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Il Battesimo di Cristo di Piero della Francesca è

una tavola molto studiata in base a principi


matematici, come rivela la sua ordinata struttura, in
cui si possono individuare varie figure geometriche:
o QUADRATO: Buona parte della composizione si

può iscrivere in un quadrato (forma perfetta del


razionale e quindi dell’uomo) a sua volta
tripartito. Un quadrato minore è iscrivibile nel
quadrato più grande. L’incontro delle diagonali
coincide con l’ombelico di Cristo;
o TRIANGOLO: La parte centrale è dominata

dalla figura di Gesù, il protagonista, che sta


sull’asse di simmetria e può essere inserito in
un triangolo equilatero (simbolo della Trinità) il
cui vertice inferiore coincide con il piede di
Cristo mentre il suo centro corrisponde alle
mani giunte;
o CERCHIO: La parte superiore è inseribile in un

cerchio (figura perfetta del divino e della


natura) la cui diagonale passa esattamente sulle
ali della colomba.
Piero della Francesca usa la geometria per amplificare
la scena sacra, conferendo armonia visiva
all’immagine realizzata in base a proporzioni auree.
L’intento di Piero della Francesca è di far coincidere
nell’opera la perfezione umana e quella divina.
La scena descrive l’episodio evangelico della cerimonia
del battesimo di Gesù

l protagonista
Il protagonista è Gesù, figura centrale della
rappresentazione, che viene mostrato frontalmente, con le
mani giunte e gli occhi che, umili, guardano verso il basso.

Il corpo ha un aspetto scultoreo, pallidissimo e immobile,


viene raffigurato con:
o la gamba sinistra che sostiene il peso;
o la gamba destra che viene rappresentata
leggermente arretrata e piegata.

Sopra la testa di Gesù vi è la ciotola con cui viene battezzato


e la colomba che sono allineati sulla stessa direttrice delle
mani in preghiera di Gesù. La linea verticale formata da
questi tre elementi viene enfatizzata dal tronco pallido
dell’albero a sinistra che procede in parallelo.

Angeli:
Lateralmente, a sinistra del dipinto, tre angeli dalle vesti e
dalle ali colorate assistono al battesimo, sulla testa
indossano delle coroncine:
o due angeli guardano verso Gesù;
o il terzo appoggia amabilmente la mano sulla spalla del
compagno e guarda verso l’osservatore quasi a
volerlo coinvolgere nell’avvenimento.
Albero:
L’alto fusto dell’albero sulla sinistra cattura l’attenzione
dell’osservatore, ricorda una colonna, il tronco pallido è
dipinto dello stesso bianco del corpo di Cristo.

La posizione non è casuale ma realizzata in base ad una


logica precisa che vede il verticalismo dell’albero
controbilanciare la posa di San Giovanni.

San Giovanni Battista


Lateralmente a destra del dipinto, San Giovanni Battista,
in primo piano, versa sulla testa di Cristo una piccola ciotola
d'acqua, è possibile scorgere l'acqua gocciolare sui capelli e
sulla fronte.

L’artista dipinge San Giovanni con un atteggiamento che


rivela una certa ritrosia, riferibile al fatto che, in base al
Vangelo, quando Cristo andò da Giovanni chiedendo di
essere battezzato, quest'ultimo inizialmente rifiutò,
ritenendo che in quanto Figlio di Dio, Cristo fosse già senza
peccato, ma l'insistenza di Cristo, manifestazione della sua
umanità e umiltà, lo convinse infine a battezzarlo.

Sopra la testa di Gesù vi è la ciotola con cui viene battezzato


e la colomba che sono allineati sulla stessa direttrice delle
mani in preghiera di Gesù. La linea verticale formata da
questi tre elementi viene enfatizzata dal tronco pallido
dell’albero a sinistra che procede in parallelo.
Il luogo in cui si svolge il battesimo dovrebbe essere la
Galilea, in particolare la valle del Giordano ma Piero Della
Francesca ricontestualizza l’episodio
evangelico ambientandolo in un paesaggio a lui familiare,
vale a dire la zona dove l’artista viveva (San Sepolcro).
Lo scenario infatti è tipico umbro-toscano e rappresenta
probabilmente la Valle di Nocea bagnata dal Tevere con la
cittadina turrita di Borgo Sansepolcro sullo sfondo.

