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PARAGONE

Rivista mensile di arte figurativa e letteratura


fondata da Roberto Longhi

ARTE
Anno LXVI - Terza serie - Numero 122 (785)
Luglio 2015

SOMMARIO

GIANMARCO RUSSO: Le dispense del primo corso


di Roberto Longhi a Bologna sulla pittura veneziana

ANTOLOGIADIARTISTI

Proposta per Francesco di Paolo da Montereale disegnatore: un foglio


al Metropolitan Museum of Art (Luca Pezzuto) - Una ‘Fuga in Egitto’ di
Ambrogio Figino (Mauro Pavesi) - Una ‘Santa Agnese’ ritrovata di
Francesco Rustici (Guendalina Serafinelli)

APPUNTI

Peggy Guggenheim a Venezia, 1948-1979. Alcuni documenti inediti


(Roberta Zulian)

SERVIZI SE E DITORIALI
Redattori
MARIA CRISTINA BANDERA, DANIELE BENATI, CARLO BERTELLI,
PIER PAOLO DONATI, ELENA FUMAGALLI, MINA GREGORI,
MICHEL LACLOTTE, ANTONIO PAOLUCCI, BRUNO TOSCANO

Segreteria di redazione
NOVELLA BARBOLANI DI MONTAUTO
ALICE TURCHI

Traduzione dei riassunti a cura di


FRANK DABELL

PARAGONE ARTE IS A PEER-REVIEWED JOURNAL

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Alpi Lito, Firenze


Finito di stampare nel mese di Settembre 2015
36 ANTOLOGIA DI ARTISTI

Una ‘Fuga in Egitto’ di Ambrogio Figino

Per Ignorata dagli studi recenti per la sua limitata accessibilità, una
Ambrogio inedita ‘Fuga in Egitto’ (olio su tela, cm 93x126 /tavola 38/) mostra
Figino
fin da subito un’indubbia parentela con l’ambiente artistico del primo
Seicento milanese. Se diversi tratti — soprattutto il viso reclinato del
San Giuseppe — riconducono alla pittura di Cerano, l’angelo semi-
nascosto alla sinistra della Vergine rievoca invece i protagonisti di al-
cune opere dipinte da Giulio Cesare Procaccini intorno al 1605, come
l’‘Assunzione della Maddalena’ di collezione privata, il ‘Trasporto di
Cristo’ del Museo Puskin (inv. 161) e la ‘Deposizione’ della raccolta
Molinari Pradelli1. Al di là dei dettagli, a far venire in mente i due
pittori del primo Seicento è soprattutto il trattamento freddo e me-
tallico della materia, che si increspa nei riverberi delle stoffe gene-
rando preziosi effetti di cangiantismo nell’accordo rosa-grigio argenteo
della veste dell’angelo a sinistra, e assumendo una consistenza fangosa
e scintillante, quasi di creta umida, nello scenario roccioso in primo
piano, dipinto a briose pennellate lucide e brillanti.
Proprio con un’attribuzione al Procaccini junior, espressa in for-
ANTOLOGIA DI ARTISTI 37
ma dubbiosa da Marco Valsecchi, la tela è entrata anch’essa, in una Per
data imprecisata (da collocarsi comunque tra il 1961 e il 1974), a far Ambrogio
Figino
parte della raccolta Molinari Pradelli2, rimanendo però esclusa, in
seguito a spartizioni interne alla famiglia, da tutte le mostre e pub-
blicazioni che hanno dato visibilità al nucleo principale di quella qua-
dreria. Alla immeritata sfortuna dell’opera hanno forse concorso certi
aspetti stilistici un po’ sfuggenti, non perfettamente compatibili con
la vecchia attribuzione procacciniana, di cui manca soprattutto quella
componente sensuale così caratteristica dei modi dell’artista emiliano
naturalizzato milanese. Non sono, in effetti, pochi i tratti che si al-
lontanano dai modi di Giulio Cesare: gli accordi di colore più freddi
e minerali, ad esempio, oppure la netta scansione cromatica (ancora
di stampo cinquecentesco) dei tre piani di distanza dello sfondo; in-
fine la totale assenza di quella sensuale, prorompente ‘fisicità’ che in
Procaccini si manifesta in varie forme, dalla languida dolcezza cor-
reggesca, al carnale trasporto emotivo rubensiano o, in alternativa,
nella scultorea evidenza muscolare di opere come la ‘Trasfigurazione’
di Brera. Allo stesso tempo, anche da un ipotetico confronto con Ce-
rano emergono più differenze che analogie, soprattutto per la man-
