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STORIA 2

I REGNI NATI DALLA DISSOLUZIONE DELL’IMPERO CAROLINGIO

Con la deposizione di Carlo il Grosso nell’occidente europeo proseguì e si aggravò lo stato di


turbolenza creato dai grandi signori feudatari. Il periodo di anarchia non impedì la formazione di stati
più o meno stabili: il regno dei Franchi occidentali, il regno dei Franchi orientali, il regno di
Borgogna e il regno d’Italia.
Nel 987 la corona dei Franchi occidentali era passata a Ugo Capeto: egli diede vita alla dinastia dei
Capetingi che governò per molti secoli.
Nel regno dei Franchi orientali si erano formati grandi ducati regionali sempre in lotta per la corona.
Agli inizi del X secolo la casa di Sassonia si era imposta con Enrico I l’Uccellatore che era stato
eletto re di Germania nel 919.
Il regno d’Italia, infine, occupava la parte settentrionale della penisola e parte di quella centrale: era
costantemente minacciato a nord dalle pretese dei re germanici e a sud dalle mire del papa.

OTTONE E LA RINASCITA DELL’IMPERO

In Germania, nonostante tutte le difficoltà, non era mai morto il desiderio di ripristinare l’impero: per
ottenere il titolo di imperatore era necessario il titolo di re di Germania, la consacrazione del papa e
la corona d’Italia. Tali condizioni si ebbero con Ottone I di Sassonia, figlio di Enrico I l’Uccellatore,
che divenne re di Germania nel 936. Dopo una serie di guerre fortunate riuscì a ottenere anche la
corona d’Italia: Adelaide, moglie del re d’Italia assassinato dal suo consigliere che fece imprigionare
la vedova usurpando la corona. Adelaide chiese aiuto ad Ottone I per cacciare l'usurpatore, in cambio
aveva promesso di sposarlo: Ottone accettò e divenne re d’Italia nel 951. Nel 955 Ottone sconfisse
gli Ungari nella battaglia di Lechfeld e si fece incoronare come imperatore dal papa nel 962. Fu
così che in Europa riprese vigore l’impero, sotto il nome di Sacro Romano Impero Germanico.

OTTONE I E LA CHIESA

Una volta divenuto imperatore, Ottone decise di regolare i rapporti tra chiesa e impero. Il papa,
grazie ai territori che gli imperatori precedenti avevano donato alla chiesa, era interessato ai giochi
politici come un qualsiasi signore feudale. Ottone I riconobbe i territori appartenenti al papa e il suo
potere su di essi, ma riservò a se stesso il diritto di nominare il pontefice, attraverso il Privilegium
Othonis del 962: il “privilegio ottoniano” non fu redatto solo per questioni religiose, ma anche per un
calcolo politico, e da questo momento i rapporti da chiesa e impero erano aspri.
Ottone I, inoltre, decise di affidare i feudi maggiori ai vescovi per ridimensionare il potere dei
feudatari laici e per ottenere due vantaggi principali: avendo i vescovi l’obbligo del celibato, i territori
non potevano essere trasmessi per via ereditaria e alla morte del feudatario tornavano nelle mani
dell’imperatore. Inoltre, Ottone appoggiandosi a vescovi di sua fiducia aveva meno possibilità di
essere tradito o di subire ribellioni rispetto ai feudatari laici.

OTTONE I E L’IMPERO BIZANTINO

Ottone I riteneva che la sua missione fosse quella di proteggere la chiesa e il papa. Dato che i
musulmani e i Bizantini erano in contrasto con il pontefice, Ottone I guidò una serie di campagne
per cacciarli definitivamente dall’Italia meridionale e insulare: questo progetto alla lunga fallì ma
spaventò l’imperatore di Bisanzio che per suggellare la pace diede sua figlia in sposa al figlio
diciassettenne di Ottone I, Ottone II. Un anno dopo il matrimonio Ottone I morì, nel 973.
UNA CHIESA DA RINNOVARE

Le grandi innovazioni del XI secolo coinvolsero anche la chiesa: l’inquadramento della chiesa
promosso dagli Ottoni aveva svilito la figura del papa tanto che si verificò lo scandalo del pontefice
bambino (Benedetto IV, diventato papa a soli 12 anni).
La simonia (= concessione di cariche ecclesiastiche in cambio di denaro) era una piaga molto diffusa:
i vescovi, a cui si appoggiavano gli Ottoni per l’affidamento dei feudi, erano scelti per le qualità
militari, la fedeltà all’imperatore e per la somma che potevano pagare in cambio della carica
ecclesiastica. Tutto si poteva comprare con il denaro: assoluzioni, sacramenti e cariche ecclesiastiche.
Inoltre, era anche diffuso il fenomeno del nicolaismo (= concubinato) per cui numerosi preti vivevano
con delle concubine.
Questa diffusa corruzione provocò, dapprima negli ambienti monastici, un forte bisogno di
rinnovamento. Molti fedeli desideravano il ritorno a una Chiesa povera, in cui i rappresentanti erano
un modello di vita e non un’occasione di scandalo.

