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GIOVAN

FRANCESCO Storie della Passione


MAINERI Stories of the Passion
Per gli inizi di Giovan Francesco Maineri
fra Ercole e i tedeschi:
una Passione in tre atti

Andrea De Marchi
Per gli inizi di Giovan Francesco Maineri,
fra Ercole e i tedeschi: una Passione in tre atti

Ci sono pittori che alla fine del Quattrocento hanno saputo interpretare
le istanze di una devozione più sentita e partecipata, quasi viscerale, in
maniera così congeniale da portarli a elaborare composizioni potentemente
innovative e peculiari. Un misterioso filo rosso accomuna negli stessi
decenni i dipinti devozionali di un Jacopo del Sellajo a Firenze, di un Giovan
Francesco Maineri fra Ferrara e Mantova o di un Ambrogio Bergognone in
Lombardia. Nel caso di Maineri poi sorprende la sua capacità di coltivare
registri espressivi apparentemente diversissimi e quasi antitetici, oscillando
fra una coltissima apparatura scenica anticheggiante, che lo pone tra gli eredi
più autorevoli di certo Ercole de’ Roberti, dopo la sua morte nel 1496, e affondi
improvvisi di scoperta ed umile verità emozionale, di cui il trittico che qui si
commenta rappresenta un esito ineguagliato e vorrei dire perfino inatteso.

Di certo la figura ancora un po’ misteriosa e sfuggente di Giovan Francesco


Maineri appare implicata in un clima squisitamente cortigiano, dividendosi a
cavaliere del 1500 fra le corti di Ferrara e di Mantova1, essendo a turno protetto
e raccomandato da Francesco Bagnacavallo a Isabella d’Este, perché “homo
molto timido” (23 novembre 1498), quindi subito dopo dalla stessa Isabella a
Carlo e Camillo Strozzi (5 dicembre 1498), che reclamavano il completamento
della pala per l’oratorio ferrarese dell’Immacolata Concezione da loro
appena fondato (ora alla National Gallery di Londra e di fatto completato
e sostanzialmente dipinto da Lorenzo Costa, a Ferrara nel 1499), tavola
rimasta sospesa con la partenza dell’artista da Ferrara per Mantova, e
ancora il 2 febbraio del 1503 dal duca Ercole alla figlia marchesa di Mantova,
perché lo difendesse in una causa in cui era coinvolto, proclamandolo
“egregio pittore”, “da bene e virtuoso”, ancorché “povera persona”.

Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione, olio su


tavole di ciliegio, 22,5 x 10,2 x 0,5 cm ciascun pannello
Benappi Fine Art

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Fig.1 Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione, ipotesi di ricostruzione usando a modello per
la cornice quella della Pala di San Zeno, Verona, Basilica di San Zeno

Figlio di un pittore parmense, ma di origine ferrarese, Pietro de’ Maineri,


forse non di grande talento e fortuna, è documentato la prima volta a
corte a Ferrara il 4 aprile del 1489, ma per un incarico modestissimo,
quello di dipingere di verde certi bastoni “per il zardin de sua Signoria”,
per il giardino del castello, su istanza del duca Ercole. Verosimile che fosse
ancora giovanissimo. Se già tre anni dopo, il 16 settembre del 1492, venne
pagato per aver dipinto, probabilmente ad affresco, un Sant’Agostino e
un San Francesco nella cappella della duchessa Eleonora d’Aragona, è
segno di quanto rapida sia stata la sua ascesa a corte e la considerazione
che presto meritò. L’anno seguente la duchessa gli aveva commissionato
un “quadretto dorato”, verosimilmente su fondo oro, ciò che per il tempo
appare come un preziosismo arcaistico, per nulla sorprendente per Maineri,

2
che da Ercole mutuò in maniera ossessiva l’illusione di finti rilievi contro
campi a tessere musive dorate, nella pala Strozzi come in diverse anconette
della Madonna adorante il Bambino in compagnia di San Giuseppe, anche
se non ci è conservata nessuna sua tavola integralmente su fondo oro.
Da altre testimonianze apprendiamo poi che, come ogni bravo pittore
accreditato a corte, era valente ritrattista, anche se non è stato ancora
identificato nessun ritratto autonomo di sua mano. Per questo, per farsi
ritrattare da lui, l’altera e capricciosa Isabella lo volle con sé a Mantova,
strappandolo di imperio agli impegni già contratti con gli Strozzi a Ferrara.

Maineri è famoso per aver inventato alcune composizioni memorabili e però


poi averle ripetute più e più volte, con gioco inesausto di varianti piccole
e grandi, quasi amando per vocazione l’operare in maniera rassicurante
con “variazioni sul tema”. “Homo molto timido”, viene subito da pensare,
timoroso di mettersi troppo in gioco, solito firmarsi con scritte minute e
quasi illeggibili su cartigli microscopici, e però capace di mettere a punto
delle invenzioni straordinariamente meditate e intense. Nel tema del Cristo
portacroce (fig.21) tagliato in un close up quasi morbosamente coinvolgente,
intriso di umido patetismo, fra stille di lacrime e arrossamenti della pelle,
boccoli calligrafici e sospiri, è complesso capire il gioco di dare e avere con
i precedenti di Giovanni Bellini, forse noti anche a Ferrara, gli esiti paralleli
a Milano di Andrea Solario, che pare fosse un suo lontano parente2, e quelli
seguenti in Romagna degli Zaganelli e di Palmezzano. Non meno geniale
il taglio compositivo della Madonna sospirante, le labbra schiuse, mentre
stende delicatamente il velo sopra il Bambino ignudo, che si rivolge attorno
ad una sfera di cristallo, mentre Giuseppe contempla assorto, le braccia
incrociate sul petto, nelle diverse versioni della collezione Testa (sua opera
firmata, assieme alla Madonna col Bambino dell’Accademia Albertina di
Torino (fig.13) e alla Testa del Battista di Brera), di Berlino, del Prado, di
Lutton Hoo... di contro ad un complicato altare incrostato di mosaici e di
rilievi, a metà fra ercoliani e lombardeschi, o ad un paesaggio verdeggiante.
Non è mai stato notato come il tema del velo sollevato in punta di dita
con entrambe le mani, e le dita vezzosamente sventagliate, sia recupero
capzioso di un’invenzione tardogotica,3 a mio avviso dello stesso Gentile da
Fabriano, nota in tutto l’Adriatico e nel Meridione, rilanciata da più parti,

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Fig.2 Giovan Francesco Maineri, Crocefissione, miniatura dal
Libro d’ore di Galeotto Pico della Mirandola (Add. Ms. 500002,
c.79r), Londra, British Library

ad esempio dal dalmata di educazione veneziana Lovro Dobričević (già


Maestro dell’Annunciazione Ludlow).4 In questi dipinti privatissimi, carichi
di intima emozionalità, non manca la colta esibizione: le architetture,
talvolta rovinistiche, sono presidiate dalle statue, ma come animate, di
Adamo ed Eva, in allusione al peccato originale sanato dall’avvento di
Cristo (come pure nella pala Strozzi, non diversamente dalla Madonna della
Vittoria di Mantegna), e sull’altare, che prefigura il profondo significato
eucaristico dell’Incarnazione ed ecclesiologico della Vergine Maria, ora
campeggia l’araba fenice (Berlino), simbolo desueto della Resurrezione, o
l’immagine sorprendente di due colombi che tubano (Testa e Lutton Hoo),
divertita allusione alla centralità paolina della Carità, della Lex amoris.

4
Fig.3 Giovan Francesco Maineri, Annunciazione e Peccato
originale, miniatura da Libro d’ore di Galeotto Pico della
Mirandola (Add. Ms. 500002, c.13r), Londra, British Library

Che Maineri avesse una spiccata propensione per trattare i temi


devozionali con una particolare sensibilità, tanto che Longhi lo definì
addirittura campione di “un singolare estetismo bigotto” e Silla Zamboni
ne fece l’emblema e il corifeo dei pittori piissimi di Ercole I d’Este,5 che
come scriveva il doge Giovanni Mocenigo, “era venuto molto cattolico...”,
è confermato dal fatto che a lui nel 1502 il duca Ercole commissionò “uno
quadro con la testa di San Zoane Baptista”, da donare a Suor Lucia da
Narni, terziaria domenicana in odore di santità, consigliera spirituale del
duca, un dipinto probabilmente identificabile con la tavola firmata di Brera.

Il trittico che qui si commenta, di dimensioni minute,6 rientra nel genere più

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Fig.4 Pietro Perugino, Crocefissione e Santi, Firenze, Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (già Santa Maria del Cestello), sala
Capitolare

eletto di queste opere che dovevano distillare la pietas devozionale con un


misto di tenerezze sentimentali e squisitezze pittoriche. Composto da tre
tavole di ciliegio a venatura verticale, assai sottili, ora dipinte sul tergo con
vistose marmorizzazioni probabilmente ottocentesche, era evidentemente
incastonato in un’importante cornice intagliata, organizzata a trittico
architettonico, con quattro paraste o colonne e una trabeazione (fig.1). Solo
una struttura importante poteva infatti giustificare la scelta di dipingere
su tre tavolette verticali, anziché su un asse orizzontale continuo, come
il formato complessivo avrebbe suggerito. La barba del gesso originale sui
lati attesta che il taglio compositivo era questo, volutamente resecando
alcune figure, come quelle degli sgherri che entrano in scena da sinistra,
concitati, dietro al Cristo condotto al calvario. La pari larghezza, lo scarso
spessore dei legni e l’assenza di tracce di cerniere escludono l’ipotesi
alternativa di un tabernacolo ad ante mobili. In alto si vedono dei capitelli
dipinti, che a ben osservare sono però dei peducci, inferiormente bombati,
presupponendo quindi uno stacco rispetto all’ipotizzabile partizione

6
Fig.5 Pietro Perugino, Crocefissione tra San Girolamo e Santa Maria Maddalena,
Washington, National Gallery (ricostruzione digitale dell’opera secondo il
corretto allineamento delle tavole)

architettonica della cornice perduta. Lì si innestano delle crociere, ora


resecate. La cornice era allora verosimilmente riquadrata, non centinata,
includendo tali volte, che idealmente inquadravano i tre atti della Passione,
sventagliati al di là di un loggiato illusionistico che valeva anche in quanto
evocatore di una sorta di teatro mentale, suscitatore di pietas commossa.
Riquadrata come nella pala di Mantegna per San Zeno a Verona, archetipo
potente di tutta una lignée di ancone padane, o nel registro superiore del
trittico di Butinone e Zenale in San Martino a Treviglio, che da quello
pure dipende. Come in questi due esempi, il primo dei quali sicuramente
noto a Maineri, le tre tavole sono larghe uguali. In quelle pale d’altare
essenziale era l’orchestrazione di uno spazio potentemente prospettico
squadernato in continuità al di là della cornice architettonica. Qui invece si
suggerisce una parziale continuità paesaggistica: nel primo piano il viottolo
dell’Andata al Calvario conduce senza soluzione di continuità al Golgota,
mentre sul fondo bisogna presupporre uno stacco non indifferente, e
quindi un’importante cornice architettonica. Più consistente ancora

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Fig.6 Francesco Marmitta, Crocefissione, miniatura dal Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione,
Messale di Domenico della Rovere (0466/M), Torino, particolare
Museo Civico d’Arte Antica di Palazzo Madama

il salto fra il pannello centrale e quello di destra, ma chiara è allora la


valenza simbolica, la drammatica cesura fra la vita e la morte, rimarcata
anche dal cielo al tramonto, che non poteva essere in continuità.