canza dell’intenso, violento patetismo caratteristico del Crespi e dei
pittori della sua cerchia3.
In effetti, nonostante le somiglianze appena ricordate, il dipinto
sembra mostrare i segni di un temperamento più freddo, quasi —
si direbbe — riservato, e, nella resa dell’espressione del San Giu-
seppe (a ben guardare più sospiroso che drammatico), appena velato
da una lieve, sognante malinconia; come se l’autore desiderasse
mantenersi equidistante dai due sommi protagonisti del primo Sei-
cento milanese, pur subendone visibilmente l’influsso. Il linguaggio
della ‘Fuga in Egitto’ appare, per certi versi, un unicum nel pano-
rama lombardo di quegli anni, componendosi dell’amalgama di due
tendenze contrastanti: da un lato l’ossessiva precisione nei dettagli
anatomici, dall’altro un’antinaturalistica attitudine a distorcere le
forme e le proporzioni complessive della figura umana. Mentre le
braccia di San Giuseppe si allungano in modo forzato e innaturale,
il busto dà infatti l’impressione di rattrappirsi, accartocciandosi su
se stesso.
Un tratto peculiare del dipinto è il modo con cui gli abiti dello
stesso San Giuseppe e dell’angelo al suo fianco si ritorcono in gorghi
gonfiati da un vento che soffia da destra. Quest’ultimo dettaglio è
38 ANTOLOGIA DI ARTISTI
Per particolarmente significativo perché, stando in area lombarda, aiuta
Ambrogio a sciogliere il problema attributivo in favore di Giovanni Ambrogio
Figino
Figino: simili panneggi attorcigliati a spirale sono un dato abbastanza
frequente nelle sue opere tarde, a partire dalle ante d’organo del
Duomo di Milano (1590-1595)4, fino al ‘San Giorgio’ del santuario
di Rho (1605 circa /tavola 39/)5 e alle tele del transetto e del coro
della chiesa milanese di San Vittore al Corpo (1603-1607)6. L’ipotesi
figiniana prende corpo anche confrontando l’angelo a sinistra /tavola
40a/ con alcuni disegni della fase secentesca7, come quelli legati alla
perduta pala della cappella del Crocifisso (dei primi del XVII secolo)
in San Fedele a Milano /tavola 40b/8. I confronti con il corpus grafico
di Giovanni Ambrogio sono parecchi, e potrebbero continuare con
alcuni fogli del fondo veneziano, fra cui una ‘Crocifissione’ e un’‘An-
nunciazione’ (inv. 733 e 628) che ricordano, nel disegno delle gambe
del San Giovanni Evangelista e nel panneggio svolazzante dell’angelo,
alcuni tratti del San Giuseppe della ‘Fuga in Egitto’9. Somiglianze
con la figura della Vergine sono invece ritrovabili nel bozzetto per
la dispersa pala di Santa Prassede a Milano (Venezia, inv. 585) e in
un foglio con una ‘Natività’ di ubicazione ignota /tavola 41a, b/, in
cui è possibile osservare un’identica deformazione del braccio destro
piegato10.
Allo stesso modo, si possono ritrovare le formule della tela Mo-
linari Pradelli anche in molte opere pittoriche certe e documentate.
La stessa, riconoscibile fissazione anatomica ricompare in forme molto
simili in diversi dipinti della maturità e della fase tarda, dalle ante
d’organo, al ciclo di San Vittore, tanto da essere annoverabile tra i
caratteri figiniani frequenti e peculiari. Anche qui non è il caso di
dilungarsi in aride e noiose elencazioni; è sufficiente far scorrere l’ap-
parato iconografico delle due monografie figiniane per ritrovare più
volte, nel tortuoso itinerario dell’artista, le stesse cadenze presenti
nel nostro dipinto. Si potrebbe, per fare un paio di esempi, mettere
a confronto l’ostentata struttura osseo-muscolare del cavallo e del
drago nella pala di Rho con il disegno delle zampe dell’asino su cui
sono seduti la Madonna e il Bambino, o, in alternativa, accostare gli
innaturali puttini erculei delle volte di San Vittore alla singolare mu-
scolatura scolpita degli angioletti in volo sopra il gruppo centrale
della ‘Fuga in Egitto’: già Emanuele Tesauro, forse non a caso, aveva
