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Alto Medioevo

(modulo 116)

Claudio Azzara
Università di Salerno

Gherardo Ortalli
Università di Venezia

Ultima revisione 7 luglio 2006


ICoN – Italian Culture on the Net C. Azzara, G. Ortalli – Alto Medioevo

Presentazione del modulo

Il modulo si propone di introdurre alla conoscenza del medio evo seguendo le vicende italiane
anche in riferimento ai grandi eventi della storia generale. Dopo avere presentato l'età storica che
convenzionalmente si indica come medioevo e avere precisato come essa prenda avvio dalle
macerie dell'antico Impero romano d'Occidente, se ne analizzano le fasi principali fino all'età
carolingia e ai secoli IX e X. Il punto d'avvio, insieme alla crisi del mondo tardo-antico, è dato
dall'affermarsi della nuova religione cristiana che caratterizzerà profondamente la realtà medievale.
Il percorso viene poi seguito con andamento cronologico facendo riferimento diretto agli sviluppi
istituzionali. Vengono così presentati il regno ostrogoto, quello longobardo e il ritorno dell'Italia
sotto il dominio imperiale, nel periodo di preminenza bizantina. Il modulo si conclude poi trattando
della fase in cui la penisola italica passò sotto il dominio di Carlo Magno e, quindi, dei suoi
successori, con i quali si ebbe una fase di allentamento dei poteri pubblici e di gravi difficoltà di
ordine istituzionale e militare.

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Guida al modulo

Scopo del modulo

Scopo generale del modulo Alto Medioevo I è apprendere gli eventi occorsi dalla caduta dell'Impero
Romano d'Occidente (476) fino alla dissoluzione delle strutture politiche del Regno italico
carolingio; si devono apprendere in primo luogo la definizione di "medioevo", la crisi dell'Impero
romano in occidente, l'avvento del Cristianesimo, le dispute teologiche, la formazione dei regni
romano-barbarici in Italia (Goti, Longobardi e Franchi) e la loro convivenza con le aree ancora
controllate dall'Impero Romano d'Oriente, o Bizantino, e la successiva frammentazione politica del
regno italico (tardo IX-X secolo).

Lista degli obiettivi

UD 1 - La crisi dell'Impero romano e l' "inizio" del medioevo

Obiettivo di questa unità didattica è saper fornire una definizione, concettuale e cronologica, di
"medioevo", descrivendo al contempo caratteristiche e cause della decadenza dello Stato romano in
Occidente durante l'epoca tardoantica (III-V secolo).

Sottoobiettivo: fornire la definizione concettuale e i limiti cronologici convenzionali


del "medioevo".

Sottoobiettivo: saper descrivere le fasi della decadenza dello Stato romano.

Sottoobiettivo: saper descrivere in sintesi le cause della decadenza dell'Impero


romano in Occidente.

Sottoobiettivo: saper descrivere per sommi capi le condizioni dell'Italia nel V secolo,
all'inizio del "medioevo".

UD 2 - La diffusione del Cristianesimo

Obiettivo di questa unità didattica è comprendere le modalità di diffusione della religione Cristiana
nei territori dell'Impero romano durante l'epoca tardoantica (III-V secolo).

Sottoobiettivo: comprendere come il potere imperiale concesse il diritto di culto ai


Cristiani.

Sottoobiettivo: saper descrivere come la nuova religione dovette affrontare i


problemi legati alla definizione dei dogmi di fede (dogmi "cristologici", ossia sulla
natura del Cristo) e conoscere la definizione di "arianesimo" e "cattolicesimo".

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Sottoobiettivo: saper descrivere in sintesi il processo di cristianizzazione delle stirpi


pagane barbariche.

Sottoobiettivo: saper individuare e descrivere il fenomeno del monachesimo e le


figure dei vescovi come elementi cardine dell'organizzazione ecclesiastica.

UD 3 - Il regno ostrogoto in Italia

Obiettivo di questa unità didattica è saper descrivere le vicende della dominazione ostrogota in
Italia, che costituì il primo vero regno romano-barbarico della Penisola e illustrare i contradditori
aspetti della politica del principale sovrano goto, Teoderico.

Sottoobiettivo: conoscere la provenienza e le cause storiche dell'arrivo dei Goti


(Ostrogoti) in Italia.

Sottoobiettivo: conoscere le modalità dello stanziamento dei Goti nella Penisola.

Sottoobiettivo: conoscere la politica di Teoderico, primo monarca Ostrogoto, e la


natura dei rapporti fra Goti e Romani.

Sottoobiettivo: saper descrivere le cause dei contrasti tra Bizantini e Goti, durante gli
ultimi anni di Teoderico e i suoi successori.

UD 4 - Il regno longobardo

Obiettivo di questa unità didattica è saper descrivere le caratteristiche innovative della dominazione
longobarda in Italia, durata fino agli anni Settanta dell'VIII secolo, che per certi aspetti segnò
idealmente l'abbandono del retaggio tardoantico e iniziò il "medioevo" italiano, nella divisione del
territorio fra Bizantini, Longobardi e poteri semiautonomi.

Sottoobiettivo: conoscere provenienza e modalità di stanziamento dei Longobardi in


Italia.

Sottoobiettivo: conoscere l'evoluzione del regno longobardo, con cenni alla


codificazione delle leggi avvenuta sotto Rotari (643).

Sottoobiettivo: conoscere le cause della fine del dominio longobardo in Italia.

Sottoobiettivo: descrivere lo scenario politico della Penisola all'avvento di Carlo


Magno.

UD 5 - L'Italia bizantina

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere le caratteristiche della dominazione bizantina in


Italia e le aree su cui i Bizantini esercitarono la loro potestà.

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Sottoobiettivo: conoscere in sintesi le fasi della guerra "greco-gotica" che restituì


temporaneamente l'Italia a Giustiniano.

Sottoobiettivo: conoscere le fasi del confronto militare tra Bizantini e Longobardi,


sopraggiunti in Italia subito dopo la fine del conflitto con i Goti.

Sottoobiettivo: descrivere l'organizzazione del governo bizantino in Italia e le


caratteristiche della società bizantina nella Penisola.

Sottoobiettivo: descrivere i vantaggi che l'Italia ebbe nel mantenere relazioni


economico-politiche con Bisanzio.

Sottoobiettivo: descrivere la progressiva decadenza della dominazione bizantina in


Italia.

UD 6 - I Carolingi in Italia

Obiettivo di questa unità didattica è saper descrivere sinteticamente le vicende del regno d'Italia
sotto Carlo Magno e i sovrani Carolingi, un periodo denso di mutamenti, che vide il ricambio di
parte delle élites e che fu condizionato nell'ultima fase da una progressiva frammentazione politica.

Sottoobiettivo: conoscere le modalità con cui Carlo Magno intervenne in Italia e


pose fine al regno longobardo, e i mutamenti introdotti nello scenario politico e
territoriale.

Sottoobiettivo: descrivere sinteticamente per cenni l'assetto politico-istituzionale


dell'Italia carolingia.

Sottoobiettivo: conoscere come e a chi venne trasmessa la corona italica fra i


successori di Carlo Magno e come venne collegata alla dignità imperiale.

UD 7 - Regno e poteri locali

Obiettivo di questa unità didattica è conoscere il problema del particolarismo politico determinato
dalla dissoluzione dell'ordinamento pubblico carolingio e dalla crisi dinastica della monarchia
franca.

Sottoobiettivo: conoscere e saper analizzare il fenomeno noto come "signoria", nella


sua duplice accezione di signoria fondiaria e "di banno".

Sottoobiettivo: conoscere i successivi monarchi italici e imperatori.

Sottoobiettivo: descrivere la frammentazione politica della Penisola nel X secolo.

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Contenuti del modulo

Il modulo è composto dal testo delle lezioni.

Attività richieste

Lettura e studio dei materiali che compongono il modulo. Svolgimento degli esercizi di
autovalutazione.

Materiale facoltativo di approfondimento

Lettura di alcune pagine tratte dai seguenti moduli:

m00274 [Le fonti della storia medievale: l'Alto Medioevo]: 2.2, 3.1, 3.2, 3.3, 3.4, 3.5, 4.1, 7.2, 7.4
m00275 [Papato e impero]: 2.6, 2.7
m00331 [L'antichità cristiana]: 2.4, 5.1, 5.5, 7.3, 7.4
m00332 [La cristianità medievale]: 2.3

Lettura di alcune schede e voci di approfondimento:

- Carlomagno, re dei Franchi e imperatore


- Franchi
- Goti
- Teodorico, re degli Ostrogoti

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Indice delle unità didattiche

UD 1 - La crisi dell'Impero romano e l' "inizio" del medioevo

L'unità didattica introduce il concetto di medioevo, ne delimita cronologicamente l'ampiezza e


descrive il processo di decadenza - e le relative cause - dell'Impero romano in epoca tardoantica.

1.1 - Cosa è il medioevo

1.2 - La fine dell'Impero romano d'Occidente

1.3 - Le premesse alla crisi dello Stato romano

1.4 - La lunga agonia dell'Impero romano

1.5 - L'inizio di un'epoca nuova

UD 2 - La diffusione del Cristianesimo

L'unità esamina la rapida diffusione e affermazione della fede cristiana nella società tardoantica
greco-romana e presso le popolazioni barbariche giunte in contatto con i popoli dell'Impero,
mettendo in evidenza problemi e descrivendo i protagonisti di tale fenomeno, che fu il tratto
caratteristico che conferì un'identità comune all'Europa medievale.

2.1 - L'affermazione del Cristianesimo nell'Impero romano

2.2 - Il problema della definizione del dogma

2.3 - La cristianizzazione delle stirpi barbariche

2.4 - Vescovi e monaci

UD 3 - Il regno ostrogoto in Italia

L'unità didattica descrive le vicende della dominazione ostrogota in Italia, che costituì il primo vero
regno romano-barbarico della Penisola, e illustra i contradditori aspetti della politica del principale
sovrano goto, Teoderico, e la successiva fine del regno per mano delle truppe bizantine di
Giustiniano.

3.1 - La nascita del regno goto in Italia

3.2 - Modalità dello stanziamento dei Goti

3.3 - Caratteri istituzionali del regno goto

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3.4 - Il potere del re

3.5 - La fine del regno

UD 4 - Il regno longobardo

L'unità descrive le caratteristiche innovative della dominazione longobarda in Italia, durata fino agli
anni Settanta dell'VIII secolo, che per certi aspetti segnò idealmente l'abbandono del retaggio
tardoantico e iniziò il "medioevo" italiano, nella divisione del territorio fra Bizantini, Longobardi e
poteri semiautonomi.

4.1 - L'invasione longobarda dell'Italia

4.2 - Caratteri dello stanziamento

4.3 - L'evoluzione del regno longobardo

4.4 - La fine del regno

UD 5 - L'Italia bizantina

L'unità didattica descrive le fasi della guerra "greco-gotica", con cui Giustiniano riconquistò l'Italia
e le caratteristiche della dominazione bizantina in seguito alla calata dei Longobardi in Italia.

5.1 - Il ritorno dei Bizantini in Italia

5.2 - Il lungo conflitto con i Longobardi

5.3 - La società bizantina in Italia

5.4 - Il legame con Bisanzio negli equilibri internazionali

5.5 - Lo spegnersi della presenza italiana di Bisanzio

UD 6 - I Carolingi in Italia

L'unità narra le vicende del regno d'Italia sotto Carlo Magno e i sovrani Carolingi, un periodo denso
di mutamenti, che vide il ricambio di parte delle élites e che fu condizionato nell'ultima fase da una
progressiva frammentazione politica.

