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Da Innocenzo III agli Angioini

Innocenzo III :

1. La crisi del potere imperiale creò le condizioni di un nuovo slancio


dell’universalismo papale, la ripresa, anzi lo svolgimento, sino alle
estreme conseguenze, del programma teocratico formulato da Gregorio
VII. Tentò di dar corpo a questi ideali un giovane monaco, Lotario dei conti di
Segni, che nel 1198, un anno dopo la morte dell’imperatore Enrico VI, giunse
trentenne al soglio pontificio assumendo il nome di Innocenzo III. Nella sua
personalità dominava una altissima considerazione del pontificato. Innocenzo III
enunciò la tesi del potere assoluto dei pontefici : l’imperatore, i sovrani
ed i principi dovevano considerarsi sottoposti al rappresentante di Dio
in terra : << Nulla di ciò che accade nel mondo deve sfuggire alle cure ed al
controllo del successore di Pietro >>. Con queste affermazioni, ed altre simili,
Innocenzo III andava ben oltre l’ambito entro il quale s’era attestato Gregorio VII,
un papa intento soprattutto ai problemi della salvezza spirituale dell’umanità. Per
Innocenzo III, invece, il pontificato doveva sostituirsi all’Impero nell’esercizio della
sovranità politica, del governo mondiale : verso questo obiettivo egli diresse tutta la
sua opera

2. L’assunzione dell’eredità di Gregorio VII significò per il nuovo papa


anche la prosecuzione del programma di organizzazione e di
accentramento delle istituzioni ecclesiastiche, un’opera questa, che
corse tutto il suo pontificato. La creazione della monarchia pontificia fu
comunque accompagnata da un forte movimento di contestazione, dal fuoco delle
proteste provenienti dal fronte delle eresie. Di fronte a queste la Chiesa rivelò una
continua tensione, un’oscillazione tra la repressione e l’assimilazione :

a. la prima fu esercitata, con grande durezza, nella crociata contro gli Albigesi e
con largo ricorso al Tribunale dell’Inquisizione che fu istituzionalizzato
proprio da Innocenzo III nel 1215,
b. la seconda trovò le sue più significative espressioni nell’atteggiamento
assunto nei confronti del francescanesimo e del domenicanesimo,
movimenti che furono ricondotti (non senza sussulti e contrasti) nell’ambito
dell’obbedienza e dell’ortodossia.
La politica italiana ed europea di Innocenzo III

1. Sin dai primi tempi il governo di Innocenzo III manifestò le linee di


un’ambiziosa politica pontificia in Italia. A tale riguardo il papa estese la sua
influenza nelle Marche e nell’Umbria, che entrarono a far parte di quello che allora
era definito Patrimonio di San Pietro (e più tardi si chiamerà Stato della Chiesa).
La politica di Innocenzo III, almeno agli esordi, raccolse grande
successo nel regno meridionale : la vedova di Enrico VI, Costanza
d’Altavilla, accettò la signoria feudale della Chiesa sui domini che erano
stati dei normanni, e quando l’imperatrice morì, il papa assunse la
reggenza del trono in nome dell’infante Federico.

2. Il cardine della politica di Innocenzo III fu, da allora, la separazione


della corona siciliana da quella imperiale : il pontefice non poteva
tollerare che nel Nord e nel Sud della penisola si installasse, come
nell’età di Enrico VI, una sola potenza egemone. Perciò appoggiò in
Germania la candidatura del nemico degli Svevi, il guelfo Ottone di Brunswick, e nel
1209 lo incoronò imperatore a Roma. Non esitò, però, a scomunicarlo l’anno dopo
quando Ottone (definito ormai da Innocenzo III, << brutale e malaccorto
>>)attaccò i possedimenti papali nelle Marche movendo con le armi verso la Sicilia
per riunire, a suo beneficio, le due corone che erano state di Enrico VI. Costretto a
capovolgere la sua politica, Innocenzo III dovette consentire, dopo la sua
delusione nei confronti di Ottone di Brunswick, che il suo “tutelato”
Federico di Svevia fosse candidato al trono di Germania nel 1212.

3. In appoggio di Federico, contro le pretese di Ottone di Brunswick, il papa ottenne


l’intervento del re di Francia Filippo Augusto, mentre il re d’Inghilterra Giovanni
Senza Terra si schierò a fianco di Ottone. Si delinearono così due potenti coalizioni
pronte a scontrarsi per l’egemonia europea. Nella battaglia di Bouvines (27 luglio
1214) la vittoria francese, sveva e pontificia, decise a favore di Federico il problema
del regno germanico e dell’Impero universale. Nel 1215 Federico cinse la
corona regia germanica ad Aquisgrana e fu designato imperatore.
L’anno dopo Innocenzo III morì, troppo presto per capire che il suo
candidato, quel Federico che era allora deriso come “re dei preti”, sarebbe
diventato, una volta ottenuto il titolo imperiale, implacabile nemico del
pontificato.

4. In quegli anni il prestigio e la supremazia del Papato si affermarono


largamente nel mondo cattolico. Si trattava, comunque, delle ultime
manifestazioni di ossequio tributate dalla coscienza medievale ad un’autorità
spirituale che si pensava potesse guidare le nazioni secondo un disegno voluto da
Dio : erano sentimenti e pensieri destinati ad essere trasformati, se non cancellati,
in un’Europa che, per l’avanzata di nuove forze politiche e di nuove realtà culturali e
sociali, si stava facendo diversa e, pur inconsapevolmente, a suo modo si laicizzava.

