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STORIA MEDIEVALE

IL PERIODO DI MEZZO (SEC. V – XV)

MILLE ANNI DI STORIA


1. L’idea di Medioevo
Il Medioevo è un’idea elaborata dagli umanisti italiani del XV secolo che interpretano il pe-
riodo, dalla fine dell’impero romano d’Occidente alla fine dell’impero romano d’Oriente, come una
epoca di decadenza rispetto alla civiltà precedente. Coloro che hanno vissuto lungo questo millennio
non sperimentarono però alcuna cesura rispetto al passato.
Giorgio Vasari (XVI secolo) definisce “gotica” l’arte di questo periodo e Giotto (XIV secolo)
è il primo a rompere con i canoni dell’arte del periodo cosiddetto “di mezzo”.
Nel XVI secolo il tedesco Filippo Melantone compone una storia universale nella quale accusa
la tradizione cattolica romana di aver secolarizzato il cristianesimo, portando in seguito alla riforma
protestante di Martin Lutero. La reazione della Chiesa cattolica partì da ambienti monastici bene-
dettini dell’area di Anversa, i quali elaborarono una nuova storia del cristianesimo fondata sulla do-
cumentazione storica originale, tesa a dimostrare la legittimità del primato del papa come capo della
Chiesa.
Nel 1643 vengono stampate le testimonianze delle vite dei santi, gli Acta Sanctorum.
Nel 1678 du Cange pubblica il primo vocabolario del latino medievale: il Glossarium ad scrip-
tores mediae et infimae latinitate.
Nel 1681, Jean Mabillon, benedettino francese, pubblica il De re diplomatica che stabilisce il
metodo per distinguere i documenti autentici dai falsi. Quest’opera si pone alla base della Paleografia
e della Diplomatica.
Georg Horn propone per la prima volta una periodizzazione del Medioevo come età interme-
dia tra l’età antica e l’età contemporanea che si estende dalla caduta dell’Impero Romano d’Occidente
(476) alla fine dell’Impero Romano d’Oriente (1453).
La prima Historia Medioevi viene edita da Christopher Keller nel 1688. La periodizzazione in
quest’opera inizia da Costantino (330) e termina con la caduta di Costantinopoli (1453).
Nel 1758 Voltaire ripropone una interpretazione polemica del Medioevo nel saggio “Sui co-
stumi e lo spirito delle nazioni e sui principali fatti storici da Carlo Magno a Luigi XIII” in cui
sostiene che la chiesa cattolica e le invasioni barbariche avevano procurato una lunga età di decadenza
e di superstizione da cui la civiltà è andata liberandosi a partire dal XVIII secolo, grazie ai lumi della
ragione.
Nel 1776 Edward Gibbon offre una visione positiva del Medioevo ne “La storia della deca-
denza e del declino dell’impero romano” in cui ricerca elementi di innovazione portati dalle popo-
lazioni germaniche e dal mondo musulmano nel Medioevo.
Ludovico Antonio Muratori dirige, tra il 1723 e il 1751, una grande iniziativa editoriale: “Gli
scrittori di Storia italiana” ove invita gli eruditi a lavorare nelle biblioteche per ricercare i testi della
storia dell’Italia tra VI e XVI secolo. È nel Medioevo che comincia a formarsi una lingua e una cultura
italiana, sebbene ancora non politicamente unitaria. Egli scrive settantacinque dissertazioni, le: “An-
tiquitates Italicae Medioevii”, in cui descrive costumi, leggi, istituzioni, cultura e comportamenti
religiosi. È anche il primo intellettuale che individua il progresso delle città italiane dall’XI secolo
in poi, con le università, gli artisti e una cultura comunitaria.
Il romanticismo dei primi decenni del XIX secolo rivaluta gli elementi passionali e religiosi del
Medioevo. Chateaubriand scrive una apologia del cristianesimo, Manzoni scrive i Promessi Sposi,

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Walter Scott scrive Ivanoe, ambientato all’epoca di Riccardo Cuor di Leone. In questo secolo
emerge la professionalizzazione della disciplina storica, che si fonda sull’analisi dei documenti at-
traverso un proprio metodo.
Nel 1818 viene fondata la prima società dedicata alla raccolta della documentazione dell’antica
storia tedesca che pubblica, qualche anno dopo, la collana: Monumenta Germania Historica (MGH).
A Berlino, Leopold von Ranke, è il primo professore di Storia. A Firenze viene fondato, nel 1842,
l’Archivio Storico Italiano.
All’inizio del Novecento alcuni storici tentano di identificare elementi unitari nel Medioevo.
Huizinga scrive, nel 1919, “L’autunno del Medioevo”, in cui analizza la società francese e fiam-
minga degli ultimi secoli.
Hernst Kantorovitz pubblica, nel 1927, la biografia di Federico II.
Nel 1942 Giorgio Falco analizza in ottica “cristiana” il periodo medievale, sotto la guida
dell’impero e del papato (Santa Romana Repubblica). Raffaello Morgen descrive la spiritualità cri-
stiana della società medievale.
Nel 1937 Henry Pirenne scrive “Maometto e Carlo Magno”, un’analisi dei primi secoli del
Medioevo e dell’impronta dialettica tra Islām e impero carolingio.
Marc Bloch pubblica, nel 1939, “La società feudale” e scrive i “Re Taumaturghi”.
Nel Medioevo si forma l’identità storica dell’Europa. È il periodo nel quale si incontrano tre
civiltà: quella romana, quella barbarica e quella cristiana. Questo nucleo si confronterà tra VII e
VIII secolo con due altre civiltà: l’Islām e Bisanzio.
La storiografia italiana riconosce l’inizio del Medioevo con il saccheggio di Roma da parte dei
Visigoti nel 410 o con l’arrivo dei Longobardi nel 569 e la fine con lo sbarco nei Caraibi di Cristo-
foro Colombo, nel 1492. Per i francesi il Medioevo va dalla conversione di Clodoveo, nel 496, alla
fine della guerra dei cent’anni contro gli inglesi, nel 1453. Gli spagnoli preferiscono vedere la fine
del periodo medievale con la reconquista di Granada del 1492. Per i tedeschi il Medioevo termina
con la ribellione di Lutero nel 1517 e l’elezione di Carlo V d’Asburgo. Poiché queste periodizza-
zioni assumono contorni diversi a seconda della prospettiva storica dei popoli europei, è più oppor-
tuno interpretare gli avvenimenti che vanno dal V al XV secolo attraverso “snodi”, cardini che pro-
vocano quei cambiamenti significativi del corso culturale, economico e politico del millennio.
Tra IV e VII secolo i fenomeni che trasformano la società preesistente nella società nuova (inizio
del Medioevo) sono: 1. Crisi delle istituzioni e dell’economia dell’impero romano; 2. Diffusione
del Cristianesimo e sua istituzionalizzazione; 3. Invasioni barbariche.
Tra XIV e XV secolo i fenomeni che segnano la fine del Medioevo sono i seguenti: 1. Crisi
demografica; 2. Crisi economica; 3. Perdita di prestigio e autorevolezza dell’impero e del papato
di fronte alle monarchie e ai comuni; 4. Diffusa aspirazione a nuovi valori religiosi ed etici; 5.
Sviluppo dell’Umanesimo.
Il primo dei tre grandi periodi in cui possiamo dividere il Medioevo (V-IX secolo) è caratteriz-
zato dal potere militare dei comandanti barbarici e da un’economia agricola di tipo signorile.
Nel secondo periodo (X-XII secolo) l’economia non è solo agraria ma anche di scambio di beni
e prodotti, compare il mercante e il chierico. Nell’XI secolo emerge nella Chiesa la figura del ve-
scovo di Roma: il papa, con potere assoluto e indipendente da tutti gli altri poteri. La laicità, come
antitesi al clericalismo, nasce in questo secolo. La ricchezza è più uniformemente distribuita tra le
classi.
La parte finale del Medioevo (XIII-XV secolo) è caratterizzata da una maggiore complessità
della società, ricca di figure di riferimento oltre ai militari ai lavoratori e ai religiosi: mercanti e
intellettuali. In questo periodo avviene lo scisma interno alla chiesa cattolica di Roma (oltre allo
scisma già esistente tra chiesa cattolica e chiesa ortodossa orientale) che porterà, nel XVI secolo, alla
riforma protestante di Lutero.

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Il clima costituisce un elemento fondamentale nell’alternarsi di progresso e decadenza della ci-
viltà medievale. Vi è prevalenza di un clima mite fino alla fine del III secolo; a partire dal IV secolo
segue una fase fredda con l’avanzamento dei ghiacciai; dal IX secolo il clima ritorna mite fino al
XII secolo. Dal XII secolo si ha di nuovo una breve era glaciale che durerà fino alla metà dell’Ot-
tocento. L’irrigidirsi del clima coincide con le fasi di crisi della civiltà medievale. A causa dei cam-
biamenti climatici l’economia, essenzialmente agricola, subisce modificazioni sostanziali che inci-
dono sul ciclo demografico, il quale si articola in tre fasi: depressione (minimo nel VII secolo),
espansione (massimo nel XIII secolo), depressione (minimo nel XIV secolo).

LA TRASFORMAZIONE DELL’IMPERO ROMANO (SEC. III-V)


2. La crisi dell’impero romano e la diffusione del cristianesimo (sec. III-V)
Fino all’inizio del III secolo l’impero romano aveva assicurato sviluppo economico e stabilità
politica nel Mediterraneo ai popoli che ne facevano parte. La pax romana aveva garantito loro il
mantenimento delle proprie istituzioni e religioni in cambio della fedeltà a Roma. Nel 212 fu estesa
la cittadinanza romana a tutti gli uomini liberi dell’impero. A tenere insieme 50 milioni di abitanti
era il sistema statale di comunicazioni stradali, marittime e postali, lo sviluppo di apparati buro-
cratici e militari e l’unità dei gruppi dirigenti, un’aristocrazia urbana dotata di grandi patrimoni
fondiari e raccolta nel Senato. La fine delle conquiste romane determinò un calo della disponibilità
di manodopera schiavistica. Il costo per il mantenimento degli apparati statali determinò un inaspri-
mento del prelievo fiscale. La spesa pubblica superò l’ammontare delle entrate e la coniazione di
moneta di minor valore fece crescere l’inflazione. Il divario tra ricchi e poveri si accentuò, artigiani
e piccoli proprietari terrieri furono costretti a cercare lavoro come braccianti nei latifondi dei senatori.
Aumentò la criminalità attraverso il brigantaggio e la pirateria. I traffici mercantili subirono una con-
trazione. L’elezione degli imperatori dipendeva dall’esercito, composto di soldati reclutati sempre
più tra le popolazioni barbariche.
Diocleziano, imperatore dal 284 al 305, associò al trono Massimiano, cui affidò il governo delle
regioni sul Reno mentre egli governò le regioni danubiane, spostando la residenza a Nicomedia e la
capitale da Roma a Milano (286). Nel 293 nacque la tetrarchia, ai due “augusti” furono associati
due “cesari”: Galerio al governo dell’Illirico e Costanzo Cloro al governo della Gallia e della Bri-
tannia. Nel 297 furono costituite 101 provincie riunite in 12 diocesi a loro volta riunite in 4 prefet-
ture. L’esercito fu diviso in truppe stanziali ai confini (limitanenses) e legioni mobili da combatti-
mento (comitatenses). L’aristocrazia senatoria fu estromessa dal comando. Il numero di soldati arrivò
a 500.000. A sostenere l’incremento della spesa furono il fisco, fondato sul catasto, e il calmiere dei
prezzi sui beni di consumo, ma con scarsi risultati. Dopo lunghi conflitti tra i tetrarchi, Costantino
divenne imperatore e proseguì le riforme di Diocleziano, separando le carriere militari da quelle civili,
legò il sistema monetario all’oro, coniando il solidus. Il baricentro economico, politico e culturale si
spostò ad Oriente, dove Bisanzio divenne Costantinopoli nel 330. Le città dell’Occidente decaddero
mentre in Oriente mantennero un ruolo centrale nel commercio. Le ricchezze fluirono verso Oriente,
dove le differenze fra ricchi e poveri erano meno accentuate perché l’affermazione della piccola pro-
prietà fondiaria impedì la creazione di latifondi, che costituivano invece la base patrimoniale dell’ari-
stocrazia senatoria occidentale. Teodosio, dal 379 al 395, suddivise l’impero tra i due figli: Arcadio
in Oriente e Onorio in Occidente. Nel 402 la capitale fu spostata a Ravenna.
Agli inizi del IV secolo il cristianesimo era una religione minoritaria. Esportato dalla Palestina
da Paolo di Tarso, nel I secolo, il messaggio cristiano si diffuse in Siria, in Asia Minore in Grecia e,
tra II e III secolo, in Africa settentrionale, in Italia, nella Gallia e nella penisola iberica. La religione
politeistica tradizionale dell’impero era influenzata da culti solari, come quello di Mitra. Il rifiuto dei
cristiani a tributare culto all’imperatore fu all’origine delle persecuzioni di Decio nel 249, di Vale-
riano nel 258 e di Diocleziano nel 303. Nel 313 Costantino concesse la libertà di culto con l’editto
di Milano. Gli imperatori individuarono, nelle strutture organizzative delle chiese e nel loro radica-
mento presso le aristocrazie dell’impero, un formidabile strumento di legittimazione del potere. I

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capi delle comunità cristiane locali, i vescovi, erano scelti tra le famiglie che costituivano le élites
urbane. Costantino continuò ad agire come Pontifex maximus convocando, nel 325 a Nicea, il primo
concilio ecumenico che affermò il cattolicesimo, cioè la dimensione universale della Chiesa, custode
della “retta fede” in contrapposizione ai gruppi eretici. Nel concilio fu condannato l’arianesimo,
professato da un sacerdote egiziano, Ario, per il quale Gesù Cristo non era consustanziale al Padre.
Il cristianesimo divenne religione ufficiale dell’impero nel 380, in seguito all’editto di Tessalonica,
emanato da Teodosio. Il cristianesimo rimase una religione prevalentemente urbana, penetrando len-
tamente nelle aree rurali. Il termine “pagano” indicava coloro che non accoglievano la nuova reli-
gione e che vivevano nei villaggi rurali (Pagi).
Per molte popolazioni barbariche la conversione al cristianesimo fu mediata dalla dottrina
ariana, attraverso l’evangelizzazione da parte di vescovi ariani, come Ulfila, autore nel IV secolo
della prima traduzione della Bibbia nella sua lingua. Non tutti i popoli barbarici accolsero la religione
cristiana: mentre gli Ostrogoti di Teoderico cercavano la collaborazione con i romani e ne rispetta-
vano la confessione cattolica, i Longobardi, legati al paganesimo germanico, commisero violenze,
uccidendo i sacerdoti e distruggendo chiese e monasteri.
L’opera di conversione fu promossa dai vescovi cattolici ed era tesa a convertire i re e i capi
militari barbari, il primo dei quali fu il re dei Franchi salii, Clodoveo battezzato, nel 496, dal vescovo
di Reims Remigio. L’adozione della fede cattolica da parte dei sovrani costituiva la legittimazione
del loro potere e fu avversata dalle aristocrazie barbariche degli Angli e dei Longobardi, tra i quali
vi fu una recrudescenza del paganesimo.
3. Le invasioni barbariche
Tra IV e V secolo le regioni mediterranee attrassero le tribù nordiche pressate a loro volta da
altre tribù seminomadi provenienti dalle steppe euroasiatiche probabilmente a causa del peggiora-
mento delle condizioni climatiche. La formazione dell’impero degli Unni, centrato sulla Pannonia,
diede avvio a un processo di spostamenti a catena. L’impero aveva rinunciato alla conquista della
Germania dal tempo di Tiberio (14-37) consolidando il limes in corrispondenza del Reno e del Da-
nubio. I capi delle popolazioni barbariche confinanti ebbero contatti con la corte imperiale, i guerrieri
furono arruolati nell’esercito romano, gruppi di uomini liberi si insediarono come coloni in varie
regioni.
Lo spostamento dei Visigoti alla ricerca di uno stanziamento definitivo destabilizzò l’equilibrio
politico dell’impero tra fine IV e inizio V secolo. Aggrediti dagli Unni entrarono in Tracia nel 375,
ma i saccheggi e le rapine condussero alla guerra l’esercito romano che fu sconfitto nel 378 ad Adria-
nopoli, ove morì l’imperatore Valente. I Visigoti condussero scorrerie in Grecia, in Macedonia,
nell’Illirico e nella
Pianura Padana, dove
saccheggiarono
Aquileia nel 401, mi-
nacciarono Milano,
ma furono respinti dal
generale Stilicone.
Nel 410 Alarico li ri-
condusse in Italia
dove saccheggiarono
Roma. Risalita la pe-
nisola presero il con-
trollo dell’Aquitania
costituendo, nel 418,
il primo regno ro-
mano-barbarico.

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L’integrazione con le popolazioni germaniche avveniva per mezzo della foederatio e della ho-
spitalitas. Con la prima formula, le truppe barbariche venivano inquadrate come alleate, ricevendo
un compenso, come accadde con i Franchi, la seconda prevedeva la concessione di un terzo delle
tasse sulle terre a gruppi etnici che dichiaravano fedeltà all’impero.
All’inizio del V secolo cedettero le frontiere dell’impero; per affrontare i Visigoti il grosso
dell’esercito era stato spostato in Italia, sguarnendo i confini settentrionali. La Britannia fu abban-
donata nel 406, esponendola alle incursioni dei Pitti e degli Scoti provenienti da Scozia e Irlanda. Per
fronteggiarli furono insediati, come federati, gli Angli e i Sassoni, provenienti dal Nord Europa, che
indussero le popolazioni britanniche a ritirarsi nel Galles e oltre Manica, nella regione che da loro
prese il nome di Bretagna. Il limes del Reno fu attraversato nel 406/407 da Alani, Burgundi, Suebi
e Vandali che dilagarono nella Gallia, fronteggiati dai federati Franchi che, nel 409, li ricacciarono
oltre i Pirenei. Tra 415 e 418 i Visigoti dispersero gli Alani, spingendo i Vandali verso l’estremo
sud della penisola iberica, nella regione che prese il nome di Vandalusia. La minaccia degli Unni fu
scongiurata, prima per l’azione militare di Stilicone, poi per la vittoria di Ezio (451) e infine per la
morte di Attila. Nel Mediterraneo, i Vandali si erano spostati in Africa del Nord nel 429, occu-
pando Cartagine sotto Genserico. Tramite azioni di pirateria invasero la Sicilia nel 440, le Baleari,
la Corsica e la Sardegna nel 455 e, nello stesso anno, sbarcati a Ostia, saccheggiarono Roma. L’ul-
timo avamposto gallo-romano fu stabilito dal generale Siagrio dal 464 al 486 tra la Loira e la Senna.
In Italia, nel 476, il generale Sciro Odoacre depose l’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo
Augustolo, inviando a Costantinopoli le insegne imperiali. Odoacre non fu riconosciuto dall’impera-
tore d’Oriente, Zenone, che affidò la prefettura d’Italia a Teoderico che nel 488 aveva guidato gli
Ostrogoti al saccheggio di Costantinopoli. Teoderico sconfisse Odoacre nel 493 e regnò in Italia
fino al 553.

4. I regni romano-barbarici

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Lo stanziamento dei barbari entro i confini dell’impero, nel V secolo, condusse alla formazione
di regni romano-barbarici a sottolinearne la natura mista sul piano etnico e istituzionale. La dimi-
nuzione della popolazione, l’inaridirsi delle attività economiche e l’abbandono delle città conferì
maggiore importanza al mondo rurale, dove le grandi proprietà fondiarie divennero il luogo primario
dell’organizzazione economica e sociale. I latifondi rimasero nelle mani dell’aristocrazia senatoria
che esercitò una crescente influenza su clienti, contadini, coloni e schiavi. Componenti delle famiglie
aristocratiche furono nominati vescovi dopo la conversione al cristianesimo. Con la scomparsa delle
strutture imperiali furono le istituzioni ecclesiastiche a garantire continuità con il passato. Nelle cam-
pagne, i monasteri divennero nuclei di coesione sociale e culturale. Nelle città i vescovi si fecero
carico dell’assistenza agli abitanti.
I barbari furono una minoranza rispetto alle popolazioni di origine romana. Essi si stanziarono
in territori ristretti intorno ai centri di importanza strategica. Il possesso di terre produsse una diffe-
renziazione sociale fra semplici guerrieri e capi militari, dando luogo a una aristocrazia di grandi
possessori e ad un ceto di piccoli proprietari. I re erano capi militari eletti dagli uomini armati riuniti
in assemblea. Nel tempo, la loro funzione si si spostò dal comando di uomini armati al governo di
un territorio. Le risorse dei regni provenivano dal fisco, cioè dal patrimonio della stirpe regnante,
insufficiente però all’amministrazione finanziaria del regno. L’apparato centrale era costituito da ro-
mani alfabetizzati. L’organizzazione dei rappresentanti reali (conti, gastaldi) rimase rudimentale.
I romani continuarono a vivere secondo le regole del diritto romano mentre i barbari conserva-
rono le proprie, prive di elementi di diritto pubblico. Quando i regni si stabilizzarono, le consuetudini
tramandate oralmente furono redatte in latino. Le leggi barbariche subirono l’influsso del diritto
romano e di quello canonico. Possiamo ricordare la Lex visigothorum del V secolo, il Pactus legis
salicae promulgata dai Franchi nel 510, la Lex romana burgundionum del 417, il Liber iudiciorum
del 654 che riguardava visigoti e romani emanata dal re Recesvindo.
Furono pochi i regni che durarono a lungo. L’assetto più fragile fu quello dei Vandali in Africa.
Essi instaurarono un duro dominio militare, un pesante sfruttamento economico e una rigida intolle-
ranza religiosa che alienarono loro l’appoggio delle popolazioni romane. Rifiutarono l’hospitalitas,
favorirono le chiese ariane trasferendo loro i beni confiscati ai vescovi cattolici. Giustiniano, nel
533, con una rapida campagna militare, riconquistò l’Africa e le isole mediterranee disperdendo i
Vandali.
Nel regno ostrogoto i romani conservarono le proprie prerogative di fronte alla minoranza bar-
barica insediata mediante l’hospitalitas. Teoderico attuò inizialmente una politica di convivenza con
le istituzioni romane ma le popolazioni rimasero separate, ognuna con i propri usi e costumi. Alla
corte di Teoderico erano intellettuali come Boezio, Simmaco e Cassiodoro. L’amministrazione ci-
vile era gestita dalla popolazione latina, mentre quella militare dai Goti. Anche le confessioni rima-
sero separate, i Goti ariani e i romani niceni. La capitale rimase Ravenna, dove Teoderico promosse
l’edilizia pubblica, il mantenimento delle vie di comunicazione, le bonifiche del territorio e l’artigia-
nato. Quando Bisanzio iniziò a perseguitare gli ariani in Oriente, Teoderico rispose con una dura
repressione che costò la morte a Boezio e Simmaco e la carcerazione di papa Giovanni I, nel 526. Il
regno terminò nel 553 ad opera dell’esercito bizantino.
Il regno dei Visigoti durò fino all’avanzata dei musulmani, nel 716, grazie ad una profonda
integrazione con le popolazioni latine. Nel V secolo il dominio si estendeva alla Spagna e alla Gallia.
Leovigildo creò strutture di governo di modello romano; il successore, Recaredo, si convertì al cat-
tolicesimo. Le varie componenti del regno si esprimevano nei concili generali aperti, dal 633, all’ari-
stocrazia laica. La fusione etnica fu suggellata dal re Recesvindo con la pubblicazione del Liber
iudiciorum valido per entrambe le popolazioni. Tra VI e VII secolo vi fu una fioritura culturale il cui
massimo esponente fu il vescovo di Siviglia Isidoro, autore dell’enciclopedia: le Etimologie.

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5. I Franchi
Una piena integrazione fu realizzata nel regno dei Franchi. Essi costituivano un insieme etero-
geneo di tribù sparse come i salii e i ripuarii. Vissero sottoposti ai romani, continuando ad obbedire
ai propri re. Nel 406 parteciparono alla difesa del limes e combatterono contro i Visigoti sulla Loira.
Clodoveo, re dal 481 al 511, discendente del leggendario Meroveo, pose le basi per la costruzione
del regno: nel 486 sconfisse l’ultimo nucleo di resistenza gallo-romana, il regno di Siagrio, e arginò
la pressione dei Turingi e degli Alamanni. Nel 507 sconfisse i Visigoti. Si fece battezzare, nel 496,
dal vescovo di Reims Remigio. Egli promosse la fondazione di nuovi monasteri e il culto di san
Martino. Nel 510 fece redigere il Pactus legis salicae, che riguardava le norme di convivenza della
popolazione. Alla morte di Clodoveo il regno fu spartito tra gli eredi. L’espansione territoriale conti-
nuò fino al 536, con l’annessione della Provenza e assoggettando Burgundi, Alamanni e Turingi.
Nel regno si distinguevano due grandi regioni: a Est l’Austrasia, più germanizzata, a Ovest la Neu-
stria, con una maggiore presenza latina. I regni si unirono sotto Clotario II e Dagoberto, all’inizio
del VII secolo. Essi dovettero concedere privilegi all’aristocrazia gallo-romana che avviava i propri
figli alle carriere militari, mentre quella germanica alle cariche ecclesiastiche. Dalle famiglie aristo-
cratiche erano reclutati i conti (comites), ufficiali pubblici con compiti giudiziari e militari, e i duchi,
a capo di più ampie circoscrizioni territoriali.
Nel corso del VII secolo l’amministrazione dei regni era controllata dai “maestri di palazzo”,
o maggiordomi, massimi funzionari di corte che utilizzavano il patrimonio regio per crearsi clientele
militari attraverso la distribuzione di terre. La famiglia aristocratica Austrasica dei Pipinidi rese
ereditaria la carica. Nel 687, Pipino II di Herstal divenne maggiordomo dei regni di Austrasia, Neu-
stria e Burgundia. Il figlio, Carlo Martello, espanse il territorio contro Alamanni, Bavari, Turingi
e Sassoni e nel 732 sconfisse i musulmani a Poitiers. Il figlio di Carlo Martello, Pipino il Breve,
depose il re Childerico III e divenne re nel 751. La dinastia dei pipinidi strinse una forte alleanza
con la Chiesa di Roma.

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6. L’Italia fra Longobardi e Bizantini
Le lotte per la successione a Teoderico offrirono a Giustiniano l’occasione per inviare in Italia
le truppe nel 535. Dopo un lungo conflitto, l’imperatore ristabilì il dominio sull’Italia. Nel 554 emanò
la Prammatica sanzione, estendendo la legislazione bizantina all’Italia e riorganizzando le circo-
scrizioni territoriali.
I Longobardi si erano trasferiti dalle foci dell’Elba in Pannonia alla fine del V secolo. Guidati
dal re Alboino migrarono in Italia nel 569, insediandosi nella Pianura Padana, in Toscana e nei
territori intorno a Spoleto e Benevento. I bizantini dominavano sull’Istria, su Ravenna, sulla Pen-
tapoli, sul territorio di Roma e Napoli, sulla Puglia, sulla Calabria e sulle isole maggiori. L’Italia
si trovò divisa tra due dominazioni profondamente diverse per tradizioni, istituzioni, religione e lin-
gua. L’insediamento dei Longobardi disperse l’aristocrazia senatoria. Le terre furono confiscate e
distribuite tra i membri dell’esercito che divennero proprietari fondiari, pur restando in armi (ari-
manni), mentre i servi e gli uomini semiliberi (aldii) erano destinati ai lavori agricoli. I Longobardi
si distribuirono nel territorio in gruppi familiari con funzioni militari (fare), sottoposti a capi guer-
rieri: i duchi, cristiani di fede ariana, mentre il popolo seguiva i culti pagani. Dopo un decennio di
divisioni politiche senza re, Autari e Agilulfo (VI – VII secolo) rafforzarono l’autorità regia, emar-
ginando i duchi più riottosi e costituendo un patrimonio fiscale dalla metà delle terre cedute loro dai
duchi stessi. Grazie alla mediazione della regina Teodolinda e di papa Gregorio Magno, la contrap-
posizione tra longobardi ariani e romani cattolici fu superata. I sovrani patrocinarono le fondazioni
monastiche come Bobbio, fondata dal monaco Colombano. Nel 626 fu costituita, a Pavia, la corte
(palatium) da parte di Rotari, che rafforzò il potere regio e trasformò i duchi in ufficiali del re a capo
di circoscrizioni centrate intorno a città importanti e affiancati dagli sculdasci con funzioni minori.
Le grandi aziende agrarie
erano affidate ai gastaldi. Nel
643 fu emanato un editto che
sanciva le norme della vita ci-
vile, dei patrimoni e della di-
sciplina militare. Il dominio
longobardo fu esteso alla Li-
guria e all’entroterra veneto.
L’insieme dei territori bi-
zantini fu riorganizzato, alla
fine del VI secolo, e affidato
ad un esarca che risiedeva a
Ravenna. I duchi erano re-
sponsabili della difesa regio-
nale. Le difficoltà di collega-
mento resero indipendenti i
vari ducati, solo la Sicilia era
governata direttamente da Bi-
sanzio. I patrimoni ecclesia-
stici di Roma e Ravenna creb-
bero, mentre acquisirono auto-
nomia le comunità di rifugiati
delle isole venete, nucleo della
futura Venezia.
La società italica, etnica-
mente mista, si consolidò sotto
il re longobardo Liutprando
nei primi decenni dell’VIII se-
colo, il quale si fregiò del
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titolo di christianus et catholicus princeps. Approfittando dell’indebolimento dei bizantini puntò,
nel 727, alla conquista dell’esarcato. Il papato sollecitò allora una vasta mobilitazione contro i lon-
gobardi, Astolfo e Desiderio occuparono Ravenna ma i Franchi conquistarono il regno, nel 774,
con Carlo Magno, che si fregiò del titolo di re dei Franchi e dei Longobardi. Nella toponomastica
rimase viva la tradizione longobarda grazie alla stesura, nell’VIII secolo, della Historia Langobar-
dorum di Paolo Diacono. Caduto il regno, i duchi di Benevento acquisirono il titolo di principes,
del regno meridionale d’Italia. Il principato riuscì a mantenere la propria indipendenza, nonostante i
conflitti interni e la conquista della Sicilia da parte degli arabi, che posero un emirato a Bari nell’842.
Eclissatosi il potere bizantino, il papato assunse più potere su Roma. I rapporti con l’impero si in-
terruppero a causa del rifiuto dell’iconoclastia promossa da Leone III, nel 726. Minacciati dai Lon-
gobardi, i papi si rivolsero alla dinastia dei pipinidi che donò loro, nel 756, i territori compresi tra
Ravenna e la Pentapoli.