6.1 - Carlo Magno conquista l'Italia

6.2 - L'assetto dell'Italia carolingia

6.3 - L'Italia sotto i successori di Carlo Magno

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UD 7 - Regno e poteri locali

L'unità didattica affronta il problema del particolarismo politico determinato dalla dissoluzione
dell'ordinamento pubblico carolingio e dalla crisi dinastica della monarchia franca. Viene analizzato
il fenomeno noto come "signoria", nella sua duplice accezione di signoria fondiaria e "di banno".

7.1 - La dissoluzione dell'ordinamento pubblico carolingio e la frammentazione del


potere

7.2 - Il regno d'Italia e il titolo imperiale

7.3 - Le diverse realtà dell'Italia del X secolo

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UD 1 - La crisi dell'Impero romano e l'inizio del medioevo

L'unità didattica introduce il concetto di medioevo, ne delimita cronologicamente l'ampiezza e


descrive il processo di decadenza - e le relative cause - dell'Impero romano in epoca tardoantica.

1.1 - Cosa è il medioevo

1.2 - La fine dell'Impero romano d'Occidente

1.3 - Le premesse alla crisi dello Stato romano

1.4 - La lunga agonia dell'Impero romano

1.5 - L'inizio di un'epoca nuova

1.1 - Cosa è il medioevo

L'epoca storica che indichiamo come "medioevo", o "medio evo", comprende i circa dieci secoli
compresi tra la fine del mondo antico e l'età moderna. La divisione in tre grandi periodi (antico,
medievale, moderno), alla quale ancora oggi abitualmente si ricorre, venne introdotta fra
Quattrocento e Cinquecento dalla cultura umanistica; con questa partizione gli intellettuali
dell'epoca esprimevano il convincimento e la speranza nell'inizio di una nuova era che - dopo una
decina di secoli che ai loro occhi apparivano difficili e bui (appunto il medio evo) - si aprisse a
nuovi migliori orizzonti recuperando lo splendore da loro attribuito all'età classica (l'evo antico).

L'articolazione in tre epoche ha naturalmente un valore soltanto convenzionale e non esclude altre
divisioni possibili, come per esempio quella tra alto e basso medio evo; a una fase altomedievale,
segnata prima dalla crisi del mondo tardo antico e da un periodo di grave depressione, poi da una
stabilizzazione e da una prima lenta ripresa a partire dai secoli VIII-IX, sarebbe seguita la "rinascita
dell'anno Mille", un periodo (XI-XII secolo) di grande crescita e generale ripresa, in cui l'Europa
passò da una posizione di retroguardia e sottosviluppo a una posizione di avanguardia rispetto alle
altre grandi civiltà del tempo (anzitutto la bizantina e l'islamica).

Una corretta valutazione dell'età di mezzo, naturalmente, non può esaurirsi nel severo giudizio dato
dagli umanisti, i quali, nell'ansia di una rinascita in grado di ricreare la magnifica civiltà che
attribuivano all'epoca classica, videro a tinte fosche quel lungo periodo che invece, come tutti gli
altri, precedenti e successivi, fu un misto di luci e ombre, di fallimenti e successi. Il medioevo fu
comunque un'età di forti cambiamenti e in essa maturarono grandi novità che in larga misura
segnano ancora l'epoca odierna.

Indicare quando il medio evo inizia e quando finisce ha soltanto un valore convenzionale, dal
momento che i grandi processi storici, quelli che cambiano davvero il mondo, richiedono percorsi
lenti e una forte gradualità. Ciò premesso, i limiti cronologici più usuali per indicare il medio evo
sono il 476, la deposizione dell'ultimo imperatore romano d'Occidente, e il 1492, la scoperta
dell'America da parte di Cristoforo Colombo.

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1.2 - La fine dell'Impero romano d'Occidente

Il termine dell'età antica e l'inizio del medio evo sono dunque convenzionalmente datati al 476. In
realtà la fine dell'Impero romano d'Occidente sopravvenne dopo lunghi anni di straordinarie
difficoltà. Dal tempo di Diocleziano (284-305) l'Impero era retto con il sistema della tetrarchia (dal
greco "governo a quattro") [Fig.1] per cui il governo era diviso fra due Augusti, gli imperatori in
carica, uno per l'Oriente e l'altro per l'Occidente, e due Cesari, destinati a succedere ai primi. La
riforma era dunque in vigore da oltre 170 anni, quando un consistente gruppo di truppe di ceppo
germanico di varia provenienza, guidato da Odoacre, si ribellò all'autorità dell'imperatore
d'Occidente, il piccolo Romolo Augustolo, e a suo padre Oreste, effettivo titolare del potere.

Fig.1: I Tetrarchi, Venezia, San Marco, fine del III secolo d.C., porfido, cm. 130.

A Pavia, nella battaglia decisiva, Odoacre ebbe il sopravvento: Oreste veniva ucciso e Romolo
Augustolo deposto. Poteva trattarsi di uno di quei passaggi di regime a cui l'Impero era piuttosto
abituato, ma Odoacre non assunse il titolo di Augusto e non nominò un imperatore-fantoccio;
rimandò invece le insegne imperiali a Costantinopoli, capitale dell'Impero romano d'Oriente,
chiedendo per sé (senza peraltro ottenerlo) l'alto titolo di patrizio. Gli eventi del 476, dunque,
comportarono formalmente la fine dell'Impero romano d'Occidente, ma a segnare davvero il
tramonto del mondo antico e l'inizio del medio evo non poteva essere un evento al cui forte valore
simbolico corrispondevano conseguenze pratiche davvero poco rilevanti.

Per capire le ragioni del tracollo della civiltà romana tardo-imperiale non basta nessun singolo
evento. Occorre invece pensare a un lungo processo di decadenza, sviluppatosi per gradi nel corso
dei secoli, al termine del quale si è dovuto prendere atto di come si fosse aperta una pagina
totalmente nuova, appunto quella medievale. Il lento ma drammatico e radicale cambiamento era
maturato per il convergere di situazioni di carattere molto vario. L'idea diffusa che l'Impero sia
crollato sotto i colpi di genti nemiche venute dall'esterno, i "barbari", è soltanto in parte esatta. Le
pressioni sui confini, poi le infiltrazioni sempre più consistenti, e infine le vere e proprie invasioni
di popoli nuovi furono senz'altro un elemento di drammatica gravità, ma la loro azione coincise con
una situazione di crisi dell'Impero fattasi sempre più pesante almeno a partire dal III secolo.

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1.3 - Le premesse alla crisi dello Stato romano

La struttura dello Stato romano in passato aveva saputo resistere e rafforzarsi di fronte a minacce e
avversari non meno pericolosi dei barbari che dal III secolo premevano sui confini con particolare
insistenza, ma l'Impero si presentava ora in condizioni di debolezza strutturale.

Per capire le difficoltà del mondo romano nella tarda antichità si possono anzitutto ricordare quei
fattori ciclici dei quali lo storico spesso rischia di dimenticarsi. Gli andamenti climatici e quelli
epidemici erano entrati in una fase decisamente sfavorevole. L'epidemia del 180 d.C. (nella quale
era morto anche il grande imperatore Marco Aurelio) era stata il primo segno di una lunga fase di
particolare aggressività delle grandi malattie (quali malaria, vaiolo, peste, lebbra) che avevano
falciato vite con indubbie ricadute sull'organizzazione dello Stato. Dal III secolo sembra pure che il
clima fosse entrato in una fase meno propizia, provocando squilibri per l'economia e anzitutto per il
settore agricolo.

Naturalmente i problemi di carattere ciclico colpivano indifferentemente i Romani e i loro


avversari, ma un inceppamento dei meccanismi della vita quotidiana era incomparabilmente più
pesante per una macchina complessa e raffinata come quella dello Stato romano che non per la
macchina semplice e per certi versi primitiva, ai limiti del semi-nomadismo, dei suoi avversari. È
sempre il meccanismo con gli ingranaggi più delicati e complessi che rischia di fermarsi per un
guasto.

A prescindere dai fattori ciclici, le invasioni trovarono uno Stato che era venuto gradualmente
irrigidendosi nelle proprie strutture, senza spazi reali per possibili recuperi quando i nodi fossero
venuti al pettine. L'economia funzionò a lungo in modo positivo e le conquiste avevano
periodicamente portato flussi straordinari di capitali e risorse. L'agricoltura, vera base di tutte le
economie fino alla rivoluzione industriale, aveva saputo nutrire senza eccessivi problemi una
popolazione relativamente numerosa, coprendo i bisogni alimentari persino di una città dalle enormi
dimensioni come Roma.

La mano d'opera schiavistica, di bassa produttività ma di ancor più basso costo, aveva fornito forza
lavoro abbondante e sfruttabile senza remore. Il commercio, anche se meno reputato agli occhi della
società di quanto non fosse il possesso fondiario, aveva a lungo funzionato, consentendo anche il
formarsi di considerevoli fortune. La gestione del territorio era tecnicamente raffinata (si pensi alla
centuriazione, il sistema di parcellazione del terreno coltivabile) e il sistema viario collegava in
modo razionale le diverse parti dell'Impero. Tutto sembrava funzionare, ma quando, specialmente
dal III secolo, si presentarono elementi di crisi, il sistema non seppe reagire in modo efficace.

1.4 - La lunga agonia dell'Impero romano

A partire dal III secolo l'agonia dell'Impero fu lenta ma implacabile. La perdita di sicurezza ai
confini sotto la pressione di genti ostili trovò uno Stato sempre più debole. I costi delle guerre
continue e insieme dei conflitti interni tra gruppi di potere in contrasto fra loro ebbero ricadute
gravissime, con un sistema fiscale che si fece sempre più gravoso fino a giungere alla sparizione
della grande massa dei piccoli contribuenti. I liberi coloni non furono più in grado di reggere ai
carichi loro imposti e le loro terre andarono ad alimentare latifondi sempre più ampi. I processi
inflattivi e di svalutazione della moneta non furono fermati e interventi come l'introduzione del
calmiere o l'obbligo per i cittadini di non abbandonare i luoghi di residenza e i loro mestieri, furono
rimedi temporanei, con vantaggi di breve durata.

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Finita l'epoca delle vittoriose guerre di conquista la mano d'opera schiavistica divenne sempre più
rara. Il calo demografico, la riduzione di abitanti nelle campagne e nelle città, la decadenza del
sistema viario, la crescita della burocrazia e delle tentazioni assolutistiche, lo stesso enorme spazio
che si apriva alla nuova cultura cristiana furono il segno di una profonda crisi delle strutture interne
del sistema imperiale. Le pressioni dei nemici esterni si combinarono alle difficoltà interne in una
miscela che si rivelò mortale per l'antico Impero romano nel suo versante d'Occidente.

Dal III secolo si era dunque entrati in una fase in cui nuove difficoltà si aggiungevano
continuamente alle vecchie rimaste irrisolte. A modificare la situazione non riuscirono nemmeno i
più decisi tentativi di riorganizzazione dello Stato e delle strutture sociali. Dopo Diocleziano fu
Costantino (306-337) a tentare percorsi davvero innovativi. La collaborazione che seppe istituire fra
il Cristianesimo e l'Impero creò le premesse per uno stretto intreccio che sarebbe poi durato per
secoli, ma non riuscì a porre rimedio alla crisi politica, istituzionale e di potere, che diventava
sempre più grave. Anche il deciso intervento in ambito monetario non bastò a riassestare l'economia
in profonda crisi.

