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Capitolo 7

L'ESPERIENZA DEL LIMITE

La quinta tappa nel cammino verso la perfezione è segnata dall'esperienza del


limite. Dio chiama l'uomo libero per nome ad una missione di salvezza, ma anche l'uomo
si domanda: Come giungere alla salvezza? Come integrare i limiti in questo cammino?.
L'esperienza del limite infatti, ha come contenuto teologico la percezione della propria
piccolezza e relatività nei confronti di Dio, intuito come Assoluto. La persona diventa
maggiormente consapevole della sua condizione umana successiva al peccato originale:
la separazione da Dio, fonte del suo essere. Concretamente egli vede pure la propria
fondamentale incapacità di autoredimersi. Il senso della separazione da Dio è pertanto
anche il contenuto psicologico dell'esperienza del limite
L'angoscia esistenziale allora spinge la persona a cercare la salvezza, che si trova
nell'amore incondizionato di Dio: tale ricerca è un compito che dura tutta la vita. Ogni
nuova situazione della vita pone l'uomo davanti al proprio limite, ed egli sempre
maggiormente percepisce la gravità del peccato.
L'esito positivo di questo percorso è l'umiltà, cioè l'accettazione della propria
creaturalità, unitamente alla fiducia in Dio Salvatore.

SENSO DI NULLITÀ

Fare l'esperienza del limite significa prendere coscienza del proprio stato, della
propria natura ferita, e della propria caducità creaturale: col peccato originale l'uomo si è
allontanato da Dio, e Dio da parte sua, mediante il mistero dell'incarnazione di Cristo, ha
voluto sanare tale frattura e colmare il vuoto che si era venuto a creare fra sé e l’uomo.
San Paolo è stato colui che ha formulato in modo magistrale il contenuto teologico di
quest'esperienza:

La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa
infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui
che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù
della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo
bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto;
essa non è sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo
interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo (Rm
8,19-23).

L'esperienza del limite è dunque un’esperienza dolorosa, angosciante, terrificante:


l'uomo si sente abbandonato, lontano da Dio. Ma se questo fatto da una parte spinge
l'anima ad un abbassamento totale, allo stesso tempo la innalza verso l'amore salvifico di
Dio. In questo senso, possiamo affermare, che questo tipo di esperienza è l'anticamera per
la conoscenza mistica, cioè dell’amore incondizionato di Dio.
Questa esperienza definita dalla psicologia “crisi della metà della vita” deriva da
diversi fattori. In questa fase la persona percepisce che è “parte perdente” con la vita,
allora orienta verso Dio e da lui attende aiuto, mentre è in corso il cosiddetto declino
psicologico.1
Un altro fattore è poi la percezione della grandezza della propria missione; è una
consapevolezza che ha toccato tutti i profeti, che si sono sempre sentiti inadeguati alla
loro missione (Geremia, Isaia).
Fu l’esperienza anche di San Paolo, che percepì con particolare drammaticità anche
la propria indegnità.
A livello psichico egli ha fatto l'esperienza della “spina” che gli causava grande
turbamento e che avvertiva come fortemente limitante. Non sappiamo precisamente di
cosa si trattò, ma sicuramente era qualcosa di molto ostacolante e condizionante per lui.
A un certo punto difatti la sua preghiera diventa insistente (addirittura per ben tre volte
prega per essere sollevato da questa infermità). Ma la risposta che riceve è ben diversa
dalle sue aspettative: “Ti basta la mia grazia, la mia potenza infatti si manifesta
pienamente nella debolezza”(2Cor 12,1-10).
A livello morale sperimenta la debolezza della volontà: "Io non riesco a capire
neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che
detesto...infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (Rm
7,15.19).
A livello esistenziale il suo disagio è ancora più forte: percepisce lo stato
peccaminoso dell'uomo e grida:””Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo
votato alla morte?” (Rm 7,24).
Infine l'esperienza del limite può essere provocata o facilitata da particolari
circostanze negative, quali ad esempio la malattia, il fallimento, la morte imminente, ecc.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica menziona espressamente la malattia e la sofferenza
come situazioni angoscianti che richiamano fortemente i propri limiti:

La malattia e la sofferenza sono sempre state tra i problemi più gravi che
mettono alla prova la vita umana. Nella malattia l'uomo fa l'esperienza della
propria impotenza, dei propri limiti e della propria finitezza. Ogni malattia può
farci intravedere la morte (N° 1500).

