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MEDIOEVO – I CARATTERI ORIGINALI DI UN'ETÀ DI

TRANSIZIONE
RIASSUNTO DI LUCA CUNZOLO
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LEGENDA:
■ EVENTI E PERIODI
■ PERSONAGGI (PAPI, IMPERATORI...)
■ POPOLI
■ ISTITUZIONI e LEGGI
■ REGNI e IMPERI
■ DOTTRINE e ORDINI RELIGIOSI
■ SPIEGAZIONI

INTRODUZIONE:
LE ISTITUZIONI SONO CONSERVATIVE (NASCONO PER BISOGNI DELLA SOCIETÀ, POI LA
SOCIETÀ SI EVOLVE E LE ISTUTIZIONI NON RIESCONO A SEGUIRNE I BISOGNI) → NATE
PER I BISOGNI DELLA SOCIETÀ, NEL PERPETUARSI POSSONO DIVENTARE NEGATIVE
PER ESSA.

NEL MEDIOEVO LA RICCHEZZA, L’UNICO STIPENDIO POSSIBILE, ERA LA TERRA, CHE


PERÒ PROVOCAVA IL RADICAMENTO DEI FUNZIONARI SU DI ESSA E QUINDI LA
TENDENZA A SOTTRARLA (AL PATRIMONIO DEL FISCO, DELLO STATO) PER
INGLOBARLA NEL PATRIMONIO DELLA PROPRIA FAMIGLIA.

CARATTERISTICHE MONDO ROMANO:


- Regioni fortemente urbanizzate (molte città).
- Mondo gravitante sul Mediterraneo, con intensi scambi tramite esso.
- Popolazioni stabilizzate, inquadrate in distretti amministrativi che fanno capo alle città.
- Forte gerarchizzazione.

QUANDO FINISCE IL MONDO ROMANO?


- Finisce gradualmente con la perdita graduale dei suoi tratti caratteristici.

CARATTERISTICHE MONDO MEDIEVALE:


- La religione ha un ruolo principale, permea gran parte della vita sociale e individuale e tutti i suoi
campi.
- Politica e religione non sono due cose distinte, ma sono interconnesse.
- Carattere fondiario e militare del ceto dirigente (centralità della campagna).

QUANDO FINISCE IL MEDIOEVO?


- Finisce con la fine (quasi completa) dell’interconnessione tra Stato e Chiesa, i cui poteri si
separano.
GIAN BATTISTA VICO: È il primo ad elaborare un modello che riesce a riassumere tutta
l’umanità. Ne “La scienza nuova” tre fasi sociali:
1) Età degli dei (Mondo antico)
2) Età degli eroi (Medioevo)
3) Età degli uomini (Illuminismo)

MARX - Modi di produzione dei beni economici:


1) Asiatico
2) Schiavistico
3) Feudale
4) Capitalistico-borghese

RICORDIAMO CHE: I MUSULMANI LASCIAVANO LIBERTÀ DI CULTO ED AUTONOMIE AD


EBREI E CRISTIANI (CHE I MUSULMANI IN OCCIDENTE CRISTIANO SI SOGNAVANO),
QUESTI ULTIMI INVECE MOLTO MOLTO MENO TOLLERANTI.

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CULTI A FINALITA’ SALVIFICHE:


La salvezza è possibile solo tramite la propria religione; pratiche di espiazione dei peccati, forte
impegno morale, redenzione dal male e dal dolore dell’esistenza.

CRISTIANESIMO; ORIGINI E ACCOGLIENZA NELLA SOCIETA’ ROMANA (DOPO LE


PERSECUZIONI DEGLI INIZI):
Tra il I e II secolo nuovi bisogni di carattere spirituale, entra in crisi la religione ufficiale di
tipo politeistico, che da tempo si stava rivelando inadeguata a reggere il confronto con le
nuove correnti filosofiche e coi nuovi culti a finalità salvifiche provenienti dall’Oriente.
La novità sconvolgente del messaggio di Cristo era la devalorizzazione della sapienza dei grandi,
la messa in discussione dei valori del mondo antico, poiché diceva che la verità Dio l’aveva rivelata
agli ultimi.
Inizialmente sembrava dovesse trionfare il culto di Cibele e del dio Mitra, che ebbero larghissima
diffusione negli ambienti imperiali, col culto del dio Mitra che fu vicino a diventare la religione
ufficiale dell’impero. Ciò che fece prevalere il cristianesimo sul mitraismo furono due punti:
- La predicazione del cristianesimo si svolgeva soprattutto nelle città, pubblicamente, in piazza.
- Il cristianesimo poteva aderire più facilmente all’equilibrio intellettuale e morale che caratterizza la
formazione culturale romana, a differenza del mitraismo che aveva riti esuberanti e pratiche
orgiastiche difficilmente conciliabili con la cultura romana.
Anche il cristianesimo divenne maggioritario solo quando si fu attenuato rispetto ai toni apocalittici
e da ogni forma di potenziale contestazione verso le ingiustizie (in particolare la schiavitù) che
caratterizzavano la società del tempo.
A confermargli un carattere rassicurante per il ceto dirigente romano concorse anche il tipo di
organizzazione che già nel corso del I secolo si diedero le società cristiane e che poggiava non più
su apostoli itineranti ma su una stabile gerarchia sacerdotale, formata da presbiteri (anziani) e
vescovi (sorveglianti), coadiuvati da diaconi (assistenti), i quali si occupavano soprattutto
dell’assistenza ai poveri e della gestione dei beni della comunità.
Prima di arrivare a questi sviluppi, il Cristianesimo dovette però affrontare la dura prova delle
persecuzioni, strane se si considera che l’impero romano era in genere tollerante in materia
religiosa. Il problema era politico: i cristiani erano stati in origine assimilati agli ebrei (che più volte
si erano ribellati all’impero) e da questo nasceva la diffidenza nei loro confronti. I cristiani tra l’altro
rifiutavano ogni sacralità del potere imperiale.

DEFINIZIONE DELLA DOTTRINA CRISTIANA (CON CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI!):


Le due tendenze nel Cristianesimo delle origini erano la rigorista (rifiuto di ogni compromesso con
le cose del mondo, toni apocalittici) e la moderata (nel II secolo già largamente maggioritaria)
caratterizzata dal richiamo ad una maggiore comprensione per le debolezze e i bisogni dell’uomo.
Da qui l’esigenza per le comunità cristiane di istituzionalizzarsi, cioè di darsi delle norme e una
dottrina ben definita:
- Respinta di ogni interpretazione di tipo dualistico del messaggio evangelico, rifiuto del
Manicheismo.
Problemi riguardo la definizione dei gradi di divinità di Dio e di Cristo (incarnazione di Dio):
Inizi del IV secolo, Ario sosteneva che il figlio di Dio incarnatosi in Cristo non aveva lo stesso grado
di divinità del Padre, ma era a lui subordinata. Costantino capisce che il dibattito cristiano fa male
allo stato (teorie diverse che dividono): serve stabilità, quindi convoca (quello che è considerato) il
primo concilio ecumenico (universale) nel 325 a Nicea, dove all’unanimità fu condannata la dottrina
di Ario. A seguito della grande contesa cristologica (definire il rapporto tra l’umanità e la divinità di
Cristo) nel concilio di Calcedonia (451) fu dichiarato Cristo vero dio e vero uomo, dotato di due
nature distinte ma inseparabili.
Eretica venne definita anche la dottrina (nestoriana) che definiva Maria “madre di Cristo” e non
“madre di Dio” (come fu invece stabilito nel Concilio di Efeso nel 431).

CONCILIO DI NICEA:
Presidiato da Costantino nel 325, circa trecento vescovi vi parteciparono, quasi tutti provenienti
dall’Oriente - mediamente più colti di quelli occidentali, ndr - per la posizione geografica in cui si
svolse. In questo concilio fu condannata all’unanimità la dottrina di Ario, sotto pressioni
dell’imperatore che voleva ad ogni costo salvaguardare la pace religiosa soprattutto in Asia
Minore, l’unica parte dell’impero in cui già allora il Cristianesimo aveva conquistato la maggioranza
della popolazione.

Cristo identico in quanto a sostanza e natura a Dio padre.

CONCILIO DI CALCEDONIA (GEOGRAFICAMENTE VICINA A NICEA):


451, dichiara Cristo vero Dio e vero uomo, dotato di due nature distinte ma inseparabili. I monofisiti
ne furono oppositori.
ARIANESIMO:
Ario sosteneva che il figlio di Dio incarnatosi in Cristo non aveva lo stesso grado di divinità del
Padre, ma era a lui subordinata. Sconfitto nell’ambito dell’impero, fu però recepito, attraverso
missionari orientali, dalle popolazioni germaniche che ne fecero un elemento della propria identità
e quindi un motivo di differenziazione rispetto ai popoli sottomessi (ruolo politico dell’arianesimo).
Ricordiamo che gli ariani SONO CRISTIANI, ma non cattolici.

GNOSTICISMO:
Contrapposizione tra un Dio irraggiungibile e il mondo materiale, inquinato dal male e la morte. Il
Manicheismo è una sua espressione (dello Gnosticismo).

MANICHEISMO:
Fondato sull’esistenza di due principi, il bene e il male, e quindi sulla lotta incessante tra il mondo
superiore degli spiriti e il mondo inferiore della materia. Il male non è stato un incidente della storia
(angeli ribelli) ma è sempre esistito in contrapposizione al bene. Alla fine dei tempi il male non
sparirà, ma verrà diviso dal bene. Obiettivo della vita manichea è separare il bene dal male. Vita
perfetta data da povertà, non mangiare carne e non compiere l’atto sessuale.

MONOFISITI:
La natura umana di Cristo è assorbita da quella divina e dunque in lui è presente solo la natura
divina.

DUOFISITI:
Cristo vero Dio e vero uomo, dotato di due nature distinte ma inseparabili.

NESTORIANESIMO:
Secondo la dottrina cristologica di Nestorio, in Gesù Cristo convivevano due distinte persone,
l'Uomo e il Dio, mentre Maria era madre solo della persona umana di Gesù. Il nestorianesimo,
quindi, riconobbe a Maria il solo attributo di «Madre di Cristo» (Christotókos), rifiutandole il titolo di
«Madre di Dio» (Theotókos).

ERESIA (ORIGINALE DEI PRIMI SECOLI):


Dottrine (cristiane) che si oppongono a verità proposte come tali dalla Chiesa; non si possono
definire tali le più di ottanta formulazioni teologiche dei primi secoli del Crisitanesimo,
semplicemente uscite perdenti nella concorrenza di idee.

LA DIFFERENZA TRA LE ERESIE DEI PRIMI SECOLI E QUELLE DEI SECOLI SUCCESSIVI:
I primi eretici erano eretici dottrinali, intorno al X e XI secolo invece gli eretici erano per lo più
contestatori dell’immoralità del clero del tempo.

ORGANIZZAZIONE CITTÀ CRISTIANE IN BASE ALLA LORO ORGANIZZAZIONE ROMANA:


L’organizzazione della chiesa romana fu risolta con la creazione di un ordinamento ecclesiastico
aderente ai quadri amministrativi dell’impero. Le vecchie urbs (città) diventano quindi diocesi, le
città metropoli (le più importanti) diventano arcidiocesi. Nelle arcidiocesi risiedono gli arcivescovi,
vescovi che lo sono sia della propria diocesi e sia della provincia (formata da più diocesi).
L’arcidiocesi fa quindi capo a tutte le diocesi minori della propria provincia. I vescovi erano reclutati
dal ceto dirigente romano (riconosciuti per la loro superiorità e alta cultura, erano filosofi e persone
colte). → Organizzano eventi culturali, opere di carità, voluti anche dal plebiscito del popolo

SEDI VESCOVILI:
Conservano importanza anche durante il decadimento città, punto di aggregazione di popolazioni
contadine che vi si dovevano recare per i sacramenti.
SCELTA PRIMATO TRA I CINQUE PATRIARCATI (ROMA, ALESSANDRIA, ANTIOCHIA,
GERUSALEMME, COSTANTINOPOLI) → OVVERO, C’ERA DIBATTITO SU QUALE DOVESSE
ESSERE LA SEDE DEL PATRIARCA DELLA CHIESA CRISTIANA (IL FUTURO PAPA)
Patriarcato → La dignità, la giurisdizione o anche la residenza di un patriarca della Chiesa

PLURALITA’ DI SIGNIFICATI:
Il concetto secondo cui i testi antichi avevano dei significati nascosti (solo se te lo dovesse
chiedere, altrimenti chiamalo semplicemente ALLEGORIA), inventato da uomini di sapienza che
dovevano far coincidere la loro cultura coi dettami religiosi.

PAGANI:
Dal momento che la nuova religione era predicata prevalentemente nelle città, gli abitanti delle
campagne rimanevano lontani da essa e tendevano a conservare i propri culti politeistici. Saranno
chiamati “pagani” da “pagus” (campagna, circoscrizione rurale esterna alla città).

RIFUNZIONALIZZAZIONE DEI TESTI ANTICHI:


Bisognava avvicinare i testi antichi alla nuova cristianità dell’impero, si ricorre perciò all’allegoria →
messaggi e significati nascosti (e insegnamenti di carattere morale), non letterali, nei testi antichi
→ L’allegoria è la figura retorica secondo cui “qualcosa di astratto viene espresso attraverso
un’immagine concreta”.
I testi che non si potevano prestare in nessuna maniera ai nuovi messaggi cristiani non verranno
più ricopiati ed andranno poi perduti.

ACCESSUS AD AUCTORES (fornire una chiave di lettura):


(lat. «avvicinamento agli autori»). – Nel linguaggio filologico, introduzione, più o meno breve, che i
commentatori medievali solevano premettere ai testi filosofici, giuridici, letterarî commentati, con lo
scopo di informare sui dati essenziali relativi all’opera (argomento, fine cui l’opera tende, forma e
struttura della trattazione, autore, titolo, ecc.) → STRUMENTALIZZAZIONE DEI TESTI ANTICHI
PER DARE MESSAGGI DESIDERATI (RELIGIOSI NEL MEDIOEVO)

DIOCLEZIANO:
Acclamato imperatore il 20 Novembre 284 dall’esercito, rilanciò l’impero dopo un periodo di crisi
(carestie, epidemie, rivolte contadine, brigantaggio, attacchi dei germani), con un rigido controllo
statale su tutta la società, contadini, mercanti e artigiani. Fissò prezzi e salari, aumentò i controlli e
ritardò il crollo dell’impero di quasi duecento anni.
Diocleziano attuò poi una riforma della costituzione, che portò alla divisione dell’autorità imperiale
tra due Augusti e due Cesari: ciascun Augusto avrebbe governato su metà dell'impero coadiuvato
dal proprio Cesare, al quale avrebbe delegato il governo di metà del proprio territorio e che gli
sarebbe succeduto (come nuovo Augusto) dopo venti anni di governo, nominando a sua volta un
nuovo Cesare.
Il Cristianesimo, col suo intransigente monoteismo e la sua netta chiusura nei riguardi delle altre
religioni che nel corso del III secolo si contendevano le coscienze delle popolazioni del mondo
romano, fu avvertito da Diocleziano come un elemento di pericolo, perciò fu fatto oggetto di una
grande persecuzione a partire dal 303. Inoltre i cristiani erano stati in origine assimilati agli ebrei
(che più volte si erano ribellati all’impero) e rifiutavano ogni sacralità del potere imperiale.

COSTANTINO:
Successore di Diocleziano, ebbe la grande capacità di intuire che il Cristianesimo non solo non era
affatto incompatibile con il dirigismo teocratico dell’imperatore (ovvero un regime in cui il potere
politico è considerato di origine divina), ma poteva addirittura diventarne un elemento di forza
(perché lui si innalzerà a direttore della contesa dottrinale cristiana). Pur essendosi limitato con
l’editto di Milano (313) a riconoscere alle chiese cristiane libertà di culto e restituzione dei beni
confiscati, egli si ritrovò (pur non essendo battezzato) a svolgere un ruolo decisivo nelle
controversie dottrinali che, comprese, laceravano la società e le toglievano stabilità. Sul sito
dell’antica Bisanzio fondò Costantinopoli, “la nuova Roma”, nuova capitale dell’impero d’Oriente
(dotandola di un senato e di uffici pubblici simili a quelli di Roma); venne scelta come capitale nel
324 per le sue qualità difensive e per la vicinanza ai confini orientali che erano minacciati.

DONAZIONE DI COSTANTINO:
La cosiddetta “Donazione di Costantino” è giustamente considerata il più famoso falso nella storia
della Chiesa occidentale.
Con questo atto, recante data 30 marzo 315, l’imperatore Costantino (274-337), nello stabilire la
capitale a Costantinopoli, avrebbe donato a papa Silvestro I (papa dal 314 al 335, anno della
morte) e ai suoi successori Roma, l’Italia e l’intero Occidente, riservando per sé il governo della
parte orientale dell’Impero. Costantino avrebbe compiuto questo gesto dopo essere guarito dalla
lebbra grazie al battesimo che gli avrebbe conferito papa Silvestro.
In realtà, il documento che attestava questa donazione era opera di una contraffazione avvenuta
oltre quattrocento anni dopo la morte di Costantino, quando in Italia si andava consolidando lo
Stato pontificio. La cosiddetta Donazione di Costantino fu fabbricata probabilmente dalla Curia
romana alla metà dell’VIII secolo, per dare una giustificazione agli accordi che il papato si
preparava a stringere con i Franchi, allo scopo di ottenerne l’aiuto contro i Longobardi decisi a
intraprendere una politica espansionistica in Italia. La falsa Donazione di Costantino serviva quindi
a fornire una inoppugnabile base legale al potere temporale del papato e alle sue aspirazioni
egemoniche.
Trascurato per molto tempo, il documento fu utilizzato politicamente dai pontefici dall’XI secolo in
poi, quando si fece più acuto il contrasto tra il papato e l’impero.
Sospetti sulla sua autenticità erano stati avanzati periodicamente. Nel 1433 il grande umanista
tedesco Niccolò da Cusa (1400-1464) aveva formulato forti riserve sulla pretesa donazione, ma fu
solo con il celebre trattato De falso credita et mentita Constantini donatione (Sulla falsamente
creduta e smentita donazione di Costantino) scritto nel 1440 dal grande umanista italiano Lorenzo
Valla (1407-1457), che la questione fu affrontata sistematicamente e risolta.
Valla dimostrò in modo inoppugnabile la contraffazione del documento di donazione con argomenti
storici, giuridici, linguistici e filologici. Dopo aver dimostrato che l’imperatore Costantino non aveva
titolo giuridico per donare possedimenti di territori e il papa per accettarli, Valla passò a
considerare il dato di fatto che papa Silvestro in realtà non possedette mai province dell’Impero né
le possedettero per secoli i suoi successori.

ATTRAVERSAMENTO/SUPERAMENTO CONFINI DEL RENO + SACCO DI ROMA:


Nel 406 il confine del Reno (che Stilicone era stato costretto a sguarnire per far fronte in Italia ad
altri attacchi da parte di bande di germani), nella notte di San Silvestro, fu superato da Vandali,
Alani e Svevi diretti in Gallia, e da lì in Spagna (dove giunsero nel 409).
Stilicone perse prestigio e finì vittima di una sollevazione delle truppe di nazionalità romana
(aizzate da un alto funzionario di corte del partito antigermanico).
La sua scomparsa aprì le porte ai Visigoti, che il 24 agosto 410 sottoposero Roma ad un
saccheggio che suscitò un’enorme impressione. Questo saccheggio ruppe il mito della città eterna
ed impenetrabile, e fece riesplodere le polemiche tra pagani e cristiani (i pagani attribuirono
all'introduzione del cristianesimo e al conseguente abbandono del paganesimo la colpa di tutte le
calamità che affliggevano in quel periodo l'Impero, sostenendo che Roma avesse perso la
protezione delle divinità pagane, e ne stesse subendo anzi la punizione, per aver abbandonato gli
antichi culti).
Con il crollo della frontiera del Reno l’autorità dell’impero d’Occidente si venne riducendo sempre
di più.
Approfondimento Sacco di Roma → il saccheggio di Roma del 410 coinvolse solo i quartieri più
ricchi; da un esame attento delle fonti si ha l’impressione che quella tragedia si sarebbe potuta
evitare e che Alarico volle compiere più che altro un gesto dimostrativo nei confronti
dell’imperatore Onorio, col quale invano aveva cercato un accordo per lo stanziamento dei Visigoti
sul territorio dell’impero. Alarico diede ordine ai suoi uomini di non saccheggiare le chiese e di
rispettare quelli che vi avessero cercato asilo, a dimostrazione del fatto che non fu l’esplodere di
una semplice furia devastatrice e ricerca di bottino.
STILICONE:
Scelto come tutore di Onorio da Teodosio, incarnò appieno il processo di convergenza tra famiglie
senatorie e alti gradi della gerarchia militare. Politica conciliante verso i Visigoti, senza esitare
tuttavia a far uso della forza quando necessario. La sua posizione si fece man mano più delicata
per due motivi: cominciò a crescere all’interno della corte l’opposizione verso gli elementi di origine
barbarica, come conseguenza della reazione antigermanica (che nel 400 aveva portato in Oriente
all’estromissione degli ufficiali di origine germanica dalle alte cariche militari e alla decisione di non
concedere più nel futuro lo stanziamento di federati armati all’interno dei confini dell’impero), e i
Visigoti spingevano verso Occidente.
Per far fronte in Italia a bande di Ostrogoti e Visigoti, Stilicone lasciò sguarnito il confine del Reno;
dopo la disfatta Stilicone perse ogni prestigio e finì vittima di una sollevazione delle truppe di
nazionalità romana.

PROCESSO DI CONVERGENZA DI FAMIGLIE SENATORIE E ALTI GRADI DELLA


GERARCHIA MILITARE (INIZIO V° SECOLO)

CARATTERISTICHE DEI GERMANI:


Originati da indoeuropei nell’Europa del nord che si fusero con popolazioni indigene, nonostante si
fosse creduto che fosse esistita una comunità germanica originaria da cui avrebbero avuto origine i
vari popoli germanici destinati a differenziarsi successivamente dal punto di vista culturale e
linguistico.
Popolo che si spostava continuamente da un luogo all’altro: ci si stabiliva in un luogo per poco,
dato che l’agricoltura era praticata con metodi assai primitivi, dopo poco il terreno (senza nessuna
concimazione) diveniva improduttivo e doveva essere abbandonato per anni. L’acquisizione di
nuove terre non creava conflitti all’interno della comunità, dato che la distribuzione delle terre
veniva fatta ai clan e non ai singoli. Era un popolo in armi, l’organizzazione della società e del
potere ruotava tutta intorno alla guerra. L’unica gerarchia esistente era quella dei duces, capi
militari riconosciuti tali per prestigio guerriero (ma anche per la potenza magico-sacrale delle stirpi
a cui appartenevano). In tempo di pace avevano un ruolo parziale; solo in occasione di guerre i
loro poteri si rafforzavano, ma erano comunque soggetti al controllo di un consiglio di anziani e
all’approvazione dell’assemblea del popolo in armi. Nonostante il loro prestigio, essi non si
consideravano e non erano considerati superiori agli altri uomini liberi, essendo fondamentalmente
il popolo germanico un popolo di uguali che praticava una sorta di democrazia diretta. L’unico
strumento per emergere era la capacità, fondata sul valore in guerra, di aggregare intorno a sé un
certo numero di giovani guerrieri (comitatus), per compiere razzie e scorrerie.

COMITATUS (CLIENTELA ARMATA) GERMANICO:


Giovani che venivano addestrati alle armi da un capo importante (esercitazioni nelle razzie ad
esempio). Quando il popolo si mobilitava per combattere ci si riuniva intorno a questi comitatus.
Alla fine di queste razzie il capo distribuiva i beni razziati tra i razziatori.

RECIPROCHE INFLUENZE TRA ROMANI E GERMANICI:


Il gruppo (comitatus) in origine si scioglieva, ma con gli anni tende a stabilizzarsi; questo era
chiaramente dovuto all’influenza dei romani che sempre più frequentemente ingaggiavano gruppi
di guerrieri germanici.
La prevalenza germanica negli eserciti, dove questi ultimi scalavano i ranghi, si realizzava.
Nascerà la personalità del diritto dalla convivenza, così come i goti che impareranno il latino e
viceversa.
PRINCIPIO DELL’HOSPITALITAS:
Per hospitalitas si intende un istituto giuridico attivo nell'Impero Romano giunto alla sua ultima
fase, per cui, nel caso i soldati germani non avessero un luogo dove alloggiare, i proprietari romani
erano tenuti a tenerli a proprio carico (alloggio e mantenimento), cedendo loro un terzo delle loro
terre [I SOLDATI DAVANO PROTEZIONE A CHI LI OSPITAVA → QUESTO PORTA A NASCITE
DI NUOVI RAPPORTI]
Differente però erano la pratica dell’hospitalitas dei primi secoli dopo Cristo e quella del V secolo:
nel primo caso i soldati erano stanziati lontani dalle loro sedi di origine (ed erano usati per
ripopolare le terre rimaste disabitate e per rimpolpare un esercito rimasto scarso di uomini), nel
secondo caso invece erano federati che vivevano con i loro beni e le loro famiglie sotto l’autorità di
un re e sulla base di proprie leggi; di qui una libertà di iniziativa che li rendeva autonomi. Questa
evoluzione fu dovuta al fatto che i romani erano obbligati a riconoscerli come federati e dare loro
l’autonomia che richiedevano, dato che erano popoli invasori che stavano dominando lungo
l’impero (quindi per mitigare la loro furia venivano riconosciuti come federati) → Quindi
un’imposizione

PERSONALITÀ DEL DIRITTO:


La personalità del diritto è un principio secondo il quale il diritto da applicare nelle controversie
non è determinato per territorio ma sulla base del popolo al quale si appartiene.
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente (476) e la successiva penetrazione delle
popolazioni barbariche, su di uno stesso territorio si trovavano a vivere popolazioni appartenenti a
culture giuridiche totalmente diverse. I romani seguivano un apparato giuridico evoluto ed elastico,
mentre le popolazioni barbariche non necessitavano di un robusto apparato di norme ma si
basavano su provvedimenti di carattere consuetudinario per risolvere le loro controversie.
Inizialmente, a causa della scarsità di rapporti tra vincitori e vinti, si continuò a rispettare il principio
di personalità del diritto. Iniziarono a sorgere problemi quando, divenendo più intensi i rapporti tra
le due popolazioni, iniziarono a sorgere controversie tra parti appartenenti a ordinamenti giuridici
differenti; per questo nel VI secolo si decise di rispettare la legge del conquistatore e quindi
prevalse l'ordinamento del conquistatore su quello del vinto.

