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RIASSUNTO “LA O DI GIOTTO”

Il linguaggio scritto e il linguaggio della pittura sono indubbiamente diversi. Poniamo l’esempio
delle Sacre Scritture: la raffigurazione delle Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento lungo la
navata di una basilica consentono ad uno spettatore di creare nella sua mente i fotogrammi, gli
highlights di un racconto, come ness Il linguaggio scritto e il linguaggio della pittura sono
indubbiamente diversi. Poniamo l’esempio delle Sacre Scritture: la raffigurazione delle Storie
dell’Antico e del Nuovo Testamento lungo la navata di una basilica consentono ad uno spettatore di
creare nella sua mente i fotogrammi, gli highlights di un racconto, come nessun altro supporto
immobile o scritto saprebbe fare. Ma l’eccezionalità della pittura si evince anche da una delle 28
scene delle Storie di San Francesco, la diciannovesima, San Francesco riceve le stimmate, che è
capace di creare in un secondo tutte le associazioni mentali (la figura di Francesco, Francesco alter
Christus, il significato delle stimmate, ecc.) che creerebbe in migliaia di parole un trattato di
teologia.

Intorno al 1290 cresce in modo esponenziale la capacità di comunicazione narrativa legata al nesso
tra l’uomo e lo spazio che lo circonda. Di questo processo ci rimane troppo poco: se pensiamo a
Roma e all’Italia centrale della fine del Duecento, notiamo che, in misure diverse, ci mancano le
fasi tardoduecentesche di San Pietro in Vaticano, San Paolo fuori le mura, del complesso
lateranense, di San Francesco a Ripa, di San Crisogono, di Santa Cecilia in Trastevere; in ambito
fiorentino ci restano solo i mosaici del Battistero.

L’unico esempio sufficientemente completo è quello della basilica di San Francesco ad Assisi. È
grazie a questa basilica se che noi possiamo ancora oggi osservare e studiare i metodi della
narrazione figurativa tardoduecentesca e la loro rapidissima evoluzione e sperimentazione.

Francesco è sepolto sotto l’altare, come le reliquie dei martiri nelle basiliche romane.

I pittori romani che giunsero ad Assisi per impostare l’impianto pittorico della navata avevano,
quindi, molti riferimenti romani a cui rifarsi. A quelli sopracitati, aggiungiamo anche l’ipotesi
remota che abbiano visto la chiesa inferiore di San Crisogono (che in realtà era caduta in disuso da
quando nel XII° sec., era stata sormontata dalla chiesa superiore): qui, una finta griglia
architettonica inquadrava un ampio ciclo agiografico con le Storie di San Benedetto.

La comunanza con Assisi è data dall’utilizzo della tecnica delle giornate, ne è un esempio il fatto
che anche a Santa Cecilia, accanto alla colonna tortile, ci fosse (come si evince dai frammenti
rimasti) un Esaù tornato dalla caccia che per certi aspetti deriva direttamente da quello di Assisi. I
cantieri di Assisi e di Santa Cecilia sono insomma legatissimi, ma Assisi fu probabilmente il primo.

Dunque abbiamo visto che Assisi si ispira a modelli antichi e può essere messa a confronto con
modelli contemporanei; tuttavia, essa rappresenta un caso esemplare e sui generis. In nessuna
ripresa medievale della finta architettura vediamo una qualità così alta della prospettiva con cui
sono realizzati capitelli e colonne, dei materiali e della fattura. La basilica di San Francesco ad
Assisi rappresenta un apice di retorica e di illusione prospettica. Assisi, di fondo, è unica, isolata,
diversa da tutto.