L’espansione del Cristianesimo e la repressione delle eresie

1. Mosso dai suoi convincimenti religiosi, Innocenzo III, durante il


pontificato, lanciò ripetuti appelli per la cristianizzazione dei territori
che erano ancora nelle mani dei pagani, come i paesi slavi di là
dall’Oder, o degli infedeli, come nel caso della Spagna musulmana, e
degli eretici, che pur presenti ovunque, erano allora forti ed attivi
soprattutto nella Francia meridionale.

2. Sconcertanti furono anche gli esiti della crociata che Innocenzo III
bandì contro gli eretici della Provenza, i catari albigesi. Dopo aver
represso l’eresia con spietata durezza, ed aver saccheggiato e devastato, tra il 1209
ed il 1213, alcune città, la guerra di Innocenzo III si protrasse a lungo, snaturandosi
ancora; si concluse con l’annessione delle province meridionali al regno di Francia e
con la distruzione della civiltà provenzale. A porre fine all’egemonia culturale del
Mezzogiorno francese concorsero i signori feudali della Francia settentrionale, che
colsero l’opportunità offerta dalla crociata per estendere la propria influenza su
territori rimasti fino a quel momento autonomi.
Federico II di Svevia

Federico II nel regno di Sicilia

1. Federico, il figlio di Enrico VI e di Costanza d’Altavilla, eletto nel 1215


re di Germania, veniva incoronato Imperatore del Sacro Romano
Impero nel 1220, a Roma, dal papa Onorio III. Si era ricostituita, in tal modo,
quell’unione della corona imperiale con la corona siciliana che aveva
reso potentissimo e temuto Enrico VI. I primi anni di governo, tuttavia,
rivelarono che il nuovo imperatore, più che ai problemi della Germania e
dell’Impero universale, intendeva rivolgere le sue cure all’Italia, al regno di Sicilia,
quello che lo stesso Federico definiva << la pupilla dei suoi occhi >>. A tale
riguardo intendeva realizzare, proprio qui in Sicilia, quasi
sperimentalmente, un modello nuovo di Stato.

2. Era anzitutto necessario porre un freno alla prepotenza dei feudatari e


degli ecclesiastici che avevano imperversato durante gli anni della reggenza. Il
sovrano rivendicò quindi le regalie, abolì i privilegi usurpati, distrusse i castelli e
confiscò i patrimoni dei baroni ribelli. In Sicilia soffocò, con quattro anni di guerra,
la resistenza dei musulmani. Per ristabilire i primi elementi di ordine nell’anarchia
generale, Federico II costituì un solido apparato di funzionari posti
direttamente alle dipendenze della corona, stipendiati e revocabili,
selezionati tra i sudditi meridionali. Poiché era necessario sottrarre la
giustizia agli abusi dei feudatari, promosse la costituzione di un corpo di giudici regi
(i cosiddetti giustizieri o balivi) e ad essi assegnò le varie province del regno. Inoltre
furono, sotto il suo regno, realizzati grandi lavori di irrigazione, introdotte nuove
colture, creati monopoli per la seta, la canapa ed il sale.

3. Dall’opera dell’imperatore Svevo emergono, tra luci ed ombre, i lineamenti


di uno Stato forte, accentrato, fondato sull’autorità del sovrano, su un
complesso di leggi che esprimono la sua volontà e su una burocrazia che ne
garantisce l’esecuzione. A tale proposito si deve ricordare che Federico II
formulò compiutamente il suo progetto di riforma nel Liber Augustalis,
la raccolta delle Costituzioni che promulgò a Melfi in uno dei suoi rari
momenti di tregua, nel 1231. Nel Libro domina e ricorre un’idea : nessuna forza
particolaristica deve usurpare le funzioni del sovrano : solo a questi ed ai magistrati
da lui nominati spettano i compiti del governo, della giustizia, dell’amministrazione.
La lotta di Federico II contro il Papato e i comuni

1. Federico II affidò il governo della Germania al figlio Enrico per dedicare


tutta la sua opera al regno di Sicilia ed all’Italia centro-settentrionale.
Nei confronti di quest’ultima avanzò le stesse pretese di egemonia che erano state
del Barbarossa. Lo attendeva uno scontro durissimo con il Papato e i
comuni, una lotta che, nel corso di mezzo secolo, avrebbe travolto la sua sorte
personale e le fortune della dinastia sveva.

2. Sin dagli anni Venti del secolo i comuni del Nord, timorosi
dell’egemonia sveva, avevano rinnovato una lega difensiva e, stretta
alleanza con il Papa, avevano innalzato contro l’imperatore la bandiera
guelfa. Anche questa volta allo schieramento dei comuni guelfi si
contrappose lo schieramento delle città ghibelline : Pisa, Parma, Treviso,
Padova, Verona, Vicenza erano le più importanti. Nel corso degli anni Trenta si
combatté ovunque in Italia. A Cortenuova (tra Bergamo e Brescia) Federico II
inflisse ai comuni ribelli una pesante sconfitta (1237); ma lo scontro non decise le
sorti del conflitto. Il papa Gregorio IX (prima di lui vi fu Onorio III, successore
di Innocenzo III) lanciò a Federico una nuova scomunica nel 1239 (la prima
l’aveva ricevuta sempre da Gregorio IX perché non si decideva ad andare in crociata
in Palestina). A questo punto Federico II invase lo Stato della Chiesa, minacciò
Roma, rese impossibili i lavori del concilio che doveva deporlo.