FEUDALESIMO/RAPPORTO FEUDALE/VASSALLATICO-BENEFICIARIO:
Ispirato dai comitatus (che avevano influenzato il mondo romano). È il modo in cui il clientelismo si
è configurato nell’Occidente europeo. Inizialmente era stato un rapporto personale tra il signore e il
vassallo (il quale era tenuto in casa dal primo sin dall’infanzia, addestrato alle armi e a cui è
concesso vitto e alloggio). Al vassallo era concesso un feudo, con protezione, vitto e alloggio; in
cambio lui doveva prestare al signore aiuto militare e finanziario (in caso di necessità, ad esempio
quando il signore veniva fatto prigioniero). Inizialmente il rapporto affettivo era così forte che il
vassallo doveva mettere il signore anche al di sopra della famiglia (il rapporto feudale era più
vincolante di quello familiare). In origine, infatti, l’elemento più importante era il vassallaggio, e cioè
la fedeltà che il vassallo giurava al suo signore; poi invece il rapporto apparì capovolto: il feudo,
cioè la terra, diventava l’elemento decisivo, per cui si entrava nel vassallaggio di qualcuno per
ricevere quel determinato feudo. La fedeltà, inizialmente più vincolante dei legami di parentela, finì
così con l’essere commisurata al feudo; era cioè più o meno grande a seconda dell’entità del
feudo, e si arrivò così al paradosso della pluralità degli omaggi.
È importante sottolineare come all'inizio il terreno del quale beneficiavano i sottoposti fosse
concesso solo a titolo di "comodato": essi ne erano possessori, ma non godevano della piena
proprietà. Per questo alla loro morte il possesso ritornava al signore e non si tramandava agli
eredi. Analogamente il terreno in questione non poteva essere fatto oggetto di transazione, né
venduto né alienato in alcun modo. Ciò lo rendeva precario e presto il ceto feudale, già dalla
seconda metà del IX secolo, si mosse per appropriarsi dei feudi in maniera completa (era
un’usanza già ampiamente diffusa, ma non legalizzata; per fiducia il feudo si passava al figlio del
vassallo deceduto, e ciò i vassalli tenderanno man mano a pretenderlo).
Carlo il Calvo concedette nell'877 con il capitolare di Quierzy la possibilità di trasmettere i feudi in
eredità, seppur provvisoriamente e in casi eccezionali come la partenza del re per una spedizione
militare. Soltanto dal 1037 ci fu la vera ereditarietà, quando i feudatari ottennero l'irrevocabilità e
trasmissibilità ereditaria dei beneficia con la Constitutio de feudis dell'imperatore Corrado II.

COME POTEVA ESSERE ROTTO IL RAPPORTO FEUDALE:


Fellonia, da parte del vassallo nei confronti del signore: attentare alla vita e all'integrità del signore
e recare offese ad esso, o a un membro della sua famiglia; non
adoperarsi a liberarlo dalla prigionia, non soccorrerlo nella miseria o in altri pericoli, rifiutargli
l'omaggio dovuto, schierarsi contro di lui, avere rapporti sessuali con la moglie, la figlia, la madre,
la sorella o altre parenti. Possibili punizioni, oltre alla perdita del feudo: pena di carattere
personale, come la morte, il bando, l'ammenda, secondo la gravità dei casi. La perdita del feudo e
la pena che l'accompagnava dovevano essere pronunciate da un tribunale di pari del vassallo.
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Da parte del signore: nei casi d'oltraggio o violenze verso la persona del vassallo o verso i suoi;
nel caso di abbandono, tradimento. Punizione: perdita dei diritti nascenti dal feudo, i quali
passavano direttamente al sovrano del signore. Anch’egli era giudicato da suoi pari.

PATRIMONIALIZZAZIONE DEL FEUDO E DELLE CARICHE PUBBLICHE:


Nel Medioevo era labile la distinzione tra “possesso” e “proprietà”, un concetto astratto. Si
confondeva perciò il res de comitatu (la carica e i benefici ad essa connessi, come gli ulteriori feudi
dati dall’imperatore per assicurarsi una maggiore fedeltà), i proventi di multe e confische con i beni
di proprietà, di famiglia. In questa maniera anche la carica pubblica veniva inglobata nei beni di
famiglia (allodizzazione della carica pubblica) ed anch’essa diventava ereditaria.
Il reclutamento (che attuò Carlo Magno) dei funzionari pubblici tra i vassalli diretti del re o tra le
famiglie in più stretto contatto con la corte (franca) ingrandì ancor di più il fenomeno. Tali funzionari
pubblici (per garantire maggiore controllo all’imperatore sul posto) si radicavano sul posto ed
allargavano la loro grande base patrimoniale.
Tali processi furono favoriti dal Capitolare di Quierzy e fissati con la Constitutio de feudis.
Massima espansione di questo fenomeno tra XI e XII secolo, dopo la Constitutio de feudis.

COMMENDATIO:
Pratica di affidarsi a qualcuno per riceverne la protezione (si affidavano ai signori).

MONACHESIMO DELLE ORIGINI (III SECOLO):


Nasce da un rifiuto della società, che ha preso troppo alla leggera il messaggio di Cristo. I monaci
non si sentono a loro agio nella società urbanizzata, vogliono ritirarsi come Gesù Cristo nel
deserto, vivendo una vita ascetica (ascetismo) → inventano i modi più terribili per mortificarsi
(dormire in tombe aperte, vivere sopra le colonne al sole, gli stiliti, e sopra gli alberi, i dendriti).
Questa diversa forma di vita cristiana nacque nei deserti dell’Egitto e della Siria, ed era stata
ripresa da quelle di altre religioni.
I monaci vivono quindi una vita rozza di costumi, alla ricerca di una completa solitudine e di una
più elevata spiritualità. Ma si affiancano a queste forme estreme di vita monastica, anche forme
meno aspre. Nascono perciò colonie di eremiti, che vivevano isolati ma si riunivano per una
preghiera collettiva una tantum. Si avvicina alla contemplazione anche il lavoro manuale per vivere
della propria fatica, atto nobilitante. Con la diffusione del cenobitismo è promossa la creazione di
monasteri maschili e femminili (ascesi moderata, meditazione della Bibbia, preghiera, lavoro,
regime alimentare, vestiario, tutto ben regolato da norme).
Il cenobitismo segna il momento in cui il monachesimo del deserto si avvicina, a dispetto di ogni
previsione, alla vita delle città dell’impero: in Occidente giunse presto la fama dei monaci d’Egitto,
così esponenti dell’aristocrazia italiana e romana - soprattutto donne - intrapresero pellegrinaggi
per contemplare le loro gesta o imitarli, fondando loro comunità monastiche. I monasteri all’inizio
erano divisi in celle dove i monaci dovevano vivere la propria vita isolati (come alle origini) per
incontrarsi solo in occasione della preghiera comune, ma con Benedetto da Norcia si introdurranno
anche i dormitori comuni.
ASCETISMO:
Le pratiche ascetiche si propongono di conseguire una condizione di vita che, diversamente da
quella ordinaria, realizzi superiori valori religiosi. L'ascesi comporta nell'uso prevalente una
svalutazione della corporeità, realizzata tramite sacrifici, rinunce e mortificazioni della carne, al fine
di raggiungere una superiore spiritualità.

GOTI = GERMANI ORIENTALI (VISIGOTI = GOTI DELL’OVEST, OSTROGOTI = GOTI


DELL’EST):
Popolo che si venne formando per aggregazioni dalla Scandinavia all’area a nord del Mar nero,
dove risultano insediati già nel II secolo. Differenze con gli altri germanici: progresso nel
combattimento a cavallo (non scendevano da cavallo rispetto ai germani occidentali) e la
formazione di una struttura sociale più gerarchica; segno, queste caratteristiche, della ricettività nei
confronti del mondo romano e delle altre tribù germaniche incontrate lungo i viaggi.
Sconfitti nel 269 dall’impero romano, non furono più un pericolo per circa un secolo, ed anzi se ne
favorì la conversione al Cristianesimo con la traduzione in gotico di ampi brani della Bibbia (dignità
letteraria ad una lingua germanica per la prima volta). Si divisero poi in Visigoti (sulla sponda
non
romana del fiume Danubio, vicino alla Romania) e Ostrogoti (rimasti nell’odierna Ucraina).

Gli ostrogoti furono travolti e inglobati nelle loro dominazioni dagli Unni, mentre i Visigoti (legati
all’impero da un trattato di alleanza) furono investiti dagli stessi Unni.
I visigoti, dopo aver tentato invano di resistere, ottennero dall’autorità imperiale di poter passare il
confine e stanziarsi in Tracia, nell’attuale Romania, dove si sarebbero mantenuti con i tributi delle
popolazioni locali, dovendo provvedere alla difesa di quella regione in qualità di federati. Dopo
l’arresto della spinta degli Unni, ci fu (provocata da questi) l’effetto di un grosso sommovimento
delle popolazioni germaniche, che travolse l’impero riducendolo soltanto alla sua parte orientale.
L’insediamento dei visigoti, difatti, si era rivelato difficoltoso a causa dell’ostilità della popolazione
nei loro confronti e delle azioni di rapina ai danni delle città (a cui i visigoti si dicevano costretti a
causa delle inadempienze dei funzionari imperiali). Ne nacque una guerra aperta, che terminò il 9
agosto 378 con uno dei più grandi disastri militari della storia romana: la distruzione dell’esercito
imperiale da parte della cavalleria gotica presso Adrianopoli (in Tracia) e la morte sul campo
dell’imperatore Valente.
I visigoti, nonostante la politica conciliante di Teodosio con loro, spingevano verso Occidente;
respinti da Stilicone nel 406 (quando Vandali, Alani e Svevi avevano superato i confini del Reno),
con la scomparsa di quest’ultimo ebbero le porte aperte in Italia, attraversarono l’intera penisola e
il 24 agosto del 410 entrarono in Roma sottoponendola per tre giorni ad un saccheggio che suscitò
un’enorme impressione → Sacco di Roma
Qualche mese dopo (morto Alarico, condottiero dei Visigoti dal 395 al 410, protagonista del Sacco
di Roma) ottennero di potersi stanziare come federati in Aquitania, nella Gallia meridionale, tra
Tolosa e Bordeaux. Alla metà del V° secolo il regno dei Visigoti arrivò a comprendere la Gallia
centro-meridionale e parte della penisola iberica; essi furono però bloccati dai Franchi nella loro
espansione, spinti così definitivamente nella pensiola iberica. I visigoti, vicino alle loro attitudini
guerriere, aumentarono il potere monarchico attribuendo al re prerogative proprie degli imperatori
romani; misero per iscritto le loro leggi e consuetudini. I conflitti tra aristocrazia romana e gota che
nacquero per problemi politici furono risolti con soluzioni di compromesso volta per volta e con la
conversione nel 589 di re e popolo dei Visigoti, coi Concili di Toledo che risolvevano problemi sia
ecclesiastici che di gestione del regno. Ciò lasciava presagire per il regno Visigoto un futuro di
stabilità, invece nel 710 l’invasione araba ne provocò violentemente la fine.
Gli Ostrogoti, dopo la fine dell’impero degli Unni e il suo sfaldamento (452), tornarono autonomi e
ripresero la loro libertà d’azione. Al tempo di Teodorico, re degli Ostrogoti e patrizio dei Romani, gli
Ostrogoti si stanziavano interamente in Italia (con terre concesse loro) sempre secondo
l’hospitalitas. I Goti erano al tempo gli unici ad avere il diritto-dovere di portare le armi; le due
comunità (gota e romana) vivevano ognuna secondo il proprio diritto ed erano vietati i matrimoni
misti. In quel periodo gli Ostrogoti, insediatisi soprattutto nella pianura padana, vissero sotto forma
di presidi militari (contingente di truppe di stanza in un luogo) o concentrati in propri quartieri e
nelle loro proprietà rurali, mantenendo uno stile di vita ispirato alla loro cultura bellicosa, per cui il
sovrano dovette più volte richiamarli a non commettere vessazioni ai danni della popolazione
romana. L’espansione dei Franchi di Clodoveo e la loro collaborazione con la Chiesa (i vescovi)
fece vincere il loro progetto su quello del regno goto, che andò verso un declino inarrestabile.
Dopo la sconfitta coi bizantini nel 542, 552 e 555 (definitiva) gli Ostrogoti scomparvero, venendo
dispersi o arruolati come mercenari per servire in Oriente nell'esercito bizantino, mentre pochi
rimasero in Italia; la Chiesa ariana venne perseguitata e molti Ostrogoti vennero convertiti al
cattolicesimo (salvo poi essere riassorbiti dai Longobardi).

UNNI:
Raggruppamento di popoli turco-mongoli che inglobarono alani e ostrogoti (tutto questo dal 370 in
poi) travolgendo poi i visigoti. Dopo essere stati fermati da questi ultimi, la loro spinta
espansionistica andò affievolendosi, dato che erano organizzati come orda (non come un esercito,
ma come un insieme di tribù guidate da un capo supremo) e che la loro spinta diminuiva man
mano che si allontanavano dalle regioni d’origine per inoltrarsi in terre non del tutto adatte alla vita
nomade.
La pressione e il terrore che incussero causarono, però, un sommovimento generale germanico
che porterà poi al crollo del confine del Reno.
Gli unni tornarono nel 451 sotto la guida di Attila, sconfitti da Ezio nel 451 a Troyes; l’anno dopo
però attaccarono nuovamente, penetrando attraverso il Friuli e arrivando fin sul Mincio, dove papa
Leone I, in qualità di ambasciatore di Valentiniano III, li fece fermare. Secondo la tradizione
cristiana fu un miracolo operato dal pontefice, ma in realtà è probabile che il timore di Attila fosse
che Costantinopoli attaccasse i suoi sempre più ampi domini, vulnerabili data la mancanza di una
struttura politica e amministrativa capace di tenerli insieme. Infatti, dopo la sua morte l’impero degli
Unni si sfaldò (e ripresero libertà d’azione i popoli germani che vi erano stati inglobati).

VANDALI:
I Vandali erano una popolazione germanica orientale come i Burgundi, i Goti, ed i Longobardi.
Dopo una prima migrazione nei territori dell'attuale Polonia (tra il bacino dell'Oder e della Vistola),
sotto la pressione di altre tribù germaniche, si spostarono più a sud, dove combatterono e
sottomisero la popolazione celtica dei Boi. Si stanziarono quindi nei territori dell'attuale Slesia e
Boemia.
Sconfitti nell’estate 429 dai Visigoti in Spagna, dovettero passare in Africa, nella regione che
costituiva il granaio dell’impero. Sbarcati a Tangeri, si diressero verso Cartagine seminando morte
e distruzione lungo la loro marcia, e imponendo alla regione un duro dominio che non si placò
neanche quando nel 435 furono riconosciuti come federati dell’impero.
Continuarono a tenere il Mediteranneo, l’Italia e la Sicilia sotto continua minaccia.
Saccheggio a Roma nel 455 (in questo frangente i Vandali portarono via denaro e tesori (furono
spogliati il palazzo imperiale, il tempio di Giove Capitolino, col suo tetto aureo, scomparvero i tesori
del Tempio di Gerusalemme portati a Roma da Tito dopo la vittoria del 70 sugli ebrei ed altro
ancora) ma non vi furono né eccidi, né incendi, né dissennate distruzioni, e i suoi uomini non
devastarono Roma, rispettando le chiese cristiane, come secondo promessa), ben più devastante
di quello dei Visigoti, questo durato 13 giorni. Spariscono dalla scena politica tra il 553 e il 554
travolti dall’espansionismo di Giustiniano.

LONGOBARDI:
I longobardi erano un popolo germanico originario della Scandinavia che nel 567 giunse in Italia
attraverso il Friuli. A differenza delle altre popolazioni germaniche, i longobardi non avevano avuto
in precedenza contatti significativi col mondo romano e il loro trasferimento dalla Pannonia
(Ungheria) in Italia non era stato concordato con l’imperatore di Bisanzio né attuato secondo il
principio dell’hospitalitas. Di conseguenza il loro regno si pose nei confronti della popolazione
latina come una dominazione straniera. Fra tutti i popoli germanici, infatti, essi erano quelli che
meno si erano allontanati dai loro usi tradizionali, per cui il re aveva ancora il carattere di un capo
militare eletto dall’aristocrazia nei momenti di bisogno (trasmigrazioni, guerre). L’esercito si
articolava in gruppi di guerrieri appartenenti a famiglie (fare) che si richiamavano a un antenato
comune e che, sotto la guida dei loro duchi, si muovevano con una certa autonomia sia in pace
che in guerra, stanziandosi nei territori man mano conquistati. I longobardi non avanzavano
secondo un piano unitario, ma nelle direzioni in cui incontravano meno resistenza. Nel corso della
fine del VI secolo i longobardi conquistarono prima buona parte dell’Italia padana (la fascia che
attraversava Torino, Pavia, Brescia, Verona, Cividale in lungo).

Le successive conquiste furono in Toscana (quasi tutta) e ad est la costa adriatica ad esclusione di
gran parte della Puglia. Anche quasi tutta la parte interna era longobarda, escludendo la parte che
andava da Roma collegandosi all’Emilia Romagna tramite parte dell’Umbria (che però, insieme al
resto degli Abruzzi, controllava nella parte centro-orientale); questa parte interna arrivava fino alla
Basilicata. Il regno era però discontinuo, questo perché i bizantini si arroccavano nei castelli e nelle
città costiere per difendere i territori rimasti loro.
La popolazione romana, negli anni della conquista, se non fu ridotta in schiavitù, è certo che fu
completamente privata della propria capacità politica (in particolare nelle aree di più forte
insediamento longobardo, quindi al nord più che al sud, dove i gruppi conquistatori di scarsa
consistenza numerica non procedettero a vaste espropriazioni di beni; la Lombardia fu così
dominata che addirittura prese il nome della popolazione germanica! → infatti viene da
“Longobardia”); di conseguenza non esistette altra forma di ascesa sociale che l’inserimento nella
società e quindi nella tradizione giuridica dei dominatori.
Non ci fu nel regno dei longobardi un problema di rapporti con la popolazione romana, intesa come
entità giuridicamente autonoma e dotata di propri ordinamenti ai quali si affiancavano quelli dei
germani (vedi tempi di Odoacre e Teodorico); vi fu invece il dominio politico militare di un popolo
dotato di una forte coscienza di sé, nel quale potranno inserirsi man mano i discendenti dei romani
che saranno capaci di accumulare beni e risorse finanziarie, ma a patto di assumere il diritto e la
tradizione dei dominatori. Si spiega così perché nell’VIII secolo tutti i liberi si riconoscessero nella
tradizione longobarda. L’Italia fu perciò tra le regioni che ebbe l’impatto più drammatico col mondo
germanico.
Con i longobardi sia le circoscrizioni amministrative romane che quelle ecclesiastiche si trovavano
sconvolte: alcune circoscrizionI erano divise tra longobardi e bizantini, e, fuggendo i vescovi nei
territori bizantini, molte sedi vescovili si trovavano spesso senza il loro titolare. I longobardi infatti,
convertiti da poco e in maniera approssimativa dal politeismo al cristianesimo ariano, non avevano
alcun riguardo per la Chiesa cattolica e non facevano alcuna distinzione tra i patrimoni ecclesiastici
e quelli dei privati. I longobardi furono quindi un ulteriore elemento che aggravò il degrado già
presente nel mondo romano da alcuni secoli (difatti anche nei territori rimasti bizantini la rete viaria
era degradata, le aree abitate si restringevano, gli edifici pubblici andavano in rovina o venivano
utilizzati come cave di pietra e marmo e le tecniche edilizie conoscevano un progressivo
peggioramento).
I longobardi però, con la trasformazione in proprietari terrieri e la necessità di difendere i beni
acquisiti da un possibile ritorno offensivo dei bizantini, furono ben presto indotti a darsi un
ordinamento politico più stabile ed evoluto. Sul modello romano fu rafforzato il ruolo del re, che
comportava la ricerca dell’appoggio dell’episcopato cattolico e quindi del consenso anche della
popolazione romana. Nel 584 Autari restaurò l’autorità regia: si fece cedere dai duchi (circa 30)
metà delle loro terre, per fornirsi i mezzi necessari al funzionamento alla monarchia. Creò i
gastaldi, appositi funzionari che svolgevano una funzione di controllo sui duchi.
Il papa Gregorio Magno tentò di attuare la conversione di massa dei longobardi, ma incontrò la
resistenza dei duchi, tenacemente legati alle tradizioni nazionali. Per il VII secolo infatti si
alternarono re cattolici e re ariani; tra questi Rotari (ariano) che fece mettere per iscritto le antiche
leggi longobarde (Editto di Rotari) e riprese la guerra contro i Bizantini, conquistando la Liguria. Il
più grande dei re longobardi fu però probabilmente Liutprando, che completò la conversione del
suo popolo al cattolicesimo e quasi totalmente il superamento della divisione etnica tra Longobardi
e Romani, attraverso il progressivo inserimento dei secondi nella tradizione giuridica dei
dominatori. Forte di questa coesione interna, e sperando anche nel consenso del papato (allora in
contrasto con la corte di Costantinopoli per la questione del culto delle immagini), Liutprando cercò
di completare finalmente la conquista dell’Italia, invadendo l’Esarcato di Ravenna e la pentapoli
(Gubbio, Cagli, Urbino, Fossombrone, Jesi e Osimo), giungendo fino alle porte di Roma, dove il papa
Gregorio II gli andò incontro e, appellandosi al suo sentimento religioso, lo convinse a rinunciare
alla conquista della città, ma anche a sgombrare le terre già conquistate del terreno/ducato
romano. Nel rinunciare però al Castello di Sutri, presso Viterbo, Liutprando lo restituì non
all’autorità bizantina, bensì ai “beatissimi apostoli Paolo e Pietro”, vale a dire alla Chiesa romana.
A questo atto del 728 in passato fu attribuita un’importanza decisiva: fu considerata l’atto
costitutivo del potere temporale dei papi. In realtà essa era soltanto una delle tante donazioni che
allora venivano fatte a chiese e monasteri, anche se in questo caso acquistava un indubbio valore
politico, perché segnava il riconoscimento della sovranità che praticamente il papa esercitava su
Roma e sul territorio circostante, esautorando il governatore bizantino.
Ma il punto fondamentale su cui soffermarsi è un altro: nel 750 e nel 754 Astolfo aggiunse 22
capitoli all’editto longobardo (di Rotari). Con questa aggiunta l’obbligo di prestare servizio militare
non era più stabilito in base all’etnia dei liberi del regno, ma in base al loro reddito; così venivano
eliminati concettualmente i latini ed oramai tutti si riconoscevano nella tradizione militare
longobarda (“se elimino le differenze di etnia nella legge, vuol dire che le due etnie non sono più
considerate in maniera distinta, ma che tutti diventano della stessa etnia: longobarda). Inoltre la
conversione al Cattolicesimo si era completata e i vescovi provenivano in gran parte
dell’aristocrazia longobarda (da qui comincia il decadimento della cultura vescovile), la quale
fondava e proteggeva monasteri e monaci (e ciò migliorava la loro immagine agli occhi del popolo)
dotandoli di cospicui beni fondiari. Nonostante questo, in Italia non si realizzò una perfetta
convergenza tra potere regio ed episcopato (come per i Franchi in Gallia): fu perché il papato non
volle far rientrare Roma in un regno a carattere nazionale, ma mantenere la sua dimensione
universalistica; perciò, quando con Desiderio non fu più possibile tenere a freno l’espansionismo
longobardo, il papa chiamò in Italia i Franchi (con Pipino il Breve e poi Carlo Magno) per
provocarne il tracollo (fu una scelta politica, non certo religiosa).
DONNE LONGOBARDE SENZA PIENEZZA DI DIRITTI, DIPENDEVANO IN ORDINE DA:
MARITO-PADRE-PARENTI-RE

TESI DI PIRENNE:
Secondo Pirenne la crisi dell’Europa (crisi del commercio, scomparsa delle città, economia
esclusivamente agraria) è dovuta alla nuova potentissima civiltà araba, che attaccando l’impero
bizantino lascia spazio alla Chiesa per agire, più che ai germani che, insediatisi nel territorio
romano, secondo Pirenne non ne avevano alterato i caratteri fondamentali (il ruolo centrale delle
città negli scambi e nella vita politica ed amministrativa, e il ruolo centrale del Mediterraneo).
La critica mossa alla tesi di Pirenne è stata questa: l’urbanesimo e l’economia dell’Occidente erano
già in crisi da tempo, già da prima dell’espansione araba; inoltre i traffici per le rive del
Mediterraneo, seppur ridotti, non cessarono mai, neanche dopo l’espansione araba.

MAOMETTO E I PILASTRI DELLA FEDE ISLAMICA:


Maometto nacque a La Mecca tra il 569 e il 571, fu allevato dallo zio e sposò una rissa vedova,
dedicandosi alla riflessione religiosa. A quarant’anni circa gli appare durante il sonno l’Arcangelo
Gabriele che gli dice di essere l’apostolo di Allah. Maometto esita, ma incoraggiato dalla moglie
comincia la sua predicazione. Inizialmente dice sì al politeismo, e il suo messaggio è: piena
sottomissione ad Allah, giudizio finale e solidarietà verso il prossimo (in particolare verso i poveri).
C’è il pericolo che l’Islam venga assimilato al politeismo, perciò Maometto decise di attaccare i culti
idolatori e di dichiarare l’Islam monoteista; a questo punto il ceto dirigente arabo teme per i
proventi del pellegrinaggio alle divinità della Kaaba. Maometto prosegue nella sua predicazione
ma, osteggiato perché troppo radicale, fugge nella sua città materna (che diverrà Medina, ovvero
“la città del profeta). Per i suoi seguaci è l’inizio di una nuova era.
Nel 624 Maometto sposta il punto a cui la preghiera è rivolta da Gerusalemme a La Mecca,
dichiara l’Islam unica fede e istituisce il Ramadan. Circa vent’anni dopo la sua morte (632), il
Corano raccoglie il suo pensiero:
- Doppia professione di fede: un solo Dio e Maometto suo profeta
- Ramadan
- Preghiera alla Mecca (5 volte al giorno; il venerdì collettiva sotto la guida di una guida politico-
religiosa, l’imam)
- Elemosina legale (⅙ del reddito)
- Un pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita
C’è chi sostiene vi sia anche la guerra santa.
La base del diritto musulmano sono le sunnae (i comportamenti di Maometto in determinate
situazioni).
Dopo la morte di Maometto grandi lotte per la successione (durate una decina di anni); Ali Bakù
eletto come successore, decade perché accusato della morte di Maometto. Ali Bakù coi suoi
seguaci si rifugia nel sud-est dell’Iraq (sciiti = partiti); gli sciiti si configurano sulla sua
interpretazione (visto che era suo parente gli fu riconosciuto il conoscere bene il pensiero di
Maometto) del pensiero di Maometto. Gli sciiti definiscono gli altri sunniti.

