Sei sulla pagina 1di 49

Il termine Medioevo è spesso visto con una eccezione negativa.

In realtà esso è stato rivalutato in molti suoi


aspetti, pensiamo a Giotto o Dante Alighieri, all’eroismo cavalleresco, all’età della fede religiosa o alla libertà
della fantasia. Convenzionalmente, esso si fa iniziare con la caduta dell’impero romano nella sua pars
occidentalis, nel 476, ma già dal III secolo D.C. iniziò la ‘’decadenza’’ dell’impero, accentuata dall’editto di
Teodosio che divise in due parti l’impero alla fine del IV secolo, anche se il termine decadenza è un termine
prettamente amato dai romantici, e si colloca tra la potenza dell’impero, il rinascimento ed età moderna. La pars
Orientalis dell’impero resistette grazie alla trasformazione attuata da Giustiniano e Diocleziano e preservando
una continuità dal punto di vista culturale e istituzionale: in occidente non avvenne.
Troviamo forti contraddizioni: lunghe fasi di ristagno e di crescita, trasformazioni involutive e rivoluzioni come
quella commerciale del duecento, e si fa terminare convenzionalmente nel 1492, con la scoperta dell’America.
La suddivisione del periodo ‘’Medioevo’’ è
- Alto Medioevo (Secoli 5 - 10)
- Basso Medioevo (Secoli 11 - 15)
mentre in area germanica è diviso in
- Alto Medioevo (Secoli 5 - 9),
- Medio Medioevo (Secoli 10 -13)
- Tardo Medioevo (Secoli 14 -15)
con la teoria del lungo medioevo che porta la fine del periodo al 18esimo secolo.

Parte Prima
Capitolo 1
La caduta dell’impero occidentale Romano è da attribuirsi a fattori indipendenti tra loro:
In primis i popoli del nord e dell’est che si insediarono nell’impero per godere dei diritti riservati ai cittadini
Romani, ma la struttura economica (Roma come un gigante centralizzato che senza barriere alla circolazione
delle merci prelevava tasse pesanti per i cittadini e le ridistribuiva efficacemente sul territorio molto esteso) era
poco flessibile e quando l’unità si ruppe il passaggio a un diverso tipo di economia divenne impossibile, essendo
essa basata esclusivamente sull’agricoltura. Attraverso le città v’era il controllo e l’amministrazione, e si
fondavano su:
- Livello di autogoverno al momento della sottomissione romana
- Cittadinanza concessa agli abitanti
- Tipi ed entità delle tasse da versare
Commerci in alcuni punti e agricoltura in altri ancora accumularono immense ricchezze (all’epoca degli
Antonini la vita della città aveva raggiunto l’apice), e venne su un processo di livellamento tra centro e periferie
che indebolì l’italia a favore delle province (la forza lavoro basata sugli schiavu, lo spopolamento causato da
ragioni socio-climatiche) e il sistema economico presto mostrò i suoi limiti di carattere generale quali una
politica di finanziamenti o la scarsa capacità d’acquisto delle classi subalterne, essendosi basato più sul
benessere delle classi medio alte. La debolezza dei confini sirio-persiani fece il resto.

Nel 285 Diocleziano, militare di origine dalmata, trasformò l’impero in un dominato identificato in tutto e per
tutto con un signore assoluto e indivisibile che omaggiato come un dio e attorniato da un cerimoniale di corte
ispirato all’Egitto e alla Persia e da una fitta schiera di ministri-burocrati viveva in un palazzo identificato come
fortezza, tempio, reggia. Alle sue dipendenze vi erano due Augusti, imperatori di oriente e occidente, e due
cesari sottoposti che avrebbero succeduto ai principali imperatori, la famosa ‘’Tetrarchia’’, che abolì le regioni
augustee (imperiali e senatorie) dividendole in 12 circoscrizioni, ‘’diocesi’’ rette da vicari e divise in 101
province. Egli ristrutturò l’esercito (truppe di frontiera e reparti speciali da spostare all’occorrenza), aumentò il
carico fiscale. Si ritirò a vita privata nel 305, morirà nel 314 a Spalato, e da lì si susseguirono lotte per il potere
anche causate dall’abitudine dell’esercito di elevare i loro comandanti al potere: solo con l’arrivo di
Constantino, figlio del cesare Costanzo sotto Diocleziano e Massimiano, l’impero si riunì nel 324, ma ormai
l’asse dell’impero si era spostato ad Oriente e Costantinopoli (Bisanzio sotto Augusto d’oriente) divenne la
nuova capitale, con l’impero diviso in 4 prefetture con le capitali dioclezianee. Questo fu dettato dal fatto che i
confini più caldi si trovavano proprio nella zona orientale e quelle zone erano le più ricche e vivaci dell’impero,
pensiamo ai porti come Antiochia o Alessandria mentre in occidente si viveva prettamente di economia rurale.
Roma era la capitale morale e storica dell’impero ma era piena zeppa di famiglie aristocratiche e della plebs
(migliaia di abitanti sediziosi e privi di mezzi di sostentamento) con gli imperatori prigionieri di questa marea
pittoresca e vociante di parassiti inclini alle rivolte sanguinose. Teodosio I, imperatore nel 347, capo militare
iberico, divise l’impero in Pars: Occidentalis ed Orientalis.
Fin dal I secolo D.C, il Cristianesimo giunse a Roma mimetizzata con le altre tendenze orientali affermandosi
dapprima nelle città portuali, per poi tra Ie II secolo espandersi grazie al benessere del paese e specialmente
tramite le rotte navali anche nelle province come la Gallia. Iniziò come cultura giudeocristiana basata sul
pensiero e la predicazione di Paolo, che fra il quarto e il settimo decennio del I secolo configurò cristo come
uomo e figlio di dio per tutti i popoli della terra, innalzando Paolo come ‘’apostolo delle Genti’’. Inizialmente
venne preso come setta ebraica (Claudio nel 49 li respinse da Roma e Nerone nel 63 li prese come capri
espiatori dell’incendio di Roma) poiché innalzava il regno dei cieli rispetto ai poteri di questa terra, e rifiutando
il culto dell’alma Roma e dell’imperatore, del suo genius, spirito protettore e vitale considerato divino (come
descrive Plinio il Giovane nel 112 nelle regioni orientali e dove un rescriptum di Traiano spingeva ad analizzare
ogni caso) cominciarono persecuzioni portate avanti da Decio nel 250 e Valeriano nel 255, ma dopo un
quarantennio di pace garantito da Gallieno, negli eserciti l’idea cristiana si insinuò più che in altri ambienti e la
continua diffusione della religione (e il sempre più dissenso verso il culto dell’imperatore) spinse Diocleziano
con un editto nel 303 a perseguitarli fino al 311. Nel 313 però l’editto di Milano emanato da Costantino e
Licinio, dove si professava la libertà per tutti i culti (si dice che Costantino sognò che se avesse disegnato il
simbolo della croce sulle corazze del suo esercito avrebbe vinto contro Massenzio la guerra civile, ma si dice
che la sua conversione fu semplicemente conveniente per raccogliere seguaci in espansione).
All’antico testamento, narrazione del patto tra Dio e Abramo e le vicende successive, i cristiani ebbero
l’esigenza di unire un nuovo testamento costituito dai quattro vangeli di luca, matteo, marco e giovanni, gli Atti
degli Apostoli (Luca), Lettere degli apostoli e l’apocalisse di Giovanni, e alle prime traduzioni latine
affianchiamo nel 405 la Vulgata di San Gerolamo: fino al 1546, concilio di Trento, però, molti Vangeli e testi
Apocrifi continuarono a circolare. La nuova fede andava accogliendo idee filosofiche del neoplatonismo e dello
stoicismo, e se all’inizio si ci riuniva attorno ai presbyteroi (i più anziani) per ascoltare le scritture e ricreare la
‘’santa cena’’, le chiese di Costantino si riunivano in diocesi con un episcopo a capo (vescovo) con i patriarchi
delle quattro principali sedi vescovili (Roma, Antiochia, Costantinopoli e Alessandria) con la presenza di una
Liturgia (opera pubblica inizialmente con la quale i facoltosi nel mondo ellenistico pagavano eventi di interesse
comune sottoforma di donazione obbligatoria) e ricostruendo il sacerdozio ebreo terminato con la distruzione
del tempio di Gerusalemme e la Diaspora nel 70 D.C. a opera dell’imperatore Tito, dividendolo in Laici e Clero
(diviso in minori e maggiori) e nel IV secolo la messa si articolò in ‘’Liturgia della Parola’’, ‘’Offertorio’’ e
cànone (liturgia eucaristica e congedo).
Nei Concili, il primo fu a Nicea nel 325 con Constantino a presiederlo, I vescovi si riunivano e discutevano i
problemi riguardanti la comunità di Cristo, in primis i dogmi e le eresie, viste come opinioni individuali capaci
di minare l’unità cristiana. Il cristianesimo era entrato in contatto, cosi come l’ebraismo, con moltissimi
ambienti filosofici, ellenistici, in primis la Gnosi (la conoscenza era indispensabile per la salvezza) e il
manicheismo (divisione tra bene e male) mentre ripudiava altre come il docetismo (nega la realtà materiale della
sofferenza e morte di gesù ma erano solo apparenti) e l’eresia ariana (Cristo simile a Dio ma non identico, teoria
respinta tramite il simbolo niceno oggi conosciuto come Credo, istituendo il dogma della trinità). Tuttavia,
diverse convinzioni diedero vita a nuclei cristiani differenti. Tuttavia, ci volle il 380 per arrivare all’Editto di
Tessalonga Graziano, Teodosio I e Valentino II sancirono il cristianesimo come Religione di Stato, proibendo
arianesimo e paganesimo.

Capitolo 2
La fase di raffreddamento climatico nel II sec. D.C. portò Roma e l’impero cinese a subire notevoli cambiamenti
quali la migrazione di popoli, bloccate tramite la grande muraglia cinese nel terzo secolo A.C. e i Valla Romani,
sistemi di difesa che però non oscurarono le vie commerciali quali la via della seta e verso la cina stessa
dall’occidente tramite vie di comunicazione attraverso aree inospitali per unire i popoli ai confini di essa, pastori
e allevatori di cavalli nomadi, pensiamo agli Unni o i Tocari, cavalieri e allevatori di cavalli. La grande
Muraglia doveva evitare le loro incursioni, ma i contatti furono necessari per i cavalli e l’allevamento in
generale essendo i cinesi agricoltori e non allevatori. In occidente, invece, vari popoli iniziarono ad avere
contatti con quello Romano, favorendo lo sviluppo della società europea fondamentale, quali I geti o i daci (i
greci divisero cosi i popoli di origine scitica e celtica misti ai traci) o gli sciti, nord iranici cavalieri ed arcieri
che prevedevano stati di estasi indotta da cannabis indica (hashish) e motore di tutte le migrazioni nel millennio
prima di cristo poiché divisi in tribù, e i sarmati, sempre nord iranici e cavalieri, e una loro tribù (alani)
incontrarono i romani nel I secolo D.C., venendo descritti come abili guerrieri pesantemente armati. Il termine
Barbaro è esemplificata sul greco Barbaros (stranieri balbettanti) e se inizialmente per i romani indicavano i
persiani o gli sciti, Cesare prima e Tacito poi nella sua Germania avevano conosciuto i germani (contrapposti ai
romani in fatto di moralità) e celti.
I germani credevano in Asi e Vani, divinità ellenistiche e telluriche, nelle norme germaniche e i loro culti
ruotavano intorno ad alcuni miti come Thor, Odihnn-Wotan, e anche Tacito dice che i germani non conoscevano
una vera casta sacerdotale o effigi sacre ma si deve tener presente che essi raffigurassero i loro dei tramite il
culto in apparenza degli elementi naturali (la somiglianza formale tra crocifissione di gesù e iniziazione di
ohdinn-wohan sospeso a un albero detto frassino del mondo, yggdrasil, fu usata dai missionari nel X secolo)
mentre Ragnarok fu paragonata all’apocalisse. Dal punto di vista sociale, erano riuniti in più famiglie collegate
tra loro da rapporti di parentela dette Sippe, non vi era proprietà privata e si poteva eleggere un re in caso di
guerra.

Capitolo 3
Gli imperatori romano-barbarici, purchè si sottomettessero all’autorità superiore di Bisanzio, potevano arrogarsi
di certe zone occidentali: si definiscono in questo modo perché alle popolazioni romane legate alla loro
tradizione e alla loro cultura si accomunarono imperatori germanici senza leggi scritte e con economia
prevalentemente pastorale.
-I goti in particolar modo furono protagonisti della più ampia migrazione, unita in confederazione (gepidi, alani
e unni), ci sono segnali di loro in Dacia nel II secolo e nel III secolo si divisero tra ostogoti e visigoti,
spostandosi poi verso sud-ovest: nel Iv secolo si convertirono al cristianesimo ariano, grazie anche al loro
vescovo Ulfila, ricordato per aver tradotto la Bibbia in lingua gota. I visigoti si recarono verso ovest, gli
ostrogoti in europa centro-orientale, e dopo essersi occupati molto delle leggi germaniche quali il Codex
Euricianus nel 470 o la Lex Romana Visigothorum nel 506, furono sconfitti dai Franchi di Clodoveo nel 507 e
nei primi del VI secolo costituirono nella penisola iberica un regno dotato di leggi scritte di chiara influenza
romana e di altissima cultura: Isidoro di Siviglia, autore del testo Etymologiae, fu fondamentale alla cultura
dell’intero medioevo. Si convertirono al cattolicesimo a fine sesto secolo, e furono conquistati all’inizio
dell’ottavo secolo dai musulmani.
Teodorico, ucciso Odoacre, diventò ‘’Patronus in Italia’’: da Ravenna, divenne quasi un vice imperatore, costruì
il suo regno con libertà e si fece sempre chiamare Rex, cercando di coinvolgere anche i latini ma senza
tralasciare i rapporti esteri con gli altri paesi vicini, volti a creare una confederazione germanica con visigoti in
spagna, franchi in gallia e burgunti. I goti si occupavano delle cose militari e i romani quelle civili, ma
Teodorico era l’unico Goto che possedeva la cittadinanza romana, tenendo una divisione e una crescita parallela
tra i due popoli che porterà alla caduta di Teodosio. Giustino I nel 518 riconobbe Eutarico come successore di
Teodosio, e mentre perseguì una persecuzione verso gli anticolerici e ariani, la morte di eutarico aprì la
questione della successione con Ravenna contro l’elitè Romana divisa tra chi sosteneva i goti e chi invece
chiedeva l’intervento bizantino. Quando nel 525 Giustiniano salì al potere, Teodorico decise di eleggere per
conto proprio con l’aiuto dell’aristocrazia Gota il suo successore, e dopo l’elezione di Papa Felice IV morì nel
526, lasciando la figlia Amalasunta alla reggenza. Lei non riuscì a proclamarsi regina a causa del suo essere
donna e dei suoi tentativi di riavvicinarsi a Giustiniano, e quando il figlio Teodato divenne Re ma invece di
condividere con la madre il potere la incarcerò e la uccise nel 535, Giustiniano stesso scatenò la Guerra Greco-
Gotica con una temporale ma distruttiva conquista della penisola Italica.
- Longobardi (la cui origine è ignota, si ipotizza alla foce del fiume elba, e che Tacito descrive come popoli
devoti alla dea della fertilità Nerthus, probabilmente quindi agricoltori e pastori) giunsero dopo varie
vicissitudini in Italia nel 568\569 tramite le Alpi Orientali, e non fecero i foederati come i loro predecessori ma
si diedero ai massacri: Il Re viveva a Padova, e tramite 36 ducati governavano. In ogni ducato v’era un gastaldo
e il nucleo dell’aristocrazia era composta da guerrieri possessori detti arimanni. Agilulfo contribuì al passaggio
della corte longobarda al cristianesimo niceno-efesino-calcedoniano e subordinandosi al papato Romano, e
Rodari che con un editto promosse la formazione di un testo scritto, latino, delle leggi longobarde e quelle
d’origine germanica (la faida fu sostituita dal guidrigildo). I germani occidentali avevano acquisito la divisione
in tre caste, quelle dei nobiles, i guerrieri contadini liberi e la plebe dei liti, assimilandosi ai sassoni da questo
punto di vista, mentre gli Haldii erano più vicini alla condizione degli schiavi, mentre i fulcfree erano i liberi. La
fara invece è ancora oggetto di dibattito, si ritiene sia un nucleo che si richiamava ad una ascendenza comune,
organizzato militarmente in vista della migrazione e della conquista.
Il concetto longobardo di monarchia era legato alla scelta di un re nobile, investito da una forza magico\sacrale
ma sottomesso alle volontà del Bund, unione delle famiglie allargate, le Sippe: il re dotato di Virtus (dote del
guerriero, sintesi di coraggio, forza e astuzia) è paragonato a un condottiero (Paolo Diacono parla di un re che
afferra la lancia, non legato al concetto di re per nobiltà. Oltre le dinastie e i rapporti di parentela tra i vari
Lombardi, di cui troviamo tanti paragrafi nell’editto di Rodari, gli istituti della Meta (parte del patrimonio del
marito destinato alla moglie) e del Morgingab (elargizione che l’uomo era tenuto a compiere per testimoniare la
volontà di sposarsi) sono i più importanti. Il cavallo era il loro animale prediletto-
-I franchi influenzeranno e non poco la storia europea: Fra V e VI secolo misteriosamente si convertirono al
cattolicesimo e ne diventarono i figli prediletti. Nel corso del VI secolo il regno si amplio, e si ampliò ancor di
più sotto i quattro figli maschi del Re Clodoveo, che divisero il regno in quattro parti, però portando alla luce la
debolezza dei re merovingi (re fannulloni) e l’emergere dei ‘’Maestri di Palazzo’’, personalità aristocratiche
scelte dal re tra le famiglie più ricche. Nel 613 Clotario II riuscì a unire Neustria ed Austrasia sotto il suo potere,
dopo i tentativi di Brunichide, e ci volle l’aiuto di due aristocratici (Pipino di Landen e Arnolfo, vescovo di
Metz). Alla morte di Clotario nel 629, Arnolfo si chiuse nel monastero di Habendum e vi morì in fama di
santità, mentre Pipino seguì il nuovo re Dagoberto perdendo il suo potere e morendo col re rispettivamente nel
639 il re e 640 lui: ci fu la prova di un figlio di Pipino, Grimoaldo, ma soltanto nel 687 la rigida nobiltà franca,
legata al carisma del sangue reale, fu ‘’soggiogata’’ da Pipino II di Heristal, che unificò Ansegisel e Begga.

I longobardi si romanizzarono sui costumi e si laticinizzarono giuridicamente e religiosamente, perdendo la loro


identità: Liutprando cercò di diventare un forte monarca ma il papa preferiva conservare il potere a Roma e nelle
terre vicine e da questo re si fece consegnare Sutri, primo nucleo del potere temporale papale (Patrimonium
Petri), ma quando il re lombardo assediò Roma, l’aiuto di Carlo Martello, maggiordomo d’austrasia. Il nuovo
papa Gregorio III cercò di concordare con il monarca longobardo, e si alternarono nel tempo momenti di pace e
momenti di conflitto aperto sfociati in Papa Stefano II che proclamò Patrizi dei romani Pipino il Breve, maestro
di palazzo francese, permettendogli di scendere in Italia e donando tramite la ‘’Donazione di Costantino’’,
dimostratasi falsa da Lorenzo Valla nel quattrocento, ex terre imperiali tra cui marche, romagna, emilia, marche,
lazio, umbria.

Capitolo 4
Roma non era più governata dai Re, ma dal vescovo di Roma, chiamato affettuosamente papa (da abba, padre) e
Pontifex, e tra IV e Vi secolo il vescovato di Roma iniziò ad affermarsi sulle altre sedi vescovili, confermato nel
Concidio del Calcedonia, ma ostacolato dai vescovi della pars orientalis dell’impero, e dopo il 476 la divisione
tra queste due parti di chiesa divenne sempre più evidente: gli orientali restarono relegati nella parte spirituale,
essendoci una figura forte quale il sovrano, mentre gli occidentali si occuparono anche di politica. La chiesa di
Roma decise di intraprendere un’estetica augustea, e conservò l’unico potere di respiro universalistico, cercando
cosi di mantenere i rapporti con il ceto senatoriale romano: le grandi discussioni teologiche orientali non si
diffusero in europa, a parte il Pelagianesimo (da Pelagi, colto monaco irlandese che a fine quarto secolo parlava
dell’inesistenza del peccato originale che comprometteva il principio del libero arbitrio). Da Gregorio I Magno,
vi fu la conversione architettonica della città di Roma, come dedica del mausoleo d’Adriano all’arcangelo
Michele.
La contrapposizione cristiana tra fuga del mondo per seguire il divino modello di Gesù e impegno nella vita
quaggiù con amore del prossimo e carità era rappresentata dai martiri che salvavano la vita eterna e i Monaci
(dal greco monos, solo) detti ‘’martiri incruenti’’ derivante dal monachesimo anacoretico, cioè eremitico, ma
che in occidente si trasformò in monachesimo ‘’cenobitico’’, in comunità, come quello di san Pacomio, e se le
incursioni barbariche portavano gi cittadini ad abbandonare le città per delle fortezze-fattoria (villae), l’arrivo di
Benedetto da Norcia (Patrono d’europa) riorganizzò l’esistenza: nato nel 480 da una famiglia agiata, arrivò a
Roma e disgustato si ritirò prima a Subiaco e nel 529 a Montecassino (il famoso monastero distrutto tante volte,
l’ultima nel 1944) dove scrisse la Regula, fondamentale per 1) Opus dei, celebrazione corale dell’uffizio, 2)
Messa comune, lettura sacra, prescrizione di lavoro manuale per sconfiggere l’ozio ‘’Nemico dell’anima’’, 3)
L’obbligo di risiedere in un solo monastero (Stabiitas loci), 4) la Conversatio, buona condotta morale. Il
monastero Benedettino divenne un’oasi di pace in contrapposizione all’ambiente circostante, le scritture erano
conservate nelle biblioteche e venivano copiati per poi essere condivisi con i monasteri gemelli detti ‘’cassinesi,
e fino in Inghilterra questo modello si espanse.
Tuttavia, il cristianesimo si espanse anche con la guerra: la conquista cristiana dei germani a nord e a est del
regno dei franchi nel 690, e nel 719 papa Gregorio II cambiò nome in papa Bonifacio e attuò una serie di viaggi
volti a incrementare la fede in più angoli della terra, soprattutto in Germania: la chiesa tedesca si riaffermò, ma
sacche di pagani rimasero in vita, riversando riti e usanze antiche nella nuova fede.

Capitolo 5
Nella parte orientale dell’impero vi furono incursioni come nella parte occidentale: i primi a insediarsi furono
gli Avari, originari della Mongolia, sconfitti durante la disastrosa conquista fallita di Costantinopoli, e i bulgari,
nati dalla disgregazione di un vasto dominio a metà VII secolo e spinti dall’imperatore Costantino IV Pogonato,
decisero di confederare le popolazioni assoggettate essendo loro temibili cavalieri e portarono la penisola
Balcanica a perdere i tratti greci e assumere quelli uraloaltaico e slavo. Costante politica degli Augusti d’oriente
fu il condurre una politica di buon vicinato con i regni barbarici, trasformata poi in spinta verso la pars
occidentalis, e quando salì al trono Zenone, principe Isaurico (popolo battagliero dell’Anatolia) ci pensò
Odoacre a ricordargli dell’esistenza di un solo imperatore consegnandogli le insegne imperiali e unificando
l’ìmpero sotto il suo nome. Zenone era combattuto tra la fede religiosa scelta al concilio di Calcedonia, quella
del vescovo di Roma, e quella del suo popolo, monofisti sostenenti della natura divina di Gesù cristo e non di
natura umana e divina: entrambe furono unificate nella dottrina monotesista (esistenza di cristo di due nature ma
una sola volontà, il verbo divino) condannata dal concilio di Costantinopoli nel 681. Quando salì al potere
Giustiniano nel 527, nipote del persecutore Giustino contro ariani e monofisti, decise in primis di stipulare una
pace perpetua con i persiani a est nel 523 per volgersi a ovest e riconquistare la pars occidentalis dopo una breve
rivolta della Nika (‘’Vinci’’, l’urlo dei rivoltosi a Costantinopoli, che spinsero Giustiniano a fuggire ma fu la
moglie Teodora a bloccarlo). Giustiniano riformò l’oriente (risparmio, eliminò privince e accentrò
l’amministrazione, concluse la cristianizzazione dell’impero, imprigionò il vescovo di Roma e ribadì
l’ortodossia), creò un codice di leggi importantissimo, attingendo a quelle imperiali romane, diviso in
- Digestum: raccolta degli Iura da parte di Triboniano
- Codex Iuris: raccolta delle collezioni imperiali di leges
- Institutiones: testo base per il diritto nelle scuole
- Novellae Constitutiones: leggi emanate da Giustiniano tra 535 e 545
E nel progetto di riforma politica dell’impero, approfittò della morte di Amalasunta, figlia di Teodorico, da parte
del Nipote Teodato per inviare in Italia Belisario, un temibile Generale, e nella famosa guerra ‘’Greco-Gotica’’:
egli riuscì a uccidere il successore di Teodato, Vitige, ma gli ostrogoti, sotto la guida dell’immortale Totila
riuscirono a battere ripetutamente i Romani, abolendo inoltre la schiavitù: Narsete, successore di Belisario,
riuscì dove il predecessore aveva fallito, e divenne nel 553 governatore d’italia, alla quale fu ampliata la nuova
legislazione imperiale tramite la prammatica sanzione, fu divisa in prefetture con sede a Ravenna e in varie
province, ma le razzie provocate da gruppi di franchi e alemanni spinsero al fallimento la ricostruzione
dell’unità imperiale. Infatti, a Oriente i Persiani ricominciarono ad attaccare e a patto di un quantitativo d’oro
spropositato nel 562 vi fu una tregua, tregua che viene usata da Procopio di Cesarea, storico che lavorò a corte
per un periodo, per descrivere ne ‘’La storia Segreta’’ Giustiniano e la moglie Teodora in maniera prettamente
negativa, parlando del primo come frutto dell’amore della madre con un demone e della seconda come di una
prostituta arrivata ai piani alti del potere.
L’appesantita avversione barbarica a nord e ovest portò gli Augusti d’oriente a lasciar perdere la pars
occidentalis: Maurizio fondò nel VI secolo due esarcati, a Ravenna e a Cartagine, per impedire l’arrivo dei
Longobardi e delle tribù Berbere in Africa, a cui poi si aggiunse la Pentapoli sull’adriatico Italiano, ma i
Persiani ripresero gli attacci nel VII secolo, conquistando persino Gerusalemme nel 614, ma Eraclito, imperatore
Romano, ribaltò la situazione nel 628 e divise in 32 distretti, i Temi, organizzando l’amministrazione centrale in
Logotesie alle dipendenze di funzionari, i Logoteti. L’impero ormai parlava Greco, distaccandosi dalla pars
Occidentalis del tutto e divenne ‘’lmpero bizantino’’.

