tal punto che pochi mesi dopo muore nell’anno
983, lasciando un figlio di appena 3 anni, Ottone III°.

Ottone III° ha poco dell’imperatore germanico.

Intanto sua madre è una bizantina e lui cresce soprattutto a Roma: la sua
educazione è italica e orientata dal punto di vista dell’ideologia imperiale verso
Costantinopoli.

Nel 999, quando ha 19 anni, riesce a far nominare papa il suo maestro, l’ex monaco

Gerbert D’Aurillac, un francese, che prenderà poi il nome di Silvestro II.

La sua opera sul piano politico sarà in larga parte fallimentare.

Perché negli ultimi mesi della sua vita, lui muore giovanissimo nel 1002, scoppia

una grande rivolta dell’aristocrazia italica, soprattutto dell’Italia del nord, in pianura

Padana, guidata dal marchese d’Ivrea, Arduino, il quale si autoproclama re d’Italia.

È una rivolta dell’aristocrazia dell’Italia settentrionale contro il potere imperiale.

Per molto tempo quest’aristocrazia è stata abituata a fare a meno di un sovrano, e la


presenza di questi sovrani della dinastia sassone ha suscitato forte ostilità.

Scoppia questa grande rivolta, che poi verrà sedata: essa però rappresenta un
campanello d’allarme per l’esercizio di un effettivo potere imperiale nella penisola italica.

Il quadro che si ha in Italia all’inizio dell’ XI° secolo, è quello di un quadro politico
molto frantumato.
203
Ci sono poche aree dell’Europa del tempo, soprattutto dell’Europa ex carolingia, che
hanno un quadro politico così disgregato, così frammentato in tanti potentati di estensione
minuscola.

Perché sia in ambito tedesco che in ambito francese, la perdita di potere da parte della
regalità, aveva determinato la formazione di grandi signorie.

Signorie quindi su scala regionale.

Potremo chiamarle anche principati.

Viceversa in Italia, tranne che in alcune zone periferiche tipo il Friuli ed il Piemonte, si è
di fronte a signorie di estensione territoriale molto ridotta.

Estensione che può andare da una provincia attuale, ma anche molto meno. Cioè si è in
presenza di una pluralità di soggetti politici estremamente variegati.

Possiamo avere una signoria che si innesta su un singolo castello, su un singolo borgo,
anzi addirittura possiamo avere anche signorie dette condominiali, cioè vari rami di una
stessa famiglia che esercitano il potere su una frazione del castello.

Si pensi, quindi, a quanto è spezzettato il potere pubblico.

Abbiamo signorie innestate su qualche castello, qualche decina di castelli, però


insomma più si va avanti nella scala più è raro trovare signorie di questo tipo.

In molti casi nell’Italia centro-settentrionale la città si va scollando dalla campagna, perché


in città il potere di diritto o di fatto è esercitato dal vescovo e dal suo entourage, e in
campagna, invece, prevalgono signorie rurali, imperniate o su castelli o su signorie
monastiche.

Quindi c’è una frattura tra il mondo urbano, una frattura di ordine politico, e il mondo
rurale.

Anche nell’Italia meridionale, lasciamo perdere quella islamica cioè la Sicilia, si assiste
a fenomeni abbastanza simili.

E’ vero che per esempio in Puglia c’è una forte autorità bizantina, che c’è un
funzionario mandato da Bisanzio, il Catepano a Bari, però anche qui le città dimostrano
abbastanza precocemente una forte volontà di autonomia politica dal potere imperiale.
204
Gli aspetti più macroscopici di questa polverizzazione del controllo politico del territorio noi
li possiamo osservare, con una sorta di lente di ingrandimento, che è costituita dai cronisti
della città di Milano, che descrivono appunto le vicende milanesi nei primi decenni del XII°
secolo.

Il caso milanese è, quindi, quello più studiato, più indagato, sia perché le fonti sono più
abbondanti, sia anche perché questa città era sede di un arcivescovo e quindi
rappresentava una realtà politica ed ecclesiastica di grande rilievo.

Un po’ come Roma nell’Italia centrale.

Cosa accade a Milano?

Alla fine del X° secolo l’arcivescovo della città, per garantirsi un appoggio concreto,
infeuda le pievi di campagna, cioè le terre delle pievi di campagna(chiesa rurale con
annesso battistero), ad un ceto cittadino che poi prenderà il nome di capitanei, perché
sono detti vassalli in capite.

Cioè cosa è accaduto?

È accaduto che l’arcivescovo per garantirsi un sostegno, un consenso


in città, ha ceduto in beneficio, in feudo, le terre e la gestione delle pievi,
cioè le chiese con le fonti battesimali, nelle campagne milanesi.

Le campagne milanesi sono molto vaste, perché il comitatus, la diocesi di Milano è


particolarmente estesa, stiamo parlando di una chiesa con dignità arcivescovile.

Quindi si ha un ceto aristocratico composto da famiglie risiedenti in città, questi sono


cives, ma che gode del possesso e della rendita di ampie porzioni del territorio rurale,
formalmente di proprietà della chiesa ambrosiana, ma di fatto gestite da questi stessi
milites, questi combattenti a cavallo.

Questi feudi, sono feudi di primo livello, e quindi trasmissibili in eredità.

Quindi cosa ha creato l’arcivescovo di Milano?

Ha creato una nobiltà cittadina, perché questi feudi si passano di padre in figlio.

A loro volta questi capitanei cosa fanno?


205
Per reclutare una propria base di consenso sub infeudano parte delle terre,
generando poi un ceto che i cronisti del tempo indicano con il termine
valvassores, cioè vassalli di secondo livello, vassalli dei vassalli.

Ecco quella piramide che viene imputata all’età carolingia, che invece è proprio di un’età
posteriore.

La dinamica sociale della città di Milano prevede quindi un vertice nell’arcivescovo,

un ceto di suoi vassalli nei capitanei, e un ceto composto da famiglie di


valvassores.

Quindi il feudalesimo dentro la città, ma con le basi economiche e anche giurisdizionali


nelle campagne.

Perché poi è chiaro che la giustizia viene amministrata dal capitaneo e via dicendo.

Questi valvassores però non hanno il diritto a trasferire in eredità questi feudi,
perché questi sono feudi di secondo livello, non di primo livello e quindi non è
possibile in base al diritto feudale trasmettere in eredità queste terre ricevute in
beneficio.

Allora cosa succede?

Succede che scoppia una grande rivolta dei valvassores contro i capitanei e
l’arcivescovo.

Scoppia una guerra civile a Milano.

Come si diceva, questa vicenda è ben conosciuta grazie ai cronisti milanesi.

Essa riflette, in grande, tendenze che si stanno verificando in altre città dell’Italia e
dell’Europa.

Solo che il caso milanese è così rilevante, che deve intervenire lo stesso imperatore
per risolvere la questione.

L’imperatore in questione è Corrado II°, il quale nel 1037 durante una spedizione in
Italia, si ferma a Milano per cercare di dirimere la questione, perché è una questione che

206
ha il suo focolaio a Milano, ma che è potenzialmente esplosiva in altre città dell’impero,
dove si sono innestati meccanismi di questo tipo qui.

Cosa fa Corrado II nel 1037?

Emana un editto, l’Editto de beneficis o Constitutio de feudis che dir si voglia, il


quale editto proclama che anche i feudi di secondo livello possono essere trasmessi
di padre in figlio, quindi ereditariamente.

Questo editto imperiale trasformerà in maniera definitiva i legami vassallatico-beneficiari,


perché tutta la storia del feudalesimo precedente l’editto del 1037, aveva in gran parte
previsto, che un vassus prestasse fedeltà, combattesse, aiutasse con i suoi consigli il
signore e in virtù di questo ricevesse un beneficio temporaneo, una concessione
temporanea.

Viceversa con l’Edictum de beneficis il rapporto è rovesciato: prima tu mi dai un feudo,


poi ricevuto questo feudo, io ti sarò fedele.

A quel punto il vassallo riceve delle terre che rimarranno a lui per sempre, a meno
che lui o i suoi discendenti non commettano il crimine di fellonia.

Quindi è dopo l’Edictum de beneficis che il feudalesimo assume quel


carattere, che poi avrà nella storia d’Europa, sino a quasi la rivoluzione
francese.

Non è il feudalesimo delle origini, quello dell’età carolingia, ma un feudalesimo


tipicamente basso medievale, cioè che si sviluppa dall’XI° secolo in poi.

Vediamo in concreto alcune clausole di quest’editto, emanato dall’imperatore Corrado II a


Milano nel 1037.(Fonte pagina 11 delle dispense modulo A).

Norme sull'ereditarietà dei feudi minori contenute nella Constitutio de feudis


detta anche Edictum de beneficiis regni italici emanato dall'imperatore Corrado
TI (1037)

Nel nome della santa e indivisibile Trinità, Corrado per grazia di Dio imperatore augusto.

207
A tutti i fedeli della chiesa santa di Dio e nostri, presenti e futuri, vogliamo sia noto che,
per riconciliare gli animi dei Signori e dei valvassori (i signori sarebbero i vassalli di
primo livello, quelli che a Milano si chiamano i Capitanei), e affinché siano sempre
concordi e fedelmente e devotaménte servano noi e i loro Signori, ordiniamo e
fermamente decretiamo che nessun vassallo di vescovi, abati, badesse, marchesi, conti,
ecc. (quindi è normale che una abate o una badessa abbiano dei vassalli
evidentemente, visto che si legifera su questo tema, quindi che nessun vassallo di
secondo livello), perda senza una colpa determinata e provata il suo feudo ma solo
secondo la consuetudine dei nostri predecessori e il giudizio dei suoi pari. (cioè un
giudizio emanato da un tribunale composto da loro pari grado nella scala sociale.
Poi troveremo questa idea del tribunale di pari in tante altre monarchie d’Europa,
per esempio in Inghilterra)
1. Se una contesa sarà sorta tra un Signore e un vassallo, anche quando i pari abbiano
giudicato che egli deve essere privato del suo feudo, se egli avrà detto che la decisione è
ingiusta e fatta per odio, mantenga il suo feudo, finché il Signore e colui che egli accusa
vengano con i pari alla nostra presenza (quindi l’imperatore ha una sorta di giustizia
d’appello per casi riguardanti il diritto feudale) ed ivi la causa sia terminata con
giustizia, ecc.
2. Ordiniamo pure che se un valvassore, sia dei maggiori che dei minori; se ne andasse
da questo mondo, il figlio suo abbia il feudo (quindi la trasmissione ereditaria del
beneficio). Se poi non avrà figli, ma un nipote da un figlio maschio, ugualmente questi
abbia il feudo, mantenendo l'uso dei valvassori maggiori di dare cavalli ed armi ai propri
Signori. Se non avrà lasciato un nipote, ma un fratello legittimo da parte del padre, anche
se questi avesse offeso il Signore, qualora voglia dargli soddisfazione ed essere suo
vassallo, abbia il feudo che fu già di suo padre.
3. Inoltre in ogni maniera proibiamo che un Signore osi fare cambio del feudo dei suoi
vassalli senza il loro consenso.

Questo editto dell’imperatore Corrado II cambia l’aspetto e le


caratteristiche dei legami feudali.

Tutto si è originato da questa contesa sociale scatenatasi a Milano.

208
Qualche anno prima, nel 1024, gli abitanti di Pavia avevano incendiato e distrutto il
castello regio, la rocca regia in città.

Un sintomo di questa precoce insofferenza non solo degli aristocratici ma anche dei
cittadini nei confronti del potere regio in Italia.

L’Europa, quindi, che troviamo tra X° e XI° secolo, è un’Europa caratterizzata da grande
disgregazione politica, dall’emergere di nuovi ceti sociali, e da una diffusa sistematica ed
endemica violenza.

Anzi la violenza è un valore, per questi ceti sociali, in ascesa, soprattutto per quei
guerrieri che cercano di farsi strada all’ombra dei potenti.

Un elemento, una spia fondamentale di questo clima violento e insicuro dell’Europa del
tempo, è fornito dalle cosiddette paci di Dio, proclamate dai vescovi della Francia nei
primi decenni dell’XI° secolo.

Cosa sono queste paci di Dio?

Sono dei periodi relativamente brevi, durante i quali è vietata la guerra e


qualsiasi forma di ostilità bellica, pena la scomunica. Cioè i vescovi
della Francia, cominciano ad utilizzare, a brandire l’arma della
scomunica per tenere a freno le intemperanze, la violenza della
cavalleria francese.

Cavalleria nel senso di combattenti a cavallo.

Il francese ha due termini quasi sinonimici ma in realtà diversi nelle origini, e anche nel
significato per indicare il cavaliere.

In italiano noi abbiamo un solo termine, però la parola cavaliere in italiano significa sia
colui che tecnicamente combatte a cavallo, ma sta ad indicare anche un nobile.

La cavalleria può essere sia un corpo militare, ma anche un insieme di norme di


comportamento legate a un certo ceto nobiliare.

In francese ci sono due termini, cioè Cavalier e Chevalier: il cavalier è tecnicamente il


combattente a cavallo, lo chevalier è il cavaliere nel senso nobile.

209
La cavalleria nasce proprio nell’XI° secolo, ma all’inizio del XII secolo il
cavaliere è il cavalier, colui che combatte a cavallo.

Poi attraverso tutta un’elaborazione ideologica, che passa anche attraverso uomini di
Chiesa, ancora una volta, noi arriviamo alla cavalleria nel senso nobile del termine, con
tutto un cerimoniale, il cosiddetto addobbamento cavalleresco, che trasforma un guerriero
in un nobile con l’intervento di un principe di un re che dir si voglia.

Questi cavalieri, questi combattenti a cavallo sono l’elemento più turbolento della società
non solo in Francia naturalmente.

Ed in Francia in vescovi cominciano a prendere provvedimenti per limitare la loro


esuberanza(per usare un eufemismo).

Di questi interventi, di queste paci di Dio, noi possiamo vederne un estratto nel testo che
cerca di imporre un vescovo di Beauvais, che emana questo testo tra il 1023 e il 1025.
Siamo nell’estremo nord della Francia.

Qui il vescovo dietro le richieste, le preghiere dei piccoli proprietari fondiari, di monaci di
campagna, di contadini, fa stendere dalla sua cancelleria un atto che tutti dovrebbero
giurare. La lettura di questo giuramento è molto illuminante in relazione a quelli che erano
gli stili di vita della piccola feudalità, della cavalleria francese nei primi decenni dell’XI°
secolo.

Vediamo cosa si dice. Chi giura è, quindi, un guerriero. (Fonte pagina 13 delle dispense
modulo A).

La pace di Dio nel giuramento promosso dal vescovo Guarino di Beauvais (1023-
1025)

Non invaderò in nessun modo una chiesa (quindi generalmente può farlo, altrimenti
non ci sarebbe nessun motivo di vietarli una cosa del genere). In ragione della sua
immunità (vi ricordate il privilegio di immunità concesso dagli imperatori agli enti
ecclesiastici), non invaderò neppure i magazzini che sono nella cinta di una chiesa, salvo
se un malfattore abbia violato questa pace o per un omicidio o per prendere un uomo o un
cavallo. Ma se invado per questi motivi i suddetti magazzini, non porterò via nulla, se non
il malfattore o il suo equipaggiamento, consapevolmente (perché evidentemente andare
210
a caccia di un malfattore era la scusa per razziare il magazzino degli entri
ecclesiastici).
Non attaccherò il chierico o il monaco se non portano le armi del mondo (quindi questi
chierici e questi monaci occasionalmente e forse nemmeno troppo
occasionalmente, le portano le armi), né quello che cammina con loro senza lancia né
scudo; non prenderò il loro cavallo, salvo il caso di flagrante delitto che mi autorizzi a farlo
o a meno che essi abbiano rifiutato di riparare la loro colpa nello spazio di quindici giorni
dopo il mio avvertimento.
Non prenderò il bue, la vacca, il maiale, la pecora, l'agnello, la capra, l'asino e il fardello
che porta, la giumenta e il suo puledro non domo. Non assalirò il contadino né la
contadina, i sergenti o i mercanti; non prenderò il loro denaro; non li costringerò al riscatto;
non li rovinerò prendendo i loro averi col pretesto della guerra del loro signore, e non li
batterò per toglier loro il sostentamento (quindi è chiaro che normalmente un cavaliere
compie tutte queste azioni).
Mulo o mula, cavallo o giumenta e puledro che sono al pascolo, non ne spoglierò alcuno
dalle calende di marzo fino a Ognissanti (si deve prendere una sorta di semestre
sabatico dalle sue efferatezze), salvo se li trovo in atto di farmi danno.
Non incendierò né abbatterò le case, a meno che non vi trovi un cavaliere mio nemico o
un ladro, e a meno che siano unite a un castello che sia davvero un castello.
Non taglierò né sradicherò né vendemmierò le viti altrui, col pretesto della guerra, se non
sulla terra che è e deve essere mia. Non distruggerò mulini e non ruberò il grano che vi si
trova, salvo quando sarò in cavalcata (spedizione armata) o in spedizione militare
pubblica, e se è sulla mia propria terra (guardate, tutte queste cose noi lo sappiamo
che le facevano, perché per esempio esiste un lungo elenco di malefatte stese da
un monastero delle campagne di Reggio Emilia in cui si dice: questi nobili in questi
anni hanno massacrato di botte i nostri contadini, stuprate le loro figlie ci portato
via i maiali, le mucche, il grano e via dicendo. Quindi è tutta realtà).
Al ladro pubblico e riconosciuto non procurerò né appoggio né protezione, né a lui né alla
sua impresa di brigantaggio, consapevolmente. Quanto all'uomo che scientemente violerà
questa pace, cesserò di proteggerlo non appena lo saprò; e se ha agito in modo
inconsapevole ed è ricorso alla mia protezione, o farò riparazione per lui o l'obbligherò a
farla nello spazio di quindici giorni, dopo di che sarò autorizzato a chiedergli ragione o lo
priverò della mia protezione.
Non attaccherò il mercante né il pellegrino e non li spoglierò, salvo se commettono
211
qualche malefatta. Non ucciderò il bestiame dei contadini, se non per il mio nutrimento e
quello della mia scorta.
Non catturerò il contadino e non gli toglierò il sostentamento per istigazione perfida del
suo Signore.
Non attaccherò le donne nobili, né quelli che circoleranno con esse, in assenza del loro
marito, a meno che non trovi che commettono qualche malefatta contro di me nel loro
movimento (chissà che malefatta commettevano queste donne che viaggiano senza
marito); mi comporterò allo stesso modo con le vedove e le monache.
Non spoglierò neppure quelli che trasportano vino su carrette (guardate, il vescovo
molto raffinatamente fa un elenco molto minuzioso, perché così può dire “c’è
scritto, poi non dite che avete commesso una cosa che non era scritta nel
giuramento”) e non prenderò i loro buoi. Non fermerò i cacciatori, i loro cavalli e i loro
cani, salvo se mi nuocciono, a me o a tutti quelli che hanno assunto lo stesso impegno e
l'osservano nei miei confronti.
Eccettuo le terre che sono del mio allodio (cioè terre mie, personali) e del mio feudo, o
mi appartengono in franchigia, o sono sotto la mia protezione o di mia spettanza. Eccettuo
ancora i casi in cui costruirò o assedierò un castello, il caso in cui sarò presso l'esercito
del re e dei nostri vescovi, o alla cavalcata. Ma anche allora, esigerò soltanto ciò che sarà
necessario per il mio sostentamento e non riporterò a casa nient'altro che i ferri dei miei
cavalli. Nell'esercito, non violerò l'immunità delle chiese, ameno che non m'impediscano
l'acquisto e il trasporto dei viveri.
Dall'inizio della Quaresima fino a Pasqua (periodo particolarmente sensibile in ottica
ecclesiastica)non attaccherò il cavaliere che non porta le armi del mondo e non gli
toglierò il sostentamento che avrà con sé. Se un contadino fa torto a un altro contadino o a
un cavaliere, aspetterò quindici giorni, dopo di che, se non avrà riparato, m'impadronirò di
lui, ma prenderò dei suoi averi solo quanto è legalmente fissato.

Questa umanità cavalleresca è quella stessa umanità aristocratica che poi partirà
per la prima crociata.

Quando il papa Urbano II°, inviterà i cavalieri occidentali ad indirizzare le proprie energie,
la propria voglia di combattere, in oriente per la liberazione del Santo Sepolcro, siamo nel
1095.

212
Quindi non molto tempo dopo la realtà che stiamo descrivendo, si proporrà lui, come del
resto altri uomini di Chiesa, di imbrigliare questa spinta violenta dell’aristocrazia verso un
canale esterno.

E così la Chiesa di Roma si inventerà una figura che non era mai esistita nella tradizione
cristiana, ne tardo antica ne tardo medievale, cioè la figura del miles christi, il
combattente per Cristo.

Si può discutere sulle molteplici motivazioni che portano a questo esito.

Il fenomeno della crociata che ha il suo pendant nella riconquista nella


penisola iberica, serve anche a convogliare la spinta di questa piccola
aristocrazia, che si fa sempre numerosa poi con l’espansione demografica di cui
parleremo successivamente, per contenerla, per indirizzarla verso le frontiere,

verso il mondo esterno rispetto alla cristianità cattolica.

La Chiesa, intendendo in questo caso, con questo termine, le gerarchie e gli intellettuali
appartenenti al mondo ecclesiastico non si sono però limitati a descrivere che cosa
accadeva oppure a cercare di frenare le intemperanze dei ceti guerrieri.

Hanno anche cercato di disegnare ideologicamente quella che secondo loro doveva
essere la società ideale.

Soprattutto tra il X° e l’XI° secolo, proprio nel momento in cui la società si stava
disgregando dal punto di vista politico e non solo, hanno cercato di costruire
teoricamente quella che a loro modo di vedere era la società, il tipo di società voluta
da Dio.

Questa costruzione ideologica ha avuto poi una vita concreta molto lunga: è la

cosiddetta società trinitaria, cioè l’idea che la società sia divisa in tre parti.

La massa indistinta di coloro che lavorano e non hanno diritti;

il gruppo di coloro che hanno il potere militare;

il gruppo di coloro che pregano per la salvezza di tutti.


213
Questa società ordinata per tre ceti è durata in Europa, sostanzialmente,
fino al 1789, cioè quando con la Rivoluzione Francese si è rotta questa
storia millenaria basata appunto sui privilegi di ceto.

Non che gli uomini di Chiesa abbiano creato questa società, però hanno modellato un
pensiero, hanno costruito un pensiero che poi ha avuto una certa influenza sul modo in cui
si sono strutturate le società.

I cosiddetti parlamenti del basso medioevo e dell’età moderna non sono ovviamente i
nostri parlamenti ma sono rappresentanze per ceto.

Le troviamo nella corona d’Aragona, nella corona di Castiglia, in Francia, in Inghilterra e


via dicendo, cioè sono assemblee che hanno voto per ceto quindi i voti sono tre.

Ed è contro questa forma di rappresentanza cetuale che poi si scagliano i rivoluzionari del
1789.

Quando nasce questa formulazione teorica?

Su che basi?

Che precedenti ha?

Ovviamente una società pensata trinitariamente è una società che riflette il fatto che il
numero tre ha un valore particolare nel mondo ecclesiastico, non fosse altro che per la
Trinità.

Tre dunque è il numero perfetto, tutte le sistemazioni ideologiche ecclesiastiche dalla


tarda antichità in poi hanno sempre questo schema basato sul numero tre.

Già nella tarda antichità si parlava di scale di perfezione del fedele, cioè ci sono i laici che
non possono fare a meno della copula sessuale, quindi il matrimonio regolato da Dio.

Poi ci sono i chierici e poi ci sono i monaci quelli più puri in assoluto.

Questa idea dello schema trinitario trova un campo di applicazione politico e in alcuni
componimenti letterari di grande rilievo soprattutto nella Francia centro-settentrionale tra
X° ed XI° secolo.

214
Non è un caso poi che queste produzioni letterarie, sia in prosa che in poesia, si
sviluppino in quel contesto geografico lì e in quella temperie cronologica, cioè una società
che sta collassando dal punto di vista dei legami politici.

Per esempio in un trattato di un monaco della fine del X secolo, l’Apologeticus di Abbo o
Abbone, a seconda che si utilizzi il nominativo o gli altri casi, il quale è monaco a Fleury
che è un grande monastero della valle della Loira, quindi siamo nel cuore della Francia, il
quale all’interno di questo trattato ad un certo punto si sofferma sull’ordine della società.
(Fonte pagina 11 dispense modulo A).

Abbone monaco di Fleury (Apologeticus, fine del X secolo)

Sappiamo che nella santa Chiesa universale (ovviamente per santa Chiesa si intende
l’ecumene cristiana, cioè l’umanità cristiana occidentale tutti i fedeli, di entrambi i
sessi, sono distinti in tre ordini o gradi di vita ... il primo è l'ordine dei coniugati, maschi e
femmine (poi si sale il grado della perfezione); il secondo è l'ordine dei continenti e
delle vedove (cioè di coloro che pur non essendo religiosi però non hanno rapporti
sessuali); il terzo è quello dei vergini e delle monache. Analogamente gli uomini -
limitandoci ad essi - sono ordinati in tre gradi o ordini: il primo è quello dei laici; il secondo
è quello dei chierici; il terzo è quello dei monaci (ovviamente chi scrive è un monaco,
per i monaci la condizione monastica è superiore moralmente a quella del chierico.
Ora voi dovete tener presente che per lungo tempo i monaci non hanno avuto gli
ordini religiosi, cioè non erano chierici nel senso tecnico del termine, cioè i monaci
facevano un certo tipo di vita, cioè facevano una scelta di vita solitaria, che sia
anacoretismo o cenobitismo non importa. Vivevano nella carità, nella continenza,
nel rifiuto di tutte le ricchezze, ma quasi tutti non avevano gli ordini religiosi.
Accettavano che qualcuno di loro li avesse perché ci voleva qualcuno che dicesse
messa, perché se uno non ha gli ordini non può dire messa, non può dare
l’eucarestia e via dicendo. Però i monaci hanno sempre diffidato dei chierici, a
lungo. Cioè la clericalizzazione dei monaci è una questione che riguarda il basso
medioevo. Nella tarda antichità quasi nessun monaco aveva gli ordini religiosi, e
anche nell’altro medioevo molti non li avevano, ecco perché c’è sempre questa
diffidenza. La diffidenza da che cosa è dettata? È detta dal fatto che agli di un
monaco, il chierico avendo la cura d’anime (sacerdote, vescovo o quello che è), è
nel mondo, è nella società , quindi può essere corrotto perché stare nel mondo è

215
pericoloso. Il monaco ontologicamente rifiuta il mondo. Per questo in Abbone la
condizione monastica è quella perfetta)... Detto questo, veniamo a parlare del primo
ordine, cioè dei laici (vedete, ogni ordine è scomposto in tre parti. Tutte le volte si
ripete questo schema trinitario). Di costoro, alcuni sono contadini, altri guerrieri. Ai
contadini spetta di sudare nel lavoro dei campi e nelle varie opere dell'agricoltura, da cui
proviene il sostentamento all'intera comunità dei fedeli. Ai guerrieri spetta contentarsi degli
stipendi della milizia (questo latino non rende bene l’idea. Stipendi della milizia vuol
dire in realtà i proventi dell’attività bellica), astenersi dalle rivalità nel grembo della
madre comune [ovvero la Chiesa], combattere con prontezza i nemici della santa Chiesa
di Dio (quindi questa è un’utopia che è espressa da Abbone).

Facciamo un piccolo salto cronologico in avanti, ci spostiamo nell’estremo nord della


Francia a Laon, sede vescovile, dove tale Adalberone che è vescovo della città scrive
un componimento poetico in lode di re Roberto.

Re Roberto è re di Francia, è uno dei primi sovrani della cosiddetta dinastia


capetingia, che trae origine da Ugo Capeto che prende il trono nel 987, che è un re,
scusate il francesismo, che non conta una mazza.

E’ un re la cui autorità politica è limitata alle campagne intorno a Parigi, quindi questa
costruzione è per certi versi ancora più utopistica.

Il re di Francia non ha un’autorità reale sul territorio del suo regno.

A comandare sono il conte di, il duca di, il marchese di e via dicendo.

Questo componimento poetico è stato reso in prosa.

E’ un componimento poetico sotto forma di dialogo tra il vescovo ed il suo re.

Qui, naturalmente, non c’è spazio, se non limitato, per i monaci, perché qui il ruolo
fondamentale nell’ordine sociale lo dovrebbero dare i vescovi. (Fonte pagina 12
dispense modulo A).

Adalberone vescovo di Laon


(Carmen ad Rodbertum regem Francorum, 1025 circa)

Vescovo: Di natura, gli uomini sono tutti uguali (certo c’è scritto nella Bibbia. Non può

216
andare contro la Bibbia e il Vangelo), e unica è la casa di Dio, retta da una sola legge.
Una sola è la fede, ma triplice è l'ordine degli uomini. La legge umana distingue infatti due
condizioni diverse: nobili e servi (tenete presente che nelle campagne francesi molto
di più che nelle campagne italiane, quasi tutti i contadini avevano perso la libertà
individuale. Naturalmente quando si parla di servaggio non si intende la schiavitù
antica, si intende una condizione in cui la liberta personale è si conculcata ma fino a
un certo punto, quindi il servo può sposarsi, può disporre entro certi limiti di un
patrimonio, lo può vendere, lo può affittare, insomma ha determina libertà ma altre
no. Soprattutto in molti casi è vincolato a un fondo rurale, quindi non può
spostarsi), che non sono tenuti ad osservare le stesse leggi. Due personaggi occupano il
primo posto: uno è il re, l'altro l'imperatore; dal loro governo è assicurata la solidità dello
stato. Gli altri [nobili] non sono soggetti ad alcun potere, purché si astengano dai crimini
proibiti dallo scettro del re (quindi è implicito che in realtà ne commettessero di questi
crimini). Essi sono guerrieri, che proteggono le chiese e difendono tutto il popolo, grandi e
piccoli, garantendo in eguale maniera la sicurezza di tutti e la propria (le paci di Dio però
sono coeve, ci dimostrano tutto il contrario. Questo è quello che dovrebbe essere
secondo il vescovo Adalberone). Diversa è la condizione dei servi.
Re: Razza infelice, che non possiede nulla se non a prezzo della propria fatica. Chi
potrebbe enumerare, contando li con i segni dell'abaco (una specie di pallottoliere), gli
addestramenti, le attività, le fatiche dei servi?
Vescovo: I servi forniscono a tutti tesori e vesti; nessun uomo libero potrebbe vivere senza
di loro (cioè senza il loro lavoro). Quando c'è il loro lavoro, si desiderano ricchezze e
proprietà; il re e i vescovi sembrano servi dei servi (cioè è una metafora paradossale)
[cioè dipendono da loro]. È il servo a nutrire il signore, che a sua volta pretende di nutrirlo.
Re: Alle lacrime e ai gemiti dei servi non c'è fine.
Vescovo: Dunque la casa di Dio, che si crede una, è divisa in tre (casa di Dio nel senso
dell’umanità). Alcuni pregano, altri combattono, altri ancora lavorano; uniti fra di loro; non
possono essere separati. Tutti si reggono sul compito dei primi (perché chi prega, prega
per la salvezza di tutti); i secondi e i terzi con le loro attività sovvengono tutti. Unico e
triplice è dunque il legame che li tiene insieme: e fu in questo modo che la legge poté
trionfare, il mondo godere della pace. Ma languiscono ora le leggi, svanisce la pace. I
costumi degli uomini si corrompono, l'ordine è stravolto. Stringi forte la lancia, o re, e
soccorri il mondo, serrando contro i malvagi le redini della giustizia. (alla fine si lascia
scappare una constatazione drammatica)
217
Ancora più radicale nella sua interpretazione, che non credo ci siano problemi a definire
classista è questo Gerardo vescovo di Cambrai, che tra l’altro è imparentato con
Adalberone, tant’è che alcuni hanno parlato di dinastie vescovili per queste zone della
Francia del nord.

Non abbiamo una testimonianza sua diretta, ma sappiamo da questa opera letterario -
religiosa, cioè questi Gesta episcoporum cameracensium, cioè Gesta dei vescovi di
Cambrai, uno di quelli equivalenti su scala vescovile del Liber pontificalis romano.

Si parla ad un certo punto della vita di questo Gerardo di Cambrai che è contemporaneo
ad Adalberone. Colui che ha scritto questa biografia a un certo punto dice (Fonte pagina
12 dispense modulo A).

Gerardo vescovo di Cambrai


(Gesta episcoporum cameracensium, anni '20-'30 dell'XI secolo)

[Il vescovo Gerardo] mostrò (con prediche, con orazioni, con discorsi) che fin dalla
origini il genere umano era stato diviso in tre gruppi (Adalberone era stato più ambiguo:
prima parla di natura unica voluta da Dio e poi però la legge umana mette delle
divisioni, invece Gerard de Cambrai dice: “no no fin dalle origini il genere umano è
stato diviso in tre gruppi): uomini che pregano; uomini che lavorano i campi; uomini che
combattono. Dimostrò poi, con molta chiarezza, che ciascuna di queste categorie fornisce
sostegno alle altre due. "Gli uomini di preghiera, liberi da impegni mondani, si dedicano
interamente a Dio; ma devono ai guerrieri la sicurezza del loro santo ozio, e alla fatica dei
contadini il cibo corporale che li nutre. A loro volta i contadini sono elevati fino a Dio dalle
preghiere dei sacerdoti, e difesi dalle armi dei guerrieri. I guerrieri, da parte loro, ricevono
sostentamento dai redditi dei campi e dalle tasse sugli scambi, mentre la santa preghiera
degli uomini pii, che essi difendono, espia la violenza delle loro armi (li confessano così
tolgono la macchia del loro peccato). Così si sostengono reciprocamente".

Questa è una fondamentale costruzione ideologica, in larga parte utopistica, ma in parte


anche attuata, voluta da alcuni uomini di Chiesa della Francia centro-settentrionale fra X°
e XI° secolo.

218
E’ un’ideologia che è durata a lungo, molto più adatta per certi aspetti all’Europa
continentale, piuttosto che all’Italia, dove questo schema molto rigido cozzava contro una
realtà, cioè il fenomeno urbano che era sopravvissuto alla crisi alto medievale e quindi
inevitabilmente poneva di fronte agli occhi delle articolazioni sociali più complesse.

Insomma, la Chiesa reagisce con i suoi intellettuali ai cambiamenti della società in


molti modi, con atteggiamenti molto diversi.

Un altro atteggiamento fondamentale che trasformerà completamente la Chiesa


Cattolica dal punto di vista del suo ordinamento istituzionale è quello che poi genererà
nel corso dell’ XI° secolo la riforma ecclesiastica, che poi passerà alla storia come
Riforma Gregoriana, un aggettivo che è legato alla figura di uno dei pontefici, il quale
però maggiormente rispetto ad altri ha lasciato la sua impronta sulla trasformazione delle
istituzioni ecclesiastiche.

Questa riforma delle istituzioni e del comportamento degli uomini di Chiesa, che prende
corpo nel XI secolo è preceduta da una elaborazione concettuale, frutto inizialmente e in
larga parte dall’opera di alcuni monaci, i quali avvertono più sensibilmente di altri la
crisi morale e comportamentale di coloro che coprono cariche spirituali.

Questa crisi si era generata, come abbiamo già anticipato, con la dissoluzione
dell’impero carolingio e con l’emergere dei poteri locali.

Abbiamo parlato di parroci, pievani scelti dal signore, di elezioni vescovili e anche
pontificie ispirate a logiche totalmente clientelari – familistiche.

Sappiamo di rettori di abbazie e di vescovi che portavano le armi, che


combattevano.

In generale questi monaci riformatori, imputavano a numerosi uomini di Chiesa due


peccati capitali: la simonia e il concubinato.

La parola simonia rimanda ad un personaggio degli atti degli apostoli, Simon Mago, il
quale pretendeva di acquistare da Pietro i doni dello Spirito Santo, e acquistarli a
pagamento, quindi la parola simonia viene utilizzata per indicare la compravendita

delle cariche ecclesiastiche, sia che questa compravendita avvenga dietro

219
l’elargizione di denaro, sia sotto forma di favori, concessioni di terre, e insomma uno
scambio di qualsiasi tipo.

La parola concubinato pone più problemi, perché la parola concubinato

ovviamente è spregiativa.

Da l’idea che vescovi, parroci e pievani avessero delle concubine cioè delle amanti
che magari ci sta anche, però il bersaglio in realtà non è tanto, è anche in generale che
gli uomini di Chiesa avessero delle donne, ma il problema fondamentale era il

matrimonio degli uomini di Chiesa.

Ora formalmente, prima della riforma dell’XI° secolo non c’era stato nessun divieto
esplicito al matrimonio degli ecclesiastici, ovviamente era buona norma che gli uomini di
Chiesa non si sposassero.

Bisogna considerare che fino alla tarda antichità non pochi erano i vescovi che venivano
nominati tali essendo sposati e si invitavano gentilmente a non avere una vita comune con
la propria moglie o comunque non avere più rapporti sessuali.

Comunque è un dato di fatto che soprattutto ai livelli bassi, soprattutto nelle campagne, i
preti si sposavano e avevano figli, tant’è che nella Chiesa Ortodossa, che non ha

conosciuto la riforma gregoriana, ancora oggi i preti si sposano.

Non c’è nessun divieto al matrimonio, però i vescovi non possono


essere sposati.

Cioè praticamente le basse gerarchie della Chiesa Ortodossa hanno licenza di


matrimonio, gli altri no.

Perché la Chiesa Ortodossa è rimasta più aderente alle tradizioni del cristianesimo antico.
Allora da dove viene questa ostilità nei confronti del matrimonio?

Perché si vuole denigrare il legame matrimoniale di un prete definendolo un concubinato,


cioè un legame fuori dal sacramento del matrimonio?

Perché il problema è anche il patrimonio ecclesiastico.

220
In una società nella quale tutti sono contro tutti, e anche la Chiesa è immersa nei conflitti
politici, sociali, patrimoniali un prete, un uomo di Chiesa che ha una moglie e dei figli
inevitabilmente tenderà a lasciare qualcosa in eredità ai figli e questo qualcosa è
patrimonio della sede ecclesiastica che lui governa.

Quindi questi matrimoni ecclesiastici erano forieri di smembramenti, di perdite di


patrimonio.

Oltre al fatto che poi questi figli si dovevano collocare in qualche modo e quindi il
clientelismo si ripeteva all’infinito e via dicendo.

E quindi si comincia a stigmatizzare fortemente l’idea che i preti si potessero sposare.

Ora questa volontà di riformare i costumi, e quindi poi alla fine anche le istituzioni
del mondo ecclesiastico, prende corpo soprattutto in alcuni movimenti monastici.

Sono i monaci che guidano, soprattutto in una prima fase, la riforma dei
costumi della Chiesa.

Inizialmente i cosiddetti monaci cluniacensi, cioè i monaci della abbazia

borgognona di Cluny.

Questa abbazia si trova in un territorio facente parte la diocesi di Maçon e dell’arcidiocesi


di Lione.

Quindi siamo nella Francia orientale, sud-orientale, non mediterranea comunque.


Purtroppo di questo grande complesso monastico che è stato edificato tre volte, tutte le
volte sempre più grande, non è rimasto quasi niente.

È stata forse l’abbazia più importante del medioevo occidentale, ma non è rimasto quasi
niente perché nel periodo della rivoluzione francese e dell’età napoleonica molte chiese
hanno fatto una brutta fine, perché sono state incorporate nel demanio, utilizzate talvolta
come magazzini, talvolta come stalle, talvolta come caserme e alla fine ciò che rimaneva
di questo grande complesso monastico è stato acquistato da una ditta edile e quindi le
pietre di questo edificio utilizzate per fare case.

La rivoluzione francese ha avuto tanti meriti, però ha contribuito a distruggere gran parte
del patrimonio architettonico delle chiese medievali e non solo medievali.

221
Cluny quindi si trova nella Borgogna meridionale.

Il monastero viene fondato nel 910. Lo fonda un irrequieto monaco francese, tale

Bernone, il quale con alcuni suoi seguaci ha l’obiettivo di ripristinare la regola di San
Benedetto.

La regola di san Benedetto era stata imposta dagli imperatori, segnatamente da

Ludovico il Pio, con i capitolari di Aquisgrana.

Solo che anche in questo caso, il venir meno del potere imperiale aveva contribuito non
poco a spingere molti monasteri all’abbandono della regola, oppure a interpretarla in
maniera molto più blanda e talvolta anche alla trasformazione di questi monasteri in
collegiate, quindi di fatto non più in fondazioni monastiche.

E così uno sparuto gruppo di monaci all’inizio del X° secolo cercava di ripristinare la regola
di san Benedetto, cioè una vita monastica direttamente ispirata alla regola benedettina.

Ad un certo punto Bernone e i suoi seguaci incontrano Guglielmo duca d’Aquitania,


uno di questi grandi personaggi che aveva dei possedimenti sparsi nella Francia centro-
meridionale, e che era animato da un sincero zelo religioso, e soprattutto era
angosciato come molti nobili del tempo dall’idea di andare all’inferno e a ragione.
Non di rado questi nobili quando arrivavano a una certa età si
preoccupavano del loro futuro ultraterreno.

E cosi sinceramente impressionato dall’idea di Bernone dice “Va beh ve lo do io un


terreno su cui tirar su un monastero, vi do anche un sacco di terre cosi voi potete essere
sicuri della vostra vita, avete le risorse necessarie per sostentarvi ecc.

E soprattutto quello che mi preoccupa è che voi abbiate tutto il tempo necessario
per pregare per la salvezza eterna mia e della mia famiglia”.

“Allora ci darai la tua grande riserva di caccia di Cluny”.

Dice “come…. quella è la mia riserva preferita! Lì conduco le mie caccie migliori”.

La caccia non è semplicemente uno sport, è un modo per allenarsi a fare la guerra ed è
anche un’occupazione molto prestigiosa.

222
E allora Bernone si rivolge a Guglielmo e dice “Quando sarai di fronte al giudizio
universale cosa conterà di più?

La caccia, gli orsi, i lupi che tu uccidi, o il favore divino?” Guglielmo risponde “Mi hai
convinto, tieni la mia riserva” e così viene fondato il monastero di Cluny.

Non solo, ma l’atto fondativo di questo monastero, che si è conservato integralmente,


quasi una sorta di contratto, steso per volontà del duca di Aquitania, prevede che

questo monastero sia totalmente immune da qualsiasi ingerenza laica


ed ecclesiastica.

Guardate che tutti i monasteri fondati da queste aristocrazie erano generalmente sotto
controllo della famiglia che li aveva fatti fondare, perché vuol dire che spesso l’abate era
nominato dalla famiglia aristocratica.

Guglielmo fa mettere per iscritto che né lui né tutti i suoi successori, pena la scomunica e
la dannazione eterna, potranno dire qualcosa su come dovrà funzionare il monastero, che
quindi si dovrà governare secondo la regola di san Benedetto.

Nella regola di san Benedetto c’è scritto che l’abate deve essere scelto dai monaci.

Norma che gli imperatori carolingi si erano ben guardati dall’applicare.

Ma c’è scritto anche, in questo atto fondativo, che il monastero non può essere
molestato da nessuna autorità ecclesiastica, quindi anche il vescovo di Maçon non
può interferire, anche qui pena la dannazione eterna e la scomunica.

Guglielmo va ancora più avanti e dice che il monastero di Cluny è messo sotto la
protezione di San Pietro e Paolo, cioè sotto la protezione del papa.

Il papa, per la verità, non ha nessuna autorità istituzionale e giurisdizionale su questa zona
della Francia.

Però intanto è uno spauracchio morale e spirituale nei confronti del vescovo di Masson e
di chiunque altro voglia interferire.

Molto dopo, molti decenni dopo, gli abati di Cluny riusciranno a far leva
su questo principio della donazione per essere veramente svincolati e

223
totalmente autonomi sul piano giurisdizionale, anche da un punto di
vista giuridico.

Quindi questo ordine, questo nuovo ordine nel solco benedettino, si ricollega
idealmente al papa, e quindi non ha nessuna forma di controllo.

Questi monaci cluniacensi interpretano la regola benedettina secondo l’interpretazione


della regola che già aveva dato Benedetto di Aniane all’inizio del IX secolo.

Cioè un’interpretazione che privilegia maggiormente la dimensione orante, cioè la


preghiera, rispetto alla dimensione lavorativa.

Ora nella regola di san Benedetto non è un segreto, sappiate tutti c’è questo reframe
nell’esempio riportato, il lavoro è accompagnato dalla preghiera, ora et labora, non è
un principio originale della regola di san Benedetto, perché anche le regole orientali di
Pacomio, di Basilio di Cesarea e altre regole tardo antiche prevedevano il lavoro.

Il lavoro serve per eliminare l’ozio, l’ozio è il nemico dell’anima perché


sviluppa pensieri peccaminosi, il lavoro umilia il monaco, quindi gli fa
perdere quegli aspetti di superbia, e insomma il lavoro serve.

Era previsto quindi dalla regola di San Benedetto, ma con Benedetto di Aniane e con i
monaci cluniacensi le preghiere, soprattutto le preghiere cantate sono così tante che il
monaco non ha più tempo per lavorare, quindi utilizza i contadini che lavorano nei
campi.

Preghiere cantate.

Ora secondo la regola di san Benedetto il monaco prega molte volte al giorno, comincia
tra le due e le tre di notte a pregare.

Il monaco cluniacense prega cantando, (quindi immaginatevi come potreste arrivare alla
fine della giornata se voi cantate per cinque o sei ore al giorno. Secondo me siete
stremati, non potete fare altro).

Nella abazia di Cluny e poi nella affiliazioni cluniacensi esistevano delle scuole di
canto perché il monaco doveva saper cantare.

224
E perché pregavano in continuazione?

Perché dovevano pregare cantando per la salvezza di tutti i benefattori a partire dal duca
di Aquitania.

Ben presto Cluny genera della affiliazioni, cioè dei monasteri che rimandano alla casa
madre, e più vanno avanti queste affiliazioni, più si genera una piramide cluniacense che,
in un certo senso, è una sorta di riflesso di quella che poi è la piramide feudale di quel
tempo.

Nel sistema cluniacense solo la casa madre ha un abate.

Le filiazioni, cioè i monasteri fondati dalla casa madre hanno un priore, quindi si
chiamano priorati e il priore è scelto dall’abate della casa madre.

Ci sono anche fondazioni monastiche preesistenti che decidono di affiliarsi alla disciplina
cluniacense e allora loro mantengono l’abate che giura fedeltà alla casa madre, perché già
preesistevano, non sono filiazioni fondate dalla casa madre.

Quindi c’è un universo composito cluniacense che però è costituito nel pieno XI° secolo,
quando l’ordine raggiunge l’apice del suo sviluppo.

Universo che conta centinaia, forse migliaia di monasteri, regolati dalle consuetudini
cluniacensi.

Ovviamente l’area d’Europa dove le fondazioni cluniacensi sono maggiori è la Francia, ma


ci sono molte fondazioni anche in Inghilterra, in Germania, nella Penisola iberica e pure in
Italia.

Il romanzo di Umberto Eco, il nome della rosa, è ambientato in un


fantomatico monastero dell’ordine cluniacense dell’Appennino
emiliano.

Cronologicamente, nel romanzo siamo agli inizi del ‘300, quindi questo monastero deve
aver avuto una vita molto lunga.

Questi monaci si prefiggono di rifiutare gli orrori generati dalla società e di bonificare
costumi della chiesa con una certa condotta di vita.

225
Una condotta di vita ispirata alla regola di san Benedetto.

Il tipo di fondazione che essi hanno avuto, fa si che siano fuori controllo sia del laico che
ecclesiastico, quindi fuori dalle logiche clientelari locali, e si dedicano prevalentemente alla
preghiera.

Sono loro che hanno inventato il giorno dei morti.

Il giorno dei morti è una creazione dell’ordine cluniacense, l’idea che si prega un giorno
particolare per i morti.

In realtà nelle loro chiese, nei loro monasteri avevano un vero e proprio calendario
liturgico di messe che dovevano celebrare in onore di una serie sterminata di benefattori.

Quest’ordine prestigioso venne ben presto beneficato di donazioni da parte di tutti quegli
individui laici che volevano che i monaci, che i santi monaci pregassero per la loro
salvezza eterna e quindi ci voleva un calendario giorno per giorno durante i quali si
doveva celebrare la messa per questo, per l’altro defunto e via dicendo.

Inoltre quest’ordine si prefiggeva di dare assistenza ai poveri.

Qualcuno ha calcolato che nell’XI° secolo la casa madre di Cluny erogasse circa tremila
pasti quotidianamente ai poveri.

Rappresentava una forma di sostentamento nei confronti della povertà del tempo.

Naturalmente i principi e la realtà non sono mai sempre la stessa cosa.

Quest’ordine nato con certe finalità, si ritrova due secoli dopo ad essere
l’ordine monastico più ricco d’Europa, perché donazione dopo
donazione il patrimonio è diventato immenso.

E quando il patrimonio diventa immenso e la ricchezza cresce è chiaro che poi


l’ordine non è più gestibile come nelle origini.

Diventa, infatti, alla fine dell’XI secolo, l’ordine dove si trovano inseriti tutti i rampolli e i
cadetti dell’aristocrazia europea, segnatamente francese.

226
I principi della riforma della Chiesa quindi nascono prima che altrove all’interno del
monachesimo cluniacense, sono di matrice francese anche se poi hanno avuto questa
grande diffusione in tutta Europa.

Ci sono però altri ordini monastici che hanno contribuito fattivamente alla riforma nel corso
dell’XI° secolo.

Alcuni di questi si rifanno, in toto o anche solo parzialmente, a principi


monastici della tradizione orientale delle origini, cioè l’eremitismo,
l’anacoretismo, la fuga dal mondo in senso pieno del termine.

Questi ordini nascono alcuni in Italia, altri in Francia però sono un po’ più tardi.

I due ordini fondamentali che hanno avuto un ruolo notevole nella riforma sono l’ordine

dei Camaldolesi e l’ordine dei Vallombrosani.

Ambedue questi ordini hanno avuto una larga diffusione in Sardegna


dalla fine dell’XI° secolo in poi.

L’ordine dei Camaldolesi prende il nome da Camaldoli e quello dei Vallombrosani da


Vallombrosa.

La chiesa della SS Trinità di Saccargia, che forse è il monumento


romanico più importante della Sardegna, è una chiesa che apparteneva
a un monastero dell’ordine camaldolese.

Non sto parlando di marziani, sono cose che riguardano l’architettura religiosa della
Sardegna basso medievale, cioè il romanico è arrivato in Sardegna con questi nuovi ordini
monastici, oltre che con le maestranze che magari arrivavano da Pisa, per cui buona parte
del romanico sardo è molto simile al romancio pisano.

Camaldoli si trova nell’Appennino tosco-romagnolo, diocesi di Arezzo. L’eremo di


Camaldoli si trova a 1100 metri nelle foreste Casentinesi ed è stato fondato da un monaco
romagnolo, Romualdo di Ravenna, che ha avuto numerose esperienze prima
cenobitiche poi eremitiche e poi a un certo punto ha trovato una soluzione ibrida a
Camaldoli in mezzo alle montagne (pensate ai comfort che potevano trovare questi
monaci d’inverno).
227
Questa soluzione ibrida si configura in questo modo: a Camaldoli c’è in alto a 1100 metri
l’eremo, un po’ più sotto a 800 metri di quota il monastero.

L’eremo è per i perfetti, i puri, quelli che sono più attrezzati


spiritualmente e moralmente, sotto c’è il cenobio dove si fa allenamento
alla vita monastica.

Magari non ci si va mai all’eremo se non si sente l’ispirazione.

Quindi è un ordine che contempla contemporaneamente un tipo di vita cenobitica e un tipo


di vita eremitica. E questi camaldolesi hanno avuto una notevole diffusione un po’ in tutta
Italia e sono arrivati per l’appunto anche in Sardegna.

228
NONA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
LUNEDI’ 20.10.2014 ORE: 15,00 - 17,00

La settimana scorsa ci siamo interrotti parlando dell’avvio della riforma della Chiesa
nell’XI° secolo.

Quella che poi prenderà il nome di riforma gregoriana ,dal pontefice che maggiormente
ha contribuito a questa trasformazione radicale dell’istituzione ecclesiastica nell’occidente
basso medievale.

Si è accennato al ruolo fondamentale svolto nella promozione della riforma dei costumi
degli uomini di Chiesa, ruolo svolto principalmente da monaci.

Si è parlato dei monaci di Cluny, di questa grandissima, importantissima congregazione


monastica benedettina, che si diffonde da Cluny in Borgogna, verso la Francia e

tutto l’occidente tra X° e XI° secolo.

Si è poi accennato ai Camaldolesi, questo ordine che contempla sia lo stile di vita
anacoretico che quello cenobitico.

È un ordine che nasce in Italia per opera di Romualdo di Ravenna, che compie
numerose esperienze anche fuori d’Italia, soprattutto nell’area pirenaica, sia come monaco
anacoreta, cioè come eremita, sia come monaco cenobita e poi impianta una serie di
eremi e monasteri in area appenninica tra la Romagna, la Toscana, le Marche.

Romualdo proveniva da Ravenna e la decisione di abbandonare il monastero


ravennate in cui si trovava, fu motivata come accade in molti casi del tempo, dalla
scoperta che le pratiche simoniache, cioè la compravendita di cariche
ecclesiastiche, erano molto diffuse e che l’abate stesso era in parte coinvolto.

Questo eremo di Camaldoli, si trova sull’Appennino quasi sul crinale tra


l’odierna provincia di Arezzo e quella di Forlì – Cesena.

In un ambiente montano che separa il monaco dalla corruzione del mondo cittadino, e si è
anche detto che questa congregazione avrà un ampia diffusione in Italia.

229
Sempre a questo ambiente e a questo tipo di esperienza, si rifà un’altra congregazione
monastica di ispirazione benedettina, cioè i monaci di Vallombrosa.

Si è in presenza di un monachesimo cenobita, ma l’origine del monachesimo


vallombrosano è un’origine che comunque contempla molti aspetti di ascesi
eremitica.

Vediamo perché.

Partiamo dal fondatore dell’ordine vallombrosano.

Anche in questo caso stiamo parlando di un ordine che ha avuto una discreta diffusione:
in Italia centrale, in Lombardia e anche in Sardegna.

Ci sono alcuni monasteri vallombrosani in Sardegna, perché la riforma della Chiesa è


arrivata in Sardegna soprattutto con l’arrivo, nel corso della seconda metà

dell’XI° secolo e poi del XII°, di cassinesi, cioè di monaci che venivano da
Montecassino, di vallombrosani e di camaldolesi.

Queste sono le principali congregazioni monastiche che hanno riportato la Chiesa sarda
nel suo alveo occidentale.

Quando arrivano i primi monaci dal continente in Sardegna, trovano questi preti,
generalmente illetterati, con la barba molto lunga e con costumi tipici che sono quelli della
Chiesa orientale.

Perché?

Perché la Sardegna aveva fatto parte dell’impero bizantino, aveva tradizioni


giuridiche, politiche, ecclesiastiche di tipo orientale.

Perché si dice caputanni il primo settembre in sardo?

Perché nell’impero bizantino si misurava il tempo in quel modo lì, l’anno cominciava il
primo di settembre.

C’era quindi una tradizione di tipo orientale.

230
Poi questo controllo bizantino si era rarefatto fino a scomparire tra IX° e X° secolo, però
certe tradizioni, come appunto l’organizzazione della vita ecclesiastica, rimandavano a
Costantinopoli più che a Roma e all’Italia.

L’arrivo dei monaci camaldolesi, cassinesi, vallombrosani, riporta la Sardegna sotto il


controllo di Roma.

Diciamo due parole sui vallombrosani che hanno un ruolo straordinario nella riforma.

Il fondatore dell’ordine, Giovanni Gualberto, che oggi è il patrono delle guardie


forestali italiane (la sua immagine è quella stilizzata nel logo delle guardie forestali), era
un nobile della campagne fiorentine che a un certo punto uccise un uomo in duello
e poi si fece monaco per espiare.

Lui era monaco nel monastero di San Miniato al Monte, la Basilica proprio su una collina
di là d’Arno a sud di quello che allora era il cuore della città.

Lì scopre che il suo abate è simoniaco.

Allora scende la collina, passa l’Arno va dal vescovo e gli fa “caro vescovo non so cosa
fare perché il mio abate è simoniaco”.

Purtroppo per lui si accorge ben presto che pure il vescovo è simoniaco, era la norma
all’epoca.

Allora, per protesta, lascia la città e con un gruppo limitato di seguaci sale sul
Pratomagno, un massiccio montuoso che è a cavallo tra le odierne province di
Firenze e di Arezzo e che obbliga l’Arno a compiere un ampio giro, una sorta di curva a U
perché l’Arno è costretto a scendere a sud da questa catena montuosa, poi gli gira intorno
e poi a un certo punto quando ha compiuto completamente la curva ha un andamento da
est a ovest praticamente rettilineo.

Su questo massiccio montuoso, Giovanni Gualberto fonda un monastero: a mille metri di


quota.

Vallombrosa non significa valle con l’ombra, ma significa valle piovosa, perché questo
massiccio montuoso attira le nuvole.

231
C’è un microclima particolare, per cui è una località che è soggetta a forti scariche
temporalesche.

Lo stesso Dante quando parla della battaglia di Campaldino, a un certo punto descrive
una tormenta, una tempesta scatenatasi sul massiccio del Pratomagno.

Lui lo sapeva bene perché ci aveva partecipato a quella battaglia provando anche un
notevole terrore perché aveva rischiato la vita.

Da questo cenobio sulla montagna, i vallombrosani poi si diffonderanno in vaste zone


della Toscana, dell’Italia centrale, in Lombardia, in Sardegna e via dicendo.

Spesso i monasteri vallombrosani si pongono in prima fila nella contestazione dei


vescovi ritenuti simoniaci, con episodi anche plateali di contestazione del potere
ecclesiastico.

Poi vedremo un caso clamoroso particolarmente famoso.

Viceversa, ci sono altri ordini legati alla riforma che però sono più il prodotto della riforma
che non la causa, perché sia i camaldolesi di san Romualdo sia i vallombrosani di san
Giovanni Gualberto, sono ordini che nascono nei primi decenni dell’ XI° secolo.

Viceversa sono in larga parte un prodotto della riforma altri ordini.

Uno di stampo eremitico, quello dei Certosini, un ordine che nasce nelle Alpi
francesi, nella zona chiamata del Delfinato.

Le Alpi vicino a Grenoble per intendersi, che devono il loro nome ad una fondazione in
una località chiamata la Grande Chartreuse, una valle alpina anche qui sopra i mille metri
di quota.

Il primo insediamento dei certosini fu travolto da una slavina e morirono tutti.

Fu rifondato qualche chilometro più in basso.

Questi monaci sono monaci eremiti.

I certosini vivono nelle certose e non solo non vedono esterni, ma compiono in
larga parte una vita di solitudine.

Non mangiano insieme, non fanno conversazione, si vedono una volta alla settimana.
232
Si scambiano due parole dopo la messa della domenica.

La certosa è costruita in modo tale che ogni monaco abbia la sua celletta e lì preghi,
lavori.

Sono casette laboratorio e generalmente hanno anche un orto che dà sulla parte
interna.

La certosa ha caratteristiche architettoniche tutte sue.

In Italia ci sono alcune certose di epoca basso medievale, per esempio la Certosa di
Calci vicino Pisa, o la Certosa di Pavia.

Insomma, ci sono alcuni edifici che rimandano alla realtà basso medievale.

Stendhal ha scritto il romanzo La certosa di Parma in cui il protagonista finisce i suoi giorni
a fare il monaco certosino dopo una vita più che romanzesca.

Ma l’altro ordine importante, anzi, forse il più importante tra gli ordini monastici del basso
medioevo è sicuramente quello dei Cistercensi.

Un ordine che nasce ancora una volta in Borgogna e che ha come finalità, almeno
iniziale, quella del ripristino e della interpretazione letterale della regola di

san Benedetto.

I cistercensi sono chiamati anche i monaci bianchi ,per via della loro veste.

Il più famoso certamente tra i monaci cistercensi è Bernardo di Chiaravalle,


Bernardo di Clairvaux.

Questo nome viene dall’abbazia che lui governò per molti molti anni.

Grande teologo, accanito persecutore di Pietro Abelardo.

Grande fu la risonanza del conflitto che oppose Bernardo al filosofo Pietro Abelardo.

Nel 1140 Guglielmo di Saint-Thierry, cistercense del convento di Signy, scriveva al vescovo di
Chartres, Goffredo di Lèves e a Bernardo, denunciando che due opere di Abelardo, il Liber
sententiarum e la Theologia scholarium, contenevano, a suo giudizio, affermazioni teologicamente
erronee, elencandole in un proprio scritto, la Discussione contro Pietro Abelardo.

233
Bernardo, «senza però leggere direttamente i testi incriminati (alcuni dei quali, di fatto, non erano di
Abelardo)»[2], scrisse a papa Innocenzo II la Lettera 190, sostenendo che Abelardo concepiva la
fede come una semplice opinione; davanti agli studenti parigini pronunciò il sermone de La
conversione, attaccando Abelardo e invitandoli ad abbandonare le sue lezioni.

Abelardo reagì chiedendo all'arcivescovo di Sens di organizzare un pubblico confronto con


Bernardo, da tenersi il 3 giugno 1140, ma questi, temendo l'abilità dialettica del suo controversista,
il giorno prima presentò 19 affermazioni chiaramente eretiche, attribuendole ad Abelardo (seppur
«non sempre con scrupolosa aderenza ai testi e al loro significato»[3]), chiamando i vescovi presenti
a condannarle e invitando il giorno dopo lo stesso Abelardo a pronunciarsi in proposito.

Al rifiuto di Abelardo, che abbandonò il concilio, seguì la condanna dei vescovi, ribadita il 16
luglio successivo dal papa.

Filoso e maestro delle arti parigine, assertore della crociata che esaltava i cavalieri del
Tempio, cioè i Templari, dicendo che loro non commettevano omicidio quando uccidevano
gli infedeli ma in realtà incitavano al malicidio, perché uccidevano persone che se lo
meritavano.

Nel 1119 alcuni cavalieri, sotto la guida di Ugo di Payns, feudatario della Champagne e parente di Bernardo,
fondarono un nuovo ordine monastico-militare, l'Ordine dei Cavalieri del Tempio, con sede in
Gerusalemme, nella spianata ove sorgeva il Tempio ebraico; lo scopo dell'Ordine, posto sotto l'autorità del
patriarca di Gerusalemme, era di vigilare sulle strade percorse dai pellegrini cristiani. L'Ordine ottenne nel
concilio di Troyes del 1128 l'approvazione di papa Onorio II e sembra che la sua regola sia stata ispirata da
Bernardo, il quale scrisse, verso il 1135, l'Elogio della nuova cavalleria (De laude novae militiae ad Milites
Templi).

I cistercensi sono un frutto della riforma perché l’ordine nasce proprio


alla fine dell’ XI° secolo quando ormai il processo riformatore è avviato
da lungo tempo.

Invece il fondatore dei certosini è un tedesco che ha passato quasi tutta la sua vita in
Francia e che è morto in Calabria, Bruno di Colonia.

Ha finito i suoi giorni nelle montagne della Calabria dove tutt’ora c’è una località che si
chiama Serra San Bruno, perché lì è morto questo monaco originario di Colonia che
aveva passato quasi tutta la sua vita in Francia e che aveva finito i suoi giorni nell’Italia
meridionale.

234
Quindi un ampio ventaglio di movimenti monastici, alcuni all’origine
della riforma, altri frutto stesso della riforma.

Ma ci sono altri impulsi riformatori.

Un impulso riformatore fondamentale viene dal Movimento dei Canonici Regolari.

I canonici regolari, quei religiosi che in realtà non sono propriamente monaci ma che
decidono di vivere una vita religiosa secondo una regola e che spesso collaborano con i
titolari della diocesi e quindi con il vescovo nella cura d’anime.

Quindi i canonici hanno cura d’anime ma non sono propriamente monaci.

I monaci non hanno cura d’anime, non dicono messa, non confessano, non hanno
un’attività pastorale.

I canonici si, ce l’hanno!

Decidono di darsi una regola in modo da esercitare un controllo sulla vita del clero
diocesano e a loro volta di controllare l’attività del vescovo stesso.

C’è poi un’altra spinta riformatrice che proviene invece dal mondo laico e questa è
una novità.

Questa spinta riformatrice che viene dal mondo laico, chiaramente si sviluppa prima che
altrove, in contesti urbani.

In contesti urbani e soprattutto in quelle città dove maggiore era la consapevolezza


del fenomeno in questione, cioè della volontà di riforma, della volontà di
trasformare i costumi degli uomini di Chiesa, di controllare in qualche modo la
corruzione dei vescovi e via dicendo.

Quindi per forza di cose questo movimento di riforma e anche i contestazione laica noi la
troviamo soprattutto in Italia.

Il cuore di questa spinta riformatrice urbana è almeno inizialmente la città di Milano.


Abbiamo già trovato Milano al centro di questioni che riguardano buona parte dell’Europa,
basterebbe pensare all’Editto de Beneficis, la Constitutio de Feudis.

235
Vediamo Milano all’avanguardia nel movimento di protesta laico contro
il clero simoniaco.

Perché Milano?

Perché Milano era una delle città più grandi e importanti dell’Europa del tempo.

Questo movimento di contestazione guidato da laici è passato alla storia con il nome di
pataria.

I patarini sarebbero, nel gergo milanese, i mercanti di stracci.

Questo termine è usato in realtà spregiativamente dalla parte opposta, cioè dalla
parte che faceva capo all’arcivescovo di Milano.

Etichetta con il termine di mercanti di stracci, straccioni, rigattieri e via dicendo questo
movimento laico, che invece non era composto dagli strati bassi della popolazione.

Troviamo in questo gruppo laico notai, medici, giudici, uomini d’affari: come dire,
ceti elevati della popolazione urbana.

Magari non i miles, non i capitanei, ovviamente, che avevano un legame di natura feudale
con l’arcivescovo.

Però troviamo gruppi consistenti di laici che non erano affatto sprovveduti.

Di tutta questa vicenda, che riguarda Milano e poi anche altre città del regno d’Italia, ci
fornisce una straordinaria testimonianza un cronista particolare, tale Andrea da Strumi, il
quale è un lombardo che si è formato come monaco in Toscana.

E’ un monaco vallombrosano, che redige, nella seconda metà del XI° secolo, una biografia
apologetica del capo della pataria milanese, cioè di Arialdo.

Questa biografia è intitolata La passione, cioè la sofferenza, di Sant’Arialdo.

Poi vedremo perché sofferenza.

Perché farà una brutta fine.

Vediamo come questo monaco vallombrosano, Andrea da Strumi, descrive l’attività di


Arialdo capo della pataria, che lui aveva visto all’opera.
236
Si noti che la pataria si salda con il movimento monastico
vallombrosano nella contestazione ai vescovi simoniaci.

Ecco che cosa, secondo Andrea da Strumi, Arialdo diceva nelle prediche in città, nei
discorsi che teneva nelle piazze e le vie di Milano.

(Fonte pagina 16 – dispense modulo A).

Il capo della Pataria parla contro la corruzione del clero milanese (1057).
Dalla Passione di S. Arialdo redatta dal monaco vallombrosano Andrea da Strumi

Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli [Mt 5, 3] (va beh questo è un versetto di
Matteo). Al contrario invece, come potete constatare, i vostri sacerdoti si ritengono più beati se
possono diventare più ricchi nei beni terreni, più alti nell'edificare torri (la torre è il classico
edificio che poi caratterizzerà lo skyline delle città comunali italiane; questi edifici che vanno in
alto, stretti alla base e che servivano contemporaneamente da strumenti di difesa e di offesa.
Tutta le grandi famiglie avevano case torri, spesso collegate alle case torri degli alleati con dei
ponti) e palazzi, più superbi nella ricerca degli onori, più belli nella ricercatezza e nell'eleganza
delle vesti. Come vedete, si sposano pubblicamente (quello che i riformatori definivano il
concubinato), alla stregua dei laici; come i laici scellerati, si danno continuamente agli stupri (qui
attenzione al vocabolario: stupro significa rapporto sessuale anche consenziente, perché quello
che si contesta è che loro abbiano una moglie, abbiano dei figli e via dicendo) [nel senso di
rapporti sessuali fuori dal matrimonio], e si dimostrano tanto più valenti nel commettere simili
nefandezze, quanto meno sono oppressi dalla fatica del lavoro quotidiano: evidentemente riescono
a vivere di sola grazia divina! Cristo invece nei suoi ministri ricerca e desidera così grande
purezza, che non solo condanna il peccato impuro quando è effettivamente commesso, ma persino
nell'intenzione del cuore; dice infatti: Chi guarderà una donna per desiderarla, ha già commesso
adulterio con lei nel suo cuore [Mt 5,28].

Queste cose venivano dette pubblicamente da Arialdo, quindi vedete che non è uno
sprovveduto almeno a leggere le pagine di Andrea da Strumi.

Può darsi che Andrea da Strumi abbia, come dire, infiorettato retoricamente la vicenda,
però, insomma: è chiaro che siamo di fronte ad una contestazione consapevole dei
costumi dell’arcivescovo di Milano.

Queste sono le premesse, cioè una contestazione che è dentro e fuori della Chiesa.

Ci sono i monaci ma ci sono anche i laici.

La riforma vera e propria però parte, potrebbe sembrare una contraddizione e per molti
aspetti lo è, per iniziativa imperiale.

237
Abbiamo visto più volte, sia in età carolingia che nell’età ottoniana, come gli imperatori si
intromettessero negli affari della Chiesa.

Nominavano abati, i vescovi e gli arcivescovi, ma contemporaneamente dimostravano


ampiamente di voler un clero all’altezza della situazione.

Sia da un punto di vista culturale che da un punto di vista morale e da


un punto di vista spirituale, perché il sostegno concreto e ideologico –
simbolico dell’impero era la Chiesa stessa.

Quindi il suo personale doveva essere personale qualificato.

Non stupisce quindi che un imperatore, Enrico III, prenda in mano la situazione, vada
a Roma e imponga un suo papa.

Oggi si ha un’immagine del papato come un’istituzione ecumenica,


universale, internazionale.

Il papato del X° secolo era stato tutto fuorché questo.

Il papato era una serie di arcivescovi scelti sulla base di criteri


familistici all’interno di poche famiglie dell’aristocrazia dominante
romana, come del resto avveniva in tante città dell’Europa del tempo.

Quando gli imperatori scendevano a Roma si trovavano di fronte degli individui che erano
quasi estranei alla tradizione imperiale.

Se ci riuscivano, pertanto, mettevano uno dei loro, perché


rappresentava il mondo imperiale.

Enrico III° inizia a nominare una serie di papi, detti poi tedeschi, anche se alcuni venivano
dall’Alsazia e dalla Lorena che peraltro allora erano regioni di lingua germanica.

Il primo papa ritenuto riformatore, è Leone IX, che è pontefice dal 1049 al 1054.

Dal 1049 in poi, praticamente noi assistiamo per molti anni al succedersi di papi non
romani, che l’aristocrazia romana sentiva come estranei alla vita della città.

238
La riforma è stata fatta nonostante Roma, nonostante l’aristocrazia cittadina, che si sentiva
sminuita da questi pontefici perché essi non rappresentavano la tradizione delle famiglie
aristocratiche capitoline.

Enrico III che mette sul soglio pontifico Leone IX, ha molti alleati nel mondo ecclesiastico,
soprattutto tra i cluniacensi.

Un suo alleato è anche un importante monaco, che poi verrà promosso cardinale: Pier

Damiani.

Pier Damiani è un monaco che ha avuto una straordinaria importanza nella riforma.

Già priore di Fonte Avellana, che è un eremo creato nell’Appennino marchigiano


sotto il monte Catria.

Ad un certo punto Dante stesso parla di questo eremo che si trova in mezzo alle
montagne delle Marche.

Fonte Avellana, Avellana sarebbe la nocciola perché siamo in una zona di montagna
dove si coltivano i noccioli.

Anche qui siamo in un ambiente non particolarmente propizio alla vita, soprattutto a quella
agricola.

Siamo ad oltre 700 metri di quota, quindi bisogna far arrivare le derrate dal basso e via
dicendo.

Questo personaggio, Pier Damiani, è anche quello che compare, colui che viene evocato
in continuazione nell’Enrico IV di Pirandello.

Questo personaggio impazzito che recita il ruolo di Enrico IV che ogni tanto se ne viene
fuori dicendo “Dov’è Pier Damiani?”. Questo per dire che queste vicende hanno un
riverbero anche nella tradizione letteraria italiana più o meno contemporanea.

Con Leone IX°, mentre è in vita e governa l’imperatore Enrico III°, si fa strada negli
ambienti curiali romani, quegli ambienti curiali che sono estranei alla tradizione cittadina,
che sono caratterizzati da ecclesiastici provenienti generalmente da oltralpe, un concetto
ecclesiologico nuovo, cioè il concetto della Libertas ecclesiae, libertà della Chiesa.

239
Di cosa stiamo parlando?

Negli ambienti curiali romani si fa strada l’idea che per eliminare la corruzione dei costumi,
per eliminare la compravendita delle cariche ecclesiastiche, cioè la simonia, per eliminare
il concubinato, per eliminare quindi tutte queste forme di deviazione, si deve arrivare alla
eliminazione totale di qualsiasi intromissione laica nella nomina a vescovo, abate,
pievano, parroco, dalle alte sfere fino alle più basse.

Forse è meglio che nessun laico si intrometta nell’elezione.

Si tenga presente che la tradizione canonica diceva che per eleggere un vescovo ci
voleva un’assemblea qualificata, termine ambiguo, del clero e del popolo locale.

Quindi il popolo, cioè i laici, erano considerati in questa tradizione ecclesiastica che
rimandava all’antichità.

Ebbene, si comincia a prospettare l’idea che solo gli uomini di Chiesa


possano scegliere altri uomini di Chiesa.

L’investitura di cariche spirituali non dovrebbe contemplare la presenza e la scelta da


parte di laici.

Questa è una rottura notevole, perché va incontro a tutta la tradizione imperiale.

Poi il dibattito si articola anche su alcuni aspetti molto concreti.