IL RUOLO DEI MONACI NELLA RIFORMA ECCLESIASTICA

Nel XI secolo erano soprattutto i monaci a risentire della corruzione della chiesa per due motivi: i
monasteri erano capeggiati da figure laiche che si interessavano più allo sfruttamento economico della
carica che a vegliare sulla moralità dei costumi. D’altra parte l’imperatore era troppo debole per
intervenire e i monaci rimanevano strettamente sottomessi agli interessi personali dei vescovi. Per
questo i monaci erano i primi a spingere per una riforma ecclesiastica: il loro principale obiettivo
era battersi sul clero secolare cercando di estinguere i fenomeni della simonia e del nicolaismo;
puntavano al ritorno di una chiesa pura, svincolata dalle autorità laiche.
Il faro della riforma monastica fu l’abbazia benedettina di Cluny: i monaci di Cluny proponevano
il ritorno allo spirito originario della regola benedettina. Il monastero di Cluny riuscì in breve
tempo a rendersi indipendente dai signori o vescovi-conti promettendosi di seguire la parola di un solo
vescovo, quello più importante, il papa. Nel secolo successivo comparvero altri nuovi ordini: quello
dei camaldolesi che nella sua regola monastica includeva anche l’assistenza ai viandanti e ai
pellegrini, e quello dei cistercensi che proposero un modello di povertà in contrasto con lo sfarzo
cluniacense.

L’INTERVENTO DI ENRICO III CONTRO I PAPI INDEGNI

L’esigenza di una riforma della chiesa arrivò fino ai laici e nelle città e si diffusero i primi movimenti
pauperistici, che favorirono il ritorno della chiesa “povera” sul modello evangelico. A questo punto
papi e imperatori si sentirono costretti ad intervenire proponendo una riforma dall’alto.
Il re tedesco Enrico III scese in Italia per risolvere un dibattito tra tre famiglie romane che
nominarono contemporaneamente ben tre pontefici: il sovrano, avvalendosi del Privilegium Othonis
nomina come unico papa una quarta persona a lui fedele, Clemente II, che successivamente lo
consacrò imperatore. Enrico III combatté la simonia e deposi alcun vescovi accusati di immoralità.

LEONE IX E LA LIBERTAS ECCLESIAE

A Clemente II succedettero altri tre pontefici, ricordati come ottimi papi: Damaso II, Leone IX e
Vittore II. Leone IX, oltre a condannare simonia e concubinato, a deporre vescovi corrotti e a
riorganizzare le diocesi, fu il primo a teorizzare la libertas ecclesiae, cioè l’autonomia della chiesa
dalla soggezione imperiale. Tuttavia, l’operazione fu rallentata dalle pretese espansionistiche dei
Normanni al sud Italia: Leone IX fu da essi sconfitto e imprigionato. Rilasciato circa un anno dopo, il
papa tornò a Roma dove morì ad un mese dalla libertà.
LO SCISMA D’ORIENTE

Leone IX, alla fine del suo pontificato, entrò in contrasto con il patriarca (=vescovo ortodosso) di
Costantinopoli, Michele Cerulario che nel 1054 diede vita allo Scisma d’Oriente a causa di gravi
dissidi teologici: i Bizantini ritenevano inaccettabile l’interpretazione che davano i cristiani-latini, per
i quali il Figlio era equiparato allo Spirito Santo e al Padre. Tuttavia il dissenso era dovuto anche a
questioni politiche: il patriarca di Costantinopoli, infatti, non riteneva il papa come il capo supremo
del mondo cristiano ma un semplice vescovo.
Da qui si ha la separazione fra le due chiese: ortodossa (=seguace della vera dottrina) è quella
orientale e cattolica (= universale) quella occidentale. Questa divisione è importantissima perché al
giorno d’oggi le chiese non si sono ancora riunite.

NICCOLO’ II E ALESSANDRO II

Lo slancio riformatore di Leone IX fu ripreso da Niccolò II: anche lui condannò simonia e
concubinato ma in più smantellò il Privilegium Othonis con il Decretum in electione papae secondo
cui sarebbero stati i cardinali-vescovi a nominare il pontefice. Niccolò II inoltre risolse i rapporti con
i Normanni nominando il loro capo, Roberto Altavilla, vassallo di tutto il sud Italia.
Anche Alessandro II proseguì la lotta alla simonia e al concubinato ma soprattutto fu il primo a
teorizzare il primato del papa , ovvero la superiorità del vescovo di Roma a tutti gli altri vescovi
della cattolicità. Ancora più colma di conseguenze fu la sua critica contro le investiture laiche,
ovvero le nomine dei vescovi da parte delle autorità civili.