Capitolo 6
Da oltre un millennio prima di Cristo l’area corrispondente alla penisola Arabica era abitata prevalentemente da
popolazioni nomadi divise in tribù chiamati Beduini (abitanti del bidwa, solitudine) che allevavano pecore e
capre, coinvolti di continuo in guerre tribali tra settentrionali e meridionali (nizariti e yemeniti) ed esperti in
commercio: divisi in aree governate da uno sceicco (vecchio, signore) garantiva il passaggio delle carovane e
trovandosi al centro di molte rotte commerciali, come le merci preziose indiane, tramite la via ‘’delle spezie’’ o
‘’dell’incenso’’ nascquero floride città carovaniere quale Palmira o Petra. La zona Musulmana infatti si trovava
come cerniera di tre grandi imperi euro-afro-asiatici e si parlò di Miracolo quando la loro fede rivoluzionò il
mondo: La guerra Etiopico-persiana però modifico gli assetti politici, e i beduini dovettero cercare nuove fonti
d’acqua per sostituire le dighe e i canali danneggiati, e tra Yemen e Damasco le città crebbero di importanza (La
mecca). Gli arabi inoltre avevano ereditato una serie di riti e culti astrali dai vari popoli incontrati, in primis
dagli Ebrei: la maggioranza degli Arabi professava l’enoteismo, fede in Dio di Abramo chiamato Allah, ‘’la
potenza’’, e dei minori come quelli del bethelim (pietre d’origine celeste come la Pietra Nera portata
dall’arcangelo Gabriele) e le figlie di Allah, Ul-Uzza, Allat, Manat (Potente, Dea, Destino). Erano inoltre diffusi
il cristianesimo in forma Nestoriana (due persone, e non una, quella divina del Cristo e quella umana di Gesù) e
l’ebraismo stesso a La Mecca.
Verso il 610, l’arrivo di un quarantenne di nome Muhammad sconvolse gli equilibri: nacque intorno al 570 ma
la data è ricavata dal fatto che iniziò a predicare nel 610 e morì nel 632 a Medina, e nato durante ‘’l’anno
dell’elefante’’ (famosa marcia verso la mecca da parte degli etiopi): nato sotto il controllo dello zio, si dice che
un monaco cristiano-monofista lo riconobbe come il messia degli Ebraici, nel 595 sposò Khadigia, due volte
vedova e di quindici anni più grande, e nel 611 ricevette in visita lo splendente angelo Gabriele come la
ricevette Maria sei secoli prima. Iniziò a predicare dal VII secolo, ma l’aristocrazia mercantile legata al culto
della Kaaba e la morte di zio e moglie lo spinsero a spostarsi a Yatrib durante l’egira, il 16 luglio, e dal 622 la
nuova fede impose un nuovo calendario da 354 giorni divisi in 12 mesi e pian piano conquistò la penisola,
scontrandosi a volte con gli Ebrei dispersi dopo la Diaspora nel 135 a causa della distruzione di Gerusalemme
da parte dell’Imperatore Adriano, e favorendo i meccani spostando la città santa a La mecca, centro del mondo,
liberando il culto del santuario della Kaaba dagli idoli che ospitava, e mantenendo la pietra nera.
Islam, derivante dalla stessa radice consonantica di salam, pace, è una fede a carattere universalistico nata nel
secondo-terzo decennio del VII secolo, e Muhammed si definì sempre un restauratore dell’antico monoteismo
abraico (effettuò anche la circoncisione): il musulmano è colui che si affida con pienezza al signore, tale
fiducioso abbandono si esprime attraverso i cinque pilastri dell’islam, che vanno osservati (la professione di
fede, la preghiera cinque volte al gkiorno, il pellegrinaggio a La Mecca, il Digiuno nel nono mese dell’anno, il
ramadan quindi, e l’elemosina legale). Il Dio dei Musulmani non è Pade, ma Signore o Padrone. L’islam non ha
un clero separato dai credenti, ha estremo rigore sul piano della Legge e flessibilità su quello pratico,tra i non
musulmani distinguiamo i monoteisti che sono ‘’genti del libro’’, protetti ma sottomessi all’islam, e i pagani, il
kafir, contro cui si scatena la Jihad, ‘’guerra giusta’’, anche se si intende più una guerra interna contro il peccato,
il nemico interno, identificato quindi come Pugna Spiritualis. Fonte primaria è il Corano (recitazione), dettato da
Dio e quindi sua immediata espressione, invariabile dal 656 per opera del califfo Uthman, e corredato da altri
testi (Tradizione detta Sunna) quali la Sira, vita del profeta, l’ijma, consenso dei dottori della legge, e il qiyas, il
ragionamento analogico. Fondamentale è che L’islam non si basa sull’intima persuasione ma sulle azioni e sul
comportamento: non v’è peccato originale e ogni offesa al dio è espiabile in terra, con il concetto di Religione-
Potere-Mondo come tre dimensioni del popolo. Le tribù beduine ebbero ora un credo e un ideale comune che li
tolse dalla spirale delle continue guerre, che rivolsero all’assoggettamento degli infedeli piuttosto che alla
conversione, ma alla morte del Profeta si cercò dapprima l’elezione di un ‘’vocario’’, khalifa, e tra il suocero e il
nipote di Muhammad si predilesse il secondo, ma la guerra della Ridda, provocata da quelle tribù che avevano
giurato fedeltà solo al gran profeta, portò il nuovo califfo Uman Ibn Al-Khattab tra il 633 e il 644 ad espandersi
conquistando Ctesifonte, Siria, Palestina, Egitto, Gerusalemme, Alessandria: siriani ed egiziani non ebbero
difficoltà a seguire i liberatori orientali, essendo la loro fede monoteistica eretica per Costantinopoli, ma in
cambio di un pesante tributo, e con la possibilità di convertirsi in qualsiasi momento, accettata dagli Arabi, la
cui lingua era ormai diffusa. Egli diede vita al califfato elettivo: un consiglio, shura, eleggeva il nuovo califfo.
Uthman salì al potere, ma fu assassinato nel 656, e Ali, accusato dell’omicidio, gli successe: la guerra che ne
seguì portò quest’ultimo ad avere la meglio, ma quando morì ucciso nel 661, si creò la prima scissione
nell’Islam, da un lato i seguaci di Uthman, i sunniti, e dall’altro i seguaci di Ali, gli sciiti. I sunniti
riconoscevano l’eleggibilità di tutti i membri, gli sciti si limitavano ai soli discendenti del profeta, ovvero di ali e
della moglie Fatima. Il capo sunnita è un capo temporale che deve difendere l’islam, non ha prerogative
religiose, mentre L’imam sciita è superiore alla comunità e conosce cose sacre, è infallibile. Intanto gli scisma
continuarono, e nacquero i Khargiti, una parte dei seguaci di Ali, sostenevano uno scontro armato come volontà
di Dio, e gli Ismailiti, riempito dai dissidenti degli altri gruppi I sunniti ebbero la meglio sui seguaci di Ali, ma
si intromise la linea dinastica rispetto all’elezione del capo sunnita e nacque la dinastia Umayyade. Espansione e
consolidamento divennero le parole d’ordine, e la corte di Damasco andò sempre più assoggettandosi a quella
bizantina, mentre l’espansione dopo la battaglia di Talas con i cinesi nel 721 fu dovuta alla progressiva
conversione dei turchi. In Oriente si affermò l’egemonia musulmana a Cipro, in Sicilia, ma Costantinopoli non
caddè, mentre in Occidente gli Arabi distinguevano tre grandi elementi etnosociali: i rum, bizantini, gli afriki,
autoctoni ormai cristiani, e i berber, i barbari, che accettarono l’islam ma non si assoggettarono a loro. L’africa
settentrionale fu conquistata, e in spagna Los Moros, come li chiamavano i spagnoli cristiani, fecero razzia di
tutto, dal 711, conquistando fino al 732, quando Carlo Martello li sconfisse a Poitiers. Le incursioni si
fermarono nel VIII secolo.

Parte Seconda
Capitolo 1
Si temeva che la ‘’terra dei franchi’’ facesse la fine degli Spagnoli: la battaglia di Poitiers divenne mito, la
sconfitta dei musulmani e il salvataggio della cristianità, Carlo Martello ristrutturò la proprietà agraria e li
trasformò in guerrieri pesantemente armati, e i nuovi proprietari guerrieri divennero devoti a lui e alla sua
politica, debellando i re merovingi definiti ‘’fannulloni’’, e alla morte di re Teodorico IV divise la Francia tra
Pipino il breve e Carlomanno, che si ritirò nel 751 lasciando Pipino come imperatore, che richiese l’unzione da
parte di papa Stefano II e l’incoronazione nel 754 per sé e i suoi figli, Carlo e Carlomanno. A carlo, che si fece
chiamare Carlomagno, nato nel 742 e morto nel 814, si deve un modello nuovo e originale che superò i regni
romano barbarici per consegnare all’occidente un regno rozzo ma rispondente alle necessità continentali di
governo. Carlo ci viene descritto da Eginardo ispirandosi agli imperatori romani ne il ‘’Vitae di Svetonio), si
disse fosse di enorme prestanza fisica, cosa confermata nel 1861, che ebbe molte mogli e circa 19 figli
illegittimi e non, che avesse grande naso e collo tozzo, che mangiasse e cacciasse molto.
Nel 772 salì al soglio pontificio Adriano I, forse legato con Carlomagno da parentela sosteneva Desiderio, re dei
longobardi, che attaccò il papato nel 772. Adriano chiede aiuto a CarloMagno, che aveva ripudiato la figlia di
Desiderio come sposa, e i franchi invasero il regno longobardo conclutasi con la pace di Pavia nel 774 e la
chiusura di Desiderio in un monastero. Carlo incontrò il papa nel 775 e si prese il titolo di Rex Francorum et
Longobardorum, nonché consacrò il figlio Carlomanno Re d’italia e Ludovico re d’aquitania. Sottomise inoltre
la Baviera, nel 787 scegliendo un nuovo capo, e massacrò come fece con i sassoni anche gli avari, incontrati
precedentemente nelle popolazioni uralo-altaiche, perché aveva bisogno di prestigio, e creo la marca della
Catalogna, un ponte che gli permise di avere il controllo sull’intera linea dei Pirenei. Con il Califfo di Baghdad i
rapporti furono mantenuti ottimi, cosi come con il Papato: egli infatti puntava all’unificazione dell’occidente a
parte le isole Britanniche e atteggiarsi a successore degli imperatori Romani d’Occidente, creando un nuovo
potere che potesse opporsi all’oriente e collaborare col Papato, che puntava a fortificare un sicuro Patrimonium
Sancti Petri: Dopo un aggressione nel 799, Leone III si rifugiò a Paderborn. Carlo così potè entrare a Roma
nell’800 accolto con l’adventus Caesaris, il cerimoniale rivolto a un imperatore romano nell’antichità, e la sera
del 25 dicembre 800 fu incoronato in San Pietro dal papa stesso, rimesso al suo posto dopo aver firmato una
Purgatio Sacramentum: nasceva un impero latino e cristiano sotto la protezione e gli auspici del Vescovo di
Roma. Il sovrano si circondò da un comitatus, gruppo di fedeli, rpartì l’impero in varie circoscrizioni pubbliche
che affidò ai singoli comites. La riforma colse anche l’aspetto monetario, con la creazione di una nuova unità
monetaria, il denarius d’argento, la 240esima parte di un’unità ponderiale, la Libra, e un risveglio culturale in
tutto l’occidente portò a un ritorno del Latino come unico mezzo in grado di risollevare il livello: aumentarono
le biblioteche monasteri dove si copiavano antichi codici e nuove opere, cosi come scuole (scriptoria): con
l’epistula de litteris colendis, mandata a Bogulfo, abate di Fulvia, spiegava come interpretare le sacre scritture
senza cadere in errori. Attorno al sovrano si riuniva la Schola Palatina, circolo di dotti, e nacque la biblioteca di
Palazzo, mentre in tutto l’impero si diffuse una nuova grafia, sostituendo quella volutamente scelta dagli
amanuensi e con caratteri più chiari e uniformi, proveniente dalla Gallia, e chiamato Minuscola Carolina. Carlo
fu quindi Padre fondatore d’Europa e diede il via al Rinascimento Carolingio.

Capitolo 2
L’unico figlio di Carlomagno, Ludovico il Pio, eredita un impero in crisi in un progetto che prevedeva la
divisione tra i tre figli, i primi due morti prematuramente: la debolezza del potere centrale e l’arroganza delle
aristocrazie francesi portò a un rinnovamento spirituale, Benedetto d’Aniane inoltre provò a riformare la chiesa
dividendo i due poteri temporali e spirituali, anche se la situazione precipitò nello scegliere gli eredi. Con
l’Ordinatio Imperi, nel 817, Ludovico lasciò Lotario come imperatore e i figli subordinati al primo, ma l’arrivo
di un quarto figlio portò sull’orlo di una guerra civile, evitata solo perché l’aristocrazia francese non ebbe alcuna
volontà nel perseguirla: alla morte di Ludovico nel 839, Lotario, Carlo il Calvo e Ludovico si scontrarono per il
potere, con il ‘’Giuramento di Strasburgo’’ (fondamentale per la nascità del francese e tedesco) si spartirono
l’impero, di cui dall’877 in poi non restò nulla. La Borgogna prese importanza in quel periodo, divisa in Regno
di Provenza e Regno dell’Alta Borgogna (svizzera), uniti nel 933 da Rodolfo II, ma nel 1032 inglobati dalla
corona di Germania. Carlo il Grosso, figlio di Ludovico, non riuscì a proteggere il papa Giovanni VIII nell’822
e morì dopo aver abdicato nell’888., quando i Normanni conquistarono Parigi e l’aristocrazia gli si ritorse
contro.
Tra il nono e il decismo secolo, nel fragile impero carolingio ci furono incursioni, saccheggi nei monasteri,
molti citadini scapparono dalle coste e si rifugiarono in nuove città rifondate in montagna, a causa degli ungari, i
normanni, i saraceni e i vichinghi, di cui una parte si era data alla pirateria, tra Jutland e Penisola Scandinava. I
Danesi, però, misero in seria difficoltà l’occidente con le loro navi senza ponte e a remi, i Dragoni, e nel 910 un
gruppo di Normanni si insediarono all’interno, in francia nacque il ducato di Normandia con Rollone, il loro
capo, nominato duca, cosi come in Inghilterra.
In molti luoghi, in risposta a queste incursioni, nacquero nuovi centri di potere aristocratico, in Italia soprattutto
vi fu l’accentramento del potere nelle mani dei vescovi (e da qui nacquero i primi comuni) e in Europa,
un’europa spopolata dove le comunicazioni erano scarse e quasi impossibile a causa della distruzione delle
strade romane da parte dei postcarolingi, si accentrò invece nella mani di un signore feudale, in un rapporto da
uomo a uomo, favorendo la nascita di Castelli dove i signori vivevano e intorno a loro organizzavano la vita di
chi stava nelle vicinanze. L’incastellamento, se cosi vogliamo definirlo, stabilì un sistema feudale con duchi,
marchesi e conti alle dipendenze del sovrano.
Tre erano gli elementi fondamentali del sistema ‘’Vassallatico-Beneficiario’’:
- L’oggetto concreto (Honor) che viene dato dal dominus al vassus
- Elemento personale: Vassallaggio, ovvero la condizione di fedeltà garantita dal rito dell’Homagium.
Cosi facendo, il vassus si dichiarava Homo, fidelis del suo dominus
- Elemento Giuridico: Immunità Giudiziaria e concessione amministrazione giudiziaria.
Il vassallo, quindi, diventava possessore e non proprietario del feudo, che consisteva da un pezzo di terra a una
somma di denaro e cosi via: possesso e sfruttamento erano accordati dal signore, ma non la proprietà assoluta, la
possibilità di vendita, alienazione, o dare in eredità. Questi rapporti diedero il via a rapporti di interdipendenze
reciproche, ma la precarietà e l’intrasmissibilità portarono i grandi feudatari ad appropriarsi di fatto dei feudi a
loro assegnati, portando Corrado II nel 1037 con la Constituto de Feudis a rendere trasmissibili i feudi e
irrevocabili una volta assegnati. La vecchia proprietà privata, Allodo, continuava a esistere, ma la Signoria
Feudale, esito giuridico e produttivo concreto del sistema Vassallatico-Beneficiario che dava sicurezza a un
Europa debole, ebbe importanti ripercussioni anche nell’economia: ai signori infatti era chiesto di fare i soldati
pronti alla guerra e di godere delle loro rendite essendovi un potere centrale assente e debole, con i
Ministeriales, collaboratori fedeli nati in Germania come figura simbolo del feudalesimo.
L’inizio dell’economia monetaria, però, smantellò questo ordine.

Capitolo 3
In un’Europa statica con le città chiuse dentro le loro cinte fortificate legate ai loro maggiorenti e nelle
campagne sotto il volere di un’aristocrazia di possessori di terre, la polverizzazione stessa del potere fece
emergere veri e propri caratteri nazionali: si parla di una Francia, Una Germania, regni non Nazionali ma non
Romano Barbarici. In Germania si affermò una confederazione di popoli (Bavari, Franconi, Svevo-Alemanni e
Sassoni) con a capo un loro Dux con poteri derivanti da antiche tradizioni giuridiche e mitico-religiose d’origine
pagana, con un principio dinastico che portava il Re a essere eletto dai vari duchi. La Francia Orientalis nella
quale risiedevano Alemanni, Bavari e Sassoni si misurava con un substrato latino fermo alle rive del Danubio e
del Reno, e fu il duca di Sassonia Enrico ‘’L’uccellaccio’’ a riorganizzare l’assetto amministrativo e a
sottomettere Ungari e Slavi, cosa ripetuta da suo figlio Ottone I eletto nel 955, che potè contare sull’appoggio
degli uomini colti ed esperti nell’arte e nel reggere i sudditi provenienti dalla Chiesa Tedesca. Ottone stesso
assegnò le contee carolingie in mano a Vescovi purchè gli fossero fedeli, diventando detentori di una funzione
Laica ed Ecclesiastica distinte e separate tra loro, e portando alla riforma della Chiesa d’Occidente e a un
dialogo con l’impero Bizantino. La crisi del regno d’Italia in mano all’Anarchia Feudale portò la prima discesa
di Ottone in Italia, incoronato re a Pavia nel 951 (la scusa fu la persecuzione ad Adelaide, moglie di Lotario II,
figlio di Ugo di Provenza, che governò tra 926 e 946, da parte di Berengario II marchese d’Ivrea) che però
ritornò in Germania per sedare gli Ungari. La Chiesa Romana finì in crisi nel X secolo, il papato era nelle mani
delle aristocrazie locali, e fu Giovanni XII, figlio di Alberico, figlio di Marozia (che elesse quattro papi tra cui si
dice la Papessa Giovanna), figlia di Teofilatto, tutti appartenenti alla famiglia dei Tuscolo, a spingere Ottone a
scendere nuovamente in Italia, facendosi incoronare a Roma nel 962 e firmando il Privilegium Othonis (ogni
elezione pontificia necessitava dell’approvazione papale, e l’imperatore era fedele al Papa).
La distinzione tra Auctoritas (diritto dell’esercizio del potere) e Potestas (esercizio del potere) è fondamentale:I
feudatari si erano appropriati dei pubblici uffici governando in quanto investiti di poteri pubblici, ma il titolo di
Re dava dignità e autorità supreme, incontestate, rimarcate dall’elezione di CarloMagno in una autorità
imperiale che secondo i Pontefici doveva rimarcare il principio che nell’impero bizantino non era riconosciuto:
Incoronare e quindi dispensori ‘’di diritto’’ della dignità Imperiale. Nel 962, I Regni Tedesco-Italiano-
Borbognonico erano uniti in un ‘’complesos di poteri sovrani’’ conosciuto col nome di ‘’Sacro Romano Impero
della nazione Tedesca’’, seguendo l’idea che nella mentalità occidentale era in linea di continuità col grande
Impero Romano e della nazione tedeca poiché il fulcro risiedeva nel popolo Tedesco, i cui grandi nobili
formavano il corpo elettorale dell’Imperatore (Gli Asburgo tra 1356, Bolla d’oro che definiva il Sacro Romano
Impero, Carlo IV, e il 1806 mantennero il potere a tutti gli effetti, Napoleone fu l’unico a relegarli a Imperatori
d’Austria e a prendere il titolo di Imperatore dei Romani, cosi dal sostituire la sua autorità rivoluzionaria con
quella tradizionale e legittima). Tuttavia, L’impero Bizantino era l’erede diretto dell’Impero Romano senza
soluzioni di continuità, mentre nel 476 con la deposizione di Romolo Augustolo in occidente si era interrotta, e i
Sovrani di Costantinopoli non accettarono mai i re ‘’dei tedeschi’’ o prima ancora gli imperatori romano-
Barbarici. In Germania e in Italia per Ottone II fu difficile mantenere il potere, e ancor di più per Ottone III e la
madre Teofane nel 983, nel 996 scese in Italia con l’obiettivo di far tornare Roma non solo dimora di illustri
memorie e sede pontificia ma anche luogo sacro delle tradizioni imperiali (Ideale della Renovatio Imperi), ma la
sua scomparsa nel 1002 lasciò questo ideale senza spinte. Fu Gerberto d’aurillac però una figura
importantissima: nato verso la metà del X secolo, si interessò principalmente alle scienze, ma al diritto, alla
politica, fu uno degli uomini più colti d’Europa e si fece notare fin da subito sia in Aquitania dove nacque,
regione colonizzata Romana, Visigota e vicina alla Spagna, ma anche dalle famiglie illustri Tedesche e dalla
casa regnante, finchè nel 999 Ottone III lo fece Papa con il nome di Silvestro II: egli spinse la nascita delle
chiese nazionali , riconobbe Stefano I come regnante in Ungheria, nuova nazione cristiana, e le sue riforme
animarono gli uomini di Chiesa che vennero dopo di lui, in un clima di diffusione del Monachesimo, divenuti
luoghi di cultura ma anche di ricchezze e quindi preda di svariati saccheggi (846, Saraceni deturpano il sepolcro
di San Pietro a Roma), e nacque l’usanza delle aristocrazie locali di finanziare monasteri e vescovati, diventati
centri di collegamento tra le diverse comunità e diventando protagonisti della vita spirituale e, con la modifica
della regola di San Benedetto, anche economica, con Vescovi provenienti dalle famiglie aristocratiche più
illustri.

Capitolo 5
Nacque un contrasto da Umayyadi e Abbassidi, conclusosi nel 749 col rovesciamento degli Umayyedi e di
Damasco: gli Abbassidi misero un califfo vicario di Dio in terra al pari degli Sciiti, e fondaron Baghdad, sul
fiume Tigri, anche se un membro degli Ummayedi fondò un emirato a Cordoba. Idris, membro di Ali, unì le
regioni dell’attuale Marocco poiché volevano distaccarsi dalla leadership Araba e fondò la citta di Fez, capitale
dell’emirato, che poi sarà divisa tra i 7 fratelli da Muhammad, nipote di Idris II, nell’829. Nel Maghreb Centrale
fu impiantato il Kharigismo (non si poteva distinguere i peccatori e tutti erano ben accetti, il che fu accolto più
facilmente dai non arabi) da Rustam, generale Persiano, e trovava i suoi confini nel regno di Fez, ma fu la
dinastia degli Aghlabiti di Kairuan a espandere i confini nel mediterraneo, con sviluppo agricolo e minerario del
Rame. Come politica estera, gli Arageni o Saraceni nel 652 fecero partire la prima spedizione in Sicilia, nel 669
assalirono Siracusa e gli emirati Maghrebini furono i più endemici, mentre gli arabo-berberi sbarcavano in
Spagna e con loro i Basileus confidarono più nella diplomazia e gli scambi commerciali andavano di pari passo
con gli atti di guerra e di pirateria: la fede non era ragione costante di alleanza militare né la differenza di
religione ostava un alleanza, e le continue invasioni avevano prettamente scopo commerciale. Gli Aghlabiti
conquistarono la Sicilia nel’827 e nel 878 si concluse anche grazie alle fazioni dei governanti bizantini che si
scontrarono tra loro, mentre i Saraceni si spinsero fino alle basiliche Suburbane di San Pietro e San Paolo,
portando Leone IV a costruire le Mura Leonine. Bizantini e Longobardi spinsero i musulmani Siculi a
impiantarsi sulla Penisola, anche a Bari, mentre i Saraceni s’insediarono in contese locali prendendo partito per
uno o per l’altro, e furono i Napoletani in primis a servirsi dei Saraceni contro il principe di Benevento e
lasciandogli Taranto e Bari , accorgendosi troppo tardi degli errori: Veneziani e Bisanzio non riuscirono a
fermarli, e lo stesso Ludovico II tentò due volte di respingerli, non riuscendoci fino all’871 quando distrusse
l’emirato di Bari e lasciarono fuggire l’emiro Sadwan che, però, alleato con Basilio I che intendeva riportare il
controllo bizantino sul sud Italia, tramarono per una rivolta a Benevento nell’871, sedata da Ludovico II
nell’873. Gli Arabo-Berberi, però, non si fermavano: Siracusa nell978, Taormina nel 902, Campania, Capua e
Salerno come alleate e la fallimentare campagna nel 982 di Ottone II a Capo Colonna. Nel mediterraneo Nord-
Occidentale i corsari musulmani arrivavano sulla costa provenzale, e si spinsero nel territorio interno, mentre
Cipro e Creta vennero riprede da Bisanzio nel X secolo, lo stesso secolo in cui Maghreb fu coinvolto nel mondo
Islamico: I Fatimidi, Sciiti ismaeliti discendenti da Fatima, figlia del Profeta, e la loro origine si deve a un
missionario, Abu Abdallah Lo Scita, fuggito lì tra il 901 e il 903. Vi fu un consolidamento di questo potere e
una mossa verso i territori sunniti, e in Tunisia assicurò prosperità economica, conquistò l’egitto nel 671 e la
fondazione della nuova capitale, Il Cairo, una ragnatela di strade che la rendeva il più grande centro
commerciale dell’epoca, controllando anche le rotte mediterranee e conquistando difficilmente anche la Sicilia,
terra di immigrazione di molti musulmani sudditi fedeli a Baghdad, che capitolò nel 917, governo fatimida però
rovesciato nel 937 da una Ribellione che provocò carestie e sollevazioni popolari che indebolirono l’isola. A
Codoba, invece, la dinastia Umayyade si espanse verso nord penisola iberica e nord Africa (Marocco e Algeria
Occidentale, portando alla coesistenza di mondi latino e musulmano e intense relazioni commerciali marittime,
con una descrizione raccolta nel libro ‘’la descrizione del mondo’’ redatto da Ibn Hawqal, viaggiatore arabo
della Mesopotamia nel 948, dove si parlava di città ricche e fiorenti, popolazioni sempre più numerose, grandi
città governate nel segno della Giustizia, numerosi giardini e orti (tra cui la residenza del Califfo a Cordoba con
spettacolari giochi che non dovevano simboleggiare la presenza dell’imperatore come a Bisanzio quasi
soprannaturale, ma si ricercava l’estetica legata al piacere dei sensi), vi era abbondanza di prodotti di lusso,
tessuti, avori, ceramiche, oreficeria. Arabi e Berberi però non si fusero mai tra loro: Hakam II e il suo ministro
Al-Mansur il vincitore conquistarono Leon, Barcellona, e alla sua morte inaugurò le Reinos de Taifas che spinse
i sovrani musulmani a rivolgersi ai milites cristiani. Se l’africa settentrionale era sotto i fatimidi e la Spagna
sotto gli Umayyadi, Marocco e Penisola Iberica strinsero i rapporti tra loro mentre gli Ziriti (sottomessi ai
fatimidi) prima seguirono le idee fatimide, sciite e ismaelite, ma poi si spostarono verso tensioni con Il Cairo per
più indipendenza, portando poi alla guerra civile in Sicilia nel 1038, dividendo tra i quattro signori locali una
Fitna (Faida), mentre da una costola Zirita nacquero gli Hammadidi e si stabilirono nella zona occidentale del
Marocco. In Sahara a causa dell’inaridimento non sappiamo bene cosa accadde di preciso, ma numerosi regni e
civiltà di susseguirono, cosi come nell’area Sudanese (Paese dei Neri) creando numerosi regni mentre
nell’entroterra orientale si affermò la nascita di numerosi regni Cristiani. In Asia, invece, l’islam si frammentò,
con la dinastia Samanide che portò l’età dell’oro in Persia, Asia Centrale, puntando sui commerci ma venendo
poi ostacolati dai Turchi.

Capitolo 6
L’impero romano d’oriente era ormai l’impero Bizantino: si parlava il Greco, aveva conservato istituzioni e
leggi romane ma nella struttura geopolitica e cosmopolita era ormai Orientale. La pressione dell’islam spinse
non solo a una militarizzazione dell’esercito ma all’abbandono della penisola Balcanica agli Slavi e alla cosi
detta Eresia Iconoclasta, sostenuta dagli imperatori Isaurici (provenienti dall’isauria, regione di confine tra
Anatolia e Siria) in primis da Leone III, che nel 727 con la distruzione dell’immagine di Cristo situata sopra la
porta del palazzo imperiale di Costantinopoli diede i lvia a una campagna Iconoclastica, ovvero contro le
immagini sacre e il loro culto, cosa anche vietata nella Bibbia ma di recente in quei secoli mai condannata e anzi
fautrice sia di un entrata economica in Oriente da parte dei Monasteri grazie a Pellegrinaggi e Devozioni sia a un
interessante dibattito teologico che Leone II sembrò voler impedire per avvicinarsi ad Ebrei e Musulmani,
tentativo di basso rilievo. Fu sempre Leone a fermare gli Arabi nel 718, anche se gli occidentali preferirono il
mito della battaglia di Poitiers nel 733.
Intanto, due fratelli di nome Cirillo e Metodo decisero di cristianizzare la Moravia, tradussero la Bibbia in un
dialetto conosciuto dagli Slavi di Macedonia, ed elaborarono uno speciale alfabeto, il Cirillico, mentre il
battesimo del Khan Boris di Bulgaria creò la chiesa Bulgara e divenne ‘’Imperatore Subordinato (Czar, da cui
poi Zar). Tuttavia, La chiesa Occidentale, Romana, cercava di rimettersi al centro e di occupare lo spazio
occupato dalla chiesa Orientale di Costantinopoli, e vi furono molti episodi di dissapori, in primis Lo Scisma di
Fozio, Patriarca, che accusò di aver manipolato il Concilio di Nicea nel 867 e aggiunse un documento, il
Symbolon, che parlava di Spirito santo che precedeva Padre e Figlio: Fu Scomunicato nell’867 e poi nell’881,
quando Leone VI lo depose e si rinchiuse in un monastero scrivendo il fondamentale Biblitheca (notizie su 279
opere di letteratura greca in disordine). Lo Scisma d’Oriente dell’XI secolo però fu inevitabile, senza nessun
matrimonio tra erede al trono Germanico e Principessa Bizantina che tenga. In Oriente non solo con Leone VI ci
fu una riforma del diritto Giustinianeo, nuove raccolte di leggi e la riorganizzaizone della burocrazia, vi fu anche
il ricontrollo sull’italia meridionale (perdendo la Sicilia) e tra intrighi di corte e pericoli ai confini si assistette a
diversi Basileis, come l’ammazzabulgari Basilio II, Niceforo II Foca che aveva riconquistato Creta e Aleppo.