ricordato Figino nel Cannocchiale aristotelico come un pittore di
“scheletri, e non di corpi”11. Ricorrono spesso in Figino anche altri
ANTOLOGIA DI ARTISTI 39
elementi peculiari della tela Molinari Pradelli: le anse rigide e cartacee Per
dei drappeggi, le nuvole rigonfie dalla consistenza quasi vitrea, le Ambrogio
Figino
mani adunche, sempre semiaperte, con i polsi piegati e le lunghe dita
affilate, e in atto di muoversi gesticolando aggraziatamente, i piedi
appuntiti, visti di profilo, con i caratteristici alluci all’insù. Tutti det-
tagli presenti, in modo più o meno visibile, in dipinti anche cronolo-
gicamente distanti fra loro, come l’‘Incoronazione della Vergine’ di
San Fedele, l’‘Orazione nell’orto’ di Santa Maria della Passione /tavole
42, 43/, la pala con la ‘Madonna e santi’ di Brera e il quadro mitolo-
gico per Rodolfo II12. Un esempio indicativo, fra i molti, è nella so-
vrapponibilità della mano aperta dell’angelo all’estrema sinistra (con
l’abito grigio e rosa salmone), con quella del San Benedetto nell’o-
monima pala di San Vittore /tavola 44/; un dipinto, quest’ultimo,
che, pur nella differente intonazione, ha molti elementi in comune
con la ‘Fuga in Egitto’.
Se poi il tono lieve, quasi elegiaco della tela può a prima vista
sembrare incompatibile con l’abituale grevità delle opere tarde, è
però vero che questa presunta discrepanza non basta, da sola, a met-
tere in crisi l’attribuzione; il problema non riguarda, infatti, i tratti
morfologici intrinseci dell’artista ma, casomai, l’eventuale scelta di
servirsi di un diverso registro linguistico. Lo stesso discorso vale per
un altro aspetto solo apparentemente incongruo come la scioltezza
nella stesura del colore, con i passaggi cromatici liberi, briosi, che
potrebbe ugualmente stupire, a un primo sguardo, chi abbia in mente
i tratti da cesellatore del giovanile ‘Ritratto Annoni’, del cosiddetto
‘Lucio Foppa’ di Brera,13 e delle due tavole individuate da Longhi
come precedenti di Caravaggio (il ‘San Matteo’ e il ‘Piatto di pe-
sche’)14; differenziandosi peraltro anche dalla maniera asciutta e con-
trollata delle ante del Duomo o della pala di Rho. È bene però ricor-
dare che, nel catalogo di Giovanni Ambrogio, non mancano dipinti
eseguiti con una stesura più mossa e vibrante: basta osservare la resa
dei ‘lustri’ e i tocchi di colore nel monumentale — ma pochissimo
noto — ‘Cristo nell’orto’ di Santa Maria della Passione, che, a un’a-
nalisi ravvicinata, si rivela ugualmente costruito a pennellate lasciate
a vista15.
Ammettendo l’attribuzione della ‘Fuga in Egitto’, si chiarireb-
bero quindi non pochi aspetti della fase tarda, a partire dalla strana
differenza di qualità e di stile, sempre denunciata dalla critica, fra
l’opera pittorica e i disegni, differenza che la tela Molinari Pradelli,
40 ANTOLOGIA DI ARTISTI
Per con il suo fare sciolto e moderno, contribuirebbe a mediare16. In se-
Ambrogio condo luogo, la stesura cromatica del dipinto non farebbe che con-
Figino
fermare quella progressiva evoluzione verso un maggiore pittoricismo
che è ben riscontrabile anche nel corpus grafico figiniano, con i di-
segni di età già secentesca che si distinguono dagli altri per il carat-
teristico effetto dei lievi tocchi di colore a pennello e delle lumeggia-
ture a biacca sulla carta colorata. Alcuni brani pittorici della ‘Fuga
in Egitto’, come la mano chiusa e il volto del San Giuseppe, sono in-
dice di un grado di sperimentalismo quasi più avanzato di quello dei
colleghi più giovani; così come lo è la noncuranza con cui, in prossi-
mità del profilo del capo e nelle cornee degli occhi, è lasciato in vista
lo strato di azzurro sottostante, altrove ricoperto da una mano di
giallo, mentre i volumi dell’angelo di destra, con il mantello rosso,
appaiono costruiti con segni rapidi e abbozzati. La tela Molinari Pra-
