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SAN GIOVANNI D’ACRI

La caduta della città di Acri (Akko o Akkro) nel maggio del 1291, rappresentò la fine definitiva
dell’esperienza Crociata in Terra Santa e di quello che veniva ancora laconicamente definito
“Regno di Gerusalemme”.
In realtà la Città Santa non faceva più parte dei possedimenti Cristiani d’Outremer da quasi mezzo
secolo (1244), e questi si riducevano ad una sottile striscia di terra sul litorale Siriano che
comprendeva oltre ad Acri, le città di Tiro, Sidone, Tripoli, Beirut e qualche castello e fortilizio
isolato, difeso dai cavalieri degli Ordini Religioso-Militari.
In una lettera inviata al re di Francia Luigi IX° nel 1260, il Maestro dei Templari elencando i
possedimenti Cristiani, escluse castelli e fortificazioni che a quella data erano ancora in mano ai
crociati; questa omissione traduceva probabilmente la consapevolezza che la difesa di alcune
posizioni non sarebbe durata a lungo, o comunque che non avrebbe resistito alla dilagante avanzata
delle forze mussulmane, guidate in quel momento da un formidabile condottiero, il Sultano Baibars.
Il XIII° secolo aveva assistito ad una serie di frustranti tentativi di riconquista da parte dei Crociati,
generalmente a seguito di spedizioni militari dall’Occidente, che si erano in pratica tradotti più o
meno tutti in fallimento.
Gerusalemme, che il Sultano curdo Saladino aveva riconquistato all’Islam nel 1187, grazie alla
diplomazia dell’Imperatore Federico II° era tornata per una breve parentesi in mano ai cristiani.
Nella realtà la “Crociata” dello scomunicato Federico era stato niente di più che un accordo
diplomatico con il Sultano Al-Kamil, nel quale si concedeva ai cristiani di rioccupare la Città
Santa, ad eccezione dei luoghi sacri all’Islam, in particolare l’area del Tempio e le due Moschee che
dovevano rimanere sotto il controllo musulmano.
I termini di questa intesa, che scontentava il mondo cristiano alla pari di quello musulmano,
trovavano giustificazione nel fatto che entrambe le controparti in causa, cioè sia Al-Kamil che
Federico, non spiccavano per osservanza e tanto meno per fanatismo religioso, e potendo,
preferivano per diverse ragioni evitare la guerra.
Ma quella con Federico II° era stata una breve parentesi:
Gerusalemme era rimasta Cristiana fino al 1244, anno in cui i cavalleggeri khwarizmiani
l’avevano assalita saccheggiandola, distruggendo case e chiese e trucidando quanti non erano
riusciti a mettersi in salvo. Nella furia della devastazione, erano state persino distrutte le tombe dei
sovrani cristiani che si trovavano nella Basilica del Santo Sepolcro, e quest’ultima data alle fiamme.
La Città Santa non sarebbe mai più stata Cristiana.
La seconda metà del 1200, era stata caratterizzata dalla sempre più rapida avanzata delle forze
dell’Islam, che grazie ad una serie pressoché incontrastata di conquiste, era riuscita a confinare la
presenza Cristiana in un lembo di terra costiera.
Nel 1271, dopo un assedio di circa un mese, capitolava il Krak des Chevaliers, l’imponente castello
degli Ospedalieri che dominava il valico di Homs, dove si incrociavano le strade per Damasco,
Tripoli e Aleppo.
La fortezza che lo stesso Saladino aveva considerato imprendibile, non resistette all’assalto dei
Mamelucchi di Baibars muniti di formidabili macchine da assedio.
La perdita di una posizione tanto strategica così come la disfatta della guarnigione Ospedaliera che
da più di un secolo reggeva il castello, non solo si traduceva come una disfatta militare, ma influiva
di certo negativamente sugli animi già sfiduciati di quanti restavano a difendere la Terra Santa.
Probabilmente in alcune menti si faceva largo l’idea sempre più chiara, che a meno di un intervento
concreto da parte dell’Occidente Cristiano, il destino del Regno crociato era segnato. Ma in Europa
l’attenzione per le vicende di Outremer era sempre minore, e si era ormai lontani dai tempi nei quali
predicatori esaltati come Pietro l’Eremita, o eruditi oratori come San Bernardo accendevano gli
animi chiamando alla Crociata.