TEODOSIO:
Con Teodosio fu possibile restaurare negli anni 392-395 l’unità imperiale (assai labile per buona
parte del IV secolo per effetto della riforma di Diocleziano). Si trattò di una situazione transitoria
però, le due parti dello Stato si dimostravano sempre più diverse tra di loro.
Alla sua morte l’impero venne perciò diviso, stavolta definitivamente, tra i due figli Onorio
(Occidente, capitale Milano) e Arcadio (Oriente, capitale Costantinopoli). Essendo molto giovani,
Teodosio li pose sotto la tutela di Stilicone (per Onorio), generale Vandalo, e il goto Rufino (per
Arcadio),
La scelta dei due tutori non fu casuale, ma si inquadrava nella politica di Teodosio di apertura
verso le popolazioni germaniche.

GIUSTINIANO:
Imperatore bizantino (dal 527 al 565), nel 535 avviò la riconquista dell’Italia. La prima fase della
guerra si concluse nel 540 con la conquista di Ravenna e il ritiro oltre il Po dei Goti. I Goti
tentarono altri due attacchi nel 542 e nel 552 e vennero sconfitti in entrambe le occasioni; la
resistenza gota finì nel 555 con gli ultimi gruppi di irriducibili. Cercò di restaurare l’antico assetto di
rapporti sociali e di riorganizzare il territorio, e riuscì a mettere in piedi un apparato fiscale capillare
col quale arrivò a chiedere tasse arretrate di più decenni, mentre riduceva le spese pubbliche
decurtando il salario ai soldati e la distribuzione di viveri ai poveri. Tutti questi mezzi miravano a
fornire all’impero i mezzi per la sua politica espansionistica, ovviamente; essi ebbero però l’effetto
contrario di deprimere il morale delle scarse truppe e generare un malcontento generale per la
gestione politica, fattori che crearono i presupposti per l’imminente crollo dell’impero bizantino in
gran parte della penisola e l’arrivo dei longobardi (ricorda che le persone cercavano di affidarsi ai
nuovi dominatori, nella speranza che fossero meglio dei vecchi, anche se poi ciò non si verificava).

CORPUS IURIS CIVILIS:


Promosso dall’imperatore d’Oriente Giustiniano (482 – 565 d.C.).
Lavoro immenso, durato dal 528 d.C. al 533 d.C., affidato al grande giurista Triboniano (500 ca.-
542 d.C.).
Triboniano e i suoi collaboratori selezionarono, classificarono, ordinarono e recuperarono
l’immensa tradizione giuridica romana che si era formata nel corso di quasi un millennio di storia.Il
diritto romano, infatti, si era creato attraverso i secoli, dalla Roma repubblicana alla Roma
imperiale, sulla base dei pareri dei giuristi e delle decisioni degli imperatori. Questi pareri e queste
decisioni si limitavano però ai casi particolari per cui erano stati richiesti o pronunciati. Presso i
romani non esisteva quindi l’idea di una codificazione delle leggi intesa come raccolta di tutte le
norme in vigore in un unico testo da consultare all’occorrenza.
Questa concezione di una raccolta unica fu la grande novità del Corpus iuris civilis.
Con il Corpus iuris civilis scomparvero, grazie al lavoro del grande giurista Triboniano e dei suoi
collaboratori, tutte le contraddizioni e le ripetizioni. Vennero compiute delle scelte e molte leggi
furono tralasciate per far posto a quelle considerate più in linea con la mentalità del tempo di
Giustiniano. Ad esempio, la dottrina cristiana portò all’introduzione di norme che facilitarono la
liberazione degli schiavi, mentre le consuetudini tipiche dell’Oriente accentuarono il potere
assoluto dell’imperatore bizantino. Successivamente, quindi, il diritto romano non venne più
studiato attraverso le opere originali dei giuristi romani, molte delle quali in ogni caso andarono
perdute, ma a partire dal Corpus iuris civilis.
IL TRAMONTO DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE:
L’autorità dell’imperatore d’Occidente, nella seconda metà del V° secolo, oramai si esercitava solo
sull’Italia e poche province con essa confinanti (Provenza, Rezia, Norico e Dalmazia). Con la
scomparsa di Stilicone sembrò che in Italia ci potesse essere un rigurgito di orgoglio nazionale e
l’estromissione definitiva dei germani dai vertici dello Stato, ma apparve chiaro ben presto che
l’apporto germanico era essenziale per la sopravvivenza di ciò che restava dell’impero
d’Occidente, per cui si tornò a una politica di convergenza tra romani e barbari.
Di essa si fece interprete il generale Ezio, che utilizzò i Germani contro gli Unni. Nel 451 infatti li
sconfisse presso Troyes, a capo di un esercito con alta presenza di Visigoti.
L’anno dopo però Attila penetrò in Italia (attraversò il Friuli, distruggendo Aquileia, i cui abitanti
cercarono rifugio nelle isole della laguna, dando vita così al primo nucleo di quella che sarà poi
Venezia, NON DIRLO ALTRIMENTI TI CHIEDE DI VENEZIA!) fermandosi sul Mincio, dove gli
andò incontro Papa Leone I in qualità di ambasciatore di Valentiniano III. La tradizione cristiana
attribuisce lo scampato pericolo a un miracolo operato dal pontefice; il ritiro di Attila nacque invece
probabilmente dal suo timore di un attacco di Costaninopoli ai suoi domini che, più si allargavano,
più diventavano vulnerabili in mancanza di una struttura politica e amministrativa capace di tenerli
insieme (infatti dopo la sua morte l’impero degli Unni si sfaldò).
Nel 454 Ezio fu ucciso dallo stesso Valentiniano (che forse sospettava che Ezio volesse elevare al
trono il figlio Gaudenzio), il quale a sua volta cadde l’anno dopo per mano di due seguaci di Ezio.
Queste due scomparse portarono a una situazione molto confusa, con il succedersi rapido di
imperatori privi di potere effettivo, quasi sempre nelle mani dei comandanti delle forze romano-
barbariche che presidiavano la penisola.
Tra questi ebbe una preminenza abbastanza importante Odoacre, che nel 746 rimandò a
Costantinopoli le insegne imperiali, dichiarando di voler governare quello che restava dell’impero
d’Occidente in nome dell’imperatore d’Oriente con il solo titolo di patrizio. Tali avvenimenti non
valsero però a sconvolgere l’assetto sociale dell’Italia, caratterizzato dalla schiacciante egemonia
dell’aristocrazia senatoria su coltivatori dipendenti e piccoli possessori; era questa aristocrazia che
nell’ultimo secolo aveva contribuito, grazie al suo potere politico, spesso al successo o
all’insuccesso dei candidati al trono imperiale.

VALENTINIANO III:
Riconobbe, con un esplicito riconoscimento, la supremazia giurisdizionale del vescovo di Roma
verso la metà del V° secolo.

TEODORICO:
Re degli Ostrogoti, divenne patrizio d’Italia dal 493 (appoggiato da aristocrazia ed episcopato
cattolico, che avevano voluto contrastare l’espansionismo di Odoacre, chiamato dall’imperatore
Zenone), mostrò subito di voler operare in pieno accordo sia con l’aristocrazia sia con la Chiesa
cattolica, che prese sotto protezione, pur essendo ariano come il suo popolo. Con gli ostrogoti era
la prima volta che si stanziava un intero popolo e che si operava un trasferimento di terre di grandi
dimensioni - sempre in base al principio di ospitalità - dai proprietari romani ai guerrieri germanici.
L’operazione non fu però traumatica, visto che il declino demografico in Italia, Gallia e Spagna
(colpite dalla peste nel 452) faceva aumentare la disponibilità di terre. Inoltre non si instaurò la
dominazione degli Ostrogoti sulla popolazione romana, ma si realizzò la coesistenza di due
comunità con distinti ordinamenti giuridici e unite soltanto nella figura di Teodorico, re della sua
gente e vertice dell’apparato politico-amministrativo romano. I goti erano gli unici ad avere il diritto-
dovere di portare le armi. I Romani, rigorosamente esclusi dall’esercito, formavano una comunità
distinta che continuava a vivere secondo il diritto romano. Teodorico mantenne distinte le due
comunità con metodi originali: richiamando in vita una vecchia legge romana (370) vietava i
matrimoni tra romani e barbari, e sosteneva l’Arianesimo come elemento essenziale dell’identità
culturale del suo popolo. Si superò con lui la prassi dei germani che raggiungendo i vertici della
gerarchia militare entravano nel senato; ora l’aristocrazia Gota che ricopriva alte cariche militari
entrava a far parte del consiglio del re, ma non più del senato, considerato solo romano. Gli
Ostrogoti, insediatisi soprattutto nella pianura padana, vissero sotto forma di presidi militari
(Contingente di truppe di stanza in un luogo) o concentrati in propri quartieri e nelle loro proprietà
rurali, mantenendo uno stile di vita ispirato alla loro cultura bellicosa, per cui il sovrano dovette più
volte richiamarli a non commettere vessazioni ai danni della popolazione romana.
Il sogno di Teodorico di essere “custode della libertà e propagandatore del nome romano” (come
recita un’iscrizione coeva) si infranse tuttavia contro le resistenze sia del mondo germanico che di
quello romano. Dal punto di vista dei germani, c’erano i Franchi che avevano un analogo progetto
egemonico (concepito dal re Clodoveo, che aveva capito che per un progetto vincente c’era
bisogno dell’appoggio dei vescovi); dal punto di vista romano, ci fu piena intesa tra papato e
imperatore d’Oriente (dopo cinquant’anni di dissidi) in merito all’applicazione delle decisioni del
Concilio di Calcedonia, e ciò portò ad una aristocrazia romana che si orientava più favorevolmente
verso l’imperatore, provocando anche un certo irrigidimento tra i goti, ariani e i cattolici, dal
momento che papa e imperatore avevano concordato misure più severe verso gli eretici. Morì
Teodorico nel 526, oramai la potenza dei Goti in Italia aveva iniziato la sua parabola discendente.
Considerazioni → forse alla base della politica di Teodorico non c’era solo una fortissima
coscienza nazionale, ma anche la consapevolezza dell’impossibilità di realizzare in tempi brevi la
compenetrazione tra mondo germano e romano.

CASSIODORO:
Fu uno dei più illustri rappresentanti della colta aristocrazia romana che si strinse intorno al re
Teodorico: si sforzò di far conoscere la romanità ai goti e di nobilitare i Goti agli occhi dei romani;
sforzi che diedero qualche frutto se all’interno della corte (del re) non pochi erano i Goti che
conoscevano il latino e greco e i Romani che facevano insegnare ai loro figli il Goto.
Cassiodoro, dopo essere stato collaboratore di Teodorico e dei suoi successori, si ritirò nel 540 nei
suoi possedimenti in Calabria a Squillace, dove fondò un monastero (Vivarium) con caratteri del
tutto originali. Si trattava infatti non tanto di un luogo di ascesi e penitenza, quanto piuttosto di una
scuola, di un centro di cultura, con forte attività intellettuale e scrittoria, basata su un programma di
studio volto a conciliare cultura sacra e profana. L’obiettivo era quello di salvaguardare il
patrimonio culturale romano trapiantandolo nei monasteri, ma l’operazione, nella formula da lui
concepita, non fu possibile: il monachesimo non era nato per salvare la cultura antica, bensì per
realizzare un’esperienza perfetta di vita cristiana. Non sorprende perciò che di Vivarium non
rimase più traccia.
Importante fu invece l’opera di Cassiodoro e dei suoi discepoli per la trasmissione dei testi antichi
e l’elaborazione dei programmi di studio (con relativa scelta degli autori) per la scuola medievale.

MONACHESIMO BENEDETTINO E REGOLA BENEDETTINA:


Il monachesimo benedettino fu il punto di arrivo di tutte le esperienze monastiche occidentali. La
regola benedettina (scritta tra 530 e 560, probabilmente 540) non fu il primo codice monastico
organico né tanto meno l’autore aveva intenzione di fondare un nuovo ordine religioso, anche se
era prevista sin dall’inizio l’utilizzo della regola in più di una comunità. Il pregio della regola
benedettina, riconosciuto nei secoli, fu quello di mettere a frutto tutta l’esperienza del
monachesimo orientale e occidentale.
Ideali di carità e fraternità tra i monaci, vivere del lavoro delle proprie mani e la soppressione delle
celle separate, con conseguente introduzione del dormitorio comune; nuovo e più equilibrato
rapporto, rispetto ad altre esperienze monastiche, tra vita attiva e contemplativa: ora et labora,
ampi spazi destinati a lettura e meditazione alternati al lavoro manuale, allo scopo di evitare l’ozio,
nemico dell’anima.

GREGORIO MAGNO:
Il primato del vescovo di Roma sulla chiesa, considerato in Oriente puramente onorifico, era allora
(fine VI secolo) anche in Occidente privo di contenuti effettivi. Gregorio Magno concepì il disegno
di rendere autonomo il papato dall’impero bizantino, facendone la guida della Chiesa universale.
L’autorità da lui acquistata sui vescovi occidentali si basò soprattutto sulla sua capacità di stabilire
con loro uno stretto collegamento attraverso lo scambio continuo di lettere, nelle quali affrontava i
problemi più disparati: la cura delle anime, l’organizzazione delle diocesi, la vigilanza sui
monasteri, i rapporti con il potere politico. Inoltre egli si preoccupò di assicurare alla cristianità
occidentale un’impronta unitaria, riordinando e diffondendo la liturgia romana, con il relativo canto
che da lui prese il nome di Canto Gregoriano. Diede una spinta poi alla conversione di popolazioni
ariane e pagane, anche se mai con atteggiamenti di intolleranza, infatti ai missionari (inglesi)
raccomandava sempre di procedere gradualmente e nel rispetto delle tradizioni locali. (Grazie alla
riorganizzazione e allo sfruttamento dei grandi patrimoni fondiari fu anche in grado di difendere la
città di Roma dagli attacchi che vi arrivavano, grazie appunto alle sue risorse finanziarie).

AUTARI:
Nel 584 restaurò l’autorità regia: si fece cedere dai duchi (circa 30) metà delle loro terre, per
fornirsi i mezzi necessari al funzionamento alla monarchia. Creò i gastaldi, appositi funzionari che
svolgevano una funzione di controllo sui duchi.

ROTARI:
In quanto ariano non completa l’unione tra longobardi e romani (cosa che avverrà con Liutprando),
anzi tutela i longobardi con l’Editto di Rotari e quindi la personalità del diritto.

EDITTO DI ROTARI:
22 NOVEMBRE 643, MESSE PER ISCRITTE LE ANTICHE LEGGI (CONSUETUDINE)
LONGOBARDE → CONSUETUDINE FATTA LEGGE
Stando al principio della personalità della legge, l'editto fu valido solo per la popolazione italiana di
origini longobarde; quella romana soggetta al dominio longobardo rimase invece regolata dal diritto
romano, codificato a quell'epoca nel Digesto promulgato dall'imperatore Giustiniano I nel 533
(CORPUS IURIS CIVILIS)

ODOACRE:
Nel 746, rimandò a Costantinopoli le insegne imperiali, dichiarando di voler governare quello che
restava dell’impero d’Occidente in nome dell’imperatore d’Oriente con il solo titolo di patrizio. In
base al principio dell’ospitalità fece cedere un terzo delle terre (da parte dell’aristocrazia) alle genti
germaniche che lo avevano eletto re; nonostante questo gli aristocratici lo sostenettero, vedendo in
lui il personaggio adatto a garantire l’inserimento non traumatico dei germani nella struttura sociale
esistente. POLITICA CONCILIANTE COI GERMANI!

IL REGNO DEI FRANCHI:


Originariamente divisi in tanti piccoli aggregati, formatisi nel corso dei secoli IV-V lungo i bacini del
basso Reno. A partire dal 482 furono via via inglobati nel dominio di Clodoveo, re dei Franchi Salii
e iniziatore della dinastia merovingia. Dopo aver eliminato nel 486 l’ultima presenza romana in
Gallia, Clodoveo si volse con estrema decisione contro le altre popolazione germaniche della
Gallia, ponendole sotto la propria tutela o scacciandole dai loro territori, come avvenne con i
Visigoti (scacciati dall’Aquitania).
Trovò un ostacolo solo in Teodorico, re degli Ostrogoti che intervenne a difesa dei Visigoti (e
Alamanni) e cercò di coordinare intorno a sé tutti i gruppi etnici minacciati dall’espansionismo
franco. Ciononostante alla morte di Teodorico, nel 511, Clodoveo controllava tutta la Gallia romana
(esclusa la Provenza) e anche una fascia di territori al di là del Reno. I suoi successori inglobarono
i domini di altri germani, tra cui la Provenza.
Alla base di questi successi c’era, oltre al dinamismo militare, la collaborazione con la colta e ricca
aristocrazia gallo-romana e con l’episcopato cattolico; ne è la prova la conversione di Clodoveo e
dei capi franchi dal politeismo al Cattolicesimo nel 498. Fu accelerato così il processo di
avvicinamento e quindi fusione totale tra aristocrazia franca e gallo-romana, nonché fra i due
popoli. Già alla fine del VII il termine “franco” aveva perso ogni contenuto etnico e indicava
semplicemente ogni “Uomo libero” (non come gli abitanti delle campagne in vincoli di servitù).
Dall’incontro tra le due aristocrazie venne fuori un ceto dirigente che non corrispondeva più a
nessuna delle due: i capi dei clan Franchi impararono a utilizzare i loro immensi patrimoni fondiari
non solo come strumento di controllo della popolazione rurale, ma anche per dare stabilità alle loro
clientele armate e per fondare chiese e monasteri. L’aristocrazia romana invece assimilò man
mano lo stile violento dei Germani. Ne derivò un cambiamento della vita e mentalità dei vescovi,
espressione di quel nuovo ceto dirigente, e spesso scelti dal re tra i laici al suo seguito.
Ci fu una visione patrimoniale dello stato, come nella tradizione franca, e Clodoveo, alla sua morte,
divise lo stato in quattro parti tra i suoi figli: la Neustria (tra Loira e Senna), l’Austrasia (parte
orientale), l’Aquitania, che aveva conservato nome e antiche tradizioni gallo-romane, e Borgogna
(l’antico regno dei Burgundi).
Le lotte fraticide e gli odi familiari frenarono il dinamismo espansivo del regno, che sarebbe ripartito
solo nell’VIII secolo con Pipino il Breve.

L’ASCESA DEI PIPINIDI (CONTINUAZIONE REGNO DEI FRANCHI):


Nel VII secolo si imposero, tra i quattro regni Neustria, Austrasia, Aquitania e Borgogna, i Pipinidi,
maestri di palazzo (maestro di palazzo: il funzionario che sovrintendeva al palazzo reale, all'epoca
vero e proprio cuore amministrativo del regno) dell’Austrasia; artefice di questo successo fu Pipino
II di Heristal. Suo successore fu il figlio Carlo Martello, il quale rinsaldò il suo potere in Austrasia,
Neustria e Borgogna e lo estese in Frisia (formata da parti di Germania e Olanda), Alemannia e
Turingia (entrambe nell’attuale Germania). Sconfisse gli arabi nel 732 a Poitiers in Aquitania, non
riuscendo a ricacciarli al di là dei Pirenei, ma guadagnando un enorme prestigio come campione
della cristianità. Dopo la scomparsa senza eredi del re merovingio (merovingi -> la prima dinastia
franca) Teodorico IV nel 737, Carlo Martello si comportò fino alla morte (nel novembre del 741)
come un re a tutti gli effetti. Difatti divise il regno tra i figli, assegnando al primogenito Carlomanno
l’Austrasia, l’Alemannia e la Turingia, e al più giovane Pipino il Breve la Neustria, la Borgogna e la
Provenza. Nel 747 Carlomanno abdicò ritirandosi nel monastero di Montecassino e lasciando
campo libero a Pipino il Breve che, nel 751, rinchiuso in un convento il re fantasma Childerico III
(utilizzato per ripristinare la monarchia merovingia, prima che con Pipino il Breve si instaurerà
quella carolingia), si fece acclamare re → L’impero Carolingio

BONIFACIO (Vescovo di Magonza):


In accordo con Papa Zaccaria predicò il vangelo a Frisoni e Sassoni, ucciso dai Frisoni però nel
754; la sua opera si rivelò importante per l’acquisizione definitiva di quelle regioni all’influenza della
Chiesa Romana e al dominio dei Franchi. Unge, insieme ad altri vescovi, Pipino il Breve con olio
sacro. Perciò, missionario in Turingia, è ritenuto l’apostolo della Germania.

L’IMPERO CAROLINGIO:
Il papa chiamò i franchi per frenare l’espansionismo longobardo in Italia. Nel 751 fu incoronato dal
papa Pipino il Breve. Fu cruciale per la storia europea l'atto, giuridicamente illegittimo,
dell'incoronazione regale con legittimazione papale (fino ad allora i re erano stati solo benedetti dal
papa, mentre lo status giuridico a regnare doveva provenire dall'unico erede dell'Impero romano, il
sovrano bizantino). Sia Pipino stava usurpando un titolo di sovrano "sacrale" verso i Germani, sia il
papa si stava arrogando un potere di legittimazione che non aveva fondamento giuridico definito.
Ma nella pratica la sacralità del papa compensò la fine della sacralità della dinastia merovingia.
L’unzione di Bonifacio e l’approvazione pontificia conferirono al potere imperiale un fondamento
sacro, facendolo discendere direttamente da Dio. Nel 754 Pipino il Breve e i figli (Carlomanno e
Carlo) furono nuovamente consacrati dal papa Stefano II che era giunto lì per chiedere aiuto
contro i longobardi. I franchi avevano la loro forza nella clientela armata, migliorata con nuove
tecniche militari come il combattimento a cavallo reso migliore dall’introduzione della staffa (nel
quale il cavaliere può infilare ed appoggiare il piede), grazie alla quale il cavaliere poteva lanciarsi
al galoppo senza rischio di cadere con la lancia in resta (un uncino metallico applicato sulla parte
destra della piastra pettorale cui andava appoggiato il "calcio" della lancia onde mantenerla in
equilibrio durante la carica ed evitarne lo scivolamento all'indietro quando colpiva il bersaglio). La
struttura rimaneva circa quella dei comitatus, con la differenza che ora i capi militari, non potendo
più distribuire i beni razziati nelle guerre di conquista, accasavano i sottoposti mediante la
concessione di terre. In cambio loro si impegnavano, mediante un giuramento, a prestare servizio
militare in determinate circostanze, che col tempo si andarono definendo sulla base della
consuetudine. È da qui che si diffusero quindi i rapporti vassallatico-beneficiari (feudali).
Nel 755 Pipino il Breve travolse l’esercito di Astolfo. Pipino, non essendo interessato a forzare la
situazione, si accontentò della promessa di Astolfo di cedere al papa Ravenna e gli altri territori
sottratti ai bizantini. Bastò però che egli lasciasse l’Italia, perché Astolfo si rimangiasse tali
promesse, riprendendo gli attacchi a Roma. Nel 756, quindi, Pipino intraprese una nuova
spedizione e sconfisse definitivamente il re longobardo, costretto alla cessione immediata alla
Chiesa di Roma - “ai beati apostoli Pietro e Paolo” come al tempo si diceva - degli ex territori
bizantini della costa romagnola.

Anche questa volta Pipino si limitò a onorare il suo titolo di patrizio dei Romani, lasciando a
Desiderio la corona (Desiderio, con intenti meno bellicosi e anche la volontà di intrattenere un
buon rapporto coi Franchi). A sancire questo periodo di pace furono i matrimoni dei figli di Pipino,
Carlomanno e Carlo con le figlie di Desiderio. Dopo un quindicennio di pace (nel 768 Pipino
scomparve, nel 771 anche Carlomanno), Carlo (che sarà detto Magno) ripudiò sua moglie
(Ermengarda) e scacciò la vedova del fratello (Gerberga), la quale si rifugiò presso Desiderio.
Desiderio poi improvvisamente mosse un attacco ai territori da poco consegnati al pontefice, ma il
nuovo pontefice (Adriano I) chiese l’intervento di Carlo: questi sconfisse Desiderio nel 773,
facendolo prigionieroo. Nel 774 Carlo Magno cinse a Pavia la corona di re dei Longobardi.
Formalmente si trattò quasi solo di un cambio di dinastia, perché la maggior parte dei duchi e degli
esponenti dell’aristocrazia longobarda si sottomisero al vincitore e conservarono i loro patrimoni
fondiari, mentre restavano in piedi l’apparato politico-amministrativo e le leggi preesistenti. Un
cambiamento più radicale ci fu invece nel 776, quando, in seguito ad un tentativo di riscossa dei
duchi, ci fu una larga immissione nella penisola di conti e vassalli franchi, che assicurarono al
sovrano un più saldo controllo del nuovo regno. Con loro arrivarono in Italia i rapporti vassallatico-
beneficiari, ormai consolidati in Francia, che ebbero subito una grande diffusione anche nella
penisola. [CONTINUA CON CARLO MAGNO]

CARLO MAGNO:
Carlo ripudiò sua moglie (Ermengarda) e scacciò la vedova del fratello (Gerberga), la quale si
rifugiò presso Desiderio. Desiderio poi improvvisamente mosse un attacco ai territori da poco
consegnati al pontefice, ma il nuovo pontefice (Adriano I) chiese l’intervento di Carlo: questi lo
sconfisse nel 773, facendolo prigioniero. Nel 774 Carlo Magno cinse a Pavia la corona di re dei
Longobardi. Formalmente si trattò quasi solo di un cambio di dinastia, perché la maggior parte dei
duchi e degli esponenti dell’aristocrazia longobarda si sottomisero al vincitore e conservarono i loro
patrimoni fondiari, mentre restavano in piedi l’apparato politico-amministrativo e le leggi
preesistenti. Un cambiamento più radicale ci fu invece nel 776, quando, in seguito ad un tentativo
di riscossa dei duchi, ci fu una larga immissione nella penisola di conti e vassalli franchi da parte di
Carlo, che assicurarono al sovrano un più saldo controllo del nuovo regno. Con loro arrivarono in
Italia i rapporti vassallatico-beneficiari, ormai consolidati in Francia, che ebbero subito una grande
diffusione anche nella penisola.
In varie campagne di guerra Carlo ampliò i suoi domini: prese buona parte della Catalogna, con
capitale Barcellona, e riuscì con la forza ad imporre la cristianizzazione ai sassoni.

Conquistò anche Baviera e Carinzia.


