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La Flagellazione riunisce due scene distinte eppure connesse fra di

loro: a destra, in primo piano, tre uomini sembrano colloquiare


insieme, in una strada affiancata da edifici antichi e rinascimentali.

A sinistra, Cristo legato alla colonna è flagellato al cospetto di


Pilato, che osserva la scena seduto sul trono. Questa pagina del
Vangelo è ambientata sotto una loggia classica, sostenuta da
colonne composite scanalate, coperta da un soffitto a cassettoni, e
ispirata apertamente alla contemporanea architettura di Leon
Battista Alberti, grande architetto del Rinascimento che di Piero era
amico.

La pavimentazione in cotto della piazza è percorsa da lunghe


strisce di marmo bianco; il pavimento della loggia, invece, è
riccamente decorato con grandi tarsie marmoree bianche e nere. La
scena è resa con grande perizia tecnica attraverso la definizione
attenta di ogni particolare.

Quest’opera ha costituito e continua a costituire uno degli enigmi


più avvincenti della storia dell’arte. Nel corso del tempo sono
state formulate almeno dieci ipotesi interpretative differenti, delle
quali ricordiamo solo la più recente e attendibile. Il dipinto sarebbe
un’allegoria della Chiesa tribolata dai Turchi, con un chiaro
riferimento alla presa di Costantinopoli, avvenuta otto anni
prima della realizzazione del dipinto, nel 1453. È stato osservato, a
sostegno di questa ipotesi, che la colonna alla quale è legato Cristo
è sormontata dalla statua classica di un uomo che sorregge un
globo; si sa che un monumento simile era stato eretto in onore di
Costantino nell’appena rifondata Costantinopoli.
Nella Flagellazione, i due gruppi di figure, benché apparentemente
estranei fra di loro, sono idealmente unificati da una costruzione
prospettica assai complessa, che è poi la vera protagonista della
tavola. Tale prospettiva sembra voler indicare che il quadro non va
letto da sinistra a destra, come vorrebbe la logica, ma da destra a
sinistra, lasciando intuire che il titolo dell’opera è fuorviante: la
flagellazione di Cristo, così relegata in secondo piano, sembra avere
in sé stessa un valore simbolico e appare evocativa di
qualcos’altro, forse un fatto storico contemporaneo alla vita
dell’artista. Le due scene sono inscrivibili, insieme, in un rettangolo
i cui lati si relazionano fra loro secondo la formula proporzionale
della sezione aurea, pari al numero 1,618, amato e applicato in
architettura sin dai tempi dell’antica Grecia. D’altro canto, a un
esame attento dell’opera si scoprono ovunque rapporti numerici,
figure geometriche, corrispondenze, parallelismi che rivelano
quanto studio abbia dedicato Piero della Francesca alla sua
composizione e che hanno spinto la critica a definire
la Flagellazionecome un “sogno matematico”.

Le $igure
Ponzio Pilato, che assiste impotente alla tortura, sarebbe in realtà
l’imperatore di Bisanzio Giovanni VIII. I flagellatori sarebbero gli
infedeli, e in effetti sia gli atteggiamenti sia le fisionomie
rimandano alle figure dei pirati turchi e mongoli. Il personaggio di
spalle sarebbe invece il sultano Maometto II che intendeva
insediarsi sul trono di Bisanzio: egli è infatti a piedi scalzi, mentre
è Giovanni VIII a indossare i purpurei calzari imperiali, che solo gli
imperatori bizantini potevano portare. I tre uomini in primo piano
sarebbero invece, da sinistra: il cardinale Bessarione, ossia il
delegato bizantino che molto si adoperò durante il Concilio di
Ferrara e Firenze del 1438-39, nella speranza di ottenere l’aiuto
occidentale contro gli Ottomani e di scongiurare la caduta di
Costantinopoli; Tommaso Paleologo, pretendente senza speranza
al trono di Bisanzio (e difatti anch’egli è scalzo); infine, Niccolò III
d’Este, il quale ospitò parte del Concilio a Ferrara.

l Cristo morto Mantegna lo eseguì in epoca matura. Alla morte del pi5ore si
trovava ancora nello studio dell’ar8sta; si tra5ava probabilmente di un quadro
a uso privato, forse des8nato alla sua cappella funebre.
Il mese successivo alla morte del Mantegna (13 se5embre 1506), suo figlio
Ludovico, accennando ai dipin8 rimas8 nello studio del padre, in una le5era
inviata al marchese Francesco Gonzaga, ricorda “un Cristo scurto” (ossia
scorcio).
Il Cristo morto rimase di proprietà della famiglia Gonzaga almeno fino al 1627,
quando tu5a la collezione fu dispersa. Nel 1806 il Cristo morto venne
acquistato a Roma dal pi5ore e scri5ore Giuseppe Bossi (1777-1815) e nel
1824 venne ceduto all’Accademia di Brera di Milano.

