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APPUNTI STORIA DELL'ARTE

MEDIEVALE UNIFI/ DE
MARCHI
Storia dell'arte medievale
Università degli Studi di Firenze
112 pag.

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STORIA DELL’ARTE MEDIEVALE 2021/22

SBOBINE A cura di Valentino Perna (IG: valentino.perna )

Da accompagnare con le immagini fornite dal prof De Marchi su moodle.

INDICE
MODULO 1 ………………………………………………………………………………………………………………………….….…………PAG 2
1) INQUADRAMENTO STORIOGRAGICO, ARTE MEDIEVALE TRA MIMESI ED ASTRAZIONE…..……………….……….…..PAG 2
2) LA RISCOPERTA DELLA NATURA, LA RESA DELLO SPAZIO E DEGLI AFFETTI………………………………….….….……PAG 5
3) LA FORTUNA DELL’ANTICO………………………………………………………………………………..……………..……….……PAG 6
4) IL RUOLO DELL’ARTISTA NEL MEDIOEVO E LA RAPPRESENTAZIONE DEL POTERE………………………..……………..PAG 9
5) SPAZI ARCHITETTONICI E DECORAZIONE, I PROGRAMMI ICONOGRAFICI, ILLUSIONISMO…………….…….………PAG 14
6) TECNICA E STILE, CONSERVAZIONE E RESTAURO……………………………………………………………….………………PAG 17
7) LA CRISI DEL NATURALISMO CLASSICO TRA TARDO ANTICO E PALEOCRISTIANO………….……….………….……..PAG 21
8) RAVENNA, L’ETA’ DI GIUSTINIANO E LA GENESI DELL’ARTE BIZANTINA……………………………….….…………….PAG 23
9) LE INVASIONI BARBARICHE E L’ARTE DEI LONGOBARDI…………………………………………………..………….………PAG 27
10) LA RINASCENZA O RENOVATIO CAROLINGIA…………………………………..…………………………….…………………PAG 30
11) L’ARTE DELL’ANNO MILLE……………….……………………………………………………………………….…………………...PAG 33
12) ROMANICO EUROPEO, ROMANICO PADANO……….……………………………………………………….…………………....PAG 37
13) IL MERIDIONE E LA SICILIA NORMANNA, SECOLI XI-XII………………………………..……………….……………………..PAG 42
14) VENEZIA TRA I SECOLI XI-XII TRA ORIENTE ED OCCIDENTE…………………………………………………………………..PAG 47
15) ARCHITETTURA, SCULTURA E PITTURA IN TOSCANA IN ETA’ ROMANICA……………………………………………….PAG 51

MODULO 2……………………………………………………………………………………………………………………………………….PAG 55
1) GENESI E SVILUPPO DEL GOTICO EUROPEO NEL DUECENTO……………………………….………………..……..………..PAG 55
2) DA ANTELANI ALLA SCUOLA FEDERICIANA, A NICOLA PISANO…………………………………………….….………….PAG 59
3) L’EREDITA’ DI NICOLA: GIOVANNI PISANO E ARNOLFO DI CAMBIO………………………….……………………………PAG 64
4) LA PITTURA DEL DUECENTO E LA QUESTIONE GRECA………………………………………….….…………….……………PAG 68
5) ARTE E DEVOZIONE: LA CROCE DIPINTA E LA DEPOSITIO CHTISTI…………………………………………………………PAG 71
6) IL RINNOVAMENTO DELLA PITTURA DA CIMABUE A DUCCIO…………...………………………………………………….PAG 72
7) CENTRALITA’ DI ASSISI ED ORIGINE DELLA RIVOLUZIONE GIOTTESCA……………………………………………….…..PAG 76
8) ITINERARI DI GIOTTO E NASCITA DELLE SCUOLE REGIONALI……………………..…………………………………………PAG 82
9) LA PITTURA DI FIRENZE NEL TRECENTO………………………………………………….……………………………………….PAG 86
10) IL RUOLO DI SIENA NEL TRECENTO……………………………………………………..…………….…………………………….PAG 92
11) VENEZIA MUNDUS ALTER……………………………………………………………..………………………………………………PAG 97
12) ARTI NELLE CORTI DEL NORD ITALIA: SCALIGERI, CARRARESI E VISCONTI………………………………………………PAG 98
13) IL GOTICO INTERNAZIONALE IN EUROPA………………………………………………………………………………...……..PAG 102
14) DA GENTILE DA FABRIANO A PISANELLO……………………………………………………………………………………….PAG 107
15) IL GOTICO INTERNAZIONALE IN ITALIA…………………………………………………………………………………………PAG 111

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MODULO 1
1. INQUADRAMENTO STORIOGRAFICO, ARTE MEDIEVALE
TRA MIMESI ED ASTRAZIONE
Il medioevo inizia nel 476 con la fine dell’Impero romano. Il processo inizia già dal tempo di Costantino, con
l’affermazione dell’arte Paleocristiana. Vasari è il massimo storiografo dell’arte che scrive del Rinascimento,
1300/1400, partendo da Cimabue, Giotto come rinascita dell’arte. Il medioevo suggerisce invece una
decadenza delle arti. Prende come paradigma della decadenza delle arti, l’Arco di Costantino. Non tutto
esso è dello stesso tipo, le figure che lo formano sono diverse. La parte alta e nei tondi è distinta nei tondi
dai fregi più bassi, c’è una caduta qualitativa, irrazionale ed è pastellata la raffigurazione. Vasari condanna
l’arte medievale in negativo, il disfacimento inizia nel tardo impero e viene riscattata nel primo 1300. Persa
la perfezione del disegno. I vuoti dei tondi dell’arco dimostrano ciò. L’arco di Costantino è ai primordi
dell’arte medievale, è assemblata, composita di opere di altra provenienza, ad esempio estratti da altri
edifici. Questa disinvoltura combinatoria sarà propria di molte altre opere medievali. Bisogna avere una
comprensione storica del fenomeno che non bolli in maniera unica le opere diverse. La fine dell’800 a
Vienna gli studiosi studiarono il tardo impero e videro nella decadenza della crisi l’emergere del Konsfollen,
ovvero invenzione formale artistica, che si distingue dai canoni antichi come mimesi, proporzione ecc. Si
hanno invece visioni più astratte, immagini eterogenee, sgrammaticatura linguistica che apre la strada ad
una mentalità radicalmente diversa, impregnata dalla visione simbolica, dai valori comunicativi. La
figurazione rimanda ad altro, è trascendente. Altre opere che si accomunano all’arco di Costantino,
possono essere trovate nella città da lui fondata, Costantinopoli. La base dell’obelisco del circo, fatta da
Teodosio, mostra un cubo con un parallelepipedo dove sono rappresentati i giochi del circo come chiarezza
didascalica. Al circo di connette la coorte imperiale che si affaccia. Ci sono ai loro piedi le province
sottomesse. Non ci sono proporzioni gerarchiche, i popoli sottomessi sono piccoli, quelli importanti più
grandi. Maiestas, aurea del potere, è una raffigurazione di faccia, di prospetto, avente aurea di sacralità in
questo caso del potere imperiale. L’immagine di profilo (prendiamo ad esempio le monete, l’imperatore è
di faccia perché importante), è quasi caricata e grottesca, quindi si collega ad un personaggio inferiore,
malvagio, nemico… l’arte è più astratta ma non senza valore. Non si trova una causa unica per l’arte
medievale, in quanto c’erano più teorie della sua nascita, come dai barbari o dall’oriente. La Genesi di
Vienna è un codex enorme, un frammento della Bibbia, della Genesi, è pergamena purpurea, crisografata
(in oro), molto illustrato, più della metà della pag. è disegnata, in questo caso il diluvio universale, scritto in
greco. In termini di raffigurazione dello spazio, l’arca è ritagliata sul monte Ararat, il miniatore ha dipinto il
trampolino che esce dell’arca, ma c’è ambiguità, a sinistra si poggia sul monte, a destra va nel vuoto. Con
trampolino che divide immagini di sopra da sotto. Poche pennellate come da arte tardoantica. È un
pittoricismo che si trasforma in scrittura, la roccia è lumeggiata ma c’è un contrasto eccessivo tra la luce del
riflesso e le ombre. Il cavallo ha pennellate bianche, nere, marroni chiari e scuri, c’è dunque una
disgregazione del dipingere che poi diventa arte bizantina, pitturata per schemi. È una fase di transizione
questa Genesi, alla fine dell’impero e alle radici dell’arte bizantina.
Vangelo di S. Gallo, massimo livello della disgregazione naturale della forma di ereditarietà classica. Popolo
barbarico di origine celtica evangelizzato da poco, ha una sua giovinezza in questi codici sacri. Grandi
dimensioni, ricoperti in oro, esibiti sugli altari. Questa nel Vangelo di S. Gallo è la crocifissione di Cristo. Le
geometrie sono particolari, la pittura entra in crisi. Ci sono placcature a ricordare l’arte orefice,
contrapposizioni di colori molto intensi. Cristo vestito di conoplion, rosso e azzurro, al limite
dell’astrazione. Era il vertice dell’arte dell’epoca. Si allontana dalla mimesi del reale, anche per astrazione
di stampo religioso, messa in discussione la veridicità delle origini antropomorfe, Cristo si è rivelato simile a
noi ma c’è la ricerca di astrattismo. Un altro esempio è il Vangelo di Eschtermarch , leone di San Marco
decorato molto, eleganza dei riccioli della criniera, della coda, dei colori con contrapposizioni di giallo
elettrico fiammante. Zampe erte, artigli neri per sottolineare l’atto del balzo dell’animale. Altro esempio è il
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vangelo di Lindisfarne, raffigurazioni aniconiche, senza raffigurazione naturalistica. C’è un groviglio lineare
in cui si vede a stento dei trampolieri. Tante espressioni dell’arte orientale come islamica, ma non sempre ci
sono rapporti diretti, ma uno sviluppo parallelo di tendenze similari. Un altro esempio didattico è sempre
nello stesso vangelo, dove c’è San Matteo all’opera che scrive sul codice. Il pittore non crea da zero ma si
appoggia ad un canovaccio di modelli di base. Immagine già codificata permetteva a risalire a immagini
sacre. Parte dalla copia, ma non è mai letterale, non fisiologica, è sempre interpretazione. È un copiare con
grande libertà, connotando diversamente l’immagine. Conosciamo una parte dell’arte medievale,
tantissimo è andato perso, bisogna fare congetture, in questo caso si può fare un confronto tra San Marco
di Lindisfarne e il Codex Amiatinus. Il disegnatore è diverso, copiava da modelli precedenti, ha ancora il
modo di dipingere più pittorico e aderente alla visione del reale. Il miniatore irlandese invece semplifica
alcuni elementi (quello del San Marco), ma gli sgabelli dei due sono gli stessi, caricati da placcature
sgargianti similari all’arte orefice. L’eterogeneità è disarmante anche se appartenente allo stesso genere.
OMBRA PROIETTATA
Il concetto della forma viene in crisi, a Ravenna abbiamo dei mosaici importanti, a San Vitale c’è la scena
della mensa di Abramo. I tre angeli sono simbolici della trinità, sono diversi tra loro, le mani hanno una loro
gesticolazione, la raffigurazione tende a sagome schiacciate, il tavolino ha delle falle, il piano di posa ha
quasi una prospettiva inversa. Il piano va dalla luce all’ombra con un effetto desemantizzato. Perso utilizzo
di volumi, è paradossale, grande attenzione a trasmettere contenuti simbolici e poca attenzione al colore,
al volume, alla luce. Sono i caratteri contraddittori dell’arte. Il tronco dell’albero sembra essere realista ma i
colori usati per esso sono diversissimi tra loro.
Anche nell’arte classica c’era questo mischiare colori, ma era usata bene, a Pompei c’è un mosaico, I sec
a.C., complessità dei volumi, della resa del movimento dei musici, abbiamo tessere di colori diverse ma
disciplinate nei volumi, nelle luci, ombre, che sono tra l’altro proiettate a terra. Il piano di posa non è
ribaltato. Le ombre proiettate sono indicatore importante della desemantizzazione linguistica formale
dell’arte verso il medioevo. Non c’è la consapevolezza della forma e proporzione.
Mausoleo di Galla Placidia, ai piedi della cupola ci sono 4 lunette, in una due apostoli, Pietro e Paolo
ammantati dalla toga clavata dei senatori romani, ancora c’è un legame con il mondo classico, figure che si
rivolgono verso l’alto, sono di profilo, hanno un senso di movimento, il panneggio ha una caduta verticale,
c’è un legame con il naturalismo, ma considerando l’ambientazione, il piano non è chiaro, dissolve verso
l’azzurro che evoca una dimensione indefinita, dell’infinito stesso, trascendente, misterica, sacrale,
attraverso i gesti verso il cielo dei due Santi. Ci sono due colombe che bevono al centro, non si appoggia al
piano ma si staglia direttamente nel centro dell’azzurro. Il tutto è sovrastato dalla conchiglia (o valva),
avente colpi di bianco puro che emerge dall’ombra, si incastra nella lunetta, è librata nel vuoto, evocando
una dimensione indeterminata volutamente, dando il senso dello sfondamento verso una dimensione sacra
e trascendente. Ai piedi dei santi ci sono delle ombrette ma sono involucri vuoti che non si sa che senso
abbiano.
Sempre nel mausoleo c’è nella lunetta della controfacciata il Cristo Buon Pastore, ci sono ombre proiettate
a terra, ma c’è sempre una disarticolazione dalla realtà. La croce è poggiata a terra. Tema bucolico
virgiliano, rocce, arbusti, agnello, figura del Cristo animata in torsione, genera quasi lo spazio, gambe
incrociate, mano affettuosa che accarezza l’agnello, altra mano che regge la croce, testa voltata. Ha delle
parti restaurate, la raffigurazione tendeva a campiture più omogenee e razionali. Sul fondo ci sono varie
tonalità di azzurro, prospettiva aerea come dice Leonardo, colline e montagne verso orizzonte che si
schiariscono, c’è un residuo di questa soluzione naturalistica. Con Galla Placidia siamo all’inizio del processo
di non realtà. A Castelserpio, centro di formazione Longobarda, dopo la loro invasione nel 568, in alto c’è
l’angelo ma senza colore, è quasi atmosferico della forma, molto dinamico e vivace. A terra dei magi ci sono
le ombre proiettate, essi scattano come delle molle per evidenziare la forza dei loro doni verso la Madonna
e il Bambino.

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Pietro Lorenzetti fa degli esperimenti per recuperare l’ombra proiettata nell’Ultima cena, scena di cucina,
gatto addormentato, cane che lecca le briciole, ci sono ombre proiettate. Con Masaccio nel Tributo della
cappella Brancacci ci sono ombre, nella finestra la luce colpisce da destra, entra nella scena e crea le
parabole dell’ombra proiettata molto lunghe.
LO SGUARDO
Negli ultimi secoli dell’impero con l’arte tardo antica, abbiamo la dilatazione degli sguardi. Catalizzare i
contenuti forti nell’intensità dello sguardo che promana l’autorità venerante. In una catacomba a Roma
abbiamo un primo esempio, una Madonna con il Bambino ma senza aureola, il nimbo, che distingue santi
da persone normali; sembra una donna romana ingioiellata con capigliatura scoperta, velo trasparente,
l’arte bizantina prevede mantello e cuffia, questa è una raffigurazione più terrena senza raffigurazione
sacrale, pittura a grumi, sciolta, ma notiamo occhi molto dilatati e frontalità della Vergine, ha le mani nel
gesto dell’orante. Si formerà lo schema della Nicopeia, ovvero colei che è fonte di vittoria. Il processo
avviene per gradi spogliandosi dagli aspetti sensuali e terreni.
Nel VI secolo abbiamo un’icona importante, il Cristo benedicente nel Sinai del convento di Santa Caterina.
Tiene il Vangelo gemmato, la figura è ieratica, frontale, naturalezza affidata alle asimmetrie, gli occhi e le
sopracciglia danno una presenza fisica e psicologica. Il modo di dipingere è abbastanza impastato, scrivere
le luci che si concentrano nella parte lacrimare dell’occhio, sulle sopracciglia, con pennellate astratte. Idea
di presenza fisica psicologica contro immagine di sacra maiestas. Nel Cristo di Castelseprio abbiamo una
figura di Cristo simile, uno dei due sopraccigli è alzato per dare un tono psicologico corrucciato.
Il San Pietro nel convento di Santa Caterina abbiamo un pittoricismo energico e sontuoso, panneggiamenti
aventi riduzione a segno grafico, le linee più sinuose si tolgono a favore di fendenti con segni taglienti e
decisi, quasi come una scrittura. Nella crisografia notiamo che diventa concreta questa modalità. A Roma
un’icona che sopravvive è la Madonna nel gesto dell’advocata, notiamo l’aurea d’oro. Icona del VI secolo
molto importante, la Vergine prega per l’umanità peccatrice, le due mani esposte lateralmente hanno il
significato di intercessione per la misericordia di Cristo. In questa antica raffigurazione è verso sinistra.
Compresenza di pittura pregna di luminescenze, volto ancora tridimensionale che tende ad una rotondità
astratta, troppo regolare, le ombre del naso sono poco reali, il volto di tre quarti viene poi rielaborato quasi
schiacciandosi sul piano. La sclera degli occhi è quasi sporcata per renderlo lacrimoso, tema psicologico
della mestizia della Vergine, dolore umano per il sacrificio del figlio. Questa immagine si ritrova a Roma,
Santa Maria del Rosario a Monte Mario, Hagiosoritissa advocata. In quella di Campo Marzio è avvicinata
l’immagine di Cristo, che non c’è in quella a Santa Maria Aracoeli. Le due immagini hanno lo stesso gesto,
immagine disancorata dalla natura.
Ambiguità tra naturalezza e geometria autorevole, psicologia dello sguardo e trascendente allo stesso
tempo, sono caratteristiche della Testa dell’imperatore Costantino nei Musei Capitolini. Anche nella testa
femminile di Ariadne nel Louvre, vediamo labbra fini con fossette cedevoli, naturaliste, la cuffia sulla testa
ha perle che affondano nella morbidezza della cuffia, i valori più sensibili coesistono con la realtà
geometrica, contrastante con lo sguardo. Imperatrice Teodora dimostra una crescente astrazione. Anche i
mosaici di San Giorgio a Salonicco e San Cosma e Damiano a Roma, vediamo nel primo una maggiore
angolazione realistica, nella seconda più astrazione, ma in entrambi l’arcata delle sopracciglia che dimostra
mestizia. Dà un brivido di psicologia rispetto alla maschera astratta. Canna nasale che sarà tipica bizantina,
con dilatazione dello sguardo. Anche a San Vitale notiamo un apostolo che ha le tessere intorno al volto
sfumate o per dare la barba o per dare da lontano illusione.
Mosaico del Gran Palazzo, nel palazzo di Giustiniano, si vedono scenette bucoliche, testa fogliata che avrà
un’enorme fortuna nel romanico soprattutto. Idea di ibrido che viene usato per raffigurare il mondo del
peccato. La testa è ancora molto viva, il sopracciglio gli dà un tono corrucciato, tessere minute ma disposte
in maniera regolare. Movimento contraddittorio, dipende da luogo a luogo e soprattutto da quello che
capita nella storia. Affresco palinsesto, in Santa Maria Antiqua, viene creata una chiesa nel VI secolo,
tappezzata di affreschi fino al IX secolo, si trovano anche 6-7 affreschi uno sopra l’altro. Si notano 3 strati

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evidenti: Madonna con il Bambino in trono, poi abbiamo una testa di un santo e poi l’angelo di
un’Annunciazione. Questo è più pittorico rispetto alla Madonna con il Bambino. La testa va insieme alle
scritte in greco, siamo nel periodo di grecizzazione di Roma.
A Galla Placidia vediamo nella lunetta del transetto delle foglie di acanto con il cervo che si abbevera. Resa
del vello reso con tessere dorate miste con quella di pasta vitrea. In questo modo il vello sembra avere il
lustro, è come una lumeggiatura naturalistica. Analogamente nell’VIII secolo abbiamo un rilievo di età
Longobarda. I rilievi sono quasi da riempitivo. La raffigurazione è schiacciata, il piumaggio è raschiato in
modo diverso dal fogliame. Dettaglio che dà all’animale un senso di vita. In età romanica vediamo nella
cattedrale di Saint Lazare un altorilievo con ginocchia di profilo, busto di fronte e capo di profilo. La figura
che deve rendere l’Eva peccatrice, in un contorcimento di piani rende espressione e movimento. Eva che
striscia dà espressività tradotta in forza espressiva. Figure macrocefale e con estremità delle mani
esagerate. Si sopperisce al difetto di naturalezza con la gestualità. Altare di Vuolvinio in Sant’Ambrogio a
Milano. Lamina lavorata da dietro a sbalzo. Gesto benedicente e di allocuzione. Dialettica di Ambrogio
divina, l’angelo gli ispira le sue parole ed è tradotto in fisicità come un ragazzone che gli sta addosso.
Angelo tradotto in fisicità non naturalistica ma espressiva. Sempre in età carolingia vediamo il riscoprire il
classicismo caricandolo di gestualità. San Giovanni Evangelista, Vangeli dell’Incoronazione. Toga senatoria
bianca che fascia, il trono non è articolato nello spazio, le mani sono molli, i volti sono un po’ vuoti,
fondamentali sono i gesti e le posizioni, come quelle gerarchiche. Negli stessi anni il Papa Pasquale I fa fare
delle opere, come la Madonna col Bambino in Santa Maria in Domnica. Linguaggio dei gesti con Madonna
con il palmo aperto, gesto magnanimo. Il Papa ha il nimbo del vivente, un quadrato in testa usato anche per
i dignitari di grande importanza. Prende il piede della Madonna, contatto vero e proprio della divinità.
Ingresso di Cristo a Gerusalemme. Ambito bizantino, rinascenza macedone, vediamo l’opera in avorio. I
bizantini si facevano chiamare “Romaioi”, si consideravano eredi del mondo classico. Aurea di prestigio
intorno a Costantinopoli, continuità di mestiere, perizia tecnica. Unico artista che aveva il buon mestiere
degli antichi per dirlo alla Vasari. L’avorio è tagliato a sottosquadro (si va oltre i 90°), sono figure molto
dinamiche, vediamo un omaggio allo Spinario che sta in Campidoglio. Vocabolario naturalistico graficizzato,
rappresentazione complessa, ma sono vocaboli slegati, l’asino incede nel vuoto, tutto è stagliato in maniera
bidimensionale e astratta. Confrontandola con una miniatura ottoniana, i modelli vengono annegati contro
l’oro e si carica di forza elastica i gesti, i fanciulli verso la Vergine si stagliano in modo elastico. Il vocabolario
è più astratto, con alberi surreali. Tensione che passa negli occhi schizzati con la sclera aperta, per dare
vitalismo ed espressività. Vetrata a Chartres, raffigurazione piena di vita ed energia, anche se Cristo è
macrocefalo. Scena vivente. Dopo Giotto nel ‘300 ci sarà un capitolo proprio nuovo, avviene una riscoperta
del concetto dell’arte come mimesi della realtà.

2. LA RISCOPERTA DEI DATI DI NATURA, LA RESA DELLO


SPAZIO E DEGLI AFFETTI
Confronto tra Battesimo di Cristo di Giotto e Battesimo di Cristo di un mosaicista veneziano nel 1345.
Giotto incarna una riappropriazione del reale, inizia la grande odissea del naturalismo occidentale. La scena
è la stessa, sono a pochi chilometri di distanza, dimostrando che l’evoluzione non è lineare ma complessa.
L’apprendistato iniziale di Venezia è bizantino, poi diventano maestranze veneziane, che si tramandano di
padre in figlio, il mosaico non ha le potenzialità di pittoricismo, hanno un limite congenito di astrazione.
Nell’ambito sacro il linguaggio bizantino è autorevole, fa di ciò il loro punto di forza. Ci accorgiamo che ci
sono corposità di dettaglio e volti in profilo, ma il fiume Giordano è fatto da “spaghetti” codificati,
personificazione di una ninfa fluviale, erano pregni di un’eredità classica iconografica che trasmessa di
secolo in secolo diventa priva del suo senso originale. Giotto al contrario coordina i dettagli in modo che ci
sia una sorta di scatola tridimensionale, uno spazio che non è ancora quello 400esco, ma è già misurato.
Rapporto tra i pieni e i vuoti, non c’è bisogno di deformare i gesti, ma possono essere messi in evidenza

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attraverso i vuoti stessi. Per Giotto vediamo che Cristo tra due rocce non è frontale, incede come se
camminasse nella trasparenza dell’acqua, la linea dell’orizzonte non è dritta, ma è impressionante la
costruzione dei panneggi dei corpi, il braccio sinistro del Battista vede le pieghe che fasciano il corpo,
cadono giù, si rastremano e formano il corpo. Riconquista della terza dimensione come piattaforma sulla
quale si costruisce un discorso.
Prendendo una pittura di metà ‘200, Storia di San Silvestro e Costantino, vediamo il vertice di astrazione
nella pittura. Quando l’arte bizantina sta per essere messa in discussione ha un’ultima ondata di
bizantinismo in Europa. Le figure sono qui ritagliate nel vuoto, è costruito gerarchicamente, è un ciclo di
propaganda politica. Al contrario in Giotto con l’Istituzione del Presepe a Greccio vediamo una divisione
dello spazio, il tramezzo nella chiesa, con le donne fuori e gli uomini dentro che si mescolano con i frati,
vediamo la carpenteria, il sistema di ancoraggio della croce vista da dietro, ha un valore documentale,
sguardo sulla realtà che cambia lo statuto della documentazione, ci fa conoscere proprio la realtà del
tempo. È una vera e propria rivoluzione copernicana. Bisogna esaminare le fonti letterarie di Dante,
Petrarca e Boccaccio, che sono consapevoli che con la pittura dopo Giotto c’era stato un cambio epocale.
Arte dei sapienti, contraria a quella degli “ignoranti”. Si pone la base per la rivendicazione dell’intelletto e
dell’arte nel ‘400. Questa bellezza è già uno status intellettuale che viene riconosciuto. In tutto il medioevo
vengono riconosciute le grandezze degli artisti, ma sono omini meccanici, non hanno dignità intellettuale,
mentre in Giotto emerge proprio ciò. Anche Filippo Villani, nel De origine civitatis FLorentie, c’è una lode di
Firenze vista come una nuova Roma Repubblicana, in cui spicca anche la bellezza delle arti. Cimabue prima,
poi Giotto che ripristina l’arte eccelsa degli antichi. In Vasari corrispondenza tra vecchio che è negativo e
antico che è positivo. Si tratta di ritessere un nesso che si era spezzato. Concetto di pittura che sia fervida
imitatrice della natura, splendida e appagante. Cennino Cennini, allievo più fedele di Giotto scrive un
trattato sulla pittura, in cui dice che Giotto rimutò l’arte del dipingere in modo greco e latino,
ammodernandolo. Nel ‘400 Ghiberti rivendica una posizione sociale dell’artista scrivendo i Commentarii,
con una sorta di storia dell’arte dei suoi tempi in cui Giotto troneggia. Dice che “arrecò l’arte naturale e la
gentilezza con essa, non uscendo dalle misure”. Vasari dice che divenne un buono imitatore della natura da
risuscitare la pittura.

3. LA FORTUNA DELL’ANTICO
Vedute quattrocentesche di Roma. La campagna arriva dentro le mura. Città invasa dalla decadenza
durante il Medioevo, abbiamo un testo, la meravilia urbis con Fazio degli Uberti nel Dittamondo si parla di
una città in decadenza ma che conserva meraviglie. Ci sono descrizioni della forma Urbis e delle sue
meraviglie. Cimabue nella vela con San Marco e l’Italia rappresenta Roma, vediamo il frontone del
Pantheon, il palazzo dei conservatori del Campidoglio, San Giovanni in Laterano, edifici riconoscibili. Nel
‘200 c’è il tema della riconoscibilità. L’assunzione di temi dell’arte pagana classica convertiti nella nuova
esigenza cristiana, iconografia ereditata. Mosaico di San Sosma e Damiano a Roma c’è Cristo che ha la
destra sollevata nel gesto dell’adventus riconoscibile nell’Imperatore Romano, ha una toga senatoria
clavata. L’affresco di 8 secoli più tardi, di Pietro Cavallini, abbiamo la Maiestas Domini di Cristo, c’è lo
stesso gesto della mano destra alzata. Programmatica volontà di riproposizione del mondo antico. A Roma
abbiamo eredità del classicismo. Alla fine del 1200, papa Niccolò III fa costruire la cappella del Sancta
Sanctorum, una cappella personale con colonne in porfido, stile classico, nelle lunette ci sono San Pietro e
Paolo che offrono il modello dello stesso Sancta Sanctorum. Nel corso del ‘200 si sviluppa l’arte delle
decorazioni marmoree come quelle parietali, Opus cosmatesco, o romanum, che ripropone l’antico in
modo innovato, in questo caso con losanghe, triangoli, stelle. A Roma non muore mai il Mosaico, viene
coltivata soprattutto nel periodo bizantino, sulla facciata della basilica di S. Maria Maggiore vediamo un
mosaico bizantineggiante, sempre alla fine del ‘200. Non è un dialogo con l’antico molto aperto.
RINASCENZA (movimenti di riappropriazione dell’antico, visto da lontano) CAROLINGIA

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L’arte carolingia si dimostra soprattutto attraverso opere piccole come l’oreficeria, l’arte monumentale è
andata quasi tutta persa, abbiamo una porta dell’abazia di Lorsche a Colonia, una porta con triplice fornice,
tre arcate inquadrate che assomigliano quasi all’arco di Costantino, ma sono tutte della stessa grandezza.
Regge una stanza su di lei con le colonne trabeate. Il lessico è lontano dal mondo classico, le metrature
sono semplificate, sopra le paraste ci sono linee spezzate a zig zag, cosa non presente nel mondo classico.
Da sottolineare è la policromia, ambivalenza di arte che vuole riproporre il classico, è sempre
interpretazione libera. Carlo Magno, statua equestre. Monumento che assomiglia al Marco Aurelio in
bronzo a piazza del Campidoglio, che stava prima a San Giovanni in Laterano. L’uomo medievale ha bisogno
di cristianizzare il mondo classico, infatti il Marco Aurelio era stato scambiato per Costantino, primo
imperatore cristiano. Carlo Magno lo porta ad Aquisgrana per fare una sua opera equestre simile. San
Giovanni Evangelista, tentativo di rappresentare gli evangelisti con toga, in modo classico. La miniatura di
età carolingia come nei vangeli di Saint Medard de Soissons, abbiamo il San Giovanni aventi finti cammei,
ovvero gemme classiche, esempio di rinascenza. Miniatura di Apollo Medico, come dignitario di corte
bizantina avente un orpello classico di potere, gerarchia di personaggi, infatti ha un nimbo squadrato per
non essere confuso con i personaggi sacri.
SACRO ROMANO IMPERO GERMANICO
Dinastia ottoniana, altra rinascenza che si rifà ai modelli della corte di Costantinopoli, divinità
dell’imperatore, visione sacrale dello stesso. Ottone III che riceve l’omaggio delle province sottomesse, si
ricalca un’iconografia importante visto alla base dell’obelisco di Costantinopoli. Ottone II si fa costruire una
residenza sul Palatino a Roma, il vescovo di Hildesheim racconta ciò, abbiamo le porte bronzee della chiesa,
fa fare una colonna di bronzo isolata, istoriata con scene cristologiche. Il capitello al vertice è scantonato,
non classico, fregiato. Tradizione dei modelli classici. Riappropriazione di tecniche antiche con movimenti
tecnici tipo la fusione del bronzo. Per quanto riguarda le tecniche, è il mondo bizantino che si lega di più al
mondo classico, ma perché sono solo abilità tecniche similari, ma l’iconografia è copiata e perpetuata senza
ragione d’essere particolare. Avorio del mondo bizantino di età macedone, Ingresso di Cristo a
Gerusalemme. In primo piano c’è un fanciullo che afferra un piede, palese tradizione augusta, lo Spinario
nei musei capitolini.
SPOLIA
Attenzione ossessiva, distruggere fisicamente monumenti classici e prendere i marmi, i conci marmorei per
usarli in edifici cristiani, simbolo di conversione, superare culto pagano. Si chiama spolio, sradicamento di
opere vecchie per nuove. Uso di frammenti nel duomo di Modena, Wiligelmo inventa un rilievo che ha
come modello un monumento sepolcrale romano, l’angelo ha una torcia ardente. A Modena abbiamo
spolio e copia di modelli classici per contesto cristiano. Rapportarsi all’antico, nel duomo di Modena
abbiamo la narrazione a fregio continuo. Wiligelmo si confronta con la narrazione continua di stampo
classico, una narrazione ininterrotta come nella colonna Antonina, avente un nastro di storia continua.
A Massa Marittima con Ambrogio Lorenzetti abbiamo un sarcofago con due angeli e il tema di amore e
psiche. A Firenze nella scarsella del Battistero abbiamo un frammento ritagliato su due lati con scena di
vendemmia. Nel Duomo di Pisa abbiamo molti marmi ricavati dalla demolizione di edifici classici pagani,
con scritte spesso messo a testa in giù. A Venosa abbiamo una copiosità di elementi spoliati, conci molto
regolari aventi epigrafi, frammenti di steli.
CAPITELLI
Elemento qualificante dell’elemento classico, come quello corinzio su tutti. Imitazioni ossessive dello stesso
aventi iati con quelli classici. Abbiamo insieme spoli di quelli antichi e nuovi insieme. A Venosa abbiamo uno
classico a confronto con uno nuovo. Quello originale ha due corone di acanto da cui fuoriescono fasci
cinghiati fogliacei con una terza corona da cui escono volute angolari e più piccole, elici e cauliculi, con al
centro il fiore dell’acanto. Nella reinterpretazione ciò è presente in modo differente. A Parenzo vediamo
che viene inventato proprio un capitello, detto a cestello, presente anche a Venosa in modo più minuto.

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Capitello a San Vitale avente modo di tagliare le foglie meno pittoresco. Capitello a melone del VI secolo,
Faltenkapitellen, trovati a San Vitale nel presbiterio.
Capitello composito, doppia corona e voluta in alto con ovuli. Al tempo della Rinascenza Giustinianea degli
elementi classici. Rappresentazione schematica, non più in modo pittoresco, ricami smaterializzati.
Semplificazione dello schema classico accompagnata ad invenzione di tipi nuovi di capitello. Il capitello-
imposta, come un tronco di cono rovesciato, si poggia sulla colonna. Era impiegato ad esempio a Brescia
nella chiesa di Santa Giulia, sono elementi disomogenei, la colonna è più larga della base del capitello. Il
ritagio trasforma le superficie ricamata quasi, che si alleggerisce. Il pulvino è messo al posto dell’abaco, è
un tronco di cono rovesciato. In età carolingia abbiamo una semplificazione ulteriore rispetto a quella del VI
secolo, solo una corona di foglie, caulicoli da cui fuoriescono le volute, ma sono elementi svuotati dalla loro
forza strutturale, decostruzione del sistema ornata architettonica classica, intagli minuti, schiacciati.
BATTISTERO DI FIRENZE
Riappropriazione del Classico, fortemente rivisitato. Nel battistero rivisita il classico nelle lesene dell’attico,
nelle finestre, vuole rendere il mito di un tempio pagano poi rifatto a chiesa di San Giovanni. Impresa
importante per la costruzione con un grande volto all’interno, tripartizione degli archi che riecheggia Roma.
Il marmo candido rifinisce delle geometrie che non c’erano nel mondo classico. Alternanza di timpani e
lunette, tipici dell’architettura classica. Le chiese battesimali erano sempre ottagonali, ottavo giorno
simbolo della fine dei tempi, con il battesimo c’è la salvezza in questi tempi. Interno grandioso, muratura
scavata in basso, tre parti con due colonne e spazio trabeato, chiuso da un lanternino come nel Pantheon
romano. Nel romanico abbiamo un emergere potente di ripresa dell’antico. Nei dettagli vediamo i fregi
classici a ovuli intorno alla finestra. Le proporzioni slanciate delle paraste non sono classiche. Paraste
scanalate e rudentate sono classiche con fregi superiori e inferiori classici. Al centro il fregio con marmi
policromi, verdi bianchi e rosa non sono per nulla classici. Il festosamente cromatico si allontana dal
classico, come nei suoi capitelli.
VENEZIA
Volontà nel XIII secolo di costruire il mito classico. È una città protesa verso l’oriente ma vuole proporsi
come nuova Roma Cristiana con il riferimento all’antico. La IV crociata è il culmine di ciò, i crociati vanno a
Costantinopoli e viene saccheggiata e depredata, per 60 anni è dominio veneziano. A San Marco il laterizio
viene rivestito di marmi greci e viene costruito un nartece. Intarsio con elementi precedenti della chiesa di
San Marco. Tetrarchi in porfido. All’esterno si trova un ciclo di rilievi con Ercole rappresentato come Cristo.
Ercole sconfigge il leone come Sansone, ha un volto femminile. Nella Fortezza del portale maggiore di San
Marco c’è ancora. Il mito di Ercole si ritrova con il cinghiale di Erimanto e il cervo di Cerinea, che sono a San
Marco, nel paramento esterno. Il Rinascimento è un punto di arrivo di un percorso lungo, e San Marco è
uno degli esempi che si affermerà per questo. Nella facciata della porta di Sant’Alipio, nelle porte che
affacciano sul nartece, ci sono molte decorazioni intarsiate, tessere dorate... l’architrave sembra essere
tardoantico incastonato in questo contesto. Le valve delle conchiglie sono nelle paraste dell’architrave,
dove sono presenti le Nozze di Cana. Nella cappella delle Reliquie si nota quasi un falso antico di imitare
l’antico nel Cristo fra gli Apostoli. 4 colonne del ciborio dell’altare maggiore istoriate e scandite
continuamente da arcate. Nel ‘200 nel nartece della facciata occidentale ci sono opere della Genesi.
Frammenti copiati da manoscritti tardo antichi. Il naturalismo dei pesci del mosaico sorprendenti, a destra il
mare diventa nero, a sinistra le tessere sottili danno sfumature violacee. Al centro c’è un drago non copiato
dal manoscritto, in quanto è pura cultura medievale. Riscoperta della natura, ritorno nell’arte classica.
CULTURA FEDERICIANA
Alla coorte di Federico II, si trasferisce dalla Germania al sud Italia, cultura orientale e grande sapienza dei
classici, atteggiamento di assimilazione profonda dei classici. Castel del Monte è ottagonale, nei portali ci
sono temi classicheggianti, con timpano, paraste scanalate, ma forme slanciate di tipo gotico. Capitelli del
gotico europeo, a “uncino” con foglie lisce, che spazia dal corinzio, composito ed istoriato. Nella sua coorte
il conio ha l’effige dell’imperatore di profilo e non Maiestas, con gli Augustales. Il sigillo ha l’imperatore,

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Barletta, ritratto di Federico II attraverso la figura di Giulio Cesare, presente a Barletta. Rendere questo in
modo vivo e realistico, volto rugoso con espressione, si muove di scatto. A Capua, avamposto
settentrionale della terra di Federico II, nella porta c’è un arco sovrastato da statue con immagini tribeate e
il busto di Federico II all’antica. Per l’età federiciana si riscopre la tecnica della glittica, per la realizzazione
di cammei, pietre dure di diverso colore aventi figure. Tazza Farnese, uno dei più grandiosi dell’antichità.
Esiste anche quella con Ercole e il leone di Nemea di Federico. Altri due federiciani sono quello della donna
con il falcone e quello a tre strati con due busti di giovane fanciulla. Le tecniche antiche vengono
attualizzate.
NICOLA PISANO
Rinnovatore della scultura italiana nel ‘200. Era pugliese, va a Pisa ma nasce nei cantieri federiciani. Nel
Battistero di Pisa c’è Ercole con la pelle del leone, schema chiastico di gambe e braccia, prende il via del
naturalismo. Camposanto di Pisa avente il sarcofago romano di Ippolita, dal quale Nicola Pisano si ispira.
Anche nella Presentazione del Tempio nel Battistero, nel pulpito, rappresenta, dietro a Simeone c’è
un’invasata e dietro una figura barbuta barcollante sorretta da un fanciullo: è il mondo delle genti, pagano,
superato da Cristo. È sicuramente ispirato da un cratere nel Camposanto avente un Sileno ebbro sostenuto
da un satiro. La barba si espande nell’atmosfera in Nicola Pisano, cosa che non avveniva nel mondo classico.
La sacerdotessa Anna ha un’espressione molto patetica che si rifà ad una figura nel Camposanto.
Annunciazione e natività di Nicola Pisano vede la Madonna stesa come una matrona antica
ARNOLFO DI CAMBIO
Riprende questa rivisitazione dell’antico. San Pietro in cattedra in bronzo è stato scambiato con una figura
tardoantica, ma era del ‘200. La Madonna col bambino De Braye è frutto di una lavorazione di una scultura
antica.
Simone Martini riprende l’antico al livello letterario più che autentico, Giuliano l’Apostata che si converte si
staglia contro il nero, avente una testa molto carnosa. Petrarca come Virgilio, nella miniatura c’è il concetto
del poeta ispirato e coronato dall’oro, intorno a lui Enea scuote una tela per svelare gli arcani del testo di
Virgilio. Intorno ci sono boscaioli con modernità gotica.
Porta della Mandorla a Firenze, il gotico è carnoso e lussureggiante, ci sono divinità classiche, Cerere per
l’abbondanza e anche Ercole, Firenze come erede delle virtù della Roma repubblicana. Ghiberti vinse il
concorso per la porta attraverso l’eleganza antica, alle porte del Rinascimento.

4. IL RUOLO DELL’ARTISTA DEL MEDIOEVO E LA


RAPPRESENTAZIONE DEL POTERE
LA FAMA DELL’ARTEFICE
Nel Medioevo l’artista era considerato un lavoro meccanico, senza cultura, solo con l’umanesimo viene
riscattata la figura dell’artista attraverso della poesia. Ciò è vero, l’artista ottiene una dignità intellettuale
nel 400, ma non è vero che nel Medioevo l’artista non avesse crediti. Aveva quasi un ruolo sacerdotale,
rendeva visibile la figura divina. Sa interpretare al livello eccezionale gli interessi espressivi. Altare orafo di
Sant’Ambrogio a Milano, sotto il quale c’è il santo. È un’opera carolingia. Rivestimento orafo avente la
firma e l’autoritratto dell’artista Vuolvino. È sulla Peristella confessionis, porticina che si apriva per vedere
le spoglie; vediamo a sinistra che il Santo dà la corona all’artista, la figura si ingobbisce dinnanzi a lui per il
quale ha realizzato l’opera. È questo l’esempio che il ruolo dell’artista era riconosciuto. Sant’Ambrogio gli
dà la corona della gloria, simbolo di sfida all’eternità. Nel duomo di Pisa, iscrizioni romaniche con nome del
capomaestro, magister e operarius. Buscheto è il suo nome. Questi magistri sono architetti e scultori,
aventi un ruolo di sovrintendenza. Il loro ruolo viene riconosciuto. Per la tomba viene usato un sarcofago
strigilato classico, con un’iscrizione che celebra Buscheto. “NON HABET EXEMPLUM NIVEO DE MARMORE
TEMPLUM”, ovvero “Non ha paragone questo tempio in marmo bianco”. Nel duomo di Modena c’è una
targa sorretta da Enoc ed Elia, dedicata a Vuiligelmo. Continene la data, 1099, in cui viene eretto l’edificio.

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“INTER SCULTORES QUANTO SIS DIGNUS ONORE CLARET SCULTURA NUNC VUILIGELME TUA” (la tua
scultura, o Vuiligelmo, ora dichiara quanto tu sia degno di onore tra gli scultori). L’opera è l’ente
amministrativo, il maestro era il “manager”, dirige e opera direttamente.
A Verona in San Zeno nel portale maggiore, c’è scritto “ARTIFICEM GNARUM, QUI SCULPSERIT HAEC
NICHOLAUM HUNC CONCURRENTES LAUDANT PER SECULA GENTES” (le genti che accorrono lodano nei
secoli questo Niccolò, artista sapiente che scolpì queste cose). Nicholaos era uno dei grandi artisti del nord.
Lo ritroviamo anche nel duomo di Ferrara. Viene definito come “artifex gnavus”, un artefice sapiente,
quindi si ha un’alta celebrazione dell’artista. L’altra iscrizione in San Zeno, dice “HIC EXEMPLA TRAHI
POSSUNT LAUDIS NICOLAI” (qui si possono trarre gli esempi dell’eccellenza di Niccolò), ci parla del valore
esemplare; si ricorre a canovacci di exempla, punti di partenza di base che vengono poi elaborati. È questo
un invito a prendere spunto da Niccolò. Altro tema importante è l’artista sfrutta il fatto di mettersi in scena
per affidare all’opera la sua preghiera, in questo caso alla Vergine: “SALVET IN ETERNUM QUI SCULPSERIT
ISTA GUILLELMUM” (Maria salvi per l’eternità Guglielmo che aveva scolpito ciò).
La Relatio de innovationis ecclesiae Sancti Geminiani è un manoscritto, codex, riguardo l’edificazione della
cattedrale di Modena. Vediamo due “vignettone” in cui si nota il modo gerarchico del cantiere. Il capo dà
ordini ai manovali che scavano e lavorano. Altre raffigurazioni degli artisti si notano nel mondo della
miniatura, ci sono autoritratti di miniatori, come per il Frate Ruffillo nel Leggendario, inserisce la firma e il
ritratto nella prima lettera di un paragrafo, si notano strumenti di lavoro, raschietto e pennellino, tavolino
ecc. Il loro ruolo era fondamentale per la salvaguardia del mondo scrittorio. Il ruolo del miniatore nel
chiosco che diventa poi stipendiato nella massima epoca della corte. Nel 1400 il miniatore diviene laico e
stipendiato di corte. Ci sono anche altri lavori stipendiati per la diplomazia o politica, come Pisanello che
rinunziò alla bottega per lavorare alla corte di Mantova. Si nota nel Mare historiarum un signore che
accompagna delle persone a vedere il lavoratore di corte.
Giovanni Pisano nel pulpito del Duomo di Pisa dice che è grande e degno di lode, mentre degno di
riprovazione chi lo critica. È un’auto adorazione iperbolica, ricorda che sa lavorare il bronzo, l’oro, il legno,
si celebra anche dal punto di vista commerciale, ma soprattutto per la sua versatilità.
Suo padre, Nicola Pisano dice “HOC OPUS INSIGNE SCULPSIT NICOLA PISANUS LAUDETUR DIGNE TAM BENE
DOCTA MANUS”. Importante è la mano dotta di cui parla. L’opera di Marco Romano parla di una “digna
manus”, riguardo un lavoro prezioso per la cesellatura. Anche Gano Senese a Pistoia parla della mano
degna. L’artista non è mai solo ma ha accanto una persona dotta che gli detta le iscrizioni, in questo caso è
Marco stesso che scolpisce per la sua dottrina, da solo. Andrea Pisano in scultura e pittura nel campanile
del Duomo di Firenze dimostra diversi mestieri. In quel tempo la retorica, la musica, la geometria, la
letteratura sono degne ed illustri, ma anche la pittura e la scultura devono. Sono vestiti come degli apostoli,
cosa irreale, per dare dignità. Ci sono dettagli che ritraggono gesti, scalpelli, tenaglie, trapano a violino, il
pittore ha a terra un trittico di devozione tipico dell’arte gotica del ‘300. Aveva anche oggetti da vendere,
non su commissione. Mette in mostra gli oggetti della sua eccellenza. Cola Petruccioli, inserisce sotto
l’annunciazione di Perugia, in una cornice, il suo autoritratto. Anche i “criptoritratti” erano frequenti. Ai
piedi dell’assunzione a Montepulciano c’è un autoritratto nascosto di Taddeo di Martolo, che guarda
davanti a chi osserva l’opera. Anche le firme sono frequenti. Una famosa è nelle Stimmate di San Francesco,
al Louvre, dove c’è scritto “OPUS IOCTI FIORENTINI”. Anche in Duccio abbiamo nella Maestà un’iscrizione:
“MATER SANCTA DEI SIS CAUSA SENIS REQUIEI SIS DUCIO VITA TE QUIA PINXIT ITA”. Simone Martini nel
‘300 diventa amico intimo di Petrarca, e nel controfrontespizio del codice di Virgilio c’è l’idea che la pittura
ha la stessa dignità della letteratura. Un grande ruolo ha Lorenzo Ghiberti. Nelle porte del battistero ritrae
se stesso, più giovane nella porta Nord, più vecchio in quella del Paradiso.
CELEBRAZIONE DEL COMMITTENTE
Si intrecciano due livelli, religioso e politico. Salvezza dell’anima del committente e anche autopromozione
come personaggio più ricco del posto. Pasquale I afferra i piedi della Madonna col bambino, in Santa Maria
in Domnica, a Roma. È opera carolingia. Malles Venosta, San Benedetto. Abbiamo l’abate e il miles,

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feudatario avente la spada inguainata. È l’abate che ha un modellino per la commissione della chiesa.
Convergenza di potere ecclesiastico e secolare.
Scena in cui l’autore dell’opera stessa offre il modello. Per Montecassino vediamo la regola di San
Benedetto che offerta nel codice dall’abate Giovanni I. Desiderio abate è dipinto in un’abside di
Sant’Angelo in Formis, che fa erigere e decorare. Vediamo il suo dipinto avente lui che offre la chiesa da lui
eretta alla Majestatis Domini. Indica il ruolo del committente, per cui deve essere celebrato, ovvero la
chiesa. Abbiamo diversi modelli del genere, abbiamo una scritta a Bari, nella basilica di San Nicola, l’abate
Elia si fa fare la cattedra sorretta da telamoni rappresentanti il male schiacciato dalla forza della chiesa.
Nella cappella degli Scrovegni, vediamo Enrico Scrovegni che offre l’oratorio da lui fondato, ai piedi del
Cristo giudice, per la salvezza della sua anima. Voleva espiare il suo peccato di usura, ma è una teoria molto
opinabile.
MONUMENTI SEPOLCRALI
Lastre funerarie a Santa Croce, collezione imponente. Il diritto alla sepoltura faceva sì che i committenti
pagassero per questo diritto. Un esempio molto antico è una lastra tombale in Marsiglia dedicata all’abate
Isarno. Filippo Cristofano su disegno di Lorenzo Ghiberti, lastra tombale del militare Ludovico degli Obizi, a
Santa Croce in Firenze. Questo è lo standard del monumento sepolcrale.
Il monumento a parete, isolato celebra i grandi personaggi, per motivi altamente politici. Segue il modello
di Federico II, Carlo I D’Angiò. È Carlo I che diventa senatore, capo politico di Roma, si fa celebrare da
Arnolfo di Cambio in una nicchia della porta verso il Campidoglio, verso il palazzo dei conservatori. Il primo
modello è Federico II, poi Carlo I d’Angiò, ripreso poi da Bonifacio VIII.
Il monumento a parete è una novità da attribuire ad Arnolfo di Cambio. È a parete, a più livelli, con una
camera mortuaria, due chierici che scuotono una tenda per chiudere il corpo morto. Due livelli: corpo
morto in basso e in alto la comendatio animae, preghiera per la salvezza dell’anima del morto. Avrà una
fortuna straordinaria a partire da Arnolfo.
Tomba del cardinale di Siena Riccardo Petroni è a muro: arricchito ulteriormente con cariatidi sotto e gli
angeli spostano la tenda.
Abbiamo delle arche sollevate su colonna, come San Domenico a Bologna, liberi su 4 lati per essere toccati
dai pellegrini. Es. tomba di Rizzardo VI a Serravalle.
Ci sono i Cenotafi, tombe vuote celebrative, senza effettivo corpo dentro. Cenotafio della famiglia
Baroncelli, fatto da Giovanni di Balduccio. È un luogo di celebrazione, scritto in volgare a salutare i morti
per la salvezza della loro anima, elemento intrecciato per la promozione sociale e politica della famiglia.
DEVOTI OFFERENTI
Vediamo nei secoli la raffigurazione dei modelletti. Nel basso medioevo la commemorazione diventa degli
oranti, si mettono in mostra i committenti, comendatio animae dei monumenti sepolcrali. Si mettono in
mostra dal punto di vista religioso, devoto e socio/politico. A Roma in Santa Maria in Trastevere abbiamo la
tomba di Bertoldo Stefaneschi, fatta da Pietro Cavallini, con mosaico avente Bertoldo che viene presentato
da S. Pietro alla Madonna con il Bambino. Notiamo nome del pittore, il nome del committente e la sua
raffigurazione, con i loro simboli. Un altro esempio è quello della tomba del card. Matteo d’Acquasparta, in
Santa Maria in Aracoeli a Roma. Il cardinale è presentato da San Francesco alla Madonna con il Bambino. La
Madonna in questo esempio è seduta su un trono, quindi il committente viene a contatto fisicamente con
la divinità. La Madonna è sproporzionata sempre per motivi gerarchici.
Abbiamo il ritratto riconoscibile dei committenti, le fattezze riconoscibili nascono nel gotico con la scultura
nel nord Europa, in Italia nel contesto della scultura funebre. Nel ‘300 prende spazio anche nella pittura,
come Giotto nella Scrovegni e Simone Martini. Quest’ultimo avrebbe creato la Madonna Laura, un tipo
ideale ormai scomparso. Vediamo una tavola fatta nel 1317 quando re Roberto D’Angiò rende omaggio al
fratello maggiore, vescovo di Tolosa, che in quell’anno venne canonizzato a Santo. Si trova l’opera a Napoli,
Capodimonte. La realizza però nella chiesa francescana di Napoli. Celebrazione della sacralità di questo
personaggio, non è molto ieratico, ci sono movimenti, è seduto, ci sono angeli che gli mettono la corona e il