Parte Terza
Capitolo 1
Il Comune è stato oggetto di malintesi: accanto al periodo in cui si svilupparono, XI-XIV sec, anche le
istituzioni feudatarie resistettero, mentre le signorie del duecento furono antecedenti: elementi caratterizzanti
erano continuità della vita cittadina e rapporto stretto col territorio circostante, mentre nel sud il regio
normanno-svevo-angioino soffocò ogni tentativo di comune. Essi nacquero come vita sociale d’emergenza in
centri di pressione e pericoli, e attorno all’unica magistratura con potere spirituale (Vescovo) si sviluppò un ceto
dirigente cittadino embrionale costituito Da rappresentanti minori dei ceti, collegi di Boni Homnes, che solo da
metà XI secolo prenderà coscienza di sé e si distaccherà dai vescovi. Nacque inoltre un forte e intraprendente
ceto di giurisperiti alle dipendenze delle oligarchie cittadini e vennero definiti Consules, magistratura. Non tutti i
comuni nacquero simultaneamente (Lucca e pisa 1085, Genova 1099, Milano 1117). Il regime consolare si
dovette districare tra conquista dei contado poiché i feudatari vinti dovevano per un periodo risiedere nella città,
e il riconoscimento formale delle superiori pubbliche autorità, e nacquero diversi conflitti tra contrade
circostanti sfociate a metà secolo XII tra movimento culturale e imperatore Federico Barbarossa, risolte prima
con le Diete di Roncaglia e poi nel 1183 con la Pace di Costanza, dove i Comuni si insediarono nell’ordine
feudale integrandosi, con però diplomi di autonomia concessi dopo forti somme di denaro alla cancelleria
imperiale in cambio di promulgazione o conferma dei privilegi. Se si pensò di mettere una figura esterna quale
era quella del Podestà come funzionario delle città comunali in cui le famiglie litigavano e si osteggiavano a
vicenda, la rivalità divenne tra vari comuni dal punto di vista mercantile, e ricordiamo Firenze vs. Pisa, Firenze
vs. Siena, Bologna vs. Modena, Venezia vs. Genova.

Capitolo 2
Gli imperi germanici avevano cercato di riqualificare l’etica della chiesa, ma voci si levarono contro quella
chiesa Moderna quale l’ordine dei camaldolesi o l’abbazia di cluny, fondata nel 910 da Guglielmo duca di
Aquitania, che modificò la regola benedettina Ora et Labora lasciando il lavoro ai laici e la preghiera e studio ai
cattolici, e ricorse all’espediente di affidare al patronato diretto della Sede Pontificia l’abbazia stessa, portando
questo modello in tutta Europa ma trovando la diffidenza in Enrico II, preferendo l’abbazia di Goeze, che
sosteneva un monachesimo rinnovato. I monaci cluniacensi non tardarono ad egemonizzare il mondo laico,
pensiamo al cammino di Santiago di Compostela che passarono come spedizioni militari contro i mori di
spagna, o la Pax Dei, ‘’leghe di pace’’ dove si delimitarono i giorni dove poter far guerra, luoghi e categorie
contro non si poteva esercitare la violenza, e molti milites furono costretti ad accettare e giurarla. La riforma non
si fece attendere: Enrico III si impegnò da subito scegliendo i vescovi non dalla nobiltà ma da monasteri e ceti
emergenti, ponendo l’orecchio anche a voci intransigenti (Pier Damiani), e quando scese nel 1046 in Italia
depose i tre candidati al soglio pontificio e fece eleggere Clemente II, vescovo di Bamberga: il successore,
Leone IX, decise di distaccarsi dall’imperatore riprendendo l’elezione canonica tramite clero e popolo di Roma
e cercò l’appoggio del Basileus e del governo bizantino di Puglia, mentre i Normanni prima provò a sconfiggerli
miseramente nel 1053 e poi si ci accordò diventando loro sovrani di territori confinanti al Patrimonio di San
Pietro e sostituendo la chiesa greca con quella latina in tutto il meridione, e per rompere con i greci si fece
pressione su temi prettamente teorici o secondari come il pane da usare durante la liturgia o la figura dello
spirito santo, nascondendo la questione principale: il primato di Pietro sulle altre diocesi (che porterà allo scisma
d’oriente). Quando Enrico III scomparve nel 1056, i riformisti elessero nel vuoto lasciato un nuovo papa,
Stefano IX, ma fu il successore Niccolo II a mettere in atto la riforma vera e propria con il sinodo laterano del
1059: il papà sarebbe stato scelto da un collegio di preti e diaconi di Roma e città suburbicarie detti Cardinali, e
non i lacici, mentre il celibato ecclesiastico divenne obbligatorio. I simoniaci presenti nelle gerarchie
ecclesiastiche i cui atti sacramentali erano validi o no furono un punto di rottura, che poi si accentuò con i
vescovi tradizionalisti che non intendevano essere esautorati e sfociò nell’elezione di Alessandro II e
dell’antipapa Onorio II a Basilea da parte della reggente imperatrice Agnese. Alessandro II con il vessillo di san
Pietro autorizzò campagne di conquista militari (Inghilterra nel 1066) controllando le corone europee, mentre
Gregorio VII, suo successore, con il Dictatus Papae, 27 proposizioni stringenti, dotava il pontefice di potere
assoluto capace anche di destituire i sovrani laici, cosa che gli costò la scomunica da parte di Enrico IV e
viceversa, primo caso nella storia di una scomunica all’imperatore: fu proprio lui a doversi inginocchiare e
invocare il perdono di Gregorio a Canossa con la contessa Matilde da mediatrice per evitare ribellioni interne,
ma nel 1080 una nuova scomunica portò all’elezione di un nuovo anti-papa, Clemente III, entrò a Roma nel
1084 facendo consacrare l’antipapa e costrinse Gregorio a fuggire a Salerno. In sua memoria, conitnuò il
riformismo, anche grazie al disinteresse di Enrico IV: i laici furono ormai estromessi a favore dei vescovi, anche
grazie all’impegno di Urbano II, e il problema delle investiture di risolse nel 1122 con il Concordato di Worm,
in cui Enrico V e papa Callisto II si accordarono sui vescovi, dotati di potere spirituale e temporale, con elezione
in diocesi con il controllo del popolo e del clero, con la presenza dell’imperatore in Germania ma non in Italia e
Borgogna. Nel 1123 si tenne il concilio Laterano I, primo concilio ecumenico della chiesa occidentale, a Roma,
ormai riconosciuta come Primaria su tutte le altre diocesi. Nacquero molti nuovi ordini monastici, come Pier
Damiani che spingeva per la presenza dei monaci e non dei laici, una fuga ‘’ascetica’’ che doveva aggredire i
piaceri della terra e ai piaceri della vita e che fu alla base del nuovo ordine Cistercense fondato da Bernardo di
Clairvaux dove la regola di Benedetto da Norcia fu radicalizzata, ora et lavora, aumentando la preghiera ma
soprattutto il lavoro e perseguendo una povertà individuale assoluta con una visione mistica della vita religiosa.
Alcuni elementi di questi discorsi furono ripresi anche da Gioacchino da Fiore, fondatore di una comunità detta
florense sulla Sila. ‘’Ci fu un’età del padre, quella del figlio e ci sarà quella dello spirito santo’’ diceva. Il
cristianesimo, però, era ancora popolare in alcune zone di campagna, e ci vollero predicazioni pubbliche o il
rinnovamento delle istituzioni ‘’Canonicali’’ con la figura dell’arcivescovo che si occupava del ‘’capitolo’’,
insieme del clero che serviva le cattedrali. La chiesa dei poveri, però, non fu mai realizzata ai piani alti, e il
patarini (ostili alle riforme) furono considerati eretici.

Capitolo 3
Durante i secoli XI-XII nacquero monarchie ‘’feudali’’, che inserivano il sistema feudale nelle logiche di
governo: in Francia, dopo una lotta tra discendenti di Carlomagno e di Eude conte di Parigi, ebbero la
meglio questi ultimi diventando ‘’Re Capetingi’’ e governando su vasti parti di territorio a parte i potenti
ducati e le grandi contee, cosi come la regione a nord dove si insediarono i Normanni di Rollone, da
qui il nome Normandia, che avevano il titolo di Duchi da parte del Re di Francia, ma che trovarono un
intoppo quando Guglielmo duca di Normandia nel 1066 conquistò l’Inghilterra con l’appoggio papale e
il popolo dedito a razzie e dedicatosi in Francia all’agricoltura tornò a essere guerrigliero. Luigi VII
creò una rete di Prevosti e Balivi incaricati di occuparsi della Giustizia e delle Imposte, e sposò
Eleonora D’Aquitania, rimasta a 13 anni erede della corte all’apice della cultura Europea dell’epoca, in
un matrimonio (pretesto organizzato sempre dalle famiglie per questioni politiche) combinato con
Luigi VII, erede a 17 anni del regno di Francia. Si sposarono nel 1137, e quando la sorella Petronilla
si sposò con il senescalco Raoul di Vermandois ripudiando la prima moglie, dei conti di Champagne,
Luigi dovette affrontare i Conti e bruciò la città di Vitry-en-Perthois, inamicandosi la chiesa di Francia
che lo esortò a seguire Corrado III nella seconda crociata di Papa Eugenio III nel 1148, spendendo
molti soldi inutilmente, e rovinando la coppia (si parlava di un incesto di lei con lo zio) che divorziò nel
1152 per l’assenza di eredi maschi e la consanguineità dei due. Lei si sposò con Enrico Plantageneto,
dandogli in dote i suoi possedimenti ricchissimi.
Rispetto al continente, in Inghilterra ci fu una maggior vocazione nazionale: a fine del IX secolo,
Alfredo il Grande contribuì alla creazione di una monarchia unitaria contro i principi normanni. Egli
sconfisse il re danese Guthrum, la pace migliorò il livello economico e amministrativo del regno e
fondò la cultura nazionale con il suo Cronaca Anglosassone, essendo stato due volte a Roma e
avendo tradotto molte opere latine, mentre i Danesi furono difficili da gestire: si susseguirono Etereldo
II, sposato con la sorella del danese Riccardo II, sconfitto da Canuto il Grande nel 1015 e alla sua
morte la crisi tra i figli portò Edoardo Il Confessore, figlio di Etereldo, a diventare Re nel 1042 ma
venendo deposto da danesi e alleati di Godwin, il cui figlio Aroldo divenne Re ma fu sconfitto dal duca
di Normandia Guglielmo il Bastardo nel 1066, facendosi incoronare a Westmister, sottomettendo
l’aristocrazia ed avendo cura del mantenere piccoli i feudi: il Domesday Book del 1086 censì le
strutture fondarie del regno. L’aristocrazia Normanna, però, portò a una guerra civile nel 1135 a cui
mise fine Il conte d’Angio Enrico II, sposato con Eleonora d’Aquitania: i due ebbero 9 figli, Enrico si
dedicò a riformare l’inghilterra e astringere alleanze contro il Re di Francia, si innamorò di una
concubina ventenne (Rosamund Clifford, morta nel 1173 in circostanze misteriose) e imprigionò la
moglie quiando nel 1173 scoppiò una rivolta guidata da Riccardo ‘’Cuor di Leone’’, figlio di Eleonora e
osteggiato dal secondogenito Giovanni ‘’Senza Terra’’, che succedette al fratello nel 1199 alla sua
morte (si sposò con Berengaria Sanchez di Navarra nel 1191 e liberò la madre alla morte di Enrico
nel 1189) avendo l’appoggio della madre costretta, che morirà nel 1202 quasi ottuagenaria.
I normanni unirono invece il mezzogiorno d’italia: Gli Altavilla chiesero al papato di diventare feudatari
dell’italia Meridionale e il loro capo, Roberto il Guisciardo, assalì l’impero Bizantino senza successo e
conquistò la Sicilia nel 1094 (durante la battaglia di Cerami San Giorgio armato in una apparizione
scese in soccorso degli stessi normanni) riconoscendo libertà di culto ma impegnandosi a ripopolarla
con cristiani-latini da opporre ad arabo-berberi e indigeni arabizzati e islamizzati: I regni furono
dunque unificati nel 1130 da Ruggero II, vassallo della Chiesa.
A Costantinopoli, invece, dopo Basilio II nacque un sistema simile a quello vassallatico-beneficiario
ma essendo in occidente la Chiesa sempre più centrale si andò inevitabilmente a uno scisma: Alessio
I Conmeno osteggiò i normanni nel sud Italia e un Regno Franco nel vicino Oriente dopo la prima
crociata, Giovanni si appoggiò cosi con il papa e l’imperatore Romano-Barbarico ma l’intesa si ruppe
con Federico Barbarossa: il sovrano così si alleò col papa e la corte normanna di Palermo ma incluse
anche Venezia, I comuni Italiani e i Franchi di Terrasanta in un’ottica di politica ‘’NeoGiustinianea’’,
ma l’arrivo dei turco-musulmani dell’Anatolia l’impero iniziò a vacillare.

Capitolo 4
La terra dei Musulmani tra XI e XII secolo era immensa: nelle mani dei mori la penisola Iberica,
un’enorme area del continente africano sotto i califfi fatimidi del Cairo, Tutta l’asia occidentale e
centrale, dal Caucaso e Mar Caspio e un guerriero-schiavo avrebbe portato l’islam fino a Delphi e
India settentrionale. L’unità Politica era divisa tra sunniti e sciiti, i primi più numerosi dei secondi con il
loro califfo che appartenente all dinastia degli abbassidi viveva nella opulenta Baghdad. La voce
Turca, appartenente a un ceppo uralo-altaico e suddivise in grande confederazione di tribù con a
capo un Khan, confluì nei turchi Selgiuchidi che fondarono un impero politico-militare che dall’Anatolia
si estendeva alla Persia Centrale e si convertirono all’Islam (Sconfissero i Bizantini nel 1071 a
Manzikert). Papa Giovanni X intanto decide di opporsi ai Saraceni, fece appello al re Berengario
offrendogli la corona Imperiale ma tutta la situazione medievale risentiva delle incursioni Saracene
che ricominciavano periodicamente, ricordiamo il massacro di Oria nel 925 (6000 morti e 10.000
prigionieri) e i fatimidi maghrebini nell’italia settentrionale a Genova. Ottone II occupò Salerno nel 981
e Taranto nel 982, ma Bisanzio rispose e chiese aiuto ai saraceni di Sicilia e d’Africa sconfiggendolo a
Capo Colonna il 15 luglio 982. Il potere Bizantino si radicò nuovamente ma anche le incursioni
ripresero, a Cosenza nel 988.
Nella penisola Iberica invece, i regni di Asturia e Navarra si coalizzarono davanti l’instabilità
musulmana causata dalle varie reinos de taifas, e il precedente della prima crociata causata da
Barbastro dette la spinta dal 1065 in poi alla riconquista di Toledo da parte di Alfredo VI nel 1085,
Valencia nel 1094. Il ceto dirigente musulmano però, intimorito da Alfonso, si rivolse all’uomo più
potente dell’Islam Occidentale: Yusuf, capo degli Almoravidi, e nel 1086 nella battaglia di Zallaqa ci fu
una delle grandi sconfitte cristiane della storia, dove tutti i reyes de taifas furono sottomessi alla sua
autorità: il figlio del califfo almohade Abu Yusuf, Abu Ya’Qub sconfisse Alfonso VIII re di Castiglia nel
1195 mentre ad Hattin, in terra santa, nel 1187 l’islam entrò a Gerusalemme. Il cristianesimo si trovò
stretto quindi in una morsa, ma era una illusione ottica, e Innocenzo III si dette alla preparazione di
una grande crociata nel 1198.

Capitolo 5
Il nome ‘’Crociata’’ nasce solo nel duecento, la croce era il simbolo portato con evidenza sulle vesti
dei pellegrini che si recavano a Gerusalemme, e divenivano Cruce Signatus, e non erano guerre
sante, poiché il cristianesimo non riteneva legittime le guerre se non per difesa, ma era una fusione di
pellegrinaggio e guerra nata sul modello delle spedizioni antimusulmane in Spagna o in Sicilia e sul
precedente di papa Alessandro II che nel 1063 in occasione di una spedizione militare occupata dai
‘’mori’’ affidò ai capi cristiani la bandiera di San Pietro e parlò di interventi divini e miracoli. Urbano II
nel 1095 in un concilio tenuto a Clermont sollecitò i franchi ad aiutare Costantinopoli minacciata dai
turchi: in questo modo si liberava per un po' l’europa dalla nobiltà pericolosa e le preoccupazioni
riguardo Gerusalemme, dove a esempio nel 1009 un califfo egiziano distrusse la basilica del Santo
Sepolcro e la Palestina cadde in mano ai turchi selgiuchidi. Papa Gregorio VII aveva ideato nel 1071
un progetto mai andato in porto per risanare lo scisma tra le due chiese liberando l’oriente, mentre
Urbano II riuscì tra 1095 e 1096 a unire grandi feudatari europei. Anche altri pellegrini partirono in
spedizioni chiamate ‘’Crociate dei Poveri’’ per ritornare alla Casa del Padre, Gerusalemme, tra cui
ricordiamo Pietro d’Armiens L’Eremita, spedizioni fallite miseramente. Nel 1096 le colonie dei
principali feudali e i loro vassalli si trovarono a Costantinopoli, e fu l’influenza delle crociate dei poveri
a spingerli verso la conquista della Città Santa: nel 1098 i franchi presero Antiochia, grazie a tre
fattori: elemento sorpresa, confusione tattica e strategica dei crociati, mondo islamico diviso in sunniti
e sciiti. Il 15 luglio 1099 caddè Gerusalemme: i cristiano-orientali la ripopolarono e i musulmani e gli
ebrei furono massacrati., La regione intera caddè in mano occidentale e fu divisa in principati
obbedienti sul piano formale a Gerusalemme che, appartenente in teoria al Basileus di Bisanzio, non
fu presa come signoria dal papa ma fu lasciata a Goffredo di Buglione, fervente sostenitore di Enrico
IV e nobile voluto lontano dal papa, nonché figura debole fisicamente ma coraggioso e valoroso,
diventando ‘’Difensore del Sacro Sepolcro, Advocatus’’ fino alla sua morte nel 1100, a cui successe il
fratello Balsovino. L’aristocrazia crociata si imparentò con le famiglie nobili siriaco-cristiane o armene,
e per proteggere i pellegrini nacquero ordini ‘’religiosi militari’’ basati sulla regola benedettina con una
moltitudine di fratres Laici, tra cui i Templari o Cavalieri di San Giovanni: le perplessità su di loro da
parte della chiesa furono messe a tacere da Bernardo abate di Clairvaux, cistercense, che disse che
la vera Gerusalemme si trova nel Cuore (diffidando il pellegrinaggio) ma descrivendo nel suo libro
‘’liber de laude novae multiae’’ gli ordini costituiti come provvidenziali strumenti di conversione. Per
sostenere le conquiste dall’occidente arrivarono varie spedizioni marinare, ma la presenza di soggetti
distinti tra loro (corona, principi territoriali, comunità cittadine, città marinare, comunità di villaggio) in
città abitate da composizioni miste e con colonie commerciali ‘’latine’’ e con le costruzioni difensive
degli Ordini Militari come fortezze templari e ospitaliere, ordini usati anche come custodi di grandi
somme di denaro. Il mondo musulmano decise di contrattaccare: Edessa cadde nel 1146, allertando
gli occidentali, e se in un primo momento si cercò l’alleanza tra aristocrazia francese della prima
crociata e i musulmani contro l’atabeg di Aleppo e Mosul, si arrivò a Papa Eugenio III che chiese una
nuova spedizione nel 1147 guidata dal Re di Francia Luigi VII e consorte Eleonora e Corrado III, ma
un inutile assedio di Damasco portò le truppe europee in un clima di recriminazioni reciproche a
ritirarsi. Il capo di quegli Atabeg, il Salatino, nel 1168 fu inviato in Egitto e lo conquistò nel 1171,
sottomise Damasco, e maturò l’idea di liberare Gerusalemme dai Franchi caduti nel disordine e divisi
in due partiti: chi sosteneva di mantenere lo status quo e chi voleva tentare nuove conquiste.
Baldovino IV calmò il Salatino ma nel 1185 morì e la sorella Sibilla non potè evitare l’ascesa del
Salatino a Gerusalemme il 2 ottobre dopo la battaglia di Hattin dove la Reliquia della vera Croce fu
distrutta, i Templari e gli Ospedalieri trucidati. Gregorio VIII il 29 ottobre invitò a una nuova Crociata e
partirono il re d’inghilterra Riccardo Cuor di Leone che conquistò Acri (caduta nel 1291) e il re di
Francia Filippo II, e Federico Barbarossa. Il titolo di Re di Gerusalemme rimase continua contesa tra
dinastie varie, e Innocenzo III decise di stabilire egli stesso fondi, obiettivi ed esercito della nuova
Crociata, partendo da Venezia e attaccando L’Egitto nel marz0 1202, ma dei 12.000 crociati non si
raggiunsero gli 85mila marchi necessari: il doge Enrico Dandolo prese la croce e in maniera inedita
accompagnò i suoi uomini in cambio del controllo su Zara, caduta nel novembre 1202 e portando il
Papa a scomunicare i crociati a parte i veneziani. In tutto questo, Alessio IV Angelo si accordò
pagando il debito ai veneziani in cambio della sua legittima ascesa al trono, e ordinò di prendere i
materiali preziosi della città per pagare i latini, inimicandosi i sudditi che andarono in rivolta e
facendolo strangolare da Alexious Doukas, che rifiutò di pagare e diede il via all’assedio di
Costantinopoli: il clero e i templari non si misero in mezzo, e la conquista mise fine allo scisma tra le
due chiese mentre il territorio si divise tra veneziani, Baldovino conte di Fiandra e i capi crociati, ma il
regno durò poco poiché Michele Paleologo nel 1261 scacciò Baldovino II. Costantinopoli però tornò al
suo splendore solo nel 1453. Gerusalemme dai Musulmani, nonostante altre crociate nel 1217 e nel
1248 o una Gerusalemme smilitarizzata prima consegnata a Federico II e poi conquistata dai nomadi
Kwarizmiane. Vi furono ipotesi di riconquista (Papa Gregorio X nel 1274 raccolse proposte e
informazioni nel De Recuperatione Terrae Sanctae) ma ormai l’idea era tramontata.

Capitolo 6
La chiesa trionfante con pontefici come Eugenio III, Alessandro III e Innocenzo III era totalmente
lontana dalla riforma spirituale perpetratasi il secolo precedente, e una parte dell’europa occidentale
fu investita da un nuovo modo di intendere la Cristianità, con il ritorno del dualismo manicheo (la
cristianità dell’origine) confluita nel Catarismo: il mondo è lotta tra due principi, Spirito e Materia,
oscuro e malefico, e avendo il malvagio Demiurgo aveva imprigionato nella materia altrettanti
frammenti spirituali, bisognava liberarle tramite l’astinenza sessuale, il rifiuto di qualsiasi cibo frutto di
accoppiamento carnale e lasciarsi morire tramite il digiuno totale, l’endura, deducendo il tutto dai testi
di San Paolo e del Nuovo testamento e credendo nella Metempsicosi, la trasmigrazione delle anime.
Molti di loro vivevano una vita normale, sostenendo i ‘’perfetti’’, coloro che seguivano questa regola
alla lettera, e la diffusione fu concentrata nelle elites della piccola nobiltà locale dei borghi fortificati e
delle città, organizzandosi internamente con la città di Albi, nel sud Francese, come città simbolo. I
catari furono scomunicati (concilio di Tolosa, 1119, e Concilio di Lione nel 1179 su richiesta di Luigi
VII a Papa Alessandro III). La chiesa necessitava di un codice giuridico sulla quale basarsi, e il
Decretum di Graziano, monaco camaldolese, nel 1140, è considerato fondamento del diritto moderno
assieme alla ripresa del codice Giustinianeo: l’elezione di un nuovo pontefice giovane, Lotario della
famiglia laziale dei Segni, autore del trattato ‘’De Miseria Humanae Conditionis’’ dove il misticismo ne
faceva da padrone, fece di lui, papa Innocenzo III, il padrone del potere spirituale della chiesa su tutti
gli altri poteri. I territori della chiesa in Italia centrale furono riconquistati, ma la cristianità suddivisa in
chiesa greca e latina e la riconquista di Gerusalemme da parte dei Musulmani, nonché il fallimento
della quarta crociata pesavano molto sul pontefice. L’assassinio del legato pontificio inviato portò a
una crociata usata per la prima volta contro gli albigesi, portando la vittoria ma al caro prezzo del
massacro e di atti terribili per sconfiggere il Catarismo grazie all’aiuto dei feudatari del nord Francia.
La chiesa però era stata inabile nel conquistare i cristiani più poveri e umili, e oltre a favorire alcuni
movimenti che si stavano creando volti a vivere la vita a modello del vangelo, nel IV concilio
lateranense nel 1215 definì la Chiesa come la sola mediatrice tra Dio e gli Uomini, un corpo superiore
a qualsiasi potere secolare, legittimando inoltre l’istruzione dei fedeli e la creazione di ordini
mendicanti per avvicinarla al popolo, contributo offerto anche da San Francesco D’Assisi: Il papa
guardava con molta diffidenza alcuni gruppi ‘’spontanei’’ di fedeli che si interessarono nella lettura
delle Sacre Scritture, usanza esclusiva dei sacerdoti che però erano ignoranti e poco abili nel tenere
una omelia, sperimentando gruppi spontanei in comune, senza gerarchie e mettendo in comunione i
beni (ricordiamo Pietro Valdo nel 1173 con i suoi ‘’Poveri di Lione’’, che fece breccia nei ricordi della
pataria in Toscana e Lombardia) ma legittimò inaspettatamente l’attività di un giovane nato ad Assisi
nel 1181 di nome Francesco di Pietro Bernardone. Egli decise di spogliarsi di tutto davanti il vesxovo
di Assisi dopo essere stato diseredato dal padre a seguito delle sue idee rivoluzionarie per il tempo, e
decise di seguire la sua febbre d’amore verso il più povero, il prossimo, in cui si rifletteva l’immagine
di Gesù Cristo: il Padre per lui era solo Dio, e scelse la povertà come scelta gloriosa in un mondo
dove invece era il denaro a trionfare, stimato da lui ‘’meno delle pietre’’, scegliendo di vivere in
penitenza ma senza mostrarne la fatica. Sui sacerdoti, disse di non pretendere da loro prove di
cristianità maggiori di quelle che riescono a dare (esempio del prete che viveva nel peccato, a cui lui
baciò le mani definendolo ‘’colui che tocca il corpo di gesù) e contro i maestri cartari scrisse il Cantico
delle Creature, grande poesia che testimonia l’amore per la natura e gli animali e trattato anti-cataro.
Egli non voleva formare un ordine ma Papa Innocenzo III aveva trovato in lui il devoto ideale, e lo
autorizzò cosi a potare la ‘’tonsura’’ sulla nuca, autorizzandolo a voce di fatto a predicare, e la sua
fraternitas di frati volutamente definiti ‘’piccoli’’ divenne un ordine che si basò su due regole, la cui
seconda venne redatta nel 1223 per evitare l’accumulo di ricchezze. Da San Francesco nacquero
molti altri ordini (come le clarisse e i terziari) fino alla sua morte nel 1226 ad Assisi, dopo essersi
ritirato nel 1220. Parallela all’esperienza di San Francesco quella di Domenico di Caleruega, i ‘’frati
predicatori’’ divenuti ordine nel 1215. Francescani e Domenicani divennero Ordini Mendicanti, la
povertà investiva infatti l’ordine stesso e nella società urbana del XIII secolo divennero strumenti della
Chiesa per controllare le città, anche se i francescani si divisero in diverse correnti al seguito del
controllo papale (conventuali, ala moderata, imposero la loro visione al pontefice), e il concilio di Lione
nel 1274 diede un controllo a tutti gli ordini sorti negli anni, condannando gli altri (Gherardo Segalelli
nel 1260 a Parma, messo sul rogo nel 1300). Gregorio IX nel 1231 inasprì le posizioni antiereticali e il
termine ‘’inquisitor’’ che indicava lì incaricato di un’inchiesta divenne la repressione degli eretici: con
la bolla pontificia ‘’Ille Humani Generis del 1232’’ Roberto Il Bulgaro, domenicano, divenne inquisitore
generale, e l’appoggio dei laici divenne fondamentale e prezioso, portando però a una subordinazione
dei tribunali ecclesiastici alle autorità civili (Templari e Giovanna D’Arco). L’inquisizione seguiva
alcune tappe: visita dei luoghi su segnalazioni delle commissioni preposte, nel Tempus Gratiae
s’invitava in un sermone generale a confessare spontaneamente, dopo si apriva l’inchiesta e gli
imputati anche minimamente sospettati erano arrestati, si passava alla confessione preferita dalla
chiesa che avveniva prima con mezzi coercitivi quali digiuno o veglia forzata, e poi con la tortura (che
compariva però come confessione volontaria). Le condanne andavano dalla confisca dei beni alla
morte, relegata ai relapsi (ritrattavano la confessione e tornavano a proferire eresie) e i rei
‘’impenitenti’’ (convinti dell’eresia che non abiuravano).