Cosa fare nei confronti di uomini di Chiesa palesemente simoniaci?

Ma soprattutto cosa fare riguardo al problema di chierici ordinati regolarmente da vescovi


simoniaci?

Cosa si deve fare se un pievano è ordinato in maniera regolare da un vescovo che si sa


essere simoniaco?

Il vescovo simoniaco andrebbe fatto decadere perché ha comprato la carica, ma colui che
ha avuto gli ordini religiosi, quindi ha ricevuto una cosa sacra, regolarmente da un
vescovo che invece è fuori dalle regole va deposto anche lui o no?

240
Questa può sembrare una discussione sottile ma in realtà poi è un caso molto concreto ed
è una questione che riguarda la fede stessa, perché i sacramenti non si possono ricevere
due volte.

Se quello gli ha ricevuti regolarmente, dicevano quelli moderati, non possiamo.

Non possiamo impartire due volte lo stesso sacramento.

Prevarrà questa seconda ipotesi, cioè si dichiarano deposti tutti i simoniaci, ma si lasciano
stare tutti quelli che, pur essendo stati ordinati da simoniaci, hanno avuto una nomina in
accordo con le regole.

Mentre si discute di tutto questo si verifica lo Scisma d’Oriente, cioè la


separazione tra la Chiesa Occidentale e la Chiesa Orientale.

Con una scomunica vicendevole che è stata ritirata solo all’epoca di Paolo VI,
quindi qualche decennio fa.

La separazione tra la Chiesa d’occidente e la Chiesa d’oriente ha molteplici


motivazioni.

La Chiesa d’Oriente è sempre stata una Chiesa Imperiale, cioè


l’imperatore comandava perché lì l’impero non è mai tramontato ed il
patriarca di Costantinopoli è sempre stato il patriarca dell’imperatore.

Certo ci sono stati patriarchi più o meno energici, più o meno autonomi, però siccome il
potere imperiale non è mai venuto meno, la struttura ecclesiastica si è sempre dovuta
adattare al potere imperiale.

Nell’occidente abbiamo visto che queste vicende non sono state


possibili perché l’impero è andato in frantumi, poi è stato creato il
nuovo impero con Carlo Magno su basi completamente diverse, poi
anche quello è tramontato e insomma gli arcivescovi di Roma sono
diventati anche una potenza politica e sono stati abituati, si sono voluti
abituare, a esercitare anche poteri di natura pubblica.

241
Non solo, ma la Chiesa di Roma proprio in questo momento qui ambirebbe a diventare la
sede principale di tutta la cristianità.

Ci sono stati ripetuti scontri di carattere dottrinale tra la Chiesa di Roma e quella di
Costantinopoli (ora non ci possiamo soffermare su questi aspetti, che necessiterebbero di
un corso specifico soprattutto di storia bizantina).

Molto spesso questi scontri dottrinali nascondono in realtà uno scontro di natura
politica, cioè di giurisdizione ecclesiastica, soprattutto la volontà del pontefice romano
di assurgere al vertice della cristianità.

Poi c’è stata l’iconoclastia, di cui abbiamo accennato, insomma, e poi c’è il fatto che
la liturgia orientale ormai è differente da quella occidentale.

Da Costantinopoli si cerca di evangelizzare gli slavi, lo stesso cerca di fare Roma


attraverso l’impero carolingio prima e ottoniano poi, poi ci sono degli scontri determinati
dalla concorrenza dell’evangelizzazione dei popoli dell’Europa orientale, insomma alla fine
si arriva alla rottura e alla scomunica.

E non a caso matura in questo ambito, un contesto nel quale la Chiesa di Roma sta
assumendo un peso determinante in tutta la Chiesa occidentale.

E questo poi si riverbererà anche nella storia politica dell’Italia meridionale perché anche lì
ci sono diocesi controllate dal patriarca di Costantinopoli, soprattutto in Calabria e in
Puglia.

Poi arrivano i Normanni che sono mezzi pirati: però vengono dalla Normandia e quindi
rappresentano la tradizione occidentale.

Lo Scisma d’Oriente condizionerà notevolmente i rapporti tra la Chiesa di Roma e quella di


Costantinopoli e poi sarà causa non proprio marginale di una rottura definitiva tra i latini e i
greci con il sacco di Costantinopoli del 1204 (ma su questo aspetto poi ritorneremo).

Nel 1056 l’imperatore Enrico III muore, suo figlio Enrico IV è un


bambino.

Per alcuni anni il potere imperiale non potrà farsi sentire in Italia, e quindi non potrà farsi
sentire in maniera significativa a Roma.

242
A questo punto l’inerzia della riforma cambia, perché il ruolo determinante non sarà più
quello dell’imperatore ma quello dei papi.

Il principio della libertà della Chiesa viene ora pienamente affermato.

Nicolò II°, nel 1059, fa prima un accordo con i Normanni che stanno conquistando
l’Italia del sud.

Prima si garantisce un alleato politico a due passi dal Lazio, perché i territori controllati
dai Normanni arrivano fino a Montecassino.

Poi, più o meno nello stesso periodo, emana alcuni decreti che cambiano
radicalmente le modalità di elezione del pontefice.

Crea il Collegio dei Cardinali, cioè una ristretta assemblea di titolari delle
chiese cardine di Roma, di alcune chiese cittadine e di alcune chiese del
suburbio tipo Ostia, Tivoli, Palestrina e via dicendo.

Con questi stessi decreti dichiara che l’elezione del papa sarà cosa
riservata esclusivamente al collegio dei cardinali, quindi eliminando
qualsiasi possibile ingerenza laica nell’elezione dell’arcivescovo di
Roma.

Di fatto siamo all’origine di quella che è una pratica moderna, anche se con alcune
modifiche. E poi immaginate cosa poteva essere il collegio dei cardinali nel XI secolo, si
trattava di 12/13 persone.

Nicolò II dichiara decaduti tutti i vescovi che siano stati dichiarati simoniaci. Un
breve passo tratto da questi decreti lo avete nelle vostre dispense. Decreto di Nicolò II che
regola l’elezione del pontefice nel 1059 (Fonte pagina 16 – dispense modulo A).

Decreto di Niccolò II che regola l'elezione del pontefice (1059)

La vostra beatitudine conosce, o dilettissimi fratelli e coepiscopi, come, morto il nostro pio
predecessore Stefano, questa Sede apostolica, che per volere divino io servo, abbia soggiaciuto a
molte percosse e offese … e la nave del sommo pescatore era quasi costretta ad affondare per
l'infierire delle procelle (ora queste procelle, cioè queste tempeste che sballottano la nave sono

243
determinate dai tentativi dell’aristocrazia romana di ritornare in possesso di qualcosa che
reputava suo, cioè il controllo del seggio vescovile) … per ciò abbiamo decretato che, morendo il
pontefice di questa romana chiesa universale, dapprima i cardinali vescovi trattino insieme
ponderatamente, poi si uniscano i cardinali preti; e il rimanente clero e popolo diano il consenso
alla nuova elezione (quindi il ruolo del popolo e del rimanente clero è solo quello di approvare,
come oggi), di modo che, per paura che il veleno della venalità (cioè della simonia) non penetri
con qualche pretesto, gli uomini di Chiesa siano i primi a promuovere l'elezione del pontefice e gli
altri seguano (cioè si adeguino) ... Lo eleggano dal grembo della chiesa romana stessa, se vi si
trova uno adatto, e, se non si rinviene in essa, sia preso da un'altra. Salvo il debito onore e la
riverenza al diletto figlio nostro Enrico (cioè con tutto il rispetto per Enrico, che però è un
bambino), che ora è re, e si spera sarà imperatore con l'aiuto di Dio (perché finché non scendeva
a Roma a farsi incoronare dal papa rimaneva solo re di Germania e se era passato da Pavia, re
d’Italia, perché la corona la poteva ricevere soltanto dalle mani del pontefice) ...

Quindi con Niccolò II° vediamo che la riforma fa un salto di qualità importante.

Senza la tutela imperiale, la curia romana dispiega la sua attività riformatrice.

Negli anni immediatamente successivi a questo decreto molti vescovi vengono deposti ma
la faccenda non è per niente semplice, perché molti vescovi hanno dalla loro parte le
aristocrazie cittadine di cui sono espressione, quindi in alcune città il passaggio sarà
traumatico, si avranno scontri in piazza, violenze, battaglie.

La vita in molte città, soprattutto italiane, è una vita scossa dal confronto tra
riformatori e partigiani dei vescovi che sono dichiarati simoniaci.

Si vedranno alcuni casi concreti e clamorosi di queste contestazioni.

La deposizione dei vescovi dichiarati simoniaci o presunti tali, non è un fatto indolore, ci
sono scontri in piazza tra seguaci del vescovo, che temono di perdere con la figura del
vescovo, anche il potere in città, e ci sono dall’altra parte, ovviamente, i contestatori del
vescovo e coloro che cercano di approfittare della situazione per interessi anche
personali.

La violenza dello scontro è ancora una volta testimoniata dalla Passione di


Sant’Arialdo, del monaco Andrea da Strumi.

Quella predica, che abbiamo visto prima è ambientata nell’anno 1057.

Quasi 10 anni dopo i sicari dell’arcivescovo di Milano uccidono Arialdo, nel modo violento
così come viene riferito da Andrea da Strumi. (Fonte pagina 16 – dispense modulo A).

244
Sicari dell'arcivescovo milanese torturano e uccidono il capo della Pataria (1066). Dalla
Passione di S. Arialdo redatta dal monaco vallombrosano Andrea da Strumi

Sguainate dunque le spade, uno gli afferrò un orecchio e l'altro l'altro (sottointeso orecchio),
dicendo gli: "Di', o furfante, se il nostro signore è vero arcivescovo". Ed egli rispose: "Non lo è né
mai lo fu, perché né ora si trova in esso un comportamento che sia degno di un arcivescovo, né mai
lo si trovò". Allora senza alcuna pietà gli tagliarono entrambe le orecchie. Ma Arialdo, elevati gli
occhi al cielo, disse: "Ti ringrazio, o Cristo, che oggi ti sei degnato annoverarmi fra i tuoi
martiri"(ma ognuno può avere il legittimo dubbio sul fatto che lui veramente dicesse queste cose
mentre lo torturavano. Però così narra Andrea da Strumi). Quelli ripresero ad interrogarlo se
Guido (Guido da Velate, che è un esponente di una famiglia dell’aristocrazia capitaneale
milanese) fosse vero arcivescovo. Ma egli, mantenendo la sua consueta fermezza d'animo, rispose:
"Non lo è". E subito gli fu tagliato via il naso con il labbro superiore. Quindi gli furono cavati
entrambi gli occhi. Poi gli troncano via la mano destra, dicendo: "Questa è la mano che vergava le
lettere dirette a Roma!"(quindi mandava lettere alla curia pontificia in cui si denunciava la
simonia dell’arcivescovo). E ancora gli amputano completamente il membro virile, dicendo: "Fino
ad oggi sei stato predicatore della castità; d'ora in avanti sarai anche casto". Infine gli strappano
fuori dalla gola la lingua, dicendo: "Finalmente taccia questa lingua che mise scompiglio nelle
famiglie dei chierici e le disperse". E così quella santa anima fu liberata dalla carne; il corpo poi
in qualche modo fu seppellito in quel luogo. (quindi vedete che la vicenda non è una vicenda
pacifica)

Questo nel 1066.

Qualche anno dopo, nel 1082, una vicenda un po’ meno cruenta ma altrettanto
clamorosa, avviene nelle campagne fiorentine, nei pressi dell’Abbazia di Settimo.

Settimo vuol dire ovviamente a sette miglia dalla città, sette miglia romane.

I paesi che si chiamano Sesto, come Sestu, vuol dire che si trovano a sei miglia romane
dalla città.

In questa località, nel 1082, si celebra una cosiddetta ordalia, un giudizio di Dio.

Un monaco vallombrosano di nome Pietro, che poi passerà alla storia come Pietro

Igneo, sfida il vescovo cittadino.

Questo vescovo, o meglio, i suoi sicari, ha attaccato pesantemente un monastero


vallombrosano che i trovava all’estremità orientale rispetto alla città, il monastero di San
Salvio. Quello che accade è che questi sicari entrano nel monastero con i bastoni e
legnano pesantemente i monaci.

Perché?

245
Perché stanno contestando anche qui il vescovo cittadino dicendo che è simoniaco e
corrotto.

Lettere, anche in questo caso, alla curia di Roma.

Interviene anche l’ordine e a un certo punto questo monaco, tale Pietro, con il favore di
gran parte della cittadinanza sfida il vescovo e gli dice “vieni a Settimo se te la senti.

Ti sfido a questa prova: verranno stesi i carboni ardenti, chi passa sopra i carboni ardenti
senza bruciarsi vuol dire che ha Dio dalla sua parte”.

Si crea un clima con folle urlanti da una parte e dall’altra, fatto sta che, secondo le fonti del
tempo, il monaco Pietro passa sui carboni.

Il vescovo non si presenta e non manda nemmeno qualcuno a rappresentarlo.

Cosa succede?

Il vescovo è cacciato dalla città perché si è rifiutato di sottoporsi al giudizio di Dio

Il vescovo è espulso e con lui se ne vanno anche le famiglie che l’avevano sostenuto e
quindi vedete, in questo scontro che dovrebbe essere tutto all’interno del mondo
ecclesiastico, viene fuori che lo scontro è anche politico, è anche sociale.

Ci sono famiglie schierate con i vescovi che sono costrette ad andarsene se no farebbero
una brutta fine.

Soprattutto nella seconda parte del corso vedremo come questi scontri interni

alle città italiane sono il preludio alla nascita del fenomeno comunale
perché il potere vescovile in città è scosso e quindi si cerca un’alternativa.

Nel 1073 diventa papa Ildebrando di Soana, monaco, che prenderà il nome di

Gregorio VII da cui la riforma gregoriana.

Gregorio VII, che aveva già collaborato con alcuni papi negli anni precedenti, ha le idee
molto chiare su cosa si debba fare.

246
Si deve applicare in toto il principio della libertà della Chiesa, non solo,
ma bisogna affermare che il potere principale sulla terra, non è quello
degli imperatori, ma quello del papa.

Il primato del papa, secondo Gregorio VII, non sarebbe soltanto di natura spirituale
ma pure temporale.

E’ il papa che delega l’esercizio del potere temporale all’imperatore.

Questa affermazione, è una affermazione totalmente rivoluzionaria perché ribalta


completamente il rapporto tra regnum e sacerdotium che vi era stato nell’epoca
tardo imperiale romana, e anche in età carolingia, e pure ottoniana.

Quando regnum e sacerdotium erano unite, ma in un contesto nel quale l’imperatore


era il dominus.

Con Gregorio VII, almeno a livello teorico, almeno a livello di


affermazione ideologica, i rapporti sono ribaltati.

Il documento nel quale le affermazioni di Gregorio trovano maggior risalto è il cosiddetto


Dictatus papae, il dettato del papa, del 1075.

Una serie di proposizioni emanate dalla curia pontificia, dove veramente quello che viene
esaltato è il potere del pontefice.

Un potere che non riguarda soltanto il rapporto tra lui, i vescovi e gli altri chierici della
cristianità occidentale, ma pure il rapporto tra lui e i detentori del potere temporale, cioè i
laici.

Vediamo alcune affermazioni contenute nel Dictatus papae di Gregorio VII nell’anno 1075
(Fonte pagina 17 – Dispense modulo A).

Dal Dictatus Papae di Gregorio VII (1075)

Solo il romano pontefice sia detto universale. Solo lui possa deporre o riabilitare i vescovi (questo
non era mai avvenuto, cioè il papa poteva intervenire nell’ambito della sua giurisdizione, cioè
della sua arcidiocesi, qui si sta dicendo che lui può deporre i vescovi in Francia, in Spagna, in
Germania e via dicendo. La cosa non era mai successa). Solo lui possa usare le insegne imperiali
(cioè le insegne del potere imperiale). A lui sia lecito deporre gli imperatori. Nessun capitolo e
nessun libro si abbia come canonico (cioè come avente valore per la chiesa) senza l'autorità di lui.
247
Egli non sia giudicato da alcuno (cioè è ingiudicabile). Nessuno osi condannare un appellante alla
Santa sede (cioè uno che chiede una giustizia d’appello alla curia pontificia). Le cause di
maggiore importanza di qualsiasi chiesa siano avocate alla Santa sede. La Chiesa Romana
giammai errò, né mai errerà, e ciò per autorità dei sacri testi (quindi il papa è infallibile). Essa
può sciogliere i sudditi dalla fedeltà verso i dominanti perversi.

Tutta una serie di affermazioni che vanno contro la tradizione passata dei rapporti tra
regnum e sacerdotium e si può immaginare come l’imperatore Enrico IV° uscito dalla
minore età trovasse quanto meno singolari le affermazioni di Gregorio VII.

In un primo tempo l’imperatore sottovalutò la figura di Gregorio, continuando a comportarsi


come avevano fatto suo padre e i suoi predecessori.

Continuò a nominare vescovi, soprattutto in Germania, li utilizzava come suoi funzionari.


Diceva “è normale che li nomini io, e chi li dovrebbe nominare?”.

Ignorando quindi gli interventi di Gregorio.

Accade che, ad un certo punto Gregorio comincia a mandare lettere vibranti alla
cancelleria imperiale, dicendo “guarda che stai rischiando grosso, perché io ti potrei
scomunicare”.

A questo punto, Enrico IV°, preso atto della carica rivoluzionaria del pontefice, convoca

un’assemblea di vescovi tedeschi a Worms, in Germania, nel 1076.

Questa assemblea di vescovi dichiara deposto il papa che risponde con


la scomunica.

Era la prima colta che un imperatore veniva scomunicato.

Scomunicare vuol dire togliere la comunione, togliere l’eucarestia, escludere dalla


comunità dei fedeli.

Come può un imperatore del Sacro Romano Impero essere scomunicato e continuare ad
esercitare la sua autorità?

Non è possibile, quindi i sudditi possono considerarsi sciolti dall’obbedienza, dal dovere di
obbedire al proprio imperatore.

La parola suddito è vaga e ambigua.

248
Cosa significa nel concreto?

Significa che gli aristocratici tedeschi possono tranquillamente fare quello che vogliono
perché non sono tenuti ad obbedire all’imperatore, ed è su questo che contava Gregorio
VII.

Il colpo è grosso, viene accusato dall’imperatore che deve fare un atto di penitenza,
e così si arriva al famoso Episodio di Canossa.

Canossa oggi è un rudere nell’Appennino emiliano in provincia di Reggio Emilia.

Quel castello all’epoca era la sede principale, perché rimandava alle origini della
famiglia, dei Canossa, una grande famiglia aristocratica che aveva un titolo pubblico,
marchesi di Toscana.

Questa famiglia aveva ampi possessi e castelli in tutta la fascia appenninica tra la
Toscana e l’Emilia.

Addirittura la famiglia Canossa controllava anche alcune città come per esempio Modena
o Mantova.

All’epoca l’esponente più importante della famiglia, dei marchesi di Toscana, era una
donna, Matilde, l’ultima erede della famiglia, titolare di giurisdizione su castelli,
villaggi sia emiliani che toscani.

Aveva il titolo di marchesa di Toscana , ogni tanto convocava i placiti, le sedute


giudiziarie, soprattutto a Firenze.

Prima i Canossa li convocavano a Lucca ma con l’epoca di Matilde vengono convocati a


Firenze.

I Canossa sono alleati del papa tant’è che Matilde è seppellita in San
Pietro.

La marchesa di Toscana, Matilde di Canossa, è seppellita nella Basilica di San Pietro.

A Canossa, nell’inverno tra il 1076 e il 1077, si ritrovano il papa Gregorio


VII, Matilde e l’abate di Cluny, Ugo.

249
In quella sede quindi, si rivolge Enrico IV per ottenere il perdono e la revoca della
scomunica.

Secondo le cronache del tempo, Enrico IV avrebbe passato tre notti scalzo e con la
cenere in testa, in segno di penitenza, fuori dal castello di Canossa.

Ancora oggi si usa l’espressione andare a Canossa, cioè chiedere il


perdono umiliandosi.

Di fronte a questo atto di sottomissione, e anche per l’insistenza dell’abate di Cluny,


Ugo, Gregorio VII concede il perdono.

Ma l’imperatore, pochi mesi dopo essere stato perdonato, torna alla carica.

Nel 1080 una nuova assemblea di vescovi, sempre tedeschi, a Magonza, che è
una delle sedi arcivescovili più importanti dell’area germanica, dichiara nuovamente
deposto Gregorio VII°.

Stavolta si ha l’accortezza di indicare un antipapa, che viene nominato pochi mesi


dopo a Bressanone, che oggi si trova in Alto – Adige.

Brixen, che per molti secoli è stata una cittadina di lingua tedesca, è stata annessa
all’Italia dopo la Prima Guerra Mondiale.

Lì viene nominato antipapa, con il nome di Clemente III°, l’arcivescovo di Ravenna.

Egli faceva parte di quel gruppo di vescovi italiani schierati con l’imperatore.

Il motivo non era tanto che l’arcivescovo di Ravenna fosse stato


nominato in maniera simoniaca, quanto che gli arcivescovi di Ravenna
fossero sempre stati ostili a Roma.

A Ravenna c’è una tradizione arcivescovile importante, che dalla donazione di


Pipino il Breve in poi, ha sempre visto come fumo negli occhi la possibilità che
l’Arcivescovo di Roma mettesse mano su terre che riteneva sue.

Pertanto si sceglie l’arcivescovo di Ravenna che rappresenta la parte antiromana tra i


vescovi italiani.

250
Viene nominato un antipapa.

Cosa accade?

Accade che per circa vent’anni i papi romani non possono stare a Roma perché lì ci sta
l’antipapa.

Ci sta l’antipapa soprattutto da quando Clemente III°, con le armate di Enrico IV°,
assedia la città di Roma e vi si insedia.

Gregorio VII° prima si rifugia in Castel Sant’Angelo, il vecchio mausoleo di Adriano,


riadattato a fortezza dai papi, poi viene portato a Salerno dai suoi alleati

Normanni.

Perché i Normanni sono alleati del papa fin dal 1059.

Vedremo come, perché, quando, con quali caratteristiche.

Insomma, i Normanni accorrono in soccorso del papa, e nel frattempo, per non saper né
leggere né scrivere, saccheggiano la città e si portano dietro il papa, che morirà nel

1085 a Salerno.

I successori di Gregorio VII°, sino all’inizio del XII° secolo non


risiedono a Roma, pur eletti da cardinali romani.

Si trovano a girovagare tra l’Italia e soprattutto la Francia.

Uno dei successori di Gregorio VII, non l’immediato successore ma un papa che venne
eletto pochi anni dopo, nel 1088, Urbano II°, è un monaco cluniacense.

Urbano II° trascorre quasi tutta la sua vita peregrinando tra l’Italia meridionale, che era dei
Normanni, e la Francia.

E’ in Francia, a Clermont Ferrand, nel 1095, che farà un bel discorso per invitare i
nobili e i cavalieri occidentali a combattere per la difesa del Santo Sepolcro.

Da questi proclami di Clermont Ferrand del 1095, prende avvio la stagione delle
cosiddette Crociate.

251
Quello che è importante è che questo proclama avviene in Francia e non
a Roma, perché il papa non può stare a Roma.

Urbano II°, pur essendo un monaco, è una personalità più duttile rispetto a Gregorio VII°,
che invece è un rivoluzionario ma è anche molto rigido.

Urbano II° capisce che non è più possibile fare guerra ai vescovi.

La Chiesa ha bisogno dell’appoggio dei vescovi e quindi c’è una politica di compromesso
nei confronti delle sedi vescovili.

Compie molti viaggi, è un grande diplomatico e appunto proclama la prima crociata


nel 1095.

Nel frattempo il fronte imperiale è scosso perché Enrico IV è stato messo in

difficoltà, non solo dall’abbandono di alcuni vescovi, ma soprattutto dal fatto che
suo figlio, Enrico V, gli fa la guerra e ne prende di fatto il posto.

Nel 1099 comincia il lungo pontificato di Pasquale II°, dal 1099 al 1118.

È nel periodo di Pasquale II° che si arriva al cosiddetto compromesso di Sutri, che è
un castello dell’altro Lazio.

Su quali principi si doveva basare il compromesso di Sutri, stipulato tra Pasquale II° e
Enrico V°?

Si doveva basare sul seguente principio: il papa prometteva all’imperatore di restituire


tutte le regalie, cioè le investiture in temporalibus, cioè le investiture di poteri
pubblici, che i vescovi esercitavano in molte città oppure abazie in alcune zone
rurali, e in cambio l’imperatore si riteneva estromesso da qualsiasi investitura in
spiritualibus, cioè di cariche di natura religiosa.

Una separazione totale tra poteri di natura spirituale e poteri di natura


temporale.

Non si sa come si andate di preciso le cose, però è molto verosimile che negli

ambienti curiali abbiano fatto presente al papa che cedere i poteri di

252
natura pubblica, non solo non conveniva, ma era anche molto
pericoloso.

Dice “come? Cediamo tutto?

Cediamo l’amministrazione della giustizia, cediamo il controllo del territorio?

Una volta che abbiamo ceduto tutti questi poteri, chi ci garantisce che l’imperatore non ci
metta in un angolo?

Se siamo disarmati, che fine faremo dopo?”

La Chiesa aveva tanto potere, e cederlo così a cuor leggero


non era una cosa facile da digerire.

Questo compromesso viene rigettato e il papa viene incarcerato dall’imperatore che


dice: “va beh hai spergiurato, non mi interessa il motivo per cui l’hai fatto, però sei
venuto meno all’accordo”.

Ripartono di nuovo le schermaglie, le lotte e via dicendo.

Poi , finalmente, si arriva ad un compromesso.

Nella città di Worms, in Germania, nel 1122: infatti si parla di Concordato di

Worms.

Il compromesso si basa su una sorta di spartizione più o meno esplicita tra area tedesca e
il resto dell’impero.

Per resto dell’impero si intende l’Italia, la Borgogna e la Provenza.

In Germania le nomine dei vescovi, secondo il Concordato di Worms, dovevano avvenire


più o meno in questo modo: il vescovo veniva nominato dall’arcivescovo locale,
sentito però il parere fondamentale del collegio dei canonici della cattedrale, che quindi
aveva di fatto voce in capitolo.

Però mentre veniva ordinato, l’imperatore, o un suo funzionario, poteva presenziare


all’investitura, che vuol dire che poteva influire: se è presente influisce.

253
E poteva contestualmente fornire poteri di natura pubblica al nuovo
vescovo.

In Italia, in Borgogna, in Provenza, l’imperatore o il suo messo, non poteva presenziare


all’investitura in spiritualibus, e poteva concedere poteri di natura pubblica solo dopo
alcuni mesi.

Quindi è chiaro che questo Concordato di Worms spartisce le sfere di influenza fra la
Germania ed il resto dell’impero. Vediamo per l’appunto alcuni brevi passi di questo
accordo. (Fonte pagina 17 – Dispense modulo A).

Dal Concordato di Worms (1122)

In nome della Santa Trinità. lo Enrico [V figlio di Enrico IV] per grazia di Dio imperatore Augusto
dei Romani, per amore di Dio e della Santa Chiesa Romana e del signore il papa Callisto (Callisto
II) e per il bene della mia anima, rimetto a Dio, ai Santi Apostoli di Dio Pietro e Paolo e alla Santa
Cattolica Chiesa ogni investitura con anello e lo scettro, e concedo che in tutte le chiese del mio
regno od impero abbia luogo la elezione canonica e la libera consacrazione (perché in realtà,
appunto, la scelta del titolare cadeva in tutti i casi, almeno formalmente parlando, nelle mani del
collegio dei canonici della cattedrale) …
lo Callisto vescovo, servo dei servi di Dio, al diletto figlio Enrico per grazia di Dio imperatore
Augusto dei romani, concedo che l'elezione dei vescovi e degli abati nel regno di Germania …
abbia luogo in sua presenza senza simonia e senza violenza (però comunque può influire) …
L'eletto 'poi riceverà da te, per mezzo delle scettro (cioè il simbolo del potere temporale) le regalie
(cioè i poteri di natura pubblica: la giustizia, le tasse, la difesa), e faccia quelle cose che perciò a
buon diritto deve a te. Il consacrato nelle altre parti dell'impero [regno d'Italia e Borgogna (che
comprende anche la Provenza)] entro sei mesi riceva le regalie da te per mezzo dello scettro e
faccia quelle cose che perciò a buon diritto deve a te; salvo quei diritti che si sa essere di
pertinenza della chiesa

Quindi, a partire dal concordato di Worms i vescovi sono scelti dal collegio dei
canonici della cattedrale.

Questa è una prassi che durerà per tutto il XII° secolo e per buona parte del XIII°.

Ma già alla fine del ‘200 non saranno più i canonici della cattedrale a scegliere i vescovi
ma sarà direttamente il papa.

Alla fine del ‘200, quindi, la Chiesa Cattolica Romana è diventata quella che è oggi,
cioè una struttura piramidale con un monarca assoluto.

254
Perché il papa è un monarca assoluto.

È nominato, è scelto, non c’è una dinastia però è un monarca assoluto.

Lui ha potere totale, almeno formalmente parlando, all’interno della Chiesa romana.

Le decisioni prese a Worms vengono ratificate, nel 1123, dal primo concilio
ecumenico Lateranense.

I concili della Chiesa di Roma nel basso medioevo, non sono detti concili vaticani ma sono
detti concili laterani perché si tenevano nell’area del palazzo Laterano.

La Chiesa vescovile di Roma non era San Pietro, era il Laterano.

Quando veniva nominato un papa c’era una processione solenne che faceva la spola tra il
Laterano e il Vaticano, andata e ritorno con tutta una serie di cerimoniali.

Dove si trovava la statua di Marco Aurelio, ora c’è una copia sul Campidoglio, perché
l’originale è nei musei capitolini.

Ma nel medioevo quella statua lì, che noi sappiamo essere di Marco Aurelio, ma che nel
medioevo pensavano fosse la statua di Costantino, si trovava sul Laterano.

Una donazione di Costantino, quindi la statua di Costantino sta di fronte al palazzo del
papa.

La statua di colui che ha donato il potere temporale alla Chiesa di Roma.

Per questo i concili venivano detti lateranensi. Primo, secondo, terzo, quarto e via
dicendo.

Il secondo concilio ecumenico lateranense, quello del 1139, mette per iscritto che i
vescovi sono nominati dai canonici.

La Chiesa è riformata nei costumi e nelle sue gerarchie.

Si sviluppa a partire dal XII° secolo tutta la burocrazia centrale della Chiesa
Romana.

Mano a mano che il potere del papa si accresce, e quindi i rapporti tra la periferia e il
centro si vanno sempre più articolando.

255
Mano a mano che questo avviene è chiaro che c’è bisogno di un apparato burocratico
centrale.

Gli uffici di cancelleria, vanno ingrossandosi, ma soprattutto si sviluppa


enormemente un ufficio, cioè la cosiddetta reverenda camera
apostolica, che sarebbe la tesoreria pontificia.

Perché la crescita di potere e di prerogative del papa va di pari passo con la crescita delle
entrate della camera apostolica.

Il potere si esprime anche con entrate crescenti, e con risorse crescenti per esercitare
effettivamente quel tipo di attività.

Per esempio, tra XII e XIII secolo le entrate della Chiesa si moltiplicano con cespiti di vario
tipo.

La Chiesa Romana ha rendite patrimoniali crescenti.

Rendite patrimoniali come terreni, case, immobili.

Si tenga presente che siamo in un contesto di crescita demografica,


crescita economica, crescita delle attività commerciali.

Le entrate della Chiesa seguono questa espansione crescente.

La moneta circola sempre di più, quindi sono entrate vere in moneta.

Poi ci sono censi annuali versati da stati vassalli, cioè da stati che sono stati creati di fatto
dalla Chiesa di Roma, per esempio il Regno di Sicilia.

Ogni anno il Regno di Sicilia versa un censo alla camera apostolica.

Così come altri regni che pagano il così detto obolo di San Pietro.

Il Regno di Polonia, cioè un regno in terra slava, che però si è convertita al


cristianesimo in una forma latina.

Infatti in polacco si scrive con l’alfabeto latino e non con quello cirillico.

256
Mentre in Bulgaria si usa il cirillico, in Russia si usa il cirillico, in Serbia si usa il
cirillico.

In Croazia si usa l’alfabeto latino, in Boemia si usa l’alfabeto latino, in Polonia si usa
l’alfabeto latino.

Quelli che usano il cirillico sono stati evangelizzati da Bisanzio, quelli


che usano il latino sono stati evangelizzati da Roma.

D’altra parte l’imperatore dei russi ha portato per secoli il titolo di Czar che sarebbe Cesar
che è un titolo che viene da Costantinopoli.

Così come paga l’obolo di San Pietro il re d’Ungheria.

Gli ungari erano cavalieri seminomadi pagani e a un certo punto all’inizio del XIII° secolo il
re degli Ungari riceve il titolo dal papa che gli dice “te ora sei re d’Ungheria, il carisma te lo
do io, e tu mi paghi un censo ogni anno”.

Poi ci sono i censi versati dai monasteri che si richiamano all’obbedienza diretta al papa,
senza sottostare a vescovi locali.

Cluny, Montecassino, Camaldoli, Cava dei Tirreni in provincia di


Salerno.

Tutte grandi abazie.

Queste sono abazie con possedimenti fondiari sterminati.

Sono abazie ricchissime.

Poi ci sono, a partire dal ‘200 le offerte non libere, cioè le offerte obbligatorie, che
devono i vescovi quando vengono nominati.

Devono fare la visita a Roma e pagare il censo.

Soprattutto, da un certo momento in poi ci sono le decime le crociate, per


organizzare i pellegrinaggi armati per difendere la fede, per conquistare le terre in
Palestina e via dicendo.

Entrate crescenti.

257
Una massa di denaro gigantesca che viene indirizzata verso Roma.

Ad un certo punto gli uffici burocratici della camera apostolica di fronte a queste
entrate crescenti alzeranno bandiera bianca dicendo “noi non siamo in grado di portare
questo denaro a Roma” e li arriveranno i banchieri di Siena con la loro attività dispiegata in
mezza Europa, capace di anticipare dei forfait annuali per poi andare a riscuotere in giro
per il continente.

È con la riforma che vengono riordinate tutte le distrettualizzazioni rurali.

Vengono rifatte, vengono ripensate, vengono riorganizzate, vengono ricostruite le chiese


in ambito rurale sulla base delle pievi e delle parrocchie.

Le pievi sono chiese rurali con fonte battesimale.

Sotto una pieve ci sono varie parrocchie, decine di parrocchie.

Solo la chiesa pievana ha la possibilità di battezzare i neonati, i fedeli e via dicendo.

È praticamente impossibile o molto raro trovare in Italia delle pievi alto medievali,
cioè delle chiese rurali che ancora oggi conservino l’aspetto alto medievale.

Perché?

Perché tutta questa grande riorganizzazione del territorio rurale nel XII° secolo, in
seguito alla riforma, ha portato alla ricostruzione delle chiese rurali.

Le pievi più antiche generalmente sono del XII° secolo, cioè sono in stile romanico, che è
lo stile che si afferma in Italia a partire grosso modo dalla seconda metà dell’ XI° secolo e
che è dominante fino alla fine del XII° quando poi arriverà il gotico.

Tutte le pievi più antiche, quindi, sono generalmente in stile romanico.

La riforma ha conseguenze anche sul piano della elaborazione di una


cultura giuridica scritta.

Il basso medioevo in Italia e un po’ in tutta Europa, vede la rinascita degli studi di
diritto.

258
L’università di Bologna nasce alla fine dell’ XI° secolo, intorno alla riscoperta e allo studio
delle varie parti che compongo il Corpus iuris civilis di Giustiniano.

L’università del diritto, l’Alma mater studiorum, nasce intorno all’insegnamento


del diritto romano.

Poi ci saranno altre università, ma la culla della riscoperta e dello studio


del diritto romano è Bologna.

Per l’appunto proprio a Bologna intorno agli anni ’40 del XII° secolo un

monaco, guarda caso camaldolese, tale Graziano, si mette in testa di creare un


corpus omogeneo e possibilmente onnicomprensivo di tutti i disparati testi del
cosiddetto diritto canonico, cioè del diritto ecclesiastico.

E così negli anni ’40 del XII secolo, questo monaco di nome Graziano elabora un’ opera
molto voluminosa intitolata Concordia discordantium canonum, cioè concordia
delle leggi canoniche apparentemente discordanti.

Cosa si trova dentro a questo testo?

Circa 4000 brani provenienti o da estrapolazioni del vecchio testamento, o dal nuovo
testamento, testi dei padri della chiesa, decreti conciliari che si erano originati da altrettanti
concili a partire dalla tarda antichità, decreti dei pontefici.

Tutti questi testi ,che hanno una composizione e un origine molto diversa, vengono
assemblati.

Per questo si parla di Concordia discordantium canonum, perché sono testi che talvolta
possono sembrare in contraddizione su alcuni punti.

La sua opera non è semplicemente un’opera compilativa ma anche interpretativa, perché


deve far combaciare questi testi che hanno tutti un origine diversa.

Decreti di concili, decreti di singoli papi e via dicendo.

Questo corpus grazianeo, questa Concordia discordantium canonum di Graziano, diventa


il testo base per l’insegnamento e lo studio del diritto canonico a Bologna.

259
Ci saranno altre compilazioni per opera dei pontefici, soprattutto del XIII° secolo, ma
l’avvio, lo spunto fondamentale per lo studio universitario del diritto ecclesiastico è il
decretum, la Concordia discordantium canonum di Graziano.

E così a Bologna, già alla fine del XII° secolo, ci si poteva laureare sia in
diritto civile, cioè diritto romano, sia in diritto ecclesiastico, e anche
laurearsi in utroque, cioè in entrambi i diritti, sia civile che
ecclesiastico.

Anche in questo caso si vede come l’opera della riforma, che è legata alla formazione di
questa monarchia ecclesiastica, si riverbera sulle neonate strutture educative, cioè
sull’università bolognese.

260
DECIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
MARTEDI’ 21.10.2014 ORE: 12,30 - 13,45

Con la lezione di ieri, siamo entrati nel periodo storico che generalmente viene
definito con l'espressione “Basso Medioevo”.

Un periodo segnato da caratteristiche in larga parte profondamente differenti rispetto


all’epoca precedente, dal punto di vista economico, demografico, artistico, culturale,
letterario e via dicendo.

E' ovvio che la divisione tra Alto e Basso Medioevo è una divisione artificiosa creata dagli
storici, che ha un fondamento, in realtà, in un mito negativo che risale all'Illuminismo: cioè
l'idea che, intorno all'anno Mille, secondo gli abitanti dell'Europa del tempo, il
mondo sarebbe finito e che, di fronte alla realtà di un mondo che non finiva, allora,
tutti gli animi, pervasi dall’entusiasmo, si sarebbero dati da fare in ogni campo
dell’attività e dello scibile umano.

Questo è un mito negativo, inventato dagli Illuministi, che aveva come


bersaglio polemico la Chiesa e i privilegi di cui godeva nell' Ancien
Regime, cioè nel sei - settecento.

Per gli Illuministi, l'età medievale è, per definizione, un'età oscura dove predomina
l'ignoranza, il sopruso e la violenza.
A maggior ragione i secoli dell’Alto medioevo.

Questa idea che il mondo sarebbe finito intorno all'anno Mille, era un’idea che non
esisteva.
Intanto si pensi che la nozione del tempo non era una cosa così scontata: noi oggi
siamo pervasi dalla “contabilità” del tempo, ma la stragrande maggioranza della
popolazione dell'epoca non lo era (spesso molti contadini non sapevano nemmeno quanti
anni avessero perché se uno è analfabeta non ha degli strumenti per misurare gli anni,
c’è il caso che dopo un bel po’ di tempo non si ricordi esattamente quando è nato).

261
Non c'erano uffici anagrafici per registrare nascite e morti, soprattutto nelle zone di
campagna.
Anche nel Basso Medioevo, quando si diffonderanno strumenti di rilevazione fiscale, tipo
estimi, catasti e via dicendo, noi troviamo soprattutto nelle rilevazioni fiscali che vanno a
censire la popolazione rurale, età più frequenti di altre (30 anni piuttosto che 31, 40
piuttosto che 39,...) a causa dell'analfabetismo.

L'idea di contare gli anni a partire dalla nascita di Cristo era, in quel periodo, cosa
relativamente recente: in molte zone si contava, si dava una data sulla base del numero
degli anni di governo di un re, principe, imperatore e via dicendo (nell’anno
diciassettesimo del regno di X e via dicendo).

La ripresa demografica, agricola ed economica era già in atto prima


dell'anno Mille.

Ci sono molti indizi, alcuni molto chiari, del fatto che la popolazione avesse già
cominciato a crescere molti decenni prima dell'anno Mille.

Prima di vedere questi indizi, cerchiamo di spiegare perché la popolazione riprende a


crescere in un contesto che è un contesto di violenza.

Perché la popolazione riprende a crescere in un contesto di violenza, nella società


europea tra VIII e X secolo, anche se il contesto non sembrerebbe propizio?
Perché invece la popolazione riprende a crescere già dalla fine del IX secolo – inizio del
X secolo?

Dall'Europa spariscono le grandi pestilenze che avevano colpito il continente europeo tra
la tarda antichità e i primi secoli del Medioevo.

I focolai di pestilenza si originavano, nei secoli dell'età pre - industriale, generalmente nel
cuore dell'Asia e poi arrivavano in Europa attraverso le migrazioni di popoli.

262
L'Europa ha conosciuto forti migrazioni di popoli, giusto tra la tarda antichità e i primi
secoli del Medioevo ed è quello il periodo in cui le ondate pestilenziali infuriano in Asia e
nel continente europeo.
La fine delle grandi pestilenze che vengono dall'Asia produce una riduzione del
tasso di mortalità.
La popolazione europea non è ripresa per l'aumento del tasso di natalità che, nelle
società pre – industriali, è sempre molto alto.
Vi erano rudimentali tecniche di contraccezione (ritardo del matrimonio per la donna,
allattamento prolungato- che inibisce la produzione di ormoni che rendono feconde
le donne) però, generalmente, le donne, nelle società pre – industriali, avevano molti figli
(10/12), se riusciva a sopravvivere al parto.

Ciò che influisce sui ritmi demografici della popolazione europea dell'età pre –
industriale è quindi il tasso di mortalità (particolarmente alto tra i neonati e i bambini;
generalmente 1 bambino su 3 non arrivava a compiere il primo anno di vita, per via degli
alti rischi di infezione che andavano riducendosi man mano che il bambino cresceva).

Nelle società pre – industriali la vita media si colloca tra i 35 e i 40 anni.

Questa vita media non significa che l’individuo moriva, generalmente, tra i 35 e i 40 anni,
tutt’altro.
L’alto tasso di mortalità infantile determinava questa statistica.

Se una persona mangia 2 polli e un’altra non ne mangia, la statistica dice che il consumo
di pollo pro capite è di 1, però uno ne ha mangiati due e uno non ne ha mangiato
nessuno. Questo è l’ABC della statistica, quindi attenzione che i tassi di mortalità infantile
influiscono molto sull’età media.
Come oggi in molti paesi sottosviluppati, con carenze nel sistema sanitario e via dicendo.

L'eliminazione delle pestilenze fa, quindi, diminuire il tasso di mortalità che, nel lungo
periodo, produce un incremento complessivo della popolazione.

263
La popolazione, che per il 90-95%, nell'Alto Medioevo si era riversata nelle aree
rurali, godette per alcuni secoli di un'alimentazione variegata, più sana, determinata
dal fatto che c'era stato un grosso spopolamento tra tarda antichità e primi secoli
del Medioevo.

Gli esseri umani erano “scarsi” a confronto con l’ampia disponibilità di terra.

Molta terra rimaneva perciò incolta, ma non necessariamente improduttiva (ci si


facevano pascolare gli animali allo stato brado, in cui si caccia, si pesca e raccolta
frutti del bosco – in particolare castagne).

Questo produceva un'alimentazione più variegata per la popolazione più povera, che
era quella più numerosa (i nostri concetti di ceto medio, ceto basso, ceto ricco, non sono
applicabili alla società di molti secoli fa, perché la stragrande maggioranza della
popolazione è, per i nostri standard, povera o poverissima.
Il ceto medio è quasi inesistente.
Ci sono i ricchi e ci sono i poveri.
Una piramide, non una struttura a botte panciuta come è la struttura delle società
industrializzate, almeno per ora).
Questi secoli di alimentazione più variegata, unita al venir mendo delle grandi pestilenze,
produce, nel lungo periodo, incrementi demografici che, considerati anno per anno, sono
quasi impercettibili ma che, visti nel lungo periodo, producono risultati notevoli.

Intorno all'anno Mille, quando la popolazione ha già ripreso ad aumentare (il minimo
demografico europeo va collocato intorno al VII secolo), la popolazione dell'Europa,
escludendo Russia, Bielorussia, Ucraina, di cui non si niente in questo periodo (zone
totalmente prive di città – non esiste la città nella zona tra l'Europa centrale e gli Urali),
era di 40/42 milioni di abitanti (niente rispetto agli standard attuali, ma già in ripresa
rispetto al VII – VIII secolo).

Intorno al 1300, in queste stesse zone, la popolazione era arrivata a circa 70 milioni
(quindi quasi raddoppiata rispetto all'anno Mille e più che raddoppiata rispetto al VII
secolo, di cui sappiamo molto poco).

264
Ci sono alcune aree dell'Europa sulle quali possiamo essere più sicuri.

Tra queste vi sono due zone con caratteristiche molto diverse.

Una è l'Inghilterra, il Regno inglese dell’XI secolo, dove abbiamo un censimento


fiscale del 1086 da cui sappiamo che aveva poco più di un milione di abitanti
(1.100.000/1.200.000 – oggi, nell'Inghilterra propriamente detta vivono oltre 40
milioni di persone).

Quindi, l'Inghilterra del XI secolo era una zona dove c'erano essenzialmente foreste e
pascolo e una sola città, Londra.
Queste foreste sono largamente scomparse, soprattutto con la rivoluzione industriale,
che causò una deforestazione micidiale.
All'inizio del Trecento, l'Inghilterra ha circa 3 milioni e mezzo/ 4 milioni di abitanti: un
incremento notevolissimo, in termini percentuali (popolazione che si è più che triplicata,
ma partendo da livelli di popolamento molto bassi).

L'altra zona è l'Italia che raddoppia la sua popolazione, ma partendo da livelli molto più
alti (5/6 milioni nell'anno Mille – già un bel aumento rispetto ai 3 milioni e mezzo/ 4 del VII
secolo).
Intorno al 1300, la popolazione è di circa 12 milioni: è raddoppiata partendo da un livello
di identità demografica molto più elevata.

Stiamo parlando di una delle zone più urbanizzate del continente europeo: ciò significa
che l'Inghilterra stava ad alcune zone d'Italia come, oggi, gli USA stanno ad alcuni paesi
sottosviluppati.
L'Inghilterra era nel Medioevo un paese sottosviluppato rispetto alle aree del
Mediterraneo.

Gli indizi più precoci della crescita demografica li troviamo già nei “polittici” monastici
italiani della fine del IX secolo.

265
I polittici, inventari delle terre ecclesiastiche, descrivono aziende agrarie
“bipartite”: una riserva padronale e una pars massaricia, cioè quella data in
gestione ai coloni.

Nei polittici di fine IX secolo troviamo i “mezzi manzi” o “manzi spezzettati”: ciò
significa che le famiglie si sono moltiplicate, da una generazione all'altra e, quindi, là
dove viveva una famiglia, ora ne vivono due.
Ciò determina pressione demografica su questi poderi.

Troviamo anche riserve signorili più ristrette: porzioni non coltivate, della pars
dominica, sono date in concessione ai massari – anche questa è una spia della
pressione demografica sulla terra, cioè si riduce la riserva padronale.

Si comincia a fare a meno degli spazi incolti che vengono trasformati in spazi coltivabili,
concedendo lo sfruttamento della terra a nuovi coloni.

A partire dal X secolo avremo indizi ancora più provanti:

la messa a coltura di terre incolte che erano del demanio (paludi, di cui si cominciano a
drenare le acque, e soprattutto zone di boschi e macchia mediterranea che
vengono “roncate”, cioè disboscate per creare nuovi insediamenti);

la fondazione di nuovi villaggi e, soprattutto a partire dall'inizio del XI secolo, nuove


città, in particolare nell'Europa centrale, ove non erano mai esistite. Amburgo, Brema,
Lubecca, Praga, Berlino,... sono tutti centri urbani fondati a partire dal XI secolo,
considerando che, in area tedesca, l'unica zona urbanizzata era quella renana, con città
di fondazione romana.

Le vecchie città sopravvissute riprendono ad espandersi.


La risposta principale che dà l'economia del tempo all'aumento demografico consiste
nell'ampliamento dello spazio coltivato.
266
Il Basso Medioevo non ha conosciuto significative migliorie tecnologiche ma,
fondamentalmente, il prolungato aumento demografico determina un aumento della
domanda di generi di prima necessità (cereali, segale, legna – sia come combustibile che
per costruire abitazioni – e sale, per la conservazione dei cibi).

Si risponde a questo aumento della domanda non tanto con un aumento della
produttività, ma con l'aumento della produzione complessiva.

C'è una notevole differenza tra produzione e produttività: se ho un


ettaro di terra, invece di produrre 100 per soddisfare la richiesta,
produco 110, cioè faccio rendere “meglio” la stessa superficie, sto
aumentando la produttività; l'aumento di produzione, invece, è dato dal
fatto che, anziché coltivare un ettaro, ne coltivo due.

L'aumento di produttività si ottenne non tanto con migliorie tecnologiche, quanto con una
migliore organizzazione della produzione.

Nel lungo periodo (X-XIII secolo), ciò che noi vediamo, concretamente, in quasi tutta
Europa è una progressiva riduzione del bosco, delle foreste, dell'incolto, dei pascoli a
vantaggio dell'agricoltura.

Perché la cerealicoltura è di gran lunga il sistema più produttivo per sfamare più
persone (se si prende un ettaro di terra e ci si allevano mucche, non si riesce a
sfamare lo stesso numero di persone che verrebbero sfamate se ci si piantasse
grano, perché la resa, in termini di calorie, è migliore nel caso del grano o altri
cereali).

Con il passare del tempo, seppur con i limiti tecnologici dell'epoca, si riducono le foreste
e gli spazi incolti.

Queste trasformazioni sconvolgono il paesaggio produttivo delle campagne: scompare


il sistema curtense, che si era sviluppato in un contesto di forte depressione
demografica (gli schiavi erano fortemente diminuiti, l'aumento demografico rende molto
267
più appetibile la concessione di terre a coloni, piuttosto che mantenere ampie riserve
padronali dove c'era un ampio spazio incolto; se anche il signore avesse voluto gestire
direttamente, non avrebbe avuto la manodopera necessaria e, alla fine, si tiene la riserva
di caccia e dà il resto ai coloni).

Molte zone, anche in Italia, vedono i padroni dei fondi concedere terre incolte a
contadini con i cosiddetti contratti “ad meliorandum” (con le migliorie).
Un monastero, una sede vescovile o un signore cercavano di attrarre i contadini sui
propri fondi, generalmente incolti, dicendo: “se tu mi trasformi questo terreno in una
vigna, in un campo coltivato ecc., non mi pagherai i tributi per due/tre/ quattro anni”.

Cioè attira la manodopera nel caso in cui il contadino voglia si voglia sobbarcare il lavoro
di trasformazione, di miglioria del fondo agricolo (nelle campagne di Salerno, sono strati
trovati quasi 100 contratti di questo tipo, il che vuol dire che c’è una pressione
demografica su quel territorio e quindi c’è la necessità di trasformare terreni incolti in
terreni cerealicoli, ma sono presenti anche in altre zone d'Italia).
L'iniziativa può essere s i a signorile e, da un certo momento in poi, è però anche, in
Italia, urbana perché c’è una bella fetta in espansione di proprietà rurali in mano ai
cittadini, i quali cominciano a investire nella terra e nelle sue migliorie (nella Pianura
Padana, zona di acquitrini e paludi, l'intervento è addirittura dei comuni, cioè
dell'autorità pubblica che finanzia, in parte con denaro pubblico e in parte con denaro
di consorzi, le opere di bonifica – costruzione canali di scolo in modo che l'acqua
defluisca verso i grandi fiumi, trasformando zone paludose in zone coltivate).

L'area più nota da questo punto di vista, per un intervento signorile e cittadino imponente,
è l'area dei Paesi Bassi, dove alcune zone sono sotto il livello del mare: non bastava
costruire dei canali di scolo, ma delle dighe per impedire che le maree, molto forti
nell'area del Mare del Nord, superassero le dune sabbiose, riversandole sulle terre
e rendendole completamente sterili.

Città come Amsterdam, Rotterdam,... sono nate dopo la costruzione di queste


dighe.
C'è un intervento grosso, operato dal conte di Fiandra con altri signori e, grazie a questo
intervento, si rendono disponibili enormi porzioni di terreno altrimenti perdute.
268
Le opere di coltivazione determinano enormi spostamenti di popolazione,
soprattutto nell'Europa continentale da ovest verso est (in particolare,
popolazioni di lingua tedesca che si riversano nell'odierna Russia, Pomerania,
Slesia, fino alla Polonia e alla Lituania).

I contadini vengono spostati più o meno forzatamente, talvolta con il miraggio della libertà
personale, per mettere a coltura terre, che all’epoca erano abitate da slavi pagani o di
recente cristianizzazione.

Da questi spostamenti di popolazione tedesca nascono nuove città e


diocesi ( Amburgo, Berlino, Magdeburgo,...).

In molte zone rurali nascono nuovi insediamenti, generalmente per iniziativa signorile, che
porteranno alla costruzione di una maglia insediativa rurale in larga parte nuova.

Soprattutto nelle campagne della Francia settentrionale si formeranno nuovi


villaggi che, generalmente, hanno il nome di Ville Neuve, cioè Borgo nuovo,
Villa nuova.

In Italia si trovano toponimi come Borgofranco, Villafranca, Villanuova... tutti insediamenti


di età basso medievale che possono avere finalità demografiche, di espansione del
territorio coltivato, talvolta finalità politico - militare, cioè di controllo del territorio.
Quando voi trovate espressioni come Borgofranco o Villafranca, questa parola FRANCO
sta ad indicare che i contadini che decidono di andare li sono franchi, cioè sono liberi da
determinati obblighi di natura fiscale, giuridica, militare e via dicendo.

Generalmente si trovano in aree di recente valorizzazione, più spesso in aree di fondo


valle.
Il villaggio per eccellenza, dell’alto medioevo, è un villaggio d'altura,
cioè in cima a un poggio per ripararsi dalle piene dei fiumi ed essere
maggiormente difendibili.

269
Si determina quindi il ripopolamento del fondo valle, abbandonato per motivi vari –
naturali, politici, militari e via dicendo.
Partecipano a questa espansione anche alcuni ordini monastici: da questo punto di vista,
i più importanti sono i Cistercensi.
Questo ordine nato in Borgogna, a Citeaux, in latino Cistercium.
La loro abbazia madre si trova in una zona paludosa: i monaci l'avevano scelta per
separarsi, anche fisicamente, dalla società del tempo (“Andiamo dove non c'è nessuno,
dobbiamo lavorare con le nostre mani, secondo la Regola di San Benedetto, per
sostentarci e valorizzare il territorio”).
I primi anni di vita a Citeaux furono tremendi, come narrano le cronache
monastiche dell'epoca.
Tutte le volte che i Cistercensi costruivano una nuova abbazia,
sceglievano zone non abitate perché dovevano separarsi dal mondo e
valorizzare il territorio su cui sorgeva l'abbazia.

Così avviene in Francia e in molte zone d'Italia dove vengono fondate abbazie
cistercensi.

Ad esempio, Chiaravalle della Colomba, nel contado di Piacenza, è in una zona


vicino al Po che originariamente è acquitrinosa.

L'abbazia di Fossanova, nel Lazio meridionale, vicino a Terracina:


il nome stesso dice dove avevano fatto l’abbazia, dove era stata costruita un’enorme
fossa, cioè un canale di scolo per derivare le acque.
Fossanova si trova più o meno nelle paludi Pontine, bonificate del tutto durante il periodo
fascista, una zona dove c’era una palude per definizione.
Lì si crea un canale, un enorme canale per il deflusso delle acque paludose e così si può
costruire un'abbazia in pianura perché il villaggio che è Priverno è in cima a un
cucuzzolo.
Quindi la trasformazione dell’insediamento rurale per opera dei monaci cistercensi.
I Cistercensi hanno diffuso, nelle zone in cui hanno costruito i loro monasteri, il
sistema delle “grange”, in italiano la grangia, una fattorie che.

270
I Cistercensi realizzano il loro monastero, poi creano delle fattorie, cioè delle zone
dove ci sono granai, fienili, case di contadini che fanno capo all’abbazia.

Utilizzeranno massicciamente il sistema dei conversi: persone, generalmente,


appartenenti al mondo rurale, ma non solo, analfabete, ma non solo, e comunque
ignoranti di latino, che prendono i voti monastici ma non partecipano al coro (liturgie,
preghiere,..) perché sono illetterati, mentre partecipavano molto alla gestione aziendale
agricola delle terre dei monasteri.

Nei monasteri cistercensi c'erano perciò monaci letterati, impegnati nella preghiera e che
quindi non lavoravano, e monaci che si occupavano delle faccende rurali.

Vedete come questa espansione agricola coinvolge tutte le frange della società del basso
medioevo.
Soprattutto in Italia, a partire dal XII secolo, l'espansione rurale vede il forte
coinvolgimento della proprietà cittadina.
Dal XII secolo, soprattutto nell'Italia centrale e settentrionale, molta terra comincia a
passare nelle mani dei cittadini.
Il fenomeno è complesso, perché ci sono contadini, piccoli proprietari, medi proprietari,
grandi proprietari che si inurbano e che quindi, ipso facto, diventano proprietari terrieri
cittadini.
Quella terra non è passata di mano, sono loro che si sono spostati dalla campagna alla
città.
Ma c’è anche un forte incremento, mediante acquisti, mediante pegni fondiari in seguito a
prestiti, insomma c’era una pluralità di situazioni mediante le quali la terra comincia a
passare nelle mani di residenti in città.
Questi residenti in città hanno un rapporto con il mercato e il commercio, molto più
sviluppato di chi rimane nelle campagne e cominciano ad introdurre, nel mondo rurale,
delle importanti trasformazioni nelle forme di conduzione, cioè nei contratti agrari.
Generalmente, i contratti agrari, fino al XI/XII secolo, avevano scadenze molto lunghe: il
contadino prende in concessione il fondo, impegnandosi a fornire tributi in natura, e poi
dopo il mille molto più spesso in moneta.

271
Questo contratto vale per molto tempo, più spesso per 29 anni (a 30 anni scattava
l'usucapione, secondo il diritto romano).

Perché i contratti erano così lunghi? Chi farebbe a giorno d’oggi un contratto d’affitto di un
immobile che dura 29 anni? Nessuno! 29 anni sono un tempo infinito per noi, cioè per il
nostro modo di vivere la vita e di osservare le trasformazioni della società e
dell’economia.

Infatti se uno pensa come sarà la società italiana tra 29 anni, non sa come potrà essere.
Perché 29 anni sono un tempo infinito e ci possono essere trasformazioni gigantesche.

Nella società dell’Alto medioevo 29 anni sono niente, la società era percepita come
immutabile.

Le trasformazioni erano lentissime, quasi impercettibili e quindi si potevano fare contratti


di quel tipo.
Quando la terra comincia a passare nelle mani dei cittadini, in un contesto in cui la
società e l’economia cambiano ad un ritmo al quale non erano mai cambiati nel periodo
precedente, allora ecco che le forme di conduzione cominciano a modificarsi.

I cittadini dicono: “No, come 29 anni. Io l’ho visto che il prezzo del grano cresce. Facciamo
un contratto che duri 5 anni. Cioè rivediamo le clausole dopo un tempo limitato”

La cosa che può sembrare paradossale e che questi contratti, che prevedono versamenti
di moneta, vedono, nella seconda metà del XIII secolo, un ritorno dei prodotti in natura:
ciò non rappresenta una regressione, in quanto il cittadino, che ha un rapporto quotidiano
con il mercato del grano, ha la percezione delle fluttuazioni del prezzo del grano e sa che,
più aumenta la popolazione urbana, più aumenta il prezzo delle derrate alimentari.

Il contratto agrario, più precoce, che lega la cessione dei fondi al mercato cittadino
e che avrà vita lunghissima in Italia è il contratto di mezzadria, che nasce nelle
campagne tra Siena e Firenze (all'epoca erano due città molto grandi).

272
Nella mezzadria, il mezzadro, che vive sul fondo, deve dare ogni anno una certa parte di
prodotti (in genere vino e grano) che vengono poi venduti nel mercato urbano.

Le trasformazioni demografiche, le trasformazioni rurali si innestano così sulle


trasformazioni urbane, con delle profonde trasformazioni del territorio.

Ci sono trasformazioni anche del paesaggio rurale: più aumenta la popolazione, più
aumenta la cerealicoltura, fin dove si poteva con i metodi del tempo.

Nel grande affresco di Ambrogio Lorenzetti “Gli effetti del buon governo in città e in
campagna”, due cicli di affreschi enormi che si trova nel Palazzo Pubblico di Siena e che
è uno dei monumenti più celebri della civiltà comunale italiana, c'è l'immagine degli effetti
del buon governo cittadino sulle campagne: il colore prevalente è il giallo dei campi di
grano perché, allora, era la coltura più diffusa (se si pensa all'attuale paesaggio rurale
toscano, si pensa a viti e olivi, ma è un paesaggio contemporaneo in quanto la mezzadria
è “morta” negli anni Cinquanta e, fino ad allora, si coltivava principalmente grano).

Questo è uno dei tanti esempi di diffusione della cerealicoltura per rispondere alla
domanda di una popolazione in crescita.

Qualche miglioria c'è anche stata nel basso medioevo e ha aumentato la produttività, o
resa, ovvero il rapporto tra ciò che si semina e ciò che si raccoglie (nell'Alto Medioevo,
per ogni chicco di grano seminato se ne raccoglievano 3; oggi il rapporto è superiore a
1:30).
Piante non selezionate, concimi pochi, soprattutto in area mediterranea. Nell’Europa continentale c’era
molto più concime animale perché c’erano molti più allevamenti, molti più pascoli, molto più spazio
incolto e quindi un’agricoltura più ricca.

Anche se nel Mediterraneo c’erano zone anche molto fertili, tipo la Sicilia o la Puglia, la dove le
produzioni granarie erano molto abbondanti e infatti, da un certo momento in poi, si
esportano grandi quantità di grano.
Però, generalmente, in tutta Europa la resa è modesta. Tenete presente che di questi tre chicchi uno
va messo da parte per la semina successiva, e quindi se arriva una bella grandinata a maggio il
rischio è grosso, il rischio è quello di una carestia.
273
Però nell’alto medioevo il contadino non mangiava solo grano, la faccenda era più varia.
Nel Basso Medioevo, con la grande espansione della cerealicoltura, bisogna
stare attenti ai fenomeni meteorologici.
Infatti man mano che si va verso la punta massima di ascesa demografica (il 1300,
prima della peste nera), p iù au me n ta n o le c a re s t ie.
Le rese aumentano un po' (si arriva ad un rapporto di 1:4) grazie all'introduzione di alcune
migliorie nelle zone dell’Europa continentale.
Innanzitutto, l'aratro pesante con il vomere in ferro, che permette di scassare il suolo
in profondità.
Per trainarlo era necessaria una coppia di buoi con il giogo, altra miglioria fondamentale
per evitare che il bue si strozzi, ma anche il lavoro del contadino che “faccia forza”
mentre i buoi tirano, in modo da spingere l'aratro in profondità.
Questa miglioria non funziona tanto in area mediterranea, perché il Mediterraneo ha
molte stagioni secche e, se non c'è irrigazione continua, scassare il suolo in profondità e
peggio, perché scassare il suolo e non irrigare vuol dire esporlo alla siccità
Per secoli, quindi, nel Mediterraneo si continuerà ad utilizzare gli aratri romani in legno.
Un'altra miglioria di tipo tecnologico è la bardatura e ferratura degli animali che
permette loro di spingere con più forza.

Una miglioria di tipo organizzativo è il passaggio dalla rotazione biennale alla


rotazione triennale.

I contadini sapevano che il fondo non poteva essere coltivato all'infinito. Prima della
rivoluzione industriale era necessario che il fondo venisse lasciato a riposo per un anno
(maggese). Nel Alto Medioevo, la prassi era che il terreno fosse metà coltivato e metà
a maggese; la metà del suolo quindi non produceva cereali o altro prodotto agricolo, ma
veniva impiegato per il pascolo brado di capre, pecore, mucche,.. che, con i loro
escrementi, producono una fertilizzazione naturale del terreno, però 50% è tanto.

Quando la pressione demografica aumenta, si produce questa miglioria di tipo


organizzativo: non più 50% ma solo il 33%.
Sul 33% si produce grano o segale (cereale per eccellenza in Germania, Polonia,...),
sul’'altro 33% si produce un cereale che si semina in primavera oppure legumi, che
hanno una grande capacità di fertilizzare il suolo, e il restante terzo si lascia a maggese.
274
Questo fa incrementare la produttività di una porzione rurale, perché non viene lasciato a
riposo il 50%, ma solo il 33% e quindi c'è un aumento di produttività di circa un terzo.
Ci sono migliorie legate alla trasformazione “industriale” del prodotto agricolo; queste
sono legate, per esempio, alla diffusione di opifici che, in realtà, erano già noti ma molto
poco diffusi in epoca alto – medievale.
Questi opifici sono il mulino a vento e il mulino ad acqua. Per la verità, i
mulini ad acqua non erano del tutto ignoti nella tarda antichità, ma, con tutti gli schiavi
presenti, non era necessario investire in migliorie di tipo tecnologico.

Invece, nel Basso Medioevo, c'è questa necessità e si costruiscono tantissimi mulini
ad acqua, soprattutto per macinare i cereali.

Questi mulini verranno costruiti, soprattutto dal XII secolo in poi, per scopi, veramente
industriali: ad esempio, per follare i tessuti, le cosiddette gualchiere, mulini che azionano
dei giganteschi martelli che pestano i tessuti per infeltrirli e rendere la lana più compatta.
In generale abbiamo un aumento delle rese agricole però, nella fase estrema
dell'espansione demografica, si assiste ad un aumento delle carestie (dalla metà del
Duecento fino all'arrivo della peste nera) perché, ad un certo punto, per i mezzi
tecnologici del tempo, l'agricoltura non è più in grado di reggere il ritmo di crescita della
popolazione, soprattutto in quelle aree dove ci sono grandi città, ovvero tante persone
che mangiano ma non partecipano al lavoro nei campi.

Aumenta la pressione e bisogna cercare il grano molto lontano. Come faceva Venezia a
mangiare senza il grano della Puglia, o Genova senza il grano della Provenza, della
Sicilia, della Sardegna e via dicendo.
Le carestie si fanno quindi più frequenti dalla metà del Duecento in poi. Perché
l'agricoltura non riesce a sostenere la domanda crescente di derrate alimentari di prima
necessità ? Perché non c'è una trasformazione tecnologica significativa.
Semplificando:

aumenta la popolazione → aumenta la domanda → si trasforma l'incolto in zone


coltivabili. All'inizio si sceglieranno le terre più fertili perché ce ne sono a
disposizione (disboscamenti, prosciugamento paludi,...). Ad un certo punto, le terre

275
buone, per i mezzi del tempo, vengono esaurite e si comincia a mettere a coltura terre
meno fertili, andando incontro a rendimenti decrescenti.
Questo è un fenomeno che aveva già notato uno dei primi grandi economisti classici,
David Ricardo, economista inglese dell'età napoleonica.
Lui diceva: l’agricoltura va incontro per sua natura a rendimenti decrescenti. Prima metto
a coltura la terra A, poi la B, poi la C e via dicendo. Quella Z avrà una produttività
enormemente più bassa di quella A, perché la mia scelta va prima ad A, poi a B, poi a C.
il risultato è che con l’aumento demografico si arriva a coltivare la terra Z e più si arriva a
coltivare quelle terre meno fertili più le rese scendono, quindi più si va incontro ai
fenomeni di carestie.
Quando parliamo di carestie nelle società pre – industriali, ci troviamo di fronte ad
un'inflazione “a tre cifre” nell'arco di un anno ( il grano vale 10 a luglio, subito dopo il
raccolto, e può valere 150 a primavera, prima del nuovo raccolto).

Cosa può significare un aumento dei prezzi di quel tipo ? Andare a comprare un filone di
pane e lo si paga 20 euro.

La maggior parte della popolazione mangia pane con un po' di cipolla o altre verdure,
pochissima carne, che era cibo per i ricchi. I contadini non mangiavano pane di grano,
ma pane “di mistura”, fatto di orzo, miglio, panico, avena,... .

Mangiavano anche pappe e polente, sempre fatte con cereali. Con quei prezzi, si può
bene immaginare cosa potesse succedere nei centri urbani più affollati: il saccheggio
dei luoghi ove si effettua la panificazione, come descrive Manzoni nei Promessi Sposi.

Quindi anche la dieta alimentare peggiora, man mano chi ci si avvicina all'inizio del
Trecento.

Queste trasformazioni in ambito rurale si accompagneranno con trasformazioni


ancora più rivoluzionarie nel campo dell'attività commerciale.

L'agricoltura europea è cambiata con la rivoluzione industriale (un po' prima dal punto di
vista dei prodotti perché il Settecento è l'epoca in cui si diffondono il mais, la patata e tutti
gli altri prodotti che arrivano dall'America e che si diffonderanno concretamente
276
soprattutto nel XIX secolo; dal punto di vista della produttività è l'Ottocento, il secolo che
segna la grande trasformazione).

Dal punto di vista dell'attività commerciale, invece, c'è un enorme cambiamento tra
l'antichità classica e il Basso Medioevo.

Concetti come contabilità in partita doppia, bilancio, stato patrimoniale, assegno,


cambiale, assicurazioni,... non sono stati inventati con la rivoluzione industriale, ma con la
rivoluzione commerciale in Italia nel Basso Medioevo.

C'è stato un enorme e profondo cambiamento non solo nell'organizzazione dell'attività


commerciale, ma anche in termini di mentalità imprenditoriale.

L'uomo d'affari in quanto tale, cioè colui che vive dell'attività imprenditoriale e la cui
mentalità è formata da questa sua attività, nasce nelle grandi città mercantili italiane nel
Basso Medioevo.

In parte, il Decameron del Boccaccio è l'esaltazione letteraria di questa figura, perché era
figlio di un grande uomo d'affari e lui stesso avrebbe dovuto svolgere quel mestiere se poi
non si fosse interessato di altro.
Però ci sono tante novelle del Decameron che parlano del mondo mercantile:
L'uomo d'affari, i grandi mercanti e i banchieri sono nati nell'Italia del Basso Medioevo.
C'è stata quindi un'enorme trasformazione delle attività commerciali tra i secoli XI e XII.

Il commercio alto – medievale era estremamente limitato sia in qualità che in quantità; era
così limitato che, a lungo, l’Europa Occidentale ha utilizzato molto poco la moneta in
quanto non era necessaria, molte transazioni avvenivano per baratto.

Non vi era alcuna forma di integrazione tra le varie economie rurali (ogni zona produceva
e consumava “sul posto”).

277
Alcune aree erano un po' meno arretrate perché vi erano le città che erano dei centri di
consumo e perché li persisteva o stava rinascendo un commercio “di raggio medio o
lungo”.

Pensiamo al ruolo dei mercanti di Venezia nella Pianura Padana sin dall'epoca
carolingia.

Venezia era una realtà totalmente eccezionale nel panorama europeo,


una città nata in un luogo estremamente inospitale, con case costruite
su palafitte conficcate nella sabbia.
Tutta Venezia è fatta di edifici con palafitte sotto, infatti se uno percorre
la Basilica di San Marco sente che il pavimento non è bello dritto
perché ci sono le palafitte sotto ed è tutto avallonato (tutte le zone di
Venezia sono indicate, topograficamente, dal nome “fondamenta”).
Le case di Venezia sono piene di legno perché si è cercato di utilizzare la pietra e il
mattone il meno possibile, perché si cerca di far pesare il meno possibile l’edificio sulle
palafitte. Quindi zona inospitalissima.

In laguna non si può coltivare nulla!


Certo fino a che questi isolotti non erano del tutto urbanizzati, magari qualche vigna,
qualche orto, ma il grosso bisogna cercarlo fuori.

Infatti, in una fonte fiscale di Pavia all'inizio del XI secolo, si nota che i
veneziani “non arant, non laborant, non seminant”: non lavorano la
terra, ma vanno in giro a comprare derrate alimentari (soprattutto
grano) e, in cambio, vendono il sale, che portano dalla laguna e dalla
zona di Comacchio, e altre merci esotiche (spezie, gioielli, profumi) che
andavano a prendere nelle terre dell'Impero Bizantino, di cui
formalmente sono sudditi – anche se, in realtà, sono una città-stato
autonoma.

278
A Pavia arrivano con le barche con cui risalivano il corso del Po.
Nel Mediterraneo orientale, le attività commerciale sono molto più sviluppate ma
siamo all'interno di una civiltà differente, quella islamica.

Alcune zone dell'Italia meridionale sono in contatto, diretto (Sicilia) o indiretto (Amalfi,
Bari, Reggio Calabria) con questa civiltà più evoluta, per via della vicinanza geografica.

In queste città infatti circolavano monete d'oro che provengono dalla Sicilia islamica.
Ci sono delle zone “di frontiera” tra varie civiltà nell'Europa occidentale che vedono
un certo sviluppo degli scambi commerciali.

Comunque anche nei commerci su lunga distanza prevale l'eccezionalità in quanto


pochissime persone erano in grado di comprare spezie, profumi,... .
Nel Basso Medioevo, invece, gli spazi tenderanno ad essere sempre più relativamente
integrati.
L'attività mercantile si sviluppa in primo luogo nelle città italiane poste sul mare:
Venezia (soprattutto), Genova e Pisa.