Pur con simili deliberate contraddizioni questo trittico miniaturizzato


– e non si può non ricordare che Maineri fu pure squisito miniatore, al
pari del conterraneo Francesco Marmitta, come prova la decorazione
del libro d’ore di Galeotto Pico della Mirandola della British
Library (fig. 2-3),7 che Ulrike Bauer Eberhardt gli ha brillantemente
riconosciuto – si inserisce in una storia molto importante, autorevolmente

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Fig.7 Lorenzo Costa, Crocefissione, Firenze, Villa Fig.8 Francesco Bianchi Ferrari, Crocefissione con i Santi Girolamo e
i Tatti, Harvard University, Center for Italian Francesco, Modena, Galleria Estense
Renaissance Studies, collezione Berenson

avviata da Jan Van Eyck, con la pala dell’Agneau Mystique di Gand e in Italia
da Fra Angelico con le storie dell’Armadio degli argenti alla SS. Annunziata.
Prima di varie riprese ad inizio Cinquecento del tema della continuità
paesaggistica entro un polittico da parte di Giovanni Bellini, Francesco
da Santacroce, Francesco da Milano, Bernardino e Francesco Zaganelli,
e specialmente Lorenzo Lotto, si segnala come Pietro Perugino abbia
coltivato questa idea, non solo nella famosa Crocefissione e santi affrescata
al di là di tre arcate per il capitolo delle monache cistercensi di Santa
Maria del Cestello (poi Santa Maria Maddalena de’ Pazzi) a Firenze (fig.4),
che può comunque essere un buon paragone per le arcate illusionistiche

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Fig.9 Francesco Bianchi Ferrari, Compianto su Fig.10 Francesco Bianchi Ferrari, Crocefissione
Cristo morto, ubicazione sconosciuta con San Domenico, San Pietro Martire e Santa
Maria Maddalena, particolare, Modena, Galleria
Estense

dipinte da Maineri, quanto ben prima nel trittico della Crocefissione e santi
commissionato dal vescovo di Cagli Bartolomeo Bartoli per San Domenico
a San Gimignano, ora alla National Gallery di Washington, noto pure come
trittico Golitzy (fig.5).8 La continuità paesaggistica e atmosferica, in genere
volta a potenziare il senso sincronico e compartecipe, ad esempio di un
Compianto ai piedi della Croce o di una Sacra conversazione, suggerisce
peraltro a Maineri l’idea suggestiva di una diacronia quasi cinematografica,
di uno scenario che via via si popola di ombre e di nubi, fino a screziarsi
dei toni del tramonto, accompagnando così l’apice doloroso, il pianto
accorato delle Marie (San Giovanni evangelista manca! Giuseppe
d’Arimatea e Nicodemo si profilano in lontananza), nell’anta finale.

Non sono poche le singolarità iconografiche presenti nell’opera. Cristo


trascina la Croce goffamente aiutato dal Cireneo, mentre viene strattonato
e frustato con violenza da sgherri senza pietà. Non c’è rapporto con la
fortunata incisione di Schongauer dell’Andata al Calvario, dove Cristo

Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione,


particolare
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Fig.11 Copia dalla perduta Crocefissione di Ercole de’ Roberti nella cappella Garganelli, Bologna, San Pietro,
Sagrestia (scheda Fototeca Zeri n. 25763)

frana a terra e guarda implorante il fedele, ma il tono crudo vuole certo


imitare quei modelli in cui i tedeschi eccellevano. Al vertice della Croce
è già inchiodato il titulus, riportato con il solo acronimo ebraico, pur
sommariamente trascritto, qui come nella Crocefissione al centro. Al fondo
il corteo risbuca e vi emergono i corpi nudi dei due ladroni, dietro a cavalieri
caracollanti fra lo stormire degli stendardi e lo squillo di una lunga tromba.
Il Calvario, al centro, è completo dei due ladroni, penso per deferenza
probabile al solenne prototipo di Ercole de’ Roberti nella cappella Garganelli
in San Pietro a Bologna, cui rendono omaggio sia Francesco Marmitta nel
messale per Domenico della Rovere (Torino, Museo Civico d’Arte Antica di
Palazzo Madama, fig.6),9 sia Lorenzo Costa nella giovanile Crocefissione della
collezione Berenson (fig.7),10 sia Francesco Bianchi Ferrari nella grande pala
della Galleria Estense, proveniente dalla cappella Pedoca in San Francesco

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Fig.12 Giovan Francesco Maineri, Compianto su Cristo morto
(da Ferrara, San Domenico), Roma, Museo di Palazzo Venezia,
collezione Blumennstihl

a Mirandola (fig.8).11 E però in primo piano è vuoto, vi è protagonista la


sola Maddalena, il suo pianto silenzioso: sta abbarbicata alla Croce, la
stringe con entrambe le braccia, da dietro, col trasporto dell’amante ferita,
conficcando il volto sopra il legno stesso. Per questo e per il Compianto
tutto declinato al femminile si può allora ipotizzare una commissione,
laicale o monastica che sia, da parte di una donna devota alla Maddalena.

Silla Zamboni aveva evocato la probabile conoscenza delle stampe di


Martin Schongauer alle spalle della Flagellazione di collezione privata.12
Il gruppo della Pietà, dove la Vergine tiene in grembo il corpo morto di
Cristo, baciandone una mano e quasi svenendo all’indietro, mentre il corpo
pare periclitante e la corona di spine è scivolata a terra, rientra in quel
filone di emulazione e rielaborazione dei Vesperbilder tedeschi, risalendo

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Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione, particolare Fig.13 Giovan Francesco Maineri, Madonna con Bambino,
Torino, Pinacoteca dell’Accademia Albertina di Belle Arti

alla stessa straziante interpretazione di Cosmé Tura (Venezia, Museo


Correr) e dialogando coi gruppi plastici emiliani di Niccolò dell’Arca e del
suo seguito, nei gesti enfatici di deplorazione delle pie donne. Ercole nella
tavola della Walker Art Gallery di Liverpool aveva proposto una versione
tragicamente composta e solitaria del tema, completamente diversa. Questa
del giovane Maineri può invece essere confrontata, per il comune tentativo
di rapportarsi ai corali gruppi plastici della Pietà, con l’episodio ahimé per
metà lacerato al fondo della pala di Bianchi Ferrari con la Crocefissione fra
San Domenico, San Pietro Martire e Santa Maria Maddalena, della Galleria
Estense di Modena, proveniente dalla cappella della Croce in San Domenico
(fig.10),13 oppure col più tardo Compianto su Cristo del pittore modenese,
alla presenza di un monaco benedettino in preghiera (fig.9), emerso sul

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Fig.14 Già attribuito ad Antonio Mantegazza (Giovanni Antonio Piatti), Compianto su Cristo morto, Londra, Victoria and Albert
Museum

mercato antiquario dopo la pubblicazione della monografia di Daniele


Benati del 1990.14 A ben vedere però il maestro doveva avere presente
la solenne e popolosa Crocefissione affrescata da Ercole nella cappella
Garganelli, una composizione citata pure nel pannello centrale, ai piedi
della quale la Vergine basita veniva soccorsa dalle donne accorate, due delle
quali stringevano con enfasi i pugni davanti a sé, come la donna anziana
(Maria di Salome o Maria di Cleofa) sulla destra (fig.11). Con simile gesto si
atteggia poi San Giovanni evangelista in una vera e propria pala di Maineri
col Compianto su Cristo morto, nel Museo nazionale di Palazzo Venezia a
Roma, già in collezione Blumenstihl e in origine in San Domenico a Ferrara,
restaurata nel 2017 (fig.12),15 dove la figura di Giuseppe d’Arimatea che
regge un’ampolla di unguenti sembra un cripto-ritratto del committente:

15
Fig.15 Francesco Bianchi Ferrari, Madonna col Fig.16 Giovan Francesco Maineri, San Sebastiano,
Bambino, York, City Art Museum Memphis, Brooks Memorial Museum of Art

la composizione è un po’ diversa, ma ci sono dei dettagli identici, come la


corona di spine caduta a terra e lo scorcio esatto del perizoma di Cristo.
Se il catalogo di Maineri può ormai dirsi consistente e assestato, nella
dimensione privata dei dipinti con la Sacra Famiglia e il Cristo portacroce
(fig.21), come in quella monumentale, grazie al fondamentale contributo
di Philip Pouncey del 1937, che lo riconobbe quale primo responsabile
della pala Strozzi della Concezione e gli attribuì la paletta Costabili,
già al Metropolitan Museum di New York,16 non altrettanto può dirsi
per il problema dei suoi esordi. Adolfo Venturi, cui si deve l’autentica
resurrezione critica del maestro, dimenticato dalla letteratura artistica
ferrarese, a partire dai documenti dell’Archivio di stato di Modena e da due
opere firmate (Sacra Famiglia della collezione Testa a Ferrara e Madonna col
Bambino dell’Accademia Albertina a Torino, (fig.13), nel 1888 (quattro opere)
e nel 1914 (quattordici opere),17 in altri interventi aveva provato a riferirgli