Parte Quarta
Capitolo 1
La nobiltà tedesca alla morte di Enrico V di Franconia (Concordato di Worms con Papa Callisto II) si
divise in Guelfi e Ghibellini (favorevole ai duchi di Baviera i primi e i duchi di Svevia i secondi) e né
Lotario di Supplimburgo, da parte dei bavaresi e troppo arrendevole verso Papa Innocenzo III, né
Corrado di Svevia, ma il suo collaboratore Federico detto ‘’Barbarossa’’ in Italia per la sua barba.
Seguì Re Corrado nella seconda crociata con esito infelice, e al ritorno l’inimicizia tra tedeschi e
franchi e la fuga di Papa Eugenio III da Roma a causa di Arnaldo da Brescia spinsero Corrado a
scendere in italia, morendo misteriosamente nel 1152 lasciando Federico come erede. Il suo primo
passo fu accaparrarsi il favore del principe tedesco più potente, Enrico il Leone, garantendogli
Sassonia e Baviera in cambio del suo appoggio, e il 9 marzo nella Cappella Palatina fu incoronato Re
scrivendo al papa per informarlo della sua elezione, senza però chiedergliene il consenso che ebbe lo
stesso poiché papa Eugenio III puntava al liberarsi di Arnaldo da Roma e nel 1154 ci fu la prima
discesa in italia: Enrico lo scortò e a Roncaglia (Piacenza) ci fu la prima dieta del regno d’italia dove il
giovane imperatore si scontrò con le questioni italo-settentrionali, prendendo le difese di Pavia, Lodi e
Como contro Milano, devastando i luoghi limitrofi, assali’ Acri, Saccheggiò Chieri e Tortora e il 24
aprile cinse la corona ferrea d’italia nella chiesa di San Michele a Pavia (Mise sotto la sua protezione
l’università di Bologna) per poi recarsi a Roma (incontrandosi con papa Adriano IV a Sutri l’8 giugno)
e consegnare Arnaldo al papa, finendolo sul rogo e venendo incoronato il 18 giugno a Roma.
Tuttavia, la discesa di Federico portò a unirsi il papa, il basileus e le città italiche per liberarsi di lui o
contenerlo: furono i problemi con la Curia Pontificia, che poneva il papato superiore all’impero (parole
di cardinale Rolando Bandinelli) a scatenare nel 1158 la seconda discesa di Federico, con Verona,
Mantova, Cremona e Pavia che giurarono nelle mani dell’imperatore, Brescia fu distrutta e Milano i
primi di settembre, obbligata a pesanti tributi, e la seconda dieta di Roncaglia stabilì che dei Potestas
(funzionari di nomina imperiale) guidassero i governi cittadini del Regnum Italiae. Milano si ribellò
però al suo imperatore, e di conseguenza fu distrutta Crema nel 1160, alleata Milanese, mentre dopo
papa Adriano vennero eletti Vittore IV da una fazione cardinalizia e dall’altra Alessandro III (rolando
bandinelli), dopo la reciproca scomunica, Federico convocò nel 1160 un concilio a Pavia dove si
presentò solo Vittore, mentre l’elezione di Alessandro fu dichiarata nulla per motivi politici. I sovrani
europei cosi come i vescovi si schierarono, e Francia e Inghilterra appoggiarono Alessandro III,
mentre dopo una sconfitta a Carcano il 9 agosto, i rinforzi tedeschi portarono a una nuova resa di
Milano nel 1162 che portò alla distruzione della città dai nemici milanesi nel 1162 e i consoli milanesi
a Lodi a chiedere clemenza ai piedi di Federico, ma se le città Lombarde volevano occupare il vuoto
politico lasciato dai milanesi, invece Federico puntava lo sguardo alla Sicilia, e chiese l’aiuto di
Genova e Pisa, rivali tra loro, ma l’affermarsi di Alessandro III (concilio di Tours nel 1163 fu un
successo e impose il papa abdicato in italia, Inghilterra, francia e anche Germania stessa, nonché il
Basileus), ma alla morte dell’antipapa Vittore il cancelliere Rainaldo elesse Pasquale III e lo scisma
non si risanò. Nacque la lega veronese (Verona, padova e Vicenza con l’appoggio di Venezia) e al
fallimento nel domare la ribellione veneta Federico decise di rientrare in Germania per dei problemi
aristocratici, in un clima sempre più bollente e a lui ostile in Italia, provocando la Quarta discesa in
Italia con due obiettivi: insediare Pasquale III a Roma e procedere alla conquista della Sicilia. Ancona
cadde e Roma poco dopo, mentre le città settentrionali stanche dei potestas si rivoltarono creando la
Lega Cremonese (Mantova, Bergamo, Brescia) che durò un cinquantennio. A causa di una grave
epidemia però Federico dovette lasciare Roma e tornare al nord, e contro la ribellione delle città del
nord decise di contrattaccare ma venne rinchiuso militarmente a Pavia: la lega cremonese e quella
milanese infatti si unirono nel 1167 con istituzioni precise (collegio dei rettori in una città a turno votati
dal popolo e uno a città) e Federico tornò in Germania per pacificare il suo regno per poi riscendere
per la Quinta volta nel 1174: Susa fu distrutta e Asti si arrese e il panico invase la lega impreparata e
lenta, mentre la nuova città Alessandria venne assediata e Tortona (gelosa di Alessandria) fece un
voltafaccia a favore di Federico, giungendo alla momentanea ‘’Pace di Altobello’’ che fu interrotta
dopo un periodo di ansie reciproche nella ‘’Battaglia di Legnano’’, dove la lega sbaragliò gli imperiali e
si arrivò agli Accordi di Venezia, dove si creava una pace temporanea tra Re di sicilia (15 anni), e sei
anni con i comuni lombardi, mentre col papa, dopo un incontro a San Marco dove i due nemici storici
si incontrarono e si abbracciarono in lacrime, concludendo lo scisma con il III concilio lateranense nel
1179 ma avendo Roma come spina nel fianco: nel 1181 infatti dovette scappare e fu eletto Innocenzo
III. Intanto, la dieta di Spira rimosse definitivamente la ‘’diarchia’’ con Enrico, condannato dal diritto
feudale e il diritto territoriale venendo dichiarato fellone e ribelle al suo stesso regno. A Verona, la
lega si riunì per esaminare il tutto all’indomani della tregua di Venezia, anche vista la morte del
Basileus nel 1180 e Alessandro III nel 1181 (i due principali referenti della lega), e si arrivò alla Pace
di Costanza nel 1183, una vittoria dei Comuni in quando il sovrano avrebbe investito i rettori scelti dai
comuni dei pubblici poteri mantenendo i regalia ma accettando le consuetudines. L’alleanza con i
Normanni di Sicilia fidanzando il figlio Enrico con Costanza d’Altavilla e l’azione verso Gerusalemme
con la terza crociata furono le ultime imprese di Federico: si scelse di andare via terra come la prima
crociata, ma la marcia fu lenta e l’inverno anatolico duro, ma dopo l’entrata nella casa del sultano di
Iconio, la domenica del 10 giugno 1190, non si sa cosa accadde ma Federico morì improvvisamente.
Il figlio Federico assunse il comando ma si trovò davanti a un lungo funerale, e morì nel 1191,
lasciando gli intestini a Tarso, la carne nella cattedrale Antiochiana di San Pietro e le ossa prese da
un ordine Teutonico.
Capitolo 2
Enrico IV, figlio di Federico Barbarossa e Costanza d’Altavilla (normanna), divenne Re di Sicilia nel
1186 e Imperatore nel 1190: la morte di Tancredi di Lecce e il fatto che in mano sua cadesse di
ritorno il re d’inghilterra Riccardo Cuor di Leone accelerarono il processo, e nel natale 1194 fu
incoronato a Napoli, ma morì trentasettenne lasciando il figlio di appena tre anni Federico Ruggero.
Innocenzo III appoggiò subito il piccolo, mentre in Germania si riaprì lo scontro ‘’guelfi e ghibellini’’ tra
Filippo duca di Svezia e Ottone duca di Sassonia. Ottone IV salì al trono, ma nel 1208 morì Filippo e
smise di portare obbedienza al papato, spingendo il papa a eleggere Federico II ‘’Re dei Romani’’ nel
1213, venendo chiamato per i primi tempi ‘’re dei papi’’ a causa del suo non pronunziarsi in una
politica personale decisa, emersa poi con il successore Papa Onorio III. Egli lasciò la Germania in
mano al figlio e consolidò la Sicilia prima e L’italia poi: introdusse il diritto romano, fondò l’università di
Napoli e favorì lo studio medico a Salerno, creando una Magna Curia invidiabile e una ‘’scuola
siciliana’’ di poeti invidiabile, ma con il successore di Onofrio, l’anziano papa Gregorio IX, nacquero
dissapori sull’esito della crociata tra 1217 e 1221 e si servì di essa per indirizzare la politica
dell’imperatore tramite scomunica nel 1227 a causa della mancata partenza dell’esercito per poi
ritirarla nel 1228. Federico non solo sposò l’erede alla corona di Gerusalemme mentre con il nipote
del Salatino, il sultano Al-Malik al-Kamil che regnava in Egitto (mentre il fratello in siria) andò in
trattative e ricevette Gerusalemme senza mura a parte la zona sacra dell’ascesa del profeta,
identificata dai cristiani come la zona del Tempio di Salomone e per l’islam la Moschea di Umar,
cingendo la corona nel 1229 . Tra i due si mantenne un reciproco rapporto di fiducia, mandando in
bestia il papa: poteva uno scomunicato cingere nella città santa una corona regale?. Il papa bandì
dunque una crociata contro di lui, portandolo a scendervi a patti: dovette dare ampie garanzie di
libertà in cambio della libertà dalla scomunica e decise di redigere un nuovo insieme legislativo nel
1231, le ‘’Costituzioni di Melfi’’, costruendo uno stato centralizzato, burocratico, tendente a concezioni
moderne ma soprattutto laiche. In Germania egli rinunciò a ogni controllo, e anche in Italia la
situazione si destabilizzò, con lo scontro di Cortenuova nel 1237 che pose l’imperatore vincente ad
incattivirsi: Papa Innocenzo IV riprese i piani del predecessore Gregorio contro Federico scomunicato
nuovamente, i mongoli in Europa e il cosi detto tradimento di Pier delle Vigne, le sconfitte da parte dei
comuni, la cattiva salute e intrighi e crudeltà fecero il resto, e morì nel 1250 (si diceva avvelenato da
Tancredi, il figlio, che divenne Re di Sicilia dopo la morte dell’erede naturale Corrado IV nel 1254,
lasciando il piccolo Corradino sotto l’ala di Innocenzo III). La casa di Svevia perì prima in Germania,
nel caos più totale, resistette in italia grazie a Tancredi e al suo sistema di alleanze, decise di
intromettersi nelle questioni dei comuni (divenne anche senatore del Comune di Roma nel 1261) ma
fu deposto da Papa Urbano IV grazie a un diritto acquisito fin dal XI secolo in cui il re di Sicilia era
vassallo della Santa Sede, portando poi alla nomina di Carlo d’Angiò, fratello di Luigi IX re di Francia,
ma si concluse con la morte di Corradino a Napoli nella Battaglia di Benevento nel 1266.
A Federico II, uomo di scienza e di politica, si ricorda anche la costruzione di numerose opere, in
primis Castel del Monte, voluto dall’imperatore come Castrum e ispirato alla pianta ottagonale
imitazione degli edifici sacri di Gerusalemme, ma anche il Duomo di Cosenza nel 1222, nonché la sua
passione per la falconeria che lo porterà a scriverci persino un trattato, De arte Venandi Cum Avibus.

Capitolo 3
La lotta tra papato e impero divise l’italia rispettivamente in Guelfi e Ghibellini, e l’affermarsi del
sistema podestile con un forestiero come magistrato favorì anche la nascita di nuovi ceti che Dante
definì come ‘’gente nova’’, formata da certi medi rurali inurbati, provvisti di mezzi e favoriti dal flusso
ascendente, che avendo terre coltivabili e, nelle città di mare diventati armatori e contanti,
possedevano grandi somme di denaro che li rese anche banchieri, o almeno una loro forma primitiva
come prestatori, costituendo nell’Italia Settentrionale quetso ceto articolato definito ‘’Arti’’ a cui si
unirono chi lavorava in campo ‘’liberale’’ come Giurisprudenza e Medicina, chiamati populares e
formando una propria società giurata (Comune del Popolo a Bologna) che combinò matrimoni con le
famiglie ‘’magnatizie’’ delle città per evitare la lotta che nel duecento si fece intensa: tuttavia,
l’instabilità politica dovuta all’esclusione dai governi cittadini di questi ultimi ‘’magnati’’, anche se
alcune famiglie erano troppo importanti o ricche per essere escluse dal popolo e loro stessi erano
difficilmente riconoscibili, potevano essere famiglie nobili ma anche contadini arricchiti. Quando nel
trecento poi, l’economia collassò, si usò affidare il potere assoluto a un solo ‘’dittatore’’ in caso
d’emergenza detto Balia e chiamato Signore, una signoria però derivante dal popolo, dal basso,
affermatasi subito dalla Lombardia, nel 1240, a tutto il nord Italia. Alcune città marinare, di contro,
dall’anno mille accrebbero il loro potere, pensiamo a Amalfi, Napoli e Salerno, che battendo moneta
propria (tari arabo) spingevano per il commercio con l’Islam, e tesero una rete di interessi con
Costantinopoli, Nord-Africa e Sicilia senza eguali, con itinerari che formarono un asse nord-ovest che
generò anche inimicizie tra le città stesse, in primis Genova e Pisa (quando dovettero stabilire
l’egemonia su Corsica e Sardegna), e creo delle succursali sulla costa opposta, in oriente, in centri
distaccati dalle città orientali ben fortificate e marittime che permettevano ai commercianti di vivere
metà anno sulla sponda opposta alla loro. Si spostò cosi la bilancia commerciale da oriente a
occidente, e nelle casse dei latini d’europa ci fu l’afflusso di oro che permise la coniazione di monete
e quindi il controllo dei commerci. I veneziani specialmente usarono a esempio la quarta crociata per
estendere i propri domini, ma fu Genova (nel 1284 contro Pisa e nel 1298 contro Venezia) a imporsi
nel dominio sul Mediterraneo.

Capitolo 4
Riguardo le monarchie europee: Luigi VII rafforzò la sua posizione in Francia, e il figlio Filippo II
Augusto si dedicò a risolvere i dissidi con l’inghilterra, dove si susseguirono Enrico II con una serie di
torbidi continuati con i due figli, Riccardo Cuor di Leone e Giovanni Senzaterra, il secondo succeduto
al primo dopo una ribellione scoppiata a seguito della terza crociata e venendo scomunicato da
Innocenzo III nel 1200: Filippo ne approfittò per dichiararlo colpevole di Fellonia (delitto compiuto dal
vassallo infedele) e lo privò dai possedimenti francesi, situazione accettata da Giovanni dopo la
capitolazione di Rouen nel 1204 ma sfociata nella Battaglia di Bouvines nel 1214 con la
contrapposizione di Federico II di Svevia alleato con la francia e Ottone IV sostenuto da Giovanni,
quest’ultimo sconfitto. La nobiltà si ribellò dopo questa sconfitta e nacque la Magna Charta nel 1215
non intesa come modernizzazione ma come affermazione dei diritti aristocratici sulla corona: nacque
infatti il Parlamento, organismo dove i nobili assistevano il sovrano nelle funzioni di governo, e con
una nuova rivolta anche Enrico III fu costretto a promulgare le ‘’Provvisioni di Oxford’’ nel 1259 dove
una commissione di baroni era ora autorizzata in materia di amministrazione. Edoardo I rafforzò la
corona e cacciò gli Ebrei dal regno, e prese nel 1371 la Scozia, fondando la dinastia nazionale deli
Stuart. In Francia invece, la crociata contro gli albigesi di Innocenzo III venne sostenuta da Filippo e
da suo figlio Luigi VIII e Luigi IX, salito al potere sotto la reggenza della madre Bianca di Castiglia,
attenta ai domini e alla politica di conquista, impronte lasciate anche nelle mani del figlio (lei fu
artefice del Trattato di Parigi nel 1229): egli sottomise i grandi feudatari Francesi e sconfisse Enrico III
nel 1242, con una lunga tregua che gli permise di mettersi a capo di una Crociata che fallì
miseramente nel 1248 e gli costò anche l’incarcerazione saracena nel 1250 pagata caramente sotto
forma di riscatto e il ritorno di fretta e furia in Francia per la morte della madre: qui fece pace con il re
d’Inghilterra, riformò il diritto consuetudinario del suo paese e coniò la prima moneta d’oro
francese,facendosi però ispirare dal fratello Carlo d’Angio all’assalto di Tunisi piuttosto che attaccare i
Musulmani, morendovi però nel 1270. Il figlio Filippo III l’Ardito si lasciò trascinare nella rivolta dei
Vespri e morì per mano aragonese e Filippo IV si conferì un corpo di devoti funzionari in un
‘’Parlamento’’ uguale a un tribunale supremo e si volle allargare nelle Fiandre, inamicandosi di nuovo
il re inglese e accordandosi con il Trattato di Parigi nel 1203 dove il feudo inglese in Guenna fu
riconosciuto a Edoardo I d’ingilterra. Nel meridione d’italia invece, Carlo d’Angiò marchese di
Provenza fu chiamato dal papa in Sicilia dove sconfisse Manfredi figlio di Federico II nel 1266
(Battaglia di Benevento) e Corradino decapitandolo a Napoli, non migliorando però il paese: i baroni
divennero infedeli al trono, violenti, e lo spostamento dell’asse da Palermo a Napoli peggiorò la
situazione in Sicilia. Carlo aveva mire espansionistiche in Europa e i papi Gregorio IX e Niccolo III si
opposero a questa visione, avvicinandosi persino alla chiesa greca per evitare che l’angioino ci
potesse fare un pensierino, ma Papa Martino IV gli ridiede la sua approvazione papale e la conquista
di Costantinopoli venne bloccata sul nascere dalla famosa Rivolta dei Vespri Sicula il 29 marzo 1282,
rivolta fomentata da Costantinopoli e Pietro III d’Aragona, genero di Manfredi, a cui si rivolsero i siculi.
Papa Martino IV preparò una crociata ma nel 1285 morirono tutti i protagonisti della vicenda e Carlo I
con i suoi ideali di espansione mediterranea tramontarono sotto il trattato di Anagni nel 1295 dove la
Sicilia sarebbe tornata a Carlo II d’Angiò alal morte di Federico, fratello di Giacomo II di Aragona,
come stabilito nel Trattato di Caltabellotta del 1302 dopo la rivolta sicula al governo di Carlo II.
Tuttavia, nonostante il titolo di Re di Sicilia fosse nelle mani di quest’ultimo, la Regina Giovanna I alla
sua morte si dedicò a Napoli e lasciò in pace la Sicilia. Nella Penisola Iberica invece, gli Almohadi
nella battaglia di Alarcos nel 1195 sconfissero il re castigliano Alfonso VIII e sui bandì una nuova
crociata che a Las Navas de Tolosa nel 1212 confermò la vittoria occidentale e l’apertura del sud
della francia ai Cristiani che, però, non sfruttarono le costruzioni ingegneristiche che nei cinque secoli
precedenti i Musulmani avevano ideato tra dighe, canali e giardini ma approfittarono della
Reconquista cristiana per allearsi con l’aristocrazia feudale e ostacolarono artigianato e commerci,
trasformando la Castiglia in una terra desolata di poveri pastori. Il regno d’aragona invece unito alla
Catalogna, terra a sé stante con Barcellona perla del Mediterraneo che continuò la reconquista su
Valencia, Murcia e le Baleari, allargò i suoi domini stabilendosi in Sicilia all’indomani dei Vespri, con la
concessione della Sardegna a Giacomo II da parte di Papa Bonifacio VIII, la conquista del ducato
d’atene da parte dei catalani che lo offrirono a Giacomo II in feudo, creando ‘’regni paralleli’’ che portò
l’egemonia Aragonese per tutto il trecento. In Germania, invece, ci fu l’interregno: i ghibellini (svevi)
scelsero Alfonso X mentre i nemici Riccardo III fratello di Enrico III d’inghilterra, ma l’idea di un impero
tedesco era ormai naufragata e i conti d’Asburgo approfittarono della situazione per abbandonare la
politica italiana, spostare la capitale in Austria e rafforzare il proprio dominio, creando a esempio una
lega anseatica con i regni del nord.

Capitolo 5
Nel Medioevo e in Età moderna il nome Tartari veniva adoperato nell’Occidente cristiano per
identificare piuttosto genericamente tutte le popolazioni nomadi di stirpe turca o mongolica dell’Asia
centrale. In realtà, propriamente, i Tartari erano solo un gruppo di queste popolazioni e tribù,
proveniente dalla Mongolia orientale e dalla Manciuria del Sud-Ovest, I popoli nomadi dell’Asia
centrale che si mossero sulla scia di Genghiz khan si chiamavano in realtà Tatari: Genghiz khan li
aveva sottomessi e assimilati, facendone uno dei punti di forza del suo temibile esercito che premeva
alle porte dell’Europa. Fu proprio nel corso del 13° secolo, dopo il terribile impatto con le incursioni di
questo grande capo mongolo, che il nome Tatari subì una significativa trasformazione e
divenne Tartari, con una chiara allusione a creature infernali e diaboliche. Il Tartaro, infatti, è l’inferno,
il luogo dove sono rinchiusi coloro che per la loro crudeltà scontano pene eterne. Per gli europei,
inoltre, tutti i Mongoli diventarono Tartari; ma in realtà i Tartari costituivano solo un gruppo, per quanto
cospicuo e importante, delle popolazioni centroasiatiche. Racconta una leggenda molto antica,
presente anche nella tradizione di alcuni popoli di lingua turca, che i Tartari discendono dal lupo,
perché in tempi lontanissimi un loro antenato avrebbe diviso con un branco di lupi una caverna e da
questo incontro sarebbe nata la loro progenie.

Capitolo 6
Nel 1175 il III concilio lateranense istituì una cattedra presso ogni chiesa episcopale, seguendo il
sistema romano delle quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia e musica) e Trivium
(grammatica, dialettica e retorica) basate su Plinio il Vecchio (storia naturale). Le università con esami
di laurea e facoltà divise nacque intorno ai secoli XI e XII, mentre il sapere divenne un lavoro a
pagamento creando i primi centro a Salerno (prototipo voluto da Federico II tra X e XI secolo), a
Bologna e a Parigi, mentre fuori dall’italia e dall’europa ci volle il duecento per vedere Oxford o
Cambridge.

Parte Quinta
Capitolo 1
I rapporti tra la chiesa e gli Angioini, vassalli della chiesa, si fecero difficili: Il pericolo ghibellino non
esisteva più e l’alternarsi di papi angioini e antiangioini mostrò con chiarezza quanto profondo fosse il
disorientamento dovuto all’assoggettamento del papa. Dopo l’elezione fallimentare di Pietro da
Morrone, che predisse sciagure se la crisi del papato non si fosse risolta all’indomani della morte di
Niccolo IV nel 1292, salì al soglio pontificio il cardinale Caetani, nato ad anagli nel 1235, con il nome
di Bonifacio VIII: per difendere la sua autorità, in primis sconfisse i Colonna, famiglia nobile romana,
perseguitò i francescani spirituali, assegnò la Sicilia agli Angioini legandosi a loro, ai francesi e ai
banchieri fiorentini (divisi in guelfi neri intransigenti e bianchi moderati coi ghibellini) e ci volle l’aiuto di
Carlo di Valois, fratello di Filippo il Bello, per conquistare firenze nel 1301 ed esiliare i guelfi bianchi,
tra cui Dante Alighieri. Filippo IV il bello, fratello di Carlo e Re di Francia, era stato condannato
assieme al Re d’inghilterra nel 1296 per aver violato i privilegi fiscali all’alto clero, ma dopo una
iniziale tregua filippo continuò a tassare il clero con gli stati generali al suo fianco mentre con la bolla
Unam Sanctam Bonifacio stabilì che la chiesa possedeva speciali privilegi poiché investita di due
spade, quella temporale e quella spirituale, ma non aveva alleati: provò con Alberto d’austria Re di
Germania e con la corona Aragonese, ma nulla da fare. Filippo nel 1303 in una assemblea lo definì
Eretico, simoniaco e Scismatico e mandò il suo consigliere Guglielmo di Nogaret a catturare il ‘’falso
papa’’, che fu imprigionato ad Anagni e minacciato di morte: Anagni liberò il suo pontefice ma
Bonifacio morì per lo shock subito nell’ottobre 1303. Dopo Benedetto XI, nel 1305 salì al soglio
pontificio Clemente V, cardinale francese, che spostò la sede pontificia ad Avignone, sotto il controllo
del Re di Francia, aprendo il periodo della ‘’cattività Aragonese’’ (anche se solo i primi anni si seguì il
re di francia) dove i Papi del trecento irradiarono in Europa un prestigio molto forte, ma tuttavia
spaccò la Cristianità, divisa tra imperatore e papa, in nuove forme di monarchie feudali che volevano
il controllo sul papato a tutti i costi. Papa Urbano V nel 1367 ritornò brevemente a Roma, obiettivo di
molti, ma ci volle Urbano VI, papa italiano per volonà dei cardinali e del popolo romano in cerca di
stabilità politica, per il ritorno effettivo, che aprrì però lo scisma in quanto in Francia fu eletto Clemente
VII e durerà 50 anni (1378-1417) portando l’europa a dividersi tra i due papi, e nemmeno il concilio di
Pisa del 1409, dove venne eletto un terzo papa, risolse la faccenda, che pèrò incentivò la crescita
delle chiese nazionali che però dipendevano non dal pontefice ma dal concilio dei vescovi, idea
ripresa da Sigismondo ‘’Re dei Romani’’ nel Concilio di Costanza (1414) dove oltre ad eleggere
Martino V, si riformò la chiesa d’occidente dando importanza al concilio superiore al papa riunito ogni
cinque anni, e si preparò una nuova crociata. Tuttavia, i vari concili (Basilea, Firenze, Ferrara)
portarono a un allontanamento con la chiesa d’oriente, soprattutto in quello di firenze dove papa
Eugenio IV si dichiarò superiore a Bisanzio: Basilea, infatti, non volle spostarsi dalla sede conciliare e
provocò un piccolo scisma d’occidente, poi rientrato poco dopo.