delli, con la sua stesura rapida e scintillante, attesta così l’avvenuto
superamento, non solo nel disegno, ma anche in pittura, di quella
soffocante infatuazione michelangiolesca (efficacemente sintetizzata
da Longhi)17 che sembrava aver inquinato la felice ispirazione del-
l’artista dai primi anni novanta. È chiaro quindi che la grevità che
emerge da molte opere tarde, come la ‘Natività della Vergine’ di
Sant’Antonio Abate o le stesse tele di San Vittore (testimoni di una
certa stanchezza, e — per dir così — di un certo disorientamento di
fronte al repentino rinnovarsi del panorama pittorico milanese) non
costituisce affatto la sola via intrapresa dal pittore negli anni finali
del suo cammino.
Purtroppo non si conosce abbastanza del Figino degli ultimi
anni per inserire la ‘Fuga in Egitto’ in una precisa sequenza crono-
logica; a parte la difficoltà di datare ad annum i singoli dipinti di
San Vittore, a mancare all’appello è soprattutto il confronto con le
opere eseguite dopo il 1605, a Torino, alla corte di Carlo Emanuele
di Savoia, in quello che fu senz’altro il momento del maggiore (ma
effimero) successo di Giovanni Ambrogio fuori Milano18. Perdute
nella (quasi?) totalità le opere piemontesi, quando Figino aveva so-
stituito Federico Zuccari come sovrintendente alla Grande Galleria
di Palazzo Ducale19, e in attesa di ritrovare nuovi quadri ‘da stanza’
dell’ultimo periodo20, è comunque possibile registrare caratteri affini
nella poco nota, coeva ‘Pietà’ della casa parrocchiale di San Vittore
/tavola 45/, dipinta anch’essa con una tecnica abbozzata e diseguale.
Anche in questa tavola, entrata un po’ a fatica nel novero degli au-
ANTOLOGIA DI ARTISTI 41
tografi certi (anche se ormai da tempo universalmente accettata)21, Per
colpisce l’alterazione antinaturalistica delle anatomie, caricata, questa Ambrogio
Figino
volta, di stralunati accenti tragici; impressiona l’allungamento delle
braccia adunche di Cristo, che assumono la strana, inusitata foggia
di due grandi ali aperte. Anche qui, come, in parte, nel dipinto mu-
rale con l’‘Incoronazione della Vergine’ nella volta del coro della
stessa chiesa, Figino sembra essersi affrancato da un certo ‘auto-
controllo’ che, in alcune occasioni, ne aveva raffreddato il talento,
oscillando, questa volta, più verso Cerano che Giulio Cesare Pro-
caccini e parafrasando i modelli centroitaliani (Michelangelo, Fede-
rico Zuccari, e magari anche Rosso Fiorentino) in un’interpretazione
che — caso raro — sembra voler rifarsi all’intensità espressiva del-
l’arte nordica22.
È proprio il vastissimo corredo di immagini che compongono
la cultura figurativa di Giovanni Ambrogio a celare, forse, la chiave
per comprendere non solo la svolta stilistica di cui farebbe parte la
‘Fuga in Egitto’, ma anche l’intero sviluppo del suo percorso23. È no-
tevole, infatti, come spesso, nell’itinerario figiniano, l’inizio di un
nuovo momento stilistico coincida con la forte impressione nata dal-
l’incontro con la pittura di altri artisti: così era avvenuto nelle tele
della cappella dell’‘Incoronazione della Vergine’ in San Fedele (1581-
1583), palesemente ispirate ai modi dello stesso Zuccari, e, alcuni
anni più tardi, nel ‘San Matteo’ e nelle ante d’organo (1587 circa e
1590-1595), opere che scandiscono i passaggi graduali dalla piena
maturità alla fase tarda, fortemente influenzate dai modi di Girolamo
Muziano24. Non è quindi impossibile che anche il divario fra la tela
Molinari Pradelli e gran parte degli altri dipinti coevi possa nascere
da un analogo aggiornamento culturale, coinciso forse con il passaggio
alla giovane corte di Torino, in cui era senz’altro possibile respirare
un’atmosfera più libera rispetto al sovraffollato ambiente milanese,
beneficiando di qualche fermento internazionale per la presenza di
pittori di varia provenienza.
Mauro Pavesi