I momenti di ripresa del IV secolo furono di breve durata e non compensarono le molte turbolenze
interne, le difficoltà economiche e, infine, le disfatte militari, come quella di Adrianopoli (378) in
cui morì l'imperatore Valente. Quando nel 410 i Visigoti saccheggiarono Roma si ebbe la
sensazione che fosse ormai prossima la fine del mondo.

1.5 - L'inizio di un'epoca nuova

Tornando al 476, l'Italia al tempo di Odoacre era ormai una realtà totalmente nuova rispetto al
passato. Stava per entrare nella nuova fase dei regni romano-germanici. Mentre le istituzioni e le
strutture dell'Impero d'Oriente, con la sua capitale Costantinopoli (o Bisanzio) riuscivano a reggere,
ponendosi come eredi di Roma, in Occidente la frattura era grave. Il tramonto dell'Impero non
significava soltanto un cambio dei vertici politici ma coincideva piuttosto con un'organizzazione del
tutto diversa della società.

Roma era nel pieno di una fase di drastica decadenza, ma più in generale le città, i municipia,
particolarmente numerosi e forti in ambito italico, si trovavano in condizioni molto gravi e ciò era
reso evidente dal restringersi delle zone abitate all'interno di mura divenute troppo ampie per una
popolazione ridotta: mura delle quali non c'era stato nessun bisogno quando l'Impero fioriva e i suoi
nemici erano bloccati alle frontiere. Sulla via Emilia si affacciavano "cadaveri di città semidistrutte"
e le campagne nel complesso non stavano meglio. Va però detto che in Italia le strutture cittadine
seppero resistere con più vigore che altrove e rimasero un elemento centrale nella storia del Paese.

Il vecchio ceto dirigente romano intanto cedeva il passo alla nuova aristocrazia germanica:
aristocrazia militare, che avrebbe lasciato ai romani i compiti della gestione amministrativa,
occupandosi piuttosto di quanto nella sua cultura era preminente: il controllo sugli uomini e
l'esercizio delle armi. La situazione comportava intanto un semplificarsi delle strutture pubbliche e
la macchina statale riduceva le proprie funzioni a livelli molto modesti mentre, in questo quadro di
generali difficoltà, stava crescendo il ruolo della cultura cristiana e della Chiesa, la quale sempre più
si trovava a sostituire gli organismi dello Stato nello svolgere compiti propri delle autorità laiche.

Il mondo antico era veramente finito e lasciava il campo all'età medievale.

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UD 2 - La diffusione del Cristianesimo

L'unità esamina la rapida diffusione e affermazione della fede cristiana nella società tardoantica
greco-romana e presso le popolazioni barbariche giunte in contatto con i popoli dell'Impero,
mettendo in evidenza problemi e descrivendo i protagonisti di tale fenomeno, che fu il tratto
caratteristico che conferì un'identità comune all'Europa medievale.

2.1 - L'affermazione del Cristianesimo nell'Impero romano

2.2 - Il problema della definizione del dogma

2.3 - La cristianizzazione delle stirpi barbariche

2.4 - Vescovi e monaci

2.1 - L'affermazione del Cristianesimo nell'Impero romano

A partire dalla seconda metà del III secolo, malgrado le persecuzioni a suo danno (vedi il modulo
L'antichità cristiana, 2.4), il Cristianesimo si diffuse rapidamente dalla sua culla mediorientale a
tutte le regioni dell'Impero romano, soprattutto negli ambienti urbani. Agli inizi del IV secolo
l'organizzazione di base della nuova religione era un fatto compiuto, nonostante il permanere di
evidenti difficoltà, dovute sia alla resistenza opposta dalla cultura pagana sia alla complessità
polemica del dibattito teologico interno alla fede cristiana stessa.

Fig.1: Testa di Costantino, New York, Metropolitan Museum of Art,


IV secolo d.C., marmo, h. cm. 95,2.

Nel 313 l'imperatore Costantino [Fig.1], con un editto promulgato a Milano, rese libero il culto
cristiano, equiparandolo alle altre religioni professate dai suoi sudditi, e riconobbe alle comunità
cristiane precisi dritti in campo patrimoniale (vedi il modulo L'antichità cristiana, 5.1). Nel 380 il
suo successore Teodosio, con l'editto di Tessalonica, giunse a proclamare il Cristianesimo unica
religione di Stato, mettendo al bando gli altri culti (vedi il modulo L'antichità cristiana, 5.5). Nel
giro di qualche decennio si rovesciarono così totalmente i rapporti tra le religioni nell'Impero, con il
Cristianesimo che da perseguitato si fece unico culto ammesso e persecutore a sua volta delle altre
fedi.

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2.2 - Il problema della definizione del dogma

La nuova religione dominante, ancora priva di una struttura ecclesiastica rigidamente disciplinata in
senso gerarchico, dovette fare subito i conti con le molte interpretazioni teologiche e dottrinali che
si producevano al suo interno e che davano vita a credenze e dogmi diversi, mettendo a serio rischio
l'unità della fede e della Chiesa. Lo strumento che venne impiegato per definire e salvaguardare
l'ortodossia fu costituito, in quei primi tempi, essenzialmente dai concili di tutti vescovi della
cristianità (e perciò detti "ecumenici", cioè "di tutte le genti", dal greco), le cui deliberazioni erano
poi applicate dall'imperatore attraverso la legge dello Stato. Il problema principale che si dovette
allora affrontare (e che rimase vivo per molto tempo a venire) fu quello della definizione del dogma
trinitario e della natura di Cristo. In particolare si dovettero contrastare dapprima la dottrina diffusa
da un prete di Alessandria, Ario, che negava la consustanzialità del Padre e del Figlio (e, quindi, in
sostanza, la natura divina del secondo) e poi una posizione opposta, il cosiddetto monofisismo, che
attribuiva invece a Cristo la sola natura divina. Malgrado le condanne pronunciate soprattutto nei
grandi concili di Nicea (del 325, contro l'arianesimo; vedi il modulo Le fonti della storia medievale:
l'Alto Medioevo, 2.2) e di Calcedonia (del 451, contro il monofisismo), queste e altre dottrine
eretiche conobbero una diffusione più o meno vasta nella cristianità tardoantica e altomedievale:
l'arianesimo, per esempio, fu la forma di cristianesimo abbracciata da quasi tutte le stirpi barbare
pagane dell'occidente continentale.

Vi fu insomma, per molti secoli, una situazione che vide, al contempo, il progressivo sforzo di
definizione dell'ortodossia della Chiesa che si definiva "cattolica" (cioè "universale"), preoccupata
di garantire l'unità di se stessa e della fede; e una molteplicità di fatto di credenze, riti, dottrine,
frutto di interpretazioni particolari del messaggio cristiano o dell'adattamento di questo alle
tradizioni pagane, che diedero al Cristianesimo antico e altomedievale un carattere di pluralità di
forme d'espressione.

2.3 - La cristianizzazione delle stirpi barbariche

Come si è detto, il Cristianesimo, sebbene inizialmente nella sua forma eretica ariana, si diffuse
pure presso le varie stirpi barbariche dell'Occidente, grazie anche alla predicazione del vescovo
goto Ulfila (metà del IV secolo), il quale si rese inoltre protagonista di una traduzione della Bibbia
in lingua gota. L'arianesimo rappresentò per tutte queste popolazioni, nel momento in cui esse si
trovarono a convivere con i Romani sui medesimi territori, un mezzo per evitare la totale
assimilazione culturale, ribadendo, anche per questa via, la loro autonoma identità. Quando la
necessità di difendere un'identità separata si rese superflua, per l'avvenuta fusione etnica all'interno
dei nuovi regni (come, ad esempio, nel regno longobardo in Italia, nel secolo VII), la confessione
ariana fu abbandonata a favore di quella cattolica, maggioritaria. L'unica stirpe continentale che
passò direttamente dal paganesimo al cattolicesimo fu quella dei Franchi, alla fine del secolo V, con
il re Clodoveo, desideroso di guadagnarsi l'appoggio delle élites gallo-romane mentre estendeva il
proprio potere su tutta la Gallia. Da notare, infine, che presso le stirpi barbariche l'arianesimo
rimase sovente una patina di superficie, adottata per ragioni politiche, con scarsa consapevolezza
religiosa; in queste realtà, le credenze cristiane convissero a lungo con persistenti culti pagani, come
semplici sovrapposizioni male assimilate, o in forme di sincretismo religioso.

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2.4 - Vescovi e monaci

Il Cristianesimo si diffuse, dunque, con maggior rapidità e efficacia nelle città dell'Impero, mentre
nelle campagne resistettero molto più a lungo, magari in modo confuso, credenze e riti pagani (tanto
che lo stesso vocabolo "paganesimo" deriva da pagus, il termine latino che indicava l'insediamento
rurale) (vedi il modulo L'antichità cristiana, 7.3). Nelle città posero la propria residenza i vescovi,
vale a dire i preposti alle singole comunità cristiane, che venivano eletti dalle stesse.

L'ambito su cui si esercitava la responsabilità pastorale di ciascun vescovo, dapprima coincidente


con la comunità di individui che a lui facevano capo, venne progressivamente identificato con un
preciso spazio territoriale (la "diocesi"), spesso coincidente alle circoscrizioni amministrative
imperiali e municipali. Si creò così, per gradi e non senza fatica, una rete territoriale omogenea
della Chiesa, a partire dai centri urbani (completata, nel tempo, dalla "sottoripartizione" costituita
dalla rete delle pievi o parrocchie). I vescovi provennero sempre più frequentemente dalle fila del
ceto dirigente laico e, con il degradare delle istituzioni civili, negli ultimi tempi dell'Impero in
Occidente, o nei regni barbarici che ad esso si sostituirono dal V secolo, costoro furono chiamati a
farsi carico di numerose incombenze di carattere politico-amministrativo, non più svolte dai
funzionari dello Stato, divenendo il principale termine di riferimento - anche al di fuori della sfera
religiosa - per le popolazioni. Alcuni vescovi furono individui di eccezionale levatura culturale e
spirituale e le loro figure sono annoverabili tra quelle dei padri della Chiesa cristiana: basti pensare,
per l'Occidente, ad Ambrogio di Milano o ad Agostino di Ippona e, per l'Oriente, a Basilio di
Cesarea o a Gregorio di Nissa.

Accanto al clero secolare, fondamentale fu nel Cristianesimo della tarda antichità e dell'alto
medioevo il ruolo svolto dal monachesimo. Diffusesi in Occidente dopo la metà del secolo IV (in
Oriente esse erano già presenti almeno dalla fine del III), le esperienze di vita monastica, maschili e
femminili, prevalentemente di tipo cenobitico (cioè, in comunità, mentre le prime manifestazioni
del monachesimo cristiano, nel deserto dell'Egitto, erano state invece eremitiche, di singoli
individui) si radicarono ovunque. Il monachesimo occidentale, dalle cui fila provennero anche molti
individui destinati a rivestire importanti cariche episcopali, seppe trovare una propria
conformazione specifica rispetto agli esempi orientali, come sintetizza la regola monastica redatta
(a partire da modelli anteriori) da Benedetto di Norcia (vedi il modulo L'antichità cristiana, 7.4),
verso la metà del VI secolo, la quale, con l'andar del tempo, fu in grado di imporsi su tutte le altre.
Del tutto particolare fu la configurazione del monachesimo irlandese, dai caratteristici tratti ascetici
e che costituiva nell'isola - evangelizzata, secondo la tradizione, da san Patrizio, nel corso del V
secolo - l'ossatura dell'intera struttura ecclesiastica, in assenza di città e quindi di una rete di diocesi
rette da vescovi del clero secolare.