Capitolo 2
Filippo IV, in Francia, dal canto suo, comprese prima di tutti che non solo il potere ecumenico andava
sgretolandosi, ma il sistema feudale stava lasciando il posto alle nuove borghesie cittadine, e cosi
decise di disfarsi di loro nel 1307 tramite un processo autorizzato da Papa Clemente V: i loro beni
vennero trasferiti alla santa sede e alla corona e negli atti del sovrano francese ricordiamo quelli di
Pietro Dubois dove si proponeva di accusare Bonifacio VIII di eresia per la bolla sulle due spade
papali, e quelli di Guglielmo di Nogaret, autore della massima ‘’Rex Superiorem non Recognoscit, et
imperator est rex in territorio suo’’, mentre l’istituzione della ‘’nobiltà di toga’’ creò nuovi nobili legati al
sovrano in quanto il prestigio derivava esclusivamente da lui. In Germania, invece Enrico VII fu
preferito dal papa e dai nobili francesi al posto del fratello di Filippo Carlo di Valois, ma quando chiese
aiuto ai ghibellini per avere forza militare si creò un fronte guelfo con capisaldi Firenze e il re di
Napoli: Enrico a roma fu incoronato nel 1313 ma si spense poco dopo per Malaria, portando con se
alla rovina l’ideale Dantesco di un impero ecumenico e la guerra civile in Germania, vinta da Ludovico
IV il barbaro che non solo ratificò la sua elezione senza informarne il papato, ma si fece incoronare a
Roma dal senatore della città Sciarra Colonna e un concilio fece dimettere Giovanni XXII ed elesse
papa Niccolo V, anche se fu lasciato a sé stesso. L’impero però, soprattutto con l’erede Carlo IV, figlio
di Giovanni di Lussemburgo, si stabilì come unità territoriale tedesca piuttosto che re d’italia e con la
‘’Bolla D’Oro’’ del 1356 stabilì che i principi elettori dell’impero dovessero essere quattro laici e tre
ecclesiastici, con elezione a Francoforte e incoronazione in Aquisgrana, proibendo le leghe cittadine.
Quando Sigismondo nel 1387 divenne Re anche d’Ungheria oltre che di Germania, trovò il suo
interlocutore ideale nei duchi d’Austria (stirpe degli Asburgo) con Alberto II che divenne imperatore e
portò la casa d’asburgo a regnare fino al 1918, poi come imperatori d’Austria. Tuttavia, questo
passaggio in Francia da società feudale a un modello moderno avvenne con scosse: Le fiandre,
signoria francese ma con legami inglesi, ma anche il ducato di Guienna, feudo dei Plantageneti che
restava comunque un feudo francese anche se fonte di reddito inglese: Quando Filippo convocò
edoardo alla sua corte e si presentò il fratello, Il Re di Francia gli espropriò i diritti feudali e occupò
militarmente la contea di Ponthieu: dopo iniziali rivolte sedate in madrepatria, gli inglesi attaccarono e
ci fu un tira e molla che si concluse inizialmente con una tregua nel 1297 a causa delle rivolte interne
(Col parlamento inglese che nel 1297 si organizzò in camera dei lord e camera dei comuni) e i
negoziati fino al 1303 che si conclusero anche con due matrimoni (edoardo I e la sorella di Filippo
Margherita, Edoardo figlio del re inglese e isabella). Carlo IV tuttavia morì senza figli, e le due corone
sarebbero dovute andare a Edoardo III, ma l’assemblea tramite la legge Salica assegnò la corona di
Francia a Filippo VI, fratello di Filippo IV, e da qui nacque la ‘’Guerra dei cent’Anni’’, a fasi alterne tra il
1339 e il 1453, dove la superiorità militare inglese si scontrò con la cavalleria francese portando
inizialmente alla Pace di Bretigny nel 1360 con la fine delle pretese sulla francia, e la morte dei due
sovrani nel 1377 uno e nel 1380 Carlo V di Francia avvicinò i paesi politicamente in quanto salirono al
potere due minorenni, Enrico V e Carlo VI, dividendo la francia in grandi ducati. La storia dei duchi di
Borgogna (Filippo II l’ardito, suo figlio Giovanni Senza Paura nella crociata del 1396 contro gli
Ottomani fu arrestato e liberato sotto riscatto) si collega alla guerra dei cent’anni in quanto Giovanni
rialzò la tensione col cugino Luigi I d’Orleans, e dopo una guerra civile tra Armagnacchi e Borgognoni
scoppiata dopo l’attentato pianificato da Giovanni per il duca d’orleans, nel 1419 Giovanni fu ucciso e
ritrovato senza una mano, mentre pianificava la pace col delfino. La corona passò al re d’inghilterra
Enrico V che col trattato di troyues sposò Caterina, figlia di Carlo IV, alla cui morte avrebbe ereditato
la corona di Francia: Enrico ViI, il figlio, divenne re ma a Bourges il ‘’Re di Bourges’’ Carlo delfino di
francia fu incoronato Carlo VII. La guerra tra loro prese una piega diversa quando una giovane di
nome Giovanna d’Arco disse dai 16 anni in su di sentire delle voci che la spingevano a mettersi al
servizio di Carlo VII per liberare la francia dagli Inglesi, e questa giovane della lorena riuscì non solo a
liberare Orleans nel 1429 ma anche a Patay e portò Carlo VII all’incoronazione; egli pensò dunque di
risolvere la situazione tramite le trattative e Giovanna divenne scomoda. Tentò di conquistare
Compiegnè ma fu catturata nel 1430 e condannata dopo un processo per portare abiti maschili e aver
irretito il re di Francia, dove lei si difese strenuamente e lucidamente per poi sottomettersi ai suoi
giudici e pentirsene subito dopo, venendo bruciata come eretica recidiva nel 1431. Negli anni fu poi
riabilitata, beatificata nel 1909 e santa nel 1920. La guerra si concluse senza trattati di pace.
Il Re di Francia, avendo liberato il suo paese, pensò di abbattare i grandi principati feudali di
Borgogna e Bretagna (assorbì i possedimenti degli Angiò e debellò borgognesi, mentre fece sposare
il nuovo re Carlo VIII con la duchessa Anna di Borgogna. Il regno si dotoò do una burocrazia e con la
‘’prammatica sanzione di Bourges’’ nel 1438 dispose la chiesa Gallicana rispettosa del Papa ma
controllata politicamente dal Re. La nobiltà di toga e un ‘’Gran Consiglio’’ sostituirono gli Stati
Generali, mentre in Inghilterra la guerra delle ‘’due rose’’ dei Lancaster e di York si concluse con
Edoardo IV degli York nel 1461, ma gli inglesi cercarono stabilità e la trovarono in Enrico del casato
dei Tudor, Lancaster sposato con una York, ed Enrico VII eliminò le resistenze feudali tramite Il
Consiglio Privato e la Camera Stellata, incoraggiando i commerci e lo sviluppo delle Gentry (piccola
nuova nobiltà). Lo stato Borgognese nel 1471 si definì non più vassallo ma Sovrano a Pieno titolo, e
quando Federico III si rifiutò di elegge Carlo detto ‘’Il temerario’’ come ‘’Re dei Romani’’ e gli inglesi
fecero pace con Luigi IX il suo regno divenne costellato di rivolte fino alla sua morte, nel 1477. Alla
sua morte il regno si divise e il re di francia prese molti suoi possedimenti, mentre alcuni cantoni
elvetici decisero di allearsi con alcuni popoli presenti nella zona compresa tra Alpi e Alto Reno
fondendosi in una indipendente confederazione nel 1499 sconfiggendo nel 1386 gli Asburgo,
divenendo l’embrione della Svizzera. Nella Penisola Iberica, infine, i regni erano quelli di Castiglia,
d’Aragona e l’emirato di Granada, caduta nel 1492 nelle mani dei re cattolici di Castiglia, desolata e
guerriera, e di Aragona, che con la florida Catalogna si allineava tra le potenze commerciali e
marittime del tempo.

Capitolo 3
Nel Trecento, la peste fu la vera falciatrice d’Europa: rimase endemica anche dopo la sua scomparsa
nel 1350, ma le ondate dei secoli XV e XVI portò la popolazione europea in deficit almeno fino al
quattrocento. I ceti meno abbienti furono i più colpiti, i villaggi abbandonati (insediamenti in zone
impervie dove la coltivazione era difficile ma necessaria dalla pressione demografica del secolo XI-
XIII e ora abbandonati) e la riconversione delle colture portarono anche le signorie feudali nel caos,
dove le terre si concentrarono nelle mani di pochi signori ceduti in affitto o in ‘’Mezzadria’’ (si gode dei
propri frutti al 50% tra signore e coltivatore) facendo però gravare la crisi proprio sui contadini stessi.

Capitolo 4
In Italia, nel Trecento diversi stati minori sparirono e si ci soffermò sul potere dei signori che non solo
ricevevano il potere dal basso e da un consenso popolare o aristocratico occupando il vuoto di potere
lasciato dagli esausti governi comunali. Quando poi ricevettero in feudo da imperatore o papa alcuni
possedimenti, la signoria divenne principato a tutti gli effetti quali Firenze, Venezia, in parte Genova,
Lucca o Siena, e alcune eccezioni repubblicane con i ceti dirigenti aristocratici spinse alla formazione
di uno stato regionale piuttosto che alle grandi monarchie europee, forma che invece si andava
affermando più negli stati medievali, essendo grandi monarchie feudali fin dal XII secolo e disposte ad
accettare il nuovo sistema politico. Ci limiteremo agli stati maggiori:
- Milano: uno dei centri più grandi dal punto di vista mercantile, dove le fazioni dei Della Torre e
dei Visconti (Guelfi i primi e Ghibellini i secondi) videro prevalere i secondi. Giangaleazzo nel
1285 si espanse verso la Romagna, Toscana, Verona e Vicenza, Novara, Padova, Siena,
Perugia, Assisi e Spoleto e divennero suoceri del duca di Orleans, diventando nel 1395 un
principato con la concessione dell’imperatore romano-germanico, ma le singole città
restarono indipendenti a parte per l’obbedienza al duca e quando morì nel 1402 si
divincolarono dall’obbedienza. Filippo Maria, nipote di Giangaleazzo, provò ad espandersi
nuovamente ma Firenze e Venezia si opposero e la guerra si sviluppò fino alla Pace di
Ferrara nel 1433.
- Venezia: Il governo Oligarchico creò il consiglio dei Dieci e i Tre Inquisitori di Stato per
proteggersi dal pericolo di sovversione politica, ma in un secolo di depressione quale fu il
Trecento, si svilupparono due tendenze: conquistare la terraferma e dominare i mari orientali,
destinata però a perire in favore della prima opzione: L’espansione verso l’arco alpino e il
dentro nord però portò allo scontro per l’egemonia dei mari con Genova sviluppandosi in due
guerre la cui seconda, la ‘’Guerra di Chioggia’’, portò a una vasta unione antiveneta che portò
la chiusura a costo di Venezia stessa ma che riprese poi successivamente conquistando
Verona, Padova, Dalmazia, Isola di Corfù e coste greche. Nel 1423 il doge Francesco Foscari
creò una lega antiviscontea per espandersi in terraferma, e con la Pace di Ferrara nel 1433
conquistarono Brescia, Bergamo, Cremona e Ravenna
- Firenze: una oligarchia di grandi imprenditori nella parte Guelfa Nera governava, ma fu
costretta a mettersi in balia di Roberto d’Angiò per contrastare nella prima metà del secolo i
signori ghibellini di Pisa, Lucca e Pistoia. La prima forma di Signoria con Gualtieri VI di
Brienne caddè a causa delle varie crisi del trecento di cui si parlava pocanzi, e mentre
Firenze conquistava Prato, Pistoia, Arezzo e Pisa due fazioni si contrapposero proponendo
l’Arte della Lana (produttori di panni di lana) e i ceti medievali tra cui comparirono i banchieri
de’ Medici. La guerra contro Filippo Maria Visconti inasprì l’opinione pubblica e una lotta
popolare portò al potere Cosimo de Medici detto il vecchio, che pilotò la situazione facendosi
richiamare l’anno successivo come liberatore e non prese mai posizioni da conquistatore,
assicurandosi di avere sempre ruoli secondari e mai pubblici, esercitando un esperimento
‘’CriptoSignorile’’ che però lo rendeva signore di fatto.
- Lo stato della Chiesa: a partire dal Giubileo voluto da Papa Bonifacio VIII nel 1300, il denaro
iniziò a girare in città e la vita politica accentrata nel ‘’senato’’, un consiglio simile ad altri
nell’italia comunale, era dominata da Colonna e Orsini. Un tentativo di risistemare l’ordine
durante la cattività avignonese si deve a Cola di Rienzo, sognatore di una restaurazione
dell’antica grandezza Romana, e provò a fondare un ordine repubblicano proclamandosi
‘’Tribuno’’ nel 1347 e dopo mesi di fervide speranze egli istaurò un regime di terrore popolare
ma anche caratterizzato da molte feste, e quando fu cacciato vagò per l’italia venendo
ispirato e sentendosi ‘’un ambasciatore angelico’’ , venne arrestato da Carlo IV a Praga e
processato dall’inquisizione di papa Clemente V, ma il suo successore gli ridiede fiducia e lo
rimandò a Roma, accolto dai romani fiduciosi in lui, ma si abbandonò di nuovo alle violenze e
una rivolta lo uccise e il cadavere venne esposto in pubblico prima di essere bruciato. Papa
Bonifacio IX tornò a Roma e nel re di Napoli trovò un fedele alleato, che regolò la vita
romana, ma alla sua morte Papa Martino V si stabilì nell’autunno 1420 e ridusse il disordine
romano, andando sempre più verso la sottomissione dei signori delle varie città emiliane
durante il XV secolo.
- Aragonesi nel Sud Italia: Essi tentarono di proseguire le tradizioni bizantine, musulmane e
normanne e misero Napoli e Palermo contro ma nonostante questo in fervente crescita.
Ostacolarono la creazione di un ceto medio di mercanti e produttori, rendendo l’economia
stagnante. In Sicilia governavano gli aragonesi, nella penisola gli angioini, con Roberto
d’Angiò pieno di prestigio ma alla morte ci fu una crisi che divise in rami i possedimenti:
Ladislao vinse sugli altri pretendenti al trono si Napoli e abile capo militare e politico sfruttò lo
scisma per avvicinarsi al papa ed estendere i suoi domini, cosa non confermata dalla sorella
Giovanna II, e alla sua morte una nuova lotta portò Alfonso V il magnanimo a prevalere, con
una prospettiva di impero mediterraneo aragonese che spaventò le città limitrofe e modificò
gli assetti politici.
Nessuno degli stati territoriali italiani maggiori poteva prevalere sull’altro, nel 1453 caddè
Costantinopoli e una crociata non venne mai concretizzata, con la Pace di Lodi nel 1454 che
sostanzialmente confermava la convivenza dei cinque stati e il rispetto dei propri status quo: In Italia
inoltre non ci fu nessuna egemonia neanche dagli stati esteri, in un equilibrio che durò dal 1454 al
1494 nonostante ci furono dissidi per la successione a Napoli e a Firenze (Cosimo – Piero il gottoso –
Lorenzo il Magnifico e congiura dei pazzi con l’assassinio di Giuliano, fratello di Lorenzo, portando
alla guerra col papato) ma fu con l’avvento di Alfonso II sul trono di Napoli che i baroni napoletani
fuggiti dalla congiura del 1485 e rifugiati in Francia a spingere affinchè Carlo VIII scendesse in Italia,
interrompendo la pace durata 50 anni.

Capitolo 5
In Anatolia i nuovi protagonisti della storia islamica, i Turchi, si fecero strada approfittando sia della
debolezza della dinastia uyyubide, in quanto i successori del Salatino si divisero in Damasco,
frammentato a metà XIII secolo e Al Cairo, caduta nel 1250 in un colpo di stato. I Turchi o Ottomani,
tribù turca spinta dall’Asia Centrale verso ovest dall’espansione Mongola, strinsero l’impero bizantino
tra Tracia e Bitinia ottomane riducendola alla sola capitale Costantinopoli, e i tentativi di dar vita a
nuove crociate caddero miseramente nel vuoto, in quanto la minaccia ottomana non veniva rilevata in
toto. Manuele II, il Basileus, tentò di viaggiare in Europa spingendo per un salvataggio della terra
santa, e la crociata del 1396 con all’interno Re di Borgogna, Giovanni senza Paura trovò a Nicopoli
una sanguinosa sconfitta, una carneficina. I Mongoli, tuttavia, sconfissero gli ottomani nel 1402 e
divennero alleati formidabili ma gli ottomani trovarono una guida formidabile in Maometto I, Murad II
che asssediò Costantinopoli nel 1422 e strinsero varie alleanze anche con i veneziani, portando ikl
Baileus Giovanni VIII a unire le chiese d’oriente e occidente in un ultimo disperato tentativo nel 1439 a
Firenze mentre Murad assalì Serbia, Transilvania, Belgrado che però resistette. Un nuovo appello di
Eugenio IV nel 1443 cadde nel vuoto, mentre in Occidente non c’erano le condizioni per aggregarsi a
quella banda raccolta nell’ultima crociata del 1443, partita da Buda e soffermatasi su Belgrado.
Ladislao d’Ungheria scese nel 1444 alleandosi con i re polacchi ma ci fu una nuova sconfitta epocale
e la seconda battaglia del Kossovo nel 1448 confermò la sconfitta Cristiana. Il nuovo Basileus
Costantino XI salì al potere nel 1448, memore della sconfitta di Varna nel 1444, e continuò a chiedere
aiuto: Alfonso il Magnanimo, re di napoli, aveva idee simili a Carlo d’Angiò sognando la corona
Bizantina ma il giovane sultano Maometto II decise di fortificare gli stretti impedendo a veneziani e
genovesi di avere l’egemonia e controllando di fatto Costantinopoli: a Santa sofia nel 1452 la fine
dello scisma veniva celebrata ma erano gli ultimi giorni della città, infatti nel maggio 1453 il sultano
entrò in Costantinopoli, aiutato sia dalla debolezza dell’occidente che dalla cattiva reazione
dell’opinione pubblica alla supremazia latina. La caduta della Nuova roma si legò alla difesa
dell’europa, e Papa Niccolo V chiese nuovamente aiuto ma i principi cristiani diffidavano uno dall’altro
e l’avanzata ottomana nei balcani ricominciò nel 1455 dopo un iniziale vittoria di serbi e albanesi, ma
nel 1456 il sultano perse due volte a Belgrado che, metaforicamente, riscattò Costantinopoli. Papa
Pio II organizzò nel 1459 un congresso a Mantova con i capi della cristianità, ma non si presentò
nessuno e morì lui stesso ad Ancona nel 1464 dove si era recato per dare l’esempio. Papa Paolo II
provò con una dieta a Norimberga, ma senza risultati, mentre nel 1476 scompariva Vlad III Dracul,
difensore della sua terra contro i turchi, che ispirerà Dracula e che ricordiamo per la sua abitudine
nell’infilzare i nemici. I turchi, padroni ormai dei Balcani meridionali, salirono ancor di più e arrivarono
persino ad attaccare Otranto: la morte del sultano nel 1481 e le contese dei figli fermarono la
situazione.
Perché studiare la storia medievale?
La risposta più banale fa riferimento ai programmi e all’organizzazione degli studi superiori e
universitari: lo studio del Medioevo è proposto come un settore obbligatorio nel piano di studi degli
studenti; ciò ne consegue un incontro non richiesto, e spesso non gradito.
Ma gli ordinamenti ufficiali degli studi non sono realtà ingiustificate, anzi rispecchiano ordinamenti
della cultura che nascono da scelte libere, motivate dal piacere della conoscenza. Dunque la storia
medievale trova posto tra le curiosità e le riflessioni dell’intelligenza e della cultura. Fuori di
quest’ambito il Medioevo non ha alcun interesse, come non ne hanno le altre epoche storiche.
Nell’opinione comune il Medioevo è spesso considerato l’opposto di tutti i valori che sono alla base
della coscienza e del costume moderni: tradizionalismo e autoritarismo culturale, accentuata
gerarchizzazione della società, economia di sussistenza a base prevalentemente agricola, sono aspetti
fondamentali del Medioevo in contrasto con la società europea che conosciamo.
Spirito di critica, egualitarismo giuridico e sociale, prosperità economica fondata sulla produzione
industriale, sebbene siano in forte trasformazione verso esiti imprevedibili, costituiscono ancora
riferimenti essenziali della coscienza moderna. La storia del Medioevo potrebbe dunque essere
interessante limitatamente a quelle situazioni in cui si coglie il primo manifestarsi dei valori e delle
forme organizzative che si svilupparono compiutamente in un periodo successivo: la libertà culturale,
la dialettica sociale, l’iniziativa economica.
 Fonte diretta: ci parla direttamente del passato attraverso i documenti originali che sono pervenuti sino a
noi.
 Fonte indiretta: ci parla indirettamente del passato attraverso la testimonianza di un intermediario che ha
avuto accesso diretto alle fonti.
Le scienze ausiliarie della storia sono discipline scientifiche che aiutano a valutare e utilizzare le fonti rilevanti
per il lavoro storico e la scrittura della storia.
L'espressione, sebbene sia tradizionale e ancora ampiamente utilizzata, può dare la sensazione di una loro
svalutazione per cui sono state proposte altre espressioni come "Scienze documentarie della storia".
1. Con paleografia, (palaiós), "antico" e (grafé), "scrittura", si definisce lo studio delle caratteristiche e
dell'evoluzione delle prime forme di scrittura. In particolare, essa consiste nella capacità di leggere,
interpretare e datare testi manoscritti, e di saperne riconoscere l'autenticità.
2. La diplomatica (derivante dal latino diploma, nel senso di lettera credenziale) è una disciplina nata nella
seconda metà del secolo XVII che ha come oggetto di studio i concetti, le tecniche e le procedure per
giudicare la genuinità giuridica o meno del documento medievale, sia nella sua dimensione pubblica sia in
quella privata. Inizialmente vista come una scienza ausiliaria della storia, nel corso del XIX e XX secolo la
diplomatica è diventata una scienza a sé stante, di aiuto nella ricerca storica.
Per caratteri intrinseci ed estrinseci, in diplomatica, si intendono quegli elementi formali che caratterizzano una
particolare tipologia documentaria:

 Caratteri intrinseci: sono quei caratteri che «attengono alla essenza e alla fattura intima del documento»,
ossia che «si riferiscono al contenuto del documento», ove per contenuto non si intende tanto l'oggetto
esaminato, quanto questo viene espresso tramite determinate espressioni giuridiche e ripartizioni testuali;
 Caratteri estrinseci: quelli «che si riferiscono alla fattura materiale del documento e ne costituiscono
l'apparenza esteriore, potendosi esaminare indipendentemente dal contenuto».

3. Paleopatologia: studia le malattie direttamente nei resti umani del passato, scheletrici o mummificati. La
paleopatologia riveste un duplice interesse: antropologico, poiché dallo studio delle malattie e della loro
incidenza si possono comprendere, seppur indirettamente, gli usi e le abitudini delle popolazioni del
passato; medico, poiché lo studio dell'origine e delle prime vie di trasmissione delle malattie moderne
(come cancro e arteriosclerosi) suscita interesse medico.

Slide pt.2 7 ottobre


II Medioevo insomma potrebbe essere interessante essenzialmente per il modo in cui negò se
stesso e si trasformò nell'età moderna. Tuttavia, accanto rifiuto, si coglie spesso nell'opinione
contemporanea anche una curiosità per i suoi aspetti più caratteristici; per il suo lato antimoderno: la
fede religiosa e le credenze, il primitivismo sociale e culturale, l'arretratezza tecnologica, l'ipotesi insomma di
una società semplice, organica, animata da una forte e unitaria ispirazione ideologica.

Si tratta di un atteggiamento presente tanto negli studi di storici di successo, quanto in spettacoli e
opere letterarie recenti; dove si tenta di rievocare lo spirito esotico di un mondo diverso, che
apparentemente non soffriva i mali della società industriale e postindustriale.
Questo contrasto di visioni ha un suo significato: testimonia che il Medioevo costituisce un problema
per la coscienza moderna; suscita cioè inquietudine, presentandosi come un pericolo da esorcizzare o
un ideale da vagheggiare.
Ma neanche i sostenitori di una visione negativa negano che le situazioni accadute in quei secoli
costituiscano una esperienza storica che ha condizionato la a società europea: pensiamo alla
configurazione del paesaggio e delle città, concezioni religiose e politiche, in certi aspetti alle
istituzioni con cui si governa.
Insomma, i secoli medievali sono un riferimento certo più concreto dell'antichità classica e non meno
importante della più vicina età moderna. Un buon motivo per dedicare ad essi quell'attenzione che
merita.
Il Medioevo del resto non è divenuto una presenza scomoda solo in tempi recenti. Anzi fin dal suo
primo manifestarsi, la coscienza moderna europea si è interrogata sul significato di quel millennio di
vita storica e quanto avesse comportato nella sua propria formazione; per poi concludere prendendo le
distanze da esso.
Il 400 e l’Umanesimo
L’umanesimo italiano ha definito il Medioevo come antitesi dell'ideale della rinascita. I letterati
umanisti sentirono di star vivendo un'epoca di radicale trasformazione culturale, caratterizzata dal
recupero della letteratura e, ancor più, dello spirito dell'antichità classica, concepiti come modelli
ideali di stile e di umanità.
La riconquistata sapienza letteraria, unita strettamente ad una nuova concezione dell'uomo, sembrò
concretare la rinascita dell'antichità dopo una lunga decadenza culturali e letteraria. Anche gli artisti e
i precettisti d'arte ritennero, dello stesso periodo, di aver recuperato, insieme all'abilità tecnica, i valori
estetici e morali insiti nell'arte antica, dopo un oblio durato molti secoli.
Letterati e artisti delinearono dunque un itinerario della civiltà che si distendeva in tre fasi:
1. L'antichità classica, che aveva espresso i valori umani e culturali al più alto grado di compiutezza;
2. Un'età di imbarbarimento e decadenza seguita alla caduta dell'impero romano;
3. La loro età in cui erano rinati gli ideali di educazione e di forma già espressi dalla civiltà classica.

L'epoca intermedia, che veniva fatta iniziare con le invasioni barbariche e coincidere con la rinascita
delle arti e lettere cronologicamente corrisponde a quello che è per noi il Medioevo, e i caratteri con
cui venne connotata, rozzezza e oscurità, sono quelli che a lungo sono stati attribuiti al Medioevo.
Parrebbe dunque che l'idea del Medioevo fosse già bella e compiuta Quattrocento.
Scrittori di storia come Leonardo Bruni (1370 C. - 1444) o Flavio Biondo (1392-1463), pur
partecipi della cultura umanistica per quanto riguardava i valori letterari, consideravano il corso della
storia diviso:
1. Un'età antica, fino alla caduta dell'impero romano;
2. Una successiva età "recente", che giungeva fino ai loro tempi, durante la quale si erano formate le
istituzioni caratteristiche del mondo in cui vivevano: le città, i governi municipali, la Chiesa romana.

Slide pt.2 11 ottobre


Va però osservato che per gli umanisti italiani sapevano che sotto il profilo
politico, istituzionale, religioso, la loro epoca non rappresentava una rinascita
dell'antichità, piuttosto il risultato di un'evoluzione iniziata dalla decadenza
dell'impero romano e successivamente non aveva conosciuto risultati.
Anche questi storici apprezzavano le novità della loro epoca nel campo dei
costumi, delle arti, del governo. Una concezione importante si trova nell'opera
storica di Niccolò Machiavelli (1469-1527), che per spiegare le condizioni
dell'Italia del suo tempo fece riferimento alla costituzione dei principati
regionali e del potere politico del papato nei secoli precedenti, delineando la
storia d'Italia come uno svolgimento continuo dalle invasioni barbariche in poi.
La prima designazione specifica di Medioevo si trova nel 1469, in uno scritto del vescovo umanista
Giovanni Andrea Bussi (1414/17-1475), che riferendosi a un altro più famoso umanista, Nicolò
Cusano, lodò la sua eccezionale conoscenza delle storie latine, sia antiche che della "media
tempestas", cioè, parrebbe di intendere, dell’ "età di mezzo".
Nel latino del Bussi "medio" poteva significare "intermedio", ma anche "meno antico"; perciò è
possibile che con quell'espressione "media tempesta" egli volesse semplicemente indicare un'epoca
più recente rispetto all'antichità classica, ma non un'epoca intermedia ben definita e conclusa. Anche
altre espressioni come «media antiquitas», «media aetas» e «medium aevum», che ricorrono nel
XV e XVI secolo riferite a fatti, testi e autori letterari, ebbero tanto il senso di « intermedio», che
quello di «tardivo», «più recente», rispetto all'età classica.
Per giungere dalla concezione umanistica al concetto moderno del Medioevo come periodo storico, va
ripercorsa una lunga evoluzione della coscienza storica, che non ebbe luogo solo in Italia, né ebbe solo le lettere
come oggetto e metro di giudizio, e si precisò col trascorrere del tempo, man mano che aumentava la distanza
dai secoli in questione.