NOTE

Ringrazio Marco Bona Castellotti, Federico Cavalieri, Roberto Paolo Ciardi,


Odette d’Albo, Francesco Frangi, Jessica Gritti, Angelo Mazza, Alessandro Moli-
nari Pradelli, Annalisa Perissa Torrini, Edoardo Villata.
42 ANTOLOGIA DI ARTISTI
Per 1
Su questi dipinti procacciniani cfr. almeno H. Brigstocke, Procaccini in
Ambrogio America, catalogo della mostra (New York), London-New York, 2002, pp. 162,
Figino 177, 179 e M. Rosci, Giulio Cesare Procaccini, Soncino, 2003, pp. 80-81.
2
Queste informazioni mi sono state fornite da Alessandro Molinari Pradelli,
che aveva ricevuto la ‘Fuga in Egitto’ come dono di nozze dal padre nel 1974.
L’acquisto è senz’altro successivo al 1961, data che compare in una nota mano-
scritta sul retro della foto dell’archivio Zeri (cfr. più avanti) insieme a un riferimento
al mercato antiquario newyorchese.
3
La sottile problematicità della ‘Fuga in Egitto’ fu senz’altro colta anche da
Federico Zeri, il quale, pur conservandone un’immagine nella cartella procacci-
niana del suo archivio (b. 470, n. 46975; foto Bullaty-Lomeo, New York), non ne
fece mai oggetto di alcuna segnalazione attributiva.
4
Per le ante d’organo e la loro cronologia cfr. R.P. Ciardi, Ambrogio Figino,
Firenze, 1968, pp. 107-108; A. Perissa Torrini, Gallerie dell’Accademia di Venezia.
Disegni del Figino, Milano, 1987, pp. 23, 152-156 (i due testi sono tuttora le
uniche, vere monografie di riferimento sul pittore); G. Bora, in Pittura a Milano.
Rinascimento e Manierismo, a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo, 1998, pp.
278-279, 281-282.
5
Sul dipinto (attestato come “da pagare et porre” in opera il 4 aprile 1605)
cfr. F. Frangi, in Pittura tra Ticino e Olona. Varese e la Lombardia nord occidentale,
a cura di M. Gregori, Cinisello Balsamo, 1992, p. 267.
6
Per la datazione del ciclo figiniano di San Vittore: N.W. Neilson, Some
documents for the painting and choir decoration in S. Vittore al corpo. Milan, in
‘Arte Lombarda’, XIII, 1968, pp. 133-134; più in generale, cfr. anche J.H. Tur-
nure, The Late Style of Ambrogio Figino, in ‘The Art Bulletin’, XLVII, 1965, 1,
pp. 35-55. A questo gruppo di dipinti va senz’altro aggiunta la ‘Flagellazione’
del Prado (inv. 57) per cui si conceda il rimando a M. Pavesi, Una Flagellazione
di Ambrogio Figino al Museo del Prado, in ‘Nuovi Studi’, 15, 2009 (2010), pp.
191-215.
7
Rispettivamente al Louvre (inv. 11680 r) e all’Albertina di Vienna (inv.
2217).
8
Di questo complesso (che le fonti sei-settecentesche dicono completato da
un San Francesco Saverio di Giulio Cesare Procaccini) purtroppo non si sa quasi
nulla. Rimangono in loco un ‘Sant’Ignazio’ di dubbia autografia (da valutare la
precocità rispetto alle date di beatificazione e canonizzazione, 1609 e 1622) e un
inedito ‘San Francesco’ sicuramente figiniano, assai simile nel panneggio che ri-
copre le gambe, al San Giuseppe della ‘Fuga in Egitto’.
9
A. Perissa Torrini, op. cit., pp. 169, 172.
10
Ivi, pp. 160, 204, fig. 157.
11
E. Tesauro, Il Cannocchiale aristotelico (1670), ed. a cura di M.L. Doglio,
Savigliano, 2000, p. 582.
12
Anche il dettaglio del braccio a riposo del San Giuseppe è quasi sovrap-
ponibile (nel disegno di forme e muscoli e nelle anse e fasciature dei panneggi) al
