TRANSIZIONE
RIASSUNTO DI LUCA CUNZOLO
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LEGENDA:
■ EVENTI E PERIODI
■ PERSONAGGI (PAPI, IMPERATORI...)
■ POPOLI
■ ISTITUZIONI e LEGGI
■ REGNI e IMPERI
■ DOTTRINE e ORDINI RELIGIOSI
■ SPIEGAZIONI
INTRODUZIONE:
LE ISTITUZIONI SONO CONSERVATIVE (NASCONO PER BISOGNI DELLA SOCIETÀ, POI LA
SOCIETÀ SI EVOLVE E LE ISTUTIZIONI NON RIESCONO A SEGUIRNE I BISOGNI) → NATE
PER I BISOGNI DELLA SOCIETÀ, NEL PERPETUARSI POSSONO DIVENTARE NEGATIVE
PER ESSA.
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CONCILIO DI NICEA:
Presidiato da Costantino nel 325, circa trecento vescovi vi parteciparono, quasi tutti provenienti
dall’Oriente - mediamente più colti di quelli occidentali, ndr - per la posizione geografica in cui si
svolse. In questo concilio fu condannata all’unanimità la dottrina di Ario, sotto pressioni
dell’imperatore che voleva ad ogni costo salvaguardare la pace religiosa soprattutto in Asia
Minore, l’unica parte dell’impero in cui già allora il Cristianesimo aveva conquistato la maggioranza
della popolazione.
GNOSTICISMO:
Contrapposizione tra un Dio irraggiungibile e il mondo materiale, inquinato dal male e la morte. Il
Manicheismo è una sua espressione (dello Gnosticismo).
MANICHEISMO:
Fondato sull’esistenza di due principi, il bene e il male, e quindi sulla lotta incessante tra il mondo
superiore degli spiriti e il mondo inferiore della materia. Il male non è stato un incidente della storia
(angeli ribelli) ma è sempre esistito in contrapposizione al bene. Alla fine dei tempi il male non
sparirà, ma verrà diviso dal bene. Obiettivo della vita manichea è separare il bene dal male. Vita
perfetta data da povertà, non mangiare carne e non compiere l’atto sessuale.
MONOFISITI:
La natura umana di Cristo è assorbita da quella divina e dunque in lui è presente solo la natura
divina.
DUOFISITI:
Cristo vero Dio e vero uomo, dotato di due nature distinte ma inseparabili.
NESTORIANESIMO:
Secondo la dottrina cristologica di Nestorio, in Gesù Cristo convivevano due distinte persone,
l'Uomo e il Dio, mentre Maria era madre solo della persona umana di Gesù. Il nestorianesimo,
quindi, riconobbe a Maria il solo attributo di «Madre di Cristo» (Christotókos), rifiutandole il titolo di
«Madre di Dio» (Theotókos).
LA DIFFERENZA TRA LE ERESIE DEI PRIMI SECOLI E QUELLE DEI SECOLI SUCCESSIVI:
I primi eretici erano eretici dottrinali, intorno al X e XI secolo invece gli eretici erano per lo più
contestatori dell’immoralità del clero del tempo.
SEDI VESCOVILI:
Conservano importanza anche durante il decadimento città, punto di aggregazione di popolazioni
contadine che vi si dovevano recare per i sacramenti.
SCELTA PRIMATO TRA I CINQUE PATRIARCATI (ROMA, ALESSANDRIA, ANTIOCHIA,
GERUSALEMME, COSTANTINOPOLI) → OVVERO, C’ERA DIBATTITO SU QUALE DOVESSE
ESSERE LA SEDE DEL PATRIARCA DELLA CHIESA CRISTIANA (IL FUTURO PAPA)
Patriarcato → La dignità, la giurisdizione o anche la residenza di un patriarca della Chiesa
PLURALITA’ DI SIGNIFICATI:
Il concetto secondo cui i testi antichi avevano dei significati nascosti (solo se te lo dovesse
chiedere, altrimenti chiamalo semplicemente ALLEGORIA), inventato da uomini di sapienza che
dovevano far coincidere la loro cultura coi dettami religiosi.
PAGANI:
Dal momento che la nuova religione era predicata prevalentemente nelle città, gli abitanti delle
campagne rimanevano lontani da essa e tendevano a conservare i propri culti politeistici. Saranno
chiamati “pagani” da “pagus” (campagna, circoscrizione rurale esterna alla città).
DIOCLEZIANO:
Acclamato imperatore il 20 Novembre 284 dall’esercito, rilanciò l’impero dopo un periodo di crisi
(carestie, epidemie, rivolte contadine, brigantaggio, attacchi dei germani), con un rigido controllo
statale su tutta la società, contadini, mercanti e artigiani. Fissò prezzi e salari, aumentò i controlli e
ritardò il crollo dell’impero di quasi duecento anni.
Diocleziano attuò poi una riforma della costituzione, che portò alla divisione dell’autorità imperiale
tra due Augusti e due Cesari: ciascun Augusto avrebbe governato su metà dell'impero coadiuvato
dal proprio Cesare, al quale avrebbe delegato il governo di metà del proprio territorio e che gli
sarebbe succeduto (come nuovo Augusto) dopo venti anni di governo, nominando a sua volta un
nuovo Cesare.
Il Cristianesimo, col suo intransigente monoteismo e la sua netta chiusura nei riguardi delle altre
religioni che nel corso del III secolo si contendevano le coscienze delle popolazioni del mondo
romano, fu avvertito da Diocleziano come un elemento di pericolo, perciò fu fatto oggetto di una
grande persecuzione a partire dal 303. Inoltre i cristiani erano stati in origine assimilati agli ebrei
(che più volte si erano ribellati all’impero) e rifiutavano ogni sacralità del potere imperiale.
COSTANTINO:
Successore di Diocleziano, ebbe la grande capacità di intuire che il Cristianesimo non solo non era
affatto incompatibile con il dirigismo teocratico dell’imperatore (ovvero un regime in cui il potere
politico è considerato di origine divina), ma poteva addirittura diventarne un elemento di forza
(perché lui si innalzerà a direttore della contesa dottrinale cristiana). Pur essendosi limitato con
l’editto di Milano (313) a riconoscere alle chiese cristiane libertà di culto e restituzione dei beni
confiscati, egli si ritrovò (pur non essendo battezzato) a svolgere un ruolo decisivo nelle
controversie dottrinali che, comprese, laceravano la società e le toglievano stabilità. Sul sito
dell’antica Bisanzio fondò Costantinopoli, “la nuova Roma”, nuova capitale dell’impero d’Oriente
(dotandola di un senato e di uffici pubblici simili a quelli di Roma); venne scelta come capitale nel
324 per le sue qualità difensive e per la vicinanza ai confini orientali che erano minacciati.
DONAZIONE DI COSTANTINO:
La cosiddetta “Donazione di Costantino” è giustamente considerata il più famoso falso nella storia
della Chiesa occidentale.
Con questo atto, recante data 30 marzo 315, l’imperatore Costantino (274-337), nello stabilire la
capitale a Costantinopoli, avrebbe donato a papa Silvestro I (papa dal 314 al 335, anno della
morte) e ai suoi successori Roma, l’Italia e l’intero Occidente, riservando per sé il governo della
parte orientale dell’Impero. Costantino avrebbe compiuto questo gesto dopo essere guarito dalla
lebbra grazie al battesimo che gli avrebbe conferito papa Silvestro.
In realtà, il documento che attestava questa donazione era opera di una contraffazione avvenuta
oltre quattrocento anni dopo la morte di Costantino, quando in Italia si andava consolidando lo
Stato pontificio. La cosiddetta Donazione di Costantino fu fabbricata probabilmente dalla Curia
romana alla metà dell’VIII secolo, per dare una giustificazione agli accordi che il papato si
preparava a stringere con i Franchi, allo scopo di ottenerne l’aiuto contro i Longobardi decisi a
intraprendere una politica espansionistica in Italia. La falsa Donazione di Costantino serviva quindi
a fornire una inoppugnabile base legale al potere temporale del papato e alle sue aspirazioni
egemoniche.
Trascurato per molto tempo, il documento fu utilizzato politicamente dai pontefici dall’XI secolo in
poi, quando si fece più acuto il contrasto tra il papato e l’impero.
Sospetti sulla sua autenticità erano stati avanzati periodicamente. Nel 1433 il grande umanista
tedesco Niccolò da Cusa (1400-1464) aveva formulato forti riserve sulla pretesa donazione, ma fu
solo con il celebre trattato De falso credita et mentita Constantini donatione (Sulla falsamente
creduta e smentita donazione di Costantino) scritto nel 1440 dal grande umanista italiano Lorenzo
Valla (1407-1457), che la questione fu affrontata sistematicamente e risolta.
Valla dimostrò in modo inoppugnabile la contraffazione del documento di donazione con argomenti
storici, giuridici, linguistici e filologici. Dopo aver dimostrato che l’imperatore Costantino non aveva
titolo giuridico per donare possedimenti di territori e il papa per accettarli, Valla passò a
considerare il dato di fatto che papa Silvestro in realtà non possedette mai province dell’Impero né
le possedettero per secoli i suoi successori.
FEUDALESIMO/RAPPORTO FEUDALE/VASSALLATICO-BENEFICIARIO:
Ispirato dai comitatus (che avevano influenzato il mondo romano). È il modo in cui il clientelismo si
è configurato nell’Occidente europeo. Inizialmente era stato un rapporto personale tra il signore e il
vassallo (il quale era tenuto in casa dal primo sin dall’infanzia, addestrato alle armi e a cui è
concesso vitto e alloggio). Al vassallo era concesso un feudo, con protezione, vitto e alloggio; in
cambio lui doveva prestare al signore aiuto militare e finanziario (in caso di necessità, ad esempio
quando il signore veniva fatto prigioniero). Inizialmente il rapporto affettivo era così forte che il
vassallo doveva mettere il signore anche al di sopra della famiglia (il rapporto feudale era più
vincolante di quello familiare). In origine, infatti, l’elemento più importante era il vassallaggio, e cioè
la fedeltà che il vassallo giurava al suo signore; poi invece il rapporto apparì capovolto: il feudo,
cioè la terra, diventava l’elemento decisivo, per cui si entrava nel vassallaggio di qualcuno per
ricevere quel determinato feudo. La fedeltà, inizialmente più vincolante dei legami di parentela, finì
così con l’essere commisurata al feudo; era cioè più o meno grande a seconda dell’entità del
feudo, e si arrivò così al paradosso della pluralità degli omaggi.
È importante sottolineare come all'inizio il terreno del quale beneficiavano i sottoposti fosse
concesso solo a titolo di "comodato": essi ne erano possessori, ma non godevano della piena
proprietà. Per questo alla loro morte il possesso ritornava al signore e non si tramandava agli
eredi. Analogamente il terreno in questione non poteva essere fatto oggetto di transazione, né
venduto né alienato in alcun modo. Ciò lo rendeva precario e presto il ceto feudale, già dalla
seconda metà del IX secolo, si mosse per appropriarsi dei feudi in maniera completa (era
un’usanza già ampiamente diffusa, ma non legalizzata; per fiducia il feudo si passava al figlio del
vassallo deceduto, e ciò i vassalli tenderanno man mano a pretenderlo).
Carlo il Calvo concedette nell'877 con il capitolare di Quierzy la possibilità di trasmettere i feudi in
eredità, seppur provvisoriamente e in casi eccezionali come la partenza del re per una spedizione
militare. Soltanto dal 1037 ci fu la vera ereditarietà, quando i feudatari ottennero l'irrevocabilità e
trasmissibilità ereditaria dei beneficia con la Constitutio de feudis dell'imperatore Corrado II.
COMMENDATIO:
Pratica di affidarsi a qualcuno per riceverne la protezione (si affidavano ai signori).
Gli ostrogoti furono travolti e inglobati nelle loro dominazioni dagli Unni, mentre i Visigoti (legati
all’impero da un trattato di alleanza) furono investiti dagli stessi Unni.
I visigoti, dopo aver tentato invano di resistere, ottennero dall’autorità imperiale di poter passare il
confine e stanziarsi in Tracia, nell’attuale Romania, dove si sarebbero mantenuti con i tributi delle
popolazioni locali, dovendo provvedere alla difesa di quella regione in qualità di federati. Dopo
l’arresto della spinta degli Unni, ci fu (provocata da questi) l’effetto di un grosso sommovimento
delle popolazioni germaniche, che travolse l’impero riducendolo soltanto alla sua parte orientale.