Il Cinquecento
Il problema del rapporto tra antichità classica, l'età ad essa succeduta e lo stato del presente venne
avvertito anche dagli umanisti francesi e tedeschi del Cinquecento. Essi condividevano con gli
italiani la consapevolezza e l'orgoglio di star vivendo in un'epoca di grande progresso intellettuale,
che si esprimeva soprattutto nella affinata comprensione critica degli autori antichi e delle stesse
Sacre Scritture; ma erano anche pienamente inseriti nelle realtà politiche, istituzionali, religiose dei
loro paesi.
 In Francia eruditi come Charles Dumoulin (1500-1566), Etienne Pasquier (1529-1615), Claude
Fauchet (1530-1602), erano espressione dei ceti che partecipavano al governo del regno - nobiltà
e giuristi- e si adoperarono a investigarne e illustrarne le tradizioni insieme con quelle della
monarchia.
Il richiamo all'antichità classica aveva per loro quel valore di riferimento culturale nobilitante assunto
dagli umanisti italiani; talvolta considerarono il disprezzo per i barbari come espressione del
nazionalismo italiano. Nell'età barbarica infatti, essi individuavano l'origine delle loro istituzioni
politiche nazionali, soprattutto della monarchia, e proiettavano su quell'epoca i loro sentimenti
patriottici. Rivolsero perciò la cresciuta abilità filologica anche allo studio del diritto, della
legislazione e perfino della letteratura dell'epoca feudale in Francia.
 Anche in Germania fin dal Quattrocento storici, antiquari e teologi della storia, come Hartmann
Schedel (1440-1514) e Johari Verge detto Nauclerus (1425-1510), considerarono con rispetto sia
le invasioni barbariche che l'impero medievale come momenti di affermazione della nazione
tedesca nella storia europea. La riforma religiosa di Martin Lutero consolidò la coscienza
nazionale. La rivalutazione del passato tedesco faceva parte del programma educativo dei
riformatori, che anche nella storia cercavano sostegno alle loro istanze.
Johan Sleidan (1506 c. - 1556), Filippo Melantone (1497-1560), collaboratore diretto di Lutero, suo
genero Kaspar Peucer (1525-1602) composero storie universali nelle quali rivendicarono la funzione
dell'impero tedesco nel mondo cristiano e accusarono la Chiesa romana di averne provocato la rovina,
riducendo insieme il popolo tedesco in un deprecabile stato di frazionamento e marginalità politica.
Anche la storia della Chiesa occupò un posto di rilievo nella cultura protestante.
Filippo Melantone e altri collaboratori di Lutero, come l'inglese Robert Barnes (1495- 1540),
finalizzarono le loro esposizioni storiche a dimostrare che la Chiesa romana era venuta meno alla
missione affidata da Cristo ai suoi discepoli e attraverso una mondanizzazione sempre più accentuata,
connessa all'affermazione del primato papale, aveva provocato una profonda decadenza della
religione, fino alla riforma di Lutero.
Queste idee furono sistematicamente sviluppate nell’Historia Ecclesiastica progettata e realizzata
dall'umanista istriano Mathias Vlačić o, col nome latinizzato, Flacius Illyricus (1520-1575), che
recatosi in Germania nel 1539 aveva aderito alla riforma.
L’opera doveva illustrare la progressiva degenerazione della Chiesa dalle origini apostoliche fino al
XIII secolo, quando il papato sarebbe divenuto, secondo la polemica dei protestanti, l’incarnazione
dell'Anticristo. Alla sua realizzazione collaborarono diversi scrittori che effettuarono ricerche
originali, sebbene non sistematiche, di testi e documenti.
L'esposizione era suddivisa per secoli, o centurie, e per questo l'opera viene chiamata anche Centurie
di Magdeburdo, dal nome della città in cui fu progettata. Pubblicata tra il 1559 e il 1574, essa non si
distingue per originalità né per obiettività dell'esposizione, ma ebbe grande diffusione nel mondo
protestante.
Contribuì a divulgare l'interpretazione negativa di un periodo della storia della Chiesa che nelle grandi
linee corrispondeva a quello individuato dagli umanisti con riferimento alla vicenda delle lettere. Per i
protestanti comunque non le invasioni barbariche, ma la mondanizzazione della Chiesa (anticristo),
iniziata al tempo di Costantino, era la causa della decadenza.
La storiografia polemica protestante aggiunse dunque una connotazione negativa ai secoli di mezzo:
quella della decadenza della religione e della Chiesa. Tuttavia anch'essa riconosceva che in quei secoli
avevano preso corpo aspetti essenziali della tradizione nazionale tedesca, come l'affermazione dei
germani e l'impero.
Essi ebbero chiara la percezione che molte situazioni proprie del loro mondo, compreso il rifiorire
delle arti e la purificazione della religione, avevano in essa l'origine; in una prospettiva allargata i
confini tra il periodo intermedio e il mondo moderno risultavano fluidi ed incerti.
Il Seicento
Una più netta percezione dell'età di mezzo come periodo storico definito e concluso maturò
lentamente tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Settecento. Le monarchie assolute
affermatesi in Europa, scoraggiarono la storiografia come espressione dei ceti e delle istituzioni,
favorendo invece l'erudizione utilizzata come esaltazione delle antichità della Chiesa, delle
monarchie e delle nazioni.
La pubblicazione a stampa di cronache e d'altra documentazione tratte dagli archivi e dalle biblioteche
dove erano oramai abbandonate, costituì una delle caratteristiche espressioni dell'erudizione europea
tra la fine del Cinquecento e il Seicento, e fu sostenuta da una matura sensibilità filologica, che si
ispirava a criteri di metodo analoghi a quelli messi a punto allora nelle scienze matematiche e fisiche.
In Francia già Pierre Pithou (1539-1596), giurista e magistrato regio, aveva pubblicato due raccolte di
antiche cronache relative alla storia di Francia tra l'VIII e il XIII secolo.
André Duchesne (1584-1640), storico e geografo del re, nel 1616 pubblicò le cronache del ducato di
Normandi; progettò inoltre e iniziò una grande raccolta di antichi scrittori di storia francese. In
Germania Heinrich Canisius (1550 C. - 1610), professore di diritto ad Ingolstadt, pubblicò, tra il 1601
e il 1604, 6 volumi di Antiquae lectiones contenenti testi religiosi, letterari, cronistici di epoca
medievale; nel 1685 apparvero gli Scriptores rerum Germanicarum di Johan Heinrich Boecker.
In Inghilterra testi medievali relativi alla storia inglese furono pubblicati da William Camden (1551-
1623); Anglica, Nermannica, Hibernica, Cambrica e veteribus skripta, 1603) e da sir Henry Savile
(1549-1622); Rerum Anglicarum Scriptores post Bedam praecipui, dal 1596). II recupero e la
pubblicazione della documentazione non si prefiggeva ancora lo studio del Medioevo come epoca
storica bene identificata e distinta; essa mirava alla conoscenza delle imprese dei sovrani e dei popoli.
Pure lo studio di quei testi mise in evidenza caratteristici aspetti dell'età medievale che suscitarono
l'interesse degli eruditi; si vedano ad esempio la gran quantità dei testi storici allora scritti, l'originalità
della lingua latina adoperata, le peculiarità vocabolario tecnico, soprattutto giuridico.
Nel 1627 il dotto olandese Johan Gerard Voss (1577-1649) o Vossius, nella forma latinizzata del
cognome, pubblicò una dissertazione sugli scrittori di storia in latino, che era divisa in tre sezioni:
1. la prima dedicata agli scrittori antichi fino al II secolo d.C.;
2. la seconda agli scrittori del periodo che andava dal III secolo d.C. al Petrarca;
3. la terza agli storici più recenti.

L'età di mezzo era identificata come un periodo autonomo della storia letteraria, sia pure minore. Lo
stesso Vossius compilò nel 1645 un trattato sulle peculiarità di quello che chiamava «latino
barbarico», che era poi il latino del Medioevo, di cui riconosceva l'originalità, anche se esprimeva
ancora un giudizio negativo sulla sua qualità.
 L'esigenza di un vocabolario specializzato per il latino dell'età più
tarda, ripetutamente espressa in quegli anni, venne finalmente
soddisfatta con la compilazione di quello che, riveduto e ampliato, resta
ancor oggi uno strumento di lavoro fondamentale, il Glossarium ad
scriptores mediae et infimae latinitatis di Charles Du Fresne Du
Cange (1610-1688), pubblicato in prima edizione a Parigi nel 1678 in 3
volumi.
Du Cange era un cultore di studi di storia, geografia, archeologia, legislazione, numismatica relativi al
passato della Francia, e riversò nella redazione del glossario le sue vaste conoscenze documentarie
realizzando più che vocabolario: un vero repertorio enciclopedico di termini relativi a concetti,
istituzioni, usanze, oggetti della tarda antichità e dell'età di mezzo , desunti dalla documentazione
giuridica, cronistica, archivistica, che la cresciuta ricerca sulle fonti metteva a un semplice
disposizione degli studiosi.
Il concetto di «infima latinità», riferito alla lingua scritta nel Medioevo, non aveva significato
spregiativo, ma evidenziava la sua collocazione tardiva rispetto al latino classico. Attraverso il lessico,
venivano definite anche le antichità, cioè le istituzioni, i costumi, le concezioni del Medioevo,
costruendo una conoscenza più precisa di quel passato che il trascorrere del tempo rendeva sempre più
lontano e diverso dal presente.
Gran parte dell'erudizione del Seicento fu dedicata alla storia ecclesiastica. Già alla fine del
Cinquecento la cultura cattolica ufficiale aveva risposto alla polemica dei protestanti con un'opera
storica di grande respiro, gli Annales Ecclesiastici del cardinale Cesare Baronio (1538- 1607), con
una ricostruzione della storia della Chiesa esposta anno per anno dalla nascita di Cristo al 1198, sulla
base di una ricca documentazione, spesso originale, che il Baronio trovava nella Biblioteca Vaticana
di cui era prefetto.
 In essa la Chiesa cattolica veniva difesa dalle accuse dei protestanti,
rivendicando la legittimità del primato papale. In relazione alle
polemiche protestanti nacque la grande impresa erudita degli Acta
Sanctirum. Nel 1643 ad Anversa in Belgio, un piccolo gruppo di gesuiti
animati da Jean Bolland (1596-1665), concepì il progetto di raccogliere
e pubblicare le testimonianze scritte sulle vite dei santi venerati dalla
Chiesa cattolica, esaminandole con il metodo critico-filologico
impiegato per i testi letterari e storiografici.
L'intento era quello di dare un fondamento documentario al culto dei santi,
che era uno dei bersagli della polemica protestante. Il lavoro era enorme per la quantità dei testi, in
gran parte di età medievale, che tramandavano le vite, le passioni, i miracoli dei santi dell'orbe
cristiano.
Bolland e i suoi soci riuscirono a pubblicare un gran numero di volumi, contenenti le vite dei santi
secondo l'ordine del calendario liturgico, con testi selezionati, vagliati nella autenticità, nella
cronologia, nel contenuto, corredati da commenti filologici, storici e religiosi.
Un altro centro di erudizione sacra fu la congregazione dei monaci benedettini di St.
Germain des Près a Parigi, chiamati Maurini in memoria di san Mauro, uno dei primi
compagni di san Benedetto. La regola di questa congregazione attribuiva grande
importanza allo studio della storia ecclesiasticae soprattutto monastica nella
formazione intellettuale e spirituale dei monaci. Ciò favori la pratica della ricerca
storico- erudita, nella quale si distinse Jean Mabillon (1632-1685), editore e studioso
di testi inediti dei padri della Chiesa, vite dei santi benedettini. In quest’attività, i
Maurini perfezionarono il metodo critico-filologico e non si limitarono all'analisi di
testi spirituali e letterari.
In un volume degli Acta Sanctorum il gesuita Daniel Papebrock aveva pubblicato una di dissertazione
relativa ai criteri individuazione dei documenti falsi, soprattutto di età medievale (Propylaeum
antiquarium circa veri ac falsi discrimen in vetustis membranis, 1675), giungendo a negare la
genuinità dei più antichi documenti conservati nell'archivio dell'abbazia di St. Denis presso Parigi, tra
i quali erano i diplomi dei re merovingi.
Non persuaso da queste drastiche conclusioni, Jean Mabillon compì una sistematica identificazione
delle caratteristiche una formali e materiali dei documenti medievali (scrittura, stile, forma esteriore,
consuetudini di datazione e sottoscrizione, sigilli), mettendo a punto un organico sistema di
riferimento per l'accertamento della loro genuinità.
Quest'opera, intitolata De re diplomatica, pubblicata nel 1681, è alla base della moderna scienza dei
documenti medievali che conserva il nome di «diplomatica». Essa ebbe un successo enorme e lo
stesso Papebrock si dichiarò convinto dalle conclusioni del Mabillon e desideroso di porsi alla sua
scuola. L'attività erudita dei Maurini proseguì anche nel secolo seguente, estendendosi alla storia della
liturgia e alla patristica greca.
Sebbene per i dotti ecclesiastici non esistessero cesure nella storia della Chiesa, che essi vedevano come
uno svolgimento ininterrotto dalla predicazione di Cristo fino ai loro tempi , le ricerche che svolsero misero
in luce molte caratteristiche della religiosità medievale; esse contribuirono all'immagine di un'epoca
che se pur ancora detta barbarica, cominciava ad essere apprezzabile per le peculiari espressioni della
fede.
Slide pt. 3 12 ottobre
Nel corso del Seicento si ebbe la consapevolezza matura che l'età moderna era decisamente originale
rispetto a tutto il passato, tanto classico che medievale. Non solo i letterati, ma anche i giuristi, i
filosofi politici, gli scienziati, si rendevano conto de a novità della loro epoca, che si allargava ben
oltre il mondo delle lettere, ai sistemi economici e politici, al progresso della scienza, al rinnovamento
dei costumi, ai confini del mondo conosciuto.
Nella seconda metà del Seicento, gli storici accademici trasferirono questa nuova coscienza nelle
sintesi di storie universali. George Horn (1620-1670), professore di storia nell'Università di Leida, nel
trattato Arca Noae, sive historia imperiorum et regnorum a condito orbe ad nostra tempora (1666),
propose una nuova periodizzazione, separando la storia antica (vetus) da quella più recente (recentior)
e all'interno di questa distinguendo due periodi: il medium aevum e l'aevum recentius, divisi
dall'invenzione delle armi da fuoco e della stampa, dalle scoperte geografiche, dalla nuova
organizzazione degli stati, oltre che dalla rinascita delle lettere.
In un'altra opera, l'Historia ecclesiastica et politica, Horn fissò i termini cronologici dell'età di mezzo
tra la caduta dell'impero romano nel 476 e la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi nel 1453.
La scansione della storia universale in tre epoche - antica, media e recente - ricorre, nella seconda
metà del Seicento, anche nelle opere di altri dotti, tra cui Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), più
noto come filosofo e matematico.
Essa venne consacrata nell'uso accademico da Christophorus Keller Cellarius alla latina; 1638-1707).
Questi aveva pubblicato, nel 1675, un sommario di storia antica fino alla nascita di Cristo, come
sussidio per lo studio delle lettere classiche. Tre anni più tardi pubblicò una Storia del Medioevo dai
tempi di Costantino il Grande fino alla presa di Costantinopoli da parte dei Turchi, e, nel 1696 una
Historia nova, comprendente i secoli XVI e XVII.
Nell'opera di Keller il Medioevo ha un contenuto significativo ed organico: è l'epoca in cui si forma la
struttura geopolitica dell'Europa moderna, che emerge in tutta la sua originale identità nel momento in
cui cadono le ultime sopravvivenze dell'antico impero romano. Solo nel campo delle lettere i secoli
del Medioevo presentano caratteri negativi di povertà e rozzezza, deprecati ripetutamente dal Keller,
senza tuttavia precludergli di riconoscere l'importanza degli altri.
Il Settecento
Nel Settecento l'età medievale divenne oggetto di una nuova riflessione, intesa a valutare le
caratteristiche della sua civiltà in rapporto critico con quel- la dell'epoca moderna. Ciò avvenne grazie
al congiungimento dell'erudizione con la filosofia dei costumi e al dibattito illuministico sul progresso
della società umana. Non si trattò di una innovazione totale, ma dell'approfondimento di concezioni e
prospettive già maturate nella seconda metà del Seicento, sia in materia di metodo storico che di
riflessione sullo svolgimento della storia europea.
Muratori prese le distanze da queste concezioni: sostenne che l'Italia, pur non essendo politicamente
unita, era comunque ambito di una tradizione comune a tutti gli italiani, l'antica madre dovevano
coltivare sentimenti di reverenza; verso cui si che questa tradizione si era formata non nell'antichità,
sostanzialmente diversa dal presente, ma troppo remota e nel Medioevo.
Muratori era giunto a questa convinzione non solo per la conoscenza che aveva degli studi storici
nelle altre nazioni europee, ma anche per avere constatato, attraverso le sue ricerche erudite, che
molte situazioni istituzionali e giurisdizionali del suo tempo risalivano direttamente al Medioevo.
L'indagine su quel periodo gli si presentava come una scoperta delle origini del mondo moderno.
Mosso da queste idee e dalla fede nella funzione civile dell'erudizione, egli raccolse un gran numero
di cronache relative alla storia d'Italia tra gli anni 500 e 1500, pubblicandole in una collezione
intitolata Rerum Italicarum Scriptores, uscita in 25 volumi tra il 1723 e il 1751.
L'impresa fu possibile grazie ad una rete di corrispondenti eruditi, che collaborarono alla ricerca dei
testi nelle biblioteche d'Italia. Su essi Muratori esercitò una revisione critica e filologica, applicando
e perfezionando i metodi dei Maurini. Inoltre si dedicò a studiare e ricostruire i costumi, le istituzioni,
la cultura, la religione della società medievale, servendosi non solo delle cronache, ma anche di
documenti come diplomi di sovrani, testi normativi, memorie letterarie.
Compose così 75 dissertazioni che pubblicò in 6 volumi tra il 1738 e il 1742 col titolo di Antiquitates
Italicae Medii Aevi, che nel loro insieme costituiscono una vasta e originale indagine sulla civiltà del
Medioevo italiano, arricchita da documenti inseriti nel testo. Orientamenti analoghi si ritrovano
nell'opera dell'erudito francese Jean Baptiste de la Curne de Sainte Palaye (1697-1781), direttore
dell'Académie des Inscriptions et Belles Lettres, una prestigiosa istituzione di studio del Settecento
francese.
Egli progettò e in gran parte realizzò un Glossaire de l'ancienne langue française, l'equivalente del
Glossarium latino del Du Cange, con indagini sull'evoluzione delle parole e del loro significato. Come
Muratori, così La Curne aderiva ai valori etici e culturali del suo tempo ed era ben persuaso della loro
superiorità rispetto all'epoca medievale.
Nel Settecento l'indagine sul Medioevo non ebbe luogo solo nelle accademie e tra gli eruditi; filosofi
politici dell'illuminismo francese fecero frequente riferimento a quell'epoca nella loro critica delle
istituzioni vigenti e degli abusi feudali. In questa prospettiva, una vibrante polemica dell'epoca
medievale e critici sociali fu portata avanti da Voltaire (pseudonimo di François Marie Arouet, 1694-
1778), autore di alcune grandi opere storiche.
La più significativa è l'Essai sur les moeurs et l'esprit des nations et sur les principaux faits de
l'histoire depuis Charlemagne jusqu'à Louis XIII (1758). Scopo principale della storia, per Voltaire,
doveva essere la conoscenza «dello spirito, dei costumi, degli usi delle principali nazioni», utile in
quanto faceva prendere consapevolezza degli errori compiuti dal genere umano, e contribuiva cosi a
facilitare il suo progresso.
La Chiesa cattolica, per Voltaire, aveva avuto una responsabilità di primo piano nel determinare la
crisi della civiltà antica e la depressione della società, trasformando la religione in strumento di
oppressione e dominio. L'Essai non è uno studio sul Meiſioevo; tuttavia attraverso questa polemica il
Medioevo veniva acquisito alla storia dell'Europa moderna come fase negativa ma essenziale del suo
sviluppo. Il saggio ebbe grandissima risonanza.
William Robertson (1721-1793), un pastore pro- testante cultore di storia, delineò una storia
dell'Europa durante il Medioevo per mostrare co- me in quel periodo si fosse potuto superare il di-
sordine e la barbarie provocati dalle invasioni e porre le basi della superiore organizzazione po- litica,
economica e civile dell'età moderna.
Edward Gibbon (1737-1794), un patrizio inglese, dopo un viaggio a Roma, concepì i progetti di
ricostruire e narrare la decadenza dell'impero romano. Scrisse un'opera, History of the Decline and
Fall of the Roman Empire, nella quale l'epoca medievale era compresa integralmente non come
periodo autonomo, ma come parte di un più vasto processo costituito dalla millenaria decadenza
dell'impero romano.
Germania
Ma fu soprattutto in Germania che alla fine del Settecento la concezione illuministica del medioevo
venne messa in discussione e sostituita da una diversa e originale interpretazione del periodo e del suo
significato nella storia dei popoli europei. Un'espressione storiografica di questa tendenza si trova
nell'opera di Justus Möser (1720-1794), che rievocò la storia del popolo tedesco dalle più anti- che
testimonianze rintracciabili nelle opere di Cesare e Tacito, fino a tutta l'età medievale.
Contro l'illuminismo francese, Möser sostenne che ogni popolo aveva un'individualità storica
originale, caratterizzata da un patrimonio spirituale espresso nella lingua, nei costumi, nel diritto; ogni
popolo aspirava all'onore politico nei rapporti con gli altri, e lo difendeva con le sue attitudini militari.
II Medioevo si presentava a Möser come epoca storica di coscienza riferimento per la nazionale
tedesca.
L'idea dello «spirito nazionale» come essenza morale, politica, culturale dei popoli ebbe diffusione in
Germania alla fine del 700, grazie anche alla consacrazione mistico-filosofica datale da Johann
Gottfried Herder (1744-1803), un pensatore che ebbe grandissima influenza nell'epoca di passaggio
tra l'illuminismo e il romanticismo. Essa valse non solo a differenziare la tradizione culturale tedesca
dall'illuminismo francese, ma offri il fonda- mento ideale dell'opposizione politica contro
l'occupazione della Germania da parte di Napoleone.
Il poeta Friedrich von Hardenberg, detto Novalis (1772-1801), in un breve scritto intitolato Die
Christenbeit oder Europa (La cristianità, ovvero l'Europa, 1799), esaltò l'epoca che aveva preceduto la
riforma protestante, in cui tutta l'Europa era stata un'unica comunità spirituale tenuta insieme dalla
fede cristiana e la vita della società era stata animata da sentimenti semplici e profondi e da una
sincera solidarietà basata su valori trascendenti.
Il poeta e drammaturgo Friedrich Schiller (1759-1805), nel 1790, nelle lezioni che tenne a Jena,
presentò il Medioevo come epoca in cui la libertà era stata il fondamento della società e della civiltà,
in contrasto col dispotismo e lo schiavismo dell'impero romano. Friedrich Schlegel (1772-1829), tra
il 1805 e il 1806 teorizzò una periodizzazione della storia universale in sette epoche, al centro delle
quali stava il Medioevo, caratterizzato come epoca di ordine e di serenità spirituale, iniziata con
l'incarnazione del figlio di Dio percorsa dalla diffusione della religione dell'amore per l'umanità.
Nei primi tre decenni dell'Ottocento la cultura tedesca fece dell'età medievale un fondamentale banco
di prova della riflessione sull'identità germanica e sul suo ruolo nella civiltà europea. Di conseguenza
si affermò anche l'esigenza di approfondire la conoscenza del popolo attraverso un più si- curo ed
esteso ricorso alla documentazione.
Un evento fondamentale in questo senso fu la fondazione, nel 1818, di una «Società per
documentazione la dell'antica storia tedesca», promossa dal barone Karl von Stein, un patrizio di
Francoforte animato dalle idealità romantiche della nazione e delle sue tradizioni, col fine di
pubblicare sistematicamente e in forma critica le fonti della storia medievale tedesca.
Il progetto scientifico ed editoriale fu messo a punto, nel 1824, dal giovane studioso posto alla
direzione dell'impresa dal barone von Stein: George Heinrich Pertz (1795-1876). Si sarebbe dovuta
realizzare una grande collana di fonti storiche intitolata Monumenta Germaniae Historica, articolata in
cinque sezioni dedicate ciascuna a un diverso tipo di documenti: Scriptores, Leges, Diplomata,
Epistolae e Antiquitates.
Il programma di edizioni intendeva illustrare la presenza germanica dovunque rilevanza essa avuto
storica; perciò avesse vennero pubblicate nei Monumenta fonti relative anche a paesi europei in cui o i
germani delle migrazioni o l'impero tedesco avevano avuto un ruolo.
I Monumenta Germaniae Historica (MGH), sono una serie completa di fonti attentamente preparate
e pubblicate per lo studio dei popoli germanici e, più ampiamente, dell’Europa; comprendono un
periodo di tempo che va dalla caduta dell’impero romano d'Occidente al XVI secolo.
Nei decenni in cui la teoria e la pratica dell'utilizzazione critica dei documenti divennero le regole di
metodo storico caratteristiche di gran parte dell'Ottocento, fondamentale importanza ebbero la ricerca
e l'insegnamento di Leopold Ranke (1795- 1886), grazie al quale la storia cessò di essere in
Germania materia per le riflessioni di letterati, pensatori, filosofi, e divenne lavoro praticato
soprattutto da specialisti che operavano nelle università.
Ranke affermò il principio che solo attraverso l'uso diretto delle testimonianze coeve si potevano
ottenere conoscenze storiche oggettive, mentre ricostruzioni e giudizi fondati su informazioni di
seconda mano mancavano di attendibilità.
Egli definì i criteri di metodo per l'utilizzazione delle testimonianze antiche, che dovevano essere
genuine e cronologicamente vicine agli eventi, e avevano comunque valore e portata diversi anche in
rapporto alla loro natura, alle conoscenze ed alle intenzioni dei loro autori. Egli indicava come meta
dello storico la ricostruzione oggettiva dell'accaduto, «come si era realmente svolto».
Nella seconda metà dell'Ottocento si accentuò, in tutta Europa, l'interesse per l'acquisizione e la critica
delle fonti, nonché per la ricostruzione puntuale degli avvenimenti e delle istituzioni, sulla scia
dell'insegnamento del Ranke. La storiografia si prefisse la conoscenza oggettiva del passato, sperando
di poter conseguire la stessa certezza che si attribuiva alle scienze della natura.
Verso la metà del secolo si svilupparono in Germania anche gli studi sulla storia dell'attività
economica, che trassero origine politica la quale si volevano identificare principi diversi e opposti a
quelli dalle discussioni sull'economia nazionale per del liberismo inglese.
Theodor von Inama Sternegg (1843-1908), scrisse una poderosa Storia economica tedesca, 3 voll.
1879-1901, il primo trattato che rechi nel titolo l'espressione «storia in economia domestica,
economica». Si tratta di una grandiosa raccolta di informazioni sulla vita economica del Medioevo
tedesco, che Karl Bücher (1847- 1930) distinse economia di villaggio o di «marca», economia
cittadina ed economia di popolo.
L'età medievale venne caratterizzata attraverso il prevalere successivo di alcuni di questi tipi di
economia e studiata per individuare le modalità del passaggio dall'uno all'altro. Anche le teorizzazioni
di Karl Marx (1818-1883) e Friedrich Engels (1820-1895) si basavano su una tipizzazione delle
forme fondamentali dell'attività economica rintracciabili nell'esperienza storica, europea ed
extraeuropea, definite in funzione del rapporto tra classi sociali nei diversi «modi di produzione» dei
beni economici.
Marx identificò quattro modi di produzione: asiatico, feudale e capitalistico- borghese. II modo di
produzione feudale e prodromi borghese trovavano la loro attuazione storica schiavistico, di quello
nel Medioevo europeo.
Le teorie marxiane ebbero inizialmente scarso seguito tra gli storici di professione. Dopo l’abolizione
della legislazione antisocialista di Bismarck, nell’ultimo decennio dell'Ottocento, esse entrarono nel
dibattito storiografico in Germania, dove un gruppo di «socialisti cattedratici» si dedicò allo studio
dell'origine della borghesia e del sistema produttivo capitalistico nell'economia mercantile e
manifatturiera delle città medievali.
Positivismo
L'età del positivismo sostituì all'apprezzamento del Medioevo formulato in termini evocativi o
ideologici, proprio dell'illuminismo e del Romanticismo, l'indagine sulle strutture socioeconomiche e
sui sistemi giuridici caratteristici dell'epoca, cercando di comprenderne la logica specifica, ma anche
il significato generale in termini evolutivi o comparativi, nell'ambito di una problematica storica che
nei decenni del secolo si avvicinò marcatamente a quella delle scienze sociali. Si affermò una
concezione deterministica dell'agire umano che si ritenne fosse vincolato da fattori costanti quali la
razza, l'ambiente naturale, le relazioni sociali.
La famosa tesi di Henri Pirenne forni una nuova interpretazione del passaggio dal mondo antico a
quello medievale, e venne esposta a più riprese nella Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo
(1917, pubblicata nel 1936); nelle Città del Medioevo (1925) e poi in Maometto e Carlomagno
(1937).
Essa delineava una teoria dei sistemi economici succedutisi tra antichità e Medioevo, una nuova
periodizzazione di quest'ultimo e anche una spiegazione, sotto il profilo economico e geografico,
dell'origine dell'Europa moderna.
Fino alla seconda guerra mondiale continuò ad essere largamente praticata la storia narrativa, riferita
prevalentemente alle vicende politiche e fondata sulla minuziosa ricostruzione di fatti; un tipo di
storia che più tardi venne definita histoire historisante o histoire événementielle, per indicarne
appunto l'impianto narrativo ed espositivo.
Novecento
Un caso a parte, nel variegato panorama della storiografia dedicata al Medioevo nella prima metà del
Novecento, è costituito da alcuni esponenti della storiografia francese. Si tratta di Lucien Febvre
(1878-1956) e di Marc Bloch (1886-1944), che nel 1929 fondarono rivista una intitolata «Annales
d'histoire économique et sociale», per promuovere nuovi orientamenti di ricerca storica.
Essi propugnavano lo studio della società, della sua organizzazione in rapporto ai sistemi economici
ed agli atteggiamenti mentali, come campo di una storiografia impegnata. Parallelamente
sollecitavano il ricorso alle testimonianze che concreta e potevano fornire la geografia, l'archeologia,
le tradizioni popolari, l'iconografia, per superare i limiti delle fonti scritte.
Fonti storiche
[134] La storia si fa con le fonti. Questo assioma fondamentale vuol dire che il passato può essere
conosciuto ricostruito soltanto attraverso le testimonianze di esso che sono pervenute fino a noi. Tali
testimonianze sono, appunto, le fonti della conoscenza storica. Ma va sgombrato il campo da un
possibile equivoco: i libri moderni di storia non sono fonti della storia del passato, nonostante la
consuetudira anglosassone di indicarli come «secondary source» (fonti «secondarie»), in
contrapposizione alle fonti «primarie» che anche gli studiosi anglosassoni considerano le fonti vere e
proprie.

Ai libri moderni manca la connotazione essenziale di qualsiasi fonte storica, cioè la qualità di
testimonianza prossima alle circostanze cui si riferiscono. Non esistono solo fonti scritte. Nel corso
dell'Ottocento Tra le fonti si distinsero le testimonianze - cioè informazioni esplicite, nate per dare
notizia di fatti ed eventi in forma di comunicazioni verbali trasmesse dallo scritto - e resti,
sopravvivenze del complesso di manufatti che avevano costituito l'ambiente materiale delle civiltà del
passato ed erano sopravvissuti al cessare dell’uso.

In rapporto all’attendibilità intrinseca si distinsero inoltre fonti intenzionali - finalizzate per origine e
natura a trasmettere certi tipi di informazioni e fonti preterintenzionali sopravvivenze del passato la
cui capacità informativa è indipendente dalla funzione e destinazione per cui esse furono poste in
essere; una distinzione che in buona parte coincideva con quella fra testimonianze scritte e resti
archeologici.