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re Roberto che ottiene un crisma di autorevolezza divina maggiore, Ludovico impone la corona al Fratello. Il
volto di Roberto è molto caratterizzante. Questa tavola diventa manifesto politico angioino. Sotto ci sono 5
storie della vita santa di Ludovico. È un’opera ageografica dal valore taumaturgico. Negli stessi anni Simone
Martini deve affrescare la cappella di San Martino ad Assisi. L’affresco analizzato è la commendatio animae
del cardinale gentile Partino da Montefiore, anche qui c’è l’ombra degli Angiò, perché in questi anni lavora
per la loro corte. È un’opera originale, non c’è una posizione gerarchica, è messa in scena in maniera
teatrale, spettacolare, in una sorta di loggia, sotto un ciborio scorciato, particolare resa del volume e dello
spazio, con un gesto sciolto e confidente Martino prende in mano il cardinale avente un volto abbastanza
pingue, per rendere la figura reale dello stesso cardinale.
Il ius patronato è la concessione delle cappelle alle famiglie varie, viene venduto dagli organi alle famiglie
emergenti mercanti, per luogo di sepoltura dinnanzi all’altare e i clerici sono impegnati a fare messe
periodiche per la famiglia. Si dà dunque l’altare e il privilegio di messe dedicate alla famiglia.
A Recanati troviamo il trittico di Guglielmo Veneziano, con lo stemma di Andrea Colucci, appartenente a
famiglia di mercanti. Notiamo nome e stemma della famiglia, padre e figlio. Non è un vero stemma, è un
marchio mercantile, commerciale, visto che non tutti potevano avere uno stemma nobile. Lorenzo da
Venezia crea un trittico della Madonna con il Bambino e Sant’Antonio abate, San Nicola protegge i
naviganti. Mari e fiumi erano le vere autostrade del tempo, importantissimi per il commercio, in questo
caso è rappresentata una barca e San Nicola che protegge.
Paolo Veneziano fa anche la Lunetta tombale del doge Francesco Dandolo, e della moglie Elisabetta
Contarini. Questa lunetta faceva parte di un monumento pensile, in alto sul muro, dentro l’arco solio era
incastonata la tavola dove questi vengono rappresentati dai loro santi onomastici, S. Francesco e Santa
Elisabetta. C’è una gerarchia tra la Madonna e il Bambino, i santi e del doge con la moglie. Francesco
Dandolo è a terra, è proprio un esempio di comendatio animae.
Gentile da Fabriano nelle Marche, con una delle sue primissime opere, crea una Madonna con il Bambino
tra San Nicola e Santa Caterina, donatore. È giovanile, è a Berlino, incastonata in un arco soglio funerario in
origine. Il donatore era un mercante che esibisce a terra e sull’anello il suo marchio commerciale. Il volto è
caratterizzato ed è in carne pulsante, c’è una gerarchia con la sproporzione tra Madonna, San Nicola, Santa
Caterina e il mercante. Si trova la scena in un giardino simil Eden.
Le committenze possono essere anche collettive oltre che individuali, la partecipazione deve essere
partecipata. Le confraternite o forme aggregative sociali politiche si esprimono nella devozione e spesso
fanno opere. Le compagnie sono in principio i battuti o flagellanti, (a Perugia la prima manifestazione), sono
Laudesi, in ambito domenicano, sono donne che ai vespri vanno a cantare le lodi davanti all’immagine
importante della Madonna. Le Madonne erano esposte fuori dal coro per intonare le lodi. Abbiamo lo
sviluppo delle sedi delle confraternite, dette anche scuole. La Madonna della Misericordia con battuti
bianchi, è di Domenico da Montepulciano, si vedono gli incappucciati che indicano l’universalità della
misericordia della Vergine, uomini e donne divisi a sinistra e destra, i committenti sono quelli in primo
piano incappucciati e flagellanti. La genesi di questo tema avviene alla fine del ‘200 con opere come la
Madonna dei francescani di Duccio. Si vedono tre frati in basso della Vergine, che solleva un lembo del
vestito in segno di protezione.
AUTORAPPRESENTAZIONE DEL POTERE
Irrompe una visione completamente politica. Vediamo San Vitale di Ravenna; la città diventa sede
dell’esarca e avendo sconfitto i Goti, Giustiniano ricompone il potere. Viene rappresentato nel 540, con
l’offerta della patena delle ostie e del calice di vino. Giustiniano nella processione è al centro con la corona
che diventa nimbo stesso. I piedi suoi pestano gli altri, indicando la gerarchia. A destra vediamo il vescovo,
Massimiano, quello al centro tra i due è il finanziatore dell’opera Giuliano Argentario (era un banchiere). I
due si riconoscono molto, il volto di Giustiniano non rappresenta quello vero della realtà. Gli altri sono
inventati. Cattedra eburnea, placchette d’avorio che formano la cattedra di Massimiano, c’è il suo
monogramma ad indicare che l’ha commissionata lui stesso. Il suo predecessore, Ecclesio, è omaggiato nel

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catino absidale che sovrasta il tutto, con la Maiestas al centro. Il titolare della chiesa è il protomartire San
Vitale. Porge una corona gemmata a Vitale come ricompensa della gloria eterna in seguito al suo martirio.
Siamo in fondo alla chiesa vicino al presbiterio, dove il prete officia, coro alto con cattedra marmorea e
grande finestrone per rifulgere la Maiestas. Nella processione di Teodora c’è uno che scuote un pannello
per far entrare tutti. Gerarchicamente c’è lei e le ancelle, le donne del seguito. Veste un mantello porpora,
è ricamato in oro e ci sono i Magi che offrono i doni. Tema dell’offertorio. Convivono questi aspetti di
realismo relativo, sacralizzazione, per rendere conoscibile chi sono i protagonisti.
Nel mondo ravennate abbiamo, facendo un passo in avanti, un’Italia sconquassata dai Longobardi, che
cercano di prendere spunto dall’organizzazione romana. La lamina (elmo) di Agilulfo rappresenta il re,
sposo di Teodolinda, che converte il suo popolo in cattolici. Agilulfo, con una lunga barba è frontale, ci sono
due figure alate, le vittorie, che tengono delle tabelle con i simboli di vittoria nike. I popoli sottomessi, le
due figure, sono seguite da omaggi e da gemme. I Longobardi crebbero nel corso del tempo e vollero
recuperare le simbologie di eredità classica, in età carolingia vediamo con il secondo viaggio romano di
Carlo Magno, la sua incoronazione da Leone III. Vediamo un disegno di Leone III su un triclinio. Potere
ecclesiastico e temporale, tra papa e imperatore. San Pietro simboleggia il re di Roma che porge al
pontefice una stola, che è rappresentato da un nimbo quadrato. Carlo Magno dall’altro lato si genuflette e
riceve uno stendardo sempre dallo stesso San Pietro.
Altre raffigurazioni del potere carolingio sono nel contro frontespizio interno della Prima Bibbia di Carlo il
Calvo, nipote di Carlo Magno. Vediamo sul trono la figura di Carlo il Calvo che non è dritto ma si gira, è una
scena di fasto cerimoniale, teatralità del potere, termini fastosi. In asse con Carlo il Calvo vediamo il conte
Vivien che gesticola e addita la bibbia stessa che viene offerta da tre chierici a Carlo il Calvo. Gerarchia:
bellatores (guerrieri, classe dirigente), oratores (clero), laboratores. Questi ultimi sono in basso.
Sacralizzazione del potere, Cristo benedicente in una mandorla, Maiestas. Il modello è riproposto con
Ottone III in una mandorla. Sotto il popolo sottomesso sorregge il trono contorto, in basso abbiamo due
militi ed oratori, organizzazione politica sociale rappresentata qui. Abbiamo anche la raffigurazione di
Enrico II paragonato a Mosè. Questo modello proviene da Costantinopoli.
L’imperatore Giovanni II Comneno è connotato in un mosaico con un nimbo.
Nel XII secolo i sovrani dell’Italia meridionale, con i Normanni e Roberto il Guiscardo che scacciano i popoli
arabi, creando regni Angioini, Aragonesi… c’è un’esplosione di cultura nelle Puglie e nella Sicilia. Notiamo
Santa Maria dell’Ammiraglio, della Martorana, a Palermo. In questi mosaici della chiesa si celebra il
sovrano Ruggero II, vestito come un sovrano bizantino vestito dell’oros, tipico vestito bizantino, viene
incoronato da Cristo stesso. Egli si inginocchia per gerarchia, intercessione a Cristo, investitura secolare
molto forte. Abbiamo anche la Madonna della Martorana che dà misericordia a Giorgio d’Antiochia che con
la “proschiunesis”, si genuflette con il corpo a terra.
Nello stesso periodo Ruggero II fa erigere la Cappella Palatina Consacrata. La controfacciata accoglieva la
cattedra del sovrano, sotto la figura del cristo Majestatis. La cappella è di San Pietro e Paolo, sottolineando
la grande dipendenza da Roma.
Guglielmo II, suo nipote, crea la cattedrale di Monreale. Cattedra dove esiste solo il potere secolare, in un
caso Cristo impone la corona su Guglielmo, in un altro egli è in veste di donatore, offre alla Madonna la
Cattedrale. Si fa raffigurare anche nel chiostro, nei capitelli gemini, ovvero due colonnine in una, ha due
angeli che aiutano a Guglielmo a portare il modello alla Madonna.
Al nord, vediamo realtà urbane che si stanno formando. Verona è ghibellina, alle porte dell’impero, San
Zeno spesso ha ospitato imperatori stessi. Nella lunetta del protiro, vediamo la città di Verona, a sinistra i
milites e pedites, a destra gli equestri. Nella stessa San Zeno vediamo che Federico II crea una sala udienza
nel ‘200. Veniva chiamata Aula Salomonis, Salomone è visto come Federico II, è quello che apre il dialogo
con le culture dell’oriente, un re giusto e mediatore, quindi si vedeva in lui. È l’Omaggio dei popoli della
terra che rendono omaggio al re Salomone, che quindi è la rappresentazione di Federico II, grandissimo

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messaggio politico. In basso c’è una scena di caccia, finge un velario, tema profano della caccia, con finti
marmi.
Un altro caso importantissimo della città comunale del pieno ‘300 abbiamo Siena, una realtà Repubblicana
retta dal governo dei 9, di tipo oligarchico, presso il quale vengono emarginate le classi magnatizie.
Spadroneggiano nei castelli del contado, cercano la riscossa alleandosi. Abbiamo il Palazzo del Governo in
Piazza del Campo. In essa c’è la Sala del Mappamondo, è il Parlamento del governo senese, i potenti si
riuniscono ai piedi della Madonna, con i Santi advocati Savino, Ansano, Vittore e Crescenzio, protettori di
Siena. Capolavoro di Simone Martini. È come se la Madonna e i santi fossero effettivamente lì. In volgare
sono scritte le preghiere dei governanti nei loro confronti, ribadendo che la Vergine accoglie le preghiere
dei fedeli, al patto di emarginare i facinorosi che contestano il governo dei nove. Nella sala del
Mappamondo vengono dipinti vari castelli riconquistati. Sono dei veri e propri tabelloni politici. Si
riconoscono i luoghi, Simone Martini è pagato per andare a vedere i castelli. In alto appare una sorta di
mappa geografica del contado di Siena, quasi universalizzante. Una sala più piccola, la Sala della Pace, vede
L’Allegoria ed Effetti del Buon Governo fatta da Ambrogio Lorenzetti, in cui la concordia e la pace è vista
come fine per la prosperità economica generale. Il paesaggio è rappresentato con il lavoro dei campi in un
continuum fluente di persone concordi che si dissolve verso l’orizzonte. La Securitas veglia su tutto e si
assicura che tutti svolgano il loro ruolo. C’è anche l’allegoria del cattivo e del buon governo. Questo è fatto
dalla giustizia e dal buon comune, con le 4 virtù e con la pace, una donna che posa le armi. Tutto proviene
dalla sapienza divina, una bilancia per giustizia distributiva e commutativa, premiare e dare ad ognuno il
suo. Si passano la corda che rappresenta la concordia, arriva fino al comune, che siede tra la fortezza,
temperanza, giustizia e magnanimità.

5. SPAZI ARCHITETTONICI E DECORAZIONE, I PROGRAMMI


ICONOGRAFICI, I SISTEMI DECORATIVI, L’ILLUSIONISMO
Basilica patriarcale di Aquileia, basilica patriarcale, è una cripta. Le scene sono spalmate nelle volte, gli
spalti di risulta sono decorati. Concezione avvolgente che tende a smaterializzare gli spazi reali per la
conoscenza. Concezione che viene dall’oriente. Sintassi complessiva e organizzata, ogni scena vale per sé.
BASILICA SUPERIORE DI ASSISI
Pittura parietale, vede il cantiere pilota di innovazione. Dove nasce Giotto artisticamente. Ciclo delle storie
di S. Francesco, 28 scene distese nello zoccolo in basso della navata unica. Riferimento della realtà
circostante. La strutturazione illusionista, non nei registri alti di Cimabue, ma in basso. Sopra i cornici sono
esili, sotto è potente e architettonico. Chi entra, sostando alla metà di una delle 4 campate, ha
l’impressione di uno zoccolo bucato. Storie della vita di San Francesco. Sintassi: bisogna vedere le scene nel
collettivo. Il concetto nuovo da cui nasce il Rinascimento è la finestra esclusiva, realtà virtuale che esce
davanti a noi. Marmi candidi, valore di scorcio spaziale, scolpire l’illusionismo della parete stessa. Un
dettaglio per capire la qualità degli scorci, vediamo l’angolo verso la controfacciata. Bifore con Santi che si
affacciano e dialogano con l’architettura. Finti marmi, decori cosmateschi, raffigurazione parietale che si
innesta sull’architettura reale, creando un coinvolgimento empatico. È una rivoluzione che avviene ad
Assisi. Proprio lì abbiamo dei maestri oltremontani che avviano la decorazione della basilica superiore.
Triforio. Questi maestri rendono ancora più gotica la francesizzazione del gotico reale. Vengono pitturati
pinnacoli, vetrate tipiche del gotico francese. Viene portato ad Assisi per innescare il meccanismo
rivoluzionario che non azzera le superfici come ad Aquileia ma qualifica la scultura stessa. Quindi la pittura
dialoga con la scultura reale per creare un coinvolgimento più forte. Cimabue realizza delle finte
architetture, ma ne modera gli aspetti di gotico francese rispetto ai maestri oltremontani, rendendola più
romanica. Queste finte architetture sono bidimensionali. Il terzo passaggio (1 maestri oltremontani, 2
Cimabue, 3 Giotto) è introdotto da Giotto, dove la stessa idea prende corpo.

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Rivestimento delle superfici che annullano l’architettura, tipico del medioevo. Nella Cappadocia con
Goreme si nota molto ciò. Grandi croci e simboli, vegetali stilizzati, rivestono ogni angolo annullando la
percezione del reale. Un capitello intagliato nella roccia viene decorato con una sorta di arabesco, per il
canone della varietas, vediamo un tema aulico della decorazione, tradotto in questa dimensione di colore
reale bianco e rete rossa. La grande decorazione parietale romanica, in San Pellegrino di Bominaco, in
Abruzzo, vediamo un arco gotico, con tramezzo, dalla parte del coro, dove transitano i frati, domina su
tutto San Cristofano, il santo dei viandanti. Il calendario domina tutto in alto, per la liturgia, alzando la
testa, con storie di Santi. Mosaico multicolore, diversità degli spazi laici, religiosi. La raffigurazione fuoriesce
dalla cornice, tutto è organizzato in modo bidimensionale, che prescinde da una realtà naturalista. Volontà
di coinvolgere per la pietas, il devoto davanti al corpo di Cristo, l’esuberanza fuoriesce dalla cornice, in
antitesi con quanto avviene ad Assisi, dove la cornice è proprio lo spazio dell’illusione. Nel XII secolo
abbiamo a Santa Maria d’Anglona, le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento. C’è una griglia di rettangoli
rossi, ritagliata da finestre, archi, non si adatta all’architettura reale, ma con essa interferisce. Modello
romano spalmato alle superfici. In Lazio abbiamo degli esempi come in Santa Maria in Vescovo, con
affreschi adattati tra loro non attinente allo spazio reale.
CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI
Nella cappella degli Scrovegni, aula voltata a botte, Giotto orchestra lo spazio dando una dimensione
grandiosa. Svolge tre registri narrativi, dall’alto verso il basso. Crescendo drammatico. Arriva oltre il limite
d’imposta architettonico della volta per cui sembra più grande di quanto non sia. Qui a Padova l’illusione
con i finti marmi è più marmorea che scultorea. C’è il finto zoccolo marmoreo in basso. L’esibizione dei finti
marmi, vicino a Venezia, dove la basilica era rivestita da marmi pregiatissimi. A partire dall’architettura
reale, l’aula ha delle finestre solo a meridione. Giotto ribalta sull’alta parete un fascione che sia come
scacchiera ribaltato organizzando l’asimmetria delle finestre. Arco santo, trionfale. Abbiamo in alto le Storie
della Vergine, dalla cacciata di San Gioachino allo sposalizio della Vergine. La facciata piccola della stanza
ha l’Annunciazione, nell’arco trionfale. Il secondo livello vede le storie dell’infanzia di Cristo, dalla
visitazione al tradimento di Giuda, l’ultimo livello ha la storia della Passione di Cristo, dall’Ultima Cena alla
Pentecoste. Il ciclo dunque parte dall’alto e prosegue cronologicamente in basso. Questo “arco trionfale”
vede nei registri bassi delle illusioni architettoniche. Sono rappresentate due campate. Campata per
campata il loggiato ha una visione assiale con punti di fuga, in base alla visione dal basso. Le lumiere danno
un tocco di realtà sempre nella parete di fondo.
SVUOTAMENTO STRUTTURALE NEL CONCETTO BIZANTINO
La concezione opposta, il disancoramento dall’architettura reale, l’illusione architettonica avviene come
nella pittura pompeiana, a Ravenna in Sant’Apollinare in Classe. Un angolo è smussato per la continuità
delle tessere, annullando l’architettura. C’è una fascia gemmata di pietre preziose. Dentro gli spazi tra le
finestre ci sono finte architetture con finte colonne, capitelli vagamente corinzi, con foglie che si stagliano
dalla continuità del fondo. Smaterializzazione totale della valenza illusionistica ereditata dall’arte classica.
A Palermo vediamo nel Palazzo dei Normanni delle finte colonne che sono riempire da motivi a medaglioni,
nel marmo, aventi ispirazione islamica, per effettuare lo svuotamento decorativo. Sono elementi
desemantizzati, puramente decorativi. Il modello bizantino è preminente, il fondo oro annega la
raffigurazione, che non ha nemmeno un piano di posa. Le superfici si intarsiano, suggerendo effetto di
trasfigurazione, avvolgente. Le scene sono slegate dagli altri, non c’è un’orchestrazione continuativa come
vista tra Assisi e Padova.
La Sicilia è incrocio tra elementi bizantini e romani. A Palermo Santa Maria dell’Ammiraglio ha proprio una
pianta centrale di tipo bizantino, contrario allo schema basilica romano, con 3 navate e abside sul fondo
che suggerisce una lettura orizzontale. Nell’architettura bizantina la lettura è verticale. In alto c’è il Cristo
pantocratore, poi verso il basso Santi, Maria e in basso ancora grandi feste, ma slegate tra loro. A occidente
ci sono i valori morali di compassione verso Cristo, al contrario dell’oriente, dove tutto è stagliato e
splendente. Come ad Aquileia si vedono pennacchi per colmare spazi di risulta. Sotto la cupola abbiamo un

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Arco Santo e uno occidentale, a simboleggiare rispettivamente l’Annunciazione e la purificazione di Maria.
Strategie narrative, le figure sono isolate per esse stesse, comunicazione ridotta al minimo. In mezzo è
stilizzato il ciborio. Sono dunque elementi slegati, niente comunità narrativa, modo emblematico e iconico
di narrare, attraverso il rapporto con l’architettura: gerarchia dall’alto e grandi feste che addirittura girano
negli angoli, dando effetti stranianti e avvolgenti. Le tessere sono irregolari per suggerire una rilucenza
dell’oro, come effetto celestiale.
Nella cappella Palatina del Palazzo dei Normanni, il mondo occidentale e orientale si fondono. Nel transetto
destro ci sono storie di annuncio ai pastori e adorazione dei magi che passano da una parte all’altre
spalmandosi sui muri anche se ci sono angoli.
In Campania in sant’Angelo d’Alife vediamo come il pittore scivola nelle finestre. Gotico internazionale:
affastellamento spaziale ma pieno di storie al limite del cronachismo.
Masolino a Castiglione Olona vediamo come si adatta in maniera fantasiosa all’architettura. Vediamo
diversamente dal ciclo campano una linea rinascimentali per suggerire sottigliezze narrative.
SCHEMI BIZANTINI E OCCIDENTALI.
Edificio bizantino: pianta centrale, croce greca nel quadrato con 5 cupole, una al centro e 4 agli angoli, o
edificio ottagonale come il battistero. I due grandi battisteri ravennati sono delle cupole con al centro il
Battesimo di Cristo e gli Apostoli. La processione è fatta da movimento con Pietro e Paolo capi della
processione. Etimasia: trono vuoto in attesa di Cristo il giorno della fine del mondo. A Salonicco abbiamo
una cupola sempre organizzata radialmente.
La cupola a Palermo ha al centro il Cristo Pantocratore, nel Palazzo dei Normanni. Nelle cuffie angolari ci
sono evangelisti, sempre in maniera radiale. L’architettura è crasi tra occidente e oriente a Palermo.
Nell’arcata di accesso, c’è una volta a botte con due grandi feste mariane: Natività di Cristo e Morte della
Vergine. Teofania che si concentra in queste due scene principali.
Anche a San Marco a Venezia vediamo ciò: croce greca imperfetta, forma ibrida dunque, pianta centrale e
lettura longitudinale. I 5 nuclei dominati dalle 5 grandi cupole sono importanti. Abbiamo 2 maggiori e 2
minori. C’è una gerarchia. Al centro l’Ascensione di Cristo, a occidente la Pentecoste. Sulle pareti ci sono
dei cicli narrativi. Tra le due cupole maggiori ci sono le storie della passione di Cristo. La cupola ad Est ha
l’Emanuele con i soggetti annegati nell’oro. A nord è dedicata a S. Giovanni Evangelista. 5 storie della sua
vita, i suoi miracoli. Sono organizzati in modo terra-aria, non hanno un punto di posa, sono sconnesse, ma
organizzate in modo radiale. Quella nel transetto destro (sud) ha la cupola con S Nicola. Quella al centro ha
la mandorla con l’Ascensione. Intorno in modo astratto e geometrico angeli e Apostoli sono isolati. Sotto ci
sono molte finestre così che la luce crea un effetto di cupola disancorata da terra verso l’infinito. Tra le
finestre ci sono le varie virtù. L’ultima cupola vede la Pentecoste, a ovest. Le fiammelle vanno verso gli
Apostoli. Sotto ci sono i popoli della terra. Ci sono nell’arco traverso sul modello latino delle storie della
Resurrezione e Passione di Cristo, ma nel vuoto. Ci sono due registri che si fronteggiano. Passando al ‘200,
nelle cupolette nel nartece cresce l’influenza delle storie continue. Non ci sono più rappresentazioni radiali
ma concentriche.
NARRAZIONE A FREGIO CONTINUO
Colonna traiana è un modello unico. Ci suggerisce la necessità della narrazione. Promanare il principio
divino. Cicli narrativi che si articolano su più registri sulle pareti. A Firenze si vede nel Campanile di Giotto e
a Santa Croce. La leggenda della vera croce, a Santa Croce, vede la sua narrazione dall’alto verso il basso.
La narrazione così nasce nel mondo classico e va nel mondo cristiano in San Paolo fuori le Mura, ma va
distrutto. In Santa Maria Maggiore abbiamo l’esempio maggiore. Dall’alto verso il basso per dare spazio
alla narrazione.
Il fregio continuo non è diviso in riquadri ma in una sorta di nastro. Un primo esempio è di una colonna
bronzea istoriata, commissionata da Bernward, vescovo di Hildesheim. Nella miniatura carolingia del
periodo di Carlo il Calvo, vediamo nella sua Prima Bibbia la storia continua di San Girolamo che evangelizza
il mondo pagano. In ambito carolingio vediamo anche alcuni avori, dal basso verso l’alto, dalla cattura

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all’Ascensione di Cristo. Il principio della luce promana dall’alto ma qua parte dal basso con il dio fatto
uomo. Al centro vediamo il calvario. Qua è la narrazione che è complessa e accidentata.
Centralità della narrazione: Duomo di Modena, avente in facciata una fascia alta 1,5 m con le storie della
genesi, con fregio continuo, fluire del tempo suggerito dagli archetti.
In età romanica la Bibbia Pantheo vede su 4 registri discensionali, verso il basso perché descrive l’uomo che
commette peccato, sempre con fregio continuo. Anche in ambito civile vediamo questa narrazione, con la
striscia di Bayeux, in Normandia, che celebrava la conquista dell’Inghilterra da parte di Guglielmo il
conquistatore.
In San Pietro e in San Paolo Fuori le Mura, facendo ipotesi, dovevano esserci organizzazioni di questo
genere. Abbiamo dei disegni a inizio ‘600, quando viene distrutta, che ci testimoniano com’era fatta, lato
destro antico, sinistro nuovo testamento. Cicli che diedero grande influenza, si studiava a specchio la
corrispondenza tra antico e nuovo testamento, la storia di cristo era il completamento dell’antico (cosa che
vediamo a Sant’Angelo in Formis). Nella parete sinistra al centro c’è la crocifissione.

6. TECNICA E STILE, CONSERVAZIONE E RESTAURO

PERCEZIONE DEI MATERIALI


Vediamo sempre delle opere che hanno subito il passaggio del tempo. Studiare le tecniche è fondamentale
per recuperare la qualità dell’opera originale. Fra Carnevale: Presentazione al Tempio della Vergine, si vede
il colore della parete della chiesa, colori originali, il giallo, la lamina d’oro sulle tavole, che veniva levigato e
catturava il principio luminoso. È il principio del sacro e del divino nel materiale. I valori materici erano
affidati non solo al colore ma al materiale.
Konrad Witz, Madonna con il Bambino e Maddalena, 1440, tavola dorata, si vede che riverbera la luce sullo
stesso materiale. Inseguire la percezione originaria è molto importante, attualmente non abbiamo i colori
originali di com’era, il tempo è irreversibile e trasforma le opere.
Saint Philibert, tecnica affresco prende il posto della pittura murale a secco. Il muro era come una tavola
ingessata con lavori a tempera, non con il procedimento dell’affresco. Nel caso di questa incoronazione
della Vergine Sinopia, è a secco. L’intonaco è levigato. Togliendo l’intonaco si vede il disegno originario, sul
quale ha lavorato con pittura a secco. Viene assorbito dalla malta della parete stessa. Con l’asciugamento
dell’affresco, l’immagine rimane quasi indistruttibile, in quella a secco, come questa madonna Sinopia,
viene assorbito.
Matteo Giovannetti, Martirio di San Marziale, ad Avignone, Cristo è in cielo e i raggi bianchi sono il risultato
dello strappo d’oro, che sono caduti. Si vedono macchie scure di stagno alterato, riusciamo a capire che la
figura era dorata. Anche l’azzurro del lapislazzulo era a secco e si è screpolato.
Crocifissione di Cimabue, ad Assisi, vediamo che il suo capolavoro è rimasto come uno scheletro di qualcosa
che doveva essere rivestito di colore intenso. Preparazione verdacea di base e rossastra nel bordo. Le
ombre a secco sono cadute e hanno dato una base. Si è ossidata la biacca e abbiamo quasi un effetto
negativo. Esempio estremo del livello di altera.
L’affresco è un’arte nuova, sul muro ci sono alcuni procedimenti, si lavora sull’intonaco, si prendono le
misure, si delimitano i riquadri e si disegnano gli ingombri. Piedimonte Matese, 1430, Peccato originale e
cacciata dei progenitori. A destra è caduto il muro. Si delineano sul muro gli ingombri. L’intonacata si dà per
giornate, ovvero ripartizioni dell’opera. Abbiamo la successione del lavoro. Va verso sinistra, forse era
mancino. Le pezzature sono variabili. Se nell’affresco non c’è un legante, che diventa l’intonaco stesso, che
è bianco, perfetto per superfici luminose, sfruttando il bianco della calce nella pittura a secco il legante va
inserito nel colore. Il problema è il colore scuro. Nelle carni si sfrutta il bianco dell’intonaco stesso.
Sinopia di Piedimonte Matese. Spesso viene graffiato per l’intonachino. A volte c’è una mano di bianco per
impermeabilizzare, che viene poi graffiato. In alcuni casi ci sono palinsesti. Ci sono segni di cazzuola. Nella
sinopia.

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Matteo Giovannetti nella Crocefissione, si vede che la carne in affresco è ben conservato, quello a secco è
completamente caduto, così come il nimbo che ha solo lo stagno ossidato, usato per mettere l’oro. Oppure
si incide con compasso e si mette stagno e oro. Sempre dello stesso, in Natività di San Giovanni Battista e
Crocefissione, ci sono cadute di pittura a secco e intonachino, si vedono aspetti di costruzione: delle linee
rosse che sono battute, si prende una corda intinta, la si tira e serve per le grandi inquadrature. Sono come
righelli e compassi enormi. Elementi della costruzione nella pittura volgare.
Importante è un brano di Cennino Cennini su come si lavora “in fresco” il muro. In primis si abbia calcina e
sabbione, da intridere con l’acqua. Si smalta, si mette questo intruglio con la cazzuola più e più volte sul
muro così da creare intonaco sul muro. Il primo intonaco che viene smaltato, di 1cm è detto smaltino.
Giotto, Stimmate si S. Francesco, 1290-1292, nella Basilica superiore di San Francesco. È un esempio di
rilievo murare. Si disegnano le cosiddette “giornate” ovvero pezzature di sormonto. Ci sono delle frecce che
indicano quale affresco viene prima e quale dopo. Il lavoro è dall’alto verso il basso perché si sgocciola, nel
mosaico da basso verso alto. Nelle stimmate di S. Francesco ci sono pezzature molto piccole per mani e
piedi, per il fondale, come rocce, le pezzature son molto grande. Prima del sistema delle giornate c’era
quello delle pontate, ovvero pezzature molto molto vaste. Nel Ciclo Francescano di Giotto vediamo
un’evoluzione tecnica di Giotto, all’inizio ci sono poche pezzature, più si va avanti nelle scene, più
aumentano le giornate.
A Bolzano, nel Duomo vediamo il rilievo per giornate per l’opera di Corrado ed Ermenegarda. Era un
mercante di lino ricco che voleva fare l’immagine della Madonna con i due donatori. Sono piccoli i donatori
che hanno cancellato e rifatto l’opera. Il pittore è diverso da quello gotico di sotto. È un aggiornamento
stilistico e ammodernamento delle critiche. Sotto ci sono storie di Santa Dorotea. Sempre a Bolzano i pittori
tedeschi hanno tecniche diverse. Pittura a Calce, la superficie risulta molto grumosa. Quando l’intonaco si
asciuga, viene premuto ed esce il latte. Ci sono i segni di pressione con la punta di una cazzuola. Un altro
esempio di pittura a calce sta a Piedimonte Matese, in cui si vede proprio la pennellata di bianco puro
grazie al latte di calce. Anche S. Antonio Abate che incontra il centauro. Vediamo una vaga impronta degli
alberi, che sono come una vaga ombra perché era a secco e si è degradato.
Masolino in San Giovanni Battista addita Cristo alle genti, a Castiglione Olona. Le teste a fresco sono
rimaste. C’è una figura a destra senza corpo, fatta a secco. Scendendo, la figura dietro è interrotta.
DECORAZIONE PARIETALE
La pittura non è mai solo colore. Quanto più la pittura è pregiata, tanto più assomiglia a pietre preziose e
oro. Quello che riflette più luce è l’argento, ma si altera, l’oro è inalterabile, quindi è al vertice.
Simone Martini, Maestà a Palazzo Pubblico di Siena. È quasi tridimensionale, si vede che viene battuta la
lamina metallica, quando l’intonaco è ancora morbido, si batte una formina. L’aspetto polimaterico vede
dei vetri inseriti proprio nella malta, dorati. C’è una fibbia sul petto della vergine e carta vera che il bambino
tiene in mano. Avviene spesso nel gotico internazionale nella decorazione parietale.
Un pittore lombardo a Castiglione Olona, si vedono nimbi in rilievo, un bambino che ha un libro, il vescovo
ha il pastorale… la malta dà senso tridimensionale. Le incisioni sul muro fanno capire che una lamina è
caduta, grazie alla luce radente. Esempi a Piedimonte Matese, vediamo che una colonna è tutta
etichettata, incisioni per inserire delle lamine metalliche nelle colonne tortili. Ci sono anche esempi di
spolvero
Spolvero: cartone bucherellato, premuto e rimaneva impronta di puntini come in questo caso. I primi
spolveri sono a Firenze in Ottania. Con Piero della Francesca lo spolvero viene usato nel minimo dettaglio.
PITTURA SU TAVOLA
Prima del gesso si applica la tela che attutisce il legno. Le giunture tra le tavole avvengono con il polittico. Il
supporto prevede collaborazione tra falegname e artista. Assi verticali, che spesso sono 3 per evitare che
la giuntura caschi a metà. Tutto viene bloccato dalle traverse, che danno mobilità alle stesse. Venivano
inchiodati gli elementi come cuspidi e cornici. La predella è un corpo fisico separato. Legno orizzontale.
Nella pala quadra, la tradizione vuole pale orizzontali. La genesi del polittico, che ha una costruzione

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“microarchitettonica”, come una facciata di una chiesa, che poi si evolvono in più livelli. I primi sono a un
registro, come quello di Duccio. Nei primi abbiamo assi orizzontali, ma poi vincono i moduli verticali. La
radiografia ci aiuta, riduce tutto in un unico livello quindi è difficile da distinguere la profondità degli
elementi. Nella predella della Maestà di Duccio, ci fa ricomporre la sequenza. Vediamo che l’asse non è
unico. Vediamo un dossale narrativo di Giotto, non è una predella. Radiografandole vediamo la venatura
del legno e ricostruiamo la sequenza degli elementi. Un discorso è tra campo pittorico e cornice. Non
ritagliare mai la figura. Anche gli oggetti religiosi come avorio e oreficeria scoppiano. Nel rapporto con la
cornice, l’operazione è preventiva. Prima il legnaiolo prepara la tavola e attacca le cornici, poi il pittore
esegue le varie lavorazioni e attacca anche l’oro. Si mette la tela, in alcune croci vediamo addirittura la
pergamena. Le incanottature servono a pareggiare e attutire il movimento del legno. Il gesso si cretta e
modifica la pittura. Nella Croce di Giotto in Santa Maria Novella notiamo questo con la tela dov’è caduto il
materiale.
Cennino Cennini spiega anche come si fa. Si incolla la tela di lino, pulito. Si taglia e si straccia in liste grandi
e piccole la tela. Si inzuppano nella colla e si distende poi con le mani sui vari piani. Poi si mette gesso grosso
e sottile, si rasa, si disegna il fondo. Se sul muro prima si incide e poi si applicano le lamine, qui prima si
applica e poi si incide. Si lavora prima l’oro della pittura. L’oro va brunito, ovvero si leviga con una pietra
preziosa, così che diventa come uno specchio. Si incide dunque l’oro. Sui bordi vediamo delle colature in
gesso che dimostrano che non è mai stata segata la tavola. Il disegno viene applicato a pennello. Il disegno
dell’Annunciazione di Duccio, vediamo le pennellatine nel rosa, in modo ritmico e regolare, piccolino.
In Giotto è diverso, lui studia i volumi, le ombre. Gioca sui toni medi, sulle sfumature. Ha in mente ciò che è
chiaro e scuro. Agisce con la mozzetta, un pennello grosso che usa in modo orizzontale. Dà un chiaroscuro
aggressivo, la pennellata è un fondo cromatico.
Vediamo nella tavola le linee minute che sono incise col righello, Duccio usa le linee guida, disegnate o
incise.
Il verde terra era molto usato per le carni, che traspare nelle mani della mano della Santa Massima di Lippo
Memmi, perché cade la pittura. Si vede la tessitura delle pennellate, la sua mano è molto precisa, le
pennellate si distinguono nel volto della Madonna col Bambino, la tessitura crea la sfumatura tra rosa e
latteo, con effetti sublimi delle labbra, parla del bianco puro chiamato come bianchetto, la sapienza è data
dalla capacità di usare pochissimo bianco e nero puro.
METALLI
Fatta la brunitura, ci sono diverse operazioni per animarlo. Nel Meliore, Madonna col Bambino, vediamo
come si applica la doratura a guazzo, le foglie vengono applicate con bolo rosso, che bagnata diventa
adesiva. Serve per le grandi superfici, per applicare la foglia d’oro, visibile nei nimbi. Sulle vesti del Cristo si
vede la crisografia, o cardatura fatta con doratura a missione, un legante colorato. Si prende la foglia, si
applica e si staglia. Sulla missione non si cretta, come nell’oro guazzo. Serve a fare decori più minuti,
tipicamente nelle vesti, soprattutto a fine ‘200 e ‘300. Le dorature a missione si vedono ad esempio nel
Paolo Veneziano, San Giacomo maggiore. Dove esso cade, si vedono le macchie rossastre o brune della
missione stessa. La missione è corpulenta, vediamo l’anima colorata al centro e l’oro solo ai lati, poiché
cade. Il restauro non è un’operazione meccanica, non ridà le cose originali ma è equilibrato.
L’oro di conchiglia è una sorta di oro in polvere. È più opaco, granuloso, si sviluppa nella miniatura e nel
‘400. Si rendono effetti ancora più infinitesimi, in Jacopo Bellini, la usa per dare una sorta di effetto minuto,
puntiforme della luce. Molti nel ‘400 contestano l’uso del metallo, per motivi religiosi, perché l’oro è un
esempio di fastosità materiale. Leon Battista Alberti dice che non bisogna lodare l’oro nella pittura ma la
pittura che imita l’oro e la lucentezza attraverso il colore stesso.
L’incisione a mano libera è detta a stiletto, tipica di Duccio e Giotto da giovani. Emerge in negativo questa
incisione soprattutto nei nimbi. Polittico di Badia di Giotto, si vedono incisioni con simboli e scritte.
Si introduce il punzone, con Lippo Memmi, la granitura è usata per il nimbo. L’incisione è puntiforme
dunque, come nel Maestro di Narni in Madonna col Bambino, in qui si vedono questi puntini neri. Si vede

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anche l’oro a missione che non è brunito, quindi è meno splendente. Vitale da Bologna con la resa della
stoffa viene brunita con l’oro.
Lo sgraffito nasce con Simone Martini, con l’Annunciazione del 1333. L’angelo ha oro con veste rosa, in cui
prima si stende il colore, poi viene raschiato per le fantasie floreali e viene inciso per la lucentezza, poi
viene ombreggiato e colorato. L’azzurro è fortemente diminuito nel tempo. Entra nella granitura. Si chiama
sgraffito, incisione dell’oro raschiando il colore. Interazione tra lamina e colore. Si usa un legante olio
resinoso. Si parla di vernici, il colore è traslucido e quindi gioca con l’oro sottostante. La lacca è più scura,
usata da Lorenzetti per rendere l’ombra translucida.
Sempre nell’Annunciazione viene usato il verderame per le foglie, che ora sono alterate. L’ala è sgraffita. Il
vasetto in primo piano è importante. Si sfrutta l’oro, ha creato un effetto di lucentezza variabile.
TECNICHE OREFICERIA
La filigrana sono fili d’oro torti per corde minutissime. Furono eccellenti i Veneziani in ciò, lo vediamo nella
Croce di Castiglion Fiorentino. Le perle hanno un foro con cui vengono bloccate.
Un’altra tecnica importante è lo smalto, paste vitree cotte in supporti metallici. Lo usano molto i bizantini,
è detto smalto cloisonné (alveolo) dato da membrane sottili d’oro in cui viene colata la pasta translucida
vitrea. Il disegno è filiforme come si vede nella Vergine Orante nella Biblioteca Marciana a Venezia.
Altra tecnica è lo smalto champlevé, in Germania e Francia. Questo smalto è meno pregiato, la lamina di
base è di rame. È più spessa la lamina, lo smalto è opaco, non translucido. Ci sono anche smalti più
complessi, come quello niellato. Vediamo Nicolas de Verdun a Vienna. Si usa un mastice nei solchi.
C’è uno sviluppo a Siena nella smaltistica. Vediamo Duccio di Mannaia, che usa per primo lo smalto
traslucido: è una rivoluzione, è uno smalto pittorico. Il vertice si sposta a Orvieto, vediamo Ugolino di Vieri
con il reliquiario Corporale. Consiste nella lamina di base lavorata su cui si cola la pasta di vario colore. Dove
il solco è più profondo la pasta e più spessa e il colore più scuro, dove meno profondo, si crea la luce e
dunque la sfumatura. Quando lo smalto cade, si vede l’argento inciso senza colore, come nel reliquiario di
San Galgano.
COMMESSO MARMOREO
Opus tessellato, in pratica è mosaico con tessere uguali, marmoree, vetrate dorate…
Opus sectile: commesso marmoreo che già è presente nel mondo romano, come nella Basilica di Giunio
Basso. Marmi pregiati tagliati. A San Vitale a Ravenna nelle zoccolature dei marmi bassi si nota questo tipo.
In questo modo si lavorano lastre di marmo.
Nella Cappella Palatina a Palermo si vede l’opus sectile, con motivi minuti, da non confondere con l’opus
cosmatesco. A Roma soprattutto si vedono i pavimenti con sorta di dischi. È canonico nei pavimenti centro
meridionali, altrove si usa quello tessellato pavimentale. Tornus, Borgogna, vediamo l’opus tessellatum del
pavimento.

7. LA CRISI DEL NATURALISMO CLASSICO TRA TARDO


ANTICO E PALEOCRISTIANO
Tardo antico. Si parte dalle catacombe. Ipogeo di Roma in via Latina. Si riprendono i temi della decorazione
parietale classica. Ci sono liste che definiscono delle figurazioni come Cristo Buon Pastore, il defunto come
orante. La pittura è quasi bidimensionale. Il confronto è da fare con Ercolano. L’affresco è fermo, indicativo
perché l’arte cristiana si appoggia sui modelli dell’arte pagana. Madonna con braccia allargate, orante, capo
scoperto. Confronto con ritratti del Paiundo, caratterizzazione di moda, costumi, occhioni dilatati con ciglia.
La Madonna col Bambino a Roma ha un aspetto sacrale della codificazione dello sguardo. Apollo sul carro
diventa Elia che scende in cielo o il Cristo stesso, attingendo dal paganesimo.
Vediamo a Roma nel Coemeterium maius, il contesto pastorale bucolico con il defunto al centro, criofiro
come Cristo Buon pastore, salvezza nella vita eterna come eden, paradiso terrestre in ambientazione
naturalistica. Pittura liquida, guizzante, in modo veloce, è una pittura compendiaria ereditata da quello che
vediamo ad Ercolano e Pompei con fondo bianco scialbato.

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BASILICHE
315, Costantino rende il cristianesimo religione di Stato. Si creano le grandi basiliche, Costantino stesso
attua la prima edificazione di esse: San Pietro, San Giovanni in Laterano e San Paolo Fuori le Mura. San
Giovanni era ancora più importante di San Pietro, benché contenente la tomba si San Pietro.
Edifici di fondazione Costantiniana, modello delle basiliche romane, con edificio ad aula, 3 navate, una
maggiore e due minori ai lati, orientate con abside spesso ad oriente, ma non sempre. Nel caso di San
Pietro è a occidente. La realtà originale è sparita, San Paolo fuori le mura a metà ‘800 si è bruciata, San
Pietro nel ‘600 viene rifatta. Vediamo le ricostruzioni di San Pietro. Le basiliche sono caratterizzate da
copertura a capriata, murature lisce sorrette da colonne trabeate, come si vede a S. Maria Maggiore. San
Pietro aveva 5 navate, le due navate laterali erano divise da arcate. In fondo c’era un transetto
monumentale, allineato con i muri d’ambito. Santa Sabina sull’Aventino è una delle superstiti, quasi
reinventata nel ‘900 per rimettere le cose delle origini, ma non è del tutto veritiero perché il muro è liscio,
erano ricchi di tende, cortine, marmi, affreschi. Gli edifici basilicali, longitudinali, rendono una fuga
prospettica verso l’abside. Non erano però spazi vuoti ed essenziali, erano stratificati, ingrossati, decorati.
La struttura ha un invaso senza interruzione con pareti lisce. Al livello alto c’è il claristorio, teoria di finestre.
Rispetto a Santa Sabina, molto restaurata, Santa Maria Maggiore vede l’aspetto originario salvato nel ‘500.
Fondata da Papa Liberio, che ebbe una visione. Vediamo un cassettone ligneo che chiude la capriata.
Mosaici di Sisto III, più recenti. Arco trionfale sotto il claristorio con riquadri, rincorniciati nel ‘500 per
salvarli. L’abside ricostruita a metà ‘300. Su arco trionfale, storie di Cristo e Vergine, sulle altre pareti storie
dell’antico Testamento. Partendo dall’arco trionfale vediamo il tema del fregio continuo, registri
sovrapposti con storie della Vergine. Abbiamo una tipicità dell’arco, le città gemmate ovvero Gerusalemme
e Betlemme da cui escono le 12 pecore simbolo dei 12 apostoli. Gemmatura tipica bizantina, città con
retaggio classico. Si innesta la navata su ciò, proiezione della chiesa stessa. Sull’arco della città gemmata è
appesa una grande croce, che testimonia lo spazio affollato delle origini.
Annunciazione a Santa Maria Maggiore, il nimbo è riservato agli angeli, la Madonna è diademata, dorata,
che si rivolge all’arcangelo che viene dall’alto con la colomba. Gli altri additano, mostrano. Stava nel
tempio, questo è indicato dall’edificio a sinistra. Stilisticamente vediamo che non è rigida, ci sono
asimmetrie, cielo di nubi rosseggianti, effetto pittoresco, fascia dorata. La gestualità della Vergine, l’angelo
che plana da modelli di partenza. Gli angeli hanno il volto, piedi e mani arrossate di puro amore. Le carni
della vergine sono olivastre. Le tessere sono nette e crude, effetto di sguardo lampeggiante nel volto della
Madonna.
SCULTURA PALEOCRISTIANA
Nel V secolo abbiamo ancora elementi del tardo antico. Convivono due anime confliggenti, soprattutto a
Santa Sabina, con le storie dell’antico testamento. Scultura vitinea, simbologia cristologica, operano due
sculture diverse, una classica, una più nuova. Angelo dal cielo che trascina San Tommaso, sotto c’è l’Eliseo,
nel deserto, pastori spaventati nel deserto. Elementi di illusionismo e plasticismo. Le vesti svolazzanti
dell’angelo è una sigla vera e propria. La crocifissione e i due ladrone è proprio diversa, tende alla riduzione
alla superficie del piano. Le figure inchiodate vedono corpi molto elementari. La raffigurazione è
schematica.
I Sarcofagi. Se a Ravenna sono organizzati in modo schematico con raffigurazioni emblematiche ed
esemplari, nel IV secolo a Roma abbiamo una produzione a parte. Vediamo un intrico di viti e angioletti che
vendemmiano, mungono latte, pigiano l’uva. Tema del Cristo come buon pastore, la pecora smarrita che
viene portata in salvo. Misericordia divina. Si deriva verso l’horror vacui. Più stagliato nel piano è il
sarcofago porfiretico, si pensa siano le tombe di Elena e di sua nipote Costanza. Coltura e pigiatura d’uva,
pavone immagine di Cristo, plasticismo notevole ma geometrizzate contro il fondo liscio. Il sarcofago di
Costanza ha scene di assoggettamento dei barbari, sottomessi agli imperatori. Scene drammatiche. Non c’è
il piano di posa, di tende a stagliarsi verso il fondo liscio.

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Il sarcofago di Giunio Basso è molto importante, nel 360 d.C. Età Teodosiana, quando viene diviso in due
l’Impero. Istituzione architettonica su due registri, scanalatura di colonne spiralate, erbe rampicanti, sotto
alternarsi di lunette e timpano. Scenette di antico e nuovo testamento messe a caso, ognun per sé, tipo
nell’arte bizantina. In asse c’è una Maiestas. Figura del cielo, sotto ingresso di Cristo a Gerusalemme.
Scenette organizzate con 3 figure, vive ed animate, con oggetti importanti, si va nel sottosquadro, scavate
anche dietro come altorilievi. Hanno il senso del tuttotondo. Il panneggio sottolinea il movimento. Il Cristo
è un giovinetto ricorrente, poi surclassato dal Pantocratore. Le gambe sono sfalsate. L’ingresso di Cristo a
Gerusalemme sembra una statua a sé, a tuttotondo.
Arco di Costantino. È composito. Vediamo com’è fatto. Fregi corti, lunghi (presa di Teodosio a
Costantinopoli), tondi di altre epoche. Ablocutio al popolo. Architetture al fondo con imperatore al centro,
tutto spalmato. Il popolo riceve la sua generosità. Maiestas e profilo dei barbari sottomessi. Uno dei tondi
di Costantino vs quello di adrianeo. Caccia all’orso adrianeo, cavalli costantini. Il tipo di lavorazione non è
impressionistica, è liscia, sta cambiano il modo, si vedono pieghe, criniere, mantelli svolazzanti, ma si nota
la differenza forte.
In Oriente, sono famosi i Tetrarchi in Porfido, spogliati dai veneziani e usati come pietra angolare per il
Tesoro di San Marco. Colosso bronzeo di Costantino, si colloca tra geometrie sensibili delle carni e volto con
sguardo astratto. Distinguere arte ufficiale e privata. Con Teodosio si biforcano le strade. Nell’arte privata si
hanno ritorni mitologici, dimensione sensuale, sensibile. Si vede nel vetro dorato della Croce di Desiderio.
Sono Galla Placidia con Valentiniano III e Giusta Grata Onoria, vetro graffito. Siamo sicuramente intorno al
400. Vive la verità palpabile e sensibile, la dimensione fuori dal tempo si caratterizza nello sguardo perso.
Avori molto importanti, servivano come tavolette dall’alto lato per scrivere. Molti sopravvivono.
Lampadorium. Avori con temi classici e mitologici o celebrazioni del console stesso. In particolare quando
dà inizio ai giochi, cavalli che girano intorno all’obelisco, in alto si vede il console che assiste alla scena.
Altra arte pregiata erano vassoi in argento sbalzato, usato lavorando da dietro e poi con il cesello da
davanti. Vassoi, arte privata, profana. Si vede Teodosio slanciato al centro, con figlio Arcadio e Valentiniano
II. In basso c’è la raffigurazione sensuale della donna come Cerere, si torce, grande scioltezza e naturalezza.
MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA
Anche Milano e Napoli hanno testimonianze di mosaici del tempo di Galla Placidia, tempo in cui si divide
l’impero Romano d’occidente. Ella era sepolta a Roma, non a Ravenna, ma è un suo tempio. È molto
piccolo, è un sacello cruciforme, non è una croce greca perfetta, ma non è longitudinale, tutto ruota
intorno alla cupola centrale. La cupola centrale con sopra un tiburio, tutto è voltato a botte e rivestito con
mosaici, sopra il livello dell’arco di imposta ci sono i marmi sottili. Sono vitree le tessere. Era un oratorio
dedicato a San Vincenzo. Nella parete di fondo c’è un santo martire che si avvia verso la graticola infuocata,
San Lorenzo/San Vincenzo. Inizio del V secolo. La cupola domina tutto, non c’è ancora il pantocratore ma la
croce dorata che si staglia verso l’infinito. Più si sale più si disciplinano le stelle, da caos a ordine.
Sfondamento verso l’infinito. Tetramorfo, 4 evangelisti, con i loro simboli. Nel tiburio ci sono 4 lunette,
coppie di apostoli per ogni lunetta. Gli angoli sono percorsi da fasce con tralci vitigni e decori molto
stilizzati, di stile quasi bizantini. Sulle pareti del tiburio ci sono le valve delle conchiglie che sovrastano il
tutto, simbologia di origine della vita, figura acquatica di metafora salvifica. Gli apostoli hanno la toga
senatoria clavata. Le figure hanno un classicismo con senso vivo di sguardi. I fregi e le ornamentazioni,
gusto cromatico che si intarsiano tra loro. C’è una vestigia di naturalismo. Nelle lunette del transetto si
vedono i cervi che si abbeverano alla fonte. Nella lunetta sopra la porta di ingresso c’è il Cristo Buon
Pastore, veste molto colorata, volto con sguardo intenso laterale. Ha radici nel mondo delle catacombe,
pastore benevolo che impersona Cristo. Il Cristo imberbe è un altro motivo paleocristiano, imberbe.
La lunetta al fondo. Incorniciature di retaggio classico, onde stilizzate. La scena non è storica ma è
emblematica, viene raffigurata la scelta volontaria del martirio. A sinistra armadio con testo sacro, vangeli,
fedeltà verso quei testi, è come un rebus che va sciolto.