“secondo stile” e non una ripresa di pari passo di elementi antichi, possiamo avanzare l’ipotesi che
i modelli ripresi tredici secoli dopo ad Assisi siano quelli della pittura tardo repubblicana che
decorava le abitazioni aristocratiche romane (
Ad Assisi questa pittura tardo repubblicana viene ripresa, nel “secondo stile”, in maniera molto più
semplificata, essenziale e diretta. Infatti, ad Assisi viene fatta questa ripresa puntando molto sul
motivo della finta architettura come mezzo per enfatizzare la celebrazione dell’eroe-fondatore, San
Francesco.

gli apparati decorativi teatrali. Probabilmente i pittori medievali non ne erano a conoscenza, ma
l’impostazione teatrale è ben chiara nel ciclo di Assisi: basta guardare la prima scena del ciclo,
l’Omaggio di un uomo semplice: qui S. Francesco sembra “entrare in scena” nella piazza di Assisi,
riconoscibile dal Tempio di Minerva sul fondo; l’ingresso di Francesco in questa scena è l’entrata in
scena del santo in tutto il percorso che lo vedrà attore protagonista dell’intero ciclo. L’intero ciclo,
infatti, si svolge proprio seguendo il passo di Francesco.

modello classico: le finte statue dorate di nudi e di angeli, che vediamo nel Sogno di Innocenzo III e
nella Prova del fuoco, oppure le pigne fogliate

Abbiamo, quindi, visto come ad Assisi siano stati ripresi modelli antichi, derivati anche dalla pittura
dell’Antica Roma; a tal proposito ricordiamo come nel corso del Medioevo Vitruvio fosse ben
conosciuto

Qui la parete è divisa in registri e questi livelli diversi sono destinati a toni diversi: in alto un tono
iconico, al centro un tono solenne e in basso un tono da commedia con le iscrizioni delle battute del
dialogo. Si può instaurare un confronto tra le pitture di San Clemente e le Storie di San Francesco
ad Assisi: la differenza sta nel fatto che, sebbene anche ad Assisi ci sia la differenziazione dei toni
narrativi, questa avviene non dall’alto in basso ma lungo il corso del ciclo stesso: le fasi iniziali
della vita del santo, ricche di luoghi cittadini e quotidiani, si riferiscono, secondo il canone
vitruviano, al tono “comico”, ad esempio.

È ovvio che queste decorazioni domestiche antiche ad Assisi siano state riprese ma reinterpretate:
ad Assisi le Storie si susseguono, ma obbligano lo spettatore a fermarsi sulla scena centrale della
parete di ogni campata.

Se poi vogliamo parlare del Sancta Sanctorum, ricordiamoci che i resti delle sue decorazioni, così
come quelli delle decorazioni del Palazzo Vaticano, di Santa Maria Maggiore, di Sant’Agnese fuori
le mura, rappresentano il massimo della pittura romana di fine ‘200/inizio ‘300. Queste eccellenze
sono tutte connotate da un certo gusto antiquario, ed è in questo sublime contesto artistico che si
muove il grande pittore di corte della Roma papale di fine Duecento, Jacopo Torriti, il maestro che
dirigeva i lavori ad Assisi prima dell’arrivo del Maestro di Isacco.

L’ipotesi che l’autrice vuole sostenere è che l’autore dell’ “impalcatura” del ciclo francescano
è lo stesso che ha realizzato le due scene di Isacco. Per dimostrarlo, l’autrice prende in esame la
teoria della celebre storica dell’arte Angiola Maria Romanini, secondo la quale l’impalcatura del
ciclo francescano e le scene di Isacco non possono essere della stessa mano dal momento che le
Storie di Isacco non illudono lo sguardo dello spettatore, mentre l’impalcatura delle scene
francescane sì.

La particolarità di Assisi sta, secondo l’autrice, nell’esasperazione della binarietà dell’episodio.