16
Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione, particolare

le miniature del Messale della Rovere di Torino (fig.6),18 poi riconosciute


a Francesco Marmitta da Pietro Toesca, un autentico capolavoro tardo di
Ercole de Roberti, come il dittico con la Natività e il Compianto su Cristo
morto della National Gallery di Londra,19 la cosiddetta Medea coi figli della
collezione Cook ora alla National Gallery di Washington (fig.22), sempre
strettamente ercoliana. Ancora Silla Zamboni tentava di attribuire ai suoi
inizi un piccolo dipinto di Ercole come quello con Lucrezia che sta per
uccidersi fra Bruto e Collatino della Galleria Estense di Modena, e l’Atalanta

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Fig.17 Giovan Francesco Maineri, Madonna col Bambino, San Cosma e Damiano, Cambridge, Fitzwilliam
Museum

18
e Ippomene della Gemäldegalerie di Berlino, in realtà della stessa mano
delle Storie degli argonauti, date da Longhi al giovane Lorenzo Costa, da
me e da Andrea Bacchi ricondotte agli anni bolognesi di Bernardino
Orsi da Collecchio.20 A Maineri poi erano stati attribuiti una miniatura
ritagliata, la Circoncisione della Biblioteca Reale di Torino, e alcuni disegni,
come il Sacrificio pagano dell’Art Institute di Chicago (già nella collezione
Geoffrey Gathorne-Hardy di Newbury, Berks.)21 e la Strage degli innocenti
del Louvre,22 che ora crediamo della fase giovanile, intensamente ercoliana,
del miniatore bolognese Giovan Battista Cavalletto, riscoperto dagli studi
degli ultimi decenni,23 al pari delle due bizzarre Allegorie pagane del Muzeul
de Arta di Bucarest, attribuite a Maineri da Carlo Ludovico Ragghianti.24
Rimane così sguarnita la ricostruzione di come Maineri poteva dipingere
a Ferrara nei primi anni novanta, nel momento in cui cominciò ad
affermarsi all’ombra di Ercole de’ Roberti e nel raggio della corte di
Ercole I e della duchessa Eleonora. Il riferimento ad Ercole era inevitabile
per un giovane pittore che si formasse a Ferrara in quel momento storico,
prima che l’arrivo di Boccaccio Boccaccino nel 1497, dopo la morte del
grande patriarca della pittura estense nel 1496, non schiudesse le porte ad
un protoclassicismo decisamente rinnovato. D’altra parte pare significativo
che Maineri abbia, almeno in un caso comprovato, raccolto in eredità una
commissione rimasta inevasa da parte di Ercole, a cui forse sarebbe stata
richiesta la pala della Concezione, se fosse stato ancora in vita: mi riferisco
all’Annunciazione che Clara Clavee, vedova di un cittadino di Valencia,
aveva commissionato il 24 gennaio del 1494 all’intagliatore Bernardino da
Venezia per la carpenteria e ad Ercole de’ Roberti per la pittura, destinata ad
un altare della chiesa del Santo Spirito, e per cui si era rivolta dopo la morte
di Ercole a Maineri, che però l’aveva lasciata a mezzo, come lamentava
la Clavee in una lettera indirizzata a Isabella d’Este il 18 marzo del 1504,
nella speranza di ottenere l’opera già in parte da lei pagata al maestro.

Il trittico della Passione permette ora di aprire uno squarcio inedito sulla
prima storia ercoliana del Maineri. Si tratta di un dipinto che ha notevoli
affinità sia con le miniature più giovanili di Francesco Marmitta (quelle
del Petrarca di Kassel più ancora che del seguente Messale della Rovere,
fig.6), con le opere iniziali di Lorenzo Costa, di Giovan Battista Cavalletto

19
20
Fig.18 Giovan Battista Cavalletto, Natività di Cristo, Cambridge, Fitzwilliam Museum

Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione,


particolare

21
22
Fig.19 Francesco Bianchi Ferrari, Madonna col Bambino,
Madrid, Museo Nacional Thyssen-Bornemisza

Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione,


particolare

23
Fig.20 Ercole de’ Roberti (copia da), Longino a cavallo e pia
donna (Nr. 2144), Monaco, Staatliche Graphische Sammlung

e di Bernardino Orsi, nonché con quelle del modenese Francesco Bianchi


Ferrari, pure lui accorato interprete di una passionalità devota alla fine
del Quattrocento, senza che però possa risolversi nella paternità esplicita
di nessuno degli artisti citati. Viceversa si possono sostanziare confronti
risolutivi con Maineri, di cui riconosciamo il tono caldo, affocato,
morbidamente stemperato negli arrossamenti umidi delle carni, ma pure
l’inconfondibile disinvoltura nel combinare un registro monumentale
più sostenuto e dettagli di intima e accostante verità, tali da apparentarlo
misteriosamente a pittori lombardi coevi come Ambrogio Bergognone o
Vincenzo Civerchio. La scenografia non è affatto semplice, ma la pienezza
sfogata del paesaggio gareggia coi veneti belliniani, in maniera ancora

Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione,


particolare

24
xxx
oil on canvas, 78 × 64 cm.

25
26
Fig.21 Giovan Francesco Maineri, Cristo portacroce, collezione privata

più esplicita di quanto non facesse Ercole, e salva il pittore da quelle


complicazioni esibizioniste, come nella corte del Pretorio, incastrata di
scale, balaustre, colonne scanalate all’antica, fregi, capitelli, trabeazioni,
rilievi, mosaici, statue, comparse in costume gesticolanti, astanti atarassici
o costernati, un domenicano committente in fervorosa meditazione... della
mirabolante Flagellazione di collezione privata, che a Longhi pareva “una
sacra rappresentazione di corte diretta da un malsano e sadico zelatore”.25
Le pieghe dei panneggi appaiono più spigolose e tubolari, rispetto alle

Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione,


particolare

27
complicate sfogliature protoclassiche e tedeschizzanti (in risentimento
della circolazione delle stampe tedesche di Schongauer e Dürer) delle
opere mature. Gli omaggi ercoliani che dettaglieremo e questo carattere
dei panneggi suggeriscono una data relativamente alta. Le pieghe
energicamente spezzate del manto rosso della Maddalena nella Crocefissione
e di quello azzurro della Madonna nel Compianto discendono in qualche
modo dalle affilate stilizzazioni ercoliane, ma sembrano confrontarsi
nella loro manipolazione “cartacea” pure con il filone maggiore della
scultura lombarda, da Giovanni Antonio Amadeo a Giovanni Antonio
Piatti (fig.14), in maniera non così dissimile da alcune opere giovanili di
Francesco Bianchi Ferrari, come la Madonna col Bambino del York City
Art Museum (fig.15).26 Puntualmente si possono fare dei confronti col
mantello azzurro della Madonna nella tavola firmata dell’Accademia
Albertina (fig.13), ovvero col perizoma del San Sebastiano della collezione
Kress, al Brooks Memorial Museum of Art di Memphis (fig.16).

Maineri si compiace di animare i fondali con paesaggi pieni di anfratti,


specchi lacustri, rocce spioventi e boschetti, abitandoli spesso con la
descrizione in piccolo formato delle storie di altri santi, sì da arricchire
il repertorio iconografico del dipinto, con una mentalità digressiva
che rammenta quella di Jacopo del Sellajo nei suoi dipinti devozionali,
spesso di notevoli dimensioni e assai complessi. Lo si vede ad esempio
nell’anconetta con la Madonna col Bambino fra San Cosma e Damiano, del
Fitzwilliam Museum di Cambridge (fig.17), che presenta al fondo la visione
di Sant’Eustachio durante la caccia e la lotta di San Giorgio col drago,
col curioso effetto di rendere del tutto normali e fin accidentali vicende
così eccezionali! Anche nel trittico della Passione l’orizzonte è assai alto
e la narrazione si dilunga e si disperde nei fondali, con la testa del corteo
dei soldati che trascina i due ladroni, insinuandosi fra due colline, con la
veduta di Gerusalemme al fondo di una valletta, con le tre croci del Golgota
spopolato, stagliate contro il cielo, e le due figure di Giuseppe di Arimatea
e di Nicodemo che si avviano. Figurette simili animano i paesaggi, misti di
rocce e di verzure, anche delle grandi scene narrative del giovane Lorenzo
Costa (si pensi alle tempere della cappella Bentivoglio in San Giacomo
Maggiore a Bologna), di Francesco Marmitta o di Francesco Bianchi Ferrari.

28
Fig.22 Giovan Francesco Maineri, Cristo risorto e un angelo, già Richmond, collezione Cook

29
Il soldatino caracollante e il gioco delle lance sottili che si intersecano nel
fondo dell’Andata al Calvario non può non rammentare le minute e nervose
silhouettes dei cavalieri astanti alla Crocefissione giovanile del Costa nella
collezione Berenson (fig.7). I tre picchi rocciosi che svettano nei due laterali
assomigliano alle falesie singolarmente corrose e dentellate che si trovano
in un dipinto del giovane Cavalletto, la Natività di Cristo del Fitzwilliam
Museum di Cambridge (fig.18) e in un disegno correlato del Gabinetto disegni
e stampe degli Uffizi27, nella Madonna col Bambino di Bianchi Ferrari al Museo
Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid (fig.19),28 tanto da far sospettare
che la matrice comune fosse in un dipinto perduto dello stesso Ercole.