L’ETÀ POST-CAROLINGIA – (SEC. IX – XI)


ECONOMIA, SOCIETÀ E POLITICA
7. Nuovi sviluppi economici; le città e la crisi dell’impero; le nuove invasioni
Dal III secolo la popolazione europea calò progressivamente fino al VI secolo a causa di guerre,
carestie ed epidemie. Le invasioni barbariche e le ondate epidemiche si attenuarono nel corso del
VII secolo e la popolazione iniziò una lenta crescita. Accanto al declino demografico la società eu-
ropea conobbe un forte impoverimento. Dal VII secolo non vi è più traccia di edilizia monumentale
né della presenza del commercio attivo nel Mediterraneo. Si contrassero gli scambi in moneta, le città
persero la loro centralità come luoghi di consumo e ridistribuzione della ricchezza. Nel lungo periodo,
però, la scomparsa delle imposte statali rimise in circolazione un po’ di denaro. Tra il VII e l’VIII
secolo emerse una domanda economica nuova proveniente dalle aristocrazie e dai grandi proprie-
tari fondiari, laici ed ecclesiastici. I sovrani carolingi incentivarono i nuovi mercati portuali (empo-
ria) sulle coste del Mare del Nord.
La schiavitù persistette fino al X secolo nelle campagne. Tra III e VI secolo anche i liberi col-
tivatori (coloni) furono costretti a risiedere nelle terre in affitto. Gli Schiavi che lavoravano la terra
occupata da una casa (servi casati) e i coloni condividevano lo stesso status sociale. Il servus divenne
una persona giuridica. Dopo il Mille si diffuse l’affrancamento dalla schiavitù. La caratteristica
fondamentale della trasformazione dell’Occidente europeo fu la ruralizzazione della società che si
raccolse attorno a grandi proprietà fondiarie, le villae o curtes.
L’impianto cittadino di età romana centrato sulla piazza (forum) sulla quale si affacciavano gli
edifici pubblici (curia, praetorium) fu sostituito da nuovi poli aggregativi intorno alle istituzioni ec-
clesiastiche: la cattedrale, il battistero, il cimitero, il palazzo vescovile, che sorgevano accanto alle
porte della cinta muraria. I poteri pubblici furono appannaggio delle gerarchie ecclesiastiche.
Nell’Italia bizantina i grandi proprietari fondiari continuarono a risiedere in città dove avevano sede
le autorità pubbliche. Con l’impero carolingio le città furono sede delle circoscrizioni politico-ammi-
nistrative governate dai conti. Negli emporia del Mare del Nord e in alcuni porti del Mediterraneo,
come Napoli, Venezia e Amalfi il commercio stimolò l’attività manifatturiera tessile, le costruzioni
navali e l’artigianato. In Italia e in Gallia, intorno alle istituzioni episcopali, emerse uno strato di
cittadini colti, espressione delle vecchie famiglie aristocratiche senatorie. I vescovi acquisirono il
pieno potere dopo la dissoluzione dell’impero carolingio legittimato, a partire dal X secolo, dalla
concessione del districtus, cioè la prerogativa di costringere ed obbligare. Il vescovo si circondò di
vassalli, di giudici e notai per il governo della città. Nel X secolo maturarono le prime espressioni di
autonomia politica da parte dei cives, al di fuori della rappresentanza vescovile.
Alla deposizione di Carlo il Grosso, nell’887, l’impero si divise in più regni. I sovrani erano
appoggiati da gruppi aristocratici, ma il loro potere era precario perché al loro interno si formarono
dominazioni politiche locali: i “principati”. Conti e marchesi resero ereditario il loro status,

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riducendo la capacità di controllo del sovrano. Dalla fine del IX secolo le circoscrizioni dei comitati
e delle marche si trasformarono, riducendo l’estensione del territorio e diventando contee e marche-
sati. I nuovi signori, inseriti in una rete di clientele armate e di alleanze con le aristocrazie, incontra-
rono l’opposizione degli ecclesiastici. Vescovi e monasteri ottennero quindi dai sovrani concessioni
di immunità fiscale, estese in seguito anche ai grandi proprietari laici, creando isole di giurisdizione
autonoma delle contee, dei marchesati e dei ducati. Alla fine del X secolo si affermò la potenza dei
conti di Parigi che ottennero, nel 987, il titolo regio con Ugo Capeto. Nel sud della Francia, accanto
ai ducati (Aquitania, Guascogna) e alle contee (Tolosa) si formarono due regni di carattere regio-
nale, quello di Borgogna e quello di Provenza.
La situazione nel regno italico fu instabile a causa delle contese tra quattro famiglie: i duchi di
Spoleto, di Toscana, di Ivrea e del Friuli, coinvolgendo anche i regni di Borgogna e di Provenza e
i duchi di Carinzia. Il re di Germania, Ottone I, fu sollecitato dal papa ad intervenire contro Beren-
gario II di Ivrea e ricevette la corona di re d’Italia nel 961 e la corona imperiale nel 962.
Nel regno dei Franchi orientali, fu eletto il figlio di Ludovico il Germanico, Arnolfo di Ca-
rinzia (887-899), che anche in Germania dovette fronteggiare la presenza dei ducati regionali. En-
rico di Sassonia (919-936) sconfisse gli Ungari nel 933. Il figlio, Ottone I (936-973) rafforzò l’au-
torità regia, integrando i vescovi e gli abati e respingendo le invasioni ungare, sconfitte nel 955 a
Lechfeld; infine avviò l’espansione a Oriente inglobando il ducato di Boemia e creando nuove sedi
vescovili (Magdeburgo). Nel 962 restaurò l’autorità imperiale centrata sull’area tedesca. Non pos-
sedendo un apparato burocratico, gli imperatori della dinastia Sassone rinunciarono ad emanare leggi
e ad esercitare la giustizia, concedendo privilegi agli interlocutori locali attraverso i diplomi. Con il
privilegium del 962, Ottone riconobbe le donazioni carolingie alla Chiesa, ma stabilì che il papa
dovesse prestare giuramento all’imperatore. Il nipote, Ottone III, pensò a una renovatio imperii
elaborata dal teologo Gerberto d’Aurillac, che fece eleggere papa nel 999.
La perdita di autorevolezza degli ultimi imperatori carolingi fu determinata anche dalla loro in-
capacità di garantire la sicurezza dell’impero dalle incursioni dei Saraceni, che utilizzavano gli emi-
rati di Bari e Taranto per operazioni di pirateria. Esse terminarono solo nel X secolo. Dalla fine del
IX secolo anche gli ungari, provenienti dalle steppe intorno agli Urali, saccheggiarono Pavia nel
924 e furono utilizzati come mercenari nei conflitti interni alla cristianità. Furono i re sassoni di Ger-
mania, con la diffu-
sione della cavalleria
leggera, a sconfiggerli
nel 933 e nel 955. Da
quel momento si stabi-
lirono in Pannonia e si
convertirono al cristia-
nesimo sotto il re Ste-
fano I (1001-1038).
Dalla metà del IX se-
colo apparvero sulle
coste dell’Europa del
Nord pirati provenienti
dalla Scandinavia, i
Nortmann, che risali-
vano i corsi fluviali con
speciali imbarcazioni
depredando città e ab-
bazie. Dalla Norvegia,
i Vichinghi mossero

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verso la Scozia, l’Irlanda, l’Islanda e la Groenlandia. Dalla Svezia, i Vareghi, scesero fino a Bisanzio
attraverso i fiumi europei, venivano chiamati “Rus” dalle popolazioni balcaniche e diedero vita al
primo embrione della Russia, centrato su Kiev. Dalla Danimarca, i Normanni si spinsero verso
Inghilterra e Francia, creando un ducato nella Francia settentrionale che prese il nome di Norman-
dia.

I POTERI LOCALI
8. L’organizzazione economica: il sistema curtense

In età carolingia le grandi


proprietà fondiarie organizzarono
l’attività agricola intorno ad
aziende (curtes), caratterizzate da
una bipartizione funzionale.
Nella riserva padronale (domi-
nico), il proprietario faceva con-
durre i lavori direttamente dai pro-
pri schiavi (servi prebendari),
che vi risiedevano a totale carico,
alloggio e vitto (prebenda) del
padrone. Nella parte a conduzione
indiretta (massaricio), i lavori
erano portati avanti da famiglie di
coltivatori liberi, cui erano affi-
dati degli appezzamenti (mansi)
con patti a lunghissimo termine.
Le aziende erano disperse in terre
non contigue, inframezzate da
quelle di altri proprietari. Il le-
game tra le due parti era rappresentato dall’obbligo per i contadini del massaricio di prestare corvée
sulle terre del dominico a integrazione del lavoro degli schiavi. Il sistema curtense si affermò
nell’VIII secolo nelle aziende agrarie regie e abbaziali tra la Loira e il Reno e si diffuse in Italia
dopo la conquista franca. Questo sistema era basato sull’autosufficienza, il surplus agricolo era com-
mercializzato in centri di scambio rurale (stationes), nei mercati, o negli emporia, sul Mare del Nord.
Esso permise un notevole accumulo di ricchezza, che i proprietari investivano nella costruzione di
mulini ad acqua. La progressiva riduzione del dominico a favore del massaricio, tra il IX e l’XI
secolo, ottimizzò le rendite, ricavando più ricchezza dalla gestione indiretta delle famiglie contadine
che si ritrovarono sottomesse al potere signorile. La rivolta di Sterlinga, in Sassonia, nell’841, fu il
sintomo dell’affermazione di un dominio aristocratico oppressivo.

9. Il potere politico: l’ordinamento signorile e i legami vassalatico-beneficiari; l’in-


castellamento
Protagonisti della frammentazione dei poteri locali furono le grandi famiglie di ufficiali pub-
blici, conti, marchesi ed enti ecclesiastici. Alla metà del IX secolo i beni fondiari della Chiesa am-
montavano a un terzo di tutta la terra disponibile; gli abati e i vescovi l’amministravano come i pro-
prietari laici. Nell’età post-carolingia si affermò un sistema sociale, aristocratico, che si fondava
sugli arricchimenti resi possibili dal sistema curtense. La necessità di trasmettere i patrimoni cambiò
le strutture familiari che passarono da un sistema cognatizio ad un sistema agnatizio a discendenza

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patrilineare. I patrimoni dell’aristocrazia erano costituiti da terreni di piena proprietà, gli allodi, e
da terre concesse in beneficio dal re o da un altro signore e poi rese ereditarie. Intorno alle grandi
proprietà laiche ed ecclesiastiche si affermarono poteri di comando, di giustizia e di esazione fiscale
che costituirono il fondamento del potere signorile. La costruzione di fortezze e castelli, tra IX e X
secolo, rafforzò il potere locale. Tra X e XI secolo il signore amministrava la giustizia, l’organizza-
zione militare e la riscossione delle tasse. Ai proventi dei sovrani (fodro – tassa pubblica sulle terre;
albergaria – diritti dei conti a essere alloggiati presso i contadini o i monasteri a loro spese) si ag-
giunsero altri tributi: taglie, collette e accatti. L’esercizio dei diritti del signore nei limiti del suo
possesso fondiario identifica la “signoria fondiaria”. Il caso più frequente era però la signoria estesa
a tutti i residenti di un determinato territorio, la “signoria territoriale”, o “ banno”.
Le tendenze alla frammentazione locale del potere erano controbilanciate dalla trama di relazioni
personali, vassallatiche, che legavano i grandi e i piccoli signori. Le relazioni di fedeltà furono il
collante della società occidentale europea tra l’VIII e l’XI secolo. Furono i Franchi a perfezionare,
nell’VIII secolo, un rapporto di natura personale che vincolava due individui attraverso uno scam-
bio tra servizio militare e beneficio. Il bene concesso, in godimento vitalizio, come corrispettivo al
servizio prestato, era detto “beneficio”. Dal X secolo fu sostituito dal termine germanico “feudum”.
Il re aveva un largo seguito di vassalli; a loro volta, gli aristocratici si dotavano di clientele armate.
Il moltiplicarsi dei legami vassallatici richiese una crescente disponibilità di terre, si faceva quindi
ricorso al patrimonio ecclesiastico, incamerato con l’occupazione o con contratti di cessione a lun-
ghissimo termine (enfiteusi). Nell’ordinamento carolingio, alla morte del beneficiario, i titoli e i be-
nefici dovevano tornare al re; in realtà era solito che venissero riconfermati agli eredi. La tendenza a
rendere ereditari i benefici si consolidò tra IX e XI secolo. Nel 1037 l’imperatore Corrado II decretò,
attraverso l’Edictum de beneficiis, che un vassallo non potesse perdere un beneficio senza giusta
causa.
A partire dalla seconda metà del IX secolo fu edificata una fitta rete di castelli. Le ragioni del
fenomeno, che si protrasse fino al XII secolo, derivavano dalla necessità di difendersi contro Sara-
ceni, Ungari e Vichinghi. Erigere un castello divenne un mezzo per estendere l’autorità del signore
sui residenti delle terre limitrofe. Nella Francia centro-settentrionale furono re, principi e conti a
edificare castelli di grandi dimensioni, in Spagna e in Italia si formò una rete di insediamenti medio-
piccoli. Qui l’incastellamento produsse una rivoluzione dell’habitat, la popolazione si concentrò nei
nuovi abitati fortificati. Il castello era anche sede di mercato.

LE TRASFORMAZIONI DELLA CRISTIANITÀ (SEC. III – XIII)


10. Le chiese locali e l’età dei concili
La diffusione del cristianesimo fu accompagnata da un’organizzazione ordinata delle comunità:
le Chiese. Fondamentale fu la separazione tra laici e clero. Responsabile di ogni comunità era il
vescovo, affiancato dai sacerdoti incaricati delle celebrazioni liturgiche e dai diaconi, che svolge-
vano compiti di assistenza. I laici partecipavano assieme al clero all’elezione del vescovo. All’au-
mento dei fedeli corrispose un incremento della ricchezza del clero, per lasciti in denaro, oggetti
preziosi, edifici e terre. Questi beni erano inalienabili, tutelati da confische ed esenti dalle imposte.
Le chiese si svilupparono nelle città e il vescovo esercitava l’autorità sul territorio circostante: la
diocesi. Nel V secolo le campagne furono evangelizzate attraverso la fondazione di chiese battesi-
mali: le pievi, controllate dal clero cittadino. I vescovi venivano scelti tra le famiglie aristocratiche
delle élites urbane e diventarono punti di riferimento delle clientele di laici ed ecclesiastici. Tra IV e
V secolo, raggruppamenti di più diocesi furono sottoposti all’autorità di un vescovo di ordine supe-
riore: il metropolita, che confermava i vescovi della propria provincia. I metropoliti di provincie
particolarmente importanti, come Roma, Costantinopoli, Antiochia, Alessandria e Gerusalemme
ebbero il titolo di patriarchi. Fino a tutto il X secolo, la Chiesa era priva di una organizzazione
centralizzata e di un vertice che in seguito sarà il papa. Un ruolo essenziale era svolto dalle assemblee

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del clero, indette dai metropoliti: i sinodi. Le grandi adunanze, i concili, erano meno frequenti. Nei
concili si definivano le verità di fede (dogmi) e si emanavano le leggi e le norme ecclesiastiche, i
canoni. Il cristianesimo dei primi secoli presentava interpretazioni diverse dei dogmi a causa delle
differenze culturali tra le comunità cristiane. Un primo conflitto dottrinale si ebbe quando un sacer-
dote di Alessandria, Ario, contestò la consustanzialità di Gesù con il Padre, dottrina che fu condan-
nata come eretica dal concilio di Nicea del 325, convocato da Costantino. Altre interpretazioni fu-
rono il nestorianesimo, dal patriarca di Costantinopoli Nestorio, che professava la doppia natura,
umana e divina, di Cristo; Il monofisismo che sosteneva invece la sola natura divina di Cristo. Queste
dottrine furono condannate come eretiche, la prima nel concilio di Efeso del 431, e la seconda nel
concilio di Calcedonia del 451. L’editto dei Tre Capitoli, emanato da Giustiniano nel 544, che
condannava il nestorianesimo, aprì un conflitto tra il papa, Vigilio, e i vescovi orientali, che si pro-
trasse fino al VII secolo. Tra le pratiche dei cristiani si diffuse la venerazione per i santi, per i martiri,
e per le reliquie. In età moderna fu affrontato lo studio critico di questa letteratura, detta agiografica,
che provvide a separare gli aspetti leggendari da quelli più attendibili.

11. Il monachesimo e il monopolio ecclesiastico della cultura


Accanto all’affermarsi delle chiese urbane, l’altra principale esperienza di vita cristiana fu ca-
ratterizzata, dal III secolo, dalla scelta monastica, in risposta all’esigenza diffusa di preghiera e di
distacco dal mondo. Una delle prime forme di monachesimo fu praticata in Egitto, in Palestina e in
Siria, dove alcuni cristiani si rifugiarono nel deserto, conducendo una vita solitaria: gli eremiti. Ac-
canto al monachesimo si sviluppò un altro modello di adesione cristiana, in cui i monaci vivevano
in comunità, condividendo la preghiera, il lavoro, la penitenza e la mensa: il cenobitismo. A capo
delle comunità stava l’abate. Dopo la metà del IV secolo le esperienze monastiche si diffusero in
Occidente, coinvolgendo anche le donne. Comunità cenobitiche sorsero in Gallia e a Roma, diffon-
dendosi poi in tutta Italia, Spagna e Irlanda. A Roma, alla fine del IV secolo, molti aristocratici co-
minciarono a praticare l’ascesi sotto la guida del monaco dalmata Girolamo.
Il sorgere di comunità numerose richiese la stesura di norme che regolassero la vita dei monaci.
Le prime raccolte di regole vennero prodotte in oriente, nel IV secolo, da Pacomio e da Basilio di
Cesarea ed ebbero grande influenza sul monachesimo bizantino. In Occidente lo furono quelle del
fondatore dell’abbazia di Montecassino, Benedetto da Norcia e di Cesario di Arles. Le regole fu-
rono uniformate dall’imperatore Ludovico il Pio che, nell’817, dispose che la regola benedettina
divenisse il testo di riferimento per tutti i monasteri dell’Europa carolingia. I monaci furono i prota-
gonisti dell’evangelizzazione delle popolazioni rurali. In Irlanda, che non era stata colonizzata dai
romani ed era abitata da tribù celtiche (druidi), l’evangelizzazione fu avviata, nel V secolo, da un
monaco della Britannia, Patrizio. I monasteri furono centri di irradiamento politico, economico e
culturale. Fondati da sovrani e dalle grandi famiglie aristocratiche, divennero destinatari di dona-
zioni e lasciti. Lo stile di vita monastico arricchiva le comunità con biblioteche e scriptoria; furono
centri di organizzazione economica e politica della società rurale, punti di riferimento per individui
che potevano entrare a far parte della comunità come monaci, o conversi, o come dipendenti, servi o
clienti. Numerosi monasteri promossero bonifiche, divennero gestori di aziende curtensi, centri di
produzione e smercio di alimenti e manufatti artigianali. Molte abbazie furono fortificate e difese da
un sistema di castelli custoditi da cavalieri, legati per via vassallatica, mentre gli abati esercitavano
poteri di tipo signorile.
La società occidentale dei secoli VII – XI fu una società analfabeta. Tre furono le cause prin-
cipali: la scomparsa delle scuole dell’impero tra V e VI secolo; la cultura orale delle popolazioni
barbariche; i nuovi assetti economici che non incentivavano la produzione e la conservazione di
documenti scritti. Leggere e scrivere era necessario solo agli uomini di chiesa, al fine di leggere le
Scritture e diffondere la Parola di Dio. Dal VI secolo le scuole cristiane divennero il luogo di ap-
prendimento anche dei laici. Dall’VIII secolo si diffusero scuole nei monasteri. Negli scriptoria si
redigevano commenti alle Scritture, testi agiografici, raccolte omiletiche, o si ricopiavano testi

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classici latini. Questi venivano selezionati e valutati per la loro accettabilità dal punto di vista cri-
stiano. Un corpus di 150 opere comprendeva Virgilio, Ovidio, Cicerone, Seneca e altri. Venivano
letti e diffusi anche gli scritti dei padri della Chiesa, come Agostino e Tertulliano. Le nozze di Mer-
curio e Filologia di Marziano Cappella suggerirono la ripartizione delle discipline del sapere nel
Trivio (grammatica, retorica e dialettica) e nel Quadrivio (astronomia, matematica, geometria e mu-
sica). Carlo Magno promosse l’istruzione per formare i funzionari pubblici e il clero, impegnato
nella cristianizzazione. Furono riorganizzate le scuole e arricchite le biblioteche. Presso la corte dei
sovrani si raccolse un’accademia di intellettuali, detta schola palatina.

12. Le riforme della Chiesa: la Chiesa pontificia


Lo sviluppo di poteri territoriali da parte di vescovi e abati diede vita a una fitta rete di signorie
ecclesiastiche. Le famiglie aristocratiche avevano fondato abbazie e monasteri e controllavano la
designazione dei vescovi, degli abati e dei chierici, cercando di rendere ereditarie le cariche. Ve-
scovi e abati continuavano a seguire lo stile di vita degli aristocratici laici, mentre il clero inferiore
era privo di cultura. I sovrani carolingi avvertirono la necessità di riforme per restituire prestigio alle
autorità ecclesiastiche ed efficacia all’azione pastorale. Si migliorò la formazione del clero; fu pro-
mosso un riordinamento territoriale delle sedi episcopali subordinato ai metropoliti; fu istituita la
decima, gestita dal vescovo e destinata a sostenere il clero e a soccorrere i poveri (779); a tutte le
comunità monastiche furono estese le regole benedettine (817). Le donne furono escluse dall’am-
ministrazione dei beni della Chiesa. In Germania i legami tra re e vescovi furono rafforzati dalle
concessioni fatte dagli Ottoni. Con il Privilegium del 962 fu ribadito il controllo imperiale sull’ele-
zione pontificia, sancito dalla Constitutio romana di Ludovico il Pio, nell’824. Fino al 1058, i papi
furono tutti legati all’imperatore. Dal X secolo emerse, nella comunità cristiana, la necessità di una
moralizzazione dei costumi del clero. Fino alla seconda metà dell’XI secolo mancò un soggetto ca-
pace di coordinare le diverse istanze. L’autorità papale era subordinata a quella imperiale e ostaggio
delle grandi famiglie romane che si contendevano la scelta dei pontefici. Anche nel mondo mona-
stico si rese necessario ridare credibilità alla Chiesa. I protagonisti furono i monaci dell’abbazia di
Cluny, fondata nel 910 in Borgogna dal duca di Aquitania, Guglielmo. L’abbazia acquisì una forte
autonomia sotto i monaci Maiolo e Odilone. La riforma di Cluny non contestava le ricchezze della
Chiesa, ma proponeva di rimodellarla in senso monastico, privilegiando la purezza del corpo e la
preghiera. I monaci di Cluny si specializzarono nelle opere di misericordia e nello studio. Il lavoro
manuale era demandato a conversi e servi. Grazie alle donazioni dei potenti, l’ordine cluniacense
divenne una potenza della Chiesa riformata. Contribuirono al rinnovamento monastico le esperienze
eremitiche di Romualdo di Ravenna e Giovanni Gualberto che fondarono gli eremi di Camaldoli
e Vallombrosa.
Anche nel clero secolare (al di fuori dei monasteri) emersero impulsi a forme di vita più spiri-
tuali. La sensibilità dei fedeli era ferita dalla compravendita delle cariche ecclesiastiche (simonia) e
dal concubinato (nicolaismo). La moralizzazione guidata dal cardinale Umberto di Silvacandida e
dal monaco Pier Damiani, puntò alla deposizione dei sacerdoti simoniaci e alla scomunica dei preti
concubinari. Una forte spinta venne anche dal laicato cittadino. Si cominciò a predicare l’ideale
evangelico della povertà. Violente lotte si ebbero nei decenni centrali dell’XI secolo a Firenze e a
Milano, dove il movimento popolare (pataria) non riconosceva la validità dei sacramenti ammini-
strati da sacerdoti simoniaci o concubinari. Rispetto al monachesimo, i movimenti laicali erano più
radicali e mettevano in discussione la Chiesa come istituzione. Per questo il clero riformatore smussò
gli eccessi pauperistici, temendone la carica eversiva. L’imperatore Enrico III (1039 – 1056) depose
nel 1045 tre contendenti al soglio pontificio appartenenti a famiglie romane, nominando papi rifor-
matori come il cluniacense Leone IX (1049 – 1054). Niccolò II accelerò la riforma convocando, nel
1059 a Melfi, un concilio che fissò nuove regole per l’elezione pontificia, ora riservata ai soli cardi-
nali (i vescovi titolari delle basiliche confinanti con quella di Roma), escludendo i laici e l’impera-
tore. L’effetto fu che il successore, Alessandro II, non fu riconosciuto dall’imperatore.

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Nel 1073 il cluniacense Ildebrando di Soana (Gregorio VII) impose alla Chiesa un modello
fortemente gerarchizzato, escludendo i poteri laici da ogni ingerenza nella vita ecclesiastica. Il nuovo
impianto monarchico della Chiesa vedeva il papa come unico vertice e la netta separazione fra laici
ed ecclesiastici fondata sul celibato del clero. Assetto che avrebbe caratterizzato la Chiesa cattolica
fino a oggi. La rivendicazione gregoriana della libertà della Chiesa (libertas ecclesiae) da ogni potere
laico incrinò i rapporti tra papato e impero. La sacralizzazione del potere imperiale, tradizionale
nell’impero bizantino, era riemersa in Occidente con Carlo Magno; privare l’imperatore della pre-
rogativa di eleggere il papa significava minare la sacralità del suo potere. Gregorio VII diede fonda-
mento dottrinale al primato papale attraverso un testo del 1075, il Dictatus papae. Solo il papa poteva
istituire e deporre i vescovi, convocare i concili, deporre gli imperatori, sciogliere i sudditi dall’ob-
bedienza ai sovrani. Chi si opponeva alla Chiesa romana poteva essere accusato di eresia. Il papato
aveva trovato, sin dal 1059, appoggio politico nei Normanni, in cambio del riconoscimento dei titoli
di duca di Puglia e Calabria. Gregorio impose il riconoscimento della supremazia papale ai sovrani
cristiani, che gli si dichiararono vassalli: dal principe di Kiev, ai re di Inghilterra, Ungheria, Croa-
zia e regni iberici.
L’investitura laica era all’origine della corruzione del clero e i vescovi, preoccupati di perdere
le loro ricchezze, si schierarono con l’imperatore. Nel 1076, Enrico IV convocò un concilio di ve-
scovi tedeschi che depose il papa; Gregorio reagì scomunicando l’imperatore. Enrico IV indusse il
pontefice a revocare la scomunica con un clamoroso atto di penitenza ma, non appena rilegittimato,
fece eleggere come antipapa l’arcivescovo di Ravenna, insediandolo a Roma con la forza nel 1084.
Gregorio VII fu tratto in salvo dai Normanni ma morì a Salerno l’anno seguente. Dopo conflitti e
trattative fra papato e impero (Lotta per le investiture), si giunse a un accordo sottoscritto a Worms
nel 1122 da Callisto II ed Enrico V. Il concordato stabiliva che l’elezione dei vescovi dovesse essere
fatta, nel rispetto dei canoni, dal clero e dal popolo delle città, distinguendo la consacrazione spiri-
tuale, riservata al clero, dall’investitura temporale, lasciata all’imperatore. Dal conflitto l’autorità
pontificia ne uscì rafforzata. Tra XI e XII secolo la Chiesa romana cominciò a operare come “curia”,
cioè come centro di governo. I concili ecumenici tornarono a essere frequenti e convocati a Roma e
per questo detti “lateranensi”. Si diffuse l’uso di inviare i “legati” pontifici in paesi lontani. Propo-
nendosi come guida suprema della cristianità, il papato guidò il movimento crociato che, dalla fine
dell’XI secolo, si propose di liberare i luoghi santi della Palestina, occupati dai musulmani.