Quasi tu5o lo spazio del dipinto è occupato dalla figura del Cristo disteso su
una lastra sepolcrale di pietra rossastra; il corpo è avvolto nel sudario, mentre
all’estremità (a destra) si nota il vase5o degli unguen8, u8lizzato per
cospargere di oli ed essenze il cadavere di Gesù prima della sepoltura. La
figura pare quasi contrarsi e accorciarsi so5o l’effe5o di un ardi8ssimo punto
di vista, che porta lo spe5atore dire5amente dentro la scena, in piedi davan8
alla figura del Cristo.
Mantegna fa un uso ardito della prospe\va, ado5ando la tecnica dello
scorcio, così chiamata perché «accorcia» le figure accentuando al massimo
l’effe5o prospe\co.
Ciò contribuisce a concentrare l’a5enzione sui par8colari anatomici: le piaghe
lasciate dai chiodi sui piedi e sulle mani; il torace rigonfio; il capo
abbandonato. Cristo assume così una dimensione monumentale simile a
quella di un eroe an8co scolpito nella pietra, in un’immagine di intensa
dramma8cità.
Per dare più rilievo alla figura del Cristo, Andrea Mantegna elimina quasi del
tu5o l’ambientazione circostante, lasciandoci appena intravedere i vol8,
segna8 dalle rughe, della Madonna, che si asciuga le lacrime con un fazzole5o;
di San Giovanni, che piange e 8ene le mani unite; più in ombra, quello della
Maddalena.
Il colore opaco e quasi monocromo della tempera e la luce un po’ livida che
colpisce il corpo da destra, definiscono le forme e i piani prospe\ci della
composizione in profondità.
La luce si concentra su pochi elemen8: il volume squadrato e rigido della lastra
sepolcrale, le pieghe del sudario, l’ambiente cupo e spoglio.

La veneranda, la bella dall’aureo serto, Afrodite


io canterò, che tutte le cime di Cipro marina
protegge, ove la furia di Zefiro ch’umido spira
la trasportò, sui flutti del mare ch’eterno risuona,
sopra la morbida spuma.

Nella Nascita di Venere di Botticelli, la dea appare in tutta la


sua grazia. È a figura intera, al centro del dipinto, nuda, con
la pelle d’avorio e il corpo attraversato da ombre appena
accennate. La mano destra appoggiata al seno con gesto
pudìco, la mano sinistra sul pube trattiene una ciocca dei
capelli lunghissimi mossi dal vento. La testa leggermente
reclinata, l’espressione del volto dolce e mite.
In equilibrio è posta sul bordo di una conchiglia che la
conduce fino all’approdo sull’isola di Cipro.
Nella stessa figura coesistono moto e quiete: al corpo
statuario e alla posa stante fanno da contrappunto i capelli
che ondeggiano in mille ciocche dorate, la delicata
conchiglia che si muove spinta dal vento e dalle onde
diventa un solido appoggio sotto ai suoi piedi.
Il contrasto con il verde e l’azzurro dello sfondo esalta la sua
apparizione.
Nell’angolo a sinistra della Nascita di Venere di Botticelli due venti
dalle sembianze umane volano allacciati l’uno all’altra, le ali spiegate e
i pochi panneggi ondeggianti. Soffiano con forza verso la dea
lasciandoci intuire la direzione del moto. Sono Zefiro e Aura, un vento
fresco e fecondo che si lascia abbracciare da uno tiepido e avvolgente.
Il moto che parte da queste due figure si manifesta nell’increspatura
sottile delle onde e nel vortice di fiori che li circonda.

A destra, sulla costa frastagliata dell’isola accorre l’Ora della


primavera talvolta è stata indicata anche come una delle grazie. che le
porge un manto cosparso di fiori; alla stagione primaverile
rimandano anche le rose portate dai venti.
Il suo vestito chiaro, trapuntato di fiordalisi, è stretto in vita da un
ramo di rosa. Il mantello rosso che porge alla dea è decorato
con primule e rametti di mirto e si gonfia per effetto del soffio che
giunge dal lato opposto.

La composizione semplice esalta la sacralità della figura. Un evento


miracoloso si è da poco compiuto, la spuma del mare, fecondata dal
seme di Urano, ha generato una nuova dea e lei ora si manifesta al
mondo.
La disposizione simmetrica richiama visivamente
scene cristologiche come quella del battesimo e anche se
l’accostamento può oggi sembrare blasfemo così certamente non
doveva apparire nel momento più alto del Rinascimento fiorentino.