Dall'Irlanda, e dalla vicina Britannia anglosassone, mosse verso il continente europeo una vigorosa
iniziativa missionaria, che portò innanzitutto alla fondazione di parecchi grandi monasteri (da
Luxeuil, in Borgogna, a Bobbio, sull'Appennino emiliano), grazie a figure di spicco, quali quella di
san Colombano, attivo tra il V e il VI secolo. Successivamente, missionari insulari (come il noto
Wynfrid-Bonifacio), in accordo con il Papato romano e con il regno cattolico dei Franchi, portarono
il Vangelo nelle regioni ancora pagane della Germania.

La posizione trainante rivestita dai monaci nell'opera di evangelizzazione dell'Occidente europeo


(anche nel senso di una predicazione più capillare presso popolazioni che erano cristianizzate solo
superficialmente), la loro diffusa presenza nella società, il loro sostanziale monopolio della cultura
scritta, resero inevitabile la centralità del monachesimo nella costruzione di uno spazio occidentale
cristiano, già ben visibile nell'età carolingia. E, a partire dal secolo X, proprio negli ambienti

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monastici, si precisarono quei fermenti di rinnovamento ecclesiastico e spirituale, vivi nel corpo
della società cristiana, che condussero a una più ampia riforma della Chiesa.

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UD 3 - Il regno ostrogoto in Italia

L'unità didattica descrive le vicende della dominazione ostrogota in Italia, che costituì il primo vero
regno romano-barbarico della Penisola, e illustra i contradditori aspetti della politica del principale
sovrano goto, Teoderico, e la successiva fine del regno per mano delle truppe bizantine di
Giustiniano.

3.1 - La nascita del regno goto in Italia

3.2 - Modalità dello stanziamento dei Goti

3.3 - Caratteri istituzionali del regno goto

3.4 - Il potere del re

3.5 - La fine del regno

3.1 - La nascita del regno goto in Italia

Nell'autunno del 488, il re ostrogoto Teoderico, della stirpe degli Amali, partiva da Novae (l'odierna
Sistov) nella Moesia inferior (più o meno la Bulgaria di oggi) alla testa di un esercito barbarico
diretto in Italia. La spedizione era stata voluta dallo stesso imperatore di Costantinopoli, Zenone,
allo scopo di porre fine allo sgradito governo nella penisola del comandante barbaro Odoacre, il
quale nel 476 aveva deposto l'ultimo imperatore romano d'Occidente, il giovanissimo Romolo
"Augustolo". E' probabile che con tale mossa Zenone cercasse pure di allontanare i turbolenti Goti
dai suoi confini più prossimi, deviandoli verso Occidente.

Giunto in Italia, Teoderico riportò due successi consecutivi su Odoacre, dapprima presso il fiume
Isonzo e poi a Verona; quindi assediò il rivale a Ravenna, riuscendo infine a catturarlo con uno
stratagemma e a assassinarlo. Nel 493 il vittorioso Teoderico si fece proclamare rex dal suo
esercito, instaurando il proprio dominio sull'intera penisola italiana (vedi la voce Teodorico, re degli
Ostrogoti e il modulo Le fonti della storia medievale: l'Alto Medioevo, 3.1).

3.2 - Modalità dello stanziamento dei Goti

Gli Ostrogoti (vedi la voce Goti) che si stabilirono in Italia al seguito di Teoderico non dovevano
superare, in tutto, il numero di cento, centoventicinquemila individui, dei quali circa
venticinquemila erano i guerrieri. Il loro stanziamento avvenne secondo i criteri tradizionali
dell'hospitalitas, vale a dire dell'acquartieramento militare concesso dai Romani a un esercito
barbaro alleato. In forza dei meccanismi propri dell'hospitalitas, ai Goti venne destinato un terzo
delle terre italiane (la cosiddetta tertia), per il loro sostentamento, o, con maggior probabilità, la
quota dell'imposta fondiaria pagata dai possessori romani corrispondente a quel terzo di terre.

La diffusione dei Goti sul suolo italiano - ricostruibile incrociando fonti scritte e fonti archeologiche
- fu assai disomogenea, a causa del loro numero esiguo, che rese impossibile un controllo capillare
del territorio, permettendo solo concentrazioni nelle zone strategicamente più importanti e lungo le
principali vie di traffico. Di fatto assenti dalle regioni più meridionali (Apulia, Calabria), nei

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territori a sud della via Valeria, che univa Roma a Pescara, i Goti si addensarono esclusivamente in
pochi centri di particolare significato, come Napoli. Anche nell'Umbria, nelle Marche e nella
Romagna i loro insediamenti appaiono ridotti (almeno allo stato delle nostre conoscenze), mentre il
grosso della loro presenza deve senz'altro scorgersi nell'Italia settentrionale, attorno alle grandi città
della pianura Padana e nella fascia prealpina, a ridosso del confine costituito dalle Alpi, che
separavano l'Italia dalle minacciose popolazioni barbariche stanziate a nord. Il re pose la propria
residenza soprattutto nelle città di Verona e di Ravenna.

3.3 - Caratteri istituzionali del regno goto

Il regno instaurato da Teoderico si sforzò di mantenere quanto più possibile inalterate le strutture
istituzionali e burocratico-amministrative - oltre che i principali assetti economici - del tardo Impero
romano, insistendo sui motivi di continuità, anche ideale, con l'esperienza antica. Così come aveva
già cercato di fare Odoacre (e a differenza, ad esempio, di quanto realizzarono in quello stesso
periodo i Vandali nell'Africa settentrionale), Teoderico ricercò la collaborazione del ceto dirigente
senatorio romano, dando vita a una realtà politica bipartita, in cui i Goti si riservarono in via
esclusiva le funzioni militari, lasciando all'aristocrazia romana le mansioni amministrative ed
economico-finanziarie. In un simile quadro istituzionale, operavano fianco a fianco funzionari
romani e ufficiali goti, tanto a livello centrale (dove accanto a ministri romani, quali il celebre
Cassiodoro, agiva una "casa" gotica, composta dai cosiddetti maiores domus regiae, o funzionari
regi), quanto in ambito provinciale (con la presenza di governatori romani e di comites, ossia capi
militari goti).

Coesistettero così sul medesimo territorio, in un equilibrio sempre precario, due entità che, pur
collaborando politicamente per il governo del regno, restavano tra loro distinte, sul piano delle
funzioni, dell'identità, della cultura, della confessione religiosa (cattolici i Romani, seguaci di
un'eresia cristiana, l'arianesimo, i Goti); senza mai alcuno sforzo reale di fusione o di assimilazione
reciproca, anzi con la costante preoccupazione da parte gota di ribadire la propria separata identità.

3.4 - Il potere del re

Ambigua fu pure la definizione stessa del potere del re Teoderico [Fig.1]. Chiamato a governare
gruppi etnici diversi e volutamente tenuti separati, in un territorio già al centro dell'Impero
d'Occidente, egli continuò a definire la propria sovranità in termini di stirpe (cioè quale re di una
"gente", o gens barbara), legittimata dalla vittoria militare su Odoacre e fondata sulle armi del
proprio esercito; e tuttavia si preoccupò, allo stesso tempo, di adottare modelli ideologici e
propagandistici di natura romano-imperiale, capaci cioè di parlare ai suoi sudditi romani. Per questo
egli assunse il titolo, tipicamente romano, di Flavius Theodericus rex, e manifestò vari
atteggiamenti di chiara imitazione imperiale, dall'attivismo edilizio nelle città, con la cura dei
monumenti più antichi e illustri, fino alla celebrazione di giochi del circo a Roma. Ambivalenti
appaiono anche le rappresentazioni iconografiche proposte e tuttora visibili in monete e medaglioni;
e singolare fu pure la ripetuta collaborazione con il Papato e con i concili di vescovi cattolici da
parte del sovrano che era di confessione ariana.

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Fig.1: Il Palazzo di Teodorico, Ravenna, Sant'Apollinare Nuovo,


primo quarto del VI secolo d.C., mosaico.

Nei confronti dell'unico imperatore residente a Costantinopoli Teoderico espresse,


contemporaneamente, una forma di subordinazione, riconoscendo come il proprio potere sull'Italia
derivasse da una delega dell'autorità imperiale, ma anche un forte desiderio di emulazione, in
quanto unico re barbaro a governare sudditi romani, come princeps. Le relazioni tra i due sovrani
rimasero buone, almeno per gran parte del regno di Teoderico, il quale, con un'azione a tutto
campo, si preoccupò pure di stringere rapporti con i diversi regni barbarici dell'Occidente, in
particolare con quello dei Visigoti, mentre cominciava allora a crescere la potenza concorrente dei
Franchi di re Clodoveo.

3.5 - La fine del regno

Una brusca e drammatica svolta nel rapporto fra Goti e Romani all'interno del regno, e fra il regno e
l'Impero, si ebbe a partire dagli anni Venti del VI secolo. Di fronte alla persecuzione degli ariani
viventi nelle regioni orientali dell'Impero, posta in atto dal nuovo imperatore, Giustiniano (che
mirava a una politica di unità religiosa dopo anni di controversie dottrinali), Teoderico reagì
assumendo analoghe misure a danno dei cattolici del regno goto. In questa condotta trovavano
probabilmente sfogo le irrisolte tensioni frutto della mancata fusione etnica fra goti e romani e della
precarietà stessa della struttura istituzionale, oltre a manifestarsi i timori dei Goti per il favore con
cui i ceti dirigenti romani guardavano ai disegni di riconquista dell'Occidente accarezzati da un
impero che conosceva proprio allora un rinnovato vigore. Vennero così messe a morte dal re goto
eminenti figure di romani, che pure avevano collaborato in precedenza con il regime teodericiano,
come Severino Boezio e Simmaco, e fu perseguitato lo stesso papa Giovanni I, morto di stenti dopo
essere stato incarcerato al ritorno da una missione a Costantinopoli.

Teoderico morì nel 526; gli successe il nipote Atalarico, ancora minorenne, la reggenza per il quale
fu assunta dalla madre Amalasunta. Prematuramente deceduto lo stesso Atalarico, Amalasunta
associò al trono, sposandolo, il cugino Teodato, il quale a sua volta, facendosi interprete della
politica antimperiale perseguita da buona parte dell'aristocrazia gota (e non condivisa, invece, dalla
regina), fece assassinare quest'ultima, offrendo all'imperatore Giustiniano il pretesto per dichiarare
la guerra, tesa a rovesciare il regno goto e a reintegrare l'Italia nella compagine imperiale. Il
conflitto, scoppiato nel 535, si protrasse con alterne vicende fino al 553 (il momento più brillante
per i Goti coincise con il regno di Baduila, o Totila, a partire dal 541), quando cadde in battaglia
l'ultimo re goto, Teia. Il 13 agosto del 554, a ostilità concluse, Giustiniano poté emanare la
cosiddetta Prammatica Sanzione, un testo di legge con cui veniva ristabilito ufficialmente il
dominio imperiale sull'Italia (vedi il modulo Le fonti della storia medievale: l'Alto Medioevo, 3.2).

