La cattività avignonese si prolungò con l’elezione di sette papi francesi fino al 1376, mentre i re di Francia ponevano il
papato sotto la propria tutela, condizionandone sempre più pesantemente le decisioni. Per questo motivo, e anche
rispondendo alle infiammate sollecitazioni di voci molto autorevoli come quella di Caterina da Siena, papa Gregorio XI
nel 1377 decise di rientrare a Roma.
Alla sua morte, nel 1378, il conclave elesse l’italiano Urbano VI, ma i cardinali francesi opposero al papa romano un
altro papa, Clemente VII, che si trasferì ad Avignone. La Chiesa d’Occidente, già profondamente segnata dalla cattività
avignonese, subiva così una nuova lacerazione: l’autorità del papato appariva compromessa, mentre l’Europa cristiana
risultava per la prima volta divisa. La Francia, la Scozia, i regni di Castiglia, Aragona e Navarra, si schierarono con il papa
avignonese, l’Impero germanico e i regni di Polonia, Ungheria, Inghilterra, Portogallo, Danimarca, Svezia e Norvegia con
il papato romano.
Un primo concilio, tenutosi a Pisa nel 1409, depose entrambi i papi nominandone un terzo, ma nessuno dei due
pontefici accettò le decisioni conciliari: i papi contendenti divennero tre. In reazione alla crisi scismatica si sviluppò un
movimento conciliarista, che sosteneva la supremazia del concilio (l’assemblea dei vescovi) sul pontefice, con l’effetto
di spostare il peso delle decisioni su un’assemblea, sottraendole all’arbitrio dei singoli.
Fu dunque convocato un concilio ecumenico a Costanza nel 1414. Lo Scisma d’Occidente fu finalmente risolto nel
1417, dopo i primi tre anni di lavoro, arrivò alla ricomposizione dello scisma: i tre papi rivali vennero destituiti e al loro
posto fu eletto Martino V (1417-31). Con lui la chiesa tornava ad avere un governo unitario. Ma il risultato certamente
più significativo emerso a Costanza fu la vittoria delle tesi conciliariste: il concilio affermò solennemente la superiorità
sul potere del papa.
Il papato, in realtà non intendeva rinunciare alle proprie tradizionali prerogative, e, anche in virtù dei cambiamenti che
stavano avvenendo nelle chiese delle varie nazioni europee (di cui tratteremo dopo), cercò di riacquistare l’autorità e
l’autonomia decisionale messe seriamente in dubbio dalle dottrine conciliariste affermatesi a Costanza. Ciò emerse
chiaramente durante il nuovo Concilio, convocato nel 1431 a Basilea. Quando, durante il Concilio, le posizioni
conciliariste stavano per essere confermate, il papa Eugenio IV (1431-47) si affrettò a sospenderne i lavori e a trasferire
la sede prima a Ferrara e poi a Firenze. Alla fine fu il papa Pio II (1458-64), con una bolla emanata nel 1459, a
proclamare la definitiva superiorità del pontefice sul concilio. Il conciliarismo finì con l’estinguersi e la chiesa assumeva
così il modello accentrato che si stava affermando nello stesso periodo nelle nascenti monarchie nazionali.
L’immagine della Chiesa come istituzione universale usciva comunque fortemente incrinata da questa esperienza,
mentre l’autonomia delle Chiese nazionali, con la loro identità specifica, era una realtà imminente difficilmente
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contrastabile. D’altro canto il popolo cristiano, provocato dagli scandali della gerarchia ecclesiastica, tornava ad agitare
i temi di una riforma religiosa che appariva ormai inevitabile.
Contro la corruzione della Chiesa, e per una rinascita morale e spirituale, si muovevano importanti movimenti
antagonistici alla monarchia papale. È ciò che accadde alla fine del Trecento in Boemia (che faceva parte del Sacro
romano impero), dove approdarono le tesi del teologo Wycliffe, ispiratore del movimento dei Lollardi in Inghilterra che
predicava il ritorno ai principi originari del cristianesimo, il pauperismo e la lettura diretta del Vangelo. Il movimento di
Wycliffe e dei Lollardi, stroncato in Inghilterra, ebbe tuttavia modo di diffondersi sul continente.
In Boemia nel 1415 Jan Hus riprese e divulgò quelle stesse istanze e criticò violentemente la chiesa per la sua
mondanità e invitava i fedeli a seguire la povertà di Cristo.
A Praga l’ostilità contro le autorità centrali della chiesa si saldava, oltre che con le rivendicazioni delle masse contadine,
anche con il sentimento nazionale antitedesco diffuso nella nobiltà boema, che era avversa all’imperatore Sigismondo
di Lussemburgo. Bisogna infatti ricordare che la popolazione boema era prevalentemente slava, gelosa della sua
indipendenza e insofferente alla presenza dominante dell’elemento tedesco.