L’insediamento dei visigoti, difatti, si era rivelato difficoltoso a causa dell’ostilità della popolazione
nei loro confronti e delle azioni di rapina ai danni delle città (a cui i visigoti si dicevano costretti a
causa delle inadempienze dei funzionari imperiali). Ne nacque una guerra aperta, che terminò il 9
agosto 378 con uno dei più grandi disastri militari della storia romana: la distruzione dell’esercito
imperiale da parte della cavalleria gotica presso Adrianopoli (in Tracia) e la morte sul campo
dell’imperatore Valente.
I visigoti, nonostante la politica conciliante di Teodosio con loro, spingevano verso Occidente;
respinti da Stilicone nel 406 (quando Vandali, Alani e Svevi avevano superato i confini del Reno),
con la scomparsa di quest’ultimo ebbero le porte aperte in Italia, attraversarono l’intera penisola e
il 24 agosto del 410 entrarono in Roma sottoponendola per tre giorni ad un saccheggio che suscitò
un’enorme impressione → Sacco di Roma
Qualche mese dopo (morto Alarico, condottiero dei Visigoti dal 395 al 410, protagonista del Sacco
di Roma) ottennero di potersi stanziare come federati in Aquitania, nella Gallia meridionale, tra
Tolosa e Bordeaux. Alla metà del V° secolo il regno dei Visigoti arrivò a comprendere la Gallia
centro-meridionale e parte della penisola iberica; essi furono però bloccati dai Franchi nella loro
espansione, spinti così definitivamente nella pensiola iberica. I visigoti, vicino alle loro attitudini
guerriere, aumentarono il potere monarchico attribuendo al re prerogative proprie degli imperatori
romani; misero per iscritto le loro leggi e consuetudini. I conflitti tra aristocrazia romana e gota che
nacquero per problemi politici furono risolti con soluzioni di compromesso volta per volta e con la
conversione nel 589 di re e popolo dei Visigoti, coi Concili di Toledo che risolvevano problemi sia
ecclesiastici che di gestione del regno. Ciò lasciava presagire per il regno Visigoto un futuro di
stabilità, invece nel 710 l’invasione araba ne provocò violentemente la fine.
Gli Ostrogoti, dopo la fine dell’impero degli Unni e il suo sfaldamento (452), tornarono autonomi e
ripresero la loro libertà d’azione. Al tempo di Teodorico, re degli Ostrogoti e patrizio dei Romani, gli
Ostrogoti si stanziavano interamente in Italia (con terre concesse loro) sempre secondo
l’hospitalitas. I Goti erano al tempo gli unici ad avere il diritto-dovere di portare le armi; le due
comunità (gota e romana) vivevano ognuna secondo il proprio diritto ed erano vietati i matrimoni
misti. In quel periodo gli Ostrogoti, insediatisi soprattutto nella pianura padana, vissero sotto forma
di presidi militari (contingente di truppe di stanza in un luogo) o concentrati in propri quartieri e
nelle loro proprietà rurali, mantenendo uno stile di vita ispirato alla loro cultura bellicosa, per cui il
sovrano dovette più volte richiamarli a non commettere vessazioni ai danni della popolazione
romana. L’espansione dei Franchi di Clodoveo e la loro collaborazione con la Chiesa (i vescovi)
fece vincere il loro progetto su quello del regno goto, che andò verso un declino inarrestabile.
Dopo la sconfitta coi bizantini nel 542, 552 e 555 (definitiva) gli Ostrogoti scomparvero, venendo
dispersi o arruolati come mercenari per servire in Oriente nell'esercito bizantino, mentre pochi
rimasero in Italia; la Chiesa ariana venne perseguitata e molti Ostrogoti vennero convertiti al
cattolicesimo (salvo poi essere riassorbiti dai Longobardi).
UNNI:
Raggruppamento di popoli turco-mongoli che inglobarono alani e ostrogoti (tutto questo dal 370 in
poi) travolgendo poi i visigoti. Dopo essere stati fermati da questi ultimi, la loro spinta
espansionistica andò affievolendosi, dato che erano organizzati come orda (non come un esercito,
ma come un insieme di tribù guidate da un capo supremo) e che la loro spinta diminuiva man
mano che si allontanavano dalle regioni d’origine per inoltrarsi in terre non del tutto adatte alla vita
nomade.
La pressione e il terrore che incussero causarono, però, un sommovimento generale germanico
che porterà poi al crollo del confine del Reno.
Gli unni tornarono nel 451 sotto la guida di Attila, sconfitti da Ezio nel 451 a Troyes; l’anno dopo
però attaccarono nuovamente, penetrando attraverso il Friuli e arrivando fin sul Mincio, dove papa
Leone I, in qualità di ambasciatore di Valentiniano III, li fece fermare. Secondo la tradizione
cristiana fu un miracolo operato dal pontefice, ma in realtà è probabile che il timore di Attila fosse
che Costantinopoli attaccasse i suoi sempre più ampi domini, vulnerabili data la mancanza di una
struttura politica e amministrativa capace di tenerli insieme. Infatti, dopo la sua morte l’impero degli
Unni si sfaldò (e ripresero libertà d’azione i popoli germani che vi erano stati inglobati).
VANDALI:
I Vandali erano una popolazione germanica orientale come i Burgundi, i Goti, ed i Longobardi.
Dopo una prima migrazione nei territori dell'attuale Polonia (tra il bacino dell'Oder e della Vistola),
sotto la pressione di altre tribù germaniche, si spostarono più a sud, dove combatterono e
sottomisero la popolazione celtica dei Boi. Si stanziarono quindi nei territori dell'attuale Slesia e
Boemia.
Sconfitti nell’estate 429 dai Visigoti in Spagna, dovettero passare in Africa, nella regione che
costituiva il granaio dell’impero. Sbarcati a Tangeri, si diressero verso Cartagine seminando morte
e distruzione lungo la loro marcia, e imponendo alla regione un duro dominio che non si placò
neanche quando nel 435 furono riconosciuti come federati dell’impero.
Continuarono a tenere il Mediteranneo, l’Italia e la Sicilia sotto continua minaccia.
Saccheggio a Roma nel 455 (in questo frangente i Vandali portarono via denaro e tesori (furono
spogliati il palazzo imperiale, il tempio di Giove Capitolino, col suo tetto aureo, scomparvero i tesori
del Tempio di Gerusalemme portati a Roma da Tito dopo la vittoria del 70 sugli ebrei ed altro
ancora) ma non vi furono né eccidi, né incendi, né dissennate distruzioni, e i suoi uomini non
devastarono Roma, rispettando le chiese cristiane, come secondo promessa), ben più devastante
di quello dei Visigoti, questo durato 13 giorni. Spariscono dalla scena politica tra il 553 e il 554
travolti dall’espansionismo di Giustiniano.
LONGOBARDI:
I longobardi erano un popolo germanico originario della Scandinavia che nel 567 giunse in Italia
attraverso il Friuli. A differenza delle altre popolazioni germaniche, i longobardi non avevano avuto
in precedenza contatti significativi col mondo romano e il loro trasferimento dalla Pannonia
(Ungheria) in Italia non era stato concordato con l’imperatore di Bisanzio né attuato secondo il
principio dell’hospitalitas. Di conseguenza il loro regno si pose nei confronti della popolazione
latina come una dominazione straniera. Fra tutti i popoli germanici, infatti, essi erano quelli che
meno si erano allontanati dai loro usi tradizionali, per cui il re aveva ancora il carattere di un capo
militare eletto dall’aristocrazia nei momenti di bisogno (trasmigrazioni, guerre). L’esercito si
articolava in gruppi di guerrieri appartenenti a famiglie (fare) che si richiamavano a un antenato
comune e che, sotto la guida dei loro duchi, si muovevano con una certa autonomia sia in pace
che in guerra, stanziandosi nei territori man mano conquistati. I longobardi non avanzavano
secondo un piano unitario, ma nelle direzioni in cui incontravano meno resistenza. Nel corso della
fine del VI secolo i longobardi conquistarono prima buona parte dell’Italia padana (la fascia che
attraversava Torino, Pavia, Brescia, Verona, Cividale in lungo).
Le successive conquiste furono in Toscana (quasi tutta) e ad est la costa adriatica ad esclusione di
gran parte della Puglia. Anche quasi tutta la parte interna era longobarda, escludendo la parte che
andava da Roma collegandosi all’Emilia Romagna tramite parte dell’Umbria (che però, insieme al
resto degli Abruzzi, controllava nella parte centro-orientale); questa parte interna arrivava fino alla
Basilicata. Il regno era però discontinuo, questo perché i bizantini si arroccavano nei castelli e nelle
città costiere per difendere i territori rimasti loro.
La popolazione romana, negli anni della conquista, se non fu ridotta in schiavitù, è certo che fu
completamente privata della propria capacità politica (in particolare nelle aree di più forte
insediamento longobardo, quindi al nord più che al sud, dove i gruppi conquistatori di scarsa
consistenza numerica non procedettero a vaste espropriazioni di beni; la Lombardia fu così
dominata che addirittura prese il nome della popolazione germanica! → infatti viene da
“Longobardia”); di conseguenza non esistette altra forma di ascesa sociale che l’inserimento nella
società e quindi nella tradizione giuridica dei dominatori.
Non ci fu nel regno dei longobardi un problema di rapporti con la popolazione romana, intesa come
entità giuridicamente autonoma e dotata di propri ordinamenti ai quali si affiancavano quelli dei
germani (vedi tempi di Odoacre e Teodorico); vi fu invece il dominio politico militare di un popolo
dotato di una forte coscienza di sé, nel quale potranno inserirsi man mano i discendenti dei romani
che saranno capaci di accumulare beni e risorse finanziarie, ma a patto di assumere il diritto e la
tradizione dei dominatori. Si spiega così perché nell’VIII secolo tutti i liberi si riconoscessero nella
tradizione longobarda. L’Italia fu perciò tra le regioni che ebbe l’impatto più drammatico col mondo
germanico.
Con i longobardi sia le circoscrizioni amministrative romane che quelle ecclesiastiche si trovavano
sconvolte: alcune circoscrizionI erano divise tra longobardi e bizantini, e, fuggendo i vescovi nei
territori bizantini, molte sedi vescovili si trovavano spesso senza il loro titolare. I longobardi infatti,
convertiti da poco e in maniera approssimativa dal politeismo al cristianesimo ariano, non avevano
alcun riguardo per la Chiesa cattolica e non facevano alcuna distinzione tra i patrimoni ecclesiastici
e quelli dei privati. I longobardi furono quindi un ulteriore elemento che aggravò il degrado già
presente nel mondo romano da alcuni secoli (difatti anche nei territori rimasti bizantini la rete viaria
era degradata, le aree abitate si restringevano, gli edifici pubblici andavano in rovina o venivano
utilizzati come cave di pietra e marmo e le tecniche edilizie conoscevano un progressivo
peggioramento).
I longobardi però, con la trasformazione in proprietari terrieri e la necessità di difendere i beni
acquisiti da un possibile ritorno offensivo dei bizantini, furono ben presto indotti a darsi un
ordinamento politico più stabile ed evoluto. Sul modello romano fu rafforzato il ruolo del re, che
comportava la ricerca dell’appoggio dell’episcopato cattolico e quindi del consenso anche della
popolazione romana. Nel 584 Autari restaurò l’autorità regia: si fece cedere dai duchi (circa 30)
metà delle loro terre, per fornirsi i mezzi necessari al funzionamento alla monarchia. Creò i
gastaldi, appositi funzionari che svolgevano una funzione di controllo sui duchi.
Il papa Gregorio Magno tentò di attuare la conversione di massa dei longobardi, ma incontrò la
resistenza dei duchi, tenacemente legati alle tradizioni nazionali. Per il VII secolo infatti si
alternarono re cattolici e re ariani; tra questi Rotari (ariano) che fece mettere per iscritto le antiche
leggi longobarde (Editto di Rotari) e riprese la guerra contro i Bizantini, conquistando la Liguria. Il
più grande dei re longobardi fu però probabilmente Liutprando, che completò la conversione del
suo popolo al cattolicesimo e quasi totalmente il superamento della divisione etnica tra Longobardi
e Romani, attraverso il progressivo inserimento dei secondi nella tradizione giuridica dei
dominatori. Forte di questa coesione interna, e sperando anche nel consenso del papato (allora in
contrasto con la corte di Costantinopoli per la questione del culto delle immagini), Liutprando cercò
di completare finalmente la conquista dell’Italia, invadendo l’Esarcato di Ravenna e la pentapoli
(Gubbio, Cagli, Urbino, Fossombrone, Jesi e Osimo), giungendo fino alle porte di Roma, dove il papa
Gregorio II gli andò incontro e, appellandosi al suo sentimento religioso, lo convinse a rinunciare
alla conquista della città, ma anche a sgombrare le terre già conquistate del terreno/ducato
romano. Nel rinunciare però al Castello di Sutri, presso Viterbo, Liutprando lo restituì non
all’autorità bizantina, bensì ai “beatissimi apostoli Paolo e Pietro”, vale a dire alla Chiesa romana.