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Sempre a Ravenna vediamo il Battistero Neoniano o degli ortodossi. È ottagonale, all’interno la
decorazione è complessa, ricca, due registri: basso che alterna esedre a pareti lisce, quello alto del
claristorio, grandi finestre in trifore, con decorazioni in stucchi in queste edicole. Sopra si innesta una
cupola avete tre registri: al centro un clito con il battesimo di Cristo, un primo giro con gli apostoli pausati
da candelabri e un giro esterno di edicole architettoniche alternate da trono e seggio gemmato che aspetta
il ritorno di Cristo nell’8 giorno. Gli apostoli sono figure frementi di vita, vesti sbrilluccicanti, hanno un passo
incalzante e portano delle corone gemmate, simboleggia la promessa della gloria finale del cristianesimo.
L’etimasia è il trono vuoto, si trova in un giardino. Effetto scintillante di drappi, uccelli che saltellano,
pavoni, colori cangianti. Nel giro basso vediamo i profeti. La raffigurazione ha volti allampanati, andando
verso una forte schematizzazione. Sopra hanno delle valve che galleggiano, si va verso la disarticolazione.
NAPOLI E MILANO
Ci sono mosaici molto importanti. Nella prima c’è il Battistero di San Giovanni in Fonte. Tesserine dorate,
opus tessellato di simboli di vita e fertilità, tende, su cui si staglia la croce, alfa e omega. È molto
frammentario ma nei pennacchi angolari ci sono cervi che si abbeverano alla fonte. Eloquente è l’angelo di
Matteo, con ali percorse da filamenti dorati, il volto è intenso e sembra un ritratto, con le ombre che danno
rotondità e contrastano con lo sguardo.
A Milano, che diventerà capitale di Occidente, troviamo il Vescovo San Ambrogio. È un momento
straordinario. A San Lorenzo abbiamo dei mosaici, due grandi catini, uno con il Cristo Docente tra gli
apostoli, è più grande di loro. In primo piano roccia, acqua e cista. Il Cristo docente denota una toga
senatoria con lampi di luce. Nell’altra esedra del sacello di sant’Aquilino vediamo il carro di Elia (come
Apollo) che scende dal sole. Animali che si abbeverano, il pastore che si avvita su se stesso, sfrangiature del
giallo sulle rocce. A Sant’Ambrogio in origine era dedicata a San Protasio e Gervasio, due martiri milanesi,
vediamo un sacello detto San Vittore in Celdoro, con al centro San Vittore in una ghirlanda che si staglia
nell’oro abbagliante. La raffigurazione di Ambrogio non ha il nimbo, è a sé ma sembra ancora un dipinto.

8. RAVENNA, L’ETA’ DI GIUSTINIANO E LA GENESI DELL’ARTE


BIZANTINA

Distinzione tra Rinascimento e Rinascenza. Recuperare in questo secondo caso delle caratteristiche del
mondo classico. Con Giustiniano inizia il processo, ma l’età Carolingia è quella che realmente mette le basi
alle Rinascenza.
GENESI DI VIENNA
Incontro di Isacco e Rebecca al pozzo. Figura seminuda ricorrente femminile, è immagine acquatica,
notiamo dunque un retaggio classico. Gli Austriaci individuavano in ciò una narrazione molto pregna di
significato ma essenziale. Sembra essere la nascita del fumetto moderno, su più livelli si sviluppa la
narrazione. Ambiguità della roccia che continua su più livelli. La resa degli spazi è frammentaria, empirica.
Le vignette sono smarginate, senza riquadro. Sono al vivo, stagliate direttamente sul fondo della
pergamena, dando elemento di vivacità narrativa. Uno dei più importanti codici è a Rossano Calabro: il
Codex Purpureus. Scritto in greco e oro, il sud Italia è nelle mani dei bizantini. Persistono culture di origine
greche. È un codice quadrotto, tavole sinottiche. 3 sinottici che organizzano in colonne in parallelo le stesse
scene degli apostoli.
Vediamo il Cieco di Gerico, con il Cristo che gli impone la mano negli occhi. Si lava alla fonte e acquista la
vista. Segno che in questo secolo si codificano delle impostazioni alla base dell’arte bizantina che si
permeano nel corso dei secoli, troviamo la scena anche in Duccio. Connessione tra immagine e testo in
maniera didascalica. I codici vengono da un ambito imperiale. Giustiniano venendo a capo dei Goti unifica
l’impero, riconquista in parte l’Italia e rende Ravenna capitale dell’esarcato. È una visione effimera, la
legislazione romana è recuperata e riconsegnata al medioevo. Rimane un mosaico enorme nella sala del
suo palazzo.

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Scene bucoliche pastorali, bambini agghindati con pampini, portati su cammelli. Non c’è un piano di posa,
sono vocaboli che vagano nel bianco del fondo. Hanno un naturalismo, rotondità accusata. In questi volumi
c’è un principio di astrazione, troppo geometrica. Si cristallizza il naturalismo classico in un astrattismo.
AVORI ETA’ GIUSTINIANEA
Alcuni manufatti preziosi di corte giustinianea sono gli avori. Placchette di soggetto sacro che facevano
parte di coperte di libri, vangeli… Dittico eburneo del 400, Cristo che ascende al cielo. Episodi distinti
cronologicamente, tenerezza e carnosità dei volumi, le donne si avvolgono in gesti di stupore, le gambe
fremono, l’angelo anche è aptero (senza ali), non si codifica del tutto l’iconografia angelica. Il santo
sepolcro è un edificio cupolato a pianta centrale, assomiglia a mausolei di tipo classico, i due soldati, di cui
uno è addormentato è sotto un albero con uccelli che beccano, simbolo di rinascita ma anche realtà
naturalistica. Nell’ambito bizantino non ci sarà il Cristo Risorto, ma ci sarà anabasi (ascensione) o sepolcro
vuoto. Qui è tutto realistico, il Cristo è imberbe come da tradizione paleocristiana. Raffigura solo 2 apostoli,
per la mancanza di spazio, uno stupefatto, l’altro abbagliato dalla luce. Prendono via via forma i temi nuovi.
In età di Giustiniano c’è un recupero di valori di classicismo, naturalezza di stoffe e carni, ma vedendo
l’avorio di Arianna, compagna di Dioniso, oggetto profano, rispetto a quello di prima, c’è un intaglio meno
sensibile, più schematico soprattutto nel volto, che è segnato in maniera incisiva nei dettagli. Il velo di seta
è intagliato. Come nella Genesi di Vienna c’è già una deviazione verso una codificazione più astratta e
tagliente.
L’Imperatrice Ariadne in una raffigurazione del potere è ieratica nella rappresentazione. Nell’arte profana
persiste di più un’idea naturalistica, idea di immobilità per potere. Vediamo un armamentario
impressionante. È in un’edicola con aquilotti che hanno una ghirlanda, le tende scostate. Scostare le tende
che rivelano qualcosa di molto importante. È ritratta anche in alcuni busti, con effetti di grande morbidezza
in parte e rigidezza ieratica nelle palpebre.
Importante è una placchetta, coperta di un codice. È sicuramente di Giustiniano, che è a cavallo con gesto
classico, figura misera di donna che chiede aiuto, si aggrappa al piede dell’imperatore, immagine classica di
popoli sottosviluppati che chiedono aiuto, sotto c’è il tributo di queste popolazioni a lui, portando dei doni,
accompagnati da animali, in segno di sottomissione delle province. Eredità classica. Misto di naturalezza e
astrazione. La figura centrale è aggettante, figura in torsione, cavallo che viene verso di noi. In cielo c’è la
Vittoria che impone la corona. Genietti con corone di alloro della gloria. Al vertice c’è il Cristo imberbe che
benedice alla greca. Dietro c’è una mandorla sorretta da due angeli in voto con veste svolazzante secondo
canone classico, che ha inciso da una parte il sole, dall’altra luna e stella, allusione alla dimensione
universale dell’eternità. Pietrine nella corona, mani schematiche. Figura ieratica ma con dolore di vivere.
Avori simili si conservano a Ravenna in maniera quasi integra.
Cattedra di arcivescovo di Ravenna Massimiano (che è anche a San Vitale nel mosaico) quando diventa sede
dell’esarcato. Tutto foderato di avori, avanti e dietro, con antico e nuovo testamento. Soliti tralci vitinei,
con animali, due grandi pavoni. In basso escono da un vaso, simbolo della vita. Ci sono il battista e ai lati i 4
evangelisti. Si vede il monogramma della sua commissione. Ci sono agenti differenziati, gli evangelisti sono
stretti, scavati con più profondità con valva che ospita, le altre sono meno gettanti, per creare un
chiaroscuro, un ritmo. Nei panneggi, con effetto di pieghe e fitte c’è una geometrizzazione. Cura dei
dettagli, fregio ad ovuli intorno alle valve. Espressività nei volti segnati. Resa delle capigliature.
L’evangelista tiene il vangelo con la mano velata.
RAVENNA, SANT’APOLLINARE IN NUOVO
Il periodo del regno Goto vede l’Italia conquistata e Ravenna vede essere la loro capitale, che era già
capitale dell’impero. Loro sono Ariani e infondono la religione. Poche cose superstiti di Teodorico a
Ravenna, fa erigere un grande palazzo sul quale eresse una cappella Palatina (chiesa collegata alla sede del
potere), non pubblica. Era dedicata al Salvatore, intitolata Sant’Apollinare dopo la disfatta dei Goti. Rimane
la teoria di colonne con pulvino, tronco di piramide smussata che spezza rapporto tra capitello e base
dell’arco. Sopra rimangono i mosaici famosi, vergini a sinistra e santi martiri a destra, incedono con corona

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gemmata verso la Madonna con il Bambino per le vergini, verso la Maiestas domini per i profeti. Le finestre
alternate con profeti ed apostoli, sopra di loro griglia geometrica con storie di Cristo. I cortei partono dalla
controfacciata. Da un lato c’è il Palazzo di Teodorico, dall’altra il porto di Classe. Prima c’era Teodorico, che
viene tolto in segno di damnatio memoriae. C’era la sua coorte, fu tolta per fare il palazzo. Il porto è
schiacciato in verticale, navi una sopra l’altra. Ci sono dettagli più naturalistici, ma il tutto è un po’
vignettizzato. Le figure togate solenni di apostoli e profeti si alternano e sopra si alternano storie del
vangelo con valve, nicchie che fanno quasi da nicchie ai santi ma è tutto distaccato dalla scacchiera
geometrica formatasi. La valva diventa bidimensionale, tessere dorate, riquadri con storie della vita di
Cristo. La composizione è schematizzata. Rispetto ai mosaici di Santa Maria Maggiore, ha il fondo oro
compatto, le figure tendono alla frontalità soprattutto la figura di Cristo.
Chiamata di Pietro e Andrea che pescano. Narrazione pausata e rigida. L’ultima cena è raffigurata su un
triclinio, Cristo è più grande in maniera gerarchica, gli altri sono sul semiciclo. Stessa cosa si trova a
Sant’Angelo in Formis, per l’ultima volta. L’artista medievale copia, ma ogni copia dei modelli viene
interpretata, nell’XI secolo, dove non si mangiava sui triclini, c’è una forzatura.
Teodorico, imita Costantinopoli ma anche origine barbarica. Si fa erigere un mausoleo massiccio a 12 lati su
modelli classici, ma con cubature massicce senza cornici, ostentazione di un popolo guerriero impadronitosi
del mondo romano latino. Gigantesco monolite che chiude con un coperchio il tutto. Fregio a tenaglie, forte
graficizzazione a riccioli che caratterizza tutta l’arte alto medievale.
HAGIA SOPHIA
Giustiniano, a Costantinopoli: Hagia Sofia, santa Sapienza, eretta in 5 anni. Esisteva una precedente, ma
rifatta nel 532. Si concentra nell’erigere i monumenti corrisposte alla grandiosità della sua impresa dopo la
fine dei Goti. Sappiamo i nomi degli architetti, nel De Edificiis: Antemio di Tralle e Isidoro da Mileto. È a
pianta centrale, ma non completamente, ha un asse longitudinale verso oriente. È tutto chiuso in un
quadrato, con prima un nartece e al centro una cupola che domina. Tutto ruota nel mondo bizantino in
maniera verticale con la cupola. Spazio a pianta quadrata chiuso da grandi esedre, aperte dentro da altre 3
esedre più piccole. Pensiero neoplatonico, Plotino, principio spirituale con luce che dà origine al mondo per
sottrazione, disperdendosi nella materia: mondo come opacizzazione del principio divino che è pura luce.
Tutte le esedre danno un’ascensione progressiva: esedre, lunettoni, catino maggiore e cupola centrale. Il
tutto è alleggerito dalle luci delle finestre, che una in fila all’altro danno origine alla cupola, danno la
sensazione che si libri nel cielo. Gli effetti cambiano con le condizioni esterne. Diventa una moschea e
recentemente il presidente turco l’ha restituita ai musulmani, era un museo. Procopio di Cesarea, De
edificiis. Il sito non si direbbe illuminato dall’esterno ma pare che essa stessa propaghi la luce. Matroneo e
pulpito sotto la cupola. Effetto di sfondamento della luce. Leggerezza ariosa dei colonnati. Mosaici distrutti
con iconoclastia. Restano i capitelli, caratteristiche di rinascenza Giustinianea. Foglioline dei capitelli che
danno effetto di ricamo, smaterializzazione, rispetto al turgore naturale del capitello classico. È corinzio ma
ci siamo molto allontanati.
SAN VITALE ALL’EPOCA DI GIUSTINIANO
A Ravenna vediamo riflessi di corte Giustinianea a Costantinopoli. Ha una fisionomia distinta da
Costantinopoli, ma in questo momento c’è un grande punto in comune. Ravenna resiste in 2 secoli in mano
bizantina, quando nel 752 arriveranno i Longobardi. Non rimane più nulla, a Ravenna sì, il tempo si è un po’
fermato. Basilica di San Vitale domina su tutti. Paraste semplici, archi senza cornici e senza pieno centro,
sono luminosi. Pianta ottagonale, quadriportico con nartece che non è normale all’orientamento della
chiesa. Pianta centrale con un suo orientamento evidenziato da interruzione con matroneo e sfondamento
verso abside. Interno particolare, ambulacro che gira sugli otto lati, con ottagono coperto da cupola. I 7 lati
di questo ottagono interno sono aperti da esedre, che girano e sono aperte da 3 arcate sotto e sopra.
Spazio che si allarga e dilata. Estetica analoga all’Hagia Sofia di Costantinopoli. Conservati tutti i mosaici del
presbiterio e abside, per il resto è andato tutto perduto e rifatto. Esedre traforate da 3 ordini di arcate. I

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capitelli tipici con pulvino. Tecnica classica dello stucco, sulle volte del vestibolo. Il tutto è popolato da
foglioline schematiche sui capitelli e animali come pavoni sui pulvini, agnelli…
Ci sono anche capitelli che perpetuano il capitello classico, ma in forme più geometrizzate. Faltenlapitellen,
innovazione nel VI secolo, non solo semplificazione, momento di forte tensione espressiva. Tipologie molto
originali del capitello. C’è anche uno a foglie ventose che prende i canoni ellenistici. L’idea nel naturalismo è
presente, ma tutto è compatto e bucherellato. Altro esempio di capitello imposta a confronto con chiesa di
Brescia di Desiderio. Spoglia Ravenna, porta via i marmi. Si vede che sono di spolio perché la sezione della
colonna non coincide con l’imposta del capitello a foglioline.
Plutei, lastre rettangolari che compongono il parapetto del muretto che delimita il coro che sta davanti al
presbiterio davanti alla navata. Schola cantorum a Roma, i canonici stavano davanti al coro basso. La
recinzione presbiteriale sono queste transenne composte da plutei con pilastrini composti da colonne
singole composte da pergole, una specie di sistema architravato forato. Il pluteo ha le geometrie
ravennatiche, con foglioline sinuose, popolate da animaletti schematici.
SAN VITALE
San Vitale, 526 fondata da Ecclesio, poi completata da Massimiano. Giuliano Argentiere è un banchiere
finanziatore della chiesa (mecenatismo). Sono monumenti che celebrano il committente stesso. Il
presbiterio vede un arco di accesso con maiestas e tutti gli apostoli, volta a crociera. Ci sono dei fregi
carpofori, pieni di frutta, che decorano i costoloni, che si rastremano verso l’agnus dei. Questa
rastremazione è estranea al mondo classico, anche qui si vuole suggerire una tensione spasmodica verso
l’infinito. Pavoni che stanno su dei cantari in lapislazzulo e anse dorate. C’è un globo con un angelo per
volta che sorregge la teofania al vertice di tutto. C’è ancora un senso di ricchezza naturale cromatica. Senso
di vegetazione realistico e lussureggiante. Altra cosa è l’arte bizantina, astrazione teofanica. A Ravenna
ancora c’è senso pittorico. Croce gemmata, monogramma di Cristo, lunette con scende di sacrificio di
Cristo. Più in alto abbiamo la raffigurazione di Mosè, alcuni profeti e gli evangelisti verso le finestre, sui
quali c’è un canteo biansato che sfumano, ma tendono all’astrazione. Leone con forte energia, si va verso
geometrizzazioni, con i segni di costole e ombre. Nascono dalla copia e dalla semplificazione di idee
originali di naturalezza. Due sacrifici.
È affidabile la scena del Sacrificio di Isacco, con la scena precedente degli angeli che annunciano alla coppia
che avranno il figlio Isacco. Horror vacui, si tende a riempire la superficie. I 3 angeli, con quello centrale
ieratico, gli altri due guardano Sara e Abramo. I pani sono verticalizzati, senza scorcio. L’ombra è artificiosa,
il tronco è ambiguo con alberi, fondo, nuvole. Paesaggio roccioso e costeggiato da fiori. Sacrificio di Isacco,
le montagne e il personaggio si curva per assecondare la curvatura della lunetta. Il cielo si infila lungo il
profilo di Abramo, per dare alla sagoma dello stesso una figura perentoria. Principio non naturalistico,
evidenzia le sagome per intento espressivo e comunicativo. Senso brulicante delle tessere a Roma, qui è
tutto più schiacciato tendente alla bidimensionalità.
Le fiammelle a San Vitale della consacrazione, nella lunetta del presbiterio, con la chirofania, apparizione
della mano di dio dal cielo. Non è rigida ma sbuca dalle nubi rosseggianti. Il fregio è gemmato.
Incorniciature gemmate. Tra le cose legate al mondo classico vediamo le teste degli Apostoli nell’intradosso
del presbiterio. Tessere messe in maniera angolare per dare senso di barba o vibrazione del profilo da
lontano.
L’abside arricchito da opus sectile. 3 grandi luci della finestra, nel catino c’è la Maiestas seduto sulla sfera
celeste, sopra il paradiso terrestre, vediamo i 4 fiumi. La maiestas vede la fine dei tempi, come salvare
l’anima, un angelo introduce Ecclesio. Nelle processioni sotto, un angelo introduce Giustiniano e Teodora a
Cristo. Potere politico e imperiale. Figure solenni in processione. Offertorio, si porta la patena con le ostie e
calice con il vino. Giustiniano patena, Teodora calice. Eccelsio con le mani velate, ha nel volto la barba,
inclinatura del sopracciglio. Ambiguità tra astrazione e realismo è nei tabelloni di Giustiniano e Teodora.
Ieraticità nelle due figure, gesto laterale con patena e calice, lei ha una veste purpurea, con in basso
ricamati i re magi. Massimiano ha un volto ritrattista vicino a Massimiano, in mezzo ai due c’è Giuliano

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Argentario, altri chierici e a delimitare il tutto ci sono colonne gemmate. Teodora vede all’inizio un angelo
che sposta le tende per la porta.
SANT’APOLLINARE IN CLASSE
Effetto di nudità e vuoto. Scansione martellante delle colonne greche di spolio, pitture più tarde. Enorme
abside aperto da 5 finestre, absidi ravennati semicircolari all’interno e poligonali all’esterno. Mascherare
cosa c’è dentro. Arco trionfale, luce che viene dall’oriente. Nel catino absidale abbiamo tradizione in
simbolo. Sant’Apollinare è al centro con gesto dell’orante. È immerso nella natura, 12 agnelli ai piedi
simboleggianti la chiesa, ha sopra una sfera enorme, trionfo della croce, traduzione in simbolo della
trasfigurazione. In ambito bizantino è la festa più importante, anche più della crocifissione. Cristo si rivela
figlio di Dio, sul monte Tabor viene avvolto dalle nubi, compaiono Mosè ed Elia. Questi due sono presenti
vicino alla sfera blu che simboleggia Cristo, poi ci sono 3 pecore più grandi che simboleggiano coloro che
accompagnarono Cristo sul monte Tabor: Pietro, Giacomo e Giovanni. Sui lati del piedritto abbiamo
arcangeli, Gabriele con oros cinto alla vita di angeli e imperatori bizantini. Ha un’asta con una tabella,
labaro romano con la scritta della vittoria. Scendendo ai lati abbiamo i primi vescovi di Ravenna, Ecclesio,
Massimiano e Agnello, in delle nicchie. Raffigurazione di elementi illusionistici. Abbiamo il pulpito, o
ambone o pergamo, da dove si propagava la scrittura. Doppia scala, una per salire e una per scendere.
Parapetto rigonfiato ed elementi che sono punti di arrivo delle due scale. Amboni di ambito ravennate. Lato
destro, si promana la scrittura guardando verso nord, luogo del male e delle tenebre. Negli elementi di
arredo ecclesiale dominano le simbologie, cervo, colomba, pavone, orante. Anche nei sarcofaghi stessa
cosa. Scansione di elementi architettonici bidimensionali, con croci, agnello, pavone o al limite tralcio
vitigno stilizzato.
MALINCONIA ROMANA
Altri centri in Italia oltre Roma in età Giustinianea. A Roma vediamo l’abside di San Cosma e Damiano. Zona
del foro romano. Ha parti rifatte, restaurate, vediamo iconografia particolari. Non è maiestas domini ma
Cristo che ascende al cielo. È una teofania innervata da presenza fisica di figure. Contro il fondo azzurro c’è
una scala di nuvole rosseggianti con Cristo in simbolo di adventus. Veste Clavata rivestita da tessere dorate.
Più in basso ci sono Pietro e Paolo, con il papa Felice I che l’ha fondata. Malinconia tipica del Tardoantico,
volto con sguardi ieratici, magnetici aventi sopracciglia alzate, Cristo o altri personaggi sulla base del
filosofo classico.
Tessere di San Giorgio a Salonicco che tendono a graficizzare, deriva astratta, con sguardo magnetico ed
espressivo. Testa idealizzata di san Cosma. Si vede che a Roma c’è più persistenza di volto realistico,
espressività di arcata sopraccigliare, volto affranto. Pittura grassa e densa, pastosa nel muovere le carni ed
illuminarle, per rendere le geometrie più astratte. Castelpetrio, ci introduce ai longobardi.

9. LE INVASIONI BARBARICHE E L’ARTE DEI LONGOBARDI.


Grande trauma nel 568 con l’arrivo dei Longobardi. Non è improvviso. Forte sterzata verso ornamento e
astrazione geometrica. Anche dal mondo longobardo abbiamo testimonianze verso questa destinazione.
Nell’attuale Siria nella sinagoga di Dura Europos nel 244 d.C. vediamo delle miniature che sembravano già
tardo antiche o alto medioevali, con colori spiccati. Siamo addirittura prima dell’arco di Costantino. È
raffigurato l’attraversamento del Mar Rosso, Dio con mani rosse enormi che salva Mosè ed Ebrei, facendo
affogare l’esercito. Acqua che scaturisce dal deserto. Astrazione crescente in un oggetto scoperto in un
sepolcreto longobardo. Essi entrano dal Friuli, che ha il primo insediamento. In 2 anni dilagano in tutta
Italia, specie nella spina appenninica. Ci mettono 2 anni per conquistare l’Italia, 2 secoli per la cultura.
Fusione tra popoli diversi graduale. Arte dei longobardi molto differenziata nei periodi e nei luoghi. Nel VII
secolo persistono usanze barbariche come la cura dei sepolcreti. VIII secolo abbiamo arte monumentale
nelle città dei longobardi, che compete con Ravenna e modelli bizantini. Cambia lo status dei re Longobardi.
Aristocrazia militare, eleggono il re. Roma rimane legata a Costantinopoli, Ravenna resta bizantina. La

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Longobardia maior e minor sono le conquiste maggiori. Ducati di Spoleto e Benevento più a sud. Vediamo
un vassoio molto semplificato, raffigura un combattimento con un fante sconfitto, raffigurato due volte,
prima e dopo essere trafitto. Raffigurare insieme episodi diacronici. Lo troviamo ancora nel ‘300. In ambito
Veronese vediamo un’urna longobarda nella fine del VI secolo; imbarbarimento del latino, che diventa
schematico. Semplificazione nella lingua e anche nel linguaggio figurativo. Frontone, valva diventano molto
schematici e bidimensionali. Legame nel mondo tardo antico?
Roma. Si decorano le basiliche, come quella di San Lorenzo al Verano. Sono due chiese addossate. Arco
trionfale con Maiestas dal Cristo barbato, le figure si allineano in maniera ieratica, Pietro e Paolo, San
Lorenzo venerato, vescovo Pelagio che offre il modelletto della Chiesa, città gemmate di Gerusalemme e
Betlemme. Ancora più ieratico, verso il 630 è la basilica di Sant’Agnese fuori le mura. Dove fu uccisa si
eresse una basilica, lei al centro del catino si staglia in modo ieratico, con la dextra dei che porge la corona
gemmata. Tutto più schematico. I due papi che la fondano si fanno raffigurare: Simmaco ed Onorio. Ai
piedi della figura, con la stola gemmata, c’è il fuoco allusivo al suo martirio.
Nella seconda metà del VI secolo abbiamo un codice, i Vangeli del monastero di Rabbula. Monasteri sirio-
palestinesi, profili marcati e sagome semplificate, strada pronunciata verso la mimica esagitata e
semplificata. Conoblion, tunica smanicata di Cristo. Gesti delle mani velate della Vergine dolente e delle pie
donne.
ENIGMA DI CASTELSEPRIO
Insediamento nuovo longobardo, poi riscoperto. Struttura a triconco, un vano quadranoglare su cui si
innestano 3 absidi e 1 nartece. Indicativa incertezza delle pitture, quando sono state scoperte si pensava
risalissero al primo tempo dei Longobardi, VI o VII, ma dagli studi è emerso che è del IX secolo. Su due
registri ci sono storie che insistono sul tema della verginità di Maria. Cliteo nella finestra centrale verso
oriente con la Maiestas. È ieratica, geometrica e astratta, pittura impastata. Lessicalmente sono legate
all’arte bizantina delle origini. Adorazione dei Magi, vediamo un angelo concepito come le vittorie alate,
con gambe incrociate, la Vergine è in alto su un podio e avvicina il Bambino ai 3 che si protendono. La
Natività, iconografia di Vergine in una grotta, immagine che dura 1000 anni. Sogno di Giuseppe che viene
confortato dall’angelo difronte ai suoi dubbi sulla natività. Rosa, turchino, colori attinenti alla cultura del V-
VI secolo, il panneggiamento dell’angelo tende alle linee indurite, spezzate, che saranno tipicamente
bizantine, grafie del pennello bianco per dare luce. San Giuseppe è turbato nel sonno, linee taglienti come
dei fendenti, la coscia emerge in maniera geometrica, luci che diventano veri e propri segni. Origini del
linguaggio bizantino. Nell’Annunciazione l’angelo arriva con una piroetta, quasi, colonna sfalsata rispetto
all’architrave, grande gestualità dell’ancella spaventata. Concili discutono sull’umanità di Cristo, prove a cui
viene sottoposta la Vergine nel Tempio, acque amate, il sacerdote fa bere la Vergine, è autorevole, effetti
lampeggianti degli sguardi. Nel viaggio verso Betlemme vediamo un naturalismo incredibile dell’asinello,
fondale con frammenti di architettura e rami da aspetto un po’ più astratto. Incipiente organizzazione
geometrica. Per secoli e secoli la Vergine è su un materasso in una grotta, intorno con angeli e in primo
piano il bagno del bambino, San Giuseppe in disparte con gesto incredulo.
Paragonare con Salomone madre dei Maccabei, sciabolate taglienti dei panneggi, pittura molto liquida a S.
Maria Antiqua.
OREFICERIA LONGOBARDA
Popolo guerriero che assume gli artisti che ha già l’Italia, l’oreficeria è la stessa praticamente che c’era a
Roma. Oreficerie con matrici che avremmo definito longobarde, ma Roma rimane svincolata da essi. Alcune
sono presenti nel Duomo di Monza, che è legato a Teodolinda, moglie di Agilulfo, che converte il popolo
dall’arianesimo al Cristianesimo. Il vangelo donato a Teodolinda non c’è più ma rimane la coperta, d’oro
con cammei classici e pietre preziose. Tesoro di Monza, chioccia e pulcini, tipica simbologia paleocristiana.
Cesellata in maniera schematica, avvento di modalità semplificate. Prodotti che sembrano più legati ai
longobardi sono armature, fibule trovare nelle loro tombe, visiera di elmo che era arrotondato, con un re
longobardo, due guerrieri e vittorie alate, figure che offrono regali al detentore del potere. Le vittorie sono

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scosciate, lontane dall’arte classica. All’estremità ci sono due torri gemmate, questo è in linea con l’arte
classica. I temi classici vengono scompaginati in questa sintassi brutale.
Qualità nell’intreccio tipica di barbari. Intreccio geometrico o dinamico, come quello della croce in lamina
d’oro sbalzata, ha dei fori perché era cucito sul petto del personaggio seppellito. Spesso venivano usate
delle matrici a sbalzi per crearle. Abbiamo altri strumenti niellati e cesellati. Fibule a staffe tipiche di arte
longobarda.
SCOTIA MAIOR E MINOR
Evangelizzate tardivamente, hanno uno slancio enorme tra VII e VIII secolo soprattutto dal punto di vista
monastico, i monaci irlandesi vengono in Italia come per una sorta di rimbalzo. Grandi croci e codici con
legature orafe, oggetti sacri elevati sugli altari per farli vedere anche da lontano, questo spiega la
semplicità. Agostino di Canterbury, copia di vangeli, vediamo San Luca che è abbastanza piatta anche se di
retaggio classico, vediamo che è molto semplificato.
Ci sono degli artisti insulari che producono opere di sconvolgente originalità, la croce iscrive 4 scomparti
con il tetramorfo, simboli di 4 evangelisti ma con corpo fatto da lamine e curve spezzate. Intrecci che
dominano nella miniatura che sente un complesso di inferiorità verso le arti orefice. Nella miniatura si imita
ciò, vediamo il libro di Durrow, leone di San Marco, losanghe rosse e verdi, linee di tensione di energia,
tende molto all’astrazione. Aniconismo, contestazione della rappresentazione antropomorfa. Scene
istoriate ma astratte come il Vangelo di San Gallo. Si diffondono dall’ambito insulare e arrivano un po’ in
tutta Europa. Abbiamo pagine non istoriate ma puramente aniconiche, si ingigantiscono le lettere,
iperornate, gremite di decorazioni di sentore orientale, ma sono solo analogie, perché sono zone irlandesi e
scozzesi. Effetto niellato, incastonato. Sono puramente decorative, “pagine tappeto”. Libro di Kells, sembra
un surrogato di oreficeria, forti stilizzazioni del tetramorfo, stilizzazione di San Matteo con oggi e volti
molto astratti.
La grafia di questi codici è particolare, linee spezzate, oblique… Vangelo di Lindisfarne, sono molto semplici
per essere viste da lontano, eredità di San Vitale a Ravenna, ci sono sempre dei modelli da ricostruire che
vengono tradotti in maniera semplificata ma con molta pregnanza sensitiva.
LONGOBARDI NELL’VIII SECOLO
VII secolo, osmosi Longobardi e Romani. Fasti delle corti di Pavia con Liutprando e Brescia. Qui proprio
abbiamo più esempi. L’ultimo dei Longobardi, re Desiderio, che soccombe con l’invasione di Carlo Magno.
Importante Cividale del Friuli. A Brescia abbiamo un monastero femminile fondato dalla moglie del
sovrano, la basilica di San Salvatore, ci sono resti di pitture e di stucchi. Gli stucchi erano coloratissimi,
eredità classica. Vediamo a Cividale, caposaldo del dominio longobardo, aveva un fonte battesimale
fondato da Callisto, dove viene riutilizzato nel parapetto una fronte di altare ritagliata. Vediamo già il tema
dello spolio. Si chiama Paliotto, di Sigoaldo, riutilizzato. Scultura longobarda più vicina alla visione celtica
selvaggiamente astraente. Ha spessore ma è comunque molto impresso, il tetramorfo è quasi grottesco con
figure di fantasia. I due animali a specchio che si affrontano sono di ascendenza persiana. Vediamo il tralcio
divenuto ormai molto semplice. Spoleto e Benevento sono molto importanti. Vediamo un Palliotto non
lontano da Spoleto, con figure bizzarre. Un altro dell’altare del duca Ratchis, 740, ha una miniatura che
ricorda l’Irlanda, Cristo Imberbe non chiaro, lo riconosciamo dal nimbo, gli angeli sono schiacciati. Bisogna
capire che erano coloratissimi e pieni di metalli. Anche qui si imita l’oreficeria. Sono state fatte indagini
interessanti, magi di profilo, non Madonna e Bambino perché sarebbe sminuente, horror vacui, tutto ha
una sua ratio. Riemergono temi classici con il motivo a perline fusarole intorno. Intaglio scucchiaiato per
imitare i vetri incastonati. Simulazione per immaginarli coloratissimi. Abbiamo però livelli e caratteri anche
molto diversi, coesiste con prodotti anche di Casteserpio, che hanno un altro mestiere. Urna di
Sant’Anastasia, lavoro di incavi sensibile oltre all’immagine astratta. Un rilievo del Pavone di Brescia è il
vertice della scultura longobarda, era un parapetto di un ambone, di una sua rampa di scale. Intreccio
barbarica coesiste con il tralcio classico usato a riempimento, intorno al corpo ci sono degli interstizi che gli
danno un respiro, un senso vivente.

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Nei rilievi più astratti vediamo a Pavia lo scontro di animali fantastici, separati da un tralcio modulare, lo
schema di base non è stato pensato per quest’opera e non è stato adattato, è asimmetrico. C’erano dei
modelli non riadattati, ma usati così com’erano. A Bobbio in San Colombano vediamo un pluteo di una
tomba di un monaco, vediamo il trionfo dell’intreccio linearistico. All’interno vediamo linee che si innestano
in maniera complessa. Tra Milano, Spoleto, Aquileia abbiamo dei capitelli di VII secolo vittime della brutale
semplificazione.
Lo stucco a San Vitale a Ravenna, e di San Salvatore di Brescia, hanno una sorta di continuità. San Salvatore
e Cividale in Santa Maria in Valle sono molto simili, fiori con al centro vetro. Nella seconda vediamo uno
spazio quadrato ricco di stucco, fastigio traforato di tralci vitinei, Maiestas e poi un livello superiore, ai lati
della finestra abbiamo delle donne in processione che ricordano Sant’Apollinare in Nuovo. Lo stucco doveva
essere tutto colorato, si imitano i modelli bizantini, ieraticità ma con semplificazione geometrica e
abbreviata. Coesistono modelli nuovi semplicistici, modelli ravennati e bizantini. La Madonna è deesis, alla
destra di Cristo nel gesto dell’advocata. Il rilievo è depresso in basso, verso l’alto diventa altorilievo tra
braccia, mani e volto. Accentua la grandiosità per la visione dal basso. Il portale vede il tralcio vitineo
semplicissimo ma lavorato molto finemente con nervature. Motivo a tenaglia barbarico, ampolle di vetro e
canone classico. Vediamo al centro, sotto questi stucchi, la figura ieratica del Cristo imberbe che benedice
alla greca. Forte premessa nell’ultima stagione dell’arte longobarda, vengono sconfitti dai carolingi ma nel
centro Italia la Longobardia Minor coesiste fino all’anno 1000. Filamenti di luce, base ocra, grande
espressività, occhioni dilatati e colpi di biacca per dare la luce.
Abbiamo a Benevento dei frammenti dell’VII secolo, vede con Arechi II un grande splendore, che possiede
anche Salerno. Chiama la chiesa Santa Sofia, a modello di Hagia Sophia. Storie di San Giovanni Battista,
Zaccaria che resta muto, mani molli e gesticolanti che sembrano già in linea con la prima miniatura
Carolingia, la Vergine seduta sul trono gemmato scende giù per abbracciare la cugina che le si genuflette e
si baciano con trasporto e affetto. La pianta di Santa Sofia era bizzarra, con 3 absidi in fondo. Nel Codice
Cassinese viene rappresentato Arechi.
A Spoleto, sede del ducato, vediamo edifici tardo antichi che sono stati variamente datati. Continuità dal VI
all’VIII secolo nella decostruzione dell’arte classica, vediamo nella chiesa del San Salvatore irregolarità.
Tempietto di Clitunno, VI o VIII secolo con rinascenza? Più probabile la prima, tempietto cristiano che ha
avuto una grande fortuna, paradigma di arte classica.
VISIGOTI
VIII e IX secolo, popoli barbarici che traducono modelli classici con grandi semplificazioni. Loggia con
colonnine tortili disegnate sulle superfici. Quintanilla de la Vinas, arco oltrepassato a ferro di cavallo, più di
180°, blocchi ammossati simile all’Italia longobarda dell’VIII secolo.
Roma si grecizza fortemente nel 700. In Santa Maria Antiqua, il committente è greco, i gesti della Madonna
sono dati da mani velate, figure molto ieratiche. Nella stessa cappella abbiamo scene di martiri. Madonna
della Clemenza in Santa Maria in Trastevere, icona mariana enorme, la Madonna regina come Nicopeia con
bambino in asse, intorno a loro le figure sono ancora in torsione pur essendo molto geometrizzate.

10. LA RINASCENZA O RENOVATIO CAROLIGIA


TORHALLE DI LORSCH
La vicenda non nasce da 0, le vicende importanti sono in Italia, Carlo Magno che si allea con il Papa che si
sente minacciato dai Longobardi e quindi c’è un interesse convergente, nel 774 finisce il regno Longobardo.
Carlo Magno vuole dare forma ad un impero cristiano, si rende conto che la rete dei monasteri per
governare i luoghi selvaggi è fondamentale, ossatura della cristianizzazione dell’Europa. Tantissimi codici
miniati, recupero di codici classici.
Abbazia di Lorsch, come una vera e propria cittadella monastica, come Montecassino, dovevano essere
militarmente fortificate. La Torhalle è dentro le mura stesse. Ha due emicicli addossati, torri scalari per

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accedere ad una sala interna d’udienza. Modelli come archi trionfali romani, fornici della stessa altezza,
losanghe esagoni… importante è che l’ordine superiore ha paraste con motivi a zig zag di origine barbarica.
Cromatismi geometrici essenziali. All’interno c’è una pittura di tipo illusionistico. Ridotto all’osso ma idea
classica romana. Capitelli compositi, volute di ionico e foglie corinzie. Capitelli ionici disegnati su sagome
geometriche.
AQUISGRANA
Sede di Carlo Magno, cappella Palatina su modello di San Vitale, non ci sono esedre ma pareti lisce
traforate, ambulacro con pilastri poderosi, galleria aperta sopra da trifori, ci sono delle colonne dentro gli
archi stessi, forzatura per nulla classica ma originale. Ravenna viene saccheggiata da Carlo Magno, prende
una statua equestre. Il resto è falso, nell’800 viene troppo bizantineggiato. Torri scalari per accedere al
matroneo, quadriportico. Resta qualcosa di antico come ambone o battenti in bronzo.
Abazia di San Vincenzo al Volturno, vengono resti di fornaci per vetro.
ABBAZIA DI SAN GALLO
Pergamena enorme che ritrae la pianta di questa abbazia in Svizzera. Grandiosa, doveva essere un
prototipo ideale, invece è tutto molto preciso, tutti i vari spazi suggeriscono l’autosufficienza economica
dell’abbazia stessa. Una vera e propria cittadella industriale. Soffermiamoci sulla chiesa, è a doppio
orientamento, due absidi, uno a oriente e uno a occidente, uno per san Pietro e l’altro per San Paolo.
Quello occidentale ha un doppio ambulacro, abside di entrata, riservato al potere occidentale, prevede una
galleria superiore che si affaccia nella chiesa, dalla quale si accede dalle torri con le scale. Vediamo che lo
spazio basilicale è scandito con muretti, setti. Il baricentro è altare di Santa Croce, in medio stat crux. Tra
croce e altare di San Pietro abbiamo fonti battesimali, che erano nella parte iniziale della chiesa, devono
accompagnare un percorso. In asse con altare del Battista. Più avanti c’è l’ambone e dietro il coro dei
monaci, altare maggiore di San Gallo e poi quello di San Paolo. Altare sul muro orientale.
WESTWERK
In Sassonia vediamo l’abbazia di Corvey. Corpo monumentale, facciata gotica con due torri. Dentro galleria
aperta, galleria voltata, affaccio sulla navata da dove il dignitario poteva assistere dall’alto. Capitelli classici
ma semplificati.
CARLO MAGNO A ROMA
Triclinio lateranense. San Pietro che consegna stendardo a Carlo Magno e stola sacerdotale al Papa.
Carlo Magno era stato più volte a Roma, 783, si collega al dono che gli fa un suo cancelliere, Godescalco, gli
regala un Vangelo, prima testimonianza di miniatura carolingia. Era purpureo, crisografato e realizzato a
Roma, legato al recupero tardoantico pittorico. Cristo imberbe dentro decorazioni intarsiate in modo
bidimensionale, non concepibile senza arte irlandese. Intrecci di cappi annodati di origine barbarica
irlandese. Figura neopaleocristiana, occhi dilatati, mix di culture diverse.
Lezionario di Eginone, raccolta di letture da Verona.
Saint Medard di Soissons, animali elaborati, si sente epressionismo carolingio, fa deformare i profili, si
capisce che era una fonte, specchio di acqua. Confrontare con Vangeli Godescalco. Sono diversi, è
interessante, si intuisce un confrontarsi, cimentarsi con modelli classici paleocristiani per interpretarli in
modi molto diversi. I colori vedono una rivisitazione molto diversa, cielo striato da rosa ad azzurro, temi
come animali affrontati.
Altre pagine di questo vangelo ricapitola sotto l’apocalisse con il suo agnello mistico, tetramorfo, tavole del
canone. Rivive l’architettura classica, in forma disarticolata, tendaggio annodato sulle colonne, arte che
riesce ad essere visionaria, grandiosa, originale rivisitazione. Altre pagine con evangelisti al lavoro, vediamo
vivacità scomposta, qualità sofisticata, basata su arte opera, si fanno come dei cammei nell’arco, nei
pennacchi c’è la scena dell’annunciazione, scene narrative. Narrazione inserita negli angoli dei pennacchi,
evangelista che si torce con mani tentacolari. San Giovanni Evangelista con aquila, gambe accavallate, linea
ribollente, elementi potentemente suggestivi, trono in uno spazio bizzarro e deformato.
VANGELI DELL’INCORONAZIONE

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San Giovanni Battista, grande ripresa dell’antico, arte classica imponente non massiccia, scritto in oro,
hanno manone gesticolanti e nelle volte un po’ di espressività. Fondale azzurro con arbusti stilizzati.
Vediamo San Luca e San Matteo nei vangeli di Ebbone, troni complessi, figura togata investita di
espressività sovraeccitata, tormento interiore, toga come matassa elettrica percossa da fremito continuo.
Oro e argento di conchiglia per screziare volti, sopraccigli spezzati con aria inquietante. Sul volto argento
ossidato grigio.
Salterio di Utrecht in Olanda, copiato molto in età romanica, dietro c’è un progetto ambizioso, salmi, sforzo
come se fossero fumetti, pieni di raffigurazioni. Non c’erano nel mondo tardo antico. Sono disegni a penna.
Animato da figurette filiformi nervosissime, giustificate dal salmo. Avori con stesse identiche scene. Corpi
allungati, volontà di narrare, dialettica.
Sacramentario di Drogone, iniziali avvitate ed istoriate. Lettera ingrandita che ospita una figura umana o
una scena narrativa. Archetipo delle capolettere miniate, fondamentale.
Codex aurens di Lorsch. Motivi che c’erano a Galla Placidia, Maiestas più composta, corrente più sontuosa
e solenne. Nelle varie pagine gli evangelisti hanno toni delicati ma sempre pregni di forte carica espressiva.
Troni squinternati, terremotati, in simpatia con l’agitarsi dei Santi stessi.
Bibbia di Carlo il Calvo, siamo verso 850, cominciano le crisi dure delle invasioni di vichinghi, ungari,
saraceni. Rinascita carolingia intensa quanto effimera. Miniatura con grande dimensione narrativa, scena
vista come volo d’uccello, rappresentazione stessa del codice. Libro che viene presentato e donato dal
conte Vivien. In alto ci sono i milites, in basso con clero. Gerarchia sociale. Al centro troneggia Carlo il
Calvo, il codice è additato e posto da 3 chierici. Carlo il Calvo sporge la mano in gesto di accoglienza, è
ieratico ma leggermente scostato. Orizzonte visionario infinito. Storia di San Girolamo narrata su 3 livelli,
triremi che deve arrivare a Betlemme, seconda scena con amanuensi e Santo che detta, terza scena
Girolamo che affida ai chierici la diffusione della parola. Seconda bibbia di Carlo il Calvo, come uno sviluppo
manierista dell’arte Carolingia, piene pagine brulicanti di episodi riferito alla Bibbia. Salomone con le
donne… narrazione brulicante vista anche negli avori, sulla falsa riga del fregio continuo. Dal basso verso
l’alto si sottolineano le storie della passione, a metà la crocifissione con i due ladroni, flagellazione, ecc.
In Italia vediamo una produzione di età carolingia. Un oggetto strepitoso è il ciborio di Arnulfo, include una
pietra consacrata, con sopra un altare portatile, bisognava celebrare la messa in accampamento, è in
miniatura per officiare nei vari luoghi, figure smagrite. Diverso è quanto vediamo a Milano e poi in San
Vincenzo al Volturno.
Rivestimento orafo di 4 lati dell’altare di Sant’Ambrogio. Corpo venerato nella cripta sottostante, attraverso
una finestrella si poteva intravedere il corpo di Sant’Ambrogio. La fronte è di un artista, il retro con le 12
storie di Sant’Ambrogio sono di un altro artista. Sulla fronte vediamo la maiestas domini, figura smagrita e
allungata, non è una cosa bizantina, ha espressività nonostante la grandiosità. Le cornici sono smaltate.
Intorno alle storie di Cristo, presenti sulla fronte, vediamo Annunciazione, figure ingobbite tipiche carolinge
per renderle animate. Tutto galleggia nel vuoto, con colonne e tralci intorno. La natività è svincolata dal
tema bizantino, città al fondo, sarcofago, mangiatoia. Dall’altro lato storie di Ambrogio.
Predicazione di sant’Ambrogio, nessun piano di posa ma riacquisizione della plasticità, effetti arrotati,
sbalzati, pieghe che inguainano i corpi, cosce lunghe, braccia che si snodano e allungano.
Alto Adige, val Venosta, Malles Venosta, si conservano abbazie importanti, punti importanti, sopravvive la
chiesa di questa abbazia, maiestas, due nicchie con San Benedetto da una parte e un altro dall’altra. Serie di
stucchi.
San Vincenzo al Volturno, non lontano da Montecassino, cripta di abate Epifanio, con nimbo del vivente,
Epifanio stesso si inchina ai piedi di Cristo crocifisso. Cristo con le mani velate, la Vergine solleva le braccia e
la veste aderisce quasi al corpo, con una nuova raffigurazione. Giovanni Battista si mette in una posizione di
grande espressività. Il senso della foga erompe a San Vincenzo con la raffigurazione di San Vincenzo tenuto
a forza su una graticola e un carnefice che lo tiene sulla graticola con forza. Il Santo ha il volto in alto per la
gandiosità dello spirito e perché un angelo piomba dall’alto a confortarlo. Raffigurazione più intrisa di

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bizantinismi, senso di foga e violenza narrativa che connota l’epoca Carolingia. Altre opere come
l’Annunciazione sempre a San Vincenzo vede la veste della Madonna con stilemi bizantini, veste solenne,
ma con mano e dita filiforme, aperta, che esprime il tema dello stupore, perturbatio per l’annuncio. Nella
cripta vediamo una Maiestas al centro dell’abside, vediamo dei fasci, gli angeli con ali spiegate grandiose,
eredità ravennate e protobizantina ma la raffigurazione è più povera, ma più epressiva anche nel modo di
esaltare la luce con la biacca, incrinatura malinconica nei volti. La Maiestas è quasi sproporzionata,
proporzioni smagrite che connotano di più una solennità di tipo bizantineggiante. Pedana tridimensionale,
ha delle similitudini con la pedana del Pagliotto di Milano.
ROMA DI PASQUALE I
A Roma c’è una storia a sé, in un pugno d’anni abbiamo ben tre chiese romane con mosaici aventi la sua
sigla. Sacello di San Zenone: piccolissimo, cubicolo voltato a crociera ma rivestito completamente a
mosaico, non ci sono girali carnosi, i 4 angeli cariatidi si stagliano nell’oro, è molto composta e solenne ma
molto elementare, campiture piatte con pieghe senza ombreggiature. Vediamo Pietro e Paolo che additano
l’etimasia, dall’altra parte vediamo la deesis. Luce che irrompe in maniera divina al posto di Cristo. Profili
incerti, pieghe rosse, volti con notevole semplificazione. Altro mosaico di Pasquale primo si trova in Santa
Maria in Domnica.