I colori si alternano con grande equilibrio: tinte calde e tinte


fredde.
Non vi sono forti chiaroscuri, la luce che proviene
dall’alto pervade la scena in maniera omogenea con colori
che conferiscono chiarezza cristallina.

l dipinto venne commissionato dall’ordine dei Monaci


benedettini Camaldolesi (monaci trinitari) per la piccola
cappella dedicata a San Giovanni Battista nella Chiesa di
Santa Maria della Pieve della città natale di Piero della
Francesca, Borgo Sansepolcro.

in quest’opera emergono le influenze:


o di Domenico Veneziano e del Beato Angelico, per
quanto riguarda lo studio della luce e nell’utilizzo di
tenui colori pastello quasi privi di ombre;
o di Niccolò Cusano per la particolarità della
costruzione geometrica.
La Flagellazione riunisce due scene distinte eppure connesse fra di
loro: a destra, in primo piano, tre uomini sembrano colloquiare
insieme, in una strada affiancata da edifici antichi e rinascimentali.

A sinistra, Cristo legato alla colonna è flagellato al cospetto di


Pilato, che osserva la scena seduto sul trono. Questa pagina del
Vangelo è ambientata sotto una loggia classica, sostenuta da
colonne composite scanalate, coperta da un soffitto a cassettoni, e
ispirata apertamente alla contemporanea architettura di Leon
Battista Alberti, grande architetto del Rinascimento che di Piero era
amico.

La pavimentazione in cotto della piazza è percorsa da lunghe


strisce di marmo bianco; il pavimento della loggia, invece, è
riccamente decorato con grandi tarsie marmoree bianche e nere. La
scena è resa con grande perizia tecnica attraverso la definizione
attenta di ogni particolare.

Quest’opera ha costituito e continua a costituire uno degli enigmi


più avvincenti della storia dell’arte. Nel corso del tempo sono
state formulate almeno dieci ipotesi interpretative differenti, delle
quali ricordiamo solo la più recente e attendibile. Il dipinto sarebbe
un’allegoria della Chiesa tribolata dai Turchi, con un chiaro
riferimento alla presa di Costantinopoli, avvenuta otto anni
prima della realizzazione del dipinto, nel 1453. È stato osservato, a
sostegno di questa ipotesi, che la colonna alla quale è legato Cristo
è sormontata dalla statua classica di un uomo che sorregge un
globo; si sa che un monumento simile era stato eretto in onore di
Costantino nell’appena rifondata Costantinopoli.
Nella Flagellazione, i due gruppi di figure, benché apparentemente
estranei fra di loro, sono idealmente unificati da una costruzione
prospettica assai complessa, che è poi la vera protagonista della
tavola. Tale prospettiva sembra voler indicare che il quadro non va
letto da sinistra a destra, come vorrebbe la logica, ma da destra a
sinistra, lasciando intuire che il titolo dell’opera è fuorviante: la
flagellazione di Cristo, così relegata in secondo piano, sembra avere
in sé stessa un valore simbolico e appare evocativa di
qualcos’altro, forse un fatto storico contemporaneo alla vita
dell’artista. Le due scene sono inscrivibili, insieme, in un rettangolo
i cui lati si relazionano fra loro secondo la formula proporzionale
della sezione aurea, pari al numero 1,618, amato e applicato in
architettura sin dai tempi dell’antica Grecia. D’altro canto, a un
esame attento dell’opera si scoprono ovunque rapporti numerici,
figure geometriche, corrispondenze, parallelismi che rivelano
quanto studio abbia dedicato Piero della Francesca alla sua
composizione e che hanno spinto la critica a definire
la Flagellazionecome un “sogno matematico”.