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UD 4 - Il regno longobardo

L'unità descrive le caratteristiche innovative della dominazione longobarda in Italia, durata fino agli
anni Settanta dell'VIII secolo, che per certi aspetti segnò idealmente l'abbandono del retaggio
tardoantico e iniziò il "medioevo" italiano, nella divisione del territorio fra Bizantini, Longobardi e
poteri semiautonomi.

4.1 - L'invasione longobarda dell'Italia

4.2 - Caratteri dello stanziamento

4.3 - L'evoluzione del regno longobardo

4.4 - La fine del regno

4.1 - L'invasione longobarda dell'Italia

La stirpe dei Longobardi fece il proprio ingresso in Italia nel 568-9 (vedi il modulo Le fonti della
storia medievale: l'Alto Medioevo, 3.3), proveniente dalla Pannonia (odierna Ungheria), ultima
tappa di una migrazione svoltasi nel corso di secoli, che aveva condotto la gens Langobardorum
dall'estremo settentrione del continente europeo (probabilmente dalla stessa Scandinavia) fino al
Mediterraneo, dapprima lungo l'Elba e poi attraverso le regioni danubiane. Fatta irruzione nella
Penisola attraverso il suo confine nordorientale, i Longobardi, guidati dal re Alboino, procedettero a
un'occupazione del territorio disomogenea, muovendosi in bande (o farae) sottoposte al comando
dei propri capi militari (chiamati duces, condottieri, dalle fonti) e badando di evitare, almeno nei
primi tempi, le roccaforti imperiali più salde.

L'Impero, allora impegnato sui fronti orientale e balcanico da maggiori urgenze, oppose contro i
nuovi aggressori dell'Italia una debole resistenza. Costantinopoli provvide a puntellare la propria
residua permanenza nella parte centrosettentrionale della Penisola con l'istituzione a Ravenna (a
partire almeno dal 585) di un esarca, magistrato dotato del pieno potere civile e militare, cui
facevano riferimento i magistri militum preposti alle altre province imperiali d'Italia. Sotto il
controllo dei Longobardi erano ormai cadute buona parte delle regioni settentrionali e la Tuscia
(circa l'odierna Toscana), mentre altri gruppi di guerrieri, spingendosi ancora più a sud, si erano
impossessati di Spoleto e di Benevento, dove furono creati due ducati, destinati a godere sempre di
una sostanziale autonomia dal resto del dominio longobardo. Quest'ultimo, rimasto privo della
guida di un re per un decennio (574-584), dopo la morte del successore di Alboino, Clefi, tornò a
dotarsi in via definitiva di un monarca, con Autari, quando ci si rese conto che la presenza di una
forte autorità regia - non indispensabile secondo l'antico costume della stirpe - tornava utile al
consolidarsi della presenza longobarda nella Penisola.

4.2 - Caratteri dello stanziamento

Al momento del suo arrivo in Italia, la stirpe dei Longobardi (arricchita di guerrieri e popoli di
diversa provenienza, unitisi ad essa nella migrazione) non doveva superare i cento-
centocinquantamila individui e appariva organizzata come un esercito in marcia, articolato in farae,
cioè in distaccamenti militari di guerrieri, uniti da vincoli di parentela e sottoposti a un capo cui

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giuravano fedeltà. Il loro insediamento avvenne soprattutto in aree di rilievo strategico, a controllo
delle principali vie di traffico. Nelle città essi occuparono, almeno all'inizio, quartieri separati,
sfruttando i vecchi edifici pubblici romani caduti in disuso; in campagna la dimora del nucleo
familiare longobardo, la curtis, composta da un insieme di edifici diversi racchiusi da una
recinzione, si innestò spesso sui resti di qualche antica villa (cioè una residenza padronale rurale,
con annessa azienda agricola) romana.

Le fonti a nostra disposizione tramandano la memoria di una particolare violenza dell'invasione


longobarda, insistendo sul suo carattere di forte ostilità nei confronti dei Romani e delle loro
istituzioni e sulla rottura che essa avrebbe rappresentato rispetto agli ordinamenti dell'età anteriore,
preservatisi invece sotto i Goti. Grande risalto viene dato alle persecuzioni contro la Chiesa, con la
spoliazione di chiese e monasteri fino alla distruzione della stessa rete diocesana, e ai ripetuti
massacri di possessores (proprietari fondiari) romani. Se non si deve dimenticare che le
testimonianze da cui dipendiamo sono tutte di matrice ecclesiastica e rappresentano il punto di vista
dei ceti dirigenti romani, è indubbio che lo stanziamento dei Longobardi in Italia avvenne - a
differenza di quello dei Goti - in forme traumatiche, al di fuori di ogni delega imperiale, per libera
iniziativa di una stirpe assai poco romanizzata, radicata nei propri valori tradizionali guerrieri e
pagani (anche se i vertici politici avevano adottato – almeno in superficie - la confessione cristiana
eretica dell'arianesimo), e decisa a conquistare con le armi una terra male difesa, di cui si
conoscevano le ricchezze.

A lungo è stato erroneamente ritenuto che i Romani, dopo l'invasione, fossero ridotti tutti al rango
di servi; in realtà, per quanto i Longobardi si siano posti, in un primo tempo, come un ceto di
dominatori separato dai dominati, i Romani, più numerosi, conservarono la propria libertà personale
e proseguirono nelle loro attività consuete, mentre il potere politico e quello militare passavano
nelle mani dei nuovi venuti. Con il trascorrere del tempo, la quotidiana convivenza sullo stesso
territorio, l'influenza esercitata dalla cultura della maggioranza romana sui Longobardi, la graduale
conversione di questi ultimi al Cattolicesimo, favorirono una progressiva fusione, che appare
completata agli inizi del secolo VIII.

4.3 - L'evoluzione del regno longobardo

Una volta superata la fase d'emergenza della prima invasione e stabilizzatasi la presenza longobarda
sul suolo italiano, prese avvio un processo di rafforzamento del potere regio all'interno della stirpe,
imponendo la potestà del monarca ai vari duchi (tradizionalmente portati ad agire con grande
autonomia), cui si accompagnò un'ulteriore espansione territoriale, con lo scopo di rendere più
coerente la compagine del regno e di rafforzarne i confini.

In questo senso mossero le campagne del re Agilulfo (591-615), e soprattutto quelle dei suoi
successori Rotari e Grimoaldo, tra gli anni Quaranta e Sessanta del VII secolo: a questa data, l'Italia
risultava politicamente bipartita in modo più netto, con il nord, la Tuscia (corrispondente all'incirca
l'odierna Toscana), Spoleto e Benvento, ai longobardi e il Mezzogiorno con le tre isole maggiori
(Sardegna, Sicilia e Corsica), Roma, l'area marchigiano-romagnola (nota come Pentapoli, cioè
"cinque città"), l'esarcato di Ravenna (collegato a Roma da una serie di castelli appenninici) e le
coste venete all'Impero bizantino [Tav.1].

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Tav.1: L'Italia in età longobarda.

All'interno del regno, la potestà regia si sforzò progressivamente di superare la propria origine
etnico-tribale e di definirsi in termini territoriali, per essere accettata da tutti i sudditi, ormai non più
distinti su base etnica. Un atto di grande rilievo politico e ideologico fu costituito dalla
codificazione scritta (secondo il modello romano di Giustiniano), voluta dal re Rotari nel 643 (vedi
il modulo Le fonti della storia medievale: l'Alto Medioevo, 3.4), del diritto longobardo, prima di
allora trasmesso solo per via orale; mentre l'accostamento dei re longobardi alla Chiesa e alla fede
cattolica, embrionalmente iniziatosi già ai tempi del citato Agilulfo e della sua sposa Teodolinda, si
perfezionò con il ripudio ufficiale dell'arianesimo da parte di Ariperto (653-661).

Il regno di Liutprando (712-744) si mostrò come l'ormai compiuta realizzazione del nuovo modello
territoriale e cattolico della regalità longobarda, a fronte di una società del regno che, a sua volta, si
era profondamente trasformata, abbandonando la bipartizione etnica e l'antica organizzazione
tribale della gens Langobardorum, per dar vita a un corpo sociale culturalmente misto e stratificato
per censo, protagonista anche di timidi fenomeni di ripresa economica.

4.4 - La fine del regno

Proprio la solidità interna del regno longobardo raggiunta nella prima metà del secolo VIII, a fronte
delle crescenti difficoltà conosciute dall'Impero bizantino (ora chiamato a fronteggiare anche la
minaccia araba), suggerì ai re Liutprando e Astolfo di riavviare una politica di espansione
territoriale a danno dell'Esarcato, che culminò nella presa di Ravenna, attorno al 750-751. Di fronte
a tale atto, i pontefici di Roma, temendo per le sorti della stessa Urbe, ormai non più protetta dalle
armi imperiali, e per nulla rassicurati dalla professione cattolica degli stessi Longobardi, non ebbero
altra scelta che ricercare, a più riprese, l'aiuto militare dei Franchi (vedi la voce Franchi), presso i
quali la declinante dinastia regia dei Merovingi stava lasciando spazio all'emergente famiglia
aristocratica dei Pipinidi (o Arnolfingi), maestri di palazzo del regno d'Austrasia. Con il precipitare
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della situazione, una volta salito al trono longobardo Desiderio, nel 756, il papa Adriano I sollecitò
un immediato intervento in Italia dell'esercito di Carlo (il futuro Carlo Magno), il quale, fatta
irruzione nella penisola nel 773, dopo un anno di combattimenti, catturò e depose Desiderio,
ponendo fine all'esperienza del regno indipendente dei Longobardi.

L'eredità politica di Desiderio fu assunta dal ducato (da allora principato) longobardo di Benevento,
che con alterne vicende seppe preservare la propria identità e autonomia fino all'XI secolo; ma
anche nel centro-nord divenuto carolingio, la tradizione politico-giuridica, sociale, culturale,
longobarda continuò a esercitare a lungo una significativa influenza.

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UD 5 - L'Italia bizantina

L'unità didattica descrive le fasi della guerra "greco-gotica", con cui Giustiniano riconquistò l'Italia
e le caratteristiche della dominazione bizantina in seguito alla calata dei Longobardi in Italia.

5.1 - Il ritorno dei Bizantini in Italia

5.2 - Il lungo conflitto con i Longobardi

5.3 - La società bizantina in Italia

5.4 - Il legame con Bisanzio negli equilibri internazionali

5.5 - Lo spegnersi della presenza italiana di Bisanzio

5.1 - Il ritorno dei Bizantini in Italia

La guerra aperta nel 535 da Giustiniano [Fig.1] contro gli Ostrogoti in Italia era coerente al disegno
generale del grande imperatore bizantino, disposto a impegnarsi, con un vigore da tempo
dimenticato, per riportare sotto il controllo imperiale le terre occidentali da tempo perdute. La
campagna militare in Italia, la cosiddetta guerra "greco-gotica", si legava dunque perfettamente alle
vittoriose azioni intraprese nell'Africa del nord contro i Vandali (534) e nell'Iberia meridionale
contro i Visigoti (554). Peraltro la guerra in Italia si sarebbe rivelata come la più impegnativa e
quella i cui risultati sarebbero stati meno duraturi. L'occasione per l'intervento era stata fornita,
come si è visto, dall'assassinio della regina gota Amalasunta. Nel 535 l'esercito bizantino al
comando di Belisario sbarcava in Sicilia, passando poi sulla Penisola e spingendosi rapidamente
fino a Napoli e poi a Roma. Nel 540, dopo un successivo sbarco di milizie bizantine al nord, nel
Veneto, venne presa anche Ravenna, eletta a sede della prefettura d'Italia.