3. Ma nel 1245 il nuovo papa Innocenzo IV, convocato un concilio a Lione,


scomunicò ancora una volta l’imperatore. Intanto il fronte guelfo si era
consolidato : la Germania aveva opposto a Federico un antirè; in Italia la guerra
civile tra guelfi e ghibellini aveva portato i guelfi al governo di molte città, defezioni
e tradimenti avevano colpito lo stretto gruppo dei collaboratori dell’imperatore. In
questo quadro le sconfitte militari subite dai ghibellini sul campo negli anni 1248 e
1249 diedero l’ultimo segno di un tracollo irreversibile. Mentre si disponeva a
partire per una spedizione nell’Italia settentrionale, improvvisamente
Federico II morì in un castello delle Puglie, presso Lucera. Il 13 dicembre 1250.
Non aveva compiuto ancora 56 anni. Al suo posto, anche se non riconosciuto dal
papa Innocenzo IV, diventerà Imperatore di Germania e re di Sicilia, il figlio di
Federico II, ovvero Corrado IV, il quale dovrà, per il momento occuparsi della
Germania, dove i feudatari, alla morte di Federico II, stavano per rialzare la testa.
La fine della dinastia sveva.

1. Scomparso Federico II, la sua eredità fu raccolta in Italia dal figlio Manfredi,
mentre in Germania, Corrado IV, cercava di sostenersi contro i rivali che
insidiavano la sua successione. Manfredi era reggente d’Italia in assenza del fratello e
durante la minorità di Corradino, figlio (troppo giovane per governare) di Corrado IV. Alla
morte di Corrado IV, nel 1254, Manfredi fu costretto ad abbandonare la Sicilia
a Innocenzo IV. Tra parentesi, dopo la morte di Corrado IV, vi fu il cosiddetto
Grande interregno in cui dal 1254 al 1273, non vi furono imperatori del Sacro Romano
Impero. A questo punto Manfredi si ribellò a questo stato di cose e già nel 1257, si era
impadronito di tutta l’Italia meridionale e della Sicilia. Dopo aver fatto spargere la voce che
suo nipote Corradino era morto, si fece incoronare re di Sicilia nel 1258 ma venne
immediatamente scomunicato dal papa Alessandro IV A questo punto, messosi alla testa
dei ghibellini italiani, invase gli Stati Pontifici. Per alcuni anni impose un governo allo
stesso tempo energico e umano, ma il nuovo papa Urbano IV predicò una crociata contro
di lui. La minaccia di un rinnovato dominio svevo in Italia indusse il pontefice
Urbano IV ad offrire nel 1263 l’investitura del regno di Sicilia a Carlo d’Angiò,
signore di Provenza e fratello del re di Francia Luigi IX. Fu una scelta, quella del
pontefice, ricca di conseguenze.

2. Incoronato a Roma re di Sicilia nel 1265 dal papa Clemente IV, francese, Carlo d’Angiò
mosse alla conquista del regno. Non fu un’impresa facile, perché Manfredi,
abbandonato dai baroni, si trovò a lottare contro forze soverchianti e cadde sul
campo di Benevento nel 1266. Un estremo tentativo di recuperare l’eredità degli
Hohenstaufen, compiuto dal giovane Corradino di Svevia (figlio di Corrado IV e
quindi nipote del grande Federico II) che aveva 16 anni, fallì miseramente. Il nipote di
Federico II, battuto a Tagliacozzo (in Abruzzo), fu decapitato a Napoli nella piazza del
Mercato nel 1268.

3. Nel Mezzogiorno Carlo d’Angiò non seppe conquistare i favori dei sudditi. Il
nuovo sovrano eliminò i baroni ed i funzionari che, sin dal tempo dei Normanni e degli
Svevi, governavano il regno e mise al loro posto i suoi fedeli francesi. La rapida e brutale
sostituzione di tutta una classe dirigente provocò nel paese molti odi. L’avversione e le
proteste furono esasperate dal fiscalismo, reso necessario per far fronte alle spese
militari. L’inquietudine era forte soprattutto in Sicilia.

4. In questa situazione di disagio bastò un episodio di tracotanza per suscitare a Palermo, nel
Lunedì di Pasqua del 1282, una sollevazione popolare. Nella rivoluzione detta del
Vespro la protesta contro il malgoverno straniero si mescolò al desiderio isolano di
autonomia. Palermo si costituì a comune, la rivolta si estese a tutta la Sicilia : feudatari e
città si coalizzarono contro il comune nemico ed i Francesi furono costretti a lasciare l’isola.
Ritiratisi in Calabria, già tentavano la riscossa, quando gli insorti decisi a non ricadere
sotto il loro giogo, invocarono in soccorso Pietro III re d’Aragona. Quest’ultimo era
impegnato in una politica d’espansione mediterranea e, da tempo, guardava con interesse al
regno meridionale. Il 31 agosto 1282 sbarcò a Trapani e, pochi giorni dopo, fu acclamato
re a Palermo.