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Accanto a questa perdita di entusiasmo per il “pellegrinaggio“ armato verso la Terra Santa, un altro
sentimento si andava diffondendo: il sospetto che esistesse una qualche responsabilità dei Cristiani
stabilitisi in Oriente, alla progressiva perdita di territori.
Una certa diffidenza veniva di certo alimentata dai racconti di quanti ritornavano in patria dopo una
spedizione organizzata. La realtà di vita di quanti risiedevano in maniera stabile in Terra Santa ed il
loro “adattarsi” all’ambiente orientale, nonché la convivenza con il mondo musulmano con il quale
le popolazioni cristiane avevano dei rapporti diplomatici non necessariamente sempre bellicosi,
erano tutti elementi che impressionavano le coscienze di quanti arrivavano dall’Occidente
desiderosi di far guerra e scacciare l’infedele.
Incredibilmente però, la condotta dei Cristiani di Terra Santa era decisamente non in accordo con la
reale condizione vissuta. Il contesto di estrema precarietà nella quale si trovavano, avrebbe
richiesto per logica un impegno all’unità ed alla collaborazione, e l’esclusione di ogni
comportamento giustificato solamente da un tornaconto personale e non da una visione utilitaristica
generale.
Al contrario, egoismi, invidie e vere e proprie faide intestine minavano ancor più la stabilità del
Regno; gli interessi commerciali ed economici condizionavano le scelte, le gelosie e le antipatie
personali influenzavano accordi e alleanze e la difesa dei propri beni e del potere acquisito era il
principale obiettivo per molti.
Le Repubbliche marinare italiane ed i mercanti ad esse collegati, incidevano pesantemente nella
politica e nelle relazioni diplomatiche con le autorità musulmane; ed in questa loro attività erano
spesso in feroce disaccordo tra loro. Parimenti gli Ordini Religioso-Militari che nel XIII° secolo si
erano maggiormente affermati nello scenario politico gerosolimitano, avevano tra loro rapporti
difficili e contrastati, dove incomprensioni e scelte contrarie scavavano un solco sempre più
profondo.
Alla morte di Baibars avvenuta nel luglio del 1277 e alla sua successione da parte dell’emiro siriano
Qalawun che aveva spodestato gli eredi legittimi del suo predecessore, aveva fatto seguito un
periodo relativamente tranquillo per il Regno di Gerusalemme, durante il quale la minaccia di
aggressione esterna sembrava affievolirsi. Ma i Cristiani non approfittarono di questa pausa,
spendendo energie e mezzi in feroci faide ed arrivando persino ad incrociare le armi tra loro stessi.
La corona di Gerusalemme spettava al giovanissimo Enrico, Re di Cipro, succeduto al fratello ed al
padre Ugo nel 1285, cagionevole di salute e affetto da crisi epilettiche. Nonostante ciò che restava
del Regno fosse praticamente prossimo a frantumarsi sotto l’avanzata del mondo arabo e le
divisioni interne, i solenni festeggiamenti per l’incoronazione del giovane Re che si tennero ad Acri
nel 1286, furono celebrati per due settimane con grande sfarzo come se si fosse trattato delle feste
di un esercito vincitore anziché di un Regno in rovina.
Nel 1289 Qalawun infranse la tregua con la città di Tripoli e il 26 aprile dello stesso anno il suo
esercito aveva ragione delle mura di cinta e invadeva le strade, massacrando la popolazione e
radendo al suolo case e palazzi. La distruzione della città trovava giustificazione nell’obiettivo del
Sultano di impedire ai Cristiani di ristabilirvisi in seguito, magari arrivandoci via mare.
L’aggressione di Tripoli da parte dei Mamelucchi dimostrava chiaramente l’intento di Qalawun di
voler riprendere le ostilità contro i possedimenti Cristiani, proseguendo l’opera del suo
predecessore.
Nelle trattative diplomatiche che seguirono a questo atto di guerra, venne stabilita una nuova tregua
che avrebbe avuto la durata di dieci anni (dieci mesi e dieci giorni).
Ma i Cristiani erano ben consci della fragilità di questo accordo, essendo chiaro che dare troppa
troppo fiducia al Sultano poteva essere una scelta pericolosa.
In conseguenza di quest’ultima valutazione una delegazione partì alla volta dell’Europa per esporre
il quadro della realtà vissuta in Terra Santa, con la speranza che il racconto di quanto la situazione
fosse compromessa, impressionasse gli animi provocando come risposta una mobilitazione armata.