Fig.1: L'imperatore Giustiniano e il suo seguito, Ravenna, San Vitale,


metà del VI secolo d.C., mosaico.

A quel punto la guerra sembrava destinata a chiudersi rapidamente, ma in realtà proseguì ancora a
lungo con pesantissime devastazioni e saccheggi. Nel 541 i Goti si erano dati un nuovo re, Totila,
detto "l'Immortale", che per oltre un decennio tenne testa ai Bizantini con grande abilità, rivelandosi
abile condottiero e insieme accorto politico, capace di mosse geniali (anche se meno efficaci di
quanto talvolta si ritenga), come l'emanazione della legge che scioglieva i coloni dai legami che li
vincolavano ai signori fondiari. La morte in battaglia di Totila e la dura sconfitta delle sue truppe a
Tagina (odierna Gualdo Tadino) nel 552 erano il preannuncio della fine. L'anno seguente il
successore di Totila e ultimo sovrano goto, Teia, moriva anch'egli, combattendo nella battaglia del
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Vesuvio, che segnò la conclusione della guerra greco-gotica e del regno fondato da Teoderico nel
493.

L'Italia tornava dunque sotto il controllo di Bisanzio e si avviava ad una riorganizzazione


nell'ambito dell'Impero d'Oriente. Usciva comunque prostrata da quasi un ventennio di guerra
durissima e la ripresa era ostacolata dalla dura politica fiscale bizantina, dagli sconvolgimenti
sociali prodotti dalla guerra e dal riassestamento post-bellico, che vedeva fra l'altro l'ampliarsi dei
latifondi a spese dei diritti delle comunità sui beni d'uso collettivo. La pace stava comunque
sanando le ferite quando l'Italia venne scossa da nuovi venti di guerra: nel 568/69, infatti, apparvero
sulla scena i Longobardi.

5.2 - Il lungo conflitto con i Longobardi

La comparsa nella penisola italica dei Longobardi nel 568/569 apriva una lunga fase di instabilità e
soprattutto portava a una divisione del territorio destinata a durare per secoli. Si trattava della più
dura invasione che l'Italia avesse conosciuto e per i Bizantini cominciava un lungo periodo di
progressivo logoramento. Bisanzio poteva contare sul sostegno della sempre più influente chiesa di
Roma, che nei Longobardi, convertiti all'eresia ariana, vedeva i nemici dell'ortodossia; mentre la
Chiesa in Italia poteva anche giocare la carta dell'alleanza con i Franchi, che dei Longobardi furono
tradizionali nemici, fino alla distruzione del loro regno da parte di Carlo Magno nel 774. Tuttavia
fin dai primi anni della conquista una buona parte dell'Italia usciva dal sistema imperiale bizantino.

A Bisanzio restavano parte del Veneto, da Oderzo alle lagune; l'Esarcato, che poi avrebbe
mantenuto il nome di Romagna, con Ravenna che ne era il centro politico e amministrativo
principale; e la Pentapoli, ossia "la terra delle cinque città" (da Rimini ad Ancona e Numana).
Questo blocco territoriale abbastanza omogeneo era collegato al ducato romano e alla stessa Roma
da una striscia più discontinua di territorio controllato da centri fortificati (fra cui Perugia) posti
sull'asse della via Flaminia. La Liguria restava isolata, mentre al sud l'Impero manteneva il
controllo del ducato di Napoli, con Amalfi, la maggior parte della Puglia - chiamata allora Calabria
- e la Calabria odierna - ossia il Bruzio di allora.

Si noterà come le terre che Bisanzio riusciva a conservare avessero in comune una condizione
costiera: a unificare in qualche modo quel dominio così frantumato era proprio il mare, sul quale la
superiorità militare della flotta bizantina non temeva il confronto con i Longobardi. Ma in terra le
cose andavano in modo sfavorevole ai Bizantini. La tregua ottenuta dal grande papa Gregorio
Magno nel 598, benché mantenuta fino al 626, quando salì al trono Arioaldo, fermò soltanto
provvisoriamente il conflitto, che poi riprese giungendo a un momento critico al tempo di Rotari
(636-652). Con questo grande sovrano i Longobardi ebbero per la prima volta una legge scritta ma,
oltre a ciò, giunsero a conquistare la Liguria e Oderzo con quanto ancora restava in mano avversaria
della terraferma veneta.

5.3 - La società bizantina in Italia

Le perdite territoriali e le condizioni di guerra continua influenzarono profondamente i caratteri


della società bizantina, che abbandonò la tradizione romana della separazione tra i poteri civili e
militari, unificandoli nelle stesse persone. Dato che i problemi maggiori erano quelli di carattere
militare, ad essi furono subordinati i problemi politici e amministrativi, giungendo di fatto a una

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militarizzazione della società. Tutti i territori italici furono sottoposti all'autorità dell'esarca, che
governava nel nome dell'imperatore ed era il capo dell'esercito. La sua sede era Ravenna e da lui
prese il nome di "Esarcato" la regione circostante, che ancora oggi si chiama Romagna, ossia la
Romandiola, la piccola Romània nel senso di "terra dei Romani", ossia dei Bizantini, che si
reputavano diretti eredi di Roma e della romanità.

Dall'esarca dipendevano i governatori delle diverse province e delle città, i magistri militum (o
duchi) e i tribuni, anch'essi con responsabilità anzitutto militari e di comando delle truppe
acquartierate sul territorio di competenza. In questo quadro il ceto tribunizio si configurava come
gruppo dirigente la cui forza nella società era garantita dall'assommarsi di funzioni di carattere
pubblico e da una preminenza economica legata soprattutto al possesso fondiario. Particolarmente
difficile, invece, era risultata la condizione dei proprietari minori, pressati dai costi delle guerre, e
posti in situazione di debolezza di fronte al crescere del latifondo.

I problemi erano comunque molti e vanno registrate anche violente espressioni di insofferenza nei
confronti dell'autorità imperiale; così, per esempio, nel 616, in una fase di serie difficoltà
economiche del governo centrale, impegnato ad oriente contro i Persiani, si giunse al linciaggio
dell'esarca Giovanni I e dei maggiori esponenti dell'amministrazione bizantina (probabilmente per
una rivolta delle truppe non pagate). Le difficoltà maggiori si ebbero tuttavia al tempo della contesa
sull'iconoclastia, esplosa quando il grande imperatore Leone III Isaurico, nel 726, impose il divieto
di culto delle immagini sacre e ne ordinò la distruzione, suscitando la dura reazione del papa, a
favore del quale si ebbero persino insurrezioni di truppe in area italica. La questione si risolse molto
faticosamente. Era comunque il segno di tensioni difficilmente controllabili.

5.4 - Il legame con Bisanzio negli equilibri internazionali

I problemi che l'Italia bizantina doveva affrontare, in anni comunque di difficoltà generali e diffuse,
non devono far dimenticare gli elementi di favore assicurati dal legame con l'Impero. Nei lunghi
secoli dell'alto medioevo, infatti, la condizione dell'Europa (potremmo dire meglio: della parte
d'Europa che, cristianizzata, cominciava già ad avere elementi comuni e particolari) era quella della
zona depressa rispetto alle altre grandi civiltà del tempo, in specifico la bizantina e poi - dal
momento del suo decollo - la civiltà islamica.

Non si era ancora usciti dalla crisi apertasi al momento delle invasioni barbariche e del dissesto
dell'Impero d'Occidente. Le strutture politiche erano saltate, sostituite da organismi statali fragili. La
violenza era entrata con forza nuova fra le componenti principali della sensibilità collettiva. I limiti
degli assetti economici appaiono evidenti quando si pensa all'interscambio e si vede che l'Europa
esportava verso Bisanzio e l'Islam materie prime come legname, metalli, pelli e merce umana (gli
schiavi), mentre importava prodotti finiti o di pregio per quella ridotta fascia di società che ancora
poteva permettersi lussi del genere: stoffe pregiate, prodotti lavorati, gioielli e le costose spezie.
Sono i rapporti tipici che intercorrono fra le economie sottosviluppate e quelle a più alto tasso di
sviluppo.

In condizioni del genere, l'appartenenza all'Impero bizantino significava mantenere i contatti con un
mondo privilegiato, più evoluto e ricco. Questo significava anche poter contare su opportunità
altrimenti non immaginabili. Così non sorprende che le condizioni di vita delle zone costiere (lì
dove Bisanzio seppe resistere meglio) risultassero migliori rispetto a quelle dell'interno. Soprattutto
va ricordato il ruolo economico e mercantile del tutto particolare svolto da centri rimasti
direttamente dipendenti o comunque legati al commonwealth bizantino. È il caso specialmente di

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Venezia e di Amalfi che a lungo restarono all'avanguardia, quasi in regime di monopolio, nel
collegare l'Europa cristiana con le grandi aree economiche bizantina e islamica, operando con
particolare abilità su rotte e mercati che ai più erano preclusi.

5.5 - Lo spegnersi della presenza italiana di Bisanzio

Il conflitto fra Longobardi e Bizantini, che dal 569 si trascinava tra pause e riprese, giunse a un
momento critico quando re Liutprando (712-744), cogliendo l'occasione fornita dalla contesa
iconoclastica, riprese le ostilità occupando Bologna, la Pentapoli e Sutri. Ormai era evidente che la
difesa delle terre non longobarde doveva contare soprattutto sull'autorità del papa e che i bizantini
erano sempre più marginali nelle vicende italiane. Intanto maturava un cambio di alleanze.

Nel 751 le truppe longobarde del re Astolfo (749-756) avevano conquistato l'Esarcato, ponendo fine
alla serie degli esarchi nella capitale Ravenna. La pressione ormai era diretta sulla stessa Roma e
per l'Italia si prospettava la possibilità di una riunificazione in mano longobarda; ma a quel punto il
papa Stefano II giungeva ad un accordo con il re dei Franchi, Pipino il Breve. I Franchi erano i
tradizionali avversari dei Longobardi, ed erano una potenza in fase di forte crescita, già in
prospettiva imperiale. Inoltre la loro ortodossia cattolica li rendeva particolarmente vicini a Roma.
Il collegamento di Roma con i Bizantini faceva parte del passato: l'intervento franco in Italia era
diventato ormai la chiave di volta dei nuovi equilibri, fino a quando Carlo Magno - sceso in forze in
Italia - vinse una volta per tutte nel 774 Desiderio, l'ultimo sovrano longobardo.

A quel punto la presenza bizantina in Italia divenne marginale. Restavano in mano bizantina le
modeste isole della laguna veneta - che stavano per avviarsi lungo una strada di crescente
autonomia - le terre del sud (Puglia e Calabria), nonché la Sicilia, dove peraltro non avrebbe tardato
a farsi incombente il pericolo saraceno. In sostanza, l'Impero bizantino finì per rivestire un ruolo
secondario nei grandi eventi della penisola italica, passata sotto l'influenza franca, in condizioni
nelle quali il posto tradizionalmente coperto dell'antico Impero romano - che continuava a vivere in
Costantinopoli - venne assunto dal Sacro Romano Impero, nato con l'incoronazione imperiale di
Carlo Magno (notte di Natale dell'800).

