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L’impero restaurato: Giustiniano

• L’ossessione dell’unità

► Giustiniano, un perfetto autocrate. Giustiniano salì al potere nel 527 ed ereditò dai
suoi predecessori uno stato solido e prospero, ma soprattutto non più sottoposto alla
minaccia dei barbari. Tali condizioni favorevoli gli consentirono di intraprendere un
ambizioso progetto di restaurazione dell’impero universale di Roma (restauratio
imperii). Per perseguire questo obiettivo, il nuovo imperatore si rese conto di dover
eliminare tutti gli elementi di divisione che esistevano all’interno dell’impero e che
minavano la sua stabilità. La sua azione politica si ispirò quindi a un ideale di unità a tutti i
livelli della vita pubblica: unità dell’impero, unità della dottrina religiosa, unità del diritto e
naturalmente, al vertice di tutto questo, unità della direzione politica, saldamente nelle
mani del sovrano. Giustiniano considerò l’accentramento dell’autorità nelle mani
dell’imperatore un fattore fondamentale per realizzare il proprio progetto. Fu quindi un
sostenitore dell’autocrazia, cioè del potere assoluto dell’imperatore, e agì in modo deciso
contro ogni tentativo di limitare il suo potere. La politica autoritaria di Giustiniano e dei suoi
ministri provocò ben presto le reazioni di larghi strati della società bizantina, in particolare
dell’aristocrazia senatoria. Nel 532 Costantinopoli fu scossa dalla rivolta di Nika (dal grido
dei rivoltosi, “nika!”, in greco “vinci!”) nata negli ambienti dell’ippodromo della capitale. Qui
solitamente si fronteggiavano due partiti, gli Azzurri e i Verdi, separati dalla rivalità
sportiva legata alle corse che si svolgevano all’ippodromo, ma divisi anche da ragioni di
carattere politico e religioso. I due partiti si unirono contro l’autoritarismo di Giustiniano e la
rivolta infuriò per giorni mettendo a ferro e fuoco Costantinopoli. La repressione di
Giustiniano, appoggiato dall’esercito, fu spietata e lasciò sul campo circa trentamila
vittime. Fu il segnale chiaro che nessuno doveva più opporsi all’autorità dell’imperatore.

► La riorganizzazione statale. Giustiniano aveva ereditato un impero dotato di una


struttura statale organizzata, ma resa in molti casi poco efficiente dalla corruzione dei
funzionari. Agì con decisione per organizzare meglio lo stato bizantino cercando di
eliminare la corruzione che caratterizzava l’assegnazione delle cariche pubbliche e di
limitare l’indipendenza dei funzionari dell’impero. A tal fine, venne centralizzato l’apparato
burocratico statale, portandolo sotto il diretto controllo dell’imperatore e dei suoi stretti
collaboratori: tra questi spiccarono il giurista Triboniano, i generali Belisario e Narsete,

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oltre a Teodora, l’imperatrice, la quale influì in molte occasioni nel governo dello stato.
Giustiniano cercò anche di realizzare una riscossione regolare e più equa delle imposte;
ma, dato il crescente bisogno di denaro per finanziare le campagne militari, la pressione
fiscale divenne con il tempo fortissima, danneggiando soprattutto i piccoli proprietari
terrieri, che si indebitarono e furono in molti casi costretti a cedere i loro poderi ai grandi
proprietari. Come era accaduto in precedenza in Occidente, l’aristocrazia fondiaria
divenne così sempre più potente e riottosa ad accettare l’autorità imperiale tanto da
rappresentare, alla fine del VI secolo, un elemento di forte instabilità politica e sociale
anche per l’Impero d’Oriente.

► Un solo imperatore, una sola religione. Sul piano religioso, la ricerca dell’unità
significava lotta senza quartiere contro ogni forma di credenza “deviante”: occorreva
dunque colpire tanto le eresie interne al cristianesimo quanto i residui di paganesimo
ancora diffusi, per esempio, in alcuni ambienti filosofici e intellettuali. Si inquadrano in
questo contesto la decisione di chiudere l’Accademia di Atene, la più prestigiosa scuola
filosofica del mondo antico, fondata nel 387 a.c. dal filosofo Platone, considerata un centro
di diffusione del paganesimo, così come i roghi di libri pagani, che proseguirono fino agli
ultimi anni del regno di Giustiniano.