A questo atto del 728 in passato fu attribuita un’importanza decisiva: fu considerata l’atto
costitutivo del potere temporale dei papi. In realtà essa era soltanto una delle tante donazioni che
allora venivano fatte a chiese e monasteri, anche se in questo caso acquistava un indubbio valore
politico, perché segnava il riconoscimento della sovranità che praticamente il papa esercitava su
Roma e sul territorio circostante, esautorando il governatore bizantino.
Ma il punto fondamentale su cui soffermarsi è un altro: nel 750 e nel 754 Astolfo aggiunse 22
capitoli all’editto longobardo (di Rotari). Con questa aggiunta l’obbligo di prestare servizio militare
non era più stabilito in base all’etnia dei liberi del regno, ma in base al loro reddito; così venivano
eliminati concettualmente i latini ed oramai tutti si riconoscevano nella tradizione militare
longobarda (“se elimino le differenze di etnia nella legge, vuol dire che le due etnie non sono più
considerate in maniera distinta, ma che tutti diventano della stessa etnia: longobarda). Inoltre la
conversione al Cattolicesimo si era completata e i vescovi provenivano in gran parte
dell’aristocrazia longobarda (da qui comincia il decadimento della cultura vescovile), la quale
fondava e proteggeva monasteri e monaci (e ciò migliorava la loro immagine agli occhi del popolo)
dotandoli di cospicui beni fondiari. Nonostante questo, in Italia non si realizzò una perfetta
convergenza tra potere regio ed episcopato (come per i Franchi in Gallia): fu perché il papato non
volle far rientrare Roma in un regno a carattere nazionale, ma mantenere la sua dimensione
universalistica; perciò, quando con Desiderio non fu più possibile tenere a freno l’espansionismo
longobardo, il papa chiamò in Italia i Franchi (con Pipino il Breve e poi Carlo Magno) per
provocarne il tracollo (fu una scelta politica, non certo religiosa).
DONNE LONGOBARDE SENZA PIENEZZA DI DIRITTI, DIPENDEVANO IN ORDINE DA:
MARITO-PADRE-PARENTI-RE
TESI DI PIRENNE:
Secondo Pirenne la crisi dell’Europa (crisi del commercio, scomparsa delle città, economia
esclusivamente agraria) è dovuta alla nuova potentissima civiltà araba, che attaccando l’impero
bizantino lascia spazio alla Chiesa per agire, più che ai germani che, insediatisi nel territorio
romano, secondo Pirenne non ne avevano alterato i caratteri fondamentali (il ruolo centrale delle
città negli scambi e nella vita politica ed amministrativa, e il ruolo centrale del Mediterraneo).
La critica mossa alla tesi di Pirenne è stata questa: l’urbanesimo e l’economia dell’Occidente erano
già in crisi da tempo, già da prima dell’espansione araba; inoltre i traffici per le rive del
Mediterraneo, seppur ridotti, non cessarono mai, neanche dopo l’espansione araba.
TEODOSIO:
Con Teodosio fu possibile restaurare negli anni 392-395 l’unità imperiale (assai labile per buona
parte del IV secolo per effetto della riforma di Diocleziano). Si trattò di una situazione transitoria
però, le due parti dello Stato si dimostravano sempre più diverse tra di loro.
Alla sua morte l’impero venne perciò diviso, stavolta definitivamente, tra i due figli Onorio
(Occidente, capitale Milano) e Arcadio (Oriente, capitale Costantinopoli). Essendo molto giovani,
Teodosio li pose sotto la tutela di Stilicone (per Onorio), generale Vandalo, e il goto Rufino (per
Arcadio),
La scelta dei due tutori non fu casuale, ma si inquadrava nella politica di Teodosio di apertura
verso le popolazioni germaniche.
GIUSTINIANO:
Imperatore bizantino (dal 527 al 565), nel 535 avviò la riconquista dell’Italia. La prima fase della
guerra si concluse nel 540 con la conquista di Ravenna e il ritiro oltre il Po dei Goti. I Goti
tentarono altri due attacchi nel 542 e nel 552 e vennero sconfitti in entrambe le occasioni; la
resistenza gota finì nel 555 con gli ultimi gruppi di irriducibili. Cercò di restaurare l’antico assetto di
rapporti sociali e di riorganizzare il territorio, e riuscì a mettere in piedi un apparato fiscale capillare
col quale arrivò a chiedere tasse arretrate di più decenni, mentre riduceva le spese pubbliche
decurtando il salario ai soldati e la distribuzione di viveri ai poveri. Tutti questi mezzi miravano a
fornire all’impero i mezzi per la sua politica espansionistica, ovviamente; essi ebbero però l’effetto
contrario di deprimere il morale delle scarse truppe e generare un malcontento generale per la
gestione politica, fattori che crearono i presupposti per l’imminente crollo dell’impero bizantino in
gran parte della penisola e l’arrivo dei longobardi (ricorda che le persone cercavano di affidarsi ai
nuovi dominatori, nella speranza che fossero meglio dei vecchi, anche se poi ciò non si verificava).
VALENTINIANO III:
Riconobbe, con un esplicito riconoscimento, la supremazia giurisdizionale del vescovo di Roma
verso la metà del V° secolo.
TEODORICO:
Re degli Ostrogoti, divenne patrizio d’Italia dal 493 (appoggiato da aristocrazia ed episcopato
cattolico, che avevano voluto contrastare l’espansionismo di Odoacre, chiamato dall’imperatore
Zenone), mostrò subito di voler operare in pieno accordo sia con l’aristocrazia sia con la Chiesa
cattolica, che prese sotto protezione, pur essendo ariano come il suo popolo. Con gli ostrogoti era
la prima volta che si stanziava un intero popolo e che si operava un trasferimento di terre di grandi
dimensioni - sempre in base al principio di ospitalità - dai proprietari romani ai guerrieri germanici.
L’operazione non fu però traumatica, visto che il declino demografico in Italia, Gallia e Spagna
(colpite dalla peste nel 452) faceva aumentare la disponibilità di terre. Inoltre non si instaurò la
dominazione degli Ostrogoti sulla popolazione romana, ma si realizzò la coesistenza di due
comunità con distinti ordinamenti giuridici e unite soltanto nella figura di Teodorico, re della sua
gente e vertice dell’apparato politico-amministrativo romano. I goti erano gli unici ad avere il diritto-
dovere di portare le armi. I Romani, rigorosamente esclusi dall’esercito, formavano una comunità
distinta che continuava a vivere secondo il diritto romano. Teodorico mantenne distinte le due
comunità con metodi originali: richiamando in vita una vecchia legge romana (370) vietava i
matrimoni tra romani e barbari, e sosteneva l’Arianesimo come elemento essenziale dell’identità
culturale del suo popolo. Si superò con lui la prassi dei germani che raggiungendo i vertici della
gerarchia militare entravano nel senato; ora l’aristocrazia Gota che ricopriva alte cariche militari
entrava a far parte del consiglio del re, ma non più del senato, considerato solo romano. Gli
Ostrogoti, insediatisi soprattutto nella pianura padana, vissero sotto forma di presidi militari
(Contingente di truppe di stanza in un luogo) o concentrati in propri quartieri e nelle loro proprietà
rurali, mantenendo uno stile di vita ispirato alla loro cultura bellicosa, per cui il sovrano dovette più
volte richiamarli a non commettere vessazioni ai danni della popolazione romana.
Il sogno di Teodorico di essere “custode della libertà e propagandatore del nome romano” (come
recita un’iscrizione coeva) si infranse tuttavia contro le resistenze sia del mondo germanico che di
quello romano. Dal punto di vista dei germani, c’erano i Franchi che avevano un analogo progetto
egemonico (concepito dal re Clodoveo, che aveva capito che per un progetto vincente c’era
bisogno dell’appoggio dei vescovi); dal punto di vista romano, ci fu piena intesa tra papato e
imperatore d’Oriente (dopo cinquant’anni di dissidi) in merito all’applicazione delle decisioni del
Concilio di Calcedonia, e ciò portò ad una aristocrazia romana che si orientava più favorevolmente
verso l’imperatore, provocando anche un certo irrigidimento tra i goti, ariani e i cattolici, dal
momento che papa e imperatore avevano concordato misure più severe verso gli eretici. Morì
Teodorico nel 526, oramai la potenza dei Goti in Italia aveva iniziato la sua parabola discendente.
Considerazioni → forse alla base della politica di Teodorico non c’era solo una fortissima
coscienza nazionale, ma anche la consapevolezza dell’impossibilità di realizzare in tempi brevi la
compenetrazione tra mondo germano e romano.
CASSIODORO:
Fu uno dei più illustri rappresentanti della colta aristocrazia romana che si strinse intorno al re
Teodorico: si sforzò di far conoscere la romanità ai goti e di nobilitare i Goti agli occhi dei romani;
sforzi che diedero qualche frutto se all’interno della corte (del re) non pochi erano i Goti che
conoscevano il latino e greco e i Romani che facevano insegnare ai loro figli il Goto.
Cassiodoro, dopo essere stato collaboratore di Teodorico e dei suoi successori, si ritirò nel 540 nei
suoi possedimenti in Calabria a Squillace, dove fondò un monastero (Vivarium) con caratteri del
tutto originali. Si trattava infatti non tanto di un luogo di ascesi e penitenza, quanto piuttosto di una
scuola, di un centro di cultura, con forte attività intellettuale e scrittoria, basata su un programma di
studio volto a conciliare cultura sacra e profana. L’obiettivo era quello di salvaguardare il
patrimonio culturale romano trapiantandolo nei monasteri, ma l’operazione, nella formula da lui
concepita, non fu possibile: il monachesimo non era nato per salvare la cultura antica, bensì per
realizzare un’esperienza perfetta di vita cristiana. Non sorprende perciò che di Vivarium non
rimase più traccia.
Importante fu invece l’opera di Cassiodoro e dei suoi discepoli per la trasmissione dei testi antichi
e l’elaborazione dei programmi di studio (con relativa scelta degli autori) per la scuola medievale.
GREGORIO MAGNO:
Il primato del vescovo di Roma sulla chiesa, considerato in Oriente puramente onorifico, era allora
(fine VI secolo) anche in Occidente privo di contenuti effettivi. Gregorio Magno concepì il disegno
di rendere autonomo il papato dall’impero bizantino, facendone la guida della Chiesa universale.
L’autorità da lui acquistata sui vescovi occidentali si basò soprattutto sulla sua capacità di stabilire
con loro uno stretto collegamento attraverso lo scambio continuo di lettere, nelle quali affrontava i
problemi più disparati: la cura delle anime, l’organizzazione delle diocesi, la vigilanza sui
monasteri, i rapporti con il potere politico. Inoltre egli si preoccupò di assicurare alla cristianità
occidentale un’impronta unitaria, riordinando e diffondendo la liturgia romana, con il relativo canto
che da lui prese il nome di Canto Gregoriano. Diede una spinta poi alla conversione di popolazioni
ariane e pagane, anche se mai con atteggiamenti di intolleranza, infatti ai missionari (inglesi)
raccomandava sempre di procedere gradualmente e nel rispetto delle tradizioni locali. (Grazie alla
riorganizzazione e allo sfruttamento dei grandi patrimoni fondiari fu anche in grado di difendere la
città di Roma dagli attacchi che vi arrivavano, grazie appunto alle sue risorse finanziarie).
AUTARI:
Nel 584 restaurò l’autorità regia: si fece cedere dai duchi (circa 30) metà delle loro terre, per
fornirsi i mezzi necessari al funzionamento alla monarchia. Creò i gastaldi, appositi funzionari che
svolgevano una funzione di controllo sui duchi.
ROTARI:
In quanto ariano non completa l’unione tra longobardi e romani (cosa che avverrà con Liutprando),
anzi tutela i longobardi con l’Editto di Rotari e quindi la personalità del diritto.