Man mano che il territorio soggetto al dominio diretto o all’influenza franca andava ampliandosi,
Carlo acquisiva consapevolezza del suo enorme potere, essendo egli protettore della Chiesa;
Carlo acquisiva un’ideologia del potere assimilabile a quella degli imperatori cristiani dell’antica
Roma.
Man mano che cresceva la sua potenza, Carlo vedeva poi attribuirsi dalla curia pontificia
prerogative e funzioni che erano proprie dell’imperatore bizantino.
Nello stesso tempo anch’egli mostrava di ispirarsi al modello imperiale romano, che lui identificava
con quello d’Oriente di Costanti
no, che cercò di imitare nelle sue azioni più significative. Sul modello della fondazione di
Costantinopoli, fondò perciò Aquisgrana (oggi Aachen, in Germania, sul confine ovest tedesco col
Belgio), ispirandosi ai modelli antichi anche nella disposizione e nella forma degli edifici.
Nonostante questo, però, Carlo continuava nei suoi atti ufficiali a chiamarsi coi titoli tradizionali di
“re dei Franchi, re dei Longobardi e patrizio dei Romani”. Questo sarebbe cambiato presto, però,
proprio all’inizio del IX secolo. Difatti durante la celebrazione liturgica del Natale, Leone III pose sul
capo di Carlo una corona e gli unse il capo. Questa incoronazione stava a significare l’inizio del
nuovo Impero Romano d’Occidente (di cui Carlo Magno possedeva buona parte degli antichi
territori) e sanciva la stretta compenetrazione e collaborazione tra Chiesa e Stato.
Molte fonti del tempo riportarono la notizia dell’evento (che ebbe una vasta eco nell’opinione
pubblica), e tutte ruotano intorno ad un quesito: fu un’improvvisazione del pontefice o una
cerimonia adeguatamente preparata insieme a Carlo? È chiaro che il re franco era già da tempo
pronto per la promozione ad imperatore e che le posizioni delle diverse fonti in merito dipendono
esclusivamente dalla volontà dell’autore di accentuare l’uno o l’altro ruolo. Ad esempio Eginardo,
biografo di Carlo Magno, fece ricadere la decisione sul papa, allo scopo di ricoprire d’onore Carlo;
la certezza, però, è che l’arbitro della situazione era Carlo e che Leone III non era in grado di
imporgli alcunché (al contrario di come voleva far credere Eginardo). Nello stesso tempo, però, con
l’atto dell’incoronazione il papa riaffermava la supremazia religiosa della Chiesa di Roma, l’unica
autorità capace di dare legittimità e quindi funzione sacrale a un potere, che ormai si imponeva a
gran parte della Cristianità occidentale. Per la promozione ad imperatore Carlo Magno avrebbe
potuto fare a meno del papa, se solo fosse stato in grado di ottenere quel titolo da Costantinopoli,
unica depositaria della tradizione imperiale dell’antica Roma; questo, però, era impossibile data la
scarsa reputazione di cui godevano a Bisanzio i sovrani dell’Occidente. [Ruoli: Carlo difesa dai
pagani, diffusione dottrina cattolica, difesa della chiesa; Papa: sola preghiera e assistenza divina
(non sarà ovviamente così)]. Anzi, appena ascese Niceforo al trono scoppiò un conflitto tra i due
imperi, che terminò solo nell’812 quando Michele I riconobbe a Carlo il titolo imperiale in cambio
della cessione di territori nell’Istria e nella Dalmazia e alla rinuncia di ogni pretesa su Venezia.
Carlo Magno attuò anche un’intensa attività legislativa: in campo economico cercò di migliorare la
gestione delle ville e di proteggere le popolazioni rurali e il ceto dei piccoli proprietari fondiari, che
costituivano ancora la base dell’esercito di popolo, dalla pressione della grande aristocrazia. Cercò
di fissare i prezzi con un capitolare del 794, ma non riuscì ad arginarne l’aumento (dei prezzi) dal
momento che non aveva i mezzi per far rispettare le sue decisioni; l’esiguo apparato
amministrativo era comunque formato da uomini provenienti da quella stessa classe sociale che i
provvedimenti regi si proponevano di colpire e con la quale ovviamente i funzionari pubblici erano
solidali.
Attuò anche riforme fiscali e monetarie: regolamentò la riscossione di dazi e pedaggi e coniò
monete d’argento statali (riportando sotto il controllo regio l’attività delle zecche private) vista la
scarsità d’oro e il valore dei commerci del tempo; divise così:
240 denari = 20 soldi = 1 libbra
La moneta circolante fu il denaro, anche se per i commerci di valore più alto il soldo rimaneva la
moneta di conto (non effettivamente coniata, così come la libbra).
Carlo Magno si occupò anche di chiese e monasteri, egli infatti si preoccupava di scegliere buoni
vescovi e abati, che garantivano un migliore funzionamento dell’apparato ecclesiastico e quindi di
quello carolingio. Ogni nuovo territorio conquistato subiva subito l’introduzione dei modelli
organizzativi della Chiesa Franca in province, diocesi e pievi (la pieve era al centro di una
circoscrizione territoriale civile e religiosa e da essa dipendevano altre chiese e cappelle). Per
riavvicinare poi i monasteri al loro ruolo originario (dato che si occupavano troppo del militare e del
pubblico) e rielevare il loro livello culturale, istituì scuole presso cattedrali e monasteri, con
insegnamento di arti del trivio (grammatica, retorica e dialettica), quadrivio (aritmetica, geometria,
musica e astronomia) e teologia, oltre alle norme che regolavano la vita di chiesa (impose la
Regola Benedettina a tutti i monasteri). Lui avrebbe voluto portare l’istruzione, attraversi i rettori
delle pievi, anche per i fanciulli nei territori rurali (istituire quindi scuole rurali), ma ciò non si
realizzò. Carlo Magno mise fine anche al particolarismo grafico, introducendo la nuova scrittura
carolina che, grazie alla sua leggibilità, ebbe grande diffusione in tutta Europa (molto vicina ai
caratteri odierni).
Egli nell’806 divise i suoi domini tra i tre figli: a Carlo la maggior parte della Francia e le conquiste
orientali e a Pipino l’Italia con la Baviera, a Ludovico (il Pio) l’Aquitania.

L’ORDINAMENTO PUBBLICO CAROLINGIO:


La compenetrazione tra Stato e Chiesa sotto la guida del potere politico andava al di là dell’ambito
ideologico, per tradursi in concreta azione di governo. Agli ecclesiastici si conferivano incarichi di
natura politica e il compito di fare da contrappeso al potere dei conti, e i funzionari pubblici
venivano incaricati di assistere i vescovi nelle loro funzioni religiose. Là dove non giunse a
costituire regni dotati di grande autonomia e affidati ai figli, come in Italia per esempio, Carlo mirò a
creare dei distretti (zona soggetta alla giurisdizione di un'autorità o di un organo amministrativo)
più o meno grandi a capo dei quali pose i conti, i quali avevano il compito della difesa e
dell’amministrazione della giustizia. Nelle zone di nuova conquista o di frontiera, distretti chiamati
marche (dove era necessario un maggiore impegno militare), pose i marchesi.
I duchi invece erano a capo di grandi distretti chiamati ducati che rappresentavano una forma di
riconoscimento d’identità nazionale a popoli non ancora perfettamente inseriti, come Bavaresi e
Bretoni.
Questi funzionari pubblici erano reclutati sul posto, ma nel caso fosse necessario un maggiore
controllo si attingeva ai vassalli diretti del re o alle famiglie in più stretto contatto con la corte
franca. Gli immigrati franchi si radicarono presto sul posto e cominciarono ad avere una base
patrimoniale più o meno grande. La loro opera era ricompensata con la carica e il feudo
assegnatogli, ma anche coi proventi di multe, confische e con il reddito prodotto dai beni terrieri.
Ciò costituiva il res de comitatu (la normale dotazione della carica) ai quali si aggiungevano le terre
che il conte, marchese o duca già deteneva in feudo o che riceveva successivamente
dall’imperatore (per assicurarsi maggiore fedeltà). Da qui scaturirono la patrimonializzazione dei
feudi e pure l’ereditarietà delle cariche pubbliche (considerate ereditarie insieme al feudo).
L’amministrazione dell’impero faceva capo al palazzo, termine che indicava sia la residenza del
sovrano e sia l’insieme dei funzionari e uomini di corte, che formavano il suo seguito. Tra questi
avevano un ruolo di primo piano tre ufficiali: l’arcicappellano, capo dei chierici del palazzo,
preposto agli affari di natura ecclesiastica; il cancelliere, anch’egli ecclesiastico, capo del
personale addetto alla redazione di lettere del re e testi legislativi; il conte, responsabile
dell’amministrazione della giustizia.
La corte non aveva sede fissa, ma si spostava da un luogo all’altro per consumare in loco le
risorse delle ville imperiali, che, vista l’assenza di una tassazione diretta, erano la fonte principale
di entrata per lo Stato.

VASSI DOMINICI:
Fedeli diretti del re (ordinamento pubblico carolingio) insediati all’interno dei distretti per controllare
l’operato di conti, marchesi e duchi.

MISSI DOMINICI:
Ispettori scelti dal re (carolingio), che ogni anno, a due a due (un laico e un ecclesiastico), avevano
il compito di visitare una determinata contea per controllare l’operato di funzionari laici ed
ecclesiastici e farne poi rapporto all’imperatore al ritorno.
LUDOVICO IL PIO (DOPO CARLO MAGNO):
La morte prematura dei fratelli Carlo e Pipino, gli fece raccogliere nell’814 l’intera eredità di Carlo
Magno (il padre), compreso il titolo imperiale. Egli accentuava molto il carattere sacro del potere
imperiale, perciò attuò una più stretta compenetrazione tra Stato e Chiesa.
Nel 817 emanò una costituzione (Ordinatio imperii) con la quale proclamò l’indivisibilità dell’impero
(risolvendo il problema della successione) che veniva quindi destinato al primogenito Lotario,
mentre agli altri due figli Pipino e Ludovico (detto poi il Germanico) assegnava territori periferici,
quali l’Aquitania con la marca spagnola al primo e la Baviera al secondo.

Non seppe attuare il proposito di non dividere ulteriormente il territorio dell’impero, né di tenere a
bada i figli minori, i quali si ribellarono ad egli. Per difendersi dai figli (Lotario e i fratelli) non trovò di
meglio che allargare la schiera dei suoi vassalli, moltiplicando le concessioni di benefici. Nel breve
termine funzionò, ma alla lunga si rivelò inefficace e impoverì il patrimonio del fisco, principale
fonte di reddito per la monarchia.
Al suo tempo alcuni vescovi (Agobardo di Lione e Giona di Orleans) enunciarono un nuovo
principio, gravido di conseguenze per il futuro: quando l’imperatore, per un qualsiasi motivo, non
era in grado di assolvere ai suoi compiti di garante della pace e della giustizia, spettava alla Chiesa
intervenire (sfruttando il poco potere di Ludovico).

LOTARIO e CONSTITUTIO ROMANA (con TRATTATO DI VERDUN):


Figlio di Ludovico il Pio a cui fu assegnata la Baviera, venne subito associato al governo e
mandato in Italia, dove nell’824 impose alla Sede pontificia la Constitutio Romana, con la quale
stabiliva che il papa, eletto dal clero e dal popolo romano, avrebbe dovuto prestare giuramento
all’imperatore prima di essere consacrato.
Si ribellò insieme ai fratelli al padre, incapace di tenere a bada l’impero e i suoi figli; questi si
difese, e alla sua morte si giunse allo scontro frontale tra Lotario e i fratelli Ludovico il Germanico e
Carlo il Calvo. Lotario fu sconfitto dai suoi due fratelli nell’842. Nell’843 fu costretto ad accettare il
trattato di Verdun, che sanciva la definitiva divisione dell’impero: a Carlo il Calvo la parte
occidentale (Neustria, Aquitania e marca spagnola), a Ludovico il Germanico la parte orientale
(Carinzia, Baviera, Alemannia, Turingia, Sassonia) e a Lotario la parte centrale (territorio che
dall’Italia centro-settentrionale, attraverso le attuali Provenza, Borgogna, Lorena e Olanda arrivava
al mare del Nord).

Lotario conservava il titolo imperiale e una teorica superiorità sui regni dei due fratelli, ma in realtà
al di fuori dei suoi domini non aveva alcun potere effettivo. La sua posizione era poi ulteriormente
indebolita dalla mancanza di omogeneità geografica, etnica e linguistica dei suoi territori, le cui
parti transalpine nel giro di un trentennio finirono con l’essere assorbite dai due regni vicini, che
divennero così confinanti. Morì nell’855 e gli succedette il figlio Ludovico II.

CARLO IL CALVO:
Era il quarto figlio di Ludovico il Pio, che succedette a Pipino dopo la sua morte e ne ereditò
l’Aquitania e la marca di Spagna. Alleatosi col fratello Ludovico il Germanico contro l’altro fratello
Lotario, lo sconfisse insieme a lui e nell’842 stipulò a Strasburgo un patto solenne, che faceva
promettere ad entrambi aiuto reciproco (alla presenza dei loro eserciti).
Con il trattato di Verdun che sanciva la definitiva divisione dell’impero, ne ricevette la parte
occidentale (Neustria, Aquitania e marca spagnola), mentre a Ludovico il Germanico andava la
parte orientale e a Lotario quella centrale. Con la morte di Ludovico II (succeduto a Lotario come
imperatore), Carlo conseguì, con il dominio dell’Italia, anche la corona imperiale.

CAPITOLARE DI QUIERZY:
Il Capitolare di Quierzy (o Capitolare di Kiersy) è un testo normativo promulgato il 14 giugno 877
nella città di Quierzy-sur-Oise da Carlo il Calvo che concesse, di fatto, il passaggio per eredità
delle cariche feudali maggiori. «Tuttavia non è corretto definirlo semplicemente come l'atto
legislativo che stabilì l'ereditarietà dei feudi maggiori: così dicono ancora oggi molti manuali
scolastici, ma nel farlo non prendono atto dei progressi di analisi compiuti dagli storici sul testo.
Leggendo con attenzione senza pregiudizi, ci accorgiamo che Carlo il Calvo prese un
provvedimento che riguardava situazioni eccezionali, cioè la partenza per una spedizione militare
del re con i suoi principali fedeli. Il Capitolare stabiliva che, se il vassallo regio moriva mentre era
lontano dalla sua sede, il suo feudo poteva provvisoriamente essere tenuto da suo figlio; quando il
re fosse tornato o fosse stato eletto un nuovo re, il feudo sarebbe stato definitivamente assegnato
all'erede attraverso una nuova investitura e quindi attraverso un rinnovato omaggio, un ulteriore
giuramento di fedeltà del nuovo vassus al re-senior».

CONSTITUTIO DE FEUDIS:
La Constitutio de feudis o Edictum de beneficiis regni Italici è un documento emanato
dall'imperatore del Sacro Romano Impero, Corrado II il Salico, il 28 maggio 1037 a Cremona, in
concomitanza con l'assedio di Milano. Il documento viene redatto allo scopo di smorzare le
ribellioni dei vassalli italiani dell'imperatore e va a regolare il diritto di successione feudale per i
feudi minori.
I feudatari minori possono ora venire giudicati da loro pari e far ereditare i loro possessi ai propri
figli, anche se donne o minori. Viene mantenuto un vincolo di tutela dei feudatari maggiori sui feudi
dei loro vassalli.

LUDOVICO IL GERMANICO:
Figlio di Ludovico il Pio, ricevette da lui la Baviera. Alleatosi col fratello Carlo il Calvo contro l’altro
fratello Lotario, lo sconfisse insieme a lui e nell’842 stipulò a Strasburgo un patto solenne, che
faceva promettere ad entrambi aiuto reciproco (alla presenza dei loro eserciti).
Con il trattato di Verdun che sanciva la definitiva divisione dell’impero, ne ricevette la parte
orientale (Carinzia, Baviera, Alemannia, Turingia, Sassonia), mentre a Carlo il Calvo andava quella
occidentale e a Lotario quella centrale.

LUDOVICO II:
Figlio di Lotario, succedette a lui come imperatore e fu impegnato a lungo in Italia contro i
Saraceni, ai quali tolse Bari nell’871. Alla sua morte nell’876, lo zio Carlo il Calvo conseguì, con il
dominio dell’Italia, anche il dominio imperiale.

CARLO IL GROSSO:
Figlio di Ludovico il Germanico che nell’884, grazie alla fine della discendenza diretta di Carlo il
Calvo, riunì di nuovo nelle sue mani tutta l’eredità di Carlo Magno.
Veniva così coronato il sogno degli uomini di Chiesa di vedere ripristinata l’autorità imperiale. Ma si
rivelò presto una restaurazione del tutto effimera, dato che già nell’877 l’imperatore, rivelatosi
impotente a fronteggiare le incursioni dei Normanni, fu costretto ad abdicare dagli intrighi della
grande aristocrazia (ormai arbitra del potere) e a ritirarsi in un monastero, dove morì l’anno dopo.
La parte orientale andò ad Arnolfo di Carinzia; in francia diventava re Oddone, distintosi nella
difesa di Parigi assediata dai Normanni; il regno d’Italia fu attribuito da un’assemblea di nobili a
Berengario, marchese del Friuli appartenente a una famiglia imparentata con i Carolingi.

IMMUNITA’ (ISTITUTO GIURIDICO):


Nel Medioevo indica il privilegio concesso da un sovrano, specialmente l’imperatore, a un
soggetto, spesso un vescovo o un abate, che, grazie a ciò, nel proprio territorio è esentato dal
rendere conto ai funzionari regi relativamente ad alcuni diritti pubblici di loro spettanza, come
l’imposizione fiscale o l’esercizio della giurisdizione. L’immunità fu per chi la ottenne un’importante
base per la costruzione di una signoria locale.

FEUDO OBLATO:
Terre, fortezze e giurisdizioni tenute in allodio che il proprietario donava a un signore, per riaverle
in feudo dopo aver prestato omaggio.
A cosa serviva? Il proprietario, diventando vassallo, si trovava ad avere delle terre non più in
proprietà piena, ma gravate di servizi a favore del signore. Era un danno lieve però, dal momento
che oramai il feudo era allodizzato e quindi trasmissibile agli eredi. I servizi erano limitati (Feudi
sine servitio e sine fidelitate) e, dopo l’aiuto militare (massimo di quaranta giorni), era il signore a
dover provvedere al mantenimento del vassallo e del suo seguito (e si legava a un signore
potente, quindi aveva protezione) (COMMENDATIO → Rapporto paritario di favori). Il signore si
creava un dominio territoriale più ampio e si imponeva anche lontano dalla sua locazione, così, pur
non affermando il dominio diretto su quel territorio riconosciuto come feudo del suo vassallo,
affermava su di esso la sua superiore autorità e creava le premesse per il futuro consolidamento
del suo potere.

PLURALITA’ DEGLI OMAGGI:


Caso in cui i vassalli dipendevano contemporaneamente da più signori (snaturato completamente
quindi l’originario rapporto feudale); la consuetudine dice che, in caso di guerra tra due propri
signori, si debba stare dalla parte di chi ha dato il feudo più grande. In origine invece il rapporto
feudale prevedeva che il vassallo avesse un solo signore.

FEUDO SINE SERVITIO O SINE FIDELITATE (DICI SINE SERVITIO NEL CASO):
Feudi per i quali i vassalli non dovevano il servizio militare. Alcuni vassalli erano esenti dal servizio
militare, man mano sostituito da una tassa in denaro. Il consilium nei confronti del signore si
riduceva a dargli prestigio e a non combatterlo; inoltre doveva prestargli, quando non esentato, un
non gravoso (40 giorni ad esempio) servizio militare o una tassa sostitutiva. Il rapporto feudale
perdeva così il suo carattere originale personale e militare, diventando uno strumento politico: il
signore creava un più vasto dominio territoriale e il vassallo si legava a un signore potente
(potendo poi aspirare a possedere altri feudi e guadagnare dal signore anche cariche pubbliche).
Si crea così un sistema piramidale feudale (società in cui la delega dei poteri procede dal vertice
verso il basso, fino a raggiungere, attraverso valvassori e valvassini, i ceti rurali). SECONDA ETA’
FEUDALE XI-XIII SECOLO

L’ORGANIZZAZIONE DELLE CURTES (IN PRATICA UNA SIGNORIA FEUDALE):


Curtes divise in pars dominica (parte del signore), gestita direttamente dal signore attraverso
amministratori di sua fiducia, e pars massaricia (parte dei coloni), vale a dire le terre date in
concessione a coloni liberi (ai quali il signore concedeva una parte delle terre, e a cui richiedeva
una piccola parte di raccolto (rispetto a quella richiesta ai suoi contadini) e un numero non alto di
giornate lavorative (due o tre volte al mese)).
I contadini, schiavi, non erano proprietari della terra che coltivavano, e spesso neanche di se stessi
(essendo di condizioni servili → soggezione personale dal signore); questi erano dotati di un pezzo
di terra e di una casa (manso), in modo che potessero provvedere al loro mantenimento e a quello
della loro famiglia; al padrone dovevano una parte del raccolto e un certo numero di giornate
lavorative, le prestazioni d’opera (due o tre alla settimana).
Gli schiavi rimasti nella casa del padrone vengono definiti prebendari (da praebenda, termine che
indicava il vitto loro fornito).
Il massaricio costituiva in genere circa i ⅔ della curtes, di cui solo ⅓ quindi era la pars dominica,
poiché l’estensione di quest’ultima era in rapporto al numero di prestazioni d’opera su cui era
possibile fare affidamento (per mantenerle c’era bisogno di qualcuno che vi facesse prestazioni
d’opera).
Il potere signorile era nato grazie alla scomparsa dei funzionari pubblici, dato che erano solo loro (i
signori) ad offrire quella protezione (difesa contro predoni e invasori, prestito dei sementi per la
semina, grano per far fronte ad una carestia e, rispetto al passato, grazie all’avvento del
messaggio cristiano, anche il diritto di avere una famiglia e possedere dei beni, nonostante
rimanessero comunque dei servi in condizioni di quasi schiavitù, dato che la Chiesa non era
arrivata a condannare la schiavitù) ai dipendenti e ai piccoli proprietari che i funzionari pubblici non
potevano più assicurare. Già nell’VIII secolo l’autorità del signore era riconosciuta formalmente con
la commendatio (affidarsi a qualcuno per averne protezione).

ECONOMIA CURTENSE:
A lungo gli storici hanno discusso sulla redditività dell’azienda curtense che, secondo
interpretazioni perlopiù abbandonate, sarebbe stata assai scarsa e avrebbe permesso la mera
sussistenza dei servi e dei coloni, garantendo un surplus, in ogni caso limitato, al solo signore
fondiario. In base a una più attenta lettura delle fonti oggi prevalgono analisi che mettono in risalto
il relativo dinamismo dell’economia curtense, la quale grazie alla sua articolazione in più unità
sarebbe stata in grado di produrre eccedenze che potevano essere rivendute, assieme ai prodotti
artigianali, in mercati locali posti nel dominicum o nei villaggi. L’azienda curtense, di conseguenza,
avrebbe dato un contributo importante al risveglio vissuto dall’economia di scambio a partire dal
secolo VIII, quando inizia una fase di crescita economica testimoniata anche dal costante aumento
demografico e dalla messa a coltura di nuove terre.
I prodotti spesso erano consumati nel posto dove erano prodotti, dato che parecchi proprietari
disponevano di più corti (nelle quali abitualmente si recavano per consumare quanto vi era stato
accumulato).

PRESTAZIONE D’OPERA:
Tipo di prestazione dovuta da parte del vassallo o schiavo al signore feudale tramite giornate di
lavoro gratuito, destinato alla coltivazione delle terre padronali.

MANSO:
Una terra coltivata da uno schiavo (in epoca merovingia).

POLITTICI:
Inventari dei beni dei grandi monasteri.

SIGNORIA BANNALE:
Signoria nella quale il signore, pur essendo sprovvisto di una formale delega da parte della
monarchia, esercitava poteri di natura pubblica, quali l’amministrazione della giustizia e la difesa
del territorio (in cambio di tasse in denaro), mediante la costruzione di fortezze e l’imposizione agli
abitanti di prestazioni di natura militare (IX-X secolo). Tutto ciò era dovuto al carattere rudimentale
dell’amministrazione pubblica carolingia (mascherata solo al tempo di Carlo Magno dal suo
carisma). Il disporre di un apparato militare permetteva inoltre al signore non solo di percepire
multe o ammende, ma di imporre ogni sorta di obblighi. Così la signoria di banno fu un importante
fattore di riassetto politico.
Riguardo i castelli/fortezze, il signore chiamava gli abitanti circostanti a costruirli, dal momento che
se ne sarebbero serviti anche loro, e per lo stesso motivo imponeva loro turni di guardia e servizi di
manutenzione. Le funzioni del signore erano limitate all’amministrazione della giustizia e alla difesa
di chiese e monasteri. Il signore si imponeva a regolare anche i problemi di natura giudiziaria degli
abitanti e, facendo sorgere nel castello anche una chiesa per l’assistenza religiosa di chi vi
risiedeva o vi si rifugiava in caso di pericolo, il territorio incastellato si conformava come un
organismo politico completo.
Il castello poteva essere o una fortezza al cui interno il signore viveva coi suoi familiari e presidiata
dai soldati (e in cui gli abitanti dei dintorni si rifugiavano in caso di necessità), o un villaggio,
preesistente, fortificato che veniva circondato di mura e fossato, all’interno del quale egli costruiva
una dimora fortificata. Cambiava così il popolamento della zona, dato che gli abitanti dei piccoli
agglomerati circostanti tendevano ad insediarsi all’ombra del castello, per essere più protetti.

GROVIGLIO DEI POTERI SIGNORILI:


Abitanti sottoposti a più signori, ognuno dei quali vuole metterli sotto la propria giurisdzione. Gli
abitanti avevano in affitto terre da signori diversi; da chi dovevano quindi dipendere? Secolo di
fuoco (X), qualche volta accordi, altre volte senza risoluzione pacifica.

BORGO FRANCO:
Nuovi centri abitati (nel nuovo millennio) dove i signori, per attirare i coloni sulle proprie terre e per
stimolarne l’impegno nel lavoro di bonifica e disboscamento, concedevano ai loro abitanti privilegi
di vario genere, come ad esempio esenzioni fiscali e garanzie di carattere giudiziaro, tra cui il
diritto di essere giudicati all’interno del borgo e da giudici espressi dalla comunità.

UNGARI (MAGIARI):
Popolo proveniente dalle steppe della Russia centrale che si stanziò nell’895-896 in Pannonia
(attuale Ungheria). Dalle nuove terre partivano ogni anno per compiere incursioni nell’Europa
Carolingia sia in direzione della Germania e della Francia, sia verso l’Italia dove nell’899
devastarono più volte le regioni centro-settentrionali, spingendosi nel 922 e nel 947 fino in
Campania e in Puglia. Le loro incursionI durarono fino alla metà del X secolo toccando anche
Spagna e Belgio. Le formazioni politiche nate dalla dissoluzione dell’impero carolingio si rivelarono
impotenti a garantire la difesa delle popolazioni, optando quindi di fermarli (gli ungari) con l’offerta
di grossi tributi in denaro, dirottandoli verso territori nemici. I monasteri ricchi di oggetti preziosi e i
centri abitati privi di adeguate difese subirono i maggiori danni; le città più grandi resistettero
meglio, dato che gli incursori (abilissimi cavalieri e arcieri) non erano attrezzati per un lungo
assedio.
Le loro scorrerie finirono grazie ad Ottone I (del regno di Germania riorganizzato sotto la nuova
dinastia sassone) che li sconfisse sulle sponde del fiume Lech presso Augusta il 10 Agosto 955, e
vi fu la loro conversione al Cristianesimo ad opera di missionari provenienti dalla Germania
(conversione sanzionata nel 1001 dalla concessione della corona regia al loro capo Stefano I da
papa Silvestro II).