medesimo particolare del ‘San Paolo’ di San Raffaele (1590 circa) e della ‘Natività
della Vergine’ in Sant’Antonio Abate (primi del XVII secolo).
13
Per l’identificazione del personaggio: S. Leydi, Ritratti in armi, armi in ri-
tratti, in Il ritratto nell’Europa del Cinquecento. Arte, letteratura, società, atti del
convegno (Firenze, 2002) a cura di A. Galli, C. Piccinini e M. Rossi, Firenze,
ANTOLOGIA DI ARTISTI 43
2007, pp. 101-116. Sul dipinto cfr. ora anche A. Morandotti, Caravaggio e Milano. Per
La Canestra dell’Ambrosiana, Milano, 2013, p. 21. Ambrogio
14
E cioè, appunto, il ‘San Matteo’ di San Raffaele e il ‘Piatto di pesche’ di Figino
collezione privata (R. Longhi, Anche Ambrogio Figino sulla soglia della ‘Natura
morta’, in ‘Paragone’, 209, 1967, pp. 18-22, ried. in Studi caravaggeschi. II, Firenze
(Opera complete, XI), 2000, pp. 299-302; idem, Ambrogio Figino e due citazioni
dal Caravaggio, in ‘Paragone’, 55, 1954, pp. 36-38, ried. in Studi caravaggeschi. II,
cit., pp. 175-176).
15
Una pittura meno rifinita del solito è visibile anche nella seconda versione
della ‘Testa del Salvatore’, replica (ubicazione ignota) della tavola dell’Arcivesco-
vado milanese (M. Bona Castellotti, Cinque inediti di Ambrogio Figino, in ‘Arte
Cristiana’, LXXVII, 1989, 731, pp. 108-109) e nel ciclo di San Vittore: nella scabra
fattura degli ovali con angioletti in volo (pensati per essere visti da grande distanza)
e perfino nella stesura della pala di San Benedetto.
16
Sulla maggiore audacia, spesso notata dagli studiosi, del Figino disegnatore
rispetto al Figino pittore vale il confronto fra la glaciale (anche se tutt’altro che
priva di fascino) tela con ‘Giove e Io’ per Rodolfo II e le forme esili, adunche e
spiritate dello studio preparatorio a matita (Lisbona, Museu Nacional de Arte
Antiga, inv. 345). Questo esempio, che può valere per molti altri — come i quattro
disegni preliminari per le austere ‘Storie di San Benedetto’ in San Vittore (Venezia,
Gallerie dell’Accademia, invv. 1193, 1194, 1195, 1196; cfr. R.P. Ciardi, op. cit., p.
188; A. Perissa Torrini, op. cit., pp. 163-166) — non implica affatto uno sdoppia-
mento fra l’attività grafica e l’uso dei pennelli. In realtà la questione è molto com-
plessa, e andrebbe riassorbita in un più ampio discorso sulla capacità di Figino di
variare registro a seconda di temi e tipologie di ogni singola opera.
17
Il riferimento è, ovviamente, alla “fredda ferocia michelangiolesca, depau-
perata fino ad effetti neoclassici” (R. Longhi, Quesiti caravaggeschi II. I precedenti,
in ‘Pinacotheca’, 5-6, 1929, pp. 258-320, ried. in ‘Me pinxit’ e Quesiti caravaggeschi,
Firenze (Opere complete, IV), 1968, p. 133).
18
Pagamenti del 1607 per alcune effigi dinastiche equestri nella Grande
Galleria (Archivio di Stato di Torino, Fabbriche di S.A.) sono pubblicati da A.
Baudi di Vesme, L’arte negli stati sabaudi ai tempi di Carlo Emanuele I, di Vittorio
Amedeo I e della reggenza di Cristina di Francia, Torino, I, 1932, p. 262. Sul tema
cfr. almeno G. Romano, Le origini dell’armeria sabauda e la Grande Galleria di
Carlo Emanuele I, in L’Armeria Reale di Torino, a cura di F. Mazzini, Busto Arsizio,
1982, pp. 15-30; A.M. Bava, La collezione di pittura e i grandi progetti decorativi,