Per la visione del cavaliere da tergo, con l’annesso scorcio acuto del cavallo,
al fondo dell’Andata al Calvario, bisogna peraltro risalire al celebre affresco
di Ercole nella cappella Garganelli, “mezza Roma di bontà”, come amava
dire Michelangelo, che presentava una figura simile sulla sinistra, attestata
da un disegno spesso ritenuto – credo ingiustamente – autografo di Ercole,
della Staatliche Graphische Sammlung di Monaco di Baviera (fig.20).29
Impressionante è il gruppo dei tre crocefissi, Cristo fra i due ladroni, su croci
fortemente scorciate, con i corpi in tensione: molto simile è nella grande
Crocefissione di Mirandola di Bianchi Ferrari (fig.8),30 in quella miniata da
Marmitta nel messale della Rovere (fig.6) e in un disegno del Louvre31, ma
pure nella tavoletta Berenson di Costa (fig.7), tanto da far sospettare che
tutte e cinque queste opere dipendano dall’affresco bolognese di Ercole, che
presentava tre croci, ma di cui sono note derivazioni solo relativamente alla
parte bassa.32 Come in alcuni indimenticabili capolavori del Bergognone,
il Compianto di Budapest e la Pietà della collezione Cagnola alla Gazzada,
il Vesperbild è letteralmente ambientato al far della sera, di modo che
il rosseggiare del cielo accompagni il gonfiarsi del sentimento patetico
e struggente. Il tramonto fa da sfondo anche ad un dipinto squisito già
nella collezione Cook a Richmond, una singolare Engelpietà (fig.22),
appartenente ad una stagione più svolta del pittore in senso ritmico
e protoclassico, dove Cristo pare animato, ancorché esangue, uscito
dall’avello come quello celebre di Mantegna a Copenhagen, trattenuto
sulla fronte da un angelo slanciato e premuroso. La resa della natura e del
paesaggio, i toni saturi delle rocce, i ciottoli sparsi e le rade erbette in primo

30
Fig.23 Ercole de Roberti, Andata al Calvario, particolare, Dresda, Gemäldegalerie

piano, i tocchi pittorici di luce sulle fronde degli alberi hanno riscontro
già nel trittico della Passione, copioso di descrizioni naturalistiche
sapientemente accarezzate col pennello, intrise di colori caldi.

Le figure scattanti dei soldati che trascinano Cristo sulla via del Calvario,
specialmente per quelle braghe che aderiscono strettamente al corpo e
alle gambe nude, possono ricordare la predella di San Giovanni in Monte,
ora a Dresda (fig.23), capolavoro vertiginoso di Ercole de’ Roberti, dove
però c’è una temperatura espressiva surriscaldata, travolgente, quasi
surreale, che Maineri stempera in una resa più ombrosa e umanamente
accostante. Si osservino i gesti quasi esitanti con cui Cristo, il volto
gonfio di dolore, si appoggia alla Croce, più che sorreggerla: sono gli
stessi che connotano le più tarde versioni del Cristo portacroce di
Maineri (fig.21), come Andachtsbilder autonome, dove Cristo sembra
quasi accarezzare il legno con la punta delle dita ed abbandonarsi in un
trasporto insieme dolcissimo e doloroso, con un’ambiguità che è tipica
del pittore e del suo modo di aderire in parte alla maniera protoclassica.

31
Note

1
Per un regesto della vita di Maineri (nato verosimilmente verso il 1470, documentato
per l’ultima volta a Mantova nel giugno del 1506) si veda Silla Zamboni, Pittori di Ercole
I d’Este, Milano 1975, pp. 39-41; Federica Veratelli, s. v. Maineri, Giovanni Francesco, in
Dizionario biografico degli italiani, 67, 2006.
2
Cfr. Luisa Cogliati Arano, Andrea Solario, Milano 1965, pp. 113-115.
3
Già Longhi rilevava che “l’affettazione del Maineri si compiace spesso di arcaismi,
evocati proprio dal gusto più raffinato e prezioso che fosse mai stato, intendo dalla
pittura “cortese” dei tempi di Pisanello, di Jacopo Bellini, di Gentile da Fabriano;
esumazioni di sessant’anni prima!” (Longhi, Officina ferrarese... cit., p. 105).
4
Cfr. F. Zeri, Un appunto per il Maestro dell’Annunciazione Ludlow, in Diari di lavoro,
Bergamo 1971, ried. Torino 1983, pp. 57-61, fig.63 (Madonna col Bambino in trono, già a
Roma presso l’antiquario Antonio Jandolo).
5
“[...] Entrando nei laboratori concessi dal duca agli artisti più cari, vediamo all’opera
pittori il cui fare tiene di un singolare estetismo bigotto e va complicando gli argomenti
più semplici della devozione, di giunte episodiche, e di filigrane ornamentali. Il più tipico
rappresentante di queste tendenze è a Ferrara, già sugli ultimi del ‘400, il parmigiano
Gian Francesco Maineri [...] Egli è, in sostanza, il vero inventore dei capoletti per
monache aristocratiche o principesse bigotte, con le sue Sacre Famiglie impreziosite
e talora indiscrete; pittura, come l’avrebbe chiamata il Lanzi, per i “ginocchiatoj de’
potenti”” (R. Longhi, Officina ferrarese, Roma 1934, pp. 104-105). Sulla vocazione
devozionale di Maineri si veda inoltre Silla Zamboni, Pittori di Ercole I... cit., pp. 10-
24, 39-61, che di fatto rappresenta l’unico vero studio monografico finora consacrato
al pittore, ed inoltre David Alan Brown, Maineri and Marmitta as Devotional Artists, in
“Prospettiva”, 1988-1989, 53-56 (Scritti in ricordo di Giovanni Previtali), pp. 299-308.
6
Olio su tavola, rispettivamente cm 22,5 x 10,2 (Andata al Calvario), cm 22,6 x 10,3
(Crocefissione) e cm 22,6 x 10,1 (Compianto su Cristo morto), spessore cm 0,5. L’opera
era finora nota da una foto in bianco e nero, riprodotta da Alfredo Puerari (Boccaccino,
Milano 1957, pp. 55-58, 179 nota 65 e 223, fig. 22), su segnalazione di Maria Luisa Ferrari,
nella sua monografia su Boccaccio Boccaccino, quando si trovava in una collezione
privata a Spino d’Adda. Puerari provava ad inserirla in una storia iniziale, tutta ercoliana
e ferrarese, di Boccaccino, considerandola come la prima opera a lui riferibile, con una
data molto alta, fra 1486 e 1490, a monte della sua prima documentazione, a Genova nel
1493. L’attribuzione, inattendibile se non che per il riconoscimento implicito dell’alto
grado di qualità, non è stata recepita dagli studi seguenti (non è nemmeno discussa da
Marco Tanzi, Boccaccio Boccaccino, Soncino (CR) 1991), né curiosamente mi pare che
nessuno abbia riconsiderato questo trittico dopo quella pubblicazione.
7
Londra, British Library, Add. Ms. 500002 (U. Bauer-Eberhardt, Francesco Maineri als
Miniator, in “Pantheon”, XLIX, 1991, pp. 88-96). Maineri si dichiara “imminiator” in una

32
lettera a Isabella d’Este del 23 giugno 1506 (A. Luzio, La galleria dei Gonzaga, Milano
1913, p. 197).
8
Cfr. David Alan Brown, in M. Boskovits – D. A. Brown, Italian Paintings of the Fifteenth
Century. The Collection of the National Gallery of Art. Systematic Catalogue. National
Gallery of Art, Washington, Washington 2003, pp. 552-556. Non è mai stato notato che i
tre scomparti, ora trasportati su tela, sono stati tagliati in maniera difforme, amputando
maggiormente la parte inferiore della Crocefissione, che andrebbe allineata più in alto,
così che il paesaggio continuerebbe perfettamente da pannello a pannello, al di là della
cornice in stile che ora riunisce l’opera.
9
Torino, Museo Civico di Arte Antica, inv. gen. 497: cfr. S. Pettenati, in Francesco
Marmitta... cit., pp. 334-336.
10
Settignano, Villa I Tatti, Harvard University, Center for Italian Renaissance Studies,
collezione Berenson (cfr. Carl Brandon Strehlke, in The Bernard and Mary Berenson
Collection of European Paintings at I Tatti, a cura di C. Brandon Strehlke e M, Brüggen
Israëls, Milano 2015, pp. 211-216)
11
Modena, Galleria Estense, inv. 442: cfr. Daniele Benati, Francesco Bianchi Ferrari e la
pittura a Modena fra ‘400 e ‘500, Modena 1990, pp. 149-150.
12
Zamboni, Pittori di Ercole I... cit., pp. 53-54. Un’iscrizione tarda, sette-ottocentesca,
apposta sotto alla cornice di sinistra dell’Andata al Calvario, riconduceva l’opera
prevedibilmente al grande maestro tedesco, “Alberto Dureru pinxit”.
13
Modena, Galleria Estense, inv. 8410: cfr. Benati, Francesco Bianchi Ferrari... cit., p. 152.
14
Tavola, cm 70 x 50. Si noti come sia Bianchi Ferrari in quest’opera, sia Maineri nella
Flagellazione inseriscano un religioso inginocchiato, in scala naturale con le altre figure,
che compartecipa al mistero sacro, mettendo come in scena la stessa preghiera mentale
che si voleva stimolare (su questa tematica affascinante che ebbe grande sviluppo in
tanta pittura sacra cinquecentesca, specie lombarda, si attende un libro di Francesco
Frangi, di prossima pubblicazione, centrato sul caso di studio di Gian Girolamo Savoldo).
15
Restituita a Maineri da Andrea Bacchi (Dipinti ferraresi della collezione Vittorio Cini,
Vicenza 1990, pp. 36-43) e da Daniele Benati (Francesco Bianchi Ferrari... cit., pp. 121, nota
67, e 129), l’opera è stata restaurata ed esposta alla IX Biennale d’antiquariato di Palazzo
Venezia a Roma, nel 2017.
16
Lo studio del giovanissimo Philip Pouncey (Ercole Grandi’s Masterpiece, in “The
Burlington Magazine”, LXX, 1937, pp. 161-168), scaturito dalle rivelatrici radiografie
effettuate sulla pala Strozzi a Londra, era davvero ineccepibile, come riconosciuto
onestamente da Silla Zamboni (Pittori di Ercole I... cit., pp. 11, 16-17), anche se incappò
nella censura arbitraria di Roberto Longhi (Ampliamenti nell’Officina ferrarese, 1940,
ried. in Officina ferrarese, Firenze 1956, pp. 152-154), in quegli anni più che mai accecato
dal livore nazionalistico e fascista contro la “perfida Albione”.
17
A. Venturi, Gian Francesco de’ Maineri pittore, in “Archivio storico dell’arte”, I, 1888, pp.
88-89; Id., Gian Francesco de’ Maineri pittore e miniatore, in “L’Arte”, VIII, 1907, pp. 33-40,
148-149; Id., Storia dell’arte italiana, VII/3, Milano 1914, pp. 1104-1120.
18
A. Venturi, Museo civico di Torino. Alcune miniature, in “Le Gallerie nazionali italiane”,

