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Dopo la prima guerra mondiale l'uomo aveva dovuto assistere, quasi impotente, allo
spettacolo desolante che essa aveva prodotto: distruzioni materiali, svalutazione
monetaria in tutti gli Stati d'Europa, giovani vite spezzate, gravi crisi familiari e
profonde lacerazioni delle coscienze individuali. Quella guerra che avrebbe dovuto
risolvere tutti i problemi politici, sociali ed economici si concludeva con un'amara
sconfitta dell'uomo, sia di quello vinto, sia di quello vincitore. Ci si trovava di fronte ad
una realtà che portava con sé forti tensioni sociali, oscure paure per un incerto futuro
e grave crisi dei valori morali. In questo scenario quasi apocalittico nasce una nuova
corrente filosofica, l'Esistenzialismo, che vuole interrogarsi sul significato
dell'esistenza umana e proporre nuove soluzioni che ridiano all'uomo quella fiducia in
se stesso e quella dignità miseramente naufragata col predetto periodo della grande
guerra.
La filosofia esistenzialista considera l'uomo come un essere finito, gettato nel mondo,
continuamente lacerato in situazioni problematiche ed assurde. È proprio dell'uomo
nella sua singolarità che l'Esistenzialismo si interessa. L'esistenza è un modo di essere
finito, essa è possibilità cioè un poter-essere. L'esistenza non è un'essenza, l'uomo
sarà quello che egli ha deciso di essere. Il suo modo di essere è un poter-essere, un
uscir fuori, un'incertezza ed un rischio. Pertanto al centro del pensiero esistenzialistico
si trova il concetto di uomo singolo e finito e quello di libertà, intesa come impegno e
rischio concreto.
L'angoscia è, perciò, il puro sentimento del possibile, è il senso di quello che può
accadere e che può essere più terribile della realtà. L'angoscia caratterizza la
condizione umana: chi vive nel peccato è angosciato dalla possibilità di pentirsi; chi si
è liberato dal peccato vive nell'angoscia di ricadervi. Se l'angoscia è tipica dell'uomo
nel suo rapportarsi al mondo, la disperazione è la colpa dell'uomo che non sa
accettare se stesso nella sua profondità ed è una malattia mortale, un'autodistruzione
impotente. L'unica salvezza possibile per l'essere angosciato e malato, che è l'uomo,
sta nella fede. Secondo Kierkegaard, infatti, l'esistenza autentica è quella disponibile
all'amore di Dio, quella di colui che non crede più a se stesso ma soltanto a Dio.
Anche per Sartre, come per Heidegger, il nulla non indica semplicemente la
negazione, ma è il termine essenziale per comprendere la vita della coscienza. La
coscienza, che è l'uomo, è assolutamente libera e dunque la libertà è costitutiva della
coscienza. L'uomo, una volta gettato nella vita, è responsabile di tutto ciò che fa.
L'uomo è ciò che progetta di essere, poiché la sua libertà è incondizionata egli può
mutare il suo progetto in ogni momento. La libertà di ogni uomo dipende dalla libertà
dell'altro uomo, per cui ciascuno si rapporta all'altro come potenziale fonte di
distruzione e di oppressione in una situazione di lotta e di conflitto. In Sartre l'analisi
della coscienza porta dunque ad accentuare il senso della responsabilità dell'uomo
davanti all'uomo, ma la responsabilità di cui parla Sartre è sostanzialmente minaccia e
condanna reciproca. L'Esistenzialismo di Sartre è dunque un Umanismo in quanto
riconosce che l'uomo è solo perché continuamente si progetta in rapporto all'altro
uomo. In questo senso l'Esistenzialismo è anche ateismo, non perché si preoccupi di
dimostrare o di affermare che Dio non esiste, ma perché cerca di persuadere l'uomo
che nulla può salvarlo, neanche Dio, essendo l'uomo l'unico legislatore di se stesso e
l'unico padrone del proprio futuro tutto ancora da costruire.
Un'altra figura centrale dell'Esistenzialismo è Jaspers che, come gli altri esponenti
di questa corrente, rivolge la sua attenzione al problema dell'esistenza umana.
L'esistenza, come già aveva affermato Kierkegaard, nella sua concretezza, irripetibilità
e singolarità, non può essere oggetto di teorie o discorsi universali. È sempre
un'esistenza particolare, singola ed inconfondibile. L'esistenza non è un dato di fatto
ma è una "questione personale". Da ciò scaturisce che anche l'uomo non è un dato di
fatto: egli può essere. La sua scelta sta solo nel riconoscimento e nell'accettazione di
quell'unica possibilità che è la situazione in cui si trova. L'uomo non può essere se non
ciò che è, e non può divenire se non quello che è. L'esistenza rimanda
necessariamente alla trascendenza. L'esistenza giunge a vera maturità soltanto
quando prende coscienza dell'irraggiungibilità dell'Essere, ossia della sua
trascendenza. Quest'ultima si rivela soprattutto in quelle che Jaspers chiama
"situazioni limite" che sono: sono sempre in situazione; non posso vivere senza lotta e
dolore; sono destinato alla morte. Queste situazioni sono immutabili e definitive.
L'impossibilità per l'individuo di comprendere l'origine ed il senso di queste situazioni e
di affrontarle sul piano pratico fa capire che in esse sussiste la presenza misteriosa
dell'Essere, ossia della trascendenza.