SARACENI:
Saraceno è un termine utilizzato a partire dal II secolo d.C. sino a tutto il Medioevo per
indicare i popoli provenienti dalla penisola araba o, per estensione, di religione musulmana.
Dall'827 gli emiri aghlabidi di Qayrawan, nell'odierna Tunisia, iniziarono la conquista della Sicilia,
che fu ultimata nel 902.
L’esaurirsi della spinta offensiva musulmana dopo la conquista della Sicilia (da Siria e paesi lungo
tutta la costa nord dell’Africa) non significò la fine dei loro attacchi all’Occidente, che continuarono
sotto forma di razzie e incursione ad opera di bande armate, provenienti dall’Africa Settentrionale e
dalla Spagna, e in seguito anche dalla Sicilia e da Creta.
Ad esserne investita fu innanzitutto l’Italia, dove il pericolo dei Saraceni (come erano chiamati quei
predoni) rimase assai forte fino agli inizi dell’XI secolo. Questi costituirono emirati a Bari e Taranto,
facendone punti di partenza per incursioni in tutta Italia. Dove non riuscirono a stabilire
dominazioni territoriali ampie, crearono insediamenti fortificati detti ribat, da cui partivano per razzie
nei territori circostanti (ad Agropoli e alle foci del Garigliano e in Provenza a Saint Tropez). Qui
dall’899 e per oltre trent’anni restarono saldi nella loro base di Frassineto (sud-est Francia), da
dove partivano per rovinose incursioni in Provenza, Piemonte occidentale e Liguria. Nel 973 il
marchese di Torino e il conte di Provenza riuscirono a snidarli dal loro covo.
Derubarono Capua, Isernia e saccheggiarono la basilica di S. Pietro in Vaticano.
Oltre che di oggetti preziosi, i Saraceni andavano alla ricerca anche di giovani e di donne, che poi
rivendevano come schiavi sui mercati del mondo arabo.
Spesso l’unico modo per fermarli era versargli pesanti tributi in denaro, e così facevano
regolarmente varie città del sud Italia. All’inizio del nuovo millennio (con ad esempio la vittoria dei
bizantini nel 1004-1005 al largo di Bari e Reggio Calabria, con l’aiuto di navi veneziane e pisane;
prima quella di Napoli, Gaeta e Amalfi nell’846 e 849) l’Occidente cristiano stava ripartendo
all’attacco, ma i nuclei di pirati musulmani si mantennero in attività
comunque per tutto il XII secolo.

NORMANNI:
Riuniscono varie popolazioni dello Jutland e in parte della Scandinavia. I Normanni passarono a
occupare l'odierna Normandia (regione della Francia settentrionale che da essi prese il nome) a
partire dall'ultimo quarto del IX secolo. Nel 911, Carlo il Semplice, re di Francia, concesse agli
invasori una piccola porzione di territorio lungo il basso corso del fiume Senna, che andò poi
espandendosi, diventando il ducato di Normandia. I Normanni divennero agricoltori, fondendosi
con la popolazione locale della Neustria, adottarono la religione cristiana e la lingua galloromanza
(lingua d’Oil, MA MEGLIO NON MENZIONARLA CHÈ SI SFORA CON GLI ARGOMENTI), dando
così vita a una nuova identità culturale, diversa sia da quella degli scandinavi sia da quella dei
franchi. Dopo una o due generazioni, erano divenuti pressoché indistinguibili dai vicini francesi.
Nell'XI secolo la posizione degli invasori in Normandia era ormai consolidata. Via via (sia in
Normandia sia in Inghilterra) assimilarono anche il sistema feudale francese.
Mentre in Inghilterra giunsero da esercito di conquistatori, in Italia non giunsero come tali, ma a
piccoli gruppi e con la speranza di farvi fortuna, mettendo la loro abilità militare al servizio delle
formazioni politiche locali, in perenne lotta tra loro. Il loro insediamento fu favoreggiato dal
particolarismo politico del sud, dove i ducati di Napoli, Gaeta, Sorrento e Amalfi erano solo
nominalmente dipendenti da Bisanzio, ma praticamente autonomi.
Ricevendo territori (come Aversa) in feudo in cambio di appoggi militari, cingendo d’assedio luoghi
come Capua e conquistandoli allargarono i propri domini in italia.
Sconfitta con Umfredo d’Altavilla come condottiero (anche duca di Puglia e Calabria) la coalizione
antinormanna di Leone IX (nel 1053 a Civitate in Puglia), quest’ultimo riconobbe, per essere
liberato dalla prigionia, le conquiste dei normanni in cambio del loro appoggio politico e militare.
Furono tra i protagonisti delle crociate.

LEONE IX (1049-1054) E IL MOVIMENTO RIFORMISTA DELLA CHIESA:


Papa che sosteneva che per una vera riforma della Chiesa (XI secolo) servisse eliminare
l’ingerenza dei laici nell’elezione di vescovi, papi, abati. Difatti pur essendo stato designato
al trono dall’imperatore (Enrico III) volle essere eletto regolarmente dal clero e dal popolo di Roma.
Leone IX cominciò col riunire intorno a sé da ogni parte d’Europa i maggiori esponenti del
movimento riformatore (Pier Damiani, l’abate Ugo di Cluny e altri). Con la loro collaborazione
organizzò concili, in cui fu ribadita la condanna a simonia e concubinato e cominciò ad essere
elaborata la teoria del primato del papa sulla Chiesa universale (che elaborò per primo Gregorio
Magno in altri tempi). Una battuta d’arresto alla sua attività riformista fu data dai Normanni, coi
quali si scontrò mettendosi a capo di un esercito nel 1053 nel Sud Italia.
Rimase loro prigioniero per quasi un anno, fin quando non si convinse dell’importanza di un buon
rapporto con loro e riconobbe le loro conquiste in cambio della promessa di appoggio politico e
militare. Cresceva l’ostilità di vescovi che non volevano piegarsi alle nuove direttive imperiali di
Enrico III (che perseguiva una politica moralizzatrice nei confronti della Chiesa, contro vescovi non
più affidabili e che facevano scandalo tra i fedeli; Enrico III cercò perciò un collegamento con gli
avversari degli ecclesiastici a lui poco graditi), i quali si andavano orientando verso una divisione
tra papato e impero.
Nel 1056 Enrico III morì e ci fu campo per i riformisti di mettere a punto la propria strategia.
C’erano due schieramenti all’interno del movimento riformatore: il primo cercava un’assoluta
indipendenza dall’impero, nonché una condanna più decisa della simonia, che avrebbe dovuto
comportare, oltre alla deposizione dei vescovi simoniaci, anche l’annullamento di tutti i loro atti.
Dall’altra parte c’era chi, come Pier Damiani, sosteneva che i sacramenti erano validi
indipendentemente dalla qualità morale di chi li aveva amministrati; il problema qui era anche
pratico: alcuni sacramenti non potevano essere impartiti due volte e inoltre l’annullamento di questi
avrebbe portato un forte sconvolgimento nella vita dei credenti. Egli era poi convinto della
necessità di conservare quell’unione inscindibile tra papato e impero.
Quindi nel 1059 furono varate modifiche per le procedure dell’elezione papale, che fu
sostanzialmente riservata al collegio dei cardinali, riducendo a un fatto puramente formale
l’intervento finale di clero e popolo romano. Fu rinnovato l’obbligo del celibato per gli ecclesiastici e
fu proibito loro di ricevere chiese dai laici, anche a titolo gratuito. Nel 1060 e 1061, nei successivi
concili, si risolse anche il problema della simonia: i vescovi simoniaci furono deposti, ma le
ordinanze da loro compiute fino a quel momento furono ritenute valide.

SIMONIA:
Nella religione cattolica, il peccato di chi pratica il commercio di beni spirituali (p.e. indulgenze,
assoluzione dei peccati) o di beni temporali a essi inerenti (p.e. cariche o benefici ecclesiastici)

CONCUBINATO:
Condizione di uomo che vive in stato coniugale con una donna senza essere con lei sposato,
quindi violazione del celibato ecclesiastico.

PIER DAMIANI:
Fondò eremi sull’Appennino (dove uno o più eremiti si ritirano escludendosi volontariamente dalla
società, per condurre una vita di preghiera e ascesi) e fu uno dei protagonisti del movimento
riformatore della Chiesa.
GREGORIO VII ED ENRICO IV:
Enrico IV, uscito di minorità nel 1066, si rese subito conto delle conseguenze che i recenti
provvedimenti adottati dal papato avrebbero avuto sul piano politico, privandolo del controllo delle
sedi vescovili e delle grandi abbazie, indispensabile per controbilanciare la potenza
dell’aristocrazia laica. Intanto sul trono pontificio saliva Gregorio VII, uomo di punta dello
schieramento riformatore. Dotato di forte personalità e di una concezione altissima della dignità
papale, rivendicò il primato romano, ovvero la suprema autorità del papa su tutta la società
Cristiana. Gregorio VII nelle sue lettere identificava <<l’assoluta obbedienza a Dio con quella
dovuta a lui in quanto papa, cioè successore dell’apostolo Pietro.>>
Ne scaturì un rimescolamento delle forze in campo: dalla parte dell’imperatore si schierarono non
solo i vescovi ostili alla riforma, ma ora anche quelli semplicemente contrari alla concezione
gregoriana del primato papale (che avrebbe limitato essi).
Difatti già nel 1075, in un testo noto come Dictatus Papae, il pontefice riteneva la sua giurisdizione
estesa anche all’ambito temporale, attribuendosi la facoltà di deporre non solo i vescovi, ma anche
l’imperatore. Ciò presupponeva una monarchia universale papale, che Enrico IV non poteva
accettare; da qui nacque la celeberrima “Lotta per le investiture”.

LOTTA PER LE INVESTITURE:


Nel 1074, ribadita la condanna di simonia e concubinato, Gregorio VII vietò ai laici, pena la
scomunica, di concedere l’investitura di vescovati e abbazie, e agli arcivescovi, pena la
deposizione, di consacrare chiunque fosse stato investito dai laici. Enrico IV, domata una rivolta di
grandi feudatari tedeschi che lo accusavano di favorire la piccola nobiltà e le città, convocò una
dieta (assemblea) nel 1076 a Worms, con nobili ed ecclesiastici. Col consenso di molti vescovi
tedeschi e lombardi depose e fece scomunicare Gregorio VII. A sua volta Gregorio VII scomunicò
tutti i vescovi presenti alla dieta ed anche l’imperatore, sciogliendo i sudditi dal dovere di fedeltà.
Il provvedimento del papato dava legittimità all’opposizione dell’aristocrazia tedesca, che infatti
riesplose più forte di prima; i rivoltosi imposero ad Enrico IV di sottoporsi al giudizio del papa,
convocando per il gennaio 1077 una dieta ad Augusta. Gregorio si mise in marcia per raggiungere
la città tedesca, ma si fermò nel castello di Canossa ospite della contessa Matilde, in attesa
dell’arrivo della scorta promessagli dai principi tedeschi, senza la quale non avrebbe mai
attraversato la Lombardia, il cui episcopato era a lui ostile.
Enrico, però, ritenendo troppo umiliante il giudizio papale in una pubblica assemblea, lasciò in
segreto la Germania e si presentò a Canossa per implorare l’assoluzione dalla scomunica.
Il papa non cedette, se non dopo tre giorni in cui l’imperatore attese a piedi nudi in mezzo alla neve
con abito da penitente, concedendogli il perdono.
Enrico IV, una volta spezzato il fronte dei suoi oppositori tedeschi (che avevano provato ad
eleggere Rodolfo di Svevia, che però non riuscì ad imporsi), si volse contro il papa, che nel 1080
gli rinnovò la scomunica. Enrico IV, nello stesso anno, fece nuovamente deporre Gregorio VII ed
elesse l’antipapa Clemente III.
(Approfittando che Roberto il Guiscardo, duca di Puglia e Calabria, normanno, alleato del papa era
impegnato nei balcani) Enrico IV scese in Italia, si diresse verso Roma e la raggiunse il 21 maggio
1081, dopo aver sbaragliato le truppe della contessa Matilde; la città fu presa nel 1084, mentre
Gregorio si asserragliava in Castel Sant’Angelo. Qualche giorno dopo Enrico fece consacrare
Clemente III, dal quale fu incoronato imperatore; Gregorio VII morì il 25 maggio 1085. (Tutto era
cambiato: ora l’impero, messosi in contrasto con la Chiesa, era destinato a perdere la sua funzione
religiosa e a cercare una nuova legittimità sul piano giuridico).

ORDINI MENDICANTI:
Gli ordini mendicanti, sorti tra il XII ed il XIII secolo in seno alla Chiesa cattolica, sono quegli
ordini religiosi ai quali la regola primitiva imponeva l'emissione di un voto di povertà che implicava
la rinuncia ad ogni proprietà non solo per gli individui, ma anche per i conventi, e che traevano
sostentamento unicamente dalla raccolta delle elemosine

FRANCESCO D’ASSISI E L’ORDINE DEI FRATI MENDICANTI:


La “Fraternità di penitenti di Assisi” fu un gruppo che si formò intorno a Francesco (1182-1226),
figlio di un mercante di Assisi che, dopo la giovinezza, rinunciò alle ricchezze paterne per vivere in
povertà secondo l’insegnamento di Cristo e predicare il Vangelo con l’esempio. Ai suoi seguaci, in
segno di umiltà, diede il nome di frati minori (il termine minores nei testi dell’epoca indicava le
classi sociali più basse).
Era una rottura rispetto agli ordini religiosi abituati ad avere in possesso estesi beni fondiari e
poteri di natura signorile. I frati minori, invece, dovevano condividere la sorte dei più poveri e
conformarsi completamente al modello di Cristo, “che non aveva dove poggiare il capo”.
Per procurarsi da vivere, Francesco e i suoi compagni, che non avevano dimore fisse, lavoravano
con le loro mani e ricorrevano alla mendicità (il mendicare) nei casi di necessità.
In ogni caso non avrebbero dovuto detenere alcunché, neanche piccole provviste, perché qualsiasi
forma di appropriazione li avrebbe esposti al peccato di avarizia e alla violenza (per difenderli).
Uno stile di vita così radicalmente nuovo, che offriva un’immagine di esperienza cristiana molto
diversa da quella Chiesa del tempo, suscitò una forte diffidenza da parte delle gerarchie
ecclesiastiche; tale diffidenza fu superata per la totale obbedienza che Francesco e i suoi seguaci
professarono sempre nei confronti dell’autorità della Chiesa e per la scelta del papato che ad un
certo punto decise di dare spazio agli ordini religiosi che ne riconoscevano il magistero (anzi li
utilizzò anche nella lotta contro gli eretici).
Quando i francescani cominciarono ad essere affiancati ai domenicani nei tribunali
dell’inquisizione, essi venivano ad assumere compiti non conformi al tipo di testimonianza cristiana
auspicata da Francesco di Assisi; e infatti tra i suoi seguaci erano emerse delle tensioni quando
egli era ancora vivo. Il rapido sviluppo dell’ordine nei paesi d’oltralpe, dal clima più rigido, aveva
comportato la stabilizzazione dei frati in edifici di tipo conventuale e ben presto anche l’afflusso di
donazioni in beni immobili. Inoltre, entrarono nell’ordine anche chierici e intellettuali (tra i quali
maestri di diritto e teologia → utili per la lotta all’eresia) che ne cambiarono la fisionomia,
assumendo nel volgere di pochi anni la guida dell’ordine. Francesco non era ostile alla cultura, ma
la riteneva incompatibile con l’ideale di povertà, essendo convinto che ogni sapere implicasse pur
sempre un potere (le sue prime comunità non erano colte).
Dopo la morte e canonizzazione di Francesco (avvenuta ad opera di Gregorio IX nel 1228, due
anni dopo la sua morte), Gregorio IX negava valore normativo al Testamento col quale alla fine
dell’estate del 1226, poco prima di morire, Francesco aveva riproposto i caratteri originari (povertà,
semplicità, instabilità) dell’esperienza sua e dei suoi compagni. E inoltre (Gregorio IX) risolveva il
problema della disponibilità che ormai l’ordine aveva di case, chiese e conventi, stabilendo che ne
avesse soltanto l’uso, mentre la proprietà era della Chiesa romana; si trattava, in sostanza, di un
artificio giuridico, che però formalmente salvaguardava la diversità dell’ordine rispetto alla
tradizione monastica.
Dopo, negli anni, l’entrata di frati-sacerdoti (al posto dei frati-laici, come erano alle origini) e la
conseguente clericalizzazione dell’ordine (i nuovi membri dovevano essere già chierici) e l’elezione
di un frate minore a vescovo di Milano, venne riletta in funzione del nuovo assetto dell’ordine (che
ora era designato anche alle confessione, per esempio) anche l’esperienza religiosa di Francesco,
al punto che nel 1266 si decise la distruzione sistematica di tutte le testimonianze che non
coincidevano con la nuova biografia di Francesco, Legenda Maior (scritta da Bonaventura, capo
dell’ordine in quel periodo), approvata a Pisa nel 1263.
L’intenzione era quella di mettere fine una volta per tutte ai contrasti interni, che traevano alimento
dal ricordo di quella che era stata la testimonianza cristiana di Francesco e dei suoi primi
compagni, ma l’obiettivo non fu raggiunto, anzi riesplose più aspro che mai il dibattito sul binomio
povertà-ricchezza. Venne a crearsi una spaccatura tra francescani spirituali (che intendevano
restare fedeli alle intenzioni originarie dell’ordine, quindi alla scelta della povertà assoluta) e i
francescani conventuali (che ritenevano indispensabile adattare la Regola di San Francesco alle
nuove dimensioni dell’ordine e ai compiti che lo attendevano).
Fu una lotta assai dura, nella quale intervenne il papato perseguitando le frange più estremiste
degli spirituali.
C’è da dire che però, nonostante i contrasti al loro interno, i frati minori seppero realizzare una
presenza capillare in tutti gli ambienti sociali, fissando le loro sedi nei centri abitati che svolgevano
la funzione di poli di aggregazione di territori più o meno ampi. Essi non fuggivano il mondo, ma
cercavano l’uomo dovunque egli fosse e qualunque fosse la sua condizione, con una preferenza
spiccata per gli emarginati, tra cui i lebbrosi (allora largamente presenti in Italia ed Europa).
Acquistarono un prestigio enorme che li fece diventare il punto di riferimento anche dei ceti
dirigenti cittadini, che affidarono loro incarichi di controllo dell’operato dei pubblici ufficiali,
ambascerie importanti, ruoli di notai, giuristi, esperti di finanza al servizio dei Comuni.

DOMENICANI o ORDINE DEI FRATI PREDICATORI:


L'ordine sorse agli inizi del XIII secolo in Linguadoca a opera dello spagnolo Domenico di Guzmán;
rinunciarono a ogni forma di possesso e ricchezza, vivendo sulla base delle elemosine e delle
offerte dei fedeli. I domenicani si caratterizzavano per la loro preparazione teologica, avendo scelto
come principale campo di impegno la lotta contro gli eretici, da condurre sia con l’esempio della
loro vita sia con la predicazione. Nel 1216 Onorio III approvò solennemente la loro regola (la loro
forma di vita).
Dopo la nascita dei tribunali dell’inquisizione i giudici vennero infatti scelti proprio tra i domenicani.

LOTTA AGLI ERETICI:


Nel 1231 il papato impresse un’importante svolta alla lotta contro gli eretici, creando in ogni diocesi
il tribunale dell’inquisizione dipendente direttamente da Roma.
I giudici inquisitori venivano scelti tra i domenicani, ai quali presto furono affiancati i francescani.

MAGISTERO DELLA CHIESA CATTOLICA:


Con il termine magistero della Chiesa, la Chiesa cattolica indica il proprio insegnamento, con il
quale ella conserva e trasmette attraverso i secoli il deposito della fede, ovvero la dottrina rivelata
agli apostoli da Gesù.
CONVENTO:
Il convento è il luogo che ospita una comunità di un ordine mendicante.
MONASTERO:
Nel cristianesimo un "monastero" è un edificio comune dove vive una comunità di monaci sotto
l'autorità di un abate.
ABBAZIA:
Particolare tipo di monastero autonomo (staccata da ogni diocesi) di canonici regolari o monaci,
governata da un abate che ne ha piena giurisdizione.
ABATE:
Titolo spettante al superiore di una comunità monastica (di dodici o più monaci, secondo la regola
benedettina).

CENOBITISMO:
Forma comunitaria di monachesimo, praticata in monasteri (cenobi) sotto una guida spirituale
secondo una disciplina fissata da una regola: meditazione della Bibbia, preghiera, lavoro, vestiario
e regime alimentare, tutto regolato.
Il cenobitismo fu fondato da San Pacomio nel IV secolo e diffuso in Occidente anche grazie a San
Benedetto da Norcia.

BASILIO:
Vescovo di Cesarea in Cappadocia (attuale Turchia); non fondò un ordine basiliano vero e proprio,
ma promosse la fondazione di monasteri sia in luoghi appartati che in città. A essi indirizzò le sue
Regole; non un codice di leggi, ma una serie di indicazioni, tra le quali spiccava una figura di
grande importanza: l’abate, al quale Basilio assegna il compito di promuovere il bene della
comunità.

CRISI DELL’ORDINAMENTO ECCLESIASTICO:


Nel IX-X secolo l’ordinamento ecclesiastico non riusciva a funzionare, privato del sostegno
dell’impero in crisi e per i papi, vescovi e abati che erano di basso livello culturale e morale, scelti
troppo spesso dai laici, che trascuravano i loro compiti pastorali e sottraevano beni alle chiese
incorporandoli nel patrimonio delle loro famiglie o dandoli in feudo ai propri vassalli (per avere
seguiti armati).
Erano diffusi i fenomeni di simonia e concubinato, così i preti con figli illegittimi trasmettevano loro
funzioni e beni, terre in feudo e chiese minori.

CLUNY, IL MONASTERO DI CLUNY E LA RIFORMA DEI MONASTERI:


Nell’ambito dei monasteri, luogo ancora di grande caratura teologica (e formato dai monaci, i primi
rivoluzionari del mondo ecclesiastico), si manifestarono i primi segni di rinnovamento.
Nel corso del X° secolo furono sperimentate nuove forme di vita monastica e moduli organizzativi,
capaci di garantire ai monaci minori condizionamenti dall’esterno.
Il più importante e celebre fu il Monastero di Cluny, primo esempio organizzativo di ordine
religioso. Come già detto, i vescovi utilizzavano troppo spesso i beni monasteriali per il
mantenimento delle loro clientele armate e i monaci erano privi di difesa contro le pressioni esterne
sia dei vescovi che dei laici. Ora si sperimentava una formula nuova, di tipo centralistico: più
monasteri sotto la guida di un solo abate, quello di Cluny, che reggeva le comunità locali
attraverso dei priori, garantendo così una maggiore uniformità di governo e, soprattutto,
una maggiore forza di resistenza dai condizionamenti esterni.
Il prestigio dell’abate cluniacense era rafforzato inoltre dall’immunità di cui fu presto dotata
l’abbazia per sottrarla all’ingerenza dei funzionari pubblici, e dalla dipendenza diretta dal papato (e
non dai vescovi).
L’equilibrio tra lavoro e preghiera, già cambiato nel corso del tempo (appannagio della preghiera),
coi cluniacensi fu rivoluzionato: il lavoro manuale scomparve dalle occupazioni dei monaci (per
essere affidato solo a servi e coloni).
Vennero introdotti la lettura giornaliera di un certo numero di salmi, solenni funzioni liturgiche,
nuovi culti di santi e riti di suffragio (Nella teologia cattolica, applicazione di preghiere, indulgenze,
opere buone alle anime del Purgatorio) per i defunti, consistenti non soltanto in preghiere, ma
anche nella distribuzione di pasti ai poveri; pratica, quest’ultima, destinata a raggiungere
dimensioni enormi (circa tremila pasti al giorno) e a contribuire fortemente al dissesto finanziario
dell’abbazia.
Il prestigio di Cluny crebbe sempre di più, così da ogni parte giungevano appelli ai suoi abati
perché promuovessero la riforma di monasteri caduti, e tanti altri riformatori si ispirarono al suo
modello (altri riformatori operarono in forma autonoma).

IL NUOVO EREMITISMO E I NUOVI ORDINI RELIGIOSI:


L’eremitismo era una forma di vita religiosa che implicava il totale distaccamento dalla società, e
intorno al Mille, come reazione alla crisi delle istituzioni ecclesiastiche, si rilanciò, come
espressione di una religiosità più vicina alla povertà del vangelo, lontana dal modello cluniacense
caratterizzato dalla grandiosità degli edifici e dei riti sacri (e dalla disponibilità di grandi risorse
economiche, anche se usate per opere di carità).
All’inizio si trattò come in origine di eremiti isolati o viventi l’uno accanto all’altro ma in posti
appartati, dove spesso però la quiete non durava a lungo dal momento che la loro religiosità
attirava tanti fedeli, bisognosi di assistenza spirituale.
Ordini di tipo eremitico nati nell’XI secolo sono quelli di Pier Damiani sugli Appennini, dei Certosini
e dei Cistercensi.
Tutti questi nuovi ordini ben presto però, grazie al loro successo che aveva procurato loro grandi
ricchezze e potenza, si snaturarono, dovendo dedicarsi al carattere amministrativo e gestionale.

ORDINI RELIGIOSI:
Società ecclesiastiche legittimamente erette o approvate dalla competente autorità (Santa Sede);
organizzati con delle regole interne.

CERTOSINI:
Ordine fondato presso Grenoble alla fine del XI secolo (da Bruno di Colonia). I monasteri certosini
sono le certose, grandi complessi edilizi formati da celle (dotate ognuna di un piccolo giardino) in
cui i certosini vivevano da soli per la maggior parte della giornata, e da edifici per la preghiera
comunitaria.

CISTERCENSI:
Nato in Francia a Citeaux, sul finire del XI secolo.
L’obiettivo loro non era solo quello di soddisfare il desiderio di solitudine e di una religiosità più
intima, ma anche di recuperare lo spirito originario della Regola Benedettina e quindi l’ideale
evangelico della povertà, in polemica sempre più aperta coi cluniacensi.
I cistercensi si insediarono, pertanto, in luoghi incolti e paludosi che essi misero a coltura (nella
grande opera di dissodamento del periodo di rinascita demografica dell’XI secolo) per procurarsi
da vivere con il lavoro delle proprie mani. Vollero inoltre rimanere sottomessi ai vescovi, rifiutando
l’esenzione di tipo cluniacense, per cui i vescovi ne favorirono la diffusione all’interno delle loro
diocesi.
Così come gli altri ordini si snaturarono, finendo per ricorrere anch’essi all’esenzione (come i
cluniacensi tanto criticati). Le grandi ricchezze e poteri gestionali non valsero però a ridare loro
slancio, lasciando il campo all’affermazione di nuovi ordini religiosi: gli ordini mendicanti.