33
III, 1897, pp. 165-168.
19
Cfr. A. Venturi, La pittura del Quattrocento nell’Emilia, Bologna 1931, p. 92.
20
A. Bacchi – A. De Marchi, La formazione a Bologna, in Francesco Marmitta, a cura di A.
Bacchi e A. De Marchi, Torino 1995, pp. 17-52.
21
Attribuito a Maineri da Philip Pouncey, in Loan Exhibition of Drawings by Old Masters
from the Collection of Mr. Geoffrey Gathorne-Hardy. P & D. Colnaghi, London 1971, cat. 8,
e da Zamboni, Pittori di Ercole I... cit., p. 56. Approdato al museo di Chicago nel 1981 (inv.
1989.686) con la collezione Regenstein (cfr. K. Lippincott, A Masterpiece of renaissance
Drawing. A “Sacrificial Scene” by Gian Francesco de’ Maineri, in “The Art Institute of
Chicago. Museum Studies”, XVII, 1991, 1, pp. 7-21).
22
Parigi, Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 441. Entrambe le opere erano
state riprodotte come di Maineri giovane, con un punto interrogativo, in Bacchi – De
Marchi, La formazione a Bologna... cit., p. 52, figg. 44-45, ma ora penso che spettino a
Cavalletto.
23
Cfr. U. Bauer-Eberhardt, Matteo da Milano, Giovanni Battista Cavalletto und Martino
da Modena. Ein Miniatoren-Trio am Hofe der Este in Ferrara, in “Pantheon”, LI, 1993,pp.
62-86; Giovanni Battista Cavalletto. Un miniatore bolognese nell’età di Aspertini, catalogo
della mostra di Bologna a cura di M. Medica, Cinisello Balsamo (MI) 2008.
24
R. [C. L. Ragghianti], Notizie e letture, in “La Critica d’arte”, 1938, pp. XV-XVI. La
restituzione a Cavalletto si deve a Ulrike Bauer-Eberhardt, I Trionfi del Petrarca per
Andrea della Valle, in “Rivista di Storia della miniatura”, IV, 1999, pp. 161-168.
25
Longhi, Officina ferrarese... cit., p. 105.
26
Cfr. Benati, Francesco Bianchi Ferrari... cit., p. 154.
27
Firenze, Uffizi, Gabinetto disegni e stampe, inv. 603P (cfr. Giovanni Agosti, Disegni del
Rinascimento in Valpadana, Firenze 2001, pp. 123-126, cui avevo suggerito sia di collegare
il foglio degli Uffizi al dipinto di Cambridge, sia di riferire entrambi agli inizi di Giovan
Battista Cavalletto).
28
Cfr. Benati, Francesco Bianchi Ferrari... cit., p. 149. Un bel saggio delle qualità di
Francesco Bianchi Ferrari come paesaggista penso sia dato da un disegno dell’Albertina
di Vienna raffigurante Cristo con tre apostoli, riferito con dubbio a Marco Basaiti, che
credo gli vada restituito (I, Ven. 22, inv. 1455, cfr. Disegni veneti dell’Albertina di Vienna,
catalogo della mostra di Venezia a cura di O. Benesch, Vicenza 1961, pp. 18-19, cat. 7).
29
Monaco di Baviera, Staatliche Graphische Sammlung, inv. 2144.
30
Nella tavola mirandolese simile è pure il dettaglio del teschio di Adamo, con la
mandibola nettamente separata. La Crocefissione di Maineri si distingue dalle altre
perché presenta ampi svolazzi calligrafici attorno al perizoma di Cristo.
31
Parigi, Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. 5609 (A. Bacchi, in Francesco
Marmitta, a cura di A. Bacchi e A. De Marchi, Torino 1995, p. 333, cat. 12).
32
Per le derivazioni dalla cappella Garganelli si veda Luisa Ciammitti, Ercole Roberti. La
cappella Garganelli in San Pietro, in Tre artisti nella Bologna dei Bentivoglio, catalogo della
mostra, Bologna 1985, pp. 129-198.

34
Giovan Francesco Maineri, Storie della Passione,
retro con decorazione a finto marmo (XIX secolo)

35
The early activity of Giovan Francesco
Maineri, between Ercole and the Germans:
a Passion of Christ in three acts

There are only a few artists who, at the end of the 15th century, knew how to
express a more intense and dedicated, almost visceral, devotional message
in such a congenial way as to lead them to elaborate powerfully innovative
and peculiar compositions. A mysterious thread links in the same years
the devotional paintings of Jacopo del Sellajo in Florence, of Giovan
Francesco Maineri in Ferrara and Mantua, of Ambrogio Bergognone in
Lombardy. Moreover, in the case of Maineri, we are surprised by his ability
to use apparently very different, or even opposite registers, shifting from a
sophisticated antiquarian setting, which could place him among the most
authoritative heirs of Ercole de’ Roberti (d. 1496), to a sudden discovery
of humble emotions, such as those depicted in this triptych which is here
presented for the first time as his highest, almost unexpected, achievement.

The still mysterious and elusive profile of Giovan Francesco Maineri


appears to be involved in the exquisite climate of the courts of Mantua
and Ferrara, where he is documented around 1500.33 He was first
protected by Francesco Bagnacavallo, who introduced him to Isabella
d’Este, since he was “very shy” (23 november 1498). Shortly after, Isabella
would recommend him to Carlo and Camillo Strozzi (5 december 1498),
who claimed the completion of the altarpiece for the oratory of the
Immaculate Conception in Ferrara, which they had just founded (it is
now held at the National Gallery in London, and was in fact completed
by Lorenzo Costa, in Ferrara, in 1499). This altarpiece was still unfinished
when the artist left Ferrara for Mantua. On 2nd February 1503 Maineri
received once again help from the duke Ercole, who asked the marquise
of Mantua to assist him with his defense in a legal suit and defined him as
an “excellent painter”, a “virtuous and good person”, and yet “a poor man”.

37
The son of a painter from Parma, whose origins can be traced back to
Ferrara, Pietro de’ Maineri was probably not particularly talented or
blessed. He is first documented in Ferrara on 4th April 1489 for a very modest
assignment: to colour in green the sticks of the garden in the castle of “Sua
Signoria”, upon request of the duke Ercole. Pietro was probably still very
young at that time. Only three years later, on 16th September 1492, he was
paid for a painting, presumably a fresco, representing St. Augustine and St.
Francis in the chapel of the duchess Eleonora d’Aragona. This shows that
his popularity at court was rapidly increasing and he would soon receive
the attention he deserved. The following year the duchess asked him to
paint a “small gilded picture”, presumably showing figures against a gold
background: this refined and old fashioned choice is not at all surprising
for Maineri, since he had inherited from Ercole the obsession for painted
reliefs and golden mosaics, as can be seen in the pala Strozzi or in several
other altarpieces representing the Madonna and Child with St. Joseph,
although no gilded panel painted by him has come down to us. From other
sources we learn that, like every other successful artist at court, Maineri
was appreciated for his portraits, which unfortunately are still unidentified.
In order to be portrayed by him, the haughty and temperamental
Isabella insisted that he reached Mantua, forcing him to leave Ferrara,
where he was still fulfilling his previous commitments with Strozzi.

Maineri is well-known for his unique compositions, even though he


used to replicate the same motives again and again, to the extent that
he almost gives the impression of seeking a reassuring working method
based on variations of the same theme. Described as “very shy”, he signed
his paintings with tiny, almost illegible, inscriptions on microscopic
cartouches, like someone who does not wish to attract too much attention.
Nevertheless, he is also capable of extraordinarily intense and meditative
compositions. With regard to the Christ carrying the cross (fig.21), for
example, he chooses a moment which is particularly captivating for the
spectator, since it highlights the pathetic atmosphere of the scene, which
is made clearly visible also by specific details such as the abundant tears,
the redness of the skin, the calligraphic curls and the sighs. It is not
easy to establish the correct relationship with the previous examples

38
39
of Giovanni Bellini, which might have been known also in Ferrara.
It is worth considering also the contemporary works of Andrea Solario,
who seems to have been a distant relative of Maineri,34 and the activity
of the Zaganelli and of Palmezzano in Romagna. Equally ingenious is
the compositional cut of the Madonna, with her lips slightly open, while
delicately covering with a veil the naked body of the Infant Christ, who
is turning towards a crystal sphere; St. Joseph, on the other hand, is lost
in his thoughts, with his arms crossed on the chest. There are several
versions of this composition: one in the Testa collection (which is one
of Maineri’s signed works, together with the Madonna and Child at
the Accademia Albertina in Turin and the Head of St. John the Baptist
in Brera), and others in Berlin, in the Museo del Prado, in Lutton Hoo,
etc., which show the same figures against a sophisticated altar decorated
with mosaics and reliefs, recalling both Ercole and Lombardo, or against
the landscape. It has never been noticed that the theme of the veil being
raised by the fingertips of both hands, with the palms beautifully open, is
a reference to a late Gothic invention which in my opinion can be traced
back to Gentile da Fabriano.35 It was widespread in the Adriatic as well as in
Southern Italy, and was developed by several artists, like for example Lovro
Dobričević (previously known as the Master of the Ludlow Annunciation),
who was originally from Dalmatia but did his training in Venice.36

These paintings for private devotion are imbued with intimate emotions,
but they also display some erudite details: the architectures, eventually
depicted as ruins, are accompanied by animated statues of Adam and
Eve, which allude to the Original Sin and the advent of Christ (as in
the pala Strozzi, and in the “Madonna della Vittoria” by Mantegna).
On the altar, which symbolises both the eucharistic meaning of the
Incarnation and the ecclesiological role of the Virgin Mary, an Arab
Phoenix (Berlin) stands out as the symbol of Resurrection; there
are also two pigeons (Testa and Lutton Hoo), which represent an
amusing allusion to the Pauline centrality of Charity, of Lex Amoris.
Maineri addressed devotional themes with a peculiar sensitivity.
Longhi defined him as a champion of “peculiar bigoted aestheticism”,37
while Silla Zamboni chose him as the emblem and the leader of the

40
most devout painters working under Ercole I of Este, who as claimed
by the doge Giovanni Mocenigo “had become very Catholic”. This
attitude is confirmed also by Ercole’s commission to Maineri in 1502 of
a “painting with the Head of St. John the Baptist”, destined for Lucia of
Narni, a Dominican nun who was considered deserving of the name
of saint and acted as the spiritual advisor of the duke of Ferrara. This
painting can be possibly identified with the signed panel now in Brera.