13. Dissensi, eresie e nuovi ordini religiosi; il cristianesimo orientale; le per-


secuzioni degli ebrei
Il ruolo monarchico e autoritario del papato provocò malumori fra i cristiani che non vi ricono-
scevano più i valori evangelici. Contestazioni provennero dal mondo laico radicalizzando i movimenti
pauperistici e patarinici. Il potere ecclesiastico, dall’XI secolo, bollò come eretiche le forme di
dissenso,. A differenza delle eresie dei primi secoli, centrate su questioni teologiche, adesso esse
sorgevano dal laicato e contestavano le ricchezze e il potere del clero. Un movimento pauperistico
fu avviato da un mercante di Lione, Valdo (1170 – 1217), che predicava il vangelo in volgare. Il
movimento del cistercense Gioacchino da Fiore (1145 – 1202) predicava l’avvento dello Spirito
Santo. Il movimento ereticale più diffuso, tra XII e XIII secolo, in Francia, Italia, Bulgaria, fu quello
dei Catari (puri). Essi credevano nella presenza nel mondo dei principi del bene e del male sempre
in conflitto tra loro. Il rifiuto del Battesimo e dell’Eucarestia, scatenò su di essi violente persecuzioni.
Di fronte a predicazioni che contestavano la ricchezza e il potere temporale della Chiesa, come quella
del canonico Arnaldo da Brescia che, nel 1148, riuscì a cacciare da Roma con una sommossa il papa
Eugenio III, il papato reagì con durezza. Inizialmente gli eretici furono scomunicati attraverso bolle
papali che, nel 1184, condannarono Catari e Valdesi. Successivamente, alcune decretali di Inno-
cenzo III del 1199, li equipararono ai rei di lesa maestà, condannandoli a morte. Nel 1208 il papa
bandì una crociata condotta da aristocratici che sterminò i Catari di Albi, nella Francia meridionale.
Nel 1231 Gregorio IX avocò a Roma la guida della repressione giudiziaria dell’eresia, affidata ai

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frati domenicani. Alla metà del secolo fu introdotta la tortura. La Chiesa seppe anche ricondurre
alcuni movimenti religiosi all’ortodossia (carmelitani, crociferi, serviti). Vastissima diffusione in
tutta Europa ebbero gli ordini fondati da Domenico di Guzman (1170 – 1221) e Francesco di Assisi
(1182 – 1226), detti “mendicanti”. La regola dei domenicani fu approvata nel 1216 da Onorio III.
Molti esponenti dell’ordine, come Tommaso d’Aquino (1225 – 1274), insegnarono nelle università.
Francesco fu straordinario esempio di vita improntata alla povertà assoluta, all’umiltà, all’esaltazione
della pace e della fratellanza. La sua intransigenza gli attrasse sospetti di eresia, ma la sua dichiara-
zione di fedeltà alla Chiesa consentì la costituzione dell’ordine dei francescani, detti frati minori.
Dopo l’approvazione di Innocenzo III, nel 1209, Onorio III ne approvò la regola nel 1223. Su in-
coraggiamento di Francesco, Chiara di Assisi (1194 – 1253) fondò un gruppo di “sorelle”, le “cla-
risse”, nel 1214. Nel corso del XII secolo anche il mondo monastico, in particolare l’ordine clunia-
cense, fu criticato per lo stile di vita aristocratico, nacque allora, dal monastero di Citeaux, un nuovo
ordine (cistercensi) a opera di Bernardo di Chiaravalle. Più vicino ai modelli eremitici fu l’ordine
dei “certosini”, dal nome della Certosa di Grenoble. I nuovi monasteri non erano più centri di domi-
nio signorile, ma centri di attività agricola condotta con il sistema delle grange (da granaio, in fran-
cese, aziende agricole compatte).
Nell’impero bizantino la Chiesa continuò a dipendere dal ruolo sacrale del sovrano. Dal VII
secolo, le sedi patriarcali di Alessandria, Gerusalemme e Antiochia si trovarono fuori dall’impero
a causa dell’avanzata Islamica. Le chiese locali mantennero una forte autonomia, priva di un vertice
gerarchico. Anche il movimento monastico ebbe un grande sviluppo. La politica iconoclasta lanciata
dagli imperatori dal 726, provocò l’opposizione del papato e la fine del dominio bizantino nell’Italia
centro-settentrionale, con la cacciata degli esarchi da Venezia, Ravenna e Roma. Le diocesi balcani-
che ed egee furono separate dalla giurisdizione romana, segnando la divisione fra Chiesa greca e
latina. L’espansione bizantina nei Balcani acuì, tra IX e X secolo, la competizione con la Chiesa
romana per l’evangelizzazione delle popolazioni slave e bulgare. Papa Niccolò I interferì nella scelta
del patriarca di Costantinopoli, scomunicando Fozio nell’863, questi accusò di eresia la Chiesa cat-
tolica, condannando la formula dello Spirito Santo che procede dal Padre “e” dal Figlio, estranea alla
formula di Nicea. Le controversie liturgiche offrirono il pretesto per la scomunica reciproca tra papa
Leone IX e il patriarca Michele Cerulario, nel 1054, che sancisce lo scisma definitivo tra la Chiesa
di Roma e la Chiesa Ortodossa.
La storia del popolo ebraico coincise con quella del regno d’Israele fino alla conquista romana
del 63 a.C. Alcune rivolte portarono, nel 135 d.C., alla soppressione politica del regno e all’espul-
sione degli ebrei da Gerusalemme. Ebbe così inizio la diaspora, cioè la dispersione delle comunità
ebraiche nelle città dell’impero. Con l’editto del 212, gli ebrei divennero cittadini romani. La profes-
sione di un monoteismo di comune radice abramitica garantì loro la libertà di culto, sia nella cristianità
che nell’Islām, assumendo lo status di protetti (dhimmi). La successiva ostilità e l’intolleranza nei
confronti degli ebrei furono alimentate dal loro forte senso identitario. Nella cristianità l’accusa fu
quella di “deicidio” e la Chiesa fu favorevole alla loro emarginazione. Tra X e XI secolo comparvero
le prime comunità ebraiche nelle città italiane e tedesche. Agli ebrei fu impedito l’acquisto di terre
e l’iscrizione alle corporazioni; fu consentito loro solo il commercio e il prestito a interesse. Il concilio
lateranense del 1215 impose loro di portare un segno di riconoscimento sui vestiti, un cerchio giallo.
Dal XIII secolo comparvero, in varie città d’Europa, i ghetti. Nelle città tedesche si verificarono, dal
1096, le prime sommosse popolari antiebraiche (pogrom). I massacri e gli incendi delle sinagoghe
posero le basi dell’antisemitismo europeo; i sovrani li espulsero dai regni, confiscandone i beni: in
Inghilterra nel 1290, in Francia nel 1322, in Spagna nel 1492 e in Portogallo nel 1498. La comparsa
della peste nel 1348 avviò una nuova ondata di pogrom perché gli ebrei furono accusati di aver pro-
vocato volontariamente l’epidemia e furono ovunque massacrati.

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LA RIPRESA ECONOMICA (SEC. X – XII)
CRESCITA DEMOGRAFICA, ESPANSIONE AGRARIA E SVILUPPO DEI COMMERCI
14. L’aumento della popolazione e l’espansione delle campagne
Dal IX – X secolo, iniziò in Occidente una lunga fase di incremento demografico fino al XIII
secolo. Le ragioni furono: scomparsa delle grandi epidemie, aumento della natalità e allunga-
mento della vita media. Il censimento condotto in Inghilterra tra il 1080 e il 1086 (il Doomsday
book), registra una popolazione di circa 1.100.000 abitanti. L’indizio più significativo dell’aumento
della popolazione è la fondazione di nuovi villaggi nei secoli XI e XII.
La crescita della popolazione andò di pari passo con l’estensione delle coltivazioni. Condizione
favorevole fu il miglioramento del clima. I campi guadagnarono terreno su boschi e acquitrini. Si
diffuse la colonizzazione delle terre. Nella Pianura Padana si irreggimentarono i corsi d’acqua,
nelle Fiandre si costruirono dighe per prosciugare le zone paludose e metterle a coltura (Polders).
Furono inviati coloni per coltivare i terreni marginali. Si svilupparono nuovi centri detti “ville nuove”
e “borghi franchi”. Il miglioramento degli strumenti di lavoro contribuì all’espansione dell’agricol-
tura e la diffusione, dall’XI secolo, del collare rigido sulle spalle dei buoi e la ferratura dei cavalli
permise una maggiore forza di traino, mentre l’introduzione del vomere di metallo, che penetrava
più a fondo nel terreno, migliorava l’ossigenazione del suolo. Dal XIII secolo fu introdotta la rota-
zione triennale delle colture, mettendo a riposo (maggese) una parte dei campi e alternando le colture
per accrescere la fertilità dei terreni. Sebbene rinnovata, l’economia agraria non superò tuttavia i pro-
pri limiti strutturali. L’espansione determinò profonde trasformazioni nella struttura della proprietà e
nell’organizzazione del lavoro agricolo, accentuando la crisi del sistema curtense. Il dominico scom-
parve tra XI e XII secolo; le aziende si trasformarono e i campi furono concessi in affitto. Scompar-
vero le corvée imposte ai contadini, sostituite da canoni in denaro. Aumentando il numero delle
famiglie, i mansi si fecero più piccoli. Resi più autonomi, i coltivatori approfittarono dell’aumento
della produzione agricola, accumulando ricchezza e maturando un diritto di possesso detto “domi-
nio utile”, che consentiva loro di lasciare il terreno in eredità o di alienarlo, mentre il proprietario
manteneva il “dominio diretto” richiedendo il pagamento di un censo (affitto in denaro o in natura).
Scomparso il dominico, le grandi proprietà si erano frammentate in innumerevoli parcelle, possedute
dal medesimo proprietario e affidate a un gran numero di coltivatori che lavoravano su appezzamenti
di terreno a volte distanti tra loro e appartenenti a padroni diversi. Per questo i contadini abitavano
insieme in villaggi, piuttosto che in abitazioni isolate. Dal XII secolo furono i proprietari ecclesia-
stici, come i cistercensi, ad accorpare le proprietà attorno ad un centro padronale, attraverso il sistema
delle grange.
15. Dall’economia della terra all’economia degli scambi; la rinascita delle
città; la crescita delle attività produttive e dei commerci
Già nel sistema curtense i grandi proprietari fondiari commercializzavano il surplus ricavato.
Dall’XI secolo, l’estensione dei poteri signorili di “banno” all’intera popolazione rurale accentuò
il prelievo sui contadini. L’aumento delle rendite si tradusse in una domanda di beni e servizi che
creò nuovo reddito nel settore manifatturiero. Da una economia basata sulle rendite agrarie si passò
a un’economia trainata dagli scambi. Merito dei signori fu quello di investire in infrastrutture
(strade, mulini, ponti, approdi fluviali, luoghi di mercato). Il trasporto via acqua era più facile di
quello via terra e divenne usuale risalire con carichi pesanti, per centinaia di chilometri, il Reno, il
Danubio e il Po. Lungo le vie di comunicazione si moltiplicarono i luoghi di scambio e di mercato
sostenuti da una crescente disponibilità di moneta d’argento.
Connesso alla crescita demografica ed economica fu lo sviluppo urbano dei secoli X e XI. Il
tessuto urbano europeo era composto da borghi che svolgevano funzione di mercato. Al di sopra di
essi si collocavano le città, piccole e medie. Poche grandi città erano inserite in una rete di commerci
a lungo raggio, sedi del potere politico o di università. Nelle regioni periferiche dell’impero, come la
Francia settentrionale, le Fiandre, la regione del Reno, la rinascita urbana fu dovuta alla persistenza

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di alcune sedi vescovili di origine romana (Tournai, Metz, Verdun, Colonia, Treviri) e allo sviluppo
di nuovi centri sorti intorno a piccoli mercati e a porti (Bruges, Gand, Worms, Strasburgo, Basilea).
Più tardi si svilupparono città nella Germania meridionale (Francoforte, Norimberga, Augusta). In
Inghilterra, a parte Londra, si svilupparono centri piccoli o medi; nel Baltico e in Scandinavia le
città portuali di Brema, Amburgo, Lubecca, Riga, Tallinn, Stoccolma. Le maggiori città europee
erano concentrate nelle regioni delle Fiandre e nell’Italia settentrionale, intorno al bacino del Po,
lungo la via Emilia e nella Toscana centro-settentrionale. Caratteristica comune dello sviluppo ur-
bano fu la stretta connessione con le attività manifatturiere e commerciali, mentre in ambito rurale
continuarono a prevalere lavori legati all’economia agricola. La residenza in città rendeva i suoi abi-
tanti “cittadini” (cives burgenses), differenziati per condizione economica e status giuridico dai
lavoratori della terra e dall’aristocrazia signorile. Nell’Italia settentrionale le città mantennero la pro-
pria centralità (ecclesiastica, economica, amministrativa), mentre le città del nord furono isole pro-
tette dai privilegi economici e fiscali ottenuti attraverso le carte di franchigia. Le città italiane eser-
citavano un dominio territoriale sulla campagna, costituendo dal XIII secolo gli stati cittadini.
Gli scavi archeologici attestano, dal X secolo, il ritorno alle costruzioni in pietra: chiese, ponti,
strade, castelli. Furono sviluppate le tecniche di estrazione e fusione dei metalli. Dall’XI secolo, si
diffuse il mulino ad acqua, applicato alle macine per il grano, ai frantoi, ai mantici e ai magli delle
forge per la lavorazione del ferro. Dal XII secolo si diffusero sulle coste atlantiche anche i mulini a
vento. Nelle città si si formarono gruppi di artigiani specializzati, organizzati in corporazioni (arti
o gilde). Il settore più in espansione fu quello tessile. La produzione di tessuti di seta, introdotta dagli
arabi in Sicilia, si diffuse in Italia, Germania e Francia. Sorsero manifatture di cotone e fustagno e
di produzione della carta. Il commercio marittimo promosse l’industria cantieristica. I commerci
su lunghe distanze ripresero ad espandersi, grazie alle carovane di muli e cavalli, ai carri, alle bussole,
alle carte nautiche e ai portolani per la navigazione marittima. Nelle Fiandre, nella Francia nord-
orientale, nella Renania e in Italia centro-settentrionale si svilupparono distretti manifatturieri
specializzati, costituendo un sistema economico unitario. Per la posizione geografica al crocevia dei
flussi di scambio tra Oriente e Occidente e tra Nord e Sud dell’Europa, i mercanti italiani furono i
protagonisti dell’espansione commerciale. Tra X e XI secolo alcune città costiere come Amalfi, Bari
e Napoli, si inserirono nel commercio mediterraneo, seguite da Venezia che ottenne, nel 1082 da
Bisanzio, la libertà di commercio in tutto il territorio dell’impero. Pisa e Genova si batterono per la
conquista della Sardegna e della Corsica, costituendo basi mercantili in Sicilia, Spagna e sulle coste
africane. Fra XI e XII secolo le città marinare italiane conquistarono il monopolio dei commerci
nel Mediterraneo. Nell’Europa del Nord i traffici gravitavano intorno al Mare del Nord e al Mar
Baltico. I mercanti tedeschi svilupparono un intenso commercio, costituendo società (Hanse). Ac-
canto ai mercati permanenti, i luoghi principali degli scambi erano le fiere bimestrali che si tenevano
in sei centri della Champagne.

GLI SVILUPPI POLITICI (SEC. XI-XIII)


LA DIFFUSIONE DEI RAPPORTI FEUDALI
16. Dalla fedeltà personale al raccordo politico; Autorità universali e legami
feudali
L’aristocrazia sviluppò un sistema di rapporti fondato sullo scambio tra fedeltà militare offerta
da un vassus e la protezione garantita da un senior attraverso la concessione di un beneficio. Gli
storici distinguono due fasi nell’evoluzione di questo sistema. Nella prima, che durò fino al X secolo,
i rapporti vassallatico-beneficiari servirono da collante dell’ordinamento pubblico. Nell’impero
carolingio i vassalli non erano ufficiali del regno, ma l’imperatore sceglieva i conti, i marchesi e i
missi principalmente tra i suoi vassalli. Il vassallo non poteva esercitare le funzioni pubbliche (fisca-
lità, giustizia, ecc.) sulle terre ottenute in beneficio che gli erano concesse solo come compenso della
fedeltà militare. Con la dissoluzione dell’impero, tra IX e X secolo, le famiglie aristocratiche resero
ereditarie sia le cariche pubbliche che i benefici.

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La seconda fase dei rapporti vassallatico-beneficiari si aprì nell’XI secolo, quando con lo svi-
luppo dei poteri signorili, i legami si rivelarono utili per collegare tra loro nuclei di potere dispersi.
Fu l’estrema frammentazione del potere pubblico che trasformò la natura dei rapporti vassallatici:
col tempo era venuto meno l’obbligo del servizio armato, anche perché i vassalli erano spesso legati
a più signori, inoltre i benefici erano ormai incorporati nei patrimoni dei vassalli e resi ereditari
dall’Edictum de beneficiis di Corrado II nel 1037. Da quel momento i rapporti vassallatici muta-
rono definitivamente, trasformandosi da rapporti di natura militare in rapporti di natura politica
tra signore e vassallo. Da questo momento in poi il beneficio diviene “feudo”. Tra XI e XIII secolo
il feudo divenne lo strumento per la concessione di diritti pubblici e patrimoniali ai vassalli, tra-
smissibili per via ereditaria. Il coordinamento dei signori locali in compagini territoriali più ampie
attraverso i nuovi strumenti feudali condusse, nel XII secolo, all’elaborazione del diritto feudale.
Quando i principi cominciarono a dare in beneficio ai propri vassalli non solo le terre, ma anche la
giurisdizione su di esse, l’investitura era detta feudum nobile. Poteva anche accadere che i signori
locali, per legittimare il proprio potere, donassero le loro terre a un principe, che le riconsegnava loro
sotto forma di feudo, detto feudo oblato. Per assicurarsi la fedeltà dei vassalli i principi imposero un
omaggio, il “ligio”. In caso di tradimento si configurava il reato di “fellonia”. La moltiplicazione dei
legami feudali fu determinata dalla convergenza di interessi politici tra i principi territoriali e i signori
minori verso i più potenti. Si creò una rete di relazioni feudali che legava tra loro tutti i poteri. Nel
XII e XIII secolo i giuristi elaborarono la struttura piramidale del potere, con al vertice il sovrano,
a esso facevano vassallaticamente capo i principi territoriali che a loro volta avevano i signori tra i
propri vassalli e questi ultimi erano legati ai cavalieri. La piramide feudale si adattò meglio ai regni
centralizzati, come quello Normanno dell’Italia meridionale e il regno d’Inghilterra. Il rapporto tra
signore e vassallo era un rapporto tra pari, mentre non lo era il rapporto tra cavaliere e vassallo.
Le aspirazioni universalistiche del papato si attuavano mediante i rapporti vassallatici. La con-
sacrazione papale rafforzava l’autorità dei regnanti. Il primo omaggio di fedeltà al pontefice fu pre-
stato dal Normanno Guiscardo a Niccolò II nel 1059, il quale gli infeudò i ducati di Puglia e Cala-
bria, legando al papato i Normanni in Italia meridionale. Gregorio VII ottenne l’omaggio vassalla-
tico dai re di Ungheria, Inghilterra, Croazia e dai sovrani iberici. Attraverso la gerarchia feudale,
il papato si poneva al vertice della società cristiana (societas christiana).
Con la dinastia degli Hohenstaufen, tra XII e XIII secolo, i sovrani tedeschi cercarono di con-
solidare la propria autorità attraverso le relazioni feudali. Federico I Barbarossa (1152 – 1190) rior-
ganizzò il territorio creando un sistema di feudi soggetti all’autorità imperiale, codificato da un testo
giuridico del XIII secolo, il Sachsenspiegel (specchio dei Sassoni), che disegnava la catena di di-
pendenze feudali tra sovrano e principi e tra questi e i signori minori. A differenza dei pontefici, gli
imperatori non furono in grado di utilizzare gli strumenti feudali a sostegno delle proprie ambizioni
universalistiche anzi, in alcuni casi furono costretti a prestare omaggio ai pontefici, come Federico I
nel 1155. L’apogeo feudale pontificio fu raggiunto da Innocenzo III (1198 – 1216), il quale elaborò
il principio che il papa riceveva da Dio sia il potere spirituale che quello temporale delegando l’auto-
rità temporale ai sovrani. Egli impose l’omaggio feudale ai re d’Inghilterra, Sicilia, Aragona, Ca-
stiglia, Portogallo, Polonia, Boemia, Serbia e Bulgaria.

LA FORMAZIONE DEI REGNI


17. Le monarchie feudali; il regno di Francia
Dalla frammentazione politica che era seguita alla dissoluzione dell’impero carolingio si forma-
rono le prime monarchie feudali: la Francia, l’Italia meridionale, l’Inghilterra e la Spagna. Ogni
re era in origine un signore territoriale. La novità fu rappresentata dalla capacità di alcune casate di
affermarsi sulle altre con le conquiste militari, attraverso azioni diplomatiche o mediante vicende
dinastiche. Il re doveva garantire la pace e la giustizia e difendere i deboli e la Chiesa. Con le monar-
chie feudali il patrimonio e il titolo regio divennero indipendenti dalla persona che li deteneva. Nel
processo di ricomposizione politica e territoriale, guidata dalle monarchie, ebbero un ruolo centrale

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le relazioni feudali che svolgevano le funzioni di coordinamento politico. I re governavano il terri-
torio attraverso ufficiali che esercitavano localmente i poteri giudiziari, fiscali e amministrativi.
Crebbe l’apparato burocratico formato da sceriffi, prevosti, balivi, dislocati nei territori periferici
del regno. Questi ufficiali non erano vassalli del re. Rispetto ai regni delle età precedenti, dove il
potere regio si fondava sulle relazioni con il popolo, adesso il sovrano esercitava la propria autorità
su un territorio. Il re imponeva la superiorità del tribunale regio su quelli signorili, con l’obbligo
per i sudditi di ricorrere alla giustizia del re in caso di delitti gravi o in appello.
Il regno dei Franchi occidentali corrispondeva alla Gallia romana e costituiva, tra X e XI
secolo, un sistema di principati. La dinastia dei Capetingi, sovrani dal 987, controllava solo il terri-
torio compreso tra Loira e Senna. Il loro potere non differiva da quello dei duchi e dei conti confinanti.
La potenza degli altri principati derivava dalla tradizione etnica, come la Bretagna e l’Aquitania,
oppure dalle relazioni con potenze esterne, come la Normandia, legata al mondo anglosassone, le
Fiandre al mondo del commercio, la contea di Tolosa alla Spagna, la Borgogna alla monarchia
germanica. La debolezza dei Capetingi si trasformò in forza perché non ne era avvertita la pericolosità
dai potentati locali. Essi divennero protettori delle chiese e costruirono una trama di relazioni vas-
sallatiche con duchi e conti che garantì loro la superiorità feudale.
Tra XII e XIII secolo la propaganda regia assegnava al re addirittura poteri taumaturgici. Con
Luigi VI (1108 – 1137) e Luigi VII (1137 – 1180) si consolidarono le strutture del regno. Furono
sviluppati gli apparati centrali del fisco e gli strumenti di controllo dei territori governati da altri
principi. Luigi VII promosse la diffusione del feudo “ligio” che premiava la fedeltà al re. Egli dovette
affrontare un lungo conflitto che lo oppose ai Plantageneti, discendenti del conte Goffredo d’Angiò
e di sua moglie Matilde d’Inghilterra, che limitavano, a Occidente, l’espansione del regno di Fran-
cia. Il loro figlio, Enrico, sposò
Eleonora d’Aquitania e nel
1154 ricevette la corona d’In-
ghilterra, dominando un terri-
torio vastissimo sulle due
sponde della Manica, dalla Sco-
zia ai Pirenei. Filippo II Au-
gusto (1180 – 1223) triplicò
l’estensione dei territori e, at-
traverso la politica matrimo-
niale, assicurò il controllo sulle
aree orientali del regno, mentre
attraverso azioni militari
strappò a Enrico d’Inghilterra
la maggior parte dei territori
francesi (Angiò, Maine, Breta-
gna, Normandia). Fu decisiva
la battaglia di Bouvines del
1214 dove Filippo, appoggiato
da Innocenzo III e dal re di
Germania Federico II, scon-
fisse la coalizione tra Ottone
IV e il re d’Inghilterra , Gio-
vanni I Plantageneto, detto
“Senza Terra”. Questi fu co-
stretto a cedere alla Francia
tutti i possedimenti a nord della
Loira. Filippo Augusto svi-
luppò ulteriormente l’apparato

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burocratico, destinando i balivi all’amministrazione dei beni della corona e i prevosti ad ammini-
strare la giustizia regia, riscuotere le imposte e l’omaggio vassallatico.

18. Il regno d’Inghilterra


Alla fine del IX secolo, Alfredo il
Grande (871 – 899) era riuscito a fermare
l’espansione vichinga in Inghilterra. Dalla
prima metà del X secolo il regno unificò i
poteri locali. Era diviso in circoscrizioni
territoriali controllate da sceriffi, incaricati
della riscossione dei tributi. La società era
organizzata in insediamenti rurali (tuns, da
cui towns). I proprietari fondiari (earls)
svolgevano compiti di coordinamento mi-
litare. Dal 1016 si impadronì della corona
il danese Canuto II che estese il dominio
su Norvegia e Danimarca. Canuto III de-
signò come successore Edoardo il Con-
fessore, figlio di Emma di Normandia,
eletto re nel 1042. Il regno d’Inghilterra
passò così ai Normanni, per rivendica-
zione dinastica e con un’operazione mili-
tare. Il duca di Normandia, Guglielmo,
dopo aver consolidato il proprio potere con
l’appoggio del re di Francia, Enrico I, alla
morte senza figli di Edoardo, si oppose
all’incoronazione di Aroldo del Wessex,
attraversò la Manica con un esercito di ca-
valieri e sconfisse e uccise Aroldo nella
battaglia di Hastings del 1066. Nello stesso anno Guglielmo fu incoronato re d’Inghilterra, con l’epi-
teto di “Conquistatore”, nell’abbazia di Westminster. Nel 1071 la conquista fu completata tranne il
Galles e la Scozia. Guglielmo confiscò le proprietà dei Sassoni e le consegnò ai Normanni. Mantenne
la suddivisione amministrativa del regno in trenta contee sotto il comando di uno sceriffo. Edificò
una rete di castelli su tutto il territorio posti su unità fondiarie (manors), che concesse in feudo ai
baroni (vassalli del re, la più alta delle cariche nobiliari) e ai cavalieri Normanni. Controllò il si-
stema feudale attraverso il giuramento di Salisbury del 1086, il quale affermava che la fedeltà dei
vassalli minori non doveva pregiudicare l’autorità del re. Con il censimento, il Doomsday book, il
sovrano registrò a fini fiscali tutte le proprietà fondiarie, i nomi dei vassalli e dei capifamiglia. Gli
interregni seguiti alla morte di Guglielmo (1087) e di Enrico I (1135) avevano favorito la lotta interna
tra i baroni, risolta con l’incoronazione di Enrico II (1154 – 1189), primo re della dinastia dei Plan-
tageneti. Egli cercò di recuperare i diritti regi sul demanio e ridusse il potere della grande nobiltà.
L’espandersi dell’autorità regia apriva ai baroni la partecipazione agli apparati burocratici. Fu raffor-
zato l’obbligo degli sceriffi di versare i proventi fondiari e fiscali delle loro contee alla camera dello
Scacchiere, l’organismo centrale della tesoreria. Nelle assise (assemblee giudiziarie) di Clarendon,
del 1164, Enrico II emanò delle disposizioni (Costituzioni) che assegnavano alla corona l’esercizio
dell’autorità giudiziaria, affermando il principio che chiunque potesse ricorrere alla giustizia del re,
ponendo le basi per il sistema della common law, in cui le giurisdizioni locali potevano essere rimesse
alle corti regie. Enrico II cercò di sottomettere alla giustizia anche il clero, togliendo l’immunità
garantita dal diritto canonico. Si aprì un conflitto durissimo con il papa Alessandro III e con il clero
inglese, guidato dall’arcivescovo di Canterbury, Thomas Becket, che fu dapprima costretto all’esilio
in Francia e poi assassinato nel 1170. Il prestigio e la forza della monarchia regredirono con i