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Il Papa Niccolò IV° si impegnò prontamente scrivendo ai vari Principi Europei, implorando di
inviare aiuti. Il mondo europeo stava comunque mutando, ed i problemi di una terra così lontana,
anche se considerata Santa per la sua Storia, passavano decisamente in secondo piano.
La richiesta d’aiuto dell’Outremer trovò risposta in pratica solo nell’Italia centro-settentrionale.
A decidere di partire furono però non i nobili e i cavalieri, bensì gente del popolo, contadini e
disoccupati in cerca di avventura, speranzosi non solo di ricavare da questa esperienza la remissione
dei peccati e la salvezza eterna, ma anche di migliorare la loro condizione sociale con un eventuale
bottino.
Non era questo che il Papa considerava di inviare come aiuto ai Cristiani d’Oriente, e non era certo
ciò che questi si aspettavano di ricevere. Indisciplinati, rissosi, ubriaconi, già dal loro arrivo
nell’agosto del 1290 ad Acri, posero dei problemi non essendo facilmente gestibili neppure da
coloro che venivano considerati loro comandanti.
Questa accozzaglia di facinorosi avrebbe contribuito a determinare la fine del Regno di Acri,
offrendo a Qalawun il pretesto per rompere la tregua stipulata con il Re Enrico e scagliare la sua
potenza bellica contro la città.
Verso la fine di agosto i nuovi arrivati, ansiosi di rispettare il loro voto e fare guerra agli infedeli,
attaccarono i mercanti arabi venuti a commerciare i loro prodotti in accordo con le condizioni di
pace stabilite con la recente tregua. Rapidamente sotto gli occhi esterrefatti della popolazione
locale, questa folla fanatica prese a massacrare tutti i musulmani che incontrava, non risparmiando
alcuni cristiani indigeni, confusi a causa della barba che veniva erroneamente considerata come un
indizio di appartenenza all’Islam.
Nonostante l’intervento dei nobili della città e dei cavalieri degli Ordini, che si prodigarono per
fermare l’aggressione e mettere in salvo i superstiti, l’accaduto rappresentava un gravissimo errore
diplomatico al quale si cercò di rimediare inviando scuse e giustificazioni al Sultano, ma questi che
probabilmente non aspettava altro che un pretesto per sbarazzarsi dei Cristiani, dopo aver
inutilmente richiesto la consegna dei responsabili, decise di ricorrere alle armi.
Sul finire dell’estate del 1290 Qalawun cominciò a prepararsi ordinando una mobilitazione e
comandando la costruzione di un gran numero di macchine da assedio.
Fece circolare la voce che l’obiettivo della sua spedizione era l’Africa, ma come già successo in
passato in occasione dell’aggressione a Tripoli, il Maestro dei Templari grazie ad informatori
segreti reclutati tra gli Arabi, venne a conoscenza delle reali intenzioni del Sultano. I suoi tentativi
di evitare il ricorso alle armi e negoziare ancora la pace fallirono miseramente, dapprima perché
non venne creduto quando riferì al consiglio cittadino le informazioni ottenute, e successivamente
per il rifiuto di versare un’ingente somma di denaro a Qalawun a titolo di risarcimento come da
questi richiesto.
Verso la fine di quello stesso anno l’esercito mammelucco si mosse diretto ad Acri con grande
impiego di uomini e mezzi, ma non percorse molta strada che il Sultano cadde malato e dopo alcuni
giorni morì.
I Cristiani comunque, non ebbero modo di rallegrarsi a lungo per la sua scomparsa, in quanto il
figlio di questi Al Amil El Esraf, era fermamente intenzionato a portare a termine quanto il padre
aveva iniziato.
Trascorsero alcuni mesi durante i quali furono intensificati i preparativi per la guerra e radunata
una armata dalle dimensioni gigantesche; durante la marcia di avvicinamento, Al-Amil continuò a
reclutare guerrieri, in modo che le fila del suo esercito si arricchirono di un gran numero di
combattenti.
Il 5 aprile 1291, l’imponente macchina da guerra raggiunse la meta e prese posizione di fronte alle
mura di Acri.