1. I Francesi non poter0no metter piede in Sicilia, ma iniziò una lunga guerra tra
Angioini ed Aragonesi. Lo scontro si concluderà nel 1302 con il trattato di
Caltabellotta, per il quale venne riconosciuto ai re aragonesi il possesso della
Sicilia. La Sicilia fu così attratta nell’orbita della Spagna. Si tenne quindi i suoi re aragonesi
chiudendosi in un isolamento provinciale : la gloriosa civiltà musulmana-normanno-sveva
inaridì. Il potere regio decadde non a vantaggio delle città, ma a beneficio dei nobili e dei
baroni; iniziò un lungo periodo di servitù e di miseria.

Le monarchie in Europa nel Duecento e nel Trecento

La monarchia in Francia

1. Tra il XII ed il XIII secolo, al di qua ed al di là della Manica, attraverso


vicende diverse, in Francia ed in Inghilterra emersero, dall’intrico dei
feudi, due grandi regni che diventeranno sempre più autonomi sia dalla
Chiesa che dall’Impero. Due organismi territoriali definiti, raccolti intorno al
trono dei Capetingi in Francia (da Ugo Capeto che era diventato re nel 987 e
sostituendo la dinastia carolingia) e dei Plantageneti in Inghilterra. Nel corso di
questo processo i Francesi e gli Inglesi furono legati dalle vicende di una
lunghissima guerra durante la quale si combatterono aspramente. Fu
un conflitto che, pur segnato da estesi intervalli, doveva influire
profondamente sui destini dei sue popoli e dei due paesi. Iniziato infatti
nel Basso Medioevo come uno scontro dinastico e feudale tra il 1066 ed il 1214
(tipicamente medievale), doveva concludersi alle soglie dell’età moderna come una
guerra nazionale (1337-1453).

2. Dal 1066, infatti, la monarchia inglese era sottoposta al dominio del


capo dei Normanni Guglielmo duca di Normandia, noto sotto il nome di
Guglielmo il Conquistatore. Da ricordare che i Normanni provenivano dalla
Normandia, chiamata appunto così da quando nel 911 Rollone, capo dei Normanni,
provenienti a loro volta dalla Scandinavia, riuscì a farsi dare in feudo un territorio a
nord ovest della Francia da Carlo III il Semplice, re dei Franchi. A questo punto, con
la conquista dell’Inghilterra, Guglielmo il Conquistatore pur continuando
ad essere vassallo del re di Francia, era diventato a sua volta monarca
coronato. Insomma i suoi doveri di fedeltà al re mal s’accordavano con l’esercizio
del potere nei propri vasti domini.

3. Il quadro divenne ancor più complesso quasi un secolo dopo, quando, nel 1154,
salì al trono d’Inghilterra un pronipote di Guglielmo il Conquistatore, Enrico II
Plantageneto. Al nuovo re, già erede per parte di padre (Goffredo Plantageneto)
della contea d’Angiò (a sud del Ducato di Normandia, sempre in Francia) e per parte
di madre (Matilde figlia di Enrico I, a sua volta figlio di Guglielmo il Conquistatore) del
ducato di Normandia, la sposa Eleonora duchessa d’Aquitania, aveva portato
in dote grandi e ricchi feudi nel sud-ovest francese (per esempio il grande e
ricco Ducato d’Aquitania). A questi territori andava aggiunta la Bretagna. Si costituì, in
tal modo, quello che fu chiamato il dominio plantageneto-angioino : il re d’Inghilterra
disponeva di due terzi del territorio francese, mentre i Capetingi controllavano ormai poco
più della regione che si estende tra Parigi e la città di Orléans.
4. Si era creata una situazione troppo pericolosa perché quei sovrani non
dedicassero tutte le loro forze a strappare, uno ad uno, ai Plantageneti i
loro feudi in Francia. Fu quindi vanto di Filippo II Augusto, re di
Francia dal 1180al 1223, l’aver fatto del figlio di Enrico II, Giovanni II
Plantageneto (re dal 1199 al 1216), un sovrano che, almeno in Francia,
era ormai Senza terra. Perduta la Normandia e l’Angiò, Giovanni Senza
terra tentò di porre un argine ai successi francesi, alleandosi con il re di Germania
Ottone di Brunswick. Il conflitto anglo-francese, a questo punto, si intrecciò con le
lotte per la corona imperiale. Scesero in campo, come si è visto, il papa Innocenzo
III ed il giovane candidato al trono imperiale Federico II di Svevia. La vittoria dei
franco-svevi nella pianura di Bouvines nel 1214 risolse le sorti della guerra. L’esito
della battaglia, oltre ad aprire a Federico di Svevia la strada dell’incoronazione
imperiale, rimosse l’eventualità di un’egemonia anglo-germanica sul continente ed
ebbe un’importanza decisiva nella storia della Francia e dell’Inghilterra. Impose
infatti una battuta d’arresto all’ambizione dei Plantageneti, al progetto cioè di
creare un grande regno anglo-francese a cavallo della Manica.