EDITTO DI ROTARI:
22 NOVEMBRE 643, MESSE PER ISCRITTE LE ANTICHE LEGGI (CONSUETUDINE)
LONGOBARDE → CONSUETUDINE FATTA LEGGE
Stando al principio della personalità della legge, l'editto fu valido solo per la popolazione italiana di
origini longobarde; quella romana soggetta al dominio longobardo rimase invece regolata dal diritto
romano, codificato a quell'epoca nel Digesto promulgato dall'imperatore Giustiniano I nel 533
(CORPUS IURIS CIVILIS)
ODOACRE:
Nel 746, rimandò a Costantinopoli le insegne imperiali, dichiarando di voler governare quello che
restava dell’impero d’Occidente in nome dell’imperatore d’Oriente con il solo titolo di patrizio. In
base al principio dell’ospitalità fece cedere un terzo delle terre (da parte dell’aristocrazia) alle genti
germaniche che lo avevano eletto re; nonostante questo gli aristocratici lo sostenettero, vedendo in
lui il personaggio adatto a garantire l’inserimento non traumatico dei germani nella struttura sociale
esistente. POLITICA CONCILIANTE COI GERMANI!
L’IMPERO CAROLINGIO:
Il papa chiamò i franchi per frenare l’espansionismo longobardo in Italia. Nel 751 fu incoronato dal
papa Pipino il Breve. Fu cruciale per la storia europea l'atto, giuridicamente illegittimo,
dell'incoronazione regale con legittimazione papale (fino ad allora i re erano stati solo benedetti dal
papa, mentre lo status giuridico a regnare doveva provenire dall'unico erede dell'Impero romano, il
sovrano bizantino). Sia Pipino stava usurpando un titolo di sovrano "sacrale" verso i Germani, sia il
papa si stava arrogando un potere di legittimazione che non aveva fondamento giuridico definito.
Ma nella pratica la sacralità del papa compensò la fine della sacralità della dinastia merovingia.
L’unzione di Bonifacio e l’approvazione pontificia conferirono al potere imperiale un fondamento
sacro, facendolo discendere direttamente da Dio. Nel 754 Pipino il Breve e i figli (Carlomanno e
Carlo) furono nuovamente consacrati dal papa Stefano II che era giunto lì per chiedere aiuto
contro i longobardi. I franchi avevano la loro forza nella clientela armata, migliorata con nuove
tecniche militari come il combattimento a cavallo reso migliore dall’introduzione della staffa (nel
quale il cavaliere può infilare ed appoggiare il piede), grazie alla quale il cavaliere poteva lanciarsi
al galoppo senza rischio di cadere con la lancia in resta (un uncino metallico applicato sulla parte
destra della piastra pettorale cui andava appoggiato il "calcio" della lancia onde mantenerla in
equilibrio durante la carica ed evitarne lo scivolamento all'indietro quando colpiva il bersaglio). La
struttura rimaneva circa quella dei comitatus, con la differenza che ora i capi militari, non potendo
più distribuire i beni razziati nelle guerre di conquista, accasavano i sottoposti mediante la
concessione di terre. In cambio loro si impegnavano, mediante un giuramento, a prestare servizio
militare in determinate circostanze, che col tempo si andarono definendo sulla base della
consuetudine. È da qui che si diffusero quindi i rapporti vassallatico-beneficiari (feudali).
Nel 755 Pipino il Breve travolse l’esercito di Astolfo. Pipino, non essendo interessato a forzare la
situazione, si accontentò della promessa di Astolfo di cedere al papa Ravenna e gli altri territori
sottratti ai bizantini. Bastò però che egli lasciasse l’Italia, perché Astolfo si rimangiasse tali
promesse, riprendendo gli attacchi a Roma. Nel 756, quindi, Pipino intraprese una nuova
spedizione e sconfisse definitivamente il re longobardo, costretto alla cessione immediata alla
Chiesa di Roma - “ai beati apostoli Pietro e Paolo” come al tempo si diceva - degli ex territori
bizantini della costa romagnola.
Anche questa volta Pipino si limitò a onorare il suo titolo di patrizio dei Romani, lasciando a
Desiderio la corona (Desiderio, con intenti meno bellicosi e anche la volontà di intrattenere un
buon rapporto coi Franchi). A sancire questo periodo di pace furono i matrimoni dei figli di Pipino,
Carlomanno e Carlo con le figlie di Desiderio. Dopo un quindicennio di pace (nel 768 Pipino
scomparve, nel 771 anche Carlomanno), Carlo (che sarà detto Magno) ripudiò sua moglie
(Ermengarda) e scacciò la vedova del fratello (Gerberga), la quale si rifugiò presso Desiderio.
Desiderio poi improvvisamente mosse un attacco ai territori da poco consegnati al pontefice, ma il
nuovo pontefice (Adriano I) chiese l’intervento di Carlo: questi sconfisse Desiderio nel 773,
facendolo prigionieroo. Nel 774 Carlo Magno cinse a Pavia la corona di re dei Longobardi.
Formalmente si trattò quasi solo di un cambio di dinastia, perché la maggior parte dei duchi e degli
esponenti dell’aristocrazia longobarda si sottomisero al vincitore e conservarono i loro patrimoni
fondiari, mentre restavano in piedi l’apparato politico-amministrativo e le leggi preesistenti. Un
cambiamento più radicale ci fu invece nel 776, quando, in seguito ad un tentativo di riscossa dei
duchi, ci fu una larga immissione nella penisola di conti e vassalli franchi, che assicurarono al
sovrano un più saldo controllo del nuovo regno. Con loro arrivarono in Italia i rapporti vassallatico-
beneficiari, ormai consolidati in Francia, che ebbero subito una grande diffusione anche nella
penisola. [CONTINUA CON CARLO MAGNO]
CARLO MAGNO:
Carlo ripudiò sua moglie (Ermengarda) e scacciò la vedova del fratello (Gerberga), la quale si
rifugiò presso Desiderio. Desiderio poi improvvisamente mosse un attacco ai territori da poco
consegnati al pontefice, ma il nuovo pontefice (Adriano I) chiese l’intervento di Carlo: questi lo
sconfisse nel 773, facendolo prigioniero. Nel 774 Carlo Magno cinse a Pavia la corona di re dei
Longobardi. Formalmente si trattò quasi solo di un cambio di dinastia, perché la maggior parte dei
duchi e degli esponenti dell’aristocrazia longobarda si sottomisero al vincitore e conservarono i loro
patrimoni fondiari, mentre restavano in piedi l’apparato politico-amministrativo e le leggi
preesistenti. Un cambiamento più radicale ci fu invece nel 776, quando, in seguito ad un tentativo
di riscossa dei duchi, ci fu una larga immissione nella penisola di conti e vassalli franchi da parte di
Carlo, che assicurarono al sovrano un più saldo controllo del nuovo regno. Con loro arrivarono in
Italia i rapporti vassallatico-beneficiari, ormai consolidati in Francia, che ebbero subito una grande
diffusione anche nella penisola.
In varie campagne di guerra Carlo ampliò i suoi domini: prese buona parte della Catalogna, con
capitale Barcellona, e riuscì con la forza ad imporre la cristianizzazione ai sassoni.
VASSI DOMINICI:
Fedeli diretti del re (ordinamento pubblico carolingio) insediati all’interno dei distretti per controllare
l’operato di conti, marchesi e duchi.
MISSI DOMINICI:
Ispettori scelti dal re (carolingio), che ogni anno, a due a due (un laico e un ecclesiastico), avevano
il compito di visitare una determinata contea per controllare l’operato di funzionari laici ed
ecclesiastici e farne poi rapporto all’imperatore al ritorno.
LUDOVICO IL PIO (DOPO CARLO MAGNO):
La morte prematura dei fratelli Carlo e Pipino, gli fece raccogliere nell’814 l’intera eredità di Carlo
Magno (il padre), compreso il titolo imperiale. Egli accentuava molto il carattere sacro del potere
imperiale, perciò attuò una più stretta compenetrazione tra Stato e Chiesa.
Nel 817 emanò una costituzione (Ordinatio imperii) con la quale proclamò l’indivisibilità dell’impero
(risolvendo il problema della successione) che veniva quindi destinato al primogenito Lotario,
mentre agli altri due figli Pipino e Ludovico (detto poi il Germanico) assegnava territori periferici,
quali l’Aquitania con la marca spagnola al primo e la Baviera al secondo.
Non seppe attuare il proposito di non dividere ulteriormente il territorio dell’impero, né di tenere a
bada i figli minori, i quali si ribellarono ad egli. Per difendersi dai figli (Lotario e i fratelli) non trovò di
meglio che allargare la schiera dei suoi vassalli, moltiplicando le concessioni di benefici. Nel breve
termine funzionò, ma alla lunga si rivelò inefficace e impoverì il patrimonio del fisco, principale
fonte di reddito per la monarchia.
Al suo tempo alcuni vescovi (Agobardo di Lione e Giona di Orleans) enunciarono un nuovo
principio, gravido di conseguenze per il futuro: quando l’imperatore, per un qualsiasi motivo, non
era in grado di assolvere ai suoi compiti di garante della pace e della giustizia, spettava alla Chiesa
intervenire (sfruttando il poco potere di Ludovico).
Lotario conservava il titolo imperiale e una teorica superiorità sui regni dei due fratelli, ma in realtà
al di fuori dei suoi domini non aveva alcun potere effettivo. La sua posizione era poi ulteriormente
indebolita dalla mancanza di omogeneità geografica, etnica e linguistica dei suoi territori, le cui
parti transalpine nel giro di un trentennio finirono con l’essere assorbite dai due regni vicini, che
divennero così confinanti. Morì nell’855 e gli succedette il figlio Ludovico II.
CARLO IL CALVO:
Era il quarto figlio di Ludovico il Pio, che succedette a Pipino dopo la sua morte e ne ereditò
l’Aquitania e la marca di Spagna. Alleatosi col fratello Ludovico il Germanico contro l’altro fratello
Lotario, lo sconfisse insieme a lui e nell’842 stipulò a Strasburgo un patto solenne, che faceva
promettere ad entrambi aiuto reciproco (alla presenza dei loro eserciti).
Con il trattato di Verdun che sanciva la definitiva divisione dell’impero, ne ricevette la parte
occidentale (Neustria, Aquitania e marca spagnola), mentre a Ludovico il Germanico andava la
parte orientale e a Lotario quella centrale. Con la morte di Ludovico II (succeduto a Lotario come
imperatore), Carlo conseguì, con il dominio dell’Italia, anche la corona imperiale.
CAPITOLARE DI QUIERZY:
Il Capitolare di Quierzy (o Capitolare di Kiersy) è un testo normativo promulgato il 14 giugno 877
nella città di Quierzy-sur-Oise da Carlo il Calvo che concesse, di fatto, il passaggio per eredità
delle cariche feudali maggiori. «Tuttavia non è corretto definirlo semplicemente come l'atto
legislativo che stabilì l'ereditarietà dei feudi maggiori: così dicono ancora oggi molti manuali
scolastici, ma nel farlo non prendono atto dei progressi di analisi compiuti dagli storici sul testo.
Leggendo con attenzione senza pregiudizi, ci accorgiamo che Carlo il Calvo prese un
provvedimento che riguardava situazioni eccezionali, cioè la partenza per una spedizione militare
del re con i suoi principali fedeli. Il Capitolare stabiliva che, se il vassallo regio moriva mentre era
lontano dalla sua sede, il suo feudo poteva provvisoriamente essere tenuto da suo figlio; quando il
re fosse tornato o fosse stato eletto un nuovo re, il feudo sarebbe stato definitivamente assegnato
all'erede attraverso una nuova investitura e quindi attraverso un rinnovato omaggio, un ulteriore
giuramento di fedeltà del nuovo vassus al re-senior».
CONSTITUTIO DE FEUDIS:
La Constitutio de feudis o Edictum de beneficiis regni Italici è un documento emanato
dall'imperatore del Sacro Romano Impero, Corrado II il Salico, il 28 maggio 1037 a Cremona, in
concomitanza con l'assedio di Milano. Il documento viene redatto allo scopo di smorzare le
ribellioni dei vassalli italiani dell'imperatore e va a regolare il diritto di successione feudale per i
feudi minori.
I feudatari minori possono ora venire giudicati da loro pari e far ereditare i loro possessi ai propri
figli, anche se donne o minori. Viene mantenuto un vincolo di tutela dei feudatari maggiori sui feudi
dei loro vassalli.
LUDOVICO IL GERMANICO:
Figlio di Ludovico il Pio, ricevette da lui la Baviera. Alleatosi col fratello Carlo il Calvo contro l’altro
fratello Lotario, lo sconfisse insieme a lui e nell’842 stipulò a Strasburgo un patto solenne, che
faceva promettere ad entrambi aiuto reciproco (alla presenza dei loro eserciti).
Con il trattato di Verdun che sanciva la definitiva divisione dell’impero, ne ricevette la parte
orientale (Carinzia, Baviera, Alemannia, Turingia, Sassonia), mentre a Carlo il Calvo andava quella
occidentale e a Lotario quella centrale.