The triptych that is here presented is of small size38 and is part of those
works that were supposed to express the devotional piety with a mixture
of sentimental tenderness and pictorial exquisiteness. Made of three
very thin vertical grain panels, which were painted on the back, probably
during the nineteenth century, with imitation marble, it is structured as
an architectural triptych with four columns and a trabeation (fig.1). Only a
setting of this kind could justify the choice of painting on three vertical panels
rather than on a horizontal axis, as the format would have suggested. The
presence of traces of chalk from the preparation on the sides of the panels
confirms that this was a specific choice of the painter, who deliberately cut
some figures, such as the tumultuous henchmen entering the scene from
the left and following Christ on his way to Calvary. Furthermore, the same
width of the panels and the low thickness of the wood, as well as the lack
of any traces of hinges, suggest excluding the alternative hypothesis that
this was a small tabernacle with folding wings. At the top, there are traces
of architectural elements which appear as painted capitals. However, a
closer examination reveals that these are decorated corbels, with a convex
shape on the lower part. This element suggests a slight detachment from
the original architectural setting of the lost frame, which we can only
imagine. From this point we can see a small portion of a cross vault, that
appears to have been cut. Therefore, the original frame probably had a
square format, which included these vaults in order to set the three acts of
the Passion in an open loggia, that also applied as an evocative imaginary
theatre, arousing a sense of moving pietas. This triptych resembled the
structure of Mantegna’s altarpiece for San Zeno in Verona, one of the
most powerful precedents for Northern Italy altarpiece. We could also
consider the upper register of the triptych by Butinone and Zenale in San

41
42
Martino at Treviglio, which also depends on the same model. It should be
noted that in both cases the width of the three panels is the same, and
that the first example was surely known to Maineri. However, one of the
essential elements of those altarpieces was the powerful perspective of the
compositional space, which continued beyond the architectural frame.
Maineri’s triptych, instead, presents a partial continuity with the landscape:
in the foreground the path leading to the Calvary is directly connected
with the Golgotha, while the view in the background is considerably more
distant, and therefore suggest the presence of an important architectural
frame. Even more dramatic is the passage from the central to the right
panel of the triptych. However, in this case, there is a symbolic allusion to
the break between life and death, which is also highlighted by the sunset.
It should be recalled at this point that Maineri was also an exquisite
illuminator, like Francesco Marmitta who shared his same origins. This is
testified by the decoration of the Book of Hours for Galeotto Pico della
Mirandola, now at the British Library (figs.2-3), which was brilliantly
assigned to Maineri by Ulrike Bauer Eberhardt.39 In light of this evidence,
this miniaturized triptych should be considered as part of a very important
tradition, authoritatively initiated by Jan van Eyck with the Ghent altarpiece
or in Italy by Fra Angelico with the stories of the the Annunziata Silver Chest.

At the beginning of the 16th century, Giovanni Bellini, Francesco da


Santacroce, Francesco da Milano, Bernardino and Francesco Zaganelli, and
especially Lorenzo Lotto, gave several examples of polyptychs which show
a spatial continuity within the landscape. Before them, Pietro Perugino
cultivated this idea in the well-known Crucifixion with Saints, where the
landscape extends beyond the three arches of the hall in Santa Maria del
Cestello (later Santa Maria Maddalena de’ Pazzi) in Florence (fig. 4). This
could be a good comparison for the illusionistic arches painted by Maineri.
It should be noted, however, that Perugino had already experimented with
this solution in the triptych of the Crucifixion and saints, commissioned by
the bishop of Cagli Bartolomeo Bartoli for the church of San Domenico
in San Gimignano, now at the National Gallery in Washington, and also
known as Golitzyn triptych (fig.5).40 The continuity of the landscape and
the atmosphere were generally aimed at strengthening the synchronic and

43
participated sense of events like the Lamentation or the Sacred conversation.
In the case of Maineri it also suggests the idea of an almost cinematographic
diachrony, obtained by imagining a scenario that is gradually populated by
shadows and clouds until the light and the tones of the sunset colour the sky
embracing the most dramatic moment in the last panel with the desperate
tears of the three Marys (St. John the Evangelist is missing! The profiles of
St. Jospeh of Arimathea and Nicodemus can be spotted in the background).
There are several iconographic peculiarities in this triptych. Christ is
dragging the Cross helped by the Cyrenian and at the same time is being
pushed and whipped with merciless violence by the soldiers. There is no
close relationship with the well-known print of the Way to Calvary by Martin
Schongauer, in which Christ is falling to the ground and looking towards
the faithful with imploring eyes. Nevertheless, the crude tones adopted by
Maineri can be undoubtedly interpreted in light of German models. The
titulus has already been nailed at the top of the Cross and it bears only the
Hebrew acronym, in a simplified transcription, both in the scene of the
Calvary and in the Crucifixion. The same group reappears in the background,
where the naked bodies of the two thieves emerge, behind the knights,
accompanied by the banners and the sound of a trumpet. In the central panel,
the Calvary includes the two thieves, possibly as an homage to the solemn
prototype of Ercole de’ Roberti in the Garganelli chapel in San Pietro in
Bologna, which was also used as a model by Francesco Marmitta in the Missal
for Domenico della Rovere (Turin, Musei civici, fig. 6),41 by Lorenzo Costa
in the early Crucifixion in the Berenson collection (fig.7),42 and by Francesco
Bianchi Ferrari in the bug altarpiece at the Galleria Estense, which probably
comes from the Pedoca chapel in San Francesco in Mirandola (fig.8).43

In Maineri’s triptych, however, the foreground is almost empty:


the only protagonist is the Magdalene, with her silent tears; she is
clinging to the Cross, holding it tightly with both arms, from behind,
as a wounded lover, sticking her face on the wood. For this reason, it
seems reasonable to suppose that the commission of this Lamentation,
so clearly distinguished by a female protagonist, could be assigned,
whether lay or monastic, to a woman devoted to the Magdalene.
Silla Zamboni suggested the influence of Martin Schongauer’s prints to

44
45
comment the Flagellation from a private collection.44 The figures of the
Pietà are clearly inspired by the several imitations and reinterpretations of
the German Vesperbilder, as the ones by Cosmé Tura (Venice, Museo Correr)
and Niccolò dell’Arca and his followers, which emphasize the sorrow of the
pious women: the Virgin is holding the perilous body of Christ, and kissing
his hand, while almost fainting; the crown of thorns has fallen to the
ground. In the panel at the Walker Art Gallery in Liverpool, Ecole proposed
a completely different version of this subject, in a tragically composed and a
solitary atmosphere. For the common attempt to dialogue with the plastic
groups of the Pietà, this early work by Maineri could be read alongside
the sadly half lacerated altarpiece by Bianchi Ferrari with the Crucifixion
with Sts. Dominic, Peter the Martyr and Mary Magdalene, now held at the
Galleria Estense in Modena, but originally located in the cappella della
Croce in San Domenico (fig.10),45 or the later Lamentation at the presence
of a Benedictine monk in prayer (fig.9), which emerged from the art market
and was published by Daniele Benati in 1990.46 A closer comparison for
Maineri’s triptych seems the one with the solemn and crowded Crucifixion
frescoed by Ercole in the Garganelli chapel, which is cited in the central
panel: here the Virgin is sustained by a group of sorrowful women,
clenching their fists just like the old woman on the right of Maineri’s
composition (Mary of Salome or Mary of Cleophas) (fig.11). A similar gesture
characterises also St. John the Evangelist in Maineri’s altarpiece with the
Lamentation on the Dead Body of Christ, restored in 2017 and now held in
the Museo nazionale di Palazzo Venezia in Rome fig.12), formerly in the
Blumenstihl collection and originally from the church of San Domenico
in Ferrara.47 Here, Joseph of Arimathea, who is represented while holding
a jar containing perfumed ointments, appears like a crypto-portrait of the
patron. The composition is slightly different, but some details are identical,
such as the crown of thorns falling to ground and the cloth covering Christ.
Maineri’s catalogue was first settled with regard to works for private
devotion such as the Holy Family and the Christ Carrying the Cross, by an
article of Philip Pouncey (1937) who recognised the main role of Maineri
in the pala Strozzi della Concezione and attributed to him the small
Costabili altarpiece, formerly at the Metropolitan Museum in New York.48
Nevertheless, his early activity is still confused. The critical rediscovery

46
of Maineri, who had been neglected in the Ferrarese literature, was first
undertaken by Adolfo Venturi on the basis of the findings in the Archivio
di Stato di Modena and of two signed works (the Holy Family in the
Testa collection in Ferrara and the Madonna and Child in the Accademia
Albertina in Turin, fig. 13). Venturi reconstructed the profile of artist as
consisting of four works (1888) and later fourteen works (1914).49 In other
contributions he argued the attribution to Maineri of the illuminations of
the Della Rovere Missal in Turin (fig.6)50 which were later recognised by
Pietro Toesca as works by Francesco Marmitta, and of the diptych with
the Nativity and the Lamentation now in the National Gallery in London,
which is now considered as an authentic late masterpiece of Ercole de
Roberti.51 Venturi also discussed as works by Maineri the so-called Medea
in the Cook collection, now held at the National Gallery in Washington,
which is also closely related with Ercole. Silla Zamboni argued in favour of
an attribution to Maineri of the Lucretia of the Galleria Estense in Modena,
a small painting surely by Ercole, and of the Atalanta and Hippomenes of
the Gemäldegalerie in Berlin, which actually seems to be by the same hand
of the Stories of the Argonauts that Longhi considered an early work by
Lorenzo Costa, while Andrea Bacchi and I believe it should be referred to
the Bolognese activity of Bernardino Orsi da Collecchio.52 Other additions
to the catalogue of Maineri were proposed, such as the cutting with the
Circumcision at the Biblioteca Reale in Turin, and a few drawings: the Pagan
Sacrifice at the Art Institute of Chicago (formerly collection of Geoffrey
Gathorne-Hardy of Newbury, Berks)53 and the Massacre of the Innocents
at the Louvre,54 which we now consider as an early work, influenced by
Ercole, of the Bolognese illuminator Giovanni Battista Cavalletto, who
was recently rediscovered.55 The same should be said of the two bizarre
Pagan Allegories at the Muzeul de Arta in Bucarest, attributed to Maineri
by Carlo Ludovico Ragghianti.56 One of the aspects of Maineri’s catalogue
which remains unsolved is his activity in Ferrara in the early 1490s,
when he started to establish his fame in the shadow of Ercole de’ Roberti
and within the court of the duke Ercole I and of the duchess Eleonora.
The reference to Ercole was inevitable for a young painter who was training
in Ferrara in those years. Following the death of the great patriarch of
Ferrarese painting, it will be necessary to wait until the arrival of Boccaccio