ANGOSCIA ESISTENZIALE

L'analisi filosofica di questa esperienza si ricollega al nome di Karl Jaspers. Il punto


di partenza della sua riflessione è il nostro stato umano.
Esso è caratterizzato dalle più varie e mutevoli situazioni, sempre apportatrici di
nuove opportunità; alcune di esse, qualora siano state mancate (missed), non ritornano
1 Cfr. CERDA F. J., “Rimotivare a "metà della vita" la propria esistenza consacrata”, in
Vita Consacrata 29 (1993) 216-231. - WHITEHEAD E., WHITEHEAD J., Christian Life Patterns.
The Psychological Challenges and Religious Invitations of Adult Life, Image Books, New York
1979.
mai più. Ma altre rimangono essenzialmente invariabili, anche se alcuni aspetti di esse
cambiano e la loro forza devastante viene oscurata: il dover morire, il dover soffrire, il
dover lottare, lo essere soggetto ai cambiamenti, l’esperienza del senso di colpa. Queste
ultime sono talmente fondamentali nella nostra esistenza, da essere chiamate da Jaspers
situazioni estreme. (Grenzerfahrungen).
Si tratta di situazioni a cui non possiamo sottrarci, e che non possiamo cambiare.
Accanto alla meraviglia e al dubbio, la consapevolezza di esse è la radice più profonda
della filosofia. Nella nostra vita quotidiana noi spesso tendiamo sfuggirle, chiudendo i
nostri occhi e vivendo come se esse non esistessero. Dimentichiamo che dobbiamo
morire, dimentichiamo le nostre colpe e dimentichiamo che noi siamo in balia dei
cambiamenti. Noi ci dedichiamo soltanto a situazioni concrete e cerchiamo di
padroneggiarle in modo di trarne qualche profitto personale; reagiamo ad esse attraverso
pianificando e operando nel mondo sotto l'impulso dei nostri interessi pratici. Ma alle
prese con le situazioni estreme prendiamo come non mai consapevolezza del nostro
essere e abbiamo una grandissima possibilità di scoprire e diventare davvero noi stessi.
La forza dirompente delle situazioni estreme - morte, caso, colpa e incertezza del mondo
- è di farci confrontare direttamente con la realtà del fallimento. È cruciale per l'uomo il
suo atteggiamento nei confronti del fallimento. Il modo in cui l'uomo affronta il suo
fallimento determina che cosa diventerà.
Nelle situazioni estreme, o l'uomo percepisce il nulla, il non-essere e si blocca
irrimediabilmente ad esso, o trova il vero essere nonostante e al di là di tutta l'effimera,
passeggera esistenza di questo mondo. Anche la disperazione paradossalmente, per lo
stesso fatto che è possibile in questo mondo, punta sopra al di là del mondo. O per dirla in
altri termini, l'uomo cerca redenzione, e la risposta viene offerta dalle grandi, universali
religioni della redenzione.2
Allora le situazioni estreme possono essere una possibilità di crescita, una sfida ad
allargare gli orizzonti dell'esistenza, una occasione che permette all'uomo di indagare sul
senso della vita. Un non credente può giungere alla religione come risposta, l'uomo
credente sperimenta il Dio personale.3