Si fa fatica oggi ad immaginare Pisa come città di mare ma c'è stato un fenomeno
di depositi sabbiosi lungo la costa; il paesaggio tra la foce dell'Arno e Livorno ora è
completamente diverso rispetto all'età medioevale – vi era infatti un grande golfo ove
sorgeva il bacino portuale pisano.
Queste città si sviluppano “mercantilmente” in maniera molto precoce.
Venezia nell’alveo della civiltà bizantina; Genova e Pisa inizialmente combattevano la
pirateria saracena, “bonificando” il mar Tirreno e andando a devastare le coste del
Maghreb.
Un'iscrizione posta sulla facciata della cattedrale romanica di Pisa ci spiega che questo
monumento religioso, gigantesco per l'epoca, è stato edificato in onore della Vergine con i
proventi della lotta contro gli Infedeli (atti di pirateria contro navi islamiche). Genovesi e
Pisani saranno a lungo contemporaneamente pirati e uomini d'affari.

La trasformazione commerciale dell'Europa nel Basso Medioevo prende l'avvio in queste


città di mare, che commerciano un po’ di tutto.

279
Il primo stimolo, soprattutto per Genova e Venezia, viene dalla strana collocazione
topografica: anche Genova non ha una posizione molto felice dal punto di vista
dello sfruttamento delle risorse agricole – è una città sul mare con dietro le
montagne; per arrivare a prendere le risorse agricole della Pianura Padana bisogna
attraversare l'Appennino e i Genovesi, infatti, sono proiettati da subito sul mare per
cercare le derrate per sfamare i propri abitanti.

La trasformazione commerciale ed economica dell'Europa prende il via dalle città di mare


italiane già dal XI secolo; più tardi, dalla seconda metà del XII secolo, si affacciano nuovi
soggetti economici, cioè città italiane dell'interno (Milano, Verona, Firenze, Siena,...) che
conoscono un'espansione demografica dirompente.

Tutte queste città devono costruire, nella seconda metà del XII secolo, delle mura nuove
perché quelle vecchie non sono più sufficienti a contenere gli immigrati.

Come arrivano questi immigrati? Generalmente dalle campagne. Ma come si insediano?


Costoro si insediano creando dei borghi lungo le strade che uscivano dalle porte
principali della città .
Nella seconda metà del XII secolo, quando si prende atto di questa espansione
demografica, si decide di costruire una nuova cinta muraria che deve andare ad
inglobare questi borghi, sviluppati in maniera abbastanza anarchica, lungo le direttrici di
uscita dalle porte cittadine.
Queste nuove cinte urbane, costruite nella seconda metà del XII secolo, avranno
un utilizzo molto breve: cento anni dopo, ci sarà bisogno di fare una terza cinta
muraria perché l'immigrazione ha reso totalmente obsoleta anche le mura della
seconda metà del XII secolo.

280
UNDICESIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
MERCOLEDI’ 22.10.2014 ORE: 12,00 - 14,00

La rivoluzione commerciale nel Basso Medioevo parte nelle città italiane di mare ma,
dalla fine del XII secolo, partecipano a questa grande espansione economica e
mercantile anche molte città italiane non bagnate dal mare, che conosceranno
un'espansione demografica, per gli standard dell’epoca, eccezionale.

Abbiamo già accennato ieri in chiusura alla forte immigrazione dalle campagne, alla
creazione dei sobborghi fuori delle precedenti cinte murarie, alla costruzione di nuove
cerchie nella seconda metà del XII secolo e poi una nuova continua migrazione in città e
quindi alla necessità di costruire nuove cinte murarie.

Voi fra le vostre dispense avete un caso tra i molti, quello rappresentato dalla città di
Bologna, la quale città di Bologna non è tra le più importanti città mercantili, ma è nota
soprattutto come uno dei maggiori centri universitari d'Europa, centro di studio che
accoglieva studenti particolarmente facoltosi perché studiavano diritto.
Per questo gli studenti
dell'Università di Bologna
“comandavano” (stabilivano il
calendario accademico,
decidevano cosa si doveva
insegnare,...) per il semplice fatto
che pagavano rette molto cospicue
e, quindi, il rettore dell'Università
era uno studente.
La Bologna alto – medioevale è una
città di dimensioni insignificanti,
qualche ettaro di terra. È poco di
più dell’attuale Piazza Grande. Con la cerchia costruita tra la fine del XII e gli inizi del XIII
secolo si ingloba un territorio che è molto più del doppio della città alto medioevale. La
cerchia muraria che è costruita alla fine del ‘200, alla fine del XIII secolo, quindi al

281
massimo punto di espansione demografica, è una città notevolmente più grande di quella
compresa nella cerchia di fine XII secolo.
Dentro le mura di fine Duecento vi è inglobata una superficie pari a quella della città di
Londra.
Bologna aveva circa 50.000 abitanti, c o m e Londra, come Siena e Pisa; Firenze e
Venezia erano il doppio di Londra, mentre Milano era il triplo (150.000 abitanti) – giusto
per dare una dimensione della potenza, anche demografica, di queste città dell’Italia
centro – settentrionale.
Nasce una figura ignota alle civiltà precedenti: il grande mercante, l'uomo d'affari,
l'imprenditore.
Dove vediamo agire questi grandi uomini d'affari ? Certamente a Genova e Venezia,
lungo le rotte del Mediterraneo, ad Alessandria d'Egitto, a Tripoli, a Costantinopoli e via
dicendo. Troviamo anche
molti uomini d’affari italiani
che percorrono quella che
era la più grande arteria
stradale e mercantile del
continente: la via
Francigena, cioè quella via
che gli italiani chiamavano
Francigena e i francesi
chiamavano “Romea”.
Per gli italiani era la via del
commercio, per gli europei del
nord – ovest era la via del
pellegrinaggio fino a Roma.
La via Francigena partiva da
Roma, seguendo il tracciato dell'odierna Via Cassia fino ai pressi del Lago di Bolsena,
quindi entrava nel contado di Siena, nella zona della Val d'Orcia e passava per la stessa
Siena (città che conosce un grande sviluppo mercantile e finanziario nel corso del
Duecento – la crescita si è poi praticamente fermata e, per questo motivo, ha ancora
un aspetto legato al Trecento, periodo nel quale furono costruiti i monumenti pubblici ed
ecclesiastici più insigni). Ecco perché ha un aspetto ancora medievale, perché ha avuto
uno sviluppo nel ‘200 e nel ‘300 e poi si è fermata.
282
La dove lo sviluppo è proseguito vedete che l’urbanistica è cambiata, le case sono state
rifatte e via dicendo.

Dopo Siena, la Francigena prosegue nella Val d'Elsa dove, non a caso, c'erano castelli
abitati da mercanti (ad esempio San Gimignano), quindi oltrepassava l'Arno e
raggiungeva Lucca, la città dell'industria della seta. Poi andava verso la Versilia,
risaliva la Lunigiana, quindi valicava l'Appennino nei pressi del Passo della Cisa.
Scendeva lungo l'Appennino emiliano, toccando Piacenza e Asti – città di mercanti e
banchieri – quindi, passando per Torino, che era una piccolissima città in età
medioevale, entrava nella Val di Susa. Superato il Moncenisio, entrava nel
territorio dei Savoia, raggiungeva la Borgogna ed entrava in una zona dove si
svolgevano le fiere più importanti d'Europa, l e f i e r e d e l l a C h a m p a g n e .

Champagne è quella zona della Francia nord – orientale dove appunto si produce l’uva
con cui si fa lo Champagne.
Il conte di Champagne e di Brie aveva creato delle condizioni di sicurezza e un regime
fiscale agevolato per i mercanti d'Europa che volevano frequentare le fiere della sua
contea.
Si sviluppa così un calendario fieristico imperniato su quattro cittadine della Champagne:
Troyes, Bar-sur-Aube, Provin e Lagny.

Lì vi si incontravano mercanti italiani, francesi, ma, più spesso, fiamminghi e c'erano


anche i tedeschi; si scambiavano i prodotti dell'Europa continentale con quelli
dell'area mediterranea.

Gli italiani portavano le spezie, arrivate in Italia dai porti di Genova e Venezia. Le spezie
venivano dall'India o dall'Indonesia: sono delle merci che, praticamente, giravano quasi
per tutto il globo.
Gli italiani compravano soprattutto stoffe di lana, i panni, prodotte nelle città fiamminghe
(Bruges, Genk, Lille, Arras).

Questi panni erano commercializzati con il nome di “panno francesco”, che significa
francese.

283
San Francesco d'Assisi è il primo in assoluto che porta questo nome: il padre torna da un
viaggio di affari in Francia, arriva a casa ad Assisi e trova questo figlio appena nato a cui
la moglie aveva dato il nome di Giovanni, nome comunissimo; il padre, che si chiamava
Pietro, figlio di Bernardone, decise invece di chiamarlo Francesco perché era tornato
dalla Francia con un guadagno notevolissimo.

Questi panni “franceschi” venivano acquistati in Francia benché non fossero


propriamente francesi, ma provenivano dalle Fiandre.

Le fiere della Champagne rappresentano il primo mercato europeo nel senso


odierno del termine, ovvero un mercato che integra le realtà economiche di differenti
paesi: quindi ci voleva un'organizzazione particolare, dei banditori, la polizia di fiera, dei
regolamenti.

Le merci venivano scambiate per circa una settimana, poi bisognava effettuare i
pagamenti quindi ci volevano delle autorità che cooperassero a far rispettare i
contratti. I mercanti si spostavano da una cittadina all'altra.

Ad un certo punto, i mercanti italiani, soprattutto quelli che avevano le compagnie più
importanti ed organizzate, decidono di “saltare” il passaggio delle fiere e di andare a
cercarsi i clienti nelle città dell'Europa nord – occidentale.

Quindi aprono filiali a Londra, Parigi e, soprattutto, a Bruges che è l’emporio mercantile e
finanziario più importante dell'Europa nord – occidentale (oggi è una cittadina di circa
100.000 abitanti, all'epoca ne aveva circa 50.000 ed era, dal punto di vista economico, la
città più importante al nord delle Alpi).
È in questo periodo, tra Duecento e Trecento, che si sviluppano delle tecniche e degli
istituti mercantili –finanziari di grande contabilità (la contabilità odierna si basa su un
metodo nato in Toscana tra Duecento e Trecento).

Così come in questo periodo nascono le compagnie, che ricalcano alcune società
odierne (società in nome collettivo, con i soci responsabili illimitatamente).

284
Siamo in un periodo di grande espansione commerciale e finanziaria. Alcune di queste
società hanno così tanti capitali e un giro d'affari così ampio che possono permettersi di
fare grandi prestiti ai nobili, ma anche ai sovrani (il Papa, il re d'Inghilterra, il re di Francia
e via dicendo) al punto che, all'inizio del Trecento, alcuni di questi sovrani iniziano ad
utilizzare questi banchieri italiani come diplomatici.
Vediamo come funzionano le società mercantili nelle città di mare italiane che, più
precocemente, si erano immesse sulla via dello sviluppo imprenditoriale attraverso due
brevi contratti stesi da un notaio a Genova a metà del XII secolo e a Venezia nel XIII
secolo.
Queste società che si sviluppano nelle città di mare sono caratterizzate da un
principio fondamentale: queste società nascono e si sciolgono sulla base di un viaggio
di affari (si finanzia un'impresa alla partenza della nave e questa impresa viene sciolta al
ritorno della nave – si spartiscono, ove ve ne siano, gli utili).

Ciò significa che il “ritmo” delle società di mare era collegato al “ritmo” della
navigazione che, generalmente, si avvia con la bella stagione e si conclude con
l'avvio della cattiva stagione.

L' esempio genovese è di metà del XII secolo. Siamo di fronte ad una società di mare,
nella quale c'è un socio che non viaggia e mette 2/3 del capitale; ha disponibilità di
risorse, ma non vuole impegnarsi nell'impresa, magari perché svolge un'altra professione
– giudice, notaio, proprietario terriero).

L'altra figura, il mercante – viaggiatore, mette 1/3 del capitale e mette a


disposizione la sua “expertise”.
Al ritorno dal viaggio, gli utili dovevano essere divisi a metà perché chi viaggiava
rischiava la vita, ma ci mette anche il suo lavoro.

Un contratto di societas maris redatto a Genova a metà del XII sec.

Testimoni Bonifacio del Volta, Guglielmo Battifoglia e Oglerio macellaio di Pomar.(intanto c’è l’elenco dei
testimoni che sono indispensabili per dare valore giuridico) Io Stefano correggiario (fabbricante di
cinture) ho ricevuto da te Guidone merciaio, fratello mio (questa è una società tra fratelli), in società lire 5
e soldi 7 contro le quali metto soldi 53 e mezzo [ovvero lire 2 soldi 13 e mezzo] (qui per capire che monete

285
sta usando bisognerebbe ricordare come funzione la moneta dalla riforma di Carlo Magno in poi: per
fare una lira ci vogliono 20 soldi, per fare un soldo ci vogliono 12 denari. Quindi il primo, il socio
finanziatore mette 5 lire e 7 soldi, che si potrebbe dire anche 107 soldi, e l’altro mette 53 soldi e mezzo
e poteva dire lire 2 soldi 13 denari 6. L’importante è che c’è un socio finanziatore che mette 2/3 e un
socio viaggiatore che mette 1/3). Questa società porto in Sardegna per concludere affari e di lì a Genova. TI
profitto e il capitale che in essa ci sarà e che Dio mi concederà metterò in tuo potere e, detratto il capitale,
divideremo a metà. Di mio metto, al di fuori della società, soldi 17 e mezzo che devono fruttare con la
società ed essere miei ... Stipulato a Genova nella casa di Bonifacio del Volta. (vedete che questa società
non ha un tempo prestabilito, è il ritmo della navigazione che determina la durata di questa società
d’affari)

Un contratto di colleganza redatto a Venezia nel 1224

Anno 1224, mese di marzo, Rialto (questo è il luogo fisico dove viene redatto il contratto. Rialto è il
cuore storico della città di Venezia e diventerà ben presto il cuore economico della città di Venezia. Li
nasceranno le banche, li si tratterà il prezzo delle merci. Alla fine del ‘500 Shakespeare nel suo
Mercante di Venezia fa dire a uno dei personaggi “QUALI NOTIZIE DA RIALTO?” che sta al nostro
“QUALI NOTIZIE DA WALL STREET?” cioè quale valore hanno le merci?, quali navi si sa che sono
arrivate?, quali navi stanno partendo?; tutto si tratta in piazza di Rialto)
Per me e per i miei eredi io Michele Emo di San Leonardo dichiaro di avere ricevuto da te Giovanni Badoer
di Santo Stefano, per te e per i tuoi eredi, duecento lire di denari veneziani con i quali dovrò negoziare per
terra e per mare dovunque mi sembrerà bene, secondo la licenza data dal signor doge e dal consiglio per
tutto il tempo da oggi fino al prossimo venturo inverno (qui vedete il riferimento alla licenza, cioè al
regolamento, per quanto riguarda la navigazione promulgato dal doge e dal consiglio cittadino) ... Ed
entro trenta giorni da quando sarò tornato a Venezia, direttamente o per mio messo, dovrò a te Badoer o ad
un tuo agente qui in Rialto tutto il suddetto capitale con tre parti di tutto il guadagno che da lì il Signore ci
avrà dato con giusta ragione e senza frode, trattenendo per me la quarta parte di detto guadagno (in questa
colleganza è un po’ diverso dalla società di mare genovese: il finanziatore mette tutto il capitale e ha
diritto a ¾ degli utili, mentre colui che viaggia non mette alcun capitale ma ha diritto a ¼). La perdita
tuttavia sarà tua nel caso di naufragi. Se non osserverò le cose suddette, allora sarò tenuto, con i miei eredi, a
dare a te, ed ai tuoi eredi, il doppio della somma che hai dato in terre e case (vedete che sono tutte società
legate al ritmo della navigazione)

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Passiamo ora alla descrizione del grande emporio di Bruges, fatta da un mercante
fiorentino della prima metà del Trecento. Questo mercante si chiamava Francesco
Balducci Pegolotti, ed era un fattore (oggi si direbbe manager) della compagnia
fiorentina dei Bardi.

Nella prima metà del Trecento è la compagnia più importante d'Europa: sono
banchieri del Papa, del re d'Inghilterra, del re di Francia, del re di Napoli,... .
Hanno più di venti filiali tra Cipro e Londra. Pegolotti ha diretto le filiali di Cipro,
Anversa e Londra: sa quindi come funziona il mercato in queste città, ma anche nelle
altre perché scambiava una fitta corrispondenza con gli altri direttori di filiale.
Grazie a questo scambio di informazioni, può conoscere anche le città che non ha
visitato di persona.

All'apice della sua carriera, intorno al 1340, scrive un corposo manuale per mercanti,
“La pratica della mercatura”, manuale tecnico con alcune parti descrittive, come
quella relativa alla città di Bruges, il più importante mercato europeo a nord delle
Alpi perché qui hanno sede molte compagnie d'affari italiane.
I due contratti che abbiamo visto prima sono presentati in traduzione dal latino, perché i
notai scrivevano in latino. Pegolotti è un mercante è scrive in volgare.

Bruges nella descrizione fornita dalla Pratica della mercatura di Francesco Pegolotti, manager
della compagnia Bardi (prima metà del XIV secolo)
In Bruggia (come gli italiani chiamavano Bruges) si à (ci sono, qui il verbo avere è utilizzato come
ausiliare) due grandissime magioni a modo di grandissimi palagi (due grandi edifici che sembrano due
palazzi), le quali magioni si appellano "alle" (come l’inglese hall), e nell'una alla si vendono pure panni di
lana interi, e non s'apre se non 3 dì della settimana (una di queste alle è fatta per il mercato all’ingrosso e
quindi si vendono panni interi) cioè 'l mercoledì e 'l venerdì e 'l sabato; e nell'altra alla si vendono panni
lani interi e a taglio (cioè si vendono sia all’ingrosso sia al minuto, cioè al taglio) e a tutte maniere che
l'uomo volesse avere (questo è un francesismo perché Pegolotti a forza di stare in un paese dove si
utilizza il francese, introduce parole e sintassi francese), e tutta la settimana sta aperta ... Il porto di mare
di Bruggia si è alle Schiuse (cioè l’Écluse, oggi questo porto non c’è più perché si è insabbiato
completamente), che è una villa (cioè un villaggio) che è alla marina del mare del porto di Bruggia, ove
tutta la mercatantia si carica e discarica nelle nave o cocche o galee o altri navili (ecco che Pegolotti

287
descrive le principali “famiglie” che caratterizzavano la navigazione nell'epoca basso –
medioevale: navi, cocche e galee.
La galea è, per definizione, la nave commerciale veneziana, stretta e lunga; mossa sia dal vento, con le
vele, sia dai rematori (su una galea ce ne potevano stare 80 – 100). E' molto adatta alla
navigazione mediterranea: l'impiego di rematori consente di entrare e uscire dai porti con maggio
facilità, permette di superare le bonacce del Mediterraneo e di affrontare la pirateria e la guerra con
una certa sicurezza (chi attacca la nave, si prende un grosso rischio perché si trova ad affrontare un
centinaio di persone). Ha come controindicazione una stiva poco capiente: la nave è stretta e lunga,
con un rapporto tra larghezza e lunghezza pari a 1:6 o 1:8.
Per i Veneziani, il poco spazio a disposizione non era rilevante: loro, infatti, trasportavano merci
che occupavano poco spazio ma che avevano un grande valore (spezie, gioielli, profumi, tessuti
di seta,....), per le quali era necessaria la sicurezza garantita dalla forma della nave e dalla
presenza dei rematori.
Cocche e navi sono velieri (non hanno rematori), sono navi panciute (sono chiamate anche navi
“tonde”).
Avevano un rapporto tra lunghezza e larghezza di circa 1:3 e avevano una stiva molto capiente.
Sono molto più adatte alla navigazione in alto mare (atlantica) perché sono in grado di reggere
onde anche molto alte.
Hanno un costo di gestione minore perché i marinai necessari sono circa una dozzina. Erano
particolarmente adatta per trasportare merci ingombranti e voluminose (grano, sale, legname,...). C'è
però il rischio della sicurezza perché queste navi sono difficilmente difendibili. Questo tipo di
imbarcazioni era soprattutto in uso a Genova.
I velieri e le galee italiane, soprattutto genovesi e veneziane, avevano cominciato a raggiungere la
Manica e le Fiandre già dai primi decenni del Duecento.); la quale villa delle Schiuse ene di lunge da
Bruggia 3 leghe di Fiandra, cioè da 9 in l0 miglia. Entra la villa di Schiuse e la villa di Bruggia (tra il porto
dell’Écluse e Bruges) si à una villa che si chiama il Damo (ecco qui un insediamento che prende il nome
da una diga), la quale villa del Damo si è in sun una picciola riviera che va da Bruggia alle Schiuse, per la
quale riviera tutta la mercatantia va e viene per piccoli navili da Bruggia alle Schiuse e dalle Schiuse a
Bruggia; e dalla villa del Damo alla villa di Bruggia si à una lega fiamminga, cioè 3 miglia. I borgesi di
Bruggia possono comperare e vendere nella villa di Bruggia; ma l'altre gente forestiere che non sono
borghese di Bruggia non osano rivendere in Bruggia nulla mercatantia che comperato avessero in Bruggia
sotto pena di lire 5 di grossi tornesi d'argento per ogni volta, e alla terza volta sono sbanditi e chi è sbandito
di Bruggia si è sbandito di tutta la Fiandra.

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Anche i trasporti via mare conosceranno una vera e propria rivoluzione nel corso del XIII
secolo. I cambiamenti che modificano il tipo di imbarcazione, ma anche il ritmo stesso
della navigazione sono:
l'introduzione della vela latina (vela orientabile, posta a poppa) che permette di
navigare anche controvento;
l'introduzione, tra XII e XIII secolo, dell'uso della bussola che, con l'indicazione
del Nord con un ago magnetico, permette di navigare in mare aperto, cioè senza
avere a vista la terra.

Prima dell'introduzione della bussola, era praticamente obbligatorio, o guardare gli astri o
effettuare una navigazione di cabotaggio, cioè navigare avendo sempre a vista la terra.

Grazie al cabotaggio, i Pisani sono arrivati in Sardegna prima degli altri: se guardate un
atlante vi renderete conto che solo partendo dal porto pisano si può arrivare in Sardegna
avendo sempre a vista la terra, perché se partite da Palermo da Genova si deve navigare
in mare aperto. Invece partendo dal porto pisano si vedono tutte le isole dell’arcipelago
toscano, attaccata c’è la Corsica, si scende lungo la Corsica e si arriva in Sardegna.

A partire dal Duecento, si cominciano a produrre manuali per marinari (i cosiddetti


“portolani”, manuali in cui si descrivevano le caratteristiche principali dei porti: si entra
da nord, si entra da est e via dicendo) e le prime carte nautiche; i cartografi più capaci,
nell'epoca basso – medioevale, sono i maiorchini, ovvero gli abitanti dell'isola di Maiorca,
che faceva parte della Corona di Aragona.
Molti trasporti avvenivano sempre per vie d'acqua, utilizzando i grandi fiumi d’Europa (Po,
Rodano, Senna, Reno, Ebro, Tamigi, …).

Spesso le merci venivano trasportate attraverso vettori molteplici (arrivavano con la


nave, poi vengono trasportate su una chiatta e risalgono il corso del fiume, per un
breve periodo vengono messe sul dorso di un mulo, poi fanno un altro tratto sul fiume e
via dicendo).

Con la rivoluzione commerciale circolavano sempre i beni di lusso, che circolavano in


maniera molto più ridotta nell’alto medioevo.

289
Le merci che circolavano di più erano le spezie: la cucina medievale è una cucina
speziata in un modo che a noi oggi troveremo disgustoso.
La cucina basso medievale era una cucina che prevedeva la commistione di sapori
diversi, una cultura alimentare diversa.
E quando si parla di cultura alimentare si ci riferisce ai ceti ricchi perché i poveri
mangiavano pane e cipolla o polente fatte con cereali minori e poco altro.
Però nei ceti elevati le spezie venivano utilizzare tantissimo, soprattutto era molto diffuso
il contrasto tra il piccante lo speziato e il dolce, il cosiddetto “dolceforte”; un rimasuglio
medievale di questa cucina è il panforte di Siena.
Il panforte di Siena mescola lo speziato con il dolce, il piccante con il dolce; questo è un
fossile della cucina medievale.
Le spezie venivano utilizzate anche nella farmacopea, cioè per produrre confetti
farmaceutici e via dicendo.
Le spezie circolavano in tutta Europa e Venezia era la città dove venivano
commercializzate di più in assoluto; le spezie dei Veneziani erano comprate soprattutto
dai tedeschi, che pagavano con monete d'argento, perché venivano da zone d’Europa
dove c’’erano molte miniere d’argento.
Ancora oggi, a Venezia, c'è un edificio cinquecentesco (che è l’ufficio centrale delle poste
di Venezia, di fronte al Ponte di Rialto) che si chiamava “Fontego dei mercanti
todeschi” (grande magazzino dei mercanti tedeschi), dove alloggiavano, mangiavano,
commerciavano: non potevano andare in giro per la città perché i veneziani glielo
proibivano e così erano costretti a vendere l'argento al prezzo voluto dai Veneziani che in
cambio gli davano le spezie.

Circolavano anche molte derrate alimentari in una misura sconosciuta nell’alto


medioevo: molte città medie e grandi (Venezia, Genova, Firenze...) hanno bisogno di
importare, soprattutto grano, da fuori.
Più le città sono grandi, più hanno necessità di mettere in piedi degli “uffici annonari”,
cioè uffici cittadini che cercano, attraverso incentivi, di invogliare i mercanti ad importare
nella città il grano che viene da fuori.

Così, in queste città, si mangia pane fatto con il grano proveniente dalla Sicilia, dalla
Sardegna, dalla Provenza,... soprattutto quando il prezzo del grano locale è altissimo e
c'è carestia.(43.00)
290
Circolava il sale, merce strategica perché serve per conservare i cibi. Circola per tutta
Europa partendo da alcune aree in cui si produce questo tipo di prodottto : Comacchio,
Puglia settentrionale (Manfredonia), Sardegna (Cagliari), Ibiza, Portogallo,... .
Comincia a circolare anche il vino, soprattutto vini molto speziati (il cosiddetto “vino
greco”, prodotto nell'Italia meridionale).
Circola anche tanto vino dalla Francia sud – occidentale ed esportato in Inghilterra: per
secoli, per tradizione, i nobili inglesi – molti dei quali di origine francese – hanno bevuto
vino della Francia.
Circolano anche tutta una serie di materie prime collegate alle nascenti manifatture
urbane: lana grezza, seta grezza, sostanze coloranti, cotone, allume,... .
La lana circolava in direzione di quelle città che hanno manifatture votate all'esportazione;
in molte zone d'Europa esistono manifatture “a domicilio” (ognuno si produce tessuti e
vesti a casa sua).
Le lane più pregiate si trovavano in Inghilterra e venivano vendute soprattutto ai produttori
fiamminghi.

Poi cominciarono ad essere acquistate anche dai mercanti italiani, quando in Italia si
cominciarono a produrre tessuti ad imitazione di quelli fiamminghi. Altre zone di
produzione di lana sono la penisola iberica e la Russia.

Circolava anche il cotone, che proveniva, in larga parte, da paesi islamici (Siria,
Egitto,...) ma che, ad un certo punto, si cominciò a importare anche dalla Sicilia.

Il cotone veniva lavorato in tutta l'Europa mediterranea e non solo mediterranea, ma le


zone in cui si produceva più massicciamente e con scopo di esportazione erano le città
dell'Italia settentrionale (Milano, Cremona, Piacenza, Bologna,....) e la Germania
meridionale (Augsburg, Ulm, Ratisbona e via dicendo).
In queste due zone si producevano i fustagni, cioè tessuti fatti con l'ordito di lino o canapa
e la trama di cotone.
Un'altra industria tessile, molto più di lusso, era quella della seta; la manifattura della seta
non esisteva nell'antichità classica europea. La lavorazione della seta nasce in Cina, poi
si sposta in Persia; gli Arabi e i Bizantini l'apprendono dalla Persia e così noi troviamo le
prime piantagioni di gelsi, nell'Alto Medioevo, in Andalusia, Sicilia, Grecia e via dicendo.

291
Il gelso serve a produrre la foglia con cui il baco si alimenta esclusivamente; il baco
produce il filo e si avvolge lungo esso.
Bisogna quindi dipanare (prima uccidere il baco, quindi separarlo dal filo), eseguire
l'operazione della “trattura”, da cui si ottengono le matasse, quindi, attraverso una serie di
operazioni, si arriva al tessuto.
Queste manifatture, fino al XII secolo, erano estranee all'Europa occidentale: la
produzione di seta avveniva nelle zone dell'Impero Bizantino e nel Mediterraneo
islamico (ad esempio, le grandi città dell'Andalusia islamica, come Cordova, Siviglia,
Granada,....). Sia i centri manifatturieri bizantini che quelli dell'Andalusia islamica
praticamente scomparvero con il sacco di Costantinopoli e la spartizione dell’impero nel
1204 e con la Reconquista spagnola dei regni cristiani a scapito degli stati islamici nella
Spagna meridionale.
Dalla fine del XII secolo in poi si afferma come polo serico per eccellenza,
praticamente unico in tutta Europa, la città di Lucca. Lucca ha prodotto stoffe di seta,
quasi esclusivamente, in tutta Europa, dalla fine del XII sino ai primi decenni del XIV
secolo.

I lucchesi vendevano stoffe di seta al re di Inghilterra, al re di Castiglia, al re di Aragona,


al re di Francia, ai Papi e via dicendo (alcuni pezzi di questi tessuti si possono vedere in
alcuni musei, come il Victoria and Albert Museum di Londra).
Vi erano coloranti di vario tipo, più o meno costosi: robbia, guado, oricello, verzino, grana,
kermes.
Quest'ultimo era molto costoso e ci si facevano i tessuti di un rosso molto
acceso. Il guado produceva un colore tra il celeste e il blu scuro, a seconda della
quantità di polvere utilizzata.
Per fissare i colori sui tessuti ed evitare che svanissero dopo i lavaggi, era noto all'epoca
un solo mordente: l'allume, costituito dalla polvere di un minerale.
A lungo, i giacimenti noti più importanti si trovavano nelle terre dell'Impero Bizantino,
tanto che, nel corso del Trecento, quando queste terre finirono in mano ai turchi furono
costretti a comprare l'allume dagli infedeli.
Fino a che alla fine del Medioevo, negli anni Sessanta del Quattrocento, si scoprirono
giacimenti di allume sui monti della Tolfa, che sono quelle colline vicino a Civitavecchia,
dove infatti ancora oggi c’è un villaggio che si chiama Allumiere perché estraevano
l’allume.
292
Potete immaginare l’entusiasmo che pervase la Curia pontificia quando si scoprirono
queste miniere: intravedevano la possibilità di organizzare le Crociate contro i turchi
grazie ai proventi dell'allume e il Papa proibì a tutti gli europei di comprare allume diverso
da quello pontificio perché era una missione divina comprare l’allume dalla camera
apostolica.
Circolavano anche il cuoio, le pelli e vari prodotti finiti, in primo luogo panni di lana.
I panni di lana per eccellenza, cioè quelli più costosi e rinomati, fino all'inizio del
Trecento, si producevano nelle città fiamminghe; poi, dall'inizio del Trecento, in alcune
città italiane si cominciò ad imitare i tessuti fiamminghi, producendo tessuti con lana
inglese.
Circolavano tantissimo anche i metalli, preziosi e non.
L'oro era estremamente raro nell'Europa occidentale dell'Alto Medioevo e torna ad
affluire in Occidente nel Basso Medioevo, man mano che procede la rivoluzione
commerciale, soprattutto tramite scambi commerciali tra nord e sud del Mediterraneo,
ma anche tra est e
ovest.
Si scoprono anche
nuove miniere nel cuore
dell'Europa ( ad
esempio, la miniera di
Kutnà Hora che è tra la
Boemia e la Slovacchia,
da cui proviene buona
parte dell'oro, ma anche
dalle regioni
balcaniche). Gran parte
dell'oro continua a
venire dal mondo
islamico e dall'Oriente bizantino. Circolava tantissimo argento: l'Europa era ricca di
miniere d'argento, soprattutto nell'area tedesca e nei Balcani; nel Mediterraneo, il
giacimento più importante è quello del Sulcis, nella zona di Iglesias (originariamente
“Villa di Chiesa”)
Questo è originariamente un villaggio minerario messo in piedi dal conte Ugolino, cioè
dalla famiglia dei Della Gherardesca.
293
Questi Della Gherardesca, prima di arrivare in Sardegna e mettere insieme villaggi
minerari, avevano già creato dei villaggi minerari, nel contado meridionale di Pisa, che è
la zona di origine della famiglia; la zona di origine della famiglia dove c’è il paese che si
chiama Donoratico, perché Della Gherardesca o Donoratico.
Sulla scorta di questa esperienza pregressa, quando i Donoratico, giunti in Sardegna
per motivi commerciali, si accorgono della presenza di miniere di piombo argentifero,
perché l’argento si fa col piombo, cominciano a creare villaggi minerari: uno di questi
diventerà una città, avrà addirittura la caratura vescovile, ovvero Villa di Chiesa da cui
Iglesias.
Nello statuto più antico di Villa di Chiesa, risalente all'inizio del Trecento e redatto in
volgare pisano, compaiono delle maestranze che hanno un nome di origine
tedesca: sono soprattutto i guelchi che sono i fonditori di vena di ferro; quelli che
prendono i blocchi minerari e li portano a far fondere per separare il metallo prezioso da
tutto il resto.
Questo termine guelco ha un’origine tedesca e qualcuno ha ipotizzato che i Donoratico
avessero fatto arrivare dei tecnici dalle aree tedesche.
Uno storico di origine anglosassone, che ha scritto molti saggi sulla Sardegna medievale,
cioè John Day, ha ipotizzato che il 5% dell'argento estratto in Europa tra Duecento e
Trecento provenisse dalla Sardegna.
Questi giacimenti passarono sotto il controllo del Comune di Pisa e poi della Corona di
Aragona.
Anche il ferro circolava tantissimo perché, nel Basso Medioevo, è utilizzato in quantità
maggiori, rispetto a tempi precedenti, per la produzione di oggetti, come il vomere,
utilizzato dai contadini, le armi, le armature sempre più complesse che caratterizzano la
guerra del basso medioevo.
Nel Mediterraneo il giacimento più importante è quello dell'Isola d'Elba. Le acciaierie
italiane hanno il nome Ilva perché questo era il nome latino dell’Isola d’Elba dove per
secoli si è estratto il ferro.
Un'altra merce era rappresentata dalle persone, cioè gli schiavi. La schiavitù, nel senso
classico del termine ovvero una persona considerata alla stregua di una cosa o di
un animale, era andata scomparendo nei secoli alto – medioevali.
C'erano i servi che, però, erano in condizione diversa rispetto agli schiavi: hanno alcune
libertà e delle limitazioni relativamente al fondo che coltivavano (non si possono
allontanare).
294
Nel momento in cui molti servi riacquistarono la libertà, rinacque la schiavitù antica, ma
con alcune specifiche volute dalla Chiesa: non si può acquistare uno schiavo di religione
cristiana.
Gli schiavi comprati dai mercanti italiani provenivano quindi da zone non
cristianizzate: i mercanti Genovesi e Veneziani, che erano quelli che si muovono
maggiormente sul mercato, acquistavano gli schiavi generalmente nel Mar Nero
(soprattutto nelle cittadelle coloniali create nel bacino settentrionale del Mar Nero – come
Caffa in Crimea – oppure sul Mar d'Azov).
Questi schiavi erano tartari, circassi, turchi, russi non battezzati,... cioè popolazioni
estranee alla cristianità, sia occidentale che orientale.
Per la verità, i mercanti facevano spesso “i furbi” e riducevano in schiavitù anche gli
slavi dei Balcani, che non sarebbero propriamente estranei alla cristianità (si arriva così
alla parola “sclavus”, che significa slavo, da cui la parola “ciao” che sarebbe “schiavo”
detto in veneziano, utilizzato come saluto, inteso come “schiavo vostro”).
Tutta questa crescita dell'attività commerciale si riverbera anche sulla moneta, sia
circolante che di conto.
Dall'età di Carlo Magno in poi, nell'Occidente cristiano, si coniavano soltanto i denari. A
partire dall'età carolingia, la moneta viene continuamente deprezzata attraverso due
sistemi: si diminuisce il peso o si diminuisce la lega oppure entrambe le cose insieme.
Si cominciano a mettere in circolazione monete che hanno lo stesso nome (cioè lo stesso
valore nominale), ma che hanno meno argento perché c'è necessità di circolante, perché
le attività commerciali crescono, ma lo “stock” metallico non è sufficiente per battere tutte
le monete che servirebbero.
Allora si coniano sempre più monete con un valore più modesto: si produce così
inflazione e i prezzi salgono.
Ad un certo punto, i Veneziani si trovano con “casse” di monetine perché, man mano
che la moneta veniva svilita, se ne riducevano le dimensioni.
Per i Veneziani, utilizzare queste monete di dimensioni insignificanti era molto complicato
e avevano deciso di portare sulle galee piastre, barre, lingotti d’argento.
Decisero quindi di coniare una moneta forte che servisse per il commercio: così, all'inizio
del Trecento, i Veneziani coniano il “denarius grossus”.
Il denaro di ridotte dimensioni viene indicato come “ denarius parius”, denaro piccolo –
da cui la nostra parola spicciolo, quelli che servono per le spese minute.

295
Ad un certo punto, i “grossi” d'argento non bastano più e ci vuole una moneta più forte: a
Firenze, nel 1252, si decide di coniare il fiorino d'oro, moneta che pesava 3 grammi e
mezzo.
La moneta segue le grandi trasformazioni, la crescita delle attività mercantili e finanziarie.
Nell'ambito di questo grande sviluppo c'è una figura nuova nel panorama sociale: il
mercante, l'uomo d'affari.

È un innovatore della società medioevale che porta valori ed un'etica che sono diversi
dall'etica prevalente nella società del tempo, è un etica che è molto differente da quella
presente nella società trinitaria di cui abbiamo parlato.
È una figura nuova che si afferma solo in alcuni contesti europei. Non ha mai
“attecchito” veramente, non riuscendo ad avere prestigio e un ruolo in Francia o
in Inghilterra dove l'etica cavalleresca – aristocratica ha sempre avuto la meglio nel basso
medioevo, ma si sviluppa a Genova, Venezia, Firenze, dove sono i mercanti a detenere il
potere, con forme completamente diverse.

La nobiltà veneziana, che è durata fino alla fine del Settecento, era costituita da
mercanti.

Dante, nella Divina Commedia, “se la prende” con i suoi concittadini per tutta una serie di
motivi. Lui ha il dente avvelenato perché era stato esiliato, quindi ce l’ha con la fazione
che lo ha espulso e con il papa che ha fatto pressione su quella fazione perché venisse
espulso.
Ma siccome lui era un conservatore, ce l’ha anche con la sua città, perché in questa
città tutti si occupano di affari. E a un certo punto con disprezzo, che è tipico della piccola
aristocrazia terriera a cui apparteneva, si scaglia contro la “gente nova”, ovvero i nuovi
ricchi che guadagnavano molti soldi.

L'etica mercantile si trova nel Decameron, le cui novelle hanno come sfondo il mondo
mercantile italiano ( la prima novella è ambientata in Francia e narra di un agente che va
a riscuotere in Borgogna per conto del banchiere fiorentino del re di Francia).
Boccaccio si sposta a Napoli perché il padre era direttore della filiale napoletana della
Compagnia dei Bardi, banchieri degli Angiò, re di Napoli.

296
I mercanti fiorentini avevano finanziato la conquista angioina dell'Italia meridionale quindi
avevano poi beneficiato di esenzioni fiscali, controllo della zecca,... .
Boccaccio seguì il padre perché avrebbe dovuto imparare ad essere un buon mercante
ed, eventualmente, un buon direttore di azienda.
Poi però scoprì la bella vita napoletana, le gentil donne napoletane, la vita di corte.
Queste due tradizioni si trovano “fuse” nel Decameron: la tradizione mercantile –
borghese fiorentina e la tradizione aristocratica cavalleresca angioina.
I mercanti creano società d'affari. Sono loro che hanno dato il nome ad alcune vie
delle città europee: a Parigi, nel quartiere delle Halles, c'è ancora una piccola via che si
chiama “rue des Lombards”, ovvero la via dei mercanti italiani; analogamente, ancora
oggi, nella City di Londra c'è una via che si chiama “Lombard Street” ovvero la via dei
banchieri italiani.

Questi uomini d'affari hanno cambiato anche la cultura. Influenzano la formazione delle
persone, fondamentale anche per lo sviluppo economico.
I mercanti italiani avevano capacità che altri non avevano dal punto di vista tecnico,
mercantile e culturale (Pegolotti parlava la langue d'oil, indispensabile per guidare le filiali
all'estero).
I mercanti devono anche controllare i loro conti per verificare se stavano guadagnando:
sono proprio i mercanti che, in alcune città, creano delle scuole private che però erano
aperte a tutti quelli che se lo potevano permettere.

Il cronista fiorentino Giovanni Villani ci racconta, nella prima metà del Trecento, che in
una città di circa centomila abitanti, diecimila tra bambini e bambine andavano a scuola
per imparare a leggere e scrivere: ciò significa che a Firenze, nel Trecento, i livelli di
alfabetizzazione erano superiori a quelli dell'inizio del Quattrocento.
Lo sviluppo mercantile rende indispensabile l'alfabetizzazione, elementare e secondaria:
vengono create delle “scuole d'abaco” per insegnare la gestione della contabilità.
Per la gestione della contabilità è necessario avere un sistema di numeri adatto: all'epoca
venivano utilizzati i numeri romani, molto complicati da usare in questo settore.
Colui che introdusse in Europa dei numeri con cui poter gestire la contabilità in modo più
semplice fu Leonardo Fibonacci.

297
Figlio di un mercante pisano, Fibonacci trascorre l'infanzia in Algeria in quanto il padre,
alla fine del XII secolo, è scrivano del governo della città in cui i Pisani avevano
magazzini e vari interessi economici.
Leonardo quindi va a scuola dai maestri arabi che gli insegnano i numeri “indiani”, cioè
quelli che noi chiamiamo numeri arabi.
Quando torna a Pisa, scrive il primo trattato di matematica del Medioevo occidentale,
introducendo lo “zero” che è cifra fondamentale per compiere le operazioni.
Noi ora vediamo brevemente il prologo di questo “Liber Abbaci”, cioè questo libro di
aritmetica, scritto all’inizio del XIII secolo.

Dal Liber Abbaci del pisano Leonardo Fibonacci (1202)

Essendo mio padre stato nominato dalla patria [il comune di Pisa] pubblico scriba per i mercanti pisani
nella dogana di Bugia [oggi in Algeria], quando io ancora ero bambino mi fece andare presso di sé, in vista
dell'utilità e dei vantaggi futuri, e volle che io lì mi trattenessi per un certo tempo e che vi fossi istruito. Là
introdotto, con magistero mirabile, nell'arte delle nuove figure [cioè cifre] degli indiani (perché in realtà
quelli che noi chiamiamo numeri arabi sono numeri indiani), la scienza di quell'arte tanto più delle altre
mi piacque e mi rivolse ad essa con intelletto; poi, tutto ciò che intorno ad essa si studiava nei suoi vari
modi in Egitto, Siria, Grecia,Sicilia e Provenza, nelle quali regioni commerciali ebbi modo di viaggiare,
appresi per mezzo dello studio e della disputa. Così abbracciando più strettamente lo stesso metodo degli
indiani, e più attentamente studiandolo, aggiungendo qualcosa di mio e qualcosa anche apportando delle
sottigliezze dell'arte geometrica di Euc1ide, l'insieme di questo libro, quanto più chiaramente potei, in XV
capitoli mi affaticai a comporre, dimostrando con prove certe quasi tutto ciò che vi inserii, affinché fuori,
secondo questo metodo più perfetto degli altri, si istruiscano con desiderio in questa scienza, in particolare
la gente latina fino ad ora del tutto priva di quella (quando si parla di superiorità alto medievale della
civiltà islamica rispetto a quella latina si intendono cose concrete, saper di matematica, per esempio).

La rivoluzione commerciale comporta una grande rivoluzione culturale. Non è un caso se


la letteratura italiana del Duecento e del Trecento è soprattutto toscana; quella letteratura
è in volgare perché li, non solo c’era una cultura diffusa, ma c’era l’uso del volgare per
scopi pratici che altrove non c’era.
Quelli che si impegnano in attività mercantile provengono spesso dalle stesse famiglie da
dove provengono i poeti (Dino Frescobaldi , uno degli amici di Dante, appartiene ad una
famiglia che aveva una banca in Inghilterra).
Lo sviluppo dell'attività mercantile va di pari passo con lo sviluppo delle manifatture,
soprattutto tessili.

298
Nelle città più sviluppate, si sviluppa un tipo di organizzazione produttiva gestita dal
mercante e che, per ironia della storia, sta tornando oggi. Questo tipo di organizzazione è
stata definita “manifattura decentrata” (putting out system).
Il mercante acquista la materia prima (ad esempio, la lana) e la porta nella sua bottega, la
sua grande bottega, dove c’è un bel magazzino dove lavorano alcuni salariati che la
lavorano (in modo pressoché analogo agli operai). Il mercante ha poi dei fattorini che
prelevano la lana trattata, la portano a filare (spesso a casa di tessitori o contadini, dove
lavorano le mogli) e la riportano a bottega. Il fattorino trasporta il prodotto nelle varie fasi
produttive: deve portare il filato all'orditore, quindi a casa del tessitore, poi lo si fa tingere,
lo si porta alla gualchiera per farlo battere ed infeltrire, poi lo si porta dallo stiratore. Quasi
tutte le fasi lavorative non si svolgono nella bottega, ma a casa degli artigiani, in
piccoli opifici azionati ad acqua: questo è il motivo per cui si parla di manifattura
decentrata.
Oggi questo sistema sta tornando, in contrapposizione al mito della fabbrica fordista,
complesso industriale dove si fa tutto. La cellula del lavoro è costituita dalla bottega.
Questo tipo di organizzazione vale soprattutto per la manifattura tessile.
Ci sono poi altre produzioni manifatturiere: molte botteghe in Lombardia producevano
armi, armature e tutta una serie di oggetti utilizzati per la guerra.
Le botteghe degli armaioli milanesi avranno vita lunghissima (compaiono ancora nel Don
Chisciotte di Cervantes, alla fine del Cinquecento e inizi del Seicento).
Ancora oggi, nelle vallate bresciane e bergamasche si producono armi: questa è
un'industria millenari perché, nelle Alpi Orobie, tra la Pianura Padana e la Valtellina, ci
sono grandi giacimenti di minerali ferrosi utilizzati per secoli per produrre oggetti in
metallo e armi.
Un'altra importante manifattura medioevale che si sviluppò in Italia a partire dal
Duecento è quella della carta.
In precedenza si utilizzava la pergamena, che però è costosa: ad un certo punto, la
necessità di scrivere cresce notevolmente in seguito alla rivoluzione commerciale.
È necessario pertanto trovare un materiale più economico e così nasce la manifattura
della carta.
Questa si produce con gli stracci, buttati in un enorme catino insieme ad urina di
animali: si crea una “miscela” che viene pestata, fino a creare una sorta di “pappa”.
Dopo arriva il mastro cartaio, con dei setacci, la lavora fino ad ottenere degli fogli.

299
Nasce così l'industria di Fabriano, la prima città “cartiera” dell'Europa basso –
medioevale.
Ancora oggi se volete fare un disegno usate la carte Fabriano, quindi ancora oggi vi
servite di un prodotto di origine medievale.

300
DODICESIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
GIOVEDI’ 23.10.2014 ORE: 12,00 - 14,00

Assistiamo ad una disintegrazione dell'ordinamento pubblico nell'età post-carolingia.

La ricomposizione di un quadro politico più o meno unitario avviene nell'Europa del Basso
Medioevo attraverso la forma politica della monarchia.

Così avverrà in Francia, in Inghilterra, nella Penisola Iberica, nell'Italia meridionale, in


Ungheria, in Polonia, e via dicendo…

Dov'è che invece non avviene una ricomposizione politica di forma monarchica?

Nell'Italia centro-settentrionale, dove la ricomposizione politica avviene principalmente per


iniziativa di Città-Stato.

Lo Stato, a lungo, sarà limitato a un territorio ristretto controllato da una città e solo tra il
'300 e '400, in quest'area dell'Europa, avremo degli Stati a dimensione regionale.

Quindi la storia dell'Italia, come in parte anche quella della Germania,


sarà caratterizzata da frammentazione politica fino quasi all'età
contemporanea.

La storia dell'Italia è una storia “sui generis”, infatti solo in questa parte d'Europa le città
hanno conosciuto non solo un'espansione economica, ma hanno conservato ed ampliato
una funzione politica che avevano anche nell'Alto Medioevo.

Il fenomeno comunale non è, formalmente parlando, un prerogativa esclusiva


dell'Italia da Roma in su.

Troviamo fenomeni comunali anche in altre parti d'Europa, ma con una portata assai più
limitata in quanto, qualsiasi governo auto-cittadino doveva fare i conti con un potere
superiore come quello del re.

Inoltre, altrove, le città sono più piccole, meno forti da un punto di vista commerciale,
finanziario e demografico.

Le città italiane del centro-nord sono infatti le città più grandi d'Europa.

301
L'articolazione sociale di queste città è molto complessa, e questa complessità non la
troviamo nelle altre città d'Europa.

Cosa si intende per articolazione sociale complessa?

Si intende un quadro urbano in cui sono presenti soggetti compositi come per esempio:
piccoli proprietari terrieri, artigiani, grandi proprietari terrieri, talvolta anche un ceto di
vassalli del vescovo.

Abbiamo quindi una pluralità di soggetti sociali, economici e politici: aristocratici,


cavalieri, mercanti, che invece non troviamo nel resto delle città europee, anche
nelle grandi e floride città fiamminghe o germaniche, sebbene importanti dal punto
di vista commerciale. In queste ultime non troviamo cavalieri o aristocratici.

Questo spiega perchè solo in quest'area d’Europa si siano formate delle


città- stato, cioè dei centri urbani che hanno contemporaneamente una
notevole forza di attrazione nel campo economico e sul piano politico e
culturale.

L'unica area d’Europa che per molti aspetti assomiglia all’Italia centro-settentrionale è
l'area che gravita intorno alla Provenza, cioè la regione del sud-est della Francia, a sinistra
del corso meridionale del Rodano (per esempio Marsiglia, Aix en Provance).

Non a caso la Provenza fino alla metà del XIII secolo ha fatto parte dell'impero, quindi da
un punto di vista della cornice politica generale era assimilabile all'Italia Settentrionale.

Avverrà poi che questa porzione del sacro romano impero verrà acquisita dal
fratello del re di Francia Carlo d'Angiò e quindi la Provenza verrà assimilata dal
modello monarchico feudale di tipo francese.

Come si arriva al fenomeno della città-stato istituzionalmente e


socialmente?

Si tenga presente il quadro di riferimento: l’Italia centro-settentrionale è un


regno che fa parte del Sacro Romano Impero, ha una sua capitale, Pavia, che per altro
vede il Palazzo Regio incendiato nell'anno 1024 (evidentemente i cittadini di Pavia non
erano tanto contenti dell'amministrazione regia e quindi imperiale).

302
Questa zona dell'impero è una delle più frammentate politicamente: nelle campagne
si sono formate le signorie ecclesiastiche e laiche, in città il potere è in larga parte
nelle mani del vescovo, che possiede un ingente patrimonio fondiario nelle
campagne.

Il Comitatus di tradizione Carolingia vede un groviglio di diritti signorili


e patrimoniali.

In città in gran parte governa il Vescovo, ma con l'ausilio indispensabile di un


nucleo ristretto della cittadinanza, costituito da milites, combattenti a cavallo,
che impiegano la maggior parte delle loro risorse, dovute all'esercizio della guerra e del
saccheggio in un possesso di terre nel comitatus.

Già all'inizio dell'XI° secolo, quindi, la città ha una proiezione extra muraria per via delle
proprietà fondiarie del Vescovo e del ceto dei cavalieri.

L'XI° secolo è un periodo di grande turbolenza nelle città, determinata in


buona parte dalla lotta per le investiture.

Ci sono Vescovi aspramente criticati e poi allontanati dalla fazione vincente di una
città.

Il Vescovo che spesso ha contemporaneamente potere temporale e


spirituale, messo in discussione perchè magari simoniaco, quindi per
motivi legati all'aspetto spirituale, mette in crisi l'ordinamento pubblico
sconvolgendo l'assetto sociale e politico della città.

Così, ad un certo punto, di fronte alla turbolenza continua della vita pubblica di
queste città, soprattutto nella seconda metà dell’ XI° secolo, alcuni centri urbani
decidono di proporre una soluzione alternativa al governo del Vescovo.

Tutte queste città procedono in ordine sparso, il fenomeno non si


diffonde in maniera ordinata.

Bisogna pensare a fasi di sperimentazione ed estemporanee.


303
Come si fa a dire se in una città è nato o no un Comune?

La spia è rappresentata dal sorgere di una magistratura collegiale: il


consolato.

Questo termine chiaramente è una ripresa di un termine antico, che riporta alla repubblica
romana.

La città che ha i primi consoli attestati è Pisa, nei primissimi anni 80 dell'XI secolo.
Altre città se li creano negli anni 90, altre dovranno aspettare i primi decenni del XII°
secolo.

Laddove il fenomeno comunale arriva un po' più tardi, per esempio in area umbra e
marchigiana il consolato verrà attestato per la prima volta alla fine del XII° secolo.

II fenomeno quindi non è uniforme.

Il fatto che i consoli siano attestati per la prima volta in un certo anno
non significa necessariamente che i consoli ci fossero anche l'anno
successivo e quello dopo ancora; dobbiamo immaginare questi primi
decenni di esistenza del consolato come anni di sperimentazione.

Il consolato è pensato inizialmente come una magistratura che deve servire a


gestire le emergenze come la guerra o la stesura di un trattato.

Infatti troviamo l'attestazione dei primi consoli proprio in documenti che riguardano fatti
importanti della storia cittadina. Uno dei primissimi documenti in cui vengono attestati
i consoli a vita è appunto un trattato politico commerciale tra la città di Pisa e il
giudice del Logudoro.

La città nomina i consoli per stendere il trattato, quindi inizialmente vengono nominati per
motivi eccezionali.

Col passare del tempo invece diventa la magistratura ufficiale con cui la
città stato si autogestisce.

Si tratta di una magistratura collegiale: non abbiamo mai un solo console, abbiamo più
consoli che generalmente sono in numero pari, come minimo quattro, ma più spesso sei,
304
otto...alcune città arriveranno a nominare anche venti consoli.

Questo perchè la tradizione passata aveva insegnato che la carica tende ad essere
inglobata da una famiglia in particolare.

Che questo volesse essere evitato possiamo comprenderlo anche dalla durata della
carica di console: sei mesi e al massimo un anno, quindi ci doveva essere una
rapida rotazione.

Questi consoli avevano potere di legiferare, di far applicare il diritto, di acquistare la


giustizia, come i tipici funzionari dello Stato.
Da quale ceto provenivano questi consoli?
Provenivano in larghissima parte dal ceto dei milites cittadini, quindi da un punto di
vista dell'estrazione cetuale questi consoli non rappresentano una soluzione di mobilità
rispetto al passato.
Da un punto di vista sociale non c'è un gran cambiamento, ma da un punto di vista
istituzionale si: non governa più il Vescovo, o almeno non solo il Vescovo,

ma questi consoli che provengono quasi tutti dalla milizia.


Si propongono però di rappresentare tutta la città, infatti sono detti “consules
civitatis” e quando entrano in carica devono giurare fedeltà alle consuetudini urbane, di
portare avanti un programma e via dicendo...

All'epoca non c'era un palazzo che rappresentasse il potere laico.

Generalmente i consoli si riuniscono nel palazzo vescovile, quindi il passaggio del


testimone politico è molto evidente, per questo si parla di coabitazione di poteri.

Il Vescovo mantiene a lungo il ruolo di rappresentante della città all'estero, svolge


quasi la funzione dell'odierno ministro degli esteri.

Generalmente i consoli giurano, di fronte a un'assemblea molto


numerosa di cittadini che si tiene di fronte alla Cattedrale.

305
Ha il diritto di partecipare all'assemblea qualunque cittadino maschio in
grado di portare le armi, che sia in regola con il pagamento delle tasse
e che però deve dimostrare di risiedere in città da un certo numero di
anni, quindi non tutti coloro che vivono in città possono partecipare al
Parlamentum.
In quella occasione i consoli fanno un breve giuramento ed il Parlamento giura fedeltà ai
consoli che entrano in carica.
Il meccanismo di reclutamento è generalmente un meccanismo di cooptazione, cioè coloro
che lasciano la carica scelgono i loro successori, perciò c'è una fetta consistente di
cittadinazna che ricopre una carica pubblica.

Fin quasi dall'inizio le città, soprattutto quelle più importanti, hanno una vocazione ad
espandere la propria giurisdizione verso le campagna, non genericamente parlando, ma
verso il limite dell'antico Comitatus perchè le città si propongono come eredi dei Conti di
tradizione carolingia e pertanto il comitatus era un'area di loro pertinenza.

Questa espansione motivata da una tradizione politica è anche motivata da motivi


economici.
Abbiamo una proiezione tra città e campagna che diventa più efficace quando la città
diventa una sorta di magnete che attira immigrati dalle campagne, da dove arrivano non
solo contadini nullatenenti, ma anche piccoli e medi proprietari terrieri.

Questi comuni nel periodo cosiddetto consolare, nel XII secolo, hanno avuto un grosso
problema: mantenere la loro patronimia politica con quella che era l'autorità politica
superiore, cioè l'Impero.
Infatti, in punta di diritto , guardando il fenomeno in un'ottica moderna, i Comuni
sono degli enti pubblici abusivi, perchè amministrano la giustizia, coniano anche
monete, esercitano poteri di natura militare senza una delega da parte
dell'Imperatore.

Tutto procede senza intoppi finché sale sul trono un Imperatore che ha un disegno politico
molto ambizioso: espandere l'impero e trasformare i poteri formali in poteri reali.
306
L'impero è sempre stato molto forte da punto di vista ideologico, ma altrettanto debole
nell'esercizio del potere capillare e provinciale.

L'imperatore Federico I, della dinastia Sveva, diventa Imperatore nel 1152 e ha


un'ambizione veramente nuova, cioè trasformare questo Impero in un regno
effettivo dove tutti i funzionari sono di nomina imperiale e dove l'Impero preleva
fiscalmente risorse.

Si scontra inevitabilmente col le città -stato italiane.

Che il fenomeno comunale fosse considerato del tutto estraneo alla tradizione imperiale e
germanica possiamo dedurlo da un'opera letteraria storica redatta dallo zio di Federico, Il
Vescovo Ottone di Frisinga che descrive in un passo la natura delle città - stato italiane,
soprattutto dell'area lombarda e quindi Milano che è la città più grande e politicamente più
solida.
TESTO : il vescovo Ottone di Frisinga parla dei comuni italiani, pag. 20
“Nell’organizzazione della città e nella conduzione della cosa pubblica imitano ancora la
solerzia degli antichi romani. Amano infine con tale forza la libertà che, per evitare i
soprusi di un’autorità unica, preferiscono essere governati da un regime di consoli
piuttosto che da quello imperiale. E siccome fra loro ci sono tre ceti, cioè capitani,
valvassori e il popolo, per reprimere la prepotenza non scelgono questi consoli da un ceto
solo, ma da tutti e tre, e, per evitare che siano preda della libidine del potere, quasi tutti gli
anni li sostituiscono”.
Di fronte a questo vescovo tedesco i comuni sono un oggetto strano, che non si confà alla
tradizione politica e sociale del resto dell'Europa.

Il nipote di Ottone scende una prima volta in Italia nel 1154 e convoca una grande
assemblea di rappresentanti delle città ,di grandi feudatari e signori ecclesiastici del regno

d'Italia a Roncaglia, un castello vicino a Piacenza, gli ambasciatori di Milano

chiedono all'imperatore l'autonomia pubblica, ma vengono respinti.

L'imperatore infatti esige la restituzione totale di qualsiasi potere che loro avevano
acquisito, ai suoi occhi, abusivamente.
307
Chiede la restituzione dei poteri pubblici: la giustizia, la ricchezza, il controllo del
territorio, la riscossione delle imposte, etc.

Purtroppo per lui però non ha un grande esercito sul momento e quindi tutto rimane sulla
carta, si limita a distruggere una città più piccola: Tortona (fra Lombardia e Piemonte).
Viene incoronato allora imperatore, dopo aver aiutato il Papa a far arrestare e a far
bruciare al rogo l'eretico Arnaldo da Brescia, discepolo di Pietro Abelardo.

Torna poi in Germania perchè appunto non ha un esercito sufficiente


per imporre la sua volontà.

Nel 1158 la faccenda va però in maniera diversa: l'Imperatore si appoggia ai maestri

universitari dell'Università di Bologna dove si insegna il diritto romano, cioè il diritto


imperiale.
(ricordate sempre che gli imperatori tedeschi sono imperatori romani).

la fonte di legittimità del potere imperiale (oltre che nella fonte divina) in questo
modo è anche giuridica.

Così i maestri del diritto dell'Università di Bologna vengono chiamati da Federico I a


stendere un atto pubblico in cui si dice che a lui devono essere restituite tutte le
regalie.

Cosa ci guadagnano i maestri di diritto?


Lo “status clericalis” e quindi il privilegio del foro; questo vuol dire che i

maestri e gli studenti finché sono in una Università non possono essere
giudicati da un tribunale locale, ma si possono appellare a un tribunale
vescovile e quindi godono eventualmente di privilegi.

308
Dalla Constitutio de regalibus (seconda dieta di Roncaglia, 11 novembre 1158)

Le regalie sono da considerarsi quelle qui di seguito elencate: le arimannie, le vie pubbliche, i fiumi
navigabili e quelli dai quali derivano canali navigabili, i porti, i tributi che si percepiscono sulle rive dei
fiumi, le esazioni che comunemente si chiamano telonei, le monete, i compendi delle multe e delle pene, i
beni vacanti e quelli che per legge vengono tolti agli indegni, eccetto quelli che sono conferiti a qualcuno
con speciale provvedimento e i beni di coloro che contraggono nozze incestuose nonché i beni dei proscritti
e dei condannati, secondo quanto dispongono le recenti costituzioni, le prestazioni di angarie e parangarie,
di carri e di navi e le imposizioni straordinarie a favore della maestà regia, la potestà di creare magistrature
per amministrare la giustizia, le zecche e i pubblici palazzi nelle città in cui esistono per tradizione, i redditi
della pesca e delle saline, i beni dei rei di lesa maestà e la metà dei tesori trovati in luogo sacro o in terre di
pertinenza dell'imperatore se questi non avrà collaborato alloro ritrovamento; altrimenti, tutto spetta a lui.

In questo testo i maestri di diritto fanno chiarezza per spiegare e presentare quali sono le
regalie che vengono restituite all'imperatore.

Elenco delle regalie sul testo: vie pubbliche, fiumi navigabili....(vedi testo).
Nel testo troviamo un elemento molto importante della topografia della Pianura Padana
dell'epoca.
Oggi non possiamo più cogliere in larga parte quella che era la topografia di molte città
padane, che derivavano le acque dei fiumi e creavano tanti canali cittadini per vari usi:
azionare mulini, impianti per tingere i tessuti, conciare le pelli e via dicendo...
I navigli milanesi rappresentavano l'esempio più proficuo di questa derivazione delle
acque.
Qualsiasi forma di potere e tributo pubblico va restituita al re.

Le città ovviamente rifiutano la restituzione di queste regalie.


Alessandro III (il Papa) si schiera ben presto con i Comuni e infatti questi
provvederanno poi a far costruire ex novo una città nella Lombardia orientale che
chiameranno Alessandria.

Ad un certo punto però l'Imperatore riesce a portare un grosso esercito in Italia e nel

1162 Milano è prima assediata, costretta alla resa e poi rasa al suolo.
Le fonti del tempo ci parlano di una Milano completamente fatta a pezzi, con giganteschi
campi profughi fuori dalla vecchia cinta muraria con migliaia e migliaia di persone costrette
a vivere al di fuori della città.

E' l'ennesima distruzione della città di Milano, alla quale partecipano anche i cittadini di
309
alcune città lombarde che avevano preferito schierarsi con l'Imperatore: un po' per paura e
un po' perchè temevano l'espansionismo politico di Milano.

Il cronista Otto Morena narra della distruzione di Milano nel 1162

L'imperatore ordinò ai consoli di Milano che entro il termine di otto giorni tutti gli abitanti, uomini e donne,
abbandonassero la città di Milano. Si videro dei milanesi, con la morte nel cuore, cercare rifugio a Pavia, a
Lodi, persino a Bergamo e a Como, o in qualsiasi altra città di Lombardia. Ma i più si tennero nelle
adiacenze stesse della città, al di là dei fossati. Speravano nella clemenza dell'Imperatore; una volta entrato
in città, pensavano essi, ci lascerà tornare alle nostre case e vivervi come prima. Egli ordinò agli abitanti di
Lodi di distruggere subito la porta d'Oriente, comunemente detta porta d'Arienzo, incaricò quelli di Cremona
della demolizione della porta Romana, della porta Ticinese quelli di Pavia, di quella di Vercelli quelli di
Novara, di quella di Como quelli di Como, alla gente di Seprio e di Martesana abbandonò Portanuova. Tutti
posero una tale rabbia nel distruggere che la domenica delle Palme l'opera di demolizione aveva raggiunto
quello che al primo colpo di piccone si sarebbe potuto sperare di riuscire a distruggere solo in capo a due
buoni mesi. Ed è mia convinzione che il cinquantesimo di Milano non è sopravvissuto alla distruzione.
Rimasero tuttavia quasi tutte le mura esterne, costruite con grande cura e cinte da circa cento torri, opera di
cui non si è vista l'eguale in Italia, salvo forse a Roma.

All'indomani della distruzione di Milano anche quelle città che, per paura o per
convenienza, si erano schierate con l'Imperatore, comprendono il pericolo da esso
rappresentato.
L'Imperatore, infatti, forte della distruzione di Milano manda i suoi funzionari ad
amministrare le città, a governare le ricchezze, a riscuotere tributi ,etc.
La presenza imperiale sta quindi diventando oltremodo ingombrante e così nell'anno

1167 nel villaggio di Pontida, fra Bergamo e Como, nasce la Societas


Lombardiae, la Lega lombarda.

Giuramento di Pontida (1167)

Nel nome del Signore, Amen. lo giuro sui sacri Vangeli che non farò pace, tregua o trattato con Federico
Imperatore, né col di lui figlio, né colla di lui moglie, né con altri della sua famiglia, né per mio conto, né
per parte altrui; e di buona fede, con tutti i mezzi che saranno in mio potere mi adoprerò ad impedire che
nessun esercito, piccolo o grosso, di Germania o di qualunque altra contrada dell'Impero, che si trovi al di là
dei monti, entri in Italia; ed ove si presenti un esercito, io farò guerra viva all'Imperatore ed ai suoi
partigiani, in sino a che il suddetto esercito non esca d'Italia; e ciò farò pure giurare ai miei figli, appena
compiranno i quattordici anni.

Questo episodio, che recentemente è stato utilizzato per scopi politici dal partito
indipendentista del nord Italia, in realtà era già stato strumentalizzato molto prima, ma in
chiave nazionalistica!
310
Il giuramento di Pontida infatti era uno dei cavalli di battaglia della propaganda
risorgimentale italiana, utilizzato da molte figure politiche e letterarie dell'800 italiano che
auspicavano l'Unità d'Italia.

Alle città lombarde si unirà ben presto una Lega delle città venete e si arriverà nel 1176
ad uno scontro armato a Legnano, in Lombardia.

In questa battaglia non solo l'Imperatore è sconfitto, ma rischia anche di


essere catturato.
L'esito della battaglia è determinato fondamentalmente dalla fanteria: l'esercito imperiale è
composto in gran parte da cavalieri corazzati, mentre quello comunale invece, sia da
cavalieri ma anche da molti fanti che combattono a piedi e grazie alle loro corazze, stando
asserragliati uno accanto all'altro, rimangono fermi con le lance dritte. (I fanti che militano
sono cittadini che per l'appunto non fanno parte della milizia urbana: sono artigiani,
commercianti, etc.)
I cavalli, non avendo vocazioni suicide, si arrestano e si impennano e così l'esercito
comunale ha la meglio su quello imperiale.
Per l'imperatore è una umiliazione spaventosa che porterà poi alla resa sul piano
diplomatico.

Dopo il 1176 Federico I° è di fatto chiamato a riconoscere l'autonomia politica delle


città comunali con la famosa Pace di Costanza, perchè promulgata nella città
tedesca di Costanza nell'anno 1183.
Questo documento si presenta, formalmente, come una magnanima concessione di
delega di poteri da parte dell'Imperatore, che certamente non poteva perdere
completamente la faccia.
I Comuni erano ben contenti di ricevere quei poteri e quindi non avevano nessuna voglia
di sottilizzare sulla forma della Pace stessa.
Inoltre una formulazione ambigua interessava entrambi le parti: all'Imperatore perchè
poteva dare in futuro giustificazione di tale concessione e ai Comuni perchè potevano
aumentare lo spazio della propria giurisdizione.

311
Ciò su cui si innestò maggiormente l'azione comunale dopo la Pace di
costanza fu la sottomissione più o meno completa del Comitatus.

Alcune clausole della pace di Costanza (25 giugno 1183)

Sappiano tutti i fedeli tanto quelli dei nostri giorni quanto i posteri che per sola grazia della Nostra
bontà, aprendo il Nostro cuore naturalmente pietoso alle [profferte] di fedeltà e devozione dei
Lombardi, che pure avevano offeso Noi e il Nostro impero, accogliamo nella Nostra piena grazia
essi, la loro lega e i loro fautori; con clemenza rimettiamo ad essi tutte le offese e colpe che ci
avevano mosso ad ira; per i fedeli e devoti servizi, che siamo sicuri di avere da loro, li numeriamo
tra i nostri fedeli. Perciò abbiamo ordinato che questa pace da Noi per Nostra clemenza concessa
loro, sia trascritta in questo foglio e sottoscritta e munita nel Nostro sigillo. Il testo è il seguente:
1. Noi ... concediamo a voi, città, terre e persone della Lega, i diritti regali e i vostri statuti tanto
nell'ambito della città quanto nel contado ... per sempre; cioè: restino immutati, nella città, tutti i
diritti che fin qui avete esercitato ed esercitate; nel contado, possiate esercitare tutti i diritti
consuetudinari che avete esercitato da lungo tempo; come fodro, usi su boschi, pascoli, ponti, acque
mulini, diritto di raccogliere eserciti e fare difese delle città; per quanto riguarda la giurisdizione,
l'abbiate tanto nelle cause criminali che nelle civili, in città e nel contado; e tutti gli altri diritti che
toccano la vita economica delle città.
2. Restino ferme le concessioni a qualsiasi titolo, fatte prima della guerra da Noi o da Nostri
predecessori a vescovi, chiese, città o a persone, laiche o ecclesiastiche; si continuino a prestare
servizi feudali, per esse, ma non si presti tributo in denaro.
8. In quei Comuni nei quali il vescovo è conte per privilegio imperiale, se i consoli sogliono essere
investiti del consolato dai vescovi, si continui nell'usanza; altrimenti l'investitura venga da Noi, per
mezzo dei Nostri nunzi, con validità quinquennale.
Il. I consoli dei Comuni, prima di entrare in carica, prestino giuramento di fedeltà a Noi.
15. Si concede, anche per conto dei Nostri partigiani, pieno indulto per i danni, le appropriazioni, le
offese da Noi e dai Nostri sofferte dalla Lega o da qualcuno del1a Lega o dagli alleati.
17. I Comuni potranno fortificare città e contado.
29. Quando Noi veniamo in Lombardia ci dovranno corrispondere il fodro consueto quelli che
sogliono e debbono corrisponderlo, al tempo debito. E tanto per il nostro viaggio di andata quanto
per quello di ritorno ci restaureranno ponti e vie lealmente, senza inganni e in modo sufficiente, così
come in buona fede e senza inganni ci serviranno sufficienti approvvigionamenti ...

Commento al punto 8: i consoli potevano essere investiti feudalmente dall'Imperatore, ma


questa investitura ha un valore essenzialmente formale perchè l'Imperatore non poteva
rifiutarsi.
Così tenga presente che questo contratto è pieno di altri soggetti che non sono né
l'Impero, né la città; però questo dà diritto alle città di costruire fortezze nelle campagne a
danno di questi altri soggetti.
L'Impero esce da questo scontro fortemente ridimensionato nei suoi disegni politici. La
pace di Costanza segna quindi un punto di svolta notevole nella storia della civiltà
comunale.

312
Qualche anno dopo l'Imperatore Federico I muore annegato nel fiume Göksu (oggi
Saleph) in Turchia

Suo figlio, Enrico VI°, pare che abbia esercitato un potere notevole, anche perchè ha
sposato l'ultima erede della dinastia normanna di Sicilia e quindi per alcuni anni è
contemporaneamente Imperatore e Re di Sicilia ,quindi potenzialmente avrebbe i

mezzi per minacciare le autonomie comunali.


Anche lui però muore precocemente, nel 1197.

Suo figlio, che sarà poi Federico II, ha tre anni.

Il potere imperiale rimane per alcuni anni vacante e così quello regio in Sicilia.

I comuni non hanno più un contropotere e sono questi gli anni in cui più rapidamente e più
efficacemente si espande l'avanzata della giurisdizione comunale nelle campagne.
Questa crescita del potere delle città è accompagnata da grandi trasformazioni
anche sul piano sociale e istituzionale.

Cosa accade nei decenni a cavallo tra il 1100 e 1200?

