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I FRANCHI E L’EUROPA CAROLINGIA

I franchi salii con la dinastia merovingia e in particolare con il re Clodoveo


unificano il territorio della Gallia, sottomettendo le altre popolazioni
germaniche che occupavano questa ex-provincia dell’Impero Romano
d’Occidente, tra l’ultimo quarto del secolo V, ossia dopo la caduta di questa
parte dell’Impero romano, e l’inizio del VI secolo d. C.

Clodoveo si converte al Cristianesimo cattolico agli inizi del VI secolo d. C.,


sancendo l’alleanza del suo popolo con la Chiesa di Roma che riconosce la
legittimità del suo potere politico. Il monarca punta a cooptare i vescovi
cattolici nella propria struttura di potere, in virtù delle loro competenze
amministrative e della loro elevata formazione culturale acquisite durante il
periodo tardo imperiale. L’alleanza con la Chiesa non è comunque paritetica,
anche se è fondamentale per la stabilità e la legittimazione del potere dei
Franchi nelle ex provincie imperiali. In effetti il Re franco controlla l’elezione
dei vescovi, in virtù del proprio potere politico e militare. Da parte sua la
Chiesa con le ricchezze immobiliari e fondiarie accumulate durante il
suddetto periodo godeva di un forte prestigio sociale nelle provincie dell’ex
Impero.

Nel 508 Clodoveo è riconosciuto re dei Franchi dall’Imperatore bizantino


Anastasio.

Nel 511 alla morte di Clodoveo il Regno è diviso in quattro domini assegnati
ai quattro figli ereditari del re. Tale suddivisione inaugurerà una fase di lotte
dinastiche tra i vari successori di questi regnanti che porteranno a un ulteriore
frammentazione territoriale Tra il VI e il VII secolo d.C. nonostante le lotte
intestine tra i vari rami dinastici dei merovingi, continua la politica di
espansione dei Franchi a danno delle popolazioni limitrofe, come i Goti che
occupano la Provenza e i Sassoni, e si assiste a un processo di riunificazione
territoriale dei vari Regni franchi grazie al re Clotario II (484-629) Il suo
successore, il figlio Dagoberto I (623-629), opterà una nuova suddivisione del
regno franco in vari principati: Neustria e Burgundia a Est e Austrasia e
Aquitania a Ovest.
La politica di questi regni è dominata dalla figura dei maestri di Palazzo che
esercitano il potere politico e militare effettivo, tuttavia la forza
dell’aristocrazia e le contese dinastiche dei vari regni limitavano la forza di un
potere monarchico unitario. Di conseguenza, in virtù della tradizione dinastica
dei merovingi, il Re manteneva una parvenza di autorità meramente formale
sull’aristocrazia.

Nell’VIII secolo, grazie all’azione della dinastia dei pipinidi, maestri di palazzo
di Austrasia, si avvia un processo di unificazione ed espansione territoriale
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dei regni franchi. Tale fase è caratterizzata dalla diffusione di monasteri sul
territorio in stretto collegamento con l’aristocrazia franca che diventano
strumenti di controllo territoriale da parte dei maestri di palazzo. I monasteri
giocano un importante ruolo economico e politico-amministrativo , in quando
sede dell’aristocrazia terriera che governa il territorio a livello locale.
Monasteri e abbazie erano sorti per opera di vari ordini monastici al fine di
evangelizzare le popolazioni pagane germaniche, tra cui anche i Franchi, nel
periodo che va dal V al VIII secolo d.C. Tale spinta alla cristianizzazione fu
fortemente sostenute dai regnanti merovingi.

Con il pipinide Carlo Martello (716-41), che arrestò gli arabi a Poitiers nel
723, anche grazie all’aiuto del re longobardo Liutprando, si arrivò
all’unificazione territoriale dei vari principati franchi. In particolare egli riuscì a
sviluppare una forza militare grazie all’istituzione di rapporti di subordinazione
nei confronti dell’aristocrazia, a cui venivano assegnate funzioni di governo in
cambio dell’assistenza militare. Carlo Martello consolidò il suo potere
attraverso una stretta alleanza con la Chiesa di Roma, minacciata dai
Longobardi, che vedeva nell’aiuto militare franco uno strumento di sicurezza.
Nel 751, suo figlio, Pipino detto il Breve, maestro di palazzo in Neustria, viene
eletto Re dei Franchi da un’assemblea di grandi aristocratici, mettendo fine
alla dinastia reale dei merovingi, conferendo al titolo di monarca non più un
valore solo formale ma sostanziale.