CRISI DI MEZZ’ETÀ

L’analisi psicologica si concentra alla “crisi di mezz’età. La metà della vita è il


periodo approssimativamente tra i 35/40 e i 45/50 anni, chiamato anche “seconda età”,
“decennio dell’ultima possibilità”, “tappa della transizione e sviluppo”, e può essere
considerata in generale come “tappa” della vita o come “crisi” nello sviluppo della
persona. Anche i Padri del deserto parlavano esplicitamente di “demonio meridiano”,
paragonando il corso della vita con quello di una giornata e situando questa tappa al
mezzogiorno. Descrivono la tentazione della “acedìa” come il “tedio della vita”, la
2 Cfr. JASPERS K., Way to Wisdom, Yale University Press, New Haven and London 1954,
20-23.
3 Cfr. LEYENER T., „Grenzerfahrung“, in KASPER W., ed., Lexikon für Theologie und
Kirche, Herder, Freiburg in Breisgau 1995, 1039.
tristezza spirituale, il rifiuto che l’uomo dedito alle cose di Dio avverte per tutto ciò che è
spirituale. Si tratta, dunque di una fase della vita che occorre reimpostare con grande
serietà e profonda riflessione per aiutarsi a superare la transizione e raggiungere un più
elevato livello di vita.

Contenuto psicologico

Per tutti esiste una “transizione” a metà della vita, un processo di mutamento che
segna significativamente questa tappa. Tuttavia determinante è che il valore e il
significato di questo trapasso non si misuri dal grado di “turbolenza”, ma dal livello di
“trasformazione e sviluppo”.4 La crisi consiste precisamente nel fatto che ciò che è
vecchio sta morendo, e il nuovo non può nascere; in questo interregno compare una
grande varietà di sintomi: all’inizio la prima maturità sta morendo, ma il periodo della
maturità media non è ancora nata; il periodo tra questi due eventi, la transizione di mezza
età, è importante nella vita di ogni uomo e donna per diverse ragioni.
L’esperienza della propria mortalità è il cuore della transizione di mezza età. Gli
eventi che aiutano a confrontarsi con questa realtà sono: la morte o l’aumentata
dipendenza dei genitori, di parenti più vecchi, colleghi e amici; la morte inaspettata di
coetanei; il proprio declino fisico. Tra i sintomi caratteristici di questa età di transizione
di mezza età si possono indicare: sentimenti di depressione e di vuoto e il rimpianto delle
occasioni perdute, le decisioni prese o declinate, le esperienze fatte o evitate. È
importante che le persone di mezza età arrivino a rendersi conto che la saggezza attribuita
alla stabilità adulta è falsa.5
La persona si pone “per la prima volta” di fronte alla possibilità della propria morte.
È il tempo in cui si inizia a parlare con maggiore frequenza e preoccupazione della salute,
dei acciacchi fisici. L’infermità, prima vissuta come una visitatrice del tutto sporadica ed
estranea, ora comincia a inquietare, e spesso si insedia in casa non come una visita
passeggera ma come invasione permanente. Possiamo segnalare fra gli indici di declino
fisico: la diminuzione delle energie corporee, il tasso di colesterolo elevato, la fatica a
leggere da vicino, la memoria che comincia a giocare brutti scherzi, la pressione che si
altera in modi inspiegabili... Il declino fisico ci avverte che qualcosa di sostanziale sta
cambiando nel nostro ritmo vitale, che la vita comincia a collocarsi nell’orizzonte della
morte.
I fenomeni che rivelano il problema o la crisi, e che solitamente si presentano in
forma cumulativa sono: il tedio della quotidianità, il disgusto interiore, la mancanza di
gioia, la riduzione dell’auto-fiducia, la tendenza a dubitare maggiormente di sé,
l’aumento dell’insicurezza. Altri sintomi sono: scetticismo, aumentata preoccupazione
per se stessi, difficoltà nella vita di fede; sensazione di “aver ormai vissuto” un buon
tratto di vita che minaccia la speranza; incapacità di riposarsi (questa, in particolare, si
4 Cfr. CERDA F. J., “Dinamismi soggiacenti alla metà della vita. Chiavi di analisi”, in Vita
Consacrata, 28 (1992) 739.
5 SAMMON S. D., “Life After Youth: Midlife Transition and its Aftermath”, in Human
Development. 3 (1982) 15-25.
può considerare una vera e propria “malattia” della mezz’età, e manifesta l’inabilità a
stabilire una distanza adeguata tra sé e il proprio lavoro); desideri di “romperla” con il
proprio passato e ansia di cambiamenti significativi nella propria esistenza.
Nonostante questi comportamenti difficoltosi, noi abbiamo indicato i principali, si
può affermare, paradossalmente, che in questa fase è osservabile una maturazione
qualitativa: si cominciano a raccogliere i frutti di anni di sforzo di lavoro, si possiede una
migliore esperienza della vita, si è appreso a distinguere l’essenziale dall’accessorio, si ha
un’accresciuta capacità di efficacia e un maggior senso di realismo. 6
Finalmente le soluzioni della crisi possono diventare un passaggio creativo, ma
anche occasione per innescare una fase distruttiva. Sono possibili quattro soluzioni:
- la soluzione creativa: porta a concentrarsi sull’essenziale, che si ritiene ancora
vitale e valido;
- la soluzione panica: è generata dalla coscienza che “sfuggono ormai” le occasioni
e si cerca una nuova espressione vitale cambiando lavoro, amicizie o luogo di abitazione;
- la soluzione rassegnata: evidenzia sempre più la perdita di gusto della vita (spesso
in questo periodo si sviluppano anche malattie psicosomatiche);
- la soluzione ipocrita: la persona nega ogni crisi e vive nascondendosi dietro
diverse maschere, non accettando mai la verità in se stessa.
La soluzione creativa