Intanto nelle città il Vescovo viene definitivamente e totalmente estromesso da


qualsiasi gestione della cosa pubblica, anche a livello di rappresentanza estera.
Nelle città si costruiscono i primi grandi palazzi comunali e queste stesse città provvedono
in larga parte a codificare vere e proprie costituzioni urbane, che sono dei testi anche
molto complessi ed elaborati.
Molte città provvedono a sottomettere le aree rurali del comitatus che già avevano pensato
di poter sottomettere.
Questa sottomissione delle aree rurali può avvenire con modalità alquanto diverse:
modalità pacifiche ( Per esempio: una città si rivolge ad un Signore che possiede
qualche castello nell'area rurale e gli fa una proposta: tu cedi la giurisdizione nei tuoi
villaggi, ma mantieni il tuo patrimonio e in cambio noi ti daremo una casa in città e potrai
far parte del ceto dirigente cittadino, cioè della milizia urbana) e modalità non pacifiche

313
con l'assediamento dei castelli dei Signori e la distruzione di alcuni per dare l'esempio agli
altri Signori che hanno questi poteri nelle campagne.

Poi ci sono altre modalità attraverso le quali si controlla il territorio: per esempio costruire
ex novo delle fortezze, dei villaggi incastellati: sono i cosiddetti “borghi franchi”, cioè città
che prevedono l'erezione di villaggi fortificati per controllare il territorio, per ottenere le
risorse agricole del territorio e per popolare zone relativamente spopolate.
Alcuni di questi borghi franchi sono poi dei centri medici di notevole rilevanza; molti sono
rimasti dei semplici castelli, alcuni sono scomparsi e molti altri no.

Per esempio: Cuneo originariamente è un borgo franco di Asti, Cittadella in provincia di


Padova che conserva la cinta muraria duecentesca, era originariamente un borgo franco
del comune di Padova.

Uno di questi borghi franchi è anche descritto da Dante nell'inferno.

I comuni militarizzano il territorio, ma nel frattempo accade che l'immigrazione dalle


campagne verso le città prende una piega tumultuosa: si assiste ad n enorme
spostamento delle popolazione dalle aree rurali verso la città per i motivi più vari:
politici, economici, per cercare la libertà...

E così avviene che in poco tempo lo spazio urbano delle cinte murarie costruite nella
seconda metà del XII secolo, diventa totalmente insufficiente e si costruiscono nuovi
borghi fuori dalle nuove porte cittadine.
Le città si trasformano quindi rapidamente in una misura che le città italiane avrebbero
conosciuto solo nel '900.
Questo non può non avere il suo riverbero sulla gestione del potere che, un conto è in un
Comune in cui vivono 4 o 5 mila abitanti, un conto è in un Comune in cui ne vivono 50 mila
60 mila.
Tutto cambia e non è semplicemente una questione numerica, ma anche una questione di
gestire i nuovi cittadini, regolandone le loro attività e i redditi che da queste traevano.
Ci sono mestieri nuovi, alcuni di questi mestieri non solo danno molto lavoro, ma
producono notevoli ricchezze e così avviene che già all'inizio del '200 il panorama
sociale sia profondamente mutato rispetto al secolo prima.
314
Il monopolio politico della milizia viene messo in discussione da quei nuovi ceti arricchiti
che rivendicano una gestione della cosa pubblica.
Così si arriva a una nuova base di sperimentazione del potere.
Nel giro di qualche decennio si passa dai consoli al sistema del Podestà, anche in questo
caso il passaggio non è immediato
Si afferma la figura di un Podestà forestiero che è un esperto di politica e diritto, a cavallo
tra il XII e il XIII secolo.
Dagli Annali genovesi (anno 1190)

Le civili discordie e le odiose cospirazioni e divisioni sono sorte nella città a cagione della reciproca invidia
dei molti uomini che fortemente desideravano di possedere la carica di consoli del Comune. E così i
sapientes e i consiglieri della città si sono radunati e hanno deciso che a partire dall'anno successivo si
sarebbe dato il termine del consolato del Comune, e quasi tutti hanno concordato che avrebbero avuto da
allora un podestà.

Si tenga conto che nelle cronache medievali le motivazioni sociali sono sempre scritte con
toni monastici (invidia, cupidigia, etc.)

Dalla Storia fiorentina di Ricordano Malispini

Negli anni di Cristo MCCVII ebbono i Fiorentini signoria forestiere, che insino allora s'era retta la città sotto
signoria di consoli cittadini de' migliori della città, al consiglio del sanato [cioè degli anziani] e di cento
buoni uomini, e quelli consoli guidavano in tutto la città e contado e rendeano la ragione, e facevano
giustizia, e durava il loro uficio uno anno, ed erano quattro consoli mentre che la città era a quartieri, per
ciascuno quartiere uno, ed erano sei quando la città si partì a sesti: ma gli antichi nostri non facevano
menzione se non dell'uno di loro di maggior stato o di due. Ma cresciuta la città, e in vizi e faceansi più
malifici, s'accordarono per meglio della comunità acciocch'e' cittadini non avessono sì fatto carico di punire i
malifici, e che per prieghi o per temere o per nicistà o per altra qualunque cagione non mancasse la giustizia,
ordinarono di chiamare uno gentile uomo forestiero che fosse loro Podestà uno anno, e tenesse ragione civile
co' suoi giudici, e facesse giustizia e condennagioni corporali e reali, e mettesse ad esecuzione gli ordini del
Comune. E il primo che fue Podestà in Fiorenza fue Gualfredotto da Melano, e abitò al vescovado. E
nondimeno non si lasciò la signoria de' consoli ritenendo l'amministrazione d'ogni altra cosa del Comune, e a
questo modo si resse la città insino al tempo che si fece in prima il Popolo di Fiorenza.

Ripartizione delle città in quartieri, sestieri ( Venezia), terzi (Siena)...


La giustizia era favorevole a una parte o all'altra e quindi per questo c'è la necessità di un
Podestà straniero e imparziale.

Per attutire gli scontri cittadini che potevano essere interni alla cavalleria o tra la
milizia e i nuovi ceti erme genti si decide di cambiare il sistema della gestione del
potere della città, in questo modo: si chiama un Podestà forestiero che sta in carica
o un anno o sei mesi, questo podestà ha poteri di natura giudiziaria e di natura

315
esecutiva, ma non quello legislativo che è nelle mani di consigli che vengono creati
proprio in questo periodo e in cui la milizia continua ad avere un peso determinante

E' il Consiglio che chiama il podestà e lo sottopone a sindacato quando questo esce dalla
carica.

Il Podestà è stipendiato ed il suo stipendio gli viene erogato in tre momenti diversi: un
terzo all'inizio della carica, un terzo a metà e un terzo dopo il sindacato, se ha ben operato
secondo il Consiglio.
Il Podestà con lo stipendio che riceve non remunera solo se stesso, ma anche tutta la
burocrazia, il personale che si porta dietro: giudici, notai e guardie armate.
E' una sorta di burocrazia itinerante.

Questo carattere modificatorio dei Comuni, alla lunga permette di omogeneizzare il


panorama giuridico e politico di tutta l'area comunale.
Così anche quando si stendono gli statuti di una città, si tende a confrontare quelli delle
altre città creando anche in questo senso una omogeneità nella stesura degli statuti.
E' con il Podestà che i Comuni provvedono a far edificare i Palazzi comunali che in

Pianura Padana prenderanno il nome di "broletti".

Nel Palazzo Comunale si trova anche la Prigione pubblica.


Il periodo del governo podestarile è un periodo di grande produzione di documentazione
pubblica e infatti è in questo periodo che si passa dalla produzione di atti su pergamena
sciolta ai registri.

Questa parte di governo non frena gli scontri cittadini tra fazioni di uno stesso ceto
o tra la milizia e il ceto emergente che rivendicava la partecipazione alla cosa
pubblica.

Nella prima metà del trecento molte città italiane sono teatro di scontri, talvolta sanguinosi,
talvolta armati.

Tutti i Comuni generalmente hanno dei beni pubblici che possono essere anche fonte di
ricchezze non modeste.

316
Esempio: Il comune di Perugia possiede il Lago Trasimeno dove si esercita una notevole
attività di pesca che riforniva l'ampia zona dell'Italia centrale e aveva un bacino di
consumazione molto ampio. Tutti i diritti di pesca venivano percepiti dal Comune di
Perugia. Chi gestiva tutti i beni pubblici, come ad esempio il Lago Trasimeno? Coloro che
venivano nominati dal Consiglio che era formato da soli milites. Quindi succedeva che i
beni pubblici fossero amministrati da persone che provenivano tutte dallo stesso ceto,
quello della milizia.

Quindi i "pedites" chiedevano commissioni che andassero a controllare in che modo


venissero investiti i beni pubblici.
Altro problema: come ripartire le tasse? Cosa tassare e cosa no?
Generalmente i milites erano grandi proprietari fondiari quindi si guardavano bene
dall'imporre tasse sui patrimoni immobiliari e andavano a tassare i consumi, la vendita di
merci.
Lo scontro, in questo caso, riguardava la politica fiscale da adottare.

Altro aspetto fonte di scontri tra ceti era “l'emendatio equorum”, il risarcimento dei
cavalli.
I milites avevano il diritto e il dovere di partecipare alle spedizioni armate che potevano
configurarsi in due modi: o con la battaglia campale oppure con il saccheggio dei territori
nemici che era molto redditizio per i milites.

Ma durante queste spedizioni potevano perdere il cavallo che aveva un prezzo


elevatissimo all'epoca, perciò chiedevano al Comune un risarcimento in caso il cavallo
perisse.
Succedeva però che talvolta i cavalli sparissero, cioè venissero nascosti di proposito.
Pertanto i pedites chiedevano una commissione per fare chiarezza anche riguardo
questa faccenda.

Quindi erano parecchi i motivi per cui si scontravano i ceti urbani.

In alcune città lo scontro è tale che la fazione dei pedites prende il potere.

317
Il pedites si erano organizzati sostanzialmente in due forme: nelle forme delle

corporazioni di mestiere, le cosiddette arti, e le società delle armi, cioè distretti


urbani usati per il reclutamento della fanteria cittadina.

Con queste due istituzioni in molte città il popolo prende il potere con atti di
violenza, insurrezioni armate e l'imposizione di trasformazioni dell'assetto
istituzionale del governo.

Quando il popolo prende il potere impone la creazione di un consiglio del popolo, in cui
possono sedere solo i popolani e di un capitano del popolo, le cui prerogative spesso
vanno a sovrapporsi con quelle del podestà.
Chi fa parte del popolo?
Tutti i non cavalieri? No!
Perché non tutti hanno il diritto ad avere una propria corporazione di mestiere, alcune
fazioni anche se inquadrano una bella fetta di popolazione urbana, non hanno diritto di
avere una propria corporazione perché sarebbe pericoloso che la avessero.
Tutti quelli impiegati come salariati o come piccoli artigiani nella sede urbana, quelli sono
troppo numerosi.
Se facessero una corporazione per conto loro, non solo diventerebbe un soggetto politico
dominante, ma poi imporrebbero la propria volontà anche nel mercato del lavoro e quindi
quei soggetti sono considerati popolo minuto, plebaglia, e quindi non hanno diritto ad una
loro corporazione.
Quando ci proveranno, di solito la prassi sarà la seguente: verranno arrestati i capi e
impiccati sulla pubblica piazza, perché il popolo minuto non può avere le corporazioni.
Insomma questi a Firenze vengono chiamati i Ciompi, cioè gli operai della lana, che

provarono a prendere il potere nel 1178 e fecero una brutta fine.


Quindi il popolo inquadra mercanti, notai, medici, giudici, ricchi artigiani ma non manovali,
facchini, tessitori, cioè una porzione notevole di abitanti in città.
Il popolo rappresenta ceti alti e medi ma non quelli bassi.
E quindi il popolo prende il potere in alcune città, in molte città.
Si creerà un consiglio del popolo, un capitano del popolo, una piazza del popolo, un
palazzo del popolo che fa da contraltare al palazzo del podestà.

318
Così c’è un palazzo dei priori delle arti a Perugia, c’è un palazzo dei priori, che si chiama
Palazzo della Signoria a Firenze, ma è la stessa cosa, e così c’è un palazzo del popolo a
Bologna e in tante altre zone dell’Italia centro - settentrionale.
La politica dei governi di popolo è una politica di cambiamento rispetto alla politica
precedente.
Si cominciano a tassare i patrimoni, si fanno elenchi dei beni pubblici, si estromettono,
talvolta, i cavalieri dalle cariche pubbliche più importanti.
Sia a Siena che a Bologna che a Firenze noi troviamo la cosiddetta legislazione anti
magnatizia, cioè una legge che dice: “i cavalieri non possono ricoprire cariche
pubbliche e giù un elenco di famiglie che appartengono al mondo della cavalleria”.
Quindi non solo i cavalieri hanno perso il primato nel comune ma sono addirittura
estromessi dall’esercizio delle cariche pubbliche più importanti; rimarranno, certo,
nell’ambito della guerra e della diplomazia però hanno perso in larga parte il primato.
È nel periodo popolare che i comuni affermano pienamente i loro potere nelle campagne,
poi lo vedremo concretamente.
Un potere forte, duro e per certi versi anche classista, il che potrebbe sembrare anche un
paradosso perché abbiamo un governo popolare.
Chi vive nel comitatus non è semplicemente un contadinus, che è una definizione
neutra, ma è un contadino, cioè un lavoratore della terra e quindi c’è la netta
contrapposizione del mondo urbano, il mondo civile, il mondo educato, il mondo colto e
il mondo delle campagne, rozzo, schiacciato dalla città.
Nonostante le incertezze, però è un dato di fatto che alla metà del ‘200 la dove si
affermano i regimi di popolo noi abbiamo delle forme di governo molto larghe, cioè
assemblee cittadine dove siedono centinaia di persone con una forte rotazione di
semestre in semestre e da un anno all’altro.
Tutte le cariche comunali sono a forte rotazione, quindi noi abbiamo città nelle quali
un’ampia porzione dei residenti partecipa alla gestione della cosa pubblica. Se noi
consideriamo i maschi adulti, quindi dai 18 ai 60 anni, non di rado troviamo proporzioni
tipo 1/3 o la metà impiegati con funzioni completamente diverse più volte nella vita negli
incarichi comunali.
Quindi la rappresentanza pubblica della cittadinanza è molto contemplata.
Non si può parlare certamente di monarchia perché non ci sono elezioni, tutto è basato su
meccanismi censitari, però la rappresentanza è molto elevata.

319
Questo fenomeno del governo largo, del governo popolare ha anche forti implicazioni sul
piano retorico, sul piano dell’ideologia politica.
Molti intellettuali hanno prestato la propria penna per celebrare le libertà repubblicane.
Basterebbe pensare a Brunetto Latini, il maestro di Dante, e a tanti altri.
Però questa stagione, quella del governo del popolo, del governo dei mercanti, degli
artigiani ci ha lasciato anche un’impronta visiva, architettonica, artistica, basterebbe
pensare a quegli affreschi del buon governo di cui vi parlavo qualche lezione fa, quello è
un manifesto politico di un governo di popolo, il governo della città di Siena, ma gli esempi
si potrebbero moltiplicare.
Questa stagione si colloca però nello stesso periodo in cui in alcune città noi assistiamo
ad un ulteriore fase di cambiamento politico – istituzionale.
Gli scontri di fazione che non si sono mai interrotti, nemmeno nel periodo del popolo,
favoriscono, in alcuni centri urbani, un nuovo cambiamento di natura politica, cioè il
passaggio al governo di una dinastia, di un signore cittadino.
Questo passaggio è inizialmente e apparentemente indolore e avviene grosso modo in
questi termini, schematizzo al massimo: di fronte a scontri di fazione, violenze, instabilità il
capo di una fazione, quello più potente, quello che ha più alleati, quello che può contare
su molte bande armate che vengono dal contado, riesce a coattare, con la minaccia della
violenza, i consigli cittadini, e si fa delegare i poteri per qualche anno, per cinque anni per
esempio; si fa dichiarare podestà cittadino per cinque anni, capitano per cinque anni, poi
dopo questi cinque anni fa rinnovare questa delega per dieci anni e poi la fa trasmettere ai
figli.
Quindi formalmente le istituzioni comunali rimangono in piedi, lui però figura come
primus inter pares.
Pian piano, più passa il tempo e più questo signore diventerà un dinasta, magari suo figlio,
suo nipote e via dicendo.
Ad un certo punto qualcuno di questi signori compra, compra letteralmente,
dall’imperatore il titolo di vicario imperiale, ricevendo così una sanzione fortemente
legittimante.
Nelle zone che si trovano sotto il neonato stato della Chiesa, il vicario
non sarà imperiale ma pontificio.
Facciamo qualche esempio: i conti di Milano diventeranno vicari imperiali, i Della Scala a
Verona diventeranno vicari imperiali, gli Este a Ferrara diventeranno vicari pontifici.

320
Ora noi in chiusura, per l’appunto leggiamo due brani che fanno riferimento, uno a Verona
e l’altro a Milano.
Si tratta di dinastie che hanno governato a lungo queste città, perché sono ben presenti a
Dante quando lui scrive la Divina Commedia.
Il simbolo della dinastia dei Visconti che governerà Milano sino alla metà del ‘400 è il
simbolo di canale 5, il simbolo del biscione, il biscione è il simbolo della famiglia Visconti, e
siccome i Visconti hanno governato Milano per quasi due secoli, il simbolo dei Visconti è
diventato il simbolo di Milano.
Ma anche la Scala degli Scaligeri è il simbolo della città di Verona ancora oggi. Non
parliamo poi degli Este che hanno lasciato così tante tracce architettoniche nella città di
Ferrara che sarebbe impossibile ignorarle. Guardate con quale atto, Alberto della Scala
riceve i pieni poteri nel 1277
Il Parlamentum di Verona conferisce i pieni poteri ad Alberto della Scala nel 1277

Mercoledì ventisette ottobre [1277], nel capitello del mercato del foro della città di Verona, dove di
consueto si tengono le assemblee, alla presenza [ ... ] dei giudici del comune di Verona, dei [ ... ]
testimoni, e di altri, nella pubblica e generale assemblea del comune di Verona, riunita come di
consueto al suono della campana, essendo presente anche il nobile signor Giovannino dei
Bonacolsi di Mantova, podestà di Verona, e fornendo egli la garanzia data dalla sua autorità, alla
quale assemblea in verità parteciparono in generale e in blocco i nobili e magnati, gli anziani, i
gastaldi dei mestieri (i capi delle corporazioni) di Verona e l'intero popolo della medesima città,
tutti i predetti in modo concorde e unanime (sono tutti d’accordo, non c’è una voce dissonante.
Dovete immaginarvi soldati di Alberto della Scala con le spade e le lance fuori dall’assemblea),
senza che alcuno si esprimesse in senso contrario, con viva voce elessero e crearono e fecero il
nobile signor Alberto della Scala, li presente, capitano 1oro e di tutta la città di Verona in perpetuo
finché vivrà, dando, concedendo e trasferendo a lui e in lui la piena, generale e libera autorità e
potestà di reggere, governare, mantenere e regolare in tutto e per tutto la stessa città e il distretto
di Verona (insomma gli stanno cedendo tutto. Quindi formalmente il passaggio è legittimo,
l’assemblea dà i pieni poteri al signore), e la stessa parte che ora tiene e regge Verona, secondo il
suo libero arbitrio e volontà, nel modo che a lui sembrerà meglio e più vantaggioso provvedere, e
anche il potere di fare e ordinare statuti tanto generali che speciali, e anche le deliberazioni
normative, quanto le altre cose del comune di Verona, assumendo l'iniziativa e ogni volta che gli
parrà opportuno, il potere di interpretare, correggere, cambiare, aggiungere, limitare e prorogare
e concedere proroghe contro queste stesse norme e al di là di esse a suo arbitrio e volontà, ecc.

321
Il documento successivo fa riferimento ad un passaggio ulteriore, anche se di un’altra
città. Cioè la concessione del vicariato imperiale. Qui siamo a Milano il 13 luglio 1311.

Enrico VII concede il titolo di vicario imperiale a Matteo Visconti (13 luglio 1311)

Enrico (questo è Enrico VII di Lussemburgo, l’imperatore di cui parla anche Dante) per grazia
di Dio re dei Romani e imperatore del sacro romano impero, ai sudditi che leggeranno le presenti
lettere la sua grazia e ogni bene. Riponendo piena fiducia nella fede, lealtà e operosità del risoluto
Matteo Visconti nostro fedele diletto, ordiniamo che si conceda a lui il vicariato della città di
Milano e del suo distretto, della terra di Monza e del castello di Treviglio a eccezione di quanto
direttamente spettante alla camera regia, esercitando tale ufficio direttamente o attraverso altri,
purché nostri fedeli, che lui avrà delegato, conferendogli e concedendogli nella stessa città e
distretto il mero e misto imperio e tutto ciò che attiene alla semplice giurisdizione. Alle condizioni
seguenti, ovvero che il detto Matteo promise e convenne, tramite una solenne garanzia prestata, di
pagare e versare cinquantamila fiorini d'oro, quarantamila a Noi, diecimila a Margherita regina
dei romani nostra carissima moglie (se non paga deve restituire il potere. Dove li ha trovati questi
50.000 fiorini Matteo Visconti? Tassando la città. Tassa la città per avere del denaro per pagare
l’imperatore e farsi dare la delega dei poteri pubblici. Naturalmente quando si affermano queste
dinastie non è che si affermino a scapito altrui. Questi sono capi fazione. Hanno alle spalle altre
famiglie che poi verranno ricompensate con benefici, terre, gestione del potere e via dicendo) [ ...
]. Restituendo allo stesso Matteo quarantamila fiorini d'oro, sarà lecito destituirlo da qualsivoglia
ufficio vicariale sostituendolo con altro che preferiremo, e lo stesso Matteo sia tenuto a lasciare
l'incarico senza alcuna difficoltà. Se accadrà che lo stesso Matteo muoia [ ... ] Noi non saremo
tenuti a restituire alcuna somma ai suoi successori ed eredi. Ecc.

322
TREDICESIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
LUNEDI’ 27.10.2014 ORE: 15,00 - 17,00

La volta scorsa abbiamo analizzato il fenomeno della ricostituzione del potere pubblico
nell'Italia centro-settentrionale, nell'ambito della cosiddetta civiltà comunale.
Oggi invece ci concentriamo sulle forme che assunse il potere politico nell'Italia
meridionale.
Qui la ricostruzione di una, più o meno opaca, dominazione pubblica prese una strada
molto simile a quella che venne intrapresa in Francia, in Inghilterra, nella Penisola Iberica
e in altre zone d'Europa. Cioè la ricostituzione del potere pubblico nella forma della
monarchia feudale.
Quindi il percorso seguito dall'Italia meridionale è un percorso di gran lunga maggioritario
nel panorama continentale. L'Italia eccezionale è quella centro-settentrionale, non di certo
quella meridionale.

Questo percorso avvenne con modalità tali che l'Italia meridionale, soprattutto quella
dell'estremo sud, venne completamente riportata nell'ambito della tradizione
dell'occidente cristiano, mentre per secoli aveva gravitato in un contesto ben diverso: o
quello della cristianità orientale (Calabria, parte della Puglia e della Basilicata) o quello
della civiltà islamica.

Soprattutto se guardiamo l'Italia meridionale dall'ottica siciliana, noi osserviamo un


cambiamento a 180 gradi nella storia della civiltà: da nord di un mondo al sud di un altro.
Cioè dal nord di una civiltà, quella islamica, all'apice del suo sviluppo tra IX° e X°
secolo, all'estremità meridionale di un'altra civiltà: quella dell'Europa feudale.

Questa grande, epocale trasformazione dell'Italia meridionale avvenne in larga parte per
opera di un gruppo non molto numeroso di cavalieri provenienti dalla Normandia, cioè
dalla Francia nord-occidentale.
Perché parlare di monarchia feudale? Che significa? Quando parliamo di monarchie
dell'Europa basso-medievale, quindi dall'XI° secolo in avanti, noi intendiamo degli Stati nei
quali il potere del sovrano non è affatto assoluto.

323
Dobbiamo pensare che a lungo il potere del sovrano fu controbilanciato da poteri in larga
parte espressi dall'aristocrazia rurale, e quindi dall'aristocrazia feudale, di molte zone
dell'Italia meridionale, della Francia, dell'Inghilterra, dei Regni iberici.

E il potere del re è lontano dall'essere assoluto come invece avverrà tra '600 e '700.
Ci sono delle ampie isole giurisdizionali dove la giustizia non è amministrata dai funzionari
del re, ma dai funzionari del Duca, del Barone. Sono delle monarchie in cui questi
contropoteri di natura baronale, feudale, aristocratica, sono molto forti, ma
contemporaneamente in questi regni esiste un raccordo istituzionale tra il potere del re, la
grande feudalità e la piccola feudalità. Questi legami sono espressi dal giuramento di
natura feudale. Ora si che abbiamo la cosiddetta “piramide feudale”, con tutti questi
legami che uniscono la curia del sovrano ai vari potentati del regno.

Ambedue le parti hanno ricercato questo tipo di legame: il sovrano perchè così, all'inizio di
questo processo attraverso il quale lui si riprende gran parte delle prerogative pubbliche,
stabilisce un rapporto tra sé e questi poteri locali che comunque esistono. E questi poteri
locali all'inizio accettano il legame perchè questo legame sanziona il loro potere su scala
locale.

Quindi è dall'XI° secolo, dopo il cambiamento di status del legame feudale con la
Constitutio de Feudis che noi possiamo parlare di monarchie feudali.
Il feudalesimo, che si dispiega pienamente proprio dall'XI° secolo, conosce ampi e
variegati fenomeni di esportazione. Il legame vassallatico-beneficiario aveva avuto la sua
culla di origine nell'antica Gallia dei Franchi e da lì poi si era lentamente diffusa nelle
zone di conquista franca. I legami vassallatici si erano notevolmente diffusi dopo la fine
dell'Impero carolingio. Ma sempre all'interno dei labili confini di quella che era stata
l'Europa di Carlo Magno. Invece dall'XI° secolo in avanti questi legami, queste istituzioni
feudali, vengono esportate in zone che non avevano mai fatto parte della tradizione
carolingia e post-carolingia. Quali sono queste zone? Una di queste è proprio l'Italia
meridionale, che aveva gravitato tra Bisanzio, l'Islam e i residui principati longobardi. I
legami di natura vassallatica erano ignoti in questa zona dell'Italia. Lì, il feudalesimo fu
portato dai cavalieri normanni che lo porteranno anche in Inghilterra, che invaderanno
nell'anno 1066. La conquista dell'Inghilterra ha caratteristiche diverse rispetto a quelle
dell'Italia meridionale in quanto è una campagna militare voluta dal Duca di Normandia
324
che aspira a diventare re. Il caso dell'Italia meridionale è completamente diverso. La
conquista non è infatti programmata.
Altre zone di diffusione del feudalesimo sono gli Stati Crociati di Terra Santa che vengono
organizzati come regni e principati feudali e poi alcuni regni dell'Europa centro-orientale
(Ungheria, Polonia). Una delle zone d'Europa dove il feudalesimo arriva più tardi è la
Sardegna dove arriva nel '300 con gli Aragonesi ed è una delle zone d'Europa dove sarà
abolito più tardi perché bisognerà aspettare Carlo Alberto nell'800. Qui le istituzioni feudali
hanno avuto una vita straordinariamente lunga.
In Russia il feudalesimo è arrivato nell'età moderna, ma è finito con la prima guerra
mondiale.

Come si arriva alla creazione del regno di Sicilia che non era mai esistito prima? L'Italia
meridionale è stata per secoli un luogo di incontro e di scontro di civiltà: sono arrivati i
Longobardi, strappando gran parte delle terre bizantine (fine VI° secolo). Poi sono
arrivati gli arabi che hanno conquistato la Sicilia tra IX° e X° secolo, contribuendo a
promuovere quest'isola del mediterraneo a livelli eccelsi nel panorama del commercio,
dell'agricoltura e delle manifatture del periodo. Infine i bizantini si sono ripresi quasi tutta la
Puglia e la Basilicata. Perciò queste zone, per alcuni secoli, hanno visto convivere lingue,
culture, tradizioni giuridiche e religioni molto varie: troviamo la tradizione giuridica
longobarda latina e cattolica soprattutto in Campania (Salerno, Capua, Benevento).
Troviamo la tradizione giuridica romana, la lingua greca e il cristianesimo orientale
soprattutto nella Puglia meridionale e in Calabria. Qui tutti i monaci sono monaci
Basiliani, che si rifanno alla regola di san Basilio. Poi troviamo la Sicilia che è islamica,
ma è un'isola in cui ci sono ancora cristiani e ci sono quindi compresenze linguistiche
molto varie. In questa zona di incontro-scontro di culture e civiltà si inseriscono dei
cavalieri che all'epoca erano fondamentalmente dei banditi: i cavalieri normanni.
Questi normanni venivano dalla Normandia, quindi dalla Francia nord-occidentale,
parlavano il francese, la Langue d'Oil, e avevano una tradizione giuridica che era quella
della Francia feudale. I Normanni si erano insediati in Francia quando un gruppo di pirati
vichinghi si era stanziato nel bacino meridionale della Senna, dando a questa regione il
proprio nome, nei primissimi anni del X° secolo. Il capo di questi vichinghi, Rollone,
venne poi investito feudalmente del ducato di Normandia dal re di Francia che ha solo il
potere di riconoscere un potentato locale già emerso per conto suo. Si crea così questo
principato.
325
100 anni dopo, abbiamo notizia dei primi arrivi nell'Italia meridionale di cavalieri normanni
che sono in larghissima parte dei cadetti, cioè dei figli non primogeniti a cui non spetta
l'eredità.
Quindi cercano fortuna altrove o attraverso la via ecclesiastica oppure attraverso la via
militare.
Costoro iniziano ad arrivare nella Italia meridionale prestando i propri servigi militari a
pagamento. La voce comincia a spargersi e questi cavalieri pian piano arrivano in numero
sempre maggiore. Si rendono conto abbastanza rapidamente che quest'area del
Mediterraneo è molto ricca. È un'area in cui circola l'oro, mentre nel resto dell'Europa
occidentale le monete d'oro erano praticamente ignote. Questa terra quindi appariva ricca
e anche foriera di fortune. Queste fortune, ai loro occhi, derivavano in larga parte dalla
debolezza dei poteri che si fronteggiavano in quest'area: nessuno di questi poteri riusciva
a superare l'altro e tutti erano l'uno contro l'altro.
Qual è la tattica di questi cavalieri? Quella di prestare servizio militare a chi offriva le
ricompense maggiori. La famiglia che esprime i più importanti condottieri, e che poi
esprimerà il primo re di Sicilia nel XII° secolo è la famiglia degli Altavilla, italianizzazione
del nome Hauteville.
E così prestando servizio, ora per uno ora per l'altro, riescono a crearsi proprie basi di
potere nell'Italia meridionale.
Il Duca di Napoli, che è un principe di una città indipendente, concede un ampio territorio
ai cavalieri Normanni nelle campagne napoletane, laddove poi i Normanni fonderanno un
nuovo insediamento che oggi è una città: Aversa. Qualche anno dopo, nel 1042, il Duca
di Salerno, un principe longobardo, concede ai cavalieri Normanni la cittadina di Melfi in
Basilicata.
Sono proprio questi cavalieri normanni che si fanno concedere questi terreni con la
formula vassallatico-beneficiaria portando delle istituzioni che prima non c'erano.
Una volta acquisite queste zone territoriali i cavalieri normanni cambiano strategia: non
sono più mercenari, ma combattenti per conto proprio. Cominciano a sottomettere gran
parte dell'Italia del sud diventando un potere concorrente rispetto agli altri. E così la vita
dell'Italia meridionale è sconvolta e il territorio si militarizza, perchè i normanni, laddove
conquistano il territorio, erigono castelli secondo i criteri architettonici che loro si portano
dietro dalla Francia del nord.

Ora leggiamo la cronaca dell'abbazia di san Vincenzo dal Volturno.


326
L'abbazia di san Vincenzo Volturno è una delle prime fondazioni monastiche benedettine
italiane. Tra l'altro questa grande abbazia possedeva quantità enormi di terre sia nel
Molise che in Campania che nella Puglia settentrionale, tanto da far concorrenza quanto a
prestigio e a beni fondiari alla stessa Abbazia di Montecassino.
Ecco perchè abbiamo cronache monastiche provenienti da questo ambiente, perchè era
una delle zone di produzione anche culturale dell'Italia del sud.
In questa cronaca si fa un confronto tra i tempi passati (l'età carolingia) e i tempi presenti,
durante i quali i normanni stanno conquistando gran parte del meridione continentale.

La cronaca dell'abbazia di S. Vincenzo al Volturno (Molise) descrive il ruolo dei castelli determinato
dalla presenza normanna (seconda metà dell'XI° secolo)

A quel tempo [l'età dell'imperatore Ludovico II, .855-875] c'erano pochi castelli da queste parti, che tutte
erano disseminate di villaggi e di chiese. Non v'era terrore né paura di guerre e ogni luogo viveva in pace
profonda. Ciò sino all'epoca dei Saraceni. Cioè fino all'epoca in cui i saraceni, dopo aver conquistato
la Sicilia, cominciarono a saccheggiare buona parte dell'Italia del sud. Quando poi cessarono le
devastazioni e le persecuzioni di costoro, tutti quelli che erano scampati e avevano potuto recuperare i
propri beni li possedettero per devoluzione e benevola concessione del re. Poi giunsero in Italia i Normanni,
che si presero tutto e cominciarono a trasformare i villaggi in castelli, e senza re e senza legge si
proclamarono patroni, anzi signori, delle chiese, e a mala pena accondiscesero a versare ai legittimi
proprietari un censo annuale, quanto pareva a loro: situazione che ancor oggi perdura, poiché essi tengono
per sé e per i loro figli, quasi fossero beni ereditari, le terre e i beni delle chiese, non senza commettere
grande sacrilegio.

Si esalta il passato per mettere in luce l'ostilità nei confronti dei normanni.
Descrive un atteggiamento banditesco riferito ai normanni.

Questa politica espansionistica normanna mette in allarme sia l'Impero bizantino che
possiede tutta la costa pugliese e la Campania, ma anche il Papa a cui si rivolgono alcune
città della Campania, in primo luogo Benevento, che si da in signoria al Pontefice.
Benevento è l'unica città dell'Italia meridionale che ha fatto parte dello Stato della Chiesa
fino al 1860.
Quindi a pochissimi mesi da quello che sarà poi lo scisma tra chiesa d'occidente e chiesa

327
d'oriente, nel 1053, il Papa, alcune città dell'Italia meridionale e l'Impero bizantino
fanno un accordo per mettere in piedi un grosso esercito con cui eliminare questi cavalieri
normanni guidati da Roberto d'Altavilla detto il Guiscardo, che significa “l'Astuto”.

A Civitate sul Fortore, una cittadina in provincia di Foggia, l'esercito nel quale figurava
anche il Papa (Leone IX, che avviò la riforma) viene sbaragliato dall'esercito normanno.
Lo stesso Papa viene catturato da Roberto il Guiscardo.
Di fronte a questa clamorosa sconfitta la Chiesa di Roma cambia completamente
strategia: conscia di non poter battere i cavalieri normanni, si allea con loro.

Tutto spingeva a seguire questa strada perchè se i normanni avessero preso possesso di
tutta l’Italia del sud avrebbero riconsegnato alla Chiesa occidentale le diocesi che Roma
aveva perduto fin dall'epoca dell'iconoclastia nell'VIII° secolo. Non è un caso che dopo lo
scisma della chiesa d'oriente e d'occidente un altro papa, Niccolò II, fa un accordo con
Roberto il Guiscardo che segna di fatto la storia di quello che sarà poi il Regno di Sicilia.

Questo momento fondamentale è determinato dal Concordato di Melfi. Questo


concordato è un atto di diritto feudale con il quale il Papa Niccolò II riconosce le conquiste
dei Normanni, infeuda Roberto il Guiscardo e i cavalieri dei territori conquistati e addirittura
li infeuda di territori da conquistare: la Sicilia.

Questo atto quindi costituisce l'avvio ad un legame politico e feudale plurisecolare tra chi
detiene il potere nell'Italia del sud e la Chiesa di Roma. È un tipo di legame che vediamo
all'opera anche in altre zone d'Europa, come l'Ungheria e la Polonia.

La Chiesa di Roma si dimostra molto abile e duttile nel saper scegliere l'alleato giusto.
Ecco cosa si dice nel Concordato di Melfi.

Concordato di Melfi stipulato tra papa Niccolò II e Roberto il Guiscardo (1059)

Roberto duca di Puglia e Calabria giura di essere fedele (fedele è un termine tecnico, da fidelis, che
sarebbe vassus) alla chiesa di Roma e di non operare, tramite consigli e azioni, per danneggiarla. Darà
al papa consiglio quando questi gliela richiederà; l'aiuterà ad acquisire nuovi possessi e a difenderli, e a
difendere il papato romano, la terra di san Pietro e il principato. Non cercherà di acquisire altre terre oltre
328
a quelle che gli concederanno il papa e i suoi successori; verserà regolarmente la pensione per le terre
concessegli dalla Chiesa. Cede al potere papale tutte le chiese che sono nella propria dominazione e ne sarà
difensore. Aiuterà cardinali, chierici e laici romani a eleggere un nuovo papa in caso di morte del papa
attuale. Giura di rispettare questa fedeltà con i successori del papa che gli confermeranno l'investitura.

Con questo accordo le Chiese dovevano rientrare sotto l'arcidiocesi romana, quindi
bisognava sostituire il clero ortodosso con quello latino.

Cosa avviene negli anni immediatamente successivi? Roberto il Guiscardo finisce di


sottomettere le ultime città: Bari nel 1071, che è l'ultimo caposaldo dell'Impero bizantino
(la chiesa di San Nicola di Bari fu eretta laddove si trovava il palazzo del Catepano
bizantino, dove ancora oggi possiamo trovare dei mosaici bizantini che facevano parte del
pavimento del palazzo de Catepano), Amalfi che era una città stato nel 1073, e Salerno,
che era un principato longobardo, nel 1076. L'ultima città a cadere è Napoli, nel 1139.

Roberto il Guiscardo dopo aver sottomesso queste terre, avvia la conquista della Sicilia,
che durerà 30 anni, che verrà completata dal fratello minore Ruggero d'Altavilla che al
termine della guerra riuscirà ad espellere il potere islamico dalla Sicilia.

Il Guiscardo negli ultimi anni della sua vita matura un progetto politico ancora più
ambizioso: dalla Puglia passa l'Adriatico meridionale per puntare direttamente all'Impero
di Costantinopoli. Voleva quindi occupare la Grecia nord-occidentale e da lì, lungo
l'antica via Ignazia, marciare verso la città imperiale.

Questo grandioso disegno fu sul punto di essere attuato se in soccorso dell'Impero di


Bisanzio non fosse arrivata una nuova potenza navale a fermare i normanni: Venezia, che
grazie alle sue galee sconfisse i Normanni a Durazzo, in Albania.
In seguito all'aiuto prestato dai veneziani a Bisanzio, Venezia riceverà così tanti privilegi di
natura fiscale e commerciale che la storia della città conoscerà un grandioso slancio
proprio a partire dalla concessione della Bolla D'oro, un documento con il quale
l'Imperatore di Bisanzio concedeva ai veneziani: commercio senza pagare le tasse,
scambi portuali, magazzini, le Chiese, etc..
Invece Ruggero conquista la Sicilia. la sua conquista si materializza in circa 30 anni
concludendosi intorno al 1090 e determina una emigrazione selettiva di islamici. Se ne

329
vanno gli islamici che detenevano il potere, ma nelle città e soprattutto nelle campagne la
popolazione è ancora, in buona parte, araba. Ci vorrà ancora molto tempo perchè questa
componente islamica venga estirpata dall'isola definitivamente.
Quindi la Sicilia dalla fine dell'XI° secolo fino al primo periodo di governo di Federico II,
intorno al 1120, è veramente un caso sui generis nella storia dell'Europa e del
mediterraneo perchè abbiamo una convivenza, più pacifica che conflittuale, di
popolazioni di lingua araba e di religione islamica con popolazioni di lingua greca e
con una tradizione cristiana orientale e poi, mano a mano che ci inoltriamo nel XII°
secolo, con una tradizione latina feudale e cattolica. Addirittura Ruggero II dopo aver
conquistato l'isola si farà concedere dai Papi la cosiddetta Legazìa Apostolica, cioè la
possibilità di creare nuove diocesi mettendo bocca anche sulla scelta del vescovo.
Questa è una circostanza eccezionale determinata dalla guerra contro l'infedele per cui i
Papi derogano alla stessa riforma che vorrebbero attuare, concedendo a Ruggero
appunto di poter creare diocesi e di poter nominare vescovi.
Chi ha partecipato a questa guerra? Non solo i Normanni, ma anche molti cavalieri che
vengono dall'Italia del nord.
Uno degli ultimi governatori della Sicilia (che certo non brillava per trasparenza) faceva di
cognome Lombardo, e questo cognome è molto diffuso in Sicilia proprio perchè dalla
seconda metà dell'XI° secolo e per tutto il XII° assistiamo a un ripopolamento delle
campagne siciliane con immigrati provenienti dal nord Italia, per cui abbiamo insediamenti
come ad esempio i Lombardi di Corleone.

Ecco perchè la Sicilia ha questa grande varietà di tratti somatici.

Ruggero I procede entro la fine dell'XI° secolo a sottomettere l'Italia che va dal Molise
fino alla Sicilia.

Roberto il Guiscardo muore a Cefalonia, un'isola greca dello Ionio nel 1085, mentre sta
portando avanti vanamente il suo tentativo di conquistare l'Impero bizantino.

Ruggero invece muore nel 1101. Dopo la sua morte i territori conquistati dai Normanni
vengono contesi per qualche anno tra gli eredi della dinastia Altavilla, fino a che negli anni
'20 emerge una figura carismatica che riuscirà a unificare totalmente i territori dell'Italia
meridionale e a portare il dominio normanno fino al fiume Tronto, che segna il confine
330
tra le Marche e l'Abruzzo e quindi anche l'Abruzzo, che aveva fatto parte del Ducato di
Spoleto e dell'Impero Carolingio, viene inglobato in questo nuovo regno. Questo
personaggio è Ruggero II, figlio di Ruggero I, il quale, nell'anno 1130, dopo aver
sbaragliato tutti i rivali, viene incoronato re di Sicilia. È la prima volta che troviamo
attestato un re di Sicilia, e la sua consacrazione avviene a Palermo per opera di un anti-
Papa, Anacleto II. Qual è la contingenza che Ruggero II sfrutta abilmente? In quegli anni
la Sede Pontificia è sconvolta da un importante scisma e ci sono due papi: uno è
Innocenzo II e l'altro Anacleto II. Quello più debole è Anacleto e quindi Ruggero si rivolge
a lui sapendo che questo non potrà rifiutargli questo favore e lo incorona re di Sicilia, e
così, con questa investitura, il capo dei Normanni diventa un re feudale. Ma questo regno
risente fortemente di tutte le tradizioni giuridiche, linguistiche, religiose e di
rappresentazione del potere: Ruggero appartiene alla tradizione normanna, quindi
cattolica e feudale, ma si fa incoronare a Palermo - che è una città di rifondazione
islamica - e in un contesto che a lungo aveva fatto capo all'Impero bizantino. Quindi, la
simbologia di questo potere regio tiene conto sia alla tradizione feudale, sia alla tradizione
islamica e sia alla tradizione romano-bizantina.

Questo lo potete vedere in due immagini:

Una di queste immagini si trova nella Cappella Palatina di Palermo che è uno dei più
grandi e importanti monumenti artistici di tutta l'Italia e di tutta l'Europa.
La Cappella palatina si trova appunto nel Palatium fatto costruire dai Normanni laddove
prima sorgeva la fortezza araba. C'è quindi un'opera di sostituzione di un potere
occidentale a un potere islamico, cosi come la nuova Cattedrale di Palermo si trova nello
stesso luogo dove c'era un'importante Moschea cittadina.
331
Questa Cappella Palatina è impreziosita da una quantità incredibile di mosaici bizantini. Il
re di Sicilia faceva decorare il suo palazzo da artigiani in parte locali, ma in parte fatti
venire apposta dalla Grecia proprio perchè erano portatori di un certo tipo di arte e perchè
sapevano come rappresentare il potere nella maniera più aulica e prestigiosa
possibile (si pensi ai Cristi di derivazione bizantina e a come gli imperatori bizantini si
facevano rappresentare, simili a divinità). Ma accanto a questi mosaici, che rispecchiano
questa tradizione iconografica del potere e della religiosità abbiamo anche una
rappresentazione del potere di tipo islamico che troviamo appunto in una
rappresentazione della Cappella Palatina, in cui Ruggero si fa rappresentare in foggia
di emiro, con le gambe incrociate, senza un trono, che non esisteva nella cultura islamica.
In questa raffigurazione tutto ricalca i caratteri e i connotati dell'iconografia islamica.
Se invece osserviamo l'altra immagine,

vediamo che riflette in pieno l'iconografia del potere come si realizzava a Bisanzio:
abbiamo sulla sinistra il re Ruggero che è raffigurato, anche somaticamente, come un
Basileus di Costantinopoli, incoronato da Cristo. Questo mosaico si trova nella Chiesa
palermitana di S.Maria dell'Ammiraglio, detta della Matorana e risale circa alla metà
del XII° secolo. Sopra la testa del sovrano c'è una iscrizione che non è latina, ma è
greca. Quindi il re, non solo aderisce agli stili iconografici bizantini, ma utilizza anche la
lingua greca, tant'è che qua sopra in greco c'è scritto: " Rogerios Rex".
Anche qui abbiamo mosaicisti che provengono dall'Impero stesso.
Questo regno creato da cavalieri feudali della Francia del nord molto rapidamente riesce
ad assorbire le culture delle zone conquistate: la cultura della cristianità orientale e la
cultura islamica.
A corte nel XII° secolo non era raro che si parlasse anche il greco e talvolta anche

332
l'arabo; burocrati di corte, appartenevano alla tradizione bizantina o islamica e quindi più
lingue venivano utilizzate anche per produrre documenti di cancelleria. Questi cavalieri
normanni quindi, che all'inizio sono poco più che banditi, dimostrano una grande capacità
di adattarsi ai differenti contesti religiosi, linguistici, giuridici e culturali.
Vediamo ora attraverso fonti scritte come si presenta la monarchia di Ruggero II e dei suoi
successori.
Partiamo da due passi relativi ad una cronaca del XII° secolo di un abate campano,
Alessandro di Telese.
Fa parte di quella schiera di cronisti che hanno narrato delle gesta dei Normanni dalle
origini fino alla fine del XII° secolo.
Il primo brano fa riferimento proprio all'incoronazione di Ruggero II a Palermo nel 1130.

L'abate Alessandro di Telese descrive l'incoronazione di Ruggero II (Palermo, 1130)

Condotto dunque il duca alla chiesa arcivescovile, secondo l'usanza dell'incoronazione regia, e qui
consacrato con l'unzione, avendo assunto la dignità regia, non si può esprimere con parole scritte né
immaginare quale e quanta fosse allora la sua gloria, quanto grande fosse in lui la maestà di re e quanto
fosse da ammirare nello sfarzo. Infatti a tutti quelli che guardavano sembrava proprio che tutte le ricchezze
e gli onori di questo mondo si trovassero lì. Tutta la città era adorna in modo inestimabile, ed in essa erano
solo gioia e luce.
Anche il palazzo regio era rivestito tutto di drappi all'interno sulle pareti, e il suo pavimento coperto di
tappeti variopinti offriva morbidezza ai piedi di coloro che lo calpestavano; (l'allusione ai drappeggi è
un'illusione all'utilizzo di manufatti che in larga parte erano ignoti nel resto dell'Europa occidentale
del tempo: tessuti di seta e tappeti che rimandano a una tradizione orientale.) e, accompagnato con
tutti gli onori il re andava alla chiesa per essere consacrato; lo scortava un gran numero di cavalli, disposti
ordinatamente sui due lati, con selle e freni fregiati in oro e argento.
C'era, per chi accedeva alla mensa regia, varietà e abbondanza di cibi e bevande in grande apparato, che
furono serviti solo in piatti e coppe d'oro e argento (Viene descritto uno sfarzo che molti sovrani
europei non potevano permettersi) I servitori, poi, indossavano tutti vesti di seta, al punto che anche i
portatori di stoviglie avevano indosso una tunica serica. Che dire di più? La gloria e le ricchezze nella
reggia furono tali e tante che a tutti sembrò un gran miracolo, e ne ebbero profondo stupore, così tanto da
incutere timore non modesto in chi veniva da lontano. E infatti videro molto più sfarzo di quello che
avevano sentito dire.

333
Guardiamo sempre nella cronaca di Alessandro di Telese cosa accade all'indomani
dell'incoronazione:

La sottomissione di città e grandi baroni nella cronaca di Alessandro di Telese

Conclusa la cerimonia [incoronazione del 1130], essendo tornati tutti alle proprie sedi, il re cominciò
presto a considerare tra sé e sé come poter rafforzare con una pace duratura il suo regno, ciò che gli
premeva molto, e come nessuno potesse avere la facoltà di opporglisi. Perciò cominciò ad esigere dagli
amalfitani, con più forza e insistenza, che lasciassero tutte le loro fortificazioni e le consegnassero a lui,
altrimenti non avrebbe tollerato che essi le tenessero ancora; e avendo questi risposto con ostinazione,
solidali, che rifiutavano, il re, indignato, li bandì dal consorzio dei suoi alleati . (Questa è una spia
importante di un fenomeno più generale e cioè la forte limitazione dell'autonomia cittadina
nell'Italia del sud, perché la creazione di questo regno feudale ha avuto un effetto molto importante
nel comprimere lo sviluppo delle città-stato. Questo avrà alla lunga anche dei riflessi soprattutto
nelle attività economiche, manifatturiere e commerciali. Alla metà circa dell'XI° secolo nessun
osservatore contemporaneo avrebbe potuto giudicare che le città del nord Italia fossero più grandi
o più sviluppate dal punto di vista economico di quelle dell'Italia del sud. Duecento anni dopo
invece tutti lo notarono perché città come Milano, Bologna o Firenze erano molto più grandi e più
ricche di città come Bari, Napoli, Reggio Calabria etc. Questo fenomeno, in parte, è il prodotto
dell'accentramento del potere nelle mani del re e del baronaggio a scapito delle città e della
possibile autonomia politica)
... [1131, Salerno] E mentre soggiornava lì, il comandante della città di Napoli, di nome Sergio, vedendo
che Ruggero possedeva una grande potenza e abilità di combattente, non certo perché costretto con la forza,
ma solamente spinto dal timore di lui, gli andò incontro e si sottomise al suo dominio; eppure la sua città,
cosa degna di stupore, non era stata sottomessa quasi mai a nessuno, dopo aver patito il giogo romano; ora,
invece, basta una parola a farla capitolare .
... [1134, monastero di S. Salvatore di Telese] Rainulfo d'Alife (Rainulfo d'Alife aveva conteso allo
stesso Ruggero il potere) andando incontro a lui [Ruggero II], inginocchiatosi, gli volle baciare i piedi; e
avendo lo l'altro sollevato dall'atto di baciare i piedi e volendolo accogliere con un bacio della sua bocca, il
conte per primo lo prega di stornare completamente dal suo animo l'indignazione. (Il bacio sulla bocca è
una simbologia feudale perchè quando si prestava giuramento era previsto nel cerimoniale che il
“vassus” si dovesse inginocchiare di fronte al suo Senior. Poi il Senior sollevava il Vassus e lo
baciava sulla bocca: è il cosiddetto "osculum" ed è il segno del legame vassallatico-beneficiario) E
a lui il re: «lo faccio di cuore», disse. E quegli a lui: «Voglio ancora che in futuro tu mi ami per come ti
avrò servito». E l'altro: «Te lo concedo. E voglio ancora - disse - che Dio sia testimone di queste promesse
che ci siamo scambiati vicendevolmente». E l'altro rispose: «Così sia». Dette queste cose, Ruggero subito lo

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baciò, e a lungo fu visto allietarsi in quell'abbraccio, così che si videro lacrime di gioia sgorgare dagli occhi
dei presenti.
E così con Ruggero II viene creato un regno che va dall'Abruzzo fino alla Sicilia.

I caratteri di questo regno sono sinteticamente semplici : da una parte ci sono i caratteri
che ne fanno un tipico stato monarchico feudale. Questo vuol dire che il potere del re ha
come controcanto il potere dell'aristocrazia baronale. Questo significa, materialmente,
che le terre del demanio e vaste zone rurali sono amministrate da funzionari regi, da
burocrati. La fiscalità viene riorganizzata, ci sono nuovi funzionari provinciali e i più
importanti sono: i Giustizieri, che amministrano la giustizia nei tribunali, i Camerari
che riscuotono le tasse e i funzionari della Curia di Palermo, alcuni greci e altri
islamici.
Ma in molte zone rurali il potere di fatto è nelle mani dei baroni, grandi famiglie,
generalmente normanne, che hanno costruito castelli, villaggi murari, nei quali esercitano
poteri effettivi: amministrano la giustizia, riscuotono le tasse, etc… C'è una delega di
poteri da parte del re su scala locale.
D'altra parte ci sono le città che cercano di conservare o ampliare le autonomie, ma
generalmente tra il potere del re e quello baronale, le città rimangono un po' stritolate.
335
Da un punto di vista giuridico abbiamo una compresenza di diritti: il regno si rifa al diritto
feudale, ma se usciamo dal diritto pubblico e entriamo nel diritto privato, è più difficile
arrivare a una omogeneità. Infatti nelle zone di tradizione longobarda prevale il diritto
longobardo che si rifà all'editto di Rotari, nelle zone bizantine prevale il diritto romano.
Esempio concreto: Una donna dell'Irpinia non è selpmundia, ha bisogno di una persona
di sesso maschile di famiglia che la rappresenti quando va da un notaio per stendere un
atto. Una donna del Salento o della Calabria invece non ha bisogno di un rappresentante
perchè il diritto romano non lo prevede. Quindi abbiamo delle notevoli differenze
nell'ambito del diritto privato.
Ci sono ovviamente delle differenze sul piano linguistico e dal punto di vista religioso
accade che in molte zone i Normanni incentivino la diffusione delle Chiese cattoliche a
scapito fondamentalmente di quelle ortodosse.
La simbologia del potere è mista: occidentale, greca e islamica.
Lo stesso mantello di seta che Ruggero II utilizza durante il cerimoniale della sua
incoronazione è di fabbricazione bizantina, che quindi viene tessuto secondo le modalità
con le quali si fabbricavano i mantelli per i Basileus bizantini. Uno di questi mantelli si
conserva ancora oggi in un museo di Vienna e ha una iscrizione in arabo! Si pensi quindi
alla eterogeneità di questi abiti che sono da esporre di fronte a tutti nei cerimoniali di più
importanti. Nell'iscrizione si legge:

Legenda araba sull' orlo del mantello di seta di re Ruggero conservato nella Camera del tesoro
dell'Hofburg di Vienna

Questa fu fatta nell'officina reale (significa che a Palermo la Curia disponeva di un laboratorio dove
maestranze locali o di origine bizantina fabbricavano i tessuti per l'imperatore o per i suoi
funzionari di cancelleria, come del resto avveniva sia a Costantinopoli, sia nelle principali città del
mondo islamico) per la buona fortuna e l'onore supremo e la perfezione e la forza e il meglio e la capacità
e la prosperità e la sublimità e la gloria e la bellezza e il raggiungimento della sicurezza e delle speranze e
della bontà dei giorni e delle notti senza fine e senza interruzione, per la potenza e la custodia-e la difesa-e
la protezione e la buona fortuna e la salvezza e la vittoria e l'abilità. Nella capitale della Sicilia nell'anno
528 [dell'Egira, quindi tra il 1133 e il 1134]. (La data di fattura che compare è il 528, che è il modo di
contare gli anni tipico del mondo islamico)

336
La fonte successiva proviene da una cronaca araba della metà del '200 che descrive un
oggetto che veniva utilizzato da paggi di corte di Ruggero II che dovevano tenere un
parasole per riparare il re dal sole, cosi come facevano gli emiri e i sultani islamici. Anche
in questi aspetti, apparentemente secondari, della rappresentazione della regalità
Ruggero imitava i vicini potentati islamici.

Il cronista arabo Ibn Hammad (prima metà del XIII sec.) descrive il parasole utilizzato
nella corte palermitana di Ruggero II

L'ombrello da sole somigliava ad un grosso scudo di cuoio, messo in cima a una lancia, costruito
saldamente, bello d'apparenza, elegante di lavorio e di colori, ornato di pietre rare e preziose, sÌ che
abbagliava la vista e faceva meravigliare chi lo guardasse. Lo portava un cavaliere dei più valorosi, il cui
grado prendeva nome da quello, chiamandosi il "porta ombrelli" ... Non si conosce altra dinastia che abbia
usato l'ombrello se non i Banu 'Ubayd [Fatimidi d'Egitto], e il re dei Rum in Sicilia. lo credo che questi
l'abbia avuto tra gli altri doni che gli solevano mandare [i califfi d'Egitto]. Anzi panni di averlo sentito dire
espressamente. (Ruggero II è definito dal cronista arabo re dei Rum, che per gli islamici significa re
dei Romani di Costantinopoli. Siccome Ruggero II ha conquistato terre che appartenevano anche
ai Rum, cioè ai bizantini di Costantinopoli, per questo cronista lui è re dei Rum Dalla cronaca
emergono i rapporti diplomatici e amichevoli che Ruggero teneva con le potenze islamiche del
Mediterraneo meridionale)

Dopo la morte di Ruggero II che avviene nel 1154, gli succede il figlio Guglielmo che
governa per circa 12 anni. Nel 1166 infatti muore. Egli è passato alla storia come
Guglielmo il Malo perchè cercò vanamente di limitare il più possibile il potere del grande
baronaggio affidandosi soprattutto all'opera del suo ammiraglio di corte: Maione, che
portò avanti una politica di forte accentramento di potere pubblico a scapito dei baroni, e
questo provocò una rivolta dell'aristocrazia rurale e l'eliminazione fisica
dell'ammiraglio. Quindi questo tentativo di limitare il potere del baronaggio costò caro a
Maione e anche al re.
Siamo di fronte a fenomeni che poi ritroveremo anche in altre zone d'Europa come in
Francia o in Inghilterra.
Il successore di Guglielmo il Malo è il figlio Guglielmo II il Buono che governa fino al
1189 e che è colui che ha promosso alcune importantissime opere di carattere

337
architettonico e artistico. In particolar modo la costruzione e poi la realizzazione interna di
grandiosi mosaici del Monastero di Monreale, (una collina sopra Palermo) con una Chiesa
gigantesca viene impreziosita da raffinatissimi mosaici di fattura bizantina.
Guglielmo II è l'ultimo sovrano della dinastia Altavilla, muore nel 1189 alla vigilia della
partenza per la terza Crociata.
Questa morte segna di fatto la fine della discendenza maschile degli Altavilla perchè
Guglielmo II non ha figli maschi. Ci sono solo eredi collaterali della famiglia. L'unica
erede diretta della dinastia è Costanza, la figlia avuta da Ruggero II pochi mesi prima di
morire, nel 1154. Aveva all'epoca 35 anni e non era sposata. Una donna di 35 anni era
considerata una vecchia all'epoca, le donne si sposavano molto presto negli ambienti
elevati. Ma, Costanza d'Altavilla si sposa con il figlio dell'Imperatore Federico I
Barbarossa, Enrico VI che diventa erede al trono legittimo di Sicilia In realtà ci vorrà
qualche anno prima che Enrico VI diventi re di Sicilia, perchè esponenti collaterali della
famiglia Altavilla cercarono di contendere l'ascesa al trono dell'Imperatore del Sacro
Romano Impero.
Alla fine Enrico VI e Costanza riuscirono a prendere possesso del regno e così sembrò
per un breve arco di tempo che Enrico VI potesse configurarsi come il sovrano più
potente d'Europa che da una parte era re di Germania e Imperatore del Sacro
Romano Impero e dall'altra re di Sicilia, e infatti i Comuni già tremavano.
Enrico VI muore però nel 1197 e l'anno dopo muore Costanza, così il trono del Regno
di Sicilia rimane vacante. Il regno avrebbe in realtà un erede al trono, ma nel 1198 ha
solo 4 anni ed è colui che sarà poi Federico II. Questo bambino di 4 anni viene affidato
dalla madre poco prima di morire alla tutela del Papa Innocenzo III. Perchè? Perchè i
Papi avevano la supremazia feudale sul regno di Sicilia dopo il Concordato di Melfi. Così
accade che questo bambino venga posto sotto la tutela politica del Papa e con lui tutto il
regno. Per alcuni anni quindi il bambino ha come tutori in parte dei prelati e in parte dei
funzionari prelati di origine germanica, quindi c'è la componente romana ecclesiastica e
quella germanica.
Governano quindi i tutori che rispondono al Papa e alle altre gerarchie ecclesiastiche del
mondo tedesco.
Questo grossomodo dura fino a quando Federico II non compie i 14 anni, fino al 1208. A
quel punto il Pontefice lo riconosce come re di Sicilia, ma si guarda bene dal
riconoscergli gli eventuali diritti sull'Impero.

338
L'obiettivo politico di Innocenzo III è quello di tenere ben separate le due corone che
verrà perseguita anche dai suoi successori.

I Papi di Roma hanno fatto di tutto, spesso vanamente, per impedire che Federico II
cumulasse nella sua persona il regno di Sicilia e il potere imperiale perché queste due
corone mettevano in grossa difficoltà il potere pontificio.

Si tenga presente che Innocenzo III, oltre ad aver bandito la quarta crociata, oltre ad aver
bandito la crociata contro gli eretici nella Francia meridionale, oltre ad aver riconosciuto la
regola di San Domenico e di San Francesco - è quindi un pontefice molto attivo
politicamente - è stato anche il primo Papa che ha accettato di trasformare lo Stato
della Chiesa da qualcosa di meramente teorico in qualcosa che avesse una
parvenza di funzionamento.

Quindi mentre questo Papa sta cercando di controllare le zone dell'Italia centrale, la
possibilità che ci sia un mega sovrano che schiaccia l'Italia da nord e da sud doveva
essere visto come un fattore d'allarme, per questo Innocenzo III riconosce Federico II
come re di Sicilia, ma non come Imperatore.

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QUATTORDICESIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
MARTEDI’ 28.10.2014 ORE: 12,30 – 13,45

Ieri eravamo rimasti, all'inizio del XIII secolo, col giovane Federico posto sotto la tutela del
pontefice Innocenzo III.
Innocenzo III, come ricordavo in chiusura, è un papa che ha lasciato una forte impronta
del suo operato, proclamando la IV crociata — che poi vedremo quale esito particolare
avrà — e proclamando per la prima volta una crociata contro gli eretici, diretta soprattutto
verso la Francia meridionale.

È un pontefice che ha avuto un ruolo fondamentale nel riconoscimento degli ordini


mendicanti, in particolare dei Domenicani e dei Francescani, ed è lui che cerca in ogni
modo di tenere separate la corona di Sicilia e la corona imperiale.

[Innocenzo III] nel 1208 incorona Federico re di Sicilia, quando il sovrano aveva appena
14 anni e contemporaneamente incorona imperatore del Sacro Romano Impero Ottone IV
di Brunswick.

La scelta di Ottone IV, però, si rivelerà per Innocenzo III decisamente infelice, perché
Ottone IV una volta incoronato viene rapidamente meno ai patti col pontefice e comincia a
reclamare l'esercizio del potere imperiale nella penisola italiana, minacciando quei territori
che Innocenzo III voleva sottomessi a san Pietro, ossia i territori pontifici dell'Italia
centrale.

Dopo pochi anni dall'incoronazione, Ottone IV e Innocenzo III entrano in rotta di collisione.
Rotta di collisione che determina un cambiamento delle scelte del pontefice, che lo
porteranno, in mancanza di alternative, ad appoggiare la possibilità del giovane Federico I
di ricoprire anche la carica di imperatore.

Il ruolo di Innocenzo III si rivelerà determinante nel mettere in piedi una sorta di alleanza
politica internazionale: l'alleanza tra Federico II, Innocenzo III e il re di Francia Filippo II
Augusto, un personaggio molto importante per la storia della monarchia transalpina, di cui
parleremo in una prossima lezione.
340
Si arriva così alla famosa Battaglia di Bouvines [detta anche 'domenica di Bouvines'], il
27 luglio del 1214, svoltasi nel nord della Francia e definita anche "Battaglia delle
Nazioni", perché si scontrarono da una parte l'esercito francese con contingenti
inviati da Innocenzo III e Federico II e dall'altra eserciti inglesi inviati dal re inglese
Giovanni Plantageneto, detto "il Senzaterra", e le truppe imperiali di Ottone IV.

Per questo si parla di “Battaglia delle Nazioni”, perché è il primo conflitto che vede
partecipare tante monarchie differenti.

Il risultato della battaglia vede la netta vittoria dell'alleanza tra francesi, Innocenzo III
e Federico II.

Dopo questa battaglia Ottone IV perde i suoi privilegi come imperatore e si aprono le porte
alla possibilità che Federico II ricopra ambedue le cariche, ovvero che abbia ambedue le
corone.

Per ottenere l'appoggio fondamentale del papa, Federico II ha rinunciato ufficialmente a


tutti i privilegi che ancora gli sarebbero spettati secondo i principi regolamentati a Worms
nel 1122.

Se vi ricordate, con il concordato di Worms, in Germania, era previsto che l'imperatore o


un suo funzionario presenziasse all'elezione del vescovo.

Federico II promise al pontefice che questi privilegi, che ancora rimanevano in mano agli
imperatori di Germania, non sarebbero stati più esercitati e che quindi la situazione del
regno tedesco sarebbe stata uguale al Regno d'Italia e delle altre parti dell'impero.
Per questo Ottone IV bollerà Federico II con l'epiteto di "re dei preti", come a dire: “Ti sei
prostrato di fronte al pontefice!”.
Non sapeva che cosa sarebbe successo dopo perché, al termine della sua vita, Federico II
muore con l'appellativo di "Anticristo", proprio per la sua politica decisamente anti-
pontificia...

Dopo il 1214 Federico II è re di Sicilia e re di Germania.


341
Nel 1216 giura a Innocenzo III, che ormai sta morendo, che separerà in breve tempo
le due corone e [per mostrare la buona fede] nomina suo figlio di 5 anni re di Sicilia,
per quel che può valere una cosa del genere.

Il successore di Innocenzo III, Onorio III [succedutogli nel 1216], è un papa molto meno
energico del predecessore, molto meno politico nel senso pieno del termine.

Il suo obbiettivo principale pare esser quello di organizzare una crociata, per prestare
soccorso agli Stati Cristiani di Terra Santa, che stanno soccombendo di fronte all'attacco
delle potenze islamiche confinanti.

Sotto il papato di Onorio III la divisione delle corone viene sempre rimandata.
È una divisione che non viene mai attuata.

Dal punto di vista giuridico formale, la scusante presentata da Federico II è la seguente:


"Io ho giurato di separare le due corone a Innocenzo III, non al papato in generale. Venuto
meno Innocenzo III, questo giuramento non ha più validità. Io avevo giurato a lui, nelle sue
mani, lui non c'è più, questo giuramento decade".
Perciò non c'è nessuna separazione delle due corone.

Nel 1220 Federico II viene formalmente incoronato imperatore del Sacro Romano Impero
e qui comincia un periodo completamente diverso, sia nei rapporti tra Federico II e la
Chiesa Romana, sia nella gestione del Regno di Sicilia, sia nei rapporti tra Federico II — in
quanto imperatore del Sacro Romano Impero — e il Regno d'Italia, dove si son sviluppati i
Comuni.
Per comodità, nell'esposizione, dividiamo i tre ambiti, tenendo presente che sono
strettamente concatenati nell'azione politica federiciana.
Intanto bisogna tener conto di un fatto molto importante, Federico II è erede di due
tradizioni politiche, la tradizione normanno-siciliana e la tradizione imperiale della sua
famiglia, la casa degli Hohenstaufen o degli Svevi.

È però nato in Italia, a Jesi, nelle Marche, durante un viaggio compiuto per motivi politici
dalla madre.
342
È vissuto per quasi tutta la sua giovinezza in Italia meridionale, soprattutto in Puglia, e per
questo porterà l'epiteto di 'Puer Apuliae' (fanciullo della Puglia).

Parla fondamentalmente un idioma volgare meridionale.


Conosce naturalmente il tedesco e anche l'arabo.
Conosce, e sa scrivere, il latino.
È un sovrano veramente sui generis nel panorama dell'Europa duecentesca.
Trascorrerà pochi anni della sua vita in Germania.
Sarà quasi sempre presente in Italia, soprattutto nel Meridione.
Partiamo dall'esame della politica che lui attua all'interno del suo regno, nel Regno di
Sicilia.
[1] La politica che lui porta avanti nel Regno di Sicilia è la seguente: [1a] l'abbattimento di
tutte le fortificazioni costruite in maniera più o meno abusiva dal 1189 fino al momento in
cui ha preso possesso del Regno (1208).
Infatti era accaduto in questo periodo di circa 20 anni che il Regno era stato conteso
— se vi ricordate il matrimonio tra Costanza d'Altavilla [figlia di Ruggero II] ed
Enrico VI — con tensioni interne molto forti, con pretendenti appartenenti a rami
collaterali.
In questo periodo particolarmente convulso, l'autorità regia era stata esercitata fino ad un
certo punto, a maggior ragione quando lui era un bambino ed era stato posto sotto la
tutela dei prelati romani e tedeschi.
In questo periodo, soprattutto il grande baronaggio aveva alzato potentemente la testa
estendendo, spesso abusivamente, il proprio potere nelle campagne e, anche in ambito
urbano, qualche città aveva cercato di riprendersi l'autonomia politica.
Per questo vengono fatte abbattere tutte le fortezze costruite abusivamente
dall'aristocrazia feudale e poi vengono annullati o sottoposti a revisione nella cancelleria
regia tutti i privilegi concessi dopo il 1189 [dell'aristocrazia feudale], magari privilegi
concessi per motivi straordinari, per cercare degli alleati.
Questi privilegi, che contenevano concessioni di autonomie sul piano del diritto, del
potere, della coniazione delle monete, vengono rivisti dalla cancelleria regia: "Questo lo
approviamo, questo lo cassiamo, questo si, questo no".
Poi c'è un [1b] deciso potenziamento della burocrazia del Regno, sia centrale che
periferica [con burocrati ricercati nelle città, dediti all'arte della poesia ed esperti di diritto;

343
un altro aspetto importante della politica federiciana in tale ambito è la costruzione
dell'Università di Napoli, in concorrenza con quella di Bologna].
Vediamo questa burocrazia centrale.
Pensiamo alla Scuola Poetica Siciliana. Ma questi poeti, chi erano? Da dove venivano?
Non erano poeti. Non vivevano di poesia, non esisteva una scuola poetica e non c'era
niente che facesse pensare ad un gruppo di intellettuali che si riunissero più o meno
quotidianamente per discutere questioni di letteratura, di poesia; erano un gruppo di
persone che scrivevano poesie nell'idioma volgare siciliano.
Purtroppo abbiamo pochissimi esemplari in siciliano.
Ci sono arrivati quasi tutti perché sono stati 'toscanizzati' dai poeti toscani del '200 e a noi
sono arrivate solo le versioni toscanizzate (che a noi paiono italianizzate, semplicemente
perché l'italiano è il toscano).
Di testi proprio originali ne abbiamo pochissimi, si contano sulle dita di una mano.
Ma chi erano queste persone?
Queste persone erano burocrati della curia di Palermo, erano notai, cancellieri, giudici,
cioè erano laici che partecipavano alla vita burocratica della capitale del Regno.
Giacomo da Lentini è uno di questi, è un notaio della cancelleria.
Sono dunque professionisti del diritto e della scrittura, e si dilettano, nel vero senso del
termine, scrivendo poesie che imitano in larga parte la tradizione poetica provenzale, cioè
la tradizione poetica che viene dalla Francia meridionale, la cosiddetta poetica dell'amor
cortese, a cui partecipa lo stesso Federico II.
Quindi questa vicenda culturale siciliana della prima metà del '200 è fortemente intrecciata
con lo sviluppo della burocrazia centrale del Regno.
Ci sono anche sempre più burocrati provinciali.
Federico II va a pescare questi burocrati soprattutto nelle città.
La sua maggior cura è che questi burocrati non appartengano all'aristocrazia baronale
perché la burocrazia centrale e periferica ha come obbiettivo quello di estendere il potere
del sovrano e quindi, più o meno implicitamente, di limitare i poteri della feudalità.
Tutti questi burocrati verranno perciò dai ceti elevati cittadini, non dai ceti aristocratici che
vivono nei loro manieri incastellati nelle campagne.
Come si forma una burocrazia?
Una burocrazia si forma anche con lo studio del diritto.
E dove si studiava e all'epoca di Federico II, quando diventa re di Sicilia?
Il diritto si studiava a Bologna.
344
Però Federico pensa che sia opportuno impedire che i suoi sudditi andassero a studiare
fuori e promuovere gli studi di diritto a casa sua e così fonda un'università, l'università di
Napoli, la prima università in Europa ad essere fondata da un sovrano, perché tutte le altre
università fondate precedentemente non sono fondazioni monarchiche.
L'università di Bologna è sorta come un'associazione, come una specie di corporazione di
mestieri tra gli studenti e i maestri.
L'università di Parigi, dove si studiano fondamentalmente le Arti, ossia filosofia, logica e
teologia, nasce intorno alle scuole vescovili.
Perciò il rettore dell'università di Parigi è il vescovo.
Questo tipo di organizzazione fortemente legata al mondo ecclesiastico lo troviamo anche
nelle università inglesi, come Oxford e Cambridge.
Ancora oggi l'università di Napoli è intitolata a Federico II.
Qui verranno attirati i professori più importanti grazie a stipendi più elevati (come avviene
ancora oggi con le università private americane, si accaparrano i docenti migliori).
Ma naturalmente ciò non basta.
Controllare un regno vuol dire anche controllarlo militarmente.

Perciò cosa fa [1c] Federico II?

Fa costruire, fuori dalle mura delle principali città, dei castelli che
servono per tenere sotto scacco le città che dimostrano maggiore
volontà di autonomia politica.

Così ancora oggi troviamo, anche se spesso molto rimaneggiati nei secoli successivi, i
castelli federiciani costruiti, ad esempio, appena fuori dalle cinta murarie in Puglia o a
Catania o in altre zone del Regno di Sicilia.

