ISBN 978-88-548-9099-2
DOI 10.4399/97888548909925
pp. 63-99 (marzo 2016)
1
Com’è noto, l’unione personale delle corone di Castiglia e Aragona nelle figure dei con-
sorti Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona si tramutò in unione politica quando, alla
morte di quest’ultimo nel 1516, il nipote di costoro, Carlo d’Asburgo, ereditò entrambi i pos-
sedimenti divenendo Re di Spagna con il nome di Carlo I.
63
64 Vincenzo Tedesco
5
Tra i manuali di procedura inquisitoriale più celebri basti qui ricordare la Practica inqui-
sitionis hereticae pravitatis di Bernard Gui, scritta agli inizi del XIV secolo, e il Directorium
inquisitorum (1376 ca.) di Nicola Eymerich. Su entrambi cfr. ibidem, pp. 47-57.
6
Nella creazione di nuovi lineamenti di diritto, resa necessaria dalla lotta alle eresie, gli
“addetti ai lavori” ripresero, come di consueto, concetti giuridici propri delle epoche prece-
denti e, in particolare, si rifecero al diritto romano. Il segno forse più interessante di ripresa e
di adattamento del diritto romano al nuovo contesto è l’accostamento della pena riservata agli
eretici che non avessero abiurato (i “rei impenitenti”) e ai relapsi (ossia coloro che avessero
ritrattato una confessione o che, in generale, fossero ricaduti nell’eresia dopo il pentimento)
con il crimine di lesa maestà sancito dalla Lex Iulia de maiestate emanata nell’8 d.C. per vole-
re di Augusto. Cfr. Ibidem.
7
È quanto si legge in un breve di papa Paolo III Farnese diretto all’inquisitore di Ferrara
nel 1536, inviato in seguito a un avvenimento che aveva fatto scalpore: qualche mese prima,
durante le celebrazioni del venerdì santo, un tale «Gianetto cantore francese» non solo si era
rifiutato di adorare la croce, ma aveva intrapreso una discussione sulla fede in Cristo che ave-
va causato l’intervento del duca di Ferrara Ercole II e dell’inquisitore locale. Lo stupore era
grande perché, prima di allora, la Penisola era rimasta “incontaminata” e il fatto che Gianetto
appartenesse addirittura alla corte della duchessa di Ferrara Renata di Francia aveva portato su
quest’ultima l’occhio preoccupato e vigile delle autorità cattoliche. Su questo caso si veda A.
PROSPERI, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Einaudi, Torino 2012,
pp. 35-36.
66 Vincenzo Tedesco
vi.8 I compiti della Congregazione furono ampliati nel corso degli anni
e a essa, nel 1571, venne affiancata la Congregazione dell’Indice dei
Libri Proibiti, deputata al controllo e alla censura della stampa.9
L’Inquisizione romana, anche se fu il punto di riferimento per i si-
stemi di lotta all’eresia nell’Europa cattolica, non riuscì a operare di-
rettamente ovunque a causa del timore dei singoli stati di ingerenza
eccessiva della Santa Sede nei propri affari interni. Un caso emblema-
tico e per certi aspetti ambiguo è rappresentato dal Meridione
d’Italia.10 In Calabria, così come nelle altre parti del Regno di Napoli,
non venne mai impiantata l’Inquisizione spagnola per via della riotto-
sità degli abitanti, che fece naufragare i tentativi prima di Carlo V e
poi di Filippo II di importare il modello spagnolo nella grande città
partenopea e nel territorio da essa controllato. D’altro canto, le autori-
tà spagnole si opposero alla creazione di un tribunale del Sant’Uffizio,
per cui il sistema che si venne a concretizzare si trovò a essere incen-
trato sul ruolo preponderante dei vescovi delle singole diocesi, che
esprimevano da una lato un legame con le autorità e le famiglie locali,
dall’altro quello con la Chiesa di Roma dalla quale dipendevano. Co-
me osserva Adriano Prosperi:
8
Ibidem, p. 38: «Una congregazione formata da sei cardinali riceveva dal papa il potere
pieno e senza limiti per affrontare la questione: nessun privilegio e nessun titolo ecclesiastico
dovevano più proteggere gli imputati. I cardinali dovevano poter svolgere la loro azione va-
lendosi di ogni mezzo, dal “braccio secolare” al supporto di inquisitori locali di loro nomina;
ai cardinali della congregazione – e soltanto ad essi – era riservato il diritto di assolvere e ri-
conciliare con la chiesa quegli eretici che, pentiti, volessero tornare al lume della verità».
9
Sull’ampliamento delle prerogative dell’Inquisizione e sull’attuazione delle stesse dopo
il 1542 si veda M. FIRPO, La presa di potere dell’Inquisizione romana (1550-1553), Laterza,
Roma-Bari 2014; Sull’Inquisizione in Italia A. DEL COL, L’Inquisizione in Italia, cit. e C. F.
BLACK, Storia dell’Inquisizione in Italia. Tribunali, eretici, censura, Carocci, Roma 2013 (ti-
tolo originale: The Italian Inquisition, Yale University Press, New Haven-London 2009).
10
Sull’Inquisizione nel Regno di Napoli è ancora utile la lettura di un importante saggio
di Luigi Amabile scritto più di un secolo fa [L. AMABILE, Il Santo Officio della Inquisizione in
Napoli, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 1987 (I ed. Città di Castello 1892)]; per una disa-
mina delle conoscenze più recenti si vedano P. SCARAMELLA, Inquisizione, eresia e poteri
feudali nel Viceregno napoletano alla metà del Cinquecento, in M. SANGALLI, (a cura di), Per
il Cinquecento religioso italiano. Clero, cultura e società, 2 voll., Edizioni dell’Ateneo, Roma
2003, vol. II, pp. 513-521; C. F. BLACK, Storia dell’Inquisizione in Italia, cit., pp. 84-89 (edi-
zine originale pp. 41-45) e G. FONSECA, Napoli in Dizionario Storico dell’Inquisizione. Diret-
to da Adriano Prosperi, con la collaborazione di Vincenzo Lavenia e John Tedeschi, Edizioni
della Normale, Pisa 2010 (d’ora innanzi DSI), vol. II, pp. 1097-1099.