Per una soluzione creativa della crisi della metà della vita bisogna prendere in
considerazione due campi, quello della psicologia e quello della spiritualità, ambedue
importanti e reciprocamente intrecciati nel “viaggio” di tutta la persona verso una
“pienezza di significato”. In un articolo, F. J. Cerda propone dieci compiti di sviluppo che
lui giudica importanti in questa tappa:
1) Assumere il futuro. La consapevolezza che il tempo vissuto supera quello che
rimane da vivere, che il passato non può essere cambiato e che il futuro non rimane
aperto a tutte le possibilità, crea nella persona “a metà della vita” la sensazione di
irrequietezza o inquietudine. Il compito primordiale è di accettare il passato assumendo
realisticamente il futuro. Tale compito spinge la persona a diventare l’agente principale
della propria vita, a farsi carico di se stessa e far uso delle proprie capacità e limitazioni
in maniera più cosciente e deliberata.
2) Accettare i limiti. Nella transizione dei quarant’anni la persona è invitata a
riesaminate gli ideali importanti della giovinezza, a delimitarli nella misura della loro
concreta attuazione nelle scelte specifiche di amore, di lavoro e di significato. Il bilancio
onesto e credibile delle proprie capacità e dei propri limiti porta la persona alla serena
accettazione di se stessa e ad essere più indulgente con sé e con gli altri.
3) Affrontare l’invidia, la rivalità e il potere. A metà della vita il “meccanismo
comparativo” con gli altri diventa più acuto e suscita nella persona sentimenti di rivalità,
di invidia e un disperato attaccamento al potere. Per affrontare tali sentimenti è necessario
il riconoscimento gioioso dei talenti e dei meriti degli altri, con la disposizione positiva di