Le $igure
Ponzio Pilato, che assiste impotente alla tortura, sarebbe in realtà
l’imperatore di Bisanzio Giovanni VIII. I flagellatori sarebbero gli
infedeli, e in effetti sia gli atteggiamenti sia le fisionomie
rimandano alle figure dei pirati turchi e mongoli. Il personaggio di
spalle sarebbe invece il sultano Maometto II che intendeva
insediarsi sul trono di Bisanzio: egli è infatti a piedi scalzi, mentre
è Giovanni VIII a indossare i purpurei calzari imperiali, che solo gli
imperatori bizantini potevano portare. I tre uomini in primo piano
sarebbero invece, da sinistra: il cardinale Bessarione, ossia il
delegato bizantino che molto si adoperò durante il Concilio di
Ferrara e Firenze del 1438-39, nella speranza di ottenere l’aiuto
occidentale contro gli Ottomani e di scongiurare la caduta di
Costantinopoli; Tommaso Paleologo, pretendente senza speranza
al trono di Bisanzio (e difatti anch’egli è scalzo); infine, Niccolò III
d’Este, il quale ospitò parte del Concilio a Ferrara.

Nata nel centro di Firenze nel 1419,rappresenta il primo monumento


civile rinascimentale.
Accoglieva e tutelava i bambini abbandona<, oggi è sede di un museo.
Il proge?o originale dell'edificio appar<ene a Filippo Brunelleschi, che ci
lavorò fino al 1423.
Brunelleschi è ritenuto da Giorgio Vasari un uomo d'ingegno elevato;egli
fu infaK l'inventore della prospeKva scien<fica e può essere considerato
il "padre" del Rinascimento.
L'edificio è armoniosamente inserito nella piazza della San<ssima
Annunziata.
All'interno dello Spedale si trovano, oltre al dormitorio dei bambini (oggi
usato per mostre e spe?acoli), il Cor<le delle Donne, il Cor<le degli
Uomini, la Chiesa di Santa Maria degli
Innocen<, il Verone (ampio terrazzo) e La Galleria.
Lo Spedale presenta due ordini: il pianterreno e un primo piano con le
finestre.
Il loggiato di Brunelleschi è sul primo ordine, rialzato per mezzo di nove
gradini, composto da nove archi a tu?o sesto sostenu< da colonne
corinzie.
Sul primo piano (realizzato da Francesco della Luna) troviamo invece nove
finestre re?angolari con <mpani triangolari.
Il materiale scelto da Brunelleschi è la pietra serena grigia, usata per
archi, colonne e capitelli, abbinata al bianco delle pare<.
Ci sono inoltre dieci medaglioni azzurri in ceramica tra un arco e l'altro,
rappresentan< i trovatelli in fasce, realizza< da Andrea Della Robbia.
I modelli archite?onici appartengono sia all'archite?ura medievale che
all'an<chità romana, e Brunelleschi cerca (non invano) di "emularli", ossia
di superarli ed innovarli; egli introduce anche delle novità nello s<le:
-proporzione. L'intera facciata è stata pensata sulla base di precisi calcoli
matema<ci, e sono state tenute in considerazione le proporzioni del
corpo umano.
Quest'ul<mo è un aspe?o molto importante nel rinascimento: l'uomo è al
centro di tu?o.
In questo caso le proporzioni umane considerate sono quelle infan<li.
Le campate sono perfe?amente cubiche: hanno stessa altezza, larghezza
e profondità; questa misura,de?a modulo, è la stessa del fusto delle
colonne e dell'intercolunnio (spazio compreso tra due colonne).
⁃ prospeKva. In questo monumento la prospeKva è stata usata da
Brunelleschi in modo illusionis<co per far si che l'edificio sembrasse più
alto, ma che comunque offrisse un immagine serena e non imponente ai
bambini che entravano nella piazza.
⁃ armonia e musicalità. Il ritmo dell'edificio è rappresentato da
questa scansione :
arco - pausa della cornice - finestra <mpanata
,che è riferita a una composizione musicale.
-eleganza della semplicità. Le forme geometriche u<lizzate sono poligoni
regolari, cara?eris<ci
dell'arte rinascimentale.
La geometria, inoltre, è collegata a simboli religiosi: il quadrato
rappresenta l'uomo, il cerchio il divino, 1l triangolo la Trinità.
-leggerezza. Le colonne,per esempio, sono rialzate su pulvini, che donano
slancio.