► La costruzione di Santa Sofia Il ruolo del sovrano come supremo garante della vera
fede non si espresse però solo nella persecuzione del dissenso religioso, ma ebbe una
manifestazione spettacolare nel grandioso progetto della basilica di Santa Sofia, il «gioiello
di Bisanzio», come la definì uno storico contemporaneo: una chiesa di proporzioni
colossali, insediata nel cuore della città ma ben visibile anche a grande distanza .Già
Costantino aveva eretto in quell’area un edificio sacro, poi distrutto da un incendio; ora
Giustiniano riprendeva il modello del primo imperatore cristiano, nonché fondatore della
capitale bizantina,ma su una scala di gran lunga maggiore. La chiesa fu realizzata in tempi
estremamente rapidi, con il concorso di maestranze provenienti da tutto l’impero e sotto la
direzione di un gruppo di prestigiosi architetti. Era, in un certo senso, una cappella
palatina, cioè la chiesa personale dell’imperatore, un edificio di rappresentanza riservato
alle cerimonie ufficiali e per questo collocato nelle immediate vicinanze della splendida
residenza di Giustiniano. Santa Sofia esiste tuttora: quando i turchi conquistarono
Costantinopoli convertirono la chiesa in una moschea, aggiungendo alle antiche cupole
bizantine quattro minareti, le torri dalle quali i muezzin (→ Termine turco che indica la

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persona incaricata di richiamare, dall’alto del minareto, i fedeli musulmani alla preghiera
cinque volte al giorno) rivolgono ai fedeli l’invito alla preghiera; ma queste trasformazioni
non impediscono di cogliere ancora oggi la grandiosità del progetto di Giustiniano.

► La politica edilizia. La costruzione di Santa Sofia costituì tuttavia solo il caso più
appariscente di una politica urbanistica di vaste proporzioni, che coinvolse sia l’edilizia
sacra - attraverso la costruzione di nuove chiese e il rifacimento di quelle preesistenti - sia
quella civile. La capitale dei bizantini, che già all’epoca della sua fondazione era stata
definita “seconda Roma”, doveva esprimere attraverso il suo stesso splendore la potenza
dell’impero, il prestigio personale di Giustiniano, la luce della fede e l’eredità di Roma. Del
resto, l'attività edilizia fu un tratto costante del governo di Giustiniano non solo a
Costantinopoli ma anche nei territori riconquistati dell’Occidente.

► L’unità nella giurisprudenza: il codice. Nel 528,subito dopo la sua ascesa al trono,
Giustiniano diede incarico a una commissione di giuristi, presieduta da Triboniano, di
procedere a un riordino complessivo del diritto romano. Era accaduto infatti che nei
secoli precedenti si fosse accumulato e stratificato un gran numero di norme, leggi,
decisioni e pareri dei diversi imperatori, ma anche di commenti e interpretazioni di giuristi
ed esperti, che non di rado si contraddicevano fra loro e che comunque avevano dato
origine a un edificio dalla struttura confusa, nella quale non si riusciva a rintracciare un
ordine o a capire quali norme fossero ancora in vigore e quali, invece, fossero state
superate e cancellate da decisioni successive. La commissione lavorò per sei anni e alla
fine produsse il cosiddetto Corpus iuris civilis (Raccolta del diritto civile), base
imprescindibile di ogni futura attività legislativa. L’iniziativa di Giustiniano ha avuto
un’importanza enorme nella successiva cultura europea: il Corpus non solo contiene quasi
tutto quello che sappiamo del diritto romano, ma a partire dal tardo Medioevo è stato un
riferimento essenziale per la nascita del diritto moderno. Esso ha inoltre trasmesso alle
epoche successive l’idea stessa di “codice”, inteso come raccolta organica di tutte le
norme relative a una particolare branca del diritto (codice civile, codice penale e così via).

• Africa, Italia, Spagna: una riconquista effimera

► L’accordo con la Persia. La vocazione all’unità di Giustiniano si manifestò anche


nell’ambizioso progetto di recuperare al controllo diretto di Bisanzio gli spazi dell’ex

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Impero d’Occidente, ponendo fine al compromesso di affidare quei territori a reggenti
germanici in qualità di semplici rappresentanti del sovrano bizantino. Un progetto al quale
non era estranea, ancora una volta, una motivazione di carattere religioso, dato che quei
re erano perlopiù ariani e dunque, dal punto di vista di Giustiniano, seguaci di una dottrina
eretica. Per realizzare i suoi piani l’imperatore doveva però avere le mani libere lungo la
frontiera orientale, esposta da sempre agli attacchi dei persiani. Il problema fu risolto, nel
532, attraverso un accordo di pace molto oneroso con l’Impero persiano.

► La vittoria sui vandali. L’anno seguente (533) il progetto di riconquista fu avviato a


partire dal regno africano dei vandali. Le forze mobilitate da Giustiniano erano in realtà
piuttosto ridotte - circa 15.000 soldati e appena un centinaio di navi, sotto il comando
dell’abile generale Belisario -, ma furono comunque sufficienti ad abbattere il dominio
vandalico, reso particolarmente fragile dal rifiuto di qualsiasi integrazione con la
popolazione romana preesistente (che dunque appoggiò i bizantini) e dalla scelta di
mantenere il potere nelle sole mani degli invasori germanici. Nel giro di pochi mesi il regno
crollò e già nel 534 Belisario poteva sfilare in trionfo a Costantinopoli, riprendendo
l’antica tradizione dei consoli romani vittoriosi. I vandali sopravvissuti alla disfatta si
dispersero e scomparvero dalla scena della storia.

► L’Italia e la guerra greco-gotica. Dopo questo avvio fulminante fu la volta dell’Italia.