Forme di giustizia e dissenso religioso 67
11
A. PROSPERI, Tribunali della coscienza, cit., p. 74.
12
F. CARDINI, M. MONTESANO, La lunga storia dell’Inquisizione, cit., pp. 111-125.
68 Vincenzo Tedesco
13
Ivi. Il compito di guidare il nuovo tribunale venne affidato al domenicano Tomás de
Torquemada, che venne nominato inquisitore generale nel 1483 e che portò avanti l’idea di
creare un’identità nazionale attraverso l’omogeneità religiosa; nel 1492, anno della presa di
Granada e della fine della Reconquista, gli ebrei vennero espulsi dalla Spagna e un decennio
dopo toccò ai mudéjares, i musulmani iberici, che scelsero in massa la conversione.
Sull’Inquisizione spagnola cfr. anche H. KAMEN, The Spanish Inquisition: A Historical Revi-
sion, Weidenfeld & Nicolson, London 1997 e C. F. BLACK, Storia dell’Inquisizione in Italia,
cit., pp. 39-41; edizione originale pp. 9-11.
14
Sull’Inquisizione spagnola in Sicilia, oltre a studi ormai classici come quelli di Henry
Charles Lea [di cui si veda L’Inquisizione spagnola nel Regno di Sicilia (a cura di Vittorio
Scuti Russi), Edizioni Scientifiche, Napoli 1995], Vito La Mantia (Origine e vicende
dell’Inquisizione in Sicilia, Sellerio, Palermo 1977), Carlo Alberto Garufi (Fatti e personaggi
dell’Inquisizione in Sicilia, Sellerio, Palermo 1978) ed E. William Monter (The Frontiers of
Heresy: The Spanish Inquisition from the Basque Lands to Sicily, Cambridge University
Press, Cambridge - New York 1990), si segnalano ora M. RIVERO RODRIGUEZ, Sicilia, in DSI
e M. S. MESSANA, Il Santo ufficio dell’Inquisizione. Sicilia 1500-1782, Istituto Poligrafico Eu-
ropeo, Palermo 2012. In Italia, la giurisdizione dell’Inquisizione spagnola venne estesa,
nell’anno fatale 1492, anche alla Sardegna (C. F. BLACK, Storia dell’Inquisizione in Italia, cit.,
pp. 93-99; edizione originale pp. 48-53).
15
Sembra piuttosto calzante, per descrivere le diverse formalizzazioni del sistema inquisi-
torio in Europa, l’utilizzo del concetto di “pluralità degli ordinamenti giuridici” ormai invalso
negli studi di diritto e proposto per la prima volta da Santi Romano in L’Ordinamento giuridi-
co. Studi sul concetto, le fonti e i caratteri del diritto, Pisa 1918.
16
Cfr. A. PROSPERI, Tribunali della coscienza, cit., p. 70.
17
M. S. MESSANA, Il Santo ufficio dell’Inquisizione, cit., p. 24.
Forme di giustizia e dissenso religioso 69
23
C. SALVO, Dalla spada alla fede, cit., pp. 152-153.
24
Ibidem, p. 154. Cfr. anche S. CAPONETTO, Studi sulla Riforma in Italia, cit., pp. 86 e
passim e ID., La Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento, cit., p, 408.
25
Così scriveva lo stesso Bartolomeo Spatafora al grande artista Michelangelo Buonarroti
nel 1560, quattordici anni dopo il suo soggiorno a casa di Vittoria Colonna. S. CAPONETTO,
Studi sulla Riforma in Italia, cit. p. 137.
26
Cfr. S. M. PAGANO, C. RANIERI, Nuovi documenti su Vittoria Colonna e Reginald Pole,
Città del Vaticano, Archivio Vaticano, 1989. Su un caso di meditazione attraverso la contem-
plazione di immagini che unisce tre grandi figure dell’epoca alle quali si accenna, per svariate
ragioni, in questo contributo, ossia Vittoria Colonna, Bernardino Ochino e Michelangelo
Buonarroti, si veda A. PROSPERI, Tra mistici e pittori: Vittoria Colonna, in ID., Eresie e devo-
zioni. La religione italiana in età moderna, Vol. I. Eresie, Edizioni Storia e Letteratura, Roma
2010, pp. 175-189 (in part. pp. 186-189).
Forme di giustizia e dissenso religioso 71
30
S. CAPONETTO, La Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento, cit., p. 409.
31
La lettera di Juan de Vega a Carlo V (Palermo?, 10 febbraio 1555), custodita presso
l’Archivio general de España (Estado, leg. 1123, fol. 8) è riportata in S. CAPONETTO. Studi
sulla Riforma in Italia, cit., p. 135 doc. 8.
32
S. CAPONETTO, La Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento, cit., p. 411.
Forme di giustizia e dissenso religioso 73
33
C. A. GARUFI, Fatti e personaggi dell’Inquisizione in Sicilia, Sellerio, Palermo 1978, p.
34.
74 Vincenzo Tedesco
durre alla morte, vi furono addirittura casi in cui non avvenne nulla di
tutto questo e intere comunità vennero sterminate sommariamente,
senza che per ognuno dei sospetti venisse celebrato alcun processo.
Si procederà ora a ricostruire, senza alcuna ambizione di comple-
tezza, alcuni tra i casi più celebri di adesione alla Riforma prima in Si-
cilia e poi in Calabria, per poi concludere analizzandone le analogie e
le differenze e tracciando un quadro della situazione religiosa nel XVI
secolo a cavallo tra le due sponde dello Stretto di Messina.
6*03.).).++86.21*)*//&.+250&.(./.&*.(./.&
«Non attendete a quel che sta di fuori, ma prima riformate in vostri
cuori» aveva scritto Francesco Berni, da buon osservatore della cultu-
ra italiana cinquecentesca, nel suo rifacimento dell’Orlando innamo-
rato di Matteo Maria Boiardo.34 In effetti, non dovettero essere pochi
coloro che in tutt’Italia si aprirono all’idea di una riforma interiore, ma
poterli identificare tutti è, per lo storico, impossibile a causa della
stessa intrinseca natura dell’adesione alle aspirazioni a una riforma re-
ligiosa; laddove le idee restano tali, rifugiate nelle coscienze senza la-
sciare traccia esteriore, lo storico trova il suo limite più lampante. La
difficoltà di comprendere appieno l’effettiva efficacia della penetra-
zione di idee di riforma (non è possibile capire realmente quanti aves-
sero “riformato i propri cuori”) appare particolarmente evidente in Si-
cilia, dove l’opprimente Inquisizione spagnola aveva fatto scendere
come una cappa di timore su tutta l’isola. Discutere di questioni così
delicate necessitava di grande cautela, anche se l’interlocutore era un
amico fidato; tuttavia anche in Sicilia vi furono importanti segni di
penetrazione di queste nuove convinzioni religiose, introdotte da pre-
dicatori, commercianti e semplici individui portatori di libri proibiti e
di quelle idee la cui diffusione l’Inquisizione faceva di tutto per stron-
care.