6 Cfr. CERDA, F. J., “Dinamismi soggiacenti alla metà della vita...”, cit., 741-743.
vedere se stessi come parte di un tutto. Di fronte al crescente bisogno di essere efficace
nelle proprie prestazioni, di avere una responsabilità significativa, di avere cura di
qualcosa o di qualcuno, la persona è chiamata ad agire con senso di corresponsabilità e
con l’esercizio del potere nello stile evangelico del servizio umile.
4) Integrare le forze opposte all’interno di se stessi. La persona, a metà della vita,
avverte in se stessa forze opposte, in psicologia chiamate “polarità della personalità”.
Esse, raggruppate in quattro coppie, costituiscono il centro degli sforzi della persona
impegnata nel processo di crescita adulta, verso una maturità che è il risultato di una
accresciuta coscienza e di una ritrovata armonia:
- giovane/vecchio: affrontare questa polarità significa abbandonare gli aspetti della
giovinezza inadeguati e assumere i valori della maturità.
- distruzione/creazione: è porre fine alla distruttività dentro e fuori di se stessi e
incanalare le energie personali in direzioni più creative.
- maschile/femminile: è riflettere sulla propria esperienza di esser uomo o donna
sperando il senso di inferiorità/superiorità.
- attaccamento (ambiente esteriore)/separazione (mondo interiore): è infine crescere in
interiorità e acquisire nuova conoscenza della propria unicità.
5) Affrontare il “mondo” con fedeltà. Un compito importante nella metà della vita è
quello di vivere con fedeltà i propri ideali durante gli inevitabili conflitti con il mondo
reale, così frequentemente minaccioso e contraddittorio. Questa fedeltà suppone la
responsabilità, da parte della persona, di essere ciò che dice di essere.
6) Rivalutare la propria struttura di vita. Questo nuovo sforzo di valutare la propria
esistenza ha due aspetti: cogliere i filo conduttore della propria vita e smontare schemi,
idee, stereotipi, problemi non risolti, per vivere l’essenziale. Frutto di tale bilancio è la
revisione e la riformulazione del progetto personale di vita che comprende l’impegno ad
approfondire le basi spirituali della propria vocazione.
7) Affrontare la perdita, il dolore e la morte. La crescita della persona a metà della
vita implica una trasformazione per il fatto di essere in rapporto con la sofferenza a vari
livelli: frustrazione dei progetti che hanno alimentato il meglio del proprio vissuto,
autocoscienza del peccato, malattie prolungate, strappi affettivi da vincoli profondamente
sentiti, tentazioni di esasperazione ed esperienza interiore di purificazione di Dio. È il
momento di saper scoprire il cammino della “santità”, che è saper apprezzare, e
assumere, la dimensione pasquale della propria vita e del proprio impegno.
8) Incanalare la propria energia e creatività. La persona a metà della vita deve
affrontare la sfida della “generatività”; è una chiamata a “promuovere la vita”,
all’espansine della capacità di “prendersi cura” nell’esercizio e nello sviluppo della
paternità/maternità spirituale. Ciò implica un genuino uscire dal proprio centro per il bene
degli altri, di essere capaci di attenzione per gli altri senza controllarli; richiede un amore
oblativo basato su una grande “flessibilità affettiva” che le permetta di rivolgere la
capacità di affetto verso persone, attività e ruoli nuovi.
9) Acquistare sapienza e flessibilità. La persona a metà della vita dimostra una
elevata sensibilità alle necessità dell’io interiore e si sente invitata all’autenticità e
all’autotrascendenza. Il compito della scoperta dell’io interiore può assumere forme
diverse: la modifica e la personalizzazione dei sogni della giovinezza, l’abbandono della
valenza tirannica del sogno e una crescita personale, più soddisfacente; il ricupero di un
sogno represso o ignorato e una radicale trasformazione personale per accogliere
“l’ultima opportunità”. La saggezza e la flessibilità renderanno la persona capace di
distinguere il vero dal falso, l’essenziale dall’accessorio.
10) Nascere di nuovo. La “nuova nascita” a metà della vita comprende tre aspetti di
maturazione della fede: il dubbio sulle proprie possibilità e sull’opera trasformatrice della
grazia; la necessità di considerare che “tutto è grazia”; il predominio della fede nel
processo della formazione. Questi tre aspetti mettono in evidenza il compito della
conversione intesa come processo continuo attraverso il quale le persone o i gruppi
orientano gradualmente la loro vita verso una coerenza con la trama centrale della fede
cristiana. La conversione diventa risposta a una iniziativa divina la cui irruzione non può
essere programmata; è “viaggio” verso Dio che coinvolge spiritualmente,
emozionalmente, intellettualmente, fisicamente, tutto l’essere nel processo di crescita e
maturazione.