L’assedio della città si concentrava comunque solo sulla terraferma, lasciando libera la possibilità di
sfruttare il mare per i rifornimenti o come via di fuga; i Cristiani tentarono di sfruttarlo anche come
sistema di difesa, allestendo una grande catapulta sistemata a bordo di una nave. Per qualche giorno

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riuscirono in questo modo a tempestare l’accampamento nemico, ma le condizione del mare
peggiorarono fino a quando una tempesta fece colare a picco la nave.
Nell’estremo tentativo di ribaltare ancora la situazione,fu tentata una sortita notturna. La notte del
15 aprile, con un magnifico chiaro di luna il Maestro dei Templari, spalleggiato dal Cavaliere
svizzero Oddone di Granson che guidava le forze del Re inglese, , uscì dalla città con trecento
cavalieri. L’effetto sorpresa giocava a loro vantaggio e fu quindi abbastanza agevole per loro
giungere a ridosso dell’accampamento nemico. L’obiettivo era sabotare in qualche modo le
macchine d’assedio, ma per i cavalli era difficile manovrare tra le tende, e alcuni di questi
inciamparono nei picchetti e nelle corde, disarcionando i loro cavalieri; lo scompiglio provocò
l’allarme e la pronta reazione delle forze del Sultano di Hama nel cui settore era stata tentata
l’impresa.
Nel corso di quello stesso mese di aprile, in una notte senza luna gli Ospedalieri guidarono un altro
tentativo; ma in questa occasione non appena si aprì la porta ed ai cavalieri comandato di montare
in sella, l’accampamento musulmano si illuminò a giorno. I Cristiani compresero quindi che era
inutile sperare di sorprendere le forze di Al-Eshraf ed abbandonarono l’idea di altre imprese
notturne considerate troppo rischiose.
Nei primi giorni di maggio, dopo circa un mese di assedio, giunse da Cipro il giovane Re Enrico II°
con i rinforzi che era riuscito a radunare; ma con 200 cavalieri e duemila fanti la situazione dei
Cristiani non si modificava e rimaneva decisamente critica.
In un estremo tentativo di riallacciare i negoziati, il Re inviò due cavalieri a parlamentare con il
Sultano, chiedendo (come se non fossero chiari) i motivi che lo avevano spinto a rompere la tregua.
Il Sultano li ricevette fuori della sua tenda e si dimostrò subito non disposto a trattare la pace con i
Cristiani, offrendosi di risparmiare la vita degli assediati se la città si fosse arresa; questo in rispetto
al coraggio dimostrato dal giovane Re che, benché malato, si era presentato per salvare le sorti di
Acri.
Mentre i cavalieri si sforzavano di chiarire che non era loro consentito di scegliere la resa, dalle
mura della città parti un masso scagliato da una catapulta, il quale piombò a pochi metri dalla tenda
del Sultano.
Questo poneva fine ad ogni ulteriore trattativa, ed i due cavalieri minacciati di morte dal Al-Eshraf
stesso, furono risparmiati e rimandati indietro a riferire che l’unica soluzione all’assedio era lo
scontro armato.
Al di là di ogni considerazione etica giustificante o meno la presenza dei Cristiani in Terra Santa,
(presenza che si era imposta circa due secoli prima con un atto di guerra ed era riuscita a resistere
fino ad allora grazie a comportamenti non certamente in linea con il messaggio evangelico), o senza
distinguere in maniera rigida in quale schieramento collocare i buoni ed in quale i cattivi, va
comunque riconosciuto che nel disperato tentativo di difendere quel lembo di terra che era rimasto
in loro possesso, “gli uomini delle Crociate” scrissero pagine di epica, riabilitando il loro onore
troppe volte smarrito in passato per meschinità ed egoismi. La gente cristiana della Siria Franca, ed
in particolare gli Ordini dell’Ospedale e del Tempio avevano molto da farsi rimproverare nella loro
condotta, ma durante quei momenti drammatici seppero recuperare lo spirito delle origini
battendosi eroicamente contro un nemico impari.
Per organizzare la difesa le varie forze disponibili si distribuirono lungo le mura, e ad ogni
contingente armato venne assegnato un settore. I cavalieri Ciprioti e gli uomini del Re, spalleggiati
dai Cavalieri Teutonici, difendevano quello che era considerato il punto più vulnerabile delle mura,
dove si fronteggiavano sul versante esterno la Torre di Re Enrico e su quello interno la Torre
Maledetta. Sul lato delle mura che scendeva alla loro destra, presero posizione i soldati del Re di
Francia al comando di Jean de Grailly, gli Inglesi guidati da Oddone di Granson, ai quali si erano
aggiunti i soldati Italiani giunti l’estate precedente e responsabili del disastro.