In Sicilia ebbe una certa diffusione il valdesianismo e non poteva
essere altrimenti, visti gli stretti legami con Napoli, dove si era diffuso
un profondo spiritualismo portato avanti da Juan de Valdés, che influì
34
Orlando innamorato composto già dal sig. Matteo Maria Bojardo, conte di Scandiano,
ed ora rifatto tutto di nuovo da m. Francesco Berni, Firenze 1725, Libro I, Canto XX, strofa
5, p. 104 (I ed. Milano 1542).
Forme di giustizia e dissenso religioso 75
35
Sia su Juan de Valdés e sul suo circolo napoletano che su Bernardino Ochino (al secolo
Bernardino Tommassini) cfr. DSI; sullo spiritualismo valdesiano si rimanda a M. FIRPO, Ri-
forma protestante ed eresie nell’Italia del Cinquecento, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 115-
127; sull’influenza del valdesianismo in Sicilia e sul ruolo di Bernardino Ochino nella diffu-
sione della giustificazione per sola fede cfr. S. CAPONETTO, La Riforma protestante nell’Italia
del Cinquecento, cit., p. 401.
36
Sulla figura di Giulio Basalù (o Besalù) e sulla sua deposizione al Tribunale veneto del
Sant’Uffizio cfr. in particolare A. STELLA, Dall’anabattismo al socinianesimo nel Cinquecen-
to veneto, Liviana, Padova 1967, ID., Anabattismo e antitrinitarismo in Italia nel XVI secolo,
Liviana, Padova 1969 e il più recente L. ADDANTE, Eretici e libertini nel Cinquecento italia-
no, Laterza, Roma-Bari 2010.
37
L. ADDANTE, Eretici e libertini nel Cinquecento italiano, cit., pp. 28-29 e passim.
38
S. CAPONETTO, La Riforma protestante nell’Italia del Cinquecento, cit., p. 402.
39
A. PROSPERI, L’eresia del Libro Grande. Storia di Giorgio Siculo e della sua setta, Fel-
trinelli, Milano 2011, p. 59.
76 Vincenzo Tedesco
40
Ibidem. Sul ruolo, sulla cultura e sul contributo dei benedettini nella prima età moderna
cfr. in particolare le pp. 28-32, 36-37 e 42-43.
41
Per spiegare le ragioni che portarono Benedetto Fontanini da Mantova a Catania occor-
re ricordare una consuetudine benedettina dell’epoca cfr. Ibidem, p. 30: «A partire dal 1444
ogni anno vennero attuati spostamenti sistematici di uomini tra i vari conventi: queste “muta-
tiones fratrum”, come furono chiamate, erano destinate a far circolare i monaci più dotti tra le
varie sedi, allo scopo di insegnare agli altri».
42
Il nome dell’autore rimase celato per molto tempo e neppure l’inquisizione riuscì a
identificare in Benedetto Fontanini lo scrittore del Beneficio di Cristo; solo in tempi recenti,
dopo una meticolosa opera di ricerca, si è riusciti a identificare nel benedettino modenese
l’autore dell’opera (cfr. C. GINZBURG, Due note sul profetismo cinquecentesco, in «Rivista
storica italiana», 1 (1966), pp. 184-227).
43
A. PROSPERI, L’eresia del Libro Grande, cit., p. 48.
Forme di giustizia e dissenso religioso 77
49
Ibidem, p. 79.
50
Così scriveva Luciano degli Ottoni a Ercole Gonzaga il 6 dicembre 1550; la lettera è
stata edita per la prima volta in C. GINZBURG, A. PROSPERI, Le due redazioni del “Beneficio di
Cristo”, in A. ROTONDÒ (a cura di), Eresia e riforma dell’italia del Cinquecento, Miscellanea
I, Firenze-Chicago 1974, pp. 202 sgg.
51
A. PROSPERI, L’eresia del Libro Grande, cit., p. 132.
Forme di giustizia e dissenso religioso 79
lo stesso anno, una delle sue opere principali: l’Epistola alli cittadini
di Riva di Trento, che ottenne l’imprimatur da parte del teologo do-
menicano Reginaldo de’Nerli. Nel testo il Siculo, muovendo dalla tra-
gica vicenda che aveva visto coinvolto Francesco Spiera,52 giungeva a
negare la dottrina protestante della predestinazione, «responsabile del-
la disperazione in cui era caduto Spiera e negatrice della misericordia
e del dono divino dell’immortalità per quanti rifiutavano il peccato»;53
un altro punto fondamentale dell’Epistola era l’affermazione della li-
ceità della dissimulazione religiosa in un contesto “ostile”: a quelli che
avevano aderito alla Riforma in Italia e lo celavano per timore
dell’Inquisizione, che Calvino nel 1544 aveva definito sprezzantemen-
te “nicodemiti” e che la propaganda protestante, sull’onda del caso
Spiera, esortava a uscire allo scoperto, Giorgio Siculo proponeva
un’alternativa: pazientare e dissimulare il proprio credo nell’attesa
dell’avvento di un secondo annuncio divino di cui egli stesso si faceva
portavoce. Su questi temi (in particolare su quello della predestinazio-
ne) tornò con uno scritto immediatamente successivo, una Esposizione
[…] nel nono decimo et undecimo capo della Epistola di san Paolo al-
li Romani, pubblicato anch’esso a Bologna dallo stesso editore nello
stesso anno 1550.