5. A tale riguardo crollò il prestigio del re d’Inghilterra : Giovanni Senza


terra (che fra l’altro governava al posto del primogeniti del padre Riccardo Cuor di
Leone, che era partito per le crociate) non poté contrastare le rivendicazioni
dei baroni e dovette sottoscrivere nel 1215 la cosiddetta Magna Charta
Libertatum, il documento che consacrava la sconfitta dell’assolutismo
monarchico ed apriva nuove possibilità per la partecipazione al governo tanto dei
feudatari, quanto, in prospettiva, delle forze cittadine e borghesi. Con la Magna
Charta :

a. il re è vincolato al rispetto delle antiche consuetudini,


particolarmente per ciò che riguarda i diritti dei baroni.
b. Prima di imporre tributi il re deve consultare il Consiglio dei
nobili e degli ecclesiastici.
c. Inoltre nessun nobile, laico o ecclesiastico, può essere arrestato e condannato
se non mediante un giudizio dei suoi pari.
d. La Charta contiene l’enunciazione di principi generali (tutela della Chiesa,
rispetto delle leggi, dei diritti acquisiti). Comunque, la Magna Charta, in
quanto testo limitante i poteri assoluti del sovrano è considerata
documento precursore delle moderne costituzioni.
2. Il consolidamento del potere regio in Francia

1. La piena affermazione dell’autorità sovrana e l’esercizio delle funzioni


regie in tutto il paese costituì per la dinastia capetingia un successo più
importante delle vittorie militari e dell’ampliamento del territorio. Sul
trono francese, divenuto di fatto ereditario, si susseguono dei grandi
monarchi : il già citato Filippo II Augusto (1180-1223), suo nipote Luigi IX il
Santo (1226-1270), suo nipote Filippo IV il Bello (governò dal 1285 al 1314 ed
era figlio di Filippo III che governò, dopo la morte del padre Luigi IX, dal 1270 al
1285). Tali sovrani perseguirono i loro obiettivi con mezzi relativamente
pacifici, senza scontri particolari, alternando abili mediazioni e
coraggiose novità.

2. In questi sovrani una concezione ancora feudale del potere monarchico


si unì ad un’intuizione dello Stato che non si può non dire moderna. Ad
esempio Filippo II Augusto riuscì a controllare la nobiltà senza
giungere ad urti frontali, usando con fermezza il diritto feudale,
esigendo nei confronti dell’autorità regia quell’obbedienza che la
tradizione imponeva. Ora, dal tempo dei primi Capetingi i territori dipendenti
dal sovrano erano divisi in circoscrizioni amministrative chiamate prévotés.
Ciascuna di queste era governata da un prévot che aveva assunto in proprio
l’appalto del prelievo fiscale. Da questa situazione (che tra l’altro verrà eliminata
completamente solo dopo vari secoli), nascevano moltissimi abusi e forme di
corruzione. Filippo Augusto non abolì le prévot, al contrario le moltiplicò per
ridurne l’importanza, e pose invece in ogni circoscrizione dei funzionari
stipendiati di nomina regia, i cosiddetti baillis (balivi), con il compito di
controllare i prévot (1190).

3. L’estensione del territorio e l’avvento d’una società più complessa resero inadeguata la
vecchia struttura del governo centrale, la curia regis (il “consiglio del re”) con i suoi
ministeriales quasi tutti e quasi sempre di formazione ecclesiastica. Già al tempo di
Filippo Augusto cominciarono ad articolarsi entro la “curia” organismi forniti di
una competenza specifica, dediti alla giustizia ed alle finanze non necessariamente di
formazione clericale. In tali organismi operavano gli “uomini del re”, funzionari
retribuiti, notai, cancellieri computisti (i contabili, una specie di ragioniere
dei conti). Sorgeva insomma una classe dirigente che prendeva il posto di
quella feudale ed ecclesiastica. Nasceva insomma la burocrazia, componente
essenziale di uno Stato moderno.
4. La nuova organizzazione del governo si manifestò compiutamente al tempo del
nipote di Filippo Augusto, ovvero Luigi IX il Santo. La Chiesa lo aveva canonizzato
per l’esercizio esemplare delle virtù cristiane. Tale sovrano infatti univa ad una profonda
religiosità interna ed alla pratica costante delle opere di misericordia, un senso altissimo
della funzione regia. Ora, per garantire i sudditi dalle angherie delle corti locali
(tenute da nobili), il re istituì una suprema corte di giustizia, il Parlamento, al
quale un corpo di ispettori itineranti indirizzava gli appelli ed i reclami
provenienti da ogni parte del regno. Accanto al Parlamento (che era dunque un
supremo tribunale e non un’assemblea rappresentativa) sorse la Corte dei Conti, un organo
che regolava le finanze e deliberava sui contributi straordinari imposti di volta in volta al
paese. Non esisteva ancora un regolare impianto fiscale. Si mossero quindi i primi
passi verso una legislazione unitaria che avrebbe superato le consuetudini e
gli statuti locali.

5. L’ambito religioso-cristiano entro il quale Luigi IX aveva pensato il rinnovamento


del regno fu clamorosamente infranto da suo nipote Filippo IV il Bello, un re che
non amava la guerra, ma che, per sostenere le spese di un apparato statale
che costava infinitamente più di quello della monarchia feudale, non
esitò a scontrarsi con il papato. Infatti, quando il sovrano cominciò a
tassare il clero francese, il pontefice Bonifacio VIII protestò
solennemente. Filippo IV, roncando la disputa che stava assumendo connotati
dottrinali, non esitò a ricorre alla violenza : fece catturare il pontefice, bruciò le bolle
di scomunica, si appellò contro il papa alla “nazione” convocata nel 1303
negli Stati Generali.