LUDOVICO II:
Figlio di Lotario, succedette a lui come imperatore e fu impegnato a lungo in Italia contro i
Saraceni, ai quali tolse Bari nell’871. Alla sua morte nell’876, lo zio Carlo il Calvo conseguì, con il
dominio dell’Italia, anche il dominio imperiale.
CARLO IL GROSSO:
Figlio di Ludovico il Germanico che nell’884, grazie alla fine della discendenza diretta di Carlo il
Calvo, riunì di nuovo nelle sue mani tutta l’eredità di Carlo Magno.
Veniva così coronato il sogno degli uomini di Chiesa di vedere ripristinata l’autorità imperiale. Ma si
rivelò presto una restaurazione del tutto effimera, dato che già nell’877 l’imperatore, rivelatosi
impotente a fronteggiare le incursioni dei Normanni, fu costretto ad abdicare dagli intrighi della
grande aristocrazia (ormai arbitra del potere) e a ritirarsi in un monastero, dove morì l’anno dopo.
La parte orientale andò ad Arnolfo di Carinzia; in francia diventava re Oddone, distintosi nella
difesa di Parigi assediata dai Normanni; il regno d’Italia fu attribuito da un’assemblea di nobili a
Berengario, marchese del Friuli appartenente a una famiglia imparentata con i Carolingi.
FEUDO OBLATO:
Terre, fortezze e giurisdizioni tenute in allodio che il proprietario donava a un signore, per riaverle
in feudo dopo aver prestato omaggio.
A cosa serviva? Il proprietario, diventando vassallo, si trovava ad avere delle terre non più in
proprietà piena, ma gravate di servizi a favore del signore. Era un danno lieve però, dal momento
che oramai il feudo era allodizzato e quindi trasmissibile agli eredi. I servizi erano limitati (Feudi
sine servitio e sine fidelitate) e, dopo l’aiuto militare (massimo di quaranta giorni), era il signore a
dover provvedere al mantenimento del vassallo e del suo seguito (e si legava a un signore
potente, quindi aveva protezione) (COMMENDATIO → Rapporto paritario di favori). Il signore si
creava un dominio territoriale più ampio e si imponeva anche lontano dalla sua locazione, così, pur
non affermando il dominio diretto su quel territorio riconosciuto come feudo del suo vassallo,
affermava su di esso la sua superiore autorità e creava le premesse per il futuro consolidamento
del suo potere.
FEUDO SINE SERVITIO O SINE FIDELITATE (DICI SINE SERVITIO NEL CASO):
Feudi per i quali i vassalli non dovevano il servizio militare. Alcuni vassalli erano esenti dal servizio
militare, man mano sostituito da una tassa in denaro. Il consilium nei confronti del signore si
riduceva a dargli prestigio e a non combatterlo; inoltre doveva prestargli, quando non esentato, un
non gravoso (40 giorni ad esempio) servizio militare o una tassa sostitutiva. Il rapporto feudale
perdeva così il suo carattere originale personale e militare, diventando uno strumento politico: il
signore creava un più vasto dominio territoriale e il vassallo si legava a un signore potente
(potendo poi aspirare a possedere altri feudi e guadagnare dal signore anche cariche pubbliche).
Si crea così un sistema piramidale feudale (società in cui la delega dei poteri procede dal vertice
verso il basso, fino a raggiungere, attraverso valvassori e valvassini, i ceti rurali). SECONDA ETA’
FEUDALE XI-XIII SECOLO
ECONOMIA CURTENSE:
A lungo gli storici hanno discusso sulla redditività dell’azienda curtense che, secondo
interpretazioni perlopiù abbandonate, sarebbe stata assai scarsa e avrebbe permesso la mera
sussistenza dei servi e dei coloni, garantendo un surplus, in ogni caso limitato, al solo signore
fondiario. In base a una più attenta lettura delle fonti oggi prevalgono analisi che mettono in risalto
il relativo dinamismo dell’economia curtense, la quale grazie alla sua articolazione in più unità
sarebbe stata in grado di produrre eccedenze che potevano essere rivendute, assieme ai prodotti
artigianali, in mercati locali posti nel dominicum o nei villaggi. L’azienda curtense, di conseguenza,
avrebbe dato un contributo importante al risveglio vissuto dall’economia di scambio a partire dal
secolo VIII, quando inizia una fase di crescita economica testimoniata anche dal costante aumento
demografico e dalla messa a coltura di nuove terre.
I prodotti spesso erano consumati nel posto dove erano prodotti, dato che parecchi proprietari
disponevano di più corti (nelle quali abitualmente si recavano per consumare quanto vi era stato
accumulato).
PRESTAZIONE D’OPERA:
Tipo di prestazione dovuta da parte del vassallo o schiavo al signore feudale tramite giornate di
lavoro gratuito, destinato alla coltivazione delle terre padronali.
MANSO:
Una terra coltivata da uno schiavo (in epoca merovingia).
POLITTICI:
Inventari dei beni dei grandi monasteri.
SIGNORIA BANNALE:
Signoria nella quale il signore, pur essendo sprovvisto di una formale delega da parte della
monarchia, esercitava poteri di natura pubblica, quali l’amministrazione della giustizia e la difesa
del territorio (in cambio di tasse in denaro), mediante la costruzione di fortezze e l’imposizione agli
abitanti di prestazioni di natura militare (IX-X secolo). Tutto ciò era dovuto al carattere rudimentale
dell’amministrazione pubblica carolingia (mascherata solo al tempo di Carlo Magno dal suo
carisma). Il disporre di un apparato militare permetteva inoltre al signore non solo di percepire
multe o ammende, ma di imporre ogni sorta di obblighi. Così la signoria di banno fu un importante
fattore di riassetto politico.
Riguardo i castelli/fortezze, il signore chiamava gli abitanti circostanti a costruirli, dal momento che
se ne sarebbero serviti anche loro, e per lo stesso motivo imponeva loro turni di guardia e servizi di
manutenzione. Le funzioni del signore erano limitate all’amministrazione della giustizia e alla difesa
di chiese e monasteri. Il signore si imponeva a regolare anche i problemi di natura giudiziaria degli
abitanti e, facendo sorgere nel castello anche una chiesa per l’assistenza religiosa di chi vi
risiedeva o vi si rifugiava in caso di pericolo, il territorio incastellato si conformava come un
organismo politico completo.
Il castello poteva essere o una fortezza al cui interno il signore viveva coi suoi familiari e presidiata
dai soldati (e in cui gli abitanti dei dintorni si rifugiavano in caso di necessità), o un villaggio,
preesistente, fortificato che veniva circondato di mura e fossato, all’interno del quale egli costruiva
una dimora fortificata. Cambiava così il popolamento della zona, dato che gli abitanti dei piccoli
agglomerati circostanti tendevano ad insediarsi all’ombra del castello, per essere più protetti.
BORGO FRANCO:
Nuovi centri abitati (nel nuovo millennio) dove i signori, per attirare i coloni sulle proprie terre e per
stimolarne l’impegno nel lavoro di bonifica e disboscamento, concedevano ai loro abitanti privilegi
di vario genere, come ad esempio esenzioni fiscali e garanzie di carattere giudiziaro, tra cui il
diritto di essere giudicati all’interno del borgo e da giudici espressi dalla comunità.
UNGARI (MAGIARI):
Popolo proveniente dalle steppe della Russia centrale che si stanziò nell’895-896 in Pannonia
(attuale Ungheria). Dalle nuove terre partivano ogni anno per compiere incursioni nell’Europa
Carolingia sia in direzione della Germania e della Francia, sia verso l’Italia dove nell’899
devastarono più volte le regioni centro-settentrionali, spingendosi nel 922 e nel 947 fino in
Campania e in Puglia. Le loro incursionI durarono fino alla metà del X secolo toccando anche
Spagna e Belgio. Le formazioni politiche nate dalla dissoluzione dell’impero carolingio si rivelarono
impotenti a garantire la difesa delle popolazioni, optando quindi di fermarli (gli ungari) con l’offerta
di grossi tributi in denaro, dirottandoli verso territori nemici. I monasteri ricchi di oggetti preziosi e i
centri abitati privi di adeguate difese subirono i maggiori danni; le città più grandi resistettero
meglio, dato che gli incursori (abilissimi cavalieri e arcieri) non erano attrezzati per un lungo
assedio.
Le loro scorrerie finirono grazie ad Ottone I (del regno di Germania riorganizzato sotto la nuova
dinastia sassone) che li sconfisse sulle sponde del fiume Lech presso Augusta il 10 Agosto 955, e
vi fu la loro conversione al Cristianesimo ad opera di missionari provenienti dalla Germania
(conversione sanzionata nel 1001 dalla concessione della corona regia al loro capo Stefano I da
papa Silvestro II).
SARACENI:
Saraceno è un termine utilizzato a partire dal II secolo d.C. sino a tutto il Medioevo per
indicare i popoli provenienti dalla penisola araba o, per estensione, di religione musulmana.
Dall'827 gli emiri aghlabidi di Qayrawan, nell'odierna Tunisia, iniziarono la conquista della Sicilia,
che fu ultimata nel 902.
L’esaurirsi della spinta offensiva musulmana dopo la conquista della Sicilia (da Siria e paesi lungo
tutta la costa nord dell’Africa) non significò la fine dei loro attacchi all’Occidente, che continuarono
sotto forma di razzie e incursione ad opera di bande armate, provenienti dall’Africa Settentrionale e
dalla Spagna, e in seguito anche dalla Sicilia e da Creta.
Ad esserne investita fu innanzitutto l’Italia, dove il pericolo dei Saraceni (come erano chiamati quei
predoni) rimase assai forte fino agli inizi dell’XI secolo. Questi costituirono emirati a Bari e Taranto,
facendone punti di partenza per incursioni in tutta Italia. Dove non riuscirono a stabilire
dominazioni territoriali ampie, crearono insediamenti fortificati detti ribat, da cui partivano per razzie
nei territori circostanti (ad Agropoli e alle foci del Garigliano e in Provenza a Saint Tropez). Qui
dall’899 e per oltre trent’anni restarono saldi nella loro base di Frassineto (sud-est Francia), da
dove partivano per rovinose incursioni in Provenza, Piemonte occidentale e Liguria. Nel 973 il
marchese di Torino e il conte di Provenza riuscirono a snidarli dal loro covo.
Derubarono Capua, Isernia e saccheggiarono la basilica di S. Pietro in Vaticano.
Oltre che di oggetti preziosi, i Saraceni andavano alla ricerca anche di giovani e di donne, che poi
rivendevano come schiavi sui mercati del mondo arabo.
Spesso l’unico modo per fermarli era versargli pesanti tributi in denaro, e così facevano
regolarmente varie città del sud Italia. All’inizio del nuovo millennio (con ad esempio la vittoria dei
bizantini nel 1004-1005 al largo di Bari e Reggio Calabria, con l’aiuto di navi veneziane e pisane;
prima quella di Napoli, Gaeta e Amalfi nell’846 e 849) l’Occidente cristiano stava ripartendo
all’attacco, ma i nuclei di pirati musulmani si mantennero in attività
comunque per tutto il XII secolo.
NORMANNI:
Riuniscono varie popolazioni dello Jutland e in parte della Scandinavia. I Normanni passarono a
occupare l'odierna Normandia (regione della Francia settentrionale che da essi prese il nome) a
partire dall'ultimo quarto del IX secolo. Nel 911, Carlo il Semplice, re di Francia, concesse agli
invasori una piccola porzione di territorio lungo il basso corso del fiume Senna, che andò poi
espandendosi, diventando il ducato di Normandia. I Normanni divennero agricoltori, fondendosi
con la popolazione locale della Neustria, adottarono la religione cristiana e la lingua galloromanza
(lingua d’Oil, MA MEGLIO NON MENZIONARLA CHÈ SI SFORA CON GLI ARGOMENTI), dando
così vita a una nuova identità culturale, diversa sia da quella degli scandinavi sia da quella dei
franchi. Dopo una o due generazioni, erano divenuti pressoché indistinguibili dai vicini francesi.
Nell'XI secolo la posizione degli invasori in Normandia era ormai consolidata. Via via (sia in
Normandia sia in Inghilterra) assimilarono anche il sistema feudale francese.
Mentre in Inghilterra giunsero da esercito di conquistatori, in Italia non giunsero come tali, ma a
piccoli gruppi e con la speranza di farvi fortuna, mettendo la loro abilità militare al servizio delle
formazioni politiche locali, in perenne lotta tra loro. Il loro insediamento fu favoreggiato dal
particolarismo politico del sud, dove i ducati di Napoli, Gaeta, Sorrento e Amalfi erano solo
nominalmente dipendenti da Bisanzio, ma praticamente autonomi.