11. L’ARTE DELL’ANNO MILLE


La Renovatio Carolingia è un periodo molto effimero. Si arriva ad un nuovo periodo di crisi tra IX e X secolo,
dominazioni violente che vengono dal nord, Vichinghi, Ungari, Saraceni. Vediamo razzie di ogni sorta che
minacciano la rete di grandi monasteri. Il X secolo è detto secolo di ferro, ma verso la metà viene superato
il trauma delle varie razzie, rinascerà l’impero Germanico con Ottone I, non più re dei franchi ma re
germanico, in alleanza con il papa. Verranno fondati importanti abbazie come a Cluny. Disboscamenti,
fortificazioni e coltivazioni permettono uno sviluppo della grande civiltà comunale. Rodolfo il Glabro è uno
degli intellettuali della coorte ottoniana e dice che nel X secolo il mondo stesso avendo buttato prima
l’antico si fosse rivestito di una veste bianca punteggiata di chiesa. Immagine che dà idea che si iniziano a
costruire chiese ovunque, andando a creare un’architettura romanica dal 1100 in poi, quindi non
conosciamo un’architettura di tipo pre-romanico. Non molti hanno presente che Ivrea è capitale di un
tentativo del Regno d’Italia da parte di Arduino. Lotte sanguinose, ad un certo punto si trova ad affrontare
Ottone I ma rimangono delle testimonianze. Abbiamo nel Duomo D’Ivrea la fondazione del Duomo da parte
del vescovo Warmondo. Lapide che dice che lui fondò quella chiesa da 0, senza ampliare un edificio
preesistente. Epigrafe solenne. Ottone III che viene raffigurato durante l’incoronazione.
CLUNY
Borgogna, confluiscono le vie di pellegrinaggio, presidio di cerniera tra impero germanico, mondo di
Franchi, Spagna settentrionale e Roma. È molto legato al papato, sarà sede di diversi scontri. È andata
distrutta, rimane un pezzo del transetto destro della 3 Cluny. 1 all’inizio del X secolo, la seconda nella fine,
la terza è romanica. Città monastica fortificata, complesso sistema di spazi e chiostri, solennità del culto,
liturgia, canto corale, architettura che va concepita come cassa di risonanza. Basilica Santuaria sulla via di
pellegrinaggio, funzione di poter ospitare tanti pellegrini. Riforma della chiesa. Basilica gigantesca a 5
navate come San Pietro, 2 torri in facciata, doppio transetto costellati di 4 e 4 cappelle, deambulatorio
intorno al presbiterio elemento architettonico nuovo. Moltiplicazione di cappelle legate ai patronati, poter
officiare in contemporanea per pellegrini ed ospiti illustri. Cistercensi che contro di loro contestano
l’eccesso di pompa. Aniconiche, austere, potenti…
Anno 1000, arte da ricostruire in maniera difficile, si vede di più nelle oreficerie. Ci sono degli elementi
architettonici però, come a Sant’Ambrogio che anche se è nuova, ospita il Pagliotto carolingio e su di esso il
ciborio ottoniano. Risale agli ultimi decenni del X secolo. Milano è un avamposto fortissimo dell’imperatore,
anche se tra 1100 e 1200 diventeranno contro. Nel X secolo però Milano è molto importante per

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l’Imperatore, con Aquileia e Verona. Il ciborio è sopra gli altari romanici o di chiese importanti che hanno
sotto l’altare il corpo del martire. Edicola in stucco come a Cividale, rilievi che hanno raffigurazioni solenni e
ieratiche, composte. Solennità tardo antica e bizantina ma solennità che è di timbro più
occidentale/ottoniano che dialoga con uno stile bizantino avente una carica espressiva più importante.
Sant’Ambrogio in cattedra e due pellegrini presentati da Protasio e Gervasio, cantari biansati, cornice di
carattere più barbarico, eredità longobarda. Lato frontale in asse con la Maiestas domini abbiamo il Cristo
in Maestà con l’investitura di San Pietro e Paolo, questo riceve la scrittura e la legge, Pietro le chiavi. Si
sporgono con le mani velate e la figura è solenne, ma il volto è quasi a tutto tondo, mandorla allungata del
volto che prepara quasi l’arte romanica.
Abbiamo dei manufatti come una situla di Gotofredo in avorio, un secchiello liturgico dove va l’acqua santa
nella quale si intinge l’aspersorio. Ci sono figure di draghetti, iniziano le fantasie di animali ibridi che si
mordono, si annodano che evolveranno in ambito romanico. Raffigurazioni che tendono alla solennità
frontale, maiestas bizantina. Bisanzio conobbe verso il X secolo una renovatio macedone. L’imperatore
Ottoniano rispetto a quello Carolingio è più succube a quello di Costantinopoli, fa anche un’alleanza
famigliare, fa sposare suo figlio con Teofane, figlia dell’imperatore di Bisanzio. Linea spezzata
tridimensionale che abbiamo visto in Galla Placidia, meandro assionometrico che viene molto usato
nell’anno 1000.
OTTONI E BISANZIO
Placchetta prensente nel museo del Castello Sforzesco, genuflettersi come proscunesis, ai piedi del Cristo
che porge la destra, in maestà. Intaglio in scheggiature un po’ sommarie, vivezza espressiva diversa.
Angioletti che piovono dall’alto, sincope di gesti e movimenti, alleanza matrimoniale tra Ottone I e
Costantino VIII che offre sua figlia come sposa. Pergamena purpurea con animali, contratto nuziale tra i
due. Nella placca di Cristo che incorona Ottone II e Teofane fa parte del gruppo di avorio di Romano, scritte
in greco, che hanno la scritta di Romano II, in età macedone. Avori aventi edicolette con arco ribassato e
trina traforata come fosse un ricamo. Il Cristo è filiforme. Intaglio graduato, sottilmente scalfito, diverso
dall’intaglio più rude dei due che si prostrano al Cristo. Il Cristo impone le mani con una mollezza da coorte
orientale. In basso c’è un religioso che si inginocchia ai piedi. I soggetti sono gli stessi ma con
interpretazione diversissima in base al posto dov’è stata fatta.
Miniature di Gregorio Nazianzieno, Visione di Ezechiele, modo di disegnare i panneggi a linee spezzate,
bianco abbagliante, c’è un senso di spazio, tridimensionale, i bizantini erano considerati i veri ereditari
dell’arte classica, capaci di interpretare. Cielo rosseggiante con squarci di azzurro, dextra dei con una sorta
di bianco che sfuma, sottilmente lavorato nei dettagli, abilità straordinarie nella sfumatura, senso di
volume.
Manoscritto della Bibbia della regina Cristina, Cristo su una montagna, Mosè che si protende con foga,
nella rinascenza Macedone ci sono sicuramente degli aspetti di pittoricismo e scene piene di rocce e
arbusti, legate a modelli.
MINIATURA OTTONIANA
Arte di corte, miniatore del registrum Gregori. Sede dell’Impero ottoniano, abbazia di Fulda e Raichenau.
Questa è un’isola molto ben difendibile, è proiettata verso l’Italia, funziona come cerniera, si alimenta del
mito romano. Si vede Ottone II seduto in trono con scettro e globo, abbigliato all’antica, con clamide
affibbiata sulla spalla, rossa, con omaggio delle province. Rispetto all’arte carolingia non vediamo
pittoricismo ma una raffigurazione solenne, toni opalescenti, rosa pallidi, azzurrini, turchesi che svaniscono.
Relativo bizantinismo, linee tese, stilizzate e lineari, maniera grandiosa.
Miniatore lombardo alla coorte di Ottone II. Pagine tagliate del codice di San Gregorio Magno che scrive
ispirato dallo Spirito Santo. Lo scriba origlia e scorge la colomba dello Spirito Santo che gli sussurra. Respiro,
ariosità bidimensionale.
Codex Egberti, miniatore che nel tempo diventa da solenne che era ad espressionista. Miniatura romana
caratterizzata da fortissima espressività all’interno di grandiosità fatta di pieni e di vuoti. Perline fusarole,

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decorazione dorata, fondali sfondati verso l’infinito, scena dell’annunciazione, non è nel vuoto, vistosa
descrizione della città di Nazareth. Eredità del tardo antico, si tratta del’Annunciazione. Esagerazione
gestuale, iniettare negli sguardi la carica elettrica, occhi allucinati, sclera aperta che deforma quasi il volto
per dare espressione. Effetto molleggiato delle figure antibizantina.
Codex Egberti, natività di Cristo, mangiatoia come palazzo di eredità tardo antica, linee di contorno forti ed
incrostate, modelli del V e VI secolo, sfumature che sembrano quasi dare ombrette, organizzato su due
piani, due livelli con annuncio dei pastori.
Strage degli Innocenti, avori e miniature carolinge, colori tenui e chiarezza didascalica. Ritmo dilatato e
disteso, pueri occiduntur. Battesimo di Cristo, non c’è quasi ambientazioni, ci sono volti di tre quarti.
Scritture crisografate.
Cristo che afferra San Pietro sul lago Tiberiade, personificazione del vento che soffia, senso di grandi
geometrie, vuoti che dà all’arte Ottoniana un carattere molto visionario. Codex Egberti, temi dei girali
reinventati, protomi animali che nasce un po’ dalla miniatura irlandese. Tutto sottilmente filettato in oro.
Salterio di Egberdo, Davide con il Salterio, figura tutta smossa ed agitata, pieghe assecondate da ritmo
elastico e nervoso, decorazione pullulante con meandros che gira intorno, si inizia ad andare verso l’horror
vacui.
MINIATURA OTTONIANA
Vangeli di Ottone III, piatto tempestato di pietre preziose con avorio macedone bizantino. Dormitio Virginis
i procurano un avorio irlandese, colonne scavate a giorno come fosse un ricamo di uncinetto, koemesis,
solenne con San Giovanni ai piedi della Vergine. All’interno ci sono le miniature, codici grandiosi diverse dal
registrum Gregori, vetrata con colori smaltati, Imperatore in trono, province con dignitari, chierici e militi in
due parti distinte. Edificio diventa una cosa estrosissima, capitelli decorati di verde e di blu, le 4 province
sono diventate figure di colore diverso a rappresentare le parti differenti del mondo, con una sorta di
kimono. Posa e braccio dell’imperatore, inizio classicheggiante, coloritura squillante, a contrasto, effetti
elettrici, impressionanti e grandiose. Vangelo di Ottone III, immagini insidiose. Uso dell’oro anche nel
fondo, risposta al mondo Bizantino, figure che si stagliano nel vuoto, figurette innervate di tensione
contratta ed elastica. Edicola trina ricamata, composizione ricca e complessa, che riduce e semplifica,
carica di una espressività più energica, più viva. Figurette e bambini che si arrampicano, bimbi che si
spogliano e gettano la veste ai piedi dell’asino su cui c’è Cristo, Apostoli che gesticolano. Emerge
all’improvviso lo snodo. Albero bizantino bizzarro, fronde come capocchie di funghi, valori decorativi
fortissimi.
Lavanda dei piedi, vangelo Ottoniano conosce dei canoni bizantini, come il topos di quello che solleva la
gamba sinistra e si leva i calzari. Tensione delle figure longilinee che derivano un po’ dall’arte carolingia. Ci
sono aspetti antinaturalistici, ginocchio con rotula che sembra una spirale. Catino dell’acqua che sembra
una mandorla deformata, oro incastonato nell’architettura, geometrica, astratta. Zone geometriche con
fasce che vanno dal rosa all’azzurro.
Pericopi di Enrico II Santo. I Pericopi sono raccolte delle sacre scritture. Questi artisti sfrondano tutto
l’ornato, esigenza di narrazione. Annuntio ai pastori dominata dalla figura dell’angelo gigantesco che
ondeggia nell’aria, risucchiato dall’idea veemente visionaria. Edificio dietro la Natività. In fondo c’è la città
di Betlemme, ma ha un profilo lunettato, è assurdo che sia tagliato così, copiano in maniera libera e
interpretativa, c’erano delle colline sotto, copiando le mura ma non la collina, la attacca direttamente al
cielo desemantizzanto il profilo, che non ha più un senso perché stagliato così a mezzaria. Doppia pagina
con oro abbagliante, edicole trovate così a Ravenna negli avori, ma molto semplificate e con colori assurdi.
Capitelli acantini, rivisitazione di quei modelli. Grandiosità delle figure che vengono semplificate, piena di
forza ed energia accompagnata da occhietti calamitanti, mani enormi, coloriture particolari, pie donne con
nimbi arancio verde e viola. Geometrizzazione assoluta, il drago dalle 7 teste vuole divorare la Vergine che
ha partorito, il drago è Lucifero che viene sconfitto. Ha molti colori, c’è oro, azzurro, rosa, verde, gestualità
della Madonna che protegge il bambino e allontana il drago.

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AVORI OTTONIANI
Aulicità e solennità, nicopeia di Magonza, bambino in asse beneficente. Da Magdeburgo proviene un avorio
che forse rivestiva un pulpito.
Miniature espressive, Moltiplicazione dei pani e dei pesci, horror vacui, tutto costruito a scacchiera per
fare la folla, Cristo solenne, panieri con pani e pesci, ci sono delle figure relistiche, un bambino che mangia,
il ritmo che dall’alto parte in maniera regolare scendendo diventa irregolare.
Coperta di un Vangelo, Crocefissione. La croce divide in 4 il riquadro, Cristo vestito con occhi aperti,
triunfans, vince la morte. Rispetto ad altre formulazioni, ha un patetismo legato all’andamento del corpo. Il
panneggio fascia il corpo, svolazzo sui piedi. Vergine con calice che raccoglie il sangue, pie donne al
sepolcro, dextra dei che porge la corona, Cristo che ascende in cielo, mandorla con Maiestas. Tetramorfo in
alto a sinistra. È una sorta di enciclopedia, c’è di tutto. In altri casi si riusano opere carolinge, Pericopi di
Enrico II ha una coperta carolingia. Piatto di incastonatura di oro caroligio e sbalzi macedoni. Assemblano
oggetti di provenienza differente. Mentalità dello spolio, riuso. Scritte bizantine. Assemblaggio che si imita.
Avorio delle Pie Donne al Sepolcro, sembra Carolingia ma è più ottoniana, aveva un modello preciso
ricopiato in ogni dettaglio. Questo spiega la gesticolazione. Sole e la luna che accompagnano sempre la
crocefissione.
Avorio tardo ottoniano, quasi romanico. Tema della depositio Christi. Gestualità pseudo realistica,
proporzioni e figure ancora molto astratte.
Arte santuaria orafa. A Parigi il museé de Cluny è uno dei più straordinari per l’arte medievale. 3 arcangeli,
san Benedetto e Cristo in Maestà. Enrico II il santo e sua moglie Cunegonda. Rivestimento di tutti i lati
dell’altare, sbalzata da dietro. Oggetto tridimensionale importante. Oro abbagliante. Volumi semplificati ma
espressivi, non è una maestà solenne. Sbalzo repulseé, tempestato di pietre preziose, filigrana. Scritte che
certificano l’eredità di Enrico II e Cunegonda.
Croce di Gisela Regina di Ungeria. Sia avanti che dietro vediamo elementi. Da davanti il Cristo ha volumi un
po’ surreali ma molto aggressivi. Linea elastica, mantelletta. Capelli lisci, bulbi oculari che scoppiano quasi,
per dare da lontano l’idea espressiva.
Piantina di Genrode, 3 navate, abside orientale, oratori absidati che fiancheggiano il presbiterio, spazio
complesso figlio di quello carolingio. Spazio ricco di sostegni. Modulo di alternanza dei sostegni, tipico del
modo di fare romanico.
San Michele a Hildesheim. Gli Ottoni si fanno una dimora sul palatino di Roma. Forma grandiosa,
deambulatorio, sistema voltato, sopra c’era la loggia, vediamo l’esterno, corpo orientale ed occidentale.
Bernward vescovo di Hildesheim, toreutica rinasce, colonna bronzea ispirata alle colonne coclidi romane
Traiana ed Antonina. Storie di Cristo, piegoline solcate in superficie, gestualità molto viva e sciolta. Porta di
Hildesheim. Porta con in parallelo storie di Antico testamento a sinistra e Nuovo a destra. Figure fuse a
parte, figure che partono basse al livello dei piedi, poi diventano a tutto tondo. Fondi lisci e vuoti, elementi
di vegetazione, alberini con capocchie annodate. Adamo accusa Eva che a sua volta accusa il diavolo.
Progenitori che nudi lasciano il paradiso terrestre. Mimica grandiosa, protome leonina, geometrizzazione,
formati che si organizzano intorno al batacchio, movimento di processione, indicato in salita.
Italia settentrionale, grandi esempi monumentali. Vercelli, sbalzo in argento cesellato, effetto di Christo
triunfans, perizoma, inizio XI secolo.
PITTURA MURALE
Oberzell, San Giorgio, impianto basilicale, capitelli imposta, cornici vistose e poche grandi scene di
esorcismo, miracolo, che saranno piuttosto rare. Respiro grandioso, i gesti si isolano e respirano, Cristo che
sconfigge il male, guarisce… Cristo di Gerasa, libera quest’ultimo dalla demonizzazione. Rende i maiali
indemoniati al posto suo, che si gettano in acqua e si nota il riflesso degli stessi sull’acqua. Idropica, altri
miracoli. Architettura al fondo, smaterializzano, ma prendono esempi classici come effetti di tempietti,
coperture. Figura di Cristo che si torce con un ritmo particolarmente dilatato e grandioso. Miracoli di Cristo.
Maddalena si torce per vedere il fratello che risorge.

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Tra Monza e Como, a Galliano, vediamo una chiesa da cui è partito uno dei fondatori della pataria, che poi
porterà alla riforma della chiesa. Occhioni sgranati, panneggio bizantineggiante, effetto sblazato. Modo con
cui le zonature non sono macedoni ma disciplinate. Intero dell’abside di Galliano, scene del Martirio di San
Vincenzo, viene stirato mentre gli rovesciano sopra l’olio bollente. Altro ciclo di età ottoniana è stato
scoperto nel battistero di Novara, 7 sigilli dell’apocalisse. Angelo che suona lo scioglimento del sigillo. Ad
ogni sigillo corrisponde una disgrazia. Ad Aosta, Sant’Orso, vediamo la scena della tempesta sul lago
Timeriade. Fondo scialbato, come si farà solo per le pitture civiche. Vanno viste da lontano le scritte.
MONTECASSINO
Anno 1000, in Italia centro-meridionale vediamo il movimento Benedettino. Montecassino è la casa madre
dei benedettini. Andò distrutta ma nel ‘500 fu cambiata. Desiderio, che diventerà papa Vittore II, dà
splendore a Montecassino, Leone Ostiense descrive un’apologia di ciò. Mosaicisti da Costantinopoli.
Riprende San Pietro a Roma. Sopravvivono i codici miniati. Arte diversa dalla grande scriptoria tedesca, ma
nello stesso periodo vediamo una raffigurazione piena di felicità. Prima e dopo l’anno 1000 vediamo
mimica molto espressiva, rappresentazione di tutti i monasteri che dipendono da Montecassino. Rivive la
civiltà dell’intreccio con uno spiccato gusto orientaleggiante. Influssi che vengono dall’oriente, stoffe
islamiche orientali, creature ibride della miniatura cassinese. Arrivano anche dei codici ottoniani a
Montecassino. Affreschi di Sant’Angelo in Formis, unica cosa rimasta di quel periodo. È una basilica fondata
da 0 dallo stesso Desiderio. Sembra una basilica di V-VI secolo. Riforma della chiesa che riprende i modelli
antichi per affermare attraverso la continuità la grandezza di Roma. Tema delle absidi con tetramorfo. Stile
protoromaico, vive qualcosa della grandiosità Ottoniana, livello di lessico delle linee zigzaganti, occhioni
sgranati, espressività dell’arte ottoniana. Lunetta centrale di San Michele Arcangelo, fatte dal pittore
campano che disgrega ma dà più vivacità. Controfacciata con giudizio finale. Diventa un topos. Ultima
immagine che si vede prima di uscire dalla chiesa a titolo di monito. Scene con mimica vivacissima, ultima
impaginazione dell’ultima cena con il triclino.
ROMA
XI secolo, qualità molto disparata, in San Clemente abbiamo delle pitture straordinarie. Miracolo di San
Clemente, bambino che rimane sepolto vivo in fondo al mar Nero che viene salvato dalla sua intercessione.
Retaggio tardo antico, pitture misteriose, sembrano difficili senza rapporto con i codici ottoniani.

12. ROMANICO EUROPEO, ROMANICO PADANO.


CLUNY
Il monastero di Cluny è uno dei massimi paradigmi dell’architettura romanica. Gerarchizzazione in
orizzontale e verticale degli spazi, sistema non solo longitudinale come una basilica romana, ma
complesso, che dal fondo della chiesa si allarga. Esplosione al fondo con doppio transetto, cappelle
addossate. A Cluny, alleato della chiesa di Roma, vediamo un riferimento a San Pietro con le 5 navate. È
rimasto di originale solo il torrione del transetto destro. Era un centro di potere ecclesiastico e secolare,
divenne un obiettivo della rivoluzione francese e per questo fu raso al suolo. L’incisione settecentesca
ancora ce lo dimostra, vediamo il deambulatorio rispetto all’abside e la torre nolare (intersezione transetto
e navata centrale). Nella muratura vediamo l’articolazione della massa muraria con un sistema di paraste,
archetti ciechi ed archeggiature. Teoria di colonne che sono logge cieche, gallerie nane oltre a quelle aperte
e funzionali. Il paramento esterno spesso è in coerenza con l’interno. In ambito bizantino invece l’esterno è
nudo e dentro esplode.
Messale di Cluny, rigore e senso di frontalità, classicismo che programmaticamente si persegue, aleggia
l’elemento bizantino, con il Cristo che troneggia, raggi bianchi e arancio. Nel linguaggio però non è crudo
come quello bizantino, è reso dinamico da un guizzo di vivacità.
Gregorio VII, riforma della chiesa, fu abate di Cluny. In questo periodo ben 4 papi furono abati a Cluny, che
divenne una sorta di scuola per i papi. In passato si ci furono delle dispute sulla nascita nazionalistica del

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romanico; di fatto gli esempi più antichi sono in Normandia che negli anni ’60 del XI secolo conquista l’Italia
settentrionale e l’Inghilterra con Guglielmo il Conquistatore.
Le regioni francesi fanno da scuola per l’architettura romanica a Caen, dove notiamo tre diversi ordini:
navate laterali, galleria del matroneo e claristorio delle finestre, vediamo le colonne che innervano l’intera
parete, l’arco trasverso che determina una campata con volta a crociera complessa. All’esterno le guglie
sono gotiche, fino all’inizio di esse romaniche. Abbiamo dal basso una rastremazione ottica verso l’alto,
diventando sempre più aerosa. La Francia ha un grande ruolo nello sviluppo del romanico, soprattutto per i
cicli scultori, capitelli e lunette. Il santuario cittadino di Tolosa in Aquitania, San Sernin (Saturnino) è
importante per il portale laterale destro, chiamato “Metà città” perché lì passava il decumano dell’antica
città romana. Spesso il portale laterale è anche più importante di quello frontale. Succede in vari posti
come a Siena. In Aquitania è un parallelepipedo scavato in profondità dal portale vero e proprio. La
strombatura è evidente, avrà il massimo uso in età gotica. Il pilastro strombato ha parete a 45°, qui è fatto
da specie di gradini, non è ancora propriamente strombato. Bernardo Gilduino deve aver fatto quest’opera
in quanto c’è scritto, è uno dei rari nomi di architetti romanici. Si trova nella mensa dell’altare. Notiamo dei
Clipei vegetali. Volume tondeggiante, occhi marcati. Nel giro absidale abbiamo delle sculture, al centro
abbiamo una Maiestas Dominae, con Gilduino si dimostra la volontà di dare volume alle figure, pur piene di
grafismi, vediamo delle pieghe che ritmicamente come onde successive, sono tese come guaine, rispetto a
quelle spezzate bizantine diventano più dolci, sono delle linee di forza che imbriglia e incatena, esaltando la
vitalità del soggetto. Ancora non è realistico, la scultura è molto schiacciata. Vedremo un progressivo
staccarsi del rilievo dal fondo, verso il 1240 inizierà a formarsi il tuttotondo. È un percorso di un secolo e
mezzo che parte da una membratura architettonica, le statue fanno parte dell’elemento architettonico
stesso. Vediamo nella lunetta della porta laterale l’Ascensione di Cristo, la visione è laterale, gli angeli lo
sorreggono facendo delle contorsioni particolari con il corpo, torcono il capo verso l’alto per vedere il
Cristo che è asceso. I volumi sono quasi gonfianti, calzata, inguainata in maniera non naturale, tesa. Dal
contrasto di questi elementi emerge il senso di vitalismo e dinamismo. Notiamo in basso a Cristo dei temi
lineari bizantineggianti negli orli della veste. Sotto ci sono gli Apostoli e i Capitelli, ne abbiamo due con le
storie della Vergine, due con Adamo ed Eva, storie dell’antico testamento. Sotto sotto è un corinzio,
vedendo le volute, ma è sopraffatto dalle figure che incarnano un bisogno di narrare. Le mani hanno una
gestualità molto espressiva. Dall’altra parte il capitello con il Peccato Originale, non c’è un corinzio di base,
vediamo palmette, legacci, con un modo di scavare e dare energia all’ornamentazione. L’architrave ha delle
mensole con delle figure mai rigide, principio di avvitamento, corpo che quasi arrotato dà senso di turgore.
Si fanno strada le fantasie ibride tipiche di capitelli romanici, animali metamorfici, ibridi, mostruosi, che
lottano tra loro. Si notano degli animali che sembra siano capre, incurvati, stretti da liane. Questa nuova
scultura si diffonde dall’Aquitania alla Spagna settentrionale, in Santiago di Compostella, che raccoglie
molti pellegrini. Vediamo l’accavallare delle gambe di David proprio qui, anche se la figura è schiacciata sul
piano, con pelle di leone che sta sotto ai piedi. Pieghe ritmiche. Spagna settentrionale, Santo Domingo de
Silos, panneggi che evidenziano figure longilinee e cosce lunghe, braccio teso di Cristo rigido per liberare la
tensione, le teste ritmano e la rottura c’è in prossimità di Cristo, per evidenziare la scena. Sviluppo di
scultura dell’Aquitania, non lontano da Tolosa vediamo un’abbazia dedicata a San Pietro, Moissac, vediamo
nella porta laterale della chiesa uno sviluppo decorativo nuovo, vediamo una strombatura, un portale
gemino con il Trumeau al centro. La lunetta è dedicata al Giudizio Finale, Cristo Giudice dell’Apocalisse,
enorme angelo ai lati, schemi dei 4 vegliardi dell’Apocalisse e mare di cristallo. Si diffonderà il tema del
giudizio, in Italia già impegna la controfacciata degli edifici importanti, nel Nord Europa lo vediamo più che
altro all’esterno. Originale è l’articolazione degli stipiti lunata, San Pietro e Paolo si torcono, schierature
longilinee, innaturali. Trumeau, due profeti costretti, le braccia sono prospette sul corpo, sono idealmente
costretti dall’architettura, sono sofferenti, vogliono distogliersi, uno tiene un libro, l’altro un rotolo. Più da
vicino vediamo i baffi, le barbe zigrinate in superficie in maniera decorativa più astratta ma molto marcata,
onde che si volgono intorno al capo. Sulla fronte vediamo leoni e grifi che si intersecano a X, dando idea di

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vitalità, forza e violenza. Vediamo spesso i leoni stilofori, all’ingresso delle chiese che portano i pilastri,
indicano il mondo del peccato che viene soverchiata dalla chiesa. Pietro e Paolo sembrano ritrarsi
spaventati, ingobbiti. Nell’arte monumentale ciò è una novità. Nei capitelli vediamo l’idea del capitello a
imposta o cubico scantonato. Viene però intagliato con motivi nuovi, come vediamo quello a Moissac, al
posto delle volute vediamo teste, il cavato è intagliato da rami tesi, in maniera elastica avvitati da foglie
quasi ricamate, innervato con tensioni contrastanti in campo di forze. L’abaco superiore viene istoriato da
animali che si mordono, si beccano, torna l’dea del mondo della violenza che viene sormontato
dall’architettura. Capitelli di Moissac hanno anche delle scene istoriate. Capitelli aniconici. L’abaco ha
sempre grovigli di animali in lotta. San Bernardo da Chiaravalle contesterà le bizzarrie e le fantasie dei
capitelli cluniacensi, la bella deformità di queste fantasie distraggono i monaci invece di disciplinarli. I
capitelli istoriati si sviluppano a Tolosa. Anche da noi ci sono ma più rari. Già nel pieno romanico, 1120/30,
nella cattedrale di Santo Stefano a Tolosa vediamo un doppio capitello addossato con lato lungo e breve,
avente la coppia di Erode e Salomè. Non è più il momento innervato, la clamide di Erode è decorata e
gemmata, le pieghe sono più sottilmente increspate, non innervano più come prima, vediamo uno
sciogliersi dell’interazione tra le figure.
BORGOGNA
Somiglianze con l’Aquitania, figure longilinee, ad Autun, nella cattedrale di San Lazare abbiamo nella
lunetta del portale il Giudizio Finale con figure strazianti che stridono nel dolore, al centro Cristo. Abbiamo
l’architrave con Eva che striscia come un serpente tra le piante, il rilievo è schiacciato ma il corpo, che è di
profilo nelle ginocchia e dritte nel petto, abbiamo il senso di movimento. Sempre qui notiamo un capitello
con l’angelo che appare ai Re Magi, notiamo che addita loro la stella, è schiacciato, nella parte dei piedi è
visto di profilo, per le teste dall’alto, notiamo l’angelo che tocca la mano di uno dei magi, indica la capacità
di orchestrare lo spazio e far brillare l’evento della narrazione nell’attimo del tocco.
Abbiamo la chiesa della Maddalena, evangelizzatrice della Provenza con San Lazzaro. All’interno abbiamo
visto la scansione degli spazi, abbiamo un esonartece e un secondo portale di passaggio dall’esonartece
alla chiesa. Abbiamo la Maiestas Domini che dà inizio alla Pentecoste. Vivacità estrema della narrazione che
domina il capitello. Vediamo un ricciolo carnoso del pulvino. Volti squadrati, zigomi potenti, volto stilizzato
ma molto espressivo. La gestualità è incredibile come nei diavoli che picchiano Cristo, che si vedono a
Vezelay, chiesa della Madeleine.
Duomo di Spira, vediamo due fasi, inizialmente la copertura era lignea e i sostegni non erano alternati, ma
con semicolonne addossate e tutte uguali. Ora vediamo che sono alternate con archi trasversi. Semicolonne
addossate, decorazione essenziale.
LOMBARDIA
A Lomello abbiamo un esempio di preromanico, costruita in laterizio, tipica nel romanico Lombardo.
Vediamo degli archi trasversi che prefigurano l’alternanza, proseguono a scandire la parete, già si pone un
principio di contraddizione rispetto al continuum basilicale di pareti lisce. Copertura ancora lignea.
Sant’Abbondio a Como, abbiamo delle colonne in laterizio poderose che delimitano la parete ancora liscia
sopra. Ha 5 navate, ha un presbiterio aggettante, vediamo un concetto cardine del romanico specialmente
lombardo, è quello della trasparenza esterna di com’è fatta internamente. Abbiamo delle paraste che
scandiscono la facciata e fanno trasparire l’articolazione interna. Abbiamo degli archetti che delimitano gli
ordini delle finestre, griglia organizzata.
Sant’Ambrogio di Milano. Viene ricostruito in forme grandiose alla fine del sec XI, si realizza un grandioso
quadriportico, avente la funzione di piazza, c’è una tribuna superiore che vi si affaccia per permettere alle
autorità religiose di parlare. Abbiamo alternanza di sostegni, colonne che hanno addossato minimamente
dei piccoli elementi in cui vediamo pilastri “a fascio” aventi molte paraste e semicolonne, che seguono
anche nei costoloni della volta a crociera. Si impone dunque il sistema alternato. Moduli quadrati, costoloni
in laterizio alternato con pietra da taglio, gusto della policromia tra rosso e pietra da taglio. In pianta
vediamo le 3 grandi campate e l’abside senza transetto. Non è molto famoso per le sculture che sono poco

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elaborate e sopraffatte dal gusto decorativo. Non sono vere e proprie narrazioni, vediamo un tema di
intrecci quasi di entità alto-medievale, con decorazioni che scivolano nella strombatura. Nei capitelli
vediamo gli animali con testa angolare, sono decorati con gusti eredi della tradizione alto medievale. Un
altro capitello fa vedere con i volumi turgidi che non solo l’oreficeria era il modello base, ma anche la
bronzistica ottoniana. Il vitalismo degli animali balzanti è preminente.
DUOMO DI MODENA.
Altro dei prototipi massimi del romanico lombardo. Maestri campionesi, trasformeranno il duomo di
Modena voltandolo, nel sottotetto abbiamo i resti della pittura dei paramenti murari, i muri erano tutti
intonacati, si ridipingevano poi con finti laterizi. L’alternanza dei sostegni è presente, le colonne sono nude
alternate a pilastri polistili. Vediamo in Sant’Ambrogio il matroneo. Nel Duomo di Modena abbiamo però
anche il claristorio. Se non c’è un’apertura verso l’esterno, come per Sant’Ambrogio, si parla di chiesa a
sala, non avente finestre. Il duomo di Modena è molto più sviluppato in altezza ma non è voltato
dall’origine. L’arco bardellonato è presente, ha una ghiera. Il matroneo è scandito da trifore. Il paramento
esterno in marmi è scandito da grandi arcate cieche che hanno inscritta una finta galleria che corre lungo
tutto il perimetro esterno della cattedrale. La parte alta è stata modificata dai maestri campionesi. Vediamo
un Protiro, un’edicola aggettante sorretta da colonne libere sorretta da leoni stilofori. Questo si afferma a
partire da Modena. La facciata è dominata da un rosone però proto gotico, dei campionesi. Un’altra
modifica è l’apertura dei due portali laterali. La facciata di Lanfranco arch. e Wiligelmo scultore era con un
solo portale, senza rosone. Lastre orizzontali con le storie della genesi. L’ingresso è squadrato da animali,
rilievi con iscrizione della fondazione della cattedrale, genio funerario, i leoni sono gotici, sono stati
sostituiti, vediamo una narrazione della storia della Creazione, Peccato e Diluvio universale. Vediamo delle
affinità con l’Aquitania nel turgore dei corpi, che sembrano infagottati da panneggio, vediamo il Dio
creatore imponente. L’incipit della narrazione è accompagnato da archetti, colonnine che vanno dietro, è a
fregio continuo, esuberante che prorompe nella scansione, vediamo degli archetti che scandisce la storia, è
tutta asserrata e stipata. Nella creazione del mondo 2 angeli sorreggono il clipeo, Wiligelmo crea persone
con zigomi alti, inizia a rendere i personaggi non propriamente ieratici, instaura un dialogo molto espressivo
tra i soggetti. Nella nascita di Eva dalla Costola vediamo Adamo addormentato in modo non naturale,
angoloso, schiacciato, poggia in modo precario. In primo piano vediamo l’acqua, sul fondo vediamo la
scansione degli archetti e delle colonne che vanno a sparire dietro la forza dei personaggi. Traspare
l’avambraccio di Dio, che è sì inguainato ma comincia a vedersi. Le storie del peccato proseguono con i gesti
identici di Adamo ed Eva che si coprono le nudità, con Adamo che mangia il pomo. Narrazione nel portale,
nei capitelli, recupero del classico con la narrazione a fregio continuo. Episodio forte di Caino che
ammazza Abele. Ha una forma piramidata per tradurre la violenza mentre colpisce il fratello con il bastone,
che cade tramortito come un manichino. Sventagliamento di linee scalene e diagonali, forma inguainata,
mano irrigidita e capo che cede sotto la bastonata. Caino che viene ucciso, si aggrappa con la destra ad un
ramo, rigor mortis, gambe dritte. L’albero è fortemente stilizzato. Si passa all’arca di Noè, ringraziamento
dopo il diluvio.
Wiligelmo non fa solo queste 4 lastre, crea anche gli stipiti del portale, i capitelli dentro la chiesa. Uno
rivisita il tema del capitello fogliato tardo antico, traducendolo in maniera molto energica, senso arrotato
dei volumi, il trapano decora, dà senso di alleggerimento. Gli occhi hanno la pupilla piombata. Un altro
capitello con i Telamoni, che si trovano di più nei pulpiti, qui sono accovacciati nel capitello, sono costretti,
teste bovine che si alternano a loro, è molto stilizzato. Portale della Pescheria, storia di Artù, romanzi
cavallereschi. Intravediamo i Mesi. Notiamo un leone stiloforo di Wiligelmo, criniera e abaco a scacchiera.
Il protiro è una delle grandi invenzioni del romanico lombardo, confronto con il prosecutore naturale di
Wiligelmo. Era anche architetto, si chiama Nicholaos, abbiamo sue 4 iscrizioni, in Val di Susa, a Ferrara, a
Verona e in San Zeno. Confronto tra protiro di Verona e Modena. Nicholaos è meno nudo ed essenziale, ha
delle superfici più morbide, la scultura è impreziosita, i suoi protei sono più complessi, rispetto a Modena
vediamo la strombatura, vediamo la Lunetta istoriata, mentre in Wiligelmo è nuda. Niccolò è il primo ad

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introdurla, porta in Italia il modello del portale strombato e della lunetta istoriata. Portale con bicromia di
pietra rosa e bianca, formelle intagliate. Uso di decori classicheggianti. In San Zeno di Verona vediamo che
la chiesa è enorme e collegata all’abazia. Il portale di San Zeno ha due ante richiudibili con le storie
dell’antico testamento a destra e del nuovo a sinistra. Niccolò nasce con il Portale dello Zodiaco in Val di
Susa. Scavata nella roccia, è un portale interno ricavato nella roccia stessa, è un arco di transito, sensibilità
architettonica. Colonne e decorazione sempre diversa, per il principio della varietas romanica. Rilievo di
Niccolò, centauri e draghi, in qualche modo sono inoculati. Figurette che vanno a cavallo del tralcio,
decorazione sfumata, sciolta, segni zodiacali, scene di lotta e di combattimento. Niccolò nel San Zeno e
nella torre abbaziale che ospitava l’imperatore, vediamo un rosone rifinito in età gotica. Il Protiro ci
interessa, all’interno c’è una lunetta istoriata con San Zeno, patrono della città. Calpesta un demonio sotto
ai piedi, sui lati del protiro vediamo un tralcio tutto intorno, è acantino, diverso dalla Porta dello Zodiaco.
Abbiamo accanto i cavalieri e i fanti. Sui lati antico e nuovo testamento. Capolavoro di Niccolò, è
organizzato con paraste di tipo classicheggiante, a Verona abbiamo molti resti della Roma classica, paraste
o lesene con tralcio acantino. Narrazione che procede dal basso verso l’alto, caccia di Teodorico.
Personificazione del male di questo, Teodorico insegue una cerva, è il diavolo che lo trascina all’inferno, per
tutta la sua bramosia. Animali che alludono alle forze del male. Peccato, cacciata, fatica dei progenitori.
Varietas esasperata, nessuno dei quadri è simile all’altro. Il dio creatore è altorilievo. Il corpo tondeggiante
è leggero, piegoline sottili. Cani che si torcono, perline fusarole intorno. Volatili che vanno dentro e fuori nei
tralci, hanno i grappoli d’uva, giocano a contrasto con in corpi turgidi. Adamo che si sveglia dal torpore,
viene stagliato contro i gerani che per horror vacui vanno a riempire tutto il fondo. Niccolò ha come
modello gli avori. In Wiligelmo c’è il fondo nudo, essenziale, narrazione aneddotica, complessa. Eva viene
estratta dalla costola di Adamo. Scena del peccato originale. Pedane ribaltate sul piano, un piede sta sopra
e l’altro sotto. L’albero non è stilizzato come per Wiligelmo, inizia a descrivere foglie e pomi in maniera più
naturale. Wiligelmo e Niccolò danno origine a delle scuole dall’Emilia a Vercelli.
Piacenza anche ha una sua scuola che deriva da Wiligelmo, narrazione metodica. Rilievi murati nelle
colonne poderose, hanno sezione circolare. Corporazioni dei mestieri: ogni mestiere era firmato da un
paratico che lo aveva pagato. Sensibilità quasi proto gotica. Vediamo una descrizione dei mestieri che
preclude la sensibilità gotica, ma siamo ancora nella prima metà del XII sec. Nella seconda metà vediamo
venir meno della grandiosità per una narrazione che non è ancora del tutto naturale, ma vuole riempire di
dettagli. I campionesi realizzano i rilievi del pontile all’interno del Duomo di Modena. Cripta seminterrata
dei campionesi a Modena. La zona di cerniera è un nuovo pontile praticabile che ha la Maiestas, il
tetramorfo, ultima cena e passione di Cristo. Figure della Passione un po’ pigiate, stilizzate ma piena di
episodi. L’arte guida del romanico è l’arte orafa. Anche al livello architettonico le murature non erano nude
ma intonacate. Sono state trovate a Modena le coloriture di finti laterizi e gusto di bicromia.
Esempio di Romanico minore, a Montechiaro d’Asti vediamo il gusto dell’ornato e della bicromia. Vediamo
l’uso del laterizio e dell’arenaria per fare i motivi a dente di sega.
Saint Pierre de la Tour, porta non strombata ma bellissima ritmica e varietas.
Renier de Huy, tazza del fonte battesimale con figure longilinee.
OREFICERIA
Produzione di bronzistica con smalto champlevé che si sviluppa in Renania. Rame dorato e scavato per
riempirlo con pasta vitrea opaca e non translucida. Alveoli molto spessi. Cassetta reliquiario, fantasie
tipiche del romanico, tensioni di forza. Tetramorfo percorso da movimento spasmodico, si avvita, si torce.
In ambito renano si usa lo champlevé con effetti sofisticati, smalti niellati, riempendo con pasta colorata. Il
soggetto della placchetta di Alessandro Magno, recupera leggende, come la sua ascensione in cielo una
volta arrivato in India. Immagine della iubris del mondo prima di Cristo. Campiture variate. Oggetti tipici
dell’oreficeria limosina ha corpi appena cesellati, azzurri con varie tonalità.
Narrazione citando la Striscia ricamata di Bayeux. Striscia ricamata da colori piatti, linee marcate. Celebrare
la conquista dell’Inghilterra da parte dei Romani, con Guglielmo il Conquistatore. Cavalcata con cavalli che

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si torcono e disarcionano. In alto vediamo delle scritte enormi, veniva steso lungo tutta la navata della
cattedrale.
Tournus, se si usa in Italia del sud opus sectile, in nord Italia ed in tutta Europa si usa l’opus tessellato,
usato per storie mitologiche. Vengono calpestati, non possono essere storie di nuovo e vecchio testamento.
Colori delicati, in origine erano bianchi e neri.
Pittura romanica in Lombardia, San Pietro al Monte. Raffigurazione della Gerusalemme celeste, agnus dei,
le 12 porte, sta in un endonartece. Abbiamo in controfacciata, superato, un episodio dell’Apocalisse, la
Vergine insidiata dal Drago delle 7 teste con San Michele Arcangelo. Capacità di comunicare con colori
chiari e sgargianti. Da vicino vediamo che ricordano quasi le miniature ottoniane, gli occhi marcati sono
analoghi a Sant’Angelo in Formis. Ombra verdognola, fascia immediata. Stilizzazione piegata ad una
fortissima narrazione. È disarticolata. In Piemonte nell’abazia di Novalesa vediamo la nascita di San Nicola,
le figure sono deformate ma vediamo colori carichi, forti della pasta vitrea. La vivacità si scatena nella lotta
dei mostri, in area alpina si conserva meglio per zone che comunicano al di là delle Alpi con il Nord Europa.
Vediamo a Bolzano delle creature mostruose nel giro absidale, la sirena stringe le due code.
Nel restante Europa, come in Catalogna vediamo un Cristo in Maestà, allampanato, pieghe inguainate
come nella scultura, intensità espressiva dei volti quasi deformati, svincolarsi prepotente dalla stilizzazione
bizantina. Semplificazione geometrica e cromatica. In Inghilterra nella miniatura abbiamo l’iniziata avvitata
o avvitata, con ad esempio Geremia che riacquista la voce dal Signore.

13. IL MERIDIONE E LA SICILIA NORMANNA, SECOLI XI-XII

Con Roberto il Guiscardo i Normanni si insediano nell’Italia meridionale, la Sicilia è il luogo più importante,
ma anche la Puglia, in cui primeggia Bari. Diventeranno un’importante compagine alleata alla Chiesa, dalla
basilica di San Nicola a Bari il papa indirà la prima crociata. Dalla Puglia ci saranno diversi influssi proprio
per le crociate. Dall’Italia meridionale infatti c’è stato un grande influsso islamico orientale, a Bari
nel IX secolo ci fu un emirato, ci sono quindi eco orientali.
SAN NICOLA A BARI
San Nicola di Myra in Asia Minore. Le spoglie migrano e verranno portate a Bari. È uno dei santi più popolari
legato alla protezione dei naviganti. Chiesa del Santuario del Santo. Nel 1098 quando fu indotta la prima
crociata; vediamo che ha dei rapporti con il romanico lombardo. È incluso in una struttura quadrata con dei
torrioni che mascherano la struttura interna. Transetto monumentale molto grande, in pianta
l’orientamento si nota verso oriente. Dall’esterno le absidi sono nascoste dalla muratura continua e per
questo si pensava sorgesse sui resti del palazzo del catapano, governatore ma non è così. La facciata ha
delle paraste che continuano alla base con delle colonne, vediamo delle arcate con delle bifore inscritte.
Loggia esterna interrotta da pilastri. In facciata vediamo che non c’è un protiro ma uno pseudo-protiro
schiacciato sul piano e pensile. Sono due tori su delle mensole, le colonne sono appena staccate dal muro,
è più un archivolto aggettante che protiro. Assomiglia al romanico lombardo ma è meno potente, ha valori
decorativi più orientali e tende più sul fondo. Effetto di incorniciatura che pare sospesa. È tipico del
romanico pugliese, questi pseudo portici sono anche riproposti nel finestrone absidale, come se fosse un
portale sospeso. Da vicino vediamo che le decorazioni hanno qualcosa di ibrido con l’influsso bizantino.
Sembra il palazzo del catapano perché è come un edificio ma dietro le bifore e il muro nasconde il transetto
con le absidi. Caratteri dell’intaglio bizantineggiante nel portale absidale. Decorazione più astratta, stilizzata
e modulare. Similmente a Modena vediamo dentro le arcate uno pseudo matroneo, è aperto ma non ha
una galleria, ha delle arcate con trifore. Sotto ci sono archi bardellonati. L’abate Elia propone la
costruzione della basilica di San Nicola. Infondo all’abside c’è ancora la sua cattedra. Le cattedre stavano in
fondo alla tribuna secondo il canone. Cattedra con iscrizioni che rimandano sicuramente all’abate Elia, è
straordinaria, mescola una geometria essenziale, è un pentagono, ha geometrie regolari orientali. Nella

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parte bassa ci sono dei telamoni che si storcono dolorosamente e dietro due leonesse che ghermiscono due
figure africane, riferendosi agli infedeli. Raffigurazione espressiva e violenta che coesistono con le
geometrie orientali.
Al centro dell’abside davanti all’altare abbiamo un ciborio dove è celebrato San Nicola, al di sopra di una
cripta. Possiamo notare delle scritte. Ruggero II si fa incoronare a Bari e più avanti c’era una placchetta in
rame smaltato, cioè in stile champlevé, nella quale vediamo rappresentata l’incoronazione dello stesso, da
parte del vescovo.
ROMANICO PUGLIESE
Uno dei capitoli più straordinari del romanico italiano. Santa Maria Maggiore a Siponto. Edificio quadrato, a
pianta centrale con croce inscritta, ispirazione greca e bizantina ma senza sistema di cupole. Scansione
all’esterno con teoria di arcate. È continua con il duomo di Modena per le arcate che cingono l’edificio.
Pseudo-protiro, archi volti e cornicette aventi decorazioni incredibili, con forme romboidali. Rapporti tra
romanico pisano e pugliese, aventi delle fonti comuni. Dei precedenti simili li abbiamo anche in Siria e in
oriente. Circolazione di modelli e temi di ornato che vengono dall’oriente del Mediterraneo. La qualità del
romanico pugliese lo vediamo nell’ornato, ha motivi regolari e bizantineggianti. Vediamo dei capitelli
corinzi di imitazione. Elementi classici di gola e toro alla base delle colonne.
A Trani con la Basilica di San Nicola Pellegrino vediamo un culto di un suo San Nicola, è in rivalità con Bari.
Vediamo due livelli, la cripta diventa una vera e propria chiesa inferiore, come per San Francesco in Assisi,
ma siamo prima, verso il 1170. È tardo romanico. Transetto monumentale alto quanto la navata. Affaccia
verso l’oriente, spicca verso il mare. Vediamo nella muratura esterna quello che c’è dentro, si nota,
vediamo proprio le forme dell’abside con il suo finestrone. Facciata a doppio tagliente, ma sono molto
scoscesi. C’è già un proto gotico. Le arcate profonde della muratura laterale con i contrafforti riprendono
San Nicola di Bari. Abbiamo delle arcate di appoggio per un esonartece che non è stato mai realizzato. Nel
finestrone in facciata vediamo che riproduce quello absidale con elefanti stilofori, leoni al livello dell’arco, al
livello della sua imposta. Struttura molto aerosa, intaglio schiacciato. Il vero portale ha delle sculture
molto belle, vediamo in basso un leone che ghermisce un drago che è idealmente inscritto in un
parallelepipedo. Forme nervose e slanciate, il tralcio è avvitato da figure ginniche. Storie della Bibbia verso
il lato interno dell’entrata. Raffigurazione espressiva e dinamica. Vediamo la storia del sogno di Giacobbe, la
figura è slogata e rappresenta il sogno, la gamba è accavallata, il mantello inguaina e sventaglia. Vede nel
sogno lui che sale su una scala fino in cielo con gli angeli che lo mantengono. Riempie le superfici e le anima
con la tensione delle figure.
A Molfetta vediamo il Duomo di San Corrado. Ha una struttura cupolata con un sistema di cupole in asse. 3
in asse ed una quarta per il presbiterio. Questo sistema richiama San Marco a Venezia e quindi
l’architettura orientale, ma abbiamo una zona in Francia con cattedrali aventi cupole in asse, allo stesso
modo di questa. È la cultura dei crociati che ritornano portando le influenze bizantine. Qui le cupole sono
messe longitudinalmente. Vediamo il finestrone absidale, come nel San Nicola è tutto incluso nelle mura a
parallelepipedo. Ci sono influssi di tipo islamico, egiziano. Castelli in Giordania che fuori sono dei cubi e
dentro poi è tutto diverso. Non a caso troviamo un motivo islamico qui, ovvero gli archi intersecati. È
diverso da S. Nicola di Bari perché gli archi intersecati diventano ogivali. Archi ciechi. Nel finestrone leone e
leonessa stilofori.
ROMANICO PUGLIESE NELLA MINIATURA E SCULTURA
Facciamo un passo indietro, non esplode immediatamente con i Normanni, già con il catapano bizantino c’è
una produzione barese e foggiana esemplificata da un Pluteo a Bari, dove notiamo che si imita la preziosità
levigata degli avori. Rilievi schiacciati e complessi idealmente in un ripiano. Ornato grafico. Perlinatura, ali
con voluta finale di gusto orientale. Motivi a palme. Si confronta con un preromanico intriso di elementi
bizantineggianti. Pulpiti e cattedre firmate da un certo Acceptus. Scultura molto geometrica ed essenziale,
decorazioni minimaliste disegnate in superficie, abbiamo un vittorino con l’Aquila di Giovanni.

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A Canosa abbiamo la cattedra di Romualdo, fatta nel 1080, avente una forma squadrata con elefantini
astratti, come se fossero cesellati in superficie. Astrazioni non solo di origine bizantina, ma anche di
retaggio longobardo. Gli animali affrontanti sono di origine orientale.
A Canosa abbiamo un tempietto per Boemondo, rivestito di marmi greci con tiburio poligonale, riecheggia il
Santo Sepolcro di Gerusalemme, a ricordo delle crociate. Raffigurazioni ageminate. A Monte Sant’Angelo e
Montecassino abbiamo due porte in bronzo. Nell’ultima sono elementi aniconici, nella prima abbiamo il
ciclo narrativo con le storie di San Michele. Sono ageminate, incavi dove è ribattuto l’argento. Serve per fare
le carni. Il linearismo è bizantineggiante. Ci sono anche delle produzioni di arte sontuaria, in Puglia vediamo
l’intaglio degli avori. I bizantini eccellevano in ciò, ma nelle arti sontuarie vediamo una cosa nuova, le
cassette a rosette. Sono tagliate, è una sorta di industria artistica. Nei riquadri ci sono scene classiche,
guerriere, lotte di putti, temi classici, profani (venivano utilizzate per i gioielli ad esempio). Sono stati donati
alle chiese per diventare teche reliquiarie. C’è un corno olifante, ricavato dalla zanna d’elefante, usato poi
forse nella liturgia per contenere il vino. Sono romanici, caratterizzazione più grafica, schiacciata.
Manifattura d’Italia Normanna.
A Bari localizziamo un prodotto dell’XI secolo endemico dell’arte Normanna e Benedettina di Montecassino.
Oggetti miniati detti rotuli (rinascenza di qualcosa di classico), oggetti liturgici contenenti Exultet, liturgia
della luce della veglia del Sabato Santo. Inno alla fecondità della terra, ha un significato propiziatorio. Feste
di primavera di origine atavica. Il canto viene intonato da un diacono che sale sul pulpito. Viene acceso un
candelabro marmoreo. Exultet 1 di Bari, scritte in greco, convive realismo romanico con impulsi bizantini,
visti nei motivi a cuore.
Imperatore di Costantinopoli raffigurato o con l’imperatrice o con il figlio associato al trono. Hanno un
labaro bizantino (il labaro è un vessillo, insegna bizantina utilizzata con l’esercito) e sfera. Hanno oros, una
tipica stola gemmata che gira nella vita. Non è bizantina l’opera per i colori meno squisiti, formulazione
grafica semplice, occhioni dilatati.
Bari, Deesis, Cristo Benedicente tra Vergine e Battista, con braccia protese per intercessione. Vediamo
anche la liturgia del Sabato Santo che è quella battesimale. Fuoco, luce ed acqua. Processione per il
battesimo, celebrante, laici, bambini. Vivacità delle gambe che danno un movimento laterale. Tutto è
bidimensionale, freschezza cromatica.
SICILIA
Cuore della dominazione Normanna, scelta anche da Federico II dopo la cultura Normanna, attraverso
Costanza D’Altavilla. Si innesta però sul tessuto precedente Normanno. Era uno dei regni cardine Europei, il
re Normanno nutre l’ambizione di scalzare l’imperatore di Costantinopoli, i conflitti nel 1054 rendono un
grande scisma tra chiesa cattolica ed ortodossa. In questo mondo complesso il re Normanno si destreggia e
in Sicilia crea monumenti incredibili. Ruggero II fa costruire il Palazzo dei Normanni. Realizza la Cappella
Palatina. È piccola, è palatina perché è al primo piano. Ci si accede da una porticina, il re aveva un accesso
in alto sul lato sinistro. Colonne con foglie acantine, presbiterio rialzato, al livello di pianta vediamo che è
ibrida, la navata è basilicale. Il piedritto, imposta dell’arco, è molto sviluppato in altezza. Transetto
monumentale, cupola che ha un ruolo di origine bizantina. Viene innestato su una struttura longitudinale.
Il re Normanno è il vicario della chiesa di Roma. È dedicata a Pietro e Paolo, ma ha mosaici orientali. Si
parlava il greco, forse ancora arabo per la loro dominanza di due secoli. Osserviamo il pulpito; il candelabro
è romanico, con i leoni che ghermiscono, Maiestas, vescovo che si genuflette, angeli in volo. È un’accezione
del romanico che si ritrova anche in Campania. Nella controfacciata c’è un enorme trono. La chiesa era
anche sala d’udienza. Cattedra del Re, con ambizione cristomimetica, è sovrastato da una Maiestas tra
Pietro e Paolo. Legittimazione del re che è vicario di Cristo stesso, sotto la chiesa di Roma. Storie di antico
testamento nel transetto sinistro, nuovo a destra. Vediamo il soffitto a muqarnas, ovvero a stalattite. È una
manifattura islamica, sviluppatasi in Egitto. Il tema sono le stelle a 8 punte, elementi pensili a stalattite ed
infinità di tavolette decorate con scene profane. Figure dall’abbigliamento orientale, animali in girali,

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musici, artisti. Da lontano si vede un brulichio di colori che sembrano stoffe. Ciclo dell’antico testamento e
nuovo, motivi aspirali, storie della Genesi. Scene di lotta, uno che beve il vino con i suoi servitori.
Importanza delle manifatture tessili. Manto dell’incoronazione di Ruggero II, il rosso è il colore della
dignità imperiale, con cammelli afferrati da tigri, fantasie astratte orientali o di retaggio irlandese-celtico, è
un melting-pot di culture, al centro la palma è orientale. Nel Palazzo dei Normanni abbiamo una saletta di
Ruggero, raffigurazioni ibride, è molto geometrico, animali fantastici, tigri, leopardi che danno inizio al
tema venatorio. Passione per la caccia ed animali esotici. Influsso orientale.
Brano di un viaggiatore arabo che alla fine dei Normanni, affascinato dalla Sicilia decanta le chiese di
Palermo descrivendola come una città meravigliosa, piena di giardini con vie larghe al contrario delle
strettoie medievali. Edifici in pietra da taglio e non in laterizio.
Rimane infatti qualcosa di queste dimore di piacere: la Zisa, ovvero “Splendida”, era in un isolotto in mezzo
ad un lago artificiale, il re la raggiungeva in barca, c’era una fontana dentro con dei giochi d’acqua.
L’architettura coopera con il giardino. All’interno vediamo un mosaico con pavoni, decorazioni di marmi,
intarsio.
Cappella Palatina, litostrati di opus sectile, marmi pregiati. Rote uniti dal quintus, motivi a linee che si
intersecano. Elementi poligonali, fiori di loto stilizzati. Come opus romano cosmatesco con tessere di
marmo e vitree dorate, ma con fantasie diverse. Elementi traforati nella recinzione presbiteriale, colonnine
decorate dentro da fantasie a stelle islamiche, o con linee spezzate normanne “bastone spezzato”.
San Demetrio Corone, serpente in opus sectile.
MOSAICI DELLA CAPPELLA PALATINA
A Roma abbiamo un catino absidale e decorazioni localizzate, qui invece è tutto tappezzato da mosaici. Uso
estensivo del mosaico, arte costosa e pregiata. I Normanni chiamano le maestranze di Costantinopoli anche
se il re normanno gareggia con l’imperatore d’oriente. Gli artisti però si muovono per chi li paga. Le scritte
sono in latino e greco, continuità di presenza greca. Pianta a 3 navate, cupola, transetto molto alto e 3
absidi al fondo. Cicli storici, tutto promana dalla cupola. Cristo appare diverse volte: nell’abside centrale c’è
il Cristo benedicente, poi sta in controfacciata, nella cupola e sull’arco santo. La cupola è sorretta da un
tiburio. Al vertice c’è un clipeo con il Cristo Pantocratore, benedicente, “onnipotente” in greco. Teofania
proviene dall’alto per gerarchie, sotto Cristo abbiamo 8 angeli, poi sotto le finestre in imposta di eredità
dell’Hagia Sophia. Scendendo abbiamo dei profeti ed evangelisti tra i 4 angoli e nei pennacchi.
Presentazione al tempio di Maria. Schema radiale della cupola, gli angeli hanno le ali aperte.
Nel transetto destro abbiamo il ciclo del nuovo testamento senza crocifissione, forse c’era un crocifisso.
Nella parete si vede la raffigurazione molto grafica e bidimensionale, figure rigide. In età comnena si
sviluppa una grande capacità narrativa bizantina, che poi vediamo in Sicilia. Nell’impaginazione complessiva
vediamo che il mosaico smussa gli angoli, le cornici sono molto essenziali. L’ingresso di Cristo a
Gerusalemme è l’ultima scena. Il re si rivede nella regalità di Cristo che entra in città. La festa della
trasfigurazione è più importante della crocefissione. Vediamo la luce sul monte Tabor accecante. I raggi
formano una X, rendendosi il baricentro di tutta la parete. Notiamo che non interessa la sequenza narrativa
ma il paradigma ideologico. Si fa strada una tendenza narrativa. Vergine nella grotta distesa, ripone il
Bambino nella mangiatoia, come la raffigurazione di Giotto, che usa però una narrazione naturalistica, qui è
tutto simbolico. Mosaici con tessere fini nei volti, creando delle sfumature disciplinate. Volti a mandorla,
arcate sopraccigliari perfette.
SANTA MARIA DELL’AMMIRAGLIO
Edificio coevo con Cappella Palatina, fatta erigere dall’Ammiraglio. La pianta è proprio bizantina, croce
greca in un quadrato, una cupola centrale e 4 volte a crociera ai lati, al posto delle cupole. Abbiamo
volticelle, archi, tabelloni nel nartece. Gioco delle arcate, decorazioni complessive. La cupola non ha il Cristo
Pantocrator a mezzo busto ma intero, con 4 evangelisti in proskunesis. Movimento vorticoso. Si vede una
qualità di tessere minute. Predilezioni in tono turchese, gusto cromatico che condiziona anche i posteri.
Tutto geometrizzato, bianco che si intarsia, ombre e luci. Gesto siriaco con le mani velate, scritte in greco.