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successori di Enrico II. Le assenze di Riccardo Cuor di Leone (1189 – 1199), impegnato nelle
crociate, consentirono alla nobiltà di riaffermare le proprie rivendicazioni. Giovanni Senza Terra
(1199 – 1216) fu deposto dal papa e sconfitto a Bouvines nel 1214, perdendo i possessi in Francia. I
sacrifici imposti per finanziare le guerre lo costrinsero a concedere, nel 1215, la Magna Charta li-
bertatum, che definiva i rapporti tra il sovrano e i sudditi; furono riconosciute le prerogative dei
nobili, del clero e delle comunità mercantili. Fu istituito un consiglio del re (magna curia) formato
da 25 baroni.
19. Il regno normanno dell’Italia meridionale
L’Italia meridio-
nale, tra X e XI secolo
era politicamente
frammentata. All’in-
terno dei resti del du-
cato longobardo di
Benevento si erano
sviluppate due entità
autonome: il princi-
pato di Salerno e la
contea di Capua. Il
dominio bizantino si
limitava alla Puglia,
sottoposta a un cata-
pano, e alla Calabria,
retta da uno stratego.
Gaeta, Napoli, Sor-
rento e Amalfi erano
autonome. La Sicilia,
in mano agli arabi, era afflitta da lotte di fazione. La Puglia fu scossa da un’insurrezione contro il
governo bizantino fomentata dall’imperatore Enrico III tra 1046 e 1048. All’inizio dell’XI secolo
giunsero, dal ducato di Normandia, numerosi cavalieri chiamati dai principi longobardi e bizan-
tini, in lotta fra loro. In pochi decenni i Normanni riuscirono a costituire piccoli domini ceduti come
ricompensa al loro operato; Rainulfo Drengot ottenne la contea di Aversa dal duca di Napoli, nel
1029; Guglielmo “Bracciodiferro” d’Altavilla la contea di Melfi, dal principe di Salerno, nel
1041. Il loro insediamento trasformò i mercenari normanni in signori territoriali, che si legarono per
via vassallatica ai potenti e ai sovrani. Dopo aver prestato omaggio all’imperatore e provocato la
reazione del papa, i capi normanni strinsero con Niccolò II, a Melfi, nel 1059, un accordo che con-
feriva a Roberto D’Altavilla (il Guiscardo), il titolo di duca di Puglia e di Calabria e l’avallo alla
conquista della Sicilia, in cambio della sottomissione feudale al papato.
L’accordo di Melfi garantiva al papato un prezioso alleato nel Mediterraneo, a sua volta Roberto
il Guiscardo legittimava il proprio dominio che portò i Normanni ad occupare quasi tutta l’Italia
meridionale tra il 1060 e il 1077, mettendo fine alle presenze longobarde e bizantine. Il fratello Rug-
gero avviò la conquista della Sicilia, fino alla presa di Noto, nel 1091. Urbano II gli concesse, nel
1098, l’autorità di legato apostolico. A differenza della conquista dell’Inghilterra, la conquista Nor-
manna del Mezzogiorno italiano diede luogo a una nuova monarchia. Il figlio di Ruggero il Gran-
conte, Ruggero II, riunificò i principati normanni nel 1127, nonostante l’opposizione di papa Onorio
II.
Apertosi lo scisma tra Innocenzo II e Anacleto II, Ruggero si schierò con l’antipapa, dal quale
ottenne il titolo di re di Sicilia nel 1130. Ruggero II governò con saggezza, valorizzando le diversità
culturali del regno. Esso si fondava su una solida organizzazione feudale e si affidava a una struttura
burocratica ereditata dai musulmani e bizantini. Rafforzò gli uffici centrali (camerari, ammiragli,
di origine greca) e la dohana, gestita da musulmani. Al vertice istituì una curia feudale.
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Nel 1140 promulgò, nelle assise di Ariano, alcuni ordinamenti per disciplinare i rapporti tra la
corona e le giurisdizioni locali dei feudatari e delle città. Intorno al 1150 fece stilare l’elenco dei
benefici e dei diritti dei baroni (Catalogo dei baroni). Ruggero perseguì una politica espansionistica
in Africa e in Grecia, conquistando Gerba, Tripoli e Corfù tra il 1135 e il 1147. Dopo la sua morte
scoppiarono le rivolte dei baroni, che frenarono lo sviluppo delle città meridionali e furono dura-
mente represse da Guglielmo I. Alla morte di questi la corona passò a Costanza, figlia di Ruggero
II, che aveva sposato l’erede al trono imperiale Enrico di Hohenstaufen, portando in dote il regno
di Sicilia alla dinastia sveva. Enrico VI si impa-
dronì del regno di Sicilia alla morte del conte di
Lecce, Tancredi, nel 1195, reprimendo la rivolta
dei nobili e azzerando il gruppo dirigente nor-
manno.
L’ESPANSIONE ARMATA DELLA CRI-
STIANITÀ
20. La reconquista e i regni
iberici
Nella penisola iberica la riorganizzazione
monarchica si svolse in relazione alla reconqui-
sta, cioè la rioccupazione dei territori conquistati
dai musulmani. Essa godette dell’appoggio del
papato e diede vita a una pluralità di organismi
minori. Nucleo di partenza furono i piccoli regni
del nord della penisola. Nel 1035, dal regno di
Navarra si separò la contea di Castiglia, che di-
venne autorità regia prevalendo anche sul regno
di León e sulle Asturie; dall’unione di alcuni
principati franchi nacque il regno di Aragona
che, nel 1134, si unificò con la contea di Barcel-
lona. Dal regno di León e Castiglia si distaccò la
contea di Oporto, nucleo del successivo regno di
Portogallo. Alla base della reconquista vi fu la
crisi del mondo musulmano. Come la Sicilia, an-
che il califfato di al-Andalus si era frammentato
in moltissime signorie territoriali (taifas). nell’XI
secolo gli eserciti cristiani avanzarono verso sud,
conquistando Toledo nel 1085. Per reazione, il
califfato fu conquistato dalla dinastia berbera de-
gli Almoravidi, nel 1086. La successiva dinastia
degli Almohadi, dal 1147, costruì un vasto domi-
nio dalla Libia al Marocco all’Andalusia. La se-
conda fase della reconquista riprese verso la fine
del XII secolo. La vittoria degli eserciti cristiani
nel 1212 presso Cordova, aprì la strada alla ri-
conquista, da parte di Ferdinando III di Casti-
glia, di Murcia e Siviglia e, da parte di Giacomo
I d’Aragona, delle isole Baleari. Nel regno di Ca-
stiglia e León Alfonso VI (1072 – 1109) puntò
alla sacralizzazione del potere monarchico,

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proclamandosi imperatore di tutta la Spagna. Nel XII secolo le città riconquistate e i centri di nuova
fondazione ricevettero dai sovrani franchigie (cartas de poblation) e privilegi (fueros). Nel regno di
Aragona il luogo della mediazione politica fu rappresentato dalle assemblee (cortes).
21. L’area imperiale e l’espansione verso Est; le crociate; nobiltà e cavalleria
Tra XII e XIII secolo l’area imperiale comprendente il regno germanico e l’Italia centro-set-
tentrionale, era politicamente frammentata. Dopo la morte di Enrico V nel 1125, la lotta per la co-
rona si polarizzò tra i duchi di Svevia e i duchi di Baviera. Federico I, imperatore dal 1155 al 1190,
incrementò i domini della casata degli Hohenstaufen (Svevi), affidandoli all’amministrazione dei
propri ministeriali (funzionari di provata fedeltà, inizialmente di origine servile). Anch’egli e i suoi
successori utilizzarono i legami feudali per consolidare il potere monarchico. Federico II (1212 –
1250) concesse ampi poteri ai vescovi nel 1213 (Bolla d’oro), e ai principi nel 1231 (Statutum in
favorem principum). Molte città ottennero privilegi mercantili, fiscali e amministrativi. Grande im-
portanza ebbe l’espansione territoriale verso est. Dalla metà del XII secolo furono i principi di Sas-
sonia e di Baviera a prendere l’iniziativa militare. Agli inizi del XIII secolo, gli ordini monastici dei
Cavalieri Teutonici e dei Portaspada, fondati tra il 1198 e il 1202, furono protagonisti della cristia-
nizzazione forzosa verso est. I territori conquistati aumentarono l’influenza tedesca sulla Prussia e

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sulla Livonia, ove si formarono nuove signorie. Furono fondati migliaia di villaggi e nuove città,
rette dal diritto tedesco.
Uno degli aspetti del rinnovamento religioso dell’XI secolo era il pellegrinaggio nei luoghi sa-
cri: Roma, Gerusalemme, Santiago di Compostela. Dalla metà del secolo i pontefici (il primo fu
Alessandro II), decisero di concedere l’indulgenza a chi partecipasse alla reconquista armata della
penisola iberica. Il pellegrinaggio “armato” fu invocato dal pontefice Urbano II per la liberazione
della Terrasanta e di Gerusalemme dai turchi selgiuchidi durante un’assemblea di feudatari e ca-
valieri francesi, nel 1095, a Clermont. Nel 1096 fu inviata una spedizione armata che conquistò
Gerusalemme nel 1099. Nei territori conquistati furono costituiti vari regni cristiani: quello di Ter-
rasanta, affidato a Goffredo di Buglione; il principato di Antiochia, affidato a Boemondo di Ta-
ranto; la contea di Edessa a Baldovino di Boulogne; quella di Tripoli a Raimondo di Tolosa.
L’élite di questi regni era costituita da nobili e cavalieri, chiusi dalla primogenitura nei paesi di ori-
gine. L’organizzazione politica si basava sui legami feudali. Per difendere i luoghi sacri furono isti-
tuiti gli ordini monastici militari: i cavalieri del Santo Sepolcro, gli Ospedalieri di San Giovanni
e i Templari. I regni cristiani non resistettero alla reazione musulmana. La perdita di Edessa, nel
1144, indusse il re di Francia a promuovere una nuova spedizione, sostenuta dal papa e dal cister-
cense Bernardo di Chiaravalle, tra il 1147 e il 1148, che si risolse in un fallimento. Pochi decenni
dopo si formò una nuova potenza Islamica tra Egitto e Siria, sotto il dominio del Saladino, che
riconquistò tutti i territori occupati dai cristiani ed entrò a Gerusalemme nel 1187. Una nuova spedi-
zione fu guidata dall’imperatore e dai re di Francia e Inghilterra tra 1189 e 1192, ma Gerusalemme
rimase in mano musulmana. La riconquista Islamica di San Giovanni d’Acri, nel 1291, segnò la fine
della presenza crociata in Oriente. A partire dal pontificato di Innocenzo III (1198 – 1216) l’idea di
crociata divenne oggetto di approfondimento dottrinale: mentre inizialmente indicava i pellegri-
naggi, in seguito indicò le azioni armate dirette sia alla difesa dei luoghi sacri che alla repressione
dei nemici interni alla cristianità, come gli eretici. Innocenzo III indisse, nel 1208, una crociata
contro i Catari. Le crociate offrirono anche occasioni di arricchimento per i mercanti che si

25
insediarono nelle città costiere degli stati crociati. Temendo un peggioramento del commercio verso
Bisanzio, i Veneziani offrirono ai crociati, radunatisi nella città lagunare nel 1202, di trasportarli in
Oriente in cambio di una spedizione contro Costantinopoli. La città fu presa e saccheggiata nel 1204.
Anziché proseguire per Gerusalemme, i crociati si spartirono con i veneziani i territori dell’impero,
dando vita a un nuovo “Impero Latino d’Oriente”.
Tra XI e XII secolo i protagonisti del movimento crociato furono i cavalieri. Il costo crescente
delle armi fece della cavalleria una élite sociale. Dal XIII secolo l’abbigliamento cavalleresco fu
riservato ai discendenti dei cavalieri, che costituirono un ceto ereditario. Le vicende della cavalleria
si intrecciarono con quelle della nobiltà. Le disposizioni regie del XII e XIII secolo conferirono pri-
vilegi ai cavalieri e ai loro figli. La nobiltà utilizzò la dignità cavalleresca per differenziarsi dagli altri
gruppi sociali. Nell’Alto Medioevo l’aristocrazia era caratterizzata dall’esercizio del potere, dalla
ricchezza e dallo stile di vita: una aristocrazia “di fatto” cui potevano accedere tanto i discendenti
di famiglie potenti che chi avesse accumulato ricchezze e potere. Tra XII e XIII secolo, invece, la
cavalleria e i privilegi feudali chiusero a nuovi ingressi, costituendo una nobiltà di “diritto”. Dall’XI
secolo, per disciplinare il comportamento violento dei cavalieri, i vescovi promossero le “paci di
Dio”, assemblee in cui i cavalieri giuravano di astenersi dal commettere violenze ingiustificate. Dal
XII secolo l’immagine del cavaliere difensore dei deboli fu propagata dall’epica cavalleresca, come
Parsifal all’inseguimento del Graal.

L’APOGEO DELL’EUROPA (SEC. XII-XIII)


LA RICCHEZZA ECONOMICA
22. Il boom demografico; il ciclo economico espansivo; ricchezze e differen-
ziazioni sociali
L’incremento demografico divenne impetuoso nel corso del XIII secolo. La popolazione
dell’Occidente europeo raggiunse i 73 milioni nel 1300. L’indicatore della crescita demografica fu
l’incremento della popolazione urbana, con l’allargamento delle cinte murarie, la riduzione delle
aree non ancora edificate e la costruzione in altezza delle abitazioni, come le torri. Nonostante l’inur-
bamento, la maggior parte della popolazione europea rimase insediata nelle campagne. La crescita
della popolazione urbana portò al calo della manodopera rurale e alla crescita del fabbisogno ali-
mentare delle città, ma le tecniche agricole non permettevano di ottenere rese adeguate alla nuova
domanda di cereali. Ciò spinse i proprietari fondiari a coltivare terre marginali e meno fertili. L’equi-
librio tra popolazione e risorse disponibili si ruppe. Tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo la
popolazione smise di crescere.
La tendenza economica espansiva, iniziata nel Mille, proseguì nel XIII secolo. Ebbe grande
sviluppo la manifattura tessile, attraverso l’impiego di nuovi macchinari come la gualchiera e il te-
laio a piedi orizzontale. I più importanti produttori operavano nelle Fiandre fiamminghe e francesi,
utilizzando lane importate dai grandi allevamenti di pecore inglesi. Firenze si specializzò nella rifi-
nitura di stoffe. I tessuti costituivano il principale prodotto scambiato con la seta e il cotone grezzo,
con tinture, spezie, prodotti pregiati dall’Oriente e con pellicce, legname, pesce dalla Scandinavia
e dall’Europa orientale. nel XIII secolo riprese il commercio a lungo raggio. Nel continente i mer-
canti si concentrarono sulle fiere di Champagne, nelle Fiandre, e nell’area del Mar Baltico. Nella
seconda metà del Duecento i mercanti italiani dominavano il commercio internazionale, tra essi i
fiorentini. Dal XII secolo ebbero un ruolo di primo piano Venezia e Genova. Il saccheggio di Co-
stantinopoli, con la crociata del 1204, fruttò ai veneziani enormi bottini, il controllo mercantile del
Bosforo, l’estromissione di genovesi e pisani dal territorio bizantino e l’apertura di empori in Siria,
dai quali Marco Polo raggiunse la Cina tra il 1271 e il 1275. I genovesi tornarono attivi in seguito
alla restaurazione dell’impero bizantino da parte di Michele Paleologo nel 1261. Nel Tirreno, i ge-
novesi si scontrarono con i pisani per il controllo della Corsica e della Sardegna, infliggendo duris-
sime perdite a Pisa nella battaglia navale della Meloria nel 1284. Nel commercio marittimo si diffuse

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la “commenda”, un tipo di contratto in cui un mercante raccoglieva i finanziamenti per il viaggio da
vari creditori ai quali, al ritorno, restituiva i prestiti e una percentuale sui guadagni. Il commercio
terrestre sollecitò la formazione di associazioni di capitali.
Per superare il disordine monetario, tra XII e XIII secolo, numerose zecche coniarono nuove
monete d’argento (i “grossi”). Dalla metà del Duecento alcune autorità tornarono a battere monete
d’oro: nel 1231, Federico II con gli “augustali”; nel 1252, Firenze con il “fiorino d’oro”; Genova
con il “ducato”; Venezia con lo “zecchino”; la Francia con lo “scudo”. La circolazione di diverse
monete sollecitò lo sviluppo di nuovi servizi finanziari offerti dai “cambiatori” o banchieri, che dif-
fusero nuovi strumenti di pagamento, come le lettere di cambio, che permettevano di trasferire de-
naro da un banco all’altro, senza spostamento reale di moneta. L’attività economica principale restò
l’agricoltura, che però raggiunse il proprio limite tecnologico. Per fronteggiare il fabbisogno ali-
mentare fu creata una rete di commerci per l’invio di cereali via mare dalle grandi aree di produzione:
Tunisia, Sicilia, Puglia, Sardegna e Provenza. Nei paesi mediterranei fu incrementata la coltiva-
zione della vite e dell’olivo. In molte città si diffusero gli orti.
La popolazione era distribuita in villaggi e centri urbani, spostandosi incessantemente. Nelle
campagne si acuirono le disparità sociali, mentre in città, alla domanda di prodotti diversi, rispose
l’aumento di muratori, fornai, beccai, fabbri, cuoiai, tessitori. L’aumento degli scambi determinò
la crescita di commercianti, bottegai, mercanti e prestatori di denaro. Nella nuova società servi-
vano scrivani, notai, giudici, avvocati, medici e maestri di scuola. Ai notai fu riconosciuta, dal XII
secolo, la facoltà giuridica di redigere atti autentici, validi come prova legale, apponendovi i marchi
professionali (signa tabellionis) e conservandoli in archivi.
PAPATO IMPERO E REGNI
23. Le autorità universali
Papato e impero, tra XII e XIII secolo, rinnovarono i progetti di supremazia universalistica
sulla cristianità. Il concordato di Worms, del 1122, consolidò l’azione politica del papato, così come
l’elezione di Federico I il Barbarossa, nel 1155, restaurò l’autorità imperiale. Secondo Federico I
il potere era conferito da Dio attraverso l’unzione, l’imperatore era vicario di Cristo e possedeva il
“sacrum imperium”. Questa visione creò un ulteriore conflitto con il papato e condusse all’elezione
dell’antipapa Vittore IV, nel 1159, che aprì uno scisma ricomposto solo nel 1177. Federico I si
propose di pacificare la Germania e di riaffermare il potere imperiale in Italia che tuttavia si scontrò
con le città. Nel 1158 convocò a Roncaglia un’assemblea pubblica in cui riaffermò, con la Consti-
tutio de regalibus, le prerogative (regalie) del re: esercizio della giustizia, riscossione delle imposte,
facoltà di battere moneta, diritto di arruolare eserciti, controllo di strade e fortezze. Proibì le leghe
fra città e impose all’aristocrazia l’omaggio feudale. Milano non si assoggettò e fu attaccata dall’eser-
cito, che ne distrusse le mura nel 1162.
La crescita della pressione fiscale spinse molte città dell’Italia settentrionale alla formazione di
un’alleanza, detta “lega lombarda”, sostenuta da papa Alessandro III, che sconfisse Federico I,
costringendolo a concedere, con la pace di Costanza del 1183, l’esercizio delle regalie ai comuni in
cambio del riconoscimento dell’autorità imperiale. Prima di morire, durante la terza crociata nel 1190,
Federico Barbarossa assicurò al figlio Enrico VI l’eredità del regno di Sicilia, combinandone il
matrimonio con Costanza d’Altavilla. Enrico VI morì quando il figlio Federico era bambino e fu
affidato in tutela a papa Innocenzo III, che lo incoronò nel 1208. L’elezione a re di Germania, nel
1212, confermò le prerogative regie e aprì a Federico II la strada all’incoronazione imperiale nel
1220. Egli seppe imporre la sua autorità solo nel regno di Sicilia, mentre non vi riuscì con le città del
centro-nord sostenute da papa Gregorio IX che scomunicò Federico II, per eresia, nel 1227. Dopo
le sconfitte a Parma e a Fossalto, nel 1250, Federico II morì. La dinastia sveva si estinse con Cor-
radino, figlio di Corrado IV e nipote di Federico, usurpato dallo zio Manfredi e condannato a morte
nel 1268 dal nuovo sovrano: Carlo I d’Angiò. Si aprì allora una fase di instabilità politica fino al
1273, quando fu eletto imperatore Rodolfo I d’Asburgo.

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Innocenzo III (1198 – 1216) sviluppò una dottrina, ribadita da Bonifacio VIII (1294 – 1303),
che affermava la supremazia universale del papa su tutti gli altri poteri. Egli appoggiò Ottone IV di
Brunswick, nel 1208, poi sostenne l’alleanza tra il re di Francia e Federico II; elaborò l’idea di
crociata che ispirò la reconquista spagnola, le spedizioni in Oriente nel 1202 e nel 1217 e la crociata
contro i catari del 1209. Innocenzo IV (1243 – 1254) sostenne il diritto papale a scegliere e deporre
gli imperatori, come accadde a Federico II nel 1245, dopo un conflitto durissimo. La pretesa dei papi
si fondava su un falso: il Constitutum Costantini, che attribuiva al primo imperatore cristiano la
concessione a papa Silvestro I del dominio su Roma e sulla pars occidentalis dell’impero. Il papato
partecipò alle vicende politiche per tutto il XIII secolo, dal conflitto con Federico II, alla promozione
degli Angiò a re di Sicilia. Alla fine del secolo si succedettero due papi che incarnavano concezioni
opposte della Chiesa: nel 1294, Celestino V, di rigorosa spiritualità (l’eremita Pietro del Morrone),
che in seguito alle insormontabili difficoltà che si opponevano ai suoi progetti, abdicò dopo pochi
mesi e Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), che celebrò la preminenza dell’autorità pontificia attra-
verso la proclamazione del primo giubileo, nel 1300, in cui promise l’indulgenza plenaria ai pelle-
grini.
Il re di Francia, Filippo IV, revocò l’immunità fiscale al clero, aprendo un altro conflitto con il
papato. Tra XII e XIII secolo, la Chiesa si rafforzò, l’elezione del papa fu disciplinata dall’istituzione
del conclave nel 1274. I cardinali consolidarono il proprio ruolo di collaboratori attraverso il conci-
storo. Le decretali, cioè i pareri richiesti ai papi su varie materie, furono integrate nel diritto cano-
nico.
24. Il rafforzamento dei poteri monarchici
Nel XIII secolo i poteri monarchici si rafforzarono in seguito al declino delle pretese univer-
salistiche dell’impero e del papato. Le conquiste territoriali avviate da Federico II furono consoli-
date dai successori: Luigi VIII (1223 – 1226) e Luigi IX (1226 – 1270). La pace di Parigi del 1259
sancì la definitiva acquisizione dei territori dei Plantageneti. Luigi IX favorì la conquista del regno
di Sicilia da parte del fratello Carlo d’Angiò. Filippo IV il Bello (1285 – 1314), limitando l’autono-
mia fiscale e giurisdizionale del clero, entrò in conflitto con Bonifacio VIII e convocò per la prima
volta, nel 1302, gli “stati generali” (il parlamento francese), per ribadire la discendenza diretta del
potere regio da Dio.
Le perdite in terra francese e la concessione della Magna Charta avevano indebolito i re inglesi.
Enrico III dovette confrontarsi con i baroni, con la piccola nobiltà rurale (gentry) e con le città. Il
favoritismo verso i parenti francesi della moglie, Eleonora di Provenza, provocò la ribellione
dell’alta nobiltà, che ottenne l’espulsione degli stranieri e migliori condizioni fiscali attraverso le
Provvisioni di Oxford e Westminster del 1258-59. Il loro annullamento nel 1261 scatenò la guerra
contro i baroni, guidati da Simone di Montfort, i quali convocarono per la prima volta il parlamento
inglese, nel 1264, ma furono sconfitti l’anno successivo. Ciò consentì a Enrico III di rafforzare l’ap-
parato amministrativo. Edoardo I (1272 – 1302) conquistò il Galles e la Scozia ed espulse gli ebrei
dal regno.
Federico II rafforzò il potere regio in Sicilia e sviluppò un efficiente apparato amministrativo
fondato sulle preesistenti strutture normanne. Nel 1231 raccolse la legislazione nel Liber augustalis;
assicurò al clero l’immunità giurisdizionale e fiscale. Le lotte di successione indussero il papa Ur-
bano IV, signore feudale dei re di Sicilia, ad affidare la corona a Carlo d’Angiò, che sconfisse Man-
fredi a Benevento nel 1266.
La sconfitta dei musulmani, nel 1212, consentì ai regni iberici ulteriori conquiste territoriali. Il
Portogallo inglobò l’Algarve; il regno di Castiglia annesse Siviglia e Cordova; L’Aragona con-
quistò Valencia e le isole Baleari. Nel regno di Castiglia, Alfonso X (1252 – 1284), trasformò la
corte in un importante centro culturale e raccolse la legislazione nelle Las siete partidas. Il regno
d’Aragona, grazie ai mercanti catalani, era sostenuto da un’economia commerciale basata sugli
scambi marittimi nel Mediterraneo e sostenne l’espansione politica degli Aragonesi, che si insedia-
rono in Sicilia tra 1282 e 1302 e avviarono la conquista della Sardegna nel 1323.

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Anche il papa rafforzò il dominio sul territorio tra XII e XIII secolo. Il nucleo iniziale era il
“patrimonio di San Pietro”: l’area tra Umbria e Lazio con i maggiori possedimenti fondiari del
clero. Innocenzo III fece giurare fedeltà ai nobili delle città laziali, umbre e marchigiane, articolando
lo stato pontificio in quattro province: Lazio meridionale, Tuscia, ducato di Spoleto e Marca d’An-
cona; nel 1278 fu aggiunta la Romagna. I pontefici svilupparono un apparato burocratico di riscos-
sione dei tributi di tutta la cristianità facente capo alla tesoreria della curia (Camera apostolica).
25. L’Europa orientale
Nell’Europa orientale e slava si erano formati, tra XI e XII secolo, alcuni regni di grande esten-
sione territoriale sui quali dominava l’impero tedesco. Il regno di Polonia, costituito nel 1025, fu
scosso da rivolte popolari e della nobiltà, frammentandosi in una ventina di principati. La Boemia
divenne regno autonomo nel 1158. L’Ungheria si consolidò nell’XI secolo con le annessioni della
Croazia e della Slavonia. La Bulgaria conquistò l’indipendenza da Bisanzio nel 1187.
Intorno al IX secolo gli slavi orientali penetrarono nelle pianure tra Danubio e Don, stanzian-
dosi nell’attuale Ucraina. Contemporaneamente, dalla Scandinavia, si erano insediati in quei terri-
tori gruppi di commercianti e guerrieri vareghi, che le popolazioni slave chiamavano “rus”. Un loro
capo, Oleg, nell’882 unificò il principato di Novgorod con quello di Kiev, dando vita al principato
di Kiev o Rus. Il regno, a maggioranza slava, fu governato da Vladimir I, che sposò la sorella
dell’imperatore di Bisanzio, Basilio II, e si convertì al cristianesimo nel 988. Iroslav il Saggio rac-
colse per iscritto le consuetudini del suo popolo nel “codice russo”. Il principato si estese fino a
controllare le vie di commercio tra il Baltico, l’Europa e l’Oriente.
Nel XIII secolo, nelle steppe asiatiche, si formò una vastissima dominazione da parte di tribù
nomadi originarie della Mongolia. Guidati da Temujin (1162 – 1227), detto Gengis Khan, i mongoli
conquistarono la Cina settentrionale, l’Asia centrale e la Russia orientale, operarono incursioni in
Egitto e saccheggiarono Baghdad nel 1258. In Europa furono chiamati “tartari” e compirono razzie
in Polonia, Slesia, Ungheria. Dalla metà del Duecento si ritirarono a causa delle lotte interne fra
capi. L’impero, che si estendeva dalla Corea alla Persia ai confini con la Polonia, si divise in Kha-
nati. Dopo la distruzione di Kiev, nel 1240, i principati slavi furono resi tributari del Khanato
dell’Orda d’Oro, con capitale Sarai sul basso Volga.