Anche il Papa, Stefano II, lo riconobbe come Re dei Franchi con la cerimonia
dell’unzione nel 754. Pipino corrispose la fedeltà del Papa con una serie di
campagne nell’Italia Centrosettentrionale contro i Longobardi tra il 754 e il
756 e parte dei territori strappati al nemico fu donato alla Chiesa, ossia la
Pentapoli e l’Esarcato che costituiranno il nucleo territoriale del futuro Stato
pontificio. In questo periodo, Pipino consolida il potere dei Franchi in Gallia,
incorporando le regioni autonome della Gallia meridionale.

Nel 768, alla morte di Pipino il Regno viene diviso tra i due figli, Carlomanno
e Carlomagno. Il primo muore dopo pochi anni, nel 771, e così Carlomagno
assume la carica unica di Re dei Franchi. Tra il 772 e il 794, il Re franco
lancia una serie di campagne militari vittoriose di una violenza radicale per
sottomettere ed evangelizzare i popoli germanici oltre il confine del Reno,
ponendole sotto lo stretto controllo politico del clero cattolico. Tra il 791 e
l’805 l’attività militare di Carlomagno si sposta verso il bacino del Danubio per
sottomettere gli Avari che lì vi erano stanziati. L’esito della guerra è positivo, il
Khan si converte al cristianesimo, ma la maggior parte della popolazione
abbandonò le proprie terre. Durante il suo regno, Carlomagno mise in
sicurezza i confini dell’impero creando delle marche, come quelle di Bretagna
e della Spagna, dove erano concentrate fortificazioni e guarnigioni.

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A seguito dei tentativi del re Longobardo, Desiderio, di unificare i ducati
longobardi sul territorio italiano, annettendo i possedimenti del Papa e dei
Bizantini, Carlomagno lanciò delle spedizioni militari contro il Regno
Longobardo settentrionale tra il 773 e il 775. Nel frattempo i vescovi di Roma
pubblicizzarono un documento segreto, in realtà falso, chiamato “Donazione
di Costantino” che tratta della cessione al Papa di tutto l’Impero d’Occidente
da parte dell’Imperatore Costantino. Dal contenuto del documento si desume
l’aspirazione imperiale dei vescovi cattolici sui territori che erano appartenuti
all’ex Impero d’Occidente, egemonizzato dalla Chiesa di Roma già prima
della sua caduta. Il documento prevedeva la spartizione della penisola
italiana in tre territori distinti, a Nord i Franchi, nelle zone costiere e sulle isole
i Bizantini e il resto del paese in mano al Papa.
Tuttavia i progetti di Carlomagno erano diversi, dopo la conquista dei territori
longobardi settentrionali ne inglobò il Regno senza stravolgerne la
legislazione e mantenendo sostanzialmente il ceto dirigente longobardo, poi
parzialmente sostituito con pubblici funzionari di altre regioni dell’Impero.
Carlomagno ottenne anche il vassallaggio del ducato Longobardo di
Benevento, nel 786, sancendo di fatto la propria egemonia in Italia.

Il Re franco creò dei regni subordinati per governare meglio l’Impero,


assegnando rispettivamente il Regno d’Italia, la Baviera e la Carinzia al figlio
Carlomanno, e l’Aquitania a Ludovico, che governarono con le prerogative di
semisacralità ricevute con l’unzione del papa Adriano I, nel 781.

L’ordinamento politico Carolingio presentava un’articolazione territoriale


basata su comitati e marche. I primi erano governati dai conti, ossia
aristocrazie locali molto influenti spesso di origine ecclesiastica. Il Re poteva
concedere ai Conti funzioni giudiziarie e fiscali sui possedimenti di loro
proprietà ed eventualmente rendere tali proprietà immuni dal controllo dei
funzionari regi. Generalmente le immunità riguardavano beni fondiari e
immobiliari della Chiesa. Dalla somministrazioni di sanzioni e riscossione di
tasse sui sudditi, i conti traevano i proventi per finanziare il proprio governo.
Un’altra fonte di reddito per l’aristocrazia poteva essere il beneficio quando
occorreva. Si trattava di beni fondiari e immobiliari presenti nel comitato o
nella marca che il conte o un funzionario regio ottenevano dal Re in cambio
della propria fedeltà militare e politica. Le marche avevano una funzione
difensiva ed erano alle dirette dipendenze del re, per il tramite di funzionari
regi.

Le provincie dell’impero erano sottoposte al controllo dei missi dominici, ossia


funzionari regi, scelti fra gli uomini fedeli al monarca, che controllavano
l’operato dei funzionari pubblici nelle marche e nei comitati. Questo sistema
di potere, detto missaticum, venne riorganizzato da Carlo Magno nell’802. In
sostanza la funzione di missi venne affidata ai grandi aristocratici dell’Impero
che detenevano il potere locale effettivo, come vescovi, abati, duchi e conti, e
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non più solo a uomini provenienti dalla corte del Re. Carlomagno riformò
anche l’articolazione dell’impero che venne ripartita secondo le diocesi
esistenti durante l’Impero romano, dove il relativo misso era quasi sempre il
vescovo locale. Oltre a controllare l’operato dei funzionari pubblici, i missi
svolgevano un ruolo di collegamento tra centro e periferia, diffondendo gli
ordini militari e gli atti giuridici del monarca, ricevevano i giuramenti di fedeltà
militare dei funzionari pubblici al monarca. Le norme dell’impero erano decise
dal monarca ma richiedevano l’approvazione dell’assemblea dei paria o
grandi aristocratici ed erano riassunte in dei capitolari.