GREGORIO VII E I SUOI ALLEATI

Il papa a furia di emanare riforme aumentava il suo potere e rispetto agli altri vescovi si sentiva
sempre più importante, quasi come un vero e proprio sovrano: riteneva di essere la massima autorità
non solo in campo religioso, ma anche politico e per questo il pontefice intraprese un’asprissima lotta
con l’imperatore perché riteneva di essere l’unico ad avere il diritto di investire i vescovi. Questo
movimento di riforma trovò guida efficace in Gregorio VII che venne nominato papa nel 1073. I
grandi alleati di Gregorio VII furono i Normanni e la potente Matilde di Canossa che fedelissima al
pontefice mise a sua disposizione tutte le sue ricchezze.

LA LOTTA PER IL CELIBATO

Gregorio VII vietò definitivamente il matrimonio anche ai sacerdoti che da quel momento in poi si
sarebbero dedicati esclusivamente alla chiesa. Questo risultato fu raggiunto con riservatezza e
durezza, infatti, qualora i sacerdoti avessero avuto moglie e figli, questi sarebbero stati cacciati
dall’abitazione del prete e ciò suscitò ribellioni anche violente. Con l’eliminazione della discendenza
legittima, inoltre, la chiesa riacquistava il controllo delle proprietà che prima erano trasmesse per
via ereditaria. L’azione del papa andò a colpire tutti quei sacerdoti e vescovi che nonostante le
numerose riforme attuate continuavano a praticare concubinato perché Gregorio VII decretò che
nessun religioso avrebbe più potuto convivere con una donna. Come conseguenza indiretta alle
azioni di Gregorio VII ci fu un minor apprezzamento della donna da parte della chiesa e aumentò
la considerazione del matrimonio da parte di essa, che divenne un sacramento per cui la presenza di
un sacerdote divenne indispensabile.
IL DICTATUS PAPAE

Nel corso dei secoli era stata riconosciuta al vescovo di roma una maggiore autorità in materia di
fede. Tuttavia, i suoi poteri erano limitati rispetto a quelli che assume il papa al giorno d’oggi, e,
inoltre, vi erano persone (patriarca di Costantinopoli, arcivescovo di Milano e Arcivescovo di
Ravenna) che ancora non tolleravano la sua supremazia sugli altri vescovi. I papi, col passare degli
anni, andarono a scegliere come cardinali i sostenitori del partito riformatore: la vittoria della
riforma significò anche la vittoria del primato papale quindi gli ordini del papa dovevano essere
accettati senza discussione. Il dictatus papae era un documento scritto dal papa nel 1075 che affermò
la supremazia della chiesa sull’impero. Il dictatus papae, nello specifico, affermava che:
● il papa era superiore ad ogni autorità terrena ed il suo potere era universale;
● il papa poteva deporre l’imperatore e sciogliere il giuramento dei suoi sudditi;
● il papa giudicava e condannava, ma nessuno poteva fare lo stesso con lui perchè era infallibile;
● nessuna autorità civile poteva nominare i vescovi.
Il dictatus papae era una dichiarazione di guerra contro l’imperatore Enrico IV.

LO SCONTRO CON ENRICO IV

Il punto principale della riforma di Gregorio VII era la lotta contro le investiture laiche. In realtà era
il clero ad investire i vescovi che, però, erano stati già designati dall’investitura feudale
dell’imperatore. Questa prassi al papa non andò bene, ma comunque l’imperatore continuò ad
investire vescovi indisturbato e il papa decise di prendere il provvedimento più pesante nei suoi
confronti scomunicandolo e sciogliendo il giuramento che lo legava ai suoi sudditi, nel 1076. Non
avendo più Enrico IV la carica di imperatore alcuni feudatari tedeschi ne approfittarono per
sostituirlo. Questi avevano progettato un incontro con il papa Gregorio VII e Enrico IV decise di
andargli incontro, oltrepassando le Alpi. Il papa decise di deviare riparandosi nel munitissimo castello
di Matilde di Canossa per aspettare l’evolversi degli eventi. Proprio davanti alle porte del castello si
presentò l’ex imperatore, implorando il perdono, che il papa era costretto a dargli da buon cristiano,
che gli avrebbe permesso di riacquistare autorità. Enrico IV tornò quindi in Germania dove cacciò
i feudatari ribelli, ma sulla questione delle nomine dei vescovi si trovò ancora in urto con il papa, che
lo scomunicò una seconda volta nel 1080. La situazione però era comunque a vantaggio
dell’imperatore, che nominò un antipapa, Clemente III, e che decise, nel 1084, di assediare Roma ed
in particolare Castel Sant’angelo, luogo in cui il papa si era rifugiato. Gregorio VII fu costretto ad
accettare l’aiuto dei Normanni che lo liberarono saccheggiando, però, la città. Il pontefice si rifugiò
a Salerno sotto la protezione dei normanni e morì.