Questi castelli minacciosi dovevano servire come monito dei ceti urbani come a dire:
"Attenzione, le rivolte verranno sanzionate dall'intervento militare !".
Il rafforzamento del potere regio passa anche attraverso una vicenda molto drammatica,
cioè l'espulsione della popolazione araba fuori dalla Sicilia.

345
Infatti il personaggio di Federico II è veramente singolare e anche con molte ambiguità,
perché è un monarca che è stato mitizzato dalla storiografia ottocentesca come una sorta
di monarca illuminato — come se fosse un monarca del '700! — ma non è propriamente
così.
Quel che è sicuro è che, nonostante conoscesse bene l'arabo e la cultura araba,
percepiva la presenza araba in Sicilia come un elemento di perturbazione, quindi decise di
sradicare questa presenza con una guerra continua.
Alcuni migrano nel Maghreb, altri vengono deportati in una località della Puglia
settentrionale, Lucera, oggi in provincia di Foggia.
[A Lucera] tutta la popolazione era costituita da arabi deportati che avevano giurato fedeltà
a Federico II (da qui tra l'altro proveniva la guardia del corpo personale di Federico II).
Perciò questi guerrieri di Lucera, che avevano giurato fedeltà [a Federico II] in cambio
della vita, in cambio di poter rimanere nel regno, sono islamici.
Voi dovete immaginarvi l'arrivo di Federico II a Roma, dal papa, con le sue guardie del
corpo che portavano turbanti e si vestivano con la foggia islamica.
Doveva fare notevolmente impressione tutto questo.
Ultimo e [1d] fondamentale aspetto del governo di Federico II è la grande codificazione
promulgata a Melfi nel 1231, il cosiddetto "Liber Augustalis" o "Costituzione di Melfi", la più
grande codificazione giuridica dell'Italia meridionale fino all'età contemporanea, tant'è che
il "Liber Augustalis" è stato utilizzato anche dalle dinastie succedutesi a quella degli Svevi,
di fatto fino all'età Napoleonica.

Quindi nella gestione del regno meridionale il "Liber Augustalis" è stato


impiegato in larga parte sino alla fine del '700.
Un testo dunque di grandissima importanza.
A questo testo lavorarono intensamente proprio i maestri di diritto che Federico aveva
portato a Napoli, il più importante dei quali è sicuramente Pier delle Vigne.
Pier delle Vigne, suo cancelliere giurista, negli ultimi anni di governo di Federico fece una
brutta fine in quanto verrà coinvolto — non si sa se a torto o ragione — in una congiura di
palazzo.
Quindi venne imprigionato e accecato e si suicidò durante la sua prigionia e per questo
Dante Alighieri nella "Divina Commedia" pone Pier delle Vigne nell'inferno tra i suicidi.

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Il "Liber Augustalis" si basa sulle imponenti tradizioni giuridiche dell'Italia meridionale, in
primo luogo sul diritto romano, ossia il diritto basato sul "Corpus Iuris Civilis" di
Giustiniano, che già si studiava a Bologna (e che ora si studia anche a Napoli); sul diritto
feudale collegato alla tradizione normanna, ma anche imperiale; sui vari diritti privati che
vengono amalgamati tra loro.
Quindi una politica caratterizzata da un forte accentramento nelle mani del re e della sua
burocrazia.
Il potenziamento della burocrazia comportò necessariamente un aumento della pressione
fiscale per mantenere l'apparato burocratico.
La politica fiscale di Federico II si mantiene nel solco della tradizione normanna, anche se
la pressione fiscale aumenta.
Aumenta soprattutto la fiscalità indiretta, cioè quella collegata al commercio in entrata e in
uscita dal regno, ossia al commercio internazionale.
Quindi porte aperte ai mercanti stranieri, che portano ricchezza (ma che
contemporaneamente impediscono lo sviluppo di un ceto mercantile locale).
Questa è quindi, grossomodo, la vicenda del Regno di Sicilia.

Qual è invece [2] la politica imperiale di Federico II?

La politica imperiale è tutta nel solco di quella del nonno, Federico I, detto il Barbarossa:
[2a] lotta ai Comuni, che sono degli enti politici abusivi (e, inevitabilmente, una politica
anti-comunale è ipso facto una [2b] politica anti-pontificia perché il papa è, per sua stessa
natura, schierato con i Comuni).

Nel 1226 viene convocata una consulta dei rappresentanti del Regno d'Italia a Cremona e
lì Federico II fa esporre ai suoi rappresentanti che i Comuni non sono ammessi nella forma
attuale e che quindi devono obbedienza all'imperatore e devono accettare i suoi
funzionari.
La risposta dei Comuni è la ricostituzione della Lega Lombarda.

Nel 1227 muore Onorio III e diventa papa Gregorio IX (1227 al 1241), il quale è un
pontefice molto meno malleabile del predecessore.

347
Intuisce subito la pericolosità dell'intervento di Federico II a Cremona e
quindi richiama l'imperatore ai suoi obblighi, per mandarlo lontano e
allontanare con lui il pericolo: "Tu dovevi partire per la crociata, parti
subito! O parti subito o io ti scomunico!"

Federico II capisce che Gregorio IX non sta scherzando e parte a Brindisi per imbarcarsi,
ma un'epidemia si diffonde nel porto e tutti i preparativi sono rimandati.
Il papa gli dice: "Tu mi stai prendendo in giro. Io ti scomunico!" perciò Federico parte da
scomunicato in terra santa.
Arrivato qui cosa avrebbe dovuto fare?
Avrebbe dovuto combattere contro il sultano d'Egitto, ma [Federico II] decide di non
combattere.
Per lui questa è una perdita di tempo.
Quindi trova un accordo diplomatico col sultano d'Egitto.
Questo accordo diplomatico ha delle caratteristiche tali che hanno portato molti storici otto-
novecenteschi a identificare in lui una sorta di precursore dei monarchi illuminati del '700,
perché l'accordo che Federico II trova con il sultano [Gerusalemme viene restituita ai
Cristiani in cambio della libera professione di culto da parte degli infedeli in Terra Santa] è
il seguente: "Tu mi restituisci Gerusalemme (che era stata perduta qualche decennio
prima), però io tengo Gerusalemme come città smilitarizzata, cioè senza mura, e
permetterò a tutti i fedeli musulmani di continuare a praticare i culti islamici nella città, che
è sotto il mio potere".

Gerusalemme diventa una sorta di città aperta.

Queste trattative sono molto facilitate dal fatto che Federico conosce bene i costumi
islamici e parla l'arabo senza bisogno di interprete, impressionando notevolmente il
sultano d'Egitto.
Si arriva così ad un esito sconcertante: una crociata senza guerra.
Al sultano l'esito pareva conveniente.
[Il sultano] pensava: "Gliela cediamo, i nostri possono praticare i loro culti. Tanto, andato
via l'imperatore, poi ce la potremo riprendere in qualunque momento. È una città senza
mura, senza difese".

348
L'esito è sconcertante perché, intanto, un re crociato deve uccidere gli infedeli, non deve
venire a patti con loro.
Inoltre l'accordo è passato sopra le teste sia del pontefice sia del califfo di Baghdad.
Ambedue i sovrani dovranno rispondere a casa loro delle decisioni inconsuete prese a
Gerusalemme e quindi l'esito della crociata non migliora i rapporti tra Federico II e il papa,
semmai li peggiora.
Federico II dovrà placare l'ira del pontefice, dichiarando che non interverrà più in nessuna
nomina vescovile del regno in qualsiasi maniera.
Qualche anno dopo l'imperatore riprende la sua offensiva nell'Italia centro-settentrionale.
Nel 1237 si arriva alla grande battaglia di Cortenuova, un villaggio murato del contado di
Bergamo, dove l'esercito imperiale infligge una sconfitta tremenda agli eserciti comunali.
Questa vittoria [sui Comuni] però solo in minima parte prelude ad una ripresa dell'azione
imperiale nell'Italia centro-settentrionale, perché solo le più modeste città aprono le porte
ai funzionari regi.
Quelle più grandi resistono.
E prendere una grande città, come erano quelle duecentesche del tempo, era un affare
molto complicato, perché bisogna assediarle una per una, non sono più le piccole città
dell'epoca di Federico I, ora sono grandi città, con decine di migliaia di abitanti.
Così questa grande vittoria è vanificata dall'impossibilità di prendere possesso delle città
italiane [poiché bisognerebbe assediarle una per una con un notevole dispendio di risorse
materiali e umane].
Nel frattempo Federico viene nuovamente scomunicato e, soprattutto
negli anni '40, verrà combattuta una sorta di guerra propagandistica e
ideologica tra lui e il papa con i Comuni a colpi di libelli e trattati scritti
dagli intellettuali delle due parti, quella pontificia e comunale e quella
imperiale.
Scritti in cui i sovrani della parte opposta vengono dipinti con tratti fortemente negativi ed è
nei libelli propagandistici della curia romana che l'imperatore verrà descritto come
l'Anticristo, una sorta di Satana in terra.

Il papa convoca un Concilio a Roma per dichiarare deposto l'imperatore, ma le truppe


imperiali bloccano le vie d'accesso alla città e i cardinali, non potendo riunirsi a Roma, si
vanno a riunire in Francia a Lione dove nel 1245 l'imperatore è dichiarato deposto.
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È, però, una deposizione solo sulla carta in quanto Federico rimarrà di fatto imperatore e
re di Sicilia fino al 1250, anno della sua morte, anche se gli ultimi anni della sua vita sono
caratterizzati da grandi delusioni.

Gli eserciti imperiali saranno sconfitti due volte, la prima a Parma nel 1248 e poi a Bologna
nel 1249 dove verrà catturato Enzo, figlio di Federico II, che portava il titolo puramente
formale di re di Sardegna, avendo sposato l'ultima discendente del giudicato di Torres,
Adelasia.
Catturato dai bolognesi, Enzo starà fino alla sua morte in una prigione del Palazzo del
podestà di Bologna e infatti questo palazzo viene ancora oggi chiamati il 'Palazzo di re
Enzo', perché ci ha passato più di vent'anni della sua vita.
Nel 1250 scompare Federico II e finisce un'epoca caratterizzata da un forte potere
imperiale in Italia.
Dopo di lui il potere imperiale non sarà più così forte in Italia.
Torneranno altri imperatori con spedizioni in Italia all'inizio del '300, come Arrigo VII,
esaltato da Dante, ma saranno interventi occasionali che non avranno un'incidenza
veramente efficace nel panorama politico della penisola.
Vediamo ora due giudizi su Federico II espressi dopo la sua morte in tempi diversi da
uomini di cultura appartenenti a due schieramenti opposti.
La testimonianza più antica è quella del giurista e consigliere politico di Manfredi, che è
figlio naturale di Federico II, che sarà re di Sicilia ma non imperatore.
Niccolò di Iamsilla, un intellettuale dell'area meridionale, il quale ovviamente non può che
avere parole fortemente elogiative nei confronti del sovrano da poco scomparso.
Si dice infatti [v. "Federico II nel giudizio del ghibellino Niccolò di Iamsilla, giurista e
consigliere di Manfredi" a p. 26 del mod A]:

Fu certo uomo di grande cuore, ma temperò la sua magnanimità con molta saggezza che ebbe dentro di sé,
così che mai lo spinse a fare alcunché la precipitazione, ma sempre si accinse con ponderato calcolo ad ogni
sua cosa ... Al momento del suo avvento felice vi erano pochi o punti uomini di lettere nel regno di Sicilia
(qui naturalmente l'esaltazione fa velo sulla realtà. Certo, Federico II ha avuto anche una
politica culturale di ampio respiro, però la Sicilia già normanna non era un regno di
illetterati. Tutt'altro! Nel panorama delle monarchie europee occidentali era sicuramente
quella più avanzata). Ma l'imperatore stesso istituì scuole di arti liberali e di ogni onorata scienza nel suo
350
stesso regno, attirando dotti da ogni parte del mondo con generosi premi e stabilendo uno stipendio fisso
tanto per loro quanto per gli studenti poveri a spese del suo proprio tesoro, affinché gli uomini di qualsiasi
condizione o fortuna non si traessero indietro dallo studio della filosofia per alcuna circostanza di povertà (e
questo è vero. Naturalmente la parola 'filosofia' va intesa estensivamente, come 'sapere in
generale', si può dunque intendere tanto medicina quanto logica o diritto. Tenete presente
che il dottorato di ricerca nei paesi anglosassoni si definisce 'Ph.D' o 'PhD', ossia la sigla
per l'espressione latina philosophiae doctor. In Inghilterra, in America, in Australia, ossia
nei paesi anglosassoni, quando uno consegue un dottorato diventa dottore in filosofia,
anche se studia ingegneria elettronica o aerospaziale, cioè qualsiasi cosa!). Lo stesso
imperatore per il suo grande intelletto, che era particolarmente ammirevole nella scienza naturale, compose
un libro sulla natura e l'allevamento degli uccelli, in cui appare chiaramente quanto fosse amante del sapere
lo stesso imperatore (ecco, ma cos'è questo trattato? Questo libro è il "De arte venandi cum
avibus", ossia "L'arte di cacciare con gli uccelli [= con il falcone]". Questa è un'arte
fortemente aristocratica, la caccia col falcone. Il falcone è l'animale da caccia per
eccellenza. Basterebbe pensare a una novella nel "Decameron" del Boccaccio, in cui un
nobile spiantato perde tutto e rimane da solo col suo falcone da caccia, che poi cucina per
farsi bello agli occhi di una donna! Perde tutto, perde anche l'onore per avere questa
donna…che poi giustamente avrà! Naturalmente è un trattato scritto in latino, per un
pubblico decisamente colto). Tanto amò e onorò la giustizia che a nessuno fu vietato contendere in
giudizio addirittura con lo stesso imperatore per il proprio diritto ed egli non si prevaleva dell'altezza del
potere imperiale, in modo da essere uguale davanti alla giustizia con colui che seco contendeva. E nessun
avvocato esitava ad assumere la difesa di chiunque, fosse anche il più povero, dato che l'imperatore
medesimo aveva stabilito che questo fosse permesso, stimando che fosse preferibile salvare la giustizia,
magari col proprio danno, che vincere la causa (insomma, però fate la tara a queste informazioni
[riguardo al carattere di idealità degli atti appena descritti]). Tuttavia amò la giustizia in modo tale
che ne temperò il rigore con la clemenza. Per l'odio dei suoi avversari (chi sono i suoi avversari? Il
papa e la curia pontificia! I Comuni!) fu colpito da diverse avversità, ma in nessun modo fu da loro
atterrato poiché la sola virtù della sua sagacia lo protesse. E benché talora si levasse a colpirlo il tradimento
di qualche suo familiare (qui si fa riferimento alle congiure in cui rimase coinvolto anche Pier
delle Vigne)... e benché la lega lombarda, che aveva radunato le proprie forze per il suo sterminio, potesse
all'improvviso mettere alla prova la grandezza d'animo con la propria casuale vittoria, egli tuttavia fu
glorioso fino all'ultimo giorno della sua vita e visse in modo da essere ammirato per tutto l'orbe della terra,
ed egli, che era stato insuperabile per tutti, soccombette soltanto alle leggi della morte.

Qui niente di eccezionale, è il giudizio di un ghibellino, di un cancelliere di suo figlio.


351
Quindi ce lo aspetteremmo un giudizio del genere.
Vediamo ora un giudizio di parte opposta.
Parla Giovanni Villani, cronista e mercante fiorentino, quindi guelfo, perciò schierato per
forza dalla parte del papa.
Giovanni Villani scrive molto dopo [la scomparsa di Federico II], nella prima metà del '300.
Il testo è in volgare; si dice (v. "Federico II nel giudizio del guelfo Giovanni Villani,
mercante e cronista fiorentino" a p. 26 delle dispense del mod. A):

Negli anni di Cristo 1220 il dì di Santa Cecilia di novembre fu coronato e consacrato a Roma a imperadore
Federigo secondo re di Cicilia, figliuolo che fu dello imperadore Arrigo di Soavia [Enrico VI di Svevia] e

della imperadrice Costanza, 1 per papa Onorio terzo, a grande onore. Al cominciamento questi fu amico della

Chiesa e bene dovea essere, tanti beneficii e grazie avea dalla Chiesa ricevute (si fa qui riferimento alla
tutela dell'epoca di Innocenzo III): che per la Chiesa il padre suo Arrigo ebbe per moglie Costanza
reina di Cicilia (Villani allude al fatto che il matrimonio si sia realizzato per intercessione della
Chiesa. In realtà questa è una vittoria diplomatica di Federico I), e in dote il detto reame e il
regno di Puglia, e poi morto il padre, rimanendo piccolino fanciullo, dalla Chiesa, come da madre, fu
guardato e conservato, e eziandio difeso il suo reame, e poi fattolo re dei Romani eleggere, contro Otto
quarto [Ottone IV di Brunswick] imperadore (qui Villani tace il fatto che no il papa in realtà aveva
scelto Ottone IV [Ottone si ingraziò il papa rinunciando alla sovranità in Italia], ma poi
aveva dovuto cambiare idea, perché lo aveva tradito [Ottone IV, dopo l'assassinio di
Filippo di Svevia, altro pretendente al trono germanico, viene eletto imperatore e rivendica
i territori pontifici. Quindi Innocenzo III scomunica Ottone IV e appoggia Federico II]) e poi
incoronato imperadore come di sopra si è detto. Ma egli figliuolo d'ingratitudine, non riconoscendo (non
essendo riconoscente) Santa Chiesa come madre, ma come nemica matrigna, in tutte le cose le fu
contrario e perseguitatore, egli e i suoi figliuoli quasi più che i suoi anticissori (i suoi antecessori in
casa di Svevia)... Federigo regnò trent'anni imperadore e fu uomo di grande affare e di gran valore
(prima ne ha parlato male, però ne deve riconoscere il valore, la grandezza del
personaggio), savio di scrittura (esperto di latino) e di senno naturale, universale in tutte le cose
(portato cioè ad apprendere tutte le scienze, tutte le cose); seppe la lingua latina e la nostra
volgare, tedesco e francesco (francese), greco e saracinesco (ababo); e di tutte le virtudi copioso, largo e
cortese (nel senso cavalleresco) in donare, prode e savio in arme e fu molto temuto. (E qui arriva la
puntura di denigrazioni!) E fu dissoluto in lussuria in più guise e tenea molte concubine e mammalucchi

1
In realtà Costanza d'Altavilla era l'ultima erede di Ruggero II, re di Sicilia.
352
a guisa dei Saracini (come se avesse un harem. Ora questi mammalucchi sono la sua guardia
del corpo, quelli di Lucera. La parola 'mammalucco' ha un significato preciso, indica i
Turchi mammelucchi che governavano l'Egitto. E le concubine? E gli altri sovrani non le
avevano ugualmente? Probabilmente lui le teneva come le tenevano i Turchi: [è questa,
però, una nostra supposizione]. Può semplicemente darsi che, per denigrare il
personaggio, Villani lo assimilasse agli infedeli): in tutti i diletti corporali volle abbondare, quasi
vita epicurea ('epicureo'…quest'aggettivo va spiegato! Nel Medioevo 'epicureo' significa
dissoluto, ne parla anche Dante degli epicurei. Perché dissoluto? Perché è Epicuro senza
conoscere Epicuro. Se uno legge Epicuro si rende conto che non c'è niente di dissoluto,
nella maniera più assoluta! [Epicuro direbbe:] "Quando fai una cosa, considera il bene che
te ne viene e il male che te ne viene: se il bene che te ne viene supera il male, falla; se il
male supera il bene, non farla". Quindi è un insegnamento di saggezza, non: "Buttati su
tutti i piaceri e godi perché la vita è breve!" Nella cultura medievale, però, la parola
'epicureo' indica colui che soddisfa i suoi piaceri e tendenzialmente non segue gli
insegnamenti della Chiesa e pertanto è fuori dagli schemi, fuori dalla morale) tenne, non
faccenda conto che mai fosse altra vita (dando ad intendere che fosse ateo, cosa palesemente
falsa); e questa fu l'una principale ragione perché venne nemico de' chierici e di santa Chiesa (dunque
non motivazioni politiche, ma motivazioni morali, etiche).

Dopo la morte di Federico, per 4 anni regna il figlio Corrado IV, un personaggio
molto meno energico del padre, che muore nel 1254.
Dopo, per quasi 20 anni non ci sarà più un imperatore.
La sede imperiale rimane vacante fino al 1273.

La prolungata assenza dell'autorità imperiale ha grandi conseguenze soprattutto in Italia.


Dopo questo periodo l'imperatore non riuscirà mai più a svolgere un ruolo decisivo nella
penisola italiana.
Diventerà di fatto una sorta di primus inter pares tra i principi tedeschi.

E nel Regno di Sicilia cosa avviene?

Nel Regno di Sicilia avviene che dopo la morte di Corrado IV l'erede al trono è un bambino
appena nato, Corradino, e allora il regno viene preso in mano da un figlio naturale [e

353
illegittimo] di Federico II, Manfredi — "Biondo era e bello" di lui dice Dante nel Purgatorio,
— un valoroso guerriero con un aspetto molto nordico.
Manfredi prende in mano il Regno di Sicilia ma non sarà mai imperatore in quanto non
aveva nessun titolo per esercitare questo potere.
Per alcuni anni si presenta in Italia come il campione del ghibellinismo italiano e tutte le
città comunali di tradizione ghibellina, come Pisa e Cremona, si schierano con Manfredi
che appoggia le fazioni ghibelline all'interno delle città mettendo in forte agitazione il
pontefice.
Ma ciò che fa travasare l'acqua dal vaso è l'appoggio militare concreto fornito da Manfredi
alle truppe ghibelline toscane guidate dalla città di Siena nella battaglia di Montaperti
[1260], un villaggio a nord di Siena, dove le truppe guelfe, soprattutto fiorentine, furono
annientate dall'esercito senese affiancato dai cavalieri di Manfredi.
Dante dirà che il sangue dei morti fiorentini avrebbe colorato di rosso un piccolo fiume che
passa da quelle parti, l'Arbia.
Ancora oggi a Siena si festeggia questa battaglia, che è la cosa più importante che hanno,
così la festeggiano…
I senesi erano banchieri del papa e avevano interessi finanziari in tutta Europa per cui il
papa, molto arrabbiato con i ghibellini senesi, dice: "Io scaglio l'interdetto contro la città,
non si può più pronunciare la messa e tutti i vostri debitori sono liberi di non pagare!".
[Per paura di queste disposizioni] succede che a Siena nel giro di due anni diventano tutti
guelfi, perché la tradizione politica è importante ma il denaro lo è ancora di più.
Ad un certo punto, Martino IV, un papa francese, decise che era giunto il momento di
estirpare la 'peste sveva' dall'Italia meridionale, e così invitò ad intervenire in Italia il conte
di Provenza Carlo d'Angiò, fratello del re di Francia, che aveva da poco preso possesso
della Provenza.

La Provenza era originariamente terra dell'impero, in seguito alla morte di Federico II, a
parte un piccolo territorio, il Contado Venassino e la città di Avignone, presa dal papa e
che rimarrà territorio pontificio fino alla rivoluzione francese.

Il papa dice: "Bene, io ce l'ho un campione da portare in Italia, il fratello del re di Francia.
Non vi preoccupate per il denaro perché io ho le decime per la crociata, poi ho tante
entrate che vengono dalle diocesi di Europa. L'unica cosa che mi serve è qualcuno che mi
anticipi questo denaro. Ci vuole tanto tempo per riscuoterlo e a me mancano gli agenti per
354
farlo, ma so dove andare a trovare queste persone che anticipino per me il denaro: i
banchieri di Firenze".

I banchieri di Firenze infatti gliel'anticipano. Parte così la spedizione di cavalieri francesi e


si arriva alla battaglia di Benevento [1266], che si conclude con la sconfitta e la morte di
Manfredi e l'arrivo in Italia di una dinastia francese, quella degli Angiò.

Il resoconto della battaglia, il bollettino della vittoria, lo avete in due lettere spedite da
Benevento al nuovo papa, Urbano IV, lettere ovviamente trionfali per l'esito della battaglia.
(v. "Lettera inviata a papa Urbano IV da Carlo d'Angiò (Benevento, 26 febbraio 1266)"
a p. 27 delle dispense del mod. A].

Dopo un combattimento accanito d'ambo le parti, con l'aiuto di Dio abbiamo sfondato le prime due linee
nemiche, cosicché le altre cercarono salvezza nella fuga. Il massacro è stato tale che i cadaveri ricoprono il
suolo. Ma non tutti i fuggitivi sono riusciti a salvarsi; molti furono presi e condotti nelle nostre prigioni, fra
gli altri Giordano e Bartolomeo [Lancia], che finora osavano dichiararsi conti; prigioniero è anche Pieraccino
[degli Uberti] (questo è un ghibellino fiorentino. Farinata, di cui parla Dante nell'"Inferno"
nello stesso canto in cui compare anche Pier delle Vigne, faceva parte dei ghibellini di
Firenze, con il quale era schierato, [motivo per cui compaiono insieme nel canto di Dante]),
l'abominevole capo dei ghibellini di Firenze. Riguardo ai morti del nemico, non possiamo precisarne il
numero, soprattutto perché vi scriviamo in tutta fretta, ma molti affermano che Galvano [Lancia] ed Enrico,
che si spacciavano per conti, sono rimasti uccisi. Di Manfredi non si sa nulla, se è morto nella battaglia,
prigioniero o fuggiasco. Il suo cavallo è però nelle nostre mani, il che farebbe credere che sia morto.

Qualche giorno dopo ciò che abbiamo letto [v. "Seconda lettera inviata a papa Urbano IV
da Carlo d'Angiò (Benevento, 1 marzo 1266)" a p. 27 delle dispense del mod. A]:

Annunciai recentemente a Vostra Santità il trionfo che il Signore ci concesse a Benevento contro il vostro
nemico pubblico. Onde accertarmi della veridicità delle voci sempre più diffuse, secondo le quali Manfredi
era morto nella battaglia, feci compiere ricerche fra i cadaveri, tanto più che non dicevano si fosse salvato
con la fuga (cosa voleva fare Carlo d'Angiò? Esporne il cadavere.). E per non incorrere in errore
su cosa di tanta importanza, feci mostrare il cadavere al conte Riccardo di Caserta, mio fedele ('fedele'
come 'vassallo'), a Giordano e a Bartolomeo [Lancia] pseudo conti, ai loro fratelli e ad altri che, vivente
Manfredi, lo avevano conosciuto personalmente. Essi lo riconobbero tutti, dichiarando essere senza alcun
dubbio i resti di Manfredi. In ossequio alla voce della natura, ho fatto seppellire il defunto in modo
355
onorevole, ma senza cerimonie ecclesiastiche. Dal campo, presso Benevento, addì l° di marzo dell'anno l°
del nostro regno.

E così inizia il dominio angioino.

Questo dominio angioino però presenta dei problemi.

Carlo d'Angiò è un grande guerriero ed è molto ambizioso.


Non si accontenta di essere diventato re di Sicilia, vuole usare il Regno di Sicilia per farsi
un impero nel Mediterraneo, con l'obbiettivo di conquistare tutto l'Impero Bizantino.

Usa il regno per drenare risorse al fine di organizzare una grande spedizione verso
Costantinopoli.

Però in questo modo deve fronteggiare anche dissensi che si presenteranno soprattutto in
Sicilia, perché Carlo sposta la capitale da Palermo a Napoli, dove farà costruire il Maschio
Angioino, cioè il mastio, la fortezza angioina, piazzata di fronte al porto.

Ora la linea dell'approdo marino è avanzata nel corso dei secoli ma nelle immagini che
abbiamo del porto di Napoli tardomedievale il molo è proprio lì dove c'è il mastio. Ora
invece è un po' più avanti.

Così facendo Carlo d'Angiò rompe con la tradizione siciliana e col grande baronaggio
siciliano che, non avendo più la capitale a portata di mano, si vede messo in condizione
defilata.

La città di Napoli viene invece sottoposta ad una forte patina di francesizzazione.


Infatti se andiamo a Napoli non troveremo niente di Romanico, è tutto Gotico.

Il Gotico l'hanno portato gli angioini. Anche le chiese domenicane e francescane sono in
stile Gotico, affidate ad ecclesiastici francesi.

Ancora oggi qualcuno utilizza l'espressione "O francese!" per dire 'lo straniero', perché i
francesi hanno lasciato un'impronta notevole a Napoli, facendone anche una metropoli.
356
Infatti Napoli, prima, non era così importante, pur avendo già l'università.

Due anni dopo aver conquistato il regno, Carlo deve affrontare la minaccia militare
portata da Corradino, il figlio sedicenne di Corrado IV, che arriva dalla Germania e
che viene sconfitto nella battaglia di Tagliacozzo [1268], in Abruzzo.

Viene incatenato, messo in ceppi, portato a Napoli e lì decapitato nella piazza del mercato.
Carlo d'Angiò sembra ormai un sovrano invincibile, si fa immortalare da un grande scultore
del tempo, Arnolfo di Cambio, e fa costruire delle chiese monumentali eccezionali, come
Santa Chiara, la chiesa francescana, e San Lorenzo, la chiesa domenicana (che tra l'altro
frequentava Boccaccio).

Carlo inasprisce la fiscalità per mettere in piedi un esercito ma, nel frattempo, deve
ripagare chi l'ha finanziato e quindi dona numerosi diplomi a favore soprattutto di
compagnie d'affari, molte delle quali fiorentine, che hanno messo il denaro per la
spedizione.

Ecco perché Boccaccio stava a Napoli, il padre lavorava a Napoli, perché c'erano tante
compagnie toscane a Napoli che avevano finanziato negli anni precedenti la conquista del
regno.
Ecco perché c'è questo legame culturale, letterario e anche artistico tra Napoli e Firenze.
Pensate a Petrarca che passerà alcuni anni della sua vita a Napoli.
Purtroppo non possiamo pensare più a Giotto perché tutta l'abside interna della Chiesa di
Santa Chiara, che era stata affrescata da Giotto, è saltata in aria durante la II Guerra
Mondiale perché una granata è finita proprio lì sull'abside della chiesa.
Ma l'evento che segna la fine delle grandi ambizioni di Carlo d'Angiò è
costituito dai Vespri Siciliani, la ribellione scoppiata nel 1282 in un tardo
pomeriggio, mentre si doveva svolgere la funzione dei vespri, quando,
secondo la tradizione cronachistica siciliana, la rivolta sarebbe
scoppiata per via di una perquisizione ai limiti dell'indecenza da parte di
alcuni soldati francesi nei confronti di alcune nobildonne siciliane.

357
Può darsi che quella sia stata la scintilla, certo è che le ostilità covavano da tempo in
Sicilia.

Che la cosa fosse un po' preparata, ce lo dice anche il fatto che, pochi mesi dopo lo
scoppio della rivolta del Vespro, arrivano le navi da Barcellona con l'esercito catalano-
aragonese e lo stesso re Pietro III, che aveva i diritti legittimi sul Regno di Sicilia — in
quanto aveva sposato una figlia di Manfredi e quindi esisteva anche un legame dinastico
che giustificava l'intervento dei Catalano-Aragonesi in Sicilia.

Inizia, con la rivolta del Vespro, una fase prolungata, plurisecolare di ostilità tra Angioini e
Aragonesi per il possesso dell'Italia meridionale e delle isole, che arriverà fino agli anni '40
del '400 quando gli Aragonesi entreranno in possesso di tutta l'Italia meridionale.

Questa guerra tra Aragonesi e Angioini determinerà anche il destino plurisecolare della
Sardegna perché i papi, da sempre schierati con gli Angioini in seguito all'alleanza guelfa,
cercano di risolvere la questione dopo lo scoppio delle ostilità, in particolare con Bonifacio
VIII, il papa del primo giubileo, quello che Dante mette all'inferno.

Bonifacio VIII cerca di risolvere la questione facendo una proposta ai sovrani catalano-
aragonesi: "Restituite la Sicilia agli angioini, in cambio io vi infeudo del Regno di Sardegna
e Corsica". È il trattato di Anagni del 1295.

Apriamo una piccola parentesi dicendo che, [però] il Regno di Sardegna e Corsica non
esisteva. Lo creava Bonifacio VIII [dando la licentia invadendi agli Aragonesi]. In quel
momento la Sardegna era in una condizione frammentata.

Dall'XI secolo erano attestati quattro giudici: di Logudoro, di Gallura, di Arborea e di


Cagliari.
L'isola era quindi divisa in quattro giudicati.
Questi giudicati furono eliminati per lo più per l'azione dei pisani che prima arrivano come
uomini d'affari, poi anche come potenza politica.
Il castello di Cagliari è un'antica fortezza pisana costruita nel luogo dell'antica acropoli
classica, tant'è che i Pisani la chiamavano Castel di Castro (che è una sorta di ripetizione,

358
['castel di castello', poiché 'castrum' significa castello]), da dove sorge per l'appunto il
castrum, cioè l'acropoli antica.
I Pisani avevano ricevuto delle terre dal giudice di Cagliari, che non stava a Cagliari,
perché era stata totalmente abbandonata nel Tardo Medioevo, ma nella zona di Santa
Gilla, che venne comunque distrutta completamente dai Pisani tra il 1256 e il 1257.
E Cagliari diventa una sorta di ''Pisa 2''!
Ci vivevano solo i Pisani, era amministrata da un podestà mandato da Pisa e le tasse
venivano mandate a Pisa, così [come avveniva con] tutte le terre intorno [alla città di Pisa].
Una parte del giudicato di Cagliari era finito in mano ai Donoratico, la famiglia del conte
Ugolino, che avevano fondato Villa di Chiesa.
Poi, quando i della Gherardesca e i Donoratico fecero una brutta fine con lo stesso conte
Ugolino negli anni '80 del '200, anche quelle terre furono incorporate dal comune di Pisa,
perciò quindi anche il podestà di Villa di Chiesa era di nomina pisana.
E nel resto della Sardegna? Il giudicato di Gallura esisteva ancora, ma il giudice di Gallura
nella seconda metà del '200 era un pisano della famiglia aristocratica pisana dei Visconti.
Anche il giudicato del Logudoro era finito e in quella zona esistevano ormai dei castelli e
delle città che si autogovernavano.
Alcuni di questi castelli erano di proprietà della famiglia genovese dei Doria.
Castelsardo si chiamava prima Castel Aragonese e prima ancora Castel Genovese.
È una fondazione doriana, così come Casteldoria e Alghero.
Sassari era un comune governato ora da un podestà genovese, ora da un podestà pisano,
a seconda della prevalenza in quest'area della prevalenza della potenza ligure o della
potenza toscana.
L'unico giudicato ancora rimasto era il giudicato di Arborea e, per ironia della sorte, il
principale alleato della conquista catalano-aragonese della Sardegna sarà il giudice di
Arborea, che voleva far fuori i pisani sperando che poi avrebbe avuto più potere, invece in
realtà portandosi in casa i monarchi catalano-aragonesi.
Quindi Bonifacio VIII stava cedendo alla corona di Aragona una cosa non sua e il comune
di Pisa aveva tutto da perdere per questa decisione, infatti cercò di tutto, negli anni
successivi al trattato di Anagni, per fare in modo che la spedizione non partisse. [Dicono i
Pisani:] "Noi ci diamo in signoria a te! Ti paghiamo un tributo! Quanti denari vuoi?"
Provarono per anni con missioni diplomatiche per impedire che i monarchi di Barcellona
venissero in Sardegna, ma senza esito perché tra il 1323 e il 1324 arriva l'esercito
aragonese e prende possesso di gran parte dell'isola.
359
In realtà ci vorrà tanto tempo perché tutta la Sardegna venga posta sotto il controllo
catalano-aragonese.

Ci sarà una guerra molto dura.

La Corsica invece non entrò mai a far parte della corona d'Aragona, sarà sempre
genovese fino al 1770 quando Genova la vende al re di Francia.
Ecco perché Napoleone Bonaparte parlava come lingua madre un dialetto corso, cioè un
dialetto italiano, perché il corso è molto più vicino al toscano di quanto non lo siano le
lingue sarde.

E quindi vedete come questa interminabile guerra tra gli Aragonesi e gli Angioini abbia poi
avuto dei riverberi su tutto il Mediterraneo occidentale.

Guerra che per lungo tempo vedrà separate la Sicilia da una parte, che [per decisione
dell'aristocrazia siciliana, nonostante il re di Aragona l'avesse abbandonata in seguito al
trattato di Anagni], verrà governata da esponenti di un ramo minore della corona di
Aragona — quindi avrà una storia a sé staccata da Barcellona — fino alla fine del '300;
dall'altra il Regno di Sicilia propriamente detto che, però, non ha la Sicilia e che è sempre
in mano angioina e quindi tutti i sovrani angioini di Napoli dopo Carlo, Carlo II, Roberto il
Saggio — quello che incorona Petrarca sul Campidoglio in qualità di grande poeta —
portavano il titolo di 're di Sicilia', senza però controllare la Sicilia.

Quindi da una parte la Sicilia, che per anni avrà il nome di Trinacria, un antico nome
classico, e dall'altra i re di Sicilia, che però stavano a Napoli. Questo fino agli anni '40 del
'400.
Poi anche il Meridione continentale verrà conquistato dai sovrani
catalano-aragonesi.

360
QUINDICESIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
MERCOLEDI’ 29.10.2014 ORE: 12,00 – 14,00

Oggi analizzeremo il fenomeno delle monarchie feudali del basso medioevo allargando lo
sguardo a buona parte del continente europeo, e concentrandoci soprattutto sulle
monarchie feudali che si andranno ad affermare in Inghilterra, in Francia e nella penisola
Iberica.

Partiamo dal caso inglese, che ha elementi non marginali di somiglianza con il caso del
Regno di Sicilia.

L'Inghilterra conosce tra il IX e la metà del XI secolo un alternarsi di monarchie tra le quali,
soprattutto nella prima metà del XI secolo, quella espressa dalle dinastie danesi,
perché l'Inghilterra tra IX e XI secolo è stata spesso oggetto prima di razzie e poi di
conquiste da parte di danesi, cioè vichinghi.

L'Inghilterra del tempo però non conosceva, o aveva conosciuto in maniera estremamente
limitata, i legami di natura feudale, così come l'Italia meridionale.
Quindi anche in questo caso possiamo parlare di un'esportazione del modello feudale
che viene realizzata con una conquista militare pianificata e organizzata nei dettagli dal
duca di Normandia.
Non abbiamo quindi una conquista che si verifica per gradi e nel lungo periodo come nel
meridione italiano, ma una conquista abbastanza fulminea, con una vittoria campale.

Nell'anno 1066 il duca di Normandia, Guglielmo, porta al di là della Manica un esercito


di circa 6000 guerrieri.
Questo esercito si propone di sconfiggere, e poi sconfiggerà, il re della dinastia
sassone-danese Aroldo.
La causa di questo attacco è la sua rivendicazione dei legittimi interessi sulla corona
inglese, poiché era imparentato con la casa regnante inglese per via matrimoniale e
riteneva di essere il legittimo erede al trono.
Quindi progetta un'invasione, che poi effettivamente riesce ad Hastings, dove l'esercito
normanno sbaraglia l'esercito sassone-danese.

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Questa è stata l'ultima volta che l'Inghilterra è stata invasa. L'ultima
volta negli ultimi 1000 anni.
Ci riproveranno gli spagnoli con Filippo II nella seconda metà del '500, ci proverà
Napoleone, e anche Hitler nel 1940, ma non ce la faranno.
L'Inghilterra, dopo la conquista normanna, non ha più conosciuto
invasioni e conquiste da parte di eserciti stranieri.
Questa battaglia è stata rappresentata iconograficamente in un celebre arazzo prodotto in
Normandia, l'arazzo di Bajeux, un lunghissimo arazzo dove sono disegnate nel tessuto le
scene della battaglia.

(L'arazzo di Bajeux è stato fonte per la sigla iniziale di un film di Walt Disney, Pomi
d'ottone e manici di scopa, che non a caso parla dell'invasione di un esercito straniero,
che sarebbe l'esercito nazista nel 1940. La scena iniziale, con tanti cavalieri che
combattono sotto forma di cartoni animati, riprende il motivo iconografico dell'arazzo di
Bajeux).

Questa conquista è una conquista epocale nella storia dell'Inghilterra, nella storia
della cultura inglese, nella storia del diritto inglese.

E anche nella storia della lingua inglese, perché i normanni parlano la langue d'oil, cioè il
francese del nord. Per secoli la lingua che si parla a corte non è una lingua germanica,
come l'antico inglese, che è molto simile al tedesco, ma è il francese, e per secoli ci
saranno nobili di origine francese.

La lingua colta in Inghilterra non è dunque la lingua locale, ma è invece


la lingua dei conquistatori.

Il risultato, nel lungo periodo, è che la lingua locale venne fortemente influenzata
dall'idioma dei conquistatori. Per questo nei secoli del basso medioevo si formerà quello
che è l'odierno inglese, una lingua con un vocabolario immenso, contenente sia termini di
origine romanza che termini di origine germanica, per cui la stessa cosa può essere
descritta con tante parole differenti.
362
Generalmente le parole di origine romanza sono quelle più auliche, più legate alla vita di
corte, al potere, ad una vita di lusso: il registro alto dell'inglese è pieno di termini di origine
francese (abbiamo ad esempio Pork, il maiale cotto, parola francese, e Pig, il maiale vivo,
che è una parola di origine germanica).

Tutti i termini alti della società sono legati alla lingua dei conquistatori. Anche il motto della
monarchia inglese, visibile sulle porte del castello di Windsor, ancora oggi è in lingua
francese e recita “Dieu et mon droit“, cioè “Dio e il mio diritto”, in francese.

Guglielmo, re d'Inghilterra, infeuda la maggior parte del territorio ai suoi capi guerrieri,
importando nell'isola britannica il sistema feudale.
Questo feudalesimo prevede quindi che anche zone del territorio regio vengano delegate,
per l'amministrazione e la giustizia, a quelli sono i nuovi baroni inglesi, quasi tutti di
origine francese.

Naturalmente questi baroni devono al sovrano degli obblighi di natura militare per le terre
ricevute. Accanto all'infeudazione dell'isola si ha anche l'introduzione di alcuni funzionari
pubblici, il più delle volte itineranti, cioè che girano per le contee, le cosiddette “Shires”.

Il più importante di questi funzionari è lo sceriffo, che ha un compito non solo di polizia
locale ma, soprattutto alle origini, di agente delle tasse. Una volta raccolte le tasse le
doveva portare a Londra dallo scaccarius, quello che ancora oggi è chiamato cancelliere
dello scacchiere, il ministro del tesoro. Questi ancora oggi porta un appellativo di origine
medievale, chiamato così perché utilizzava un grande tavolo con una coperta a scacchi
per impilare le monete raccolte dagli sceriffi.

C'erano anche dei giudici itineranti soprattutto per amministrare la giustizia d' appello. Si
notano dunque grandi analogie con le figure dei giustizieri e dei camerari tipici del Regno
di Sicilia normanno.

Per conoscere nei dettagli la ricchezza del regno, nel 1086, venti anni dopo la battaglia i
Hastings, Guglielmo fa redigere uno dei più antichi e più preziosi censimenti fiscali

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dell'Europa del tempo, il cosiddetto Domesday Book, che significa “il libro del giorno del
giudizio”.

Questo censimento doveva servire al sovrano per rendersi conto delle terre del regno, di
chi le possedeva e di quante persone vivevano all'interno del regno stesso. É un
censimento approssimativo, perché le persone non sono elencate una per una, ma sono
elencati solo i capi famiglia, per cui, moltiplicando il numero dei capi famiglia per un
coefficiente che esprime la famiglia stessa, possiamo sapere che al tempo di Guglielmo
nel regno inglese (cioè l'Inghilterra propriamente detta, escluse la Scozia e il Galles),
vivevano circa un milione e 200 mila persone. Si tenga presente che oggi vivono
nell'Inghilterra propriamente detta più di 40 milioni di abitanti.
Si deve perciò immaginare l'Inghilterra del tempo coperta di foreste e
molto scarsamente abitata.

Nelle dispense è presente una fotocopia che riporta una pagina di un codice del
Domesday Book conservato, come si vede dal timbro in alto a destra, nel Public Record
Office, cioè l'archivio di stato a Londra. (Segue visione della pagina del Domesday Book
contenuta nelle Dispense del mod A). Questo documento è in latino, in una scrittura
cancelleresca, strapiena di segni abbreviativi. Proprio in alto c'è l'indicazione, middle sexe,
che sarebbe middle Essex. Sulla colonna sinistra poi, a un certo punto si trova
l'indicazione alla terra archi episcopi cantuariensis, la terra dell'arcivescovo di Canterbury,
il primate della Chiesa britannica, con l'indicazione delle terre e dei beni posseduti dalla
sede primaziale inglese. Sulla colonna di destra invece si hanno le indicazioni della terra
episcopi londoniensis, cioè la terra che appartiene alla diocesi di Londra. La sede
arcivescovile di Canterbury è da un punto di vista ecclesiastico più importante di quella di
Londra.
Nella prima metà del XII secolo si estingue, per motivi naturali, la
dinastia che si era originata da Guglielmo detto “il Conquistatore”.

Dopo l'estinzione di questa dinastia di origine normanna abbiamo ancora una volta una
dinastia di origine francese, perché per via di legami matrimoniali nell'anno 1154 diventa
re d'Inghilterra Enrico II, della dinastia dei Plantageneti, una dinastia che proviene
dall'Anjou, una zona nel cuore della Francia, da cui arriverà due secoli dopo Carlo d'Angiò.
364
Enrico II è il capostipite di una dinastia che regnerà per secoli in Inghilterra, ancora una
volta una dinastia francese.

Con Enrico II i beni posseduti in Francia dai re inglesi si vanno ad incrementare.


La monarchia inglese continua ad avere la Normandia, e con Enrico II avrà anche
l'Angiò e altre provincie che appartengono a questa dinastia per via patrimoniale.
In più Enrico II sposa Eleonora d'Aquitania, un personaggio chiave nella storia delle
relazioni tra Inghilterra e Francia, perché era già stata moglie del re di Francia Luigi VII. Il
matrimonio venne sciolto, pare, secondo pettegolezzi di corte, per via del fatto che Luigi
VII non fosse tanto interessato alle donne.
La faccenda comunque assume connotati politici, perché Enrico II,
sposando Eleonora, si prende tutta l'Aquitania, cioè tutta la Guascogna,
tutta la Francia sud-occidentale, e diventa per i re francesi un
personaggio molto scomodo.
Così nella seconda metà del XII secolo abbiamo questo grande paradosso politico nelle
relazioni tra Francia e Inghilterra: il re di Inghilterra possiede praticamente tutta la Francia
atlantica, dalla Normandia fino ai Pirenei. Ma, in quanto duca di Normandia, è anche
vassallo del re di Francia, perché il ducato di Normandia fu creato nel X secolo quando un
sovrano francese aveva feudalmente investito di quel ducato l'antico bandito normanno
Rollone, un vichingo.
Quindi abbiamo davvero un grande paradosso storico, politico, militare.
Una grande potenza, i Plantageneti, a cavallo della Manica (Inghilterra
da una parte, Francia dall'altra), sono però dal punto di vista del diritto
feudale sudditi del re di Francia.

Da un punto di vista patrimoniale, ma anche ideologico e culturale, gli interessi dei re


d'Inghilterra sono fortemente orientati verso la Francia. Eleonora d'Aquitania è un
personaggio molto importante per la storia della cultura e della poesia, che rafforza
ulteriormente questa propensione francofila della corte di Londra.
Enrico II è un sovrano molto energico che cerca di limitare il potere del baronaggio e
del clero, somigliando anche in questo ai re normanni di Sicilia, come Guglielmo il Malo,
che era stato chiamato in questo modo proprio per aver tentato di limitare i poteri dei

365
baroni. Ma Enrico II è più abile e più carismatico, e fa emanare tra il 1164 e il 1166 le
Costituzioni di Clarendon, che sono un testo base della monarchia inglese, nelle quali si
pronunciano parole importanti riguardo il potere del sovrano e sulla limitazione dei poteri
locali.

Il più grande oppositore di Enrico II sarà l'arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket, che
per la sua opposizione farà una brutta fine: nel 1170 verrà ucciso, probabilmente da sicari
del re, nella stessa cattedrale. Ispirerà poi un romanzo del poeta Elliott, L'assassinio nella
cattedrale.

Alla fine del XII secolo questa dinastia di monarchi anglo-francesi sembrava avere la
meglio nell'Europa occidentale.

366
La Francia, come si può vedere da due cartine, la prima della fine del X secolo, la
seconda grosso modo disegnata su quella che era la realtà del 1180 , era un mosaico di
grandi potentati regionali. Se si prende la cartina che fa riferimento alla Francia nell'anno
987, si vede che l'autorità regia
era effettivamente esercitata solo su Parigi e le campagne circostanti, tutto il resto
essendo nelle mani di grandi principi. In particolare nel sud della Francia il potere del re
risulta totalmente assente e i conti di Tolosa risultavano essere dei principi in gran parte
autonomi.

Nei due secoli successivi ci fu una certa espansione del potere del re ma tutto sommato
limitata, e ci fu anche una grande infeudazione di terre.

367
I domini diretti del re si espandono di poco. Notevole è invece l'espansione dei territori
infeudati dal re a principi che di fatto già esercitavano il potere.
Si guardi però nel 1180 qual'è l'estensione dei domini diretti e indiretti della corona inglese
in Francia.
I due terzi del Regno di Francia sono o sotto il controllo diretto di Enrico II, o infeudati da
Enrico II ad altri principi francesi. Nell'estremo sud, infine, troviamo dei domini indiretti del
re di Aragona. Il conte di Tolosa, è vassallo del re d'Aragona. La Francia risulta quindi
essere una realtà nella quale il re di Francia ha un peso assai limitato.
La situazione cambia a partire proprio grosso modo dall'anno 1180, quando sale sul trono
di Parigi il sovrano capetingio Filippo II Augusto.

Filippo II Augusto ha lasciato una traccia materiale di sé a Parigi.


Prima di partire per la terza crociata infatti fa costruire una nuova cinta muraria parigina e
lembi di questa cinta sono ancora oggi visibili a Parigi.
Sono totalmente incorporati nel centro storico e danno la dimensione di quanto fosse
piccola questa città alla fine del XII secolo rispetto agli standard dell'età moderna e
contemporanea.

Filippo II Augusto ha anche costruito il primo Louvre, cioè il primo palazzo regio. Il Louvre
è stato ricostruito varie volte ma, se oggi andiamo nei sotterranei del Louvre, possiamo
vedere le fondamenta del Louvre di fine XII secolo. Il Louvre è poi stato ricostruito nel
Trecento. La forma attuale è quella tardo cinquecentesca, grazie a tutti i rimaneggiamenti
voluti da Francesco I in stile rinascimentale italiano.

Quindi è un sovrano che ha lasciato un'impronta importante di sé e che ha invertito


l'inerzia dei rapporti politici tra re di Francia e re di Inghilterra.

Come abbiamo visto Enrico II è molto più potente dei sovrani capetingi. Ma Filippo II
utilizza con grande sagacia e con grande spregiudicatezza lo strumento dei legami
vassallatico-beneficiari. Si intromette come arbitro nelle contese tra vassalli e sfrutta
abilmente il fatto che il re di Inghilterra è in realtà suo vassallo per via del ducato di
Normandia.
Nel 1189 muore Enrico II lasciando tre figli: Riccardo, poi detto “Cuor di Leone”,
Giovanni, che sarà poi detto “Senzaterra”, e Guglielmo, che morirà molto presto.
368
Il papa bandisce la terza crociata, a cui partecipano l'imperatore Federico Barbarossa, il
re di Francia Filippo II Augusto, e il nuovo re di Inghilterra Riccardo Cuor di Leone.

Il re di Francia sta poche settimane in Terra Santa, decide che è una cosa che non gli
interessa, e torna in Francia.
Invece Riccardo Cuor di Leone, che è passato alla storia soprattutto per i romanzi di
Walter Scott come un grande guerriero, un saggio amministratore, ecc. ecc., era un
grandissimo fanatico, che è stato in Terra Santa per due o tre anni, fronteggiando il
principe curdo Saladino, sultano di Egitto, dimostrando un grande valore in battaglia ma
anche una spietatissima crudeltà. Sono infatti note dalle cronache uccisioni di prigionieri a
sangue freddo, con migliaia di persone ammazzate.
Riccardo non si rende conto che rimanendo a combattere in Terra Santa si espone alle
azioni molto spregiudicate e ciniche del re di Francia.
Quando poi decide di tornare in patria, viene catturato da un principe austriaco per motivi
di politica internazionale, e dovrà essere pagato un riscatto, per cui ci vorrà parecchio
tempo per un suo ritorno in patria.

Nel frattempo la situazione precipita, perché il re di Francia fomenta tutti i baroni francesi,
che sono sotto legame vassallatico col re di Inghilterra, e contea dopo contea, ducato
dopo ducato, comincia a rosicchiare le terre francesi sotto il controllo inglese.
Nel 1199 Riccardo muore e gli succede Giovanni, figlio di Eleonora d'Aquitania. Nel 1202
Filippo II Augusto fa intentare un processo contro Giovanni per fellonia, cioè la mancata
osservanza del giuramento di fedeltà feudale: “Tu non mi hai aiutato, io avevo bisogno di
te per questa spedizione militare. Presentati al mio tribunale”. Ovviamente il re d'Inghilterra
non può umiliarsi fino a questo punto, per cui Filippo II Augusto ne approfitta per invadere
anche i domini diretti del re inglese, finendo per occupare quasi tutta la Normandia.

In seguito a questi eventi bellici di inizio XIII secolo si arriverà alla grande battaglia
campale di Bouvines nel 1214, di cui abbiamo già parlato a proposito di Innocenzo III,
Federico II e l'imperatore Ottone IV. Questa battaglia, che si conclude con la vittoria di
francesi, del papato e di Federico II, segna la fine di gran parte, ma non tutti, dei domini
inglesi in Francia, e in seguito a questa vittoria il regno francese acquista una dimensione
territoriale e giurisdizionale mai avuta prima.
369
Il re di Francia diventa un potente sovrano sullo scacchiere europeo.

In seguito il re di Francia incrementa ulteriormente il suo territorio sfruttando abilmente e


cinicamente la prima crociata bandita da Innocenzo III contro degli eretici: i Catari della
Francia meridionale, soprattutto della Linguadoca. Queste zone ricadevano in gran parte
sotto il controllo politico del conte di Tolosa e di altri principi della Francia meridionale,
dove la cultura, la lingua, il diritto erano diverse da quelle della Francia del nord. Stiamo
parlando di quelle aree della Francia meridionale dove si era andata sviluppando, tra XII e
XIII secolo, la cosiddetta poesia trobadorica, di argomento amoroso, che avrà molta
influenza sulla poesia volgare prima siciliana, e poi toscana con il Dolce Stil Novo. Dante
stesso ad un certo punto nella Divina Commedia scrive in provenzale, cioè nella lingua in
cui scrivevano i poeti della Francia meridionale.
Questa civiltà finisce brutalmente con la crociata contro i Catari, perché il re di Francia
offre il suo braccio armato agli inquisitori della Chiesa e gli eserciti della Francia del nord
saccheggiano e conquistano i territori della Francia meridionale. Per questo alla metà del
Duecento il regno di Francia è forse la più grande potenza politica e militare di tutto
il continente.
L'Inghilterra conosce una fase di grande instabilità interna in seguito alle sconfitte
maturate nei primi anni del XIII secolo.
Queste sconfitte, oltre a produrre la perdita di molti territori al di là della Manica, mettono in
gravissima difficoltà la corona inglese. Si teme addirittura un'invasione francese. Così
accade che lo stesso Giovanni si metta sotto la protezione del papa Innocenzo III.
La posizione del sovrano è così debole che l'alto baronaggio e le alte gerarchie
ecclesiastiche hanno finalmente l'occasione per rialzare la testa. Quella testa era stata
fatta abbassare da Enrico II all'epoca delle Costituzioni di Clarendon e poi con l'uccisione
del primate Thomas Becket.
Così accade che l'anno successivo alla rovinosa sconfitta di Bouvines, il re Giovanni è
costretto a concedere, suo malgrado, un documento che segna l'inizio del
parlamentarismo inglese, la Magna Charta Libertatum Ecclesiae et Regni Angliae, cioè
la grande carta delle libertà (al plurale, non al singolare). Non è la libertà nel senso nostro
del termine. Le libertà significano i privilegi, della Chiesa inglese e del baronaggio.

Questa carta segna quindi l'inizio del parlamentarismo.


370
I parlamenti non sono certo i nostri. Non sono assemblee elette che hanno un potere
legislativo vincolante per lo Stato. Sono istituzioni tipiche delle monarchie feudali, perché
sono assemblee per ceto: in un parlamento è presente una ristrettissima rappresentanza
dei ceti più importanti, inizialmente solo dell'alta aristocrazia e del clero. Avremo poi fra
Duecento e Trecento, e non solo in Inghilterra, anche una rappresentanza dei ceti elevati
delle città, quelli che poi successivamente saranno chiamati la borghesia.

Abbiamo il parlamento in Inghilterra, ma anche in Francia, solo che non si chiama


parlamento ma Stati Generali. In Francia praticamente sono dei tribunali, convocati per la
prima volta ad inizio del Trecento e per l'ultima volta nel 1789. È questa convocazione qui
che poi fa scoppiare la scintilla della rivoluzione francese. Nel regno di Castiglia si
chiamavano Cortes; in Polonia si chiamava la Dieta.

Tutti questi organi rappresentativi votavano per ceto, e quindi alta aristocrazia, clero e
rappresentanti delle città contavano come un solo voto ciascuno, nonostante i
rappresentanti delle città rappresentassero una collettività molto più ampia che non la
nobiltà o il clero.

Si diceva dunque che Giovanni è costretto dagli eventi, dalla sua debolezza, dalle
sconfitte patite, a concedere questa carta, che però contiene degli elementi di
straordinaria importanza.

Di fatto la storia costituzionale del regno inglese ha come elemento fondativo la stessa
Magna Charta. Essa prevede che il sovrano debba rispettare le prerogative del
baronaggio e della Chiesa.

Tra queste prerogative c'è quella che prevede che un nobile o un alto ecclesiastico
debbano essere giudicati da un tribunale di loro pari, dal punto di vista cetuale.

C'è inoltre un principio fondamentale della Magna Charta, che avrà poi sviluppi enormi nei
secoli successivi. Il principio è però importante, perché sancisce un elemento basilare
nella storia del costituzionalismo inglese: il sovrano non può imporre le tasse se non sente
preventivamente il parere del parlamento.
371
Questo principio c'è ancora oggi, ed è rappresentato dal motto “No taxation without
representation” (non si possono imporre le tasse senza una rappresentanza), che è un
principio fortissimo nei paesi anglosassoni (il presidente degli Stati Uniti che ha un potere
enorme non può sciogliere il congresso o il senato, che hanno i cordoni della borsa del
Paese. Il presidente deve chiedere il denaro al parlamento, che può negarglielo).

Quindi con la Magna Charta viene istituita una rappresentanza dei baroni del regno, cioè
la Camera dei Lords, presente in Inghilterra ancora oggi, anche se puramente
folkloristica, non ha alcuna competenza dal punto di vista legislativo, mentre all'epoca
esprimeva un potere importante. Era composta da 25 aristocratici. Poi nella fase finale del
'Duecento verrà creata anche la Camera dei Comuni dove non c'era una rappresentanza
popolare, ma una rappresentanza dei ceti elevati cittadini.

È solo molto dopo che la Camera dei Comuni assumerà il ruolo che avrà nella storia della
democrazia anglosassone.

Prendiamo nelle dispense le pagine che fanno riferimento ad alcune delle clausole della
Magna Charta emanata il 15 giugno del 1215. “Giovanni, per grazia di Dio re d'Inghilterra,
signore d'Irlanda, duca di Normandia ed Aquitania, conte d'Angiò”, titoli onorifici che ormai per
larga parte del territorio francese sono solo formali, perché buona parte di queste terre
sono andate perdute; saluta gli arcivescovi, i vescovi, gli abati, i conti, i baroni, i giudici, le
guardie forestali, gli sceriffi, gli intendenti, i servi e tutti i suoi balivi e leali sudditi, all'epoca gli
arcivescovi sono solo quello di Canterbury e quello di York, la porzione più settentrionale
dell'Inghilterra; Sappiate che noi, di fronte a Dio, per la salvezza della nostra anima e di quella dei
nostri predecessori e successori, per l'esaltazione della santa Chiesa e per un miglior ordinamento
del nostro regno, dietro consiglio dei nostri venerabili padri Stefano, arcivescovo di Canterbury,
primate d'Inghilterra e cardinale della santa romana Chiesa, Enrico, arcivescovo di Dublino,
Guglielmo di Londra, Pietro di Winchester, Jocelin di Bath e Glastonbury, Ugo di Lincoln, Gualtiero
di Coventry, Benedetto di Rochester, vescovi; di maestro Pandolfo, suddiacono e membro della
corte papale, fratello Aymerico, maestro dei cavalieri del Tempio in Inghilterra, questo è un
ordine monastico cavalleresco, sono i Templari; e dei nobiluomini, cioè gli aristocratici;
William Marshal, conte di Pembroke, William conte di Salisbury, William conte di Warennie,
William conte di Arundel, Alan di Galloway, connestabile di Scozia, Warin figlio di Gherardo, Peter

372
figlio di Herbert, Hubert de Burg siniscalco del Poitou, Hug de Neville, Mattew figlio di Herbert,
Thonas Basset, Alan Basset, Philip d'Aubigny, Robert de Ropsley, John Marshal, John figlio di
Hug ed altri fedeli sudditi”. Vediamo cosa concede questo documento: In primo luogo abbiamo
accordato a Dio e confermato con questa carta, per noi e i nostri eredi in perpetuo, che la Chiesa
d'Inghilterra sia libera, cioè che i vescovi non siano più nominati dal re; abbia integri i suoi
diritti e le sue libertà non lese; e vogliamo che ciò sia osservato; come appare evidente dal fatto
che per nostra chiara e libera volontà, ovviamente bisogna ricordare sempre che questi
documenti emanati dalle cancellerie regie non possono porre la cosa come se fossero
costretti: tutto viene concesso per benignità e munificenza del sovrano; prima che nascesse,
e qui però non può fare a meno di evidenziare questo aspetto; la discordia tra noi ed i baroni,
abbiamo, di nostra libera volontà, concesso e confermato con la nostra carta la libertà delle
elezioni, cioè delle elezioni dei vescovi; considerata della più grande importanza per la Chiesa
anglicana ed abbiamo inoltre ottenuto che ciò fosse confermato da Papa Innocenzo IlI; la qual
cosa noi osserveremo e vogliamo che i nostri eredi osservino in buona fede e per sempre.
Abbiamo concesso a tutti gli uomini liberi del regno, per noi e i nostri eredi tutte le libertà
sottoscritte, che essi e i loro eredi ricevano e conservino da noi e dai nostri eredi. Punto 2:
Venendo a molte alcuno dei nostri conti o baroni o altri vassalli con obbligo nei nostri confronti di
servizio di militare e alla sua morte l'erede sia maggiorenne e debba pagare il <relevio>, che era
il diritto di successione; potrà avere la sua eredità solo su pagamento del <relevio>. Vale a dire
che l'erede o gli eredi di un conte o di un barone pagheranno cento sterline per l'intera baronìa;
l'erede o gli eredi di un cavaliere al massimo cento scellini, cioè cinque sterline; per l'intero
feudo; e chi deve di meno pagherà di meno, secondo l'antico uso dei feudi, quindi una volta
pagata la tassa di successione del feudo il re non può che riconoscere il passaggio in
eredità. Poi si dice: Né noi né i nostri balivi, che sono i funzionari del re; ci impadroniremo di
alcuna terra o di rendite di chiunque per debiti, debiti verso la corona; finché i beni mobili del
debitore saranno sufficienti a pagare il suo debito, né coloro che hanno garantito il pagamento
subiscano danno, finché lo stesso non sarà in grado di pagarlo; e se il debitore non potrà pagare
per mancanza di mezzi, i garanti risponderanno del debito e se questi lo vorranno, potranno
soddisfarlo con le terre e il reddito del debitore fino a quando il debito non sarà stato assolto, a
meno che il debitore non dimostri di aver già pagato i suoi garanti, se si paga e si forniscono le
garanzie, lo Stato, il re o i funzionari non possono confiscare indiscriminatamente i
patrimoni. Punto 13: La città di Londra abbia tutte le sue antiche libertà e le sue libere
consuetudini, sia per terre sia per acque. Inoltre vogliamo e concediamo che tutte le altre città,
borghi, villaggi e porti abbiano tutte le loro libertà e libere consuetudini, il che sta a indicare che
prima queste libertà e consuetudini non venivano riconosciute. Punto 16: Nessuno sarà
373
costretto a fornire una prestazione gravosa per il possesso di un feudo di cavaliere o di qualsiasi
altro libero obbligo, non si può chiedere cose indebitamente. Punto 20: Nessun uomo libero
sia punito per un piccolo reato, se non con una pena adeguata al reato; e per un grave reato la
pena dovrà essere proporzionata alla sua gravità senza privarlo dei mezzi di sussistenza, nessun
arbitrio da parte dei tribunali de re; “ugualmente i mercanti non saranno privati della loro
mercanzia e allo stesso modo gli agricoltori dei loro utensili; e nessuna delle predette ammende
sarà inflitta se non con il giuramento di uomini probi del vicinato”. “Conti e baroni non siano multati,
se non dai loro pari, da altri baroni e altri conti; e se non secondo la gravità del reato
commesso”. “Nessun religioso sia multato per il suo beneficio laico se non secondo i modi predetti,
e non secondo la consistenza del suo beneficio ecclesiastico”. “ Né villaggio né uomo potrà essere
costretto a costruire ponti sulle rive, a meno che non lo debbano fare per diritto e antica
consuetudine”, anche qui non si può costringere le persone ai lavori forzati. Punto 30:
Nessuno sceriffo, ufficiale reale o chiunque altro potrà prendere cavalli o carri ad alcun uomo
libero, per lavori di trasporto, se non con il consenso dello stesso uomo libero, non si possono
confiscare mezzi di trasporto; Né noi né alcun ufficiale reale prenderemo legna per il nostro
castello o per nostra necessità, se non con il consenso del proprietario del bosco, vuol dire che
prima si entrava nel bosco e si portava via tutto; Noi non occuperemo le terre di coloro che
sono dichiarati colpevoli di fellonia per un periodo più lungo di un anno e un giorno, dopo di che
esse saranno restituite ai proprietari del feudo, anche qui si stabilisce una pena. Poi: Nessun
balivo d'ora in poi potrà portare in giudizio, trascinare in tribunale; un uomo sulla base della
propria affermazione, senza produrre dei testimoni attendibili che ne provino la veridicità, questo è
un principio fondamentale dal punto di vista giuridico, cioè i funzionari non possono
arrestare indiscriminatamente le persone senza fornire una prova;
Il succo della Magna Charta è chiaro. Il potere del re conosce una sostanziale limitazione
da parte dei baroni e delle gerarchie ecclesiastiche. Segna un momento di svolta nella
storia della monarchia inglese.

L'iniziativa monarchica riprenderà poi,dopo questo smacco tremendo, appoggiandosi


soprattutto alle città, cioè per contenere lo strapotere del baronaggio e della Chiesa, la
monarchia inglese istituirà nella seconda metà del '200 la Camera dei Comuni, cioè i
rappresentanti delle città. È una reazione tipica delle monarchie feudali, cioè promuovere
lo sviluppo e una relativa autonomia urbana per controbilanciare il potere della grande
feudalità, e così si arriva alla costituzione della Camera dei Comuni.

374
L'argomento della tassazione caratterizzerà in maniera determinante la storia delle
monarchie feudali poiché una monarchia forte e accentrata ha bisogna di una burocrazia e
di un esercito che risponda al re. Questi argomenti li abbiamo già incontrati parlando di
Federico II. Per arrivare ad eserciti permanenti bisognerà aspettare l'era moderna. Gli
eserciti dell'epoca di cui trattiamo sono composti in massima parte da cavalieri feudali che
devono una certa parte dell'anno, generalmente 40 giorni, al sovrano, cioè devono
combattere per almeno 40 giorni.
I sovrani cominciano nel '200 ad intravedere una via d'uscita a questo rapporto difficile con
la feudalità pagando truppe mercenarie, ma ciò rende ancora più necessario il denaro.
Infatti la storia delle monarchie feudali è una storia di tira e molla continui per incrementare
le entrate dello stato che hanno uno sviluppo continuo.
Per avere denaro i sovrani accumulano fonti d'entrata estremamente differenti: entrate
patrimoniali, entrate feudali, entrate legate alla fiscalità indiretta, imposte straordinarie
“Oddio, siamo in guerra, bisogna imporre un'accisa che serva per l'immediato”, ma per
avere un'imposta diretta sul patrimonio bisognerà aspettare l'età moderna. Un ruolo
fondamentale in questo ambito sarà svolto in Inghilterra ed anche altrove da uomini d'affari
italiani, quelli che, come dicevo in una lezione precedente, operavano in Rue des
Lombards, o in Lombard Street, che anticipavano ai sovrani le entrate future che
provenivano da voci estremamente variegate.
Il sovrano ripagava questi anticipi concedendo cespiti dello stato, ad esempio
l'amministrazione della zecca regia, concedendo la possibilità di gestire i dazi e le dogane
e via dicendo, e così tra '200 e '300 si svilupperà un rapporto preferenziale tra alcune
compagnie d'affari, soprattutto toscane, e i re di Francia e di Inghilterra. Riassumiamo
brevemente cosa accadde in Inghilterra perchè è un caso paradigmatico ed esemplare. I
sovrani Plantageneti, dagli ultimi decenni del '200, sono a caccia di denaro come tutti i
sovrani del tempo. È presente in Inghilterra una bella pattuglia di uomini d'affari italiani.
La società più ricca e importante di uomini d'affari italiani era all'epoca la compagnia
lucchese dei Ricciardi a cui il sovrano inglese Edoardo I chiede cospicui prestiti.
Naturalmente questi uomini d'affari si fidano fino ad un certo punto. “Maestà, cosa ci date
in cambio di ciò che ci state chiedendo? Quali garanzie ci potete dare?” “Beh, vi offro
quest'entrata qui, questo dazio qua”. Ma questi mercanti rispondono “Maestà, non basta”.
Cosa possiamo fare? Questi mercanti dicono al sovrano “Non si preoccupi.
Ci pensiamo noi a trovare un'entrata per il nostro prestito”.

375
E così il sovrano, d'accordo con i mercanti di Lucca, mette in piedi le dogane per
l'esportazione della lana inglese nei porti Manica inglese, cioè una serie di uffici che vanno
a colpire la merce più importante dell'economia inglese, la lana grezza, che veniva
esportata all'epoca soprattutto nelle Fiandre per produrre i panni di lusso. I dipendenti
della compagnia Ricciardi gestiscono le Customs inglesi.
Quindi questa società d'affari entra in possesso dell'ufficio doganale che genera il maggior
introito fiscale del regno stesso. Accade che i mercanti italiani, quando vanno a pagare la
dogana per l'esportazione della lana grezza, si trovano di fronte ad altri italiani che
agiscono come se fossero agenti del sovrano, quindi il principale ufficio della fiscalità
indiretta inglese è gestito da mercanti stranieri. Ma sono affari molto complessi e rischiosi
e ad un certo punto i “rubinetti” del sovrano si bloccano, i Ricciardi si ritrovano a corto di
liquidità, i creditori chiedono i soldi indietro e loro falliscono e le loro carte vengono
sequestrate e così un brandello dell'archivio della compagnia Ricciardi si conserva ancora
nel Public Record Office di Londra. Ci sono lettere disperate dei soci direttori di Londra a
quelli di Lucca che dicono “Ci stanno arrestando tutti! Non riusciamo a pagare i creditori!”
e via dicendo. Dopo di loro arriva una nuova compagnia d'affari toscana, i Frescobaldi.
Quella famiglia da cui proviene anche il poeta Dino Frescobaldi che era amico di Dante.
Anche loro concedono enormi prestiti al re d'Inghilterra il quale, per saltare i controlli del
parlamento, chiede il denaro non attraverso lo scaccarius (che in quanto controllato dalla
Camera dei Lords era nelle mani baronaggio inglese per cui il re non poteva prendere in
prestito tutto il denaro che vorrebbe.
Il baronaggio non vedeva di buon occhio queste compagnie d'affari che prestando soldi al
sovrano svolgevano un'opera funzionale all'aumento di potere del sovrano stesso e quindi
alimenta una polemica contro gli stranieri), ma attraverso il Wardrobe (guardaroba), cioè
attraverso il suo patrimonio familiare, concedendo però come garanzia la zecca regia, tutta
una serie di entrate e via dicendo. Ad un certo punto i baroni si ribellano e dicono “Ma non
è possibile che negli uffici dello stato inglese ci siano degli stranieri!” ed impongono al
sovrano di mettere per iscritto che d'ora in avanti negli uffici pubblici d'Inghilterra non ci
possono più essere stranieri. Così i Frescobaldi si ritrovano con un pugno di mosche in
mano e, anche qui, confisca degli averi e dei registri e per questo abbiamo anche un
brandello dei Frescobaldi che si trova ancora oggi nel Public Record Office. Gli ultimi della
serie saranno i Bardi e i Peruzzi, questi colossi aziendali per cui lavorava anche il padre di
Boccaccio, che fanno degli enormi prestiti ad Edoardo III, il quale finisce tutto quello che
può impegnare e si diffonde in tutta Europa, laddove queste aziende hanno le filiali, la
376
voce che il re inglese non paga più. Se il re inglese non paga più, i Bardi e i Peruzzi non
pagano più. In tutta Europa, dove son presenti le sedi dei Bardi e dei Peruzzi, i creditori
vogliono i soldi indietro e anche queste imprese falliscono.

Perchè il re inglese doveva appoggiarsi ad imprese italiane? Perchè nell'Inghilterra del


tempo non c'era niente di simile rispetto alle società d'affari italiane e l'economia inglese
era sottosviluppata rispetto all'economia italiana.

Anche in Francia si stringeranno strette relazioni tra i sovrani e gli uomini d'affari italiani. Il
banchiere di Filippo il Bello, un potentissimo sovrano francese, era Musciatto Franzesi, un
fiorentino che aveva come riscossore dei crediti quel ser Ciappelletto protagonista della
prima novella del Decameron.

