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“E adoravano un idolo con tre teste...


Dal mito del Tricefalo al culto della Trinità

di Marcuzio Isauro

L’origine del mito dell’essere a tre teste

Due tra i più prestigiosi studiosi dell’Ordine dei Templari, l’inglese Malcom Barber ed il francese
Alain Demurger, nei loro libri concordano nel ritenere che uno dei principali capi d’accusa contro i
Templari fu quello che questi adorassero degli strani idoli, molti dei quali erano provvisti di tre facce.
Come esempio viene spesso citata la deposizione di Deodato Jaffet al quale, quando fu ricevuto come
novizio a Pedenant, gli fu mostrata una testa o idolo, che a lui aprve avere tre facce e gli fu detto: “Tu
devi adorarlo come Tuo Salvatore e come Salvatore dell’Ordine del Tempio”.
E lui adorò quell’idolo rispondendo: “Benedetto colui che salverà l’anima mia”.
Fin dall’antichità, sopratutto in campo religioso, quando si voleva definire o sottolinerare il “tutto”, si
usava il numero tre: numero perfetto per eccellenza perchè è il più piccolo numero contenente la cifra
pari e la cifra dispari. Nelle vecchie tradizioni egiziane e greco-alessandrine la triplicità era un
“qualcosa” che veniva moltiplicato per tre in modo da farne una unità “tre volte più grande” o più
semplicemente “tre volte grande”, da cui ebbe origine Ermete Trismegisto o TRIMEGISTOS (spesso
rappresentato con tre teste): personaggio tanto caro alla nascente pratica dell’alchimia.
Anche per gli antichi latini, con il loro famoso adagio “E tribus honor unus” (in tre io onoro uno), era
possibile che il tre identificasse l’uno precorrendo così la tradizione trinitaria cristiana. Ne consegue
che il numero tre o la moltiplicazione per tre, attestava la grandezza di un concetto o di un manufatto:
triplicare un talismano significava conferirgli assoluta potenza come totale potere dava la tiara (formata
da tre corone) al Papa.
Ecco che in ogni cultura ed in ogni religione comparvero divinità tricefale: in India SHIVA era spesso
rappresentata sulle monete dei Kaunas sottoforma di persona con tre volti, a segnalare la triplice
epifania della creazione, conservazione e distribuzione cosmica.
A capo della ripartizione trinitaria divina dell’antico Perù, vi era APUINTI, definito anche con il nome
di “uomo a tre volti”.
BRAMMINGE, divinità tricefala delle popolazioni nordiche era l’equivalente del BRAHMA indù e
portava sulla fronte il “terzo occhio”.
Presso i popoli slavi era adorato TRIGLAV, dio tricipite che con una testa dominava la terra, con la
seconda l’aria e con la terza l’acqua: nei sacri templi veniva conservato questo idolo dalle tre teste
d’oro le cui labbra ed i cui occhi venivano coperte con un velko, affinchè non vedendo e tacendo
fingesse d’ignorare i peccati degli uomini.
Dagli antichi romani e quindi dai gallo-celti, all’incrocio di molte strade, veniva posta l’effigie di
ECATE triforme, che aveva il compito di proteggere il viandante facendogli anche rintracciare la giusta
via. Gli influssi celti si sono poi manifestati nelle regioni alpine dove spesso è presente la figura
dell’Uomo Selvatico, che può anche comparire con l’aspetto di tricefalo. Cito, come esempio, la statua
del Sevatico Tricipite di Bressanone (BZ), posta al centro del paese (all’incrocio delle strade tra i
Portici maggiori ed i Portici minori): secondo una leggenda locale al mezzodì di ogni venerdì santo una
pioggia di monete d’oro cadde da ognuna delle tre bocche dell’idolo.
Ma anche in ambito cristiano il tricefalo è stato usato per la raffigurazione della Trinità: questa
tradizione molto probabilmente fu introdotta da Abelardo, a decorrere dall’ultimo periodo dell’arte
gotica. Si possono citare come esempi i tre volti di Cristo riuniti per l’occipite, dipinti nel Cenacolo di
Andrea del Sarto a Firenze; o la Trinità che appare a S. Agostino in un pannello ligneo conservato
presso la pinacoteca dell’Abbazia di Novacella (BZ); od infine il tricefalo posto alla sommità del
tabernacolo del Donatello dedicato all’Incredulità di S. Tommaso in Orsanmichele, sempre a Firenze.
Questo uso un po’ irriverente della Trinità assunse forme talmente mostruose da far condannare da
parte dei Protestanti l’uso del “cerbero cattolico”: difatti con papa Urbano VIII furono iniziate
distruzioni di tali iconografie fino a giungere alla proscrizione assoluta da parte di Benedetto XIV di
riprodurre e conservare queste immagini.
Paradossalmente, durante l’epoca medievale, i connotati del tricefalo erano ascrivibili peculiarmente al
demonio. Così si esprimeva Dante Alighieri in occasione del suo incontro con LUCIFERO nella Divina
Commedia: “Oh quanto parve a me gran maraviglia quand’io vidi tre facce alla sua testa”.
Attualmente le raffigurazioni tricefale sono molto rare da trovare e pertanto sono preziose per lo storico
dell’arte che tenta di tracciare un iter iconografico della Trinità Cristiana. Un raro esempio di tale
immagine è stato segnalato dallo spagnolo Rafael Alarcon H. nel suo La otra España del Temple.