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UD 6 - I Carolingi in Italia

L'unità narra le vicende del regno d'Italia sotto Carlo Magno e i sovrani Carolingi, un periodo denso
di mutamenti, che vide il ricambio di parte delle élites e che fu condizionato nell'ultima fase da una
progressiva frammentazione politica.

6.1 - Carlo Magno conquista l'Italia

6.2 - L'assetto dell'Italia carolingia

6.3 - L'Italia sotto i successori di Carlo Magno

6.1 - Carlo Magno conquista l'Italia

La discesa di Carlo Magno (vedi il modulo Le fonti della storia medievale: l'Alto Medioevo, 3.5 e la
voce Carlomagno, re dei Franchi e imperatore) in Italia, in risposta alle ripetute sollecitazioni dei
pontefici romani per un intervento franco contro il regno longobardo, avvenne nell'inverno 773-774.
Entrato nella penisola attraverso il Moncenisio, l'esercito franco inflisse una prima rovinosa
sconfitta ai nemici alla Chiusa di San Michele, allo sbocco della val di Susa, per dilagare poi nella
pianura Padana, cingendo d'assedio le città in cui i Longobardi si erano rinserrati; l'ultima di queste
a cadere fu Pavia, capitale del regno longobardo, presa solo dopo un lungo assedio. Il re longobardo
Desiderio venne catturato e trasferito subito oltralpe, mentre suo figlio Arechi riparò a
Costantinopoli. Carlo assunse il titolo di rex Francorum et Langobardorum, inglobando l'Italia
longobarda (con eccezione del principato di Benevento) nel suo più vasto dominio. Nel giorno di
Natale dell'anno 800 egli ricevette a Roma la corona imperiale dalle mani del papa Leone III (vedi il
modulo Le fonti della storia medievale: l'Alto Medioevo, 4.1).

Tav. 1: L’Italia sotto il dominio dei Franchi.


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I territori della Penisola furono così politicamente ripartiti, dal 774, tra una vasta porzione centro-
settentrionale sottoposta al governo del monarca franco, una residua, discreta, presenza longobarda
indipendente attorno a Benevento e un ambito bizantino distribuito tra il sud e la costa altoadriatica
[Tav.1]. Carlo (che tentò, senza successo, di erodere i possedimenti bizantini e di conquistare
Benevento) non diede seguito alla promessa di donare al papa gran parte delle regioni del centro-
nord che in passato erano state bizantine (a cominciare dall'Esarcato di Ravenna); i territori
dipendenti da Roma rimasero pertanto limitati - in sostanza - ad alcune aree nelle odierne Marche,
Romagna e Lazio. A questa data, quindi, mentre l'Italia padana veniva inglobata in una più ampia
esperienza di respiro continentale, quella mediterranea ne rimaneva esclusa, legata ad assetti
diversi, di matrice bizantino-longobarda.

6.2 - L' assetto dell'Italia carolingia

A differenza di quanto era accaduto al tempo dell'invasione dell'Italia da parte dei Longobardi (o dei
Goti), con i Franchi non si ebbe lo stanziamento sul suolo della Penisola di un'intera stirpe, ma,
piuttosto, la sovrapposizione di un ceto dirigente di nuova immigrazione a una popolazione che
rimase, nei suoi tratti di fondo, sostanzialmente inalterata. Un numero abbastanza contenuto di
individui - franchi, ma anche alamanni, burgundi, bavari - si installò nei ruoli di comando, senza
nemmeno scalzare del tutto i vecchi duchi e funzionari longobardi, molti dei quali furono - almeno
all'inizio - confermati nelle proprie sedi. Solo dopo una rivolta dei duchi longobardi dell'Italia
nordorientale, scoppiata nel 775, Carlo accelerò l'immissione in Italia (ma con differenze locali) di
pubblici ufficiali e anche di vescovi a lui più strettamente legati, traendoli dalle regioni transalpine
sottoposte alla sua autorità; si formò così un ceto dirigente – legato al monarca da funzioni
pubbliche o da rapporti di fedeltà personale (o da tutte e due le cose al contempo) - che, almeno nei
suoi strati superiori, presentava una caratteristica conformazione "internazionale", dal momento che
le grandi famiglie aristocratiche (come i Supponidi, o i Guidonidi) vantavano possessi e rapporti
diffusi per tutto l'Impero carolingio. Caratteristico dell'Italia fu il permanere di un solido ceto di
liberi allodieri (cioè di piccoli proprietari), partecipanti all'esercito, posti in un rapporto di carattere
pubblico con il re, che era tipico della tradizione longobarda.

Anche nella riorganizzazione delle circoscrizioni amministrative, il modello franco (che prevedeva
un'ordinata suddivisione in circoscrizioni pubbliche denominate comitati e marche; vedi il modulo
Papato e impero, 2.7) subì in Italia adattamenti alla situazione locale, rispettando sia assetti
tradizionali longobardi (specie nelle aree di frontiera) sia lo speciale vigore dei centri urbani e la
capacità di questi di influire sul territorio circostante. Analogamente, in campo economico, le forme
di gestione della proprietà fondiaria peculiari del mondo d'oltralpe (a cominciare dalla curtis,
l'azienda agraria-tipo) convissero nella penisola con altre esperienze, di matrice romana e
longobarda.

Il raccordo fra il centro e la periferia fu garantito dai missi, funzionari direttamente dipendenti dal
potere regio, dotati di compiti di controllo all'interno dei diversi comitati; con l'andare del tempo i
missi provennero sempre più spesso dalle fila dei ceti dirigenti locali, a discapito della loro efficacia
ispettiva su realtà di cui essi finivano per fare parte. Un forte adattamento degli usi franchi alla
specifica situazione italiana si manifestò pure nel campo del diritto, dove la vecchia legislazione
longobarda rimase in vigore e ad essa si aggiunse quella carolingia (articolata nei cosiddetti
"capitolari"), espressa in articoli valevoli per tutto l'impero (magari rimodellati in forma italica)
oppure emanati appositamente per l'Italia.

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All'attività legislativa dei monarchi carolingi diedero un fondamentale contributo gli uomini di
Chiesa (vedi il modulo La cristianità medievale, 2.3). Le istituzioni ecclesiastiche ebbero un ruolo
del tutto centrale nel generale funzionamento dell'impero carolingio, non solo perché l'ideologia che
teneva assieme questa vastissima realtà politico-territoriale era incardinata nei valori della fede e
della Chiesa cattolica, ma anche perché i quadri ecclesiastici venivano regolarmente chiamati a
ricoprire cariche (ad esempio, quella di missus) e ad espletare funzioni di natura politico-
amministrativa. I Carolingi furono molto solerti, quindi, non solo nel beneficare la Chiesa attraverso
larghe concessioni immunitarie di beni e di privilegi, ma anche nel cercare di porre uomini fidati
nelle principali sedi episcopali ed abbaziali: così, fu larga l'immissione di ecclesiastici franchi da
parte di Carlo Magno in varie importanti sedi italiche.

6.3 - L'Italia sotto i successori di Carlo Magno

L'Italia carolingia, dunque, se condivise le vicende politiche e culturali dell'Impero fondato da Carlo
Magno (nella storiografia tradizionale il cosiddetto "Sacro romano Impero"; vedi il modulo Papato
e impero, 2.6), importando istituti franchi, seppe anche conservare tratti suoi propri e distintivi e la
capacità di adattare i modelli provenienti da oltralpe alle particolarità della Penisola. Alla morte di
Carlo Magno, nell'814, essendo morti gli altri suoi eredi, si evitò, con la presa del potere da parte di
Ludovico il Pio, la spartizione dei territori dell'Impero secondo la tradizione franca. Ludovico
dovette far fronte a una rivolta, sobillata dal giovane nipote Bernardo, re d'Italia, il quale aveva
tratto a sé una parte delle aristocrazie italiche; la rivolta fu stroncata con durezza. Lo stesso
Ludovico stabilì che, alla propria morte, l'intera estensione dell'Impero avrebbe dovuto essere
spartita fra i suoi tre figli: Ludovico, Pipino e Lotario; quest'ultimo avrebbe ereditato, con il titolo
imperiale, anche il governo dell'Italia.

Tav. 1: L’Impero carolingio dopo il Trattato di Verdun.

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Un successivo riordino dell'eredità di Ludovico condusse, dopo il trattato di Verdun dell'843, a un


nuovo assetto, che sancì la definitiva disgregazione territoriale dell'Impero carolingio: il regno dei
Longobardi, che proprio allora cominciò a chiamarsi "regno d'Italia", fu legato alla fascia di
territorio denominata Lotaringia – che correva verticalmente a ovest del Reno, dai Paesi Bassi
all'Italia - il tutto fu assegnato all'imperatore Lotario: questa porzione risultò assai meno compatta,
sul piano geopolitico e su quello culturale, degli altri due ambiti attributi a Carlo il Calvo e a
Ludovico, detto il Germanico, che costituirono, rispettivamente, gli embrioni delle future Francia e
Germania [Tav.1].

Lotario, nell'844, inviò a reggere l'Italia il figlio Ludovico, che, dopo Carlo Magno, fu l'esponente
della dinastia carolingia a impegnarsi maggiormente nella penisola. Anche una volta assunta la
carica imperiale, Ludovico II mantenne la propria residenza sul suolo italico e cercò, fino alla
morte, avvenuta nell'875, di far fronte ai numerosi problemi che travagliavano l'Italia: dai sempre
complessi rapporti con i papi alla crescente autonomia delle grandi famiglie comitali e marchionali,
dall'irriducibile presenza longobarda e bizantina nel Mezzogiorno alle continue incursioni saracene.
Con la scomparsa dell'ultimo imperatore carolingio, Carlo il Grosso, nell'888, l'Italia diventò il
teatro di fenomeni particolarmente accentuati di frammentazione del potere e di decadenza delle
strutture pubbliche carolinge, con l'avvio di una lunga stagione di scontri tra diversi pretendenti al
titolo regio a cui restava legata l'investitura imperiale.

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UD 7 - Regno e poteri locali

L'unità didattica affronta il problema del particolarismo politico determinato dalla dissoluzione
dell'ordinamento pubblico carolingio e dalla crisi dinastica della monarchia franca. Viene analizzato
il fenomeno noto come "signoria", nella sua duplice accezione di signoria fondiaria e "di banno".