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Vediamo le varie facciate. C’è un arcone di ingresso decorato a botte da sinistra a destra con la Natività di
Cristo e Morte della Vergine. Intreccio di vita con la morte, Genesis e Koimesis. Ci sono i segni molto
marcati, anche di rosso, per distinguere tunica da manto. Le tessere sono sfumate, ma è una specie di
simulacro dei volumi. Cromaticità molto astratta. Volti affusolati, ombra molto regolare. Vediamo che gira
sull’angolo, senza piano di posa ed il tutto è affogato nelle tessere dorate. Nella Koimesis la sfumatura è
astratta, le donne piangono in alto, il simulacro è di una raffinatezza incredibile. Nell’atrio ci sono due
tabelloni, uno dedicato a Cristo, il re ha il gesto advocatus, divinizzazione del potere, gesto di intercessione,
l’altro con Giorgio d’Antiochia ai piedi della Vergine. La scritta che ha la Vergine ha una scritta dedicata a
Cristo. Dall’alto Cristo ascolta la preghiera e benedice. Alternanza dei colori delle tessere.
MONREALE E CEFALU’
A Cefalù vediamo che Ruggero II fa erigere una cattedrale per la sua sepoltura, ma poi passa a Palermo.
Vediamo arco ogivale appena accentuato, rivestito da mosaici e finti capitelli. Vergine Orante e Cristo
Pantocratore che con il mezzo busto occupa tutto il catino absidale, per dare l’idea dell’abbraccio. Si
allarga sui lati. I tratti del volto sono eleganti. Confronto con i mosaici greci del sec XI. Tessere minutissime
ma proporzioni nei volti che ancora non sono affusolate.
Monreale, Guglielmo II erige un’arcidiocesi, dove vuole farsi seppellire. La pianta ricalca la cappella Palatina
senza cupola, è tutta coperta a capriata come le proto basiliche. Un modello poteva essere il Duomo di Pisa
con le colonne giganti, ma a 3 navate, più della facciata è importante il sistema tergale, tutto è decorato
con archi intersecati, decorati con dischi che da lontano sembra una gigantesca oreficeria. È una sorta di
fortezza. Decorazione geometrica bicromata. Capitelli corinzi di decorazione. Linguaggio romanico
nell’architettura, bizantino tardo comneno nei mosaici. Da lontani il Cristo Pantocrator che abbraccia. Ai lati
del presbiterio abbiamo le due cattedre, celebrazione del potere secolare raffigurato due volte, investitura
e offerta del modello. La Vergine ha un manto rosso, colore del dolore. Lungo le navate e poi nel transetto,
abbiamo prima vecchio poi nuovo testamento. Arca di Noè dopo il diluvio: linguaggio tardo comneno con
profili che si arricciano, dimostrano una complicazione grafica, usa stratagemmi di tipo astratto, si adatta
alle forme. Siamo tra le arcate in cui si adatta la narrazione.
In Basilicata abbiamo Santa Maria D’Anglona, si va dalla luce bianca alle ombre, narrazione complessa.
Propone in occidente quest’arte un alto formalismo, vediamo nei capitelli del chiostro di Monreale, nelle
colonne gemine, delle narrazioni, come il dono di Guglielmo II che offre la chiesa alla Madonna con il
Bambino. Plasticismo, fogliame del fondo. Motivi che riemergono.
CAMPANIA
Ci sono monumenti straordinari. Duomo di Aversa, architettura potente, costoloni a profilo rettangolare, è
databile prima del Sant’Ambrogio di Milano, deambulatorio. Vediamo una chimera, un mostro, ripiano
schiacciato come il pre romanico, investito da espressività romanica con influssi orientali, come i cerchietti
tipici delle tavole eburnee.
Salerno, Cattedrale di San Matteo fondata da Roberto il Guiscardo. All’interno vediamo due pulpiti con
opus sectile simile al cosmatesco romano, fantasie e palmette orientali. Uno è il pulpito del Vangelo a
sinistra, l’altro a destra per le epistole. Ci sono due lettorini e il candelabro per la liturgia pasquale. Il
lettorino ha due chierici che sorreggono il leggio, le stoffe sembrano leggere, naturalistiche, ma con
stilizzazioni bizantine. Come opus sectile abbiamo a Ravello il Duomo. Nel pulpito il mostro marino sputa
Giona. Ibrida tra sectile e tessellato. Intarsi campani orientaleggianti, animali intarsiati direttamente nel
marmo. Porte bronzee con influssi bizantini, artista Pugliese Barisano da Trani, San Giorgio e il drago di tipo
orientale.

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14. VENEZIA NEI SECOLI XI-XII TRA ORIENTE ED
OCCIDENTE
Venezia è un osservatorio privilegiato per il confronto tra occidente ed oriente. In origine erano villaggi di
pescatori, cresce al centro di Aquileia e Ravenna. Costruire il mito di Venezia in assenza di un passato
romano. Si confronta con Costantinopoli e la prende a modello. È protesa verso l’oriente, costruisce in
questi secoli una fortissima identità anche come città santa. È una sorta di nuova Gerusalemme, diventerà
uno scrigno di reliquie, oltre uno dei maggiori centri economici del tempo. Culto di San Marco Evangelista
diventa una colonna portante del mito di Venezia. La Basilica di San Marco diventa una sorta di città
santuario, collegata strettamente al palazzo ducale dove risiedeva il doge. Potere religioso. Il 1204 è un
punto cruciale, danno le flotte ai crociati della 4° crociata e dirottano la destinazione verso Costantinopoli,
che diventa per 60 anni dominio veneziano. È una pagina ingloriosa, dei cronisti raccontano la presa di
Costantinopoli come un vero e proprio saccheggio. Con la dinastia Comnena era già in crisi la cultura
bizantina. Michele Paleologo farà rinascere i bizantini. Enrico Dandolo doge partecipò alla 4° crociata e
porterà molte opere spogliate. I 4 cavalli bronzei sono un esempio.
Basilica di San Marco, è incastonato di elementi di spolio, un angolo ha i tetrarchi in porfido. Figurazione
proiettata nello schematismo tardo antico. Un calice era appartenuto all’imperatore romano viene a far
parte del tesoro di San Marco. L’impostazione pacifica durava da secoli, è stato un po’ relativizzato il 1204.
Spiega la riaccensione di bizantinismi della cultura italiana, è un punto di arrivo di un processo costante di
artisti, manufatti dall’oriente bizantino. Il tesoro di San Marco condensa questo momento nel 1200 e
cambia la basilica. Quella che vediamo è la 3° e copre l’ossatura completamente in laterizio originale. Ora
sono di marmi ravennati o greci. La punta di diamante è il tesoro. La maggior parte degli spolia che vediamo
sono alto medievali, come i plutei. Prima c’erano altre 2 basiliche, IX secolo quando arriva il corpo del santo,
l’altra del X secolo. Viene ricostruita sempre in scala maggiore, si tolgono gli arredi e vengono riutilizzati
come spolio. Lastre IX-X secolo, rilievo schiacciato e bidimensionale. Asimmetrie e variare movimento degli
arpigli tipico orientale.
La grande fabbrica di San Marco riassume le vicende di Venezia, nel 976 vediamo un incendio che fa
costruire la San Marco Orseoliana, quella che vediamo è consacrata nel 1094. La cripta che ora vediamo
dovrebbe essere della seconda San Marco, ma è stato smentito. Si pensa che quella Orsoliana fosse molto
più piccola. È dunque Contariniana, fa parte di una ricostruzione ab imo. Dobbiamo solo immaginare come
fossero prima, abbiamo solo i loro plutei. Modelli di icnografia tipica di Costantinopoli. Possiamo parlare di
un romanico veneziano, una città che si concentra sui modelli bizantini. Apostoleion, pianta a croce greca
non iscritta, 5 cupole, non c’è più. Orientamento accentuato, ha 3 più piccole e 2 nel braccio trasverso, che
è più corto come un transetto. È una pianta occidentalizzata, ha un orientamento longitudinale dato da 3
absidi. Tutto è dominato dal modello delle cupole di Hagia sophia. È tutto cinghiato, endonartece-atrio
rivestito da cupolotti poi rivestiti da mosaici, terminazione. Cappella in fondo all’atrio dedicata al doge, ma
inizialmente era nell’endonartece. Si aggiunge poi un battistero e il tesoro. I marmi si cominciano ad usare
nel 1152. L’esterno viene foderato solo nel 1200. Fornici che inquadrano i portali, che diventano 5. Quanto
vediamo è arricchito nel 1420 da un motivo tardo gotico. I mosaici delle lunette alte sono ‘800. Solo la porta
di Sant’Alipio è integra e conserva la sua ornamentazione originale. Lo pseudo matroneo è finto, c’è un
passaggio praticabile. Tutto è dominato dagli intradossi delle cupole, il giro delle finestre accompagna.
Iconostasi della fine del ‘300, opera delle Masegne, struttura della pergula, con trabeazione libera in alto.
Statue con crocifisso e 12 apostoli. 2 pulpiti alle estremità, il palazzo ducale si attacca proprio dal transetto
destro a meridione e il doge entrava, saliva sul pulpito. A Venezia e a Siena il potere religioso e secolare
sono fortemente intrecciati. Il potere politico si esercita proprio nelle chiese.
Miniatura bizantina, tema della costruzione a croce greca a 5 cupole, San Marco foderato di marmi che va
incontro alla simbologia sacrale dei marmi pregiati. Venezia diventa dopo Roma la vetrina dei marmi
pregiati. Teca per tenere le ostie, maniglie, oggetto in argento, parzialmente dorato, cupolotti orientali,
Costantinopoli macedone nel XII secolo. Figurazioni con draghi, mostri, bambino che si infila in una cesta.
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Migrano e assumono un’altra valenza questi oggetti profani in ambito ecclesiastico. Impregnata fortemente
da impulsi bizantini. Diverso dalla Sicilia Normanna in cui i mosaici non incarnano una propria tradizione
come qui a Venezia. Abside di sinistra nord orientale, cultura veneziana articolata da un sistema di nicchie
ed archi ciechi. Aspetto programmatico dell’impresa ravennate. Arte veneziana a dente di sega, inclusi
marmorei, motivo altomedievale.
Murano, chiesa di San Donato e Maria, non è giudicabile, esterno movimentato da nicchie, capitelli greci
con venature e ad imposta, stretta continuità con il mondo bizantino, continuità con il VI secolo. Laterizio
bicromo. Dipingere intonaci con finti conci. Arcate cieche, senza cornici a linea d’imposta, enfatizza il ritmo
delle arcate senza una soluzione di continuità. Marmi di vario tipo, elementi di spolio e plutei alto-
medievali. Capitelli che riprendono il corinzio, altri sono semplici ad imposta o cubici scantonati. Influssi
diversi, da vicino vediamo che i capitelli sono diversi, uno dell’XI secolo rivisita il VI con foglie spezzate.
Intaglio geometrico analogo con la Puglia romanica.
Romanico veneziano, vediamo Santa Sofia a Padova. Condivide tanto con il romanico lombardo, doppio
saliente, paraste che la scandiscono, arcate cieche ed arcatelle al vertice. Non hanno cornici, 4 esedre in
facciata ad inquadrare la facciata.
Portale maggiore di San Marco, scandito da un gioco di 4 esedre. Sono riccamente decorate a mosaico.
Proviene dall’XI secolo. Smussa tutti gli spigoli delle modanature, oro abbagliante. Motivi a rosette che
imitano gli smalti cloisonné. 4 evangelisti si stagliano nelle 4 esedre.
Monumento emblematico è la pala d’oro. Capolavoro dell’oreficeria medievale. Non nasce come pala ma
come palliotto, il rivestimento della fronte dell’altare. Limitata al rettangolo inferiore, commissionato a
Costantinopoli al tempo del doge Falier. Culto di orafi costantinopolitani. Manomissione dello smalto al
centro trasformato da imperatore a doge Falier. Rivestimento tutto a smalto cloisonné. Viene fatta
un’aggiunta superiore che lo fa diventare pala d’altare. Rivestimento orafo, cripta, confessio dove c’è il
corpo di San Marco. Sacralità dell’altare. Pale orafe con reliquiari. Trasformazione gotica negli anni ’40 del
‘400. Cuspidi di gioielli che la dogaressa dona a San Marco, travestimento gotico trecentesco. Castello
tempestato di gioielli nel 1343/5, orafo Boninsegna lo fa. Orchestrazione straordinaria con Pantocrator al
centro, teorie di angeli organizzate intorno. Parte bassa con Vegine avente le braccia sollevate. Iconica
archetipa senza Bambino, orante con le braccia sollevate, ascensione di Cristo. Ai lati vediamo imperatore
ed imperatrice, scettro oros e stole. Al centro di tutto vediamo il Pantocrator, trono con gemmature, vertici
dello smalto cloisonné, membrane d’oro che costruiscono i cloisonne, alveoli dove viene colato lo smalto.
Membrane dorate del cloisonne. Rosa delle carni, linguaggio comneno maturo che vede l’allungamento dei
tratti del volto con lunghe canne nasali e arcate sopraccigliari. Teorie di angeli nel registro più alto, arcata
fatta a smalto, non è architettonica, è minutamente riempita di motivi e orbicoli. Fatti con lo smalto. Ali
variopinte, scaglie di tanti colori diversi, eleganza longilinee. Accenno ad inchino. Stilizzazioni forti delle
pieghe, riccioli fatti a spirali calligrafiche. Smalto di San Michele che sta al centro più in alto, aggiunti nel
‘200 come le 6 grandi storie della passione e Gloria di Cristo, tema per eccellenza bizantino, Anastasis.
Discesa al limbo e liberazione dei giusti dopo aver spezzato le porte degli inferi. Abbiamo Adamo ed Eva,
David Salomone e Battista. Personaggi più importanti, svolazzo bizantino ma figura irrigidita. Croce
raddoppiata detta patriarcale, tipica del mondo bizantino e veneziano. Smalti arrivati anche con altri
oggetti come coperte di codici. Biblioteca marciana. Evangelario con Vergine orante, fili che sono le
membrane del cloisonne. Ci sono oggetti strepitosi di importazione per la filigrana o intaglio di pietre,
vediamo una figura in argento sbalzato dorato, veste con pietre preziose, ali con smalto e clipei inserite al
fondo. Oggetti come coppa che ha nell’orlo gli smalti. Acquamanile per lavare le mani del celebrante,
usando una brocca di origine araba. Intaglio del vetro.
CUPOLE DELLA BASILICA DI SAN MARCO.
Pavimento ritratto nell’800, è aniconico, ha solo qualche pianta e animale, mescola opus sectile e
tessellatum, ogni tanto ha degli innesti di mosaico tessellato ma è a prevalenza sectile. Cupole grandiose,
scarico di forze immane, retto da pilastri, 4 per gli angoli dei quadrati in cui sono iscritte le cupole. La

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decorazione inizia dall’abside e dal portale maggiore alla fine dell’XI secolo, prosegue con la cupola
orientale e alla fine quella occidentale. Decorazione della seconda metà del XII secolo. È qualcosa che si fa
via via gradualmente. Anche a Siena ci sono delle forme di finanziamento regolari che mandano avanti
lentamente e gradualmente la costruzione. Il contesto reale come quello Normanno è un altro conto. Ci
sono dunque degli sviluppi stilistici nelle cupole che dimostrano ciò. Agli inizi ci sono delle figure isolate
nell’oro a sviluppo radiale. Poi sono sempre più mosse e dialogate tra loro. Occidentale Pentecoste,
centrale Ascensione, sono le più grandi. Le più piccole sono le altre. Cupola dell’Emanuele EST, Cristo
Benedicente, teofania con la Vergine nel gesto dell’orante, profeti dell’antico testamento, Cristo è
nell’ascensione, lo spirito santo nella Pentecoste. Riferimento ai profeti messi radialmente. Finestre che
cingono l’imposta. Cupola settentrionale di San Giovanni Evangelista, che è al centro con le mani
dell’orante sollevate. Contro l’oro abbagliante sono disposte 5 storie, ogni storia è organizzata a sua volta in
3 gruppi. Cupola meridionale vede la celebrazione di San Nicola. La cupola centrale, il baricentro di tutto è
l’Ascensione di Cristo. Vediamo nei pennacchi i 4 evangelisti. Cristo ascende con i 4 arcangeli che
accennano ad un movimento vorticoso. Alternano alberi tra di loro gli Apostoli, con la Vergine al centro.
Sono capeggiati da Pietro e Paolo, si torcono con un movimento vivace. La quinta cupola, quella della
Pentecoste ad OVEST, vede una stella che domina la geometria e primana i raggi di luce, fiamme che si
accendono sulla fronte di ogni Apostolo; ognuno ha una posa vivace diversa. La Pentecoste è la missione
degli apostoli. Uscendo di lì parlano tutte le lingue del mondo, tra le finestre ci sono le raffigurazioni di tutti
i popoli della terra.
Fondamentali sono gli intradossi degli arconi. Sono importanti e ospitano cicli narrativi, quello di passaggio
tra la cupola centrale ed occidentale presenta la passione di Cristo. L’apice è il sepolcro vuoto con le pie
donne. Grotta nera con la sindone vuota. Costruzione narrativa che si articola in vocaboli di diversi tipi.
Tutto è organizzato per simmetrie. La scena della crocifissione si riferisce al linguaggio bizantino,
proporzioni gerarchiche, a margine si sommuove con le vergini piangenti, a destra uomini spaventati. In
primo piano ci sono quelli che si disputano le vesti. Manifestazione deittica. Orchestrazione complessa.
Venezia è l’esponente di una realtà vasta dell’Italia nord-orientale. Abbazia benedettina di Pomposa.
Architettura basilicale come Sant’Angelo in Formis. Retaggio ravennate esarcale. Centro importante e
prestigioso dopo la Ravenna decaduta. Portico aperto, murati rilievi di vario genere, dischi circolari con due
animali affrontati. Campanile che viene costruito secondo canoni romanici, le finestre vanno verso l’alto
allargandosi e moltiplicandosi. Il nartece dimostra un gusto colorito di laterizi. Basilica di Torcello, sede
diocesana di un Vescovo, molte famiglie la finanziano, in particolare gli Orseoli. 1008, edificio proto-
romanico. Arcate cieche in facciata e nel giro dell’abside. Mosaici nell’abside, epistilio ben conservato.
Tavole con plutei, colonnine, canonico in ambito romanico. Plutei molto belli, secondo alcuni spoliati da San
Marco quando viene ricostruito. Abside mosaicato, con la Madonna con il Bambino che si staglia nel catino
tutto dorato, annunciazione sull’arco santo, sotto apostoli con veste bianca simile a quella togata. C’è
ancora il coro alto con le sedute, marmi togliendo i quali si è scoperto che c’erano degli affreschi, forse
messi al posto dei marmi perché non c’erano in origine possibilità economiche. Controfacciata famosa del
Giudizio Universale, monumentale. Finisce ad un certo livello, in alto abbiamo una gigantesca anastasis e
crocifissione. Il giudizio ha l’inferno da una parte e gli eletti dall’altra. Vergine dedicata alla Madonna con
la Psicomachia in alto, lotta tra diavolo e angelo, con la bilancia e il diavolo che prova a farla pesare dalla
sua parte. Plutei dell’anno mille, rilievo schiacciato ma morbido, temi bizantini a rosette, animali affrontati
annegati nei girali.
AQUILEIA
Bizantinismi con linguaggio differenziato. Ermagora e Fortunato santi originari. Aquileia è un patriarcato
fortissimo, l’unico dell’occidente, si chiama patriarca anche dopo lo scisma. Como segue la sua liturgia. Va a
riempire gli spazi, e copre l’architettura. Ci sono dei rabeschi, dei profeti e santi infilati un po’ ovunque.
Influsso orientale bizantino, nelle scene narrazione vivace. Nel giro absidale storie della Passione di Cristo.
Storie della Passione con stiramenti dei corpi che suggeriscono il pathos. Contrasto dei movimenti che dà il

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senso del dramma. Schematismi delle anatomie, ventre tripartito. Nei panneggi si notano delle
scheggiature bidimensionali. Donne che si coprono gli occhi, mani velate. Idee molto forti, abbraccio di
Vergine a Cristo. Scoperti i resti dei mosaici sui resti del presbiterio di san Marco. Tracce di composizioni. Ci
sono dei frammenti dello stesso soggetto, le donne delle due rappresentazioni sono quasi sovrapponibili, si
ipotizza sia la stessa maestranza.
Kosovo e Serbia conservano dei cicli pittorici di un mondo di periferia, si sviluppano cicli narrativi. In
Macedonia a Nerezi vediamo lo stesso soggetto del corpo di Cristo con la Madonna che lo abbraccia, San
Giovanni, sventaglia il panneggio, bacia Cristo, stile analogo a quello di Aquileia.
Ad Aquileia abbiamo nella volta storie meno lineari, hanno dovuto un po’ inventare. Bizantinismi che
hanno nei volti delle animazioni.
SCULTURE DI SAN MARCO.
Siamo nel 1200. Ciclo delle Virtù, lo scultore si apre ad una dimensione protogotica, copia uno schema che
è quello dei mosaicisti. Abbiamo anche nella cupola dell’ascensione le virtù, copia il modello di Sansone ed
Ercole che sganascia il leone.
Ercole e il cinghiale di Erimanto, Ercole e il cervo di Cerinea ed Ira di Lerna. Classicismo marciano, si
recuperano i temi archeologici. Interpretatio cristiana dei temi pagani. Il mondo classico deve assumere un
suo senso di sacrificio e passione come per il significato cristiano. Quello con il cinghiale ha un relativo
senso dell’anatomia, sfibrato in una resa più delicata e fredda. Siamo in un ambiente protogotico. Quello
con il cervo è di un altro scultore, vediamo che ha proprio dei tratti meno naturali, ma è più patetica. È più
bizantina nel punto di partenza, ma è espressivo nell’arrivo. Questo dipende anche dal soggetto che si deve
rappresentare. Per San Matteo è più composto. Arcone con la figura della speranza con la veste
svolazzante, panneggio risucchiato dall’avvitarsi delle gambe. Arconi del portale centrale, con raffigurati dei
cicli complessi di mesi, mestieri e virtù. Si fanno strada dimensioni protogotiche. Nei mesi vediamo degli
elementi di eredità paleocristiana. Tutto nasce da dei cantari fiancheggiati da colombi e via via si svolgono i
lavori. Ambivalenze di Venezia, si vede un aspetto colto paleocristiano e verità ruvida della descrizione dei
lavori. Archivolto con i mestieri, corporazioni della civiltà comunale.
Facciata duecentesca, portale di Sant’Alipio, esedra, capitelli misti, alcuni di spolio tardo antico. Lunetta
con arco carenato, inflesso. Compare con la porta dei Fiori del fianco sinistro. Lastre traforate annegate nei
marmi, architrave di spolio, sculture in bassorilievo, tessere minute dorate. Si innesca la calotta absidale.
Prima di 5 grandi storie della passione di San Marco. Dentro c’è un grande rilievo con la traditio legum et
clavum. Il panneggio fascia i corti in modo proto gotico. Capitelli con intaglio bizantino, è probabile che sia
un episodio di grande rivisitazione dell’antico.
Colonne del ciborio. Sopra l’altare maggiore vediamo degli Evangelisti al vertice, narrazione a cilindretti di
antico e nuovo Testamento. Dovrebbe essere opera del V o VI secolo riutilizzata nel ‘200. Per altri è
un’opera del ‘200 che imita quei secoli antichi.
Porta dei Fiori, a settentrione. Porta coronata da arco inflesso fiammeggiante polilobato. Marmi preziosi
che incastonano fasce scultoree e al centro di tutti c’è la Natività di Cristo. Modelli bizantini. Questo
condiziona tutto il ‘300. Non c’è la grotta ma la stella con il raggio che colpisce il bambino. Vergine
pensosa. Da vicino hanno una certa corposità e naturalezza. Tralcio che sembra ancora alto medievale.
Mosaici 200eschi del nartece dell’atrio. Sistema di cupole, il ciclo inizia dalla porta d’Amar. Ciclo con le
storie di San Marco, il 3° ciclo delle stesse. Entrando da quella porta il primo cupolotto è la Genesi, Antico
Testamento. Non più schema radiale, organizzato con 3 cerchi concentrici. Via via fino alle storie del
peccato. Schema forzato per ospitarci una narrazione. Ciclo che ha delle corrispondenze letterarie con un
codice del V VI secolo: il mosaicista del 1230 che copia la Genesi Copton. Sfumature trascoloranti, pesci e
volatili di forte naturalismo, all’unisono con quello gotico, curiosità dell’arte federiciana. Il drago è di
fantasia medievale. Il seguito vediamo che le cupole hanno un solo ciclo narrativo.
1270, transetto destro, storia di San Marco, arrivo del corpo a Venezia, si elaborano dei miti, come quello
che giustifica la rifondazione della 3° chiesa. Cade una pietra, si nota il corpo che era nascosto in un

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pilastro, tema del miracolo dell’Apparitio. In alto si nota uno spaccato riconoscibile dello spaccato della
Basilica.
Prima campata destra, per tutta la lunghezza della campata c’è l’Orazione dell’Orto, tradizione Comnena.

15. ARCHITETTURA, SCULTURA E PITTURA NELLA


TOSCANA ROMANICA
PISA
San Pietro a Grado, era sul mare, basilica legata alla memoria mitica di un passaggio di San Pietro.
Giungendo dalla Terra Santa sarebbe approdato a Pisa. Questo mito lega Pisa direttamente a Roma.
Classicismo programmatico di riferimento a Roma. È doppia la Basilica a Grado, ha due absidi, basilicale,
schema conforme come Torcello, uso di elementi di spolio, capitelli ionici, compositi, corinzi, colonne lisce
e scanalate… nel paramento esterno vediamo archetti ciechi, motivi romboidali alternati ad incavi tipici
del romanico pisano. L’aspetto interessante è che non c’è un vero e proprio transetto ma le navatelle sono
interrotte da grossi arconi trasversi, analogamente all’architettura ottoniana. Siamo nella prima metà
dell’XI secolo, alla genesi del romanico pisano.
Duomo. 1063, un anno dopo della San Marco Contariniana. Viene costruita dal fondo verso la facciata.
Vediamo due fasi distinte. La cupola è un problema controverso. Transetto monumentale che si vede
anche dall’esterno, 3 navate, come 2 chiese addossate. Corpo a 5 navate come San Pietro. Si nota una
discontinuità sui muri laterali, si vedono delle arcate cieche che presentano una muratura mista di calcare e
marmo, da un certo punto in poi solo marmo. Proviene dalle cave dei monti pisani, alternato con il colore
verde da Prato. Il primo architetto è Buscheto, il secondo e capomastro fu Rainaldo. In facciata abbiamo ai
lati della lunetta la targa che commemora Rainaldo, in basso a sinistra è rimontata la tomba di Buscheto. La
facciata è di Rainaldo, non sua. Viene realizzato un prolungamento. La cattedrale di Buscheto forse era
quasi a croce greca e finisce dove vediamo l’interruzione dell’uso del calcare, o forse si fermò e la proseguì
Rainaldo, che sicuramente continua la teoria di archi ciechi che la cingono, ma la facciata NON è
sicuramente di Buscheto. Fornici, arcate, fase matura del XII secolo. Rainaldo si armonizza con Buscheto,
ma è più ornato e decorato. All’incrocio del transetto c’è un ottagono oblungo su cui si importa una cupola
a sezione ogivale, si ritiene pertinente a Buscheto, ma si sostiene che la cupola sia più tarda (l’ottagono alla
base è sicuramente di Buscheto). Dovrebbe essere tardo-gotica. Cupola ‘300esca, forse prima era di legno.
È la prima grande cupola della tradizione italiana. Abbondanza di marmi, fabbrica di Rainaldo, paramento
bicromo, qualificato da paraste e scansione di arcate cieche. Motivo a rombi e losanghe intarsiate con opus
sectile di vario tipo. Il romanico toscano è dato dall’intarsio geometrico dei marmi esterni, pulpiti ecc. tutto
si armonizza, sono due progetti che si succedono ben distinti. In facciata c’è una ricchezza di ornato,
intarsio marmoreo che descrive dei rabeschi con fantasie. Si vede bene lo stacco delle 4 arcate cieche che
corrispondono all’aggiunta di Rainaldo. Buscheto muore all’inizio del XII secolo. Nella zona dell’abside si
intravvedono gli elementi di spolio, i conci marmorei sono cavati dai monumenti romani, che vengono
capovolti. Anche il sarcofago strigilato per celebrare Buscheto è di spolio, si commemora il maestro in
maniera altisonante. Edificio “niveo de marmore” che viene celebrato. Per Rainaldo l’iscrizione è meno
aulica, gusto di arricchimento dei dettagli. Rainaldo capomastro gestisce la lavorazione dei marmi, i fusti di
colonna sono lavorati con tralci acantini schiacciati, leone con altissima stilizzazione, astratta e molto
smagliante di fantasia. Intarsi con mastice, animali fantastici. Epiteti di virtù per lui, è detto capo della
gestione contabile amministrativa ed era lui stesso maestro dell’arte, non dava solo ordini.
Pianta del Duomo di Pisa: 5 navate, transetto a 3 navate, che diventerà una norma in nord Europa, in Italia
fu un unicum. Abside solo al fondo, porta di San Ranieri, si arriva dal centro della città era il Patrono di Pisa.
Scansione di bifore nel matroneo, rispetto a Modena e Bari ci sono le colonne, non ci sono capriate.
Incendio che bruciò la capriata nel ‘500. Dell’antica cattedrale resta nel Museo un crocifisso, che in realtà è
un deposto, con braccia snodabili, c’è l’impronta di una mano sul corpo di cristo, era di Giuseppe
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d’Erimatea, indica che era proprio tale tipo di opera. Si pensa che sia uno scultore della Borgogna. Filiforme,
pieghe sul vestito, vivacità internazionale di Pisa, porto proiettato verso l’oriente del Mediterraneo e il
resto dell’Europa. È il capostipite dei gruppi scultori della Depositio in Toscana. Un altro oggetto diverso,
che dà tono cosmopolita a Pisa, è un oggetto islamico, il Grifo che stava nel vertice dell’abside. In bronzo
fuso e poi cesellato e ageminato. In questo caso si dice che siano delle prede belliche più che importazioni.
Cesellatura che prevede delle scritte islamiche.
Le porte bronzee sono verso la fase finale del Romanico, negli stessi anni in cui si lavora a Monreale,
Bonanno Pisano specializzato del bronzo, crea delle formelle organizzate dal basso verso l’alto, storie del
Nuovo Testamento, in vertice c’è l’Ascensione di Cristo e Gloria della Vergine. Colonne tortili, elementi fusi
a parte e poi fatti aderire, è un bassorilievo. Raffigurazione che sembra elementare ma è piena di
sottigliezze, ci sono delle irregolarità che hanno senso. Rimpicciolisce le figure nella grotta per la Natività
per rendere protagonisti i pastori annunciati dagli Angeli. Animali con mangiatoria, fortuna apocrifa. San
Giuseppe pensoso, le pieghe dei vestiti avviluppano i corpi aggettanti. Alla sua destra c’è la formella dei
Magi, salire faticosamente un’erta, il primo ha uno svolazzo che schiocca in aria. In basso a sinistra ci sono
le storie del peccato originale in bassissimo rilievo. Horror vacui, ma si gioca tra pieni e vuoti per
evidenziare i gesti. Epigrafe, scritte, Fuga in Egitto, il bambino è stretto dalla Madonna, le pieghe
assecondano i corpi, San Giuseppe intercede con una bisaccia. La palma si flette leggermente per dare i
datteri a Cristo.
BATTISTERO DI SAN GIOVANNI A FIRENZE.
Tempio di San Giovanni Battista, Patrono di Firenze. In qualche modo il battistero ha la funzione di chiesa
del Patrono, diventa ancor più di Santa Reparata edificio di identità civica dei fiorentini. È del 1128, si
sostiene fosse in origine un tempio romano di Marte, questo mito aveva un fondamento nel classicismo,
degli scavi dicono che sotto ci fossero però delle domus. La lanterna fu aggiunta nel 1150, la scarsella,
parallelepipedo a occidente, fu aggiunto nel 1202. Dentro ha un grandioso volto, fuori è costruita in 3
ordini, quasi come gli archi romani trionfali. Ogni lato dell’ottagono è scandito da 3 archi, le finestre sono
quasi classiche, paraste scanalate che alternano timpani e lunette. Classicismo programmatico. Intarsio
bicromo di marmi bianchi apuani e verdi di Prato. Gusto per geometrie essenziali tipiche del romanico
fiorentino. 6 pennacchi con liste che si iscrivono l’una nell’altra. Finestre con giro di trabeazione all’antica.
Le proporzioni non sono classiche, uso di serpentino di Prato. Elementi iscritti l’uno nell’altro. L’attico è
tripartito in modo scandito da paraste, capitelli e specchiature. Dettaglio di coesistenza di elementi classici
e pura arte medievale. Dentro si evoca il Pantheon di Roma come modello, per il grande volto ottagonale,
elementi puntuali con scarsella e potente trabeazione del primo registro, il secondo è una sorta di loggia. Il
primo registro è trabeato e scandito in tripartizioni come l’esterno, similare all’interno del Pantheon avente
trifore trabeate che svuotano il poderoso spessore della muratura. Pavimento sectile ma diverso da quello
di Roma, geometrie minute e raffigurazioni di animali affrontati, lavori. Grande ruota dei segni zodiacali,
rabesco molto minuto.
SAN MINIATO AL MONTE
Edificio complesso, molti restauri, edificio che non è stato costruito tutto di colpo, la facciata è l’ultima
cosa compiuta, intarsi geometrici di tipo allegorico, animali affrontati, opus bicromo. Organizzazione con 5
arcate allo stesso livello che scandiscono i 3 fornici. Geometrie molto regolari e simmetriche. Singolare la
parte alta con 4 paraste, edicola che ricorda il classicismo di quelle di San Giovanni, omaggio all’opus
reticulatum romano in alto. All’interno vediamo che è fortemente scandito dall’alternanza dei sostegni, due
colonne e pilastro polistilo (a fascio), campate diverse dal presbiterio rialzato, comune molto al Nord Italia.
Come Pisa non era voltato, è coperto a capriata. Grandiosi arconi trasversi, pulpito e recinzione ben
conservati. Il pulpito è dietro, in corrispondenza di un vero e proprio setto. Recinzione che è prima del
1176. Dietro c’è il coro dei monaci, i laici possono salire fino a sopra il parapetto, il pulpito è collegato alla
divisione, è a cavallo con colonne che vengono in fuori, c’era la scala di accesso. Ricchezza dei decori
geometrici traforati. Pulpito sobrio di decorazioni, è tutto geometrico salvo il lettorino con la figura di

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Matteo, sotto il Leone di San Marco e l’aquila di Giovanni che fa da leggio, manca il bove. Pulpito di
Mugello, decorazioni di oggetti sacri, lumiere, cantaro, rappresentati con geometrie.
Pulpito a Capannori, stessa data di completamento di quello di Guglielmo, ma è diverso, motivi ad rotas, a
cerchi, connotanti delle stoffe islamiche e bizantine, avvitate da animali anche fantastici. Lettorino tipico
pisano, angelo vivente di Matteo e stirati sui lati Bove e Leone. Pulpito di Guglielmo: scultore molto
grande, è il maestro di una generazione che lavora in tutta Toscana, dà l’imprinting, narrazione su due fregi.
Aveva due lettorini, uno per epistole e uno per vangelo. Ambiguità che non c’è, narrazione che si svolge su
due registri, intermessa, rimontato in maniera non giusta, blocchi di pietra unica. Collegamenti giusti,
bagno del bambino, pie donne al sepolcro, angelo inclinato che incensa il sepolcro vuoti, nel piano inferiore
soldati addormentati. Altorilievo aggettante, panneggiamenti a pieghe iterate, linee ad onde angolose,
spezzettate, ritmo che dà idea fasciante, bozzolo molto essenziale, imita i sarcofagi antichi e li stilizza in
cordonature essenziali. Gesti di grande efficacia, soldati ingigantiti.
A Pistoia nel Duomo vediamo nel pergamo di Guglielmo le bende dei vestiti diversi, sembrano bende
mortuarie sviluppate. Figure che interagiscono con i gesti più che con il corpo. Fondale con roselline e
mastice.
PORTALI DI LUCCA E PISTOIA
A Lucca si nota una dialettica con Pisa. Vede però un gusto dell’intaglio più pittoresco, effetti di traforo
decorativo, fogliami, fantasie estrose. Il San Michele mostra nel portale un architrave alto, inizialmente per
tralci e fantasie, poi dopo Guglielmo prende piede la narrazione. Intarsi di marmi nel rosoncino impreziosito
come oreficeria smaltata. Leoni stilofori proposti in alto, all’imposta dell’arco, come in Puglia, analogie di
livello portuale. Si scoprono in ogni angolo facciate romaniche in Lucca, incastonando animali all’imposta.
Architrave con gusto di profusione decorativa, intaglio graduato, girali carnosi, turgidi e avvitati da testine
mostruose. Sviluppo in altezza, trabeazione ulteriore.
Pistoia, portale di Sant’Andrea, architrave molto alto, 3 fornici. Firmato da Gruamonte e Adeodato. Pieghe
e fondo lavorato a rote. Svolgersi nell’architrave di una narrazione, protagonista è il viaggio dei Magi che
vanno da Erode. Culto di San Giacomo a Pistoia, chiesa nella chiesa. Si dà rilievo al tema del viaggio dei Magi
per i pellegrinaggi verso Santiago da Compostella, da dove venne un osso di San Iacopo stesso.
A Lucca abbiamo architravi con qualità narrativa diversa, più plastica e scandita contro il fondo liscio.
Biduino è lo scultore, che si firma sulla tazza del bagno di San Nicola da Bari. Miracolo di lui appena nato
che già si tiene in piedi. Valore ieratico di lui al centro con le braccia in alto. Sono curiose le ali, figure che si
affacciano da torrette. Realismo aneddotico, figure che gesticolano. Altorilievo aggettante e turgido, il
panneggio inizia ad aderire. Modo di marcare gli occhi per dare espressioni.
San Frediano a Lucca, chiesa grandiosa. Vediamo il fonte battesimale, è particolarmente grandioso, acqua
che scaturisce dal deserto, elevazione dal mondo della legge a quello della grazia. Scena delle tavole della
legge, catino ceramico da cui fuoriesce Dio. Narrazione continua. I battisteri diventeranno poligonali.
Stile geometrico dei codici. Roma, Bibbia del Pantheon, decorazioni geometrizzanti. Si recuperano intrecci
comuni in ambito ottoniano e carolingio. Specchiature contro le quali si staglia il carro.
A Lucca il San Martino è uno dei più prestigiosi, edificio che era a 5 navate e più antico di Pisa, fondato da
Anselmo, lombardo, verso il 1040. Diventerà papa. Viene ricostruita tra XII e XIII secolo, l’interno il cantiere
continua fino alla fine del ‘300. La parte romanica si vede in facciata. La parte bassa è la più antica,
esonartece con 3 grandi arcate a pieno centro, una è più piccola, perché il campanile era precedente. Da
quel lato quindi l’arco è sacrificato, il Volto Santo di Lucca è un crocifisso ligneo archetipo (secondo la
leggenda fatto dal divino) scolpito da Nicodemo arrivato miracolosamente a Lucca, siamo convinti che sia
una scultura romanica spagnola, si sviluppa il culto. Viene eretto un tabernacolo nella navata sinistra. È la
navata della croce, ecco perché è più grande quella di sinistra, c’era già il culto della croce all’interno.
All’inizio del XII si prosegue con gli ordini superiori, Guidetto si raffigura nella colonna addossata al
campanile. Realizza le colonne una diversa dall’altra, motivi ad arcate, spirali, a cerchi… intarsia motivi
molto fantasiosi. Il terzo momento è la decorazione interna del nartece. I portali interni non sono della

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stessa data, le lunette del portale maggiore e di destra sono del 1233. La lunetta del portale della navata
della croce è di Nicola Pisano. Facciata complessa, loggette sovrapposte che nasce con la facciata di
Rainaldo a Pisa. Ghiere, pilastri polistili. Si intravedono le cornici, tralci ibridi che da vegetali diventano
arpie, animali in lotta. Marmi rosa, verdi, storie di San Martino e mesi dell’anno tra le porte. Portali con
raffigurazione di Ariani che vengono minacciosi, Regolo ha un codice in mano. Nicola Pisano contrasta l’idea
occidentale paratattica e geometrizzata di Bigarelli. Dà spazio al vuoto, Regolo asseconda la lunetta, il
carnefice gli taglia la testa. Non è naturalistico e complesso come Nicola Pisano. Storie di San Martino e
mestieri dei mesi, gli ornati hanno motivi ricchi, con diverse tecniche. Il marmo delle Apuane gioca con
intarsi cromatici. Per fare il palliotto della scena con San Martino che celebra, vediamo che è sferico con
mastice blu e marmo rosso della croce. I mesi hanno delle note di maggior realismo; il febbraio ha una
figura che pesca. Benedetto Antelami è uno degli scultori più importante per la transizione da romanico a
protogotico, crea delle figure di forte espressività che sono quasi statue che si staccano dal fondo. Bigarelli
dà più realismo nei mesi. Per l’ascensione di Cristo si nota proprio un bizantinismo stilizzato e sfrenato.
San Martino e il povero di Bigarelli, statua addossata al fondo, naturalezza protogotica che si diffonde, c’è
un tentativo di interagire con il povero, anche se rimane una figura un po’ rigida. Delicato realismo. Scuola
di Bigarelli a Lucca. Gli ornati a San Pier Somaldi hanno foglie un po’ stilizzate, narrazione più plastica e
sciolta. Troviamo Bigarelli al vertice della facciata di Modena con una maiestas, protiro al Duomo di Trento.
Altra opera è il pulpito di San Bartolomeo in Pantano, firmato 1250.
BATTISTERO DI PISA
Fondato alla metà del XII secolo da Guido Bigarelli, si costruisce solo un primo tamburo, rimane fermo a
quel livello. Si elevano poderose colonne, matroneo sopra. Ornato variato, girali, sostegni geometrici, al
limite sbuca qualche testina. Fogliame astratto.
Del Battistero bisogna sottolineare i capitelli, sono bizantini, profili a zig zag del velo intorno al capo,
sempre di Bigarelli, scene di lotta in cui vive lo spirito del romanico. Siamo nel ‘200, classicismo più
complesso ma ancora idea del contrasto di forze. Raffinato e complesso sono le semicolonne del portale
con tralci acantini a girali, si animano con figurette che fuoriescono da corolle. Figure di ninfe che suonano
articordi. Pisano prenderà questa idea in maniera dinamica. Sulle fiancate abbiamo dei mesi che sembrano
quasi placche di avori bizantini. Piano spiovente, storie del Battista, sopra c’è una visione escatologica,
angeli alternati ad altri 4 Apostoli, teoria bizantineggiante nella paratassi. Vuole bizantineggiare, nelle
storie del Battista sotto gli occhioni sono sgranati, le figure hanno una stilizzazione più vivace. Danza di
Salomè, figure irrigidite, con genietti del male che vanno ad ispirare Salomè per chiedere a Erode la testa
del Battista. Ha un influsso enorme in Toscana nella prima metà del secolo.
Ultimo esempio di sopravvivenza del romanico è in Garfagnana, San Cristoforo con maestranza
Bigarelliana, siamo negli anni 50 del ‘200. Contrasto e dialettica tra centro e periferia. A Pisa si sperimenta
già la novità di Nicola Pisano.
PIEVE
Ad Arezzo abbiamo la Pieve di Santa Maria, singolare per la facciata rettilinea che doveva essere
completata in altro modo. Alternando galleria di arcate e due trabeate. Non sono marmi pregiati di Lucca,
Pisa e Firenze. Rimane interrotta e completata nella prima metà del ‘200 nella decorazione del fornice
centrale. È molto profondo, all’interno c’è un ciclo dei mesi. L’abside ha non solo arcate cieche ma galleria
trabeata, che è un tema più classico. Il fornice centrale ha nell’intradosso dell’arco due registri di altorilievi
che allineano i lavori dei mesi raffigurati. Vistosa policromia. La raffigurazione si affida al colore, deve
essere realistico. Uccisione del maiale a dicembre.
Romanico toscano vede un influsso bizantino che si vede molto nelle croci dipinte, genere che nasce tra la
Toscana e l’Umbria. In età ottoniana abbiamo a Colonia la croce lignea di Gero, opere tridimensionali come
grandi oreficerie rivestite di lamine di metallo, invece la croce dipinta è qualcosa dell’Italia centrale. Si
rivolgono in maniera privilegiata ai laici. Surroga l’altare proponendo il sacrificio di Cristo. Croce di Rosano,
si impone con il motivo di Cristo Trionfante, occhi aperti e sgranati, immagine vittoriosa. Nei tabelloni ci

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sono narrazioni di un ciclo della Passione e della Morte di Cristo. Dolenti, Vergine e pie donne sotto il
braccio. Croce che sta a Pisa, epicentro di questa produzione. Croce di Sarzana, di Guglielmo, proporzioni
con figure macrocefale, mani minute. Bianco che disegna la canna nasale in maniera non naturalistica. È
lucchese Guglielmo. San Michele in Forio, Cristo bassorilievo in legno poi dipinto.