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LA CIVILTÀ URBANA (SEC. XII – XIV)
26. Il rinnovamento della cultura
L’aumento dell’alfabetizzazione della società richiese la produzione e la conservazione dei do-
cumenti. Il sistema scolastico delle scuole monastiche e vescovili era inadeguato, così nelle città
sorsero le scuole di base, dapprima private, poi, dal XIII secolo, organizzate dalle autorità pubbliche,
che insegnavano a leggere e scrivere e a usare l’abaco, e le scuole di apprendistato organizzate dalle
corporazioni di mestieri. Vi fu una laicizzazione della cultura. Tra XI e XII secolo furono messi per
iscritto i testi in volgare, con la diffusione della letteratura epica e della poesia d’amore. La prima si
sviluppò nella Francia meridionale con la Chanson de Roland. La seconda fu diffusa dai Trobadori.
Nella penisola iberica il Cantar del mio Cid, in Germania il Nibelungenlied, in Italia i Rimatori
Siciliani della corte di Federico II. Tra VIII e X secolo furono composti il Beowulf, all’origine della
letteratura anglosassone, e le saghe dell’Irlanda celtica. Emblema della spiritualità monastica fu lo
stile “romanico”, che si diffuse in Italia settentrionale e in Catalogna e poi in tutto il continente. Le
chiese romaniche erano in pietra, con volte a crociera o a botte. Le iniziali forme spoglie lasciarono
il posto a rilievi scultorei sui capitelli e sulle facciate. Le città costruirono nuove cattedrali, come il
duomo di Pisa, eretto tra il 1065 e il 1118. Furono recuperati gli autori greci, come Platone, Aristo-
tele, Euclide ad opera di Averroè e Maimonide nella Spagna musulmana. La crescente richiesta di
istruzione avanzata portò alla formazione degli “studi” (studia), cioè le università, la prima delle
quali sorse a Bologna, alla fine dell’XI secolo, per iniziativa di associazioni di studenti; quindi a
Parigi, alla fine del XII secolo; a Oxford; a Padova, nel 1222; a Napoli. L’organizzazione variava
in ogni studium. Il primo ciclo era fornito dalla facoltà delle arti (del Trivio e del Quadrivio) che
durava sei anni e vi si accedeva a tredici anni. Il titolo di Baccelliere dava accesso alle facoltà mag-
giori di diritto civile, diritto canonico, medicina e teologia. Al termine degli studi era rilasciato il
titolo di dottore, che permetteva di insegnare ovunque. L’insegnamento era impartito in latino e
consisteva nella lettura (lectio) e nel commento (questio) di un testo, che poi veniva discusso con gli
studenti (disputatio). Questo metodo di insegnamento era denominato “scolastico” e tendeva a co-
niugare fede e ragione. Furono raccolti compendi (summae) e commenti dei docenti in forma di note
al margine (glossae). Il secolo XII fu caratterizzato da una forte ripresa degli studi giuridici. Il diritto
della Chiesa fu redatto, nel 1140, dal monaco Graziano nel Decretum Gratiani, testo fondamentale
del diritto canonico. Nell’università di Bologna si studiava il Corpus iuris civilis come diritto co-
mune a tutta la cristianità. Anche il diritto feudale fu oggetto di riflessione teorica. Gli intellettuali
laici delle città si impegnarono nella stesura di trattati morali destinati all’educazione dei cittadini,
come l’opera enciclopedica Li Livres dou Tresor del notaio Brunetto Latini. Lo stile “gotico” si
sviluppò dalla metà del XII secolo a partire dalla Francia. Era caratterizzato dallo slancio verticale
e dalle grandi vetrate colorate. Il primo monumento in stile gotico fu l’abbazia di San Denis nell’Île-
de-France. La cattedrale di Chartres, eretta tra 1194 e 1260, possedeva la facciata a tre portali fian-
cheggiata da due torri campanarie.
LE AUTONOMIE POLITICHE
27. Città e comuni; l’Italia comunale e signorile
Lo sviluppo demografico, economico e sociale delle città europee tra XI e XIII secolo si tradusse
in forme di governo autonome. Tale assetto istituzionale fu indicato con il termine di “comune”, per
la messa in comune di diritti e privilegi delle collettività urbane. Le più precoci furono le città
italiane del centro-nord. Nelle città della Provenza e delle Fiandre comparvero nella prima metà del
XII secolo, in quelle della Francia del nord e della Germania all’inizio del XIII secolo. Tranne che
nel regno italico, le autonomie si svilupparono nella forma di concessioni di diplomi (carte di fran-
chigia o di comune) da parte dei re che riconoscevano prerogative e diritti parziali. Il fenomeno di
autogoverno cittadino fu europeo, ma le città italiane furono all’avanguardia, costituendo una vera

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e propria civiltà comunale, con un alto grado autonomia, circolazione di esperienze, forte differen-
ziazione, stretto legame con le diocesi.
Le città dell’Italia meridionale non conobbero una vera esperienza comunale. Lo sviluppo delle
autonomie urbane era bloccato dalla monarchia normanna e condizionato dall’aristocrazia rurale.
Neppure in Sardegna vi fu un processo spontaneo verso il comune, importato parzialmente da Pisa e
Genova. Lo sviluppo di ampie autonomie politiche delle città italiane del centro-nord fu dovuto alla
loro forza economica, sociale e culturale assieme alla debolezza dei sistemi politici centrali. Nelle
città italiane la società si articolava in tre componenti: un’aristocrazia militare urbana (milites), una
élite commerciale (negotiatores) e un ceto di intellettuali (iudices). Nella maggior parte delle città
italiane le prime esperienze di autogoverno maturarono in rapporto all’autorità vescovile. La lotta per
le investiture diede luogo a conflitti violenti e le iniziative di pacificazione lasciarono spazio a un
nuovo ordine politico, il comune, che consisteva all’inizio in assemblee (conciones o Arenghi) di
cives che eleggevano come rappresentanti i consoli (consules). Le rivendicazioni di autonomia da
parte delle città si scontrarono con l’impero, alla metà del XII secolo. Il conflitto con Federico
Barbarossa portò alla formazione di leghe tra città venete e lombarde, fuse nella lega lombarda,
giurata a Pontida nel 1167, che sconfisse l’esercito imperiale a Legnano, nel 1176. La pace di Co-
stanza del 1183 garantì alle città il diritto di esercitare i poteri regi.
L’amministrazione delle autonomie cittadine era esercitata dal Podestà, affiancato da un consi-
glio di cittadini. Il podestà fece redigere per iscritto i diritti delle città, gli statuti, e a registrare gli
atti amministrativi poi conservati negli archivi pubblici. La crescita demografica e lo sviluppo
economico promossero l’ascesa di mercanti, banchieri, notai e artigiani, fino ad allora esclusi dalla
partecipazione politica. Alla metà del secolo a Bologna, Firenze, Piacenza, Modena, Pisa, Lucca,
Perugia, Vercelli, il popolo mobilitò le sue società armate a base rionale, di intesa con le corporazioni,
per guadagnare spazio politico e imporre le proprie istituzioni. Le città italiane esercitarono un con-
trollo diretto sul contado (comitatus), un’area corrispondente alla diocesi. L’assoggettamento politico
e fiscale delle comunità rurali garantiva gli approvvigionamenti alimentari. A dar vita a forme di
autogoverno furono anche le comunità rurali. Inizialmente i signori concessero privilegi mediante
le carte di franchigia, riconoscendo ai contadini di potersi trasferire altrove.
Alla morte di Federico II, nel 1250, lo spazio politico delle città era condiviso non solo dal
popolo ma anche dalle corporazioni di mestiere, dalle parti (partes) e dai poteri signorili. Nella se-
conda metà del Duecento si generalizzò il fenomeno delle esclusioni politiche ad opera delle partes:
la pars imperii e la pars ecclesiae, nel contesto del conflitto che aveva opposto i sovrani svevi ai
pontefici tra XII e XIII secolo. Gli schieramenti cercarono di egemonizzare lo spazio cittadino e
assunsero i nomi di Guelfi (papato) e Ghibellini (impero). In alcune città i governi del popolo esclu-
sero dagli uffici politici numerose famiglie dell’aristocrazia militare che furono colpite da una legi-
slazione speciale indicandole come magnati, ossia cittadini oggetto di provvedimenti presi dal po-
polo (leggi magnatizie).
Nella seconda metà del XIII secolo le istituzioni comunali non riuscivano più a gestire la com-
plessità dell’evoluzione delle città. Si compì allora il superamento dei governi comunali in una varietà
di soluzioni a volte ibride: governi di parte; governi di popolo; dominazioni esterne. Alla base vi
fu un processo di selezione dei gruppi dirigenti costituiti da cerchie ristrette di famiglie, come a Fi-
renze, dove tra XIII e XIV secolo si alternarono governi di popolo, esclusioni magnatizie, bandi ed
esili di parte, esperienze signorili e oligarchie. Tra il 1267 e il 1343 la città fu governata da sovrani
angioini, nel 1282 fu costituito un governo popolare delle arti, tra 1293 e 1295 furono emanati or-
dinamenti di giustizia che esclusero 147 famiglie. Le lotte di fazione tra i Cerchi e i Donati porta-
rono all’esilio, nel 1302, di Dante Alighieri e di centinaia di appartenenti filo- ghibellini. L’alter-
nanza fra forme diverse di governo fu frequente anche a Modena, Bologna, Parma. L’affermazione
di strumenti di potere personale e signorile fu contemporanea a quella dei governi di popolo. Ezzelino
dei conti da Romano, dai suoi feudi trevigiani, estese la sua autorità su Verona, Vicenza, Padova e
Treviso; Oberto dei Pallavicini su Cremona, Pavia, Piacenza, Brescia. La dominazione signorile di
Guglielmo VII dei marchesi di Monferrato sul Piemonte fu fermata dai Savoia e dai Visconti. Più
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stabili furono le signorie all’interno di centri urbani, come quella degli Este su Ferrara; dei Della
Torre su Milano, sostituiti poi dai Visconti; dei Della Scala su Verona; dei Donoratico su Pisa; dei
Tarlati su Arezzo. L’introduzione del principio ereditario consentì di fondare vere e proprie dinastie
signorili, come quelle dei Visconti; dei Malatesta a Rimini; dei Gonzaga a Mantova, intorno alle
quali si formarono le corti. Il sistema delle corporazioni sopravvisse in quasi tutte le città. Verso la
metà del XIV secolo si erano ormai stabilmente affermati governi signorili in quasi tutte le città
comunali.

CRISI E NUOVI SVILUPPI (SEC. XIV – XV)


DEPRESSIONE DEMOGRAFICA E RISTRUTTURAZIONI ECONOMICHE
28. La crisi demografica e le trasformazioni dell’economia
La popolazione europea subì un drammatico calo nel XIV secolo a causa della sovrappopola-
zione relativa, cioè dello squilibrio fra risorse alimentari e popolazione. La pressione demografica
aveva esteso le coltivazioni a terreni marginali e meno fertili e a causa del peggioramento del clima i
cattivi raccolti determinarono carestie, creando una crisi annonaria in Italia e in Inghilterra. Dalle
campagne affluirono in città contadini in cerca di fortuna, ma le autorità urbane ne ostacolarono l’in-
gresso. I prezzi dei cereali aumentarono fino a dieci volte e la sottoalimentazione accrebbe la morta-
lità. Gli abitanti delle città maggiori si ridussero drasticamente, come a Firenze e a Bologna. Nel 1347
si abbatté sull’Europa la peste nera, proveniente dall’Asia e portata dai topi che infestavano le stive
delle navi mercantili. La peste sbarcò da Costantinopoli a Messina e da qui si diffuse nel continente,
nel 1348 raggiunse l’Italia, la Francia la Spagna e la Germania, nel 1349 l’Ungheria, la Scandinavia
e l’Inghilterra, nel 1350 la Russia, dopo aver sterminato un terzo dell’intera popolazione europea.
Alcuni storici sostengono che il calo della popolazione aveva determinato un calo della domanda
di beni, riducendo il livello di produzione globale e incrementando i salari urbani a fronte di un calo
dei prezzi e delle rendite agricole. Secondo altri il calo della popolazione avrebbe portato vantaggi,
poiché l’aumento della ricchezza media avrebbe stimolato la domanda di beni di consumo. Vi fu una
profonda trasformazione dell’economia e delle società urbane e rurali, testimoniata dal rapporto tra
prezzi e salari. Furono abbandonate le terre marginali a bassa redditività con il ritorno alla coltiva-
zione di terre migliori, la produzione fu diversificata in generi più pregiati; vino, olio, canna da zuc-
chero, frutta, piante industriali (gelso, cotone, lino, zafferano). Intere regioni si dedicarono alla pa-
storizia. Progressivamente fu ricostituito l’equilibrio tra risorse alimentari e popolazione. I prodotti
agricoli in surplus furono commercializzati: cereali, vino (Francia, Spagna, Portogallo), olio, prodotti
lanieri. I proprietari fondiari si indebolirono a causa della riduzione dei margini di profitto e in alcune
regioni crebbe la ricchezza cittadina in virtù degli investimenti di mercanti e imprenditori. I contratti
agrari a lungo termine furono sostituiti da contratti d’affitto a breve termine che prevedevano la ri-
partizione a metà dei prodotti della terra tra padrone e contadini in cambio di investimenti in sementi
e attrezzi da lavoro come accadde in Emilia, in Toscana, in Provenza (contratti di mezzadria). Lo
sviluppo produttivo determinò la crescita di alcune regioni e il declino di altre. Dalla metà del XIV
secolo una profonda ristrutturazione del lavoro investì le manifatture, perse importanza la figura
dell’artigiano in favore della diversificazione delle fasi della lavorazione. La dislocazione delle ma-
nifatture rurali fu utilizzata in Inghilterra e nelle Fiandre per abbassare i costi di produzione. Le dif-
ficoltà dell’economia coinvolsero anche le attività creditizie. Molti sovrani per pagare i debiti di
guerra, sempre più ingenti, operarono svalutazioni della moneta, rendendosi insolventi e mandando
in bancarotta gli istituti di credito, come accadde tra Filippo il Bello e i banchieri Bonsignori di
Siena; Edoardo III mandò in bancarotta i banchi fiorentini dei Bardi e dei Peruzzi. Furono affinati
gli strumenti assicurativi e le lettere di cambio e sviluppati sistemi di gestione delle entrate e delle
uscite delle società attraverso la partita doppia. Il sistema delle fiere declinò, sostituito dalla rete di
filiali commerciali e dall’incremento dei trasporti marittimi. Lo sviluppo delle economie inglesi,
olandesi e spagnole favorì l’apertura di nuovi assi commerciali che spostarono il baricentro degli
scambi dal Mediterraneo all’Europa atlantica.

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29. Reazioni e ripresa; rivolte e marginalità sociali; la ripresa del Quattro-
cento
La congiuntura aveva seminato il terrore. La gente non riusciva a spiegarsi le cause del susse-
guirsi di cattivi raccolti, pestilenze, guerre. La risposta più immediata fu di interpretarli come annun-
zio apocalittico. Si diffusero così le confraternite di devozione, i cui membri si flagellavano e com-
pivano pellegrinaggi. Nel 1399 l’Italia fu attraversata dalla devozione dei “Bianchi”. Si sviluppò il
culto della Passione di Cristo. Le processioni dei flagellanti che attraversarono l’Europa accrebbero
la violenza contro coloro che si ritenevano complici del demonio. Furono incitate le popolazioni a
perseguitare i non cristiani, come in Francia, nelle Fiandre, in Ungheria, in Catalogna e in area tede-
sca. Tra 1348 e 1350 vi furono 96 pogrom. Anche l’arte sacra rappresentava scenari di morte e deva-
stazione. Nel 1348, alcune donne che vivevano da sole, praticando guarigioni, furono accusate di
stregoneria e linciate dalla popolazione. La repressione della stregoneria fu affidata all’inquisizione
e divenne più incisiva dalla metà del XV secolo, in Germania e in Italia.
Tra XIV e XV secolo le campagne e le città d’Europa furono attraversate da un’ondata di rivolte
a causa del peggioramento delle condizioni di vita. I contadini non contestavano il re, ma si battevano
per la redistribuzione della ricchezza e per la partecipazione politica. Nelle campagne il calo della
rendita fondiaria indusse molti signori a esigere, con la forza, i vecchi diritti signorili, come le cor-
vées, che riapparvero in Spagna, in Italia meridionale e in Europa orientale. In altre regioni si
recintarono i terreni in precedenza sfruttati dalle comunità di villaggio. Le tensioni sociali furono
esacerbate dall’introduzione di nuove tasse per finanziare le guerre. Nel 1323, nelle Fiandre, i con-
tadini si ribellarono alla nobiltà francofona; nel 1358 scoppiò la rivolta dei contadini nota come Jac-
querie nella Francia del nord. In Inghilterra l’introduzione della poll tax del 1351 (Statuto dei
lavoratori), che fissava un tetto massimo ai salari, scatenò la rivolta dei contadini dell’Essex e del
Kent nel 1381. Tra le loro richieste vi era l’abolizione della servitù, il ripristino degli usi delle terre
comuni e l’abolizione dello statuto. In Europa dell’est i contadini estoni si ribellarono contro i cava-
lieri Teutonici; in Linguadoca, in Piemonte e nel Vallese svizzero si ebbe la rivolta dei “tuchini.
Nelle città le condizioni dei lavoratori delle manifatture divennero più precarie. I capi delle bot-
teghe, i proprietari, i soci delle arti regolamentavano gli orari di lavoro, le modalità di produzione, la
qualità dei prodotti. I lavoratori salariati invece non avevano diritto a costituire proprie corporazioni.
Questo status giuridico fu all’origine di sommosse, come quelle scoppiate a Firenze (in cui vi fu il
primo sciopero operaio) tra il 1343 e il 1345. Sommosse popolari scoppiarono a Genova nel 1339,
a Siena e Perugia nel 1371, di nuovo a Firenze nel 1378, per iniziativa degli operai della lana, i
“ciompi”. Anch’essi chiedevano di partecipare al governo del comune con una propria arte, l’au-
mento dei salari, la tutela dalle vessazioni giudiziarie della corporazione della lana. Insorti a migliaia
ottennero un terzo delle cariche di governo per i propri rappresentanti, ma in seguito furono dura-
mente repressi dagli imprenditori. Per combattere la povertà molti governi adottarono politiche di
assistenza, fondando enti caritativi e ospizi. Per merito dei francescani furono fondati i “monti di
pietà” (il primo a Perugia nel 1462).
Dalla metà del XV secolo, il ritrovato equilibrio tra risorse alimentari e popolazione e l’aumento
dei raccolti diedero impulso alla ripresa demografica. Alcune città divennero le più popolose del con-
tinente: Palermo, Messina, Catania, Napoli e Firenze. Nel settore agricolo l’Olanda, la Lombardia,
e l’Inghilterra svilupparono un sistema integrato di colture e allevamento progredito, un avanzato
sistema idraulico consentiva l’irrigazione dei campi e la coltivazione del foraggio per nutrire il be-
stiame allevato nelle stalle. Questa organizzazione consentì ai mercanti fiorentini di superare i falli-
menti di metà Trecento e di essere protagonisti a livello internazionale con i banchi degli Alberti,
degli Strozzi e dei Medici. La concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi benestanti alimentò
una forte domanda di beni di lusso: palazzi, chiese, cappelle.

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IL DECLINO DEI POTERI UNIVERSALI (SEC. XIV – XV)
30. Il papato e la società cristiana; Avignone e lo scisma; nuovi fermenti reli-
giosi
Tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo declinarono le concezioni universalistiche del pa-
pato e dell’impero. Bonifacio VIII, nella bolla Unam sanctam, del 1302, riaffermò che il potere
temporale era affidato ai laici secondo il comando e la condiscendenza del clero e che ogni creatura
umana doveva sottomettersi all’autorità del pontefice di Roma. La nuova realtà politica europea, dove
l’antagonista del papa non era più l’imperatore ma un re forte del legame con i propri sudditi, rese
anacronistiche tali pretese. In occasione della discesa in Italia di Enrico VII nel 1310-1313, Dante
alighieri sostenne la necessità di un impero universale, la cui autorità derivava da Dio. Il fallimento
della spedizione di Enrico VII non spense l’ideale imperiale che trovò nuove argomentazioni nel
pensiero del francescano Guglielmo di Ockham e del teologo Marsilio da Padova, consiglieri di
Ludovico di Baviera. Filippo IV il Bello, re di Francia (1285 – 1314), comprese le conseguenze
della crisi dei poteri universali: nel conflitto con Bonifacio VIII ricorse agli stati generali per garan-
tirsi l’appoggio delle diverse componenti del regno e si circondò di giuristi che teorizzarono l’auto-
nomia del potere regio da quello pontificio.
Al culmine dello scontro tra Bonifacio VIII e Filippo IV, il re fu scomunicato dal papa. Su
consiglio del giurista Guglielmo di Nogaret, nel 1303, una spedizione guidata dallo stesso Nogaret
e appoggiata dalla famiglia romana dei Colonna, nemica storica dei Caetani (cui apparteneva il
papa), raggiunse Bonifacio VIII ad Anagni, sede della curia, dove fu arrestato. Il re fece quindi eleg-
gere, nel 1305, il papa Bertrand de Got, vescovo di Bordeaux, con il nome di Clemente V. Nel 1309
il nuovo pontefice trasferì la curia ad Avignone, rafforzando i rapporti tra papato e regno di Francia
e consolidando l’asse Guelfo. Lontana dai conflitti tra le famiglie romane, la curia sviluppò un effi-
ciente apparato amministrativo: gli uffici furono rafforzati, la cancelleria riordinata e ampliata nel
1331. Le entrate dei papi avignonesi ne fecero la quarta potenza finanziaria europea. La residenza di
Avignone fu caratterizzata anche da fenomeni di corruzione, come la vendita delle indulgenze. Dalla
metà del Trecento importanti figure cristiane, come Brigida di Svezia e Caterina da Siena, o di
letterati, come Francesco Petrarca e Coluccio Salutati, spingevano affinché il papato tornasse a
Roma. Gregorio XI vi riuscì nel 1377. La sua morte improvvisa aprì un conflitto all’interno del
collegio dei cardinali che elessero papa l’arcivescovo di Bari, Urbano VI, mentre i francesi elessero
il cardinale Roberto di Ginevra, Clemente VII. Si aprì così uno scisma interno alla Chiesa d’Occi-
dente, con una curia a Roma e una ad Avignone.
All’interno dell’ordine francescano una corrente di frati, ispirandosi alle dottrine millenaristiche
di Gioacchino da Fiore, riprese gli ideali di povertà assoluta. Gerardo da Borgo San Donnino, che
sosteneva che il Vangelo eterno di Gioacchino avesse completato il Vangelo di Cristo, fu ritenuto
colpevole di eresia. Pietro Giovanni Olivi contrappose l’ecclesia spiritualis guidata dai francescani
alla ecclesia carnalis con a capo un anticristo, per questo fu accusato di eresia nel 1283 e le sue tesi
condannate da Giovanni XXII nel 1327. Le correnti spirituali francescane, assertrici di un pauperi-
smo radicale, si contrapposero alla Chiesa come istituzione di potere. Il concilio di Vienne del 1311
condannò la tesi centrale del pauperismo, cioè che Gesù e gli apostoli non avessero mai posseduto
nulla; nel 1322 il capitolo generale dell’ordine approvò le affermazioni sulla povertà di Cristo, mentre
Giovanni XXII le condannò come eretiche. La corrente degli spirituali fu duramente repressa
dall’inquisizione. Dai francescani si distaccò Gherardo Segarelli, fondatore della setta degli apo-
stolici: il movimento fu condannato come ereticale e Gherardo messo al rogo nel 1300. Ne subentrò
alla guida fra Dolcino, che predicava l’avvento di una quarta età. Clemente V gli bandì contro una
crociata e Dolcino fu condannato a morte nel 1307. Nel 1302 l’inquisizione fece riesumare il cadavere
di una donna, la boema Guglielma, che aveva predicato a Milano sostenendo di essere inviata da
Dio; i suoi seguaci, i guglielmiti, preconizzarono l’avvento di una nuova era dominata dalle donne;
la Chiesa bruciò sul rogo il suo cadavere. La crescente attesa escatologica indusse la Chiesa a rico-
noscervi pericolosi fermenti di eresia e tra XIII e XIV secolo l’Europa cristiana fu attraversata da

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un’ondata senza precedenti di processi, promossi dalle giurisdizioni secolari e da quelle ecclesiasti-
che, nei quali imputazioni di tipo politico e accuse di eresia si intrecciavano in un’unica strategia
repressiva. Grazie all’influenza del domenicano e docente di teologia a Parigi, Johannes Eckart, le
cui proposizioni furono dichiarate eretiche nel 1328, la mistica ebbe notevoli sviluppi in area francese
e tedesca. Aspirazione mistica ebbe anche il movimento della Devotio moderna, che dai paesi bassi
si diffuse in tutta Europa. L’obiettivo era l’imitazione di Cristo. Alcune eresie assunsero un esplicito
significato di rivolta sociale e di opposizione politica alla Chiesa di Roma. Un teologo di Oxford,
John Wyclif sostenne che l’autorità del papa non era fondata sulle Scritture e che i cristiani dovessero
seguire solo la parola di Dio, traducendo in inglese la Bibbia; le sue teorie furono dichiarate eretiche
nel 1382 ma i suoi seguaci, i lollardi, continuarono a predicare per tutto il XV secolo, perseguitati
dall’inquisizione.
31. Il movimento conciliarista e la ritrovata autorità pontificia
Lo scisma indebolì profondamente l’autorità pontificia e si moltiplicarono le richieste di ricom-
posizione della frattura. I prelati di entrambi i fronti convocarono a Pisa, nel 1409, un concilio che
depose e dichiarò scismatici ed eretici entrambi i pontefici, ed elesse l’arcivescovo di Milano nuovo
papa col nome di Alessandro V, ma gli altri pontefici rifiutarono di abdicare e i papi divennero tre.
Alcuni dottori sostennero allora la superiore autorità del concilio su quella del pontefice in materia di
dottrina e di fede. Nel 1414 il re di Germania Sigismondo convocò il concilio a Costanza. I decreti
Haec Sancta del 1415 e Frequens del 1417 affermarono che il concilio derivava il suo potere diret-
tamente da Cristo ed esercitava l’autorità su tutti i cristiani, compreso il papa. Nel 1417 fu eletto il
primo papa ecumenico, Martino V (1417 – 1431), che convocò nuovi concili a Pisa nel 1423 e a
Basilea nel 1431. In quest’ultimo furono ridimensionati i poteri del papa e ridotto il potere della
curia. Tali decisioni riaprirono i contrasti con il nuovo pontefice Eugenio IV (1431 – 1447). Nel
1438 quest’ultimo dichiarò decaduto il concilio e indisse una nuova assemblea, a Ferrara, dove con-
vennero anche prelati e teologi greci per una soluzione dello scisma con la Chiesa Ortodossa, che fu
brevemente ricomposto nel concilio di Firenze del 1439. La maggioranza dei conciliaristi rimase a
Basilea, processando Eugenio IV e nominando suo successore Felice IV, l’ex duca di Savoia Ame-
deo VIII. Ma il consenso al movimento conciliarista venne meno di fronte agli esiti del concilio di
Basilea. I pochi padri conciliari rimasti si trasferirono a Losanna nel 1449 e, dopo aver riconosciuto
il nuovo pontefice di Roma, Niccolò V, si sciolsero definitivamente. Il pessimo esempio dato dai
vertici della Chiesa aveva allontanato dal clero i fedeli, alimentando i movimenti di contestazione. Il
pensiero radicale di Wyclif fu ripreso dal teologo boemo Jan Hus che criticò aspramente le indul-
genze, il potere temporale e la ricchezza della Chiesa, finendo scomunicato nel 1412. Hus si recò a
Costanza dove fu processato per eresia e condannato al rogo nel 1415. La morte di Jan Hus scatenò
una violenta reazione in tutta la Boemia in chiave antimperiale e antitedesca, i contadini e il basso
clero si batterono per il rinnovamento religioso e sociale. Dopo una lunga resistenza, l’ala hussita
moderata degli utraquisti trovò un compromesso con il concilio di Basilea, mentre quella più radicale
dei taboriti fu sconfitta e dispersa nel 1434. Il movimento conciliarista fu alla base della fondazione
delle Chiese nazionali, che ruppero l’unità della cristianità. L’indebolimento dell’autorità pontificia
consentì ai sovrani di svincolare dal controllo della curia il governo delle istituzioni ecclesiastiche
locali. Nel 1438 il re di Francia emanò la Prammatica sanzione, che si richiamava ai decreti di Co-
stanza e Basilea, per proclamare l’elezione locale dei vescovi e degli abati.
Lo scioglimento del concilio, nel 1449, segnò la prevalenza dell’autorità papale nella Chiesa. La
disunione dei prelati emersa a Basilea aveva mostrato l’incapacità del concilio di proporsi come
governo della cristianità. Il domenicano Juan de Torquemada svolse un importante ruolo di media-
zione tra la sede romana e i vescovi francesi, che riconobbero come papa legittimo Eugenio IV. Il
filosofo tedesco Nicola Cusano, che aveva sostenuto l’unità della Chiesa nel trattato De concordan-
tia catholica, fu nominato cardinale nel 1448 e legato pontificio in Germania. Il pontefice Pio II
(1458 – 1464) - l’umanista Enea Silvio Piccolomini - con la bolla Execrabilis del 1460 confermò
l’autorità del papa sul concilio.

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Dalla metà del XV secolo si consolidò la tendenza alla centralizzazione del governo pontificio
le cui entrate fiscali erano cresciute grazie alle decime e alla tasse sui benefici. I cardinali e i vescovi,
tratti dalle case regnanti o principesche, si occupavano solo di politica e diplomazia, trascurando la
cura delle anime e accumulando i benefici ecclesiastici. A causa dalla volontà delle famiglie princi-
pesche romane di assicurarsi, attraverso un cardinale, il controllo della concessione dei benefici au-
mentò il numero dei membri del collegio cardinalizio, arricchendo le loro fortune secolari. Il feno-
meno, detto nepotismo, riprese vigore nella seconda metà del XV secolo, si crearono vere e proprie
dinastie di cardinali, vescovi e alti prelati, dotate di ingenti patrimoni. La curia pontificia ritornò a
essere un luogo ricco e fastoso, dove convenivano da tutta Europa artisti, architetti e letterati. Roma
divenne la splendida capitale della Chiesa universale. Il Vaticano divenne la residenza dei papi. La
restaurata autorità del potere pontificio lasciò però insoddisfatti i fedeli, i quali rafforzarono le espe-
rienze di vita in comune, soprattutto femminile (beghinaggio). I laici svilupparono attività caritative
attraverso l’opera di confraternite. Tra i francescani, emersero figure di grande rilievo spirituale,
come Bernardino da Siena o Giovanni da Capestrano.