Troviamo la formazione di monarchie feudali simili alla Francia e all'Inghilterra anche nella
penisola iberica dove possiamo parlare a buon diritto di espansione dell'ordinamento
feudale. È una espansione che nasce dalla conquista, anzi, secondo il mito storiografico
iberico, dalla Reconquista, cioè la riconquista dei territori che avevano fatto parte del
regno cristiano dei visigoti ed erano stati perduti quasi tutti con l'espansione islamica nel
corso dell'VIII secolo.

Voi dovreste avere nelle vostre dispense una cartina della penisola iberica. Mi
raccomando non usare il termine Spagna, perchè questo termine ha nell'età medievale
una valenza unicamente geografica. Non esiste nessun Regno di Spagna, esistono vari
regni ma non si può utilizzare la parola Spagna se non unicamente nell'ambito della
geografia. (Vedere cartina della Spagna dalle Dispense del mod A).
Visionando la cartina voi vedrete che all'inizio dell'XI secolo l'Andalusia, cioè la Spagna
islamica, occupava praticamente i quattro quinti della penisola inglobando perfino la valle
dell'Ebro e città come Saragozza, Toledo, Lisbona, Valencia e via dicendo. Oggi con il
termine Andalusia indichiamo quella che i romani chiamavano Baetica, cioè la parte più
meridionale della penisola iberica, cioè Cordoba, Granada, Malaga e via dicendo, ma al
tempo col termine Al-andalus, da cui Andalusia, si indicava tutta quella zona della penisola
iberica sotto il controllo del califfato di Cordoba.

377
Per quanto riguarda invece il termine Castiglia, esso viene da un'area geografica nel nord
della penisola, un'area di confine segnata dal fiume Duero, che era punteggiata da castelli
difensivi con cui le residue potenze cristiane si difendevano da quelli che nella penisola
iberica si chiamavano Mori.

Nei primi decenni dell'XI secolo il califfato di Cordoba si disintegra in una serie di poteri
locali, i cosiddetti “Regni di Taifas”, e questo pone il mondo islamico in una condizione di
debolezza politica e militare, e così a metà dell'XI secolo comincia la Reconquista che
sarà l'equivalente iberico delle crociate. Lo spirito che anima i cavalieri iberici è quello
della crociata contro l'infedele, ma qui tutto è alimentato anche dal mito della ripresa di
terre che avevano fatto parte di un regno cristiano, mentre nelle crociate il mito era la
Terra Santa, Gerusalemme, la Palestina e via dicendo. Partecipano all'impresa, oltre ai
cavalieri iberici, anche cavalieri che provengono da diverse zone dell'Europa occidentale
come la Francia. Non è un caso che il mito del conte palatino Orlando trova spazio nelle
Chansons de geste in langue d'oil nel XII secolo, perchè quel mito è vivificato dalla guerra
che si sta portando nella penisola iberica contro i mori, e lo stesso Camino de Santiago,
cioè questo pellegrinaggio che dalla Francia passa i Pirenei e poi va verso la Galizia, è
fortemente legato alla lotta contro i musulmani, tant'è che Santiago è detto Matamoros,
cioè sterminatore di mori.

La vecchia Castiglia quindi si espande con una serie di territori conquistati a partire dalla
seconda metà dell'XI secolo.
Questo processo di riconquista andrà avanti per circa due secoli, fino alla metà del '200,
poi si stabilizza e molto dopo ci sarà la conquista di Granada nel 1492, quindi la
reconquista vera e propria dura circa 200 anni.
I regni che si formano sono essenzialmente tre: il Regno di Castiglia, il più ampio, che
parte da queste città del nord, Burgos, Leòn, Oviedo e progressivamente occupa tutti gli
altopiani centrali, cioè la zona della cosiddetta Meseta dove si trovano Toledo e Madrid,
per arrivare fino alla valle del Guadalquivir, un fiume che passa per Cordoba e Siviglia
prima di sfociare nei pressi di Cadice. Oltre che conquistare il territorio più vasto, questo
regno mette le mani sulle più antiche e ricche città islamiche della penisola iberica.
In quasi tutte queste città le moschee vengono distrutte oppure convertite in altre strutture.
A Siviglia per esempio l'antico minareto viene convertito nella torre campanaria della

378
cattedrale. A Cordoba per volontà dei sovrani castigliani la moschea viene lasciata in
piedi.
È una moschea gigantesca costruita nell'arco di 3-4 secoli. Il Regno di Castiglia è un
regno dove le istituzioni feudali sono molto forti. Qui prevale l'elemento aristocratico
cavalleresco.

Diversa è la situazione del regno della Corona d'Aragona, che conquisterà territori della
penisola iberica lungo la costa mediterranea e poi interromperà le proprie conquiste
trovandosi bloccato dall'espansione castigliana.
Questo regno si andrà strutturando, soprattutto tra XII e XIII secolo, come una
confederazione di regni. La cosiddetta Corona d'Aragona si costituì per l'unione
dell'Aragona propriamente detta, con capitale Saragozza dove si parlava e si parla tuttora
castigliano, con la contea di Barcellona, dove la lingua era ed è il catalano. A questi
territori si aggiunse negli anni '20 del '200 il Regno di Valencia. In seguito conquisteranno
nel corso del '200 anche le Baleari.

Poi si svilupperà anche il Regno del Portogallo.

Le popolazioni islamiche dei territori riconquistati dai cristiani non vengono espulse, ma
accade quello che già successe nella Sicilia normanna. Gli islamici rimarranno soprattutto
nelle aree rurali, oppure verranno creati dei quartieri cittadini dove vivono solo loro.
Nelle città conquistate vengono create anche le Juderie, cioè quartieri dove vivono a
maggioranza ebrei ma non sono ghetti nel vero senso del termine.

Dicevamo che la realtà castigliana aveva un'impronta cavalleresca, feudale molto forte, e
l'elemento mercantile urbano era molto modesto. È la terra degli Hidalgos, i cavalieri
iberici. In ambito catalano-aragonese, viceversa, un ruolo primario è svolto dalle città
portuali, Barcellona prima, poi Valencia e, quindi, Mallorca. In queste città si sviluppa
anche un importante ceto di armatori, agenti di cambio, mercanti, imprenditori tessili, un
po' come in Italia, e in virtù della presenza di questi uomini d'affari nelle città di mare si
spiega la proiezione mediterranea della corona catalano-aragonese nel '200. Pietro III
interverrà in Sicilia durante i Vespri Siciliani anche perchè spinto dagli interessi degli
armatori e degli uomini d'affari aragonesi che sostenevano la conquista perchè con la
conquista gli affari possono espandersi. Così gli aragonesi si scontrano con gli angioini
379
per il controllo del Mediterraneo occidentale. E per lo stesso motivo gli aragonesi
occuperanno anche la Sardegna in seguito al trattato di Anagni.
Le campagne per il controllo dell'Italia meridionale termineranno con l'entrata a Napoli
degli aragonesi nel 1442.
La Corona d'Aragona è stata assimilata da alcuni storici al Commonwealth britannico con
i regni iberici che avevano una forte vocazione mercantile e manifatturiera e i regni insulari
dell'Italia che producevano soprattutto derrate alimentari e materie prime. Ad ogni modo
nel tardo medioevo si crea quella che è stata definita la Ruta de las Islas, cioè la rotta
delle isole che partendo dai porti di Barcellona e Valencia passa per Mallorca, poi per la
Sardegna, da lì in Sicilia e poi verso gli empori del Levante
.
Sapete perchè ad Alghero si parla il catalano medievale? Perchè negli anni '50 del '300
durante una rivolta di alcune città della Sardegna nord-occidentale contro il re aragonese
Pietro IV, il sovrano decise che bisognava farla finita con questa cittadina di Alghero, la
quale era stata fondata dalla famiglia aristocratica genovese dei Doria ed era abitata da
sardi e da liguri.
La città viene assediata e conquistata e poi pulizia etnica. Si espellono tutti i sardi e i liguri
e si riempie questo centro portuale con soldati catalani. Ecco perchè in questa cittadina si
parla il catalano medievale, frutto di un'operazione di conquista e di espulsione della
popolazione cittadina precedente.
La definitiva estromissione dell'elemento islamico dalla penisola iberica si raggiungerà
molto più tardi.
Dicevamo che la Riconquista di fatto termina a metà '200 quando abbiamo il Regno del
Portogallo, il Regno di Castiglia e la Corona d'Aragona. A partire dagli anni '80 del '400 si
decide di eliminare l'ultimo regno islamico della penisola iberica, il Regno di Granada, che
ci ha lasciato un complesso monumentale gigantesco, l'Alhambra, cioè la città residenziale
del sultano di Granada, un monumento meraviglioso. L'emirato viene conquistato quando
per via matrimoniale si uniranno le corone d'Aragona e di Castiglia. L'unione di queste due
corone, sancita dal cemento dell'elemento religioso in un momento di fanatismo estremo,
comporta l'eliminazione del regno di Granada e l'espulsione degli ebrei e così il medioevo
iberico si conclude con l'espulsione dal regno unificato catalano-aragonese e castigliano
degli ebrei, e con l'eliminazione dell'ultima sacca di resistenza islamica.

380
SEDICESIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
LUNEDI’ 03.11.2014 ORE: 15,00 - 17,00

Nelle lezioni precedenti abbiamo accennato in più di un'occasione alle Crociate.


Questi pellegrinaggi armati si susseguirono dalla fine dell’ XI° secolo sino alla fine del
XIII°.
Il termine “crociata” non esisteva nell'età in cui le crociate ebbero luogo, allora si parlava in
generale di pellegrinaggio armato e di cavalieri crucesignati, perché portavano il segno
della croce sulle proprie vesti.
Ovviamente la parola e l'idea della crociata rimandano a un fenomeno
molto concreto, ma anche a un'idea più generale di una battaglia
condotta contro un infedele di qualsiasi religione per imporre la propria
volontà sul piano spirituale oltre che su quello militare e politico.
Abbiamo già accennato al fatto che l'idea della crociata, cioè di combattere l'infedele in
quanto tale e non per motivi politici o territoriali, si ricollega all'opera della chiesa, in
particolare francese, che nell'XI° secolo cercava di disciplinare la violenza congenita
della media e piccola aristocrazia, e di irreggimentare questo spirito bellicoso
convogliandolo verso le terre esterne alla cristianità occidentale.
È l'idea del cavaliere di Cristo, del miles Christi, che è un'idea nuova nell'Europa

successiva al 1000 e che è in contraddizione, per molti aspetti,


con lo stesso spirito del Vangelo (l'idea cioè che si combatta e
si uccida in nome della fede).
Bisogna, altresì, considerare che quest'idea della lotta contro l'infedele non avrà come
campo d'azione solo il Medio Oriente (la Palestina, il Libano, la Siria) ma ne avrà un
altro a Occidente: la penisola iberica.
Il principio che muove uomini e cavalieri europei cattolici a partire dal
XII° secolo, sia nella penisola iberica che a Oriente, è lo stesso.

Un grande teologo e monaco cistercense, Bernardo di Chiaravalle, scriverà nella prima


metà del XII° secolo che uccidere un infedele non è un omicidio, ma è un malicidio.

381
Cioè si uccide il male, non si uccide un uomo, e quindi è giusto.
Lui si riferisce in particolare all'opera dei Cavalieri del Tempio, cioè dei Templari, nati
apposta per combattere in Terra Santa.
Dall'altra parte dell'Europa c'è Santiago Matamoros, cioè San Giacomo sterminatore di
Mori, che diventa il punto di riferimento spirituale fondamentale dei cavalieri castigliani e
catalani.
Le crociate verso la Terra Santa iniziano propriamente dopo il proclama di

Montferrand, del papa Urbano II.

Già monaco cluniacense e costretto a girare tra l'Italia e la Francia


perché non può mettere piede a Roma, in quanto a Roma c'è l'antipapa
messo lì dall'imperatore nel pieno della lotta delle investiture,
trovandosi in questa zona dell'Alvernia nella Francia centrale, avrebbe
invitato i cavalieri francesi a combattere, se proprio non potevano fare a
meno di condurre uno stile di vita bellicoso, per la difesa della fede,
della Terra Santa e della cristianità orientale.

Non si sa bene che cosa effettivamente abbia detto il papa a Montferrand perché i
resoconti di questa orazione sono tutti posteriori alla conquista di Gerusalemme, quindi i
cronisti del tempo, nel mettere per iscritto questa esortazione del papa ai cavalieri francesi,
sono influenzati dall'esito ultimo, che è clamoroso, cioè la conquista del Regno di

Gerusalemme.
Quindi può darsi che nel riassumere il discorso del papa a Montferrand i cronisti si siano
fatti prendere la mano considerando ciò che è successo dopo.
In ogni caso, più o meno, il papa avrebbe esortato i cavalieri ad un pellegrinaggio armato
per difendere l'impero romano d'oriente, l'impero di Costantinopoli, che aveva subito

negli ultimi anni delle gravi decurtazioni delle province orientali a causa dei Turchi
Selgiuchidi.
Prendiamo delle cartine che fanno riferimento alla storia dell'Impero Bizantino: la prima
cartina fa riferimento all'anno 717,

382
cioè l'anno di inizio della cosiddetta dinastia Isaurica, che è quella che ha portato
avanti la guerra iconoclastica.
L'inizio dell'VIII° secolo rappresenta il periodo di massima contrazione territoriale
dell'impero, che si limita ad una porzione dell'Asia Minore, ha ormai perduto l'Isola di
Cipro, controlla una porzione modestissima dei Balcani, un pezzetto di Tracia, un pezzetto
di Peloponneso, Tessalonica e Creta.
Tutto il resto è in mano a popolazioni slave e bulgare. E poi ancora controlla pochi territori
dell'Italia Meridionale che verranno perduti rapidamente. 150 anni dopo (867)

l'impero ha recuperato tutta la Grecia. L'anno 867 è l'anno d'inizio della cosiddetta
dinastia dei Macedoni, che durerà per quasi duecento anni. Il 1025
383
rappresenta l'anno della morte dell'imperatore Basilio II, passato alla storia con l'epiteto

di “Bulgaroctono” che significa sterminatore di Bulgari, infatti ne fece ammazzare


decine di migliaia.

Secondo una cronaca del tempo, per spaventare a morte i Bulgari, dopo
averne fatti prigionieri oltre 10mila, li fece accecare tutti quanti e li
rimandò indietro guidati da uno a cui era stato accecato solo un occhio.

Non si sa se questa sia leggenda, ma il confine dell'impero bizantino nel


1025, per quanto riguarda l'Europa, è praticamente al Danubio, come
non era più avvenuto dall'epoca di Giustiniano.

E ci sono anche cospicue espansioni ad est nel territorio armeno (oggi


Kurdistan) e in una porzione della Siria. Viene ripresa anche Cipro. Si
conserva ancora buona parte del Mezzogiorno continentale, che verrà
poi occupato dai Normanni.
Nel 1081 sale sul trono di Costantinopoli Alessio I, della dinastia dei
Comneni.

384
I Turchi Selgiuchidi hanno sconfitto l'esercito bizantino in una grande battaglia campale in
Armenia, a Manzikert, e hanno occupato praticamente tutta l'Asia Minore eccetto l'area
del Bosforo e dei Dardanelli.
Se si confronta la cartina del 1081 con quella del 1025 si vede che l'impero ha perso tutti i
possedimenti asiatici.
Non solo, ma nell'anno dopo, il 1082, ci sarà il tentativo dei Normanni con Roberto il
Guiscardo di invasione della Grecia, tentativo che sarà fermato solo con l'aiuto
fondamentale di Venezia.
Quindi la situazione dell'impero bizantino all'avvento della crociata è molto difficile. Dopo
aver perduto quasi tutti i possedimenti asiatici ed essere stato sul punto di capitolare a
causa dei Normanni.
È stato attaccato infatti sia da musulmani che da cattolici.
Alessio I non ha fatto mistero di voler ingaggiare mercenari occidentali per combattere
contro i Turchi.
I cavalieri occidentali invece sono disposti a combattere non solo per l'espansione della
fede cristiana, ma anche per il proprio bottino personale, e quindi si arriverà molto presto a
notevoli malintesi più o meno voluti tra le autorità politiche di Bisanzio e i capi dei Crociati.

Prima però di arrivare alla crociata vera e propria, occorre soffermarsi su una sorta di

385
“crociata zero”, chiamata anche la crociata dei poveri.

Nel 1096, appena un anno dopo il proclama di Montferrand, gruppi numerosi di fanatici in
larga parte persone non di elevata estrazione sociale, in particolare nell'area tedesca,
organizzano delle spedizioni, dei raid, contro le popolazioni ebraiche che abitavano
numerose nell'Europa centrale, i cosiddetti Ebrei Ashkenaziti.
Cioè quelli che in seguito alla diaspora si sono insediati in Europa
centrale e orientale e ancora oggi portano cognomi tedeschi.

Avviene insomma che sull'onda di questo programma che viene male interpretato, o
interpretato come fa comodo, numerose masse popolari si scagliano contro le
minoranze ebraiche.
È questo il primo pogrom, la prima persecuzione organizzata di popolazioni ebraiche in
Europa.
Nei pochi mesi in cui si svolge questa crociata dei poveri assistiamo a incendi di quartiere,
saccheggi di botteghe, uccisioni in massa di Ebrei. Talvolta i vescovi locali tentano di trarre
in salvo gli Ebrei perseguitati ma non riescono a fermare la furia fanatica della popolazioni.

Questa crociata è un evento che sfugge totalmente di mano sia alle gerarchie
ecclesiastiche sia ai potenti laici.

Per averne un'idea leggiamo una cronaca tedesca dell'inizio del XII° secolo:

La strage degli Ebrei (maggio 1096) nella Historia Hierosolymitana di Alberto d'Aix

Di là, non so se per giudizio di Dio o per qualche errore del loro animo, cominciarono ad infierire
crudelmente contro gli Ebrei dispersi in alcune città e ne fecero crudelissima strage, specialmente in
Lorena, asserendo che questo era il modo giusto di cominciare la spedizione e ciò che i nemici della fede
cristiana meritavano.
Questa strage di Ebrei cominciò a opera dei cittadini di Colonia che, gettatisi d'un tratto su un piccolo
gruppo di essi, ne ferirono moltissimi a morte: poi misero sottosopra case e sinagoghe, dividendosi il
bottino. Vista questa crudeltà circa duecento [Ebrei] di notte, in silenzio, fuggirono con delle barche a
Neuss; ma i pellegrini e i crociati, imbattutisi in essi, li massacrarono fino all'ultimo e li spogliarono degli
averi.
Poi, senza indugio, [i crociati] si riversarono in gran folla su Magonza, come avevano stabilito.
Là il conte Emicho, un nobile potentissimo in quella ragione, aspettava con una forte schiera di Tedeschi
l'arrivo dei pellegrini che confluivano sulla via reale da parecchie direzioni. Gli Ebrei di quella città,
avendo saputo della strage dei loro fratelli e comprendendo di non poter sfuggire a una così forte schiera, si
rifugiarono sperando di essere salvati presso il vescovo Rotardo, e gli affidarono in custodia i loro enormi
tesori e la loro stessa fiducia; speravano molto nella sua protezione, dal momento ch'egli era il vescovo

386
della città. il presule nascose con cura il molto denaro affidato gli e sistemò gli Ebrei in uno spaziosissimo
nascondiglio nella sua stessa dimora, lontano dal conte Emicho e dai suoi, affinché in quel luogo sicuro
restassero sani e salvi.
Ma Emicho e gli altri, consigliatisi, assalirono sul far dell'alba gli Ebrei in quel medesimo nascondiglio con
lance e frecce. Spezzate porte e chiavistelli, ne massacrarono circa settecento che cercavano disperatamente
di resistere all'attacco di tante migliaia; uccisero anche le donne, e passarono a fil di spada perfino i
bambini d'ambo i sessi.
Allora gli Ebrei, vedendo che i cristiani non risparmiavano neppure i piccolini e non avevano pietà per
nessuno, si gettarono essi stessi sui fratelli, sulle donne, sulle madri, sulle sorelle e si uccisero
vicendevolmente. E la cosa più straziante fu che le stesse madri tagliavano la gola ai figli lattanti oppure li
trapassavano, preferendo ch'essi morissero per loro propria mano piuttosto che uccisi dalle armi degli
incirconcisi.

Bisogna considerare che il cronista, anche se prova pena per il


massacro, era un ecclesiastico dell'XI° secolo ed erano molti i
pregiudizi nei confronti degli Ebrei.

I gruppi di fanatici, dopo aver compiuto queste cose, decidono di partire per i Balcani per
passare di là il Bosforo e raggiungere l'Asia, ma in seguito alle notizie dei misfatti da loro
compiuti, il re di Ungheria decide di fermarli, e così molti fra le masse di questi fanatici
vengono sterminati dall'esercito del re.
Quasi nessuno di loro arriverà a Costantinopoli, praticamente nessuno arriverà in Terra
Santa. L'unico che ci arriverà sarà l'eremita Pietro di Amiens, detto appunto Pietro
l'Eremita. Quindi per le crociate è una partenza drammatica.

Una sorta di ricostruzione non filologica però suggestiva che rende l'idea del clima di
questa crociata popolare è il film di Mario Monicelli “L'armata Brancaleone”.

Dopo questa crociata popolare il papa, tutte le autorità ecclesiastiche e laiche decidono di
intervenire e prescrivere che solo i cavalieri potranno partecipare d'ora in poi a
spedizioni armate. Solo loro possono combattere per la difesa dei luoghi santi.
E così parte questo pellegrinaggio armato a cui partecipano fondamentalmente tre
componenti aristocratiche: quella dell'area francese e fiamminga, quella che fa capo
all'Italia centro-settentrionale e quella che fa capo al meridione normanno.
Quindi è una feudalità e un'aristocrazia della guerra che non vede ad esempio la
partecipazione del mondo germanico.
Tutti i grandi capi guerrieri appartengono o all'area delle Fiandre o della Francia del nord o
all'area della Linguadoca Provenza oppure all'area italica, sia settentrionale che centrale
387
che meridionale. Uno dei grandi cavalieri che partecipano alla prima crociata è
Boemondo d'Altavilla, figlio di Roberto il Guiscardo.
Poi ci sono i duchi di Lorena, i conti di Tolosa e di Fiandre eccetera.
Questa spedizione prevede l'attraversamento dell'area balcanica sotto il controllo
dell'imperatore di Bisanzio perché il punto di raduno era rappresentato da Costantinopoli.

Qui cominciano i primi problemi: immaginate queste grandi masse di cavalieri, presi in
consegna dall'esercito bizantino, che scendono lungo il Danubio verso Costantinopoli e
che ovviamente sono turbolente che si riforniscono con un fai-da-te molto violento nelle
proprietà agricole e che poi si vanno ad acquartierare fuori dalle gigantesche mura di
Costantinopoli.
Lì cominciano le trattative con l'imperatore che pretende che i cavalieri gli giurino fedeltà.
Vuole inoltre che i crociati giurino di restituirgli tutte le terre cadute nelle mani dei Turchi.
Tra queste terre non è compresa Gerusalemme, ma sono comprese l'Asia Minore e
Antiochia.
I cavalieri giurano di essere vassalli dell'imperatore, ma a Costantinopoli non si sa
nemmeno che cosa sia un vassallo, perché questa figura appartiene alla tradizione
giuridica e politica occidentale. Per l'imperatore giurare significa che i cavalieri diventino
suoi sudditi. C'è quindi l'incontro di due tradizioni e culture totalmente differenti.

Ognuno giura nel modo che gli è più conveniente, pensando dentro di sé di poter usare
l'altro per i suoi scopi. La figlia dell'imperatore Alessio I, Anna Comnena, anni dopo
scriverà la biografia del padre (l'Alessiade) e metterà in risalto le differenze tra gli
occidentali e gli orientali nel rapporto con la cristianità.

Leggiamo alcuni passi dell'Alessiade dove ci sofferma sulla presenza di preti armati tra i
crociati. A Bisanzio l'idea di un prete armato è quasi una bestemmia. A Bisanzio non
c'è la guerra santa. Si combatte per l'imperatore. Non c'è l'idea che si uccida l'infedele
in quanto infedele.
Può capitare di uccidere un musulmano semplicemente perchè è un nemico dell'impero.
Ma Bisanzio ha trovato un certo equilibrio con questo nemico con cui in qualche modo ci si
deve intendere. Infatti l'impero bizantino ha sviluppato nel corso dei secoli una grande
arma di sopravvivenza, la diplomazia. I diplomatici bizantini erano famosi per la loro
abilità.
388
I crociati nel Libro X dell'Alessiade della principessa porporata Anna Comnena (1083-1153)
Cap. VIII, § 8
Le opinioni sui preti non sono uguali, per la verità, tra noi e i latini (attenzione, per i bizantini, gli
occidentali sono Franchi o Latini. Loro si giudicano invece romani. Per loro un
romano, che viene da Roma, è un latino. Romani sono loro, che vengono da
Costantinopoli): noi accettiamo il comandamento dei sacri canoni, delle leggi e del precetto evangelico:
«Non aggredire, non alzare la voce, non toccare: sei consacrato».[2] Il barbaro latino invece, nel mentre
tratta con le mani le sacre specie, imbraccia lo scudo a sinistra e mette in resta la lancia a destra e
contemporaneamente comunica il corpo divino e mira al sangue e alla strage, e si fa uomo di sangue
secondo il salmo di Davide [XXV, 9]. Così è questa specie barbarica di prete non meno che di guerriero.

Alla fine, pur tra ambiguità, si riesce a far partire questa spedizione congiunta tra cavalieri
crociati ed esercito bizantino. L'esito fino all'anno 1098 è quello che vedete nella cartina
dell'impero bizantino

e cioè la spedizione comincia subito al di là del Bosforo e inizia con l'assedio e la


riconquista di Nicea, che mette in piena evidenza le differenti strategie militari bizantine e
crociate. Questa città viene assediata per settimane e i Turchi sono sul punto di capitolare.
Per i crociati questa capitolazione si dovrebbe concludere con un bagno di sangue.
Invece i bizantini, all'insaputa dei cavalieri crociati, hanno un incontro diplomatico in cui
concedono ai Turchi la notte per lasciare la città.
La mattina dopo la città è deserta e i bizantini la rioccupano, con grande disappunto dei
389
crociati. E così gli eserciti procedono lungo il percorso indicato nella cartina, fino alle mura
di Antiochia (oggi si trova in Turchia, ma geograficamente sarebbe in Siria), città che
allora era abitata essenzialmente da Greci.
Lì avviene lo scontro decisivo tra bizantini e crociati: infatti un principe dei crociati,
Boemondo d'Altavilla, che essendo figlio di Roberto il Guiscardo ha per tradizione una
politica aggressiva nei confronti dell'impero bizantino, vuole costituire lì una propria base
operativa e diventare principe di Antiochia.
I bizantini fiutano la situazione e, per evitare uno scontro aperto con i crociati se ne vanno
e tornano a Costantinopoli.
Per i crociati questo è un tradimento della missione divina e così ad Antiochia finisce la
collaborazione tra l'esercito di Costantinopoli e i crociati.
La città poi verrà presa dopo un assedio molto lungo e molto sanguinoso. È indubbio che i
crociati combattessero per fanatismo religioso e per il bottino, ma è altrettanto indubbio
che credevano di combattere in nome di Dio, altrimenti uno non si fa ammazzare in
mezzo al deserto a 40° venendo dalle Fiandre.
E non bisogna commettere l'errore di giudicare questi cavalieri nell'ottica occidentale
contemporanea.
È vero che lottavano per impossessarsi di nuove terre, ma non va sottovalutato il fatto che
credevano davvero di combattere per espandere la fede cristiana.
Altrimenti non si capirebbe il sacrificio personale che erano disposti ad affrontare. Non
sottovalutate questi aspetti che sono ampiamente descritti in questo passo.

Martiri cristiani durante l'assedio di Antiochia (ottobre 1097 - giugno 1098) nella Historia de
Hierosolymitano itinere di Tudebode

Un altro giorno i Turchi portarono sulle mura della città un nostro nobile cavaliere, di nome Rinaldo
Porchetus, che da lungo tempo tenevano in dura prigionia, e gli dissero che parlasse con i pellegrini
cristiani per convincerli a riscattarlo mediante una forte somma di danaro: altrimenti gli sarebbe stata
tagliata la testa.
Ma questi, appena fu in piedi sulle mura, cominciò a gridare ai nostri principi: «Signori, per quanto mi
riguarda, è come se fossi già morto: e vi prego come fratelli di non offrire per me alcun riscatto. Ma siate
certi, per la fede in Cristo e nel Santo Sepolcro, che Dio è e sarà sempre con voi. Avete ucciso tutti i più
egregi e audaci in questa città, cioè dodici emiri e millecinquecento nobili, e non è rimasto nessuno capace
di misurarsi con voi e di difendere la città». Allora i Turchi chiesero al dragomanno [l'interprete] che cosa
dicesse Rinaldo, ed egli rispose: «Niente di buono sul vostro conto». Allora l'emiro Yaghi-Siyan gli ordinò
subito di scendere dalle mura e gli domandò per mezzo del dragomanno: «Rinaldo, vuoi vivere e godere
tranquillamente con noi?». Rispose Rinaldo: «Come potrei vivere tranquillamente con voi senza commettere
peccato?». «Rinnega il Dio che adori e nel quale credi - rispose l'emiro - e credi in Maometto e negli altri
390
nostri Dei [sic!]. Se farai ciò, ti daremo tutto quel che vorrai: oro, argento, cavalli, mule o ogni altro
ornamento, e mogli e ricchezze; e ti arricchiremo col più grande onore». E Rinaldo: «Datemi un po' di
tempo, per pensarci sopra», cosa che l'emiro concesse volentieri.
. Allora Rinaldo si pose in preghiera, a mani giunte vòlto ad oriente, implorando umilmente Iddio che lo
aiutasse e si degnasse di accogliere l'anima sua nel seno di Abramo. L'emiro, scortolo, chiamò il
dragomanno e gli chiese: «Che cosa sta facendo Rinaldo?», e questi rispose: «Non rinnegherà per nulla il
suo Dio; al contrario, rifiuta le tue offerte e i tuoi Dei». Udendo ciò l'emiro andò su tutte le furie e ordinò
che (Rinaldo] fosse immediatamente decapitato: e i Turchi lo decapitarono con grande gioia. Allora gli
angeli, accogliendo a gara la sua anima, la portarono fra cori e danze al cospetto di Dio, per amore del
Quale egli aveva sofferto il martirio.
L'emiro fu grandemente irato per non essere riuscito a convertire Rinaldo ai suoi Dei. Comandò che gli
fossero portati subito dinanzi tutti i pellegrini che erano in città con le mani legate dietro la schiena: giunti
che furono, li fece spogliare nudi e poi legare tutti insieme. Indi fece ammucchiare intorno a loro della legna
insieme con paglia e fieno, e - da quel nemico di Dio che era - fece appiccare il fuoco al rogo. E i cristiani,
anzi diciamo i soldati di Cristo, gridavano alto: e le loro voci risanavano verso il cielo, fino a quel Dio per
l'amore del Quale le loro carni e le loro ossa ardevano.
Furono tutti martirizzati in un medesimo giorno, e recarono in cielo al cospetto di Dio, per il Quale avevano
fedelmente subito il martirio, le loro candide stole.

Dopo Antiochia si arriva a Gerusalemme, che viene assediata a lungo nei primi mesi
dell'anno 1099. Era una città abitata da musulmani, ebrei e cristiani orientali.
All'inizio dell'assedio i musulmani espellono dalla città i cristiani d'oriente per paura di
tradimenti. E così quando i crociati prendono possesso della città vi trovano dentro solo
musulmani ed ebrei, che vengono tutti sterminati.
L'assedio termina cioè in un gigantesco bagno di sangue. Nell'anno 1099 nascono una
serie di stati crociati. Anche qui, come in Italia meridionale e in Inghilterra, possiamo
parlare di feudalesimo di importazione.
Questi stati sono propriamente feudali, cioè ricalcano gli schemi organizzativi dell'Europa
occidentale. Abbiamo quindi un Regno di Gerusalemme, che è vassallaticamente il
senior della Contea di Tripoli, che si trova in Libano, del Principato di Antiochia, che si
trova in Siria e della Contea di Edessa che si trova nell'Alta Mesopotamia.

391
Questi sono gli stati che vengono conquistati nella prima crociata. Queste conquiste sono
abbastanza clamorose perché i crociati non erano tantissimi considerando cosa dovevano
conquistare e dove erano andati a combattere. Pensate al tragitto che avevano dovuto
compiere attraversando anche territori molto diversi da quelli occidentali come ad esempio
il deserto siriano. All'indomani della conquista si pose il problema di come difendere questi
territori così lontani dall'Europa occidentale. La prima cosa da fare era organizzare
questo territorio anche da un punto di vista ecclesiastico perché in queste aree del
Mediterraneo orientale erano sopravvissute numerose comunità cristiane, ma si trattava di
comunità che si rifacevano molto di più al cristianesimo orientale di quello occidentale.

Quindi il patriarca di Antiochia è ortodosso e così anche in altre città della costa
palestinese. Quando i crociati prendono possesso di Gerusalemme impongono un proprio
patriarca latino, legato alla chiesa di Roma.
Il primo patriarca latino di Gerusalemme è l'arcivescovo di Pisa. La scelta ricade su di lui
perché i Pisani e i Genovesi hanno aiutato i cavalieri crociati con le proprie navi,
portando armi, vettovaglie e promettendo di continuare ad aiutarli nell'opera di trasporto,
comunicazione, vettovagliamento. Ecco perché il primo arcivescovo di Gerusalemme dopo
il 1099 è pisano ed ecco perché i mercati provenienti da queste città, soprattutto Pisa e
Genova, troveranno nelle città del Medio Oriente cristiano ampie possibilità di fare affari. Il
re di Gerusalemme e i principi di Antiochia e di Tripoli concederanno alle comunità

392
mercantili pisane e genovesi quartieri, strade, chiese, pozzi, forni, esenzioni fiscali
per commerciare in tutta libertà in questi territori. Il commercio in questi territori è
principalmente di spezie, tessuti preziosi e tutto ciò che arrivava dal mondo islamico.

Per esempio vediamo alcuni documenti particolarmente illuminanti sulla penetrazione


mercantile degli uomini d'affari provenienti da Pisa e da Genova.

Le colonie degli italiani in Terrasanta

Il primo dei nostri brani è il testo di un'iscrizione che, su richiesta dei Genovesi, fu posta nella chiesa del S.
Sepolcro; gli altri due sono privilegi.

a) Nell'anno dell'Incarnazione del Signore millesimo centesimo quinto, il 26 maggio, essendo antistite (cioè
arcivescovo) della Chiesa di Gerusalemme il signor patriarca Daiberto, regnando Baldovino (Baldovino
di Fiandra re di Gerusalemme), dette Iddio la città di Acri al Suo glorioso Sepolcro per mano dei Suoi
servi i Genovesi, i quali venuti con la prima spedizione dei Franchi (nel senso di occidentali) virilmente
giovarono nell'acquisto di Gerusalemme, di Laodicea e di Tortosa: da loro soli presero Solino e Gibeloth,
aggiunsero all'impero gerosolimitano Cesarea e Assur. Pertanto a questo popolo glorioso il re Baldovino
invittissimo dette in perpetuo possesso a Gerusalemme una via, un'altra in Giaffa e la terza parte di
Cesarea, di Assur e di Acri.

Ora leggiamo questo testo dove il privilegio emanato da un principe cristiano stavolta avvantaggia
i Pisani:

b) Nel nome della Santa e Indivisibile Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, amen
Sia noto a tutti che io Amalrico, per la grazia di Dio conte di Ascalona, per volontà e sollecitazione del mio
fratello e signore Baldovino re di Gerusalemme, dono, concedo e confermo a te, Villano venerabile
arcivescovo di Pisa, insieme con i consoli di detta città e con i Pisani tutti, la metà di ogni diritto che mi
spetta, e [concedo] che i Pisani possano entrare, uscire, comprare e vendere in Giaffa per terra e per mare.
Dono inoltre ai Pisani una piazza in Giaffa, affinché vi costruiscano case per sé e se ne servano come loro
mercato. Concedo ai medesimi un'area per fabbricarvi una chiesa, se il signore e maestro della cristianità,
il patriarca [di Gerusalemme], lo permetterà.
E affinché questo mio dono, concessione, conferma, possa rimanere in perpetuo stabile, sicuro e intatto, e
non possa essere alterato né turbato dalla frode o dalla violenza di alcuno, corroboro questa carta col mio
sigillo e la munisco dei sottoscritti testimoni: [seguono i nomi dei testimoni].
Dato in Ascalona, per mano del cancelliere Radulphus, il giorno IV dalle none di giugno [1157].

Quindi vedete che questi privilegi vengono concessi a quest mercanti.

c) ... messer Guilielmus de Burgaro e messer Simon Malocellus, consoli e visconti in Siria per il comune di
Genova, secondo il trattato del comune di Genova, hanno preso possesso materiale di metà della casa che è
stata un tempo di Nicolas Antelmi, nella quale abitò messer Bonarellus. E dichiarano di aver accettato il
possesso della detta metà per conto del comune di Genova e a nome del comune medesimo, e la tengono per
la parte detta e la posseggono a vantaggio del detto comune di Genova e a nome del comune stesso, e hanno
posto nella detta casa a vantaggio e a nome del comune di Genova il detto Bonarellus, che ha promesso di
andarsene a discrezione del detto comune o del suo nunzio.
Fatto in Acri, sulla scala della detta casa, MCCXL VIIII, indizione sesta, XXIII giugno prima di terza. lo
Castellinus de Paxano, notaio del sacro impero, ho rogato.

393
L'organizzazione della difesa di questi territori in Terra Santa passa poi anche attraverso la
costituzione di ordini di monaci combattenti, di ordini monastico-cavallereschi. Il primo,
creato nel 1113, è l'ordine dei Cavalieri di San Giovanni, detti anche Ospitalieri perché
avevano enormi ospizi in cui venivano ospitati i pellegrini o i cavalieri crociati che venivano
in Terra Santa.
Questi cavalieri Ospitalieri esistono ancora oggi e si chiamano Cavalieri di Malta.
Questo perché in origine avevano la sede principale a Gerusalemme, poi quando la città
viene riconquistata dai musulmani avranno sede a S. Giovanni d'Acri, sempre in
Palestina, poi nel 1291 si spostano a Rodi quando cade anche S. Giovanni d'Acri. Qui
verranno chiamati Cavalieri di Rodi.
Ma i Turchi ottomani nel '500 conquistano Rodi, così l'imperatore Carlo V concede ai
cavalieri rimasti senza una sede l'Isola di Malta. Un altro ordine di monaci guerrieri è
quello dei Cavalieri del Tempio, detti anche Templari, creato nel 1120. Il loro nome ha
origine dal fatto che gli fu data come sede la zona in cui i crociati pensavano ci fosse stato
l'antico tempio di Salomone.
Pensavano che quella zona della città di Gerusalemme fosse la zona dove c'era stato il
tempio di Salomone e quindi quando i monaci guerrieri si insediano lì, prendono il nome di
Cavalieri del Tempio, cioè Templari.
Questi cavalieri sono durati fino all'inizio del XIV° secolo, poi sono diventati troppo
potenti e ricchi perché gestivano le decime (soprattutto in Francia erano diventati una
potenza economica eccezionale) e allora il re di Francia Filippo il Bello intentò un
processo per eresia contro i Templari, fece ardere sul rogo tutti i loro capi e si appropriò
di tutte le loro ricchezze.
Quindi fu un processo politico per portare via le ricchezze ai Templari, che quindi
finiscono con l'inizio del XIV° secolo.
L'ultimo degli ordini più importanti creati dopo la crociata è quello dei Cavalieri Teutonici,
formato da monaci combattenti provenienti dal mondo tedesco, che combatterono nel
Baltico più che in Terra Santa.
Per secoli hanno combattuto per l'estensione della fede contro gli slavi pagani, contro i
baltici pagani circa fino alla fine del '300. Quindi la grande marcia verso est di cui
parlava Hitler in realtà c'era già stata.
Questa marcia aveva creato una specie di impero dell'ordine teutonico che partiva da
Brandeburgo e arrivava fino alle odierne Estonia, Lettonia. Tutte queste città che sono
sul Baltico sono state fondate dai tedeschi: Danzica in Polonia, Konigsberg, città natale di
394
Kant, Riga, Tallinn, tutte città di origine tedesca e di architettura tedesca. Poi sono state
ripopolate da slavi e baltici.
All'inizio del '500 con la riforma luterana accade che il grande principe dell'ordine
teutonico passa alla riforma e trasforma se stesso, un principe monaco, in un
principe laico.
Così si crea la dinastia dei re prussiani. Quindi la Prussia come stato, come monarchia,
si origina da un principato monastico-cavalleresco nato in seguito alle prime crociate.

La prima crociata, come abbiamo già detto, ha un esito clamoroso per i suoi sviluppi: la
formazione di queste realtà territoriali feudali in un oceano musulmano.
Certo la sorpresa è tanto per la vittoria dei cavalieri crociati quanto per la frammentazione
politica del territorio islamico alla fine del XI° secolo.
Progressivamente però principi musulmani del Medio Oriente riorganizzano le proprie
forze e cominciano ad attaccare questi principati cristiani occidentali. Così accade
che nel 1144 viene meno il principato più settentrionale, la Contea di Edessa.
In seguito a questa perdita territoriale e alla predicazione e agli scritti di Bernardo
Chiaravalle si arriverà al bando della seconda crociata. A questa seconda crociata
avrebbero dovuto partecipare il re di Francia Luigi VII, il re di Sicilia Ruggero II e
l'imperatore Corrado III.
In realtà Ruggero II non prese parte alla spedizione perché non aveva interessi a
rovinare i suoi rapporti diplomatici con le potenze islamiche avendo un regno che si
trovava proprio nel cuore del Mediterraneo.
In larga parte le operazioni belliche furono coordinate dall'imperatore tedesco
Corrado III, ma questa spedizione si risolse in un nulla di fatto. Le terre perdute nell'Alta
Mesopotamia non vennero riconquistate. Qualche decennio dopo le cose andarono
ancora peggio perché si creò il nuovo Sultanato d'Egitto che comprendeva l'Egitto e
la Siria che fu governato per molti anni da un grande principe e condottiero di origine
curda, Salah al-Din Yusuf, che gli occidentali chiamavano il Saladino. Fu un
personaggio mitizzato dalle letterature occidentali e compare anche in alcune novelle del
Decameron di Boccaccio. Viene presentato come un sovrano illuminato.

Nel 1187, dopo aver sconfitto i crociati in una grande battaglia campale, il Saladino
riconquista Gerusalemme. Questo fatto è un grosso shock per la cristianità occidentale e
così viene promulgata una terza crociata a cui partecipano l'imperatore Federico I
395
Barbarossa, il re di Francia Filippo II Augusto e il re d'Inghilterra Riccardo Cuor di
Leone Plantageneto.
L'imperatore muore attraversando un fiume dell'Anatolia (ormai anziano e appesantito
dall'armatura cade da cavallo e viene trascinato sott'acqua) e il re di Francia era poco
interessato alla crociata perché puntava a consolidare il suo potere in patria a scapito
dei monarchi inglesi. L'unico che rimane lì a combattere per due-tre anni è il re
d'Inghilterra Riccardo Cuor di Leone che fronteggerà a lungo gli eserciti del
Saladino. Nonostante gli aspri combattimenti, Riccardo riuscirà a riconquistare
soltanto un pugno di fortezze palestinesi tra cui Acri dove verrà posta la capitale del
regno di Gerusalemme perché la città santa rimane in mano ai musulmani. Nel
frattempo ha riconquistato anche l'isola di Cipro, che però non apparteneva ai
musulmani, ma ad un ramo collaterale dell'imperatore di Bisanzio. Questo è un
esempio dell'incomunicabilità che caratterizzava i rapporti tra cristiani occidentali e
orientali. Poi Riccardo non sa che farsene di quest'isola e così la cede dietro compenso
ad un'altra famiglia francese dei Lusignan, che terranno l'isola di Cipro per circa
duecento anni.
Anche questa crociata quindi non ha l'esito sperato. Nel 1202 Innocenzo III proclama
una quarta crociata.
Questa è la crociata più rocambolesca tra tutte e segna una frattura insanabile tra
cristiani d'occidente e cristiani d'oriente, molto più dello scisma del 1054. Questa
spedizione doveva partire da Venezia che offriva le sue galee e il suo vettovagliamento
dentro le galee. Quindi senza il sostegno economico di Venezia, all'epoca in piena
potenza, non sarebbero potuti partire tutti quei cavalieri.
I crociati arrivano alla laguna veneziana in numero minore di quello previsto e non
hanno il denaro per pagare i veneziani.
Allora il doge di Venezia Enrico Dandolo, novantenne e mezzo cieco, ma molto lucido
dal punto di vista politico, sparpaglia i crociati negli isolotti della laguna mettendoli
letteralmente a pane e acqua.
Esige il denaro promesso, ma i cavalieri non ne hanno abbastanza, così pretende dai
crociati che vadano a Zara, in Dalmazia (oggi Croazia) abitata da popolazioni cattoliche
e non ortodosse perché convertite da Roma. Zara era stata conquistata da Venezia, ma
si era ribellata mettendosi sotto la protezione del re di Ungheria. Allora i veneziani
convincono i crociati ad andare a Zara.
Gli abitanti, quando vedono arrivare le navi dei crociati, espongono le croci latine fuori
396
dalle mura. Ma niente da fare, la città viene assaltata e riconquistata dai veneziani che
mettono i propri governatori. Intanto il papa scomunica tutti quelli che hanno preso parte
all'assedio di Zara perché hanno combattuto contro i cattolici. Mentre i cavalieri sono
acquartierati a Zara, arriva un pretendente al trono di Bisanzio, Alessio IV della dinastia
degli Angeli, e dice che suo padre è stato detronizzato e accecato dallo zio. Se i crociati
lo aiutano a riprendere il trono, lui concederà loro ingenti tributi e farà in modo che il
patriarca di Costantinopoli si sottometta al papa. Cioè promette la riunificazione delle
due chiese d'oriente e di occidente in cui quella d'oriente è sottomessa a quella
d'occidente.
Crociati e veneziani accettano e partono per Costantinopoli, ma dopo aver messo sul
trono Alessio IV della dinastia degli Angeli, questo non ha i soldi per pagare crociati e
veneziani, ma soprattutto non riesce a convincere il popolo e gli ecclesiastici di
Costantinopoli della bontà della riunificazione delle due chiese.
Allora ad un certo punto, preso dal panico, ordina ai suoi soldati di incendiare la flotta. Ma
l'incendio viene sventato e crociati e veneziani assaltano la città.
Il sacco di Costantinopoli del 1204 è un episodio tra i più nefandi della storia delle
crociate: case e palazzi incendiati, monche stuprate, crociati che compiono i loro bisogni
fisiologici sugli altari delle chiese, mentre i veneziani si portano via tutto quello che
trovano.
Oggi nella facciata di San Marco si vedono le copie di quattro cavalli di bronzo (gli originali
sono in un museo a Venezia) di epoca romana che erano a Costantinopoli. Hanno portato
via anche le statue di Porfido dei Tetrarchi. Molti dei gioielli che si trovano nella Basilica di
San Marco sono bizantini rapinati dai veneziani.
Dopo il saccheggio della città l'impero è frantumato. I crociati creano l'impero latino
d'oriente e ci mettono a capo un principe fiammingo. I veneziani non hanno voluto che
l'imperatore dell'impero latino d'oriente fosse un italiano della dinastia dei Monferrato
perché volevano un dinasta non tanto forte e non tanto sveglio per fare i loro interessi
all'interno dell'impero orientale. Quindi ogni principe crociato si prende una fetta di
territorio, Venezia si prende molte isole, un intero quartiere di Costantinopoli e il
patriarcato, infatti dal 1204 il patriarca è un Morosini, famiglia appartenente alla nobiltà
veneziana. La situazione che si crea nell'impero si può vedere in una cartina

397
in cui si vede che l'estensione dell'impero è molto modesta, ci sono dei principati in
mano a principi occidentali, il Regno di Tessalonica che è in mano ai Monferrato (una
dinastia piemontese), i duchi di Atene che sono francesi, il Principato di Achaia
anch'esso francese, dei principati greci (il Despotato d'Epiro e l'Impero di Nicea), e poi i
domini veneziani che non si vedono nella cartina: Creta, Zantos, Cefalonia e tutta una
serie di isole che i veneziani hanno tenuto fino alla tarda età moderna (Foscolo era nato a
Zacinto, l'antica Zantos, un'isola greca dello Ionio). Creta è stata tenuta da Venezia fino al
'600. In generale tutto il Mar Egeo è costellato di fortezze ancora oggi di origine
veneziana. Insomma nasce nel 1204 l'impero marittimo di Venezia.
Tutto il Mar Adriatico si chiamerà golfo di Venezia e dopo la conquista di Costantinopoli i
veneziani dilagheranno anche nel Mar Nero dove andranno generalmente a comprare gli
schiavi.
Questa situazione di smembramento, di spezzettamento dell'antico impero bizantino dura
quasi sessant'anni. I principati crociati sono deboli perché imperniati su territori molto
piccoli e spesso ogni principe cerca di espandersi a danno dell'altro. Ovviamente il
patriarca latino era odiatissimo dai greci, che credevano che il vero patriarca fosse
quello di Nicea, un principato governato da una dinastia ellenica. Ed è questo Principato
di Nicea, situato nella parte più occidentale dell'Asia Minore, che con l'aiuto dei
genovesi ricostituirà su base territoriale molto più limitata l'impero romano d'oriente

398
nell'anno 1261 con i principi della dinastia dei Paleologhi che riconquisteranno
Costantinopoli. Come vedete nella cartina del 1270

questo impero bizantino è il fantasma di se stesso. Sono presenti ancora molti territori in
mano ai principi occidentali e veneziani. L'impero bizantino è ricostituito con l'aiuto di
Genova, che vede nella rinascita dell'impero di Costantinopoli un mezzo per frenare il
monopolio commerciale di Venezia in queste zone. Dopo il 1261 anche i genovesi
entreranno nel Mar Nero e creeranno la città coloniale di Caffa in Crimea. È grazie a
questa penetrazione dei veneziani e dei genovesi nel Mar Nero che sarà possibile la
spedizione di Polo verso la cosiddetta via della seta all'epoca del grande impero mongolo.
Quindi questa è una crociata con un esito sconcertante e che segna una frattura
insanabile fra cristiani d'occidente e cristiani d'oriente. Poi tutto il resto del '200 sarà
caratterizzato da altre crociate tutte fallimentari e senza una vittoria. Si va da quella
non svoltasi di Federico II (quella con Gerusalemme “città aperta) a quelle promosse dal
re di Francia Luigi IX detto il Santo, ambedue fallimentari. Nel 1291 i residui
possedimenti crociati vengono conquistati dai Turchi Mamelucchi. L'Egitto infatti, dopo
l'epoca del Saladino, è governato da una dinastia di Turchi detti Mamelucchi che
originariamente erano schiavi soldati, mercenari in condizione di non libertà personale,
che combattevano per i califfi d'Egitto. Ad un certo punto questi si rivoltano e prendono il
potere e gestiranno l'Egitto e la Siria fino all'inizio del '500, quando queste zone saranno
inglobate dai Turchi Ottomani. Quindi con il 1291 terminano tutti gli stati crociati e si
ha un piccolo esodo di occidentali cristiani verso l'ultimo avamposto crociato nel
Mediterraneo orientale, e cioè Cipro, governato dalla dinastia francese dei Lusignan.
L'idea della crociata però non scompare nel '300, nemmeno nel '400 e nel '500.
L'idea che si possa e si debba combattere contro l'infedele non morirà mai, anzi le più
grandi teorizzazioni della crociata sono paradossalmente posteriori al periodo delle

399
crociate vere e proprie. Solo che l'idea, più si va avanti nel tempo e più si trasforma da
crociata offensiva a crociata difensiva, perché nel frattempo i Turchi Ottomani, che si
sono insediati nell'Asia Minore, si mangiano pezzi di territori bizantini e poi dilagano in
Europa.
Conquistano la Grecia, la Bosnia, la Serbia, poi all'inizio del '500 anche l'Ungheria. Quindi
l'idea della crociata si sposta dal terreno della Terra Santa al terreno di scontro di civiltà di
fronte a questa massa montante degli Ottomani con delle spedizioni militari, tutte concluse
con sconfitte disastrose. Alcune di queste sconfitte sono considerate ancora oggi motivi
identitari da alcune nazionalità balcaniche. Per esempio, ad una delle più grandi sconfitte
dei cristiani a Kosovo Polje, in Serbia, nel 1389, quando l'esercito crociato in cui militano
molti serbi viene distrutto, i serbi legano la propria identità.

Il '200 però è stato anche il periodo nel quale la crociata è stata bandita non solo contro gli
infedeli, ma anche contro gli eretici, e a farne le spese per primi sono stati gli eretici della
Francia meridionale, i cosiddetti Catari. Infatti in questi anni c'era stata una larga
diffusione di movimenti che la chiesa cattolica ha giudicato e bollato con il termine di
eresia. Il termine eresia è molto antico e rimanda al Concilio di Nicea quando per la
prima volta venne condannato l'arianesimo.
Movimenti giudicati eretici ci sono stati per tutto l'alto medioevo, ma il fenomeno assume
connotati e proporzioni totalmente inusuali tra XII° e XIII° secolo, cioè nel pieno di quella
rinascita economica, demografica e anche culturale che caratterizza il basso medioevo.

L'eresia prende forme e caratteri molteplici, ci sono intellettuali giudicati eretici, per
esempio Arnaldo da Brescia che era stato discepolo di Pietro Abelardo, e che fu arso sul
rogo nella seconda metà del XII° secolo a Roma.
Sia Arnaldo da Brescia che la maggior parte dei movimenti ereticali italiani hanno
connotati definiti pauperistico-evangelici, cioè contestazione della ricchezza della chiesa,
del modo in cui si fa cura d'anime e in generale dei costumi degli uomini di chiesa. L'arma
con cui si fa contestazione è il Vangelo.
L'ideale di questi movimenti bollati poi con il termine di eresia è quello di un ritorno al
cristianesimo delle origini, povero e non compromesso con il potere e con le ricchezze.
Troviamo questi movimenti pauperistico-evangelici per esempio in Lombardia con i
cosiddetti Umiliati, ma anche in Francia con Pietro Valdo mercante di Lione, che nella
seconda metà del XII° secolo vende tutti i suoi beni, dà in elemosina le ricchezze ricavate
400
e poi si mette a predicare da laico nelle vie, nelle piazze, si fa tradurre i testi sacri nella
lingua che si parlava allora in quella zone della Francia.

Le autorità ecclesiastiche si mettono in allarme e dicono: “Ma come, i laici predicano? I


laici leggono in lingua volgare i testi sacri?”. Vedono in queste predicazioni un
sovvertimento dell'ordine della chiesa e quindi voluto da Dio, così tutti i vari movimenti
pauperistico-evangelici entrano nel mirino degli editti pontifici.
Come vediamo ad esempio in una decretale emanata dal pontefice Lucio III nel 1184. In
questo periodo, cioè la fine del XII secolo i movimenti sono diffusi specialmente in Italia e
nella Francia meridionale, soprattutto in ambiente urbano. Questa è la caratteristica
nuova delle eresie, cioè il fatto che non maturino in un contesto rurale ad opera di qualche
monaco dissidente, ma nelle città, dove le differenze sociali e di ricchezza si fanno
sempre più evidenti, e quindi dove anche le contestazioni ai costumi corrotti degli uomini
di chiesa sono maggiori.

La scomunica generale dei predicatori laici non autorizzati contenuta nella decretale Ad
abolendam diversarum haeresium pravitatem (Lucio III, 1184)

In primo luogo, dunque, decidiamo che siano soggetti a perpetua scomunica i Catari ed i Patarini e colono
che si fregiano del falso nome di Umiliati oppure di Poveri di Lione, i Passagini [1] i Giosefini [2] , gli
Arnaldisti [3]. E poiché alcuni, sotto apparenza di pietà, ma essendo del tutto privi delle virtù che la
caratterizzano, secondo quanto dice l'apostolo, rivendicano per sé l'autorità di esercitare la predicazione,
mentre lo stesso apostolo dice: «In che modo ci saranno dei predicatori, se non saranno mandati?»,
annodiamo con uguale vincolo di perpetua scomunica tutti coloro che avranno la presunzione di predicare
sia in pubblico che in privato, pur avendone ricevuto la proibizione oppure non essendo stati inviati, al di
fuori di ogni autorizzazione ricevuta dalla Sede apostolica oppure dal vescovo del luogo; e tutti coloro che
a proposito del sacramento dei corpo e del sangue di nostro signore Gesù Cristo, oppure a proposito del
battesimo, oppure della confessione dei peccati, oppure del matrimonio o degli altri sacramenti della
chiesa, non hanno timore di pensare e di insegnare in maniera diversa da quella che la sacrosanta chiesa
romana predica e osserva; ed in generale tutti coloro che saranno giudicati eretici o dalla stessa chiesa
romana, oppure dai singoli vescovi nelle proprie diocesi con il consiglio dei chierici, oppure, in caso di sede
vacante, dagli stessi chierici col consiglio, se necessario, dei vescovi delle sedi vicine.
[1] Eretici lombardi, di orientamento filo-giudaico. [2]
Setta ereticale.
[3] Seguaci di Arnaldo da Brescia (riformatore religioso giustiziato nel 1154), sostenitori della povertà del
clero e del diritto dei laici a predicare.

Il problema che emerge dalla decretale è che questi laici che predicano il vangelo e lo
traducono in lingua volgare non sono gli unici a creare problemi. Ci sono anche i Catari
che rappresentano un'eresia particolare perché organizzano una vera e propria chiesa
parallela con propri vescovi e sacerdoti e concepiscono i sacramenti in maniera diversa,

401
quindi a stretto rigore non sarebbero nemmeno cristiani nel senso stretto del termine.

I Catari sono manichei, a Bisanzio erano chiamati Bogomili, infatti il manicheismo arriva in
occidente dalla terre dell'impero bizantino.
Essere “manicheo” significa interpretare il mondo in maniera radicale come una lotta
continua tra il bene e il male, dove il male è tutto ciò che è materiale e corporeo, il
bene è tutto ciò che è spirituale.
Quindi per i manichei l'essere umano è un'anima pura spirituale e benigna prigioniera della
corporeità, del male assoluto.
Questo non è propriamente cristiano perché per i cristiani Gesù Cristo è il verbo incarnato
e la resurrezione nel giorno del giudizio è delle anime e dei corpi. Inoltre gli stessi
sacramenti hanno a che vedere con la corporeità, infatti l'ostia consacrata è per i cristiani il
corpo storico di Cristo, e quando un fedele la mangia assume fisicamente il corpo di
Cristo, non è un fatto simbolico, è una cosa concreta.
E come l'ostia è il corpo di Cristo, il vino è il sangue. Tutto questo per i Catari era una
bestemmia perché se tutto ciò che è corporeo è male l'eucaristia è una cosa blasfema,
così come è blasfemo il battesimo. Neanche il matrimonio andava bene e i più puri tra i
Catari, chiamati i perfetti, arrivavano a negare l'alimentazione perché mangiare significa
assumere qualcosa di materiale. I più fanatici arrivavano al suicidio per inedia. Una
dottrina del genere prosperava perché generalmente venivano contestati i vescovi e i
sacerdoti locali, accusati dai Catari di non comportarsi come era scritto nel vangelo. Ci
furono numerose adesioni al catarismo, soprattutto nelle città della Francia meridionale,
addirittura pare che anche il Conte di Tolosa fosse un cataro moderato. Anche alcune città
dell'Italia centro-settentrionale avevano una chiesa clandestina catara con una propria
organizzazione ecclesiastica. Nessun altro movimento eretico metteva in discussione i
dogmi della chiesa cattolica come i Catari.

Di fronte alla grande diffusione di queste eresie, soprattutto in ambito francese e italiano, i
pontefici, a partire da Lucio III, mettono in piedi una vera e propria macchina organizzativa
di persecuzione degli eretici. Il salto di qualità viene compiuto da Innocenzo III che
proclama la crociata contro i Catari della Francia meridionale, a cui parteciperanno gli
eserciti di Filippo II Augusto.
Ci saranno massacri di popolazione e poi tutta la civiltà della Linguadoca e della
Provenza verrà cancellata da questo ventennio di crociate.
402
La grande poesia trovadorica scompare dopo la crociata contro i Catari. Alcuni poeti li
ritroviamo in Italia, scappati dalla loro terra mezza distrutta. La crociata porta anche il
declino linguistico di questa zona della Francia. Oggi quasi nessuno parla più l'antico
provenzale. L'adozione della langue d'oil, cioè del francese del nord, da parte di queste
zone meridionali, è strettamente legata alla crociata contro i Catari.

Tuttavia per fermare le eresie non basta sterminare gli eretici e mettere in piedi il tribunale
dell'Inquisizione, che è una creazione duecentesca, ma bisogna anche convincere le
coscienze della bontà di quello che si sta facendo, è necessario fornire ai fedeli un
modello alternativo. Questo modello alternativo viene fornito nella prima metà del '200 da
due modi nuovi di intendere la religiosità cattolica, cioè dai cosiddetti ordini mendicanti. I
più famosi sono l'Ordine di San Domenico, o Ordine dei dei frati predicatori, e l'Ordine
di San Francesco, o Ordine dei frati minori.
Le vicende che portano alla formazione di questi due ordini sono profondamene diverse,
però il risultato è che nella prima metà del '200 si formano degli ordini religiosi che
avranno un'importanza eccezionale nella religiosità occidentale, e tutte le città dell'Europa
cattolica, avranno chiese domenicane e chiese francescane. Il primo ordine, quello dei
Frati Predicatori, si deve all'opera di Domenico di Guzman, un canonico regolare
castigliano, che insieme al vescovo di Osma, la sua città, si trova a passare all'inizio del
'200 in Francia meridionale e si rende conto della grande diffusione dell'eresia catara. Lui
e alcuni seguaci decidono di predicare per le vie e le piazze della Francia del sud per
convincere le popolazioni urbane dell'errore eretico. San Domenico dice che bisogna
predicare, ma non basta: bisogna anche dare l'esempio, e cioè essere poveri in
modo tale da convincere i fedeli della bontà di quel che si sta dicendo. Infatti a lungo i
domenicani non avranno i loro conventi, ma saranno ospiti di conventi di altri ordini
religiosi. Domenico sostiene che per predicare sia necessario conoscere bene i testi
sacri, quindi i Frati Predicatori devono studiare.
Le prime grandi fondazioni dei domenicani si trovano, oltre alla Francia del sud, anche a
Bologna, dove i frati studiano diritto canonico, e a Parigi, dove studiano teologia.
I grandi maestri di teologia del '200, '300 e '400 sono in larga parte domenicani. Il più
importante di tutti è Tommaso d'Aquino, che ha insegnato anche a Parigi nel corso del
XIII° secolo. Quindi l'Ordine Domenicano è un ordine colto, che si forma prima nelle
scuole del proprio ordine e poi nei centri universitari, che teoricamente non dovrebbe
possedere beni e che ha un'importanza fondamentale nella lotta all'eresia.
403
Generalmente i domenicani presiedono il tribunale dell'Inquisizione. Non a caso San
Domenico morirà a Bologna. Il frate era lì per curare l'istruzione giuridica dei suoi
discepoli. Il caso dei francescani è completamente diverso: Francesco non ha preso i
voti e sarà laico per tutta la vita, non aveva certo l'istruzione e la formazione teologica di
San Domenico.
Nasce ad Assisi, in Umbria, nel 1182. Il padre era un mercante e, tornato da un viaggio
d'affari in Francia trova il figlio appena nato a cui la madre ha dato il nome di Giovanni. Ma
lui, che si chiamava Pietro di Bernardone, poiché in Francia si è arricchito notevolmente
decide di chiamarlo Francesco, cioè “francese”. Questa è la prima volta in cui viene
messo quel nome. Francesco cresce negli agi, ha un'istruzione abbastanza buona e
conosce un po' di latino e francese. Per alcuni anni segue il padre nei suoi viaggi
d'affari e le ricchezze paterne gli permettono di partecipare a giostre, tornei, di fare
insomma la bella vita.
A vent'anni viene coinvolto in una guerra tra il comune di Assisi e la città di Perugia.
Nella battaglia di Collestrada l'esercito di Assisi è disfatto dai perugini e Francesco viene
portato come prigioniero insieme a molti suoi compagni a Perugia.
Lì rimane per qualche mese fino a che il padre, grazie al suo denaro, lo riscatta e lo
riporta a casa. Ma questo episodio ha segnato un trauma profondo in Francesco, che
da allora non partecipa più alle giostre, alle brigate, ai tornei fino a quando decide di volere
andare da solo sul monte Subasio dove vive per due-tre anni come eremita. Il luogo di
questo suo eremitaggio è il cosiddetto “Eremo delle Carceri” ancora oggi visibile.
Poi cambia idea, lascia l'eremitaggio e decide di tornare in mezzo alla società. Vuole
vivere nella società, ma tra i poveri, i diseredati, con i lebbrosi e le prostitute. Il padre
pensa che Francesco sia impazzito, lo porta dai consoli della città per convincerlo a
condurre una vita all'altezza del suo rango. I consoli allora lo mandano dal vescovo, ma
Francesco non cambia idea, si spoglia completamente nella piazza principale e
indossa un saio con una corda (in francese i francescani sono detto cordeliers). Per
alcuni anni vive in città una vita estremamente povera, a differenza degli altri monaci
che si ritirano nelle campagne. Il suo esempio è così sconvolgente che nel giro di pochi
anni i seguaci di Francesco diventano decine di migliaia.
Si tratta di persone normali che lasciano i loro mestieri per condurre una vita povera e si
mantengono facendo lavori manuali considerati spregevoli e ottenendo in cambio il poco
che serve per condurre un'esistenza quotidiana. Il vescovo avverte Francesco che la
chiesa potrebbe scambiarlo per un eretico, così decide di portarlo a Roma dal papa
404
Innocenzo III per regolarizzare la cosa. Lo convince che, con tutti i seguaci che ha, deve
mettere per iscritto una Regola.
Nel 1221 la comunità francescana si trasformò in un ordine religioso, cosa che dispiacque
a Francesco, il quale, deluso e stanco, nel 1224 si ritirò sul monte della Verna. Qui tornò
al modello dei primi anni, cioè alla cura dei lebbrosi e all'eremitaggio. Morì infine di stenti
nel 1226.

405
DICIASETTESIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
MARTEDI’ 04.11.2014 ORE: 12,30 - 13,45

I Manichei avevano creato una Chiesa parallela [alla Chiesa di Roma], con propri vescovi
che vivevano in clandestinità.
Contro le cosiddette eresie si erano pronunciati vari pontefici, a partire da Lucio III, poi
con Innocenzo III si era avviata una macchina di repressione, culminata nella
creazione del Tribunale dell'Inquisizione.

Il Tribunale era inizialmente presieduto da monaci cistercensi, ma poi quasi subito da Frati
Predicatori [altrimenti detti Domenicani], esperti di teologia e di diritto canonico che
esaminavano ed eventualmente condannavano i presunti eretici.

Queste condanne in cosa consistevano? Generalmente un presunto eretico, posto davanti


al tribunale dell'Inquisizione, ritrattasse, facesse apostasia, per paura.
Le condanne alla pena capitale erano rarissime perché la paura e il terrore giocavano a
favore degli inquisitori, quindi molti rinunciavano, dichiaravano che avevano sbagliato e
ritornavano nelle braccia di Santa Romana Chiesa.
Nel caso di una sentenza capitale, a chi la si faceva amministrare?
Non certo gli uomini di Chiesa il Tribunale consegnava i condannati al braccio secolare,
cioè all'autorità politica del luogo, che poteva essere il re di Francia, il conte di Tolosa,
Federico II nel Regno di Sicilia o i conti dell'Italia centro-settentrionale.
Infatti questo poi provocherà delle grosse contese tra il Tribunale dell'Inquisizione e il papa
da una parte e tutte queste autorità laiche [dall'altra], perché questo sistema
dell'Inquisizione era anche uno strumento attraverso il quale la Chiesa interferiva nella
giurisdizione degli Stati.
Spesso le autorità politiche si scontravano con il papa e il Tribunale dell'Inquisizione
perchè questi ultimi interferivano con l'attività giurisdizionale delle città.
Ma, come dicevamo ieri in chiusura, quest'opera di repressione non avrebbe avuto
l'efficacia che ha avuto, se non ci fosse stata anche una spinta in senso positivo, non
[solo] in senso negativo.
Questa spinta in senso positivo, che raccoglie molti dei fedeli che si sentivano in qualche
modo traditi dalla Chiesa, è direttamente collegata alla diffusione degli ordini mendicanti
dei Domenicani e Francescani.
406
Poi ci sono anche gli Agostiniani, i Serviti, i Carmelitani, ma hanno avuto un'importanza
estremamente ridotta rispetto ai Domenicani e Francescani.
In qualsiasi città italiana voi trovate una chiesa domenicana e una chiesa francescana, ma
ne troviamo ad esempio anche in Francia, nella penisola iberica.
Questi ordini religiosi hanno avuto una grandissima diffusione nel mondo urbano basso
medievale con un impatto determinante sulla religiosità popolare degli strati medi e bassi
della popolazione.
Dal '200 in poi ci sono tantissimi testamenti di laici in cui voi trovate donazioni collegate a
favore di questi frati, i quali hanno anche un ruolo enorme nella cura d'anime, poiché c'è
una frizione continua, una sovrapposizione di competenze in materia spirituale tra
Francescani e Domenicani da una parte e il vescovo dall'altra.
Infatti il vescovo dice: "Stanno facendo quello che dovrei fare io. Mi portano via i fedeli, mi
rubano i fedeli!"
Perché questo è il punto fondamentale, Francescani e Domenicani non sono monaci, non
hanno uno status monastico, sono chierici, quindi hanno anche la cura d'anime.
Questa è la grande differenza tra i frati e i monaci.
I monaci vivono lontano dalla città, non tutti ma la maggior parte sì, e il loro ideale riflette la
fuga dal mondo; l'ideale dei frati è quello di un'attività pastorale nel mondo, nelle città, con
i poveri, vivendo da poveri.
Almeno questa è la posizione iniziale.
Per questo si parla di ordini mendicanti, perchè dovrebbero vivere di mendicità, di
elemosina.
Infatti le prime comunità di Francescani e Domenicani non avevano niente vivevano, oggi
si direbbe, in comodato d'uso gratuito, presso altre istituzioni strutture ecclesiastiche o
laiche cittadine.
Poi soprattutto dopo la morte dei suoi fondatori la grande espansione dell'ordine le cose si
fanno più complicate.
Francesco diceva: "Se possediamo dei beni, bisognerà che li difendiamo, quindi vuol dire
azioni illegali, occuparsi di politica, e Francesco [per questo] non vuole più niente.
Però gli ultimi anni della sua vita li ha passati un po' amareggiato, perché l'ordine si è
completamente trasformato, istituzionalizzato e soprattutto clericalizzato.
Infatti poi [la Chiesa dice all'ordine]: "Noi vi riconosciamo la Regola, noi riconosciamo il
vostro status, però diciamo la nostra su come vi dovete organizzare".
Per i Domenicani i problemi sono pochi.
407
I Domenicani sono soprattutto legati alle istituzioni educative, al mondo universitario, agli
studi di teologia.
È un ordine dotto, un sostegno culturale della Chiesa.
Grandissimi intellettuali e filosofi nel Tardo Medioevo appartengono al filone domenicano,
primo fra tutti San Tommaso.
Ci saranno anche molti maestri universitari e filosofi francescani, ma qui la vicenda è un
po' più complessa, perchè l'idea della povertà è così forte — soprattutto l'esempio di
Francesco, — che causerà sempre tanti conflitti interni all'ordine, soprattutto tra
Francescani rigoristi, ossia quei Francescani che vogliono interpretare alla lettera il
messaggio di Francesco, e le autorità ecclesiastiche di Roma.
È così che nella seconda metà del '200 si scatena una grandissima polemica tra i
Francescani spirituali e i Francescani conventuali.
Gli Spirituali sono quelli che vorrebbero una povertà radicale.
Mentre quella che va formandosi in seno all'ordine conventuale è una povertà un pò
ambigua: nessun frate possiede niente, tutti sono poveri, però l'ordine gestisce
collettivamente dei patrimoni immensi.
Infatti si parlerà di uso povero della ricchezza.
Si dice: "Questi beni non sono dell'ordine, sono della Chiesa. La Chiesa li presta
all'ordine".
Sì, ma [intanto si possiedono beni di una certa entità,] case, terre e via dicendo.
Quindi una grossa contesa.
Per questo le "Vite di San Francesco", quelle originarie, dovevano essere bruciate, cosa
che poi non avvenne, se ne salvarono alcune.
Dovevano essere bruciate perché doveva passare la vulgata voluta dal generale
dell'ordine e maestro universitario, San Bonaventura da Bagnoregio.
Questa vulgata delineava un'immagine stilizzata di San Francesco.
E, sulla base della "Vita" di San Bonaventura, Giotto affresca la Basilica Superiore di
Assisi.
Giotto, dunque, s'ispira alla versione più stilizzata, più simbolica e meno materiale.
Questo scontro toccherà poi l'apice tra le fine del '200 e l'inizio del '300, quando alcuni
Spirituali vengono imprigionati, anche per ordine del papa.
Uno dei più fieri avversari degli Spirituali è Bonifacio VIII.
Contro di lui scriverà delle poesie di fuoco Jacopone da Todi, uno dei primi grandi poeti in
lingua volgare italiana e un Francescano spirituale — "Che ti venga la pellagra!" augura
408
Jacopone da Todi a Bonifacio VIII!
Vedete come le questioni interne all'ordine di natura dottrinaria coinvolgono tutta
l'istituzione ecclesiastica nel suo complesso.
Però anche se ci sono tutte queste contese interne, è fuor di dubbio che la nascita e la
grande espansione, soprattutto nel mondo urbano, degli ordini mendicanti ha aiutato a
superare la grande crisi di inizio '200, caratterizzata dalla diffusione delle eresie.
Bisogna tenere presente che queste eresie hanno caratteristiche molto differenti.
Ci sono semplicemente coloro che leggono il Vangelo e vorrebbero interpretarlo alla
lettera, i cosiddetti movimenti pauperistici — tra cui i Valdesi — e quelli invece, come i
Catari, che propongono invece dogmi diversi.
Con i primi che sono maggiormente inseriti nell'alveo della tradizione [a cui], per certi
aspetti, i primi Francescani potevano assomigliare
Quando Francesco viene portato a Roma per fargli regolarizzare ciò che lui sta mettendo
in piedi e anche perché il vescovo dice: "Guarda che se non vai dal papa e ti fai
riconoscere, ti scambiano per un eretico e finisci nei guai!"
Quindi alle origini c'è una forte consonanza tra i movimenti degli Umiliati,

dei Valdesi e dei Francescani.