Altro aspetto importante fu la costruzione della reggia e della cappella


palatina ad Aquisgrana che divenne la sede del potere imperiale, a partire dal
794. Tale innovazione ridimensionò il carattere itinerante della corte
carolingia. Il suo governo si caratterizzò per una specializzazione burocratica
nella gestione politica e giudiziaria dell’Impero. Altro aspetto determinate era
l’importante e copiosa produzione culturale della corte a opera dei più
importanti intellettuali del tempo, provenienti dalle provincie dell’Impero e
anche da altri regni, con il fine di riorganizzare la Chiesa franca e migliorare
la funzione culturale del clero e dare ulteriore legittimità al potere imperiale.
La rinascita culturale carolingia si basava sulla restaurazione delle norme
tramandate dai testi sacri e dai Padri della Chiesa, attraverso il recupero degli
autori antichi di opere di retorica e grammatica.

Il sistema di potere dei franchi si basava su rapporti personali tra il monarca e


l’aristocrazia. L’enorme potere territoriale di quest’ultima venne disciplinata
dall’attivismo politico e militare di Carlomagno, ma l’aristocrazia fondiaria
rimaneva comunque un soggetto molto forte economicamente e militarmente
e il potere monarchico poteva controllarla solo con un accorta politica
clientelare. In generale i rapporti di vassallaggio si basavano su un rapporto
di subordinazione tra aristocrazia e monarchia, nel quale il vassallo era
tenuto principalmente ad offrire sostegno e fedeltà militare. Solo nel periodo
tra l’VIII e il IX secolo questi rapporti si definiranno in modo più preciso con la
connessione di un benefico che diventerà una consuetudine.

In virtù di questo rapporto di vassallaggio, il vassallo otteneva dal Re il titolo


di funzionario pubblico, ossia la delega per la gestione di un territorio, o il
titolo di funzionario regio che aveva il compito di controllare i funzionari
pubblici per conto del Re. Il giuramento di subordinazione del vassallo
assunse delle forme cerimoniali sempre più complesse nel corso degli anni,
spesso associate alla concessione di un beneficio da parte del Re al suo
subordinato. Tali patrimoni fondiari erano spesso concessi dal re, sottraendoli
dai beni della Chiesa e ciò implicava normalmente la corresponsione di un
canone al clero da parte del beneficiario come strumento di compensazione.
Non tutti i rapporti militari del sovrano erano di natura vassallatica e tuttavia il
potere personale del vassallo sul dominico non si sovrapponeva a quello
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imperiale. A partire dalla età carolingia, con l’indebolimento del potere
imperiale, i comitati e le funzioni giuridiche e fiscali associate affidati a
funzionari pubblici, normalmente vassalli regi, tenderanno ad essere assorbiti
nei patrimoni privati di questi ultimi.

La consacrazione di Carlomagno attraverso l’acquisizione della dignità di


imperatore ottenuta grazie all’unzione papale a Roma nel Natale dell’800,
legittimavano le aspirazioni dei Franchi ad ereditare il potere imperiale
romano, ponendosi in forte concorrenza diplomatica e militare con l’Impero
bizantino che si sentiva erede di quella stessa tradizione imperiale. Da parte
sua, la Chiesa di Roma era riuscita a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel
gioco politico internazionale, proprio perché con la cerimonia dell’unzione
imperiale era in grado di legittimare anche questo potere di natura universale
sulla base del diritto divino. Tale potere aveva garantito l’alleanza politica
della Chiesa con un potente impero della cristianità occidentale da opporre al
potere temporale e spirituale dell’Impero bizantino. La Chiesa d’Oriente che
dipendeva dall’imperatore era attraversata da forti conflitti religiosi prodotti
dalla dottrina dell’iconoclastia che metteva in discussione anche la legittimità
dottrinaria della Chiesa di Roma. L’imperatrice bizantina, Irene, in forte
difficoltà nella gestione politica del suo Impero, riuscì comunque a superare
questa crisi dottrinale con la Chiesa di Roma nel Concilio di Nicea del 787
che mise al bando la dottrina dell’iconoclastia. Nell’812 anche Bisanzio
riconobbe Carlomagno come imperatore.

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