GLI IMPERI
32. L’impero tedesco
Il potere dell’impero era stato ridimensionato dall’interregno seguito alla morte di Federico II e
dalla debolezza dei suoi successori. Dopo il fallimento dei tentativi di Enrico VII di Lussemburgo e
di Ludovico dei Wittelsbach di Baviera, di ridare lustro al potere imperiale attraverso le campagne
italiane, l’influenza degli imperatori si ridusse al solo territorio tedesco. Il patrimonio imperiale era
andato disperso nel XIII secolo a causa delle elargizioni dei sovrani. Nella prima metà del XIV secolo
si affermarono i grandi elettori, laici ed ecclesiastici, chiamati a designare i re di Germania e di
Boemia, il marchese di Brandeburgo, il
duca di Sassonia e il conte del Palatinato,
gli arcivescovi di Colonia, Treviri e Ma-
gonza. Nella dieta di Rehns del 1338 i
grandi elettori stabilirono, insieme a Ludo-
vico di Baviera, che il futuro sovrano
avrebbe associato la corona regia e quella
imperiale senza la conferma del papa. Carlo
IV di Lussemburgo (1347 – 1378) avvertì
ancora la necessità di scendere in Italia per
cingere, nel 1355, la corona imperiale. Nel
1356 emanò la Bolla d’oro, che fissò il col-
legio dei sette principi che potevano eleg-
gere l’imperatore. Il titolo imperiale fu con-
teso, tra XIV e XV secolo, tra la casata dei
Wittelsbach di Baviera, dei Lussemburgo
di Boemia, e degli Asburgo, i cui domini si
estendevano dalla Svizzera al Tirolo e alla
Carinzia. I Lussemburgo controllarono per
circa un secolo la corona imperiale. L’ultimo
sovrano della casata, Sigismondo, eletto re
d’Ungheria, diede in sposa la figlia Elisa-
betta ad Alberto II d’Asburgo, favorendo la
convergenza delle corone d’Austria, Boe-
mia e Ungheria nelle mani degli Asburgo,
che la conservarono per tutta l’età moderna.
La carica imperiale divenne dinastica, essa fu

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esercitata attraverso il parlamento imperiale (Reichstag) sui territori governati da un signore: i Län-
der. Nei Länder i principi costituirono apparati fiscali, eserciti, tribunali d’appello, funzionari
centrali e periferici tipici degli stati sovrani. Nell’area renana, nella Germania meridionale e sulle
coste del mar Baltico si erano sviluppate le maggiori città tedesche, governate da una aristocrazia
mercantile. Il rafforzamento dei principati territoriali indusse le città a riunirsi in leghe. Per vari
decenni la Germania fu travagliata da uno stato di guerra continuo tra i principi e le città. La lega
delle città sveve, capeggiata da Ulm, comprendeva oltre quaranta centri e si batté contro i conti del
Württemberg; altre leghe si costituirono in Alsazia, Renania, Sassonia, ma subirono pesanti scon-
fitte dagli eserciti signorili e furono costrette a sciogliersi in seguito alla pace generale del 1399. Le
città dell’area baltica e renana avevano dato luogo, fino dalla metà del XII secolo, a unioni di mer-
canti tedeschi indicate con il termine di Hansa, esercitando una supremazia economica in tutta la
regione, grazie alla modernità delle navi e dei metodi di gestione. Nel 1364 le associazioni si fusero
in un’unica lega: la lega anseatica, capeggiata da Lubecca, essa contava oltre duecento centri tede-
schi, norvegesi, svedesi, polacchi e lituani, divenendo, nel XV secolo, una grande potenza economica
e militare. Nei suoi empori si scambiavano i manufatti dell’Europa occidentale con le materie prime
provenienti dall’Europa orientale.
Nel 1310, Giovanni di Lussemburgo, figlio di Enrico VII, incorporò la Boemia nell’impero,
che raggiunse l’apogeo con il lungo regno di Carlo V (1347 – 1378). Egli rinunciò al potere imperiale
sull’Italia, pose a Praga la propria residenza nel 1348, dove fondò la prima università dell’Europa
centrale ed estese il regno incorporando il Brandeburgo. Nelle regioni orientali e baltiche l’ordine
religioso dei Cavalieri Teutonici costituì un principato territoriale nel 1237. La conquista e l’evan-
gelizzazione tedesca si spinse alla Pomerania e alla Prussia e, alla metà del XIV secolo, all’Estonia
e ai territori più interni. Il principato dell’ordine teutonico si organizzò amministrativamente intorno
al Gran maestro, residente a Marienburg, nella Prussia orientale. Sotto la guida di Winrich von
Kniprode furono fondati oltre 1.400 villaggi e varie città. La sconfitta subita a Tannenberg nel 1410,
da parte dell’esercito lituano-polacco, costrinse l’ordine a cedere la Prussia orientale al re di Polo-
nia, frenando l’espansione tedesca a oriente.

33. Il tramonto di Bisanzio; l’Islām: dagli arabi ai turchi: l’impero ottomano


Dopo il saccheggio di Costantinopoli del 1204, i crociati divisero il territorio bizantino in prin-
cipati: il ducato di Atene e di Tebe, il principato di Acaia e il regno di Tessalonica, dando vita
all’Impero Latino d’Oriente,
di cui i veneziani monopoliz-
zarono gli empori commer-
ciali. L’alleanza con i mer-
canti genovesi consentì a Mi-
chele Paleologo di riprendere
Costantinopoli nel 1261.
L’impero bizantino dovette di-
fendersi dagli attacchi degli
stati slavi dei Balcani e
dall’avanzata dei turchi. Sotto
la dinastia dei Paleologi (1259
– 1453) la concessione delle
terre in beneficio divenne ere-
ditaria. L’economia si inde-
bolì, il commercio e la finanza
rimasero nelle mani di vene-
ziani e genovesi. La svaluta-
zione della moneta determinò
un’irreversibile recessione.
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Ciò nonostante si sviluppò
un’intensa vita culturale in-
torno alla città di Mistrà, nel
Peloponneso. L’unica autorità
che non perse forza fu quella
del patriarca di Costantino-
poli.
Dal 1058 la dinastia turca
dei Selgiuchidi guidava il Ca-
liffato di Baghdad, retto solo
nominalmente dalla dinastia
araba degli Abbasidi, fino
all’invasione dei Mongoli del
1258. L’Egitto passò sotto il
controllo dei Selgiuchidi
quando Saladino dichiarò de-
caduta, nel 1171, la dinastia dei
Fatimidi, egli conquistò la Si-
ria, la Mesopotamia e l’Ara-
bia. Dal 1250 si installarono in
Egitto i Mamelucchi, origina-
riamente soldati schiavi di et-
nia turca, che governarono fino
al 1517, facendo del Cairo il centro della civiltà Islamica. Nelle regioni orientali l’invasione dei
mongoli sottomise i Selgiuchidi al Gran Khan, con la conseguenza di ridurre l’Anatolia a una serie
di piccoli emirati. Da uno di questi emerse la tribù degli Ottomani, forte dei propri cavalieri, che
cominciò a espandersi in tutta l’Asia Minore, dal XIV secolo, sotto la guida dell’emiro Osman I.
Nel 1354 si insediarono nella penisola di Gallipoli, da dove Murad I conquistò la Tracia e pose la
capitale ad Adrianopoli. Nei Balcani gli Ottomani si scontrarono con il regno di Serbia il cui esercito
venne sconfitto nel 1371 e sbaragliato a Kossovo nel 1389. L’espansione ottomana proseguì verso la
Macedonia, la Bulgaria e la Valacchia. Il papa Bonifacio IX bandì una crociata guidata dal re d’Un-
gheria Sigismondo assieme a francesi, veneziani e genovesi, che furono sconfitti a Nicopoli nel
1396. Il califfo di Baghdad assegnò il titolo di sultano al capo ottomano Bayazid I.
Gli Ottomani stavano per conquistare Bisanzio quando furono investiti dalla espansione mon-
gola di Tamerlano che, da Samarcanda, mosse una serie di fulminee campagne militari che gli
permisero di ricreare un grande impero asiatico. Conquistò la Persia, la Mesopotamia, la Georgia
e l’Armenia, saccheggiò Delhi. Nel 1402 catturò Bayazid I, arrestando l’avanzata dell’impero otto-
mano e conquistando parte dell’Anatolia. Dopo la morte di Tamerlano, gli Ottomani ripresero
l’espansione in Asia, nel Mar Nero e nei Balcani. Nel 1453 cadde Costantinopoli, assediata da
Maometto II, determinando la fine dell’Impero Romano d’Oriente. Nei decenni successivi i sul-
tani sottomisero gran parte della Grecia e dei Balcani. Nel 1480 occuparono anche Otranto. Mao-
metto II assicurò l’uniformità amministrativa e giuridica dell’impero fondato sulla sharia. Primo mi-
nistro era il vizir, mentre le province erano governate dai pascià. Il nucleo dell’esercito era costituito
dal corpo speciale dei “giannizzeri”, giovani reclute cristiane convertite all’Islām e istituito dal sul-
tano Orkhan,.

38
LA FORMAZIONE DEGLI STATI (SEC. XIV – XV)
34. Dai regni agli Stati
Gli Stati erano costituiti da una molteplicità di organismi (signorie territoriali, città, comunità
rurali, istituzioni ecclesiastiche). La geografia politica dell’Europa occidentale, fatta di grandi
monarchie e di principati territoriali rimase immutata. In Europa orientale si formarono invece
vari stati, più fragili rispetto a quelli occidentali.
Solo in Francia e in Inghilterra si costituirono delle monarchie nazionali, mentre nelle altre
regioni continuarono a essere forti i poteri territoriali locali. I grandi patrimoni fondiari erano par-
zialmente esenti dalla tassazione regia e rimasero alle famiglie aristocratiche cui i sovrani continua-
vano a concedere investiture feudali.
Lo sviluppo economico e sociale delle città ne aumentò l’influenza politica nei confronti del
re. Nei consigli cittadini e nelle magistrature maggiori crebbe la presenza delle corporazioni mer-
cantili e artigiane. Anche il clero continuò a godere di privilegi giurisdizionali e fiscali. Dalla metà
del XV secolo, i re tutelavano le Chiese nazionali stipulando accordi con il papato. Nel declino delle
sovranità universali, i giuristi e gli intellettuali di corte elaborarono, nel XIV secolo, dottrine politi-
che che riconoscevano la pienezza del potere del re. Sorsero le alte corti di giustizia, le camere
fiscali, i consigli del re e un numero crescente di ufficiali: castellani, capitani, esattori, giudici, balivi,
siniscalchi, sceriffi, cui veniva corrisposto uno stipendio nella prospettiva di una carriera regolare. La
burocrazia era ora reclutata in base alle competenze maturate nelle università e non più allo status.
I funzionari erano impiegati nelle cancellerie, negli uffici finanziari e nei tribunali. Con la crescita
degli apparati amministrativi, aumentarono le necessità finanziarie dei sovrani, le cui principali en-
trate provenivano dalle rendite fondiarie, che divennero però insufficienti. I sovrani ricorsero al pre-
stito dei banchieri internazionali, garantendo in cambio introiti futuri, cessioni di proventi fiscali o
concedendo feudi; talora però i re non furono in grado di pagare i debiti, provocando fallimenti delle
compagnie finanziarie. Le entrate provenivano dalle tasse: dalle imposte indirette sul consumo e
trasferimento dei beni, attraverso dazi e gabelle e dal monopolio del sale; dalle imposte dirette,
come il focatico in Francia (tasse sui nuclei familiari), o la poll tax in Inghilterra.
L’autorevolezza del re si fondava sulla sua capacità di garantire la pace interna e la giustizia ai
sudditi. L’ordine pubblico era assicurato da milizie dislocate sui territori del regno. Nelle provincie,
giudici itineranti di nomina regia controllavano l’attività dei tribunali locali, che in Francia furono
chiamati parlamenti, di cui il più importante fu quello di Parigi. Presso le corti furono istituiti tri-
bunali supremi: il Grand Conseil in Francia, la Star Chamber in Inghilterra. L’esercito era costi-
tuito da mercenari professionisti. Furono creati corpi stabili di funzionari addetti alle relazioni
diplomatiche con i governi stranieri: gli ambasciatori, che risiedevano presso le corti estere e go-
devano dell’immunità personale.
Nonostante il rafforzamento dei poteri sovrani, gli Stati rimasero caratterizzati da una moltepli-
cità di corpi politici: le città, i principati territoriali e la nobiltà. I secoli XIV e XV furono attra-
versati dalle rivolte della nobiltà, delle città e dei contadini. A Parigi, nel 1358, la corporazione dei
mercanti instaurò un governo borghese; in Castiglia, nel 1369, la nobiltà e il clero sostennero la
ribellione che portò al trono Enrico di Trastàmara; in Inghilterra la rivolta dei contadini del 1381
fu scatenata dalla poll tax; in Germania la ribellione dell’aristocrazia depose l’imperatore Venceslao
IV nel 1400. L’autorità del re era riconosciuta in cambio dei diritti delle autonomie locali. Nacquero
le assemblee rappresentative: gli stati generali in Francia, le cortes in Spagna, i parlamenti in
Inghilterra e le diete in Germania. Si diffuse il principio quod omnes tangit ab omnibus approbe-
tur. Le assemblee divennero il luogo della mediazione tra gli interessi della corona e quelli dei gruppi
politici e sociali, rafforzandone la coesione. Esse erano convocate anche a livello periferico: in Fran-
cia gli stati provinciali e in Germania le diete dei principati territoriali. In vari stati si era formata
la consapevolezza dell’esistenza di interessi comuni e dell’appartenenza a un’unica comunità

39
politica spesso omogenea dal punto di vista linguistico e culturale evocando un sentimento di ap-
partenenza nazionale.
VERSO GLI STATI NAZIONALI
35. La guerra dei Cent’anni
Fu chiamata “guerra dei cent’anni” la serie di conflitti che contrappose in Francia la corona
inglese a quella francese dal 1337 al 1453. Da secoli i sovrani inglesi possedevano territori nel regno
di Francia, di cui erano vassalli. Quando, nel 1328, il re di Francia Carlo IV morì senza eredi, il re
d’Inghilterra, Edoardo III, che ne era nipote, rivendicò il diritto di succedergli. La guida del regno
fu invece affidata a Filippo VI di Valois, che confiscò i feudi francesi di Edoardo, inducendolo alla
guerra nel 1337. Il suo esercito sbaragliò, a Crécy e a Poitiers, la cavalleria francese, conquistando i
territori del sud-ovest. Nel
1358 i contadini insorsero
contro la nobiltà, mentre a Pa-
rigi la rivolta dei mercanti im-
pose agli stati generali il con-
trollo dell’amministrazione
regia. La pace di Brétigny,
del 1360, sancì la sovranità in-
glese su un terzo dei territori
francesi. L’inasprimento fi-
scale per le spese belliche fece
scoppiare disordini anche in
Inghilterra, consentendo ai
francesi di riconquistare, nel
1380, tutti i domini inglesi sul
continente, tranne gli avampo-
sti costieri. Con l’appoggio del
duca di Borgogna, Enrico V
d’Inghilterra riprese le osti-
lità e, dopo la vittoria di Azin-
court del 1415, conquistò
quasi tutta la Francia setten-
trionale, ottenendone la reg-
genza nel 1420. La reazione
antinglese delle popolazioni
contadine trovò il proprio sim-
bolo in Giovanna d’Arco che
guidò le milizie regie di Carlo
VII alla liberazione di Orléans nel 1429. Quando anche il duca di Borgogna si riconciliò con Carlo
VII, nel 1435, il re pose fine al conflitto. Nel 1453 agli inglesi rimase in territorio francese solo Calais.

36. Lo Stato francese e lo Stato inglese


Il processo di formazione statale fu più intenso in Francia e in Inghilterra rispetto agli altri
regni europei. In Francia, Filippo IV (1285 – 1314) attuò interventi di rafforzamento patrimoniale e
fiscale. L’esito favorevole del conflitto con il papato gli consentì di attuare confische al clero e di
incamerare, nel 1312, i beni francesi dei Templari, dopo averne decretato la soppressione. Egli raf-
forzò anche gli uffici periferici: i balivi nel nord e i senescalchi nel sud, che coordinavano a livello
regionale le attività dei prevosti, castellani ed esattori. Tra 1330 e 1380 la pressione fiscale si inasprì
a causa delle spese belliche, dando luogo a conflitti sociali che furono in parte composti coinvolgendo
gli stati generali e gli stati provinciali. Tra 1380 e 1430 l’autorità del re si indebolì a causa dei

40
conflitti dinastici e per le vicende belliche. Tra 1430 e 1490, la vittoria della guerra dei cent’anni
rafforzò il controllo monarchico del territorio; furono creati organi supremi giudiziari, fiscali e di
controllo: il parlamento, la tesoreria e la corte dei conti. Nel 1328 fu redatto il primo censimento
fiscale e nel 1341 fu introdotta la gabella del sale. Il controllo delle entrate fiscali fu affidato ai
“ricevitori”. Quando, nel 1392, Carlo VI fu dichiarato incapace di governare, emersero due fazioni:
quella guidata dal fratello del re, Luigi d’Orléans, che assunse la reggenza del regno e sostenne la
continuità della politica fiscale che favoriva i gruppi sociali esenti dalle tasse (nobiltà, clero e ufficiali)
e la fazione guidata dal duca di Borgogna, Filippo l’Ardito, zio paterno di Luigi, fautore di una
riforma in senso antifiscale sostenuta dalla nobiltà minore, dalle élites urbane mercantili e dal popolo
parigino. La fazione degli Armagnacchi guidata dal conte Bernardo d’Armagnac, dopo l’assassinio
di Luigi d’Orléans, nel 1407, precipitò il Paese nella guerra civile. La fazione dei Borgognoni, che
appoggiava i re inglesi, catturò e consegnò loro Giovanna d’Arco nel 1430, poi arsa sul rogo.
Carlo VII accentrò i poteri monarchici e riformò l’esercito. Nel 1454 furono redatte le “consue-
tudini del regno”. Dal 1467 gli ufficiali divennero inamovibili, segno del potere raggiunto dai servi-
tori dello Stato, che opponeva alla nobiltà di “sangue” la nuova nobiltà di “toga”. Nel 1465 Luigi
XI (1461 – 1483) dovette fronteggiare l’alta nobiltà coalizzata nella lega del pubblico bene, poi
sconfitta a Monthléry, consentendogli di recuperare il controllo di alcuni feudi. In Francia si sviluppò
un forte sentimento di identità nazionale, cui concorsero la lunga guerra contro gli inglesi e l’eman-
cipazione della Chiesa francese da quella romana. Nel 1438 Carlo VII adottò, con la Prammatica
sanzione, le deliberazioni dell’assemblea del clero francese che, pur riconoscendo l’autorità spirituale
del papa, riconduceva alla Chiesa “gallicana” il controllo delle istituzioni ecclesiastiche locali.
In Inghilterra si instaurò un maggiore equilibrio tra la corona e le altre forze politiche, già pre-
sente nella Magna Charta. La crescita della fiscalità regia dovuta alla politica espansionistica di
Edoardo I rese frequente la convocazione del parlamento, composto da baroni, prelati, rappresen-
tanti delle contee e basso clero. Tra il 1320 e il 1340 il parlamento divenne istituzione di governo
con responsabilità legislative, articolato in una camera alta (House of Lords) e una bassa (House of
Commons); Westminster divenne la capitale amministrativa dello Stato, assieme all’ufficio finan-
ziario del regno, lo “Scacchiere”. Nelle contee, controllate sin dal XII secolo dagli sceriffi e dove
operavano dal XIII secolo i coroners (giudici penali), furono introdotti dal 1327 i giudici di pace,
che amministravano la giustizia a livello locale. I rapporti politici interni al regno d’Inghilterra furono
oggetto di riflessione dei giuristi Henry de Bracton (1216- 1268 - il re non ha altro potere sulla terra
se non quello che gli conferisce il diritto) e John Fortescue (1385 – 1479 – il re inglese, a differenza
di quello francese, governa solo con il consenso dei sudditi). Le conseguenze fiscali della guerra
contro i francesi determinarono rivolte e malessere sociale. La perdita dei beni posseduti in Francia
schierò, contro Enrico VI (1422 – 1461), la grande nobiltà. Gli aristocratici si divisero in due fazioni:
i Lancaster e gli York. I simboli delle due ca-
sate erano un rosa rossa e una rosa bianca. La
lotta fra le due fazioni, tra il 1455 e il 1485, fu
conosciuta come Guerra delle due Rose. Nel
1485 Enrico VII, della casata dei Tudor, im-
parentata con i Lancaster, sconfisse Riccardo
III di York e sposò Elisabetta di York, met-
tendo fine al lungo conflitto.

37. Gli Stati iberici


Anche nei regni iberici di Portogallo,
Castiglia e Aragona vennero rinforzate le
strutture amministrative centrali e territoriali,
mentre la mediazione tra monarchia e poteri
politici avveniva per mezzo delle assemblee

41
rappresentative (cortes), che riunivano clero, nobiltà e cittadini. Il ruolo delle città divenne più im-
portante, sebbene violente crisi dinastiche indebolissero i regni. Nel territorio iberico non si era for-
mata una cultura uniforme, né un sentimento nazionale. Il rafforzamento dei re portoghesi subì un’ac-
celerazione con Dionigi I (1279 – 1325), che contrappose alla potenza nobiliare il sostegno alle élites
mercantili, fondando l’università di Lisbona, promuovendo lo sviluppo dei commerci e creando una
flotta da guerra. Dopo una crisi dinastica, nel 1385, le cortes incoronarono Giovanni I. Egli pro-
mosse le esplorazioni geografiche lungo le coste nord-occidentali africane, di cui fu artefice il
principe Enrico il Navigatore; dopo la conquista di Ceuta, seguirono quelle delle isole di Madera,
delle Azzorre, di Capo Verde, delle coste del Senegal, del Gambia e di Tangeri. Il controllo delle rotte
marittime assicurò ai portoghesi il controllo della via delle spezie. La struttura economica del paese
rimase però sostanzialmente agricola.
In Castiglia, Alfonso X promosse un’opera di unificazione giuridica (Las siete partidas). Le
leghe urbane, dette hermandades furono soppresse. Durante il suo regno (1325 – 1350) furono in-
viati nelle città degli ufficiali (Corregidores), negli uffici centrali crebbe l’importanza della compo-
nente formatasi nelle università (letrados). Il dualismo politico più intenso fu tra il re e la nobiltà:
si formarono signorie aristocratiche e nelle città fu favorita la nobiltà urbana (caballeros). Il carattere
composito del regno d’Aragona frenò il rafforzamento delle istituzioni monarchiche. Il regno si con-
figurò come una confederazione tra Aragona, Catalogna, Valencia e Maiorca, con la costituzione
di apparati centrali finanziari e fiscali (il mestre racional e la tesoreria), il potere delle cortes rimase
condizionante. Esse istituirono, nel 1359, un organo permanente di controllo finanziario e ammini-
strativo (Generalitat). Il governo unitario del regno restò sempre debole e la guerra con la Castiglia
segnò l’inizio della decadenza. Sin dal
Duecento gli interessi economici dei
mercanti catalani condizionarono la
politica monarchica e la vocazione mi-
litare della nobiltà verso l’espansione
nel Mediterraneo. Alla conquista delle
Baleari, della Sicilia e della Sardegna,
nel 1442 fu aggiunto il regno di Napoli
ad opera di Alfonso il Magnanimo
(1416 – 1458). Il predominio arago-
nese compromise l’egemonia commer-
ciale dei mercanti italiani. Nel 1469,
Isabella di Castiglia sposò Ferdi-
nando II d’Aragona, ponendo le basi
per la formazione di uno Stato nazio-
nale Spagnolo. Nel 1481 fu completata
la reconquista con la caduta, nel 1492,
dell’emirato di Granada. Nello stesso
anno furono espulse anche le numerose
comunità ebraiche. A vigilare sulla pu-
rezza della fede fu posto il tribunale
dell’inquisizione, guidato dal domeni-
cano Tommaso di Torquemada.

38. Regni nord-eu-


ropei e dell’Europa orientale
Approfittando della guerra franco-
inglese si formò, tra la Francia e

42
l’impero, un du-
cato centrato
sulla Borgogna,
poi esteso alla
Lorena, al Lus-
semburgo, alle
Fiandre, al Bra-
bante, alla Pic-
cardia, e ai Paesi
Bassi. I duchi, a
cominciare da Fi-
lippo l’Ardito,
acquisirono l’in-
dipendenza dalla
Francia nel 1435.
Nelle città fiam-
minghe si svilup-
pava la stagione
della pittura reali-
stica, la corte du-
cale di Digione fu
modello culturale
e politico per le corti principesche del XV secolo. Un’alleanza tra comunità di montagna si formò
nel cuore delle Alpi nord-occidentali, sotto gli Asburgo. Le prime furono Uri, Unterwalden e
Schwyz, da cui nacque la Svizzera. Ai tre cantoni iniziali si unirono, tra il 1332 e il 1353, quelli di
Lucerna, Zurigo e Berna. Nel 1499 l’imperatore Massimiliano I ne riconobbe l’autonomia.
Formazioni statali più stabili si affermarono dalla Scandinavia alle pianure orientali, abitate
da popoli slavi. Nelle campagne si rafforzò la nobiltà rurale che eleggeva i sovrani. L’esercizio
dell’autorità monarchica era affidato alle assemblee rappresentative (diete). In Polonia i re costitui-
rono ufficiali periferici (starosta) con compiti giudiziari e militari. In Scandinavia si erano formati,
tra XI e XII secolo, i regni di Danimarca, Norvegia e Svezia. Per fronteggiare l’espansionismo
tedesco i tre regni strinsero un’unione dinastica, l’Unione di Kalmar, che sopravvisse per tutto il
Quattrocento.
All’espansione tedesca si opposero le tribù baltiche, stanziate nei territori tra i fiumi Njemen e
Dvina. Dalla Lituania le popolazioni orientali reagirono alle pressioni esterne, espandendosi verso
sud-est e annettendo i principati russi dislocati nelle attuali regioni della Bielorussia e dell’Ucraina,
sotto il granduca Gedimino, i cui successori sconfissero i tartari ed estesero il dominio al Mar Nero.
Jagellone, convertitosi al cristianesimo e sposata la figlia del re di Polonia, divenne re a sua volta,
con il nome di Ladislao II (1386 – 1434) ed unì Lituania e Polonia, costringendo i Cavalieri Teu-
tonici alla ritirata nel 1410. Dopo l’acquisizione di Danzica, nel 1466, la sua dinastia costituì un
regno che si estendeva dal Baltico al Mar Nero.
La Polonia superò la frammentazione politica grazie alla dinastia dei Piasti, nel 1320. Sotto
Casimiro III il Grande (1333 – 1370) fu ricostituita l’unità territoriale. Il re contrastò il potere dei
grandi signori dispiegando un apparato di funzionari. Egli diede al paese una legislazione unitaria
nel 1347, favorì la ripresa economica di Poznan, Cracovia, Lublino, appartenenti alla lega Ansea-
tica, e fondò, nel 1364 a Cracovia, l’università. Il regno d’Ungheria conobbe fasi alterne, il potere
rimase nelle mani della grande nobiltà. Su pressione dei papi francesi la corona andò, nel 1309, a un
ramo degli Angiò, che la mantennero fino al 1387. Luigi I il Grande portò il regno alla sua massima
espansione. Ladislao III unì, per breve tempo, le corone lituana, polacca e ungherese, prima di
venire ucciso nella battaglia di Vienna contro i Turchi nel 1444. Nel 1526 il regno d’Ungheria fu
annesso al dominio degli Asburgo. Fra i vari principati tributari del Khanato dell’Orda d’oro, nel

43
XV secolo, emerse il ducato di Mosca. Il duca Ivan I Danilovič incrementò la pressione fiscale sulla
nobiltà e sul clero per pagare i tributi ai tartari e ottenere aiuto militare per incorporare gli altri prin-
cipati. Ottenne dal Khan il titolo di principe di Mosca e di tutte le Russie. Ivan III il Grande, nel
1478, sottomise il principato di Novgorod, l’unica città mercantile e artigiana russa. Nel 1494 fu
riconosciuto come zar di tutta la Russia. Nel 1497 pubblicò un codice di leggi che rafforzò il potere
monarchico a scapito dell’antica nobiltà dei Boiari. Un appoggio determinante ai duchi moscoviti fu
dato dalla Chiesa ortodossa. Ivan I spostò la sede metropolitica a Mosca, facendone il centro reli-
gioso di tutta la Russia. Egli rifiutò di accettare l’unione con la Chiesa latina sotto l’autorità del papa,
sancita dal concilio di Firenze del 1439. Quando nel 1453 Costantinopoli cadde nelle mani dei turchi,
Mosca ne raccolse l’eredità, divenendo il centro del cristianesimo orientale.