Di certo Giorgio Rioli ebbe molti sostenitori, anche più anziani di
lui, e proprio nella cella di uno di questi, il già citato Benedetto Fonta-
nini autore del Beneficio di Cristo, sarebbe stata scovata l’opera mag-
giore del Siculo: un testo segreto, continuamente rimaneggiato, nel
quale l’autore esponeva le sue dottrine più audaci; noto ai seguaci co-
me il Libro Grande, aveva per titolo Della verità christiana et dottrina
apostolica rivelata dal nostro signor Giesù Cristo al servo suo Geor-
52
Il caso di Francesco Spiera è uno dei più tragici della storia religiosa cinquecentesca.
L’uomo, un giureconsulto di Cittadella, nel 1547 venne denunciato e processato per eresia
dall’Inquisizione di Venezia; all’inizio negò, ma poco dopo cedette e abiurò, ricongiungendo-
si con la famiglia; rientrando a casa, però, venne colpito dallo sconforto di aver peccato contro
lo Spirito Santo rinnegando la propria fede; questo era, nell’orizzonte culturale dell’epoca, un
peccato irremissibile. Difficile, per un uomo del terzo millennio, potersi immedesimare nei
pensieri di Francesco Spiera che, convintosi di essere già con l’anima all’inferno, decise di far
morire anche il corpo. Nonostante i tentativi dei familiari di farlo mangiare e di evitargli la
morte, Spiera si lasciò morire, spirando il 27 dicembre del 1548, a sei mesi dall’abiura solen-
ne. Sul caso Spiera si rimanda, sinteticamente, ai già citati S. CAPONETTO, La Riforma prote-
stante nell’Italia del Cinquecento, cit., pp. 63-64 e A. PROSPERI, L’eresia del Libro Grande,
cit., pp. 102-122.
53
V. LAVENIA, Giorgio Siculo, in M. BIAGIONI, M. DUNI, L. FELICI, Fratelli d’Italia, cit.,
p. 115.
80 Vincenzo Tedesco
gio Siculo della Terra di San Pietro. Dell’opera non ci resta nessuna
copia perché ben presto la dottrina eterodossa del Siculo venne allo
scoperto ed egli stesso fu arrestato a Ferrara nel settembre del 1550; le
copie furono tutte distrutte e all’autore si palesò la scelta tra l’abiura e
la condanna a morte. Scelse l’abiura, che avrebbe dovuto pronunciare
il lunedì di Pasqua del 1551 nella chiesa di San Domenico a Ferrara,
ma qui avvenne il colpo di scena: Giorgio Siculo, teorico della dissi-
mulazione del credo e della paziente sopportazione silenziosa, nella
chiesa gremita di fedeli «fece ciò che Francesco Spiera aveva rimpian-
to fino alla morte di non essere riuscito a fare: resistette, non abiu-
rò».54 Persistendo così clamorosamente nell’eresia, Rioli firmò la sua
condanna a morte: venne immediatamente incarcerato e poi strangola-
to di notte quasi due mesi dopo, il 23 maggio, nella sua cella.
Nelle stesse zone in cui si trovò a operare Giorgio Rioli, qualche
anno prima aveva svolto la sua predicazione un altro noto siciliano
che nel XVI secolo fece una grande opera di proselitismo, divenendo
un punto di riferimento per molti “eretici” italiani; l’uomo in questio-
ne, Paolo Ricci, noto in Emilia come Lisia Fileno e poi, una volta fug-
gito in Valtellina, come Camillo Renato, fu un grande maestro di ere-
sie radicali.55
Nacque all’inizio del XVI secolo in Sicilia, probabilmente a Paler-
mo, ed entrò nell’ordine francescano, divenendo in seguito sacerdote e
maestro di teologia,56 ma della sua formazione e della sua vita in Sici-
lia sappiamo ben poco; la sua storia, allo stato attuale delle nostre co-
noscenze, comincia nel nord Italia. Apparso prima a Padova, poi a
Venezia, dove venne denunciato e processato per eresia negli anni ’20
del XVI secolo (fu assolto, un caso raro),57 fece perdere le sue tracce
per diversi anni fino al 1538 quando, verso la fine dell’anno, apparve a
54
A. PROSPERI, L’eresia del Libro Grande, cit., p. 233.
55
Un uomo che si faceva volutamente conoscere con diversi nomi e lasciava a volte trac-
ce decisamente sfuggenti ed evanescenti, ovviamente, in un primo tempo veniva confuso e i
suoi nomi non erano ricondotti tutti alla stessa persona. Se la corrispondenza di Paolo Ricci e
Lisia Fileno a un’unica persona era nota già ai contemporanei [A. ROTONDÒ (a cura di), C.
RENATO, Opere. Documenti e testimonianze, Sansoni, Firenze 1968, p. 311], l’ipotesi secondo
la quale Lisia Fileno e Camillo Renato fossero in realtà lo stesso individuo venne avanzata per
la prima volta solo nel XX secolo da Frederic Church in The Italian Reformers, 1534-1564,
1932, tradotto in italiano da Delio Cantimori, e fu confermata poi da Alfredo Casadei nel sag-
gio Lisia Fileno e Camillo Renato, in «Religio», 15 (1939), pp. 356-440.
56
G. DALL’OLIO, Renato, Camillo (Lisia Fileno, Paolo Ricci), in DSI, p. 1312.
57
Ibidem.
Forme di giustizia e dissenso religioso 81
58
G. DALL’OLIO, Eretici e Inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Istituto per la Storia
di Bologna, Bologna 1999, p. 101.
59
Ibidem, p. 102: «Oltre ai nobili, egli avrebbe ricordato un notaio, gruppi di “scholares”
dello Studio cittadino, ma anche uomini e donne qualificati come “rudes”».
60
A. ROTONDÒ (a cura di), C. RENATO, Opere. Documenti e testimonianze, cit., pp. 193-
194.
61
Ibidem, p. 170. Occorre precisare, per cogliere la straordinarietà della predicazione di
Paolo Ricci, che la diffusione della Riforma in Italia fu qualcosa di prettamente urbano; le
campagne, tranne singoli casi come quello in questione, rimasero estranee alla predicazione
delle idee della Riforma, perpetrando saldamente i propri culti religiosi tradizionali.