Ricevendo territori (come Aversa) in feudo in cambio di appoggi militari, cingendo d’assedio luoghi
come Capua e conquistandoli allargarono i propri domini in italia.
Sconfitta con Umfredo d’Altavilla come condottiero (anche duca di Puglia e Calabria) la coalizione
antinormanna di Leone IX (nel 1053 a Civitate in Puglia), quest’ultimo riconobbe, per essere
liberato dalla prigionia, le conquiste dei normanni in cambio del loro appoggio politico e militare.
Furono tra i protagonisti delle crociate.
SIMONIA:
Nella religione cattolica, il peccato di chi pratica il commercio di beni spirituali (p.e. indulgenze,
assoluzione dei peccati) o di beni temporali a essi inerenti (p.e. cariche o benefici ecclesiastici)
CONCUBINATO:
Condizione di uomo che vive in stato coniugale con una donna senza essere con lei sposato,
quindi violazione del celibato ecclesiastico.
PIER DAMIANI:
Fondò eremi sull’Appennino (dove uno o più eremiti si ritirano escludendosi volontariamente dalla
società, per condurre una vita di preghiera e ascesi) e fu uno dei protagonisti del movimento
riformatore della Chiesa.
GREGORIO VII ED ENRICO IV:
Enrico IV, uscito di minorità nel 1066, si rese subito conto delle conseguenze che i recenti
provvedimenti adottati dal papato avrebbero avuto sul piano politico, privandolo del controllo delle
sedi vescovili e delle grandi abbazie, indispensabile per controbilanciare la potenza
dell’aristocrazia laica. Intanto sul trono pontificio saliva Gregorio VII, uomo di punta dello
schieramento riformatore. Dotato di forte personalità e di una concezione altissima della dignità
papale, rivendicò il primato romano, ovvero la suprema autorità del papa su tutta la società
Cristiana. Gregorio VII nelle sue lettere identificava <<l’assoluta obbedienza a Dio con quella
dovuta a lui in quanto papa, cioè successore dell’apostolo Pietro.>>
Ne scaturì un rimescolamento delle forze in campo: dalla parte dell’imperatore si schierarono non
solo i vescovi ostili alla riforma, ma ora anche quelli semplicemente contrari alla concezione
gregoriana del primato papale (che avrebbe limitato essi).
Difatti già nel 1075, in un testo noto come Dictatus Papae, il pontefice riteneva la sua giurisdizione
estesa anche all’ambito temporale, attribuendosi la facoltà di deporre non solo i vescovi, ma anche
l’imperatore. Ciò presupponeva una monarchia universale papale, che Enrico IV non poteva
accettare; da qui nacque la celeberrima “Lotta per le investiture”.
ORDINI MENDICANTI:
Gli ordini mendicanti, sorti tra il XII ed il XIII secolo in seno alla Chiesa cattolica, sono quegli
ordini religiosi ai quali la regola primitiva imponeva l'emissione di un voto di povertà che implicava
la rinuncia ad ogni proprietà non solo per gli individui, ma anche per i conventi, e che traevano
sostentamento unicamente dalla raccolta delle elemosine
CENOBITISMO:
Forma comunitaria di monachesimo, praticata in monasteri (cenobi) sotto una guida spirituale
secondo una disciplina fissata da una regola: meditazione della Bibbia, preghiera, lavoro, vestiario
e regime alimentare, tutto regolato.
Il cenobitismo fu fondato da San Pacomio nel IV secolo e diffuso in Occidente anche grazie a San
Benedetto da Norcia.
BASILIO:
Vescovo di Cesarea in Cappadocia (attuale Turchia); non fondò un ordine basiliano vero e proprio,
ma promosse la fondazione di monasteri sia in luoghi appartati che in città. A essi indirizzò le sue
Regole; non un codice di leggi, ma una serie di indicazioni, tra le quali spiccava una figura di
grande importanza: l’abate, al quale Basilio assegna il compito di promuovere il bene della
comunità.
ORDINI RELIGIOSI:
Società ecclesiastiche legittimamente erette o approvate dalla competente autorità (Santa Sede);
organizzati con delle regole interne.
CERTOSINI:
Ordine fondato presso Grenoble alla fine del XI secolo (da Bruno di Colonia). I monasteri certosini
sono le certose, grandi complessi edilizi formati da celle (dotate ognuna di un piccolo giardino) in
cui i certosini vivevano da soli per la maggior parte della giornata, e da edifici per la preghiera
comunitaria.
CISTERCENSI:
Nato in Francia a Citeaux, sul finire del XI secolo.
L’obiettivo loro non era solo quello di soddisfare il desiderio di solitudine e di una religiosità più
intima, ma anche di recuperare lo spirito originario della Regola Benedettina e quindi l’ideale
evangelico della povertà, in polemica sempre più aperta coi cluniacensi.
I cistercensi si insediarono, pertanto, in luoghi incolti e paludosi che essi misero a coltura (nella
grande opera di dissodamento del periodo di rinascita demografica dell’XI secolo) per procurarsi
da vivere con il lavoro delle proprie mani. Vollero inoltre rimanere sottomessi ai vescovi, rifiutando
l’esenzione di tipo cluniacense, per cui i vescovi ne favorirono la diffusione all’interno delle loro
diocesi.
Così come gli altri ordini si snaturarono, finendo per ricorrere anch’essi all’esenzione (come i
cluniacensi tanto criticati). Le grandi ricchezze e poteri gestionali non valsero però a ridare loro
slancio, lasciando il campo all’affermazione di nuovi ordini religiosi: gli ordini mendicanti.
COMUNITA’ CANONICALI:
Forme di vita comune del clero, sviluppatesi all'inizio del II millennio, che per lo più vivono sotto la
regola di sant'Agostino, con voti solenni di povertà, obbedienza e castità. Il termine indicava i
chierici che assistevano il vescovo nella sua azione pastorale, che avrebbero dovuto vivere in
comune sotto la regola di sant’Agostino. Quelle norme però non furono mai attuate a pieno e
furono ben presto dimenticate; l’attività riformatrice, allo scopo di ripristinare la vita comune, si
concretizzò tra X e XI secolo. Quelle che sembravano iniziative isolate diventarono sempre più
numerose e si può perciò parlare di canoniche regolari.
CANONICHE REGOLARI:
Comunità di chierici rette da regole più o meno rigorose, tra cui quella di sant’Agostino. Esse non
sono da confondere con le comunità monastiche. I monaci infatti erano dediti all’attività
contemplativa e spesso non erano chierici. I canonici regolari erano invece comunità di chierici che
vivevano in comune per imitare gli apostoli e prepararsi al meglio, attraverso lo studio e la
preghiera, all’esercizio del ministero sacerdotale.
URBANO II:
Molto appoggiato dai vescovi (anche dai tedeschi e lombardi, che solitamente stavano con
l’imperatore), poiché episcopalista: frenò il fenomeno delle esenzioni monastiche e promosse la
fondazione di canoniche regolari, che avrebbero dovuto aiutare i vescovi nella cura delle anime.
Nel concilio di Clermont-Ferrand condannò le lotte fraticide e invitò a un pellegrinaggio. Fu un
invito alla crociata? “Vedi approfondimento”
Nel 1096 fece pressione per l’inizio della prima crociata, preoccupato dalle partenze indiscriminate
di pellegrini fanatici (Crociata dei poveri) che minacciavano di sconvolgere l’ordine sociale e si
sottraevano ad ogni controllo politico ed ecclesiastico.
Al suo appello rispose il fior fiore della feudalità specialmente dalla Francia, ma anche dalla Bassa
Lorena, da Tolosa, dalla Fiandra, da Taranto, dalla Normandia.
PRIMA CROCIATA:
I vari contingenti armati, che si mossero chi per mare chi attraverso i Balcani, si concentrarono a
Costantinopoli. L’imperatore Comneno fornì ai crociati viveri e armi, ottenendo in cambio la
restituzione dei territori appartenuti in precedenza all’impero e il riconoscimento della sua superiore
autorità sulle formazioni politiche eventualmente nate dalla vittoria dei Franchi (come in Oriente
erano chiamati gli occidentali).
La spedizione si mosse nel giugno del 1097 e procedette in mezzo a gravi difficoltà. La stagione
non era la più propizia per un esercito armato in maniera inadeguata per il clima di quelle regioni,
oltre che impreparato ad affrontare un nemico che si spostava velocemente e faceva largo uso di
arcieri e cavaliere armati alla leggera. Inoltre c’erano odi e rivalità interne all’esercito, tra conti,
duchi e principi. Ciò nonostante il 15 luglio del 1099, dopo cinque settimane di assedio, si giunse
alla conquista di Gerusalemme, che fu accompagnata dal massacro quasi totale della popolazione
musulmana ed ebraica.
La presa di Gerusalemme fu tanto più sorprendente se si considera che i crociati erano a digiuno
di arte degli assedi e che le loro fila si andavano assottigliando man mano, dal momento che i capi
dei vari contingenti dell’esercito preferivano fermarsi e stabilire un loro dominio su centri importanti,
piuttosto che andare avanti con gli altri.
Il primo fu Baldovino di Fiandra che si fece conte di Edessa; poi Boemondo di Taranto si fece
principe di Antiochia. Teoricamente essi erano vassalli di Goffredo di Buglione, a cui fu assegnato
il Regno di Gerusalemme. L’anno dopo morì e gli successe il fratello Baldovino, il quale avviò
un’energica azione di consolidamento del regno: conquistò il resto del litorale, rese le strade per i
pellegrini più sicure e fondò il suo potere sui cavalieri rimasti e che avevano ottenuto feudi dal
sovrano. I legami feudali non valsero a mettere d’accordo la classe dominante, che non riuscì a
superare le rivalità interne.
(RICORDA DI CITARE QUESTA SITUAZIONE QUANDO PARLERAI DI VENEZIA E CITT À
MARINARE)
CONCORDATO DI WORMS:
Il concordato di Worms (Germania) fu un patto stipulato il 23 settembre del 1122 fra Enrico V e il
papa Callisto II. Il concordato rappresentò una soluzione condivisa al problema dell'investitura dei
vescovi. In base ai termini dell'accordo l'imperatore rinunciava al diritto di investire i vescovi
dell'anello e del bastone pastorale, simboli del loro potere spirituale, riconoscendo solo al
Pontefice tale funzione, e concedeva che in tutto l'impero l'elezione dei vescovi fosse celebrata
secondo i canoni e che la loro consacrazione fosse libera.
Il papa, a sua volta, riconosceva all'imperatore il diritto, in Germania, di essere presente alle
elezioni episcopali, purché compiute senza simonia né violenza (e anzi come garante del diritto e
sostenitore del vescovo metropolitano), e di investire i prescelti dei loro diritti laici (cioè i diritti
feudali). Inoltre, sempre e soltanto in Germania, l'investitura feudale precedeva quella episcopale,
con un divario massimo di sei mesi. In Italia e in Borgogna, invece, la consacrazione episcopale
precedeva quella feudale.
SECONDA CROCIATA:
Il successo dei crociati fu reso possibile anche dalle lacerazioni esistenti all’interno del mondo
musulmano. Quando agli inizi del XII secolo, però, grazie all’intraprendenza dell’emiro Imad al-Din
Zinki, il mondo musulmano fu in grado di esercitare una grande pressione sugli Stati crociati,
politicamente e militarmente impreparati a resistere, la situazione cambiò: cadde per prima Edessa
(1144) e in Occidente la notizia destò preoccupazione. Bernardo da Chiaravalle, uomo di punta del
monachesimo cistercense, organizzò una nuova crociata, mobilitando i sovrani più potenti
dell’Occidente: l’imperatore tedesco Corrado III, il re di Francia Luigi VII e il re di Sicilia Ruggero II.
L’iniziativa fu però un completo fallimento, perché ognuno perseguiva propri obiettivi, al punto che
Ruggero II preferì concentrarsi negli attacchi a Bisanzio nei suoi domini del Peloponneso. Si
giunse alla fine ad un coordinamento tra i vari corpi di spedizione, ma arrivarono ripetute sconfitte.