Stati Generali : A partire dal XIII secolo le assemblee di nobili di origine feudale si
evolvono, con l’ingresso in esse di dignitari ecclesiastici e di rappresentanti della borghesia
cittadina. Nascono così i parlamenti generali, con competenze su tutto il territorio dello
Stato, e i parlamenti provinciali, con poteri più limitati e territorialmente circoscritti. I
parlamenti generali assumono nomi diversi : Cortes in Spagna, Parlamento in Inghilterra,
Stati Generali in Francia (qui i parlamenti erano invece organismi regi, con funzioni
giudiziarie ed amministrative). Al di là della diversa denominazione, la composizione è la
stessa ovunque. I parlamenti non rappresentano la nazione nel suo complesso, ma, come si
è visto, gli ordini o stati in essi presenti : nobiltà, clero e borghesia cittadina. Non erano
organismi stabili, ma venivano convocati in caso di necessità dal re, anche se là dove
acquistarono maggiore forza, come in Inghilterra, le convocazioni assunsero una certa
regolarità. I parlamenti avevano compiti consultivi, ma potevano farsi promotori di
richieste, petizioni; soprattutto ad essi spettava dare l’assenso all’imposizione di nuove
tasse o di contributi straordinari ed in tal modo potevano condizionare la politica del
sovrano. La nascita e lo sviluppo dei parlamenti nel Basso Medioevo dimostra che
all’epoca il potere dei sovrani è ancora limitato da altri poteri, diversamente dall’età
successiva nella quale i re, perseguendo l’assolutismo, tenderanno a limitare le prerogative
dei parlamenti o a non convocarli.
3. Il conflitto tra Filippo IV e Bonifacio VIII

1. Nel 1294 il cardinale Benedetto Caetani, esponente di una grande famiglia


romana, salì al pontificato assumendo il nome di Bonifacio VIII. La contesa
con il re di Francia Filippo IV il Bello iniziò quando il sovrano francese
sottopose anche il clero al tributo; Bonifacio VIII, con la bolla Clericis laicos,
definì peccaminosa ogni tassa imposta al clero senza l’approvazione del papa e
minacciò la scomunica in caso di trasgressione. Filippo IV replicò proibendo
l’esportazione dell’oro e dell’argento; impedì, in tal modo, che giungessero a Roma i
censi dovuti al pontefice. Lo scontro, tra l’altro, innescò una polemica
dottrinale nel corso della quale vennero dibattuti i problemi generali del
rapporto tra la Chiesa e lo Stato:

a. alle tesi del diritto canonico che ripetevano il principio della superiorità
dello “spirituale”,
b. si contrapponevano, sulla base del diritto romano-imperiale, le teorie
dell’autonomia del potere dello Stato, e, come allora si cominciava a dire,
della sovranità nazionale.

2. Nella primavera del 1300 Bonifacio VIII convocò il Giubileo (si trattava
della concessione, fatta per la prima volta proprio da Bonifacio VIII, di una particolare
indulgenza plenaria, con la quale ai fedeli si offriva la possibilità di riacquistare la primitiva
condizione di innocenza e di liberarsi dalla schiavitù del peccato. L’indulgenza veniva
concessa a chi, assolto dai suoi peccati, si fosse recato sulle tombe degli apostoli Pietro e
Paolo). Fu un grande successo religioso, politico ed economico. Accorsero a Roma,
da ogni parte della Cristianità, folle di pellegrini ai quali era stata promessa la
remissione di tutti i peccati. Tale evento riaccese gli entusiasmi dell’universalismo
cristiano ed incoraggiò Bonifacio VIII a rinnovare il sogno teocratico di
Innocenzo III.

3. Forte di questa convinzione nel 1302 Bonifacio VIII emanava la bolla


Unam Sanctam con la quale ripeteva le tesi già enunciate da Innocenzo
III pretendendo la subordinazione del potere civile, dichiarando eretici
quanti si facessero sostenitori dell’autonomia dello Stato. A questo
punto Filippo IV, sostenuto dal parere di insigni giuristi, si appellò ai
“Francesi” convocando un’assemblea rappresentativa di tutti gli ordini
del regno (clero, nobiltà, borghesia) e sottoponendo al suo giudizio la
vertenza con il papa. L’assemblea, che da allora prese il nome di Stati
Generali, si schierò a fianco del sovrano e dichiarò che nelle questioni
temporali il re di Francia non aveva sopra di sé altra autorità che quella
di Dio. I tempi erano quindi mutati da quando i pontefici lanciavano le loro
scomuniche contro Enrico IV o Federico II di Svevia. A differenza degli imperatori
del Sacro Romano Impero, il re di Francia non aveva a suo fianco feudatari malfidi,
ma poteva contare sul sostegno dei suoi funzionari, dei nuovi ceti borghesi, delle
città, e, più in generale, di quella che già può considerarsi l’opinione pubblica.

4. Di fronte alla fermezza del sovrano ed alla compattezza del suo popolo la bolla
pontificia cadde nel vuoto; a nulla valse la scomunica. A questo punto Filippo
inviò in Italia un suo funzionario. Guglielmo di Nogaret, con il compito di
costringere il papa all’abdicazione. L’incontro avvenne ad Agnani. Bonifacio resistette
alle ingiunzioni e “l’uomo del re” lo prese prigioniero (7 settembre 1303). Due giorni
dopo il popolo del borgo, sollevatosi a tumulto, liberò il vecchio pontefice che si ritirò a
Roma, dove morì un mese dopo, “rodendosi come rabbioso” come scriveva il cronista
Villani.