Bisogna notare, infatti, che ad Assisi lo spazio in cui si svolgono le due scene di Isacco è
ulteriormente ritagliato rispetto alle altre scene dello stesso registro: queste, infatti, sono delimitate
su tre lati da una sottile striscia verde, ma sono delimitate ulteriormente dal cubicolo che
rappresenta la camera di Isacco. Il bianco dei marmi circostanti le scene aumenta ancora di più il
contrasto con gli altri episodi, ma accentua anche il fatto che le due Scene di Isacco siano
rappresentate scorciate da sinistra e da destra, esasperandone ancor a il parallelismo e la binarietà.

Un altro elemento cruciale negli affreschi di Isacco ad Assisi è il colore, che fa saltare la scena agli
occhi dello spettatore (nonostante l’altezza) grazie all’uso del rosso, che non rappresenta una scelta
casuale o ripresa da modelli precedenti. Ciò non pregiudica che non siano esistiti modelli
precedenti: non sappiamo, per esempio, quali fossero i colori dominanti delle scene prototipo di San
Pietro e di San Paolo fuori le mura; tuttavia, se ci fosse stata un’eccessiva presenza di rosso, questa
ci sarebbe stata segnalata dagli acquerellisti barberiniani di San Paolo. Nelle scene di Isacco di
Ferentillo, invece, mostrano sì la presenza di fondo rosso, ma solo in una scena, perché nella
seconda i frammenti mostrano la presenza di fondo azzurro: quindi a Ferentillo il pittore non ha
usato il colore per sottolineare la binarietà degli episodi, motivo per cui le scene di Ferentillo
differiscono da quelle di Assisi.

. L’espressività del volto si farà strada con lentezza e con difficoltà, attraverso iniziali registri
standardizzati (reazioni standardizzate di paura, dolore, gioia, speranza), come nelle statue del coro
della cattedrale di Naumburg. Nelle due Storie di Isacco ad Assisi, invece, si fa molta attenzione ai
caratteri, ai “moti dell’animo” dei personaggi. I personaggi sono pochi e, ad eccezione di Esaù, si
ripetono nei due riquadri. Isacco viene raffigurato in entrambe le scene come se fosse una antica
rappresentazione di un Fiume; lui, insieme a Giacobbe, è l’unico ad avere “l’aureola a pastiglia”,
in stucco dorato.

Ancora un elemento eccezionalità nelle scene di Isacco: la balaustra del letto di Isacco, che occupa
la striscia inferiore del riquadro per quasi tutta la sua lunghezza. Essa svolge una funzione di
trompe l’oeil ed è, secondo l’autrice, il primo trompe l’oeil della pittura medievale. Naturalmente,
anche questo elemento è ripreso dalla pittura antica, in particolare dai trompe l’oeil descritti da
Plinio e Vitruvio.

Ad Assisi vediamo la volumetria gotica dello “spazio abitabile”: lo spazio è racchiuso in un


parallelepipedo e ciò ha affinità con il geometrismo di Arnolfo, nonostante la diversità del medium

guarda ai modelli europei della scultura gotica, come quando guarda a quell’antico da tradurre in
lingua moderna.
Arnolfo di Cambio, che bene aveva assorbito la cultura artistica romana e che bene conosceva l’arte
dei cosmati, guarda alla pittura, da scultore. A Roma si era sempre presa in considerazione la
pittura, a partire da immagini dipinte come l’Acheropita lateranense.

Due artisti così grandi non possono essere immaginati come uno a capo dell’altro in un

giornate, sempre nell’ottica di una ripresa dell’antico. Con questo sistema, quindi, vediamo
lavorare, in entrambe le scene, un unico maestro, abilissimo nel realizzare una pittura di qualità così
alta, magari coadiuvato da alcuni garzoni limitati a mansioni secondarie.

L’idea di spazio delle Storie di Isacco è quella del nucleo spaziale unico e concluso, anche se
fisicamente attraversabile dai personaggi e ispezionabile dallo sguardo dello spettatore. È uno
spazio unico ma evidenziato dalle architetture del cubicolo e del letto. Le caratteristiche tipiche di
questo spazio sono le architetture del cubicolo e del letto di Isacco, i tendaggi, le aste, le porte.