Nel 535, prendendo a pretesto presunti atteggiamenti antibizantini della corte ostrogota,
Giustiniano scatenò l’offensiva attaccando la penisola da nord e da sud, ancora una volta
sotto la guida di Belisario: aveva inizio così il conflitto passato alla storia con il nome di
guerra greco-gotica (535-553). Appena cinque anni dopo la guerra sembrava ormai sul
punto di concludersi a favore dei bizantini: questi avevano occupato infatti tutto il centro-
sud (dove del resto la presenza ostrogota era sporadica), conquistato la capitale Ravenna
e catturato il sovrano ostrogoto. I goti dimostrarono però un’imprevedibile capacità di
resistenza. Il nuovo re Tòtila tenne a lungo testa alle forze di Giustiniano, guidate ora da
Narsete, ricorrendo anche a provvedimenti estremi come la concessione della libertà agli
schiavi dei grandi latifondisti romani (considerati simpatizzanti dei bizantini) a patto che
combattessero dalla parte dei goti. L’Italia venne percorsa in lungo e in largo dai due
eserciti in uno stillicidio interminabile di devastazioni e violenze, dato che ognuno dei
contendenti cercava di fare terra bruciata attorno all’altro. Nel 552 Tòtila venne ucciso e

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l’anno dopo anche l’ultima resistenza gota fu annientata. I bizantini avevano vinto la
guerra, ma ereditavano un paese prossimo al collasso.

► L’Italia devastata. Nel 554 un provvedimento di Giustiniano noto come Prammatica


sanzione proclamò ufficialmente il ricongiungimento dell’Italia all’impero, trasformando
la penisola in una provincia affidata a un governatore bizantino. Diciotto anni di guerra
fino all’ultimo uomo avevano però avuto effetti devastanti sul tessuto economico e
sociale del paese: i campi erano sconvolti, l’aristocrazia decimata, e anche la popolazione
urbana si era ridotta fortemente, in seguito ai massacri e alle epidemie provocate dal
protrarsi del conflitto. Molte vie di comunicazione erano cadute in disuso e risultavano
ormai inservibili, vaste aree rurali si erano impaludate o erano tornate all’incolto; nelle città
interi quartieri, rimasti deserti per mancanza di abitanti, venivano adibiti a pascolo o a
giacimento di mattoni e altro materiale da costruzione.

► La politica di Giustiniano in Italia. Per di più l’aristocrazia romana, che i goti


avevano rispettato e coinvolto nel governo, venne emarginata da Giustiniano, che fece
amministrare i territori riconquistati da personale proveniente dall’Oriente. La nobiltà fu
anche mortificata da un prelievo fiscale esoso, che scaricava su di essa i costi altissimi
della guerra. Si capisce bene come, in queste condizioni, il controllo bizantino dell’Italia sia
durato appena quindici anni: già nel 568, infatti, la penisola fu invasa da una nuova
popolazione di stirpe germanica, i longobardi.

► La Spagna. I costi umani ed economici della campagna d’Italia non arrestarono


peraltro il progetto di riconquista dell’Occidente: nel 554, appena un anno dopo la fine
delle ostilità in Italia, l’esercito bizantino veniva diretto infatti contro la Spagna visigota.
L’attacco prese le mosse dall’Africa, attraverso lo stretto di Gibilterra, e portò
all’occupazione dei territori meridionali della penisola iberica. Anche in questo caso si
trattò però di un successo effimero: trent’anni dopo, nel 585, i visigoti avevano di nuovo
riunificato sotto il loro controllo l’intera Spagna.

► Un bilancio in rosso. La politica di riconquista di Giustiniano si risolse dunque, nel


medio termine, in un insuccesso. Anzitutto le guerre in Occidente drenarono risorse
immense, necessarie prima a pagare il soldo alle truppe (perlopiù composte di mercenari)
e poi ad assicurare la ricostruzione e a mantenere le forze di occupazione. In secondo

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luogo si trattò di conquiste di breve durata, in parte proprio per l’impossibilità strategica e
finanziaria di garantire il governo e la difesa dei nuovi territori. Infine, il massiccio
concentramento dell’impegno militare sul fronte europeo sguarnì inevitabilmente i confini
orientali dell’Impero bizantino, esponendolo a ripetute invasioni.

► L’ultimo dei romani. Ecco perché, all’indomani della morte di Giustiniano, i bizantini
finirono per abbandonare qualsiasi ipotesi di restaurazione dell’antico dominio romano e
per prendere atto che i territori un tempo appartenuti all’Impero d’Occidente erano
definitivamente perduti. Da allora in avanti le due metà dell’antico Impero romano
avrebbero conosciuto vicende, protagonisti e culture sempre più distanti l’una dall’altra.
Il sogno di fermare la storia, o addirittura di riportarla indietro, era irrevocabilmente
tramontato; ma proprio per aver concepito quel sogno, e per aver cercato di realizzarlo, sia
pure con altissimi costi umani, Giustiniano può davvero essere definito l’ultimo dei romani.

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