Le colonne corinzie sono rinnovate: risultano più leggere rispetto a quelle


classiche.
Masaccio soprannome di Tommaso di Ser Giovanni di
Mòne di Andreuccio Cassài, è stato un pittore italiano attivo
durante il periodo Quattrocento. Nasce a San Giovanni
Valdarno nel 1401. La sua formazione artistica e culturale
avviene a Firenze. Non abbiamo molte notizie su di lui ma
sappiamo che ha frequentato la bottega di
Masolino. Concepisce una pittura nuova facendo parte
della rivoluzione artistica del primo '400
con Brunelleschi e Donatello.

Sullo spessore dell’arcone d’ingresso della Cappella, Masolino e


Masaccio realizzarono due episodi della Genesi: il Peccato
originale, dipinto da Masolino a destra, e la Cacciata di Adamo ed
Eva, affrescato da Masaccio a sinistra. La presenza di Adamo ed Eva
tra le Storie di San Pietro ha un preciso significato teologico: il
peccato originale è l’antefatto all’opera di redenzione di Cristo, poi
proseguita da Pietro, primo papa e dunque personificazione della
Chiesa.

L’affresco di Masolino mostra Adamo ed Eva in piedi, entrambi


nudi, una accanto all’altro, mentre stanno per mordere il frutto
proibito che il Serpente dal volto di donna ha offerto loro. Eva,
ambigua e tentatrice, abbraccia l’albero che anche il demonio sta
avviluppando con le sue spire: le due figure, in tal modo, si
assomigliano e si identificano. Adamo è impacciato e incerto,
esita, forse argomenta debolmente, come sembra indicare il gesto
della mano sinistra. Sappiamo che alla fine cederà.
La scena risente fortemente del clima tardogotico in cui era
maturata l’arte di Masolino: le figure dei progenitori sono infatti
elegantemente composte, illuminate da un diffuso quanto generico
bagliore e sono come sospese a mezz’aria. I loro corpi,
nell’intenzione dell’artista, dovrebbero essere puri, eterni e celesti,
giacché il peccato non è stato ancora compiuto, ma risultano
piuttosto privi di consistenza fisica. La figura di Adamo, inoltre,
parrebbe voler aderire a un certo canone di bellezza classica ma il
tentativo appare chiaramente un po’ maldestro, anche perché le
competenze anatomiche di Masolino non erano abbastanza
approfondite.

Nella Cacciata di Adamo ed Eva, Masaccio non si concesse alcun


compiacimento edonistico. Infatti, l’opera, giustamente
considerata un manifesto pittorico del primo Rinascimento, non
colpisce né per la bellezza né per le armoniose proporzioni dei
personaggi: Eva ha le gambe un po’ tozze, le natiche poco
arrotondate, i fianchi larghi; Adamo ha le braccia troppo magre in
rapporto al torace ampio e all’addome muscoloso. Insomma,
Adamo ed Eva non sono “belli” in senso classicistico e meno che
mai idealizzati ma sono certamente umani. I loro corpi, sferzati
dalla luce che li investe frontalmente, hanno una concretezza senza
precedenti.
La pittura di Masaccio è sobria e sintetica ma proprio per questo
non lascia adito a fuorvianti interpretazioni. La porta del
Paradiso è l’arco di una cinta di mura, il mondo esterno è brullo e
inesplorato, duro come l’esilio cui la coppia è stata
condannata. L’uomo e la donna, caduti nella disperazione,
cacciati con forza dal luogo che amavano e nel quale si sentivano
protetti, obbligati a farsi carico delle proprie responsabilità,
provano anche vergogna: Adamo ha le mani che coprono il volto,
esprimendo così sentimenti di dolore e di afflizione profondi ma
dignitosi; Eva assume la posa di una Venere pudica che nasconde il
seno e il pube. Entrambi mantengono, tuttavia, la dignità umana di
chi ha la forza e la possibilità di ricominciare, sia pure affrontando
indicibili fatiche. Eva urla, ma il suo è un grido in fondo liberatorio;
Adamo singhiozza, ma cammina con passo svelto e virile incontro
alla sua nuova vita.