La Chiesa nel suo complesso si giova di questa grande espansione di questi due ordini
[dei Domenicani e dei Francescani] che surclassano potentemente anche da un punto di
vista culturale tutta la vecchia produzione intellettuale degli uomini di Chiesa, che si
rimandava soprattutto ai grandi monasteri e alle grandi abbazie, perciò al mondo rurale
altomedievale, mondo che viene superato da questa realtà cittadina bassomedievale.
Sta di fatto che, anche per questo motivo e anche perché il potere imperiale è ormai
evanescente dopo la fine degli Svevi, la Chiesa romana diventa il massimo vertice
istituzionale e spirituale della Cristianità occidentale.
Il periodo di maggior potere e di maggior prestigio della chiesa di Roma è
sicuramente vissuto nel '200, tra il pontificato di Innocenzo III, di cui abbiamo parlato
più volte (IV crociata, crociata contro i Catari, messa sul trono imperiale di Federico II, I
costituzione dello Stato della Chiesa — insomma un pontefice che è intervenuto in vari
ambiti e con grande successo) e quello di Bonifacio VIII.
Quest'ultimo è coinvolto, però, in una vicenda che segna l'inizio di una parabola
discendente del fenomeno che siamo andati dicendo, cioè il primato assoluto della Chiesa
non solo nell'ambito spirituale ma anche in quello temporale.

409
Bonifacio VIII è il papa del primo Giubileo, è il papa che Dante mette a testa in giù
nell'Inferno, è un papa molto politico.
Vediamo ora qual è la vicenda in cui viene coinvolto [perché questo fatto serve] per
spiegare il rapporto che da questo momento in poi si instaura tra il papa e i monarchi
europei.
L'ideologia ierocratica pontificia tocca i vertici con Bonifacio VIII.
Bonifacio VIII parla simbolicamente di due spade: la spada del papa e la spada
dell'imperatore.
Ma ambedue queste spade sono in realtà del papa, solo che una delle due il pontefice,
nella sua magnanimità, la concede all'imperatore.
Già una simbologia simile era presente nei testi di Innocenzo III.
Innocenzo III parlava di sole e luna: il sole è il papa, la luna il potere temporale; la luna
essendo un satellite vive di luce riflessa: dunque l'imperatore viveva di luce riflessa dal
pontefice.
Però questa ideologia ierocratica di Bonifacio VIII si scontra non con un nuovo
imperatore, ma si scontra con un sovrano, con il re di Francia Filippo IV detto il Bello.

La monarchia francese, alla fine del '200, è la più grande e potente


monarchia feudale d'Europa, cioè quella che controlla il territorio più
vasto e popolato.
È una monarchia in forte ascesa.
Le monarchie cosiddette nazionali rappresentano un potere, in
quest'epoca, molto più concreto del potere imperiale.
Il potere imperiale, da un punto di vista ideologico sarebbe più importante, perché l'impero
sarebbe uno Stato almeno teoricamente ecumenico — "il Sacro Romano Impero!"
Tutti dovrebbero essere sottomessi all'imperatore…in teoria.
Nella pratica le cose vanno in maniera completamente diversa.
Il potere del re, di un grande re, è materialmente più efficace di quello dell'imperatore.
L'imperatore in Germania governa attraverso dei poteri intermedi: c'è l'arcivescovo di
Magonza, c'è l'arcivescovo di Colonia, c'è il principe di Brandeburgo — l'imperatore non
riesce materialmente a controllare direttamente tutto il territorio.
Lui ha un'alta sovranità, ma poi come la esercitava concretamente è tutto un altro
discorso.
410
I re invece — in Inghilterra, in Francia, in Castiglia — tendono ad estendere il loro controllo
diretto su tutte le zone che fanno parte del loro regno.
A quest'altezza cronologica non controllano ancora direttamente [i territori], ma la strada è
ben avviata.
Dietro la formazione di queste monarchie nazionali ci sono anche intellettuali, propaganda
di corte, giuristi, i quali incominciano a dire, nella seconda metà del '200, che: "Rex in
regno suo est imperator" (il re nel suo regno è come se fosse limperatore) — una
sovranità che non può essere messa in discussione.
I re di Francia, con grande ambizione, all'epoca, si sentono collegati dinasticamente
con la casa d'Angiò (con la casa regnante a Napoli), e hanno una notevole importanza
nello scacchiere politico italiano.
È naturale che i Comuni dove si afferma una fazione politica guelfa vedano come punto di
riferimento il re di Francia, che è collegato ai d'Angiò.
Filippo IV è un sovrano molto spregiudicato e la sua ossessione è quella di aumentare le
risorse finanziarie del regno perchè tutta [1] la sua politica espansionistica e il tentativo di
creare un'efficiente macchina burocratica passa attraverso la riscossione delle tasse,
dirette e indirette.
Ed è qui che si scontra con il papa.
[1a] Filippo IV fa giudicare eretici i Templari e se ne incamera il tesoro.
Poi fa altre belle cose.
Fa finta di scoprire l'acqua calda, cioè che i mercanti e i banchieri italiani prestano denaro
sia al re di Francia che al re d'Inghilterra.
Quando è in guerra con il re d'Inghilterra dice: "Gli amici dei miei nemici sono miei nemici".
Così [1b] fa confiscare tutte le merci e i crediti dei mercanti e banchieri italiani a Parigi.
[Dice a questi:] "Avete prestato denaro al mio nemico, quindi siete contro di me!".
E con questo stratagemma, assai banditesco, mette le mani su crediti e merci di altri.
Di solito lo fa con le compagnie già in difficoltà, perché altrimenti con quelle troppo forti il
movimento si chiude e anche lui rimane a corto di liquidità.
Compie altre azioni, ad esempio [1c] svaluta in continuazione la moneta.
Allora, cosa accade svalutando la moneta?
Accade che tutti quelli che hanno le monete vecchie in mano non le vogliono spendere,
perché lì dentro c'è più argento, c'è più oro di quelle nuove.
La svalutazione avviene riducendo il peso e la lega della moneta.
Faccio un esempio astratto. Un denaro tornese, cioè un denaro coniato nella zecca regia
411
di Tours, d'ora in poi si chiamerà sempre denaro tornese, ma invece di avere 6/10 di
argento ne ha 5/10.
Quindi c'è un 1/10 di argento in meno nella nuova moneta.
Se voi foste proprietari delle vecchie monete, andreste a spendere il vecchio denaro
tornese? No! Perché se lo faceste, ci perdereste 1/10 [di argento].
Allora qual è l'unica cosa razionale da fare?
Prendere le vecchie monete, andare alla zecca di Stato, far fondere le vecchie monete,
farle riconiare con la nuova lega e farsi dare le nuove monete indietro.
Dov'è che ci guadagna il sovrano? Nella tassa di coniazione!
Svaluta, tutti portano le vecchie monete per farsi dare le nuove, ma non è che le ottengano
tutte tutte tutte: ne devono lasciare una parte!
Si tratta del signoraggio.
E poi ci guadagna un'altra volta, perché i debiti che lui ha con terzi, cioè con persone che
hanno prestato denaro a lui, si svalutano a loro volta, perché si svaluta la moneta di
riferimento.
Anche queste sono operazioni parecchio banditesche.
Ultima operazione: [1d] tassare i beni della Chiesa in Francia: "Questi beni," dice il
sovrano, "sono sul mio territorio. Qui comando io, che sono il re di Francia, qui c'è la mia
giurisdizione, qui ci sono i miei ufficiali! Voi vescovi, voi frati, voi abati che possedete beni
sulla mia terra mi dovete pagare le tasse".
Qui comincia un grande scontro, fatto anche di trattati, di bolle, di
intellettuali e giuristi che prestano la propria penna a difesa o della
monarchia francese da una parte o del pontefice dall'altra.
Scontrarsi con il papa era una faccenda molto complicata.
Tutto il secolo precedente aveva dimostrato che alla fine il papa la spuntava, ma la
spuntava soprattutto con l'imperatore.
Infatti con un re che ha l'appoggio del suo regno la faccenda è un po' diversa.
Bonifacio VIII è un papa molto politico: per celebrare la grandezza della Chiesa di Roma,
fa proclamare, per la prima volta nella storia della Cristianità, l'Anno Santo, il Giubileo.
Non c'era mai stato un Anno Santo prima di quello nel 1300.
Chi andava a Roma in pellegrinaggio alle chiese più importanti della città riceveva la
remissione dei peccati.
E questo allora cosa produsse?

412
Un gigantesco oceanico afflusso di pellegrini nella città di Roma, che allora contava 40-
45mila abitanti — tutta concentrata generalmente nella cosiddetta Ansa del Tevere, cioè
tra il Campidoglio e Ponte Sant'Angelo; tutte le altre zone erano ovviamente abbandonate,
all'epoca.
Con una celebrazione enorme del prestigio della Chiesa e anche con fenomeni che
potremmo definire di turismo religioso, con i prezzi delle derrate che schizzano alle stelle,
con speculatori che ne approfittavano con gli affitti delle case.
Della qual cosa ci da una bella testimonianza un cronista astigiano (quindi proveniente dal
nord Italia), che anche lui partecipa a questo pellegrinaggio presso Roma.
Infatti nel capitolo 26 questo Guglielmo Ventura ci parla dell'indulgenza fatta a Roma nel
1300 dal papa Bonifacio VIII; è una cronaca in latino che qui viene riportata in traduzione
[v. "Guglielmo Ventura, cronista di Asti, narra nel suo Memoriale la sua partecipazione al
Giubileo" a p. 36 delle dispense del mod. A]:

Cap. XXVI
Indulgenza fatta a Roma nell'anno 1300 sotto Bonifacio papa.
Rendo noto a tutti i fedeli cristiani che l'anno 1300 dall'Oriente così come dall'Occidente, sia uomini che
donne, da tutto il genere cristiano venendo veloci in quantità enorme a Roma, dissero a Bonifacio, allora
sommo pontefice: "Dacci la tua benedizione prima che moriamo. Abbiamo infatti udito dagli antichi che
qualunque cristiano ogni anno centesimo visiterà i corpi dei beati apostoli Pietro e Paolo, sarà liberato e dalla
colpa e dalla pena" (qui c'è un po' di finzione retorica. Come se gliel'avessero chiesto e non
fosse invece, il Giubileo, una promozione del papa stesso e della sua curia. ). Allora il detto
Bonifacio ed i suoi cardinali, riunito il concistoro per cercare nei loro canoni (cioè le loro leggi), non
rinvennero alcuna notizia delle cose predette, per cui stabilirono, ordinarono ed emanarono un apposito
decreto, che qualunque cristiano in quello stesso anno e per tutta la sua durata star in Roma per quindici
giorni, visitando ogni giorno le basiliche dei beati apostoli Pietro e Paolo (S. Pietro e S. Paolo fuori
dalle mura), sia libero da ogni peccato da lui commesso dal giorno del battesimo, sia dalla colpa che dalla
pena; e questa indulgenza fu confermata dal medesimo Bonifacio e dai suoi cardinali per ogni centesimo
anno (all'inizio il Giubileo si doveva tenere ogni duecento anni, poi si è tenuto nel 1350 e
recentemente è stato stabilito di tenerlo ogni 25 anni). Fa meraviglia quanti uomini e donne da
ogni parte in quell'anno andarono a Roma, poiché io vi andai e vi stetti per quindici giorni. Vi era una buona
disponibilità sul mercato di pane, vino, carni, pesci ed avena (l'avena è usata soprattutto per gli
animali da cavalcatura); il fieno invece era carissimo; gli alberghi carissimi, tale che il mio letto e quello
del mio cavallo oltre al fieno ed all'avena mi costavano un grosso tornese (una moneta francese; v.
sopra). Uscendo da Roma la vigilia di Natale, vidi una folla così grande che nessuno poteva contare, e
correva voce tra i Romani, che ivi vi furono più di due milioni di uomini e donne (ora le cifre non si sa
se sono vere. Però tenete presente che la città era piccola e tutti questi credenti hanno
creato problemi organizzativi non indifferenti). Più di una volta mi è capitato di vedere là tanto
uomini che donne schiacciati sotto i piedi degli altri, ed io stesso più volte sfuggii al medesimo pericolo
(questi pericoli si correvano soprattutto attraversando il Tevere, perché mica c'erano tutti i
ponti che ci sono ora. Quindi la calca soprattutto sul Ponte Sant'Angelo, cioè quello che
porta di là da S. Pietro, poteva essere molto pericolosa). Il papa ricavò da essi una somma
enorme di denaro (questo pellegrinaggio [portò con sé] degli oboli, cioè donazioni), poiché
giorno e notte due chierici stavano all'altare di san Paolo con in mano due rastrelli che rastrellavano una
quantità infinita di monete. Sappiano pertanto i cristiani che verranno, che il predetto Bonifacio ed i suoi

413
cardinali hanno confermato la predetta indulgenza in eterno in ogni centesimo anno, e ne fecero una bolla,
copia della quale io, portai ad Asti, e feci copiare in fine a questo libro. Ed ero io, Guglielmo, allorché andai
a Roma, di anni quaranta e più. Si ricordi dunque e si lodi da parte di tutti i fedeli cristiani che ogni prossimo
anno centesimo facciano la stessa cosa".

Questa celebrazione ha un impatto enorme sulle coscienze, tant'è che la "Divina


Commedia" di Dante è ambientata nel 1300, proprio perché è l'anno del Giubileo.
Dante scrive la "Divina Commedia" alcuni anni dopo il Giubileo, grosso modo dopo il
1305.
Però quando inizia la "Divina Commedia"?
Quando lui è nel mezzo del cammin di sua vita: quindi se è nato nel 1265, aveva 35 anni
nel 1300; si reputava che un uomo di quell'età fosse più o meno a metà della sua vita.
Questa è un'altra spia del fatto che la vita media e la durata dell'aspettativa di vita sono
due cose molto diverse.
La vita media calcolata dagli storici si basa sulla mortalità infantile.
Il papa con questa grande fanfara del Giubileo si scontra con il re di Francia.
E si scontra con il re di Francia, perché questi vuole tassare i beni della Chiesa nel
territorio del suo dominio.
Filippo IV, per avere l'appoggio interno a questa manovra, convoca, per la prima volta
nella storia della monarchia francese, i cosiddetti Stati Generali — che sarebbero il
Parlamento francese.
La storia del parlamentarismo francese non ha niente a che vedere con la storia del
parlamentarismo inglese né con quello dei sovrani iberici, che convocavano le
rappresentanze cetuali in maniera non dico periodica ma certo molto meno saltuaria di
quanto non avvenisse nel Regno di Francia.
Le rappresentanze ecclesiastiche accettano di pagare le tasse
Non potevano fare diversamente, perché senza il placet del re francese era difficile che
qualcuno potesse diventare vescovo o arcivescovo in Francia o ricevere una grande
abbazia.
Un conto è la legge, un conto è poi osteggiare il re, è difficile prendere un beneficio
ecclesiastico in Francia se il re è contrario.
Quindi gli Stati Generali approvano la linea politica di Filippo IV.
A questo punto forte della tradizione passata, il papa emana una bolla, la cosiddetta
"Unam Sanctam", [nel 1302] e poi scomunica il re.

414
Però, contrariamente a ciò che è accaduto in passato, il re di Francia, forte dell'appoggio
degli Stati Generali, straccia la bolla di scomunica e invia una delegazione armata in Italia
per prelevare il papa e processarlo per essere venuto meno alla sua missione spirituale.
Il papa in quel momento si trova ad Anagni, perchè la sua famiglia — dei Caetani (come
dice il nome, originari di Gaeta) — aveva vaste terre nel Lazio meridionale.
Ancora oggi ad Anagni c'è un palazzo fatto costruire dai Caetani alla fine del '200.
Tra l'altro la Cattedrale di Anagni conserva anche degli splendidi affreschi della prima metà
del XIII secolo, quindi pregiotteschi; veramente una rarità nel panorama pittorico italiano
soprattutto perché testimoniano lo sganciarsi dello stile pittorico italiano dalla tradizione
bizantina.
Il papa si trova lì, ma chi viene a prelevarlo? Degli aristocratici francesi e con loro alcuni
esponenti dell'aristocrazia baronale romana molto scontenti dell'operato del papa,
soprattutto esponenti della famiglia Colonna.
I Colonna sono una grande famiglia del baronaggio romano che aveva subito gli attacchi
di Bonifacio VIII nelle loro terre, soprattutto a Prenestina, che era un loro feudo.
Qui si verifica l'episodio passato alla storia come lo schiaffo di Anagni.
Questa delegazione, che vede alla testa Sciarra Colonna, il leader di questa famiglia del
baronaggio romano, avrebbe arrestato il papa, anche percuotendolo.
Accadde poi che una rivolta popolare di cittadini di Anagni liberò il papa, il quale però, un
po' perché era anziano, un po' per lo choc qualche mese dopo muore.
Da un punto di vista simbolico, il colpo è stato forte, il papa è stato prelevato, è stato
incarcerato e il re di Francia ha dimostrato di non temere per nulla il pontefice.
Bonifacio VIII aveva molti nemici, perché si era inserito nei conflitti tra le varie città (è ad
esempio all'origine dell'esilio di Dante e di tutti quelli che appartenevano alla sua fazione).
Il papa quindi sì, si intromette nelle faccende dei Comuni italiani, ma l'intervento del re di
Francia lo mette a nudo mostrando le sue debolezze.
Uno dei successori di Bonifacio VIII che sale sul soglio pontificio nel 1305, ossia
l'arcivescovo di Bordeaux, quindi un ecclesiastico proveniente dalla Francia meridionale,
prende il nome di Clemente V.
Dopo alcuni anni di residenza a Roma decide che per lui è meglio andarsene, perché
troppo forte è il tentativo dell'aristocrazia baronale romana di influenzare l'attività del
pontefice — la vita urbana è turbolenta.
Dovete pensare che la curia romana non era rimasta sempre fissa qua, ma spesso si
spostava, soprattutto all'inizio del '200 in poi quando al tempo di Innocenzo III si cercava
415
veramente di creare lo Stato della Chiesa.
Quindi i papi spostavano la loro curia in varie città dell'Italia centrale.
Per esempio a Viterbo c'è ancora oggi un palazzo di papi eretto nel '200 e lì, in certi
periodi, la curia romana con tutti i cardinali risiedeva stabilmente.
Un papa della seconda metà del '200, un portoghese, Pietro detto Ispano morirà a Viterbo.
Ad un certo punto crolla il tetto del Palazzo e lui muore schiacciato dai calcinacci.
La curia pontificia risiedeva anche a Perugia, talvolta ad Assisi, ad Ancona e in varie città
nell'Italia centrale.
Quindi quando Clemente V decide di andarsene da Roma la faccenda avvenne senza
grandi clamori, si pensava che fosse uno dei tanti trasferimenti temporanei della curia e
che poi, una volta calmate le acque in città, sarebbe ritornato.
Dov'è che decide di andare Clemente V?
In un territorio pontificio, ma questo territorio non si trova in Italia, si trova in Provenza:
Clemente V va ad Avignone, che non fa parte né della Contea di Provenza, né del regno
di Francia, dal punto di vista istituzionale: quello è territorio del papa.
Fa parte della spartizione successiva alla morte di Federico II, perché, ricordate, la
Provenza faceva parte dell'impero, non faceva parte del Regno di Francia.
Tutte le terre a sinistra del Rodano facevano parte dell'impero, però dopo la morte di
Federico II tutta questa zona viene spartita tra Carlo d'Angiò, conte di Provenza, e i papi,
che si ritagliano uno spicchietto di Provenza, all'interno del cosiddetto Contado Venassino.
Quindi il papa non va, da un punto di vista istituzionale, in Francia, va in terre sue, ma che
si trovano geograficamente in Provenza (anche se è una zona più vicina al potere del re di
Francia e protetto dai conti di Provenza, che sono gli Angioini).
Quindi nel 1309 la curia pontificia è ad Avignone, solo che non ci rimane qualche mese o
qualche anno, ma ci rimane quasi settant'anni.
Fino al 1377 i papi risiedono ad Avignone.
Questo periodo è infatti poi passato alla storia con il termine di 'cattività avignonese' (nel
senso di prigionia), che richiama la cosiddetta cattività babilonese: gli Ebrei della diaspora,
quelli trascinati a Babilonia da Nabucodonosor — il "Nabucco" del Verdi: nel "Va pensiero"
sono gli Ebrei che cantano e che sperano di tornare in Israele.
La chiesa è vista quindi come prigioniera ad Avignone.
Chi è che ha coniato questo termine di 'cattività avignonese'?
Sono due intellettuali laici, uno un grande poeta ed è Petrarca, Santa Caterina da Siena è
l'altra, che ha scritto lettere molto infuocate e appassionate ai vari pontefici, invitandoli a
416
tornare in Italia.
Per Petrarca non ci sarebbe bisogno di aggiungere niente: ha passato anche un periodo
della sua vita ad Avignone, facendo il segretario di un cardinale.
È in quel periodo che è salito a Mont Ventoux, il Monte Ventoso, di cui poi scriverà una
relazione.
È la stessa montagna sulla quale passa quasi ogni anno il Tour de France.
E siccome è una montagna alta quasi 2000 metri e sorge quasi dal nulla è battuta
fortemente dal Mistral, il Maestrale, per questo si chiama Mont Ventoux, Monte Ventoso.
Avignone è quindi sede di pontefici per quasi 70 anni.
Quasi tutti i cardinali di questo periodo appartengono al mondo francese, soprattutto al
mondo della Francia meridionale; vi do qualche cifra: su 134 cardinali creati durante
questo periodo, dal 1309 al 1377, 112 sono francesi e, di questi 112, 96 sono della Francia
del Sud.
Quindi la curia pontificia è una curia di provenzali, di abitanti della Linguadoca, della
Guascogna, ecc.
La città di Avignone subisce una trasformazione epocale.
Ancora oggi c'è un grande palazzo dei papi ad Avignone costruito nel '300.
Vanno a lavorarci grandi artisti italiani, per dipingere, scolpire e non solo, per conto dei
cardinali e del papa.
Per questo Petrarca va lì, per questo va lì il pittore senese Simone Martini.
Lì ad Avignone la Chiesa romana sviluppa, come mai era avvenuto precedentemente, una
grande burocrazia centrale.
Chi si sposta lì [ad Avignone] insieme ai guelfi, ai letterati, ai cortigiani e agli artisti?
Gli uomini d'affari. I banchieri e i mercanti che prima stavano a Roma si spostano tutti ad
Avignone, quindi Roma rimane deserta — perché gli affari non si fanno in città, ma con la
curia.
Si tratta di aziende che riscuotono le decime per conto del papa o forniscono prestiti.
Il papato avignonese, da un punto di vista istituzionale, è molto più efficiente del passato,
così come il controllo pontificio nella nomina di vescovi e abati.
Non solo, il periodo avignonese è segnato, soprattutto nella seconda metà del '300, da
un'energica azione di ripristino o di impianto ex novo del potere papale nell'Italia centrale,
cioè nei territori che teoricamente facevano parte dello Stato della Chiesa.
Soprattutto quando viene inviato in Italia un cardinal legato, che ha un mandato preciso da
parte della curia pontificia, per controllare politicamente le città e le campagne dell'Italia
417
centrale.
Questo cardinal legato è un castigliano che si chiama Egidio Albornoz.
Questo cardinale assolda mercenari, impone tasse, assalta e conquista le rocche; obbliga
alcuni signori, soprattutto nelle Marche e in Romagna, a concedergli le città.
È un vero e proprio sconvolgimento che dura qualche anno.
Albornoz ha lasciato la sua impronta indelebile in due frangenti: primo, fa costruire alcune
rocche fuori dalle città che vuole sottomettere, a Urbino, ad Assisi, a Spoleto, a Viterbo —
ancora oggi alcune di queste rocche sono visibili e la più suggestiva, la più bella, la più
intatta è sicuramente quella di Spoleto, che domina tutto il colle di Spoleto e si congiunge
ad un altro pendio, quindi superando un gigantesco burrone con un ponte lunghissimo; ma
resti di rocche albornoziane si vedono ancora oggi, per esempio ad Assisi oppure a
Viterbo — quindi con un impronta militare sul territorio; secondo, l'altra eredità
albornoziana, nel lungo periodo, [emana] le cosiddette "Costituzioni Egidiane", una
codificazione giuridica di norme, che dovevano essere applicate in tutto lo Stato della
Chiesa.
Queste Costituzioni sono del 1357 e sono state utilizzate fino all'età napoleonica,
evidentemente un testo importante.
Le conquiste di Albornoz avranno una durata piuttosto breve, perché tutto verrà
rimescolato, quasi tutte andranno perdute in seguito a ciò che accadde tra il 1377 e gli
anni immediatamente successivi: accade che Gregorio XI decide di tornare a Roma, ma
non si sa bene se questo ritorno sia temporaneo o definitivo.
Il problema è che poco dopo il ritorno a Roma, Gregorio XI muore e così bisogna
attendere un conclave di cardinali, per eleggere un nuovo pontefice.
Abbiamo visto come il collegio cardinalizio fosse composto essenzialmente da francesi e
quindi sarebbe tentato di seguire quello che hanno fatto negli ultimi decenni, cioè di
nominare un papa francese.
La folla [romana] fa pressione sul conclave affinché non si elegga un papa francese,
perché in primo luogo i Romani ci tenevano ad avere un papa locale e poi perché
sapevano che un papa romano o comunque italiano sarebbe rimasto a Roma.
Se il papa rimaneva a Roma non era solo una questione di prestigio per motivi spirituali:
una città con un papa è una 'città di serie A', una città senza il papa è una 'città di serie B'.
Tutte le attività economiche connesse con la presenza della curia avevano un impatto
notevole se il papa c'era, altrimenti Roma diventava una città di provincia come tante altre.
Così, secondo un cronista romano del tempo, il popolo pressante avrebbe urlato:
418
"Romano lo volemo o al manco italiano", ossia "Se proprio non lo volete fare Romano,
vogliamo almeno fatelo italiano".
E così nell'aprile del 1378 si arriva ad eleggere un italiano che precedentemente era
arcivescovo di Bari: Urbano VI.
Tutto a posto? Nossignori.
I cardinali francesi, che sono in maggioranza, lasciano Roma e si
riuniscono nuovamente a Fondi [dove eleggono il nuovo papa,
Clemente VII, con il quale ritornano ad Avignone], oggi in provincia di Latina
nell'estremo sud del Lazio (però per secoli Fondi ha fatto parte della cosiddetta Terra di
Lavoro, area campana, infatti nel Lazio meridionale non parlano laziale, parlano campano.
Se voi andate a Gaeta, a Fondi, a Formia o a Cassino sentite parlare campano, perché
per secoli quelle erano le terre più settentrionali del Regno di Napoli. Il riordinamento delle
province lo si deve a Mussolini, quella [in cui era Fondi] era provincia di Napoli fino al
1923).
In territorio del Regno di Napoli, in territorio dunque angioino, i cardinali francesi si
riuniscono e dicono: "Noi non abbiamo potuto decidere liberamente perché siamo stati
coartati dal popolo romano. Non abbiamo potuto esprimere in piena coscienza il nostro
voto. Quindi dichiariamo che l'elezione del nuovo papa sia nulla ed eleggiamo un altro
papa", Clemente VII.
Clemente VII, una volta eletto, fa armi e bagagli e con tutti i suoi cardinali se ne torna ad
Avignone.
Quindi dal 1379 ci sono due papi, ma non per qualche mese, per molti anni, per
decenni.
Questo naturalmente ha un enorme impatto, sia dal punto di vista spirituale che da quello
politico.
Voi pensate alla Cristianità occidentale che [dal 1379] fino al 1414 si trova ad avere due
papi… E chi ha ragione? Non è come avere due differenti Presidenti del Consiglio e due
differenti Presidenti della Repubblica.
Il papa sarebbe il vicario di Cristo in terra: quindi uno dei due sta sbagliando.
Questo produce anche delle gravi crisi di coscienza nei fedeli, soprattutto negli intellettuali,
la riflessione è drammatica in questo periodo.
Non è un caso che questa crisi delle coscienze presti il fianco anche a
crisi di natura politica.
419
Il dominio papale, il dominio creato da Albornoz viene meno quando c'è lo scisma.
C'è chi approfitta dello scisma per dire: "Te non si sa nemmeno se sei il papa. Figuriamoci
se [ti] riconosco l'autorità politica! Mi riprendo i miei castelli, mi riprendo la mia signoria".
Faccio un esempio molto concreto.
Poco prima dello scisma era scoppiata una guerra tra la Repubblica di Firenze e lo Stato
della Chiesa perché Firenze appoggiava le città che rifiutavano di sottomettersi,
appoggiava Perugia, appoggiava Bologna, cioè le città che dovevano confluire nel
controllo dello Stato della Chiesa, ma che le facevano resistenza.
Allora il papa cosa fa?
Scaglia l'interdetto contro la città di Firenze: "Non potete celebrare la messa!", con i
Fiorentini che trascinano a forza i preti nelle chiese e: "Ora te celebri messa, sennò sono
guai per te!"
Cosa succede col grande scisma?
Questo grande marasma, nella Repubblica di Firenze, causa la confisca di tutte le terre e i
beni della Chiesa ad opera dei magistrati: "Voi non si sa nemmeno se siete all'altezza del
compito spirituale. Nel dubbio confischiamo le vostre terre e le vendiamo all'asta al
maggior offerente".
In molte città comunali dove era stato inviato un vicario cacciano il vicario, i signori
romagnoli spodestati dalle loro città se le riprendono — insomma si crea un grande
marasma.
E poi anche a livello internazionale [i regnanti che si contendono il potere si schierano con
papi diversi]: il re di Francia si schiera con il papato avignonese e allora l'Inghilterra si
schiera con il papa di Roma; se il re di Aragona si schiera con un papa, il re di Castiglia si
schiera con l'altro. Si crea una grande confusione.
In questa confusione, con due curie pontificie, con problemi organizzativi di vario tipo, si
cerca di arrivare ad una soluzione.
La soluzione sembra essere un grande concilio, ricordando i vecchi concili della Tarda
Antichità.
Nel 1409 si era pensato di arrivare a una soluzione convocando un Concilio a cui
dovevano partecipare non solo i cardinali ma anche vescovi, arcivescovi, un Concilio

della Cristianità occidentale, da tenersi a Pisa [1409].


Il Concilio nomina un nuovo papa, ma gli altri due non si dimettono, quindi ciò vuol dire
che nel 1409 ci sono tre papi: uno che sta a Roma, uno ad Avignone e uno che non si sa

420
dove sta perché non ha sede! Grande caos.
Dopodiché si arriva ad un altro concilio, il Concilio di Costanza [1414-1417], nella
Germania meridionale, convocato nel 1414 e che chiude i suoi lavori nel 1417.
Questo Concilio impone la decadenza dei due papi, che tornano ad essere cardinali, e
anche il terzo papa viene fatto ugualmente decadere, e la nomina del nuovo, unico
pontefice, Martino V [della famiglia romana dei Colonna].
Martino V appartiene alla famiglia romana dei Colonna e che deciderà di far tornare la
sede pontificia a Roma.
Nel frattempo questo Concilio, i padri conciliari fanno condannare, stracciando un
salvacondotto [con il quale si poteva soggiornare in aree particolarmente protette, perlopiù
per motivi militari ma non solo] che avevano fatto stendere per un grande teologo e
maestro universitario di Praga, Jan Hus [perché potesse partecipare al Concilio di
Costanza].
Jan Hus viene fatto condannare e poi bruciato.
Questa vicenda di Hus avrà conseguenze molto lunghe nella storia della Chiesa Boema,
perché è anche all'origine della Guerra dei Trent'anni.
Il papa torna a Roma ed è più o meno dal 1420 che si ricrea una stabile curia pontificia a
Roma ed è da questo momento in poi che i papi imprimeranno la loro impronta indelebile
sull'aspetto urbano della città.
Se voi andate a Roma ora, vedrete molto poco di medievale. Perché?
Perché la politica architettonica e artistica dei papi, del Rinascimento e poi soprattutto del
Barocco ha modificato l'aspetto medievale della città, con costruzioni quattrocentesche,
cinquecentesche, seicentesche.
Se uno va a Roma vede queste grandi cupole barocche, edificate tra '500-'600.
Alcuni edifici rinascimentali hanno quasi niente di medievale.
Pensate semplicemente alla grande Basilica costantiniana di San Pietro che è stata
buttata giù da Bramante tra '400-'500, infatti i Romani lo soprannominarono 'mastro
ruinante'.
Quindi è in pieno '400 che Roma diviene la città dei papi.
E l'idea dei concili?
Viene portata avanti ancora per qualche anno.
Il modo in cui la Chiesa cattolica ha superato la grande lacerazione dello scisma, cioè il
concilio, per alcuni decenni venne ritenuto uno degli strumenti fondamentali per governare
la Chiesa.
421
Alcuni cardinali e teologi ritenevano che la Chiesa Romana non potesse più governarsi
solo sulla figura del papa, ma doveva governarsi diarchicamente con il papa e il concilio.
Infatti al Concilio di Costanza venne stabilito che i concili dovessero essere convocati ogni
cinque anni, poi si decide di convocarli ogni dieci anni.
Si tenne infatti un Concilio a Basilea nei primi anni '30, che trasferito a Ferrara e poi a
Firenze.
L'idea di governare la Chiesa con il concilio, cioè la teoria conciliare, durò grosso modo
fino a metà del '400.
Dopodiché accadde che uno dei principali assertori della teoria conciliarista, il cardinale e
umanista Enea Silvio Piccolomini, senese di origine ma cardinale di Trieste, decise, una
volta diventato papa, che il concilio era un'idea superata, quindi se ne poteva fare a meno!
Pertanto dal momento in cui lui divenne pontefice con il nome di Pio II, a quel punto l'idea
del concilio venne fatta tramontare, nella pratica.
Nella teoria [però] l'idea conciliarista dominò ancora a lungo.
Quando scoppia una guerra in Italia alla fine del '400 con l'invasione francese e poi con
quella degli Spagnoli, i sovrani quando volevano minacciare il papa dicevano: "Ora
convochiamo un bel concilio!"
Comunque l'idea del concilio per governare la Chiesa durerà fino al '500, infatti si arriverà
al cosiddetto Concilio di Trento che ha trasformato completamente la Chiesa cattolica).

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DICIOTTESIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
MERCOLEDI’ 05.11.2014 ORE: 12,00 - 14,00

Parliamo del Tardo Medioevo, periodo che ancora oggi è etichettato come periodo di crisi,
soprattutto in riferimento al XIV secolo.

Questo concetto di crisi ha a che fare con vicende di carattere demografico, economico e
sociale.

Certamente il ‘300 vede l’arresto e poi la crisi di un modello di sviluppo iniziato dal X
secolo per arrivare poi fino alla fine del XIII secolo.

Abbiamo parlato di una crescita della popolazione, dell’urbanesimo, dell’economia nella


fase suddetta, durata circa quattrocento anni; questa fase si interrompe poi con l’inizio del
XIV secolo sino a che si abbatte sull’Europa una immane catastrofe che è la peste nera.

Cominciamo dalla stasi, perché, quando arriva la peste nera in Europa, negli anni 1347 –
1348, ormai l’inerzia si è quasi leggermente invertita, cioè la popolazione non cresce più
ma anzi, in alcune aree europee assistiamo ad un leggero decremento demografico e ciò
prima ancora dell’arrivo della peste.

Il motivo è dovuto al fatto che per i livelli tecnologici del tempo la pressione della
popolazione non era sostenibile e la domanda di prodotti di base non poteva essere
soddisfatta dall’agricoltura.

In effetti durante questi 400 anni era accaduto che la risposta più importante era stata
quella di mettere a coltura nuovi terreni agricoli; all’inizio la terra disponibile è tanta e
quindi la scelta ricade sui terreni migliori, ovvero quelli più adatti alla coltura del grano,
mais, ecc.
Ci sono anche migliorie di tipo organizzativo riguardo ai tipi di coltivazione ed ai periodi di
semina, ma la pressione demografica, soprattutto nelle grandi città, è tale che i terreni a
disposizione non sono sufficienti, pertanto bisogna mettere a coltura terreni meno fertili e
si fanno scelte di tipo B e di tipo C.

423
Per cui, ovviamente, rendimenti decrescenti della terra e questo è un fenomeno che si può
riscontrare su tutta l’Europa dalla seconda metà del ‘200 in poi.
Ed è per questo che si assiste, dalla fine del ‘200, a fenomeni di carestie in quanto, non
essendo sufficienti i raccolti i prezzi dei prodotti crescono in maniera spropositata.
Si assiste a fenomeni di inflazione inimmaginabile, laddove il prezzo del grano, ad
esempio, già a pochi mesi dal raccolto subiva incrementi percentuali a tre cifre.
Immaginiamo cosa significa un simile aumento dei costi per la popolazione meno
abbiente.
Si assiste a sommosse, spostamenti di massa dai borghi verso le piazze ed i mercati delle
città ed anche all’assalto dei forni, così come raccontato nei “Promessi Sposi”. Si creano in
molte città delle “magistrature annonarie”, che hanno lo scopo di rastrellare la produzione
di cereali e favorire l’importazione e la commercializzazione degli stessi prodotti.
Questo significa, ovviamente, che per gli strati più bassi della popolazione noi siamo
presenti ad un fenomeno di peggioramento della dieta e quindi dello stile di vita.

Dal punto di vista dei consumi alimentare, è indubbio che i contadini e gli strati più bassi
della popolazione urbana abbiano conosciuto, tra la metà del ‘200 e la meta del ‘300, un
forte peggioramento – dieta imperniata quasi tutta sui cereali, modestissimi consumi di
carne, contratti allo spasmo ed in ambito urbano anche peggioramento delle retribuzioni
nominali (quanto si prende), sia reali (potere di acquisto); questo è un contesto che non
favorisce che la stagnazione ed anche un piccolo regresso, quindi crescita demografica
bloccata.
Poi si pensi che nella prima metà del ‘300 si determina anche un aumento della
concorrenza nell’ambito delle produzioni manifatturiere, nell’ambito delle attività
commerciali, ci sono già alcune economie che mostrano segnali di incipiente recessione
ed infatti ci sono alcune città italiane che si sono fermate e poi non sono evolute; il caso
che viene sempre citato, di una città che si cristallizza al XIV secolo è SIENA, che oggi è
grande quanto allora.
All’epoca aveva 50.000 abitanti ed oggi pochi di più. Se si va a Siena si vede una città che
ha un aspetto tipicamente trecentesco e ciò è dovuto al fatto che la città si è bloccata, non
è cresciuta più, non ha conosciuto fasi di sviluppo economico posteriori e quindi non si è
ravvisata la necessità di buttar giù e rifare. In effetti, certe città, il caso più clamoroso è
Milano, certe città dell’Italia e dell’Europa hanno un passato medievale finito sotto le nuove
costruzioni di età rinascimentale e via dicendo.
424
Quindi c’è in atto un processo di gerarchizzazione economica complessiva per cui certe
economie ristagnano ed altre progrediscono sottomettendo le altre.
Quindi , in un contesto generale che non favorisce più una crescita generalizzata come nei
secoli precedenti, si abbatte un flagello che molti consideravano una punizione divina.
La peste nera è un virus, di fronte al quale in quel tempo non c’erano anticorpi, che
proviene dal cuore dell’Asia. La peste o meglio, un virus di tale entità erano stati assenti a
lungo dal continente europeo e questo è un fattore importante per spiegare perché la
popolazione europea, nei secoli precedenti, era cresciuta ininterrottamente.
Quindi la peste torna ed arriva dal cuore dell’Asia; i grandi bacilli di pestilenza provengono
sempre da questo ventre potente del continente euroasiatico:
percorre, nel giro di pochi anni, la cosiddetta via della seta. Questi grandi tracciati percorsi
da carovane di cammelli che portano le balle di seta dal mondo cinese e persiano sino al
Mar Nero.
È una grande arteria di comunicazione che aveva conosciuto una enorme fortuna dalla
metà del ‘200 per via della cosiddetta “pax mongolica”, cioè una pace imposta dopo anni
terribili di devastazione a cui era seguita la formazione di un impero, l’impero mongolo,
che andava dall’Oceano Pacifico sino al Mar Nero ed al cuore della Russia.
Immaginiamoci l’estensione spaventosa di questo impero creato da una popolazione
nomade che poi si era innestata sull’impero cinese, sull’impero persiano e via dicendo.
Attraverso le vie della seta il bacillo arriva sulle sponde orientali del Mar Nero. Nel 1346 i
mongoli assediano la città coloniale genovese di Caffa – oggi Teodosia – in Crimea
meridionale, quindi sulle sponde settentrionali del Mar Nero.

La parola peste (dal latino peius – il morbo peggiore che ci possa essere). Questi mongoli
erano infettati! Assediano questa città, la vogliono in tutti i modi conquistare e ad un certo
punto decidono, per far cadere la resistenza, di portare avanti un atto che oggi noi
definiremo di “guerra batteriologica”, ovvero, con alcune catapulte scagliano, dentro la
città, cadaveri di morti appestati e ciò per diffondere il bacillo nella città assediata. I
genovesi che controllano la città non hanno ben capito la situazione, pensano che sia
un’opera di spregio per incutere terrore.

Mentre la città è ancora assediata alcune navi escono dal porto per motivi commerciali,
per andare a cercare rifornimenti per la città ecc.: fatto sta che queste navi si portano
dietro il bacillo.
425
Il bacillo della peste è portato materialmente da una pulce che si ciba del sangue dei topi.
Ma poiché ci sono molte affinità tra i topi e gli essere umani, quando non ci sono più topi
queste pulci passano, con normalità, dai topi agli essere umani e così infettano gli uomini.

Queste navi, partite da Caffa, portano dietro questo bacillo, si fermano a Costantinopoli,
principale scalo commerciale e così infettano la città; poi proseguono la navigazione, si
fermano in vari scali portuali del Mar Egeo, finché poi arrivano a Messina e da li il bacillo si
diffonde nella Sicilia e poi nella penisola italiana. Siamo già nel 1347, la grande diffusione
in Italia al termine del 1348 e poi tutto il continente verrà colpito da questo flagello. La
peste raggiungerà la Scandinavia tra il 1349 e il 1350, chiudendo questo giro ideale di
diffusione.

Questa peste provoca una quantità di morti incredibile; l’Europa del tempo, escludendo
l’area dell’Ucraina e della Russia di cui non sappiamo niente,aveva circa 70 milioni di
abitanti, i morti sono circa 25 milioni.
Si immagini lo sconvolgimento, anche psicologico delle persone coinvolte in questa
catastrofe spaventosa.

Gli europei del tempo pensavano che Dio li stesse punendo per i peccati commessi.
L’impressione per questa massa enorme di morti noi la possiamo cogliere in fonti
letterarie, la più delle quali è il Decameron di Boccaccio, soprattutto l’introduzione in cui si
parla di questi giovani, ragazzi e ragazze scampati per il momento alla peste, rimasti
senza genitori, senza parenti e che si riuniscono nella chiesa domenicana di Firenze,
Santa Maria Novella, per poi decidere di andare in campagna. Boccaccio si sofferma sul
dramma di questa città sconvolta dalla pestilenza.

Ma ci sono cronisti italiani ed europei che hanno lasciato pagine altamente inquietanti del
passaggio della peste e del modo in cui i loro contemporanei reagivano a questa
catastrofe. Uno di questi cronisti, un fiorentino che si chiamava Marchionne di Coppo
Stefani, ad un cero punto descrive il modo in cui si seppelliscono i cadaveri paragonando
le modalità di seppellimento al modo in cui si confezionano le lasagne. Cioè, i corpi erano
così tanti che non era possibile seppellirli uno alla volta, cioè con tombe singole, ma si
scavavano fosse comuni gigantesche, strati multipli alternati di morti e di terra. Non c’era
tempo, perché poi bisognava fare un minimo di profilassi, bisognava bruciare le vesti dei
426
morti, chiudere le case impestate, ecc. Non era una cosa facile, perché di fronte a questa
catastrofe le reazioni erano le più varie: c’era chi si metteva in processioni e si flagellava,
ma la processione era pericolosa, perché tante persone, l’una accanto all’altra si
contagiano. Naturalmente ogni tanto si brucia qualche donna pensando che sia una
strega, che stia diffondendo il morbo, insomma, la faccenda è molto complicata: tanti
morti!

Ma il problema, dal punto di vista meramente demografico, è che la peste non si è limitata
a colpire il continente europeo tra il 1347 ed il 1350, è tornata negli anni successivi, certo,
senza questo carattere continentale ma con focolai limitati, in certe regioni, in certe zone,
però ha battuto il continente europeo per secoli. L’ultima calamità è quella di Marsiglia agli
inizi del ‘700. L’Asia e la Cina sono state continuate a colpire sino agli inizi del ‘900 con
grandi mortalità.
Basterebbe ancora una volta pensare alla peste descritta da Manzoni – siamo nel 1630!!
Ma la maggior parte dei ceppi epidemici si collocano grosso modo tra la peste nera e fine
‘400 inizio ‘500.
Per l’Italia, tra il 1348 ed il 1502 si contano 38 epidemie; per l’Inghilterra, più o meno nello
stesso periodo, circa 30.
L’Italia è particolarmente colpita perché avendo molte grandi città in esse il bacillo può
propagarsi in maniera più veloce.
Con una frequenza ed una periodicità di questo tipo è chiaro che la popolazione faceva
molta fatica a riprendere i vuoti caratterizzati dalla peste nera.
Quindi accade che a causa di questo forte sconvolgimento demografico alcune città sono
fortemente ridimensionate e per recuperare i livelli dell’inizio del ‘300 impiegheranno molto
tempo. In Italia alcune città dovranno arrivare al ‘700 o addirittura al ‘900 per recuperare i
livelli demografici di inizio XIV secolo. Queste città, inoltre, devono cambiare
completamente la loro politica demografica. Prima si preferivano e accettavano solo i
ricchi, solo i proprietari, solo quelli che portavano i segreti dei mestieri nuovi: questo era il
modus operandi che si era affermato da metà del ‘200. Dopo la peste porte aperte a tutti,
chiunque è il benvenuto! Altrimenti la città ha grossi problemi a funzionare.
Anche in campagna ci sono grossi problemi perché accade che soprattutto nelle zone
meno densamente abitate si assiste ad un fenomeno sconvolgente sull’habitat e sulla
maglia insediativa: la scomparsa di alcuni villaggi. Questo fenomeno dei villaggi
abbandonati o dei villaggi fantasma si verifica per esempio nella Germania Orientale, in
427
Polonia, in Scandinavia, zone meno densamente abitate. In Italia questi fenomeni si
verificano in Sardegna ed in Maremma, in certe zone dell’entroterra meridionale,
soprattutto in zone dove l’insediamento è rado ed accentrato. In Sardegna l’insediamento
rurale è rado ed accentrato. Difficile che si abbia un insediamento sparso con case
coloniche; si ha un villaggio, il vuoto, un altro villaggio. La pestilenza produce un
fenomeno di attrazione del villaggio più grande su quello più piccolo, che sono diventati
così piccoli che le famiglie rimaste decidono di andarsene; sono troppo pochi per formare
un villaggio e quindi c’è un fenomeno di ulteriore accentramento dell’insediamento rurale.
Si pensi che per il XIV secolo si è stimato che i villaggi campi danesi scomparsi sono il
75%.
Questo dà l’idea di che cosa è successo ed il risultato è che alla fine del ‘300 la Sardegna
non esporta più grano: non ci sono più coltivatori!
Cosa accade a livello economico, che tipo di sconvolgimento produce la peste nera?
Intanto un dato inconfutabile: mancano 25 milioni di consumatori! C’è per forza un calo
della domanda, che naturalmente va a colpire certi settori piuttosto che altri!
All’inizio, nei primissimi anni dopo la peste nera si ha uno sconvolgimento di tutto perché
la società deve riorganizzarsi, deve adattarsi ad un livello demografico molto più basso,
così accade che si siano nuove carestie, ma non perché ci sia una domanda superiore a
prima, anzi il contrario. I campi sono rimasti abbandonati e bisogna riorganizzarsi. C’è lo
sconvolgimento di quattro o cinque anni successivo alla peste nera; le carestie non sono
dettate dalla volontà di non produrre ma, per esempio può essere capitato che siano morti
i contadini ed il grano non sia stato raccolto.
Vediamo questo aspetto descritto da un breve passo di un cronista, Matteo Villani, fratello
minore di Giovanni Villani che era morto di peste. Matteo invece sopravvive e continua la
cronaca.
Matteo Villani, cronista 'borghese', descrive gli effetti della peste nera
Stimossi per il mancamento della gente dovere essere dovizia di tutte le cose che la terra
produce, e in contrario per l'ingratitudine degli uomini ogni cosa venne in disusata carestia,
e continovò lungo tempo: ma in certi paesi, come al tempo narreremo, furono gravi e
disusate fami. E ancora si pensò essere dovizia e abbondanza di vestimenti, e di tutte l'altre
cose che al corpo umano sono di bisogno oltre alla vita, e al contrario apparve in fatto
lungamente; ché due cotanti o più valsono la maggior parte delle cose che valere non
soleano innanzi alla detta mortalità. E il lavorio, e le manifatture d'ogni arte e mestiere
montò oltre al doppio consueto disordinatamente.
428
Partiamo dal secondo paragrafo: “Stimossi – si stimò che per il fatto che ci fossero meno
persone la terra dovesse fornire più ricchezze a tutti – e questa sua osservazione non è
sbagliata (ma il problema è che il raccolto non è stato preso in carico dai contadini)
– in quanto se le persone sono in numero minore possono beneficiare per una ripartizione
più abbondante. Nella descrizione si lascia andare ad un giudizio morale, dicendo
che è stata l’ingratitudine degli uomini a creare una differente carestia che durò per
lungo tempo. I prezzi sono raddoppiati o triplicati ed il costo del lavoro è ben più
alto.
Allora: c’è questo primo fenomeno da isolare come fatto meramente congiunturale di quel
tempo – dovuta al fatto che i contadini non hanno falciato il grano. Ma una volta che la
società si riorganizza, quattro/cinque anni al massimo, si innestano fenomeni di lungo
periodo: quali sono questi fenomeni? Ci sono meno consumatori ed il prezzo del grano
tenderà a ristagnare per forza; inutile produrre le stesse quantità di grano perché chi lo
compra? Il grano è un prodotto di prima necessità e pertanto ha una domanda anelastica.
Non è che se io sono più ricco mi mangio due filoni di pane, o mi compro cinque paia di
occhiali, diversificherò i miei consumi, comprerò cose migliori, mi compro scarpe migliori,
vestiti migliori, case migliori. Accade che, chi produce tanti cereali è in difficoltà ed è per
forza obbligato a riconvertire parte dei suoi terreni in altre tipologie. Il patrimonio degli
ecclesiastici e quello dell’aristocrazia rurale sono in forte crisi perché questi soggetti non
hanno una mentalità economica adatta per decidere di riconvertire rapidamente i propri
patrimoni; ci vuole una mentalità diversa per dire che quel terreno non va tanto bene
piantato a cereali, facciamo il vino, mettiamoci gli ulivi, mettiamoci le pecore, mettiamoci
le mucche. Ci sarà questo processo di riconversione, ma sarà lento e chi non ha una
mentalità adatta a questo processo finisce per pagare le conseguenze. Perché il costo del
lavoro aumenta? Questo è molto semplice da spiegare, perché la manodopera si è ridotta
drammaticamente, quindi i salari o i compensi a cottimo sono aumentati tantissimo e
questo fenomeno si ha su scala continentale, cioè i salari nominali crescono in tutte le città
europee di due, tre, quattro volte. Alcuni storici hanno infatti parlato di anni o decenni delle
“vacche grasse”, ricordando le vacche grasse della Bibbia per i ceti delle città europee
sopravvissuti alla peste nera.
Tante persone appartenenti ai ceti bassi ricevono due, tre, quattro volte il compenso che
ricevevano prima, cambiano i consumi, perché questi sono la maggioranza della

429
popolazione. Cambiare consumi ovviamente vuol dire, per esempio, mangiare pane
bianco invece che pane fatto con cereali minori, vuol dire, per esempio, consumare più
carne. Infatti il grande storico francese Bernard Brogen parlava dell’Europa posteriore alla
peste nera come un Europa di carnivori.
Avendo a disposizione un potere d’acquisto superiore ci si poteva permettere di mangiare
più carne e pertanto a questa maggior richiesta si risponde utilizzando le terre meno fertili
a pascolo e mettendoci le pecore, mettendoci le vacche.
I grandi allevamenti di bestiame in Europa settentrionale si diffondono proprio in questo
periodo, c’è la specializzazione rurale tra zone adibite a cereali e zone adibite alla
pastorizia.
Ed è alla fine del Medioevo, cioè tra il ‘300 e il ‘400 che si diffonde in maniera importante
la pratica della transumanza, cioè dello spostamento delle greggi, in inverno, dai pascoli
montuosi verso i pascoli vicino al mare. Per esempio, nel Regno di Napoli si diffonde la
transumanza su un tracciato che parte dagli altopiani dell’Appennino abruzzese, dove
queste greggi pascolano in estate verso il tavoliere delle puglie, nella Puglia settentrionale.
Questo fenomeno della transumanza è presente in ogni angolo del Mediterraneo.
L’Inghilterra quattrocentesca è piena, strapiena di pecore. Thomas More, filoso
dell’Inghilterra del ‘500, in questo pezzo famoso, “UTOPIA” immagina un mondo dove le
pecore sono più numerose degli uomini.
Questo è un fenomeno prodotto dalla scarsità degli esseri umani in seguito a quest’ondata
di pestilenza e poi all’aumentato consumo di carne.

Matteo Villani, cronista 'borghese', descrive gli effetti della peste nera
Credettesi che gli uomini, i quali Iddio per grazia avea riserbati in vita, avendo veduto lo
sterminio dei loro prossimi, e di tutte le nazioni del mondo, udito il simigliante, che
divenissono di migliore condizione, umili, virtudiosi e cattolici, guardassonsi dall'iniquità e
dai peccati, e fossono pieni d'amore e di carità l'uno contra l'altro. Ma di presente restata la
mortalità apparve il contrario che gli uomini trovandosi pochi, e abbondanti per l'eredità e
successioni di beni terreni, dimenticando le cose passate come se state non fossono, si
dierono alla più sconcia e disordinata vita che prima non aveano usata. Perrocché vacando
in ozio, usavano dissolutamente il peccato di gola, i conviti, le taverne e delizie con dilicate
vivande, e' giuochi, scorrendo senza freno alla lussuria, trovando nei vestimenti strane e
disusate fogge e disoneste maniere, mutando nuove forme a tutti gli arredi. E il popolo
minuto, uomini e femmine, per la soperchia abbondanza che si trovavano nelle cose, non

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volevano lavorare agli usati mestieri; e le più care e dilicate vivande voleano per loro vita,
e allibito si maritavano, vestendo le fanti e le vili femmine tutte le belle e care robe delle
orrevoli donne morte. E senza alcun ritegno quasi tutta la nostra città [Firenze] scorse alla
disonesta vita; e così, e peggio, l'altre città e provincie del mondo ...

Riprendiamo il paragrafo iniziale della cronaca di “Matteo Villani” che si sofferma


sull’aumento del costo del lavoro in città e anche su un fenomeno sociale particolare, cioè
il fatto che il popolo minuto cioè i salariati, i piccoli artigiani, non è più disposto a sottostare
alle condizioni salariali pre – peste; questo grande salasso demografico li ha messi in
condizione di protestare, in condizione di scioperare, cioè di non lavorare se non gli viene
riconosciuta una retribuzione adeguata. Naturalmente il Villani interpreta il pensiero dei
ricchi ceti urbani, quindi è un atteggiamento di critica soprattutto sul piano morale,
ovviamente del comportamento del popolo e infatti lo bandisce.
Tutti gli uomini, essendo stati risparmiati da Dio dovevano diventare più buoni, più umili,
più obbedienti, più rispettosi. In realtà lui si sta riferendo a determinati strati della città. Poi
inizia un discorso di tipo economico: la ricchezza procapite è aumentata perché la peste
uccide gli uomini ma non uccide la ricchezza; anzi accade che le persone, dovendosi
dividere le proprietà per un numero inferiore, si trovino ad avere un reddito procapite
maggiore e questo fatto che ha un impatto enorme nell’economia del tempo e nel farla
cambiare.
I poveri possono comprarsi due paia di scarpe, ma comprarsi due paia di scarpe anziché
un paio determina un aumento della produzione di scarpe pari al 100%. Magari si vestono
con un tessuto un po’ migliore, si scaldano di più, non passano più le giornate al freddo:
pertanto si innestano dei cambiamenti potenti delle attività produttive.
E per i ricchi cosa vuol dire questo cambiamento?
Per essi significa poter spendere di più per il lusso, cioè si comprano cose più belle, cose
di maggior prestigio che prima si potevano permettere solo porzioni veramente ridotte
della società. Lasciamo perdere le ragioni di tipo estetico, di tipo artistico, le ragioni di tipo
culturale, però è difficile pensare al rinascimento italiano senza pensare a questa grande
concentrazione di ricchezza, cioè al fatto che ci sia stato un aumento della possibilità della
spesa pro capite.
Prima un tessuto di seta lo comprava un arcivescovo, un cardinale, un grande conte
invece adesso anche il cittadino, il ricco borghese si veste di seta per le parate, oppure
quando prende servizio nel suo comune, ecc.
431
Si pensi a quanti ritratti, a quanti affreschi a quante fonti monografiche ritraggono cittadini,
non necessariamente nobili, con vesti di seta, con broccati, con oro addosso.
Sono cambiamenti veramente importanti quelli che si verificano in seguito a questa grande
concentrazione di ricchezza.
Quindi, Villani parte da un’analisi giusta, la concentrazione della ricchezza pro capite ma
naturalmente scade nell’analisi moralistica. Peraltro è anche possibile che per i
sopravvissuti, soprattutto nei primi tempi, i freni inibitori calassero.
Uno shock come quello della peste accelera il cambiamento e inoltre il popolo minuto, sia
esso costituito da uomini o da donne, non vuole più fare i vecchi mestieri: non è così! Non
vuole fare più i vecchi lavori con le remunerazioni precedenti allo scoppio della peste.
Fenomeno che veniva analizzato per Firenze ma che doveva riferirsi a tutto il mondo
urbano dell’epoca e, in parte, anche al mondo rurale. In questo mondo rurale i contratti di
lavoro posteriori alla peste sono più favorevoli rispetto a prima nei confronti dei contadini:
magari dovranno dare meno grano, dovranno dare meno vino, i tributi saranno più
modesti, insomma, una serie di condizioni che vanno a vantaggio della forza lavoro. In
questo senso, paradossalmente, la peste ha una funzione “demografica”.
Uccide indistintamente ricchi e poveri e favorisce i ceti più bassi, mettendoli nella
posizione di spuntare condizioni a loro favorevoli.
Infatti accade che in molti stati europei le autorità politiche cerchino di frenare la crescita
dei salari urbani mettendo dei calmieri. Il primo stato che prodotto un documento del
genere è quello inglese, il quale, nel 1349 produce uno statuto dei lavoratori, che è una
serie di ordinanze in cui vengono stabiliti i tetti che non possono essere superati. Ma
questi tentativi non risultano essere spesso vincenti.

All’inizio del ‘300 l’area d’Europa dove si producevano le stoffe di lana che erano
maggiormente commercializzate in Europa, era rappresentata dalle Fiandre.

Ma quest’area dopo il ‘300 conosce una crisi molto seria: emergono altri centri produttivi.
Alla fine del ‘400 una delle zone d’Europa dove si producono più panni in assoluto è
l’Inghilterra, che precedentemente era una zona sottosviluppata. Anche le tipologie
produttive poi cambiano ugualmente, perché abbiamo visto che gli strati più bassi
consumano di più in fatto di vestiario, quindi cosa accadrà?

432
Accadrà che nell’ambito dell’attività commerciale si diffondano, mai accaduto prima,
tessuti a buon mercato. Perché ora finalmente c’è la possibilità di commercializzare stoffe
andanti, perché la domanda di questo tipo di stoffe è molto meno.

Così come avrà modo opposto, che la domanda aumenta notevolmente la produzione di
stoffe in seta: broccati, damaschi, velluti e via dicendo. Si tratta di produzioni che sono
essenzialmente italiane: originariamente sono di Lucca, poi anche di Venezia, di Genova,
Milano, Firenze, Napoli e via dicendo.

Tessuti di seta per definizione sono tessuti italiani. Una sorta di made in Italy del
Rinascimento la stoffa di seta. Ma poi cominciano a girare prodotti che prima venivano
commercializzati in un raggio abbastanza locale. Per esempio il cuoio. Il cuoio era un tipo
di produzione molto importante per l’epoca, molto molto di più di quanto lo sia poi nei
secoli più vicini ai nostri.

Il cuoio prima della peste nera circolava su spazi limitati. Perché? Perché il cuoio era una
merce ingombrante che prende spazio per esempio nelle stive delle navi, ma che non ha
grande valore unitario.

Però cosa accade? Accade che la domanda di questo tipo di prodotto di base (perché si
faceva tutto, le scarpe, le borse, pezzi di armature, utensili di vari tipo) cresce e gli
armatori decidono di operare quella che alcuni studiosi chiamano la rivoluzione dei noli:
cioè cosa accade?

Accade che sulle navi prima della peste nera la banda di oscillazione del noleggio di
porzioni della nave era molto limitata, ciò vuol dire che c’era un’oscillazione tipo 1 a 2 o 1 a
3 il che cosa vuol dire?

Tendevano a viaggiare le merci che prendevano poco spazio e molto costose. Perché se il
prezzo del nolo di una nave è rigido è chiaro che il mercante tende a imbarcare merci
molto costose, perché in quel modo ammortizza meglio il costo del trasporto. Invece dopo,
quando la domanda dei prodotti cresce, allora mercanti e armatori si mettono d’accordo
per distribuire dei dazi, dei noli cosiddetti ad valorem, cioè “io ti faccio pagare in funzione
non dello spazio che mi prendi nella nave ma in funzione del costo della merce che tu puoi
trasportare”.

In questo modo cosa accade?

433
Accade che si alleggeriscono i costi di trasporto delle merci più a buon mercato, e questo
alleggerimento viene compensato dall’aggravio del costo del trasporto delle merci più
costose.

E così si diffondono grandi navi come quelle dei genovesi, che portavano da una parte
all’altra del Mediterraneo il cuoio, il cotone, il sale, il grano, merci che prendevano tanto
spazio ma avevano un costo unitario modesto.

Quindi vedete come anche il mondo del commercio e dell’imprenditoria navale risponde
alle sfide dei cambiamenti economici, sociali e fiscali.

Ci sono tante altre innovazioni in campo mercantile, finanziario. Ve le risparmio quasi tutte,
non ve le chiederò. Pensate però che tanti istituti mercantili e finanziari moderni sono nati
come risposta alla crisi trecentesca: gli assegni bancari sono nati nella seconda metà del
‘300. C’è una grande diffusione dell’assicurazione marittima nel ‘300.

Così come nasce all’inizio del ‘400 la società in accomandita, che è un istituto utilizzato
ancora oggi; se voi date un’occhiata agli scontrini dei negozi in cui fatte acquisti a volte
vedrete il nome della ditta e poi seguito da S.a.s., che è l’acronimo di società in
accomandita semplice, che p un tipo di società in cui c’è un socio finanziatore che ha
responsabilità limitata in caso di fallimento di fronte a creditori vari. E questo era un tipo di
società che è nato all’inizio del ‘400: alcuni non volevano più rischiare come facevano in
precedenza. Insomma tutta una serie di innovazioni che danno la dimensione della
risposta di fronte alle sfide della crisi. Cambiamenti epocali che hanno anche dei riflessi
potenti sulla società.

La seconda metà del ‘300 è un’epoca caratterizzata da numerose e importanti rivolte


popolari in ambito sia rurale, che urbano. Uno si chiederebbe giustamente, perché le
rivolte non sono scoppiate prima? Cioè perché le rivolte non sono scoppiate alle fine del
‘200 e all’inizio del ‘300 quando era evidente il grave peggioramento dello stile di vita dei
ceti più bassi? Perché spesso è proprio il contrario, cioè le rivolte si verificano per motivi
non strettamente connessi con il peggioramento delle vite; spesso ha anche a che fare
con il timore del peggioramento dello stile di vita, e questo timore del peggioramento dello
stile di vita è il minimo comun denominatore di queste rivolte. Qui sintetizzo al massimo.
Qual è il meccanismo che in un certo modo accomuna le rivolte che hanno poi
caratteristiche diverse? La peste fa aumentare il costo della manodopera, sia in città che

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nelle campagne, quindi il tenore di vita dei ceti bassi, si in città che nelle campagne, è
migliorato. Ma questi ceti popolari temono che, soprattutto con la leva della politica, il loro
miglioramento possa essere rimesso in discussione, quindi quegli strati che hanno
conosciuto un miglioramento delle loro condizioni si rivoltano di fronte alla possibilità che
questi miglioramenti vengano cancellati. Quindi questo è il fil rouge di movimenti che poi
hanno caratteristiche locali molto molto differente.

Partiamo dalla prima rivolta, la cosiddetta JACQUERIE. La jacquerie è una rivolta dei
contadini francesi, soprattutto dei contadini dell’Ile de Paris, delle campagne attorno a
Parigi. Perché jacquerie?

Perché il termine jacquerie deriva da Jacques, Giacomo in francese, che è il nomignolo


che si utilizzava per chiamare un contadino: un Jacques, cioè un nome proprio per
indicare una categoria sociale, non è una cosa insolita. In inglese Charlie è il nemico,
Carletto.

Il punto da cui si passava dal settore americano al settore sovietico a Berlino est era
chiamato Check point Charlie, il Check point del nemico, “ you are leaving the american
sector”, cioè state uscendo dal settore americano per entrare nel territorio del nemico, cioè
il Charlie, i Sovietici. Quindi i jacques erano i contadini dell’Ile de Paris.

E quindi questa è la rivolta dei contadini dell’Ile de Paris. Questa rivolta scoppia nell’anno
1358.

La Francia all’epoca è in una condizione politico – militare assai disgraziata. È scoppiata


da un paio di decenni la cosiddetta Guerra dei Cent’anni, cioè una guerra plurisecolare fra
Inghilterra e Francia; contrariamente a tutte le aspettative gli inglesi hanno vinto le prime
battaglie e addirittura abbiamo il re di Francia fatto prigioniero.

Quindi bisogna pagare un riscatto, per il quale bisogna imporre una tassa straordinaria.

I grandi proprietari terrieri, soprattutto l’aristocrazia, scaricano il costo, vorrebbero


scaricare il costo di questa imposta straordinaria sui contadini, peggiorando i contratti.

È chiaro che nel mondo rurale francese, come del resto in ogni parte d’Europa, non è che i
rapporti legati al reddito de lavoro venissero regolati dai tribunali, qui la violenza è la prima
maestra per decidere della sorte di questo tipo di attività.

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A questo punto accade che questi contadini si sollevano in massa. Ci sono molti castelli,
molti manieri di questa aristocrazia feudale francese dati alle fiamme.

Contratti bruciati perché ritenuti oppressivi della condizione dei contadini, i quali cercano
una sponda negli artigiani e nei commercianti di Parigi; sembra inizialmente trovarla poi,
naturalmente, la paura della rivolta plebea si fa strada anche nei ceti borghesi parigini, e
così tutto finisce in un gigantesco bagno di sangue. Si stimano circa 20.000 morti, cioè
20.000 contadini passati per le armi.

Questa rivolta è di fatto uno scoppio di rabbia fuori controllo, che ovviamente non può
produrre niente se non la reazione delle autorità politiche.

Un’altra rivolta che ha però caratteri diversi, con un grado di consapevolezza assai
maggiore, è la rivolta che scoppia al di là della Manica, cioè in Inghilterra, nel 1381.

Anche questa è essenzialmente una rivolta rurale, perché l’Inghilterra è ancora una paese
profondamente rurale.

Quelle che per gli inglesi erano delle città, per gli italiani erano dei villaggi, perché
l’urbanesimo inglese è modestissimo sino all’inizio dell’età moderna.

Qui la rivolta scoppia ancora una volta in seguito ad una imposizione fiscale che serve per
finanziare le attività belliche degli inglesi in Francia.

Quindi siamo sempre nel contesto della Guerra dei Cent’anni. Nel 1377 la monarchia
inglese impone la cosiddetta poll tax, la tassa sulla persona in quest’area. È una tassa fra
le più inique possibili, perché si paga per testa: non si considera il patrimonio, non si
considera il reddito, non si considera niente.

Una persona, un pagamento. Qualcosa del genere la introdusse anche la Tatcher in


Inghilterra nella prima metà degli anni ’80.

Infatti era un governo che non brillava per la sua equità fiscale e sociale. Accade che in
seguito all’imposizione di questo testatico, questa poll tax, scoppia una rivolta
generalizzata di contadini inglesi, però qui la faccenda era un po’ diversa, non che l’esito
poi sia granché differente dalla jacquerie, però le ragioni della rivolta e l’organizzazione di
questa rivolta è un po’ diversa, perché dietro a questi contadini ci sono i preti di
campagna; cioè è attestata un’attività di predica sociale di questi sacerdoti con anche

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qualche professore universitario di Oxford, che nelle loro prediche accennano alla
possibilità che ci siano forme di egualitarismo.

Vediamo il contenuto ideologico di questa rivolta inglese, nel 1381, filtrata, attenzione al
filtro, da un cronista aristocratico francese, che ha lasciato un’opera storica su tutte le
vicende franco – britanniche trecentesche, questo Jean Foissart, il quale a un certo punto
apre una parentesi nella lunga cronaca della guerra dei cent’anni, per parlare della rivolta
dei contadini inglesi.

Nonostante gli inglesi siano nemici per lui, la solidarietà di ceto fa premio, quindi lui
descrive questi rivoltosi, questi contadini rivoltosi inglesi con accenti fortemente critici;
nonostante questo filtro possiamo capire alcune cose.

In Inghilterra e in molti altri paesi c’è la consuetudine che i nobili hanno grande potere sui loro
uomini e li tengono in servitù: (cioè la condizione sociale dei contadini inglesi era la peggiore in
assoluto) ciò vuol dire che per diritto e per usanza questi devono arare i campi dei signori, mietere
il grano e portarlo al castello … e fare altri lavori del genere; e devono quegli uomini fare tutto
questo per servitù ai padroni (cioè ci sono ancora le vecchie corveè), che in Inghilterra sono più
numerosi che altrove, laici ed ecclesiastici (perché enorme era la proprietà ecclesiastica in
Inghilterra, che poi avrà le sue motivazioni la scelta di inizio ‘500 di Enrico VIII di aderire alla
riforma, cosi si incamera tutti i beni soprattutto i templi monastici) che devono essere serviti, e
specialmente nelle contee del Kent, Essex, Sussex e Bedforshire ce ne sono più che nel resto
d’Inghilterra. Quei malvagi (sarebbero i contadini rivoltosi) nelle regioni che ho nominate
cominciarono a sollevarsi perché dicevano che li si teneva in troppo grande servitù e che all’inizio
del mondo non c’erano ne servi ne signori (qui il riferimento è all’inizio della Bibbia, cioè al
paradiso terrestre, quando tutti gli uomini erano uguali) … e che essi erano uomini come i loro
signori ma erano tenuti come bestie, cosa che essi non volevano e non potevano sopportare, ma
volevano essere tutti uniti, e, se aravano o facevano qualche altro lavoro per i loro signori,
volevano ricevere il salario. (nel senso di giusta remunerazione, i rapporti contrattuali giusti.
Qualcuno deve averglielo detto. È chiaro che un contadino analfabeta deve aver recepito un
certo tipo di insegnamento). In questi furori li aveva sostenuti precedentemente un folle prete
inglese della contea del Kent, che si chiamava John Ball e che, per le sue folli parole, era stato
messo in prigione per tre volte dall’arcivescovo di Canterbury (quindi il primate della Chiesa
inglese si scontrava con i parroci di campagna), perché questo John Ball aveva l’abitudine, ogni
domenica dopa la messa, di raccogliere il popolo attorno a sé e di predicare e diceva: <<Buona

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gente, le cose non possono andare bene in Inghilterra e non andranno bene fino a quando i beni
non saranno diventati comuni (cioè qui sta parlando, praticamente, dell’abolizione della proprietà
privata) e non ci saranno né nobili né villani, ma saremo tutti uniti. Perché quelli che noi
chiamiamo signori sono nostri padroni? Come l’hanno ottenuto? Perché ci tengono in servitù? Se
veniamo tutti da un padre e da una madre, Adamo ed Eva, come possono essi dire e dimostrare che
sono meglio di noi, forse perché ci fanno produrre quello che poi essi usano e consumano? Sono
vestiti di velluti e di seta e di pellicce e noi siamo vestiti di poveri panni. Hanno vini (vino francese
naturalmente, quello che viene dalla Guascogna, centinaia e centinaia di ettolitri spostati dal
porto di Bordeaux verso quello di Southampton e di Londra), spezie (queste le comprano dai
mercanti italiani) e buon pane, e noi abbiamo segale, il letto di paglia e beviamo acqua. Essi
hanno bei castelli e noi la pena e la fatica, e la pioggia e il vento nei campi, e da noi e dalla nostra
fatica viene tutto quello che essi hanno. Ci chiamano servi e ci battono se non facciamo subito i
servizi per loro; e non abbiamo sovrano al quale far giungere i nostri lamenti o che ci voglia
ascoltare e rendere giustizia. Andiamo dal re, egli è giovane, mostriamogli la nostra servitù,
diciamogli che noi vogliamo che sia diversamente oppure noi stessi procureremo il rimedio
(ovviamente con la rivolta). Se ci andiamo davvero, e tutti insieme, tutti quelli che sono chiamati
servi e tenuti in servitù, per essere affrancati, noi raggiungeremo lo scopo. E quando il re ci vedrà
e ci ascolterà, di buon grado o in altro modo si troverà il rimedio>>.