in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano e A.M. Bava,
Torino, 1995, pp. 211-264. Qualche riflesso, forse, delle tele figiniane (perdute in
un incendio già a metà Seicento) in due immagini di antenati sabaudi (fra cui
Amedeo VIII, il Conte Rosso), attribuibili ad Antonino Parentani, al castello di
Racconigi.
19
Riguardo all’attività piemontese, penso sia da escludere l’attribuzione, pro-
posta come ipotesi di lavoro ma ormai stratificatasi (M.G. Bosco, I Santi Tebei
nella Torino del primo Seicento, in Torino. I percorsi della religiosità, a cura di A.
Griseri e R. Roccia, Torino, 1998, pp. 101-130, pp. 116-118; A.M. Bava, op. cit.,
p. 47; A.M. Bava, A. Merlotti, in La reggia di Venaria e i Savoia. Arte, magnificenza
e storia di una corte europea, catalogo della mostra a cura di E. Castelnuovo,Venaria
Reale, Torino, 2007, p. 54) di uno dei ‘Santi Tebei’ già in Palazzo Ducale e oggi
44 ANTOLOGIA DI ARTISTI
Per alla Basilica di Superga (inv.309 D. C.), la cui corposa stesura cromatica già emi-
Ambrogio liano-caravaggesca sfocia in un naturalismo troppo energico per Figino. Ragio-
Figino nando in positivo si potrebbe provare a valutare la tela della stessa serie (inv. 306
D.C.) con un giovane guerriero dalla lorica rosa e dal capo inghirlandato di foglie
di quercia; parte di un gruppo di tele assegnate al Parentani, da cui si distingue
per la pennellata più levigata e tagliente e per un più rigoroso studio ottico-volu-
metrico del chiaroscuro (mi riservo di ridiscutere quest’ipotesi, in altra sede, con
maggior spazio).
20
L’esistenza di opere da cavalletto presumibilmente simili alla tela in esame
si intuisce, almeno in un paio di casi, dall’osservazione incrociata di studi grafici
(cfr. ad esempio i disegni per una ‘Natività’, Windsor 69336 e Louvre, 6305) e
fonti documentarie (inventari sabaudi ecc.).
21
Pubblicata in J.H. Turnure, op. cit., pp. 44-45, la ‘Pietà’ fu inizialmente
rifiutata da Ciardi (R.P. Ciardi, op. cit., p. 118), che solo più tardi la accolse tra
le opere certe (R.P. Ciardi, Figino, Ambrogio, voce in Dizionario biografico degli
italiani’, Roma, XLVII, 1997, p. 557). È accettata senza problemi in A. Perissa
Torrini, op. cit., p. 24. Della tavola sembra essersi ricordato Giulio Cesare Pro-
caccini, in un dipinto oggi in collezione privata (cfr. F. Wittgens, Per la cronologia
di Giulio Cesare Procaccini, in ‘Rivista d’arte’, XV, 1933, p. 63). Da indagare an-
che la possibile memoria figiniana nell’analogo dipinto di Daniele Crespi al Pra-
do.
22
Nell’‘Incoronazione della Vergine’ l’allungamento delle figure e un certo
patetismo già ceranesco convivono con un’espansione muscolare delle figure di
stampo ancora manierista. Lo stesso discorso vale per un bel disegno con un’‘An-
nunciazione’ già sul mercato antiquario (cfr. Flavia Ormond. Old Master Drawings,
n. 7, London, 2000).
23
Qualche possibile ricordo della ‘Trinità’ di Dürer (l’affiorare del ginocchio
sotto il braccio aperto del Cristo), rielaborata in forme analoghe anche da Fran-
cesco Vanni (pittore con cui Figino sembra essere in contatto: una poesia ne
celebra la pala in San Pietro è nel Ms. King’s 323 della British Library, che raccoglie
componimenti dedicati a Giovanni Ambrogio). Rapporti con la pittura senese