47
48
Boccaccino in 1497 to see the advent of a renovated protoclassicism. On the
other hand, it seems interesting to note that at least in one documented
case Maineri inherited one of Ercole’s unsolved commissions: I am referring
to the Annunciation requested by Clara Clavee, the widow of a citizen from
Valencia, on the 24th January 1494, to the carver Benardino da Venezia for
the carpentry and to Ercole de’ Roberti for the painting, which was destined
for the altar of the church of Santo Spirito. After the death of Ercole, the
widow asked Maineri to take the job, but he did not complete the painting,
as we learn from a letter addressed by Clavee to Isabella d’Este on 18th March
1504, hoping to obtain from the artist the work she had already paid for.

The Passion triptych gives us the opportunity to open an unparalleled


glimpse into the early history of Maineri, under the influence of Ercole. This
painting bears strong similarities with the early illuminations of Francesco
Marmitta (such as the ones from the Petrarch in Kassel, even more than the
ones in the Della Rovere Missal, fig. 6), the early works of Lorenzo Costa, of
Giovan Battista Cavaletto and Bernardino Orsi, as well as Francesco Bianchi
Ferrari, who is another accurate interpreter of the devotional passion that
was so popular at the end of the 15th century. However, none of these artists
help to solve the attribution of this triptych, which instead can be usefully
argued through the comparison with other works by Maineri, since it bears
the same warm tones, softly tempered in the humid redness of the flesh;
it also shows Maineri’s unique ability in combining a monumental style
with a more intimate language based on the observations of close details
of reality, which bring him closer to contemporary Lombard painters
such as Ambrogio Bergognone or Vincenzo Civerchio. The setting is not
simple at all, but thanks to the importance assigned to the landscape
this painting can compete with the Venetian examples of the Bellinis
even more explicitly than Ercole’s works. Furthermore, this solution
discourages the excessive display of complicated elements, as in the corte
del Pretorio: stairs, balustrades, old-fashioned columns, friezes, capitals,
trabeation, reliefs, mosaics, statues, gesticulating figures in costume,
astonished spectators, a Domican patron in meditation…in the marvelous
Flagellation in a private collection, that Longhi described as “a Sacred
conversation set in a court governed by an insane and sadistic zealot”

49
57
The folds appear more angular and tubular, compared to the complicated
protoclassical and Germanizing draperies of the mature works (a response
to the circulation of German prints by Schongauer and Dürer). The tributes
to Ercole that we shall illustrate, and this particular type of drapery, suggest
a relatively early date. The energetically broken folds of the Magdalene’s
red cloak in the Crucifixion and the blue mantle of the Madonna in the
Lamentation depend in some way from the sharp stylisations of Ercole,
but they also resemble the treatment of the surfaces like “crumpled paper”
that is typical of Lombard sculpture, from Giovanni Antonio da Amadeo to
Giovanni Antonio Piatti (fig.14). In this sense, they seem close to some of
the early works by Francesco Bianchi Ferrari, like the Madonna and Child
from the York Art City Museum (fig.15).58 We could make some punctual
comparisons with the blue mantle of the Madonna in the signed panel at
the Accademia Albertina (fig.13), or the loincloth of St. Sebastian from the
Kress collection, at the Brooks Memorial Museum of Art in Memphis (fig.16).
Maineri likes to animate the background with landscapes full of ravines,
lakes, sloping rocks and woods, often inhabited by small figure of
saints, which enrich the iconographical repertory of the painting, with
narrative aspects that resemble the devotional paintings of Jacopo
del Sellaio, usually big in format and with complex compositions.

This is clearly visible, for example, in the small altarpiece with the
Madonna and Child with Sts. Cosmas and Damian, at the Fitzwilliam
Museum in Cambridge (fig.17), which shows in the background the vision
of St. Eustace during the hunting and the fight of Saint George with the
dragon, with the curious effect of making so normal and so accidental
events that are actually exceptional! Even in the triptych of the Passion
the horizon is very high and the narration is extended and dispersed in
the background, with the soldiers at the head of the procession dragging
the two thieves, up to the hills, with the view of Jerusalem at the bottom
of a valley, the three crosses of the deserted Golgotha against the sky, and
the two figures of Joseph of Arimathea and Nicodemus walking down
the hills. Similar figures animate the landscape, with rocky and natural
elements, that appears in the big narrative scenes painted by the young
Lorenzo Costa (for example the tempera paintings of the Bentivoglio

50
chapel in San Giacomo Maggiore in Bologna), or the ones of Francesco
Marmitta and Francesco Bianchi Ferrari. The twirling figure of the soldier
and the intersecting display of the thin spears at the bottom of the Way
to Calvary recall the minute and nervous silhouettes of the knights in
attendance in early Crucifixion by Costa in the Berenson collection (fig 7).
The three rocky hills that stand out in the two side panels resemble the
corroded and notched cliffs that can be seen in a painting by the young
Cavalletto, the Nativity of Christ at the Fitzwilliam Museum in Cambridge
(fig.18, as well as in the related drawing now held at the Gabinetto disegni e
stampe degli Uffizi),59 and in the Madonna and Child by Bianchi Ferrari at the
Museo Nacional Thyssen-Bornemisza in Madrid (fig.19),60 to the extent that
one suspects the existence of a common source, presumably a lost painting
by Ercole himself. For the view of the rider from the back, with the relative
glimpse of the horse, at the bottom of the Way to Calvary, it is necessary
to look back at the famous fresco by Ercole in the Garganelli chapel, which
according to Michelangelo “was worth half the city of Rome”: here a
similar figure is presented on the left, which seems to have been studied
in a preparatory drawing that is often considered - I believe unjustly – by
Ercole, held at the Staatliche Graphische Sammlung of Munich (fig.20).61

The group of the three crucifixes is quite impressive: Christ between the
two thieves, the strongly foreshortened crosses, the bodies in tension.
This Crucifixion is very similar to the great one in Mirandola by Bianchi
Ferrari (fig.8), to the one illuminated by Marmitta in the Della Rovere
missal (fig.6) and to a drawing in the Louvre. The small panel by Costa in
the Berenson collection (fig.7), should also be recalled within this group,
and it should be noted that all these works could depend on the Bolognese
fresco by Ercole, where the three crosses were similarly displayed, even
though of this composition we only have derivations of the lower part.
As in some memorable masterpieces by Bergognone, the Lamentation in
Budapest and the Pietà in the Cagnola alla Gazzada collection, the Vesperbild
is literally set in the evening, so that the redness of the sky accompanies
the pathetic mood of the scene. Another exquisite painting in the Cook
collection in Richmond is similarly set at the light of sunset, presenting a
particular interpretation of the Engelpietà (fig.22), which seems to belong to

51
a different moment, when the painter express himself with a more rhythmic
and protoclassical style. Here, the figure of Christ seems animated, even if
bloodless, and recalls the famous Christ by Mantegna in Copenhagen, whose
forehead is sustained by a slender and thoughtful angel. The surrender of
nature and the landscape, the saturated tones of the rocks, the scattered
pebbles and the sparse grass in the foreground, the pictorial touches of light
on the foliage of the trees are reflected in this triptych of the Passion, which
displays a detailed description of natural elements, skillfully touched by the
point of the brush and soaked in warm colors. The figures of the soldiers
who drag Christ on the road to Calvary, especially for those trousers that
adhere strictly to the body and the bare legs, may resemble the predella of
San Giovanni in Monte, now in Dresden (fig.23), a dizzying masterpiece of
Ercole de ‘Roberti, where there is an overheated expressive temperature,
overwhelming, almost surreal, that Maineri dilutes in a more shady and
humanly consistent rendering. Let’s observe the almost hesitant gestures of
Christ, his face swollen with pain, who is leaning on the Cross, rather than
supporting it: these same gestures appear in the later depictions of Christ
by Maineri (fig.21), which can be considered as Andachtsbilder, where Christ
seems to caress the wood with the tips of his fingers and abandons himself
in a transposition that is very sweet and painful, with an ambiguity that is
typical of the painter and of his way of adhering to the protoclassical manner.