7.1 - La dissoluzione dell'ordinamento pubblico carolingio e la frammentazione del


potere

7.2 - Il regno d'Italia e il titolo imperiale

7.3 - Le diverse realtà dell'Italia del X secolo

7.1 - La dissoluzione dell'ordinamento pubblico carolingio e la frammentazione del potere

Il disgregarsi dell'unità imperiale carolingia, sancito dalla deposizione di Carlo il Grosso (887), ma
in corso già da tempo, condusse alla nascita di diverse realtà politico-territoriali sui territori già
appartenuti all'Impero carolingio, dai grandi regni dei Franchi occidentali e dei Franchi orientali
(progressivamente frantumatosi, a sua volta, in vari ambiti, dalla Sassonia alla Franconia, dalla
Svevia alla Baviera) fino a quello d'Italia (limitato alle regioni centro-settentrionali della Penisola),
a ambiti minori, "regionali", quali – a puro titolo d'esempio - la Provenza o l'Aquitania. La fine
della compagine carolingia non si tradusse, tuttavia, solo nella frammentazione politica del vecchio
assetto unitario dell'Impero in una serie di entità territoriali minori, fra loro disomogenee; ma fece
registrare pure un'intima dissoluzione dell'ordinamento pubblico e una divisione del potere fra un
grande numero di signori all'interno della società. Questo fenomeno, esito di lunghi processi, che
vide signori laici ed ecclesiastici (i grandi vescovi e abati) attribuirsi poteri di natura pubblica,
gestendoli alla stregua di proprietà private (per cui si parla, al riguardo, di "allodialità" del potere,
da "allodio", cioè bene detenuto in piena proprietà, senza vincoli vassallatici), appare il tratto più
significativo dell'Occidente europeo postcarolingio.

Allo scardinamento dell'ordinamento pubblico concorsero diversi fattori, variamente intrecciati fra
loro: dalla tendenza all'ereditarietà delle cariche di conte e marchese alla proliferazione di
giurisdizioni signorili autonome nelle terre dotate di immunità, dai poteri che si esercitavano a
partire dai castelli (costruiti per iniziativa privata, oppure pubblici ma detenuti come se fossero loro
propri da coloro che ad essi erano preposti) alla saldatura fra prerogative pubbliche e autorità
derivante dal possesso fondiario. I poteri signorili – detenuti, come s'è detto, oltre che da laici, pure
dai grandi ecclesiastici - potevano assumere conformazioni e forme d'espressione assai varie, ma
vengono di norma ricondotti a due grandi tipologie, in buona misura sovrapponibili l'una all'altra
nella concretezza della manifestazioni: la signoria fondiaria e la signoria territoriale, o di banno.

La prima, che scaturiva dalla proprietà della terra, non si esauriva nel suo carattere di struttura
economica, ma implicava per il dominus, il signore, la capacità di costringere all'obbedienza i suoi
dipendenti e di esercitare nei loro confronti una serie di prerogative, direttamente legate all'attività
produttiva (richiesta di prestazioni di lavoro, di canoni e donativi e via dicendo) e non (come il
diritto di dirimere le liti e di imporre multe, o il mantenimento dell'ordine). La signoria territoriale,
invece, aveva la sua base nel controllo di un castello, applicandosi a tutti gli individui che da esso
ricevevano protezione, senza riguardo al fatto che essi fossero dipendenti del dominus del castello –
che era a sua volta un signore fondiario - di altri signori fondiari, oppure liberi allodieri. In questo
modo, il signore territoriale, o di banno (termine che indicava la capacità di comando), in cambio

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della protezione che garantiva, esercitava diritti giurisdizionali, fiscali e militari su un dato territorio
(dominatus loci), sostituendosi di fatto al potere centrale, pur in assenza di deleghe formali.

Da tutto ciò derivava un quadro di estrema frammentazione, di concorrenza tra i poteri, di


sovrapposizioni e di confusioni giuridiche. Signorie più piccole si collocavano all'interno di
dominazioni più vaste, spezzandone l'uniformità territoriale; i signori, che fondavano il proprio
potere su forme di possesso diverse (di proprietà fondiarie, di castelli, di antichi titoli pubblici, e
così via), godute contemporaneamente, si facevano concorrenti l'uno dell'altro, suscitando una
diffusa conflittualità, mentre si moltiplicavano i rapporti vassallatici allo scopo di creare reti di
alleanze e disciplinamenti gerarchici, peraltro destinati a rimanere deboli. I contadini, dal canto
loro, avviluppati in una soffocante trama di dipendenze e subordinazioni, si trovavano ad essere
sottoposti a un gravoso carico di obblighi, spesso nei confronti di signori diversi.

7.2 - Il regno d'Italia e il titolo imperiale

La dissoluzione dell'unità politica carolingia non aveva significato il venir meno dell'idea stessa di
un impero universale, anche se il potere imperiale risultava pesantemente indebolito di fronte alla
molteplicità delle nuove realtà locali. Il titolo imperiale era legato in via diretta a quello di re
d'Italia, come si era stabilito sin dal trattato di Verdun dell'843; il periodo compreso fra la morte di
Carlo il Grosso, nell'888, e l'incoronazione a imperatore di Ottone I di Sassonia, nel 962, fu
caratterizzato dalle ininterrotte lotte fra diversi pretendenti alla corona di re d'Italia, base necessaria
per giungere a quella imperiale.

In pochi decenni si succedettero così diversi re e imperatori, senza che nessuno di questi riuscisse a
garantire una reale stabilità al proprio potere: a Berengario, marchese del Friuli, si sostituì Guido di
Spoleto, seguito dal figlio Lamberto e poi, in veste di imperatore, il re di Germania, Arnolfo di
Carinzia. Dopo un ritorno sulla scena di Berengario, vennero quindi Rodolfo di Borgogna, Ugo di
Provenza e Berengario di Ivrea, prima dell'assunzione della corona di re d'Italia da parte del citato
Ottone, nel 951, che pose termine a una fase tanto convulsa. Ottone era in precedenza riuscito a
disciplinare anche le forze centrifughe nei territori tedeschi e, dopo la vittoria militare di Lechfeld
sugli Ungari (955) - allora una delle principali minacce per l'Occidente - acquisì l'autorevolezza
necessaria per essere incoronato imperatore a Roma.

7.3 - Le diverse realtà dell'Italia del X secolo

La sostanziale debolezza del potere dei diversi re d'Italia, non del tutto superata nemmeno con il
pure ben più solido governo di Ottone e dei suoi successori, rese possibile il sorgere e il consolidarsi
all'interno del regno di grandi lignaggi aristocratici, che seppero sfruttare le turbolenze politiche
generali per difendere e accrescere il proprio autonomo potere e i propri cospicui patrimoni. Alcune
tra queste famiglie, come nel caso dei marchesi del Friuli o di quelli di Ivrea, oppure degli Spoletini,
giunsero ad assicurare a propri esponenti le stesse corone regia e imperiale, lottando fra loro per il
predominio; altre, come la schiatta appenninica dei Canossa, crebbero per gradi, compiendo il
definitivo salto di qualità, sul piano politico, sotto l'ala protettiva degli Ottoni. Anche nelle maggiori
sedi episcopali ed abbaziali si ebbero sovente figure di spicco nell'esercizio di prerogative di tipo
signorile.

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Contestualmente, nell'Italia esterna al regno, si produssero fenomeni destinati a mutare


profondamente il quadro di questa porzione della Penisola. Il principato longobardo di Benevento
(vedi il modulo Le fonti della storia medievale: l'Alto Medioevo, 7.2) finì con il suddividersi in più
parti (a cominciare dalla nuova realtà salernitana, pure di tradizione longobarda), in competizione
reciproca e quindi sempre più deboli, per le continue guerre, di fronte alla crescente minaccia delle
incursioni arabe. Gli arabi, tra l'827 e il 902, conquistarono la Sicilia, che rimase nelle loro mani a
lungo [fino all'arrivo dei Normanni (1061-1091)], conoscendo un periodo di notevole splendore.
L'Impero bizantino, dal canto suo, puntellò con una certa difficoltà i propri residui possessi nel
Mezzogiorno (consentendo, fra l'altro, il progressivo sviluppo di centri commerciali quali Amalfi),
mentre un'altra sua significativa provincia italica, Venezia (vedi il modulo Le fonti della storia
medievale: l'Alto Medioevo, 7.4), pur senza fuoriuscire formalmente - ancora a questa data - dalla
compagine imperiale, si ritagliò uno spazio di crescente autonomia, in parallelo con il rafforzarsi
della sua funzione di controllo dell'Adriatico. Infine, a Roma, furono in primo piano, come in
genere un po' in tutta Italia, le maggiori famiglie dell'aristocrazia, che riuscirono pure ad assicurarsi
il controllo dell'elezione pontificia con grave danno per l'istituzione papale, prima che anche in
questo campo si verificasse l'intervento degli imperatori tedeschi, a partire dal regno di Ottone I, e
si precisasse per gradi l'esigenza di una radicale riforma dei meccanismi di scelta del papa.

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Letture consigliate

Claudio Azzara (1999), Le invasioni barbariche, Bologna, Il Mulino.

Sofia Boesch Gajano (1994), Pratiche e culture religiose, in Storia d'Europa, 3: Il Medioevo. Secoli
V-XV, a cura di G. Ortalli, Torino, Einaudi: 169-216.

Ovidio Capitani (1988), L'età "pregregoriana", in La Storia. I grandi problemi dal medioevo all'Età
contemporanea, diretta da N. Tranfaglia e M. Firpo, I: Il Medioevo. I quadri generali, Torino, Utet:
361-390.

Paolo Delogu (1980), Il regno longobardo, in P. Delogu-A. Guillou-G. Ortalli, Longobardi e


Bizantini, Torino, Utet (Storia d'Italia, diretta da G. Galasso): 3-216.

Paolo Delogu, André Guillou, Gherardo Ortalli (1980), Longobardi e Bizantini, Torino, UTET
(Storia d'Italia, diretta da G. Galasso, I): 3-216

Giovanni Miccoli (1974), La storia religiosa, in Storia d'Italia (diretta da R. Romano e C. Vivanti),
2: Dalla caduta dell'Impero romano al secolo XVIII, Torino, Einaudi: 429-1079.

Luigi Provero (1998), L'Italia dei poteri locali. Secoli X-XII, Roma, Carocci.

Giuseppe Sergi (1986), L'Europa carolingia e la sua dissoluzione, in La Storia. I grandi problemi
dal medioevo all'Età contemporanea, diretta da N. Tranfaglia e M. Firpo, II: Il Medioevo. Popoli e
strutture politiche, Torino, UTET: 231-262.

Aldo A. Settia (1988), Castelli, popolamento e guerra, in La Storia. I grandi problemi dal
medioevo all'Età contemporanea, diretta da N. Tranfaglia e M. Firpo, I: Il Medioevo. I quadri
generali, Torino, UTET: 117-143.

Giovanni Tabacco (1974), La storia politica e sociale. Dal tramonto dell'Impero alle prime
formazioni di Stati regionali, in Storia d'Italia (diretta da R. Romano e C. Vivanti), 2: Dalla caduta
dell'Impero romano al secolo XVIII, Torino, Einaudi: 3-274.

Giovanni Tabacco (1979), Egemonie sociali e strutture del potere nel medioevo italiano,Torino,
Einaudi.

H. Wolfram (1985), Storia dei Goti, Roma, Salerno editore.

Sitografia

- Un network di portali sulla storia del Medioevo italiano:


http://www.medioevoitaliano.com

- Un sito interamente dedicato alla storia dell’Impero Romano d’Oriente:


http://www.imperobizantino.it/

- Una scheda dettagliata riguardante la storia del popolo dei Longobardi:


http://www.cronologia.it/storia/biografie/longoba1.htm

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- Alcune interessanti pagine dedicate alla storia dei rapporti tra l’Impero romano e il Cristianesimo,
con particolare riguardo alle vicende della crisi imperiale:
http://www.homolaicus.com/storia/antica/roma/impero_cristianesimo.htm

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