Alla sinistra del Re Enrico II°, lungo il tratto di mura che volgeva a nord di fronte al quartiere
chiamato Montmusard, presero posizione gli Ospedalieri a fianco dei quali si schierarono i
Templari. Nei quasi due secoli di storia i due Ordini si erano trovati spesso in disaccordo, divisi da

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gelosie, rivalità e scelte politiche contrarie, ed anche nelle operazioni militari che gli avevano visti
schierati insieme, si collocavano spesso a distanza, costituendo uno l’avanguardia e l’altro la
retroguardia dell’esercito. Il racconto di quanti riuscirono a scampare all’assedio ed in particolare la
cronaca del “Templare di Tiro”, testimone oculare di quegli eventi e scrivano del Gran Maestro (pur
non essendo un Templare), riferirono al contrario di come i cavalieri dei due Ordini combatterono
uniti, fianco a fianco e spalla contro spalla, dimentichi di tutto ciò che in passato gli aveva divisi.
Nei primi giorni di maggio, sotto l’incessante bombardamento delle macchine d’assedio
mamelucche, alcune fortificazioni cominciarono a cedere, e già l’8 del mese i difensori di una
postazione avanzata, considerandola indifendibile le diedero fuoco e la lasciarono crollare.
Il giorno 15 le forze del Sultano riuscirono ad aprirsi un varco nelle mura esterne nel tratto che
fronteggiava la Torre Maledetta, dove si concentrarono gli sforzi difensivi; il giorno successivo
venne respinto un tentativo di attacco in quello stesso settore, ed il maresciallo degli Ospedalieri
Matteo di Clermont si distinse compiendo veri prodigi di valore.
Ma la mattina del venerdì 18 maggio, al suono incessante delle trombe, dei cembali e dei tamburi, il
Sultano scagliò tutta la forza offensiva del suo esercito contro una larga estensione delle mura.
Trecento tamburini incitavano i guerrieri all’attacco, ed al suono degli strumenti si univano le urla
degli assalitori con un fracasso assordante.
Rapidamente riuscirono ad aprirsi un varco attraverso la Torre Maledetta, ed i cavalieri Siriani e
Ciprioti deputati a difenderla stentavano a frenare la loro avanzata e stavano per essere ricacciati sul
lato sinistro delle mura, quando giunsero in loro aiuto gli Ospedalieri ed i Templari affiancati,
guidati da Matteo di Clermont e dai due Gran Maestri. Per qualche momento questo manipolo di
disperati arginò l’avanzata furiosa degli assalitori, riuscendo persino a farla indietreggiare. Durante
una fase di pausa del combattimento, mentre alzava il braccio per impartire un ordine, il Maestro
dei Templari Guglielmo di Beaujeau venne colpito da una freccia e si rovesciò sul cavallo; deposto
morente su un grande scudo venne portato dai suoi uomini alla casa del Tempio dove, dopo una
breve agonia spirò e venne tumulato sotto l’altare della cappella.
Fuori il combattimento infuriava, e le armate di Al-Eshraf dilagavano ormai per le strade di Acri,
dove gli uomini ancora in grado di combattere tentavano un’estrema quanto vana difesa. Sul porto
la confusione era indescrivibile, con un gran numero di fuggiaschi che cercava scampo nelle
imbarcazioni disponibili,per altro insufficienti a mettere in salvo tutti.
I soldati Francesi ed Inglesi che per un certo tempo erano riusciti a tenere le loro posizioni e
fronteggiare gli assalti, dovettero alla fine ritirarsi. Il cavaliere Oddone di Granson riuscì a far
imbarcare un gran numero di scampati e tra questi il comandante dei Francesi Jean de Grilly rimasto
ferito, dopodiché si imbarcò lui stesso. Il Re Enrico II° ed il suo seguito si imbarcarono alla volta di
Cipro, considerando ormai persa la città ed inutile ogni tentativo di difesa.
Accanto ad episodi di estrema carità, come quello operato dal Patriarca della città che concesse ad
un gran numero di fuggitivi di salire sulla sua imbarcazione, la quale fini per rovesciarsi sotto il
carico eccessivo, ci fu anche chi arrivò a pretendere un pedaggio per un posto a bordo che
equivaleva alla salvezza.