sono anche riscontrabili, nella ‘Fuga in Egitto’, nel caratteristico accartocciarsi
delle forme e negli accordi cromatici di lilla, ocra, rosa, violetti, marroncini e nel-
l’inedita ricerca di una dolcezza ‘baroccesca’ negli angeli. Per gli Zuccari cfr. le
varie ‘Pietà’ di Caprarola, Torre Canavese, Trinità dei Monti.
24
Il Cristo della pala di San Fedele replica quello di Federico Zuccari alla
cappella di Villa d’Este a Tivoli e alla pala di San Lorenzo in Damaso a Roma
(cfr. anche la stampa di Cornelis Cort, 1576); sono zuccareschi anche i quattro
santi laterali (su cui cfr. M. Bona Castellotti, op. cit.). Per i contatti con Muziano
cfr. le somiglianze con l’‘Assunzione’ di Anguillara Sabazia o con l’‘Ascensione’
di Santa Maria d’Aracoeli; un accostamento fra il ‘San Matteo’ figiniano e il
‘San Gregorio’ della pala muzianesca per San Pietro a Roma (oggi a Santa Maria
degli Angeli) è proposto in F. Piazza, Studi su Girolamo Muziano, tesi di specia-
lizzazione, rel. M.G. Albertini Ottolenghi, Università Cattolica di Milano, anno
accademico 2008-2009, p. 75 (sul dipinto, più in generale, cfr. P. Tosini, Girolamo
Muziano 1532-92 dalla Maniera alla Natura, Roma, 2008, pp. 230-234, 432-435).
Tramite per un contatto diretto fra i due può essere stato Giacomo Boncompagni
duca di Sora, committente di entrambi (cfr. M. Pavesi, op. cit., p. 212, n. 80).
ANTOLOGIA DI ARTISTI 45
Per
SUMMARY Ambrogio
Figino
It is immediately clear that an unpublished Flight into Egypt in
the Molinari Pradelli collection is a work of the Lombard School of
the early seventeenth century. Formerly attributed to Giulio Cesare
Procaccini, it has features that instead point to the hand of Giovanni
Ambrogio Figino. Support for this new attribution can be found in the
forms of the animated drapery, which recall paintings and drawings
from the artist’s last period (ranging from the organ shutters for Milan
Cathedral of 1590-95 to the works of the early Seicento), together with
other aspects, such as the insistence on anatomy in the figures. With
its correct authorship recognized, the canvas provides a clearer view of
the artist’s late phase, showing that he was capable, in a privately-
commissioned work, of going beyond the declamatory, emphatic excesses
of Michelangelesque idiom found in his more laborious works, such as
the organ-shutters or the Saint Victor cycle in Milan.
TAVOLE
38 - Ambrogio Figino: ‘Fuga in Egitto’ collezione Molinari Pradelli
39 - Ambrogio Figino: ‘San Giorgio e il drago’ (part.) Rho, santuario dell’Addolorata
40a - Ambrogio Figino: ‘Fuga in Egitto’ (part.) 40b - Ambrogio Figino:
collezione Molinari Pradelli ‘Crocifissione con angeli in volo’ (part.)
Vienna, Graphische Sammlung Albertina
41a - Ambrogio Figino: ‘Fuga in Egitto’ (part.) 41b - Ambrogio Figino: ‘Natività’
collezione Molinari Pradelli ubicazione ignota
42 - Ambrogio Figino: ‘Fuga in Egitto’ (part.) collezione Molinari Pradelli
43 - Ambrogio Figino: ‘Orazione nell’orto’ (part.) Milano, Santa Maria della Passione
44 - Ambrogio Figino: ‘San Benedetto accoglie i Santi Mauro e Placido’ (part.)
Milano, San Vittore al Corpo
45 - Ambrogio Figino: ‘Pietà’ (part.) Milano, San Vittore al Corpo, casa parrocchiale

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