ESITO POSITIVO: IL VOLTO UMILE

L'esito positivo di questa ricerca della salvezza è l'umiltà nel senso che la persona
accetta la propria condizione umana e la propria incapacità di auto-redenzione e si orienta
verso Dio per ottenere salvezza. Il contenuto del volto umile è la presa di coscienza della
propria debolezza caratteriale, della propria “spina”, come lo elabora San Paolo.
Per poter valutare la natura spirituale dell’esperienza del limite, occorre
confrontarla con i criteri teologici che si applicano nel caso dell’esperienza della “notte
spirituale”. Possiamo ricavare alcuni criteri di base negli studi di due noti autori
contemporanei: Josef Sudbrack e Paul Mommaers.

1) Il criterio dell’amore incondizionato di Dio. L’autore (Sudbrack), analizza tale


esito positivo della “notte spirituale” su caso di Santa Teresa di Lisieux. “Teresa viene
spinta in un buio della fede il quale perdurò fino alla morte. In altre parole: tutte le
sensazioni soggettive vengono estinte; rimane solo lo sguardo all’oggettivo, a Dio. Poi
viene all’affermazione definitiva il suo totale amore per Dio, cioè, un amore senza nessun
appoggio in qualsiasi “esperienza” o “consolazione”.7
2) Il criterio dell’accettazione della misericordia di Dio. L’esempio è di nuovo
Santa Teresa di Lisieux. “Teresa ha dovuto la sua esperienza soggettiva superare in modo
radicale e buttare se stessa incondizionatamente nella misericordia e nell’amore di Dio
che abbraccia tutto. Teresa è morta in una terribile lotta di agonia che supera la
comprensione della maturità psicologica. Eppure le sue ultime parole furono, con uno
sguardo fissato alla Croce: ‘Io...ti...amo’”.8

7 SUDBRACK, J., Religiöse Erfahrung und menschliche Psyche, Grünewald, Mainz 1998,
52.
8 SUDBRACK, J., o.c., 53.
3) Il criterio di speranza. “L’angoscia può giungere misure patologiche. Nessuna
spiegazione psicologica o psichiatrica può smaltire questa angoscia fondamentale. Per
Teilhard però essa diventa una costante spinta verso nuova e sempre più attiva speranza
nel futuro di Dio. Teresa di Lisieux è diventata la Santa dei tempi nuovi proprio perché è
riuscita trasformare questa esperienza estrema del vuoto e della desolazione in
un’espressione dell’amore disinteressato.”9

4) Il criterio della trascendenza di Dio. Durante la mancanza dell’esperienza della


presenza di Dio si diventa consapevoli che Dio è sempre più grande e diverso da quel che
si può sperimentare; nella “non-esperienza” della “notte oscura” si vive il suo “essere di
più”, che Ernst Przywara tematizzò con le parole: “Deus semper maior”. La parola
“sperimentare” rimane tuttavia giustificata, perché nella coscienza entra comunque
qualcosa della realtà divina: Dio è sempre diverso, sempre più grande!10

5) Il criterio della soluzione positiva della “prova di notte”. Mommaers così


analizza l’esito positivo della prova: “Quando questa desolazione cessa, spesso dopo
molti anni, quando la nuova aurora si avvicina, spesso con una dolorosa lentezza, il
mistico scopre, che lui, attraverso l’esperienza, ha imparato qualcosa di essenziale. Lui ha
superato la prova decisiva. Rimanendo alle parole di Ruysbroeck: “Qui l’uomo deve
imparare con cuore umile, che da se stesso non ha altro che mancanze, e pazientemente
negando se stesso ripetere con Giobbe: “Dio ha dato, Dio ha tolto”. 11

La persona ha realizzato il volto umile quando può ripetere con San Paolo: “Mi
vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di
Cristo” (2Cor 12,9b).

9 SUDBRACK, J., o.c. 145.


10 SUDBRACK, J., Mistica, Piemme, Casale Monferrato 1992, 167.
11 MOMMAERS, P., Was ist Mystik?, Insel Verlag, Frankfurt am Main 1979, 64-65.

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