62
G. DALL’OLIO, Eretici e Inquisitori nella Bologna del Cinquecento, cit., p. 106: «La pe-
na, apparentemente durissima, era stata in realtà mitigata dal duca; come mostrano i suoi in-
terrogatori, infatti, l’ex-frate siciliano, anziché assumere un atteggiamento remissivo, aveva
continuato a difendere le proprie posizioni, usando coi suoi giudici lo stesso tono aperto e
82 Vincenzo Tedesco
problematico che caratterizzava il suo insegnamento e rientrando perciò nella categoria giuri-
dica dell’”impenitenza”, che esigeva una condanna a morte».
63
Occorre qui precisare una lacuna nelle fonti superstiti che riguarda la fuga di Paolo Ric-
ci dall’Italia: «nessun documento indica la data esatta e le circostanze in cui il Renato si rifu-
giò nei Grigioni» [A. ROTONDÒ (a cura di), C. RENATO, Opere. Documenti e testimonianze,
cit., p. 316].
64
Cfr. A. ROTONDÒ (a cura di) Lelio Sozzini. Opere, Leo S. Olschki editore, Firenze 1986,
p. 35.
65
Il testo del Trattato di Camillo Renato, edito già in Trattato del battesimo e della santa
cena, a cura di Antonio Rotondò, in «Rinascimento», a. 15, dicembre 1964, pp. 341-362, è
stato successivamente ripubblicato dallo stesso autore nel fondamentale C. RENATO, Opere.
Documenti e testimonianze, cit., pp. 91-108.
66
Renato chiarifica meglio in seguito che «il battesimo non è ordinato per accertare né per
confirmare colui che lo riceve, ma bene per mostrare alli circonstanti esternamente quel che
egli prima ha ricevuto da Dio per Giesù Cristo, e che è certissimo di averlo ricevuto. […] La
cena che noi faciamo per ordinazione di Cristo non è in confirmare la promessa della nova vo-
luntà di Dio, ma a memorare e annonziare la esecuzione di quella volontà fatta per Giesù Cri-
Forme di giustizia e dissenso religioso 83
quella del sonno delle anime dopo la morte «con il finale annichila-
mento di quelle dei malvagi e il risveglio dei giusti».67
Si è detto che Camillo Renato non dimenticò l’Italia e infatti vi tor-
nò altre volte finché, nel 1552, non venne arrestato dall’Inquisizione
di Bergamo. Finito di nuovo in carcere a distanza di undici anni
dall’esperienza emiliana di Ferrara e Bologna, anche questa volta riu-
scì a cavarsela perché le autorità veneziane di Bergamo lo rilasciarono
«preoccupati delle minacce di rappresaglia delle autorità grigionesi sui
sudditi cattolici veneziani residenti nei loro territori».68 Da questo
momento in poi sappiamo poco o nulla dei suoi spostamenti, ma cer-
tamente continuò la sua attività nei Grigioni fino alla morte, avvenuta
intorno al 1575 a più di 1000 kilometri dal luogo in cui era nato circa
settantacinque anni prima.
La ricostruzione di alcuni eventi fondamentali per delineare
l’influenza della Riforma in Sicilia e la sintesi delle vicende di alcuni
individui nati sull’isola ma celebri altrove, come Paolo Ricci e Gior-
gio Rioli, che per la natura di questo contributo si è scelto di riepiloga-
re brevemente fornendo un taglio prettamente biografico, sono utili
per comprendere un nodo interpretativo fondamentale per uno studio
sulla religiosità eterodossa nella Sicilia cinquecentesca che forse meri-
terebbe una messa a fuoco maggiore da parte della storiografia: in Si-
cilia le idee della Riforma arrivarono nonostante la vigilanza
dell’Inquisizione spagnola, ma proprio a causa di essa non poterono
impiantarsi stabilmente; tuttavia, coloro che entrarono in contatto con
gli ambienti della Riforma non si limitarono soltanto a una ricezione
passiva, ma talvolta rielaborarono in maniera decisamente originale
quei concetti che avevano stimolato le menti più fervide e, poiché in
Sicilia non era possibile diffondere il nuovo messaggio, emigrarono,
contribuendo in maniera non secondaria alla diffusione di dottrine an-
sto, come anche la pasca e il mangiare l’agnello non era se non memoria della passata e fatta
liberazione da Egitto, non per certificare o confirmare coloro che mangiavano, che ne erano
certissimi, ma più tosto gli altri» (ibidem). Per una analisi del trattatello di Renato e della sua
attività nei Grigioni cfr. anche A. PROSPERI (a cura di), D. CANTIMORI, Eretici italiani del
Cinquecento e Prospettive di storia ereticale italiana del Cinquecento, Einaudi, Torino 2009
(I. Ed., Sansoni, Firenze 1939), pp. 82-102.
67
M. BIAGIONI, L. FELICI, La Riforma radicale nell’Europa del Cinquecento, Laterza,
Roma-Bari 2012, p. 79.
68
G. DALL’OLIO, Renato, Camillo (Lisia Fileno, Paolo Ricci), in DSI, p. 1312.
84 Vincenzo Tedesco
/).66*1625*/.,.262.1&/&'5.&75&5.1129&0*172).*5*6.*6*(2
/&5..+250&5&).(&/**+./262+.&
Il vento della Riforma, giungendo dal nord, raggiunse anche la
sponda calabrese dello Stretto, diffondendosi e interagendo con un
contesto per certi aspetti molto differente da quello siciliano, poiché il
sistema di repressione dell’eresia era giuridicamente differente.70
Approcciandosi alla rievocazione delle maggiori esperienze di Ri-
forma in Calabria si notano alcuni particolari che è bene chiarire prima
di addentrarsi nell’argomento, ossia la minor quantità di studi settoria-
li rispetto al caso siciliano e la preminenza della Calabria Citeriore
nelle ricostruzioni storiografiche; alla prima osservazione fa eccezione
la mole di studi su alcuni casi particolarmente importanti come la re-
pressione dei valdesi nel cosentino mentre, per quanto concerne la se-
conda, è difficile ricondurre la questione a una singola causa (quale
può essere la conservazione dei documenti), ma è un dato oggettivo
che le notizie sull’adesione a idee riformate nella Calabria Ulteriore
siano particolarmente scarse.71 Pur confidando che da un maggiore in-
69
Ovviamente, sarebbe eccessivo attribuire a Paolo Ricci e a Giorgio Rioli una prepara-
zione culturale maturata esclusivamente in Sicilia e dalle stesse fonti si ricava che molti con-
cetti particolarmente audaci maturarono al nord grazie ai contatti con altri gruppi ereticali, ma
le prime esperienze di vita monastica avvennero nella Sicilia spagnola. Anche se non si sa
nulla della vita dell’allora monaco francescano Paolo Ricci prima del suo spostamento a Pa-
dova «per ragioni di studio» (ivi), è chiaro come il primo approccio alla Riforma per Giorgio
Rioli avvenne proprio alle pendici dell’Etna, nel monastero di San Niccolò l’Arena, come si è
già avuto modo di sottolineare.