L’ITALIA DEL TARDO MEDIOEVO (SEC. XIII – XV)


39. La frammentazione politica
Negli ultimi secoli del Medioevo l’Italia fu protagonista di eventi politici che la differenziarono
dal resto d’Europa e contribuirono a farne una regione avanzata di civiltà, ma anche a evidenziare
caratteri strutturali che la resero più debole rispetto ai grandi Stati europei. Le città furono troppo
forti, le monarchie troppo deboli. Le città del centro-nord ebbero, tra XII e XIV secolo, uno straor-
dinario sviluppo (Firenze, Milano, Venezia, Genova, Lucca, Siena), trasformandosi in Stati territo-
riali. Le città meridionali non conobbero uno sviluppo economico e sociale come le città del centro-
nord. Ai sovrani meridionali mancò l’appoggio di una componente borghese nella costruzione degli
assetti statali. Inoltre lo Stato della Chiesa operò sempre a difesa della propria sopravvivenza, frap-
ponendosi fra l’Italia delle città e degli Stati territoriali e quella dei regni. Nel XV secolo le grandi
monarchie europee avevano raggiunto un grado avanzato di unificazione territoriale, gli Stati regio-
nali italiani, invece, erano medi o piccoli. Alla fine del secolo l’Italia era un paese molto ricco, al
centro dei traffici mediterranei e strategico nei confronti della potenza turca. Per questo divenne uno
degli obiettivi della lotta per l’egemonia continentale tra le grandi monarchie nazionali.
L’influenza pontificia, tramite l’alleanza con la corona francese, si allargò al regno di Sicilia
retto dagli Angiò. I pontefici erano al centro di un sistema politico sovranazionale, imperniato sulle
corti di Parigi, Avignone e Napoli e sul ruolo finanziario di Firenze. Investito dal papa, Carlo I,
della dinastia Angioina, si impossessò del regno di Sicilia, sconfiggendo gli svevi a Benevento nel
1266 e a Tagliacozzo nel 1268 e fissando a Napoli la capitale. Da qui egli impose la propria autorità
a molte città comunali: in Piemonte, in Toscana (a Firenze, dove agì come vicario imperiale, tra
1267 e 1279), in Lombardia. In quegli anni il termine “ghibellino” fu usato per indicare i nemici
dell’alleanza tra la casata di Francia, il papato e Firenze. La discesa di Enrico VII di Lussemburgo,
intesa a pacificare le lotte interne alle città, si infranse contro la resistenza guelfa, guidata da Firenze
e da Roberto d’Angiò; l’imperatore si appoggiò allo schieramento ghibellino guidato dai Visconti
e dai Della Scala, signori di Milano e Verona, ma la sua azione non ebbe successo, così come la
spedizione di Ludovico di Baviera tra 1327 e 1328. L’alleanza tra il papato e gli Angiò coinvolse
tutte le realtà politiche italiane dei due schieramenti: guelfo e ghibellino. Tra fine Duecento e inizi
Trecento, le parti all’interno delle città si schiararono con l’uno o l’altro fronte. Dopo il 1266, i guelfi
assunsero il potere nella maggioranza delle grandi città. Anche nel regno meridionale le parti dei
guelfi e dei ghibellini, in seguito alla rivolta del 1282, portarono alla divisione territoriale del regno
tra la Sicilia e il Mezzogiorno continentale. Il riaffacciarsi degli imperatori in Italia offrì l’occasione
ai signori delle città di rafforzare la propria autorità attraverso il titolo di vicario, in cambio di tributi:
Enrico VII lo concesse, nel 1311, a Cangrande della Scala, a Rizzardo da Camino, a Matteo
Visconti, a Riccardo Bonacolsi. Le legittimazioni vicariali, allentarono i rapporti tra i signori e la
comunità cittadina. Divennero irreversibili l’ereditarietà delle cariche, la creazione di organi di go-
verno dipendenti dai signori, lo svuotamento di poteri delle assemblee cittadine. L’allentamento

44
dei legami di consenso
tra cives e governanti,
fece emergere nel les-
sico politico il termine
“tiranno”; cioè chi
esercita il potere nel
proprio interesse e non
nel bene comune
(Tommaso
d’Aquino).
Nel XIV secolo,
alcuni centri urbani
maggiori ridussero la
frammentazione poli-
tica sottomettendo altre
città, comunità e signo-
rie rurali. Principati
ecclesiastici furono
quelli di Trento e
Bressanone e il pa-
triarcato di Aquileia.
La signoria degli Este,
di impianto feudale,
incluse Ferrara, Mo-
dena, Reggio e Ro-
vigo. Nell’appennino tosco-romagnolo dominavano i conti Guidi, in Lunigiana i Malaspina, in Pie-
monte i marchesi del Monferrato.
Il regno di Sicilia passò dalla dinastia imperiale degli Svevi, a quella regia francese degli An-
giò. L’espansione Catalano-Aragonese determinò la separazione della Sicilia dalle regioni meridio-
nali continentali e fu inglobata nella corona d’Aragona nel 1409.
Tra XIII e XV secolo la formazione di domini territoriali da parte delle città comunali polarizzò
il sistema politico intorno a cinque Stati regionali: Milano, Venezia, Firenze, regno di Napoli e
Stato pontificio. Il superamento della frammentazione politica tuttavia non diede luogo alla forma-
zione di un unico stato territoriale in Italia. La corte napoletana dei re d’Aragona fu dissolta; nel 1527
ci fu il sacco di Roma ad opera dei Lanzichenecchi, mercenari tedeschi dell'esercito imperiale; Fi-
renze subì continui mutamenti di regime; Venezia rischiò di perdere i suoi domini di Terraferma
dopo la disfatta di Agnadello del 1509 da parte dei francesi. Niccolò Machiavelli, segretario della
repubblica fiorentina dal 1498 al 1512, compose opere storiche e teoriche che esprimevano una con-
cezione realistica della politica.
40. Gli Stati territoriali
Tra XIV e XV secolo la frammentazione dell’Italia comunale e signorile fu ricomposta in un
sistema politico più stabile di stati regionali. Le città italiane dominanti assoggettarono altri centri
urbani, di tradizione comunale e dotati di contadi. Le campagne militari, affidate a truppe merce-
narie, accrebbero le spese, cui le dominanti sopperirono incrementando la pressione fiscale e ricor-
rendo alle imposte dirette e indirette sulle quali furono affinati i sistemi di accertamento delle
ricchezze e di riscossione dei tributi. Nei regimi oligarchici si affermò la pratica del debito pub-
blico consolidato, cioè dell’investimento in titoli emessi dallo Stato: nel 1407 Genova creò un
apposito banco (San Giorgio) per attirare investimenti dall’estero. Furono irrobustiti gli uffici cen-
trali, affidati a funzionari specializzati formati in università (Pavia nel 1361, Pisa nel 1472). I si-
gnori urbani della prima metà del Trecento furono i primi a creare stati sovra-cittadini: i Della
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Scala di Verona che controllavano Treviso, Padova e Vicenza con Cangrande (1291-1329) este-
sero il dominio su Brescia, Parma e Lucca con Mastino II (1329-1351); in Toscana Castruccio
Castracani dominava su Lucca, Pistoia, Luni e Volterra, dopo aver sconfitto i fiorentini ad Alto-
pascio nel 1325. L’arcivescovo Giovanni Visconti (1349-1354) dopo Lombardia, Piemonte, Li-
guria ed Emilia, espanse il dominio su Brescia, Vercelli, Genova, Parma e Bologna. Ognuna di
queste iniziative suscitò la mobilitazione militare di una lega avversa di città che, nel caso della
guerra contro i Visconti, ottenne il sostegno del pontefice, che scomunicò l’arcivescovo Giovanni
e bandì una crociata nella quale quasi tutti i domini conquistati furono perduti. L’impulso alla for-
mazione degli stati territoriali fu dato dalla politica espansionistica dei Visconti; Gian Galeazzo
(1385-1402) si spinse nell’Italia centrale ottenendo, tra il 1399 e il 1400, la signoria di Pisa, Siena,
Perugia, Spoleto e Bologna. La resistenza dell’accerchiata Firenze, nel nome della libertà “re-
pubblicana”, fu salvata dalla morte improvvisa del duca, nel 1402. A Milano, alla morte senza
eredi di Filippo Maria, fu istituita una “repubblica ambrosiana”, che durò dal 1447 al 1450. Il
termine res publica non indicava una specifica forma di governo, fu solo nella Firenze in guerra
contro i Visconti che i cancellieri Coluccio Salutati e Leonardo Bruni elaborarono l’ideale del
“repubblicanesimo” come forma di governo antagonista a quello signorile ed entrò in uso indicare,
come “repubbliche”, le città rette da governi collegiali (Firenze, Genova, Lucca, Venezia e Mi-
lano). Dopo la minaccia del Castracani, Firenze acquisì, tra il 1330 e il 1350, il controllo di Pistoia,
Prato, Colle Valdelsa, Arezzo, Volterra nel 1385, Pistoia nel 1401, Pisa nel 1406, Cortona,
Castrocaro e Livorno nel 1421. I contadi delle città sottomesse furono separati dai loro centri
urbani e amministrati direttamente da Firenze, attraverso una rete di uffici territoriali. Nel 1427 fu
redatto il catasto dei beni e delle ricchezze di tutti i sudditi del dominio e rafforzate le comunità
attraverso la revisione degli statuti e dei consigli locali. Il governo, di matrice mercantile, ottenne,
nel 1355, il titolo di vicario dall’imperatore. Dopo il tumulto dei Ciompi, esso accentuò le proprie
connotazioni oligarchiche, delimitando l’accesso agli uffici a un gruppo scelto di famiglie: il co-
siddetto “reggimento”.
Venezia aveva coltivato da secoli la propria vocazione mercantile costruendo, nei porti del
Mediterraneo orientale, un «dominio da mar». La città controllava le coste istriane e dalmate,
Spalato, Ragusa e Durazzo. La minaccia di Gian Galeazzo Visconti indusse il governo veneziano
a formare un dominio in Terraferma, dove Venezia controllava solo Treviso. Tale scelta rappre-
sentò una cesura nella storia politica della città che, tra il 1404 e il 1428, assoggettò Belluno, Pa-
dova, Vicenza, Verona, Brescia e Bergamo, il Cadore, il patriarcato di Aquileia, il Friuli e la
Carnia. Nella Terraferma il patriziato veneziano rispettò gli equilibri locali, limitandosi a control-
lare i podestà e i rettori. Un consiglio di “savi” di Terraferma affiancava il doge nella gestione del
territorio, il quale ottenne, nel 1437, il titolo di vicario imperiale.
Alla semplificazione della geografia politica dell’Italia settentrionale sopravvissero gli stati
territoriali dei Gonzaga a Mantova e degli Este a Modena, Reggio e Ferrara.
La signoria dei Savoia era estesa sui territori rurali delle Alpi occidentali. Il dominio di Ame-
deo VIII (1391-1439) si estese al Piemonte occidentale, a Nizza, Pinerolo, Torino e Vercelli.
Ottenuto il titolo ducale nel 1416, egli emanò importanti statuti, nel 1430 suddivise il ducato in
dodici province, affidate a balivi, a loro volta suddivise in castellanie.
Sopravvissero anche alcuni stati mono-cittadini, come Lucca e Siena, che subirono il dominio
di Firenze pur conservando la propria indipendenza.
Non mancarono esperienze signorili, come quelle di Paolo Guinigi a Lucca tra il 1400 e il
1430 e dei Petrucci a Siena tra il 1487 e il 1525. Genova non si trasformò in una potenza territoriale
come Venezia, ma controllava i centri costieri della Liguria e la Corsica. Il suo patriziato, si sot-
tomise alle signorie dei marchesi del Monferrato, dei Visconti, degli Sforza pur mantenendo la
prosperità economica degli armatori e dei banchieri.

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41. Lo Stato Pontificio e i regni meridionali
Lo stato pontificio si espanse con la concessione della Romagna da parte dell’imperatore Ro-
dolfo d’Asburgo, nel 1278. Il dominio comprendeva sette province con a capo un rettore: Roma-
gna, marca d’Ancona, ducato di Spoleto, Tuscia, Sabina, Marittima e Campagna. La presenza
di signorie rurali e feudali nei territori più meridionali del Lazio e in Tuscia rendeva però discon-
tinuo l’esercizio dell’autorità papale su questi territori: in Romagna, a Perugia e Ancona, a Or-
vieto, a Gubbio, a Forlì, a Faenza. Pur riconoscendo la sovranità del pontefice, queste forze si
erano affermate localmente collegandosi con potenze politiche esterne, spesso ostili al papato, come
quelle ghibelline. A Roma il senato, l’organo consigliare del comune, tornò in balìa delle fazioni
cittadine capeggiate dalle famiglie dei Colonna, dei Caetani e degli Orsini, dotate di possedimenti
e castelli nelle campagne laziali. Nell’Urbe, calato il flusso dei pellegrini dopo il giubileo del 1300
vivevano, oltre al clero e ai notai, le potenti famiglie signorili contornate da un popolo di pastori e
mandriani, di barcaioli e di osti. Nel 1347 scoppiò un’insurrezione popolare, capeggiata da un no-
taio di umili origini, Cola di Rienzo. Con il consenso della curia avignonese, egli si impadronì del
Campidoglio, proclamandosi “tribuno della pace, della libertà e della giustizia”. Cola si propose
di restaurare una “repubblica romana” che riunificasse l’Italia centrale, attuò le riforme dell’am-
ministrazione cittadina attraverso una politica antinobiliare. Vittima di una congiura aristocratica
che lo allontanò dalla città nel 1350, vi tornò nel 1354, inviato da Innocenzo VI ma il suo governo
autoritario e il forte fiscalismo gli alienarono la simpatia del popolo e fu ucciso durante una som-
mossa. Nel 1334 fallì il tentativo intrapreso dal cardinale francese Bertrand du Pouget di ripristi-
nare l’autorità pontificia. Il cardinale castigliano, Egidio de Albornoz, nel 1353, sottopose le città
dello stato al controllo dei rettori provinciali costringendo i signori locali a riconoscere l’autorità
pontificia. Egli promosse un sistema di fortificazioni e, nel 1357, promulgò le Costituzioni egi-
diane, una raccolta di norme che ribadiva le prerogative del governo pontificio e riconosceva alcune
autonomie ai comuni e ai signori. Il dominio pontificio fu consolidato dalla pratica nepotistica. La
debolezza dell’autorità papale in Romagna e nelle Marche permise ai Malatesta, signori di Rimini,
di estendere il dominio su Pesaro, Cesena e Fano; ai Montefeltro di creare un vasto territorio tra
Romagna, Marche e Umbria, centrato su Urbino; ai Da Polenta di radicarsi su Ravenna e il suo
territorio; ai Da Varano di dominare su Camerino. Questi signori assunsero la carica di vicario,
che i pontefici concessero loro per inquadrarli sotto la propria autorità. Nella situazione di disordine
dello stato pontificio, alcuni tentarono di dar vita a proprie signorie, come Braccio da Montone
che, nel 1416, divenne signore di Perugia.
Carlo I d’Angiò si insediò nel regno di Sicilia nel 1266, con l’appoggio politico del papato
e il sostegno economico dei banchieri fiorentini. Per coprire i debiti fu costretto ad aggravare
l’imposizione fiscale. Egli concesse terre in feudo ai cavalieri francesi, affidò ad ecclesiastici fran-
cesi vescovadi e abbazie, inserì burocrati francesi nell’amministrazione. Misure che suscitarono
malcontento nelle popolazioni locali, soprattutto in Sicilia, dopo che la capitale fu spostata a Na-
poli. Una parte dell’aristocrazia siciliana mantenne l’identità ghibellina che si manifestò con un’in-
surrezione armata nel 1268, quando lo svevo Corradino tentò di riconquistare il regno. Dopo la
rivolta contro i francesi a Palermo, al vespro del lunedì di Pasqua del 1282, i siciliani chiesero
aiuto a Pietro III d’Aragona. La rivolta dei Vespri Siciliani aprì un conflitto internazionale che
portò, nel 1296, all’incoronazione del figlio del re aragonese Federico III (1296-1337). La corona
siciliana si separò da quella di Barcellona, dando vita a un regno autonomo, la Trinacria, ratificato
dalla pace di Caltabellotta del 1302. La pace prevedeva la restituzione dell’isola agli Angiò dopo
la morte di Federico III, ma quest’ultimo si alleò con Enrico VII dando avvio a una nuova guerra.
Federico III potenziò il parlamento sul modello delle cortes catalane, decentrando le funzioni am-
ministrative alle città demaniali. Alla sua morte l’aristocrazia si divise in fazioni (catalana e latina)
che si batterono per controllare le risorse del territorio. Dopo la morte di Federico IV, nel 1377, i
capi delle famiglie baronali (Alagona, Chiaromonte e Ventimiglia) si divisero il regno. Pur cer-
cando di riconquistare la Sicilia, gli Angiò si concentrarono sul regno di Napoli, che diventò il
cuore politico del guelfismo italiano. Dal regno di Carlo II (1285-1309), la nobiltà rurale e

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l’aristocrazia cittadina ottennero privilegi fiscali e giudiziari. Il potere baronale era più forte che
in Sicilia e costituì principati territoriali come Salerno, Taranto e Sannio. Per finanziare la po-
litica internazionale, i sovrani dovettero ricorrere alle investiture feudali in cambio di introiti che
tamponavano le necessità finanziarie ma ne indebolivano l’autorità. I re si indebitarono con i ban-
chieri fiorentini che, in cambio delle anticipazioni pecuniarie, ricevettero privilegi doganali, feudi
e uffici, come avvenne con gli Acciaiuoli. Il regno di Napoli conobbe un lungo periodo di splen-
dore con Roberto I (1309-1343); cultore di teologia e letteratura, era considerato uno dei monarchi
più saggi della cristianità; capo del guelfismo italiano, signore di Firenze, Genova e Roma; egli
esercitò anche il dominio sulla Provenza e su parte del Piemonte. Presso la sua corte furono ospitati
giuristi, letterati e artisti, come Cino da Pistoia, Petrarca, Boccaccio, Giotto, Simone Martini e
vi trovarono rifugio esponenti più radicali dell’ordine francescano. Profondo fu il rinnovamento
urbanistico, con lo spostamento del centro politico nel Maschio angioino. Dotate di una limitata
autonomia sotto i sovrani normanni e svevi, le universitates si diedero, dalla fine del XIII secolo,
propri organi di governo riconosciuti dalla monarchia: come i Sei a Napoli o i Dodici a Salerno.
Le città siciliane furono governate da un collegio (curia dei giurati) e da un magistrato (baiulo),
eletti dalla comunità. Il punto debole delle città meridionali rimase lo scarso sviluppo delle com-
ponenti mercantili e artigiane.
In Sicilia, una spedizione militare guidata da Martino, nipote del re d’Aragona e marito della
figlia di Federico IV, sconfisse i baroni. Alla sua morte, nel 1409, l’isola fu riunita al regno di
Aragona da Ferdinando I di Trastàmara (1412-1416) e sottoposta, dal 1412, a un viceré. Vicende
proprie ebbe la conquista aragonese della Sardegna; concessa in feudo da Bonifacio VIII nel 1297,
gli aragonesi ne cominciarono la conquista nel 1323, accordandosi con Pisa, che mantenne il pos-
sesso di Cagliari, ma subendo le azioni di pirateria dei genovesi. La resistenza dei sardi era orga-
nizzata in clan locali e in regni, detti giudicati. Dei quattro originari (Arborea, Cagliari, Torres e
Gallura) era rimasto solo il giudicato di Arborea. Nel 1347 il giudice Martino IV emanò un codice
rurale di norme che disciplinavano il mondo agricolo e pastorale e, nel 1392, la giudicessa Eleo-
nora emanò una raccolta delle consuetudini civili e penali (Carta de logu). Solo la battaglia di
Sanluri, del 1409, aprì la strada alla conquista degli aragonesi, che nel 1421 istituirono un viceré
ed estesero la Carta de logu a tutta l’isola.
Alla morte di Giovanna II d’Angiò (1414-1435) si scatenò un duro conflitto tra Renato d’An-
giò, sostenuto dal papa e dal re di Francia, e Alfonso V d’Aragona, re di Sicilia (1416-1458),
terminato con la vittoria di quest’ultimo, nel 1442. Decisivo si rivelò l’appoggio del duca Filippo
Maria Visconti, cui si opposero Genova e Firenze. Alfonso V, detto il Magnanimo, riunì il regno
meridionale e stabilì la corte a Napoli. Suo figlio, Ferrante (1458-1494), proseguì l’opera di rior-
ganizzazione amministrativa e fiscale, di appoggio alle città e di contenimento della feudalità. Tra
il 1459 e il 1464 dovette affrontare il tentativo degli Angiò di reimpossessarsi del regno; nel 1482
liberò Otranto dalla dominazione turca; tra il 1485 e il 1486 represse la ribellione dei baroni, ap-
poggiata da papa Innocenzo VIII. Il dominio angioino e aragonese integrò l’economia meridionale
nelle reti commerciali internazionali dei mercanti toscani e catalani. Nel regno di Napoli l’economia
accelerò, accompagnata dalla coniazione da parte di re Roberto di una moneta d’argento, il gigliato.

42. La crisi del sistema


Nel 1442 l’alleanza tra i Visconti e gli Aragonesi insediò con le armi, sul trono di Napoli,
Alfonso V, mentre la morte senza eredi di Filippo Maria Visconti, nel 1447, scatenò lo scontro
per la successione nel ducato di Milano. Nel 1450 esso pervenne a Francesco Sforza, che aveva
sposato una figlia di Filippo Maria ed era stato chiamato dal patriziato milanese a difendere la
repubblica ambrosiana. Lo sostenevano i fiorentini, per contrapporsi all’avanzata dei veneziani,
con l’appoggio del duca di Savoia e del re di Napoli. La guerra si trascinò fino al 1453, quando a
causa della caduta di Costantinopoli i veneziani preferirono concentrarsi sul “dominio da mar”,
minacciato dall’avanzata dei turchi. La vicenda di Francesco Sforza evidenziò un fenomeno che

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caratterizzò la scena politica italiana del XV secolo: la creazione di domini signorili da parte
di condottieri. Nel XIV secolo, mercanti e artigiani si affidavano a truppe mercenarie le quali si
organizzarono nelle compagnie di ventura, guidate da un capo, come Braccio di Montone o
Francesco Sforza. A loro volta alcuni signori, soprattutto dei territori pontifici, divennero condot-
tieri, come i Montefeltro, i Malatesta o Gian Francesco Gonzaga, signore di Mantova, capitano
dell’esercito di Venezia dopo il 1427. La pace fra Venezia e Milano venne stipulata a Lodi, nel
1454, sancendo l’ascesa di Francesco Sforza al ducato di Milano. Tra il 1454 e il 1455 fu costituita
una lega tra gli stati dei confini italiani che prevedeva una durata di 25 anni e la creazione di un
esercito comune. Alla lega, promossa dal duca di Milano, da Venezia e da Firenze, aderirono il
papa, il re di Napoli, il duca d’Este e quasi tutti gli altri stati minori con lo scopo di mantenere gli
equilibri politici esistenti, impedendo ulteriori tentativi espansionistici. Si consolidò così l’assetto
del sistema politico italiano incentrato sui cinque stati maggiori: ducato di Milano, stati territoriali
di Venezia e di Firenze, Stato Pontificio e Regno di Sicilia. La pace fu conquistata con gli stru-
menti della diplomazia in cui si prodigò Lorenzo de’ Medici, la cui famiglia di banchieri aveva
affermato la signoria a Firenze sin dal 1434, all’interno di un quadro istituzionale repubblicano.
Attraverso l’alleanza con gli Sforza e con i sovrani napoletani, Lorenzo riuscì a frenare i tentativi
di espansione veneziani e le ambiguità della politica pontificia anche attraverso il carteggio fittis-
simo degli ambasciatori. Negli stati che costituivano la lega italica si susseguirono congiure che
manifestarono la precarietà dei loro assetti interni ma da cui non erano estranee le altre potenze.
Nel 1476 fu assassinato Galeazzo Maria Sforza, sostituito dallo zio: Ludovico il Moro. Nel 1478
Lorenzo de’ Medici scampò a un agguato organizzato dalla famiglia dei Pazzi, che gestiva le fi-
nanze pontificie ed era sostenuta dal papa. Nel 1485, Ferrante di Aragona fu oggetto della con-
giura dei baroni del regno, sobillati dai veneziani e dal papa. Sisto IV (1471-1484) appoggiò il
disegno del nipote Girolamo Riario di creare uno stato nell’Italia centrale. Il momento più critico
per lega fu la guerra contro Ferrara nel 1482, scaturita dall’interesse di Venezia per le saline del
Polesine e di Riario per allargare la signoria di Imola e di Forlì. La pace del 1484 ridimensionò le
ambizioni pontificie, ma riconobbe Rovigo e il Polesine a Venezia. Alla fine del XV secolo l’equi-
librio tra gli stati della penisola si ruppe definitivamente portando al collasso il sistema politico
italiano. La morte di alcuni dei protagonisti che si erano prodigati per ricomporre i conflitti – Lo-
renzo de’ Medici e papa Innocenzo VIII nel 1492, Ferrante d’Aragona nel 1494 – rese ingover-
nabile la crisi aperta dalla richiesta di Ludovico il Moro al re di Francia Carlo VIII di Valois, di
intervenire contro gli Aragonesi di Napoli, che rivendicavano il ducato di Milano per via dinastica.
Con l’appoggio dei veneziani il re di Francia, che rivendicava a sua volta diritti su Napoli in quanto
discendente degli Angiò, scese in Italia tra il 1494 e il 1495 impossessandosi del regno.

VERSO NUOVI MONDI (SEC. XIV – XVI)


43. L’Umanesimo: una discontinuità intellettuale; il Rinascimento artistico
Il mondo antico iniziò ad apparire estraneo alla società che si era delineata nei tempi recenti.
La coscienza della rottura rispetto all’antichità si associò, negli intellettuali del XV secolo, alla
volontà di restaurarne i valori positivi e gli ideali di bellezza. Con l’espressione humanae litterae
si indicavano le discipline classiche (letteratura, grammatica, retorica, poesia, storia, filosofia) che
concorrevano alla formazione dell’uomo. Gli studia humanitatis rispondevano all’aspirazione dei
“moderni” di assimilare lo spirito degli autori antichi. Gli umanisti concepivano sé stessi come
coloro che, coltivando le lettere, potevano realizzare sentimenti e valori che distinguono l’uomo
dalle altre creature. Essi immaginavano un uomo nuovo, buon cittadino, buon soldato, colto. Le
città comunali e signorili italiane ebbero un ruolo preponderante nello sviluppo dell’Umanesimo.
Dal XII secolo vi vivevano i maggiori intellettuali laici dell’Europa occidentale. L’Italia era l’area
economicamente e socialmente più sviluppata dell’Occidente e vi era concentrata la maggior parte
delle vestigia dell’età romana. La volontà di imitare lo stile del latino antico fu perseguita da alcuni
letterati attivi a Padova, tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, come il giudice padovano

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Lovato dei Lovati (1240-1309), copista e collezionista di testi classici, riunì intorno a sé un circolo
di poeti che conoscevano la letteratura latina dell’antichità (Lucrezio, Catullo, Orazio, Ovidio). Un
suo discepolo, il notaio Albertino Mussato (1261-1329), fu storiografo e poeta. Alle prime gene-
razioni di letterati fece seguito la figura di Francesco Petrarca (1304-1374), il quale creò intorno
a sé una comunità internazionale di intellettuali che conquistò il rispetto dei potenti del tempo.
Cresciuto alla corte pontificia avignonese viaggiò per molti anni in Italia e in Europa, impegnato
in missioni diplomatiche per il cardinale Giovanni Colonna, la sua notorietà crebbe a tal punto da
essere incoronato poeta dal senato di Roma, nel 1341. Animato da una forte sensibilità esistenziale
con cui aderiva al cristianesimo, assumendo a modello il misticismo di sant’Agostino, tentò una
sintesi tra le istanze cristiane e la visione classica. Un ammiratore di Petrarca fu il fiorentino Gio-
vanni Boccaccio (1313-1375), che trascorse molti anni presso la corte angioina di Napoli e fu
commentatore della Commedia di Dante. Maggiore prosatore del suo tempo, perfezionatore
dell’«ottava rima», Boccaccio fu scopritore di testi antichi. Molti umanisti si dedicarono alla ri-
cerca dei codici conservati nelle biblioteche dei monasteri. Poggio Bracciolini (1380-1459) esplorò
i monasteri svizzeri, francesi e tedeschi, scoprendovi opere di Quintiliano, Cicerone, Plauto e Lu-
crezio, documenti di un’altra cultura, di cui occorreva rispettare la fisionomia originale e compren-
derne il significato autentico; nacque così la filologia. Il nuovo metodo consentì di datare molti
codici e di individuare errori di attribuzione e manipolazioni apportate dagli amanuensi nel corso
delle trascrizioni. Attraverso la critica testuale, Lorenzo Valla dimostrò, nella De falso credita et
ementita Constantini donatione declaratio del 1440, che il documento che attribuiva all'imperatore
Costantino la decisione di donare a papa Silvestro I la giurisdizione sui territori dell'impero ro-
mano d'occidente era un falso databile all’VIII secolo. Il cancelliere fiorentino Coluccio Salutati
(1331-1406) rilanciò la conoscenza della lingua greca istituendo, nel 1397, la prima cattedra di
greco a Firenze.
Alcuni umanisti parteciparono alla vita civile e politica delle loro città, ricoprendo incarichi
pubblici. A Firenze, dalla fine del XIV secolo, furono a capo della cancelleria: Coluccio Salutati,
Leonardo Bruni, Carlo Marsuppini, Poggio Bracciolini, Benedetto Accolti e Bartolomeo
Scala; dal 1498 ne fu segretario Niccolò Machiavelli, considerato l’inventore di una nuova scienza
della politica fondata sul realismo. L’orientamento pratico si rifletteva anche nell’attività intellet-
tuale, Leonardo Bruni (1370-1444) tradusse le opere teoretiche di Aristotele come l’Etica nico-
machea e la Politica. Nelle corti signorili cittadine i nuovi sviluppi culturali trovarono il loro am-
biente ideale, perché i principi finanziavano imprese culturali e artistiche, per prestigio dinastico e
politico: a Milano, presso la corte degli Sforza, a Firenze presso quella dei Medici, a Mantova dei
Gonzaga, a Ferrara degli Estensi, a Urbino dei Montefeltro. Umanesimo cittadino e tradizione
aristocratica si fusero in una cultura nella quale trovarono posto anche gli antichi ideali cavallere-
schi, secondo il modello tracciato nel trattato Il Cortegiano (1528), di Baldassarre Castiglione e
nel poema cavalleresco di Ludovico Ariosto (1474-1533).
Nelle arti figurative il rinnovamento portò a una rottura rispetto alla tradizione, dando vita a
un linguaggio espressivo nuovo: ai temi sacri, tipici dell’arte precedente, si affiancarono soggetti
profani, come i grandi quadri di battaglie. Fu determinante la scoperta della prospettiva lineare, che
superava lo spazio a due dimensioni dando concretezza all’idea della centralità dell’uomo nella
natura, introducendo il punto di vista soggettivo dell’osservatore. Gli esordi del Rinascimento si
rintracciano nell’opera di alcuni artisti fiorentini dei primi decenni del XV secolo: Masaccio, Fi-
lippo Brunelleschi, Donatello, che tracciarono le linee guida del rinnovamento che avrebbe pro-
gressivamente raggiunto tutta l’Europa. La fioritura del movimento si situa a cavallo tra il XV e il
XVI secolo, quando in varie città lavoravano, contemporaneamente, alcuni dei più grandi artisti di
tutti i tempi: Bramante (1514) e Leonardo da Vinci (1519) a Milano, Raffaello Sanzio (1520) a
Urbino, i veneti Giorgione (1510) e Tiziano (1576). Dopo aver lavorato a Firenze, Michelangelo
Buonarroti (1564) fu coinvolto, insieme a Raffaello, nei grandiosi progetti di rinnovamento della
Roma papale portati avanti da Giulio II, Leone X e dai loro successori: nelle Stanze Vaticane