52
Notes

For a documented account of Maineri’s biography (probably born around 1470, and first
33

documented in Mantua in June 1506) see: Silla Zamboni, Pittori di Ercole I d’Este, Milano
1975, pp. 39-41; Federica Veratelli, s. v. Maineri, Giovanni Francesco, in Dizionario biografico
degli italiani, 67, 2006.
34
See Luisa Cogliati Arano, Andrea Solario, Milano 1965, pp. 113-115.
35
As Longhi previously noted: “Maineri’s affectation often indulges in archaic elements,
which are evoked through the most refined and precious aspects of the courtly taste, that is
of the art of the time of Pisanello, Jacopo Bellini, Gentile da Fabriano, exhumations of sixty
years earlier!”(R. Longhi, Officina ferrarese, Roma 1934, p. 105).
36
See F. Zeri, Un appunto per il Maestro dell’Annunciazione Ludlow, in Diari di lavoro,
Bergamo 1971, 2nd edition, Torino 1983, pp. 57-61, fig. 63 (Madonna and Child Enthroned,
formerly in Rome, with the antiquarian Antonio Jandolo).
37
[...] In the workshops that were granted by the duke to his most beloved artists, a peculiar
bigoted aestheticism distinguished the painters at work, which complicated even the
most simple devotional subjects, with episodic additions and ornamental motives. The
most typical representative of this trend in Ferrara, since the late 15th century, is Gian
Francesco Maineri, originally from Parma […] He truly is the inventor of the decorations
for the beds of the aristocratic nuns or of the pious princesses, with his embellished and
sometimes indiscreet compositions of Holy Families; as Lanzi would have said, this is art
for “the faldstool of the leaders”(Longhi, Officina ferrarese…, pp. 104-105). On the devotional
vocation of Maineri see also: Silla Zamboni, Pittori di Ercole I..., pp. 10-24, 39-61, which in
fact represents the only monographic study that has been devoted to the artist until now;
see also: David Alan Brown, Maineri and Marmitta as Devotional Artists, in “Prospettiva”,
1988-1989, 53-56 (Scritti in ricordo di Giovanni Previtali), pp. 299-308.
38
Oil on panel, 22.5 x 10.2 cm (The Way to Calvary), 22.6 x 10.3 cm (Crucifixion) and 22.6 x 10.1
cm (Lamentation over the body of the Dead Christ), depth 0.5 cm. Up until now, the painting
was only known from a black and white photo reproduced by Alfredo Puerari (Boccaccio,
Milan 1957, pp. 55-58 and p. 179, note 65 and 223, fig. 22) who was advised by Maria Luisa
Ferrari on her monographs on Boccaccio Boccaccino, when it was in a private collection
in Spino d'Adda. In his publication, Puerari tried to insert the work in the early steps of
Boccaccino's story, in Ferrara and under Ercole de Roberti's influence, considering this the
first of his productions, dating it between 1486 and 1490, before his earlier documentation
in Genoa in 1493. The attribution, unreliable if not for the recognition of the high quality
of the work of art, was not acknowledged in the following studies - it is not even discussed
by Marco Tanzi in Boccaccio Boccaccino, Soncino (CR) 1991- nor has this triptych ever been
reconsidered since this publication.
39
London, British Library, Add. Ms. 500002 (U. Bauer-Eberhardt, Francesco Maineri als
Miniator, in “Pantheon”, XLIX, 1991, pp. 88-96). Maineri qualifies himself as “imminiator”

53
(illuminator) in a letter addressed to Isabella d’Este on 23rd June 1506 (A. Luzio, La galleria
dei Gonzaga, Milano 1913, p. 197).
40
See David Alan Brown, in M. Boskovits – D. A. Brown, Italian Paintings of the Fifteenth
Century. The Collection of the National Gallery of Art. Systematic Catalogue. National Gallery
of Art, Washington, Washington 2003, pp. 552-556. It has never been noticed before that
the three panels, now transferred to canvas, were differently cut: the lower part of the
Crucifixion suffered a major loss, and should be aligned much higher, so that the landscape
would continue perfectly from panel to panel, besides the frame that now unifies the three
compartments of the painting.
Turin, Museo Civico di Arte Antica, inv. no. gen. 497: see S. Pettenati, in Francesco
41

Marmitta..., pp. 334-336.


42
Settignano, Villa I Tatti, Harvard University, Center for Italian Renaissance Studies,
collezione Berenson (see Carl Brandon Strehlke, in The Bernard and Mary Berenson Collection
of European Paintings at I Tatti, edited by C. Brandon Strehlke e M, Brüggen Israëls, Milano
2015, pp. 211-216)
43
Modena, Galleria Estense, inv. no. 442: see Daniele Benati, Francesco Bianchi Ferrari e la
pittura a Modena fra ‘400 e ‘500, Modena 1990, pp. 149-150.
44
Zamboni, Pittori di Ercole I..., pp. 53-54. In a late inscription from the 18th or 19th century,
placed under the frame on the left of the Way to Calvary, attributed the painting to the great
German master “Alberto Dureru pinxit”.
45
Modena, Galleria Estense, inv. no. 8410: see Benati, Francesco Bianchi Ferrari..., p. 152.
46
Panel, cm 70 x 50. It should be noted that both Bianchi Ferrari in this work, and Maineri
in his Flagellation, insert a kneeling monk, in scale with the other figures, who takes part in
the sacred event, staging the same type of mental prayer that the artist wanted to inspire
(on this fascinating topic, that had a great development in the religious painting of the
sixteenth century, particularly in Lombardy, there is a forthcoming book by Francesco
Frangi, who studies in particular the case of Gian Girolamo Savoldo).
47
Assigned to Maineri by Andrea Bacchi (Dipinti ferraresi della collezione Vittorio Cini,
Vicenza 1990, pp. 36-43) and Daniele Benati (Francesco Bianchi Ferrari..., pp. 121, nota 67,
e 129), this work was restored and exhibited at the IX Biennale d’antiquariato in Palazzo
Venezia, Rome, in 2017.
48
Philip Pouncey’s early contribution on the pala Strozzi in London (Ercole Grandi’s
Masterpiece, in “The Burlington Magazine”, LXX, 1937, pp. 161-168), which resulted from the
analysis of the x-rays undertaken on the painting, was really impeccable, as Silla Zamboni
fairly admits (Pittori di Ercole I..., pp. 11, 16-17), despite the arbitrary blame manifested
by Roberto Longhi, who in those years was influenced by the nationalistic and fascist
propaganda against the “Perfidious Albion”.
49
A. Venturi, Gian Francesco de’ Maineri pittore, in “Archivio storico dell’arte”, I, 1888, pp.
88-89; Id., Gian Francesco de’ Maineri pittore e miniatore, in “L’Arte”, VIII, 1907, pp. 33-40, 148-
149; Id., Storia dell’arte italiana, VII/3, Milano 1914, pp. 1104-1120.
50
A. Venturi, Museo civico di Torino. Alcune miniature, in “Le Gallerie nazionali italiane”, III,
1897, pp. 165-168.

54
A. Venturi, La pittura del Quattrocento nell’Emilia, Bologna 1931, p. 92.
51

52
A. Bacchi – A. De Marchi, La formazione a Bologna, in Francesco Marmitta, edited by A.
Bacchi e A. De Marchi, Torino 1995, pp. 17-52.
53
Attributed to Maineri by Philip Pouncey, in Loan Exhibition of Drawings by Old Masters
from the Collection of Mr. Geoffrey Gathorne-Hardy. P & D. Colnaghi, London 1971, cat. 8, e
da Zamboni, Pittori di Ercole I..., p. 56. It was acquired by the Chicago museum in 1981 (inv.
no. 1989.686) with the Regenstein collection (cfr. K. Lippincott, A Masterpiece of renaissance
Drawing. A “Sacrificial Scene” by Gian Francesco de’ Maineri, in “The Art Institute of Chicago.
Museum Studies”, XVII, 1991, 1, pp. 7-21).
54
Paris, Louvre, Département des Arts Graphiques, inv. no. 441. Both drawings were
illustrated as early works by Maineri, with a questions mark, in Bacchi – De Marchi, La
formazione a Bologna... p. 52, figs. 44-45. However, I now believe them to be by Cavalletto.
55
U. Bauer-Eberhardt, Matteo da Milano, Giovanni Battista Cavalletto und Martino da Modena.
Ein Miniatoren-Trio am Hofe der Este in Ferrara, in “Pantheon”, LI, 1993, pp. 62-86; Giovanni
Battista Cavalletto. Un miniatore bolognese nell’età di Aspertini, exhibition catalogue, edited
by M. Medica, Cinisello Balsamo (MI) 2008.
56
R. [C. L. Ragghianti], Notizie e letture, in “La Critica d’arte”, 1938, pp. XV-XVI. The attribution
to Cavaletto was first suggested by Ulrike Bauer-Eberhardt, I Trionfi del Petrarca per Andrea
della Valle, in “Rivista di Storia della miniatura”, IV, 1999, pp. 161-168.
57
Longhi, Officina ferrarese..., p. 105.
58
Benati, Francesco Bianchi Ferrari..., p. 154.
59
Florence, Uffizi, Gabinetto disegni e stampe, inv. no. 603P (Giovanni Agosti, Disegni del
Rinascimento in Valpadana, Firenze 2001, pp. 123-126, to whom I suggested the connection
of the Uffizi sheet with the one in Cambridge, and the attribution of both works to Giovan
Battista Cavalletto).
60
Cfr. Benati, Francesco Bianchi Ferrari..., p. 149. I believe that the drawing at the Albertina in
Vienna, depicting Christ with the three apostles and doubtfully attributed to Marco Basaiti,
is a beautiful example of the qualities of Francesco Bianchi Ferrari as a landscape artist and
should thus be assigned to him (I, Ven. 22, inv. no. 1455, see Disegni veneti dell’Albertina di
Vienna, exhibition catalogue, edited by O. Benesch, Vicenza 1961, pp. 18-19, cat. no. 7).
61
Munich, Staatliche Graphische Sammlung, inv. no. 2144.

55
Credits
Claudio Giusti, Florence (all images of the Stories of the Passion, Benappi Fine Arts)
BAMS photo/Scala, Florence (fig.1)
The British Library Board (figg.2 and 3)
Raffaello Bencini/Archivi Alinari, Florence (fig.4)
Fine Art Images/Archivi Alinari, Florence (fig.5)
Turin, Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica. By permission of the Fondazione Torino Musei
(fig.6)
The President and Fellows of Harvard College (fig.7)
Photo Scala, Florence (fig.8)
Fototeca Zeri (fig.9 and 11)
By concession of the Ministry of Cultural Heritage and Activities / Finsiel / Alinari Archives (fig.10)
The Victoria and Albert Museum, London, Alamy Stock Photo 2015 (fig.14)
Memphis Brooks Museum of Art (fig.16)
The Fitzwilliam Museum, University of Cambridge, UK / Scala, Florence (fig.17)
The Fitzwilliam Museum, University of Cambridge, UK (fig.18)
Elke Este. Photo Scala, Florence/bpk, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin (fig.23)
Staatliche Graphische Sammlung München, Inv.-Nr. 2144 Z (fig.20)

IMPRINT

Publisher: Benappi Fine Art


Editor: Enrica Roberto
Author: Andrea De Marchi
Translation: Sarah Ferrari
Design: Bolter Design
Print: Arti Grafiche Parini, Turin, September 2019

Benappi Fine Art, London, February 2019


London Turin
27 Dover Street, W1S 4LZ via Andrea Doria 10, 10123

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