Vediamo adesso un altro confronto tra le Storie di Isacco e le sottostanti Storie francescane, basato
sulla rappresentazione del gesto clou che riassume un’intera vicenda, quindi sulla significatività del
gesto.
L’autrice parla di Giotto giovane come un jolly di lusso in uno scenario culturale italiano dominato
da maestri toscani come Simone Martini (1284-1334) e Ambrogio (1290-1348) e Pietro Lorenzetti
(1280-1348); Giotto, per l’autrice, conclude la sua “giovinezza” con gli affreschi della cappella
degli Scrovegni a Padova.

Facciamo adesso una considerazione sui personaggi politici che possono aver condizionato l’arte di
Giotto.
Carlo d’Angiò (re di Napoli dal 1266 al 1285), senatore a Roma nel decennio in cui Giotto nasce,
protettore di Arnolfo di Cambio (1235-1302), si pone come tramite tra l’Italia meridionale e la
Toscana comunale; è sotto Carlo d’Angiò che si sviluppa lo studio della geometria, dell’ottica e
della fisica, basta pensare che dopo il 1268 Carlo dona al papa Cle

Quindi, il riferimento alla cultura figurativa romana, sia antica sia medievale, è sempre stato vivo
nella pittura e nella ritrattistica di Giotto.

Giotto padovano divide il primo Giotto di Assisi dal secondo Giotto di Assisi; da Padova in poi,
Giotto aumenta tantissimo il suo interesse nei confronti dell’uomo, della sua fisiologia e delle forme
naturali. Basta pensare come a Padova Giotto si occupi di natura rappresentando la cometa di
Halley o la luce del sole. Non bisogna dimenticare, però, che oltre che dall’estrema modernità, il
ritratto in Giotto è caratterizzato anche e ancora da quegli elementi che compongono l’arte gotica: la
cultura antica, la cultura aristotelica, la cultura araba, ecc.

La capacità tecnica dell’artista si misura con la natura e la vince; il bravo pittore rassicura lo
spettatore con la fedeltà al visibile, ma subito dopo gli mostra l’inganno e l’errore percettivo. Non lo
scultore, ma il pittore è il tipo di artista in grado di

il colore rosso, simbolico, medievale, ha una capacità annegante nei confronti degli altri colori;
nella cappella di Padova, Giotto emancipa il colore da quei riferimenti complessi e profondi del
rosso di Assisi e utilizza un colore nuovo, il blu, più naturalistico e più moderno. Il blu è molto più
naturale e legato alla percezione dell’atmosfera e del mondo fisico.

Le allegorie dello zoccolo, poi, appartengono alla parte finale del cantiere e sono anche la parte
finale del ragionamento del committente riguardo alla funzione a cui lui aveva pensato: infatti, è
possibile che all’inizio la cappella fu concepita con finalità funerarie.

La storia successiva della cappella avrà vicende anche complesse, in particolare quelle legate
all’abside, di sicuro posteriore al resto dell’edificio; dobbiamo considerare che questo, il ciclo più
coerente, omogeneo e ben conservato di buona parte del Medioevo italiano, sia in realtà un ciclo
incompleto, privo dell’intera parte absidale, che forse non fu mai eseguita o che forse fu abbattuta.
Sta di fatto che quello che ancora oggi vediamo fu eseguito velocemente e fu aperto
all’ammirazione del pubblico già dall’inizio del 1305.

ombra conferendo morbidezza in sottofondo, come se la pittura soprastante fosse porosa o


leggermente traslucida (fig. 129)