MODULO 2

1. GENESI E SVILUPPO DEL GOTICO EUROPEO NEL


DUECENTO
Idea collegata più al tardo gotico, arte elegante, decorativa, astratta. Luogo comune trito, è una categoria
che nasce dispregiativa, maniera dei tedeschi, nordica, superata dal Rinascimento. Movimento grandioso
che parte da architettura ed oreficeria, che si sviluppa massimamente nel ‘300, con le civiltà comunali e
mercantili nelle loro espressioni più piene. Riscoperta del mondo della vita e della natura. Ambito delle
coorti lo svilupperanno. La realtà è magmatica e complessa, ha delle fasi di sviluppo e transizione tra
romanico e gotico. I centri propulsori sono l’Ille de France, la vallata del Reno in Germania. A livello
architettonico analizzeremo l’abbazia dove i reali di Francia si fanno seppellire, San Dionigi. Lo sviluppo
dell’ordine dei Cistercensi, anni ’20 del XII secolo, diventeranno potentissimi e svilupperanno abbazie
autosufficienti. Abbazie presso i corsi di acqua, includono una serie di opifici. È in contrapposizione con i
Cluniacensi per lo sfarzo e la liturgia solenne. Propongono idea più essenziale e asciutta, cerca di riprodurre
le proporzioni e le geometrie della bellezza divina. Intellettualismo forte dei cistercensi, nel XII secolo
nascono le prime scuole di S. Scolastica proprio in Francia. In Borgogna abbiamo molte abbazie, ma ne
abbiamo anche in Inghilterra e in Italia. Locus amoenus, schemi regolari dell’abbazia. Siamo fuori dalla
città, la chiesa è divisa in due, coro dei monaci e coro dei conversi e novizi. I conversi hanno un ruolo minore
ma hanno posizioni importanti economiche e diplomatiche. Accedere ai dormitori per la notte, sala
capitolare comune a tutti, in asse con il transetto sul lato orientale del chiostro. Refettori dei novizi e
conversi, quello dei monaci. In Borgogna un esempio integro è Fontenay. La sezione è un arco ogivale,
pilastro polistilo, capitelli con foglie lisce. Scansione a pilastri omogenei, non alternati, crea un ritmo fino al
fondo della chiesa, da dove proviene la luce. Altezza doppio della base, rapporti matematici studiati, la luce
si cura molto. La parete rettilinea dell’abside è traforata, la chiesa deve essere traforata dalla luce
dell’oriente. Architetture nude, essenziali ma non povere. Geometria che deve riflettere nel microcosmo la
perfezione divina. Natura è in qualche modo il riflesso del disegno divino. Ci sono già nella metà del XII
secolo. Ricostruzione dell’abbazia di Saint Denis, consacrata l’11 giugno del 1144. I reali si fanno incoronare
a Reims e seppellire a Saint Denis. Suger è un megalomane, personaggio ingombrante che canalizza i soldi
per fare questa chiesa, legittima il suo operato scrivendo diversi testi dove giustifica ciò, la magnificenza
della chiesa non è per sé ma è per celebrare in maniera degna la divinità e le funzioni. Costruisce una nuova
facciata e un nuovo presbiterio, in mezzo rimane la chiesa romanica precedente. Arco ogivale è tipico di
quello maturo. Fase embrionale di tardo romanico o proto gotico nel ‘200. Poi abbiamo il gotico “radiante”
maturo, che svuota i muri e slancia le proporzioni. Suger dunque fa il deambulatorio, sistema complesso
che attraverso i contrafforti (che diventeranno gli archi rampanti), svuota la parete e riempie di luce.
Arcate, matroneo, cleristorio, presbiterio accessibile con una scala e cripta. Suger si compiace della luce che
invade dal fondo, spiegando il modo in cui lo costruisce, per far sì che la luce trasfiguri la materia. Si dà
avvio ad un percorso che per gradi porterà a questi esiti. Si sviluppa in verticale in maniera fortissima,
elementi di pilastri a fascio senza interruzione di modanature, fasci di forze che innervano i sostegni e
proseguono nei costoloni, irraggiando le volte. Verticalità luogo comune, già nel romanico abbiamo edifici
in Francia e in Germania molto slanciati, ma c’è una costruzione diversa con contrafforti e archi rampanti
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per svuotare il muro. Il matroneo si contrae e diventa una galleria praticabile. Il claristorio delle finestre
gioca con le vetrate istoriate di molti colori. Uno degli edifici più emblematici è la Saint Chapelle a Parigi,
fondata da Luigi IX nel 1243, davanti a Notre Dame. Il re era molto religioso, parte anche per una crociata e
si procaccia di tante reliquie, che vengono custodite qui. Procura la corona di spine, la costruisce in più
livelli, chiesa inferiore romanica, poco luminosa e sopra questa slanciatissima, i sostegni sono molto
assottigliati che lasciano il campo allo schema di vetrate. Al fondo c’è un ciborio su due piani, al piano
superiore c’era il grande scrigno con le reliquie, destinato all’elite. Capitello della Saint Chapelle e capitello
cistercense a Crochet (uncino). Foglie lisce che hanno una terminazione carnosa, uncinata. Esito maturo del
1240, curiosità naturalistiche, negli stipiti dei portali e nei capitelli specie in Francia si specifica questo
intaglio di soggetti botanici. Uccellini, grappoli, individuazione del mondo della natura. Siamo lontani dal
corinzio e dal composito. Acquista naturalezza, volume, verità che si svincola dal decoro architettonico,
sboccia. Ad Amiens nel 1240 vediamo capitelli di pilastri polistili con continui di tralci, vite con crochet che
sotto sotto riemerge, terminazione carnosa, centauro, mostri.
A Saint Denis vediamo che l’oreficeria continua ad avere un grande ruolo. Soprattutto per gli orafi renani e
mosani. Surger raccoglie un tesoro, oggetti di memorie sante, di valore, collezionati e incastonati in
montaggi. Vaso arabo che diventa un reliquiario con montatura in filigrana, cloisonné, iscrizioni che
raccontano 4 passaggi di proprietà del vaso, Eleonora d’Aquitania lo dà a Luigi VII, che poi arriva a
Guglielmo IX che lo ha dato a Suger, che lo dona ai Santi. Celebrare Dio e se stessi. Altro vaso porfiretico
che diventa aquila.
Problema degli spazi architettonici e problema dello spazio a Saint Denis, gerarchizzato su tre livelli in
maniera teatrale. In primo luogo abbiamo il coro dei monaci, con altare del Mattutino o SS. Trinità, secondo
con antependium di Carlo il Calvo, poi salendo in posizione sopraelevata altare dei Martiri. Deambulatorio
radiale che fa da corona a quest’ultimo. L’antependium diventa una pala d’altare.
Saint Chapelle, la chiesa doveva creare scenograficamente un innalzamento via via verso la luce. Grande
Chasse, reliquiari con corona di spine, ciborio a forma di chiesa con tempietto a croce.
Duomo di Coblenza, orafi migliori tra Reno e Mosa, lamina di Stavelot con la Pentecoste. È una delle più
antiche pale d’altare. Argento sbalzato e dorato, nimbi con champlevé, vivacità gestuale delle figure che
rientrano ancora nel filone romanico. Orafo giovane degli anni ’70- ’90, Nicolas de Verdun, champlevé con
Mosé rientra in Egitto. Figure riempite a mastice o smalto niellato, placchette con disegno di pieghe, capelli,
fronde di alberi, ghiande… si va oltre l’astrazione bizantina e si va verso la curiosità del naturale. Forza fisica
delle figure, Mosè cavalca l’asino con vestito avente piegoline strettissime, non è razionale ma tentativo di
creare delle figure che si torcono, basi del linguaggio gotico. Stile 1200 per modo di infittire i panneggi di
piegoline strettissime per avvolgere il corpo, poi le rastremerà partendo da Giotto.
Europa del Nord, Ille de France, sarcofagi antichi, scultura classica, fremito e movimento vibrante, continuo,
idea di vivacità. Altre placchette incredibili per la data, 1181, volontà di catturare la corporeità delle figure,
emergono le natiche sotto i panneggi, provano ad annodarsi i panneggi, carro di Elia che ascende, smalto
champlevé che dà righe colorate, getta un drappo eliseo al suo successore. Mosè riceve le tavole sul monte
Sinai.
Smalti a sbalzo, iniziano ad essere più di altorilievi, diventa quasi statua, si conquista la scultura a
tuttotondo. Non è ancora scultura “a giorno” ma diventa complessa. Sviluppo di civiltà figurativa nuova,
sguardo verso il mondo circostante, ragionare secondo prototipi, modelli e schemi, ritrarre la natura,
conquista progressiva e complessa. Miniatura di Chronica maiora e Villard de Honnecourt, Album con
taccuino pieno di disegni. È un libro di modelli, oggetti di pregio collezionati per ammirare l’artista per le
sue prodigiose capacità di ritrarre. Ritrae scene particolari, con difficoltà si dà alla terza dimensione, ma si
esprime in maniera complessa. Ritrae un leone e precisa che lo è andato proprio a vedere, riavvicinamento
al fenomenico. Mette vicino un porcospino per dare una visione di grandezza capibile ai più.
Orgoglio ed Umiltà, volto in profilo, ¾, corrispettivo del 1200, traduzione della scultura nuova. Un’altra
pagina dimostra una coppia addobbata per andare a caccia, falcone, guanto. Passione venatoria che

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diventa uno status symbol dell’aristocrazia. De arte venandi cum avibus, trattato sulla cacciagione. Sono
descritti gli uccelli e i vari gesti. In ambito federiciano vediamo delle raffigurazioni aderenti alla moda e al
costume. Catalogo di uccelli che si possono cacciare, raffigura lo stagno, disegnato in maniera stilizzata con
onde concentriche. In altra pagina si vede lo svago di un cacciatore che fa un bagno mentre il falco
ghermisce un’anatra. Astrazione forte con le onde che danno effetto concentrico. Tornando alla scultura
vediamo il passaggio tra XII e XIII secolo nell’Ille de France con la cattedrale di Chartes, famosa scuola di
studi, cattedrale con facciata tardo romanica, viene ricostruita dopo un incendio. Triplice fornice, quella
centrale è detta Porte Royal, porte ogivali, è proto gotico, porta strombata, volumi tubolari accarezzati
dalla luce che confluiscono nelle pieghe, che sono ancora ritmate come nel romanico. La cute dei capelli e
delle barbe sono aderenti ma iniziano ad ondularsi. Strombature dei portali che hanno alternanza di
colonne e di statue-colonne, che idealmente sono schiacciate in un cilindro e addossate alla colonna, con
pieghe scanalate come una colonna stessa. Figure di antico testamento, Salomone, Davide, Santi,
Apostoli, Adamo ed Eva. Chartres, transetti con facciate a 3 fornici, chiese a corpo longitudinale, transetto
meridionale e settentrionale, portale sinistro, ci si affranca da scanalature verticali, le sculture dialogano tra
di loro e il panneggio si allarga, pose non rigide ma si animano, volti e ciocche si fanno realiste. Retaggio del
1200 nelle piegoline fittissime della Visitazione, nell’Annunciazione il corpo si muove con più agio ed è
accompagnato dal panneggio. Epiteto gotico, panneggi sovrabbondanti che girano nei corpi, ma in origine
non nega il corpo, lo esalta. Semplificazione delle pieghe e nell’angelo principio di arricchimento. Figura
monumentale, piedi poggiano in modo saldo, piedistallo con archetti, capitelli con decorazioni vegetali che
danno continuità al fondo. A Bordeaux nella Cattedrale le figure si scambiano gesti, a Saint Seurin ci sono
portali con 3 grandi archi ogivali, figure nelle edicole che includono le statue come se fossero delle nicchie.
Lunette degli architravi che ospitano narrazioni, sempre a tema cristologico al centro, poi uno per la
Vergine e un altro per il santo titolato.
Artisti si allontanano dal prototipo bizantino della Chimesis, ma angeli che vengono a prendere il corpo,
vittoria della vita sulla morte, corpo quasi si anima nei panneggi lineari a pieghe iterate, sventagliamenti
sui piedi a retaggio bizantino. Filoni più classicisti soprattutto a Cartres, emergere del turgore dei volumi
che scivolano ma sentono emergere i corpi sottostanti, varietà dei gesti. Espressione di affetti, emozioni,
corporeità non più estremizzata ma con proporzioni naturali che sviluppa via via una vivacità crescente,
come in ambito tedesco a Strasburgo. Corpo della Vergine che quasi sussulta con drappo che diventa quasi
un velo, traspare il corpo affusolato sotto, gli apostoli la raccolgono, simbologia di anima che va in cielo,
assuntio animae, poi si sviluppa assuntio corporis. Grandi cantieri di qualità altissima, in Baviera con
Bamberg abbiamo i Profeti Giona e Osea, che ancora hanno un linguaggio romanico nella sproporzione, ma
panneggio realista. A Strasburgo vediamo la Sinagoga Bendata, la chiesa è una donna dal capo eretto, la
Sinagoga che indica gli ebrei, sono bendati per non aver riconosciuto Cristo come figlio di Dio. Donna
sconfitta con lo stendardo spezzato. È nella cattedrale di Strasburgo, pieghe che a tratti si rastremano
specie nelle braccia e sul bulbo oculare, il velo preme sulla capigliatura, volume che morbidamente cede
alla tensione. A Bamberg la Sinagoga è slanciata, veste leggerissima che fa emergere parti del corpo,
gonfiore e capigliatura accentuati. Sempre lì vediamo la Visitazione di Sant’Elisabetta, effetto a canne
d’organo, cascate che creano canule, tipico del gotico maturo, volto un po’ maschile che imita busti
Repubblicani. Anche a Reims c’è ciò.
A Bamberg è sepolto Enrico II il Santo, su un pilastro c’è un cavaliere che rende omaggio a Federico II, che
deve dare la forza del suo potere alla rete feudale in Germania. Potrebbe anche essere omaggio ad Enrico il
Santo; ci soffermiamo sulla scioltezza in cui si inizia a staccare la statua dal fondo, proferisce, ha le labbra
schiuse, occhi infossati in occhiaie morbide, psicologia inquieta e fiera. Enrico II idealizzato, scultore simile.
A Bamberga abbiamo nel portale del fianco meridionale il portale del Giudizio finale, Cristo giudice con
eletti, come bambini paffuti che ridono, resa del riso ancora esagerata, diventa smorfia, sono le prime volte
che si tenta di raffigurare questa emozione, invece la disperazione e il pianto è negli occhi dei dannati,
trascinati da un demonio. Pianto del volto, ciuffi gonfi delle capigliature, inanellate. Sorriso si trova anche a

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Reims, dettaglio nell’angelo dell’Annunciazione, angelo del Bel Riso, palpebre carnose, sorride. Diventa
attributo aristocratico, statua equestre. Elemento di sicurezza di sé che si possono permettere solo i nobili
del tempo. Naumburg è un altro grande cantiere, dove si conserva il pontile divisorio, nel presbiterio sugli
angoli ci sono statue degli antenati dei fondatori, origine di Naumburg, Contessa Reglindis, mantelletta
tenuta vezzosamente con corda, libere sul petto. C’è il principio della glimpa che fascia il mento. Famosa è
la coppia di Ekkehart e Uta, policromia che viene dorata, dipinta, tableau vivent, terza dimensione che crea
un teatro vivo. Volumi non solo stilizzati, con rastremazione dei panneggi, avambraccio traspare sotto,
lembo sollevato, gesto canonico nel ‘300 italiano, malinconia e psicologia. Sembrano quasi ritratti.
Tradimento di Giuda a Naumburg, in assoluto sculture più belle del ‘200, di genere meno raffinato, si
introduce un realismo crudo che caratterizzerà il filone di Durer, gesti rudi, furiosi panneggi incartapecoriti,
altorilievo che si agita. Pilato che se ne lava le mani, scalpo aperto, figura inebetita di servo che gli versa
l’acqua. Decorano il divisorio, aperto per tramezzi della facciata del coro. Pontili francesi, distrutti dalla
rivoluzione francese, detto jubé, coro dietro, scale per salire al livello superiori, sopra narrazione con al
centro la crocifissione nel fregio alto del tramezzo. Templon, architravi istoriali, architrave della porta di
accesso del Monastero di…
Zackernstil, influsso bizantino, esempio di sviluppo tedesco, corrispettivo della scultura contemporanea ma
ha alcuni aspetti del bizantinismo, non conosce la linea fluente e morbida. Opere straordinarie con
Evangelista nel suo studiolo, animazione dei gesti.
Tavola della Trinità, panneggi assurdi come metallici, vestaglia settentrionale con esasperazione folle. In
Francia nel secondo ‘200 abbiamo solo finte modanature, la miniatura luigiana e Maitre Honoré nel 1280
parallelo a Cimabue, eleganza dei panneggi. Esempio dell’altare di Westmister, medaglioni a stella, pietre
preziose, figure slanciate e sinuose. Gotico pieno e maturo, inarcamento della figura elegante, manierate
nell’eleganza. Altare che ci permette di tornare in Italia, pittori simili a ciò vanno a lavorare ad Assisi nella
basilica di San Francesco, archetipo del gotico italiano. Movimento francescano ha un sapore
internazionale, arrivano da tutta Europa, un anonimo pittore oltremontano arriva, proprio perché le pareti
vengono svuotate, non abbiamo lo spazio per le pitture, che vanno solo nelle cornici e nei finti elementi
architettonici. Questo elemento di debolezza in Italia centrale diventa una provocazione straordinaria, se in
Nord si facevano i finti conci collegati all’architettura reale, la finta architettura viene portata ad Assisi.
Triforio che corre nell’abside e nella parte superiore, archi trilobati, cuspidi slanciate alternate a pinnacoli,
si rende ancora più francese la basilica di San Francesco. Finte architetture innestate, provocazione che
scatterà in Cimabue e Giotto per dare illusionismo strutturale. Colori sgargianti e vivaci, rose come rilievo,
stampini dorati. Inizia dall’alto e poi lascia il testimone a Cimabue. Transetto destro, primo radicale
esempio di gotico, con costoloni che si irradiano, proporzioni slanciate. Fascioni decoratissimi con
decorazioni a girali, geometrie, piastrelline e molta varietà. Costolone con volta a pianta centrale. Tralci
acantini, marmi del costolone. È stato a Roma, vuole fare opus romano marmoreo. Lessico romano che
Cimabue innesta accanto. Anche le colonne sono dipinte. Vetrate, le prime istoriate dell’arte italiana. In
Italia vengono un secolo dopo. Poco dopo la consacrazione di San Francesco nel 1254, Bonaventura da
Bagnoregio diventa generale, San Bonaventura diventa teologo dei Francescani, il loro exemplum è
esempio di vita, Bonaventura dà la struttura all’ordine, vuole andare oltre un edificio aniconico come quello
cistercense. Nicolò IV, primo papa francescano, decide di trasformare la basilica superiore in uno scrigno
decoratissimo. Pianta di San Francesco di Assisi, pianta unica, costruita su un’altra chiesa, colle dell’inferno
diventato poi colle del Paradiso, scelta programmatica, riprende San Pietro a Roma. Prime narrazioni nella
basilica inferiore e nelle vetrate. Modello delle bibbie miniate francesi, delle specie di fumettoni illustrati,
mettendo scene di antico e nuovo Testamento in maniera diacronica. Da un lato Mosè che vede Dio,
dall’altro Cristo che si rivela ai tre Apostoli nella trasfigurazione. Giona sputato dal pesce, Cristo Risorto.
Contrafforti potenti dall’esterno, muro svuotato dalle bifore, archi rampanti. Basilica di Assisi si protende
verso occidente sul colle, ispirazione tardo romanica con portale gemino, francesizzante, rosone alla fine del
XII secolo, proporzioni molto semplificate e quasi romaniche. In pianta la differenza tra basilica superiore

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ed inferiore. Il campanile c’era contro le regole di Norbona, navata unica, transetto di accesso nella navata
inferiore, 4 campate, basilica di pellegrinaggio. Pseudocripta inferiore, il corpo è nascosto, secretato, il
corpo viene nascosto per non far smentire la storia delle stimmate e per non essere rubato. Più avanti
viene ripreso e fatta una cripta. In quella superiore ci sono liturgie solenni, ciclo di San Francesco di Giotto,
messe in basso, rese visibili da tutti. Cappelle ai lati realizzate alla fine del ‘200, assegnate a grandi
patronati, legati agli Orsini. Ordini regolari mendicanti che convogliano grandi fondi, si concede anche ai
laici di essere seppelliti, dando altari, pagando, decorando. Una è più antica con archi a pieno centro di tipo
romanico, è tutto studiato. In quella inferiore ci dovevano essere delle monofore, confessio monumentale,
altare in fondo dove è secretato il corpo, piloni enormi per sorreggere lo scarico della basilica superiore che
si slancia. Muro in basso spessissimo che viene alleggerito. Zoccolo svuotato con la forza della pittura che
crea idealmente un loggiato. I modelli francesi, duomo di Angers, somiglianze intrigante ma non è detto
che venga prima, possono essere modelli comuni. Sequenza ritmica dei pilastri a fascio, ballatoio praticabile.
Facciate di Angers, rosone e portale gemino, somiglianze ma modulo più quadrato di Assisi. Apertura al
gotico nei portali con forte strombatura. Altra chiesa che replica San Francesco, per l’ordine femminile
delle clarisse. Morte di Santa Chiara, navata unica, transetto semplice, zoccolo alto. Produzione in
miniatura della basilica di San Francesco.
Ordini mendicanti grande novità del ‘200, si radicano nella città. Questa è la differenza tra convento e
monastero. I conventi sono dentro le città, clero regolare con vita comune. Realtà che si incarica delle
mura, agli angoli e si distribuiscono le zone, francescani, agostiniani e domenicani. Relativa austerità,
copertura a capriate ed aula unica, come San Francesco a Pisa, forma a croce tau. Si addossano le cappelle
nel lato orientale. Chiese canoniche. Non c’è il tramezzo, chiese granaio, idea di povertà erede cistercense
ma potenziata da Francesco. Vengono poi enormemente arricchito, palcoscenico delle famiglie più ricche.
Sfondare il fondo della chiesa verso la luce, idea cistercense. Rosoni, opuli. Struttura canonica attestata da
una pianta su pergamena che ritrae il San Francesco di Arezzo, fallimentare il concetto di chiesa granaio,
vediamo che era divisa dal tramezzo con recinzione e dentro la zona del coro con altare maggiore, si
gerarchizzava lo spazio. No transetto, solo le cappelle. Canone rettangolare che ha mille eccezioni. Santo a
Padova, Bologna, ordini mendicanti come canale per cui penetra la cultura francese e tedesca. Santa Croce
a Firenze è un’eccezione. È colossale, decorato in maniera inesausta, la terza santa Croce è quella attuale. 3
navate con pilastri ottagonali, 10 cappelle al fondo, diaframma luminoso. Effetto della luce che da oriente
buca le bifore, Cappella della Vergine a sinistra e di San Francesco a destra. Bifora, oculi, rosone sull’arco
trionfale che introduce il presbiterio. Risposta italiana al gotico francese. Quadratura, Santa Maria Novella
è precedente ancora, si lavora negli anni ’70 e ’80 del ‘200. In santa Croce vediamo qualcosa di innaturale,
è caratterizzata da diverse opere, quella gotica è ricchissima. Nel ‘500 fanno piazza pulita della ricchezza,
viene tolto il tramezzo creando uno spazio più arioso. Tramezzi che strutturavano tutte le chiese del tempo,
soprattutto degli ordini mendicanti, distinguere l’ambito laico da quello mendicante. A Santa Croce c’era un
tramezzo che Vasari buttò giù, 9 campate. Santa Maria Novella è un’altra architettura gotica, attribuita ad
Arnolfo di Cambio, ma è un’estensione di Vasari. Fondazione del 1279, è simbolica, già da 20 anni si
cominciava a fare, si inizia dal fondo verso la navata. Regolarità ritmica di pilastri polistili, archi trasversi
ogivali, niente cicli narrativi, pala d’altare.

2. DA ANTELANI ALLA CULTURA FEDERICIANA, A


NICOLA PISANO
Italia. Benedetto Antelani è una figura di cerniera nel 1200 che fa di cerniera verso il gotico, si sviluppa in
Italia Settentrionale, soprattutto a Parma. Da qui diffonde un linguaggio che arriva ad Arezzo anche, ma si
diffonde soprattutto al nord. È uno stile tutto italiano che si avvia al gotico. 1196, prima pietra del battistero
di Parma che lo vede come architetto. Battistero che viene eretto nel primo decennio del ‘200, quelli
romanici sono ottagonali, pianta centrale con 4 absidi, in questo caso l’ottagono è un diedro che si sviluppa
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con grande slancio mascherando un grande volto a sezione ogivale, diviso in 16 spicchi da costoloni sottili
che continuano nelle colonne addossate. Telaio che alleggerisce e svuota le masse, articolando una serie di
esedre, una per lato. Nella struttura architettonica interna si nota anche una doppia galleria architravata e
per finire il volto dipinta da maestranza bizantineggiante. All’esterno ci colpisce che sia chiuso da questo
ottagono slanciato, con 4 loggiati per lato, architravati. Hanno un aspetto classicheggiante. Al vertice
vediamo archi ciechi e guglie aggiunte nel ‘300.
Deposizione di Cristo dalla Croce di Antelami, parapetto del pontile della cattedrale di Parma, negli anni in
cui i Campionesi costruivano quella di Modena. Studia delle geometrie personali, è un’opera giovanile che
poi diventerà un realismo di turgore corporeo. Ha una solennità quasi bizantineggiante con la paratassi di
pie donne dietro la Vergine aventi pieghe iterate, Nicodemo si arrampica sulla scala per togliere il chiodo.
Angeli in alto, uno premia l’Ecclesia, una figura femminile avente uno stendardo inciso nel fondo, un altro
angelo schiaccia la testa della Sinagoga. Crea un brano di realismo improvviso a destra, in contrasto con la
solennità. Narrazione solenne e penetrante nei dettagli. Lavorazione del fondo con riempimento di
mastice, come il niello orafo. Mastice colorato, tecnica diffusa da Venezia, che fa dei girali molto ricchi tutti
intorno. Figure molo aggettanti, non del tutto staccate dal fondo, è in embrione dell’altorilievo dove le
figure quasi sono a tutto tondo. Antelami è interessato a tirar fuori la grandezza fisica, le vesti si increspano,
al fondo ci sono dei profili a zig zag bizantineggianti, ma nelle calzature c’è un realismo tipicamente pagano
che avrà un grandissimo seguito. È arricchita di ornati nelle vesti, epigrafi e descrizioni sul fondo. Delineare
le superfici in maniera astratta, ma più sensibile. Veste di Cristo che scivola con una S che quasi sborda sul
primo piano, avente piegoline iterate.
Facciamo un salto ai rilievi che fa dentro al Battistero, 30 anni dopo questa, il suo linguaggio cambia ma si
sente la volontà di dare ai personaggi un portamento colonnato. Presentazione al Tempio di Cristo di Cristo,
le figure si inscrivono nella lunetta, angelo con turibolo al centro, Simeone prende il Bambino che gli viene
porto dalla Vergine. Panneggio mollemente depresso tra braccia e fianchi, determina scavi accentuati. Idea
molto moderna che porterà fino alla pittura di Giotto, volumi sottostanti le vesti.
Battistero, esterno, lunetta del portale settentrionale della Vergine, policromia che ci fa intendere che le
sculture del tempo erano vivacemente colorate: Adorazione dei Magi, mento robusto, occhioni sgranati,
figure molto ferragnee e ben piantate viste anche in Wiligelmo. Panneggi che però avvolgono e premono
intorno alle braccia. Hanno i doni tenuti sotto al drappo. La posa negli avori gotici francesi è la stessa per i
Magi. Per capire la modernità naturalistica di Antelami, vediamo che anche se non ha i calligrafismi del
gotico, con panneggi ancora di tipo romanico, vediamo i gesti e l’attenzione della natura che prelude al
gotico. Traduce nella corporeità il tentativo della resa degli affetti. Angelo che gli piomba addosso a
Giuseppe dà immediatezza molto forte.
Ci sono molte altre sculture all’esterno, ma l’ultima cosa che esegue è il ciclo dei mesi all’interno. Qualcuno
pensava che stavano sul portale della cattedrale, ma avrebbe avuto dimensioni abnormi. Il luogo era
sicuramente il loggiato superiore interno verso oriente. Sono complementari dei segni dello zodiaco, che
sono murati. Quando non sono murati sono scolpiti insieme al lavoro. Altorilievi che sono quasi statue, lo
scultore scolpisce anche dietro, a giorno. Dicembre ha la roncola, che ha solo un braccio attaccato al fondo.
Conquista della statua a tutto tondo. Antelami scolpisce i lavori proprio nell’attimo dello stesso, è moderno
nel cogliere l’attimo, la roncola ad esempio è proprio nell’atto del tagliare. Nobilita il lavoro dell’uomo,
sacralità tra lavori più pesanti ed umili. Non è troppo analitico nella descrizione i tralci sono stilizzati, ma
nella vendemmia del settembre c’è la cuffia che aderisce ai capelli e si vede l’orecchio che traspare. Occhi
sgranati. Antelami fa scuola per tanti scultori da Vercelli a Ferrara passando per Venezia e Milano. Qui fa un
monumento equestre. Uno dei suoi seguaci maggiori è anonimo e lo chiamiamo “il maestro del lavoro dei
mesi di Ferrara”. Arricchisce di notazioni e dettaglio realistico le scene. Ottobre si arrampica sull’albero di
fichi, è tutto teso, l’albero è naturalistico ed analitico. Il mese di maggio ha il cavaliere a caccia con dei fiori
sulla parte bassa. Lo stesso artista lavora a Forlì nel San Mercuriale. Fa stagliare un’Adorazione dei Magi
nella lunetta del portale, hanno una resa realistica, aneddotica. Nel Sogno di Giuseppe si vedono i re Magi,

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la Vergine non è in asse, la narrazione è più sciolta. Arrotonda le teste in modo più sensibile e delicato. I
gesti vogliono essere più accidentali. Ma il panneggio è aderente e ancora non si apre alla fluenza gotica.
DALL’ARCHITETTURA CISTERCENSE A QUELLA FEDERICIANA
La vicenda si sposta dai cantieri dell’Italia del Nord alla corte iterante di Federico II nel sud Italia. I maestri
venivano dall’ordine cistercense, che si era espanso un po’ ovunque in Italia, che vedeva la formazione degli
architetti dal punto di vista architettonico. Nei castelli Federiciani troviamo capitelli, membrature che
discendono dall’architettura cistercense, il castello è meno ornato, foglie lisce. Il massimo è Castel del
Monte. Nudità decorativa. Qualcosa di un po’ ibrido tra cistercense e gotico radiante, è intercettato nel
Sant’Andrea di Vercelli. Guala Bicchieri la fonda nel 1219. È ibrida, la facciata riprende uno schema
romanico padano con logge e gallerie cieche, archi strombati molto profondamente. È un misto di elementi
di retaggio romanico e gotico. All’interno invece esplode il gotico rayonnant, sorprendente. La struttura
assomiglia all’abazia cistercense, avente la torre nolare, innestata all’incrocio tra la navata e transetto.
Pennacchi a tromba, quadrato verso ottagono che svetta all’esterno nella torre nolare. Sfondamento
luminoso al fondo, rosone che alleggerisce e trafora la parete rettilinea al fondo. Architettura mendicante
che riprende questo schema, soprattutto i francescani. Pilastri polistili, nervature slanciate. Bicromie di
alterizio e pietra da taglio. Lunetta strettamente Antelamica del portale. Fioritura nei dettagli che arrotonda
i volti, stagliare le figure sul fondo liscio per evidenziare i gesti che viene proprio dalla maestranza di
Antelami. Girali da cui fuoriesce un angelo avente corolla con animula di Sant’Andrea che sale in cielo.
Castel del Monte, architettura federiciana figlia dei cistercensi. Federico II muore nel 1250, lasciando
moltissimi cantieri incompiuti. Questo anche non è ultimato, doveva essere ricoperto di marmi. Non è un
castello difensivo ma è una dimora di piacere. Pare che le Puglie fossero molto più boscose di oggi, quindi ci
si andava a caccia. Ottagono con 8 torri ottagonali che si innestano nei vertici. Gioco di geometrie che
propone idea di perfezione, di eternità e di compiutezza. Portale di ingresso ibrido, ogiva gotica essenziale
con edicola avente timpano dai motivi classicheggianti. Paraste classiche esili e slanciate. Agli angoli
vediamo leoni incastrati all’imposta dell’arco come nel romanico pugliese. Marmo mischio che vuole
imitare il porfido. Capitelli a crochet. Dentellature classiche, bifora molto gotica. Crogiuolo di culture molto
diverse, che descrive Federico II. Cura le scienze aristoteliche, la scuola di Salerno che è medica. Arte
federiciana, un episodio del gotico europeo ibridato da influssi orientali e volontà di rifare l’antico. Si
confronta costantemente con Roma e vuole ribadire che è in pieno accordo con gli antichi. Colonnine di
marmi greci, incastonati in intasi. Federico II “stupor mundi” ha un sacco di leggende intorno alla sua
figura, che fa rivivere nella renovatio imperii, la monetazione recupera il profilo come nella numismatica
classica, aquila imperiale sul rovescio. Busto di Barletta, è un ritratto di Federico II, ma non propriamente
detto. Non è fisiognomico, è caratterizzato in maniera realistica, guarda ai busti di età Repubblicana di
Roma, labbra schiuse e rughe che lo ritraggono in maniera realistica. Corona di alloro. È un criptoritratto di
Federico II come un nuovo Giulio Cesare. Capua, statua acefala ma abbiamo un disegno del XVIII secolo in
cui si vede la Porta di Capua. Apparecchiatura romana classica rivisitata, protomi, nicchie con cose
all’antica, avendo al centro di tutti Federico II con un panneggiamento romano proprio. Manifesto di
Federico II fatto dopo la scomunica, ostentando il suo potere. Exultet di Salerno, in cui si nota Federico II
grande il doppio del santo pontefice raffigurato. Linguaggio bizantineggiante come Sant’Angelo in Formis,
non c’è una ritrattistica, ma il drappo antico. Era dal tempo degli ottoni che non si raffigurava nessun
imperatore così. Omaggio dei popoli della terra a Federico II, nella sala d’Udienza di San Zeno a Verona.
Sala Salomonis. Politica multilaterale che Fed. II avvia con gli altri popoli del Mediterraneo. Si considera
sovrano universale. Modello della cupola della Pentecoste a Venezia. Modello romanico un po’
bizantineggiante. Fascia di stoffa appesa con scena di caccia. Gusto profano di Federico II venatorio, status
symbol delle corti fino al ‘500. Aspetti vari di cultura enciclopedica e scientifica, ripresa dell’antico e gusto
profano. Collezionismo nel tesoro di San Marco, Saint Denis e anche Federico II che era sempre in
movimento, era un bibliofilo, si portava dietro delle cose anche in battaglia. Tra tutti le gemme antiche
come la Tazza Farnese era da lui collezionata. Innesca l’imitazione di alcuni cammei. Aspetto stilistico, resa

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naturalistica di animali ed anatomia. Criniera del Leone e capigliatura di Ercole è un naturalismo molto
puntuale. La moda del ‘200 la vediamo nella Sardonica Federiciana, cuffie aderenti e vesti strette in vita. De
arte venandi cum avibus, trattato su come si caccia. Si traducono pensieri di Averroè, Aristotele… altre
pagine dell’opera sono i falconieri che si gettano ai piedi di Federico II, con cani che ghermiscono un cervo,
falchi legati sui trespoli. Grande miniatura di personaggio che dedica all’Imperatore una miniatura, con lo
scriptor genuflesso. Bagni termali con vignette particolarissime del De balneis puteolanis. Acqua e
montagne di colori particolari, invenzione di scene termali, banchetto con padiglione sotto tenda orientale.
De re medica, trattato medico che ha testi brevi, ritratti schematici, si intravede qualche ascendenza gotica
nei vestiti che assomiglia a quelli di Bamberg. De chiurugia, estrazione di un calcolo ad una donna, volontà
di naturalismo. Trattato astrologico, Liber astrologiae, illustrati già in età carolingia, vede delle pagine con i
segni zodiacali, costellazioni ecc.
SCULTURA FEDERICIANA E LA FORMAZIONE DI NICOLA PISANO
Nicola Pisano è il momento di apertura al Gotico, trova incubazione decisiva nella cultura federiciana. Non è
pisano, è pugliese. Cantieri federiciani che preparano la scultura di Nicola Pisano, capitello che viene da
Troia in Puglia, avvitato da 4 teste, la base è un corinzio ma le teste spariscono. Sono 4 razze diverse, araba,
magrebina, africana, occidentale. È una cosa molto nuova per quanto riguarda caratteri somatici e fisici.
Non sappiamo da dove venga. Testa di Fauno da Castel del Monte. Ciocche dei capelli zigrinate in
superficie, la scioltezza si rivela nelle labbra schiuse e nell’occhiaia. Mandorla deformata, sguardo patetico
e doloroso. Moti dell’animo che sarà fondamentale in Nicola Pisano. Pienezza naturalistica dei volumi.
Descrizione varia delle verità fenomeniche. Nicola Pisano in Toscana crea in primis a Siena la testa di moro,
di una teoria che si alterna all’imposta della cupola del Duomo di Siena. Si realizza la sfera dorata che sta al
vertice. È anche architetto e pensiamo che abbia fatto lui la Cupola. Inizialmente è un cantiere gotico, mai
interrotto. Testa molto forte, si vede da lontano. Scoperta negli anni ’70. 4 teste bellissime, faccia
espressiva, sguardo calamitante. Teste ridorate modernamente. Testa di fauno ridente, tema della
scoperta del riso, che abbiamo visto a Bamberg e compare per la prima volta in Italia. Riccioli della barba
molto forte in opposizione della testa di un giovane sbarbato, stilizzato. Capitelli con crochet aggiornato,
con fogliame turgido, foglie d’edera, che abbiamo visto nei grandi cantieri del gotico radiante. Cantiere
cosmopolita di Nicola Pisano, approfondisce aperture con il resto d’Europa.
Altorilievi che apprezziamo nel portale di sinistra del San Martino di Lucca. Depositio Christi, con
Annunciazione, Natività e Annunciazione dei Magi, fogliami identici a quelli di Bigarelli, ma si volta pagina
per il resto. Bigarelli stagliava le figure contro il fondo liscio, Nicola Pisano gremisce all’inverosimile la
composizione, ritorno all’horror vacui medievale, ma la narrazione pullula di vita, non sono tubolari come
Bigarelli ma sono articolati tra primo e secondo piano, evidenziando nel tutto pieno dei gesti forti, snodi,
narrazione copiosa ma concentrata e drammatica. Tutto si sprigiona in maniera drammatica dal centro, con
Giuseppe d’Arimatea che agguanta il Cristo che cade dalla croce. Le figure si affollano e premono con i loro
corpi nei panneggi angolosi in rapporto con i bizantinisti. Non è un grafismo astratto perché le linee
spezzate calzano i corpi avvinghiandoli. Non sono più panneggi a piegoline, hanno una soluzione
originalissima. Erompe dal fondo con scena calcata in carne ed ossa. Dialettica con il gotico francese e
tedesco del Nord Europa. Jubé di Bourges che si confronta bene con questa, la differenza sta nell’unico
chiodo nella mano di Cristo, Giuseppe si slancia per abbracciarlo, ma abbiamo pieghe soffici ed avvolgenti,
mentre Nicola tende i panni e dà piegoline angolose.
Rispetto a Bigarelli nell’architrave del Battistero di Pisa nel 1260 finisce il pulpito. La porta esterna era stata
scolpita da Bigarelli con altorilievi schiacciati e levigati come gli avori bizantini. Diversissimo è quindi il
pulpito, gli amboni in Toscana sono sempre delle casse parallelepipede che si innestavano nel presbiterio e
nella recinzione. Colonne con animali stilofori, struttura squadrata. L’invenzione di Nicola è usare una
forma, come un ottagono che non si incastra all’angolo del presbiterio, diventa un organismo a pianta
centrale a girale. Se a Barga i leoni guardano verso la facciata ed è attaccato all’asse della navata, in Nicola

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invece i leoni sono 3 che si alternano a colonne vuote creando uno schema, di tipo gotico per l’articolazione
scandita. Virtù nei pennacchi, profeti che si arrampicano, statue nella virtù.
Confronto tra la Purificazione di Bigarelli e Nicola. Vediamo 5 personaggi in Bigarelli, scena affollata in
Nicola. Nella seconda le proporzioni sono naturali, vecchio dalla barba fluviale che si ispira ad un cratere
romanico del Camposanto di Pisa con Bacco ebbro, incarnante il mondo prima di Cristo. Il perno di tutto è
al centro, con il Bambino che sgambetta per tornare nelle braccia della Vegine. Il bambino spaventato
elemento aneddotico. In Bigarelli i panneggi lisci inguainano, massimo dell’aggetto, volti scavati tutti
intorno. Si ha il senso di corpi che prendono forma sotto i panneggi tormentati ma sommossi da corpi che
premono. Senso nuovo di vita che crea forte chiaroscuro.
Rilievo del pulpito del Battistero di Pisa con Annunciazione e Natività di Cristo. La mangiatoia è un vero
sarcofago strigilato, motivo non nuovo. San Giuseppe con zigomi alti, barba riccia, turbamento della
Vergine che è come una matrona romana con il velo sulle spalle, compostezza nella reazione di
turbamento. Panneggiamenti spezzati e tubolari che calzano i corpi. In ogni angolo infila qualcosa Nicola
per ansia di calzare più realtà possibili, con pecore ad esempio nel primo piano. Spunto interpretativo
nell’antico è con una figura misteriosa avente una mano con vene la prima della storia dell’arte italiana,
rese di volti di anziani sofferti come la sacerdotessa Anna, volto solcato dalle rughe, sarcofago di Ippolito e
Fedra del Camposanto. Simeone con capelli che hanno meandri ondosi, testa romana all’antica, letterale la
volontà di riprendere la scultura classica. Pathos ed espressività. Ad osservare c’è un calligrafismo e resa
impressionista nei panneggi e capigliature.
Adorazione dei Magi: Vergine con il velo, Re Magi inginocchiati, cavalli differenziati, quello al centro è
fremente con criniera sollevata, quello in primo piano si inchina, vene turgide sul muso, froge dilatate,
realismo impressionante. Pieghe spezzate come sempre.
Il clou del pulpito è la Crocifissione, 3 chiodi soltanto, inarcamento che da Pisa ha una curvatura. Mani
aperte a stella, avambraccio spezzato, temi nuovi elaborati anche in pittura come lo svenimento della
Vergine che viene raccolta dalle donne, corpo spezzato. Tema narrativo dello spavento dei Giudei che si
ritraggono, uno stringe la barba, gesto medievale che indica la sconfitta. In prima fila c’è il Longino che si
converte e solleva un braccio. In secondo piano ci sono l’Ecclesia e la Sinagoga, come nell’Antelami.
Ecclesia che porge un vaso sacro, Sinagoga scacciata da angelo. Croce è arborea, tronco nodoso. Teschio di
Adamo sotto. Quest’opera viene espressa al massimo con la luce che da dietro sfonda la croce.
Altro capolavoro dopo Pisa è il pulpito di Siena. Distanza di pochissimi anni ma evoluzione grande. Tra il
1266 e il 1268, più complesso di quello di Pisa con narrazione più popolosa. Proporzioni rimpicciolite che si
affollano in più personaggi. Idea di folla corale. Volumi che vengono fuori con potenza essenziale, gambe
flesse, bacino piegato, è morto. Le braccia non sono più spezzate, il corpo tira verso il basso. La croce è a
“y”. Svenimento della Vergine meno esagerato, più complesso e naturale, braccio che cade senza forza.
Meno plateale ma più drammatico. Struttura ottagonale, parapetto scandito da figure. Leonessa e leone
alternati con senso di rotazione intorno al perno. Vergine annunziata, San Paolo, figura angolare, Vergine
turbata con panneggio liscio che accompagna il corpo, aggiunge la Visitazione che non c’era a Pisa, la
Vergine non ha più un corpo eretto, ha una posa molleggiante. Cugine che si accarezzano le mani e si
guardano negli occhi. Anna con volto rugoso e segnato. Poche figure a Pisa, narrazione più variegata a
Siena. Arnolfo di Cambio e Giovanni Pisano, scultori del primo ‘300 prendono le mosse da lui. Il viaggio dei
Magi non c’era a Pisa, qui si schiude una dimensione più dilatata e narrativa, corteo multicolore con
dromedari e cani. Il soggetto va in secondo piano in alto a destra, è una narrazione pittoresca. Cavalli
frementi intensi, statua della Madonna del Bambino che sfonda nella terza dimensione, bambino solenne.
Angeli con le trombe del giudizio. Panneggio che apre al gotico come nel nord Europa, ma panneggi stretti
in forza classica. Crocifissione, dettaglio dei giudei scolpiti come in senso pittorico. Occhiaie incavate
fortemente, esecuzione di Giovanni Pisano che sviluppa il pittoricismo. Accentua il senso dinamico. Il
teshio di Adamo è con la mandibola slogata. Arca di San Domenico a Bologna, cassa rettangolare che stava
su figure cariatidi. Storie quasi aneddotiche e realistiche, Fra Guglielmo è un collaboratore. È considerata

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opera di bottega, figure diminutive, ma valore narrativo del miracolo di San Domenico che porta in vita un
ragazzo caduto da cavallo.
Pistoia, pulpito diviso in due registri. È stato riconosciuto anche un rilievo con le stimmate di San Francesco
come ultima opera di Nicola Pisano. Altare maggiore e tomba di un vescovo francescano di cui restano solo
animula del vescovo portato in cielo e panneggio con stimmate. Panneggiamento morbido dell’animula, c’è
per la prima volta il vuoto, intorno al 1275, per rendere fisiche le figure il vuoto è importante. È un punto di
partenza per Giotto. San Francesco con solo un ginocchio a terra. Attenzioni straordinarie della corda che
cade e risale sul ginocchio.
Fronti di sarcofago, tombe con figure allineate di uno scultore toscano sul suo modello.

3. L’EREDITA’ DI NICOLA: DA GIOVANNI PISANO AD


ARNOLFO DI CAMBIO
Entrambi allievi di Nicola Pisano, ci attestano lo sviluppo della scultura alla fine del ‘200, preparando la
transizione al ‘300.
ARNOLFO DI CAMBIO
Nativo di Colle Val D’Elsa, da giovane lavora al pulpito del Duomo di Siena. Aiuta anche Nicola con il figlio
Giovanni Pisano, sono due scultori opposti e diversi che evolvono per diversi filoni la scultura del loro
maestro Nicola. Arnolfo impegna anche la scena romana in una posizione egemone; Roma è cosmopolita,
prima della migrazione ad Avignone, che segnerà in seguito un tracollo per la città. La fine del ‘200 vede
tutti i prelati del mondo che si trasferiscono lì, con le città satelliti come Viterbo ed Orvieto, dove il papa
aveva delle sedi.
Annunciazione di Arnolfo, stava sicuramente a Firenze nella cattedrale nuova, dove Arnolfo lavora. Rilievo
che è il prim’ordine dell’arte di Arnolfo, vediamo che sembra fiancheggiare l’evoluzione dell’ultima fase di
Nicola come le stimmate di S. Francesco avente il fondo liscio, come in questo caso. Torna in mente
Birgarelli che stagliava le figure sul fondo, ma il classicismo dei vestiti morbidi è evidente. Movimento
avventante dell’arcangelo e la retrosia della Vergine sono un punto di contatto con il bizantinismo. Pienezza
di carni e di volumi che dipende da Nicola, che usa però panneggi franchi e spezzati, qui le pieghe sono più
tenui. Nel giro di 10 anni Arnolfo avrà un linguaggio nel quale il panneggio sarà ridotto ai minimi termini.
Qui è agli albori, la fascia avvolge il corpo e ha una caduta, ma c’è sempre una complessità di pieghe.
Ambientazione con cupolotto bizantino al centro. Nel ‘200 ricorrono questi cibori con cupolotti riprendenti
gli schemi della pittura bizantina. Sopra c’è la dextra dei. Composizione chiusa con elementi
microarchitettonici, maturare il senso drammatico di Nicola in forme placate. All’opposto Giovanni sviluppa
ulteriormente le composizioni patetiche del padre.
Presepe a Roma di Arnolfo, Santa Maria Maggiore, cripta. C’era un altare di San Girolamo, padre della
chiesa, santo che da Roma era migrato in Terra Santa, dove aveva lavorato alla tradizione latina delle sacre
scritture. L’altare voleva alludere a Betlemme, al culto di Girolamo come santo eremita. Gruppo
dell’adorazione dei Magi che allude appunto a Betlemme, creando un focus devozionale che poteva
surrogare in piccolo il pellegrinaggio in Terra Senta, cosa che pochi potevano fare. È un’evocazione dei loci
santi di Betlemme. I due re magi Melchiorre, il più giovane e Baldassarre, dialogano tra loro. Sono figure
colonnari e possenti, classicismo che egli sviluppa a Roma. Ciocche incorniciano Melchiorre evocando aria
classica, il più giovane ha una sorta di toga senatoria. Volumi quasi geometrici, sagome precise ma cura
anche le superfici. Sono sottilmente marcate, le vesti hanno delle frange che erano impreziosite di oro e
inserti cromatici. Le vediamo nude ma avevano materiale e colore. Ci manca la Madonna con il Bambino.
Affermazione a Roma di Arnolfo negli anni ’70 che ci mostra anche un San Pietro con una posa romana,
togata, che a lungo tempo è stata confusa con una statua classica, ma indagini hanno permesso di datarlo al
XIII secolo. Statuaria imperiale romana, fusione a cera persa. Statua a tutto tondo impegnativa. È una delle
prime statue propriamente dette. Le piegoline aggettano sottilmente, fasciano un corpo individuato con
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estrema chiarezza nelle gambe e nelle braccia fasciate. Arnolfo si inserisce nel discorso duecentesco in un
tema classico e mirante a far rivivere la solennità romana. Diventa l’artista di riferimento a Roma di allora.
Altri artisti facevano sculture aniconiche, erano più deboli nella scultura decorativa. Vira il linguaggio di
Nicola in questo tono aulico, attinente ai Papi e agli Angiò. Carlo I d’Angiò diventa capo della dinastia
napoletana diventando anche senatore della città di Roma, massima carica politica della città. È una figura
ingombrante oltre il papa, il partito guelfo che lui appoggiava era vicino molto al papa. Personaggio di
potere che fa fare una statua colossale, sulla base di quello di Costantino, in una nicchia di una chiesa
francescana, affermazione molto forte del potere, non era un monumento funebre. Falsa riga di Federico II
ha uno scettro, sedia da campo con leoni che è simbolo di vita regale. Panneggi con pieghe sul petto
appena affioranti, essenziali, per dare il senso della possenza. Statua che era sfavillante di elementi di
ornato. Rimane un mordente di applicazione delle lamine metalliche sulla corona e sui capelli, che erano
dorati. Pietre preziose che sull’oro erano dipinte. La figura sembra molto ieratica ma nel volto ha dei
trapassi nella resa della carnalità, labbra, palpebre. Parte dall’idea di quasi ritrattismo, trasposto in una
sorta di idealizzazione. Riprende i modelli tardo-antichi.
Tappa successiva è Perugia, dove fa una fontana in competizione con quella maggiore di Nicola e Giovanni
Pisano. Fontana “in pede fori”. Frammenti del parapetto della vasca. Mentre i competitor fanno soggetti
mitologici, cristiani… lui crea delle figure che vanno ad inchinarsi per prendere l’acqua, tableau vivent.
Assetata che si rannicchia e con le mani le sta per congiungere per prendere l’acqua. Panneggio
estremamente essenziale, cogliamo il movimento del corpo. È una premessa immediata della pittura di
Giotto con il panneggio senza pieghe e le figure di spalle. Geometria non astratta ma umana. Figure che
piaceranno moltissimo nel ‘900. Il ruolo dell’acqua salvifico è molto importante, assetati poveri, malati e
storpi risanati. In quest’ultimo caso abbiamo sempre nella fontana una figura di uno storpio che si torce e
beve. Figura deformata, la pelle tirata sullo sterno, polpacci, forte realismo. Veste leggerissima con sottili
creste. Altra donna di schiena con panneggio non essenziale ma che rende lo studio del movimento della
torsione, dello sforzo di chi ha sete, immagine di grande concentrazione che si riassume in una
raffigurazione non astratta ma intensiva. Astrazione coniugata con il naturalismo. Strada diversa dal Pisano
che tratta le superfici volutamente non rifinite. Arnolfo invece leviga la pelle e le rifinisce perfettamente.
Magistratura comunale, figura di scriba sempre nella fontana. Abbigliati all’antica, gesti pacati, questo tiene
aperto un libro poderoso, naturalismo del libro in pergamena che si ondulano. Da un documento si nota
che 300 e più cittadini di Perugia pagano per portare l’acqua al centro della città con un nuovo acquedotto.
Coronamento di grandi imprese ingegneristiche raffigurate nella fontana, simbolo di orgoglio. L’altro scriba
sembra rivisitare la nobiltà della scultura romana. Angolo del parapetto.
A Roma vediamo un monumento sepolcrale di Riccardo Annibaldi, che è smembrato purtroppo. Ci fa
capire che Arnolfo innova il genere del monumento sepolcrale. Schema sviluppato a parete,
microarchitettonico, riduce i fastidi di una facciata organizzando il monumento su più livelli. Camera
mortuaria dove viene deposto il morto. Lo chiamiamo guisent in Francese, ovvero giacente. È in San
Giovanni in Laterano. Quello che vediamo sopra stava dietro il morto, momento delle esequie. Chierici alle
estremità aventi ceri accesi, in mezzo uno ha la situla con acqua benedetta. Quello dietro è il turibulario con
l’incenso. Gesti dell’azione delle esequie. Teatro di Arnolfo del tableau vivent. Dietro era tutto con opus
cosmatesco a decorare. Decoro cosmatesco che con Giotto e Cimabue diventa una tradizione italiana.
Naturalezza delle ciocche del notaio morto. Anche a Viterbo ci sono altri monumenti sepolcrali, alcuni papi
si fanno seppellire lì. Modello di Guillaume de Braye. Svolta importante di Arnolfo che arriverà fino al
Rinascimento. Ci sono vari livelli: sarcofago, teatrum doloris sopra, commendatio animae (presentazione
dell’anima destinata alla salvezza eterna). Elementi cosmateschi con colonne tortili impreziosite. Il morto è
inginocchiato e presentato da San Marco, era domenicano quindi dall’altra parte c’è San Domenico. In alto
Madonna con il Bambino avente trono, in una nicchia. Il secondo livello è teatralizzato da due chierici che
scostano la tenda per mostrare il corpo del morto. Timo di Camaino è 300esco che si allena da Giovanni
Pisano, alleggerisce il modello funerario di Arnolfo, abbiamo l’esempio della tomba del Cardinale Riccardo