70
Supra, par. I.
71
Tra le eccezioni, si possono annoverare Girolamo Bussale (per il quale cfr. infra) e una
testimonianza di Scipione Lentolo (1525-1599), che ricorda di «un giovane di Santagata (la
qual è una terra posta all’estremo di Calabria verso Sicilia, ove sono molti fedeli)» (S. LENTO-
LO, Historia delle grandi e crudeli persecuzioni fatte ai tempi nostri, edita da T. GAY, Tipo-
grafia Alpina, Torre Pellice 1906, p. 234). Non vi sono notizie di questo gruppo di fedeli a
Sant’Agata di Bianco nel reggino, ossia il luogo che sembra suggerire la descrizione fatta da
Lentolo che, specificando che la zona sarebbe posta vicino allo Stretto di Messina, esclude
Forme di giustizia e dissenso religioso 85
che si faccia riferimento a Sant’Agata d’Esaro nel cosentino. Sulla vita di Scipione Lentolo,
sulle sue opere e sulla sua adesione alla Riforma si veda E. FIUME, Scipione Lentolo, in M.
BIAGIONI, M. DUNI, L. FELICI, Fratelli d’Italia, cit., pp. 79-85.
72
Gli studi sulla presenza dei valdesi in Calabria sono moltissimi. Per citarne alcuni tra i
più recenti: R. CIACCIO, A. TORTORA, Valdismo mediterraneo. Tra centro e periferia: sulla
storia moderna dei valdesi di Calabria, ViVa Liber, Nocera Inferiore-Salerno 2013; R. CIAC-
CIO, «L’inferno è dirupato». I valdesi di Calabria tra resistenza e repressione, Zamorani, To-
rino 2014; L. INTRIERI, L’Inquisizione in Diocesi di Cosenza dal 1593 al 1696: Guardia, San
Sisto e Baccarizzo di Montalto, Falco, Cosenza 2013; S. PEYRONEL RAMBALDI, M. FRATINI,
1561. I valdesi tra resistenza e sterminio: In Piemonte e in Calabria, Claudiana, Torino 2011;
P. SCARAMELLA, L’Inquisizione romana e i Valdesi di Calabria (1554-1703), Editoriale
Scientifica, Napoli 1999; A. TORTORA, Presenze valdesi nel mezzogiorno d’Italia (secoli XV-
XVII), Laveglia, Salerno 2004; ID. (a cura di), Valdesi nel Mediterraneo. Tra Medioevo e pri-
ma età moderna, Carocci, Roma 2009; ID., M. FRATINI (a cura di), Valdesi. Da Monteleone di
Puglia a Guardia Piemontese. Direzioni di ricerca storica tra Medioevo ed Età Moderna,
Gaia, Angri-Salerno 2009; V. TEDESCO, Storia dei valdesi in Calabria. Tra basso Medioevo e
prima età moderna, Rubbettino, Soveria Mannelli 2015.
73
V. TEDESCO, Storia dei valdesi in Calabria, cit., pp. 23-42.
86 Vincenzo Tedesco
74
Su Stefano Negrino si veda A. TORTORA, Un barba e un ministro tra i Valdesi del Mez-
zogiorno d’Italia al tempo di Calvino, in «Ricerche di storia sociale e religiosa», n. s., 2,
(2011),pp. 79-100.
75
Inizialmente Pascale era affiancato, nel suo ruolo di predicatore, da Giacomo Bonelli
che, dopo poco tempo, si spostò prima in Puglia e poi a Messina, dove venne catturato
dall’Inquisizione spagnola; venne infine arso sul rogo a Palermo il 18 febbraio 1560 (cfr. D.
JAHIER, I Calabro-Valdesi. Le colonie valdesi in Calabria nel secolo XVI, Società di Storia
Valdese, Torre Pellice 1929).
76
Cfr. V. TEDESCO, Storia dei valdesi in Calabria, cit., pp. 35-41.
Forme di giustizia e dissenso religioso 87
77
Ibidem, pp. 62-63.
78
Fin dalla prigionia a Fuscaldo fu chiaro che il caso sarebbe stato discusso a Roma, co-
me si evince da una testimonianza dello stesso Pascale, che ricorda come un familiare di Sal-
vatore Spinelli gli avesse confidato che non era più in loro potere ridargli la libertà e che pri-
ma o poi sarebbe stato inviato a Roma (ivi).
79
P. SCARAMELLA, L’Inquisizione romana e i Valdesi di Calabria (1554-1703), Editoriale
Scientifica, Napoli 1999, p. 19.
88 Vincenzo Tedesco
80
Le lettere in questione sono state edite in L. INTRIERI, La strage dei valdesi di San Sisto
e di Guardia nelle lettere al Sant’Uffizio, in «Rivista Storica Calabrese», 1-2 (1999), pp. 185-
222.
81
V. TEDESCO, Storia dei valdesi in Calabria, cit., p. 66.
82
Ibidem, pp.66-67.
Forme di giustizia e dissenso religioso 89
86
L. ADDANTE, Eretici e libertini nel Cinquecento italiano, cit., pp. 176-177 n. 175.
87
Ibidem, p. 81. In M. BIAGIONI, L. FELICI, La Riforma radicale nell’Europa del Cinque-
cento, cit., pp. 79-80 si trova scritto, invece, che Francesco Calabrese era stato Vicario gene-
rale dell’Ordine.
88
Ivi. Sulla disputa di Süss cfr. anche D. CANTIMORI, Eretici italiani del Cinquecento, cit.,
pp. 63-64.