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dipinte da Raffaello, e nel Giudizio universale affrescato da Michelangelo nella Cappella Sistina,
inaugurata nel 1541, l’imitazione dei modelli classici giunse al suo massimo splendore.
Per l’alto grado di alfabetizzazione dei suoi abitanti, per la domanda di beni di lusso delle
sue élites mercantili e nobiliari, per il mecenatismo promosso dalla signoria dei Medici, il centro
propulsore del Rinascimento fu Firenze, una delle città più importanti d’Europa dove, come in
pochi altri luoghi e momenti della storia (l’Atene di Pericle o la Parigi di fine Ottocento), si con-
centrò uno straordinario numero di artisti e di intellettuali. Il personaggio che forse meglio incarnò
lo spirito dell’Umanesimo fu Leon Battista Alberti (1404-1472), fine letterato e acuto pedagogi-
sta, teorico della pittura e della scultura e grandissimo architetto. Sempre a Firenze Filippo Bru-
nelleschi guidò, tra il 1420 e il 1436, il cantiere della grande cupola della cattedrale di Santa Maria
del Fiore. Basandosi su rigorosi calcoli matematici e grazie allo stratagemma di costruire due cu-
pole sovrapposte, la cupola venne «voltata» senza un’armatura interna, raggiungendo un’altezza
pari al doppio del diametro: una realizzazione geniale in cui si fusero ragionamento scientifico e
intuito artistico.
44. Filosofia, religione e scienza; la diffusione della cultura
Con l’Umanesimo si diffuse una grande fiducia nell’intelligenza umana, che portò a esaltare
la superiorità dell’uomo sugli altri esseri naturali. La nuova visione in cui l’uomo era posto al centro
dell’universo ed era considerato padrone del proprio destino costituiva una netta discontinuità con
la cultura dell’epoca precedente, caratterizzata da una visione della vita che poneva Dio al centro
dell’universo e imponeva all’uomo una totale sottomissione al volere divino. Alla accettazione
dell’autorità ecclesiastica venne progressivamente contrapponendosi il senso della dignità
dell’uomo, del suo destino e della sua funzione nel mondo, come riassunse Giannozzo Manetti
nel trattato De dignitate et excellentia hominis del 1453. Il filosofo Giovanni Pico della Miran-
dola ricostruì i lineamenti di una filosofia universale, che si proponeva di concordare le diverse
correnti di pensiero in cui l’uomo doveva essere inteso come il prosecutore dell’opera divina della
creazione come scrisse nella sua Oratio de hominis dignitate (1486). A sua volta, il filosofo fio-
rentino Marsilio Ficino (1433-1499), si propose di saldare filosofia e religione, elaborando una
«docta religio», imperniata sulla dottrina dell’anima umana come centro del mondo. Per volere di
Cosimo de’ Medici, Ficino fondò nel 1459 l’Accademia platonica. Sfruttando le ricche biblioteche
portate in Italia dai dotti bizantini in seguito alla caduta di Costantinopoli nelle mani dei turchi,
Ficino si dedicò alla traduzione in latino e al commento dei Dialoghi di Platone.
L’affermazione della centralità dell’uomo nel cosmo consentì di osservare la natura con uno
sguardo più libero, rendendo indipendente il pensiero scientifico dal dogma religioso, riconside-
rando l’idea di universo al di fuori della visione tradizionale basata sulle «sfere» celesti di Aristo-
tele. Il filosofo e matematico tedesco Niccolò Cusano (1401-1464) paragonò il processo di cono-
scenza dell’uomo a un poligono che, aumentando i lati all’infinito, cerca di aderire il più possibile
a un cerchio, all’armonia universale. Egli avanzò l’idea che l’universo potesse non essere finito e
non avere un centro unico, al contrario della visione di Claudio Tolomeo. Su questa strada proseguì
il polacco Niccolò Copernico che, attraverso lo studio delle orbite dei pianeti sostenne, nel De
revolutionibus orbium coelestium (1543), che il Sole, e non la Terra, costituiva il centro del si-
stema planetario.
Nel XV secolo la sfericità della terra era un’ipotesi generalmente accettata. Ne derivava la
supposizione che, se la terra era rotonda, fosse possibile raggiungere qualsiasi punto procedendo in
qualsiasi direzione. Vi si dedicò il matematico fiorentino Paolo dal Pozzo Toscanelli (1397-1482),
che già aveva aiutato Brunelleschi nei calcoli geometrici per la costruzione della cupola del Duomo
di Firenze. Toscanelli, attraverso i suoi studi geografici, giunse a sostenere che la via più diretta per
raggiungere l’Oriente fosse la traversata dell’Atlantico. Delle sue idee venne probabilmente a co-
noscenza Cristoforo Colombo, che progettò di raggiungere l’Oriente seguendo quella via. L’os-
servazione della realtà attraverso una visione razionale fu posta alla base della ricerca. Si delineò
un nuovo modo di concepire il sapere, fondato sul rigore dei procedimenti che condusse a collocare

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la matematica e la logica, ma anche la poesia e le arti, al di sopra della metafisica e della teologia.
La figura che rappresentò meglio questa sintesi tra arte e cultura, tra scienza e tecnica, fu quella di
Leonardo da Vinci (1452-1519). Egli non percepiva alcuna frattura tra l’arte e la scienza, che
avevano entrambe come fine la conoscenza della natura. Nella sua opera si scorge quel desiderio di
sapere globale, esteso a ogni aspetto della realtà, che può essere considerato una delle eredità mag-
giori dell’Umanesimo.
L’evoluzione tecnica dalla stampa di testi o disegni incisi su legno fino alla stampa a caratteri
mobili, sviluppata dall’artigiano tedesco Johannes Gutenberg a Magonza – che nel 1456 stampò
una Bibbia in latino – determinò una profonda trasformazione delle modalità di trasmissione della
cultura. A Roma, Firenze e Venezia si diffusero stamperie che si trasformarono in imprese com-
merciali. La città lagunare divenne la capitale europea dell’editoria, il cui maggior esponente fu
Aldo Manuzio (1449-1515), che inventò il carattere corsivo (detto “italico”), rendendo le pagine
stampate più leggibili; lo sviluppo del mercato editoriale rese possibile programmare collane di
testi in volgare. La diffusione della stampa provocò una rivoluzione, determinando una serie di
trasformazioni nel modo di pensare e di accumulare la conoscenza: cambiò i modi di apprendi-
mento, sviluppò l’uso delle immagini e favorì la redazione di trattati tecnici con schemi e formule;
permise la riproduzione, in un numero illimitato di copie, di disegni e mappe; incentivò la classifi-
cazione e la pubblicazione di elenchi di dati e l’uso di indici ordinati e sequenziali. Il Rinascimento
si irradiò in tutta l’Europa nel corso del Cinquecento. La figura più significativa della diffusione
della cultura umanistica fuori d’Italia fu quella del teologo olandese Erasmo da Rotterdam
(1466/69-1536), che viaggiò per tutta la vita, insegnando in molte università europee. Nei suoi
scritti, lo sguardo razionale lo portò al rifiuto delle superstizioni, delle reliquie e del culto dei santi,
alla fede in una nuova età per l’uomo e al ripudio della guerra. La sua opera più celebre, l’Elogio
della follia, costituisce una satira sferzante della presunzione dei teologi, della immoralità del clero,
dell’indegnità della curia romana.

LE ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE: UNA DISCONTINUITÀ SPAZIALE


45. La ricerca di una nuova via per le Indie
Per secoli i commerci tra l’Europa e l’Asia si erano indirizzati dai porti mediterranei ad Ales-
sandria d’Egitto, da dove le merci venivano condotte via terra fino a Suez, e poi ancora per mare,
fino a raggiungere le coste indiane. Qui, tra le isole Ceylon, Sumatra e Molucche, si trovava il
centro della produzione mondiale delle spezie, ricercate soprattutto per la conservazione delle carni
e per la preparazione dei farmaci. Per arrivare in Occidente le spezie attraversavano l’ Oceano In-
diano sulle navi dei mercanti musulmani e indù, quindi il deserto egiziano lungo le piste carova-
niere; le compagnie commerciali europee le ridistribuivano poi in tutto il continente. Ancora più
lenti e insicuri erano i percorsi terrestri che congiungevano il bacino del Mediterraneo con l’Asia
orientale: dalla Mesopotamia all’altopiano dell’Iran, alle montagne del Pamir, al deserto di Takla-
makan e da lì, passando per l’oasi di Dunhuang, in Cina. La seta era al centro di questi traffici. I
costi delle merci che seguivano le vie dell’Oriente erano molto elevati. Questi elementi favorirono
in Occidente l’idea di poter raggiungere, via mare, le Indie, la parte sud-orientale del continente
asiatico. Diffusa era anche la convinzione che lungo la via si potessero trovare altre materie prime
preziose come l’oro. Dal XII secolo circolava in Europa la leggenda di un sovrano cristiano, nemico
dei musulmani, Prete Gianni, che avrebbe controllato un vasto dominio oltre le terre dell’Islām.
Sensibili a questa impresa si rivelarono i regni iberici del Portogallo, della Castiglia e dell’Ara-
gona. L’arricchimento delle conoscenze matematiche e geografiche permise di sviluppare tecnolo-
gie per la navigazione; la messa a punto del sestante consentì di determinare la posizione delle navi
in mare. Una maggiore abilità nel rappresentare lo spazio consentì di predisporre nuove carte geo-
grafiche. Nato nel 1451 a Genova, Colombo cominciò da giovane a navigare tra il Mediterraneo,
l’Inghilterra e le Canarie; dal 1476 entrò al servizio dei portoghesi come capitano di navi da tra-
sporto lungo le coste atlantiche dell’Africa. Nel corso di quei viaggi maturò il proposito di

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raggiungere l’Asia viaggiando in direzione opposta rispetto all’itinerario narrato da Marco Polo
nel Milione. Venuto a conoscenza della tesi del cosmografo Toscanelli, nel 1484, Colombo pre-
sentò il suo progetto al re di Portogallo Giovanni II ma questi era più interessato all’espansione
economico-militare sulle coste africane. Dopo anni di tentativi, Colombo trovò ascolto presso Isa-
bella di Castiglia, che decise di investire sull’ipotetica nuova via per le Indie. Il Portogallo aveva
il controllo delle rotte marittime attraverso le basi commerciali e militari nelle isole di Madera,
delle Azzorre, di Capo Verde e lungo le coste del Senegal e del Gambia, consentendo di fare affluire
via mare la polvere d’oro, l’avorio e gli schiavi. In Africa occidentale il commercio degli schiavi
era praticato da tempo immemorabile. Gli europei si inserirono in un mercato che già fioriva: il
primo carico di schiavi africani fu portato in Portogallo nel 1444.

46. L’Africa, l’India e il sud-est asiatico


In un ambiente – quello del Sahel, una fascia di territorio tra il deserto del Sahara e la savana
del Sudan – dominato dalla steppa e dal clima asciutto e caldo favorevole all’agricoltura e all’alle-
vamento, sorsero i più grandi imperi africani. Nell’area più occidentale, nel III-IV secolo, l’impero
del Ghana. Nel XIII secolo la dinastia dei Keita, convertita all’Islām, costituì l’impero del Mali.
L’impero del Songhai era sorto nel IX secolo dalla fusione di popolazioni locali con i berberi del
nord. Nell’Africa equatoriale e centro-meridionale (V-VI secolo) il regno di Manikongo, nel tratto
finale del fiume Congo e il regno di Ndongo (Angola). Sulle coste e nell’entroterra orientali, fra
Nubia e Abissinia, fin dal IV secolo emersero regni cristiani. Pero da Covilhã fu il primo europeo
a giungere alla corte d’Etiopia nel 1493.
Il navigatore portoghese Vasco da Gama fu il primo a raggiungere le Indie via mare, bordeg-
giando le coste africane oltre il capo di Buona Speranza, già raggiunto da Bartolomeo Diaz nel
1487. La sua spedizione era sia commerciale che militare. Vasco sbarcò a Calicut, sulla costa in-
diana del Malabar (nell’attuale Kerala) nel 1498. Il re (raja) lo accolse dapprima con favore, poi
si mostrò ostile, spinto dagli arabi. Vasco si rese conto che la sovranità si sarebbe potuta ottenere
per via di tributi e commerci, sostenuti dalla forza militare. La rotta per l’India da lui aperta rivo-
luzionò i commerci tra l’Europa e l’Asia. La società indiana era tradizionalmente divisa in ca-
ste (dei sacerdoti, dei guerrieri, fino ai cosiddetti intoccabili) ed era prevalentemente induista e, in
misura minore, buddhista. Tra IV e VI secolo quasi tutta la parte settentrionale del continente fu
unificata dalla dinastia Gupta. Le invasioni degli Unni dal nord-est determinarono la disgregazione
dell’impero. Gli arabi avevano conquistato alcune regioni settentrionali nell’VIII secolo, ma fu
solo con l’arrivo delle popolazioni turche che l’Islām penetrò fino al golfo del Bengala. I regni
locali – indù o musulmani – furono controllati dall’espansione trecentesca del sultanato, che spostò
la capitale a Daulatabad, nel 1328. A ricomporre il continente fu l’impero Moghul fondato
nel 1526 da un discendente del grande Tamerlano, Babur il Conquistatore, che estese il suo do-
minio dall’Afghanistan al Bengala. Nei secoli precedenti la regione era stata teatro di due vasti
imperi: in Thailandia, Laos e Cambogia, nel IX secolo, si formò l’impero Khmer; la conquista
della capitale Angkor, nel 1431, da parte della popolazione Thai costrinse la dinastia regnante
Khmer a trasferirsi sulle montagne dell’attuale Cambogia. Nel territorio più orientale, l’attuale
Vietnam, si sviluppò l’impero del Dai Viet, per iniziativa di Ngô Quyn, che sconfisse i cinesi nel
939. Nel XII e XIII secolo il dominio si scontrò con il regno Islamico indiano dei Champa. Caduto
nel 1407 sotto il dominio della dinastia cinese dei Ming, l’impero del Dai Viet fu ricostituito dalla
dinastia Lê nel 1428. Molto più a sud si estende l’Oceania (Australia, Nuova Zelanda, Melanesia,
Micronesia e Polinesia). Tra XI e XII secolo furono realizzati i primi colossi dell’Isola di Pasqua.
Lo spagnolo Ferdinando Magellano, nel 1521, raggiunse per primo la Polinesia navigando da est
verso ovest, per poi dirigersi verso le Filippine.

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47. La Cina e il Giappone
Dal primo millennio avanti Cristo, la Cina fu unificata sotto la dinastia Chin, in seguito sotto
la dinastia Han. A partire dal 618, la dinastia regnante divenne quella dei Tang, che riuscì a man-
tenere il potere fino al 907. Dopo il 960 fu la volta dei Song, che governarono il paese, dominato
localmente da un’aristocrazia fondiaria, simile all’aristocrazia signorile europea, fino al 1279.
Sotto di loro vi fu la diffusione del confucianesimo. Si ebbero innovazioni scientifiche in campo
astronomico e fu compilato un atlante cartografico delle varie province. La Cina settentrionale
(Catai) fu invasa, nel XIII secolo, dalle tribù nomadi della Mongolia guidate dal condottiero Te-
mujin (Gengis Khan). Suo nipote, Qubilai, si impose come capo dal 1260 al 1294, spostando la
capitale dell’impero da Karakorum a Khanbaliq (l’odierna Pechino) nel 1272, fondando la dina-
stia mongola degli Yüan. Alla sua corte giunse, nel 1275, Marco Polo che ebbe, nei diciassette
anni di soggiorno nel Paese, importanti missioni politico-amministrative che gli permisero di ap-
profondire la conoscenza delle condizioni di vita, delle lingue e dei costumi delle popolazioni
dell’Asia orientale. La dinastia degli Yüan perse il potere per la corruzione della burocrazia e per
l’incapacità di adottare riforme economiche contro le carestie. Un moto di rivolta sorse nelle cam-
pagne, guidato da Zhu Yuanzhang, un membro della setta buddhista del Loto bianco, che occupò
Nanchino nel 1359 e Pechino nel 1368, dove si proclamò imperatore, cacciando gli Yüan, e dando
inizio alla dinastia dei Ming. Egli fu il capostipite di un potere dinastico che sarebbe durato fino al
1644. Furono riorganizzati l’economia agricola, la burocrazia e il sistema educativo.
Il Giappone era retto da una monarchia durante il primo millennio cristiano. Il tennō (so-
vrano celeste) regnava su una popolazione scintoista e buddhista, divisa al proprio interno fino al
periodo in cui fu capitale Nara (710-782), che divenne il massimo centro letterario e culturale del
paese. Con il nuovo millennio, le lotte per il potere si giocarono intorno al possesso della carica di
supremo capo militare (shōgun). Dal 1185 al 1333 lo shogunato fu controllato dalle dinastie Mi-
namoto e Hojo che respinsero, nel 1274 e nel 1281, l’invasione mongola di Qubilai. Un tentativo
di restaurazione del pieno potere imperiale da parte del tennō Go Daigo provocò la fine degli Hojo,
aprendo una guerra civile contrassegnata, fino al 1392, da due corti imperiali. A guidare il paese fu
lo shogunato degli Ashikaga dal 1338 al 1573, caratterizzato dall’espansione dei commerci interni
e con la Cina.

48. Le Americhe
In età remote, attraverso lo stretto di Bering, tra l’Oceano Artico e Pacifico, vi fu un intenso
scambio di popolazioni: la presenza di ghiaccio entro la fine dell’ultima glaciazione (8000 a .C.)
consentì il primo popolamento dell’America settentrionale. Le popolazioni provenienti dall’Asia,
che si stanziarono negli attuali Canada e Stati Uniti, erano nomadi. Tra esse gli Hohokam, i Mis-
sissippiani e gli Anasazi. Popolazioni nomadi autoctone si stanziarono, tra il 7000 e il 2000 a.C.,
nella Mesoamerica. Nel 1500 a.C. si affermò la cultura di Ocós. Lungo la costa meridionale del
golfo del Messico si sviluppò la civiltà degli Olmechi (1200-400 a.C.). Il continente americano fu
lambito dai vichinghi che erano giunti sulle coste dell’attuale Groenlandia, dove esistono tracce
di insediamenti stabili dal X secolo. Una saga nordica menziona il viaggio del personaggio leggen-
dario, Erik il Rosso, in una regione oltre oceano detta Vinland, abitata da un popolo che sembra
corrispondere alle descrizioni dei nativi americani. L’esistenza tra Europa e Asia di un altro conti-
nente era ignota quando, il 3 agosto 1492, tre caravelle salparono dal porto di Palos sotto la guida
di Cristoforo Colombo che intendeva arrivare in Cina e in Giappone, dotato di lettere di amicizia
per i sovrani asiatici, in particolare per il Gran Khan. Il 12 ottobre 1492 approdò su un’isola
dell’arcipelago delle Bahamas, Guanahanì, che divenne San Salvador. Due anni dopo il primo
viaggio di Colombo, Spagna e Portogallo siglarono, nel 1474, il trattato di Tordesillas, tracciarono
una linea immaginaria sull’asse nord-sud dell’Atlantico a 370 leghe a ovest delle isole di Capo
Verde; a ponente di questo meridiano le terre scoperte sarebbero state spagnole, a levante porto-
ghesi. Una minima parte dell’area era stata esplorata, di conseguenza la Spagna guadagnò territori

54
amplissimi, mentre solo la parte più orientale dell’odierno Brasile, raggiunta nel 1500 da Pedro
Álvares Cabral, andò al Portogallo. Il trattato rappresentò il punto di partenza del colonialismo.
Sulle radici della civiltà degli Olmechi, nell’area dell’attuale Guatemala, era sorto, nei secoli
IV - VII, l’impero dei Maya, che l’arrivo del popolo dei Toltechi nel IX secolo confinò nello
Yucatan. Entrambi i popoli diedero vita a forme statali complesse e centralizzate, costruirono città
di pietra, arrivarono a un elevato grado di cultura artistica e astronomica; i Maya perfezionarono
l’unica forma di scrittura (geroglifica) del continente. I Toltechi dominarono le regioni centrali del
Messico fino al XII secolo, cui pose fine nel XIV secolo, l’invasione degli Aztechi, che fondarono
il primo nucleo di Tenochtitlán. L’impero raggiunse il suo massimo splendore sotto Montezuma
I (1440-1468) e crollò all’arrivo dei conquistadores spagnoli nel 1519.
Nella regione andina di Cuzco, nel XIII secolo, il popolo dei Quechua diede inizio all’impero
degli Inca, la civiltà più progredita del continente, avendo dotato il territorio di un’immensa rete
viaria (circa 40.000 km), nonostante gli Incas ignorassero la ruota e il cavallo. Una guerra dinastica
coincise con lo sbarco, nel 1531, dei conquistadores guidati Francisco Pizarro, che attirò in
un’imboscata l’imperatore Atahualpa prendendolo in ostaggio; nonostante il pagamento di un ri-
scatto in oro, il sovrano fu ucciso e il suo popolo assoggettato. L’impero fu depredato e il popolo
schiavizzati e mandato a morire nelle miniere d’oro e d’argento.
Lo sbarco di Colombo nel 1492 consentì all’Europa di colonizzare immensi territori e di av-
viarne lo sfruttamento economico. Per un decennio, però, il continente continuò a essere ritenuto
una propaggine delle Indie. L’esplorazione delle coste atlantiche meridionali, fino alla Patagonia,
condotta su navi portoghesi dal 1499 al 1502, dal navigatore fiorentino Amerigo Vespucci con-
vinse questi di essere di fronte a un nuovo continente. Nelle lettere indirizzate ai corrispondenti
fiorentini, Vespucci descrisse i nuovi territori, i popoli visitati, la fauna, sostenendo che quel mondo
nuovo non era l’estremità orientale dell’Asia. La diffusione, attraverso la stampa, delle sue rela-
zioni indusse il cosmografo tedesco Martin Waldseemüller a usare il nome America, dal nome di
Vespucci latinizzato (Americus Vespucius), per indicare il nuovo continente in una carta del
mondo, disegnata nel 1507.

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Sommario
IL PERIODO DI MEZZO (SEC. V – XV) .......................................................................................... 1
MILLE ANNI DI STORIA ...................................................................................................................... 1
1. L’idea di Medioevo............................................................................................................ 1
LA TRASFORMAZIONE DELL’IMPERO ROMANO (SEC. III-V) ............................................................... 3
2. La crisi dell’impero romano e la diffusione del cristianesimo (sec. III-V) ....................... 3
3. Le invasioni barbariche...................................................................................................... 4
4. I regni romano-barbarici .................................................................................................... 5
5. I Franchi ............................................................................................................................. 7
6. L’Italia fra Longobardi e Bizantini .................................................................................... 8
L’ETÀ POST-CAROLINGIA – (Sec. IX – XI) .................................................................................. 9
ECONOMIA, SOCIETÀ E POLITICA ...................................................................................................... 9
7. Nuovi sviluppi economici; le città e la crisi dell’impero; le nuove invasioni ................... 9
I POTERI LOCALI.............................................................................................................................. 11
8. L’organizzazione economica: il sistema curtense ........................................................... 11
9. Il potere politico: l’ordinamento signorile e i legami vassalatico-beneficiari;
l’incastellamento ........................................................................................................................ 11
LE TRASFORMAZIONI DELLA CRISTIANITÀ (SEC. III – XIII) ............................................. 12
10. Le chiese locali e l’età dei concili.................................................................................... 12
11. Il monachesimo e il monopolio ecclesiastico della cultura ............................................. 13
12. Le riforme della Chiesa: la Chiesa pontificia .................................................................. 14
13. Dissensi, eresie e nuovi ordini religiosi; il cristianesimo orientale; le persecuzioni degli
ebrei ......................................................................................................................................... 15
LA RIPRESA ECONOMICA (Sec. X – XII) .................................................................................... 17
CRESCITA DEMOGRAFICA, ESPANSIONE AGRARIA E SVILUPPO DEI COMMERCI ................................. 17
14. L’aumento della popolazione e l’espansione delle campagne ......................................... 17
15. Dall’economia della terra all’economia degli scambi; la rinascita delle città; la crescita
delle attività produttive e dei commerci ..................................................................................... 17
GLI SVILUPPI POLITICI (Sec. XI-XIII) ......................................................................................... 18
LA DIFFUSIONE DEI RAPPORTI FEUDALI ........................................................................................... 18
16. Dalla fedeltà personale al raccordo politico; Autorità universali e legami feudali ......... 18
LA FORMAZIONE DEI REGNI ............................................................................................................. 19
17. Le monarchie feudali; il regno di Francia........................................................................ 19
18. Il regno d’Inghilterra........................................................................................................ 21
19. Il regno normanno dell’Italia meridionale ....................................................................... 22
L’ESPANSIONE ARMATA DELLA CRISTIANITÀ .................................................................................. 23
20. La reconquista e i regni iberici ........................................................................................ 23

56
21. L’area imperiale e l’espansione verso Est; le crociate; nobiltà e cavalleria .................... 24
L’APOGEO DELL’EUROPA (Sec. XII-XIII) .................................................................................. 26
LA RICCHEZZA ECONOMICA ............................................................................................................ 26
22. Il boom demografico; il ciclo economico espansivo; ricchezze e differenziazioni sociali
26
PAPATO IMPERO E REGNI ................................................................................................................. 27
23. Le autorità universali ....................................................................................................... 27
24. Il rafforzamento dei poteri monarchici ............................................................................ 28
25. L’Europa orientale ........................................................................................................... 29
LA CIVILTÀ URBANA (SEC. XII – XIV) .................................................................................... 30
26. Il rinnovamento della cultura ........................................................................................... 30
LE AUTONOMIE POLITICHE .............................................................................................................. 30
27. Città e comuni; l’Italia comunale e signorile ................................................................... 30
CRISI E NUOVI SVILUPPI (Sec. XIV – XV) ................................................................................. 32
DEPRESSIONE DEMOGRAFICA E RISTRUTTURAZIONI ECONOMICHE .................................................. 32
28. La crisi demografica e le trasformazioni dell’economia ................................................. 32
29. Reazioni e ripresa; rivolte e marginalità sociali; la ripresa del Quattrocento .................. 33
IL DECLINO DEI POTERI UNIVERSALI (SEC. XIV – XV)....................................................... 34
30. Il papato e la società cristiana; Avignone e lo scisma; nuovi fermenti religiosi ............. 34
31. Il movimento conciliarista e la ritrovata autorità pontificia ............................................ 35
GLI IMPERI ...................................................................................................................................... 36
32. L’impero tedesco ............................................................................................................. 36
33. Il tramonto di Bisanzio; l’Islām: dagli arabi ai turchi: l’impero ottomano...................... 37
LA FORMAZIONE DEGLI STATI (SEC. XIV – XV) .................................................................. 39
34. Dai regni agli Stati ........................................................................................................... 39
VERSO GLI STATI NAZIONALI .......................................................................................................... 40
35. La guerra dei Cent’anni ................................................................................................... 40
36. Lo Stato francese e lo Stato inglese ................................................................................. 40
37. Gli Stati iberici ................................................................................................................. 41
38. Regni nord-europei e dell’Europa orientale .................................................................... 42
L’ITALIA DEL TARDO MEDIOEVO (SEC. XIII – XV) ............................................................. 44
39. La frammentazione politica ............................................................................................. 44
40. Gli Stati territoriali ........................................................................................................... 45
41. Lo Stato Pontificio e i regni meridionali ......................................................................... 47
42. La crisi del sistema .......................................................................................................... 48
VERSO NUOVI MONDI (Sec. XIV – XVI) .................................................................................... 49

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43. L’Umanesimo: una discontinuità intellettuale; il Rinascimento artistico........................ 49
44. Filosofia, religione e scienza; la diffusione della cultura ................................................ 51
LE ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE: UNA DISCONTINUITÀ SPAZIALE ................................................... 52
45. La ricerca di una nuova via per le Indie .......................................................................... 52
46. L’Africa, l’India e il sud-est asiatico ............................................................................... 53
47. La Cina e il Giappone ...................................................................................................... 54
48. Le Americhe .................................................................................................................... 54

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