Mentre inizialmente si pensava che la Nascita di Venere fosse


stata dipinta insieme a La Primavera (1478 circa) elementi
stilistici come il minor interesse per la prospettiva e l’utilizzo
della tecnica del dipinto su tela fanno ora pensare che
l’opera sia stata eseguita più tardi, cioè tra il 1482 e il 1485.
La calunnia:
Quest’opera fa parte dell’ultima fase della produzione di Botticelli
(gli anni ottanta del Quattrocento), caratterizzata soprattutto da una
crisi interiore che lo portò a trasformare radicalmente lo stile che
aveva adottato per i suoi capolavori più celebri, concentrandosi su
forte plasticismo delle figure, un chiaroscuro più deciso e forte
teatralità nei movimenti dei protagonisti delle sue opere.
Quest’opera di Botticelli è una citazione della calunnia di Apelle ,
un’opera di un antico artista, realizzato per rispondere all’infame
calunnia di aver cospirato contro Tolomeo, mossa da un suo
avversario.
Botticelli la calunnia è un’opera la cui iconografia è molto
complessa ed ogni protagonista ha un ruolo ben preciso.
Per comprendere correttamente la calunnia botticelli è necessario
leggerla da destra verso sinistra: sul trono si trova Re Mida,
riconoscibile per le tradizionali orecchie d’asino, il quale
rappresenta il giudice cattivo; le due donne che gli stanno
sussurrando all’orecchio rappresentano Ignoranza e Sospetto.
Re Mida sta tendendo la mano ad un uomo con un cappuccio nero
davanti a lui, il quale, a sua volta, cerca di avvicinarsi al re:
quest’ultimo rappresenta il livore; il livore significato odierno è
rancore, e proprio quest’uomo con il cappuccio ed i vestiti rovinati,
sta trattenendo per il braccio una ragazza, la quale rappresenta la
Calunnia.
Tra gli altri personaggi che sono allegoria esempio ci sono poi le
due ragazze che stanno acconciando i capelli alla Calunnia, e
queste rappresentano Insidia e Frode.
La ragazza che rappresenta la Calunnia sta trascinando per i
capelli il Calunniato, il quale, con le mani giunte, sembra chiedere
clemenza.
La Calunnia, nell’altra mano ha una fiaccola, la quale però non fa
luce: questa, infatti rappresenta la finta conoscenza, che è inutile.
Scorrendo ancora più a sinistra il quadro c’è una donna anziana,
con il volto coperto e rivolto verso un’altra ragazza, nuda: la vecchia
rappresenta il Rimorso, mentre la donna nuda più a sinistra,
indicando il cielo, allude alla Nuda Veritas, e con lo sguardo rivolto
verso l’alto indica che è proprio il cielo colui che può dare la vera
giustizia.
Nella parte alta, a contornare tutta la scena, si trova un loggiato,
composto da pilastri ed archi a tutto sesto; a rendere più ricca tutta
l’architettura, ci sono anche delle nicchie, con all’interno delle
grandi statue di protagonisti biblici e grandi personaggi dell’antichità
classica.
Sandro Botticelli, inserendo figure appartenenti all’universo cristiano
e quello classico, si ricollega alle teorie dell’Accademia
Neoplatonica.
Spostando lo sguardo oltre gli archi, sullo sfondo non si nota alcun
tipo di paesaggio, ma solo un cielo sereno e privo di nuvole.
Botticelli, piuttosto che concentrarsi sull’aspetto narrativo dell’opera,
cerca piuttosto di realizzare una sorta di tribunale, dove l’imputato è
il mondo antico, nel quale sembra che la giustizia non esista.
Muovendo tale accusa, Botticelli non fa altro che mettere in primo
piano tutti i problemi e le mancanze della conoscenza dell’uomo e
del classicismo, distruggendo così tutte le certezze donate
dall’umanesimo del Quattrocento.
Questa mancanza di certezza e perdita di fiducia a cui Botticelli fa
riferimento sono legate alle prediche del Savonarola, che proprio
nel 1492 stava rivoluzionando Firenze e coinvolgendo tantissime
persone, tra cui anche lo stesso Botticelli.
Stilisticamente, il quadro non è molto reale: Sandro Botticelli
dipinge le figure composizione in posizioni agitate, come se tutta la
scena fosse attraversata da una forte folata di vento, lasciando però
ferma e statuaria la figura della Nuda Veritas.

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