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Petroni: dal basso riprende Giovanni Pisano con le 4 virtù cardinali che fungono da cariatidi, senza
cosmatesco. Novità della narrazione sulla cassa, il defunto è nel 3° livello, senza comendatio animae.
Modulo robusto nella tomba fatta da Arnolfo, capitelli a crochet, avvio al Gotico, ma forme molto
squadrate. I chierici sono uno di fronte e uno di schiena, uno si torce in maniera del tutto naturale, coglie le
figure nell’attimo, ma li blocca in geometrie attente, non esasperandoli come il Pisano. Su tutto dominava
la Madonna in trono con Bambino, decori cosmateschi, dischi nella cornice, colonne tortili decorate e
crochet. Ipotesi di statua romana riscolpita. Avrebbe riutilizzato una statua tardoantica di una Madonna
come matrona. Arnolfo emerge nella parte bassa con pieghe.
Altre opere capitali sono i due cibori. Di norma evidenziano altari eccezionali di chiese santuario. È
un’edicola che sovrasta l’altare maggiore dando evidenza e monumentalità, esaltando. Di solito sotto c’è la
confessio con il corpo santo. Uno lo fa a San Paolo fuori le mura. Si è salvato il ciborio da un incendio.
L’altro lo fa per Santa Cecilia nel 1293. Organismi francesizzanti, gotico rayonnant, arco ogivale trilobato,
guglie traforate. Quello di San Paolo è molto più francesizzante. Siamo certi della cronologia, che è inversa
da quella che avremmo ipotizzato nei confronti del gotico. C’è una prima infatuazione al gotico, per poi
rientrare in un’imposta più quadrata. Ogiva più bassa ma tutta traforata. Il primo ha nel frontone degli
angeli con gambe sforbiciate con veste tesa, stilema bizantineggiante. Fondo cosmatesco, oro. Profeti e
santi angolari. Il secondo, che è meglio leggibile, è mirabile per il virtuosismo di traforo, pennacchi svuotati.
Nei pennacchi mette dei profeti, rifacendosi a Nicola Pisano, sensibilità per la teatralizzazione, altorilievo
che diventa statua negli angoli. C’è Valeriano a cavallo che si torce in un senso, il cavallo nell’altro. Santa
Cecilia è come una matrona antica con una sorta di peplo che gira nel corpo, candide rose. Cecilia era
moglie di Valeriano ma con voto di castità che è qui ricordato. Veste preziosa sventagliato ad rotas.
Altorilievi con evangelisti, aggetto dei corpi con piegoline tese e sottili.
Fa un sacco di altre cose, al servizio di Bonifacio VIII soprattutto. Si fa fare in vita una tomba in San Pietro
con sopra un mosaico andato perduto. Madonna in un clipeo e rimane steso con drappi schiacciati. Anche a
Firenze fa una statua di Bonifacio, proporzioni da idolo, sacralizzazione del potere, in linea dei modelli tardo
antichi, immagine idealizzata. Diversa dalla grandiosità della Madonna per il Duomo di Firenze, carnosità e
tenerezza, inserto negli occhi, stava sopra al portale centrale. Corrispettivo delle Maestà di Cimabue e
Giotto, bambino molto maturo come un tribuno romano che tiene un rotulo. Gesto benedicente teso dal
drappo come un togato. Sul ginocchio della Madonna, avente pieghe che assecondano la sua corporeità.
Nascita di Cristo e morte della Vergine. Torsione del corpo come in Perugia, non fa la figura perentoria
come Nicola, è più umanizzata, si gira incrociando le braccia verso la culla del Bambino.
GIOVANNI PISANO
Rinnovamento che la pittura ancora non ha, è condizionata dall’ultima ondata bizantina. È in ritardo per
l’ondata dopo la IV crociata e la sfida mimetica. Soprattutto Giotto e Duccio si ispirano a Pisano.
Collaborazione nei giudei nel Pulpito di Siena. Lo intercettiamo alla fine dei ’70 a Perugia, nella Fontana
Maggiore. Due tazze grandiose sfalsate, leoni stilofori alternati a colonne, movimento rotatorio. Parapetti
che vedono specchiature e colonnine, quello sopra specchiature alternate da figurette, come Giuditta ed
Oloferne. Abbiamo allegorie, lavori, mesi, tradizione biblica e personaggi del tempo. Giuditta ha una
silhouette con pieghe scalfite. Superfici delle barbe e capigliature gonfie, intrecciate, non troppo rifinite.
Organizzate a dittici, tazza inferiore con ciclo dei mesi. Maggio con cavaliere che va a caccia e si lega con
Giugno dando tema cavalleresco e amoroso. Cornice illusionistica. La donna ha il falcone, il cavaliere i fiori.
Intaglio già morbido e sensibile di Giovanni, non più consistente di Nicola. Successione del padre al figlio
che avviene come architetto nel duomo di Siena. Chiesa viene allargata nei ’70 del ‘200 in forma gotica,
Pisano diventa caput magister e per 20 anni si radica a Siena. Realizza la facciata. Registri alti realizzati però
nel ‘300. Realizza i 3 fornici e gli enormi contrafforti con statue sui primi due registri. Risposta dialettica al
gotico rayonnant, fornici dalla stessa altezza, non come quelle romaniche gerarchiche. Nella parte
superiore c’è un’accentuazione ascensionale con un rosone grandioso. Portali strombati con semicolonne
addossate e tralcio. Tralcio di acanto lavorato dietro come se sbocciasse nell’aria, sbucano leoni, figure e al

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vertice aquila con ali spiegate e naturali. Simboli di tetramorfo, cavalli che escono nel secondo registro.
Bisognava che uscissero per rendersi visibili, per questo personaggi ingobbiti e tristi, anche perché non
hanno visto Cristo. Aristotele e Platone, Virgilio, dramma colto ed originale, sapienza classica con rotoli
leggibili da lontano. Platone ha una veste che fascia per dare idea di contrasto di forze. Panneggi che a
cannule prorompono verso il basso, disciplinato in idea potentemente espressiva. Effetto di “bozzato”, non
rifinire troppo le cose che vanno viste da lontano. Modernità sconvolgente. Prepara Donatello che a sua
volta prepara Michelangelo. Si lavora in funzione della vista da lontano. Maria di Mosé, mondo della legge
prima della grazia di Cristo, è sofferente prima della luce, si torce. Contrapposto, figura che si volge in un
senso, testa in un alto. Avvinghia il corpo, pieghe espressive. Nel ’96 si chiude l’esperienza di capomaestro a
Siena. Va dunque a Pisa, cantiere del pulpito del Duomo, cantiere dove si formano i maggiori scultori del
tempo. Giovanni Pisano diventa grande faro di riferimento. Sant’Andrea a Pistoia, chiesa che era una Pieve,
diritto di battezzare. Scene popolosissime dei parapetti, modello in quello di Siena, archi ogivali
francesizzanti, come Nicola alterna i sostegni con leone e telamone centrale. Movimento turbinoso,
aquilotti centrali che si agitano, telamone che si torce in maniera dolorosa. Esplosione gotica calligrafica
delle ciocche a chiocciola. Decorazione che si coordina alla drammaticità della figura. Le carni sono
volutamente poco rifinite, capigliatura impastata. Angolo del lettorino, angelo sciolto in una figura ispirata
che guarda in cielo, è nobile con scioltezza nel volgersi. Teste che prorompono, leggio come a Pisa con
aquila. Nei pennacchi ci sono profeti e sibille. La sibilla si torce turbata e spaventata. Fremito e onda
continua che attraversa l’opera; la Vergine nella Crocefissione casca indietro in maniera naturale, si
esaspera il tema del Cristo morente, ultimo respiro del Cristo con addome che si ritira. Inaugura il
sottosquadro Nicola, che il figlio rende ancora più forte.
Crocefisso ligneo di Siena. Iscrizione in cui celebra se stesso in quanto versatile in tutti i materiali, avorio,
legno, bronzo, pietra. Versatilità interessante che inaugura una tradizione dei grandi scultori come
Donatello. Versatilità fondamentale. Legno prestato alla policromia. Figura di Cristo quasi sbattuto dal
vento, stirato, croce ad y arborea, ciocche molto lunghe dei capelli. Essenzialità delle pieghe date dallo
strattone violento. È particolare, la scultura lignea vede la gessatura fondamentale, con incanottatura in
tela e gessatura, rendendo più facile l’arte. Qui non c’è telo o gesso, tutto è così com’è con grana del legno
che dà la pelle e la veste. Tecnica insolita. Tratti affilati del volto, pieghe non classicheggianti ma a cascata,
labbra schiuse, palpebre aperte. A confronto con il cattivo ladrone di Pistoia vediamo abbreviature che da
lontano rendono pathos.
Duomo di Pisa, Pulpito di Pisano, cariatide triplice al centro, Adamo ed Eva tra i sostegni. Rimontato negli
anni ’20, era stato smantellato. Tazza circolare che dà narrazione ancora più gremita con episodi. Protesi
del davanzale di arrivo della scala. Dettagli: Purificazione di Maria, strada compiuta incredibile, le figure
torreggianti, sono colte nel movimento in maniera molleggiante e plasmata, nella cera. Simeone fa un
grande passo in avanti protendendosi a restituire il bambino. Azione in fieri. Confronto con il padre,
bambino che si volge per la madre, idea dinamica. Per le varie virtù, la fortezza non è Ercole, è una donna
tagliata come una statua, che uccide un leone. Ercole telamone che si torce con nervosismo. Rilievi del
parapetto incurvato, figure filiformi, iconografia bizantina con la Vergine stesa, panneggio avvolge il corpo,
San Giuseppe pensoso, bagno del bambino con temperatura dell’acqua, gioco non più plastico e serrato ma
più pittorico. Decreta il declino del ruolo forte della scultura, diventa pittorica cedendo lo scettro alla
pittura. Sfumature sulle superfici. Altra formella ha l’Adorazione dei Magi, Baldassarre arriva per ultimo, un
angelo lo fa accomodare, si rannicchia e si toglie un guanto. Gasparre bacia il piede del Bambino. Bambino
che si ritira, braccio della Madonna spezzato, emerge San Giuseppe, l’angelo che spinge nella grotta.
Crocifissione, scena popolosa, Vergine sviene indietro ma è meno imponente, i panneggi quasi si
disciolgono, le figure sgambettano. Non è mai troppo rifinito.
Opera più autografa è la tomba per Margherita di Lussemburgo, moglie di Arrigo VII che muore lungo la via
per l’andata e viene seppellito nel duomo di Pisa ghibellina. Abside del Duomo. Giovanni fa quella della
moglie. Figure cariatidi, sorreggono la cassa. Raffigurazione unica, angeli estraggono il corpo di Margherita

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dalla tomba, raffigurano la resurrezione. Stola immortalità incrociata sul petto. Angeli mozzi che si torcono
e sgambano. La tirano. Ha la glimpa sul mento. Carni con velo piegato sul collo, labbra aperte. Tenuto
volutamente scabro.
Altro tema che innova è la Madonna col Bambino, sorregge il bambino che si aggrappa al velo, appoggia il
braccio sul petto, espressione che cerca la madre, che lo guarda.
Tino di Camaino è un allievo di Giovanni Pisano. Riprende la Madonna con il Bambino, interazione tra i
soggetti, idea di Giovanni con buchi del trapano a vista, si vede che è più interessato alle superfici, al loro
turgore e pienezza. Si afferma nel 1315 con la tomba di Raiomondo della Torre. Figure Cariatidi che non
sono esplicite, cogliere la figura in movimento, avvolta in un panneggio sovrabbondante, non è scheggiata
ma rivestita da panneggi gonfi. Volti turgidi. Sensibilità plastica. Senso di vitalità che esula dal dinamismo
leggero ed impressionistico di Giovanni. Esaltare la fisicità con in panneggi, non nasconderla.

4. LA PITTURA DEL DUECENTO E LA QUESTIONE


GRECA
ELEGANZE DELLA RINASCENZA MACEDONE
Influssi bizantini che si intensificano nel corso del ‘200, riferimento della IV crociata. La rinascenza
Macedone è incarnata da miniature con figure geometrizzate e filiformi, con lo sviluppo di smalto cloisonné
SANT’ANGELO IN FORMIS
Vediamo a confronto la presenza di maestranze bizantine, nel nartece vediamo San Michele che ha una
raffigurazione esile e filiforme, età comnena che vede un arricchimento della narrazione, ma sempre con
artificio grafico e bidimensionale, l’ombra non ha significato volumetrico, canna nasale che si sviluppa in
continuità con i sopraccigli, molto allungata. Ali che si adattano alla lunetta.
TARDO-COMNENO
Si pensa solo alle figure rigide e stilizzate riguardo il bizantinismo, cosa che non c’è più nell’età tardo-
comnena. Scene di narrazione più complesse e vivaci. Mosaici di Monreale o Santa Maria d’Anglona.
Vediamo in quest’ultima scene di martirio con figure allungate e stilizzate ma con movimento franco dei
panneggi, bidimensionali ma accennano un avvitamento importante. Kurbinovo in Macedonia, San Giorgio
Arcangelo Gabriele annunciante, 1191, manierismo dell’arte bizanatino-comnena, che nell’arco santo
dell’Annunciazione vede una figura lunghissima ma non filiforme, il panneggio si tormenta intorno al corpo,
con ginocchio e polpaccio innaturale, gioco superficiale con ombre quasi nere, organismo artificiosa e
astratta. Sacramentario di Madrid, due pagine grandi con Madonna col bambino, grande profusione di oro,
edicola stilizzata appena, la Madonna è appollaiata sul trono tipicamente bizantino, doppio pulvinare,
iconografia eleusa, ovvero affettuosa, abbraccia il figlio. Linguisticamente i bizantini propongono un
linguaggio astratto e antinaturalistico, ma l’arte tardocomnena introduce linguaggi vivificati poi
nell’occidente, Maria come tema intimo e caldo. Glicofilousa, abbraccia con trasporto il bambino. Mani
filiformi, panneggio che si incunea, riccioli, svolazzo dei panneggi, artificio desemantizzato, ma abbraccio e
sfumature intense sulle carni che caricano di malinconia la raffigurazione, pur ancora molto astratta.
GIUNTA PISANO
Come Nicola Pisano di respiro sovraregionale, lo conosciamo con 3 croci firmate. Croce di San Domenico a
Bologna, San Matteo a Pisa e Porziuncola ad Assisi. Artista che introduce una novità sul genere della croce
dipinta. Le croci romaniche erano popolate da episodi narrativi, che lui resetta proponendo solo il Cristo
morto. Immagine che colpisce da lontano con la silhouette inarcata, come ultimo spasmo di dolore, linea
ascellare tagliente da cui si inarcano le braccia quasi specchiate, mani filiformi aperte. Morte di Cristo che
deve impressionare immediatamente. Le croci piene di narrazione vengono superate. Farà scuola in tutto il
‘200, Cimabue prenderà spunto da lei. Giunta Pisano inserisce un’anatomia molto marcata e astratta, ma la
pittura è sfumata, conferendo un aspetto bronzato alle carni del corpo morto, forza suggestiva. Grafismi e
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stilizzazione delle ciocche della barba e dei capelli, sopracciglio che dà una scolpitura dolorosa, eleganza
patetica. La differenza con Cimabue è che questo non sarà elegante ma più struggente.
Altro esempio del linguaggio tardo-comneno è dato dalle iconografie canoniche, Salterio. Profilo filettato di
bianco, colori intensi e vivi come smalto, luci bianche pure, tutte cose spazzate via da Giotto, prediligere i
toni medi contro il nero e il bianco.
Crocifisso di Assisi di Giunta Pisano è il primo che ha fatto, rispetto all’ultimo di Bologna, vediamo che è
proprio erede delle eleganze bizantine, inarcamento accennato, storie sui fianchi che migrano nei dolenti a
mezzo busto sui lati della croce, sono San Giovanni e La Vergine, invece in cima alla croce ci sarà poi il Cristo
Risorto. Nelle croci romaniche c’era l’ascensione, in questa Giunta mette in alto un clipeo con Cristo
Benedicente Trionfante. Anche la pittura nel corso degli anni in Giunta diventa più luminescente e di lustro
soffuso. Elemento di inarcamento dato dalla simmetria nei piedi, prima i piedi erano inchiodati di fianco,
Giunta li mette di prospetto, per dare un esempio di scatto che determina il principio dell’azione che lo
incurva. Christo patiens, molto diffusa nel XII secolo, Giunta li ripropone nel XIII rinnovando. I dolenti a
mezzobusto hanno pose di dolore, gesto di malinconica e sorreggersi il capo, come nei filosofi tardoantichi.
Formule di gestualità del dolore che faranno scuola a vasto raggio in tutto il ‘200. Croce di Bologna, sono
blu/azzurro, materiale più prezioso dopo l’oro, che dà un esempio di aurea ultraterrena. Linearismi
fortissimi sulle braccia, giunture marcate con sfumature che giocano anche sul tono verdognolo, che
proviene dal mondo bizantino, come base cromatica. Tono di verità delle carni. I dolenti: la Vergine ha un
fazzoletto per asciugarsi le lacrime, compianto che con il braccio proteso diventa advocata, salvatrice
dell’umanità presso Cristo, gesto anche deittico, ovvero che indica. Accentuazione del bizantinismo con la
crisografia. Lumeggiature date da reticolo dorato, motivi a pettine, stilizzato, si impreziosiscono gli abiti dei
personaggi preziosi. Tema che raggiungerà il ‘300 in Duccio. Dimensione ultraterrena. San Giovanni, Giunta
è un pittore intensamente espressivo nel dettaglio, a tratti acre. Virgole del panneggio che dà un modo
sofisticato tardo-comneno per rappresentare i dettagli. Scrittura di luci, canna nasale molto evidenziata.
Labbra ad accento circonflesso.
MAESTRO DI SAN FRANCESCO
In Umbria una scuola pittorica, canale privilegiato verso la Terra Santa, ci sono ordini Templari e cavalieri di
Gerusalemme. Abbiamo quindi il Messale d’Acri in cui il Miniatore descrive narrazioni simili a quelle di
Giunta. Stessa cosa per la Crocefissione di Santa Caterina del Sinai, che non ha un linguaggio di Giunta, ma è
molto bizantino, con la Vergine che sviene, angeli in alto floranti. Simile ma di qualità superiore alle Tavole
del Sinai è la Crocefissione della Cilicia armena di Toros Roslin. Stessi temi di Nicola Pisano, Sinagoga
respinta, Chiesa. Terra Santa come melting-pot di committenti che provengono da tutta Europa. Giudei
spaventati.
In Umbria si trovano cose simili al regno crociato nel Trittico Mazzolini, a Perugia. Madonna glicofilousa,
bambino muscoloso che abbraccia la madre, linearismi astratti, pittura molto marcata. Croce a y,
narrazione molto vivace. Ci fa capire che verso la fine del ‘200 c’è una recrudescenza del bizantinismo.
Maestro di San Francesco, pittore umbro che guarda a Giunta Pisano.. È il primo che dipinge la Basilica
inferiore. Omaggio a Nicola Pisano con la Vergine che sviene avente la mano penzolante. Il suo capolavoro
è una grande croce del 1272, a Perugia, nella chiesa dei Francescani. È la prima croce che raffigura San
Francesco. Ne realizzò anche una nel 1236 che nel ‘600 andò distrutta. Inarcamento che viene da Giunta ed
è ancora più sforzato e teso. Allusione ad uno storcimento, gonfiore della cassa toracica. Grandiosità
visionaria del corpo che si ingigantisce ed incombe. Inclinate in avanti, incombenti. San Francesco ha anche
una vena decorativa con stoffe coloratissime, viola rosato nello sfondo.
Dossale di Perugia, 1272, volti destrutturati da segni marcati, narratore grande e decoratore. Nimbo con
punta di stiletto con girali di ispirazione bizantina. Deposizione dalla Croce e Pietra dell’unzione: porfido su
cui viene messo Cristo. Inarcamento del corpo molto accentuato, teste stereotipe ma con bocche minute,
nasi filiformi ed occhiaie a mandorla, hanno un’espressività marcata. Vergine che raccoglie e bacia Cristo in
alto su un podio. Vergine seduta sulla pietra dell’unzione che la tiene in grembo. Immagine del dolore per

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eccellenza, tiene in grembo il corpo morto. Corpo straziato, angelo che sparisce dietro, gesto di dolore.
Vetrate che fa Bonaventura di Bagnoregio, ciclo nella basilica inferiore decorativo, volti e costoloni con
greche, tralci, soffietti, motivi sempre diversi. Fa sulle pareti 5 storie di Cristo e di San Francesco, andate
distrutte quando sono state aperte nelle cappelle laterali, sempre del Maestro di San Francesco. Predica
agli uccelli: linearismo e grafismo, ritmo molle, gesti accentuati, foglioline dell’albero descritte in
minuziosità. Aveva lavorato nella basilica superiore con i maestri francesi che già avevano inserito queste
descrizioni naturalistiche. Vetrata che lui fa nella basilica superiore con ghiande, foglie.
Pittura umbra prima del Maestro di San Francesco, Simeone e Machilone da Spoleto, figurette minute di
stampo tardo comneno. Un seguace del Maestro di San Francesco è il Maestro della Santa Chiara,
tabernacolo ad anse riprodotto in un rettangolo. Scene molto vivaci, occhi scintillanti, aspetto sciolto di
narrazione rispetto al Maestro di San Francesco, pittura placcata.
Scuole regionali pittoriche nella seconda metà del ‘200. San Silvestro in Santi Quattro Coronati, che investe
Costantino. Stefano Conti vive lì e diventa un po’ il signore di Roma. Aula gotica che egli fece affrescare,
trionfo di colori astratti, linearità cromatiche, temi allegorici, segni di mesi e dello zodiaco, dotti
dell’antichità classica. Figure negative del mondo antico in basso in contrasto con le figure Cristiane. Scene
dei Mesi in cui introduce un aspetto realistico. A Bominato nella chiesa di San Pellegrino, chiesa a sezione
ogivale di un’unica aula che ancora ha il setto di divisione dei monaci dai pellegrini, fondale multicolore con
finte stoffe, sedute di stalli dove c’era il calendario dipinto sulla volta, per raffigurare le festività importanti
di ogni mese. Raffigurazioni dei lavori, 6 da un lato e 6 dall’altro, fregio assonometrico, linearismi
bizantineggianti. Figure che galleggiano e sormontano le cornici. Linguaggio intriso di elementi
bizantineggianti ma lontano da quello originale per una tensione espressiva nuova. Corpo nudo di Cristo
che si aggrappa dietro la colonna con gli aguzzini che lo frustano. Riquadri di colori diversi, cornici che
evidenziano la zona superiore della composizione. Non è un piano di posa o fondale, intarsi decorativi delle
superfici da cui le figure balzano fuori.
Altra diramazione del bizantinismo è Coppo di Marcovaldo, che negli anni ’50 e ’60 a Firenze incarna
questa idea iper bizantineggiante. Madonna del Bordone per i Servi di Maria a Siena. Tavola che nel ‘300 è
stata ridipinta da un pittore duccesco che gli dà una sfumatura diversa, si è recuperato con le radiografie
com’era sotto. Linee spigolose, bocca a cuore, arcata molto accentuata. Su quella base sono state fatte
diverse opere in ambito bizantino. Miracolo sul Monte Gargano di Coppo, la natura e le rocce sono
raffigurate con elementi lineari cromatici, piano di colore medio di fondo marroncino, bianco puro e ombre
di nero puro. Intarsi lineari. Trionfano nel mosaico dell’Inferno con Lucifero nel Battistero di Firenze. Figura
diabolica, destrutturazione ed energia che stravolge le sigle. Mosaici del Battistero di Firenze, Coppo inizia,
narrazione scandita da colonne. Di Coppo è la Madonna del Popolo in Santa Maria Maggiore a Firenze.
Intarsi di ombre nerastre e luci bianche, ritrosia della Vergine annunziata. Sobbalza dinnanzi all’Angelo in
cui rivive il bizantinismo. Opera mista di scultura con la Nicopeia.
A Siena la figura dominante è Guido da Siena, prima di Duccio. Squisita qualità di decorazione nei nimbi,
scene narrative. Narrazioni concitate che vediamo in Nicola Pisano, centurione che riconosce Cristo con il
braccio teso. Crescita del linguaggio bizantineggiante, all’inizio c’era il Maestro di Tressa, raffigurazione
elementare che poi si sviluppa in una narrazione più complessa. Cripta del Duomo di Siena, Deposizione di
Cristo della Scuola di Guido da Siena. Linguaggio che deriva da Giunta, ma ha le gambe accavallate con 3
chiodi e non 4. Colori molto conservati, come l’azzurrite. Cristo deposto nel Lavello che sembra la pietra
dell’unzione, Vergine che abbraccia con trasporto. Antenati importantissimi in ambito bizantino. 1164, età
comnena, Nerezi in Macedonia, San Pantaleimone, Compianto su Cristo Morto, ci fa capire la propagazione
di modelli verso l’occidente, senso del ritmo danzante.
Tipo di tavola che avrà fortuna nel ‘200, agiografiche, iconiche e narrative. Santo in piedi al centro con
storie sui lati. Forse stavano fuori dal tramezzo.
Napoli, Madonna in Maestà, oggetti di pittura emuli di oreficeria, ibridi nell’aspetto come fossero argento
dorato e sbalzato, raffigurazione che deborda sulla cornice. Prima di Giotto saranno Duccio e Cimabue a

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capire che le cornici sono elemento staccato dalla raffigurazione. Profusione dell’oro, qualità altissima nelle
carni, con tornitura simile a Giunta.
RINASCENZA PALEOLOGA
Riconquista dei Bizantini, Michele Paleologo caccia i Veneziani e riprende l’Impero d’Oriente. Declino
costante fino al 1453, cadendo sotto i turchi. Ultima fiammata altissima bizantina con i Paleologi, nel ‘300,
cristallizzazioni delle pieghe ancora più minute, delicatezza cromatica dei colori, verde petrolio, rosa,
violaceo, predilizioni cromatiche, icone musive portatili, Duccio alla fine del ‘200 si fanno interpreti di
delicatezze cromatiche e sottigliezze emuli all’arte Paleologa. A Firenze un vertice è un dittico a mosaico,
maneggevole, tessere microscopiche che compongono micromosaici. Complicazione della scena,
contraccolpo, influsso illusionista. Rimane bidimensionale al fondo ma con grandi architetture e tendaggi.
Bologna primo studio universitario italiano, codici come sacre scritture o codici, committenti che si
rivolgono a Bologna, commissiona la Bibbia di Gerona. Miniatori Bolognesi, Dante mette a confronto
Oderisi da Gubbio e Franco Bolognese, Dante studiò a Bologna, conosceva la maniera di Franco Bolognese
con ritmi rarefatti, colori delicatissimi come Duccio giovane. Altro esempio è nell’iconografia che ha origine
nell’ambito bizantino con il Cristo Morto, imago pietatis, scena non narrativa ma morto, con ferita sul
costato, è eretto nel lavello, in modo artefatto, vittoria sulla morte.

5. ARTE E DEVOZIONE: LA CROCE DIPINTA E LA


DEPOSITIO CHRISTI
Viene messa in crisi la produzione iconoclastica. Sant’Apollinare in Classe, Impero Bizantino. Idea degli
archetipi, modelli non umani, acherotipa, non manufatta. Volto di Cristo con diverse leggende, Re Abgar
malato che riceve un velo con il volto di Cristo che lo risana. Pretese veroniche a Genova, filigrana
minutissima, volto quasi invisibile, cronisti del ‘400 che dicono che non si vede nulla, immagini ideali di ciò.
Cristo come visibilità del Padre, dio si incarna e diventa visibile. Non c’è differenza tra Cristo e Dio padre,
Dio creatore e Cristo Pantocratore. Dio padre portato del basso medioevo, figura anziana canuta. Dio che
tiene il Crocefisso e colomba dello SS. Raffigurazioni triambiche, Dio Cristo che compartecipa alla creazione,
3 teste. Strada in maniera complessa, dove vediamo Dio è nei cicli giotteschi dell’Apocalisse. Cuspide
centrale, figlio dell’uomo, visione di Daniele della Bibbia, barba bianca. Cuspide Baroncelli di Giotto,
allusione all’apocalisse con alfa ed omega, compimento dei tempi, Dio canuto, nascita di nuova iconografia.
Suggestione di Giotto particolare, gli angeli si parano gli occhi accecati. Giotto si pone il problema di
raffigurare le realtà ultraterrene, luce abbagliante.
Conoblion, tunica smanicata, modo di raffigurare Cristo crocefisso trionfante, nella cappella di Santa Maria
Antiqua. Si sviluppa in ambito carolingio ed ottoniano, miniatura irlandese. San Clemente a Roma, abside
con idea di paleocristiano, tralci che invadono l’abside, Cristo patiens, floritura vegetale, legno della croce
paragonato al legno della vite, albero vivo.
Luoghi dello sviluppo del genere, Toscana nord orientale e Spoleto. Giotto, Preghiera di San Francesco a
San Damiano. Giotto raffigura il crocifisso di San Damiano, triunfas con dolenti ai lati.
Crocefisso della Pura, appeso in alto anche se fatto per essere visto da vicino. Tedeschi che accentuano il
senso macabro del corpo straziato. Chiodi che sbranano la carne, il tema del patiens si piega alla violenza.
Immagini molto forti.
Crux de medio ecclesie, Presepe di Greccio e Ricognizione delle Stimmate, tramezzo con croce, il primo visto
da dietro, il secondo da davanti. Realtà dei tramezzi che dividevano le chiese.
CRISTO DI GIOTTO
Svolta decisiva alla fine del ‘200, disciplina l’inarcamento straziante, raffigurando il corpo in tutta la sua
concretezza, capo che si flette in avanti, capo con le dita che si flettono esanimi. Cristo patiens morente,
labbra schiuse. Altro più tardo è nella basilica inferiore di Assisi, descrive una cosa che faranno sempre gli
umbri, il corpo piegato. Sottigliezza incredibile, velare le ferite rosse come se fossero ematomi. San
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Tommaso d’Aquino sulla concezione delle immagini sacre parla di una triplice funzione delle immagini:
bibbia degli analfabeti, “ad instructionem rudium”, altra funziona è “magis in memoria essent”, rimane
come concetto più impresso nella memoria, “ad excitandum devotionis affectum”, provocando un
sentimento più forte di devozione, perché più efficacemente si stimola che rispetto all’ascoltare.
Deposizione, mani che si velano, slancio dei personaggi in Macedonia. Uomo ricco che paga e riscatta il
corpo di Cristo.
Nel ‘200 si sviluppano gruppi lignei della deposizione di Cristo. Rendere memorabile in maniera più efficace
il tema. Si sviluppa dalla Toscana fino a Tivoli, dove si sviluppa il teatro sacro, il francescanesimo. Uno dei
più conservati è a Volterra, lo scultore prende dal naturalismo protogotico antelamico, i gesti ritmici si
rispondono come un canto lamentoso. Gesti che sono sul filo ambiguo tra quello di un braccio proteso in
segno di venerazione, un braccio inchiodato di solito, qui no. Vico Pisano, inarcamento. A Louvre ce n’è uno,
un gruppo frammentario costruito male, Nicodemo forse stava in alto, ma è sicuro che i piedi inchiodati
sono messi storti, l’asse non è il torace di Cristo ma i polpacci, il corpo era piegato verso sinistra.
Giotto taglia con il tono Jacoponico del ‘200 dal tono bizantino. Egli vuole moderare i toni per toccare un
registro più intimo e profondo, la tenerezza e il dolore devono essere suggeriti, non estremizzati. Lo fa fin
da giovane, ad assisi nel 1290 la Vergine distacca il volto in maniera più composta. Raggiungimento di
Padova, la Vergine accarezza il corpo di Cristo, volto lacrimante ma interpretato in tono misurato. Negli
angeli il pianto è più scatenato. ‘200 secolo di sentimenti forti che poi vengono moderati.
PIETRO LORENZETTI
Il ‘300 non è visto come un continuo dei toni di Giotto, c’è una nostalgia dei toni più accesi in Pietro
Lorenzetti, Deposizione di Cristo con Vergine piangente che affonda le mani nei capelli del Cristo, immagine
frotissima di una violenza contronatura. Capacità di Pietro Lorenzetti partendo da Giotto e Pisano, afflato
del ‘200.

6. IL RINNOVAMENTO DELLA PITTURA DA CIMABUE


A DUCCIO
LA PITTURA DI FIRENZE DA PRIMA DI CIMABUE
I pittori più rappresentativi erano Coppo di Marcovaldo e Meliore. La sua opera migliore è la Maestà di
Santa Maria Maggiore, campiture placcate, linearismi di tipo bizantino. Altra opera importante è la
Madonna con il Bambino e due angeli di Meliore. Profusione di crisografia sulle vesti, macorion incorniciato
da linee spezzate, pietre preziose, raffigurazione solenne e ieratica, rispetto alla pittura marcata e a
contrasto di Coppo, qua è schiarita nelle carni, opera come intarsiata e placcata, come oreficeria, composta
nella solennità grafica e sacrale. Gusto degli ornati con pallini bianchi che sono come perlinature, incisione
puntiforme nei nimbi, fregi fogliacei. Sempre di Meliore è la Madonna col Bambino tra San Pietro e San
Paolo a Panzano, mandorla bidimensionale, fondo argento alterato, storiette di San Pietro, coloriture vive
delle rocce e dei muri, intarsio bidimensionale di grande suggestione. Volto amaranto intenso con le ombre
nere, pieghe sventagliate e alcune sono sgualcite. Qualità narrative presenti, allusione alla scena di San
Pietro liberato dal carcere. San Pietro contro il nero puro nella grata, modo di comporre cifrato ed allusivo,
angelo con drappo svolazzante di bizantinismo molto particolare. Chiesa che viene dal dossale e diventa
palliotto, forma duecentesca rettangolare.
CIMABUE
Per affrontare Cimabue partiamo dalla croce dipinta giovanile ad Arezzo, che si impronta a quella più tarda
di Giunta, inarcamento accentuato, filiforme, elegantemente composta anche nella sigla di dolore. Stress
che dall’interno lo mina profondamente, asimmetrie dei pettorali, dilatarsi verso l’alto dà senso di fisicità
incombente rispetto alla linearità di Giunta. Fatta per i domenicani ad Arezzo. Tipologia di Giunta, dolenti a
mezzobusto, Cristo risorto al vertice, sventagliare le ciocche in maniera asimmetrica sul capo, momento
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della morte. Si vede il modo di dipingere figlio dell’ultimo Giunta, traslucenza interna di una materia che
sembra più metallica che carne umana, demarcazioni grafiche, rispetto a Giunta ingrossa, spezza, deforma,
la canna del naso è deformata e non è filiforme come Giunta, articolazioni spezzate, ombra che
gradualmente passa alla luce, luminescenza soffusa, corpi lustrati. Si disgrega il colore apposta per rendere
la morbidezza delle carni. Crescendo Cimabue cerca di rendere la fisicità più naturale possibile. Vergine
della croce di Cimabue, ombra accentuata nel cavo delle occhiaie, lo sguardo muta nell’intensità
dall’ombra, linea che scalfisce lo zigomo, elementi acuminati nella croce successiva che verranno
stemperati in un continuum maggiore. Gesto come quello di Bologna di mantenere un fazzoletto in segno
di malinconia. Mani che si stagliano contro l’ombra in effetto artigliato. Manto azzurro scurito. Dall’altra
parte San Giovanni ha un’intensità psicologica dello sguardo, malinconia di San Giuseppe che ci guarda
intensamente, linee spezzate dello scollo, filamenti di luce e crisografia. Questo è Cimabue negli anni ’60 da
giovane. Gran parte dei suoi capolavori sono distrutti e quello che sopravvive ha avuto vicissitudini
tormentate. Crocifisso di Santa Croce andato semidistrutto nell’alluvione, Dante cantava nel Purgatorio.
Cimabue vuole caricare di intensità naturale la pittura, che è visionaria, solo Giotto rende la
tridimensionalità fenomenica per la prima volta. Nella croce dipinta lo sviluppo di Cimabue da Arezzo a
Firenze è più una crescita visionaria, non è più la S elegante di Giunta, braccia spezzate al livello dell’attacco
con il corpo, va oltre l’effetto bronzato, sagoma immane che si libra nell’aria, trasparenza del perizoma,
idea non nuova ma con interpretazione mai vista. Far vibrare le superfici ed intenerirle. È faticoso risalire a
Cimabue perché non ci sono attestazioni scritte delle sue opere tranne un mosaico. Nel crocifisso di
Firenze il perizoma è trasparente contro quello rosso di Arezzo, la crisografia viene arginata, uso del verde
terra accentuato, stemperare e sfrangiare linearismi nei tratti del volto. Evidenza delle rotule, assorbita in
un continuum pittorico che non rende ancora l’anatomia perfetta del corpo ma supera la marcatura
precedente. Pittoricismo che lavora sui fianchi e sui margini, convivono effetti di pittoricismo struggente
con le marcature che trasformano i volti in maschere ammaccate, rendere l’idea del pathos in maniera
non proprio graziosa. Si ingrossano i volti nei sofferenti, tornano le idee della mano che arpiglia lo zigomo,
minare dall’interno i linearismi, bordi tremolanti, linea sottilmente ondulata per dare tremore flebile. Si
distanzia molto da Giunta, rispetto al senso ritmico dei tratti affilati, gonfiarsi di pathos. San Giovanni di
Arezzo e Santa Croce hanno la caratterizzazione psicologica molto profonda, crisografia limitata alle liste sui
bordi, scalpitura dello zigomo che non c’è più.
Salerno di Coppo, pittura non propriamente cimabuesca, ma da vicino si vede un modo più pittorico, a
Pistoia. Mano che si affloscia rispetto a quelle stellate di Giunta. Nel volto c’è qualcosa di rincagnato, nuova
espressività cimabuesca con ingrossamenti. La pittura è iterata, affilata, chiome della barba e capelli con
linee concentriche, è più arcaico.
Di Cimabue abbiamo una Maestà fatta per i francescani di Pisa, è una delle sue opere più rappresentative,
grandi maestà che erano fissate nel tramezzo, committenza collettiva, poi si svilupperanno i polittici.
Laudesi che l’hanno commissionata. Forte aurea di sacralità, odeghetria (Madonna che addita la via) con
Bambino benedicente. Il gesto è dato verso la Madonna, ci appare schiacciato perché ancora non c’è una
resa della terza dimensione. Madonna appollaiata con gambe sfalsate, Cimabue non sa scorciare bene i
volumi, il trono è bizantino. Non è nemmeno frontale ma in diagonale, Cimabue persegue elementi di
volumetria e di scorcio, non c’è un chiaro piano di posa, gli angeli stanno uno sopra l’altro per idea di horror
vacui, scivolano in primo piano con calzari rossi come delle silhouette. Costruito con simmetria, anche di
colori, ali a scaglie di azzurro e rosso che sfumano fino al bianco puro abbagliante. Penne soprane scure e
dorate sopra. Panneggio fasciante, rendere il corpo avvolto, coscia scorciata che però è scivolante. Effetto
di figura che si libra in aria. Doveva avere dei colori più intensi, anche di rosa, verde e turchese, non molto
delicati. Gusto cromatico che ancora non è quello di Duccio. Ingrossamento del naso, occhiaie che
diventano quasi occhiali. Occhio con sclera sporcata, malinconia dello sguardo. Bambino con orecchie a
sventola. Mano della Vergine che ha una sforbiciatura bidimensionale. Cimabue crea dei problemi che non
sa risolvere, Giotto suo allievo darà una sterzata decisiva verso il telaio costruttivo dei volumi. Volti degli

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angeli che nei dettagli vedono linearismo. Questa Maestà viene rielaborata nella Maestà di Santa Trinità
agli Uffizi. È una delle più rovinate, trono frontale, è ambiguo, colore del legno ma con decori di intarsi
marmorei cosmateschi. Posa degli angeli simile, tratti meno marcati degli angeli, linearismo assorbito. È
opera degli anni ’90, ultimo Cimabue che rende i volti un po’ più dolcemente sfumati.
Decorazione di Assisi, scelta che cambia una chiesa quasi cistercense e austera nell’attuale decoratissima.
Papa Nicolò IV sceglie che bisogna decorare. Inizialmente viene chiamato il maestro oltremontano che
inizia nel transetto destro in alto. Fa il transetto destro e sinistro. Cicli narrativi della parte bassa della
parete, enormi riquadri, tribuna con il Culto della Vergine, transetti aventi a sinistra immagini di Angeli e
ciclo dell’Apocalisse, a destra Morte della Vergine.
Pittura oltremontana ancillare, cicli istoriate di sculture e vetrate, la pittura è ancora ornamentale, è anche
qui tutto bidimensionale. Cimabue deve continuare, riveste le incorniciature di decori cosmateschi alla
romana, chiude con trabeazione orizzontale, mosaico cosmatesco dipinto, angeli che si affacciano da
architettura che sembra ancora romanica, contenere il linguaggio gotico, capitelli a crochet. Nel triforio il
maestro oltremontano aveva fatto teoria di apostoli, Cimabue invece nel triforio raffigura 3 arcangeli che
spariscono nelle colonne. Elemento delle incorniciature cosmatesche fondamentale, in cima alla tribuna
dipinge i medaglioni, mensolato illusionistico presente anche in rinascenze tra XI e XII secolo, maniera
decorativa. Mensole che vengono riprese da Giotto e razionalizzate. Zoccolo della navata sul ciclo
francescano, le allargherà verso l’esterno, al contrario di Cimabue, che convergono. Fascioni dei costoloni
con decori finto-marmorei che caratterizzano la volta. Crociera degli Evangelisti sopra l’Altare Maggiore: 4
evangelisti. Fondo dorato, frammenti minimi, evangelista con città, attributo dell’evangelista. Fascioni
ornati che si trovano nella 3° campata di Iacopo Torriti e 4 dottori della chiesa occidentale: Girolamo,
Ambrogio, Agostino e Gregorio. Cimabue realizza le vele con horror vacui, infilati in un pennacchio, si
incastrano. Italia rappresentata con la città di Roma. Monumenti ammassati ma riconoscibili. Trono degli
evangelisti fatto a rocchetti incastrati, con oro e angelo che piomba a capofitto. Colore delle ombre che
rende l’arancio, colore nero della biacca ossidata, dovevano essere colori bianchi raggianti. È fortemente
espressivo, il San Marco si agita. Fatto di usare oro sul muro molto raro, esibizione sontuosa di materiali
incredibili. Teste di cherubini e serafini che non sono alterate, c’è la biacca, pittoricismo, pittura
compendiaria. I transetti avevano due enormi crocifissioni sul lato orientale dei bracci del transetto. Il coro
stava dietro l’altare. 4 crocifissioni, altre due sono nella Basilica Inferiore. 4 storie dell’Apocalisse, San
Giovanni a Patmos riceve la rivelazione, ci narra storie della visione, orchestrare visioni corali che avevamo
visto solo nella miniatura carolingia. Visione dell’Agnello mistico, aparousia, tetramorfo, trono con agnello
venerato da 24 vegliardi, che da piccoli diventano grandi e iterano il gesto con il braccio proteso. Schiere
degli angeli che si fanno grandi e volano con le gambe a punta. Regia polifonica e grandiosa
nell’orchestrare la visione turbinosa. A volo d’uccello si vedono i flutti con pesci particolari.
Morte della Vergine, San Paolo ha il nimbo che si infila tra due archi, raffigurare davanti e dietro. Concetto
mentale che denota un problema posto di profondità ma non ancora risolto. Profeti e angeli che
partecipano alla morte della Vergine. Emergono idee nuove. Cristo tiene l’animula, horror vacui. Le altre
due vedono la Vergine che ascende al cielo, in basso c’è la tomba vuota e fiorita, drappo che esce. Vergine
abbracciata con il figlio, che la porta in cielo in una Mandorla. Avrà fortuna in Umbria questo tema. Ripresa
del cantico dei Cantici, scritto da Salomone, canto d’amore in realtà, interpretato dai cristiani come
Madonna e Cristo.
Famosissima è la crocifissione di Assisi. Sa rendere la coralità, è medievale nelle gerarchie con Cristo
gigantesco. Vergine, San Giovanni, Maddalena urlante. Spicca il Longino con il braccio proteso e più piccolo
San Francesco. Narrazione tonante, bianco ossidato. Non c’è lo svenimento della Vergine. Cose identiche a
Guido da Siena. Pittura più tenera e meno astratta. Calzari non alterati e molto delicati. Gesti diffusi negli
anni ’60. Nel sottarco del transetto degli angeli c’è un angelo non alterato. È fatto a calce, groviglio di
pennellate che diventano effetti di arrossamento. Pittoricismo con pennellate sfrangiate. Oros gemmato
bidimensionale, carnalità che preme.

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Manfredino di Alberto suo seguace, fa un catino a Pistoia nel San Bartolomeo. Vigoroso da Siena che si
avvicina molto a lui.
Chiudiamo Cimabue con il mosaico di Pisa. Occhiellature e panneggi fissi che sono proprio esempio delle
sue raffigurazioni. Vediamo come la maestà di Santa Trinità volumi meno spezzati, tono più sorridente.
Duccio capisce che Cimabue è il pittore da cui partire. Nello stesso momento a Roma lavora Jacopo Torriti.
Dipinge il Sancta Sanctorum. Ad Assisi fa la 3° volta con la Deesis, clipei giganteschi con Cristo, Maiestas,
Vergine, Intercessore, San Francesco, riprende molto la tradizione bizantineggiante, anche avente
sfumature simili a Cimabue. Capolavoro è abside di Santa Maria Maggiore, tessere sfumate dorate,
luminescenza straordinaria, recupero della tradizione. Al vertice velario, volta del cielo, lessico tardoantico,
paradiso terrestre. Arte aulica e solenne.
DUCCIO DI BONINSEGNA
Commissione della Maestà dei laudesi a Santa Maria Novella. Documento del 1285 è il primo contratto che
conosciamo, dà delle indicazioni generali ma dice cose vincolanti come prezzo e materiali. Per Vasari è di
Cimabue perché sono simili per i modelli, molto. Varianti importanti nella tradizione pittorica e ornativa,
nell’oro, negli angeli inginocchiati sul nulla. Cosce affusolate che traspaiono in un panneggio
stupendamente dorato. Bifore e trifore gotiche. Novità importante emersa nel restauro, lumeggiatura delle
pieghe che cadono a piombo, cadevano infagottate nel corpo. Biforine gotiche che lasciano intravedere da
dietro, piegoline increspate, assecondano idea di volume che si sta facendo strada, pittore prezioso molto
più di Cimabue. Vediamo a confronto i Bambini, in Duccio emerge una sottana trasparente, lascia trasparire
il corpo fino all’ombelico. Addolcimento del volto della Madonna, angeli genuflettendosi hanno il vertice
nella gamba, luminescenza del volume affusolato della coscia sottostante. Demarcazioni che superano
piano piano. Vertice di granitura, punzoni, incisione a mano libera. Si stemperano, filettature dorate a
missione, trasparenza contro azzurro, carni intraviste. Mani come quelle di Cimabue, presa non Giottesca,
effetto di ritaglio, ma si pone il problema della mano che deve stringere.
Madonna col Bambino di Siena, oro e pittura ben conservati, Vergine advocata, mani a cucchiaio stilizzate
e piatte, Bambino protende il braccio e prende il maforion, Cristo afferra un velo trasparente con cuffia
rossa. Si stagliano due angeli, dimensione celeste dell’oro, appoggiano le mani sulle nubi come se fossero
tridimensionali. Vetrata del Duomo di Siena, tunica rossa e verde, trono marmoreo, non in maniera
rigorosa come Cimabue e Giotto ad Assisi, trono non ligneo, traliscio con arcate traforate che sbordano
nella cornice. Tavoletta che sta a Berna, vetrata che non ha più il trono ligneo, cantiere di Assisi, recupero
del cosmatesco. Lavorazione presso la bottega di Duccio. Negli anni ’90 Madonna Stoclet, comprata per
38mln da New York. Opera straordinaria, valore aggiunto per i modiglioni, davanzale in primo piano.
Delicata grandiosità, tenerezza con Bambino che tira il velo della Madonna. Indice teso verso il basso,
intercessione che indica l’umanità al di là del davanzale, identico alle mensole di Giotto. Madonna del
davanzale che crea un tema grande. Duccio è coinvolto in sperimentazioni.
Arriviamo alla maturità del XIV secolo con la Maestà per l’altare Maggiore del Duomo. Ibrido, importanza
capitale, nasce alla fine del ‘200 tra Duccio e Giotto, salto di qualità con macchine più complesse in altezza.
Non è solo un nostalgico della tradizione bizantina ma è molto rivoluzionaria. Dipinta su due lati, 6x6 metri,
fu portata facendo fare il giro di Piazza del Campo. Duomo di Siena palcoscenico politico e civico, comune e
chiesa intrecciati perfettamente. Per questo si entrava dal retro, cerimonie solenni, tutto intorno alla
Madonna protettrice di Siena. Coro raddoppiato poi con retrocoro. Il retro ha un ciclo narrativo. Era quindi
costituivo di un polittico gotico a tutti gli effetti. Nasce la predella narrativa, con 4 registri di cui l’ultimo è
dato dalle cuspidi. Storia inizia con Annunciazione, poi infanzia di Cristo, storia poi girava sul retro, che si
leggono dal basso verso l’alto. Storie della morte della Vergine in asse con l’Annunciazione davanti.
Passione di Cristo, è genuflesso, l’apostolo indica la testa perché i piedi sono umilianti per lui, capacità di
narrare, assembramenti di figure non compatti ma come fossero onde del mare. Rapporto con architettura
che presuppone Giotto, figure ritagliate davanti, verde pistacchio e rosa, narrazione sapientemente

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ripartita. Annunciazione, tema di Vergine spaventata che modera i toni rispetto al linguaggio duecentesco.
Archi ogivali scorciati, Vergine racchiusa nella loggia, figure interferiscono per creare ritmo narrativo sciolto.
Disputa di Gesù fra i dottori, figure tutte davanti in diagonale, dare ruolo alla Vergine e a Giuseppe. Scena
che ha simbologia fortissima, congedo dai genitori, missione divina di Cristo. Tentazione di Cristo sul
Tempio, bifore che lasciano intravedere l’interno, scorcio scuro, intravedere architettura bianca e nera di
Siena. Tentazione sul Monte a New York, mondo in Miniatura, rocce tridimensionali, assortite da colori
delicatissimi. Scenario urbano che suggerisce anfratti e vicoli. Ingresso a Gerusalemme con coralità che
viene da Cimabue, tutto è rampante. Crocifissione riprende Cimabue in molti dettagli ma è tutto più
smorzato.
Si chiude con affresco di un manifesto politico dei castelli, Castello di Giuncarico comprato. Staccionata,
rocce verdi e turchese, dialoga con Giotto ma con più colore.

