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Giovanna Mastrogiovanni Matricola 0322102702

IL REGNO SVEVO (1189-1266) POLITICA, LEGISLAZIONE E CULTURA.

A caratterizzare il passaggio dal regno normanno a quello svevo è stata senza dubbio la
figura di Costanza d’Altavilla, figlia di Ruggero II, che il nipote Guglielmo II, in un momento di
debolezza nonché di tracollo del suo regno, decise di dare in sposa al figlio del re germanico
Federico I Barbarossa, Enrico VI. Costanza è un personaggio di confine: vede il suo regno
normanno finire a dispetto dell’insediamento svevo sotto Enrico VI. Sul caso di Costanza si è a
lungo dibattuto, gli autori del tempo come Dante parlano di un suo possibile ritiro in convento
spezzato dagli intenti di successione del nipote; il fiorentino colloca Costanza nel III Canto del
Paradiso riferendosi a lei, per bocca di Piccarda Donati, come a un’anima luminosa, splendida. La
sua presenza è dunque mediata da quella di Piccarda, le due avevano subìto, secondo Dante, lo
stesso destino di essere state strappate al convento; si trovano infatti nel cielo della Luna dove
vengono collocate le anime che a causa di violenze non erano riuscite a mantenere i voti religiosi.
Questo potrebbe dare una spiegazione anche al suo matrimonio e parto in tarda età, ma non è una
notizia certa. Anche quella di Enrico VI è una figura molto importante in questo periodo di
transizione: le nozze furono celebrate tre anni prima che Guglielmo II morisse, nel 1186, presso la
basilica di sant’Ambrogio di Milano, ma nel regno il passaggio alla casata sveva non era visto di
buon occhio da tutti, il popolo appoggiava Tancredi di Lecce, figlio illegittimo del fratello di
Costanza, Ruggero III. Tancredi approfittò di un’assenza di Enrico VI per essere incoronato. Egli fu
appoggiato dalla classe feudale, da Matteo d’Aiello politico e funzionario, e da una partecipazione
popolare testimoniata da Pietro da Eboli, in quello stesso periodo Costanza fu imprigionata a Castel
Nuovo per mano dei seguaci di Tancredi. Pietro da Eboli, scrittore di versi, nel suo Liber ad
honorem Augusti, in cui per “Augusti” si intendeva Enrico VI, aveva intenzione di osannare il
sovrano svevo e di demonizzare la figura di Tancredi e di tutti i suoi seguaci; l’opera è divisa in
particuli e corredata per ognuno di essi da una miniatura a colori. Nel demonizzare Tancredi
sottolinea i suoi difetti fisici, nel Medioevo la malattia era specchio dell’anima, dunque i difetti
fisici dell’uomo erano dovuti alla sua cattiveria d’animo. Le miniature erano molto esplicite,
proprio a sottolineare l’intento dell’autore di screditare le figure normanne; inoltre nella credenza
popolare la madre di Tancredi era una prostituta (in realtà apparteneva alla nobiltà siciliana) dunque
Pietro da Eboli affermava che il sangue della madre aveva avuto la meglio sul sangue nobile
paterno. Tancredi fu comunque eletto ma, alla sua morte, Enrico VI fece ritorno, conquistò in breve
Napoli, Salerno, Calabria e Sicilia, e fu incoronato; i suoi interessi nei confronti del Mezzogiorno
erano relativi, in quanto re di Germania, solo all’aspirazione politica germanica di riunire il Sacro
Romano Impero, il Mezzogiorno, la Sicilia e le terre bizantine. Represse tutte le rivolte duramente,
nel sangue, generando terrore nella popolazione, per poi morire nel 1197 a soli 32 anni, poco dopo
la nascita del vero protagonista del regno svevo, Federico II.
Prima di morire, Costanza, aveva affidato la protezione del figlio ancora minorenne e la
reggenza del regno a papa Innocenzo III. Quando Federico raggiunse la maggiore età si trovò ad
affrontare un regno in difficoltà. Nel 1212 fu incoronato a Magonza principe tedesco; il papa aveva
espressamente chiesto al sovrano di non riunire la corona germanica con quella di Sicilia e
appoggiò nell’ascesa al trono di Germania Ottone di Brunswick. Quest’ultimo, però, aspirava anche
al trono di Sicilia e nel 1214 con la battaglia di Bouvines si assisteva al suo scontro con il papato, a
cui erano alleati i re di Francia e Inghilterra e Federico II, che vide vincitore il papa. Federico II fu
favorevole nel non riunire le corone lasciando al figlio Enrico il Mezzogiorno. Una volta morto il
papa fece conferire ad Enrico il titolo di re dei romani; Federico II fu incoronato imperatore nel
1220 dopo aver promesso al papa di conquistare con una crociata Gerusalemme.