COMUNITA’ CANONICALI:
Forme di vita comune del clero, sviluppatesi all'inizio del II millennio, che per lo più vivono sotto la
regola di sant'Agostino, con voti solenni di povertà, obbedienza e castità. Il termine indicava i
chierici che assistevano il vescovo nella sua azione pastorale, che avrebbero dovuto vivere in
comune sotto la regola di sant’Agostino. Quelle norme però non furono mai attuate a pieno e
furono ben presto dimenticate; l’attività riformatrice, allo scopo di ripristinare la vita comune, si
concretizzò tra X e XI secolo. Quelle che sembravano iniziative isolate diventarono sempre più
numerose e si può perciò parlare di canoniche regolari.

CANONICHE REGOLARI:
Comunità di chierici rette da regole più o meno rigorose, tra cui quella di sant’Agostino. Esse non
sono da confondere con le comunità monastiche. I monaci infatti erano dediti all’attività
contemplativa e spesso non erano chierici. I canonici regolari erano invece comunità di chierici che
vivevano in comune per imitare gli apostoli e prepararsi al meglio, attraverso lo studio e la
preghiera, all’esercizio del ministero sacerdotale.

URBANO II:
Molto appoggiato dai vescovi (anche dai tedeschi e lombardi, che solitamente stavano con
l’imperatore), poiché episcopalista: frenò il fenomeno delle esenzioni monastiche e promosse la
fondazione di canoniche regolari, che avrebbero dovuto aiutare i vescovi nella cura delle anime.
Nel concilio di Clermont-Ferrand condannò le lotte fraticide e invitò a un pellegrinaggio. Fu un
invito alla crociata? “Vedi approfondimento”
Nel 1096 fece pressione per l’inizio della prima crociata, preoccupato dalle partenze indiscriminate
di pellegrini fanatici (Crociata dei poveri) che minacciavano di sconvolgere l’ordine sociale e si
sottraevano ad ogni controllo politico ed ecclesiastico.
Al suo appello rispose il fior fiore della feudalità specialmente dalla Francia, ma anche dalla Bassa
Lorena, da Tolosa, dalla Fiandra, da Taranto, dalla Normandia.

CONCILIO DI CLERMONT FERRAND:


Il papa Urbano II, dopo aver deplorato le lotte fraticide tra i cristiani, esortò chi vi era stato coinvolto
a intraprendere un pellegrinaggio in terrasanta come mezzo di purificazione dei peccati e come
occasione per recare aiuto alla chiesa orientale, minacciata dagli infedeli (è possibile che i cronisti,
i quali scrissero tutti già alcuni anni dopo la conquista di Gerusalemme, conoscendo quindi già lo
sviluppo degli eventi, caricarono di significato un semplice invito al pellegrinaggio) → la società
nell’XI secolo era pervasa da un forte slancio espansivo: la popolazione era in aumento, nuove
terre venivano messe a coltura, i mercanti, soprattutto italiani, contendevano ai mussulmani il
controllo del commercio, le famiglie aristocratiche erano alla ricerca di nuovi territori da conquistare
dove stanziarsi; il sentimento e l’ottimismo religioso erano poi fortissimi, con predicatori itineranti
che per fiere e luoghi di pellegrinaggio preannunciavano un’imminente rigenerazione del mondo.
Per desiderio di espiazione dei peccati e spirito di avventura aumentava poi il numero di pellegrini.
I MOTIVI DIETRO LA CROCIATA:
La società nell’XI secolo era pervasa da un forte slancio espansivo: la popolazione era in aumento,
nuove terre venivano messe a coltura, i mercanti, soprattutto italiani, contendevano ai mussulmani
il controllo del commercio, le famiglie aristocratiche erano alla ricerca di nuovi territori da
conquistare dove stanziarsi; il sentimento e l’ottimismo religioso erano poi fortissimi, con
predicatori itineranti che per fiere e luoghi di pellegrinaggio preannunciavano un’imminente
rigenerazione del mondo. Per desiderio di espiazione dei peccati e spirito di avventura aumentava
poi il numero di pellegrini. La religione permeava la vita dell’uomo in una maniera che noi non
riusciamo a cogliere; i cavalieri francesi, fiamminghi, italiani che si diressero in Terrasanta erano
mossi non solo da spirito d’avventura, ma anche da entusiasmo religioso.

LA CROCIATA DEI POVERI:


Promossa nel 1095 dal predicatore itinerante Pietro di Amiens. Ne furono protagonisti gruppi
numerosi di poveri ed emarginati che, male armati e privi di ogni organizzazione, si misero in
viaggio verso l’Oriente attraverso le valli del Reno e del Danubio. Saccheggiarono e massacrarono
ebrei, suscitando la violenta reazione di vescovi e signori locali. Quelli che sopravvissero alla fatica
del viaggio furono massacrati dai turchi. Pietro di Amiens fu uno dei pochi a salvarsi.

PRIMA CROCIATA:
I vari contingenti armati, che si mossero chi per mare chi attraverso i Balcani, si concentrarono a
Costantinopoli. L’imperatore Comneno fornì ai crociati viveri e armi, ottenendo in cambio la
restituzione dei territori appartenuti in precedenza all’impero e il riconoscimento della sua superiore
autorità sulle formazioni politiche eventualmente nate dalla vittoria dei Franchi (come in Oriente
erano chiamati gli occidentali).
La spedizione si mosse nel giugno del 1097 e procedette in mezzo a gravi difficoltà. La stagione
non era la più propizia per un esercito armato in maniera inadeguata per il clima di quelle regioni,
oltre che impreparato ad affrontare un nemico che si spostava velocemente e faceva largo uso di
arcieri e cavaliere armati alla leggera. Inoltre c’erano odi e rivalità interne all’esercito, tra conti,
duchi e principi. Ciò nonostante il 15 luglio del 1099, dopo cinque settimane di assedio, si giunse
alla conquista di Gerusalemme, che fu accompagnata dal massacro quasi totale della popolazione
musulmana ed ebraica.
La presa di Gerusalemme fu tanto più sorprendente se si considera che i crociati erano a digiuno
di arte degli assedi e che le loro fila si andavano assottigliando man mano, dal momento che i capi
dei vari contingenti dell’esercito preferivano fermarsi e stabilire un loro dominio su centri importanti,
piuttosto che andare avanti con gli altri.
Il primo fu Baldovino di Fiandra che si fece conte di Edessa; poi Boemondo di Taranto si fece
principe di Antiochia. Teoricamente essi erano vassalli di Goffredo di Buglione, a cui fu assegnato
il Regno di Gerusalemme. L’anno dopo morì e gli successe il fratello Baldovino, il quale avviò
un’energica azione di consolidamento del regno: conquistò il resto del litorale, rese le strade per i
pellegrini più sicure e fondò il suo potere sui cavalieri rimasti e che avevano ottenuto feudi dal
sovrano. I legami feudali non valsero a mettere d’accordo la classe dominante, che non riuscì a
superare le rivalità interne.
(RICORDA DI CITARE QUESTA SITUAZIONE QUANDO PARLERAI DI VENEZIA E CITT À
MARINARE)

CONCORDATO DI WORMS:
Il concordato di Worms (Germania) fu un patto stipulato il 23 settembre del 1122 fra Enrico V e il
papa Callisto II. Il concordato rappresentò una soluzione condivisa al problema dell'investitura dei
vescovi. In base ai termini dell'accordo l'imperatore rinunciava al diritto di investire i vescovi
dell'anello e del bastone pastorale, simboli del loro potere spirituale, riconoscendo solo al
Pontefice tale funzione, e concedeva che in tutto l'impero l'elezione dei vescovi fosse celebrata
secondo i canoni e che la loro consacrazione fosse libera.
Il papa, a sua volta, riconosceva all'imperatore il diritto, in Germania, di essere presente alle
elezioni episcopali, purché compiute senza simonia né violenza (e anzi come garante del diritto e
sostenitore del vescovo metropolitano), e di investire i prescelti dei loro diritti laici (cioè i diritti
feudali). Inoltre, sempre e soltanto in Germania, l'investitura feudale precedeva quella episcopale,
con un divario massimo di sei mesi. In Italia e in Borgogna, invece, la consacrazione episcopale
precedeva quella feudale.

CONCILIO LATERANENSE DEL 1123 (CONVOCATO DA CALLISTO II):


Primo concilio ecumenico (universale), tenutosi a Roma immediatamente dopo il Concordato di
Worms, circa 300 vescovi e abati di tutto l’occidente (l’ultimo concilio ecumenico si era svolto a
Costantinopoli, 869-870, ma non lo citare) → ribadita solennemente la condanna a simonia e
concubinato, oltre che la totale esclusione dei laici da ogni ingerenza nel funzionamento degli
organismi ecclesiastici, e tregua di dio (guerra vietata nei giorni di sabato e domenica e durante
inverno e primavera). [La tregua di dio puoi ovviamente non citarla]

SECONDA CROCIATA:
Il successo dei crociati fu reso possibile anche dalle lacerazioni esistenti all’interno del mondo
musulmano. Quando agli inizi del XII secolo, però, grazie all’intraprendenza dell’emiro Imad al-Din
Zinki, il mondo musulmano fu in grado di esercitare una grande pressione sugli Stati crociati,
politicamente e militarmente impreparati a resistere, la situazione cambiò: cadde per prima Edessa
(1144) e in Occidente la notizia destò preoccupazione. Bernardo da Chiaravalle, uomo di punta del
monachesimo cistercense, organizzò una nuova crociata, mobilitando i sovrani più potenti
dell’Occidente: l’imperatore tedesco Corrado III, il re di Francia Luigi VII e il re di Sicilia Ruggero II.
L’iniziativa fu però un completo fallimento, perché ognuno perseguiva propri obiettivi, al punto che
Ruggero II preferì concentrarsi negli attacchi a Bisanzio nei suoi domini del Peloponneso. Si
giunse alla fine ad un coordinamento tra i vari corpi di spedizione, ma arrivarono ripetute sconfitte.

TERZA CROCIATA:
Qualche decennio dopo la seconda crociata arrivò la piena riscossa musulmana, ad opera di un
curdo di nome Salah ed-Din Yusuf, noto in Occidente come il Saladino. Il 4 luglio del 1177
sconfisse i Franchi ad Hattin e il 2 Ottobre entrò trionfante in Gerusalemme. La gravità dell’evento
provocò in Occidente una mobilitazione ancora più grande che in precedenza, così scesero in
campo l’imperatore Federico Barbarossa, il re d’Inghilterra Riccardo Cuor di Leone e il re di
Francia Filippo Augusto. Il Barbarossa perse la vita nel 1190, annegando mentre attraversava il
fiume Salef. Gli altri due continuarono l’impresa; i risultati li conseguì Riccardo, che riuscì a
recuperare San Giovani d’Acri (oggi Akko in Israele) e a strappare ai bizantini l’isola di Cirpo.
Gerusalemme restava in mano ai musulmani.

QUARTA CROCIATA E FONDAZIONE DELL’IMPERO LATINO D’ORIENTE:


Il Saladino era defunto e in seguito alla sua scomparsa l’impero musulmano era frantumato in varie
formazioni politiche in lotta tra di loro. Ciò in Occidente lo si era capito e Innocenzo III si fece
promotore di una grande crociata, col duplice obiettivo di ridare Gerusalemme ai Cristiani e di
ricondurre la Chiesa d’Oriente sotto la sovranità pontificia.
I crociati si radunarono a Venezia (in conflitto con l’impero Bizantino, perché la sua posizione
economica nei confronti di questo era schiacciante) nel 1202 per raggiungere l’Oriente via mare,
ma erano privi dei mezzi necessari per pagare il noleggio delle navi. Il doge Enrico Dandolo offrì
allora il trasporto gratuito delle truppe a patto che si facesse tappa a Zara, per aiutare i veneziani a
riprendere possesso della città, che si era data al re d’Ungheria (Venezia l’aveva posseduta, ma
poi l’Ungheria l’aveva presa). Dopo aver assediato e conquistato Zara per Venezia, il doge riuscì a
convincere i capi crociati ad un altro cambio di programma per puntare direttamente alla conquista
di Costantinopoli; c’era di mezzo anche Alessio, pretendente al trono imperiale, che prometteva
lauti compensi, partecipazione alla crociata e riunificazione delle due Chiese sotto egemonia
papale.
I crociati allettati da tali proposte si impadronirono di Costantinopoli (che era in crisi, vulnerabile)
nel 1203 e misero sul trono Alessio, il quale però non fu capace di smorzare la forte ostilità della
popolazione contro gli occidentali e la Chiesa di Roma. Il risultato fu che i crociati presero
possesso della città, che fu orrendamente saccheggiata nell’aprile del 1204.
I conquistatori procedettero alla fondazione dell’impero latino d’Oriente e alla sua spartizione. ¼
andò a Baldovino di Fiandra, insieme al titolo imperiale. Degli altri ¾ la metà toccò a Venezia,
mentre la parte restante fu divisa in vari domini, assegnati in feudo ai capi dei contingenti armati
che avevano partecipato all’impresa.

LA FINE DELL’IMPERO LATINO D’ORIENTE:


L’impero latino d’Oriente si rivelò subito una costruzione politica debole, soprattutto a causa della
popolazione, i cui sentimenti anti-occidentali e anti-romani non facevano che crescere.
Naufragò la speranza di Innocenzo III di riunire le due Chiese: il nuovo patriarca di Costantinopoli,
Tommaso Morosini, non era in grado di esercitare alcuna influenza né sul clero né sul popolo dei
fedeli.
Genovesi e pisani rivolevano la situazione pre-crociata, dal momento che Venezia aveva acquisito
un ruolo troppo predominante. Nel 1261 Genova aiutò Michele Paleologo, signore di Nicea, a
salire al trono dandogli appoggio militare in cambio dei privilegi commerciali che l’imperatore
bizantino poi gli concedette.

QUINTA CROCIATA:
Bandita da Innocenzo III poco prima di morire (morto nel 1216) nel 1215.
La spedizione partì nel 1217 guidata dal re Andrea d’Ungheria, nel 1221 si era però già conclusa.

SESTA CROCIATA:
Due spedizioni guidate da Luigi IX, l’ultimo esponente del movimento crociato, l’ultimo a credere
nella validità dell’ideale della crociata; la prima, iniziata nel 1248, si concluse nel 1254 con la
cattura sua e del suo esercito, liberati solo dopo il pagamento di un lauto riscatto. La seconda finì
tragicamente nel 1270 prima di iniziare, perché l’esercito e lo stesso Luigi IX (morto) fu falcidiato
dalla peste a Tunisi (dove si era radunato).
Tra la quinta e la sesta crociata ci fu anche quella particolare di Federico II.

XII SECOLO - LA NASCITA DELLE UNIVERSITÀ:


Inizialmente una sorta di corporazioni di studenti e professori, difatti si perseguiva la tutela degli
associati in due maniere: la prima era di ricevere il riconoscimento dell’autorità civile ed
ecclesiastica, con la concessione di privilegi giuridici ed economici. Vista la resistenza, più volte
studenti e professori minacciarono di abbandonare le città (con conseguente danno economico,
dovuto ad esempio alle mancate entrate di alloggi e osterie); la seconda era quella di fissare un
programma di studi, i compensi da corrispondere ai professori e le modalità per sostenere gli
esami e conseguire la laurea, ovvero la licenza di insegnamento.
Le facoltà erano quattro: quella delle Arti (dove erano insegnate le arti del trivio - grammatica,
retorica e dialettica - e le arti del quadrivio - aritmetica, geometria, musica e astronomia), quella di
Diritto, quella di Medicina e quella di Teologia (non presente dappertutto perché i papi ne volevano
l’egemonia di Parigi).
Nulla si sa delle lauree conseguite prima della Costituzione di Melfi (Federico II, 1231; in base a
questa il candidato, dopo aver superato a Salerno un esame pubblico, si sarebbe dovuto
presentare all’imperatore o a un suo rappresentare per avere la licenza), ma già erano attive sedi
(come quella Medica di Salerno, considerata la prima università dell’Europa medievale) dove i
professori scrivevano testi (tradotti dall’arabo al latino) per lo studio dei propri studenti.
Si assiste alla diffusione, tra XI e XII, di opere in volgare, grazie allo sviluppo di mercanti e notai,
ad un aumento degli alfabetizzati e alla conseguente immissione sul mercato di opere a costo
basso, create appositamente per gli studenti con spazi ai bordi per le annotazioni (sviluppo quindi
anche di librai ed editori). Alcuni studenti dopo aver conseguito la laurea diventavano maestri, molti
si inserivano nell’apparato ecclesiastico o pubblico.
UNIVERSITÀ MEDIEVALI DI MAGGIOR RILIEVO: Università Medica di Salerno, di Diritto di
Bologna, di Teologia e Filosofia di Parigi e Oxford. Con Federico II, a Napoli, la prima Università
statale.

FEDERICO II (STUPOR MUNDI):


Viene messo, all’età di quattro anni, sotto la tutela di Innocenzo III (dalla mamma). Già re di Sicilia
(incoronato da Papa Innocenzo III nel 1198), dopo la scomunica di Ottone di Brunswick gli viene
data la corona imperiale nel 1215 (all’età di 20 anni). Nel 1212, dopo un viaggio in cui aveva
rischiato più volte di perdere la vita a causa dei sostenitori italiani e tedeschi di Ottone (i vescovi e
principi ecclesiastici lo aiutarono militarmente e contribuirono a orientare verso di lui l’animo dei
tedeschi), era stato incoronato dall’arcivescovo di Magonza re di Germania. L’aiuto della Chiesa
non era stato disinteressato e perciò lui dovette emanare, il 12 luglio 1213, la Bolla d’oro di Eger,
con la quale rinunciò ai diritti che il concordato di Worms nel 1122 aveva riconosciuto al potere
imperiale in tema di elezioni di vescovi e abati. Fece condurre il figlio Enrico (futuro Enrico VII) in
Germania, al quale nell’aprile del 1220 fu conferito a Francoforte il titolo di Re dei Romani
(premessa di quello imperiale); così si assicurò già un erede al trono, mostrando chiaramente di
voler introdurre anche nella carica imperiale il principio dell’ereditarietà. Con la promessa fatta ad
Onorio III di partire alla riconquista di Gerusalemme con una nuova crociata, questi gli fece la
concessione straordinaria di mantenere l’unione delle due corone (concessione non trasmissibile
agli eredi, formalmente); fra le acclamazioni viene nuovamente incoronato in San Pietro il 22
novembre 1220. Si trasferì quindi nel mezzogiorno, dove trovò una situazione difficile: il regno era
in balia dei comandanti militari tedeschi, giunti al seguito di Enrico VI; feudatari e comunità
cittadine, sfruttando la debolezza della monarchia, avevano espanso i loro domini e le loro
autonomie. Federico II decise quindi di ristabilire subito i poteri regi che erano stati usurpati negli
ultimi trent’anni: nel dicembre 1220 (dieta di Capua) fece abbattere i castelli costruiti
abusivamente, annullare le più avanzate autonomie cittadine e riesaminare tutti i privilegi concessi
dal 1189 in poi nel breve periodo di governo di Sicilia di Ottone di Brunswick. Ci fu ovviamente la
resistenza dei baroni, che però in due anni di astute lotte il sovrano superò: prima mise i piccoli
feudatari contro i grandi, per poi sbarazzarsi anche di loro al momento opportuno. Affrontò poi il
problema dei saraceni in Sicilia, che si erano impadroniti di varie zone interne all’isola, sottraendosi
al controllo della monarchia; dopo averli sconfitti in numerose campagne protrattesi dal 1222 al
1224, li deportò a Lucera in Puglia, permettendo loro di vivere secondo le loro usanze e
professando liberamente la loro religione (musulmana). Questo inconsueto atto di tolleranza non
mancò di suscitare indignazione nell’Europa Cristiana, ma fu una scelta che si rivelò assai felice
dato che i saraceni gli fornirono le guardie del corpo e, insieme alle truppe tedesche, costituirono
l’elemento principale del suo esercito.
Federico II, poi, facilitò gli scambi, costruì porti e migliorò la sicurezza delle strade; volendo
migliorare l’apparato burocratico-amministrativo fondò inoltre nel 1224 la prima Università statale
dell’Occidente, quella di Napoli, concedendo facilitazioni di vario genere agli studenti che vi
studiavano e contemporaneamente vietando ai suoi sudditi di recarsi a studiare a Bologna o
altrove. Federico II puntava però ad esercitare concretamente il suo potere imperiale anche in
Italia centro-settentrionale (dove i comuni si erano sviluppati in assoluta autonomia sfruttando una
grande crisi). Indisse, pertanto, una dieta a Cremona nel 1226, dove si sarebbe dovuto discutere
del ripristino del potere imperiale, della lotta all’eresia e della preparazione della crociata, per cui
Onorio III insisteva. Le città lombarde, preoccupate, ricostituirono sotto la guida di Milano la Lega
Lombarda, appellandosi al pontefice che intanto stava perdendo la pazienza a causa dei continui
rinvii della crociata. L’imperatore, non sentendosi pronto militarmente per la guerra, si ritirò e fece
ritorno al Sud.
ANCHE GRANDI CARATTERISTICHE LETTERARIE E CULTURALI IN FEDERICO II, CON LA
FAMOSA SCUOLA POETICA SICILIANA.
Il nuovo papa Gregorio IX, appena salito in carica, impose subito con gran fermezza di partire per
la crociata. Federico II eseguì, ma a Brindisi (il punto di imbarco), nel caldo d’Agosto, scoppiò
un’epidemia; Federico II, anch’egli colpito da questa, tornò a Pozzuoli per curarsi. Il papa però non
gli credette e lo scomunicò (29 settembre 1227). Nonostante la scomunica, Federico II ripartì nel
giugno dell’anno dopo e il 7 settembre sbarcò ad Acri.
Conoscendo perfettamente l’arabo ed avendo buoni rapporti col sultano Malik al-Kamil, giunse
subito ad un’intesa e il 18 febbraio 1229 alla stipulazione di un trattato che stabiliva che
Gerusalemme veniva restituita ai cristiani in cambio dello smantellamento di tutte le fortificazioni
del luogo. Gregorio IX trovò scandalosi i buoni rapporti stabiliti da Federico II con gli infedeli e
bandì una crociata contro di lui: dopo aver sconfitto, al ritorno in Italia, l’esercito crociato, Federico
II raggiunse finalmente un compromesso con Gregorio IX, sancito dalla pace di Ceprano nel luglio
1230. L’imperatore fu prosciolto dalla scomunica, ma dovette rinunciare ad ogni forma di controllo
sull’elezione dei vescovi e riconoscere al clero meridionale piena immunità giudiziaria e fiscale, per
cui i membri del clero non erano sottoposti ai tribunali statali ed erano esentati dal pagamento delle
imposte.
Federico II potenziò la difesa del regno, costruendo una rete di castelli e vietando
contemporaneamente ai feudatari di dotarsi di fortezze (perseguendo quindi ogni forma di
abusivismo). In Germania invece la sua politica era diversa: lì largheggiava di concessioni a favore
dei principi, di cui voleva guadagnarsi i favori per avere mano libera in Italia.
Nel 1237, forte del suo esercito formato da tedeschi, saraceni ed altre truppe fornite dai signori di
grandi comuni, ritenne di poter finalmente imporre la sua volontà alla Lega Lombarda; nel 1238, a
Bergamo, infatti le inflisse una grande sconfitta. L’errore però fu quello di imporre condizioni di
pace troppo dure, che sortirono l’effetto di spingere Milano e le altre città (Bologna, Faenza,
Piacenza, Brescia ed Alessandria) a una resistenza ad oltranza, queste appoggiate anche dal
papa Gregorio IX che era irritato dalla continua ingerenza dell’imperatore nell’elezione dei vescovi
meridionali (nonostante gli accordi) e dal suo non aver riconosciutogli i diritti di sovranità che egli
rivendicava sulla Sardegna, dove Federico II aveva conferito al figlio naturale Enzo la corona. Il
papa diede inizio ad una intensissima attività diplomatica con la quale mise fine alle divisioni
esistenti tra i potenziali nemici dell’imperatore che coalizzò tutti contro di lui, lanciò una seconda
scomunica a Federico II e sciolse i sudditi dall’obbligo di fedeltà. Gli ultimi anni di vita di Federico II
furono terribili: schiacciato sul piano politico e militare, si appellò ai sovrani europei, facendo leva
sulla pericolosità delle libertà comunali e delle pretese papali sul piano politico; non furono appelli
inascoltati, se anche un sovrano devoto come Luigi IX richiamò alla moderazione, ma tutto ciò non
servì a nulla. Il Papa lanciò contro di lui una campagna diffamatoria, definendolo l’AntiCristo e
scatenando contro di lui francescani e domenicani che oramai avevano una grande influenza sul
popolo.
Rivolte e congiure scoppiavano in Germania e Sud Italia, e molti comuni del nord abbandonarono il
partito ghibellino per passare a quello guelfo. Negli ultimi anni subì continue sconfitte e perdite
politiche (a Parma ad esempio) e il figlio Enzo fu anche fatto prigioniero, finendo i suoi giorni nelle
carceri di Bologna. Il 13 dicembre 1250 morì all’età di 56 a Castel Fiorentino, presso Lucera.
CITAZIONE (NON NOMINARLA TU, ALTRIMENTI TI CHIEDEREBBE DI MANFREDI E
CORRADO IV): Il figlio Manfredi, futuro re di Sicilia, in una lettera indirizzata al fratello
Corrado IV citava tali parole: "Il sole del mondo si è addormentato, lui che brillava sui
popoli, il sole dei giusti, l'asilo della pace".

ONORIO III (in concomitanza con FEDERICO II):


Papa col pensiero fisso della conquista di Gerusalemme.