Forme di giustizia e dissenso religioso 91
che sia stato proprio l’ambiente patavino a portarlo sulla strada della
giustificazione per sola fede e a stimolarlo a fare proselitismo (il pri-
mo ad abbracciare le sue idee fu il parente Giulio Basalù). L’incontro
con la Riforma radicale veneta non solo ebbe un’importanza fonda-
mentale per Bussale, ma fu il primo passo per l’inizio dei contatti tra il
circolo valdesiano che operava a Napoli e la Riforma radicale in Ve-
neto: il monaco calabrese, infatti, oltre a intraprendere una graduale
rinuncia ai privilegi ecclesiastici di cui godeva (della quale beneficiò il
fratello Prospero), recatosi a Napoli, entrò anch’egli in contatto con
Juan de Villafranca e con i valdesiani napoletani e, dopo la morte di
quest’ultimo e di Francesco Calabrese, divenne una sorta di leader del
movimento, intensificò i contatti tra nord e sud della penisola e tentò
di importare nella teologia anabattista veneta dei concetti tipicamente
antitrinitari.94 Le tracce di Girolamo Bussale si perdono nel 1551,
quando, rientrato da Padova a Napoli e resosi conto che le maglie
dell’Inquisizione andavano stringendosi, si imbarcò per raggiungere
dei parenti ad Alessandria d’Egitto per poi vivere gli ultimi anni a
Damasco, traendo sostentamento dall’attività di sarto.95
Il panorama calabrese offre, nel XVI secolo, una grande varietà di
esperienze religiose più o meno tollerate in base alla congiuntura sto-
rica. Si è visto come un’intera comunità di valdesi fosse riuscita a vi-
vere e convivere con la popolazione autoctona fino alla metà del seco-
lo, quando tutta una serie di fattori che contribuirono a un mutamento
di clima diede luogo a uno dei più gravi episodi di intolleranza religio-
sa; si è visto anche come singole personalità, per lo più provenienti
dall’ambiente monastico, contribuirono allo sviluppo della riforma ra-
dicale sia a Napoli che nel nord Italia; a questo si aggiunga, per deli-
neare meglio un contesto particolarmente sfaccettato, la presenza se-
colare in Calabria di popolazioni ebraiche (rinvigorita nel 1492 dalla
loro espulsione dalla Spagna ma stroncata diciotto anni dopo, nel
1510, dalla loro espulsione anche dal Regno di Napoli) e
l’immigrazione di popolazioni albanesi di rito greco-bizantino che nel
corso del basso Medioevo erano fuggite dinnanzi all’avanzata turca
la sua posizione geopolitica ne facevano un luogo adatto alla diffusione anche delle idee più
radicali. Sul punto si vedano in particolare gli studi di Aldo Stella già citati alla nota 36.
94
L. ADDANTE, Eretici e libertini nel Cinquecento italiano, cit., pp. 78-80; 86-128.
95
Ibidem, pp. 77; 173 n. 150.
Forme di giustizia e dissenso religioso 93
106
Ivi.
107
Ivi (corsivi dell’autore). Le notizie su Agostino Doni che, come si è potuto constatare,
sono fin troppo vaghe dopo il suo trasferimento in Polonia. e terminano il 23 aprile 1583,
quando viene menzionato per l’ultima volta dal nunzio Bolognetti. Sulla notizia della ricon-
versione di Doni al cattolicesimo è stato rinvenuto da Michaela Valente un riscontro tra le car-
te dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede (ACDF, St. St. P4 b, 1583, f.
00): «una nota nel verbale della riunione del Sant’Uffizio del 10 febbraio 1583 testimonia la
convocazione di Doni dinnanzi ai cardinali inquisitori che presumibilmente intendevano veri-
ficare la sincerità della conversione al cattolicesimo» (M. VALENTE, Libertas philosophandi,
cit., p. 128).
108
Il grande avversario della filosofia telesiana era l’aristotelismo, che tanto era stato av-
versato dal filosofo cosentino e della sua cerchia.
96 Vincenzo Tedesco
Io credevo che se pur la mia innocentia non bastasse à farmi vivere quieto, lo
dovesser poter far le tante tribolationi e miserie, che ho patito, poi ch’erano
tali, che mi dovevano trovar compassione appresso qualsivoglia animo fiero,
et nemico. Credevo anche che in Cosenza non ci fossero occhi tanto acuti,
che quelli miei errori quali non sono stati visti in Roma, ne per il resto
dell’Italia, fosser visti in Cosenza. Ma vedo mi son ingannato, che ‘l
r(everen)do m(onsignor) Gio:battista di Benedetti mi dice esser stato avverti-
to in Cosenza, che nell’opera mia stampata già cinqu’anni in Roma con licen-
tia del padre Luccatello ci son altre propositioni contra la religione.109
Telesio in vita si seppe difendere dalle accuse mosse alle sue opere,
anche grazie alle protezioni importanti che poteva vantare: il «padre
Luccatello» citato nella lettera, per esempio, è il padre domenicano
Eustachio Locatelli, confessore di quel famoso Michele Ghislieri sali-
to al soglio pontificio nel 1566 con il nome di Pio V. Con la morte del
filosofo consentino, però, la situazione mutò rapidamente fino a porta-
re, nel 1596, a otto anni dalla sua scomparsa, all’inserimento
nell’Index librorum prohibitorum di ben tre sue opere: il suo trattato
più importante, ossia il De rerum natura iuxta propria principia e altri
due opuscoli, pubblicati postumi, dal titolo De somno e Quod animal
universum ab unica animae substantia gubernatur. Contra Ga-
lenum.110
Un ulteriore esempio di questo inasprirsi dell’atteggiamento delle
autorità religiose nei confronti della filosofia telesiana è dato dal pri-
mo processo subito da un suo giovane seguace proveniente da Stilo,
nella Calabria Ulteriore, dove era nato nel 1568: Campanella, che era
stato battezzato con il nome di Giovan Domenico, era entrato
nell’Ordine domenicano e aveva mutato il nome in Tommaso.111 Dopo
la morte di Telesio, Campanella aveva scritto la sua prima opera, la
109
L. DE FRANCO, Introduzione a Bernardino Telesio, cit., p. 66. La lettera è stata edita
per la prima volta in G. DE MIRANDA, Una lettera inedita di Telesio al Cardinale Flavio Orsi-
ni, in «Giornale Critico della Filosofia Italiana», 3 (1993), pp. 361-375.