Lo scopo politico di Federico II era senza dubbio quello di ricreare il Sacro Romano Impero,
alla sua incoronazione si recò ad Aquisgrana, centro simbolico e politico della nazione, dove Carlo
Magno era sepolto e dopo Federico Barbarossa spostò il corpo di Carlo Magno in un reliquiario in
cui tra le altre era scolpita l’immagine dello stesso Federico II. Il suo regno fu caratterizzato
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dall’emanazione di leggi, dal controllo della cultura, da una forte pressione fiscale, dalla feudalità.
Egli avviò un processo di restaurazione del potere attraverso una politica di privilegi per Corona e
feudalità; i poteri legislativi, esecutivi e giudiziari erano prerogativa del sovrano, egli li esercitava
attraverso altre figure della corte come il gran giustiziere, i maestri giustizieri, la Magna Curia e i
capitani nonché da organi periferici. La Magna Curia aveva il compito di revisore dei conti degli
uffici centrali e periferici, al capo dell’amministrazione finanziaria nonché alla cura del patrimonio
demaniale immobiliare c’era il secretus Siciliae a cui inoltre erano affidati altri compiti come
l’approvvigionamento di castelli e navi regie, pagamento di salari agli uffici civili ecc. Un ruolo
particolare nel regno era svolto dallo spionaggio, il sovrano aveva sotto controllo la situazione del
suo regno in ogni momento, anche e soprattutto quando si trovava lontano, ognuno dei funzionari
della corte godeva di ottima cultura e preparazione.
Per quanto riguarda l’economia del regno, la politica di Federico II tendeva ad
avvantaggiare il tesoro regio a scapito dello sviluppo commerciale e produttivo dunque l’obiettivo
non era il benessere dei sudditi ma quello di restaurare la Corona imperiale, egli si sentiva prima
imperatore e poi re. Nel 1231, infatti, istituì monopoli di stato sul commercio dei prodotti su cui
reggevano le attività economiche, e aumentò la tassa di dogana sulle importazioni e sulle
esportazioni; i lavoratori iniziarono a soffrire queste condizioni e insorsero, il sovrano per tutta
risposta soffocò le rivolte ed eliminò i capi che le avevano alimentate. A causa di queste pesanti
imposte ad agricoltori e allevatori venivano spesso confiscati i loro beni, come animali o attrezzi per
il lavoro; ne derivò una depressione economica e molte città non riuscirono più a far fronte ai
bisogni di consumo territoriali. Federico II cercò, di tanto in tanto, di intervenire con delle norme
per ridurre questi disagi, che molto spesso restavano solo teoriche. Nel regno si consolidarono
invece le presenze forestiere, i mercanti e gli uomini di affari dei porti che divennero i protagonisti
dell’economia fatta ormai di scambi di materie prime meridionali in cambio di manufatti
settentrionali.
Passando invece al rapporto con il papato, questo si andò inasprendo con il passare del
tempo; Federico non aveva rispettato gli accordi con Innocenzo III di partire per la crociata e con
l’elezione di Gregorio IX fu praticamente costretto; a causa di un’epidemia il sovrano dovette
tornare e fu quindi scomunicato ma la sua successiva partenza e la conquista attraverso un trattato di
Gerusalemme fecero sì che il papa ritirasse la sua scomunica. Questo fu un momento cruciale che
designò la pace tra papa e sovrano nel 1230 a Ceprano, il dissenso tra le due parti permase ma
Federico si rese conto di aver bisogno dell’appoggio della Chiesa e decise di non operare più scelte
che sarebbero potute esserle sgradite. La pace fu solo temporanea; dopo la battaglia contro i comuni
lombardi del 1238 a Cortenuova, in cui Federico II sconfisse gli avversari, i rapporti con il papa si
complicarono, il sovrano fu nuovamente scomunicato e da allora non ci furono più compromessi.
Federico II fu considerato nemico della Chiesa, di fatti è collocato da Dante nell’Inferno tra gli
epicurei.