5. La monarchia nazionale, sostituitasi all’Impero nella lotta contro le ambizioni


teocratiche dei pontefici, usciva vittoriosa dalla contesa. L’imminente
trasferimento della sede pontificia ad Avignone significherà, per quasi un
secolo (dal 1308 al 1377), la subordinazione della Chiesa alla monarchia
francese. Dopo la crisi dell’Impero seguita al crollo svevo, anche il papato quindi vedeva
venir meno il suo prestigio. Il sogno teocratico di Bonifacio VIII era ormai “un sogno
sognato sull’orlo dell’abisso”. Attraverso successive cadute (l’”oltraggio di Agnani”, la
“cattività avignonese”, lo “Scisma d’Occidente”, la “Riforma luterana”) il Papato dovrà
prendere atto del tramonto del suo primato politico, della fine dell’universalismo che aveva
caratterizzato l’età medievale.

4. La crisi e la trasformazione della monarchia in Inghilterra

1. La progressiva perdita dei domini oltre Manica gettò in una crisi profonda la
casa regnante d’Inghilterra. Quando Giovanni II Senza terra sconfitto chiese nuovi
tributi, l’opposizione decise di passare alla lotta armata; gli abitanti di Londra aprirono le
porte della città ai ribelli e Giovanni dovette accettare la trattativa. Questa si tenne nel
giugno 1215. Il monarca, cedendo di fronte alle rivendicazioni dei baroni, giurò di
osservare le disposizioni della Magna Charta Libertatum, dell’atto, cioè, con il
quale i rivoltosi stabilivano i limiti del potere della corona .

2. Nel momento in cui venne formulata, la Magna Charta segnò una vittoria delle classi
privilegiate, la riscossa dei ceti feudali contro le tendenze accentratrici e modernizzatici
della monarchia; è però altrettanto vero che la Charta, proponendosi la tutela del diritto dei
singoli contro gli abusi del potere sovrano, anticipò un’esigenza fondamentale delle
moderne costituzioni. Il successore di Giovanni II Senza terra, Enrico III, che
governò l’Inghilterra dal 1216 al 1272, accettò di governare con la
collaborazione dei baroni e consentì che essi partecipassero al “Parlamento”, come era
allora chiamato il Consiglio del re.

3. Fu durante il regno del successore Edoardo I (1272-1307) che il Parlamento


cominciò ad assumere struttura e funzioni più articolate, capaci di esprimere le
esigenze di una società che andava trasformandosi. Nel Parlamento convocato nel
1295, accanto ai nobili ed ai prelati presero posto due cavalieri per ogni contea e due
borghesi per ogni città. Non ci si limitò a discutere di bilanci delle spese e
l’ammontare delle imposte, ma si esaminarono le petizioni che provenivano da
ogni parte del regno. Si cominciò, insomma, a trattare degli affari correnti. Il
Parlamento non era ancora diviso nelle due Camera (Camera alta o dei nobili, Camera
bassa o dei comuni); però già i lavori di quell’assemblea dimostrano l’esistenza di una
comunità nazionale costituita dal re, dai nobili e dai rappresentanti delle città. Questi
gruppi sociali trovavano nell’idea del “regno” il motivo della loro aggregazione e, se non si
riunivano ancora per legiferare, affrontavano insieme i problemi più importanti della loro
convivenza.

5.I regni cristiani di Spagna

1. Dopo la vittoria riportata sui Mori nel 1212 a Las Navas de Tolosa, nel
1236 fu liberata Cordova, nel corso degli anni Trenta fu la volta delle isole Baleari,
nel 1248 di Siviglia, sicché, nella seconda metà del secolo, tutta la Spagna era
tornata nell’Occidente cristiano e nella geografia politica della penisola erano
presenti cinque regni : Aragona, Castiglia e Leòn, Navarra e Portogallo; ai Mori
rimase il regno di Granada.

2. Ora, nel corso della lunghissima guerra la nobiltà, “la classe che combatte”,
era divenuta più potente che nelle altre regioni europee; la piccola nobiltà, poi, era
in Spagna molto più numerosa che altrove. L’ascesa dell’aristocrazia era stata
assicurata dalla distribuzione di enormi possedimenti nelle contrade
riconquistate. Nei latifondi si radicò il potere dei nobili. Questi furono
fortissimi e turbolenti in tutta la Spagna; sia nella Castiglia, la regione che era il
cuore delle tradizioni più antiche, sia nell’Aragona, ove i feudatari dovevano
convivere con una dinamica società mercantile e cittadina.

3. Soprattutto in Aragona le città e le comunità rurali avevano ottenuto, nel


corso della lunghissima guerra, privilegi, esenzioni, favori. Le esigenze
dell’autodifesa e le necessità del ripopolamento avevano spinto i sovrani a
concedere statuti e patenti. Molto forti erano le tradizioni municipali,
l’abitudine ad assemblee cittadine, la tendenza alla federazione. Le istituzioni
tipiche della rappresentanza cittadina e popolare furono le Cortes,
apparse, sembra, nel Leòn nel XII secolo, ma largamente diffuse in tutta la Spagna
dalla metà del Duecento. Le Cortes rivendicavano, di fronte ai sovrani, i diritti delle
comunità ed esprimevano le proteste dei villaggi e delle città.