INNOCENZO III:
Egli, salito nel 1198, si dichiarava vicario di Gesù Cristo e non di San Pietro, e spiegava così la
supremazia del potere spirituale su quello politico: come la luna brilla della luce riflessa del sole,
così il potere regio deriva dall’autorità papale lo splendore della propria dignità e quanto più è con
essa a contatto, di tanto maggior luce si adorna, e quanto più ne è distante, tanto meno acquista
splendore.
Dopo il fallimento della quarta crociata e prima della quinta, Innocenzo III aveva indetto quella
contro i “cattivi cristiani (mali christiani”) peggiori degli stessi Saraceni”, perché mentre i Saraceni
strappavano ai cristiani la sola Terrasanta, gli eretici minacciavano l’intera comunità cristiana. Si
concentrò in particolare contro i catari, gli eretici che con la loro capillare organizzazione
impensierivano le autorità ecclesiastiche. Erano autonomi anche politicamente (nella
contea di Tolosa) e andavano fermati: dopo l’uccisione da parte dei catari di un legato papale il
pontefice indusse contro di loro una crociata alla quale accorsero molti cavalieri ed esponenti della
feudalità, soprattutto dal nord della Francia. L’intervento di Innocenzo III diede la possibilità alla
monarchia francese, il cui potere era limitato solo a Parigi e zone strettamente limitrofe, di
riespandere il suo dominio e controllo diretto alla Francia meridionale. Nonostante gli inviti papali
alla moderazione, stragi e saccheggi furono non meno orrendi di quelli della crociata a
Gerusalemme e coinvolsero anche i “buoni cristiani”, come al tempo le fonti chiamavano i non
catari.
Il pontefice con questa crociata rivendicava il diritto di indicare volta per volta i nemici più pericolosi
per la fede: prima i Catari, poi i Saraceni e di lì a poco anche i semplici nemici politici.
INNOCENZO III (STORIA DI FEDERICO II VISTA DAL PUNTO DI VISTA DI INNOCENZO III):
Morto prematuramente Enrico VI nel 1197 a Messina, gli succedette l'ancora infante Federico II
(come Federico I di Sicilia); per lui, come reggente, governò la madre Costanza e alla sua morte
(1198) Papa Innocenzo III. Principale preoccupazione del Pontefice fu quella di mantenere distinti
Impero e Regno di Sicilia, per questo affidò il giovane re ad un consiglio di reggenza,
riconoscendogli la successione al trono siciliano, mentre in Germania sostenne Ottone IV di
Brunswick, candidato guelfo contrapposto a Filippo di Svevia, zio di Federico.

OTTONE IV DI BRUNSWICK:
Contestatore di Federico II (Federico lo definì “re dei preti”); fu l’unico imperatore di fazione guelfa,
ma venne scomunicato e deposto da Innocenzo III per cedere la corona a Federico II. Ottone IV
era stato eletto dal papa, ma si era dimostrato poco docile e aveva cercato di impadronirsi
addirittura del regno di sicilia.

FILIPPO DI SVEVIA:
Fratello di Enrico VI, defunto, e zio di Federico II (allora appena quindicenne), puntava al trono
imperiale. Gli venne preferito Ottone IV di Brunswick perché il papa aveva timore delle sue
eventuali pretese sul regno di sicilia.

ORDINI MONASTICO-MILITARI:
Ordini che, oltre ai classici compiti dei monaci, combattevano contro gli infedeli a difesa di
pellegrini ed oppressi nel Regno di Gerusalemme conquistato.

LE CITTA’ MARINARE:
Decisamente proiettate verso il futuro per quanto concerne il ruolo economico e la dinamica
politico-sociale sono già nell’XI secolo le tre città marinare centro-settentrionali: Venezia, Genova e
Pisa.
Venezia cominciò a formarsi nel VI e VII secolo, in seguito al trasferimento nella laguna di abitanti
di città del Veneto che fuggivano dalle invasioni dei Longobardi. A lungo contesa tra i due imperi,
rimase alla fine nell’orbita politica di Bisanzio, configurandosi però ben presto come realtà
sostanzialmente autonoma.
Nel IX secolo Venezia disponeva ormai di una flotta da guerra, con la quale nell’867 bloccò a
Taranto delle navi saracene che volevano risalire l’Adriatico. Già allora i suoi mercanti avevano
contatti con Grecia, Sicilia, Tunisia, Egitto e si apprestavano a battere la concorrenza degli
Amalfitani sul Bosforo e nel mare Egeo. Facevano concorrenza anche ad altri mercanti (di
Comacchio) partecipando ai mercati nella Pianura Padana (Pavia e Cremona) dove portavano
prodotti orientali e sale.
La posizione di forza di Venezia nel Mediterraneo orientale fu sancita dalla Bolla d’oro del 1082,
con la quale i suoi mercanti ottennero dall’imperatore Alessio Comneno (imperatore bizantino), in
cambio dell’aiuto militare contro i Normanni, piena libertà di commerciare in tutte le città
dell’impero.
Sul Tirreno si appuntavano le mire anche di Pisa e Genova che nel 1016 cacciarono insieme i
pirati Saraceni dalla Sardegna, che passò sotto il controllo di Pisa. I pisani compirono molte
incursioni in Sicilia e Tunisia, i Genovesi contro le città islamiche della Spagna meridionale.
I commerci aumentavano e man mano le tre città marinare presero predominanza assoluta rispetto
ad amalfitani, gaetani, baresi e altri mercanti meridionali.
Questo predominio venne ulteriormente consolidato con la prima crociata del 1097-1099 che
consentì alle tre città marinare di stabilire loro colonie nelle città della Siria e della Palestina
conquistate dai cristiani (i veneziani, già inseriti nell’ambito commerciale orientale, inizialmente
ebbero qualche diffidenza, inserendosi poi una volta formati gli stati crociati; in ogni caso Pisa,
Genova (le prime due avevano contribuito anche alla spedizione, i genovesi costruirono macchine
belliche per l’assedio di Gerusalemme) e Venezia vennero tutte e tre favorite con privilegi
commerciali di ogni genere). Questa crociata non fu promossa però dagli altri mercanti italiani, che
a un attacco così massiccio al mondo musulmano avrebbero preferito quella microconflittualità che
non pregiudicava i rapporti commerciali.
Dopo la fase delle crociate dell’XI secolo, nel Tirreno la concorrenza diventò sempre più aspra. Nel
1137 Pisa eliminò Amalfi dalla contesa saccheggiandola duramente, ma in seguito alla battaglia
della Meloria del 1284 dovette cedere definitivamente il campo a Genova, che poteva così
concentrarsi sul confronto diretto con Venezia.

CITTÀ ANTICA E CITTÀ MEDIEVALE:


Le città romane non erano circondate da mura, separate dal territorio circostante, ma unite ad
esso. Il centro urbano aveva più che altro funzioni amministrative, politiche e commerciali di cui si
avvalevano residenti e abitanti della civitas (l'assieme dei cittadini di una località, anche fuori dalla
urbs, centro urbano vero e proprio). La campagna era organizzata in centurie, un reticolo razionale
di campi di forma geometrica. Tra essa e il nucleo urbano v’era una ampia zona intermedia (il
suburbio) in cui sorgevano impianti artigianali, necropoli, ville lussuose, anfiteatri ed altri edifici
urbani.
La città medievale invece era molto diversa; tra VI e VIII secolo l’Occidente subiva una grave
decadenza e le città scomparivano, diminuivano d’estensione ed erano fortemente degradate. Si
costruivano cinta murarie per la difesa e gli abitanti tendevano a spostarsi in quelle località in cui la
difesa era più facile. Scomparì, oltre alle città, anche quella fitta rete di villaggi, e la rete viaria
appariva rovinata: aveva perduto il manto di selciato e rimaneva nel fango e nella polvere.
L’abbandono della rete viaria (già deteriorata nel IV secolo) dipese anche dalla riduzione degli
scambi commerciali; questa venne quindi ristrutturandosi intorno ai nuovi centri di aggregazione
Lo spopolamento delle città era legato al calo demografico, dovuto a devastazioni e guerre, grandi
epidemie di peste, vaiolo, tubercolosi, malaria, dovute al calo delle difese immunitarie, legato a sua
volta al peggioramento del regime alimentare.
La centralità ora spettava alla campagna e al mondo rurale; il livello della produttività fu assai
basso, a causa del carattere rudimentale degli attrezzi agricoli e alla perdita di buona parte di
quelle conoscenze tecniche che erano state acquisite in età romana.
Di qui una tendenza all’autoconsumo. Alcuni storici hanno individuato un modello organizzativo
dell’agricoltura (diversificata per soddisfare i bisogni alimentari delle famiglie contadine) ben
preciso: a ridosso del villaggio una fascia di terre intensamente coltivate a orti e vigneti (dove si
impiegava il poco concime prodotto dagli animali domestici); subito al di là di essa un’ampia zona
coltivata a cereali; infine la fascia di prati, boschi ed incolto, ugualmente accessibile a tutti per il
pascolo, la pesca, la caccia e la raccolta di legna e frutti spontanei. Scarsità delle piogge in area
mediterranea e scarsità generale di concime, compensata dal sovescio (interramento di parte delle
piante) e dal debbio (incendio delle stoppie); l’unica tecnica che consentiva di non impoverire
troppo il terreno era quella del maggese, ovvero il riposo del terreno dopo ogni raccolto. Il riposo
era di un anno (rotazione biennale), quindi in un anno veniva coltivato un terreno e tenuto a riposo
l’altro e l’anno dopo viceversa.
Le sedi vescovili avevano conservato, nonostante anche lì ci fosse stato un calo demografico, una
certa importanza e capacità di aggregrazione, dato che gli abitanti delle zone limitrofe vi si
dovevano recare per ricevere i sacramenti, tra i quali il battesimo.

TRIBUNALE DELL’INQUISIZIONE:
L'inquisizione comminava solo pene spirituali (scomunicava), ma spesso a seguito di processi
inquisitori veniva applicata la pena di morte da parte del potere secolare.
Chi si presentava all'inquisitore entro il termine previsto dall'editto di grazia veniva in genere
condannato a un pellegrinaggio.
Per chi invece arrivava al processo si profilavano due strade diverse:
1. Se confessava durante gli interrogatori, veniva perdonato e gli si infliggevano
penitenze, in genere recite di preghiere per un certo periodo di tempo, pellegrinaggi,
offerte per i poveri. Un'altra punizione tipica era portare signa super vestem (cioè
dei simboli di stoffa cuciti sopra i vestiti): gli eretici mitre e rose gialle, i sacrileghi
delle ostie, i falsi accusatori due lingue di panno rosso, simbolo della doppiezza.
2. Quando invece l'eretico persisteva nella sua posizione, allora l'inquisitore dichiarava
la propria incapacità e lo affidava ai giudici dei tribunali civili.
In questo caso la condanna poteva essere la privazione della libertà per un certo periodo di tempo,
la fustigazione pubblica, la confisca dei beni o, nei casi più gravi, la pena di morte.

RIPRESA DELLA SOCIET À DOPO IL MILLE:


Agli inizi del nuovo millennio la popolazione europea, dopo il calo dei secoli III-VI e la stagnazione
di quelli seguenti, era in crescita. Ampliamento delle terre messe a coltura attraverso impegnative
opere di dissodamento (riduzione a coltura di un terreno mai coltivato in precedenza),
disboscamento e bonifica. Probabile aumento della durata della vita. Fondazione di nuovi villaggi, i
quali erano così numerosi che non ci possono essere dubbi che alla base del fenomeno ci fosse
un aumento della popolazione.
Ci furono probabilmente un insieme di fattori a determinare questa ripresa: miglioramento del clima
e delle tecniche di coltivazione (aratro pesante, nuovi collari per buoi che li facevano ora respirare
liberamente; incremento dello sfruttamento delle miniere di ferro e quindi calo dei prezzi e più
aratri, asce e seghe per il disboscamento; rotazione triennale, con divisione del campo in tre e non
in due parti come nella rotazione biennale; rotazione triennale: frumento/orzo e legumi/terra a
riposo), quindi dell’alimentazione con produzione diversificata grazie alla rotazione triennale;
periodi di pace più frequenti che aumentavano gli scambi. Non è facile capire se ci fu un calo della
mortalità (riduzione malattie infettive grazie ad una alimentazione più varia e ricca di vitamine), un
aumento della natalità o entrambi.
Numerose sono le fonti relative all’impegno dei signori laici nella valorizzazione di zone
completamente disabitate, nelle quali essi cercavano di attirare coloni sia per valorizzarle che per
aumentare il numero di uomini soggetti alla loro giurisdizione.
Per queste opere di colonizzazione gruppi consistenti di contadini abbandonavano le loro terre di
origine e davano vita a nuovi villaggi. I documenti chiamano i nuovi centri abitati villenuove o
borghi franchi (con esenzioni fiscali e altri privilegi, per attirarvi coloni).
Un ruolo assai importante nell’espansione dello spazio coltivato ebbero anche i nuovi ordini
monastici fondati nel XII secolo, i cistercensi e i certosini. Essi cercarono la solitudine e la povertà,
rifugiandosi nel cuore della foresta e in territori spopolati dove erano costretti a provvedere
direttamente al proprio sostentamento.
Nuove dimore in legno furono costruite per i contadini nelle aree che venivano colonizzate, che
venivano poi di solito smontate alla fine della locazione (in area salernitana ad esempio, già nel X-
XI secolo).
Queste opere di colonizzazione furono attuate sia in terreni incolti dell’Italia (ma in zone comunque
più o meno popolate), sia in zone scarsamente popolate perché piene di acquitrini, come nei Paesi
Bassi.
Altrove, come in Toscana, vi fu una riorganizzazione dell’attività produttiva, per cui si accorpavano
più terre in una azienda agraria. I poderi, così chiamati, rappresentarono il superamento della
dispersione di terre tipica del Medioevo.
In Inghilterra, Germania, Paesi Bassi, Francia Settentrionale rotazione triennale, campi aperti e
aratro pesante; in Francia Meridionale, Italia, Spagna, Grecia rotazione biennale, aratro leggero,
campi non di rado chiusi.
Quando non fu più possibile procedere in questa direzione, perché ormai erano stati utilizzati
anche terreni poco adatti alla coltivazione, le carestie aumentarono diventando un vero e proprio
flagello nel 1300 (Crisi del 1300’).
Ciò che impedì all’agricoltura del XI-XII secolo di conseguire risultati migliori furono la scarsità di
concime, perché gli animali erano allevati non in stalle e recinti bensì allo stato brado; inoltre
l’incrementazione di coltivazioni di cereali toglieva spazio agli animali, che quindi non producevano
residui organici (concime). Un vero e proprio circolo vizioso.
Già nel corso del X secolo e anche dopo il ruolo dei vescovi nelle città andò ben presto oltre
l’ambito religioso e si configurò come un potere concorrente con quello dei funzionari pubblici.
ROBERTO IL GUISCARDO:
Fu il vero artefice delle fortune normanne in Italia meridionale. Perfezionò l’intesa con il papato;
giurando fedeltà infatti al pontefice Niccolò II ricevette il titolo di duca di Puglia, Calabria e Sicilia
(che però era in mano ai saraceni, quindi da conquistare ancora).
Forte dell’investitura papale, nel 1061 allo scopo di consolidare il suo dominio partì alla conquista
della Sicilia musulmana, che poi affidò al fratello minore Ruggero.
Roberto il Guiscardo conquistò nel 1071 Bari (ultimo possedimento bizantino in Italia), nel 1073
Amalfi e buona parte dell’Abruzzo, nel 1076 Salerno. Nel 1081 si lanciò alla conquista di
Costantinopoli, ma dovette far ritorno in Italia per placare una rivolta dei baroni pugliesi. Il 17 luglio
del 1085 morì mentre era di nuovo in viaggio verso Costantinopoli, sulla sua nave al largo dell’isola
greca di Cefalonia.

RUGGERO II (E IL REGNO DI SICILIA):


Figlio di Ruggero I (fratello del Guiscardo, conte di Sicilia), alla morte senza eredi del nipote
Guglielmo rivendicò il titolo di duca di Puglia e Calabria, scontrandosi con i baroni meridionali e il
papa Onorio II, ma nel 1130, approffittando della crisi della Chiesa causata dalla morte di Onorio II,
riuscì a farsi incoronare dall’antipapa Anacleto II.
Eliminata l’ultima resistenza con la conquista di Napoli nel 1139, Ruggero II potè concentrarsi
sull’organizzazione del suo regno, uno dei meglio organizzati del tempo. Ruggero II e i suoi
successori (Guglielmo I e Guglielmo II) seppero sfruttare a fondo le strutture di governo ereditate
dagli arabi in Sicilia e dai Bizantini in Puglia e Calabria, dotando il regno di una efficiente
amministrazione, che si articolava in uffici centrali operanti presso la corte di Palermo o presso
uffici periferici. Questo diede loro una capacità di produrre leggi e di procurarsi entrate fiscali,
nonché il controllo dell’apparato ecclesiastico (più vicino agli stati arabo-bizantini che a quelli
europei). I sovrani normanni costituivano nello stesso tempo il vertice di una piramide feudale, in
cui erano inseriti a vari livelli i discendenti degli antichi conquistatori. Non erano solo i feudatari ad
esercitare poteri di natura pubblica, ma anche le abbazie (Montecassino, S. Vincenzo al Volturno,
Montevergine…). Considerando che anche le maggiori città conservarono alcune forme di
autonomia, si comprende che la struttura politico-amministrativa del regno non era omogenea e
uniforme.
La sua peculiarità derivò dalla capacità dei sovrani di realizzare un equilibrio tra forze locali e
autorità regia, per cui sempre e comunque i funzionari pubblici riuscirono ad esercitare un controllo
sui feudatari, enti ecclesiastici e comunità cittadine. La Sicilia fu uno “stato feudale” (con rapporti
vassallatico-beneficiari e delega ai feudatari di poteri di natura pubblica), ma le istituzioni feudali
che ruolo svolsero nel complesso della vita del regno?
È opinione prevalente tra gli storici che i rapporti feudo-vassallatici si rivelarono alla lunga dannosi
per lo sviluppo e la società del Mezzogiorno, soprattutto in un periodo in cui il resto dell’Italia
cresceva politicamente coi Comuni (con una maggiore partecipazione politica, anche più
dinamica). In Italia meridionale però, in ogni caso, si rivelarono un efficace strumento di governo, e
i risvolti futuri erano impronosticabili in età normanna.

Fu conte di Sicilia dal 1105, duca di Puglia dal 1127 e primo re di Sicilia dal 1130 al 1154,
divenendo noto come il fondatore del Regnum Siciliæ indipendente. Dopo la nascita del
regno, in virtù delle conquiste sulla costa africana, acquisì anche il titolo di re d'Africa.
Gli sono tributati l'accorpamento sotto un unico regno di tutte le conquiste normanne
dell'Italia meridionale, della Sicilia e di Malta, l'organizzazione di un governo efficiente,
personalizzato e centralizzato, nonché la fondazione del Parlamento siciliano, uno dei più
antichi del mondo. Sotto il suo regno la città di Palermo, assurta a capitale, fu arricchita di
lussureggianti edifici oggi riconosciuti come patrimonio dell'umanità.
IL MOVIMENTO DELLE PACI DI DIO:
Il Movimento delle paci di Dio, nato in Aquitania (Francia) si diffuse nel resto della Francia durante
il X-XI secolo. I vescovi promuovevano a clero e popolo una mobilitazione collettiva a difesa
dell’ordine pubblico, chiese, monaci, chierici e categorie più deboli (donne, bambini pellegrini,
poveri). I violatori della pace furono indicati nei signori detentori di castello con seguito armato. Si
proibì qualsiasi attività bellica la domenica, nelle festività religiose (circa un centinaio al tempo) e i
giorni a queste precedenti; in sintesi un paio di volte alla settimana. Prescrizioni rispettate solo in
parte, poiché era difficile punire i trasgressori.
(Il Movimento diede legittimazione a opere di principi e sovrani impegnati nel coordinamento degli
organismi di potere esistenti all’interno dei loro territori)
Creò nel ceto dei guerrieri l’idea di Miles Christi, e infatti nel Concilio di Narbona (1054) si affermò
che non era lecito versare sangue cristiano.

CETO DEI NOBILI E DEI CAVALIERI:


Nel corso dell’XI secolo coloro che esercitavano funzioni militari e avevano poteri di comando e di
governo si stavano chiudendo nel ceto dei nobili, cui si poteva entrare solo se per volontà del
sovrano o di chi vi faceva già parte. Privilegiati: esentati dalle tasse sulle terre che possedevano,
sottratti alla giustizia dei signori, perché potevano essere giudicati solo da tribunali di loro pari;
potevano tramandare ereditariamente la loro condizione giuridica. L’investitura era ora un
cerimoniale religioso (bagno purificatore del cavaliere e nottata di preghiera in Chiesa → non
sempre veniva svolta la cerimonia).

MILITES CHRISTI:
Cavalieri che combattono in nome della fede e contro gli infedeli, utilizzati per la dilatazione dei
confini della cristianità.

GIOVANI CAVALIERI:
Alla perenne ricerca di un signore generoso e di un buon matrimonio, volti ad una vita gioiosa e
avventurosa. Ma nella realtà, oltre ciò che si scriveva nei romanzi, il loro stile di vita restava
fortemente impregnato di violenza; si lanciavano in qualsiasi impresa guerresca vanificando i
tentativi di pace dei vescovi → il problema si risolse col “non versare sangue cristiano”.

I COMUNI ITALIANI:
I comuni dell'Italia centro settentrionale vissero un ruolo importante nella decadenza dei due poteri
universali. Infatti, la crescita dell'economia, delle attività e della ricchezza generano anche il
bisogno di autogoverno delle città a partire dal XI secolo, quando la ripresa economica e
demografica spazza via in Europa e in particolare nell'Italia centro settentrionale l'economia
feudale. Il potere imperiale, inoltre, a partire da Enrico IV, comincia ad essere latitante nel nord
dello stivale, infatti le varie città, centro della ripresa economica, diventano dei veri e propri stati a
sé, che si governano con ordinamenti repubblicani, fondati su consigli dei cittadini e cariche
pubbliche elettive, poiché si appropriano delle cosiddette regalie, cioè del diritto di batter moneta,
riscuotere tasse, amministrare la giustizia, ecc.
Queste libertà sempre più crescenti, unite ad un capovolgimento della piramide sociale, che vede
al suo vertice non più i nobili feudali ma i grandi imprenditori in una gerarchia stabilita dalla
ricchezza, portano alla nascita dei comuni dell'Italia centro settentrionale, la cui esperienza resta
unica nella storia, nonostante simili forme di governo si fossero formate anche in altri paesi
europei.
Il comune era così chiamato perché la gestione della cosa pubblica era in comune, cioè riguardava
tutti i cittadini (naturalmente solo le classi economicamente e socialmente più influenti, quelle
subalterne erano escluse dallo stato di diritto). Per la prima volta si formano strutture di potere in
cui per la prima volta il potere non è di origine teocratica ma viene legittimato dal basso. I comuni
nascono inizialmente come istituzioni oligarchiche, che poi allargano la base di consenso col
passare del tempo (fino ad involgersi trasformandosi in signorie con la recessione economica del
XIV secolo → NON NOMINARE LE SIGNORIE VOLONTARIAMENTE).

COMUNI CONSOLARI:
Erano quei comuni in cui il consiglio comunale eleggeva dei magistrati, consoli, che svolgevano
una funzione analoga ai loro omonimi dell'antica Roma, amministrando la città per un tempo
limitato e sotto lo stretto controllo del consiglio e dei propri compagni nel consolato. C'era un
consiglio maggiore che si occupava delle questioni meno rilevante, e uno minore, formato da meno
persone, che si occupava delle questioni più importanti. Questa prima fase del comune (XI-XII
secolo) era predominata dai nobili feudali trasferitisi dalle campagne.

COMUNI PODESTARILI:
Erano quei comuni al cui vertice si trovava il podestà, un super-partes che veniva scelto al di fuori
della città stessa e che aveva il compito di amministrarla più al di sopra delle parti che potesse.
Restava in carica un anno e nel suo compito veniva coadiuvato dal consiglio comunale, che lo
sceglieva. Questo tipo di comune è espressione di una istituzione la cui base di potere è molto
ampia, e non si limita solo ad una cerchia ristretta come per i comuni consolari.

COMUNI SIGNORILI:
Questi erano comuni in cui ormai non c'era più una "democratica" forma di governo come in
precedenza, infatti al suo comando si trovava una persona che aveva preso il potere e non lo
aveva più lasciato, amministrandolo senza dover rendere conto a nessuno.

FEDERICO BARBAROSSA E L’AFFERMAZIONE DEL POTERE DEI COMUNI:


Nel 1154 Federico (I di Hohenstaufen) Barbarossa, imperatore del Sacro Romano Impero, scese
in Italia per riprendere il comando effettivo e non solo formale dell'Italia centro settentrionale, dove
i comuni avevano preso il sopravvento grazie alle regalie. A Roncaglia, vicino Piacenza, in una
dieta revocò tali regalie, ma nessuno voleva accettarlo e d'altra parte l'imperatore non poteva
convincere nessuno con la forza data l'esiguità delle sue forze, si limitò solo ad azioni dimostrative
a Roma, in Lombardia e Piemonte.
Nel 1158 riscese in Italia e convocò una nuova dieta ancora a Roncaglia, dichiarò la cessazione
delle regalie e nominò un governatore imperiale (che esercitava un azione di controllo) per ogni
comune, a cui si proibiva ogni forma di organizzazione politica.
Lo scontro divenne più aspro e papa Alessandro III si schierò a favore dei comuni, e Barbarossa
nominò un antipapa (Vittore IV); i comuni non accettarono le sue imposizione e nel 1159
Barbarossa distrusse Cremona, poi nel 1162 distrusse le mura di Milano. Nel 1167 si formò la
Lega Lombarda, formata dai comuni e dal papà, le cui truppe sconfissero nel 1176 a Legnano le
truppe imperiali. Nel 1183 con la paca di Costanza l'imperatore lasciò le regalie ai comuni in
cambio del riconoscimento formale del potere imperiale. Questa sconfitta segnò anche la definitiva
impotenza dell'impero nei confronti dei comuni, e quindi il suo anacronismo e la sua
inadeguatezza, che lo porteranno alla decadenza.
I Comuni definirono anche i rapporti coi vescovi, estromettendoli da ogni funzione giurisdizionale,
ma non senza resistenze e contrasti: il Vescovo di Bologna ad esempio abbandonò la città,
scomunicandola due volte nel 1215 e nel 1232.
Il contado fu sottomesso: i detentori di fortezze e di diritti signorili dovettero riconoscersi vassalli
del Comune e risiedere una parte dell’anno in città, per essere tenuti sotto controllo. Con i più
potenti si cercò di stipulare patti di alleanza, anche sotto forma di ingaggi militari dato che il
Comune aveva bisogno per la sua difesa dei contingenti armati dei signori feudali.
IL COMUNE POPOLARE:
Gli esponenti della parte perdente nei Comuni (con relativa confisca dei beni) non si arrendevano,
ma formavano propri comuni, si alleavano coi partigiani rimasti in città e con i comuni rivali. In città
tra cui Bologna e Firenze l’esito fu la prese del potere da parte del popolo. Il popolo affiancò la sua
società agli organi del Comune. I provvedimenti dovevano passare per i consigli del comune e la
societas populi, quello esecutivo (il potere) era diviso tra podestà e capi del popolo, e poi vi si
affiancò il capitano del popolo che si prese le competenze di carattere militare del podestà.
I governi popolari non tutelarono le classi inferiori (che si allearono con la nobiltà in nome della
rivolta) e ebbero atteggiamenti punitivi con la vecchia classe aristocratica, del cui appoggio militare
avevano tra l’altro bisogno. Le leggi antimagnatizie esclusero dalle cariche più importanti i grandi o
magnati, gli esponenti dell’antica aristocrazia e gli stessi popolani ricchi che ne avevano assimilato
lo stile di vita. I governi popolari, nonostante tutto, consentirono il massimo di partecipazione e
democrazia nella vita politica medievale. Rimasero fuori le classi più basse, le arti minori e i
numerosissimi salariati.