L’operato di Federico II è stato certamente segnato anche dalle leggi da lui emanate; si
ricordino all’inizio del suo regno le costituzioni di Capua, un corpus di venti costituzioni, articoli,
che Federico scrisse insieme alla cancelleria al cui vertice c’era Pier della Vigna, queste
riguardavano i privilegi degli abitanti del regno. In particolare la quindicesima costituzione
riguardava l’appropriazione illecita di beni e privilegi; durante l’assenza del sovrano molti ne
avevano approfittato per prendere possesso di beni non legittimi, la norma prevedeva che tutti i
proprietari presentassero i privilegi alla cancelleria, che ne avrebbe verificato la legittimità, entro la
pentecoste di quell’anno, Il sovrano aveva dunque come obiettivo di ridurre gli abusi e le corruzioni
nel regno. Nel 1231 furono invece promulgate delle costituzioni dette anche Augustales nella dieta
di Melfi, l’atto era costituito da tre libri e preceduto da un proemio; quest’ultimo si apre con la
storia della creazione del mondo e dell’uomo e prosegue con la funzione dei principi, necessari per
mantenere la pace nel regno e frenare la violenza dell’uomo, legittimando il potere temporale, il
proemio fu scritto dall’entourage federiciana sotto le direttive del sovrano. Il primo libro riguardava
gli eretici, le norme di lesa maestà, il diritto penale, definizioni di competenze di alcuni uffici; il
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secondo le norme procedurali; il terzo le questioni feudali e demaniali, senza trascurare le norme su
matrimoni e diritti di successione. Da queste leggi si poteva dedurre che Federico II non aspirasse a
una nuova visione dello stato ma alla restaurazione del carattere sacrale dell’impero, infatti per la
stesura erano state raccolte tutte le leggi normanne dal 1130. I provvedimenti non favorivano la
partecipazione cittadina che poteva collaborare solo entro certi limiti. Attraverso queste norme si
regolava, per esempio, la redazione di falsi: chi ne era responsabile era sottoposto a pene severe
come il taglio della mano o la condanna a morte, era un delitto di lesa maestà, poiché quando un
documento veniva falsificato si metteva in discussione il potere del re. Un altro esempio di legge: la
medicina poteva essere insegnata solo a Salerno presso la scuola medica ed era lo stato a scegliere,
inoltre, i testi da studiare. Attraverso queste norme Federico II operava un controllo totale su ogni
aspetto della vita sociale, economica e culturale del regno.
Proprio la cultura era molto cara al sovrano che la vedeva come uno strumento di governo
fondamentale, egli organizzava spesso spettacoli in cui coinvolgeva il popolo con l’intento di
trasmettergli l’idea del bello inteso come ricchezza e magnificenza, ogni tipo di rappresentazione
pubblica era controllata e sottoposta al giudizio del re. All’interno della corte i funzionari erano
spesso anche uomini intellettuali e facevano parte attivamente della vita culturale; proprio alla corte
di Federico II nacque la scuola siciliana, così come Dante l’aveva battezzata, un movimento poetico
che non coinvolgeva solo gli intellettuali del regno ma anche artisti provenienti dall’Europa e dal
resto dell’Italia. In questo ambiente di culto si iniziò ad utilizzare il volgare nelle opere letterarie, si
inventò il sonetto, le opere avevano uno stampo provenzale; fu il movimento predominante in
quegli anni. Erano però fondamentali anche le discipline scientifiche e matematiche, lo stesso
sovrano compose un’opera scientifica, il De arte venerandi cum avibus, in cui erano rimarcati gli
aspetti della cultura del re svevo, egli mirava a una cultura che non si limitasse alle apparenze ma
che agisse, operasse per creare qualcosa di utile alla conoscenza. Si è visto che la maggior parte
degli uomini intellettuali erano funzionari, notai o giudici della corte di Federico II, e quest’ultimo
proprio per la loro preparazione istituì la prima università pubblica, oggi conosciuta come università
degli studi Federico II. Questo studium fu creato da Federico II a Napoli per formare giudici, notai e
organi competenti a cui affidare poteri esecutivi e giudiziari, il regno aveva bisogno di funzionari
preparati, dunque inizialmente si studiava solo legge, successivamente lo studium fu arricchito di
altre facoltà, esclusa medicina che era prerogativa di Salerno. La novità assoluta consisteva nel fatto
che per la prima volta era lo stato a scegliere e retribuire i magister, mentre fino a quel momento
erano stato gli studenti ad occuparsene; ne risultava ancora una volta un rigido controllo della
cultura. Quando lo stato, nei momenti di crisi economica, non riusciva a fare fronte alle spese
l’università veniva chiusa. Un’altra particolarità fu la scelta di Napoli e non di Palermo, capitale del
regno; vi sono varie ipotesi a motivare questa scelta, per esempio il fatto che Virgilio fosse morto lì,
ma la più veritiera è che Napoli era una città in continua crescita politica, economica e sociale e che
presto sarebbe diventata il centro del regno.
Il sovrano svevo durante la sua reggenza fece restaurare o modificare numerosi castelli e
fortezze specialmente di epoca normanna, per lo più in Puglia, con lo scopo di controllare il
territorio, che hanno restituito all’Italia un patrimonio artistico inestimabile. Uno fra tutti è Castel
del Monte: edificio fatto costruire nel 1240 che ancora oggi è uno dei simboli più importanti della
Puglia, si dice che il re lo avesse fatto erigere per potervi studiare le scienze, una sorta di tempio del
sapere. Si tratta di un castello particolare a pianta ottagonale, su ogni angolo si erige una torre
anch’essa ottagonale, in pietra calcarea e sviluppato su due piani. Una costruzione spettacolare che
potrebbe dare l’idea dell’importanza del regno di Federico II nel Medioevo.

FONTI DI RIFERIMENTO
Appunti del corso.
TRAMONTANA S., Il Mezzogiorno medievale. Normanni, svevi, angioini, aragonesi nei secoli XI-
XV, Roma, Carocci editore Aulamagna, 2018.
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Enciclopedia federiciana online: http://treccani.it/enciclopedia/elenco-opere/Federiciana.

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