TERZA CROCIATA:
Qualche decennio dopo la seconda crociata arrivò la piena riscossa musulmana, ad opera di un
curdo di nome Salah ed-Din Yusuf, noto in Occidente come il Saladino. Il 4 luglio del 1177
sconfisse i Franchi ad Hattin e il 2 Ottobre entrò trionfante in Gerusalemme. La gravità dell’evento
provocò in Occidente una mobilitazione ancora più grande che in precedenza, così scesero in
campo l’imperatore Federico Barbarossa, il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e il re di
Francia Filippo Augusto. Il Barbarossa perse la vita nel 1190, annegando mentre attraversava il
fiume Salef. Gli altri due continuarono l’impresa; i risultati li conseguì Riccardo, che riuscì a
recuperare San Giovani d’Acri (oggi Akko in Israele) e a strappare ai bizantini l’isola di Cirpo.
Gerusalemme restava in mano ai musulmani.
QUINTA CROCIATA:
Bandita da Innocenzo III poco prima di morire (morto nel 1216) nel 1215.
La spedizione partì nel 1217 guidata dal re Andrea d’Ungheria, nel 1221 si era però già conclusa.
SESTA CROCIATA:
Due spedizioni guidate da Luigi IX, l’ultimo esponente del movimento crociato, l’ultimo a credere
nella validità dell’ideale della crociata; la prima, iniziata nel 1248, si concluse nel 1254 con la
cattura sua e del suo esercito, liberati solo dopo il pagamento di un lauto riscatto. La seconda finì
tragicamente nel 1270 prima di iniziare, perché l’esercito e lo stesso Luigi IX (morto) fu falcidiato
dalla peste a Tunisi (dove si era radunato).
Tra la quinta e la sesta crociata ci fu anche quella particolare di Federico II.
INNOCENZO III:
Egli, salito nel 1198, si dichiarava vicario di Gesù Cristo e non di San Pietro, e spiegava così la
supremazia del potere spirituale su quello politico: come la luna brilla della luce riflessa del sole,
così il potere regio deriva dall’autorità papale lo splendore della propria dignità e quanto più è con
essa a contatto, di tanto maggior luce si adorna, e quanto più ne è distante, tanto meno acquista
splendore.
Dopo il fallimento della quarta crociata e prima della quinta, Innocenzo III aveva indetto quella
contro i “cattivi cristiani (mali christiani”) peggiori degli stessi Saraceni”, perché mentre i Saraceni
strappavano ai cristiani la sola Terrasanta, gli eretici minacciavano l’intera comunità cristiana. Si
concentrò in particolare contro i catari, gli eretici che con la loro capillare organizzazione
impensierivano le autorità ecclesiastiche. Erano autonomi anche politicamente (nella
contea di Tolosa) e andavano fermati: dopo l’uccisione da parte dei catari di un legato papale il
pontefice indusse contro di loro una crociata alla quale accorsero molti cavalieri ed esponenti della
feudalità, soprattutto dal nord della Francia. L’intervento di Innocenzo III diede la possibilità alla
monarchia francese, il cui potere era limitato solo a Parigi e zone strettamente limitrofe, di
riespandere il suo dominio e controllo diretto alla Francia meridionale. Nonostante gli inviti papali
alla moderazione, stragi e saccheggi furono non meno orrendi di quelli della crociata a
Gerusalemme e coinvolsero anche i “buoni cristiani”, come al tempo le fonti chiamavano i non
catari.
Il pontefice con questa crociata rivendicava il diritto di indicare volta per volta i nemici più pericolosi
per la fede: prima i Catari, poi i Saraceni e di lì a poco anche i semplici nemici politici.
INNOCENZO III (STORIA DI FEDERICO II VISTA DAL PUNTO DI VISTA DI INNOCENZO III):
Morto prematuramente Enrico VI nel 1197 a Messina, gli succedette l'ancora infante Federico II
(come Federico I di Sicilia); per lui, come reggente, governò la madre Costanza e alla sua morte
(1198) Papa Innocenzo III. Principale preoccupazione del Pontefice fu quella di mantenere distinti
Impero e Regno di Sicilia, per questo affidò il giovane re ad un consiglio di reggenza,
riconoscendogli la successione al trono siciliano, mentre in Germania sostenne Ottone IV di
Brunswick, candidato guelfo contrapposto a Filippo di Svevia, zio di Federico.
OTTONE IV DI BRUNSWICK:
Contestatore di Federico II (Federico lo definì “re dei preti”); fu l’unico imperatore di fazione guelfa,
ma venne scomunicato e deposto da Innocenzo III per cedere la corona a Federico II. Ottone IV
era stato eletto dal papa, ma si era dimostrato poco docile e aveva cercato di impadronirsi
addirittura del regno di sicilia.
FILIPPO DI SVEVIA:
Fratello di Enrico VI, defunto, e zio di Federico II (allora appena quindicenne), puntava al trono
imperiale. Gli venne preferito Ottone IV di Brunswick perché il papa aveva timore delle sue
eventuali pretese sul regno di sicilia.
ORDINI MONASTICO-MILITARI:
Ordini che, oltre ai classici compiti dei monaci, combattevano contro gli infedeli a difesa di
pellegrini ed oppressi nel Regno di Gerusalemme conquistato.
LE CITTA’ MARINARE:
Decisamente proiettate verso il futuro per quanto concerne il ruolo economico e la dinamica
politico-sociale sono già nell’XI secolo le tre città marinare centro-settentrionali: Venezia, Genova e
Pisa.
Venezia cominciò a formarsi nel VI e VII secolo, in seguito al trasferimento nella laguna di abitanti
di città del Veneto che fuggivano dalle invasioni dei Longobardi. A lungo contesa tra i due imperi,
rimase alla fine nell’orbita politica di Bisanzio, configurandosi però ben presto come realtà
sostanzialmente autonoma.
Nel IX secolo Venezia disponeva ormai di una flotta da guerra, con la quale nell’867 bloccò a
Taranto delle navi saracene che volevano risalire l’Adriatico. Già allora i suoi mercanti avevano
contatti con Grecia, Sicilia, Tunisia, Egitto e si apprestavano a battere la concorrenza degli
Amalfitani sul Bosforo e nel mare Egeo. Facevano concorrenza anche ad altri mercanti (di
Comacchio) partecipando ai mercati nella Pianura Padana (Pavia e Cremona) dove portavano
prodotti orientali e sale.
La posizione di forza di Venezia nel Mediterraneo orientale fu sancita dalla Bolla d’oro del 1082,
con la quale i suoi mercanti ottennero dall’imperatore Alessio Comneno (imperatore bizantino), in
cambio dell’aiuto militare contro i Normanni, piena libertà di commerciare in tutte le città
dell’impero.
Sul Tirreno si appuntavano le mire anche di Pisa e Genova che nel 1016 cacciarono insieme i
pirati Saraceni dalla Sardegna, che passò sotto il controllo di Pisa. I pisani compirono molte
incursioni in Sicilia e Tunisia, i Genovesi contro le città islamiche della Spagna meridionale.
I commerci aumentavano e man mano le tre città marinare presero predominanza assoluta rispetto
ad amalfitani, gaetani, baresi e altri mercanti meridionali.
Questo predominio venne ulteriormente consolidato con la prima crociata del 1097-1099 che
consentì alle tre città marinare di stabilire loro colonie nelle città della Siria e della Palestina
conquistate dai cristiani (i veneziani, già inseriti nell’ambito commerciale orientale, inizialmente
ebbero qualche diffidenza, inserendosi poi una volta formati gli stati crociati; in ogni caso Pisa,
Genova (le prime due avevano contribuito anche alla spedizione, i genovesi costruirono macchine
belliche per l’assedio di Gerusalemme) e Venezia vennero tutte e tre favorite con privilegi
commerciali di ogni genere). Questa crociata non fu promossa però dagli altri mercanti italiani, che
a un attacco così massiccio al mondo musulmano avrebbero preferito quella microconflittualità che
non pregiudicava i rapporti commerciali.
Dopo la fase delle crociate dell’XI secolo, nel Tirreno la concorrenza diventò sempre più aspra. Nel
1137 Pisa eliminò Amalfi dalla contesa saccheggiandola duramente, ma in seguito alla battaglia
della Meloria del 1284 dovette cedere definitivamente il campo a Genova, che poteva così
concentrarsi sul confronto diretto con Venezia.
TRIBUNALE DELL’INQUISIZIONE:
L'inquisizione comminava solo pene spirituali (scomunicava), ma spesso a seguito di processi
inquisitori veniva applicata la pena di morte da parte del potere secolare.
Chi si presentava all'inquisitore entro il termine previsto dall'editto di grazia veniva in genere
condannato a un pellegrinaggio.
Per chi invece arrivava al processo si profilavano due strade diverse:
1. Se confessava durante gli interrogatori, veniva perdonato e gli si infliggevano
penitenze, in genere recite di preghiere per un certo periodo di tempo, pellegrinaggi,
offerte per i poveri. Un'altra punizione tipica era portare signa super vestem (cioè
dei simboli di stoffa cuciti sopra i vestiti): gli eretici mitre e rose gialle, i sacrileghi
delle ostie, i falsi accusatori due lingue di panno rosso, simbolo della doppiezza.
2. Quando invece l'eretico persisteva nella sua posizione, allora l'inquisitore dichiarava
la propria incapacità e lo affidava ai giudici dei tribunali civili.
In questo caso la condanna poteva essere la privazione della libertà per un certo periodo di tempo,
la fustigazione pubblica, la confisca dei beni o, nei casi più gravi, la pena di morte.
Fu conte di Sicilia dal 1105, duca di Puglia dal 1127 e primo re di Sicilia dal 1130 al 1154,
divenendo noto come il fondatore del Regnum Siciliæ indipendente. Dopo la nascita del
regno, in virtù delle conquiste sulla costa africana, acquisì anche il titolo di re d'Africa.
Gli sono tributati l'accorpamento sotto un unico regno di tutte le conquiste normanne
dell'Italia meridionale, della Sicilia e di Malta, l'organizzazione di un governo efficiente,
personalizzato e centralizzato, nonché la fondazione del Parlamento siciliano, uno dei più
antichi del mondo. Sotto il suo regno la città di Palermo, assurta a capitale, fu arricchita di
lussureggianti edifici oggi riconosciuti come patrimonio dell'umanità.
IL MOVIMENTO DELLE PACI DI DIO:
Il Movimento delle paci di Dio, nato in Aquitania (Francia) si diffuse nel resto della Francia durante
il X-XI secolo. I vescovi promuovevano a clero e popolo una mobilitazione collettiva a difesa
dell’ordine pubblico, chiese, monaci, chierici e categorie più deboli (donne, bambini pellegrini,
poveri). I violatori della pace furono indicati nei signori detentori di castello con seguito armato. Si
proibì qualsiasi attività bellica la domenica, nelle festività religiose (circa un centinaio al tempo) e i
giorni a queste precedenti; in sintesi un paio di volte alla settimana. Prescrizioni rispettate solo in
parte, poiché era difficile punire i trasgressori.
(Il Movimento diede legittimazione a opere di principi e sovrani impegnati nel coordinamento degli
organismi di potere esistenti all’interno dei loro territori)
Creò nel ceto dei guerrieri l’idea di Miles Christi, e infatti nel Concilio di Narbona (1054) si affermò
che non era lecito versare sangue cristiano.
MILITES CHRISTI:
Cavalieri che combattono in nome della fede e contro gli infedeli, utilizzati per la dilatazione dei
confini della cristianità.
GIOVANI CAVALIERI:
Alla perenne ricerca di un signore generoso e di un buon matrimonio, volti ad una vita gioiosa e
avventurosa. Ma nella realtà, oltre ciò che si scriveva nei romanzi, il loro stile di vita restava
fortemente impregnato di violenza; si lanciavano in qualsiasi impresa guerresca vanificando i
tentativi di pace dei vescovi → il problema si risolse col “non versare sangue cristiano”.
I COMUNI ITALIANI:
I comuni dell'Italia centro settentrionale vissero un ruolo importante nella decadenza dei due poteri
universali. Infatti, la crescita dell'economia, delle attività e della ricchezza generano anche il
bisogno di autogoverno delle città a partire dal XI secolo, quando la ripresa economica e
demografica spazza via in Europa e in particolare nell'Italia centro settentrionale l'economia
feudale. Il potere imperiale, inoltre, a partire da Enrico IV, comincia ad essere latitante nel nord
dello stivale, infatti le varie città, centro della ripresa economica, diventano dei veri e propri stati a
sé, che si governano con ordinamenti repubblicani, fondati su consigli dei cittadini e cariche
pubbliche elettive, poiché si appropriano delle cosiddette regalie, cioè del diritto di batter moneta,
riscuotere tasse, amministrare la giustizia, ecc.
Queste libertà sempre più crescenti, unite ad un capovolgimento della piramide sociale, che vede
al suo vertice non più i nobili feudali ma i grandi imprenditori in una gerarchia stabilita dalla
ricchezza, portano alla nascita dei comuni dell'Italia centro settentrionale, la cui esperienza resta
unica nella storia, nonostante simili forme di governo si fossero formate anche in altri paesi
europei.