GUELFI E GHIBELLINI:
[Le origini dei nomi risalgono alla lotta per la corona imperiale dopo la morte dell'imperatore Enrico
V (1125) fra le casate bavaresi e sassoni dei Welfen (da cui la parola «guelfo») con quella sveva
degli Hohenstaufen, signori del castello di Waiblingen (anticamente Wibeling, da cui la parola
«ghibellino»). Successivamente – dato che la casata sveva acquistò la corona imperiale e, con
Federico Barbarossa, cercò di consolidare il proprio potere nel Regno d'Italia – in questo ambito
politico la lotta passò a designare chi appoggiava l'impero (ghibellini) e chi lo contrastava
sostenendo il papato (guelfi).]
Nei comuni italiani i guelfi erano gli aderenti al partito filopapale (che consideravano il
collegamento con la Chiesa di Roma una forma di copertura alla assai avanzata autonomia dei
Comuni); i ghibellini erano i sostenitori di un più saldo legame con il potere imperiale. Presto i
termini persero il loro significato originario, diventando la copertura ideologica di conflitti sia
all’interno della nobilità che tra i Comuni stessi.
Il ceto popolare era unito solo dalla lotta comune contro la nobiltà, ma bastava che la situazione si
allentasse un po’ o che, addirittura, assumesse il controllo del Comune, perché esplodessero
subito le contraddizioni al suo interno. Del ceto popolare facevano parte anche esponenti della
vecchia aristocrazia in conflitto con il proprio ceto o schieratisi col popolo per opportunismo
politico. Anche le corporazioni non erano solidali tra loro, dato che non avevano tutte la stessa
forza economica e capacità di pressione (divise in arti maggiori, medie e minori; solo le prime due
avevano un ruolo notevole politicamente)

BENEVENTO:
Ducato indipendente, per sottrarsi alle mire espansionistiche normanne nel 1051 si pose sotto la
protezione del papa, al quale nel 1077 fu conferita definitivamente la signoria della città, rimasta
dominio pontificio fino all’unità d’Italia nel 1860.

COMMERCIO NELL’ALTO MEDIOEVO (XI-XIII):


Nei secoli XI-XIII ripresa del commercio e dell’artigianato (grazie ai progressi dell’agricoltura,
seppur limitati), con nuovi collegamenti tra mondo bizantino e Europa centrale (Venezia), Italia
meridionale con i mercati arabi (amalfitani) e via dicendo; aree economiche diverse venivano ad
incontrarsi. Grandi fiere, come quella di Champagne, Colonia, Piacenza, Pavia. La fiera di
Champagne, unione di popoli diversi, diede una sorta di identità europea.
Si commerciavano non soltanto merci di lusso, ma anche quelle destinate a un più largo pubblico e
all’industria tessile (pepe, cannella, chiodi di garofano, zenzero, cotone coloranti), in grande
sviluppo in Italia.
Migliorano i trasporti, con nuove rotte marittime e miglioramenti tecnici, come la bussola, ed ora
era più conveniente investire in navi e viaggi. Guide per naviganti, carte nautiche, e per via terra
carri a due e quattro ruote e bestie da soma. Rete viaria sempre più fitta e quindi nuovi assi viari
(Italia-Fiandre, Praga-Polonia ecc).
Gran trasporti di sale, vino, tessuti, ma anche schiavi (negri, slavi, turchi, ma anche greci e
spagnoli, per lavori domestici e soldati di origine servile nel mondo arabo).
I mercanti non andavano più all’avventura per evitare briganti e pirati che potessero saccheggiare
le loro grosse somme di denaro, nacque quindi la lettera di cambio (scritta dal debitore a un suo
corrispondente di Costantinopoli, con l’ordine di pagare il suo debito al presentatore della lettera).
Questo a sua volta poteva cedere il suo credito a un terzo, dal quale aveva eventualmente
acquistato merci in una fiera o altrove. Si veniva a creare una forma intensa di circolazione
fiduciaria, dove i pagamenti avvenivano attraverso la semplice compensazione e riducevano l’uso
della moneta.
Per le navigazioni nacque la commenda: forma primitiva di società per azioni insomma, dove il
mercante in procinto di partire per un viaggio di affari, di cui erano precisate tappe e finalità,
raccoglieva somme da vari finanziatori, i quali, conclusa l’operazione, avrebbero partecipato agli
utili o alle perdite dell’operazione in base alla quota versata. Così i mercanti partenti avevano più
facilità di trovare capitali per i loro viaggi e i risparmiatori trovavano un modo per far fruttare il loro
denaro senza muoversi dalla città (evitando ogni possibile rischio)
La societas maris ne fu l’evoluzione, perché non era più stipulata per un solo viaggio, ma per un
determinato periodo e per molteplici operazioni commerciali.
Nel tempo era calato il valore delle monete che contenevano pochissimo argento puro; Venezia
coniò nel 1202 il grosso d’argento (2,18 grammi, di cui 2,103 di argento puro). Nel 1231 Federico II
riprese la coniazione dell’oro (TENDI A NON DIRLE LE MONETE)
Si incrementarono fabbri, fornai, macellai, falegnami, calzolai; settore di punta fu il tessile nelle
Fiandre e in Toscana e Lombardia. Settore laniero sottoposto a trenta diversi processi tecnici, in
grande sviluppo. Fu importante il settore produttivo della carta in Cina, poi l’intarsio del marmo, le
oreficerie in Pisa, Firenze, Verona. Ceramiche in marche e Romagna.

BOTTEGA ARTIGIANA:
Accanto al titolare (maestro) lavoravano i suoi familiari, uno o più collaboratori stabili, almeno un
paio di apprendisti e salariati, assunti per determinati periodi o lavori occasionali.
Gli apprendisti vivevano nella casa del maestro, e alla fine dell’apprendistato (insegnamento di
tecniche e segreti) o si mettevano in proprio (se ne avevano i mezzi) o finivano, molti, nella
categoria dei salariati.
Diventare maestro voleva dire ricoprire un ruolo politico nella città.

CORPORAZIONI DI ARTI E MESTIERI:


Associazioni di categoria (tra mercanti ad esempio) divise in arti maggiori, medie e minori;
svolgevano anche un ruolo politico.
L’obiettivo era quello di tutelare gli interessi dei propri membri, a tutti i livelli; ne facevano parte a
pieno titolo i maestri e, in posizione subordinata, collaboratori e discepoli, mentre ne erano esclusi i
salariati (soggetti ai tribunali delle corporazioni, così qualora si trovassero in controversia coi datori
di lavoro erano in evidente debolezza). Esse provvedevano a rifornire di materie prime le botteghe
dei loro aderenti, regolamentavano i salari, tentando di tenerli bassi, fissavano i prezzi di vendita
per impedire la concorrenza sleale, controllavano quantità e qualità dei prodotti.

PATARINI:
Movimento di protesta dell’XI secolo nei confronti della Chiesa concubinaria e simoniaca, nato a
Milano con Arialdo come promotore, cominciò a predicare contro i chierici concubinari, esortando a
rifiutare i sacramenti da loro amministrati. Furono definiti “patarini” (“straccioni”) e scomunicati.

FILIPPO AUGUSTO:
Restaurò il potere monarchico in Francia suscitando rivolte dei nobili nei domini inglesi e
fomentando contrasti in seno alla famiglia reale, attirando dalla sua parte il figlio del re Enrico II,
vale a dire Riccardo Cuor di Leone. Sembrava che i rapporti dovessero migliorare tra i due regni
con l’ascesa al trono di Riccardo, insieme al quale Filippo Augusto partecipò alla terza crociata, ma
Filippo aveva troppo chiari i suoi interessi. Avendo Riccardo stretto un’alleanza con Tancredi di
Lecce, in lotta con l’imperatore Enrico VI per la successione al trono di Sicilia, Filippo al ritorno si
schierò con quest’ultimo: scelta quanto mai felice. Riccardo cadde prigioniero dell’imperatore, che
lo liberò solo quando egli gli ebbe prestato il giuramento di vassallaggio, con la connessa
promessa di dargli aiuto militare e non dare appoggio ai suoi nemici. Con le morti nel 1197 e 1199
di Enrico VI e Riccardo, l’impero entrava in declino, mentre sul trono inglese saliva il debole
Giovanni Senzaterra. Il ricorso alla giustizia regia di un vassallo del re inglese fornì a Filippo il
pretesto per portare nel 1202 Giovanni davanti alla sua corte di Parigi. Egli non si presentò,
condannato quindi per fellonia con conseguente confisca dei feudi. Nacque un conflitto che Filippo
gestì recuperando, insieme alla Corona, tra il 1203 e il 1207 Normandia, Maine, Turenna, Alvernia
e Bretagna. Nel 1213 volle conquistare l’Inghilterra, ma Giovanni si protesse con Innocenzo III,
dichiarando il suo regno feudo della Chiesa. Quando Innocenzo III un anno dopo promosse una
coalizione contro Ottone di Brunswick, Filippo Augusto aderì perché feudatari del nord Francia e il
Senzaterra erano nella coalizione di Ottone; Filippo Augusto vinse con la sua coalizione e gli
vennero riconosciuti tutti i territori da lui incorporati. Morto nel 1223 lasciò a Luigi VIII il triplo dei
territori con cui era partito lui.

LUIGI VIII:
Figlio di Filippo Augusto, estese i domini ulteriormente nella Francia meridionale.

LUIGI IX:
Santificato dalla Chiesa per la sua pietà religiosa, ebbe grandi capacità di governo, consolidando il
controllo regio francese sull’aristocrazia. Fallì nelle sue crociate (1248-54 e 1270), nella cui
seconda perse la vita.

CORRADO III:
Re di Germania che partecipò alla seconda crociata

LUIGI VII:
Re di Francia che partecipò alla seconda crociata

CATARI:
Seguaci dei manichei in Italia, ma solo gli estremisti (catari puri). I catari credentes, moderati, non
erano affatto eretici, ma solo additati come tali perché contestavano la Chiesa demoralizzata e
richiamavano a una vita più moralizzata, ascetica. La Chiesa non farà distinzione tra gli uni e gli
altri.

VALDESI:
La corrente valdese del cristianesimo nasce nel Medioevo, precisamente nel XII secolo, come
movimento cristiano laico, costituito da contadini e in genere da poveri, che precede di poco quello
promosso da Francesco d'Assisi. Tradizionalmente si fa risalire la fondazione del movimento a Valdo di
Lione (o Valdesio). La fedeltà al papa di Roma da parte del movimento valdese in questi anni è
testimoniata dalla ricerca di approvazione ecclesiastica nel 1179, in occasione del terzo concilio
Laterano: essi si recarono a Roma incontrandosi anche con il pontefice Alessandro III, il quale dimostrò
apprezzamento per il loro proposito di vivere in maniera povera e conforme al dettato evangelico, ma
non fu disposto a riconoscere la loro richiesta di essere predicatori della Parola.
Nel 1184 a Verona, con la bolla Ad abolendam, papa Lucio III scomunicò una serie di movimenti ritenuti
ereticali anche molto diversi tra loro, tra cui i poveri di Lione, i valdesi. La motivazione per tale
scomunica rimase la "presunzione" dei valdesi a voler predicare in pubblico.

LUCIO III:
Papa che nel 1184 a Verona scomunicò una serie di movimenti ritenuti ereticali anche molto
diversi tra loro, tra cui i poveri di Lione, i valdesi. La motivazione per tale scomunica rimase la
"presunzione" dei valdesi a voler predicare in pubblico.

OTTONE I:
Primo re di Germania della dinastia di Sassonia, sconfisse definitivamente gli Ungari in Germania
ad Augusta il 10 agosto 955. Diede una spinta al processo dei vescovi investiti di cariche
pubbliche, investendoli di cariche di conte.
ENRICO III:
Enrico III era un imperatore che perseguiva una politica moralizzatrice nei confronti della Chiesa
(in un periodo di riforma imperiale che andava proprio in questa direzione), contro vescovi non più
affidabili e che facevano scandalo tra i fedeli; Enrico III cercò perciò un collegamento con gli
avversari degli ecclesiastici a lui poco graditi. Infatti nel 1046 depose tre papi eletti in conflitto
dall’aristocrazia romana facendo eleggere al Concilio di Sutri un suo candidato, Clemente II.

ONORIO III (in concomitanza con FEDERICO II):


Papa col pensiero fisso della conquista di Gerusalemme.

GIOVANNI SENZATERRA:
Dopo la sconfitta contro i francesi di Filippo Augusto (a cui riconobbe obbligatoriamente i territori
che lui aveva incorporato, sottraendoli anche all’Inghilterra, negli anni) dovette affrontare la
reazione dell’opinione pubblica e della nobiltà inglese, irritate per il carico fiscale elevato. Grande
malumore vi fu anche per aver dichiarato lo stato feudo della Chiesa (per avere la difesa da
Innocenzo III rispetto a Filippo Augusto), decisione in contrasto con l’orientamento della monarchia
che voleva affermare piuttosto una sua potestà in materia ecclesiastica. Fu costretto da baroni e
grandi ecclesiastici a concedere la Magna charta.
Con essa il sovrano si impegnava a rispettare i diritti di cui godevano i nobili, gli ecclesiastici e tutti
i liberi del regno, le concessioni operate dai suoi predecessori a favore di Londra e delle altre città,
il diritto dei sudditi di condizione liberi di essere giudicati da tribunali di loro pari e le consuetudini
vigenti in materia di circolazione mercantile. Si obbligava anche a non imporre nuove tasse senza
l’approvazione di nobiltà e clero, e a farsi assistere negli affari di governo da una curia di 25 baroni.
Tradizionalmente si fanno risalire alla Magna Charta le origini delle istituzioni parlamentari; i
rivoltosi però non intendevano affatto introdurre una nuova costituzione, ma soltanto garantire il
rispetto della tradizione, limitando gli abusi dei funzionari regi in materia giudiziaria e fiscale.
Innocenzo III lo scomunicò e annullò le concessioni da lui operate (essendo lui signore del regno).
I ribelli lo dichiararono decaduto (corona a Luigi VIII, figlio di Filippo Augusto; Luigi VIII poi tornerà
in Francia e la corona andrà a Enrico III, figlio del Senzaterra, morto nel 1216).

CRISI DEL 1300:


Tra i primi decenni del Trecento e la seconda metà del Quattrocento la società europea visse una
profonda crisi sociale, economica e demografica. Questa crisi ebbe inizio con un forte mutamento
climatico, terreni poco fertili, aumento della popolazione ed esaurimento dei terreni.
La crisi ebbe inizio grazie ad un continuo aumento delle pioggie e ad un abbassamento della
temperatura che ebbe come conseguenza una serie di crisi alimentari.
La popolazione continuava ad incrementare e perciò non si riuscì più a trovare una risposta al
bisogno alimentare collettivo.
Ci fu quindi un’insufficienza delle risorse agricole causata dall’eccessiva deteriorazione dei terreni
conseguente ad uno scorretto uso nei secoli precedenti. Queste tecniche di lavorazione della terra
fecero sì che il terreno perdesse la sua fertilità. Le terre di nuovo dissodamento erano in pessime
condizioni e permettevano solo la coltivazione di cereali inferiori come l’avena. Con la diminuzione
della coltivazione non vi fu cibo sufficiente al mantenimento del bestiame che causò un
peggioramento nella produzione del concime per l’aratorio.
La diminuzione dei consumi portò all'utilizzo di politiche protezionistiche e questo comportò una
crisi commerciale poiché ogni città voleva difendere la propria produzione. Inoltre sorse il problema
del fallimento di numerose compagnie finanziarie, dato che queste effettuarono numerosi prestiti ai
sovrani, i quali non restituirono i soldi ai banchieri.
Le carestie portarono all’indebolimento della popolazione. A completare questo panorama di
desolazione arrivò la peste in Europa. Essa attraversò il continente come un uragano. Nel nord
dell’Europa e in Italia scoppiò un’epidemia nel 1317, in Catalogna nel 1333 e nel 1346 ripassò in
Italia. I conflitti sociali non aiutarono di certo la situazione della popolazione.
RIVOLTE POPOLARI E CONTADINE DURANTE IL 1300:
C’è chi sostiene che le rivolte contadine fossero dovute a fatti improvvisi come carestie o guerre, e
chi sostiene che fossero una rivolta contro l’oppressione dei signori fondiari e che gli eventi
improvvisi fossero solo un’aggravante.
Rivolta della Jacquerie francese nel 1358: repressa con 20000 morti, non si sa se portò un
miglioramento delle condizioni.
Rivolta dei contadini in Inghilterra nel 1381: in seguito a questa rivolta di artigiani e salariati,
Riccardo II accolse buona parte delle richieste fatte da questi.
- A Firenze mancanza di assistenza sindacale per i salariati, a cui non era concesso riunirsi in
associazioni di mestiere, al contrario delle Arti che invece erano anche giudici dei loro stessi
dipendenti.
A Firenze, ad esempio, si veniva condannati a morte in caso di tentativo di riunirsi in associazioni
di mestiere, nonostante gli scioperi di protesta indetti dai compagni dei condannati.
- La prima rivolta aperta a Perugia, dove furono incendiate case di mercanti e imprenditori (15
maggio 1371).
- A Siena i rivoltosi presero il potere, per poi essere sanguinosamente ributtati giù → Qualche
effetto positivo ci fu a seguito di questo evento, infatti fu limitato l’arbitrio dei padroni.

RIVOLTA DEI CIOMPI:


La più nota delle rivolte urbane fu quella dei Ciompi (dell’industria tessile; ciompi voleva dire
“sporchi, unti, imbrattati”) nel 1378.
Novità di questa rivolta:
- Non solo richiesta di aumento del salario, ma anche proposta di modifica delle condizioni di vita e
dei rapporti di potere interno alla città, quindi di una creazione di un’arte di operai tessili per
tutelarsi e per partecipare al governo cittadino (così da allearsi con le arti minori che vi erano, ma
erano sfavorite dalla attribuzione delle cariche).
Si ottenne la creazione di tre nuove Arti (tra cui i Ciompi) e una presenza paritaria di tutte nella
massima magistratura cittadina (priorato). Con questi provvedimenti però i contrasti tra datori di
lavoro e salariati non si sanarono, bensì si spostarono semplicemente all’interno della struttura del
governo. I rivoltosi avanzarono richieste politiche quali l’abolizione delle gabelle sui cereali e
l’abbassamento dei prezzi di prima necessità, per avere più vantaggi personali e limitare la libertà
degli imprenditori. In risposta i datori di lavoro prima chiusero le loro botteghe e poi ridussero la
produzione facendo sparire le materie prime. L’alleanza tra Ciompi e Arti minori si ruppe, perché
queste erano interessate alla ripresa delle attività produttive, e i rivoltosi rimasero soli a
fronteggiare la violenta reazione dei datori di lavoro e del Comune. La loro corporazione, dopo
appena sei settimane da che era stata istituita, fu soppressa, e più di trecento condanne furono
inflitte, di cui almeno una trentina furono la pena capitale.
.
ANGIOINI:
Con la battaglia di Benevento del 1266 la dinastia sveva era stata spazzata via a favore della
dinastia angioina, sollecitata in quell’impresa dal papato che aveva voluto contrastare le ambizioni
sveve sulla penisola, offrendo infatti la corona del Regno di Sicilia a Carlo d’Angiò, il quale si
proponeva due obiettivi:
• rendere effettivo il vincolo feudale che subordinava alla chiesa di Roma la monarchia
meridionale (diventato puramente nominale al tempo degli svevi);
• procurarsi un valido sostegno politico-militare per coordinare le forze guelfe in Italia.
Carlo d’Angiò mirava a stabilire una egemonia sull’Europa che faceva perno sulla Sicilia fino ad
arrivare alla conquista di Costantinopoli. All’indomani della battaglia di Benevento sorsero i primi
dissapori con il papa a causa del saccheggio della città. A ciò si aggiunsero le lamentele che
giungevano a Roma per i soprusi dei funzionari regi e l’eccessiva pressione fiscale. Per il primo
punto il re corse ai ripari ma non fu in grado di attuare concessioni sul lato fiscale. La rivolta
esplose in occasione della discesa in Italia di Corradino di Svevia, ma a seguito della sua sconfitta
la repressione fu durissima.
A causa della rivolta venne operata una profonda restaurazione della feudalità nel regno con un
massiccio inserimento di cavalieri francesi. Anche se il sovrano fece di tutto per rendere ben
accetta alla popolazione la nuova classe dirigente il malcontento non venne placato. In questo
clima non sorprende che i moti rivoluzionari scoppiati a Palermo (Rivolta del vespro) nel 1282
raccolsero vasti consensi. Re Carlo aveva già avviato i suoi piani di conquista verso oriente, e la
popolazione aveva notato come a differenza di quanto accadeva per il regno d’aragona le
conquiste di Carlo avevano natura prettamente militare. I siciliani, usciti vincitori dalla rivolta
avevano offerto la corona di Sicilia a Pietro III.
Il pontefice però considerando gli aragonesi come usurpatori bandì contro di loro una crociata che
fu affidata al re di Francia Filippo l’ardito. La crociata portò all’allargamento del teatro di guerra, in
cui venne coinvolta la Catalogna. Il pontefice Bonifacio VIII creò le condizioni per giungere nel
1295 al Trattato di Anagni secondo il quale il nuovo re d’Aragona riconobbe il ritorno in Sicilia degli
angioini. I siciliani si ribellarono nuovamente, ma la pressione diplomatica del pontefice portò nel
1302 al Trattato di Caltabellotta, in base al quale Federico III fu riconosciuto re col titolo di re di
Trinacria (ovvero della sola isola siciliana, mentre il resto del Regno di Sicilia, la “Sicilia cilteriore”
che sarà poi il Regno di Napoli, rimaneva degli angioini) con l’intesa che alla sua morte il regno
sarebbe tornato agli angioini. Alla morte di Federico III l’isola restò però sotto la dinastia
aragonese, e nel 1372 Giovanna I d’Angiò, a seguito di ripetuti tentativi suoi e del predecessore
Roberto d’Angiò di riconquistarla, riconobbe la situazione come definitiva con il Trattato di
Avignone.
Con l’avvento al trono di Giovanna I nel 1343 si aprì per la casa d’Angiò un periodo di crisi in
quanto il re d’Ungheria, avanzando pretese sul trono del regno di Sicilia, invase il regno nel 1348
puntando su Napoli. Gli ungheresi si ritirarono nel 1352 consentendo alla regina di avviare una
grande opera di restaurazione.
La crisi dinastica tuttavia era ben lontana da una soluzione, Giovanna I non aveva eredi diretti e
questo portò il nipote Carlo III ad invadere Napoli; Carlo III era esaltato dagli umanisti come
padrone d’Italia, ma morì assassinato nel 1386 dopo aver tentato di cingere la corona d’Ungheria.
Il figlio Ladislao si concentrò sui domini italiani allora sconvolti dalla guerra civile.
A lui successe Giovanna II che adottò come figlio e successore il re d’aragona Alfonso V. La Sicilia
non tornò in mano agli angioini ma rimise il regno sotto un ramo collaterale della dinastia
aragonese, che si trovò in una posizione di debolezza nei confronti della nobiltà siciliana visto il
costante impegno militare in cui erano impiegati.
La monarchia risultava essere in completa balia del baronaggio. Con l’avvento di Pietro IV il regno
venne riunificato dopo uno scontro con dei baroni ribelli e fu dotato di un parlamento, venne così
instaurato un collegamento tra monarchia e poteri locali. La Sicilia ormai ridotta ad un viceregno
nonostante la sua economia fosse in rapida ripresa rimase definitivamente legata agli aragonesi
che restarono sul trono. La Sicilia pervenne al Alfonso il magnanimo e tramite il pagamento di una
ingente somma di denaro fu conquistato il regno di Napoli. Per il regno di Napoli si combatté
nuovamente dal 1435 quando Giovanna ed il figlio adottivo Luigi morirono.
Alfonso fu sconfitto e fatto prigioniero dal conte di Milano Filippo Maria Visconti con in quale però
strinse un’alleanza grazie alla quale riprese la conquista del regno, finché nel 1442 conquistò
Napoli.
La ricostituzione del Regno di Sicilia contribuì al nuovo disegno di politica economica di Alfonso
che avviò tra l’altro un’opera di rinnovamento e razionalizzazione delle strutture politiche potendo
avere di rimando un rapido controllo delle sue risorse.
L’EPOCA D’ORO DELLA CORTE ANGIOINA DI NAPOLI E IL RUOLO DEI COMUNI:
Al seguito dello scoppio della rivolta del vespro, Carlo d’Angiò fu sul punto di perdere il suo regno
oltre che aver dovuto rinunciare alle sue mire espansionistiche nel mediterraneo.
Nel 1284 il figlio del re ingaggiò uno scontro navale al largo di Napoli contro una flotta siculo-
aragonese dove fu sconfitto e fatto prigioniero. Il ritorno del re valse però a superare il momento
critico. La ripresa della dinastia angioina fu molto rapida ma possibile grazie anche al deciso
appoggio papale ed anche del sostegno degli uomini d’affari toscani che in cambio ottennero
facilitazioni doganali oltre a feudi e cariche. Comunque l’avvento della dinastia angioina coincise
con una grande accelerazione dell’economia meridionale e dell’emergere di Napoli come piazza
economica di prim’ordine. A questo si aggiunse una ritrovata nascita culturale, seguita da
un’innovazione edilistica ed urbanistica.
L’epoca d’oro di Napoli coincise con il regno di Roberto d’Angiò il saggio. La conquista del
meridione da parte degli Angiò portò ad una stabilizzazione della situazione politica in tutta la
penisola poiché portò allo sviluppo delle autonomie comunali che al nord si erano già sviluppate
nei secoli precedenti. All’interno di questi comuni furono frequenti le lotte di classe, motivo dei
conflitti furono principalmente le ripartizioni del carico fiscale sulla base della valutazione del
patrimonio.
Spesso i nobili per rivendicare una superiorità sul popolo si rifiutavano di pagare le imposte che tra
l’altro crescevano via via che il bisogno finanziario del comune cresceva. Un altro argomento di
discussione era la ripartizione delle cariche elettive che i nobili cercavano sempre di
monopolizzare. Nonostante le discordanze il ruolo dei comuni nello stato angioino crebbe sempre
di più.

ROBERTO D’ANGIÒ:
L’epoca d’oro della Napoli angioina coincise col suo regno. Personalità di rilievo; attirò alla sua
corte i maggiori esponenti della cultura italiana del tempo (Petrarca, Boccaccio, Cavalcanti,
Giotto…). Roberto inoltre, in qualità di capo indiscusso del partito guelfo in Italia, esercitò una sorta
di protettorato (forma di tutela politica e militare esercitata da uno stato su un altro) sulla penisola,
traducendolo in alcuni periodi di dominio diretto su città quali Ferrara, Firenze, Genova e Roma.

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