110
Sulle vicende che portarono alla messa all’indice delle opere telesiane, qui soltanto ac-
cennate, cfr. L. DE FRANCO, Introduzione a Bernardino Telesio, cit., pp. 65-79 e V. NAPOLIL-
LO, Bernardino Telesio filosofo e poeta. La natura e l’Inquisizione, Orizzonti Meridionali,
Cosenza 2010, pp. 45-54.
111
La notizia è ripresa da L. FIRPO, CAMPANELLA, Tommaso, in DBI, vol. 17, 1974, pp.
372-401. Sulla figura di Tommaso Campanella e sulle sue numerose vicissitudini con
l’Inquisizione si vedano anche: C. F. BLACK, Storia dell’Inquisizione in Italia, cit., pp. 281-
282 (edizione originale p. 186); A. DEL COL, L’Inquisizione in Italia, cit., pp. 548-551; V.
FRAJESE, Profezia e machiavellismo. Il giovane Campanella, Carocci, Roma 2002; ID., Cam-
panella, Tommaso, in DSI, vol. I, pp. 250-252 e, soprattutto, L. FIRPO, I processi di Tommaso
Campanella, ed. Eugenio Canone, Salerno, Roma 1998.
Forme di giustizia e dissenso religioso 97
112
Campanella non conobbe direttamente Telesio, che morì quando il filosofo di Stilo non
aveva ancora compiuto vent’anni. Assistette però al suo funerale, lasciandone una vivida te-
stimonianza: «e dato che mentre mi trovavo colà (cioè a Cosenza) il sommo Telesio morì, non
mi fu possibile ascoltare da lui le sue dottrine né di vederlo vivo, ma solo da morto, quando
già era stato portato in chiesa; e lì, scoprendo il suo volto, potei ammirarlo ed al suo tumulo
affissi parecchi versi che di lui cantavano» (T. CAMPANELLA, La filosofia che i sensi ci addi-
tano, Introduzione, traduzione e note di L. DE FRANCO, prefazione di L. FIRPO, Libreria Scien-
tifica Editrice, Napoli 1974, p. 13); sulla polemica antitelesiana di Marta cfr. L. DE FRANCO,
Introduzione a Bernardino Telesio, cit., pp. 57, 73.
113
Su queste vicende si rimanda ai testi citati alla nota 111.
114
È d’obbligo qui il riferimento all’importante opera (peraltro già citata in altri contesti)
A. PROSPERI, Tribunali della coscienza, cit., e non è un caso che il titolo sia stato suggerito
all’autore proprio «dalla memoria involontaria» di un’opera di Tommaso Campanella, il quale
aveva definito i luoghi della confessione, appunto «li tribunali de la conscienza» (Prefazione
all’edizione del 2009, pp. XI-XII; il testo di Campanella è in G. ERNST (a cura di), T. CAMPA-
98 Vincenzo Tedesco
66*59&:.21.(21(/86.9*
Dopo aver chiarito il quadro giuridico al quale era legata la repres-
sione del dissenso religioso in Sicilia e in Calabria, analizzandone le
affinità e le diversità, e dopo aver tracciato per grandi linee alcune tra
le maggiori esperienze religiose “eterodosse” che hanno riguardato in
tutto o in parte la storia di queste due regioni poste all’estremità meri-
dionale dell’Italia, è giunto ora il momento di tirare le somme.
In Sicilia la pressione di un tribunale inquisitoriale sempre vigile e
attento, già perfettamente in funzione prima ancora dell’avvio dello
scisma luterano, non ha creato i presupposti per la formazione di co-
munità stabili di individui non aderenti alla fede cattolica dominante e
quelle già insediatesi prima dell’instaurarsi dell’Inquisizione spagnola,
come l’importante presenza ebraica, vennero espulse all’inizio dell’età
moderna in nome dell’omogeneità religiosa. Le idee della Riforma
protestante, tuttavia, riuscirono a penetrare nell’isola a causa della dif-
ficoltà intrinseca di tenere sotto controllo ogni via d’accesso e fecero
diversi proseliti; alcuni individui vennero prontamente catturati e pro-
cessati e vi fu chi venne condannato al rogo dopo la solenne cerimonia
dell’Autodafé, altri, che pure ebbero salva la vita, finirono imbrigliati
tra le fitte maglie della giustizia inquisitoriale, come dimostra perfet-
tamente il caso Spatafora; infine, alcuni pensatori siciliani come Paolo
Ricci e Giorgio Rioli, emigrati altrove, dove la repressione era (alme-
no inizialmente) meno accanita, contribuirono notevolmente allo svi-
luppo e alla diffusione di idee particolarmente radicali.
In Calabria, invece, un sistema più blando aveva permesso
l’insediamento di diverse comunità come quella ebraica, quella alba-
nese di rito greco-bizantino115 e quella valdese di lingua occitana, che
NELLA, L'ateismo trionfato, ovvero riconoscimento filosofico della religione universale contra
l'antichristianesimo macchiavellesco, Edizioni della Normale, Pisa 2004, vol. I, p. 114.
115
La presenza albanese, qui citata per completare il quadro della società calabrese
all’alba dell’età moderna, costituisce in effetti un caso a sé. È noto che popolazioni greco-
albanesi, in fuga dall’espansione ottomana, si stanziarono non solo in Calabria, ma anche in
Sicilia (vi è tutt’oggi una comunità arbëreshë vicino Palermo, nella località denominata, ap-
punto, Piana degli Albanesi); questa permanenza, tuttavia, ebbe esiti ben diversi rispetto a
quelli delle altre minoranze etnico-religiose. Nonostante alcune iniziative che portarono
all’assorbimento nell’area cattolica di queste popolazioni, come il breve che Paolo IV inviò
nel 1556 ai vescovi di Calabria e di Puglia, chiedendo loro di procedere «contra errores grae-
corum», o come la creazione di una Congregazione per la riforma dei greci esistenti in Italia
e dei monaci e dei monasteri dell’ordine di San Basilio, che operò dal 1573 al 1596, gli alba-
nesi riuscirono a mantenere nei secoli una propria identità culturale fondata sul rito greco-
Forme di giustizia e dissenso religioso 99