Le fonti preterintenzionali si pensava avessero un’attendibilità maggiore delle altre, perché per loro
natura meno soggette alla possibilità di un’intenzionale falsificazione del messaggio. Esse vanno
tuttavia valutate attraverso raffinati metodi esegetici perché le loro informazioni possano essere
compiutamente e attendibilmente intese.
TIPOLOGIA DELLE FONTI
Fonti scritte
La definizione si riferisce alle fonti in cui l'informazione consiste in una comunicazione verbale
trasmessa mediante la scrittura.
Fonti narrative
Comprendono tutte le testimonianze che riferiscono di eventi storici in forma espositiva con un
intenzionale fine di conservare e trasmetterne il ricordo. Rientrano tra le fonti narrative memoriali, i
panegirici.

Fonti documentarie - Rientrano in questa categoria i documenti di natura giuridica destinati a istituire
e testimoniare in forme legalmente valide diritti, e obbligazioni di soggetti pubblici e privati. Tali
sono ad esempio, diplomi, privilegi, bolle emanati da un’autorità pubblica, laica o ecclesiastica, a
favore di singoli beneficiari, oppure accordi, contratti, disposizioni di rilevanza giuridica.

Fonti legislative normative - Rientrano nella categoria non solo le codificazioni organiche di leggi
promulgate dai sovrani medievali o gli statuti dei Comuni, ma anche testi normativi prodotti
nell'esercizio corrente del governo, come i capitolari carolingi, le costituzioni imperiali e regie, i
deliberati aventi carattere normativo delle diete, dei parlamenti feudali, dei consigli comunali. Vi
rientra inoltre la legislazione e la normativa ecclesiastica, espressa negli atti dei concili, nei decreti
papali, nelle raccolte di canoni.
Fonti giudiziarie, amministrative e fiscali
La tipologia di queste fonti è molto varia e solo per comodità esse possono essere raccolte in una sola
categoria. Sebbene riguardino il funzionamento di organismi statali, esse derivano anche
dall’esercizio delle giurisdizioni signorili, feudali ed ecclesiastiche. Rientrano in questa categoria i
deliberati dei tribunali e delle corti di giustizia; i mandati dei sovrani contenenti istruzioni e
disposizioni per i funzionari periferici, i censimenti fiscali di «fuochi» (nuclei familiari soggetti a
tassazione) o di persone con redditi e patrimoni.
Corrispondenza privata e ufficiale Raccolta di lettere, per lo più inviate da persone di alto livello
sociale e culturale, costituiscono preziose testimonianze sulla circolazione delle notizie, le relazioni
private, gli orizzonti culturali: si ricordano ad esempio le lettere del papa Gregorio Magno.
Fonti agiografiche - Rientrano in questa categoria le vite dei santi e in genere le testimonianze relative
alla loro memoria e al loro culto, quali i resoconti di rinvenimenti di reliquie, trasporto dei corpi,
edificazione di chiese e miracoli. Questa produzione è spesso a metà strada tra la testimonianza
storica e la leggenda, ma deve proprio a questa caratteristica la sua importanza: anche quando non
fornisce notizie storiche sulle biografie, offre informazioni sulla religiosità e la mentalità collettiva,
sulla cultura di ceti sociali che non hanno lasciato tracce in altri tipi di fonte.
Fonti liturgiche
Sono costituite essenzialmente dai testi in cui erano registrate le letture e le preghiere, accompagnate
usualmente da precisi gesti rituali, che gli officianti dovevano recitare durante le varie cerimonie
ecclesiastiche. Sebbene riguardino la vita della Chiesa, esse hanno implicazioni per la storia della
cultura medievale, in quanto le cerimonie ecclesiastiche ebbero un'evoluzione complessa e subirono
significative trasformazioni.
Fonti letterarie e dottrinali - In genere tutti i testi scritti nel Medioevo, anche se non con un fine
primario di documentazione e testimonianza sugli eventi, recano un contributo essenziale alla
ricostruzione della civiltà medievale. Fonti sono anche i testi letterari (poemi, romanzi, novelle) e
quelli dottrinari (trattati teologici, giuridici, politici) prodotti nel Medioevo. La conoscenza di questi
documenti risulta essenziale per la percezione dello spirito dell'epoca.
Fonti materiali
La definizione si riferisce alle fonti che trasmettono informazioni prevalentemente
attraverso la forma, la posizione e la funzione di un manufatto, senza escludere che questo possa
contenere anche comunicazioni verbali.
Fonti archeologiche - Sono costituite da tutti i manufatti suscettibili di misurazione, numerazione,
valutazione tecnologica e di interpretazione in riferimento ai bisogni della vita di individui e gruppi
sociali. Rientrano in questa categoria di fonti testimonianze diversissime come i corredi deposti nelle
tombe barbariche, attrezzature domestiche (vasellame e strumenti), residui di attività produttive (ad
esempio vetrarie e metallurgiche); le abitazioni e gli insediamenti; gli edifici monumentali (chiese e
castelli).
Fonti numismatiche -Sono costituite essenzialmente dalle monete metalliche coniate nel Medioevo.
Sigilli e stemmi - Sono espressioni figurate e simboliche dell'autorità, testimonianze che hanno
interesse sotto molti punti di vista. Nei sigilli le immagini costituiscono un repertorio suggestivo di
costumi e gesti rituali che illustrano il mondo dei titolari di autorità.
La materia, la forma, le dimensioni del sigillo, hanno anch’esse un preciso significato dimostrativo,
collegato al rango dell’autorità che lo utilizza e alla natura del documento su cui il sigillo era apposto.
Gli stemmi, che utilizzano un complicato linguaggio simbolico basato su forme astratte e colori,
possono essere utilizzati nello studio delle famiglie e delle signorie che se ne servirono.
Epigrafi - L'epigrafe risponde ai requisiti tanto delle fonti scritte che di quelle materiali: essa infatti è
innanzi tutto una comunicazione verbale, che però trae parte del suo significato dai caratteri formali
che presenta in quanto oggetto (dimensioni, materia, scrittura), attraverso la quale svolge parte delle
sue funzioni di comunicazione. Le epigrafi medievali vennero apposte sulle sepolture per
commemorare il defunto, oppure su edifici monumentali per celebrare il patrono. Funzioni in parte
analoghe avevano le scritture dipinte che commentavano immagini religiose o profane esposte al
pubblico, spiegandone soggetto e significato.
[154] Fonti artistiche- Anche la produzione artistica medievale, come quella letteraria, può costituire
fonte per la ricostruzione storica, non tanto nel suo specifico valore formale, che è oggetto di studio e
valutazione specialistica, quanto per i programmi che guidarono l'ideazione dell'opera d'arte e per i
significati concettuali da essa trasmessi. Inoltre l'opera d’arte, soprattutto pittorica, costituisce spesso
l'illustrazione di ambienti, costumi, arredi, che possono documentare la realtà quotidiana, o al
contrario il mondo ideale dell'epoca in cui venne realizzata.
Le tavolette cerate
Il loro uso è molto antico: largamente adoperate nell'età classica, furono conosciute anche nel medio
evo e qualche esempio se n'è avuto fin quasi ai nostri giorni. Erano costituite da asticelle rettangolari
di legno o di avorio, con un breve margine rialzato lungo i quattro lati, come una cornice.
La parte centrale, incavata rispetto ai margini, era spalmata di cera e si scriveva su di essa con uno
strumento a punta dura, lo stilus, che poteva essere di metallo, d'avorio o d'osso. Lo stilo aveva un
raschino dalla parte opposta alla punta, in modo che si poteva facilmente cancellare la scrittura
lisciando la cera.
Appunto perchè “in esse facillima est ratio delendi”, le tavolette venivano adoperate nella scuola per
esercitazioni retoriche, negli affari giornalieri per lettere, conti e contratti ed anche nei lavori letterari
per la prima stesura delle composizioni. Dice Orazio accennando al lavoro del poeta : sacpe stilum
vertas, iterum quae digna legi sint scripturus. Presso i Romani erano dette tabulae, con nome generico,
e per codices o codicilli s'intendeva l'insieme di due o più tabulae tenute unite da fermagli metallici in
modo da formare una specie di libro.
Secondo il numero delle tavolette, aveva un diptychtt o un polyptycum.
Simili in certo senso alle tavolette cerate, ma in avorio, cerali all'interno e riccamente scolpiti
all'esterno, sono i dittici consolari, che consoli ed altri alti magistrati offrivano ad amici nell’occasione
della loro nomina. Ne sono rimasti 71, di cui il più antico è un dittico sacerdotale dell’anno 388,
conservato a Madrid; il più antico dittico consolare vero e proprio appartiene alla cattedrale di Aosta e
risale all'anno 406. Il più recente è un dittico imperiale della cattedrale di Treviri, attribuito al secolo
VII.
Il papiro è una specie di carta fabbricata con il fusto di una pianta palustre (Cyperus papyrus), che si
coltivava in Egitto, sulle rive del Nilo; il suo uso risale alla più remota antichità e dall’Egitto, dove
sorse, passò in Grecia e a Roma. La pianta fu chiamata dai greci PAPUROS e i fogli KARTA, i
Romani accettarono poi dai Greci i nomi di papyrus e di carta.
La tecnica della fabbricazione ci è narrata da Plinio il Vecchio: i fusti del papiro, alti fino a 3 o 4 metri
e sottili come giunchi, venivano tagliati al piede e mondati della corteccia verde.
Il midollo veniva poi tagliato nel senso della lunghezza in liste larghe quanto il fusto, ma sottilissime
(philyrae), che venivano allineate sopra una tavola e impregnate d'acqua del Nilo. Sopra questo strato
(scheda) ne veniva posto un altro in senso trasversale e poi a pressione, per effetto dell'acqua, si
facevano aderire perfettamente i due strati ottenendo un foglio compatto (plagula). Infine i singoli
fogli, rifilati e ridotti al medesimo formato, venivano incollati in modo da formare un rotolo (scapus),
che poi si metleva in commercio.
Plinio ci ha lasciato anche qualche notizia sul commercio del papiro. Così sappiamo che gli scapi
erano composti di venti fogli, allo stesso modo come oggi la carta si vende a quinterni. Si avevano
pure diverse qualità di papiro, dai fogli più o meno grandi, di maggiore o minor prezzo: la prima
qualità era detta Augusta, la più economica Emporetica, che non era buona per scrivere, ma solo per
involgere.

La fabbricazione del papiro fu propria dell'Egitto e durò anche dopo l'invasione araba (sec. VII); sulla
fine del sec. X si ha ricordo dell'industria del papiro a Palermo, e perciò è possibile che gli ultimi
papiri di Ravenna e di Roma siano di produzione sicula ("), ma la questione è ancora insoluta; è certo
invece che nel sec. IX la Francia e la Cancelleria pontificia usavano papiro egiziano.

La fabbricazione in Egitto cessò verso la metà del sec. XI, quando venne a mancare la coltivazione
della pianta a causa della siccità del Nilo. I papiri latini (") si possono distinguere in tre calegorie:
papiri egiziani, cioè trovati in Egitto ("). Un gruppo importante è costituito da parecchie migliaia di
documenti scoperti nella località di El-Faijüm a partire dall'anno 1877, conservali oggi parte nella
collezione dell'arciduca Ranieri di Vienna e parte nel Museo Britannico: si tratta di documenti dei
secoli IV-XI, che però sono nella grandissima maggioranza greci e orientali.
papiri ercolanensi, trovati tra il 1752 e il 1754 in una villa di Ercolano. Sono 1806 papiri non ancora
culti svolti, di cui solo 24 latini, trovati racchiusi in una medesima capsa e molto rovinati, di
contenuto letterario
papiri medievali, costituiti da manoscritti letterari e da documenti. I papiri letterari sono pochissimi,
giungendo appena a cinque esempi, di cui tre del sec. VI e due del VII, due di origine italiana e tre
francesi. Numerosi sono invece i documenti. Troviamo il papiro in Francia nel sec. VII nei diplomi
dei re merovingi, in Italia abbiano i papiri di Ravenna dei secoli V-X e i papiri pontifici che giungono
sino alla metà del sec. XI.
La pergamena è costituita dalle pelle di certi animali, convenientemente trattata in modo da ridurla in
fogli bene spianati, soltili e lisci. Secondo un'antica tradizione riportata da Plinio (**), l'uso della
pergamena sarebbe stato introdotto da Eumene II re di Pergamo (195-158 a.C) per rimediare alla
mancanza del papiro che il re di Egitto non voleva mandargli, perchè egli non potesse creare una
biblioteca che oscurasse quella di Alessandria. Certamente l'uso era più antico, ma il nome stesso
indica che Pergamo fu il centro principale della sua produzione.
Tuttavia il nome usato dai classici è quello di membrana DIFTERA e il nome di pergamenum non si
trova prima del IV secolo; nel medioevo era indicata con la designazione impropria di charta che in
origine indicava il foglio di papiro.
Per la sua preparazione venivano adoperate le pelli di vari animali e specialmente quelle di vitello,
capra, pecora e montone; si avevano così diverse qualità, più o meno pregiate, che sono ricordate nei
documenti medievali coi nomi di charta vititina, caprina, ovina, monotonia. Con la pelle di agnellini
Lonati si preparava una qualità molto fine detta carta Virginia.
La morbidezza, la pesantezza e il colore dipendevano specialmente dal sistema adoperato nella
preparazione, che non era uguale dappertutto. Cosi, p. es., si può distinguere la pergamena fabbricata
in Italia e in Spagna, bianca e sottile, da quella della Francia e della Germania, più grossa e scura.

Da un ricettario conservato in un codice lucchese del sec. VIII abbiamo la descrizione delle varie
operazioni necessarie alla preparazione della pergamena.
Di regola la pergamena esigeva ancora una preparazione immediata da parte dello scrittore, per
renderla del tutto liscia con la pomice, e per ridurla alla grandezza desiderata; spesso con punti e
suture si chiudevano i tagli occasionali della pelle.

I più antichi esempi di pergamena sono pochi frammenti che risalgono appena al III secolo, ma
certamente già nell'età classica esistevano codici membranacei per le testimonianze di antichi scrittori.
In una lettera di San Paolo c'è un accenno esplicito nell'invito a Timoteo, di portare con sé in viaggio i
libri sacri, ma specialmente quelli in pergamena, e Marziale ricorda le opere di Omero, Virgilio e
altri autori scritte in membranis. Tuttavia l'uso della pergamena doveva essere molto scarso, perché gli
scavi di Ercolano e di Pompei non ci hanno dato frammenti membranacei, nè gli scavi di Egitto
frammenti anteriori al sec. III
A partire dal IV secolo la pergamena divenne d'uso comune, tanto che la troviamo ricordata nell'edito
De pretis rerum venalium emanato da Diocleziano nel 301. A questo stesso tempo appartengono i
codici più antichi che si sono conservati.
Con il sec. VIII i codici membranacei divengono numerosissimi, e fino al sec. XIII, cioè fino a
quando sorse la concorrenza della carta, la pergamena ebbe il dominio assoluto nel campo librario.
Nell'uso diplomatico, invece, essa entrò più tardi, perché nella redazione dei documenti si conservano
più a lungo le forme tradizionali. Il documento membranaceo più antico è la carta di fondazione del
monastero di Bruyèrc-le-Château dell'anno 670, conservata a Parigi, e pure alla Francia appartengono
gli altri documenti del sec. VII, che sono in tutto una ventina. In Italia la più antica pergamena
originale è dell'an. 716 ed è conservata a Milano, nell'Archivio di Stato. Per la Germania i primi
originali sono del secolo Vill, per la Spagna del IX.
La pergamena usata per i codici è più fine e più levigata, perché è destinata a ricevere la scrittura da
tutte e due le facciate, mentre quella dei documenti è lisciata solo da una parte (carne) e dall'altra
(pelo) resta ruvida e scura perché in essi si scriveva solo sul recto.
Nei codici più antichi (sec. IV-V) la pergamena è di buona qualità, bianca e fine, senza difetti di taglio
o di concia; in seguito diviene pesante e giallastra, con notevole differenza di colore tra la parte della
carne e quella del pelo, con frequenti buchi ed altre irregolarità di concia; tipica è la pergamena dei
manoscritti delle Isole Britanniche, scura e grossa, a superficie vellutata. Nel sec. XIII si tornò ad una
buona preparazione, nel XIV troviamo talvolta pergamene sottilissime, nel XV i manoscritti della
rinascenza italiana sono di singolare bianchezza.
Per i codici di lusso, come pure per documenti di eccezionale importanza, si usò tingere la pergamena
prima di procedere alla scrittura, il colore usato di regola è la porpora (rosso violaceo), ma si trovano
casi di pergamena azzurra e nera. Sulla pergamena purpurea si scriveva in oro o in argento, su altri
colori in genere si scriveva con inchiostro bianco o rosso. I codici purpurei contengono di regola i Ss.
Vangeli o altri libri sacri: numerosi esempi se ne hanno nei secoli V-VII e poi nel tempo carolingio.
Nell'alto medio evo si usò frequentemente di riadoperare fogli di pergamena già scritti per formare
nuovi codici. Si doveva prima cancellare la vecchia scrittura immergendo nel latte i singoli fogli e
strofinandoli fortemente con una spugna; dopo averli fatti asciugare bisognava poi raschiarli con
pomice per renderli di nuovo lisci e per far scomparire le tracce dell'inchiostro, rifilarli secondo la
grandezza del nuovo codice e rigarli per la nuova scrittura. I manoscritti così preparati si chiamano
codices rescripti o palimpsesti.
L’uso di riadoperare pergamena usala si ebbe specialmente nei secoli VII e VIII a causa della scarsità
e del caro prezzo della pergamena nuova, non - come è stato detto da taluni - per un senso di
disprezzo chic i monaci del medio evo avrebbero avuto verti libri che contenevano testi di letteratura
pagana. E infatti si cancellarono ugualmente testi profani e sacri: si trallava in genere di testi divenuti
inutili perché incompleti o antiquati. Cosi un sacramentario Atanasiano fu sostituito dal sacramentario
Gelasiano più recente, il testo delT'ltala da quello della Volgata, il codex Theodosianus dal codex
lustinianus.
Un altro principio, invece, è applicato dai monaci di Beuron (Germania) per fotografare i palinsesti,
profittando del fenomeno della fluorescenza; perché tale fenomeno abbia luogo, è necessario che la
pergamena non abbia subito in precedenza alcun trattamento chimico.
La carta è la materia scrittoria più moderna, che gradatamente si è sostituita alle altre, tanto nell'uso
librario che in quello diplomatico. La sua invenzione è dovuta ai Cinesi che la fabbricarono di seta e
di stracci, fin dai tempi più antichi. Dopo l'occupazione del Turchestan, gli arabi impararono il modo
di fabbricarla dai prigionieri di guerra cinesi e stabilirono una prima grande cartiera a Samarkan nel
751, e poi a Bagdad e in altre città dell'Islam. Però, mentre i Cinesi adoperavano nella fabbricazione
stracci insieme a fibre di un albero indigeno, gli Arabi la fabbricavano solo con gli stracci perchè non
avevano le piante adatte.
CONCILIO: Con il termine «concilio» s'intende, nella storia della Chiesa, un'assemblea di
rappresentanti ecclesiastici riuniti per discutere di questioni teologiche e dottrinali e di rapporti con il
potere secolare. Inizialmente i concili sono locali (o regionali), in quanto ristretti ai rappresentanti di
una determinata regione. Solo con l'imperatore Costantino s'inaugura l'istituto del concilio ecumenico
(Concilio di Nicea, 325 d.C.), cioè aperto alla partecipazione di rappresentanti di tutto l'ecumene
(l'intera Chiesa nel suo insieme).
L'ORGANIZZAZIONE ECCLESIASTICA PRIMA DEI CONCILI ECUMENICI
Dagli Atti degli apostoli e dalle lettere di Paolo e attribuite a Giovanni, si ricavano alcuni dati sulla
primitiva organizzazione della comunità cristiana, ancora inserita nella più vasta struttura della
religione giudaica: da una parte l'autorità, a Gerusalemme, dei discepoli di Cristo, in particolare
Pietro, Giovanni e Giacomo, il fratello di Gesù; dall'altra quella dei missionari, i quali per tempo
diffondono il messaggio evangelico anche al di là dei ristretti limiti della Palestina.
Dalla pur scarsa documentazione di cui si dispone risulta evidente che, dopo i primi anni del II secolo,
si perde ogni traccia della gerarchia itinerante, ormai sostituita ovunque da quella locale. Ogni
comunità è autonoma, presieduta prima dal collegio dei presbiteri (sacerdoti) e successivamente dal
vescovo coadiuvato da presbiteri e diaconi (primo grado dell'ordine sacro). figura del vescovo
acquisterà durante il Medioevo un'importanza fondamentale non solo per l'organizzazione
ecclesiastica ma anche per la gestione del potere temporale (si pensi alla lotta per le investiture tra
Enrico IV di Franconia e papa Gregorio VII).
La più antica testimonianza sull'attività conciliare viene comunemente considerata la notizia di
Eusebio di Cesarea (Historia Ecclesiastica V 16,10) secondo cui, in occasione della crisi montanista
nella seconda metà del Il sec (eresia cristiana che teorizzava la necessità di uno stato di rigorosa
purezza e di vigile attesa della seconda venuta di Cristo, «parusia»), i fedeli d'Asia si riunirono più
volte per condannare gli eretici e scacciarli dalle chiese. Poco oltre (H.E. V 23,2), Eusebio (265-340
d.C.) dà notizia di concili di vescovi in Asia e in Palestina, riuniti al fine di dirimere i contrasti circa la
datazione della Pasqua.
DIOCESI: la diocesi è un tipo di suddivisione amministrativa utilizzata nell'Impero romano. in
seguito venne utilizzata nell'organizzazione delle chiese cristiane. Nella Chiesa, il termine passò a
indicare una porzione della comunità cristiana delimitata in maniera territoriale e affidata al governo
pastorale di un vescovo.
ABATE: il superiore di una comunità monastica. Quando l'abate ha dignità vescovile è comunemente
detto abate mitrato. Le prime comunità monastiche organizzate si formarono all'inizio del IV secolo in
Egitto, dove Sant'Antonio abate introdusse una nuova forma di vita comunitaria organizzando gli
eremiti che si erano raggruppati intorno a lui nella Tebaide. Un secondo tipo di monachesimo, quello
cenobitico, fu istituito da San Pacomio che, all'incirca nello stesso periodo, fondò il suo primo
cenobio in Egitto. La sua «regola» di vita monastica comunitaria è la più antica ed è paragonabile a
quella di Benedetto da Norcia in Europa.
PRESBITERO: dal greco presbýteros, “più anziano”, è nella Chiesa il ministro del culto che ha
ricevuto, in una specifica ordinazione, il mandato di presiedere il culto, guidare la comunità cristiana e
annunciare la parola di Dio. Un termine usato in modo equivalente, più generico, è sacerdote. Nella
gerarchia cattolica il presbiterato è il secondo grado del sacramento dell'Ordine (che si articola,
appunto, nei tre gradi del diaconato, del presbiterato e dell'episcopato).
LE ERESIE TRINITARIE E LE ERESIE CRISTOLOGICHE
In ambito cristiano, con il termine «eresia» si intende una dottrina che dissente dai canoni decisi dalla
Chiesa. Questi canoni, discussi e imposti anche durante i concili, sono i dogmi che formano
l'ortodossia («vera fede») a cui le eresie oppongono l'eterodossia. Possiamo distinguere le eresie
trinitarie, che riguardano la natura della Santissima Trinità, dalle eresie cristologiche, che invece
concernono la persona e la natura di Cristo. Come vedremo, le eresie furono tra i principali temi
dibattuti nei concili, in quanto esse minavano non soltanto il sistema dogmatico ecclesiale ma anche
l'autorità stessa della Chiesa e del potere imperiale
LE ERESIE PRIMA DEL CRISTIANESIMO
Vale la pena soffermarci un momento sulle eresie che si svilupparono nel Mediterraneo fra il II e il III
secolo d. C. e che costituiscono il sostrato religioso e culturale con cui il cristianesimo entrò in
contatto. Le principali eresie in questione sono lo gnosticismo e il manicheismo, due dottrine
filosofiche che identificano nello Spirito e nella Materia i principali due elementi che governano il
mondo.
GNOSI: dal greco gnòsis, «conoscenza», questa parola indica la possibilità di giungere alla
conoscenza tramite un cammino iniziatico. Solo i prescelti, i predestinati, giungono alla salvezza. I
filosofi gnostici si occuparono anche di esegesi biblica. Secondo gli gnostici, lo Spirito alberga nel
«Plèroma», da cui provengono gli Eoni spirituali come Gesù, il profeta che riporta l'uomo dalla
Materia al Plèroma. Come appare evidente, ci sono già molti temi cristiani come la salvezza e la
redenzione.
MANICHEISMO: questa religione sincretistica del III secolo veicola lo gnosticismo negli ambienti
cristiani. Secondo il manicheismo, il Bene e il Male sono le due forze motrici della storia. Il contrasto
fra questi due priìncipi si adattava alla spiegazione di molti passi dei Vangeli e dell'Apocalisse. Lo
stesso Sant'Agostino, in gioventù, fu attratto dalla dottrina manichea.
IL CONCILIO «ECUMENICO
Questa espressione indica un concilio riconosciuto dalla Chiesa nella sua interezza e riguarda l'intera
cristianità. || concilio ecumenico è indetto dall'imperatore, che ne controlla lo svolgimento e ne
approva le decisioni, che diventano, in questo modo, leggi dello Stato. La Chiesa, nel II sec. d. C., è
ormai diventata un organismo statale, e il concilio, che ne costituisce l'istituzione operativa più
importante, è ipso facto uno strumento di cui si serve l'imperatore, in quanto capo della Chiesa.
IL PRIMO CONCILIO DI NICEA (325 d.C.)
Intorno al 320 d.C. il presbitero Ario cominciò a diffondere, ad Alessandria e ben presto in Egitto e
altrove, una dottrina che negava la natura divina di Cristo. L'eresia ariana affonda le proprie radici nel
modalismo e nel docetismo. Il modalismo, teorizzato da Sabellio nel II secolo, sosteneva che nella
Trinità non ci sono «persone» ma modi transitori di espressione della Divinità. II docetismo (dal greco
«dokèin», «sembrare») negava l'aspetto umano della Passione di Cristo ritenendo quest'ultima solo
apparente.
La dottrina ariana fu discussa durante il concilio di Nicea, il primo concilio ecumenico della Chiesa.
Esso fu convocato e presieduto dall'imperatore Costantino e aveva un duplice obiettivo: combattere
l'eresia ariana e sanare i contrasti tra cristiani che indebolivano anche il potere imperiale. A Nicea,
città situata a pochi chilometri da quella che 5 anni più tardi sarà la capitale dell'Impero bizantino, si
riunirono centinaia di vescovi. Tra le figure più importanti, spiccano Eusebio di Nicomedia, fiero
sostenitore della dottrina ariana, e Nicola di Myra, il Santo vescovo, principale oppositore Ario. Come
detto precedentemente, l'assemblea era presieduta dall'imperatore Costantino.
L'eresia ariana fu condannata con un documento ufficiale, il Simbolo Niceno, il cui testo costituisce la
preghiera del Credo (perfezionato, come vedremo, nel primo concilio di Costantinopoli). Questo
documento afferma la dottrina della consustanzialità (identità di sostanza) del Padre e del Figlio. Tre
ipostasi, una ousìa: tre persone e una sostanza. Si afferma, in pratica, il dogma della Trinità. Inoltre, si
stabilisce che in Cristo convivono la natura umana e la natura divina. Accanto all'eresia ariana, però,
andavano diffondendosi altre tesi. Il nestorianesimo sosteneva la distinzione delle due nature di
Cristo; il monofisismo, invece, affermava che in Cristo ci fosse soltanto la natura divina. Quest'ultima
eresia fu molto influente soprattutto in Siria e nel Medio Oriente.
IL PRIMO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI (381 d.C.)
La dottrina ariana, nonostante la condanna nicena, continuò a fare proseliti grazie a Eusebio di
Nicomedia, che intanto era divenuto vescovo di Costantinopoli e aveva convinto i successori di
Costantino a promuovere le idee di Ario. Inoltre, negli anni dopo Nicea si faceva strada la questione
dello «pneuma»: ci si interrogava sulla natura dello Spirito Santo e se quest'ultimo fosse
homoioùsious (della stessa sostanza) con il Padre e il Figlio. Questa dottrina prese il nome di
«macedonianismo» (dal Macedonio, vescovo di Costantinopoli). É in questo contesto che Teodosio I
convocò il primo concilio di Costantinopoli nel 381.
Al concilio, presieduto da Melezio, patriarca di Antiochia, parteciparono personalità importanti come
i padri cappadoci Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno, oltre allo stesso Teodosio. La principale
novità del concilio fu l'introduzione della processione dello Spirito Santo dal Padre. Si giunge, quindi,
al Credo niceno-costantinopolitano. Ma la questione della processione dello Spirito Santo dal Figlio,
il «Filioque», dilaniò i rapporti all'interno della Chiesa per tutto il Medioevo. Oltre al
macedonianismo, fu condannato l'«apollinarismo», una dottrina secondo cui la fusione tra natura
divina e natura umana, in Cristo, ha comportato la perdita della perfezione divina. Inoltre,
Costantinopoli fu dichiarata la "Nuova Roma", elevandone il suo vescovo alla dignità di patriarca.
IL CONCILIO DI EFESO (431 d.C.)
Le dispute teologiche sulla natura di Cristo portarono allo scontro, agli inizi del V secolo, tra la scuola
antiochena e quella alessandrina. Andava diffondendosi il «nestorianesimo», eresia cristologica che
ammetteva la doppia natura di Cristo ma rifiutava l'unione ipostatica (l'unione tra la persona umana e
la persona divina). A questa eresia si opponeva Cirillo di Alessandria, il quale riteneva l'unione
ipostatica giusta e dogmatica. Inoltre, era vivo il dibattito sulla Madre di Dio. Ci si chiedeva se essa
fosse definibile Christotokos (Madre di Cristo) o Theotokos (Madre di Dio).
Lo scontro su questi temi indusse papa Celestino I (422-432) e l'imperatore Teodosio II (408-450) a
convocare un nuovo concilio, a cinquant'anni da quello di Costantinopoli. Nel 431, a Efeso, i padri
conciliari accolsero le tesi di Cirillo e condannarono quelle di Nestorio. Si stabilì che in Cristo esiste
una sola persona, completamente divina e umana, e che Maria fosse Theotokos, Madre di Dio, che
diede alla luce Cristo in quanto Dio fatto uomo. Infine, fu condannato il «pelagianesimo», una
dottrina che vedeva nel peccato originale una colpa ascrivibile soltanto ad Adamo ed Eva e non alla
discendenza umana.
IL CONCILIO DI CALCEDONIA (451 d.C.)
La dottrina monofisita continuava ad avere una larga parte di seguaci in tutto l'Impero. L'imperatore
bizantino Marciano (450-457), in accordo con papa Leone Magno (440-461), indisse un concilio a
Calcedonia, in Bitinia (regione nord-occidentale dell'odierna Turchia). Al concilio parteciparono
prevalentemente vescovi bizantini. La dottrina monofisita propugnata da Eutiche (378-454) fu
condannata. Con la lettera Tomus ad Flavianum, indirizzata all'arcivescovo di Costantinopoli da papa
Leone Magno, si riconosce la natura ipostatica di Cristo e l'autorità del vescovo di Roma nelle
questioni dottrinali.
Il concilio di Calcedonia segna l'inizio di una spaccatura non solo religiosa ma anche politica tra
Costantinopoli e le regioni monofisite, in particolare Medio Oriente ed Egitto. Inizia un periodo in cui
i territori permeati dal monofisismo allentano la barriera con l'Islam, permettendo alle incursioni arabe
di divenire sempre più frequenti in quanto si vedeva nei regni arabi monofisiti un mondo affine
culturalmente oltre che linguisticamente. Inoltre, considerazione ancor più importante, il concilio di
Calcedonia acuisce lo scontro tra Roma e Costantinopoli in quanto il patriarca di quest'ultima inizia a
definirsi «ecumenico», ponendosi al di sopra degli altri patriarchi e attirando l’ostilità del vescovo
romano.
IL SECONDO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI (553 d.C.)
Come abbiamo visto finora, il monofisismo, dopo più di un secolo da Calcedonia (451), costituiva
ancora una minaccia per l'autorità ecclesiastica e per l'unità dell'Impero bizantino. La stessa Teodora,
moglie di Giustiniano, appoggiava politicamente i monofisiti. L'imperatore, nel 533/534, promulgò
l'editto «dei Tre capitoli»: in esso, furono condannati tre scritti del secolo precedente che difendevano
le tesi del nestorianesimo (eresia cristologica che ammetteva la doppia natura di Cristo ma rifiutava
l'unione ipostatica tra la persona umana e la persona divina).
Perché Giustiniano non condannò il monofisismo e si scagliò contro il nestorianesimo? Bisogna
ricordare che il monofisismo era molto influente in larga parte del suo Impero e che godeva
dell'appoggio di Teodora. Inoltre, combattere il nestorianesimo consentiva a Giustiniano di ingraziarsi
i monofisiti. I nestoriani, d'altronde, erano migrati nell'Impero persiano e non costituivano più una
minaccia. Nel 553, anno in cui i bizantini conquistano l'Italia alla fine della guerra «greco-gotica»,
Giustiniano convoca il secondo concilio di Costantinopoli per ratificare la condanna del
nestorianesimo. I dogmi del concilio furono successivamente approvati da papa Vigilio.
Il secondo concilio di Costantinopoli, inoltre, attesta la canonicità degli insegnamenti di San Cirillo
d'Alessandria che aveva avuto una parte essenziale al concilio di Efeso del 431. Secondo la teologia di
Cirillo, lo ricordiamo, l'unione ipostatica è giusta e dogmatica (Cristo è una sola ipostasi con due
nature, la divina e l'umana, diverse e distinte ma unite nell'unica persona). Il concilio, infine, proclamò
la verginità perpetua della Theotokos, prima, durante e dopo il parto.