Nei confronti della ribellione hussita, l’imperatore Sigismondo tentò di risolvere il problema avallando la decisione del
Concilio di Costanza, che invitò Hus a presentarsi davanti al Concilio per discutere le proprie tesi. Ma senza neanche
essere ascoltato, venne catturato e messo al rogo come eretico. Il martirio di Hus, seguito pochi mesi più tardi da quello
del suo discepolo Gerolamo da Praga, privò il movimento boemo dei suoi principali capi spirituali, ma al tempo stesso
ne moltiplicò la forza, trasformandolo in una rivolta aperta contro il tradimento di Sigismondo e contro il dominio
tedesco. un compromesso venne raggiunto nel 1433. Il papa Martino V e Sigismondo riuscirono a trovare un
compromesso con la maggioranza moderata dei riformatori boemi che accettò di porre fine alla rivolta in cambio di
qualche concessione all’autonomia religiosa, come l’uso della lingua ceca nella liturgia e la possibilità di assumere il
sacramento dell’eucarestia sotto entrambe le forme del pane e del vino come volevano gli Hussiti (i quali sono perciò
chiamati utraquisti, da utraque che in latino significa “entrambe”).
Questa co0mplessa vicenda storica rivela un importante fenomeno: l’emergere, nel corso del Quattrocento, di chiese a
carattere nazionale. Si cominciava a distinguere, nel seno stesso della comunità dei cristiani, la nazione di
appartenenza, mentre l’indebolimento dell’autorità papale lasciava spazio all’emergere di differenze fra il clero dei
diversi paesi. Questa novità venne registrata dallo stesso concilio di Costanza, durante il quale i padri si riunirono per
gruppi linguistici (francesi, inglesi tedeschi e spagnoli) e al momento delle votazioni, invece che individualmente,
procedettero per gruppi nazionali. Ma anche in Francia, la Prammatica sanzione emanata nel 1438, attribuendo allo
stato il controllo delle nomine di vescovi e abati, poneva le basi per la formazione di una chiesa “gallicana”, cioè di una
chiesa nazionale francese. Chiese nazionali, più o meno soggette ai rispettivi sovrani, nasceranno anche in Inghilterra
(chiesa anglicana), in Castiglia e in Aragona.
Sappiamo che anche l’impero, l’altra istituzione cardine dell’età medievale, stava fronteggiando nel Tre-Quattrocento il
declino del suo ruolo universale.
Nella Dieta di Francoforte (1338) i principi tedeschi affermarono che l’autorità imperiale derivava dall’elezione dei
feudatari e non dall’investitura papale: l’Impero si identificava così una volta per tutte in una forma di sovranità laica e
circoscritta al solo mondo germanico.
Alla morte di Ludovico di Baviera (1347) la corona era tornata a un esponente della casa di Lussemburgo, Carlo IV
(1355-78). La figura di Carlo IV è legata all’emanazione nel 1356 della Bolla d’oro, un documento che risolveva una
volta per tutte il problema di successione al trono imperiale, affermando il principio di elettività, ma, al tempo stesso,
sanciva la riduzione dell’autorità imperiale a un ambito solamente tedesco. Infatti la Bolla d’oro stabiliva che la scelta
dell’imperatore fosse affidata a sette grandi elettori: tre ecclesiastici (gli arcivescovi di Colonia, Magonza e Treviri) e
quattro laici (il re di Boemia, il duca di Sassonia, il marchese di Brandeburgo, il conte del Palatinato).
I domini e le prerogative dei grandi elettori venivano dichiarate intangibili. Il sovrano che veniva così designato avrebbe
continuato a portare il titolo di imperatore del Sacro romano impero, ma la sua autorità avrebbe avuto valore solo in
ambito tedesco. inoltre, mentre altrove in Europa le case regnanti stavano compiendo un processo di unificazione
territoriale, parallelo alla definizione del carattere nazionale delle monarchie, la Germania rimaneva strutturalmente
divisa in una pluralità di entità politiche (principati, città libere, grandi feudi) che in gran parte sfuggivano all’effettiva
sovranità imperiale.
Una stabilizzazione ai vertici dell’impero si ebbe a partire dal 1439, quando la corona tornò agli Asburgo. Questa
dinastia, che avrebbe poi governato quasi ininterrottamente l’impero fino agli inizi del Novecento, continuò nel suo
programma di ampliamento e consolidamento territoriale, soprattutto grazie a un’accorta strategia matrimoniale. In
questa fu particolarmente abile Massimiliano I (1493-1519) che, intrecciando grazie ai matrimoni legami dinastici e
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politici con la Spagna, la Boemia e l’Ungheria, creò le condizioni per fare degli Asburgo, nel XVI secolo, la maggiore
potenza europea.