Purtroppo non c’era un numero sufficiente di navi per trarre in salvo tutti, e molti finirono per
essere massacrati o, nel caso di giovani donne e fanciulli, fatti prigionieri e venduti in seguito come
schiavi.
A sera tutta la città era nella mani di Al-Eshraf tranne il castello dei Templari, detto la Volta d’Acri,
affacciato direttamente sul mare, dove avevano trovato rifugio oltre ai pochi cavalieri e soldati
superstiti un certo numero di quanti erano scampati alla furia degli assalitori.
Per una settimana la fortezza resistette ai tentativi di espugnarla da parte dei mamelucchi, e il
Sultano arrivò a offrire di risparmiare i difensori in cambio della resa.
Quando però gli uomini di Al-Eshraf entrarono per prendere possesso del castello, cominciarono a
molestare le donne cristiane; alla vista di questo comportamento i Templari reagirono con le spade
massacrandoli, chiudendo le porte e strappando il vessillo del Sultano che era già stato issato.

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Furioso per l’accaduto, Al-Eshraf offrì le stesse condizioni di resa pochi giorni dopo, ma quando
una ambasceria dei Cristiani si presentò al suo cospetto per definirne i termini, senza esitazione
fece decapitare i cavalieri scesi a parlamentare.
I Templari superstiti e gli altri difensori della Volta compreso quindi che non esisteva per loro
nessuna possibilità, e si preparano a resistere ancora all’assedio, consci che ciò che poteva ritardare
la loro fine era la resistenza della fortezza.
Nel frattempo i genieri del Sultano avevano minato le fondamenta del castello la cui facciata verso
la spiaggia cominciò a crollare. Il 28 maggio fu comandato l’assalto generale e duemila soldati di
Al-Malik entrarono nella costruzione, che ormai instabile, crollò seppellendo insieme Cristiani e
Musulmani.
Come era accaduto per l’aggressione a Tripoli ad opera di Qalawun, anche suo figlio Al-Eshraf si
impegnò per evitare che Acri potesse in seguito servire ancora da base di attracco per i Cristiani
giunti da Occidente.
Sul territorio di quello che un tempo era stato il Regno di Gerusalemme, oltre alla città di Tiro che
venne evacuata e a Beirut attaccata e distrutta dal Sultano, rimanevano i castelli Templari di Athlit
(Chastel Pelerin) e Sidone, ma entrambi disponevano di un numero troppo scarso di cavalieri ed
armati, e vennero abbandonati senza neppure tentare di difenderli nel mese di agosto. I Templari di
Sidone, ai quali il nuovo Gran Maestro aveva promesso aiuti prima di imbarcarsi per Cipro, dopo
aver atteso in vano, compresero che le sorti del castello erano segnate e lo evacuarono via mare il
14 del mese. Athlit, l’orgoglio delle fortezze dei Templari, l”’imprendibile nido delle aquile” che
aveva resistito al Saladino, era stata già abbandonata il 3 agosto.
Nei mesi successivi le squadriglie armate di Al-Malik-El Eshraf, percorsero il litorale distruggendo
meticolosamente ogni costruzione appartenuta ai Cristiani per cancellare i segni della loro presenza
ed scongiurare in ogni modo un improbabile ritorno.
Ma i tempi erano definitivamente cambiati, e semmai era esistito, lo spirito della Crociata era
prossimo a svanire totalmente dalle coscienze Occidentali.
I Templari occuparono ancora fino al 1303 l’isolotto di Ruad di fronte a Cipro, servendosene per
qualche sporadica incursione in territorio musulmano, ma alla fine furono costretti ad abbandonarlo.
Nessuna crociata partì più per liberare il Santo Sepolcro, e lentamente l’idea di riconquistare un
Outremer Cristiano venne abbandonata, o quantomeno, mantenuta viva solo idealmente.
A distanza di meno di vent’anni da quegli eventi, l’Ordine del Tempio che era stato tra gli estremi
difensori della Cristianità, venne spazzato via da un processo infamante nel quale i cavalieri si
trovarono attaccati da quella stessa Cristianità per la quale si erano sacrificati. E dove non erano
riuscite le scimitarre nemiche, a piegare la resistenza di questi uomini di ferro furono le torture ed i
roghi del Re di Francia.

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