I piedi di entrambi sono saldamente appoggiati per terra, i due


corpi (pesanti in quanto consapevoli della propria finitezza)
proiettano ombre. Non si può fare a meno di notare e commentare
la vigorosa mascolinità di Adamo, così inconsueta per la pittura
dell’epoca, scoperta negli anni Ottanta del Novecento sotto fronde
seicentesche, aggiunte a nascondere la nudità troppo realistica e un
tempo giudicata, per un luogo sacro, decisamente peccaminosa. Ha
scritto, a questo proposito, lo storico dell’arte Luciano Berti,
toscano impenitente: «dobbiamo pur citare l’ormai famoso sesso
defoliato del nostro, che scuro di ombre e di pelurie ma anche con
colpi di luce, spicca davvero nel suo ballonzolio di moto».
L’angelo, che in alto li caccia armato di una spada un tempo
luccicante (grazie ad una foglia di metallo applicata sull’affresco,
poi caduta), ha un’espressione dura, da «maschera tragica e
crudele, come di Furia dalla ampia chioma scarmigliata, o di
legionario imperiale romano inesorabile» (L.Berti): un’espressione
che si fa testimonianza dell’Ira di Dio. Con la mano sinistra,
tuttavia, il messaggero divino già indica la via del riscatto: Cristo,
che campeggia al centro del vicino affresco del Tributo.

Donato di Niccolò di Betto Bardi, meglio noto come


Donatello, nasce a Firenze nel 1386. Scultore, orafo e anche
disegnatore, è considerato uno dei padri del Rinascimento
italiano, insieme con l'amico Filippo Brunelleschi e con
il Masaccio, oltre che creatore e massimo rappresentante
del classicismo umanistico fiorentino.

Il David marmoreo

A questa fase giovanile di Donatello appartiene un suo


primo David, scolpito in marmo tra il 1408 e il 1410 per l’Opera del
Duomo fiorentina. Era, questa, un’istituzione laica, fondata dalla
Repubblica di Firenze e costituita da amministratori, artisti e
maestranze impegnati nel progetto di costruzione della cattedrale.
La statua era destinata alla tribuna del coro, una struttura
ottagonale che si trovava attorno all’altare centrale e che fu poi
smantellata nel XIX secolo. La scultura è a grandezza naturale e
raffigura l’eroe biblico vittorioso con la testa del gigante Golia ai
suoi piedi. Donatello mostra di conoscere già la scultura romana:
infatti si notano elementi ripresi dal repertorio classico, come il
busto massiccio del ragazzo che tende la sua veste attillata, oppure
la corona di amaranto che gli orna il capo.
Tuttavia, altri dettagli riconducono l’opera a un contesto ancora
tardogotico. Le membra sono incredibilmente lunghe, le mani
elegantissime; i drappeggi cadono lungo la schiena e poi davanti, a
coprire le gambe aperte; la posa è fiera ma principesca. È gotica,
soprattutto, la particolare incurvatura del corpo longilineo, sia pure
equilibrata dalla posizione aristocratica delle braccia.

Il David bronzeo

Trent’anni dopo, intorno al 1440, Cosimo dei Medici commissionò


a Donatello un secondo David in bronzo: una piccola scultura, alta
poco più di un metro e mezzo, oggi conosciuta anche come David
bronzeo. Inizialmente destinata a Palazzo Medici, la statua fu
esposta per qualche tempo in una sala della residenza medicea e in
seguito nel cortile. Il più antico documento che la menziona risale
al 1469, e la ricorda proprio nel cortile di casa Medici in occasione
delle nozze di Lorenzo il Magnifico. La scultura era collocata su una
colonna di marmi policromi, oggi purtroppo perduta, decorata con
foglie e arpie da Desiderio da Settignano e descritta anche dal
Vasari. Nel 1495, con la cacciata dei Medici da Firenze, il David fu
trasferito a Palazzo Vecchio, come simbolo della conquistata
libertà repubblicana. Tra Sei e Settecento passò da Palazzo Pitti agli
Uffizi e da qui, nella seconda metà del XIX secolo, trovò sede presso
il Museo del Bargello, assieme al David marmoreo dello stesso
autore.

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