4. Contro la prepotenza dei grandi signori feudali, i sovrani ricorsero


all’apporto della borghesia e scesero a patti con le Cortes. Ma, alla fine del
secolo XIII, sembrò che in Aragona la monarchia fosse destinata a cedere sotto la
pressione di un grande fronte che univa, questa volta, i feudatari ai borghesi delle
città. Entro questo quadro, va probabilmente collocato il grande disegno politico
d’espansione mediterranea della corona aragonese. Fu infatti allora che il re
d’Aragona Pietro III (1239-1285), per soddisfare le esigenze dei signori
della guerra e del popolo dei mercanti, entrò come protagonista nella grande
politica europea, assumendo in Sicilia ed in Italia la direzione della guerra
contro gli Angioini di Napoli.

5. L’impero dal “grande interregno” alla Bolla d’Oro

1. La sconfitta e la morte di Federico II di Svevia, poi il crollo della


dinastia sveva, avevano gettato la Germania e l’Italia nel caos : “oscure
comparse” si disputarono il potere imperiale inaugurando il periodo che fu detto del
Grande interregno durato dal 1250 al 1273. Nel corso di questi decenni la
Germania assunse l’aspetto politico che conserverà per secoli : vi si
configurò un mosaico di regni, di principati laici ed ecclesiastici, di
ducati, di langraviati (ovvero grossi feudi affidati ad un grande
feudatario, il langravio), di città “imperiali” e di città “libere”. In questa
“anarchia in forma monarchica” come venne definita la Germania dell’epoca,
l’autorità imperiale era poco più che nominale. Nel secolo in cui andavano
consolidandosi in Francia ed in Inghilterra le monarchie ereditarie, gli imperatori
erano eletti da una Dieta (il Reichstag), la cui composizione e le cui funzioni erano
incerte e mal definite.

2. Nel 1273 l’elezione di Rodolfo d’Asburgo, erede di una nobile famiglia


originaria della Svizzera, segnò l’inizio di una nuova fase nella storia
dell’Europa centrale; l’Asburgo, infatti, riuscì ad impadronirsi della Stiria,
della Corinzia e dell’Austria, stabilendo nella valle del Danubio un grande
potentato, destinato, nei tempi lunghi, a conquistare la definitiva egemonia
sull’Impero. Consolidato il suo domini, Rodolfo d’Asburgo pose fine alle guerre private
che insanguinavano la Germania e ristabilì l’autorità regia nel territorio tedesco. I due
imperatori che vennero eletti dopo Rodolfo, ovvero Enrico VII di Lussemburgo
(chiamato Arrigo VII) dal 1308 al 1313 e Ludovico di Baviera dal 1314 al 1347, si
distaccarono invece dalle questioni tedesche e centro-europee, furono attratti dai
problemi italiani e dal miraggio dell’Impero universale. In particolare Arrigo VII
passò le Alpi nel 1310 : voleva far risorgere la monarchia universale e fondare nell’Italia
lacerata dalle guerre e dalla discordia un governo capace di imporre giustizia, pace ed
ordine (era anche il sogno di Dante nel De monarchia). La sua venuta in Italia accese
in effetti alcuni entusiasmi e forti aspettative, ma il suo disegno fu travolto dalle
contese e dagli odi di parte e finì solo per consolidare il potere dei grandi signori ghibellini.
Mentre si preparava a portare la guerra contro gli Angioini di Napoli, una malattia, poi la
morte gli risparmiarono una sicura disfatta. Era il 1313. Con lui finì la speranza che un
imperatore potesse ristabilire in Italia la concordia e la pace. Non ebbe migliore
successo il tentativo del suo successore Ludovico il Bavaro.

3. Nel 1346 la Dieta elesse all’Impero Carlo IV, re di Boemia e potente signore di
Moravia e di Slesia. Il nuovo imperatore stabilì la sua capitale a Praga, che
divenne presto una grande città, ricca di traffici ed illustre per cultura. In questo modo il
centro dell’Impero, che aveva sino allora gravitato sulle regioni renane, si spostò nell’area
danubiana. Gli anni di Carlo IV devono essere ricordati per una riforma costituzionale che
avrebbe avuto grande rilievo nella storia dell’Impero. Nel 1356 la successione al trono
fu regolata da un atto che prese il nome di Bolla d’Oro e che restrinse
l’esercizio del diritto di voto per l’elezione imperiale, a sette principi elettori
(non più quindi l’imperatore veniva eletto dal Reichstag, ovvero dalla Dieta). Quattro di
essi erano laici (il re di Boemia, il margravio di Brandeburgo, il duca di Sassonia, il conte
del Palatinato) e tre ecclesiastici (gli arcivescovi di Magonza, Treviri e Colonia). Si era
costituito, in tal modo, il gruppo dirigente della feudalità tedesca, l’elite che avrebbe dovuto
disporre delle sorti dell’Impero, ma gli avvenimenti mostrarono che l’esercizio effettivo
della sovranità imperiale avrebbe potuto dispiegarsi solo ove si fosse appoggiato alla
signoria territoriale ed alle risorse patrimoniali di una grande famiglia.

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