IL TERZO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI (680-681 d.C.)


Tra il 633 e il 646 gli arabi conquistano la Siria e l'Egitto, arrivando perfino ad assediare la città di
Costantinopoli nel 678. Sono, è bene ricordarlo, le regioni in cui il monofisismo attecchì
maggiormente rispetto al resto dell'Impero bizantino. E in questo contesto storico che l'imperatore
Costantino IV, nel 680, convoca un concilio a Costantinopoli, il terzo, per condannare il
«monotelismo». Questa dottrina affermava che la volontà in Cristo fosse unica («monoergismo») e
non distinta in volontà umana e volontà divina. Secondo 'ortodossia, invece, negare la volontà umana
di Cristo avrebbe tolto valore e importanza salvifica all’Incarnazione.
Questo concilio fu molto importante anche per quanto riguarda la questione del primato petrino.
L'imperatore Costantino IV, infatti, fece accettare dai vescovi orientali presenti al concilio la teoria
del primato basato sulla professione di fede dell'apostolo Pietro (MT 16, 18). Il concilio determinò
quindi un tentativo di piena riconciliazione della Chiesa bizantina con la Sede apostolica romana.
Le disposizioni di questo concilio furono completate e ratificate nel 692 nel Concilio «in Trullo» (dal
nome del palazzo di Costantinopoli in cui si svolse) o Concilio «Quinisesto» (perché riguardò le
disposizioni del V e VI concilio ecumenico).
Il primato petrino fu uno dei motivi di scontro tra Chiesa occidentale e Chiesa orientale alla base di
quello che sarà lo Scisma d'Oriente del 1054. Benché molti siano i passi del Nuovo Testamento in cui
si parla di Pietro, il dibattito si riduce spesso alla discussione sul significato e la traduzione del
versetto 16, 18 del Vangelo di Matteo. Il vescovo di Roma, quindi, in quanto successore di Pietro, si
ritiene capo della Chiesa universale. Secondo la Chiesa d'Oriente, invece, il papa era un primus inter
pares, con dignità e autorità simile ai patriarchi bizantini.
IL SECONDO CONCILIO DI NICEA (787 d.C.)
Questo concilio è l'ultimo dei primi sette concili ecumenici, riconosciuti sia dalla Chiesa d'occidente,
sia dalla Chiesa d’Oriente. Quelli successivi, infatti, saranno riconosciuti come ecumenici solo dalla
Chiesa d'Occidente. Come vedremo, il successivo concilio, il Costantinopolitano IV, segna l'inizio
dell'allontanamento delle due Chiese che culminò nello Scisma del 1054. Al 787, anno del Secondo
Concilio di Nicea, si arriva dopo un grande scontro dottrinale che causò sconvolgimenti politici e
sociali in Oriente e anche in Europa: l’iconoclastia.
Con il termine «iconoclastia» si intende la dottrina che rifiuta la rappresentazione su icona
(«immagine») di Cristo e dei santi e promuove la distruzione di queste immagini.All’iconoclastia, si
oppone l’ICONODULIA, che invece promuove il culto Alla base di questo scontro che sconvolse
l'Impero bizantino tra Vill e IX secolo, vi sono motivi religiosi e motivi politici. Secondo gli
iconoclasti, la divinità non può essere rappresentata con le immagini in quanto la trascendenza di Dio
non può essere contenuta nei limiti materiali di un'icona. Inoltre, gli iconoclasti accusano gli iconoduli
di IDOLATRIA, cioè un'esasperata venerazione delle immagini sacre, quasi ridotte a idoli.
Tra gli iconoduli spiccavano i monaci, che nell'Impero costituivano una classe sociale molto potente e
molto rispettata dalla popolazione. La Chiesa d'oriente e in particolar modo i vescovi iconoclasti non
vedevano di buon occhio il crescente potere dei monasteri, in cui erano conservate la maggior parte
delle icone venerate dalla popolazione.
Per tutti i motivi precedenti, nel 726 l'imperatore Leone II Isaurico diede inizio all'iconoclasmo che
culminò nell'editto imperiale del 730, con il quale ordinò la distruzione di tutte le icone. Questa lotta
così aspra ebbe ripercussioni anche in Italia: papa Gregorio Il si oppose al decreto di Leone III e il re
longobardo Liutprando, approfittando della situazione, invase i territori bizantini.
Nel 784, l'imperatrice Irene inizia a favorire l'iconodulia e tre anni dopo, nel 787, convoca il Secondo
Concilio di Nicea in cui fu stabilità la liceità del culto delle immagini sacre, condannando
l'iconoclasmo e i suoi seguaci. Bisogna considerare, però, che l'iconoclastia godeva ancora di un vasto
consenso nella corte imperiale. Solo sotto l'imperatore Michele Ill e sua madre Teodora si arrivò ad
una definitiva conclusione del conflitto, con la convocazione di un sinodo a Costantinopoli, nell’843,
che eliminò per sempre 'iconoclastia. Con una grande processione le immagini vennero riportate in
Santa Sofia l'11 marzo di quell’anno: viene istituita la ‘ "Festa dell’Ortodossia".
IL QUARTO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI (869-870 d.C.)
La crisi dovuta all'iconoclastia fu seguita dal cosiddetto «Scisma di Fozio». Tra l'858 e l'859, Fozio
divenne patriarca di Costantinopoli ma fu subito destituito da Ignazio, legittimo patriarca. Papa
Niccolò I non riconobbe l'elezione di Fozio che, per tutta risposta, scomunicò il Papa nell’867. Nella
prima parte del concilio (869), Fozio fu deposto, sotto la pressione dei legati papali. Nella seconda
parte (870), fu confermato il culto delle immagini ed affermato il primato petrino mitigato dalla
«pentarchia», il governo della Chiesa affidato alle 5 sedi episcopali più importanti: Roma,
Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, e Gerusalemme.
Lo scisma foziano fu dunque uno scisma durato quattro anni tra la sede romana e quella
costantinopolitana. Lo scisma sorse, in gran parte, come una lotta per il controllo ecclesiastico dei
Balcani meridionali. I bulgari, il cui Khan aveva accettato il cristianesimo dai bizantini, chiesero a
Fozio di avere un proprio patriarca: dopo il rifiuto di Fozio, il khan Boris I invitò delegati latini.
Tuttavia, a causa del rifiuto da parte del papa di nominare un arcivescovo della Bulgaria, il khan,
ancora una volta si rivolse a Bisanzio, che gli concesse lo status di Chiesa autocefala durante il IV
Concilio di Costantinopoli.
LO «SCISMA»: SIGNIFICATO E CARATTERISTICHE
Soffermiamoci sul significato del termine «scisma», vista l’importanza capitale dello scisma di Fozio,
del Grande Scisma d'Oriente del 1054 d.C. e del Grande Scisma d'Occidente (1378-1417). In ambito
ecclesiastico, per scisma si intende la separazione di un gruppo di fedeli dal corpo della Chiesa, per
ribellione alla disciplina e alla gerarchia della Chiesa stessa o alla sua dottrina. Allo scisma sono legati
anche motivi più propriamente politici, economici e sociali: il sentimento delle popolazioni, gli
interessi connessi al potere ecclesiastico e le interferenze del potere secolare a seconda della
convenienza del momento.
IL PRIMO CONCILIO LATERANENSE (1123 d.C.)
Il primo Concilio Lateranense si tenne a Roma, nella basilica di San Giovanni in Laterano, nel 1123.
Fu il primo tra i concili ecumenici a svolgersi in Occidente. Questo concilio si inserisce in un contesto
storico turbolento: quello della lotta per le investiture. La questione delle investiture per la carica di
vescovo segna l'inizio di un duro scontro tra Papato e Impero. Già Niccolò II (1059-1061) condannò
l'investitura laica vescovile, rivendicando la propria autorità papale. Lo scontro ebbe il culmine nel
rapporto tra papa Gregorio VII ed Enrico IV di Franconia, che terminò con il Concordato di Worms
(1122), sottoscritto da papa Callisto Il ed Enrico V di Franconia.
In base ai termini del concordato, l'imperatore rinunciava al diritto di investire i vescovi, riconoscendo
solo al Papa il diritto all'investitura. Il papa, a sua volta, riconosceva all'imperatore il diritto, in
Germania, di essere presente alle elezioni episcopali e di investire i prescelti dei loro diritti feudali.
Nel resto dell'Impero, invece, la consacrazione episcopale precedeva l’investitura imperiale, in modo
da rimarcare la preminenza dell'autorità papale rispetto a quella dell’imperatore. Per dare solennità
alla ratifica del concordato, papa Callisto Il convoco un concilio a cui furono invitati tutti i vescovi e
gli arcivescovi dell’Occidente.
Inoltre, furono condannati il concubinato degli ecclesiastici e la «simonia». Con quest'ultimo termine,
si intende la compravendita di cariche ecclesiastiche; tale pratica perdurò per tutto il Medioevo
divenendo perfino uno dei temi (vendita delle indulgenze) su cui si pronunciò Martin Lutero nel 1517.
Al Primo Concilio Lateranense parteciparono anche numerosi abati, che in Europa, già dal X secolo,
iniziavano ad avere un potere spirituale e temporale ben consolidato.
IL SECONDO CONCILIO LATERANENSE (1139 d.C.)
Questo concilio, tenutosi nel 1139, fu caratterizzato dalla condanna dello scisma di Anacleto Il e
dell'eresia di Arnaldo da Brescia. Alla morte di papa Onorio Il, nel 1130, i cardinali che sostenevano
la famiglia Frangipane eleggono papa Innocenzo II. Qualche ora più tardi, altri cardinali eleggono
Anacleto II. Questo scisma perdurò fino al 1138, quando morì Anacleto II. Nel concilio del 1139
furono deposti i vescovi scismatici. L'eresia arnaldiana, condannata aspramente nel concilio, era
caratterizzata da elementi che saranno tipici dei movimenti ereticali (càtari, patarini, valdesi etc.).
Arnaldo, scagliandosi contro il vescovo diIL

TERZO CONCILIO LATERANENSE (1179 d.C.)


Il contesto storico in cui si inquadra questo concilio è quello dello scontro tra papa Alessandro III, che
convocò l'assise del 1179, e Federico Barbarossa, suo strenuo oppositore. Era dal 1160, anno in cui
l'imperatore appoggiò «'antipapa» Vittore IV, che l'imperatore si opponeva al potere di papa
Alessandro III. Nel 1179, dopo la pace di Venezia, Alessandro convocò il concilio che, tra le altre
cose, stabilisce nuove norme per l'elezione papale e condanna il catarismo. Si dispone che il papa
dovesse essere eletto esclusivamente dai cardinali (ponendo a questo fine 'uguaglianza fra i tre ordini
cardinalizi) con la maggioranza dei due terzi degli elettori.
IL QUARTO CONCILIO LATERANENSE (1215 d.C.)
La lotta contro i catari e gli altri movimenti ereticali conobbe il proprio apice durante il pontificato di
papa Innocenzo III, che nel 1208 iniziò la crociata contro gli albigesi conclusasi nel 1229 con Luigi
IX «ll Santo». Nel concilio del 1215, l'Inquisizione assurge a organo supremo nella lotta alle eresie.
La teologia gioachimita viene condannata. Inoltre, viene introdotto ufficialmente il termine
«transustanziazione» (conversione del pane e del vino durante la consacrazione eucaristica) e si
stabiliscono norme severe relative alla vita sociale e politica degli ebrei.
Inoltre, gli ordini religiosi vennero invitati ad uniformare le Regole che governavano le loro comunità
e venne loro imposto di istituire e riunire dei Capitoli Generali, sul modello di quello dei monaci di
Citeaux. Venne proibita l'adozione di nuove regole e la creazione di nuovi ordini. Per esempio,
qualche anno dopo, la regola domenicana dovette basarsi su quella agostiniana. Nel Quarto Concilio
Lateranense si ribadì la condanna della simonia e si imposero ai fedeli la confessione e la comunione
annuale (il Precetto pasquale). Brescia, Manfredo, critica la simonia, lo sfarzo del clero bresciano e la
mancanza di moralità nella Chiesa.
IL PRIMO CONCILIO DI LIONE (1245 d.C.)
Lo scontro tra Federico Il e la Chiesa segna tutta la prima metà del XIII secolo. Dopo la scomunica di
papa Gregorio IX del 1240, Innocenzo IV decide di condannare definitivamente l'imperatore nel
Primo Concilio di Lione. Federico II, macchiatosi dell'accusa di codardia per la mancata
partecipazione alla VI crociata, fu dichiarato nemico della Chiesa. Questo concilio segna anche, nella
storia dei concili, un momento importante per i rapporti tra Chiesa greca e Chiesa latina. Oltre al
problema dell'impero latino di Costantinopoli, dilaniato al proprio interno dallo scontro tra le potenze
che l'assediarono nel 1204, si poneva la questione dello scisma tra le due Chiese.
IL SECONDO CONCILIO DI LIONE (1274 d.C.)
Il tema della ricomposizione dello Scisma d'Oriente riappare nel Secondo Concilio di Lione, in cui
vengono discusse le controversie teologiche da dirimere per superare la separazione fra le Chiese. Nel
1261 l'imperatore bizantino Michele VIll Paleologo riconquista Costantinopoli e cerca l'aiuto del
papato per evitare la guerra civile tra greci e latini. Papa Clemente IV, nel 1267, chiese a Michele VIll
di accettare la dottrina del Filioque e il primato petrino, oltre alla comunione eucaristica con pane
azzimo e altre questioni liturgiche. Gregorio X, nel 1274, impose nel concilio i dogmi che furono
accettati dalla delegazione della Chiesa greca ma che non ebbero riscontro in Oriente.
IL CONCILIO DI VIENNE (1311-1312 d.C.)
Nel 1309 si apre il periodo della «cattività avignonese» che si concluse nel 1377 con il ritorno nella
sede romana. Il lungo scontro tra papa Bonifacio VIII e Filippo il Bello, soprattutto per quanto
riguarda il tema delle «decime», aveva precedentemente indebolito l'autorità papale. Con il Concilio
di Vienne, presieduto da papa Clemente V, l'ordine dei Templari fu soppresso e Filippo riuscì a
incamerare i loro possedimenti. Fu bandita una nuova crociata e vennero regolati diritti e doveri degli
Ordini mendicanti. Fu, inoltre, istituita la solennità del Corpus Domini.
IL CONCILIO DI COSTANZA (1414-1418 d.C.)
La cattività avignonese, seppur conclusasi col ritorno del papa a Roma, lasciò profondi strascichi in
Europa. I vari potentati d'Europa iniziarono a schierarsi tra obbedienza avignonese e obbedienza
romana. Il concilio di Pisa del 1409, con l'elezione di Alessandro V, segnò un periodo in cu vi furono
3 papi (Urbano VI a Roma, Clemente VII ad Avignone e Alessandro V a Pisa). Prendono piede le
idee del «conciliarismo»: si inizia a teorizzare una delegazione del potere papale all'assemblea stabile
dei vescovi che presiedono le Chiese nazionali. Il conciliarismo caratterizza il concilio di Costanza,
indetto da Re Sigismondo d’Ungheria.
Ben presto, però, papa Martino V, dopo le dimissioni dei 3 papi, si accorse della difficoltà di riunire
ogni 5 anni tutta la Chiesa. La dottrina conciliarista contraddistinse i concili successivi e ne influenzò
metodologie e decisioni. Il Concilio di Costanza, inoltre, condannò l'eresia di Wycliff e Jan Huss (sui
sacramenti e sul tema della predestinazione). Fu approvato il decreto Frequens che ribadiva la
superiorità del concilio, stabiliva la sua convocazione periodica non oltre ogni dieci anni, e
sopprimeva alcuni diritti del papa.
LA QUESTIONE DEL «FILIOQUE»
La processione dello Spirito Santo è un'altra importante disputa teologica che caratterizza i rapporti
tra le due Chiese. L'espressione latina «Filioque», (e dal Figlio), nel contesto della frase qui ex Patre
Filioque procedit (“che procede dal Padre e dal Figlio"), esprime la dottrina della Chiesa cattolica per
la quale lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio congiuntamente. La prima attestazione
dell'aggiunta del «Filioque» al simbolo niceno- costantinopolitano risale solo al Concilio di Cividale
del Friuli, convocato dal patriarca di Aquileia nel 796/797. Il «Filioque» fu adottato da Carlomagno in
Occidente e respinto da Fozio in Oriente.
Dopo il Concilio di Ferrara-Firenze, in cui si era giunti a un accordo anche relativamente
all'inserimento del «Filioque», un sinodo tenuto a Costantinopoli sotto il patriarca Samuele I nel 1484,
sconfesso il Concilio di Ferrara-Firenze e rigettò, quindi, anche il punto di incontro sulla questione
della processione dello Spirito Santo. Negli ultimi decenni del secolo scorso, il dibattito teologico sul
«Filioque» è proseguito nel più ampio ambito del dialogo ecumenico senza giungere, però, a una
definitiva soluzione.
IL PANE AZIMO (O AZZIMO)
La Chiesa d'Oriente criticava sin dall'Alto Medioevo l'uso dell'azimo, il pane senza lievito, durante
'Eucarestia. L'assenza del lievito, per la teologia bizantina, inficiava la completezza dell'umanità di
Cristo. L'uso dell'azimo nella Chiesa d'Occidente fu una delle controversie dottrinali che portarono
allo Scisma del 1054. L'utilizzo del pane non lievitato fu giustificato, in Occidente, dal fatto che
Cristo istituì il sacramento dell'Eucarestia nella settimana della Pasqua ebraica, nella quale si
utilizzava il pane azimo (matzah).
Nella Chiesa orientale, il pane utilizzato per 'Eucarestia si chiama prosforà. Da questo pane con sopra
inciso il monogramma di Cristo, si ricavano le particole usate per la comunione. Le particelle
rimanenti sono distribuite dopo la Santa Messa ai fedeli e prendono il nome di antidoron. Bisogna
ricorda che 'Eucarestia, nel mondo orientale, viene somministrata anche ai bambini molto piccoli, in
quanto si crede che il battezzato si trovi su un piano soprannaturale in quanto uomo rinato in Cristo
Dio per la volontà di quest’ultimo.
L'ORDINAZIONE SACERDOTALE DEI DIACONI SPOSATI
Il celibato ecclesiastico è la prassi per cui una Chiesa cristiana riserva alcuni ordini sacri a uomini non
sposati. Mentre nella Chiesa orientale tale divieto viene posto soltanto ai vescovi, nella Chiesa
occidentale la norma è estesa anche ai diaconi. Di conseguenza, la Chiesa romana non ammette
l'ordinazione sacerdotale per i diaconi uxorati, a differenza della Chiesa bizantina, tra le cui fila ci
sono moltissimi sacerdoti sposati. La questione fu dibattuta in alcuni concili altomedievali e, ancora
oggi, segna una delle differenze tra la Chiesa latina e quella bizantina.
IL RITO BIZANTINO
Il rito bizantino, conosciuto anche come rito cattolico-bizantino o rito greco-bizantino, è il rito
liturgico utilizzato dalle Chiese ortodosse e da alcune chiese sui iuris di tradizione orientale all'interno
della Chiesa cattolica (Lungro e Piana degli Albanesi). Talvolta è chiamato erroneamente «rito
ortodosso», senza considerare che esso è utilizzato, appunto, anche in alcune diocesi cattoliche. Nel
mondo ortodosso queste comunità furono talvolta definite “uniate" termine dispregiativo ed errato
certamente per le comunità precedenti al Grande Scisma d'Oriente e altre legittimamente riunite in
un'unica Chiesa col Concilio di Ferrara-Firenze.

RITO GRECO E RITO LATINO: DIFFERENZE E ANALOGIE


I sacramenti: Nel rito bizantino i sacramenti principali dell'iniziazione alla vita cristiana (battesimo,
comunione e cresima) vengono celebrati insieme, nel momento del battesimo. Il battesimo si fa per
immersione o per aspersione (l’acqua deve scorrere prima sulla testa e poi sul resto del corpo del
bambino).
Nel matrimonio bizantino è previsto il rituale dell'incoronazione degli sposi". Il sacerdote pone
davanti all'altare un tavolo; il rito segue con la coppia che bacia il Vangelo e la Santa Croce e poi gira
tre volte attorno al tavolo insieme al celebrante.
L'EDIFICIO DELLA CHIESA: Generalmente le chiese di rito bizantino, anche quelle di
costruzione recente, presentano affreschi sulle pareti, icone e mosaici che illustrano la vita dei santi o
scene della vita di Gesù. Davanti all'altare, pienamente visibile dall'assemblea, è posto un muro
generalmente in legno sul quale sono poste icone dei santi. Si tratta dell'iconostasi, che si trova
usualmente nelle chiese bizantine. Lo spazio davanti all'iconostasi (riservato ai fedeli) è detto navata,
quello dietro l’iconostasi (riservato ai celebranti) è detto vima (bema, pronuncia classica). Le aperture
nell'iconostasi, che mettono in comunicazione il vima con la navata, sono in numero di tre,
simmetricamente disposte. La porta centrale è detta Porta Regale, dalla quale passa solo il sacerdote
durante le funzioni.
LA DIVINA LITURGIA NEL RITO BIZANTINO
La celebrazione liturgica bizantina viene celebrata in modo solenne, con molte parti cantate, ad
accompagnare, sottolineare o intervallare le diverse fasi della liturgia. Anche la «liturgia della parola»
(brani delle Sacre Scritture) è cantata. La durata del rito è di circa due ore. Al termine della
celebrazione, la comunità rimane in chiesa per ricevere l’antidoron. La tradizione bizantina conosce
tre forme di divina liturgia: quella di San Basilio, quella di San Giovanni Crisostomo e quella dei
Presantificati.
LA DIVINA LITURGIA NEL RITO BIZANTINO
 La Divina liturgia di San Giovanni Crisostomo quella celebrata comunemente durante tutto
l’anno;
 Quella di San Basilio è celebrata a Natale, all'Epifania, in tutte le domeniche di Quaresima
(eccezion fatta per la Domenica delle Palme), per il Giovedì santo, per la Veglia di Pasqua e nella
solennità di San Basilio;
 La Liturgia dei Presantificati è celebrata il mercoledì e il venerdì di ogni settimana di Quaresima.
Prevede la distribuzione dell'Eucaristia ma non la consacrazione, poiché il pane viene consacrato
la domenica precedente.
LA DIVINA LITURGIA NEL RITO BIZANTINO
Per l'eucaristia il rito bizantino, l'abbiamo visto, non usa il pane azzimo bensi il pane lievitato. Inoltre,
il pane usato per la celebrazione (prosphorà) viene predisposto poco prima della celebrazione
eucaristica vera e propria, durante il rito della Prothesis, cioè "Preparazione", secondo un complesso
simbolismo. La Santa Comunione si presenta sotto le due specie eucaristiche, il pane e il vino.
L'allora patriarca dei melchiti, Gregorio III, durante la divina liturgia di Pentecoste (Roma, 11 maggio
2008), che reca in una mano il candelabro a tre ceri (tricerio), simbolo della Trinità e della sua unione
in Dio, nell’altra uno a due ceri (dicerio), simboleggiante le due nature (umana e divina) del Cristo.
ANNO LITURGICO: è determinato dall'intersecarsi di due diversi cicli, quello delle feste mobili che
dipendono dalla data della Pasqua e quello delle feste fisse che ricorrono a date determinate nel corso
dell’anno. L'anno liturgico bizantino ha inizio il 14 settembre, giorno dell’Esaltazione della Santa e
Vivificante Croce. Vi sono: le feste despotiche, ricordo di eventi della vita di Gesù Cristo; le feste
theomitoriche, relative alla Madre di Dio; le feste aghiasmiche, commemorazione di santi, in genere
nell'anniversario della morte o in quello del trasferimento delle reliquie.
LE DODICI FESTE
Le dodici feste più importanti dell'anno liturgico bizantino sono: 8 settembre, Natività della Madre di
Dio; 14 settembre, Esaltazione della Croce; 21 novembre, Presentazione di Maria al Tempio; 25
dicembre, Natale; 6 gennaio, Teofania; 2 febbraio, Ipapandì (Presentazione di Cristo alTempio); 25
marzo, Annunciazione; 24 giugno, Natività di S. Giovanni Battista; 29 giugno, Santi Pietro e Paolo; 6
agosto, Trasfigurazione; 15 agosto, Dormizione della Madre di Dio; 29 agosto, Decapitazione di S.
Giovanni Battista.

Potrebbero piacerti anche