Ora se uno legge i tratti con i punti interrogativi sobbalza, non c’è il materialismo dialettico
però un’idea umanitaria di comunismo potrebbe venir fuori.

Quindi c’è una consapevolezza dietro questa rivolta ben differente rispetto alla jacquerie;
naturalmente il contesto in cui si muovono anche questi capi rivoltosi è un contesto
evangelico, religioso. Il modo di pensare del tempo non prevede un sovvertimento del
modo di pensare la società, cioè tutti i cambiamenti possono essere fatti all’interno del
messaggio evangelico, non esiste rivolta, non esiste possibilità di un minimo cambiamento
se non nell’ottica cristiana evangelica; non esiste la forma mentis per uscire da questo
schema. Infatti poi dopo tutti questi discorsi si va dal re, si va dal re come nelle favole,
andiamo dal re buono che ci ascolterà, non aboliamo la monarchia, aboliamo
l’aristocrazia, non è possibile, è qualcosa che si inizia a pensare in Europa solo nel ‘700.
Non c’erano gli sperimentati per uscire da questa empasse. Comunque la faccenda è già
più complessa. Ancora un po’più complesso, soprattutto per gli esiti, è quello che avviene
qualche anno prima di questa rivolta, cioè nel 1378, con il tumulto dei ciompi, che era una
rivolta di operai del mondo laniero fiorentino. In realtà questo tumulto dei ciompi è
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accompagnato da altre rivolte che si verificano più o meno in quegli anni a Siena e
Perugia, e sono guarda caso rivolte che scoppiano nell’ambito della manifattura laniera.
Perché nell’ambito della manifattura laniera, e chi sono questi ciompi? La manifattura
laniera nel mondo “industriale” del basso medioevo e anche la prima età moderna,
rappresenta un tipo di produzione che raccoglie una grande massa di manodopera, molto
più che qualsiasi altra manifattura urbana; per avere qualcosa di simile bisognava andare
all’arsenale di Venezia, però è una cosa eccezionale, bisogna avere un porto gigantesco,
il più grande porto del Mediterraneo.

Altrimenti è difficile trovare una manifattura che impiega così tante persone, alcune delle
quali nello stesso luogo fisico, perché la manifattura laniera, ha un primo passaggio nella
bottega del lanaiolo, che è un mercante imprenditore, poi una serie di passaggi interni, le
filatrici, gli orditori, i tessitori, pittori e via dicendo.

Quindi, una massa numericamente imponente, anche se variegata, di salariato e piccoli


artigiani che lavorano su commissione.

La produzione laniera è molto importante perché fatto 100 il prezzo di un tessuto, se ne


va in manodopera tra il 60 e il 65, quindi 2/3 circa del costo di produzione se ne va in
manodopera, quindi questo ha un livello importante sulla società e sull’economia urbana;
come non avviene in qualsiasi altra produzione: nel mondo della seta se ne va il 30%,
nella produzione di cuoio conciato il 10 %.

Nella bottega del lanaiolo lavorano coloro che battono la lana, la pettinano, la
scardassano, la lavano, separano le fibre lunghe da quelle corte, cioè ci sono alcune fasi
preparatorie che vengono svolte nella bottega.

A Firenze questi operai sono chiamati ciompi (l’origine di questa parola è misteriosa, forse
è di origine francese, ma non si sa).

Comunque che si chiamino ciompi o non ciompi non importa, questi si trovano a Firenze,
come a Bruges, come a Milano, come a Barcellona, è uguale. Svolgono le prime mansioni
e generalmente sono pagati a tempo e sono presenti nel medesimo spazio fisico.

Quindi possono solidarizzare, il fatto di lavorare attaccati uno all’altro genera un


fenomeno di cameratismo. Come sono pagati questi ciompi, o come si chiamano in altre
città, e che margine di manovra hanno per poter contrattare la remunerazione con i

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lanaioli? Generalmente hanno un margine di manovra modestissimo, un margine di
manovra. Perché hanno uno scarsissimo margine di manovra?

Perché nelle grandi città, soprattutto quelle italiane, il sistema delle corporazioni di
mestiere, quindi le rappresentanze dei mestieri, esclude tutti gli strati bassi, non possono
avere una loro corporazione.

Quindi cosa succede?

Che questi dipendenti, che questi operai sono iscritti d’ufficio nella corporazione dei
lanaioli, ma nella corporazione dei lanaioli comandano i lanaioli.

Vi faccio un paragone del tutto improprio, ma che forse aiuta a capire.

Immaginate che oggi un qualsiasi operaio dipendente sia iscritto d’ufficio alla
confindustria, nella quale confindustria comandano però i capitani d’industria.

Il tribunale del lavoro è quello della confindustria, immaginatevi dove vanno a finire le
vertenze di lavoro. Quindi le frizioni erano molto forti, alimentate da questo cameratismo,
cioè dal fatto che questi stanno tutti nella stessa bottega.

Come venivano pagati questi e anche i piccoli artigiani?

In moneta d’argento. Ma quando i lanaioli vanno a vendere i loro tessuti ai loro clienti, che
tipo di moneta incassano?

La moneta d’oro.

La moneta d’oro è stabile, la moneta d’argento viene svalutata, e svalutata ad arte, perché
se si svaluta la moneta con cui si pagano questi lavoranti ci si guadagna e si spende
meno.

Che succede allora?

Succede che 1378 scoppia una grande rivolta in città, guidata da questi ciompi, a cui poi si
uniscono una serie di piccoli artigiani, e questi ceti, questo popolo minuto di cui parlava
Matteo Villani, prende il potere.

Prende il potere nel senso pieno del termine, se uno va a leggere le liste dei priori della
città, cioè di coloro che comandavano nel comune di Firenze, ci trova operai.

440
È una specie di piccolo soviet che dura qualche settimana, e poi anche li vengono fatti a
pezzi. I capi vengono impiccati e tutto finisce con il ritorno allo status quo. Però il
programma politico messo in campo da questo breve governo dice molto sul modo di
pensare di questi rivoltosi, che dicono “noi vogliamo essere pagati con una moneta stabile,
quindi dovete coniare una moneta non svalutata. Le imposizioni fiscali non devono
avvantaggiare coloro che hanno tante terre e tante ricchezze, bisogna andare a tassare in
maniera diretta il patrimonio, quindi dovete smetterla con i prestiti forzosi che generano
interessi a vantaggio dei ricchi, noi vogliamo le nostre corporazioni, così con la nostra
corporazione possiamo dire ciò che ci premia da un punto di vista economico e da un
punto di vista politico”.

Quindi c’è una progettualità notevole.

Naturalmente dura lo spazio di una stagione, nemmeno di una stagione, è un fuoco di


paglia. Ci sono tante rivolte, e vedete come questi sconvolgimenti provocati dalla peste
hanno poi delle ricadute a ondate in varie zone d’Europa e per tali motivi non è un caso
che in Italia ci sia una rivolta urbana e in Francia e in Inghilterra rivolte rurali.

Da anche la diversa definizione di un diverso urbanesimo tra l’Italia e le altre zone


d’Europa.

Chiudiamo questa carrellata di profonde trasformazioni accennando anche a quello che


avviene nell’ambito della guerra, della guerra e della connessa fiscalità. Il tardo medioevo
è un’epoca nel quale la guerra, il modo di fare la guerra, la frequenza di fare la guerra
cambia radicalmente. Prima la guerra era un affare della bella stagione, quando gli eserciti
feudali venivano chiamati dal sovrano e combattevano per qualche settimana. Alla fine del
‘400 la guerra dura per tutto l’anno, gli eserciti feudali sono scomparsi, ci sono quasi
ovunque eserciti mercenari pagati, stipendiati, i cosiddetti soldati. La parola soldato è una
parola che si diffonde alla fine del medioevo e significa assoldato, colui che riceve il soldo
per combattere, le milizie mercenarie. Anche il modo, le tecniche, la tecnologia di guerra
cambia radicalmente. In questo periodo si diffondono le grandi, pesantissime armature.
Nei film ambientati nel medioevo voi vedete quasi sempre una sorta di lattina ambulante,
generalmente tirata sul cavallo con una specie di carrucola perché pesantissima, una
specie di carro armato del tempo. Questo carro armato del tempo, cioè il cavaliere con
un’armatura che pesa 20/30 chili, tutto armato dalla testa ai piedi, è un cavaliere tre -
quattrocentesco.
441
Prima avevano solo porzioni di armatura, di solito avevano la cotta di maglia, questi ferri
intrecciati e poi avevano un’armatura che poteva essere limitata al busto. Invece se
vedete un’armatura quattrocentesca, parte dalla punta dell’alluce e arriva fino alla sommità
della testa. Questo è il grande guerriero tardo medievale.

Però ci sono anche altre trasformazioni. Per esempio la più importante di tutte: la polvere
da sparo.

La polvere da sparo si origina in Cina, ma come tante invenzioni cinesi, curiosamente


sono stati gli occidentali a diffonderla. Probabilmente perché la società cinese per secoli è
rimasta chiusa in se stessa e quindi non ha valorizzato le invenzioni al fine di
trasformazioni politico – sociali.

I cinesi hanno inventato la carta moneta però poi non l’hanno di fatto utilizzata.

Hanno inventato la polvere da sparo ma la utilizzavano per i fuochi d’artificio, per le feste.

Sono arrivato al Capo di Buona Speranza con le loro navi all’inizio del ‘400 ma poi non
sono arrivati in Europa perché non hanno sviluppato la navigazione transcontinentale,
hanno inventato gli spaghetti però poi gli spaghetti sono passati alla storia come
un’invenzione italiana.

E si potrebbe continuare.

Comunque la polvere da sparo arriva dall’oriente e viene introdotta nelle tecniche di


combattimento, per la prima volta, nelle città italiane, negli anni ’30 ’40 del ‘300. Per molto
tempo però questa polvere da sparo verrà impiegata in misura limitata e con effetti limitati,
perché a lungo si utilizzavano le cosiddette bombarde, cioè delle bocche da fuoco molto
rudimentali, che scagliavano pietroni, cioè non palle di metallo, e che avevano lo
sgradevole difetto ogni tanto di esplodere quindi uccidendo gli artiglieri.

L’effetto principale, poi, data la grande imprecisione di queste bombarde trecentesche, era
quello di gettare lo scompiglio, cioè la paura, appunto spaventare i cavalli.

Cioè lo scoppio spaventava i cavalli. Per avere delle artiglierie veramente efficaci
bisognerà attendere la metà del ‘400.

I primi ad utilizzare l’artiglieria in senso moderno saranno i turchi ottomani durante


l’assedio di Costantinopoli, nel 1453.
442
Questa è un artiglieria fissa, non c’è una artiglieria da campo che si sposta, quindi ferma.
E poi soprattutto nella seconda metà del ‘400 si cominceranno a fondere i cannoni col
bronzo, molto più sicuri, molto più precisi e che poi verranno montati sulle navi; quando
Vasco da Gama arriva in India alla fine del ‘400 ha già i cannoni montati sulle navi e
spaventa a morte gli indiani prendendo a cannonate tutti, è da l’inizio alla grande
espansione imperialistica europea.

Poi altro cambiamento importante, questo da un punto di vista organizzativo, come vi


dicevo, le milizie mercenarie, cioè i soldati pagati.

I soldati pagati sono si pericolosi, perché indisciplinati, perché possono darsi al


saccheggio, però permettono agli stati, soprattutto alle grandi monarchie di liberarsi dal
reclutamento feudale e quindi di tenere un corpo di combattenti che prescinda dai vincoli
di natura sociale e culturale che i sovrani hanno nei confronti della loro pericolosa
aristocrazia.

Avere milizie mercenarie voleva dire poter fare a meno di una componente ingombrante
della società, almeno nell’ambito bellico, e quindi permette al potere del re di rafforzarsi.
Naturalmente, tecniche di combattimento nuove, polvere da sparo, milizie mercenarie,
fanno dei costi enormi e quindi ancora una volta tutte queste innovazioni passano
attraverso una crescita esponenziale della fiscalità. Milizie mercenarie: all’inizio, diciamo
fino a tutti gli anni del ‘300 le compagnie di mercenari erano essenzialmente straniere.
L’apprendistato del mercenariato europeo viene fatto durante la Guerra dei Cent’anni,
quindi troviamo combattenti inglesi, combattenti francesi, combattenti fiamminghi,
combattenti tedeschi che si offrono a Francia e Inghilterra.

Questi condottieri, che hanno questo termine in italiano perché i capi di questi soldati
firmavano dei contratti di condotta, dei contratti regolari, “io mi impegno a fornire cento
combattenti armati in questo modo (i soldati si devono armare per conto loro), voi potete
fare delle ispezioni per vedere se i soldati sono all’altezza del contratto, voi mi date questa
paga che serve per remunerare i miei soldati, e poi mi date magari qualche franchigia,
ogni tanto mi fate saccheggiare qualcosa e via dicendo”. Quindi compagnie anche con
una certa managerialità. I primi grandi combattenti vengono, per l’appunto, dalla Guerra
dei Cent’anni: a un certo punto c’è una grande pausa, questi combattenti si trovano senza
lavoro e poi arrivano in Italia e si offrono a una città, poi a un’altra, al papa, al duca di
Milano. Il più famoso tra questi combattenti inglesi, che trovandosi disoccupato durante la
443
Guerra dei Cent’anni arriva in Italia è John Hawkwood, che in italiano diventa Giovanni
Acuto, cioè il nome viene traslitterato.

Combatterà un po’ per Firenze, un po’ per il papa, per chi pagherà di più.

Lo troviamo anche protagonista in una novella di Franco Sacchetti, un novelliere fiorentino


della seconda metà del ‘300, una novella molto breve in cui questo Acuto passeggiando
per le vie della città di Firenze incontra un frate, un francescano, e questo frate lo saluta
dicendogli “che la pace sia con te” e Acuto risponde “vai a quel paese perché la pace è la
mia rovina”.

Lui aveva sotto di se migliaia e migliaia di guerrieri. Poi dalla fine del ‘300 ci sarà una
scuola di condottieri italiani.

Tra i più importanti, tra fine ‘300 e inizio ‘400, abbiamo Alberigo da Barbiano, Muzio
Attendolo detto lo Sforza che è il padre di quel Francesco Sforza che poi sposando la figlia
del duca di Milano diventerà a sua volta duca di Milano a metà del ‘400. Quindi un
condottiero di ventura che con la guerra diventa principe. E poi Andrea Braccia da
Montone detto Fortebraccio, signore di Perugia. Poi una generazione dopo il Gattamelata,
condottiero spesso a servizio della Repubblica di Venezia.

Condottieri che hanno anche delle ambizioni culturali: a Padova, di fronte alla basilica di
Sant’Antonio c’è la statua del Gattamelata. Questa statua è stata realizzata da Donatello,
che era il più grande scultore dell’Italia del tempo.

E poi ancora Bartolomeo Colleoni, bergamasco, anche lui al servizio della Repubblica di
Venezia e anche di lui c’è un grandissimo monumento di fronte alla Chiesa di San
Zanipolo, cioè di San Giovanni e Paolo a Venezia, opera del Verrocchio.

E poi ancora Francesco Sforza e Federico da Montefeltro, signore di Urbino, immortalato


dal pennello di Piero della Francesca. Quindi vedete come questo mondo della guerra
produce anche principi e persino mecenati.

Quanto è cambiata la guerra in così poco tempo: dall’epoca delle milizie comunali o dei
signori feudali a condottieri che sono principi e mecenati di artisti.

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DICIANNOVESIMA LEZIONE DI STORIA MEDIEVALE
GIOVEDI’ 06.11.2014 ORE: 12,00 - 14,00

Oggi chiudiamo la parte generale parlando delle condizioni politiche e sociali dell'Italia fra
‘300 e ‘400.

Quel fenomeno di natura economica e demografica, di cui abbiamo parlato ieri, connesso
con la cosiddetta crisi trecentesca, ha anche le sue conseguenze a livello politico sociale.
Significa che in generale con differenziazioni locali anche abbastanza notevoli, ma
insomma il fenomeno generale che riguarda un po’ tutta l’Italia e nello specifico l’Italia di
tradizione comunale, è quello di un rallentamento della mobilità sociale, e della riduzione
di spazi di iniziativa politica nelle città.

Cosa significa mobilità sociale? lo dovreste sapere molto bene perché la sperimentate e la
sperimenterete sulla vostra pelle.

In Italia non c’è mobilità sociale. Siamo uno dei paesi più statici del mondo.

L'Italia tra XII° e XIII° secolo aveva conosciuto una fortissima mobilità sociale, con ceti
dirigenti che si erano avvicendati con cambiamenti importanti sopratutto nel corso del
duecento prima con il regime podestarile, e poi sopratutto con i cosiddetti comuni di
popolo, cioè quei comuni nei quali il potere era stato preso in mano da mercanti,
professionisti del diritto, ricchi artigiani, e via dicendo e con l’emarginazione parziale della
vecchia milizia, della vecchia cavalleria cittadina.

Questa età di tumultuosi cambiamenti, viene poi seguita da un periodo di rallentamento


della mobilità sociale che si è fatta particolarmente forte nel ‘400 e poi il fenomeno troverà
una vera e propria sanzione fra ‘500 e ‘600 quando nascono le nobiltà dell’ancien regime
che arrivano fino all'ottocento inoltrato.

Questo rallentamento della mobilità sociale si concretizza, per esempio, con una forte
riduzione di partecipazione politica da parte dei ceti nuovi, perché i ceti che si sono
formati nel corso del ‘200 , tendono a monopolizzare le cariche pubbliche e quindi
costituirsi a loro volta in patriziato urbano.

Questo patriziato urbano, anche se ha un origine mercantile e imprenditoriale, sente


ancora fortemente la suggestione culturale, ideologica, estetica, della nobiltà.

445
Questo atteggiamento ambivalente noi lo possiamo trovare anche in quello che è
l’affresco letterale della società mercantile trecentesca, che è il Decameron di
Boccaccio.

Dove i valori della società che noi definiremo borghese si affiancano quasi in
sovrapposizione con quelli aristocratici e cavallereschi, cioè anche le stesse ambientazioni
delle novelle oscillano come un pendolo tra il mondo urbano mercantile imprenditoriale e
finanziario e lo stile di vita il modo di vita del nobile, dell’ aristocratico, del cavaliere e via
dicendo.

Questo significa che i ceti che noi definiremo “borghesi”, non hanno ancora quella totale
e piena consapevolezza di se che invece avranno molti secoli dopo.

La tendenza ultima di questi ceti alla fine quella di arrivare allo stile di vita da grandi
signori.

Una ideologia poi che punterà molto sull'aristocratizzazione dei ceti dirigenti è quella degli
umanisti.

Gli umanisti generalmente sono letterati, filologi, cancellieri degli stati e manifestano non di
rado, un vero e proprio disprezzo per i lavori manuali. Cioè c’è proprio nella cultura
umanistica una separazione tra gli uomini di lettere e tutti gli altri.

Da un punto di vista socio economico, Michelangelo era un artigiano, quindi un uomo che
si sporcava le mani, e pertanto era tenuto al di sotto rispetto agli umanisti invece che si
occupavano di lettere, di filologia e via dicendo.

Lo stesso Leonardo da Vinci che ebbe un educazione da autodidatta, che fra l’altro
scriveva da destra a sinistra, è un genio poliedrico che si occupava di tutto, disegnava
sottomarini, una cosa incredibile, si definiva homo sanza lettere, cioè uno estraneo a
questa cerchia elitaria degli umanisti.

Gli umanisti hanno prestato la loro penna per sanzionare questi regimi cittadini nobiliari.
Queste diciamo supporto ideologico molto schematico molto rapido ma concretamente
cosa avviene?

446
Avviene che in molte città, sia che si governino con regimi repubblicani, sia che si
governino con una dinastia signorile, poco cambia alla fine, noi assistiamo a una riduzione
progressiva del numero di coloro che partecipano alla gestione del potere.

I consigli cittadini di inizio trecento sono consigli larghi, centinaia di persone con una
rotazione poi molto rapida, perché si sta in questi consigli anche qualche mese, poi
magari si andrà a ricoprire la carica di tesoriere di, ufficiale di ecc ecc.

Ebbene in molte città si affianca al vecchio consiglio un consiglio ristretto, di quaranta


cinquanta persone e tutte le decisioni importanti progressivamente vengono presi in questi
consigli ristretti.

Si svuotano, si rendono degli involucri privi di significato, le vecchie forme di


rappresentanza popolare e si da invece sempre maggiore potere a dei consigli ristretti, a
dei gruppi plenipotenziari che poi prendono le decisioni. Li ci troveremo sempre le stesse
famiglie, qualche decina di famiglie.

Ed è intorno alla partecipazione a questi consigli ristretti che si afferma anche


ideologicamente, anche simbolicamente il patriziato urbano quattrocentesco.

Ci sono naturalmente come vi dicevo varie gradazioni, in questi restringimenti della


rappresentanza politica, questa chiusura della mobilità sociale, in questa sempre
maggiore difficoltà per i ceti nuovi arricchiti di trasformarsi, da ceti arricchiti in ceti dirigenti.

Ad un estremo c'è il caso di Venezia. Venezia è veramente particolare da molti punti di


vista.

Basta semplicemente girare in questa città per rendersi conto che è una città che fa storia
a sé.

A Venezia dall'inizio del trecento c'è una nobiltà di diritto cioè sanzionata per legge.
Questa nobiltà però è una nobiltà mercantile, quindi tutto alla rovescia di quanto accade in
Francia, Inghilterra, e Germania e via dicendo, dove la nobiltà è una nobiltà feudale
militare, che vive nei manieri di castelli di campagna e via dicendo, e che rifugge come la
peste dagli affari come se fosse una cosa che provoca disonore nel senso pieno della
parola al nobile stesso. Quindi vietato fare il mercante.

447
A Venezia invece le grandi famiglie sono tutte di tradizioni mercantili. Si arriva a questa
nobiltà con un meccanismo abbastanza semplice però di grande efficacia.

Tra fine duecento e inizio del trecento ci sono dei provvedimenti, che poi
passeranno alla storia come la serrata del maggior consiglio. Il maggior
consiglio è l’assemblea più ampia che ha potere legislativo a Venezia.

Con queste riforme si stabilisce che per entrare a far parte del maggior consiglio, e
attraverso questo del senato, del consiglio dei dieci, tutta una serie di alte cariche dello
stato, bisogna aver avuto un padre, un nonno, un antenato presente nel maggior consiglio.
Chi non ha questo status è escluso.

Quindi queste riforme stabiliscono che da ora in poi un gruppo ristretto di famiglie, poi
ristretto fino ad un certo punto perché si tratta di centinaia di famiglie, ha il monopolio del
potere politico, tutti gli altri sono cittadini di serie B perché non possono accedere alle
maggiori cariche dello stato.

Ora questa aristocrazia di diritto, perché questa è un aristocrazia di diritto veneziana, che
nasce all'inizio del ‘300, conosce cambiamenti minimi tra tre e quattrocento, tramite la
cooptazione di qualche famiglia che si è distinta per imprese militari, insomma si tratta di
numeri molto modesti.

Se voi prendete le maggiori, le più importanti famiglie veneziane tre quattrocentesche e


confrontate gli elenchi delle maggiori famiglie veneziane del settecento cioè dell' epoca di
Goldoni, vedrete che i cognomi più o meno sono gli stessi. La società veneziana si è
cristallizzata nel suo vertice politico e per secoli.

Questo rappresenta veramente l'estremo, il polo estremo della fine della mobilità sociale
come passaggio dalla ricchezza al potere di natura politico.

Ci sono varie fasi intermedie, il polo opposto rispetto a quello veneziano era rappresentato
da poche pochissime città dell'Italia centrale, che hanno mantenuto a lungo un governo
popolari allargati. Da questo punto di vista la maggiore città che ha conservato un governo
di popolo nel senso pieno del termine è stata Firenze, che praticamente per tutto il ‘300
continua ad avere questi consigli molto larghi e una partecipazione molto numerosa alle
varie repubbliche.

448
Naturalmente c'è carica e carica, insomma non tutti gli impieghi comunali sono dello
stesso tipo, ma insomma c'è sempre una forte rotazione.

Anche qui noi assistiamo ad un rallentamento della mobilità sociale ma molto più tardi,
generalmente dopo il tumulto dei Ciompi, cioè dopo che il ceto dirigente molto largo di
Firenze, si prende uno bello spavento dopo la rivolta degli operai dell'arte della lana.

Allora qui avremo un rallentamento ma molto più tardi, essenzialmente quattrocentesco.

Che tipo di regime troviamo in queste città?

Anche qui con molte varianti. Soprattutto nell’Italia a nord dell’ Appennino noi abbiamo in
gran parte un ordinamento politico imperniato su signori.

L’abbiamo già constatato per la fine del ‘200 per città come Ferrara con gli Este, Verona e
Vicenza con i Della Scala, Milano e il suo ampio dominio con i Visconti.

Poi avremo altre dinastie che si affermano nel ‘300, per esempio a Padova i Da Carrara.
Petrarca soggiornerà a lungo a Padova ospite dei signori di Padova, i cosiddetti Da
Carrara; sono i Da Carrara che forniscono a Petrarca la sua residenza rurale sui colli
Euganei a Arquà che infatti oggi si chiama Arquà Petrarca.

A Mantova si affermerà la dinastia dei Gonzaga, grandi mecenati dell'arte, basterebbe


pensare agli affreschi di Mantegna nel palazzo ducale realizzati nel ‘400.

Poi troviamo, soprattutto in area romagnola, tante piccole signorie imperniate su singole
città, tutte città abbastanza piccole: tipo i Manfredi a Faenza, gli Ordelaffi a Forlì, e per
esempio una signoria un po’ più grande, quella dei Malatesta. I Malatesta sono signori di
Rimini, ma in un certo periodo controllano anche Fano, Cesena; anche questi signori sono
grandi mecenati, basterebbe pensare al famoso Tempio Malatestiano di Rimini,
commissionato dai signori di questa città all’architetto Leon Battista Alberti, che è il
maggior architetto dell’Italia quattrocentesca. 21.33

Nell'area dell'Italia centrale, che entra ed esce in continuazione dallo stato pontificio per
poi rientrarci in maniera definitiva da metà ‘400 in poi, noi troviamo o città comunali semi
indipendenti oppure signori.

Tra i signori, i Montefeltro di cui noi abbiamo già parlato ieri, perchè i Montefeltro sono
spesso condottieri di ventura, che poi creeranno quella piccola ma splendida signoria dal
449
punto di vista della storia dell’arte, e della letteratura che è Urbino. Se uno va a Urbino
oggi, vede una piccola città di collina, un ambiente molto bello, paesaggisticamente
parlando, con uno splendido bellissimo palazzo rinascimentale.

Poi tante altre piccole signorie come i Da Varano a Camerino, i Trinci a Foligno, e poi
tutte città a lungo indipendenti come per esempio Perugia.

Questo panorama politico, abbastanza frammentato ancora all'inizio del ‘300 conosce, nel
corso degli ultimi due secoli del medioevo, un processo di semplificazione.

Cioè un processo che porterà nel corso di 200 anni alla formazione dei cosiddetti stati
regionali italiani.

Se uno prende un atlante storico dell'Italia all'inizio ‘300, ha di fronte una cartina
spezzatino, perchè tranne casi precocissimi come quello di Milano, noi abbiamo
dominazioni molto piccole imperniate su una città, sul suo contado, e su poco altro, magari
conquistavano città vicine con il suo contado ma insomma sono territori molto molto limitati
da un punto di vista dell'estensione. Alla fine del 400 il panorama è cambiato in maniera
significativa.

I regimi politici che prima degli altri portano avanti una politica espansionistica sono quelli
signorili. In particolare quelli dei Della Scala di Verona e dei Visconti di Milano.

I signori hanno come dire un obbligo nel portare avanti questa politica espansionistica,
perchè i loro poteri, il loro prestigio si basano anche sulla politica estera.

E quindi il successo in politica estera e le conquiste sono indispensabili per creare


consenso all'interno dei territori dominati.

Le città a regime repubblicano, cioè ancora pienamente comunale, arriveranno più tardi ad
una politica espansionistica e generalmente come reazione di fronte alle politiche
espansionistiche signorili.

I più attivi certamente nella prima metà del trecento sono senz'altro i Della Scala.

Questa famiglia di origine non aristocratica, perchè i Della Scala non hanno un origine
cavalleresca, come invece i Visconti di Milano, come dice lo stesso cognome: la famiglia di
coloro che facevano la funzione di Vice conte, quindi una famiglia di lontanissima
tradizione aristocratica,
450
I Della Scala appartengono al popolo e prima di prendere il potere sono stati mercanti, una
volta preso il potere ovviamente il loro stile di vita cambia completamente.

Se qualcuno di voi è stato a Verona avrà presente la grande fortezza scaligera costruita
fuori a controllare l' Adige da una parte e l’ingresso in città, le mura dall'altra.

Di solito i palazzi signorili si pongono fuori dal centro storico, come dire io mi costruisco la
fortezza vi controllo vi minaccio e mi difendo non stando nel mezzo della città.

Uno dei più famosi di questi signori era Cangrande I° Della Scala di cui parla anche
Dante nella Divina Commedia, che governa a lungo la città, e il suo successore Mastino
II°. Questi due signori governano Verona per tutta la prima metà del ‘300.

Ad un certo punto, agli inizi degli anni trenta, Mastino II°, dopo le conquiste del suo
predecessore e le sue, arriva a controllare le seguenti città: Verona, Vicenza, Padova,
Treviso Brescia, Parma e Lucca; è però un espansione molto effimera perchè di fronte a
questo grande dinamismo dei della Scala le città più grandi si coalizzano per fermarle e
per respingerle.

Milano da una parte, Firenze dall'altra, Bologna, Venezia e così alla fine il dominio
scaligero si contrae e fino alla caduta della dinastia dei Della Scala, il loro dominio rimarrà
fondamentalmente su Verona e Vicenza e relativi contadi.

Viceversa nella seconda metà del ‘300 la palla passa nelle mani dei Visconti di Milano.
Soprattutto negli ultimi anni del XIV° secolo con Gian Galeazzo Visconti il quale compra,
ancora una volta, dall'imperatore il titolo di duca. Quindi non è soltanto vicario imperiale,
ma duca quindi ha
un titolo non
revocabile: è
diventato un principe.

L'espansione
viscontea la potete
cogliere in una
cartina che voi avete
nelle vostre
dispense. Come

451
potete vedere fino agli anni grosso modo ‘80 del ‘300 il dominio visconteo aveva
conosciuto comunque una gran bella espansione, perchè vedete già prima della presa del
potere di Giangaleazzo, i duchi no ancora vicari signori di Milano controllavano tutta
l’odierna Lombardia, tranne il mantovano più una zona che all'inizio dell’ età moderna sarà
entrata a far parte dei cantoni elvetici dove non a caso si parla lombardo, che nel Canton
Ticino che è un cantone svizzero la lingua è l’italiano cioè il lombardo in realtà, perchè per
secoli questa zona ha gravitato nel ducato di Milano .

Intanto vedete tutto il lago di Lugano, la valle del Ticino, faceva parte della signoria
viscontea. Cosi come Genova che entrava ed usciva costantemente dall'orbita Milanese.

In realtà la signoria Milanese a Genova si alternata a singhiozzo è sempre stata una


signoria un po’ mediata, cioè i genovesi ogni tanto si mettevano sotto la protezione dei
signori di Milano però il controllo era molto meno ferreo rispetto all'area lombarda.

Già controllavano Bologna però vedete nell'epoca di Gian Galeazzo l'espansione


viscontea raggiunge il cuore del Veneto conquistandolo quasi integralmente, e poi da
Parma il potere visconteo scende in Toscana dove le città si sottomettono
spontaneamente.

Qui il potere visconteo non è sentito come una dominazione oppressiva ma come un
mezzo per liberarsi da vicini più pericolosi, quindi Pisa e Siena si davano in signoria ai
Visconti per paura di Firenze, Perugia per paura del Papa.

Quindi questo potere del signore non è omogeneo su tutto il territorio, è forte in Lombardia
è sempre più blando man mano che ci si allontana dal cuore di questa dominazione.

Gian Galeazzo Visconti nel 1402 pone il suo assedio alla città di Firenze, che è sul punto
di capitolare, ma il duca muore in una delle tante epidemie di peste di cui abbiamo parlato,
e il suo dominio si sbriciola letteralmente.

Essendo un dominio in larga parte dinastico, e avendo dei figli ancora in età molto molto
tenera, sono tutti bambini, accade che il dominio viene diviso non solo tra i figli
giovanissimi, ma sopratutto tra i condottieri di ventura, tra i capitani delle milizie
mercenarie, e quindi questa grande dominazione va in pezzi.

Accade che molti dei territori conquistati da Gian Galeazzo, finiscono rapidamente nelle
mani delle potenze rivali .
452
Per esempio, Gian Galeazzo muore nel 1402, tra il 1404 e 1405 quindi proprio pochissimi
anni dopo, finiscono sotto Venezia: Vicenza, Verona, Padova, Treviso, cioè nel giro di
pochissimi anni nasce lo stato di terra ferma, cioè lo stato di terra veneziano.

I veneziani poi occuperanno qualche anno dopo il Friuli e quindi creeranno uno dei più
grandi stati italiani del ‘400; poi con una serie di guerre negli anni ‘20 arriveranno fino al
fiume Adda quindi conquistando anche Brescia e Bergamo.

La repubblica di Venezia è alla


metà del ’40, cioè all' epoca
della cosiddetta Pace di
Lodi che voi vedete
rappresentata graficamente in
un altra cartina, se non il più
grande geograficamente
parlando, di sicuro il più ricco e
popolato stato italiano del
rinascimento.

Infatti sotto il controllo della


Serenissima ci sono numerose
e grandi e ricche città.

Alcune di queste conservano


ancora oggi sopratutto nelle
cinte murarie rinascimentali il
simbolo per eccellenza del
potere veneziano, cioè il Leone di San Marco che potete vedere a Brescia a Bergamo in
tante città venete, in Friuli.

Si poteva vedere fino al 1945/46 anche in tante altre zone non italiane, o meglio
parzialmente non italiane, per esempio in Istria.

Istria per secoli faceva parte del dominio veneziano e i palazzi e le chiese di Venezia sono
state tirate su con la pietra bianca dell’Istria. Le città portuali dell'Istria sono state, per
secoli, abitate in prevalenza da italiani, cioè da veneti.

453
Città come Capodistria, Pirano, Parenzo, Rovigno, Pola,dove si è conservata una
gigantesca arena romana, sono state per secoli città abitate da veneti.

Poi è successo che il fascismo ha perseguitato gli slavi. Sono stati commessi dei crimini
durante la seconda guerra mondiale, ma anche prima, con l’italianizzazione forzata dei
cognomi, l’obbligo di non parlare ne lo sloveno ne croato, insomma questo ha prodotto la
vendetta dei partigiani di Tito nel 45/46. Alcuni i più disgraziati sono finiti nelle foibe, cioè
sono finiti in queste grotte del Carso e sono morti , i più fortunati sono scappati , e sono
andati chi a Napoli chi a Roma ovunque.

Tutta questa zona dell'Istria è stata poi slavizzata e ora gli istriani di lingua italiana saranno
in Istria 2 o 3%, però se voi andate in queste città vedete un architettura di tipo
veneziana visto che ha fatto parte dello stato di Venezia per secoli.

Venezia poi controlla un altra zona dove gli italiani invece erano un esigua minoranza,
cioè la Dalmazia. Cioè la costa dalmata della Croazia, qui i veneti erano molto pochi, però
nelle città come Zara, Spalato, Selenico, gli slavi che vivevano in queste città, parlavano
anche veneto, cioè queste città erano bilingue, parlavano sia il croato che il veneto;
perchè per loro il veneto era la lingua non solo dei dominatori ma anche della cultura.

Quindi preferivano parlare veneto per distinguersi dai rozzi contadini che circondavano
queste città, questo anche dopo la caduta della Serenissima.

Cioè in queste zone che hanno fatto poi parte dell'impero austro ungarico, nel corso del
‘800 fino alla prima guerra mondiale, i ricchi borghesi delle città dalmate parlavano veneto
come segno di distinzione, come per esempio in Russia l’aristocrazia parla francese per
distinguersi dalla massa dei contadini.

Purtroppo anche qui [Dalmazia] il fascismo ha messo la parola fine all’ italiano come
lingua della cultura, perché è stato percepito giustamente come lingua degli aggressori .

Quindi lo stato veneziano è uno stato un po’ particolare, un po’ italiano un po’ no.

Poi oltre alla Dalmazia possedeva le isole greche: Creta per esempio, Giacinto, Cefalonia
poi nel ‘500 occuperà anche Corfù, insomma uno stato particolare.

454
Infatti esisteva dal punto di vista della distrettuazione la terra ferma, che finiva con l 'Istria
e poi c’era il cosiddetto Stato da mar: la Dalmazia, le isole greche, pezzetti di Albania e
via dicendo; questo è lo stato più ricco e più popolato dell’Italia del ‘400.

Un altro stato che guadagna dalla disintegrazione della dominazione viscontea, è la


cosiddetta Repubblica di Firenze, più piccola , notevolmente più piccola dello stato
veneziano, e che si estende sottomettendo duramente le vicine città toscane; prima Prato,
Pistoia, Arezzo e infine Pisa nel 1406, subito dopo la fine dei Visconti.

Come vedete è uno stato di dimensioni assai ridotta ed è uno stato nel quale praticamente
la dominante governa con grande durezza nei confronti delle città soggette che infatti
rimarranno per secoli sotto popolate. Qui a partire dagli anni ‘30 del ‘400 sia affermerà,
con molto ritardo rispetto ai modelli padani, il regime signorile, ma con una configurazione
molto particolare.

Chi è che prende il potere in città?

La famiglia dei Medici. Chi sono questi Medici? Banchieri. Il potere se lo sono comprato
creando attorno a sé una fazione politica di supporter che sono tutti in qualche modo
allietati dal denaro della famiglia Medici.

É una signoria un po’ particolare, perchè i meccanismi istituzionali del comune


apparentemente non sono toccati, ci sono sempre le stesse istituzioni solo che attraverso
un trucco, cioè di invece di tirare a sorte gli ufficiali, mettere la faccia dentro e guardare le
Polizze coi nomi, quindi tirar su vedendo e non estraendo a sorte, i Medici mettono in tutti
gli organi di potere fondamentale i propri amici, quindi ecco una fazione vera e propria
[oggi si parlerebbe di lobby, loggia massonica] che la famiglia riesce a controllare, con
l’aiuto e con il consenso di altre famiglie, le leve del potere.

Questo è un potere che si basa molto sul denaro, su queste compagnie d’affari che la
famiglia aveva sparse in tutta Europa [i Medici sono banchieri pontifici, la loro filiale più
importante è quella presso la curia romana].

Ed è grazie a questo denaro, che la famiglia sopravvivrà alla fine di questo colosso
finanziario perchè Lorenzo detto il Magnifico, per il mecenatismo culturale, letterario,
artistico ecc. ecc., fa diventare cardinale suo figlio quando ancora era un adolescente,
anzi forse anche poco meno e cosi accade che quando i medici perdono il potere in città

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all'inizio delle guerre d'Italia nel 1494, il destino della famiglia si salva per via di questo
cardinale che poi diventerà Papa.

Poi ci sarà un altro papa dei Medici all'inizio del ‘500 e attraverso l'azione politica di questi
pontefici i medici riusciranno a tornare in città per poi diventare nel corso del ‘500 duchi e
poi granduchi. Quindi il denaro permette in larga parte la presa del potere, l'acquisto del
cappello cardinalizio e poi nel marasma delle guerre d'Italia all’inizio del ‘500, la
formazione di una dinastia.

Poi abbiamo altri stati di dimensione più piccola, però importanti da un punto di vista della
storia dell’arte e della storia della letteratura.

Abbiamo già parlato del ducato di Mantova di Gonzaga; ancora più importante è il ducato
estense. Gli Este sono signori di Ferrara, di Modena e di Reggio ed è per loro che, per
esempio, lavorava come funzionario provinciale l'Ariosto all'inizio del’ 500.

Poi abbiamo piccoli stati molto deboli dal punto di vista politico come la repubblica di
Genova o come la repubblica di Siena e poi vedete qui rappresentato nella metà del ‘400
lo stato della chiesa. Ora se uno vedesse questa cartina avrebbe l'impressione che l
autorità pontificia sia omogenea su tutto questo territorio, in realtà non è così.

Ci sono città sottomesse, aree rurali sottomesse, quindi governate da rettori pontifici, ci
sono città semi autonome, come per esempio Perugia o Bologna e ci sono ancora signorie
seppur al tramonto.

Ci sono ancora i Malatesta che però dureranno ancora dieci/dodici anni poi verranno fatti
fuori. Il ducato di Urbino invece sopravvivrà fino alla fine del ‘500; ci sono ancora grandi
feudatari nel Lazio meridionale, generalmente sono famiglie del baronaggio di Roma, tutte
gravitanti intorno alla curia pontificia; comunque è uno stato in crescita alla metà del ‘400.

Infine nell'Italia meridionale peninsulare alla metà del ‘400 noi abbiamo il potere degli
aragonesi. Alfonso V° re della corona di Aragona entra a Napoli nell’anno 1442 e passerà
tutti gli ultimi anni della sua vita fino al 1458 proprio a Napoli.

Si è conservato un fitto, fittissimo carteggio di lettere scambiate, per esempio, tra il


sovrano e la moglie che era rimasta a Barcellona e che quindi veniva delegata
all'amministrazione dei regni della penisola iberica.

456
All'epoca della pace di Lodi, la corona d’Aragona era formata da una
confederazione di regni iberici e italiani.

Quindi abbiamo la contea di Barcellona, il regno di Aragona propriamente detto, regno di


Valencia, il regno di Maiorca, il regno di Sardegna, il regno di Sicilia e il regno di Napoli.
Tutti all'interno di questo che alcuni storici hanno chiamato il Commonwealth catalano
aragonese.

Questa unità di questo regno mediterraneo viene infranta con la morte di Alfonso V° il
quale stabilisce per testamento, che l'erede legittimo, Giovanni, dovrà avere i regni iberici
la Sicilia e la Sardegna. Viceversa il regno di Napoli andrà a suo figlio naturale, cioè
legittimo, Ferrante d'Aragona.

Quindi queste due porzioni del regno conosceranno una stagione di separazione; questa
stagione di separazione che vedrà però un ritorno dell'orbita napoletana in un contesto
iberico all'inizio del ‘500, con le guerre d’Italia. Però a quel punto il regno di Napoli non
sarà più legato al mondo catalano aragonese ma a quello castigliano. Siamo nel periodo
della formazione dell’ impero spagnolo.

Quindi il regno di Sardegna e il regno di Sicilia sono governati da Barcellona, dalla corona
di Aragona.

Nel 1492, quando la corona unificata di Castiglia e di Aragona decreta l'espulsione di tutti
gli ebrei, questi ebrei vengono espulsi anche dalla Sicilia e anche dalla Sardegna.

Questo per dirvi che la parola ghetto degli ebrei, che si usa per indicare una zona del
castello, è una denominazione ontologicamente sbagliata.

Li c'era un quartiere ebraico, ma non un ghetto, i ghetti non sono medievali, sono di età
moderna. Il primo ghetto è stato fatto a Venezia nel 1516, la dove c’era una fonderia di
metalli, cioè c’era un getto che in veneziano si pronuncia “ghetto”.

Il ghetto non è semplicemente un quartiere, è una zona murata, una sorta di prigione per
gli ebrei. Quando faceva buio gli ebrei dovevano entrare dentro e chiudere la porta; se
venivano pescati fuori era peggio per loro. Se i ghetti italiani nascono nel ‘500, e poi si
diffondo dopo la controriforma, non potevano esistere nel ‘400, quindi in quella zona di
Cagliari c'erano le case degli ebrei, [48.47quelle che in altre zone della penisola iberica si
chiamano] ma non ci poteva essere un ghetto, perchè il ghetto è di età moderna, ma a
457
quel punto in Sardegna ebrei non ce n’erano più perchè erano stati espulsi cosi come
nella penisola iberica e dalla Sicilia.

Concludiamo questa prima parte del corso accennando agli eventi di natura politico-
militare più significativi, verificatisi fuori dall'Italia tra XIV° e XV° secolo.

Da questo punto di vista per la sua durata la vicenda bellica più importante per
l'Europa occidentale e sicuramente quella etichettata con la definizione di guerra

dei cento anni.

Una lunga, lunghissima fase bellica, durata in realtà più di cento anni, ma con notevoli
interruzioni, che ha visto in contrapposizione da una parte il re di Francia, e dall'altra il re
di Inghilterra.

Il conflitto si origina formalmente per una questione dinastica negli anni ‘30 del XIV°
secolo, per concludersi soltanto con la metà del secolo successivo, quindi con gli anni ‘50
del ‘400. La guerra tra Francia e Inghilterra è sorprendente soprattutto nei decenni iniziali,
perchè il regno di Francia era sicuramente più popolato e con più risorse rispetto al regno
inglese che invece controllava porzioni di territorio più modeste con città più piccole, con
una popolazione numericamente più contenuta.

Si tratta di due regni come abbiamo già visto in una precedente lezione di tipo feudale, e
con rappresentanze di tipo parlamentare anche se, il parlamentarismo inglese era
sicuramente molto molto più sviluppato di quello francese.

Se vi ricordate la prima convocazione di un parlamento cioè di Stati generali in Francia era


avvenuto soltanto all'epoca del suo conflitto con Bonifacio VIII, quindi nel 1302,
mentre il parlamentarismo inglese aveva già un secolo di vita e affianco della camera dei
Lords c'era già anche la camera dei comuni, diciamo piccola assemblea di rappresentanti
delle città.

Voi dovreste avere più di una cartina relativa alla Francia tre quattrocentesca, la prima di
queste fa vedere qual'e la situazione del regno francese del 1328, cioè quando si estingue
la dinastia capetingia, la dinastia originatasi con Ugo Capeto nel 987, quindi una dinastia
che ha avuto più di tre secoli di storia.

458
Come si può vedere dalla carta della pagina seguente, il regno è composto sia da
domini diretti del re di Francia, sia da feudi della corona, cioè da territori che sono
governati da principi e feudatari del re.

Come potete vedere i feudi inglesi, cioè feudi che il regno di Inghilterra ha ancor in Francia
sono ormai molto ridotti. Li troviamo sopratutto in Guascogna e in una piccola
piccolissima porzione di Normandia settentrionale. Questa zona della Guascogna era
molto importante per i re inglesi non solo così per motivi strategici, ma anche per motivi di
alimentazione, perché è da lì che arrivavano ogni anno quantitativi imponenti di vino per la
mensa del re e degli aristocratici inglesi.

Però nonostante questi feudi inglesi si siano notevolmente contratti rispetto ai secoli
precedenti, esisteva ancora una porzione di territorio francese controllato dal re di Londra,
e poi c'era anche il problema della contea di Fiandra che era contesa tra Francia e
Inghilterra; il conte di Fiandra era un vassallo del re francese, e i fiamminghi erano

459
i produttori di stoffe di lana ed erano i principali acquirenti di lana inglese, quindi questa
contesa sulle Fiandre aveva anche motivazioni di ordine economico, quasi tutta la lana
esportata dall'Inghilterra andava a finire in questo periodo nelle Fiandre .

Allora il terreno di scontro è molteplice. Avviene che, nel 1328 si estingue la dinastia
capetingia , muore cioè Carlo IV l'ultimo re di questa dinastia.

Ci sono due pretendenti al trono, cioè due figure legate per via parentale con gli estinti
capetingi: uno di questi e Filippo di Valois che sarebbe il pretendente francese, il cui
padre era fratello di Filippo IV Il Bello, quindi esisteva un legame tra questo pretendente,
Filippo di Valois e la appena scomparsa dinastia francese.

L’altro pretendente e niente meno che Edoardo III il re di Inghilterra, la cui madre era
sorella di Filippo IV Il Bello, quindi come vedete la storia di Francia e Inghilterra e
sempre strettamente connessa, con matrimoni continui e via dicendo, almeno fino a
questo periodo.

Allora Edoardo III rivendica la corona francese, [certo diciamo la tradizione del potere non
gioca dalla sua parte, perchè la parentela per via maschile viene considerata più
importante di quella per via femminile, e poi sopratutto c'è il grosso problema di portarsi in
casa il sovrano inglese invece di accettare una famiglia francese]. Insomma fatto sta che
viene incoronato Filippo di Valois. Questa dinastia di Valois durerà fino all'età moderna.

Edoardo III non la prende bene, e quindi dichiara <va bè allora io, siccome i miei diritti
sono stati calpestati, non presterò più il consueto omaggio feudale al re di Francia per i
beni che ancora possiedono in questa zona> e Filippo di Valois dice <come? come ti
permetti di non prestarmi l'omaggio feudale? io ti confisco le terre perchè tu sei un fellone>
perchè quindi, viene meno al giuramento e allora a questo punto scoppia la guerra.

Teoricamente inizia nel 1337 anche se le prime operazioni di guerra saranno di qualche
anno dopo.

Nel frattempo succede un bel marasma perchè il sovrano inglese ha bisogno di molto
denaro per costituire un esercito: le vettovaglie, bisogna andare al di la della manica,
bisogna armare le navi, insomma anche se molti combattenti sono suoi vassalli, e quindi
sono tenuti a combattere, vi ricordo sempre che sono tenuti a combattere per quaranta

460
giorni,poi se ne tornano a casa o in qualche modo bisogna remunerarli e quindi Edoardo
III pensa a come ammassare il denaro, per questa impresa molto delicata, molto difficile.

Si rivolge quindi ai suoi prestatori abituali, banchieri fiorentini che continuano a prestare
<maestà ma quando la fatte questa guerra? quando ci restituite il denaro?>.

Non si sa quando partire, a un certo punto si diffonde la voce che queste compagnie
hanno finito il denaro, il rubinetto si stava chiudendo e il risultato e che dovunque loro
hanno una filiale ci sono creditori che chiedono soldi indietro perchè pensano che non li
rivedranno più e così queste compagnie falliscono tutte una dietro l'altra.

Territori controllati da Francia e Inghilterra nel 1346


--- Principali battaglie della prima fase della guerra
--- Itinerario dell'esercito di Edoardo III nel 1346
--- Itinerario del Principe Nero nel 1356

461
Dopo aver fatto fallire tutte queste imprese alla fine il sovrano decide di partire, e si arriva
alla prima delle grandi battaglie campali, la battaglia di Crécy, questa località che si trova
nelle Fiandre meridionali, e indicata anche nella cartina successiva che voi avete.

Vedete Crécy si trova quasi sulla Manica, siamo nel 1347; qui avviene un fatto totalmente
inatteso e sconcertante per i francesi, e cioè che l'esercito francese è praticamente
disfatto, la cavalleria francese, questo reparto corazzato che godeva di una sorta di fama
di invincibilità viene invece sbaragliato dall'esercito inglese, in particolare per l'utilizzo
sistematico di un'arma da combattimento che certo non era ignota, ma che non era mai
utilizzata in maniera massiccia come in questa battaglia: questa arma era il cosiddetto
longbow, l'arco lungo, si tratta di un arco alto circa 2 m , per tirare le frecce con un arco di
questo tipo bisogna avere un notevole forza, bisogna
esercitarsi in questo tipo di abilità, ma l'aristocrazia feudale
francese considerava una cosa rozza, esercitarsi nell'arco
stando a piedi.

Nell'esercito inglese invece c'erano reparti di piccoli


proprietari terrieri, i cosiddetti free quarters, cioè liberi
piccoli proprietari terrieri, che vivono senza quello
snobismo aristocratico che invece c'era invece nell'esercito
francese, e prestavano il loro servizio come arcieri, quindi
non è un esercito regolare, sono nobilotti di campagna, che
però entravano a far parte dell'esercito che si esercitavano
quotidianamente nell'uso dell'arco.

Questo arco cosi lungo e cosi potente permetteva di scagliare delle frecce ad una velocità
tale da poter trapassare le corazze. Quindi questi getti continui di frecce, un arco e in
grado di scagliare una freccia molto più rapidamente di una balestra, una balestra e più
precisa, può darsi anche che sia più forte, perchè c'è tutta una manovella per tirare la
freccia, però il tempo che ci vuole per caricare una balestra e cinque o sei volte il tempo
che ci impiega un arciere a scoccare una freccia, quindi la potenza scusate, di fuoco
scusate la parola inappropriata, ma insomma per rendere l'idea degli arcieri inglesi era
molto superiore a quella dei balestrieri.

Cosi cosa accadeva in queste battaglie campali? I cavalieri francesi armati di tutto punto si
lanciavano lance alla testa, venivano investiti da queste piogge di frecce, molti di questi
462
finivano per terra mezzi feriti con l'armatura pesante addosso e dopo di che passava la
cavalleria inglese che schiacciava tutti e poi arrivavano i fanti che tagliavano la gola e via
dicendo.

Quindi una grande disfatta, e per i cavalieri francesi, era un atteggiamento anti sportivo
questo, tirare le frecce quindi evitare il corpo a corpo; infatti cosa accedeva? Quando
catturavano gli arcieri gli tagliavano il pollice e l'indice perchè erano le dita del disonore,
cioè il fatto che non si voleva affrontare il combattimento vis à vis .

Poi c'è la peste nera, quindi tutto si interrompe, e dopo di che si arriva a un'altra battaglia a
Poitiers quindi nella Francia centro-occidentale [anche questa località indicata da una
specie di asterisco, ovviamente la contea del Poitou], dove ancora una volta gli inglesi
sconfiggono l'esercito francese, una sorta di coazione a ripetere.

Non solo ma in questa battaglia nel 1356 il re di Francia viene fatto prigioniero, ecco
l'evento catastrofico che è poi alla base della jacquerie di cui abbiamo parlato la volta
scorsa.

É un grande scacco perché il re francese che viene tradotto in Inghilterra e messo nella
torre di Londra, certo con tutti gli agi di un re, però è prigioniero e bisogna pagare un
grande riscatto.

Di tutto questo ci fornisce una testimonianza esterna un cronista che abbiamo già visto,
cioè Matteo Villani, che nella sua cronaca non manca di riferire queste vicende francesi e
inglesi.

Non vi meravigli che questi cronisti mercanti, si soffermino su episodi di politica


internazionale; essendo mercanti abituati ad operare su spazi molto grandi, erano molto
interessati alle vicende di politica internazionale, perchè erano interessati ai luoghi dove
poi andavano a commerciare.

Quindi che cosa ci racconta Matteo Villani? Della parata, del cerimoniale in qualche modo,
mediante i quali il re di Francia viene portato a Londra.

Matteo Villani, cronista fiorentino, racconta di come il re di Francia, Giovanni II il Buono,


sconfitto a Poitiers, fu condotto prigioniero in Inghilterra (1356)

Avendo il duca di Guales (cioè il duca del Galles) e di altri baroni d'Inghilterra condotto il re di
Francia e 'l figliuolo, e gli altri baroni presi nella battaglia, nell'isola di Inghilterra, feciono
assapere al re Adoardo [Edoardo III] la loro venuta. Il re di presente fece assembrare (fece venire)
463
in Londra di tutta l'isola baroni e cavalieri d'arme e gran borghesi per volere singulare festa in
onore del re di Francia per la sua venuta (si, si fa festa al re di Francia, ma fanno festa a se stessi
perché hanno catturato il re); e fece ch'e' cavalieri di vestissono d'assisa [di parata], e li scudieri
e' borghesi; e, per piacere alloro re, ciascuno si sforzò di comparire orrevole e bello: e ordinato fu
che tutti andassono incontro al re di Francia e facessongli reverenza e onore e compagnia (quindi
c’è proprio un cerimoniale organizzato). E 'l re Adoardo in persona, vestito d'assisa, con alquanti
de' suoi più alti baroni, avendo ordinata sua caccia a una foresta in sul cammino fuori Londra, si
mise là co' detti suoi baroni (dove andavano a caccia i re di Londra? In quelli che oggi sono i
parchi della città; questi parchi si sono salvati dall’edificazione perché erano le riserve di caccia
dei re inglesi; St James’s Park, Regent’s Park e via dicendo, tutti questi parchi bellissimi che ci
sono in questa città enorme erano i luoghi dove i sovrani andavano abitualmente a caccia. E
all’epoca erano non pochi, appunto pensate Londra che era quella che oggi è la city; quindi per
andare dalla city all’abbazia di Westminster si passava per la campagna, cioè c’era una strada
che passava nella campagna; oggi si passa da zone dove ci sono teatri, ma sono tutti quartieri
nati in età temporanea. Quindi andò a caccia, che è una della grandi occupazioni dei sovrani e
dei nobili in tempo di pace, ricordatevi il trattato di Federico II° sulla caccia con il falcone); e
mandata innanzi incontro al re di Francia tutta la supraddetta cavalleria, com'egli si approssimò
alla foresta, il re d'Inghilterra uscito dalla foresta per traverso s'aggiunse col re di Francia in sul
cammino e, avvallato [calato] il cappuccio, inchinatolo con reverenza, gli disse
salutandolo(intanto salutandolo in che lingua? Sicuramente in francese): Bel caro cugino
(perché sono parenti), voi siate il ben venuto nell'isola dell'Inghilterra. E 'l re (re di Francia)
avvallato il suo cappuccio gli rispose che ben fosse egli trovato. E appresso il re d'Inghilterra
l'invitò alla caccia; ed egli lo merciò [ringraziò] dicendo che non era tempo. E il re disse a lui: Voi
potete e a caccia e riviera ogni vostro diporto prendere nell'isola (potete fare quel che volete). Il re
di Francia gliene rendé grazie. E detto: Addio bel cugino, si ritornò nella foresta alla sua caccia. E
'l re di Francia con tutta la compagnia degl'Inglesi con gran festa fu condotto nella città di Londra,
essendo montato in sul maggiore destriere (cavallo da guerra) dell'isola, spagnolo, adorno
realmente e guidato da' baroni al freno e alla sella (simbolo di omaggio: tenere il freno e la sella
del sovrano del papa o di chi era), come dimostramento di grande onore fu guidato per tutte le
buone vie della città, ordinate e parate a quello reale servigio, acciocché tutti gl'Inglesi piccoli e
grandi, donne e fanciulli il potessono vedere. E con questa solennità fu condotto fuori della terra
all'abitazione reale; e ivi apparecchiata la desinea (questo è un francesismo “dejeneur”, il
pranzo) con magnifico paramento d'oro e d'arnesi e d'argento e di nobili vivande, fu ricevuto e
servito alla mensa realmente; e tutti gli altri baroni, e il figliuolo del re, ch'erano prigioni (cioè
prigionieri) furono onorati conseguentemente in questa giornata, che fu a dì 24 di maggio del detto
anno [1356]. Per questa singolare allegrezza e festa si diede più piena fede che la pace fosse ferma
e fatta; ma chi vuole riguardar la verità del fatto, conoscerà in questo processo accresciuta la
miseria dell'uno re (cioè quella del re di Francia) e esaltata la pompa dell'altro (cioè dell’inglese),
e quello che si nascose nella simulata festa si manifestò appresso ne' fatti che ne seguirono (i fatti
che seguirono in Francia è la Jacquerie, la rivolta).

Dopo di che si arriva alla cosiddetta pace di Brétigny del 1360; in base a questa
pace un terzo del territorio francese veniva ceduto in piena sovranità al re di
Inghilterra.

Per alcuni anni fino al 1369 le ostilità sono interrotte, ed è in questo periodo che gruppi di
condottieri cioè di mercenari passano dalla Francia in Italia perchè sono disoccupati,

464
quindi vanno a lavorare per gli stati italiani che abbiamo visto nella seconda meta del ‘300
sono molto indaffarati a farsi la guerra l'uno con l'altro.

Nel 1369 riprende la guerra, ma stavolta i francesi non osano sfidare gli inglesi nella
battaglia campale, e adottano viceversa una tattica di logoramento cioè inseguono
l'esercito inglese ma non lo affrontano, bruciano tutti i campi intorno all'accampamento
inglese in modo che gli inglesi non abbiano di che alimentarsi, perchè dovete pensare alla
grande tragedia di contadini francesi che si trovavano tra l'incudine e il martello,
qualunque esercito passasse rastrellava il raccolto e se lo portava via.

Gli inglesi sono messi nella condizione di avere molte difficoltà nel vettovagliamento.
Questa tattica di logoramento alla fine produce i suoi esiti, perché gli inglesi
progressivamente sono costretti ad andarsene.

All'inizio del ‘400 però si crea un nuovo problema, dinasticamente parlando. Perché il re
Carlo VI è un malato di mente, non è una battuta, cioè tutte le cronache del tempo
indicano che il sovrano era pazzo, e quindi ovviamente con un sovrano in quelle
condizioni ci sono grossi problemi a governare, le principali famiglie aristocratiche fanno
quello che vogliono e soprattutto un ramo secondario della dinastia, una volta ottenuto il
titolo di duchi di Borgogna si mette a fare una politica parallela e talvolta anche ostile
rispetto a quello del re di Francia.

Siamo infatti in un periodo segnato da una guerra civile all'interno della grande
aristocrazia francese: da una parte i cosiddetti Borgognoni cioè i duchi di Borgogna e i
loro alleati, dall'altro gli Armagnacchi [nella zona da cui prende il nome anche un
distillato], che si oppongono al potere dei borgognoni con la monarchia, con la figura del
monarca che era la figura di un vaso di coccio tra vasi di ferro.

Così si arriva al momento in cui un sovrano inglese, Enrico V°, a cui Shakespeare ha
dedicato un'intera opera teatrale, [sono questi i drammi di epopea nazionale che scriveva
Shakespeare alla fine del ‘500], decide che è tempo di tornare al di la della manica per
riprendere ciò che spetta ai re inglesi e cosi nel 1415 abbiamo l'ennesima grande
battaglia, la battaglia di Azincourt.

Azincourt che si trova nella successiva cartina.

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Situazione nel 1429 ██ Territori controllati da Enrico V ██ Territori controllati dal duca di
Borgogna ██ Territori controllati dal delfino Carlo ----█ Principali battaglie --- Attacchi inglesi nel
1415 --- Viaggio di Giovanna d'Arco verso Reims nel 1429

Azincourt si trova nelle Fiandre, oggi in territorio francese, ma all'epoca era nelle Fiandre,
perchè una parte delle Fiandre è stata conquistata dalla Francia del ‘600 all'epoca del re
Sole.

Teoricamente la lingua, il dialetto parlato per esempio a Lille, sarebbe il fiammingo ma


non lo parla più nessuno. Comunque all'epoca era territorio del conte di Fiandra.

Azincourt ennesima grande battaglia e ennesima grande vittoria inglese.

Dopo la vittoria di Azincourt il re inglese sposa la figlia del re folle e si fa incoronare re di


Francia e di Inghilterra.

466
A questo punto sembra che le sorti siano ormai segnate, cioè il regno di Francia sia
destinato a essere parte di una monarchia che gravita tra due sponde della Manica. Però
sette anni dopo essere diventato re, muore per un infezione batterica di tipo intestinale
come spesso accadeva e così accade che tutto viene rimesso in moto, tutto viene
rimescolato e la Francia torna ad essere terra del caos.

La vicenda prende una piega particolare quando entra in scena un personaggio da


leggenda, da non crederci, un’adolescente, una ragazza adolescente che faceva la
guardiana del bestiame: Giovanna d'Arco { Jeanne d'Arc } la quale comincia a dire in
giro che lei ha ricevuto in visione Dio, e Dio ha detto che è con i francesi, “Dio è con noi, è
contro gli inglesi e vuole che i francesi caccino a pedate gli inglesi al di la della Manica”.

Dopo le prime ovvie incertezze e incredulità, questa Giovanna d'Arco riesce a convincere i
prelati di Francia, riesce a mettere d'accordo l'aristocrazia francese e ciò che era molto
difficile, e riesce a convincere l'aspirante re di Francia, Carlo VII, ad andare a combattere
ad Orleans che e sotto assedio degli inglesi.

Questa stessa ragazza, Giovanna d'Arco, si mette l'armatura e va a combattere, combatte


insieme ai guerrieri francesi. Per questo che poi lei passerà alla storia come la "pulzella di
Orleans" perchè l'esercito francese guidato da Giovanna d'Arco va in soccorso di questa
città sulla Loira sconfiggendo gli inglesi, a questo punto tutti credono che questa ragazza
sia una sorta di inviata di Dio.

Così i francesi da questo momento in poi, dalla rottura dell'assedio di Orleans del 1429-30,
non fanno altro che conseguire una vittoria dietro l'altra fino a che con gli anni ‘50 del ‘400
ciò che rimane in mano agli inglesi sarà soltanto Calais, questo porto strategico per il
passaggio della manica.

Però Giovanna d'Arco, che ha contribuito enormemente al riscatto francese, suscitando


forse per la prima volta nella storia della Francia un sentimento nazionale, perchè i
sentimenti nazionali ci hanno messo molto tempo a svilupparsi.

In molti contesti europei il sentimento nazionale è legato all’ ‘800, anche se da noi fa
strada pure oggi ad affermarsi, però in molte zone d'Europa il sentimento nazionale ha a
che vedere con il XIX secolo.

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Nelle monarchie di origine medievale come la Francia e l'Inghilterra è nato molto prima.
Molti storici sono dell'idea che la fine della guerra dei cent'anni ha cementato l'idea che la
Francia sia un regno basato sull'identità. identità collettiva , eccetto Giovanna, ha
contribuito molto alla promozione e alla prima diffusione di questa identità collettiva.

Lei però fa una brutta fine, perché e stata catturata pochi anni dopo la vittoria di Orleans,
poi e stata giudicata da un tribunale di teologi parigini, i quali l'hanno giudicata una strega
e quindi l'hanno mandata sul rogo, come si faceva con le streghe.

Però diciamo questa vicenda segna la definitiva vittoria francese e la netta separazione
della monarchia francese da una parte e quella inglese dall'altra. le due nazioni
continueranno a farsi la guerra per secoli però a questo punto i destini interni sono segnati
una volta per tutte.

Chiudo con che cosa? Con un altro evento che non c'entra nulla con quello detto fin ora,
che però ha segnato un momento epocale nella storia dell'Europa di fine medioevo, vi
furono conseguenze che in parte si sentono ancora oggi, che è la conquista turca di
Costantinopoli. La formazione, quindi, di un impero multilinguistico, multietnico,
multireligioso tra Europa, Asia e Africa, cioè l'impero Ottomano che è scomparso da
poco, storicamente parlando, cioè cento anni fa con la prima guerra mondiale.

Gli Ottomani si erano insediati in una porzione settentrionale dell'Anatolia già all'inizio
del ‘300, e per tutto il XIV° secolo avevano allargato il loro territorio sia all'Asia minore e
poi alle porzioni sud orientali del continente europeo.

L'impero bizantino era di fatto un ectoplasma già dalla fine del ‘300. Perché? Guardate
l'ultima cartina che voi avete, dalla quale vi potete rendere conto, che alla fine del XIV
secolo gli ottomani occupavano non solo quasi tutta l'Asia minore ma anche zone che
oggi fanno parte della Bulgaria, della Serbia, della Bosnia della Grecia e via dicendo.

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L'impero di Costantinopoli era la città con le fasce rurali vicine, e porzioni dell'Attica e del
Peloponneso, qualche isola, questo è l'impero bizantino alla fine del ‘300.

Probabilmente Costantinopoli sarebbe caduta prima di quando cadde effettivamente nel


1453, se all'inizio dei primissimi anni del ‘400 non si fosse creato nuovamente un impero
mongolo, molto effimero ma molto devastante nelle sue distruzioni con Tamerlano,
passato alla storia come un distruttore, dove passava lui, radeva tutto al suolo, e cosi per
almeno due/tre decenni gli ottomani furono impegnati a fronteggiare il pericolo di
Tamerlano.

Poi ripresero pienamente l'offensiva, cercarono vanamente e mal organizzandosi tra loro
di fermare l'avanzata turca, ci provò in Ungheria, vari principi ma sempre con risultati
molto molto deludenti.

Poi nel corso nei decenni centrali del ‘400 l 'espansione riprende vigorosa arrivando al
Danubio e sottomettendo vaste zone dei Balcani.

Così si arriva all'assedio di Costantinopoli tra il 1452 e il 1453. In questo assedio come
accennavamo ieri per la prima volta viene utilizzata in maniera sistematica l'artiglieria per
bombardare la città. Una città che si difendeva con ciclopiche mura costruite più di dieci
469
secoli prima: son le mura teodosiane, cioè costruite da Teodosio II, nella prima meta del V
secolo e che racchiudevano una superficie di 1400 ettari.

Un esercito imponente con decine di migliaia di soldati assedia la città ormai in larga parte
disabitata e difesa quasi essenzialmente da genovesi e veneziani che avevano molto da
perdere dal punto di vista commerciale da un espansione ottomana in questa zona
dell'Europa, loro li avevano le loro cittadine coloniali, le loro isole e quindi temevano
giustamente di perdere la supremazia mercantile in quest'area del Mediterraneo orientale.

L'assedio dura circa un anno e poi a un certo punto la città cade, e alla caduta fa seguito
ovviamente l'orrore del saccheggio, stragi, quasi tutti i cristiani che si trovano nella città
vengono ridotti in schiavitù portati via, le chiese son trasformate in moschee, la grande
basilica di Santa Sofia, chiesa del VI secolo costruita da Giustiniano, viene trasformata in
moschea infatti vengono costruiti dei minareti intorno alla moschea. Minareti che si
possono vedere anche oggi però oggi Santa Sofia è un museo, almeno finora e stata un
museo, e un museo da circa 100 anni , un po’ meno 100 anni per volontà di Mustafa
Kemal detto Atatürk il fondatore della Turchia laica, subito dopo la prima guerra mondiale.

Ora non si sa se continuerà ad essere un museo Santa Sofia, perchè la Turchia negli anni
recenti ha interrotto la tradizione laica, e al potere c'è un partito islamico, islamico
moderato ma pur sempre islamico.

Vediamo il resoconto della conquista di Costantinopoli in una lettera inviata da un vescovo


di Mitilene, piccola isola dell'Egeo, al pontefice Niccolò V°; la città e caduta il 29 maggio la
lettera e datata il 16 agosto, ovviamente la lettera era scritta in latino.

Questo arcivescovo di Mitilene dice al papa

La caduta di Costantinopoli nella lettera di Leonardo di Chio arcivescovo di


Mitilene al papa Niccolò V (16 agosto 1453)

Dio pertanto, inquieto nei nostri confronti (ovviamente i disastri sono sempre interpretati come
punizioni divine), inviò Mehmet (Maometto il conquistatore), giovane e pieno di audacia, avido di
gloria, pronto alla conquista del potere, nemico giurato dei cristiani. Questi, presentatosi di fronte
a Costantinopoli, pose il 5 aprile 1453 accampamento e tende con trecentomila guerrieri (cifre
iperboliche, da non prendere per vere. Una cifra troppo elevata) e più attorno alla città dalla
parte della terraferma. I soldati erano in maggioranza cavalieri, ma quelli che partecipavano ai
combattimenti erano, per solito, tutti fanti. Fra questi, quindicimila venivano destinati alla
protezione del sovrano (la guardia del corpo). Si trattava di prodi guerrieri denominati
"giannizzeri", come i Mirmidoni dislocati presso Alessandro il Macedone, i quali erano
originariamente cristiani o figli di cristiani, passati, al contrario, dal cristianesimo all'islamismo.

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Due giorni dopo Mehmet, dispostosi avanti alla città, fece avvicinare al fossato molti strumenti di
guerra, coperti di frasche e vimini intrecciati con cui i combattenti potessero proteggersi attorno ai
contrafforti e al fossato ...
I nostri cominciano a combattere e resistono con valore, respingono i nemici con colpi di
bombarda e di balestra e da una parte e dall'altra muore una quantità quasi uguale di combattenti.
Quando si appressa l'alba, dopo una notte quanto mai tenebrosa, i nostri sono ancora in una
situazione vantaggiosa, ma quando scompaiono gli astri e la stella di Lucifero anticipa il sorgere
del sole, l'esercito dei turchi si solleva per intero e attacca Costantinopoli da ogni parte, squillano
le trombe dei diversi contendenti, mentre i turchi gridano a più non posso "La ilaha illallàh", il dio
della guerra. Nel giro di un'ora tutta la città resta investita ... ma il sole non aveva ancora dato
luce alla metà della superficie terrestre che tutta Costantinopoli era caduta preda dei pagani ... [29
maggio 1453]
Per tre giorni la città fu preda dei nemici saccheggiatori, sino a che questi, stanchi di accumulare
ricchezze, la abbandonano nelle mani del sovrano turco e tutti i cristiani - sessantamila circa legati
con funi, vengono presi prigionieri (in realtà poi molti di questi saranno liberati, per volontà dello
stesso sultano. Perché il sultano voleva Costantinopoli, ma non la voleva vuota e poi voleva
Costantinopoli anche perché sentiva il fascino della tradizione romana del potere, quindi voleva,
da musulmano, presentarsi come una sorta di imperatore romano. Infatti accadrà, poi, che a
lungo Costantinopoli sarà una città in cui la maggioranza della popolazione non sarà
musulmana, ma cristiana ed ebrea. Molti degli ebrei espulsi dalla penisola iberica e poi
dall’impero spagnolo, finiranno a Istanbul come i turchi chiameranno Costantinopoli. Quindi
c’è prima la punizione e poi il riscatto). Ogni ricchezza e ogni preda vengono trasportate alla
tenda; le croci, strappate dalle cupole e dalle pareti delle chiese, furono calpestate in segno di
supremo dileggio; vennero violentate le donne, deflorate le fanciulle, oltraggiati turpemente i
giovinetti, contaminati con atti di lussuria le monache e quelle che le servivano. Gettarono a terra
le sacre icone di Dio e dei santi e su esse compirono non solo orge, ma anche atti di lussuria. Poi
portarono in giro per gli accampamenti il crocefisso e schernendolo gridavano: "Ecco questo è il
Dio dei cristiani" (quindi la città dopo aver subito il saccheggio del 1204 subisce anche
quest’altro).

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