Padova, a partire dal secondo registro, con Le Nozze di Cana (fig. 152) e Cristo davanti ad Anna e
Caifa (fig. 153). [cfr. fig. 149 vs fig. 150 vs fig. 152 vs fig. 153].
Vediamo ancora gli elementi paesistici: ad Assisi, nella Predica agli uccelli, vediamo come il
paesaggio, come in tutte le opere di Giotto, non è mai veramente autonomo, ma rimane
sostanzialmente subordinato alle figure dei protagonisti. Esso consiste in alcuni elementi base, come
rocce o colline, che con il loro profilo delimitano il campo dell’azione. A Padova, rispetto ad Assisi,
il tema del paesaggio è notevolmente più sviluppato, più disinvoltamente mescolato agli elementi
architettonici, come vediamo nella Fuga in Egitto (fig. 159). [cfr. Predica agli uccelli vs fig. 159].
Naturalmente, vediamo anche come ci siano certi disegni padovani che, invece, hanno una loro
originalità, indipendenza e libertà creativa rispetto ad Assisi. Oppure, ci sono elementi
assolutamente originali a Padova: ad esempio il motivo del corteo, che vediamo nel Corteo
nunziale di Maria (fig. 166) in un movimento che percorre la scena da sinistra a destra e viene
concluso con naturalezza nel gruppo finale dei musici.

L’autrice, quindi, dopo aver analizzato analogie e differenze tra gli affreschi di Assisi e quelli di
Padova, delinea quali sono stati i modelli espressivi a cui Giotto si è rifatto: se per le Storie di
Isacco ad Assisi Giotto si è ispirato alla pittura antica, per gli affreschi della cappella degli
Scrovegni egli si è ispirato alla scultura. Storie di Isacco : pittura antica = C. Scrovegni : scultura.

Un ulteriore complesso di questioni nasce infine in un altro luogo del ciclo di Padova, quello del
cosiddetto ‘dado’, lo zoccolo della parete che si svolge su tre lati della navata e sul corto tratto
della parete orientale rotta dall’abside

. Nel dado di Padova, Giotto non si ispira ai modelli, ma li imita; è una straordinaria novità
concettuale, la pittura come arte che si svincola dalle ‘arti sorelle’ per compiere una propria
riflessione sulla natura. Mai ad Assisi e nella carriera precedente Giotto ha raggiunto un simile
grado di complessità. Il dado di Padova, invece, propone una formula decorativa che affianca
l’imitazione dell’architettura (i finti marmi) all’imitazione della scultura (le allegorie di Vizi e
Virtù). Il sistema sintattico degli elementi è ben noto: sulle pareti della cappella, i registri narrativi
sono organizzati da una griglia di cornici ornamentali e con elementi finto-cosmateschi. Ogni scena
è individuata e delimitata da una doppia fascia colorata, un accorgimento che isola otticamente ogni
riquadro all’interno della griglia decorata. Rispetto ad Assisi, il motivo della prospettiva suggerita
da finti elementi architettonici è diventato estremamente discreto, riassorbito all’interno di una
molteplicità di elementi che esplorano le possibilità dell’illusione, in molte e diverse maniere.

A Padova il colore azzurro si dimostra colore salvifico e veramente celestiale;

situato quattordici personificazioni di Virtù e Vizi (tutte femminili le Virtù, tutti maschili i Vizi).
Ogni figura è inquadrata in una falsa nicchia il cui fondo è costituito da una lastra di marmo; le
lastre di marmo hanno essenzialmente due colori, o rosso o azzurro, in timbri più profondi o più
leggeri e in varie sfumature. Le personificazioni, invece, non hanno alcuna connotazione cromatica,
le figure sono dipinte di un colore definito grisaille, cioè il colore del marmo stesso, un espediente
mai esistito prima di Giotto: proprio per questa fondamentale assenza di colore le figure devono
essere lette come statue, come sculture inserite in una griglia di finta architettura. È la pittura che
compete con la scultura e l’architettura. È il modo in cui il pittore stabilisce il Paragone per la sua
arte: vuol dire che la pittura è superiore a tutte le altre, perché è in grado di imitare tutto (lo spazio e
l’architettura, il volume e la scultura) gestendo la sua arma più specifica, il colore.

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