IL CONCORDATO DI WORMS

La lotta per le investiture si concluse solo nel 1122 con il concordato di Worms: era stato stipulato
tra Enrico V e papa Callisto II e fu stabilito che l’investitura feudale poteva essere data prima di
quella di vescovo solo in Germania. Si trattava di una soluzione di compromesso dopo lunghi anni
di scontri, ma la chiesa comunque ne uscì vincente perché riuscì a sottrarre la nomina dei vescovi alle
autorità laiche. L’elezione del papa, oltretutto, non dipendeva più dall’imperatore ma dai cardinali, ed
il papa divenne di fatto un monarca a tutti gli effetti. I sovrani germanici, invece, dovettero rinunciare
all’idea universale di Impero cristiano.
I NORMANNI CONQUISTANO L’INGHILTERRA

Nel corso del X secolo si consolidava il ducato di Normandia, un vasto insediamento di Normanni in
un feudo che il re franco Carlo III concesse a Rollone. Nel corso del IX secolo, i Normanni si sono
fatti conoscere dall’Europa intera come terribili e temibili razziatori, che d’inverno avevano bisogno
di insediarsi per aspettare l’arrivo della primavera per tornare a casa: gradualmente questa
popolazione ha cominciato ad integrarsi con le popolazioni locali fino a convertirsi al cristianesimo.
Un secolo dopo i Normanni si mossero dal ducato di Normandia per conquistare la vicina Inghilterra:
nel 1066 morì il re inglese Edoardo III, ed essendo Guglielmo, il duca normanno, un suo lontano
parente, si proclamò suo erede legittimo. Intanto a prendere il posto del re deceduto ci fu re Aroldo,
cognato di Edoardo: Guglielmo considerava la presa del potere di Aroldo un tradimento, perché
quest’ultimo era uno dei più grandi sostenitori del duca normanno. Per questo motivo, Guglielmo si
sentì costretto a muoversi verso l’Inghilterra: sbarcò con ben ottomila uomini a Hastings e nel 1066
sconfisse l’esercito di Aroldo diventando re d’Inghilterra.

GUGLIELMO RE D’INGHILTERRA

Guglielmo organizzò feudalmente il regno, distribuendo i territori ai cavalieri che lo avevano


accompagnato nella spedizione, in cambio del giuramento di fedeltà. Per giudicare nei tribunali,
riscuotere tasse e arruolare truppe il re creò una rete di funzionari scelti e pagati direttamente da
lui. A questi, oltretutto, Guglielmo chiese una minuziosa inchiesta che andava a registrare tutti i beni
di tutti i cittadini: per la prima volta nella storia venne redatto un libro del catasto, che fu chiamato
Domesday book (= Libro del giorno del Giudizio universale). Infine, il re stabilì che tutti i territori
boschivi appartenessero a lui e che fossero la sua riserva di caccia.
Lo stabilirsi dei Normanni in Inghilterra ebbe conseguenze anche sulla lingua: infatti, il latino fu
sostituito da sassone e nel parlato vennero introdotte anche delle parole di origine francese che si sono
ancora conservate.
Guglielmo non rinunciò alla Normandia: ciò diede vita ad un sacco di guerre tra re d'Inghilterra e re
di Francia perché ognuno ha delle pretese sull’altro.

I NORMANNI NELL’ITALIA MERIDIONALE

Alcuni guerrieri normanni si erano stabiliti nell’Italia meridionale a scapito dei Bizantini: non hanno
mai perso il loro spirito avventuroso. Nel 1059 Roberto il Guiscardo della famiglia degli Altavilla
era riuscito a diventare, con il consenso del papa, “duca di Calabria e di Puglia”. Il figlio di
Roberto, Ruggero I d’Altavilla, dopo una guerra di trent'anni riuscì a cacciare i musulmani dalla
Sicilia e Ruggero II, il figlio, unificò il regno nel 1130. Per unificare tutti i territori della penisola
occupati dai Normanni, Ruggero II, oltre all’astuzia, utilizzò il terrore: dovette, inoltre, affrontare
forti opposizioni da parte del popolo a dai baroni normanni ma riuscì a tollerare le differenze fra i
diversi popoli che facevano parte del regno (musulmani, Latini, Longobardi e Bizantini). L’italia
meridionale formò un regno distinto: sono presenti ancora oggi le tracce della dominazione
normanna.

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