La Santa Trinità presso i Templari

Alarcon, l’infaticabile ricercatore di culti e tradizioni dei Templari in terra di Spagna, cita l’ormai
scomparsa chiesa templare della Trinità presso Tudela, in Navara. Sul timpano d’ingreso di tale edificio
era posta l’effigie in rilievo della Divinità Tricefala Cristiana nell’atto di benedire l’introito in chiesa
dei fedeli. Purtroppo di tale iconografia possediamo unicamente un disegno ed alcuni appunti presi da
Juan Antonio Fernandez nel 1804, durante la demolizione e lo smantellamento dell’antico edificio
ecclesiastico.
Sempre lo stesso Alarcon segnala la presenza a 12 Km da Tudela e a soli 3 Km dalla commenda
templare di Novallas, del monastero cistercense di Tulebras, fondato secondo la tradizione da Santa
Humbelina, sorella di S. Bernardo di Chiaravalle. Presso questa istituzione monastica si conserva
tutt’ora una rafigurazione tarda, probabilmente cinquecentesca, della Santissima Trinità Tricefala, che
presenta numerose similitudini iconografiche con la scomparsa Trinità templare di Tudela. Tale
dipinto, a dispetto della furia iconoclasta dell’inquisizione e della successiva “guerra civile”, è passato
indenne per perpetuare la memoria di un culto trinitario dei Templari ascrivibile a torto ad idolo
blasfemo. A questo proposito esiste la testimonianza di un cavaliere templare, raccolta dall’abate
Coblet, la quale riferisce che il Bafometto era una testa tricefala dipinta sopra una tavola con tutti
connotati, quindi, della Divina Trinità Cristiana.
Una più consona iconografia trinitaria, anche se nel tempo abbandonata per la convenzionale
ripartizione in Padre, Figlio e Spirito Santo, era quella rappresentata da tre figure umane identiche in
tutto e per tutto. Forse l’esempio più famoso in Italia di tale iconografia è quello della Santissima
Trinità di Vallepietra, in provincia di Roma, meta da secoli di continui e faticosi pellegrinaggi
attraverso ripidi sentieri di montagna.
In questo affresco del XII secolo, le tre figure sono identiche ed eseguono il medesimo segno di
benedizione “alla greca” (unendo cioè il pollice con l’anulare della mano destra).
Pochi sanno che una raffigurazione trinitaria simile appare affrescata sulle pareti interne di una chiesa
romanica ancora intatta appartenuta ai Templari in Italia. Si tratta della chiesa dedicata a S. Tomaso
Becket, posta lungo la via Franigena a Carobiolo, nei pressi di Fidenza, in Emilia-Romagna. Secondo
la tradizione Tomaso Becket avrebbe sostato nel 1167 presso tale commenda durante il suo viaggio
verso Roma dalla Francia, dove era stato posto in esilio: questa circostanza storica sembra avvalorare la
particolare predilezione del Santo per i Templari e viceversa.
L’affresco posto all’interno della chiesa rappresenta la Santa Tinità composta da tre persone, identiche
e vestite di rosso, che congiungono le mani; sul desco imbandito è possibile osservare l’inusuale
presenza di tre calici, uno per soggetto, quasi a simboleggiare anche la triplicità del “Santo Graal”.
Nell’affresco vi è pure un S. Michele Arcangelo in funzione di “psicopompo”, che porta sulla tunica
bianca una vistosa croce rossa che ricorda quella dei Templari: questi infatti avevano una particolare
venerazione per il Santo. A seguire, nel dipinto, una crocefissione di discreta fattura che ricorda lo stile
di un Cimabue e che ci fa inquadra l’affresco tra la fine del ‘200 e gli inizi del ‘300, quindi ancora in
epoca templare.
Concludendo la disamina di questa chiesa, segnalo l’opinione di Bianca Capone che fa derivare il
toponimo Carobiolo dal latino quadrivium, così come le parole carrobbio, carruggio e carrefour, che
vogliono indicare il crocevia. Suggestivamente una trinità templare posta al crocevia d’importanti
strade di pelegrinaggio, può forse spiegarsi con la primitiva presenza di una divinità pagana triforme
(ECATE per esempio) e con una successiva opera di sincretismo religioso.
Coincidenza vuole che tre teste di moro, identiche, compaiano anche nel balsone di famiglia del primo
Gran Maestro dei Templari, Hugues de Payens.

(In un box)
In conclusione di questo articolo vorrei sottolineare una certa particolarità: la mia città, Treviso, sede
d’importanti insediamenti templari, per tradizione ha sempre avuto come simbolo iconografico di
riconoscimento la persona con “tre-visi”. Resa famosa dall’opera Iconologia di Cesare Ripa, tale
raffigurazione ha sempre caratterizzato la Marca Trevigiana: come ad esempio ho posto, all’inizio di
questo testo, la fotografia dell’erma triforme che troneggia al municipio della città

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