Il comune era così chiamato perché la gestione della cosa pubblica era in comune, cioè riguardava
tutti i cittadini (naturalmente solo le classi economicamente e socialmente più influenti, quelle
subalterne erano escluse dallo stato di diritto). Per la prima volta si formano strutture di potere in
cui per la prima volta il potere non è di origine teocratica ma viene legittimato dal basso. I comuni
nascono inizialmente come istituzioni oligarchiche, che poi allargano la base di consenso col
passare del tempo (fino ad involgersi trasformandosi in signorie con la recessione economica del
XIV secolo → NON NOMINARE LE SIGNORIE VOLONTARIAMENTE).
COMUNI CONSOLARI:
Erano quei comuni in cui il consiglio comunale eleggeva dei magistrati, consoli, che svolgevano
una funzione analoga ai loro omonimi dell'antica Roma, amministrando la città per un tempo
limitato e sotto lo stretto controllo del consiglio e dei propri compagni nel consolato. C'era un
consiglio maggiore che si occupava delle questioni meno rilevante, e uno minore, formato da meno
persone, che si occupava delle questioni più importanti. Questa prima fase del comune (XI-XII
secolo) era predominata dai nobili feudali trasferitisi dalle campagne.
COMUNI PODESTARILI:
Erano quei comuni al cui vertice si trovava il podestà, un super-partes che veniva scelto al di fuori
della città stessa e che aveva il compito di amministrarla più al di sopra delle parti che potesse.
Restava in carica un anno e nel suo compito veniva coadiuvato dal consiglio comunale, che lo
sceglieva. Questo tipo di comune è espressione di una istituzione la cui base di potere è molto
ampia, e non si limita solo ad una cerchia ristretta come per i comuni consolari.
COMUNI SIGNORILI:
Questi erano comuni in cui ormai non c'era più una "democratica" forma di governo come in
precedenza, infatti al suo comando si trovava una persona che aveva preso il potere e non lo
aveva più lasciato, amministrandolo senza dover rendere conto a nessuno.
GUELFI E GHIBELLINI:
[Le origini dei nomi risalgono alla lotta per la corona imperiale dopo la morte dell'imperatore Enrico
V (1125) fra le casate bavaresi e sassoni dei Welfen (da cui la parola «guelfo») con quella sveva
degli Hohenstaufen, signori del castello di Waiblingen (anticamente Wibeling, da cui la parola
«ghibellino»). Successivamente – dato che la casata sveva acquistò la corona imperiale e, con
Federico Barbarossa, cercò di consolidare il proprio potere nel Regno d'Italia – in questo ambito
politico la lotta passò a designare chi appoggiava l'impero (ghibellini) e chi lo contrastava
sostenendo il papato (guelfi).]
Nei comuni italiani i guelfi erano gli aderenti al partito filopapale (che consideravano il
collegamento con la Chiesa di Roma una forma di copertura alla assai avanzata autonomia dei
Comuni); i ghibellini erano i sostenitori di un più saldo legame con il potere imperiale. Presto i
termini persero il loro significato originario, diventando la copertura ideologica di conflitti sia
all’interno della nobilità che tra i Comuni stessi.
Il ceto popolare era unito solo dalla lotta comune contro la nobiltà, ma bastava che la situazione si
allentasse un po’ o che, addirittura, assumesse il controllo del Comune, perché esplodessero
subito le contraddizioni al suo interno. Del ceto popolare facevano parte anche esponenti della
vecchia aristocrazia in conflitto con il proprio ceto o schieratisi col popolo per opportunismo
politico. Anche le corporazioni non erano solidali tra loro, dato che non avevano tutte la stessa
forza economica e capacità di pressione (divise in arti maggiori, medie e minori; solo le prime due
avevano un ruolo notevole politicamente)
BENEVENTO:
Ducato indipendente, per sottrarsi alle mire espansionistiche normanne nel 1051 si pose sotto la
protezione del papa, al quale nel 1077 fu conferita definitivamente la signoria della città, rimasta
dominio pontificio fino all’unità d’Italia nel 1860.
BOTTEGA ARTIGIANA:
Accanto al titolare (maestro) lavoravano i suoi familiari, uno o più collaboratori stabili, almeno un
paio di apprendisti e salariati, assunti per determinati periodi o lavori occasionali.
Gli apprendisti vivevano nella casa del maestro, e alla fine dell’apprendistato (insegnamento di
tecniche e segreti) o si mettevano in proprio (se ne avevano i mezzi) o finivano, molti, nella
categoria dei salariati.
Diventare maestro voleva dire ricoprire un ruolo politico nella città.
PATARINI:
Movimento di protesta dell’XI secolo nei confronti della Chiesa concubinaria e simoniaca, nato a
Milano con Arialdo come promotore, cominciò a predicare contro i chierici concubinari, esortando a
rifiutare i sacramenti da loro amministrati. Furono definiti “patarini” (“straccioni”) e scomunicati.
FILIPPO AUGUSTO:
Restaurò il potere monarchico in Francia suscitando rivolte dei nobili nei domini inglesi e
fomentando contrasti in seno alla famiglia reale, attirando dalla sua parte il figlio del re Enrico II,
vale a dire Riccardo Cuor di Leone. Sembrava che i rapporti dovessero migliorare tra i due regni
con l’ascesa al trono di Riccardo, insieme al quale Filippo Augusto partecipò alla terza crociata, ma
Filippo aveva troppo chiari i suoi interessi. Avendo Riccardo stretto un’alleanza con Tancredi di
Lecce, in lotta con l’imperatore Enrico VI per la successione al trono di Sicilia, Filippo al ritorno si
schierò con quest’ultimo: scelta quanto mai felice. Riccardo cadde prigioniero dell’imperatore, che
lo liberò solo quando egli gli ebbe prestato il giuramento di vassallaggio, con la connessa
promessa di dargli aiuto militare e non dare appoggio ai suoi nemici. Con le morti nel 1197 e 1199
di Enrico VI e Riccardo, l’impero entrava in declino, mentre sul trono inglese saliva il debole
Giovanni Senzaterra. Il ricorso alla giustizia regia di un vassallo del re inglese fornì a Filippo il
pretesto per portare nel 1202 Giovanni davanti alla sua corte di Parigi. Egli non si presentò,
condannato quindi per fellonia con conseguente confisca dei feudi. Nacque un conflitto che Filippo
gestì recuperando, insieme alla Corona, tra il 1203 e il 1207 Normandia, Maine, Turenna, Alvernia
e Bretagna. Nel 1213 volle conquistare l’Inghilterra, ma Giovanni si protesse con Innocenzo III,
dichiarando il suo regno feudo della Chiesa. Quando Innocenzo III un anno dopo promosse una
coalizione contro Ottone di Brunswick, Filippo Augusto aderì perché feudatari del nord Francia e il
Senzaterra erano nella coalizione di Ottone; Filippo Augusto vinse con la sua coalizione e gli
vennero riconosciuti tutti i territori da lui incorporati. Morto nel 1223 lasciò a Luigi VIII il triplo dei
territori con cui era partito lui.
LUIGI VIII:
Figlio di Filippo Augusto, estese i domini ulteriormente nella Francia meridionale.
LUIGI IX:
Santificato dalla Chiesa per la sua pietà religiosa, ebbe grandi capacità di governo, consolidando il
controllo regio francese sull’aristocrazia. Fallì nelle sue crociate (1248-54 e 1270), nella cui
seconda perse la vita.
CORRADO III:
Re di Germania che partecipò alla seconda crociata
LUIGI VII:
Re di Francia che partecipò alla seconda crociata
CATARI:
Seguaci dei manichei in Italia, ma solo gli estremisti (catari puri). I catari credentes, moderati, non
erano affatto eretici, ma solo additati come tali perché contestavano la Chiesa demoralizzata e
richiamavano a una vita più moralizzata, ascetica. La Chiesa non farà distinzione tra gli uni e gli
altri.
VALDESI:
La corrente valdese del cristianesimo nasce nel Medioevo, precisamente nel XII secolo, come
movimento cristiano laico, costituito da contadini e in genere da poveri, che precede di poco quello
promosso da Francesco d'Assisi. Tradizionalmente si fa risalire la fondazione del movimento a Valdo di
Lione (o Valdesio). La fedeltà al papa di Roma da parte del movimento valdese in questi anni è
testimoniata dalla ricerca di approvazione ecclesiastica nel 1179, in occasione del terzo concilio
Laterano: essi si recarono a Roma incontrandosi anche con il pontefice Alessandro III, il quale dimostrò
apprezzamento per il loro proposito di vivere in maniera povera e conforme al dettato evangelico, ma
non fu disposto a riconoscere la loro richiesta di essere predicatori della Parola.
Nel 1184 a Verona, con la bolla Ad abolendam, papa Lucio III scomunicò una serie di movimenti ritenuti
ereticali anche molto diversi tra loro, tra cui i poveri di Lione, i valdesi. La motivazione per tale
scomunica rimase la "presunzione" dei valdesi a voler predicare in pubblico.
LUCIO III:
Papa che nel 1184 a Verona scomunicò una serie di movimenti ritenuti ereticali anche molto
diversi tra loro, tra cui i poveri di Lione, i valdesi. La motivazione per tale scomunica rimase la
"presunzione" dei valdesi a voler predicare in pubblico.
OTTONE I:
Primo re di Germania della dinastia di Sassonia, sconfisse definitivamente gli Ungari in Germania
ad Augusta il 10 agosto 955. Diede una spinta al processo dei vescovi investiti di cariche
pubbliche, investendoli di cariche di conte.
ENRICO III:
Enrico III era un imperatore che perseguiva una politica moralizzatrice nei confronti della Chiesa
(in un periodo di riforma imperiale che andava proprio in questa direzione), contro vescovi non più
affidabili e che facevano scandalo tra i fedeli; Enrico III cercò perciò un collegamento con gli
avversari degli ecclesiastici a lui poco graditi. Infatti nel 1046 depose tre papi eletti in conflitto
dall’aristocrazia romana facendo eleggere al Concilio di Sutri un suo candidato, Clemente II.
GIOVANNI SENZATERRA:
Dopo la sconfitta contro i francesi di Filippo Augusto (a cui riconobbe obbligatoriamente i territori
che lui aveva incorporato, sottraendoli anche all’Inghilterra, negli anni) dovette affrontare la
reazione dell’opinione pubblica e della nobiltà inglese, irritate per il carico fiscale elevato. Grande
malumore vi fu anche per aver dichiarato lo stato feudo della Chiesa (per avere la difesa da
Innocenzo III rispetto a Filippo Augusto), decisione in contrasto con l’orientamento della monarchia
che voleva affermare piuttosto una sua potestà in materia ecclesiastica. Fu costretto da baroni e
grandi ecclesiastici a concedere la Magna charta.
Con essa il sovrano si impegnava a rispettare i diritti di cui godevano i nobili, gli ecclesiastici e tutti
i liberi del regno, le concessioni operate dai suoi predecessori a favore di Londra e delle altre città,
il diritto dei sudditi di condizione liberi di essere giudicati da tribunali di loro pari e le consuetudini
vigenti in materia di circolazione mercantile. Si obbligava anche a non imporre nuove tasse senza
l’approvazione di nobiltà e clero, e a farsi assistere negli affari di governo da una curia di 25 baroni.
Tradizionalmente si fanno risalire alla Magna Charta le origini delle istituzioni parlamentari; i
rivoltosi però non intendevano affatto introdurre una nuova costituzione, ma soltanto garantire il
rispetto della tradizione, limitando gli abusi dei funzionari regi in materia giudiziaria e fiscale.
Innocenzo III lo scomunicò e annullò le concessioni da lui operate (essendo lui signore del regno).
I ribelli lo dichiararono decaduto (corona a Luigi VIII, figlio di Filippo Augusto; Luigi VIII poi tornerà
in Francia e la corona andrà a Enrico III, figlio del Senzaterra, morto nel 1216).
ROBERTO D’ANGIÒ:
L’epoca d’oro della Napoli angioina coincise col suo regno. Personalità di rilievo; attirò alla sua
corte i maggiori esponenti della cultura italiana del tempo (Petrarca, Boccaccio, Cavalcanti,
Giotto…). Roberto inoltre, in qualità di capo indiscusso del partito guelfo in Italia, esercitò una sorta
di protettorato (forma di tutela politica e militare esercitata da uno stato su un altro) sulla penisola,
traducendolo in alcuni periodi di dominio diretto su città quali Ferrara, Firenze, Genova e Roma.