7. CENTRALITA’ DI ASSISI E ORIGINE DELLA


RIVOLUZIONE GIOTTESCA
BASILICA SUPERIORE DI SAN FRANCESCO DI ASSISI
Giovane Giotto che ha la commissione delle 28 grandi scene delle storie Francescane della basilica superiore
di Assisi. Impresa avviata da Niccolò IV, primo papa francescano. Si data dopo il ’96. Altro ciclo di Giotto è
nella cappella Scrovegni a Padova nel 1300, che presenta un’evoluzione più profonda rispetto al ciclo di
Assisi. Tutti i tentativi di spiegare la paternità del ciclo di Assisi, conducendola al ciclo romano, non ha una
certezza propria. Giotto arriva cominciando dal transetto destro dopo il maestro oltremontano e Cimabue,
4 grandiose campate. Dietro ai francescani c’è il papato che vuole rendere quella chiesa straordinaria,
essendo essa una meta importantissima di pellegrinaggio, contro l’originale austerità cistercense. Assisi è
un modello anche per questo. Progetto preciso ed unitario, scelta di svolgere nella parte bassa le storie di
San Francesco, punto di arrivo di progetto ben concreto con le 3 crociere importantissime, la prima di
Cimabue con gli Evangelisti, poi la seconda la Deesis di Jacopo Torriti e poi la terza già di Giotto con i 4
dottori della chiesa. Egli si affaccia nella seconda campata, parete destra, con due storie di Isacco. Maestro
di Isacco. Manifesto con cui Giotto giovane si afferma. Dall’alto verso il basso, dopo aver fatto questa scena
stupefacente gli viene affidata la volta dei Dottori. Il ciclo va dal fondo verso la facciata, gli affreschi si fanno
a giornate che scendono dall’alto. Nei registri alti, ai lati delle bifore, storie di antico testamento a destra e
nuovo a sinistra. Zoccolo aggettante che ospita un ciclo dedicato solo a San Francesco con 28 scene che
scivolano in controfacciata e riprendono dall’altra parte. Giacobbe respinge Esaù primo affresco di Giotto.
Finta architettura per squadernare lo spettacolo del mondo contemporaneo del santo. Tema congeniale
per attualizzazione naturalistica che Giotto mette in campo. Storie della Bibbia a destra e Vangelo a sinistra.
Le sequenze è importante, il ciclo francescano parte dal fondo a destra, gira nella controfacciata e poi va a
sinistra. Francesco è Alter Cristo, riceve le stimmate e la morte in corrispondenza con la Crocifissione. Storia
del Vangelo in controfacciata, Ascensione e Pentecoste. Regia molto importante delle scene. Non
considerarle come figurine isolate ma nel tessuto connettivo che le qualifica. Torriti e Cimabue si
susseguono con cornici rosse, Giotto inventa l’illusione strutturale, rende le colonne tortili, capitelli, basi,
sventagliando e scorciando tutto con punto di vista assiale. Non è ancora prospettiva, ma rende lo spazio e
volume, avvitabili e straordinari. Nasce una sommatoria di dettagli, scorci, senza prospettiva
brunelleschiana. Colonne tortili annerite per il bianco scurito. Le prime tre scene del ciclo sono in fondo alla
parete destra. C’era un moncone che ha condizionato il ciclo, il primo ciclo è proprio l’ultimo ad essere
eseguito, per la complessità del luogo. Punto di inizio e di arrivo della narrazione di Giotto. Si parte dal
linguaggio della seconda scena, che ha effetti molto aggressivi sulle rocce, di retaggio cimabuesco,
arrivando con l’omaggio dell’uomo semplice, in una direzione di una pittura più sfumata del Giotto maturo.
Dare importanza alle cornici risposta al maestro oltremontano, illusionismo nordico che diventa con Giotto
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architettura Romana, ispirazione papale da parte di un artista che era già stato a Roma, esibendo colonne
tortili, tessellato cosmatesco. Non è stilistico o formale. La cultura romana che più si avvicina al ciclo di
Assisi è Pietro Cavallini. Da vicino vediamo i modiglioni, mensole viste in Cimabue, recupero di temi
decorativi già presenti nella Roma del XI secolo, sono articolate campata per campata per dare un
illusionismo. Mentalità imprenditoriale di mettere bottega con collaboratori, è alla base del suo successo
con l’aspetto peripatetico, portandosi garzoni locali dovunque andasse, portando quegli elementi più
importanti dei luoghi. Triforio della prima campata, sottarchi cosmateschi che sono solo illusione pittorica,
anche le colonne sono dipinte a finto porfido e serpentino, scrigno sfavillante di illusione. Cornici che
qualificano l’architettura reale, il maestro oltremontano francesizza l’architettura già nordica di Assisi,
Cimabue la romanicizza. Storie di Isacco di Giotto, propongono la scatola spaziale, stratagemma che Giotto
utilizzerà a Padova al massimo livello, box che corrisponde con la cornice. Vuole dare spessore allo spazio
rendendolo abitabile. Scorci di volumi, panneggi, volti a 3/4 , nasi a spigolo vivo, riconquista della 3°
dimensione. Gesto della mano di Esaù che dona le lenticchie ad Isacco, che capisce il tranello e lo scaccia.
La madre apre la porta di servizio per far fuggire. Impalcare le scene su uno spazio calpestabile, capacità di
rendere la narrazione attraverso i gesti. Sembra una scena anche troppo solenne, aurea dell’anziano
morente, già c’è un’interazione classicista. Variopinta, bottega che traduce il nuovo linguaggio in modo più
colorito e meno lucente. Storie di Isacco come manifesto programmatico, la testa del vecchio Isacco gira,
con canna nasale e zigomi che vengono scavati dalla luce, geometrizzazione che il linguaggio bizantino non
ha proprio. Resa della terza dimensione attraverso contrasti di luce e ombra, come Cimabue, ma che
supererà. Aspetti taglienti e metallici come il maestro, sclera rigirata molto naturalistica per la sua cecità.
Esaù ha dei dettagli molto importanti, cavo d’ombra nella mano, polpastrelli, ombra che rende tutto
realistico e volumetrico. Sperimentazione incredibile. Volto di ¾, Giotto stesso poi riuscirà a dare il profilo.
Stretto retaggio Cimabuesco. Evidenziare il petto, braccia e gambe. Panneggiamento intorno al materasso e
al corpo di Isacco, angeli di Duccio che erano impalpabili, qui c’è una ratio per ogni dettaglio. Ancella dietro
con una rotondità riconquistata della mano riportata al petto. Lustri che evidenziano proprio un panneggio
arrotato che fa sentire il corpo sottostante. Testa di Isacco a confronto con la testa del sultano di Giotto.
Teste del ciclo disegnate da Giotto ma fatte dai collaboratori umbri, schiacciano il volto, non riescono a
dare il volume tipico di Giotto, ma si evidenza il modo in cui si rende la pelle, la barba, come si rende il
panneggio. Dopo le due storie di Isacco, si passa alla prima campata, con le pareti alte. Sono rovinate, ma
vediamo il Compianto del Cristo Morto. Tema dell’abbraccio appassionato della Madonna, guancia a
guancia con Cristo. Resa di sentimenti meno teatrale, la Vergine guarda il figlio più distaccata, acutezza
diversa da quella di Giotto a Padova. Figure che si genuflettono ai lati, si dispongono in maniera scandita.
Dietro le figure decrescono di proporzioni verso il fondo in maniera ragionata. Nicodemo e Giuseppe di
Arimatea. Due pie donne che sono più piccole di Giuseppe d’Arimatea, per la lontananza fisica verso il
fondo, naturalisticamente. È duro, tagliente nel colore perché c’è della bottega, ma le maschere sono più
fisicizzate e sentimento interiore, non come Cimabue. Primissimo tentativo, parte dalla pittura disgregata di
Cimabue, rendendola sfumata e realistica. Scendendo in controfacciata abbiamo le scene della Pentecoste
e dell’ascensione, sperimentalismo del giovane Giotto, linguaggio di Protogiottismo che promana da Assisi
più che da Firenze. Viene imitata la resa delle architetture tridimensionali, spigoli vivi di fortissima
geometrizzazione quasi se i volumi si incastrassero. Assisi come grande palcoscenico di sperimentazione.
Pentecoste in controfacciata, dividere a metà le scene, le figure non vanno mai oltre la metà superiore,
che è consacrata allo spazio, architettonico o naturalistico. Affronta le architetture abitate. Dispone Vergine
ed apostoli in esedra, Apostoli sono seduti, è il primo tentativo sperimentale di ciò. Inventa una loggia
pensile con 3 arconi voltati a botte che sbalzano in fuori, vengono in avanti, architetture illustri ed
elaborate, architettura vicina ai cibori di Arnolfo. Architettura fantastica, archi rampanti forse, ma
assomiglia ad un ciborio arnolfiano. Elaborazione colta e sapiente, segreto di Giotto, lui cura ogni dettaglio,
sculture scorciate da sotto verso il sopra, senso suggestivo di spazio che non è ancora prospettico ma di
grandiosa forza.

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STORIE DI SAN FRANCESCO
Parete destra, le prime storie vedono pochi protagonisti, poi è come un’onda che trascina via via più
proseliti. Sono sempre più corali, per raggiungere alla morte, alla quale assiste una moltitudine di persone.
Dal semplice al complesso, si parte da essenzialismo di poche giornate, poi cambia anche la tecnica. 4°
scena del ciclo a sinistra, Visione del Crocifisso di San Damiano. Il crocifisso gli parla, la chiesa crolla ed è da
riparare. Missione di riparare figuratamente la Chiesa di Roma. Prova a rendere l’interno con esploso di
edificio che per metà è un rudere, ci dimostra la struttura che più che in crollo sembra in costruzione.
Frammenti che vanno a comporre la chiesa, rimandano a Roma con la trabeazione, coro basso delle
basiliche romane ornato alla cosmatesca, disegni antichi di San Pietro nelle navatelle laterali, ha delucidato
una chiesa romana, per rendere ancora di più la restaurazione metaforica della Chiesa. Elementi esterni
affiorano in luce, quello che è dentro è abbassato. Francesco in intercolumnio, scorcio impressionante del
Crocifisso. Sagoma di San Francesco che ha pieghe più diradate, rendendo la figura scampanata per il gesto
di sorpresa.
5° scena al centro dell’ultima campata, conversione di Francesco. Capacità di giocare tra i Pieni e i vuoti,
contrasto drammatico tra Francesco e il Padre iroso, trattenuto a stento dagli amici, bambini gli lanciano
delle pietre. Rinuncia alla vita mondana, Francesco si affida a Dio, esce la dextra dei dal cielo, figure
aggettanti, cubizzazioni schematiche di elementi trabeati, rendono l’aggetto tridimensionale. L’arco è la
cosa più difficile da scorciare. Limite di frammentarietà ed episodicità, per il 1290 è rivoluzionario però.
Ombre gettuali, devono far emergere con sbalzo quegli elementi. Edicole di tradizione romana e
classicheggiante.
Scena seguente della campata dopo con il sogno di Innocenzo III, approverà la regola. È nel cubicolo con 2
cubicolari seduti a terra, senso di gonfiore del panneggio che evidenzia le ginocchia e le gambe sottostanti.
Scena del Maestro di San Francesco nella basilica inferiore che ha un edificio che gli frana addosso, era
raffigurato come uno smunto, patito e sofferto, Giotto invece lo rende sano, atletico, positivo, incarna i
valori della casta mercantile. E ciò si vede in questa storia. Al tempo stesso va sottolineato che le 28 storie
sono basate sulla leggenda di San Bonaventura, impregnato di scrittura scolastica, mettere Francesco in un
piano diverso da altri santi, secondo visione escatologica che Giotto rende con miracoli, aurea mistica.
Storie di Giotto traducono la prospettiva di Bonaventura in una verità impressionante.
Innocenzo III conferma la regola francescana, scena di udienza, scatola spaziale, box avente una faccia che
coincide con il prospetto del riquadro stesso, come se si aprisse una faccia e si vedessero delle pareti.
Modiglioni potenti della parte superiore, arcate al fondo, cardinali e vescovi disposti intorno al Papa un
po’ a nicchia. Singoli oggetti architettonici sono un po’ il grimaldello della narrazione. Svolta rispetto al ‘200
con arti orafe e smalti, è cromaticamente diverso, sai grigi e marroni, varia via via di sfumature, toni bassi e
medi. Visioni mistiche.
Visione di San Francesco che ascende al cielo. Compagno sveglia gli altri, vede in cielo Francesco come il
nuovo Elia che ascende sul carro di fuoco, visione resa in senso naturalistico, gestualità dei 3 svegli in piedi
rievocano i Magi. Architetture con colori delicati, saio che casca in fondo alle maniche, determina studio di
volumi, primo Giotto, cubetti di lego a spigoli vivi delle sue prime architetture.
Prova del Fuoco davanti al Sultano in Egitto, le scene non vanno mai oltre alla metà, che deve costruire la
narrazione. Scena esotica, scultura romana e cosmatesca, genietti dorati come puttini classici, tono pagano
dell’ambientazione, prova del fuoco che viene attraversato incolume, sacerdoti del Sultano che scappano
impauriti, Francesco è calmo, platealità dei sacerdoti, gesti delle braccia protese. Mitezza che vince
l’arroganza del sultano. Il trono era tutto in oro ma si è rovinato. Pittore universale, dettagli con notazioni
penetranti. Tutto si ricompone in una misura. Pochi artisti possono meritare un epiteto di classico come
lui. Ad Assisi la narrazione era forse eccessiva, è vero per l’esecuzione di bottega, un conto è raccontare le
scene di Cristo, un altro quelle di Francesco. Scene più istruttive sono il Presepe di Greccio e la Ricognizione
delle Stimmate. Rappresenta le scene dentro una chiesa.

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Presepe di Greccio. Ciborio arnolfiano, chiesa di tutt’altra solennità rispetto a Greccio. La seconda era la
porziuncola, che è piccolissima ma è come se fosse la basilica superiore. È più grandiosa e monumentale.
Vuole dare le due scene raffigurando il mondo contemporaneo. Uno ha un tramezzo effusivo, l’altro ha una
trave, uno è visto dietro il tramezzo, l’altro dal fondo verso la trave, è programmatico. Francesco inventa il
Presepe, miracolo del Bambino che cambia aspetto e diventa Gesù vero e proprio. Fanno irruzione i laici, le
donne si fermano al di là delle porte del tramezzo. La parte esterna si chiamava anche “Chiesa delle
donne”. Dettaglio di moda, oggetti e manufatti che diventa dettaglio iconografico e realistico. Sebbene la
chiesa di Greccio e la Porziuncola non fossero realistici, nel dettaglio il paesaggio e gli oggetti sono veritieri,
non sarebbe stato possibile senza il Santo ideologico e Culturale di Assisi. In Roma non è mai successo. Si
possono esplorare tantissimi dettagli del Presepe. La croce è vista da dietro. Trabiccolo con fune e
campanelle. Pulpito visto da dietro, dalla scala di accesso, vediamo i candelieri, il leggio, i frati che cantano,
libro corale con candeline accese, foglietto con rubricature, calendario liturgico, descrizioni molto attente.
Ciborio di Arnolfo di Roma. Dall’altra parte, nella Ricognizione delle Stimmate, Girolamo che infila la mano
nella ferita del petto e le accerta. Esercizio Giottesco, figura che crea scansione di volumi e di spazi. Profilo
perduto di una figura in movimento in primo piano. Scena molto affollata e corale, Greccio è alla fine della
parete destra. Interessanti sono le tavole appese alla trave, che ci fanno capire come stavano le Maestà e le
raffigurazioni agiografiche. Crocifisso di Giotto e Madonna di Giotto a Santa Maria Novella. Ampolle di vetro
con olio. Attenzione agli aspetti di cultura naturale. Ciborio Arnolfiano con angeli che reggono la ghirlanda,
cercilli, cilindri stilizzati con le foglie, loggia con prospetti in luce, fianchi di ombra leggera, costruzione
ragionata.
Parete sinistra, predica davanti ad Onorio III, descrizione della regola dei francescani, scatola tripartita.
Aperta da 3 fornici gotici, pennacchi cosmateschi, colonne che cadono in primo piano, le figure sono dietro.
Profilo del volto ed elementi che fanno capire che sono in secondo piano. Curia disposta in esedra, rendono
perplessità.
3 step di evoluzione dell’architettura con imbotti scrociati. Si parte da schematicità fino ad arrivare
all’illusione con la luce. Apparizione miracolosa di Francesco al capitolo di Arles. Creatura sfuggita di mano,
si allontana dal movimento troppo strutturato dei suoi seguaci, va alla Porziuncola, i minori hanno come
riferimento l’ultimo Francesco con Stimmate. Era apparso miracolosamente secondo Bonaventura, si era
ritirato ma era sempre il riferimento luminoso dei francescani. Antonio da Padova con corpo robusto.
Francesco appare con braccia aperte nel tau, con frati dai vestiti cangianti. Scatola spaccata e aperta su due
lati, è riconoscibile la porta con due finestre che affaccia sul chiostro, è così per tutte le sale capitolari degli
ordini. Ombre che sbalzano le arcate.
Scena delle stimmate di San Francesco. È solo con un testimone, frate Leone, che attesterà Francesco che in
preda ad un momento di smarrimento, visitato da un Angelo, quello del conforto, che gli preme le
stimmate. Monte Averna come luogo aspro e roccioso, congeniale per la resa tridimensionale di Giotto. Si
porterà questo tema fino alla fine, Cennino Cennini dice che per rendere una montagna bisogna prendere
un sasso scheggiato e renderlo naturale. Montagna dove alberi sono semiacoli di spazio, girano dietro al
costone, moderazione espressiva. Scena delle Stimmate con Francesco che ha 2 ginocchia a terra e si
slanciava verso il cielo, qui ha solo un ginocchio a terra e alza moderatamente le braccia al cielo.
Omaggio dell’uomo semplice, ultima scena raffigurata. Tempio della minerva e palazzo comunale della
piazza di Assisi. Siamo lontani dal ritrattismo, colonne esilissime, sono 6 colonne ma ne fa 5, è come se
fosse un architetto. Mette la colonna dispari per mettere in asse. Mette un ciborio arnolfiano che non c’è.
Francesco sorride, idea della raffigurazione del sorriso in linea con il naturalismo europeo gotico, non c’è lo
spigolo vivo della canna nasale, diventa affusolata, orecchio sotto la cuffia, non si era mai visto ciò in
pittura, sono in Antelami in scultura però. Profilo viene scorciato senza deformare un uomo, carni rosate
sfumate, contro il lustro metallico del ciclo di Isacco. Profilo e volto sorridente di Francesco, Pentecoste ed
Ascensione in un tondo grande. Illusione con il bambino che si agita. Mano pensosa. Velo trasparente del
maforion, si intravedono i capelli sotto.

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CROCE DI SANTA MARIA NOVELLA
Opera documentata dal testamento del 1312. Immagini per i laici nel tramezzo, croce per antonomasia.
Attendibile riferimento del popolo, figlio di un fabbro che lavorò a Santa Maria Novella. Strettamente
collegato alle storie di Isacco, opera rivoluzionaria. Retaggio Duccesco, gambe flesse. Tensione a rendere la
consistenza dei volumi a partire dal volto. Spigolo vivo del sopracciglio, naturalezza dell’Isacco. Ciocche
fulve, confrontate con il suo Compiano di Cristo Morto ad Assisi vediamo che il linguaggio è identico,
prosecuzione con l’inizio delle storie di Isacco. Labbra schiuse come se stesse esalando.
Madonna con il Bambino e angeli. Opera capitale che stava in San Giorgio alla Costa. Rispetto alle maestà di
Duccio e Cimabue, vediamo angeli con oros vagamente bizantineggiante, dettagli promettenti delle mani
che si aggrappano sui gattoncini del trono, tentativo sperimentale dei 3/4 , resa dei capelli metallico ancora
Cimabuesco. Gambe e piedi sfalsati, emerge la gamba, coscia scivolante come il Cimabue, ratio della resa
dei volumi, ancora molto incerta, ad Assisi sicuramente è più sciolta. È una delle prime cose di Giotto.
Bambino dall’aria grave e matura, potenza corpulenta del bambino, mani e dita sforbiciate, sbucano dal
nulla, cosa straordinaria.
Stimmate di San Francesco, tavola del Louvre, vengono da San Francesco a Pisa. Tavola con San Francesco
che riceve le stimmate, è cuspidata, ancora non c’è una predella, scene similissime a quelle di Assisi, come
delle varianti d’autore. Firmata da Giotto. Posa composta delle stimmate stesse. Non c’è il frate Leone.
Varianti iconografiche. Compare San Pietro. Conferma e predica agli Uccelli. Si va oltre Assisi,
panneggiamento delle stimmate con pieghe metalliche, al fondo vediamo negli alberi le foglie di quercia
descritte come in scultura, massa frondosa, foglie che affiorano in una luce soft e argentata, braccia che le
muove. Paesaggio roccioso, senso tagliente via via affinato, ma sarà sempre roccioso aspramente. Pseudo
predella con ucccelli descritti meglio di Assisi. Sono di vari tipi, descritti con attenzione che Giotto ha per il
naturalismo. Discussione di paternalità di Giotto ad Assisi per il linguaggio che avrà in successione.
CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI
Chiesa fatta da Enrico Scrovegni. Ci sono elementi che rilegano in maniera equivocabile gli affreschi di
Assisi a quelli di Padova. Finti marmi, non sono tanto romani o cosmateschi ma si rifà di più a Venezia. Idea
di Giotto classicista, non si concede troppo. Riconduce tutto all’universale, dettagli sorprendenti. Panneggi
più gonfianti, più sapienti, pittura più soffusa, riemergono dei fili rossi. Variante della scatola spaziale,
parallelepipedo messo leggermente per angolo. Se nella Storia di Isacco si vede anche il fianco, vuol dire
che sono di fianco. Traforare la scena facendola vedere di fianco. Tetto scorciato perfettamente come ad
Assisi. C’è chi nega che le storie siano di Giotto, ma la mano è sempre quella. Dettagli rivelatori che lega
Assisi e Padova 12 anni dopo. Dettaglio della visione dei troni ad Assisi, lumiera tenuta su da una carrucola
con corda, ampolle di Argento. Lumiere descritte in maniera similistica a Padova. Coretti, due vani di pura
architettura, scorciati dal punto di vista assiale con scorcio di crociere. Illusione metafisica di volume
architettonico della lumiera metallica e corda. Spazio impressionante dello scorcio, è più acuto e sottile, se
non è di Giotto comunque proviene da lì e preluderebbe una figura X che ha rivoluzionato l’arte
occidentale, meglio dire che sia di Giotto e basta. Balconata traforata, annuntio ad Anna, dettaglio con
geometrizzazioni di spigoli vivi che ritroviamo nel ciclo asissiate. Camera avvitata, predica ad Innocenzo III e
Oratorio a Padova, luci più sottili ma stesso linguaggio. Francesco che appare a Papa Gregorio IX e Oratorio
Scrovegni, cassettoni simili con ombra velata, effetto di luce particolare.
Cappella di San Nicola ad Assisi, attenzione al crollo in comune accordo con il Ciclo francescano della chiesa.
Importanza del protogiottismo in Umbria. Andato via Giotto dipingono in modo diverso, quasi fumettistico
senza comprensione dei volumi dello spazio. Resa dei volumi e dello spazio che tutti vogliono rendere,
rielaborano Giotto e lo stravolgono, incassi spaziali scultori, ma mai renderanno quello che ha fatto Giotto
stesso.
Scuola umbra. Madonna con il Bambino piace molto e viene rifatta da Maestro del Farneto, che scandisce
con colonne in porfido. Nimbo marciante idea di Giotto. Pittore che mescola cose arcaiche a giottismo. Ci
sono altri che hanno lavorato con Giotto stesso. A Rimini questo si nota, vi va Giotto nel ’97, fa la chiesa di

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San Francesco che Leon Battista Alberti rifarà. Si fa aiutare di maestranze riminesi. Giuliano da Rimini è
uno di questi, senso strutturale di San Francesco, Madonna torreggiante, collage di superfici elaboratissime,
giottismo parziale che è ancora prigioniero della bidimensionalità. Messale datato 1308. Influsso romano e
cavalliniano. Figure paratattiche e colonnari, interpretano Giotto in maniera più aulica. Trittico di Spoleto,
Vergine abbracciata a Cristo, 8 storie della morte della Vergine, semplificate dal ciclo di Giotto. Panneggi di
schiena, figura di apostolo un po’ disgregato e con colore umbro fervoroso, affettuoso. Non c’è chimesis
bizantina ma congedo affettuoso della Vergine. Maestro di Cesi ha lavorato con Giotto, lustrare le ciocche,
rapporto non immediato ma probabile che abbia lavorato direttamente con lui. Architetture sgangherate,
San Giovanni che va dalla Vergine. Modello con scena di Giotto, momento in cui egli muore, ha la visione di
Francesco che va in Cielo. Esercizio di scorcio, tradotto in maniera decorativa, balaustrata. Giottismo
paradossalmente antigiottesco, si imitano le cose a modo proprio. Si prendono soprattutto nicchie,
costolone, finte architetture. Miniatura ancora bizantineggiante. Trono alla bizantina. Anche i lombardi
sviluppano un protogiottismo impressionista a tratti.
Anche in Campania a Napoli vediamo esempi protogiottiste con panneggi scalfiti e metallici che fanno
emergere i corpi.
Non tutto viene da Giotto e Assisi ma anche da Roma
ROMA
Jacopo Torriti, chiamato per i mosaici absidali, oltre che Sancta Sanctorum. Abside di Santa Maria
Maggiore, vesti lumeggiate in oro, linguaggio tardo antico. Storie dell’annunciazione, adorazione dei Magi,
morte della Vergine. Annunciazione di Torriti. Trono marmoreo, parte bassa gemmata alla bizantina.
Sagome tagliate, misurate e solenni, conferisce sagoma aulica e solenne, tutto stagliato contro l’oro. Punto
di partenza della pittura romana, Pietro Cavallini si evolve nel linguaggio.
Cavallini lavora a Roma, dettaglio impressionante, modo meno ragionato e acuto della resa del volto, idea
morbida più indifferenziata. Al di là del dettaglio ravvicinato, vediamo che non c’è mai una descrizione che
vada oltre questa. Corpi ammorbiditi e arrotati, senza la lingua fitta delle storie di San Francesco.
Disciplinata in maniera più soft e sfumata. Cavallini ha un vertice qualitativo in Santa Cecilia con solennità,
chiaro scuro più fumoso, non c’è la grinta del linguaggio di Giotto. Giudizio finale, una scena che deve
essere per forza solenne ed aulica, rapporto tra Cristo e trono, è gemmato e ligneo, ritagliato sopra, valore
di volumi, cascate di luce e di colore delle ali degli angeli, colori e luci standard che egli ha. Frequenta
Giotto ed Assisi, si innova lui su queste modernità. Affinità con Giotto, è ancora acerbo ed embrionale.
Santa Cicilia, stessa scena di Isacco che respinge Esaù, corpo che si stira, luci soffuse, nulla di comparabile
con l’acutezza e la grinta della storia di Isacco. Artista prediletto di Bonifacio VIII, mosaico perduto nella
tomba in collaborazione con Arnolfo. Figure colonnari, stereotipo. Solenne ed iterato, va a Napoli e lascia
degli affreschi nella cappella Brancacci. Diventa un pittore di seconda fila, parabola involutiva, in Giotto è
sempre incalzante. Oblò scorticati, limite ludico molto lontano dalla visone giottesca. Misura, ratio diversa.
Mosaici di Santa Maria in Trastevere. Sant’Anna, con volto incorniciato dal Maforion, elmenti scorciati da
sinistra alla destra, tangenze con il mondo di Assisi e di Giotto, stereotipia dei panneggiamenti che non
denotano i corpi. Annunciazione teatrale, nicchia scorciata, volte a crociera laterali, dettaglio decorativo,
non ha un senso realistico narrativo, angelo avventante con sventagliamento delle ali decoratissime.
Purificazione di Maria, vecchio barbuto alla bizantina, corpo diviso tra luce ed ombra, schematizzazione sui
toni medi, gradualità dei trapassi. Rendere il volume colonnare contrapponendo luce ad ombra.
Architetture al di là degli scorci che collidono tra loro, non hanno senso chiave di logica. Governa la
paratassi, allinea le figure sul piano. Stesso soggetto che non c’è ad Assisi ma a Padova, elementi simili
iconografici, protende un braccio, che in Cavallini è gesto di advocata, in Giotto è aneddotico, vuole tornare
dalla madre. Vergine in diagonale più in avanti, gesti che interagiscono tra di loro. Costruite sulla scena,
scalando i piani. Ciborio stesso. Esedra dei 12 apostoli che diventano di quinta, invece a Roma sono allineati
alla superficie.

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8. ITINERARI DI GIOTTO E NASCITA DELLE SCUOLE
REGIONALI
PADOVA
Enrico degli Scrovegni crea a Padova una chiesa particolare e illustre, è privata e anche pubblica, dedicata
all’Annunciazione, è ad aula, voltata a botte con scarsella al fondo, finestre solo sul lato meridionale. La
genialità di Giotto è legata ad una situazione precisa, rispetto al loggiato delle storie di San Francesco, il suo
illusionismo da architettonico diventa scultoreo. Zoccolatura alla base di finti marmi in gara con San Marco
a Venezia, 7 virtù e 7 vizi contrapposti. Ciclo narrativo su 3 riquadri, andare in alto oltre il limite
dell’imposta della volta, dà l’impressione di andare oltre i confini, andando all’inizio dell’imbotte. Abbiamo
le storie di Gioacchino nel primo registro della parete sud e in arco trionfale, le storie della Vergine nel
primo della parete nord, con Annunciazione e Visitazione in arco trionfale, nel secondo registro della parete
sia nord che sud troviamo le storie di Cristo, che continuano nel terzo registro nord e sud con le storie della
Passione di Cristo; il tutto termina con il Giudizio Universale in Controfacciata. Quest’ultimo è tradizionale
da Torcello e Sant’Angelo in Formis in poi. Si fa raffigurare Enrico degli Scrovegni che offre il modello della
chiesa stessa. Sistema di finti marmi di tipo scultoreo, in fondo abbiamo illusione architettonica dei coretti.
Coretto di destra, illusione, al posto di mettere un’altra scena, Giotto decide di bucare la parete
raffigurando delle tribune finte, con scorcio dal basso all’alto con verso la crociera. Illusionismo e spazi
straordinari. Aspetti stilistici con resa corporea misurata, panneggi scampanati che scivolano dalle spalle giù
con pieghe scanalate e scorciate nei dettagli. Virtù con profilo e leggero ¾, registro cromatico abbassato,
colori molto luminosi e ombre trasparenti. A secco vediamo dorature a missione, che sono disciplinate.
Pavimenti realistici, rispecchiano la realtà. Non è rigido il committente, braccio proteso e labbra aperte
come se volesse dire una preghiera. Andamento di concatenazione di narrazione che via via si svolge e
scende. Riquadri più piccoli di quelli di Assisi. Non sono mai troppo popolose le scene proprio per questo.
Domina l’idea della scatola spaziale, sottilmente studiata per l’ambientazione. Aveva 6 monofore a destra e
nulla a sinistra. Dissimula l’asimmetria. La larghezza delle finestre determina quella dei fascioni. Sfalsati, in
asse sopra le finestre. Struttura ortogonale straordinaria e bilanciata. Fonte luminosa, marmi che sono greci
del Peloponneso. Vicinanza con Venezia. Marmi pregiati orientali che foderano la basilica di San Marco.
Arco Sacro, la scarsella con abside viene affrescata da un seguace, ci sono statue di Giovanni Pisano. Virtù e
vizi che illustrano lo zoccolo marmoreo. Tono illustre. Queste 7 e 7 figure contrapposte sono concepite
come finti altorilievi, naturalismo così intenso che sono come delle statue in carne ed ossa. Giotto è anche
un iconografo fuori dallo standard, non si accontenta degli attributi convenzionali. Virtù della Giustizia. Ha
la bilancia. Fiorisce una narrazione dalla simbologia: la bilancia ha due figure, una è alata che si sporge e sta
incoronando una figura danneggiata. Dovrebbe essere un usuraio, lo stesso Enrico Scrovegni, la giustizia
incorona l’usuraio. In realtà è un banco di un orafo. Interpretazione come esaltazione della massima virtù
dell’operosità mercantile, giustizia incarnata con la figura del lavoro. Dall’altra parte c’è una figura che
frusta, è l’ingiusto. Sotto vediamo bassorilievo con fanciulle che danzano, immagine del Buon Governo,
prima di Ambrogio Lorenzetti a Siena. Esplicitare qualcosa che Giotto già aveva creato con la virtù della
Giustizia. Il Buon Governo è uno dei valori fondanti della Giustizia stessa. Fisicità imponente e palpabile,
salute e fiducia attraverso una resa materica e fisica. Indicativa è la carità, contrapposta all’invidia. Parallelo
di Dante. Incarnare simboli mentali in allegorie immediatamente parlanti. Invidia ha un serpente che esce
dalla bocca e gliela ottura, soffocandola. Mano protesa che desidera i beni degli altri. Con l’altra mano tiene
serrato il sacchetto dei propri beni. Fiamme del castigo infernale che la consumano. La carità in genere è
una donna che allatta, qui è una donna con una cesta piena di frutti che offre il cuore ardente a Dio.
Disprezzo degli averi tesaurizzati per elargire con calorosità. Carità che sembra piuttosto una massaia, idea
fisicizzata e concreta più che ideologica.
Annunciata nell’arco trionfale. Come per le Stimmate, Giotto sterza rispetto alla mimica esagitata del ‘200,
si fa composto. All’opposto si vuole rappresentare la piena accettazione del fatto con nobiltà, fierezza e
consapevolezza, valori contrapposti alla platealità del ‘200. Busto scorciato, anche le aureole sono
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scorciate ed in leggero rilievo di malta. Forte aggetto, elementi architettonici rispetto ad Assisi arricchiti da
sottili modanature, gioco più complesso delle mensole, architettura più complessa. Bucare la parete e tirare
fuori l’aggetto forte di ciò. Rossore che ci sono al fondo erano tutti dorati ma sono caduti, atmosfera
incandescente di Dio che investe la Vergine grandiosa. Con il ciclo, dall’alto a sinistra, vediamo scene sobrie
cromaticamente, le ultimissime scene hanno ricchezza decorativa, ombre più calde e colori più profondi.
Cambia leggermente lo stile di Giotto, in perenne evoluzione. Si inseriscono dei quadrilobi, alla base del
design delle formelle del battistero di Firenze.
Cacciata di Gioacchino dal Tempio. Spazio scandito da ciborio, cantoro, pulpito, ispirazione alle chiese
romane per creare il tempio giudaico da cui viene cacciato. Oggetti microarchitettonici che sprigionano
spazio, essendo messi in diagonale. Composizione studiata, misurata nel bucare lo spazio. Impalcare
l’azione. Spintonare la figura di Gioacchino, classicista. Nel volto c’è la sua disperazione. Il sogno di
Gioacchino che dorme con i pastori, si sente il corpo che preme sulle gambe, senso del corpo che si accascia
nella profondità della stanchezza, angelo che arriva dal cielo. Forza di scorci, mano protesa dell’angelo,
ciocche della nuca. Gli angeli avevano tutti le vesti spiegazzate, sono incorporee e hanno un mezzo corpo.
Al contrario Giotto qui vuole naturalizzare ciò, fa sparire in una nuvoletta il mezzo corpo dell’angelo.
Paesaggio roccioso, passaggi graduati. Dettagli misuratissimi. Ci sono descrizioni attente delle piante,
descritte con grande attenzione naturalistica. Copricapo che copre l’occhio del pastore. Essenzialità dei
panneggi, le ali non sono più a scaglie cromatiche, sono più che altro di pennuti. Nel sogno c’è
l’annunciazione che avrà una figlia e in contemporanea Sant’Anna riceve l’annuncio.
Annuncio di Sant’Anna: è in una casa, clipeo nella valva come in antichità. Scatola spaziale vede lo scorcio
del lato corto, sottoscala. È universale, contempera grandiosità più notazioni realistiche nel dettaglio, la
donna sotto la scala origlia e sente, è testimone. Attestazioni uniche di oggetti appesi alle pareti,
cassapanca, tende del telaio. Figura colonnare di Sant’Anna, angelo che si infila nella finestra. Giotto lo
concretizza come se sbucasse dal pertugio.
Parete di fronte, vediamo la Presentazione al tempio della Vergine. È lo stesso tempio dove Gioacchino
venne cacciato. Vediamo il pulpito e scala ma dall’angolo opposto. Mostrare le figure dall’angolo. Figure di
quinta, rastremate che emergono attraverso le pieghe. Portano il fardello, figura ingobbita per la fatica.
Scorci dei dettagli, pieni di irregolarità, ma per allora era una novità clamorosa creare quelle figure quasi di
scultura, anche se ci sono contraddizioni per punti di fuga. Si scende di un livello, in fondo a destra vediamo
la Natività. Bandisce la grotta di tradizione bizantina e vediamo che è una capanna, tutto alla luce,
sfumature tenui delle rocce, toni medi. Il mantello della Vergine è a secco e si è rovinato. Azzurro con
sfumature violacee. È distesa su materasso ma si volge a riporre il bambino nella mangiatoia. Gesto in fieri,
all’istante. Figure ieratiche. Giuseppe di solito è in disparte, qui addirittura dorme. Pastori di schiena per
fare quinta spaziale, asinello che fa esso stesso da misura per lo spazio. Scambio di sguardi tra Vergine e
Bambino. Giotto rende i sentimenti e affetti in maniera più convincente ed interiorizzata. È erede di
Giovanni Pisano, che rende queste caratterizzazioni psicologiche profonde. Epifania, Adorazione dei Magi
con cometa raffigurata. Crescente semplificazioni di panneggi, con pieghe e stoffe che fasciano i corpi con
geometrizzazioni e tenui sfumature. Penombre leggere.
Purificazione di Maria, bambino che scalcia con gambe che emergono alla luce. Nel dettaglio non manca il
realismo più spicciolo. Su tutto domina la grandiosità. Nobiltà e contenuto di profonda dignità umana.
Registro mediano, storie di vita pubblica di Cristo. Modanature, tralci sottilmente aggettanti. Fascioni in cui
inserisce dei quadrilobi dove c’è concordanza con antico testamento. Scene non in sequenza, in
corrispondenza tipologica con le scene che stanno accanto. Mosè che fa scaturire l’acqua nel deserto, in
parallelo con la trasformazione di Acqua in Vino nelle Nozze di Canaan. Scatola spaziale, 3 pareti che la
compongono non perfettamente in modo simmetrico, punto di vista tendenzialmente da destra, il lato
sinistro è meno scorciato, ma ciò è in funzione con il luogo dov’è Cristo. Ratio sottesa ad ogni scelta.
Grandiosità e solennità mista ad aneddotica, in primo piano vediamo anfore all’antica riempite con acqua
che si tramuta in vino. Oste obeso che sorseggia il vino. Si vede una notazione realistica. Mettere di schiena

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dei servitori, uno che taglia il pane nella mensa. A Padova Giotto dipinge molto diversamente che ad Assisi.
Toni medi, rosa appena accennato, bianco molto attutito e sfumato, scorcio di ¾, macchia annerita è lo
stagno ossidato che doveva fare il calice. Impasto delle carni, labbra leporine, pennellate rosse e sapienti.
Servitore con profilo perduto, ovvero un ¾ da dietro.
Battesimo di Cristo, raffigurare la dimensione divina con l’invisibile, Dio è dipinto scorciato e velato di
bianco, come se si intravedesse nella caligine. Adorazione del divino. Dexterea dei, Dio padre che riconosce
suo figlio Cristo. Angelo che ha la veste. Straordinaria la scena di Cristo di fronte a Caifa, in cui egli è
condotto presso il sacerdote che dalla rabbia si strappa le vesti del petto. Luce artificiale, è un notturno,
esperimento di luce artificiale. Macchia scura della biacca che doveva essere la fiamma. Scatola spaziale,
Cristo schiaffeggiato che tiene però mite compostezza e solennità. Modo di tendere le pieghe sulle
ginocchia. Compianto sul Cristo morto, misura dell’interpretazione, Vergine che accarezza il figlio e lo
guarda intensamente, mani che tengono i capelli e li stringono, trasparenza del profilo attraverso il velo.
Dettagli che vanno scoperti, capacità architettonica delle composizioni, simmetrie, sfalsamenti, scorci. Si
intarsia il gesto di disperazione composta di Giovanni. Perfora lo spazio, la mano destra sbuca
improvvisamente. Ricade gonfio davanti, la figura è china davanti. Volto di una donna da vicino, chiarezza e
densità dei volumi straordinaria. Due volti fulcro di tutto. Senso dei valori cromatici, non è che rinuncia ai
colori raffinati ma li usa in maniera molto misurata. Toni medi, tenuemente violaceo, ombre rossastre.
Sapienza misurata. Rendere figure che singhiozzano, effetto sulle labbra. Sottili decori dorati sulle fasce
sulle vesti. Massello di volume sulle pieghe intorno alla testa. Occasione per scorciare i corpi via via in modo
diverso. Continua il tema delle nuvolette aventi il colore della veste degli angeli. Angelo che si dispera con
le braccia tese. Crisografia recuperata nelle filettature dorate. Non c’è ancora il Cristo Risorto, ma il Noli me
tangere, con le pie donne al sepolcro: Maddalena incontra il Cristo che fugge. Sepolcro vuoto, soldati
accasciati nel sonno. Angeli seduti sopra, alcune cose perse, fronde degli alberi che non ci sono più. Senso
del dramma, gesti e braccia protese, Cristo rifugge e si sottrae avvitando il corpo. Pentecoste ed Ascensione
ultime due. Carro di Elia a sinistra in parallelo con l’Ascensione. Movimento laterale. Incorniciature di Giotto
già ad Assisi tagliano le architetture, qua le mani spariscono. Tagliate a metà dal fascione verde. Ultimo
approdo del Giotto padovano, diverso dalla cacciata di Gioacchino. Colori caldi, più saturi. Complessità di
pluralità di figure. Anime dei giusti. Pittura che diventa quasi liquida, da lontano ha un grande senso di
turgore delle carni. Nimbo scorciato. A confronto con l’ultima scena di Assisi, vediamo pittura più
meticolosa vs pittura più grande e intensa. ¾ migliori, resa di affetti analoga. Ultima scena è la Pentecoste,
parallelepipedo traforato da archi trilobati. Apostoli che girano intorno, non si vede il volto. Tono illustre
dei Marmi, parallelo con la consegna delle tavole della legge di Mosè.
GIOTTO AD ASSISI E RIMINI
Anello fondamentale tra Assisi e Padova, le cose di Rimini sono distrutte, rimane una croce dipinta e l’opera
dei suoi seguaci. Torna ad Assisi, cappella degli Orsini dedicata a San Nicola. Tomba del cardinale morto nel
’94. Tomba di ispirazione arnolfiana, angeli che scostano le tende, Giotto con bottega che non fa un finto
trittico, ma Madonna col bambino con San Nicola e S. Francesco che si scorgono dalla mensola. Opera
sicura di Giotto a Rimini è la Croce. Decurtati i dolenti. A confronto con la croce giovanile di S.M. Novella,
dove vediamo riscoperta di corporeità della consistenza, qui Cristo è rappresentato con corporatura
elegantemente allungata, il perizoma avvolge l’inguine ma è più delicato del primo crocifisso. Le carni sono
più sfumate e delicate contro il verde terra precedente. Seguaci riminesi prendono a modello
ingracilimento ulteriormente e rendendo tutto più longilineo. Seguono poco la capacità di Giotto di
impalcare le figure nello spazio, tendendo per la paratassi, tutti allineati. Gesti di dolore composti e
misurati, esilità filiforme del corpo. Pietro da Rimini è il vero successore, rende in maniera più drammatica
il corpo, ma nel dettaglio anche lui delinea con linearismi eleganti le forme. Scuola giottesca riminesi, una
delle più precoci. Giovanni da Rimini, documentato dai primi anni ’90, formazione di tipo bizantineggiante
che si nota un po’. Tanta crisografia, figure esili e brani fortemente giotteschi. Figura di schiena che sembra
il Giotto padovano. Paesaggio roccioso non solido come in Giotto. Vergine appollaiata in uno spazio

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improbabile che bacia il bambino. Anastasis, iconografia bizantina, con consistenza timida dei volumi. È il
massimo di adesione al pensiero giottesco. Fasce gemmate alla bizantina. Affreschi nella cappella di
Sant’Agostino, composizione molto solenne che tende alla paratassi. Figure di Giuseppe e Vergine scandite.
Riminesi che hanno negli occhi mosaici di Ravenna, idea di allineamento. Pietro da Rimini fa l’Ultima cena
riprendendo quella circolare come tradizione bizantina, sfida di spazio stupenda, scorcia il tavolo e intorno
articola i corpi, andamento dei vestiti festonanti, tutto è ritmico, i giottismi deviano in maniera più delicata,
aneddotica, espressiva, a seconda delle varie tendenze. Da Giotto scaturisce un plurilinguismo, dal latino al
volgare. Parliamo di Scuole nel ‘300. Possiamo parlare di scuole pittoriche a partire da Giotto, a partire dai
luoghi di attività dello stesso. Cappellone di San Nicola da Tolentino, tomba di lui morto poco tempo
prima. Santo popolare, paragonabile a San Francesco. Pietro da Rimini se ne fa interprete, in alto storie di
Cristo e Vergine, in basso storie dei Miracoli di Nicola da Tolentino. Colori assortiti di viola, rosa, azzurro,
molto variopinto. Fascioni di ispirazione giottesca, scena non troppo in profondità, non molto possesso di
scena da impalcare. Gustosissima, piena di brani realistici. Scena delle nozze di Canaan, figurette di chi paga
le pitture, scorci tradotti in maniera più soft, molle e decorativa. Corpi slogati, stirati, braccia che si curvano.
Realismo e realizzazione di straordinaria felicità inventiva. Anche gli Apostoli partecipano alle nozze.
Deposizione di Cristo di Pietro da Rimini, cromatismo svenevole quasi, giottismo contraddittorio. Solenne
ma pieno di tenerezze, abbraccio di madre e figlio soffice e morbido. Punzoncini, figura di San Giovanni
quasi espressionista. In Giovanni da Rimini vediamo san Giovanni che fa crollare il tempio di Diana ad Efeso,
onda incredibile, tantissimi colori nostalgici del ‘200.
I riminesi lavorano un po’ ovunque, anche a Bologna. Pittura Bolognese, anni ’30 e ’40 come controcanto
maggiore di Giotto. Nei primi anni ’30 Giotto è chiamato a lavorare per spostare la sede del papato da
Avignone a Bologna nella rocca di Galliena. Viene cacciato per le vessazioni dai bolognesi, che lascia. I
bolognesi in forte dialettica con il giottismo. Poco dopo questa vicenda, vediamo un polittico, irruzione
della dimensione narrativa, scene molto vivaci, scena straziante e potente, Vergine vecchia che abbraccia
Cristo nella Tomba. Linguaggio della scuola bolognese, antispaziale, grande immediatezza comunicativa,
ritmi sincopati, figure incastrate una sull’altra. Realismo che nasce dalla miniatura. Molto colta, raffinata e
bizantineggiante. Codici giuridici, scenette di vita spicciola, ciò giustifica la vocazione al realismo aneddotico
dei bolognesi. Pseudo Iacopino è uno di questi artisti, scena di San Gregorio, sagoma bidimensionale
incastrata in oggetti tridimensionali ma affastellati, Bologna universitaria incarna questo aspetto. Curiosone
che sbircia ed entra nella scena. Molto lontano dalla figura di Giotto, ma ne tiene conto, resa della
corposità delle cose. Vediamo un’altra tavola, Natività con Madonna che abbraccia il bambino, dottori
raffigurati come degli islamici, giudei interscambiata con turchi ed arabi, che strappano i libri in segno di
sconfitta. Esempio di metà ‘300 di un codice giuridico, Disputa di Cristo tra i Dottori nel tempio, o Santa
Caterina d’Alessandria, per eccellenza la santa dotta che sconfigge i pagani. Scenette vivacissime, sogno
notturno di Caterina, sposalizio con Cristo. Libri sulla panca, ha una visione, trance mistico-sensuale, si
accascia mentre le figure corpulente della Madonna col Bambino incombono. Cristo con i Dottori, scorcio
che esplode in tutte le direzioni. Diventa qualcosa di esilarante, contorno con scene espressionistiche,
scena aneddotica. Vergine che ripesca il Bambino. Vergine che accarezza il bambino. Realismo particolare
dei bolognesi. Si afferma Vitale da Bologna, che firma con un monogramma San Giorgio e il drago. Eloquio
che non disdegna il tono sacro di una parlata popolare. Prodotti scelti, metà del ‘300, lotta tra San Giorgio e
il drago, energia del cavallo che si torce, è importante la foga espressiva e narrativa, stilemi di goticismo più
ricco. Lembo che svolazza in aria, serve ad accompagnare un trasporto fisico, San Giorgio che conficca una
lancia, capelli biondi ramati che spiccano. Ombre nerastre ed aggressive. Narrazione inerpicata in
composizione spaziale, si costruisce in verticale. Storie di Sant’Antonio abate. Si cala di notte. Risana una
fonte avvelenata dal drago, guarisce gli avvelenati. Silhouette sghembe, piene di movimento. Funerale al
quale assiste un’indemoniata che viene risanata. Modo di decorare inconfondibile. Maniera
anticonvenzionale della Madonna con il Bambino, parte da Giotto, tono di fanciulla ammiccante, è
francesizzante, si inarca sottilmente. Natività scena molto concitata, vede la temperatura dell’Acqua e San

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Giuseppe si dà da fare al posto di starsene in disparte. Bianchi abbondanti dei riminesi, agitazione di angeli
musicanti. Alcuni arrivano al momento. Tono molto diverso dal giottismo toscano e fiorentino. Luci soffuse,
agitazione, scorcio empirico, stravolto da figure deformate. Vergine su tavola di Vitale da Bologna. Fugge
in Friuli, lavora nel patriarcato di Aquileia, carismatico, tutta la pittura friulana è Vitalesca fino al ‘400.
Grande pittura su tavola, meno su muro, che a Venezia si guasta con la salsedine. Congiuntura con la peste,
migrano ad Udine. Conosce da vicino l’arte veneziana, poi torna a Bologna e la porta dietro, rimane con
l’umore sorridente ed ammiccante, il Cristo aggiusta la corona, non ha la solennità dei bizantini. Occhi
lampeggianti di Cristo che sistema la corona. Scuola bolognese può essere molto raffinata e sontuosa. In
Toscana si sviluppa il culto del punzone e dell’ornato in una certa maniera, qui è tutto più sciolto. Imago
pietatis, disinvoltura di immagini diverse. Ad Udine fa molte cose, qualche decennio fa dietro gli stalli sono
stati ritrovati dei suoi affreschi. Si salvano le pitture dietro gli stalli. Flagellazione di Cristo raramente così
brutale. Sgherro che per stringere con più forza si mette la frusta tra i denti.

9. LA PITTURA DI FIRENZE NEL TRECENTO


GIOTTO
Polittico di Badia, affacciati in una loggia ideale, bambino che si protende verso la madre, Nicola e
Benedetto che girano leggermente ai lati. Struttura dei polittici diventano architetture complesse. San
Pietro è frontale ma non rigido, capacità di rendere gli affetti attraverso la fisicità, stessa cosa che Giotto
farà nella cappella di San Nicola, sentimento inquieto della figura,
Maestro di Santa Cecilia, collaboratore Galdo Gaddi. Nome della tavola con Santa Cecilia, 8 storie della sua
vita, figura colonnare, ma come nei Riminesi le figure sono tubulari ed allungate. Storiette con scatole
spaziali architettoniche ma complicate e variate. Maestro della Santa Cecilia come antigiotto, ornato,
delicato, contrapposto a lui. È un protogiottesco, acerbo e contraddittorio come tutti i suoi seguaci.
Diverso è il rigore con cui Giotto organizza la Maestà. La realizza subito prima di andare a Padova. Per avere
un’idea di Giotto è l’esempio massimo. Maestà gerarchica, sovrasta tutti. Figura individuata in un trono
marmoreo ornato alla cosmatesca, traforato che lascia intravedere i santi dietro. Fanno esedra, volti uno
dietro l’altro, grandi nimbi che coprono le teste sottostanti. Si taglia la parte espressiva del volto, potente
illusione dei volumi e dello spazio. Studiandola si è capito che il trono non è assiale. Quella sinistra è più
scorciata, pensata per stare a destra, quindi vista da sinistra. Bambino come se si rivolgesse verso di noi al
centro della navata. Punto di luce già studiato in maniera variata. La luce modula i volumi, quello di sinistra
è investito dalla luce, quello di destra è in penombra. La chiesa di Ognissanti è orientata a Nord, quindi
proviene da sinistra. Seni della madre con pieghe costruite alla maniera arnolfiana. Figure che si pongono
una dietro l’altra. Rose rosse e gigli bianchi. Ali che sono a scaglie colorate, misurano lo spazio, davanti e
dietro i piedi. Fasciato da pieghe colonnari. Volto in profilo straordinario, rende il turgore senza sminuire.
Giotto si compiace di ciò.
Dopo Padova è ad Assisi, documento del 1309, in quanto salda un debito. Lavora alla cappella della
Maddalena, secondo intervento nella Basilica Inferiore, dopo la cappella di San Nicola. Resurrezione di
Lazzaro I riquadri sono più orizzontali. Lunette più sviluppate. Rapporto della narrazione, figure che si
allungano in una scena più dilatata, quinta teatrale chiusa e serrata a Padova, qui c’è un dilatarsi e
distendersi. C’è più colore. Gioco di vuoti, lontananza del gesto grandioso e solenne, accompagnato dal
costone roccioso, alberini che lo muovono maggiormente verso la profondità, bambino africano con
vesticciola bianca. Turano il naso per la puzza del cadavere, Maddalena che trova il posto vuoto.
Pennellate liquide e larghe, sottilmente si increspa per evidenziare piegoline. Rendere in maniera razionale
dettagli. Maddalena visitata dall’eremita. Maddalena nuda vestita dei suoi capelli che sbuca dal nero della
grotta. Figura colonnare di Zosimo.
Noli me tangere, Giotto che torna ad Assisi è più cromato, angeli con antra rivestito tutto in lamina d’oro,
creatura celeste dell’angelo. Alone di raggi dorati che non aveva Padova. Gesti tra Maddalena e Cristo

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concatenati, è più patetico, Maddalena che si sporge in avanti. Prevale idea di dilatazione narrativa. Scene
molto orizzontali, come delle strisciate cinematografiche. Tendenze della bottega più espressive, Lazzaro
raffigurato come un cadavere nella sindone, allampanato. Transetto destro, ciclo dell’infanzia di Cristo.
Transetto destro, porticina che va verso il fondo, Cristo benedicente, occhi sgranati e luce radente, che
viene dall’esterno. Gesto di benedizione incipiente. Benedire il frate che passa sotto.
Basilica inferiore, volte a botte in cui squaderna dei cicli narrativi. Scene popolosissime, aspetto dottrinario
di Giotto. Transetto destro, storie d’infanzia, vediamo approfondimento della resa spaziale architettonica,
che va oltre il limite serrato padovano, chiesa a più navate abitata da figure. Scorcio di crociere, arcate
ogivali preziose, Giotto più gotico. In passato si era parlato di un suo alter ego, che si fa aiutare dalla
bottega, ma non esiste un altro. Pittura espressiva e colorata. Senso di dilatazione dei volumi e dello spazio,
ambientare nelle navate ombra che cresce nelle volte. Colori più caldi, mantello che si ombra sottilmente.
Cristo che disputa con i Dottori, famosissimo ed imitatissimo. Spazio delle campate, figure dei dottori di
schiena. Subentreranno i senesi ad Assisi, allievi di Duccio come Simone Martini che entra in dialettica con
Giotto. Meno profondamente spazioso. Raffigurazione brulicante di vita. Crocifissione, San Francesco con
braccia protese che misura lo spazio. Svenimento della Vergine franata a terra, colori più caldi. Dimensione
potente che riprende il San Giovanni di Padova. Lavorando in Umbria c’è una tendenza in una devoziosità
molto forte. Corpo ritratto in aspetti più spinti, ematomi della flagellazione, Giotto insolito, toni arrossati e
caldi. Polittico Stefaneschi. Parente di Giotto autore delle storie di infanzia? Riguarda il Polittico Stefaneschi,
ma è sempre Giotto, si capisce da un documento importante in cui si dice che aveva lavorato a Roma e
deve tornare, lo ha fatto in quel momento, figure filiformi, Stefaneschi inginocchiato, martiti ai lati, coro dei
canonici.
San Pietro in cattedra, modelletto. Non è il Giotto austero, è riformato, più ornato e prezioso. Acutezza di
descrizione è sempre presente. Capacità del quadro nel quadro. Figure dinoccolate e smagrite. Donna
urlante di Assisi.
Crocifissione di Giotto nella Basilica inferiore di San Francesco ad Assisi. Problema della bottega.
Misteriosi protogiotteschi, maestro del codice di San Giorgio. Descrizione naturalistica dello stagno,
panneggiamento fiammeggiante e svolazzante di San Giorgio, elementi di simpatia bizantineggiante.
Maestro di Filigne, innesta una fioritura grafica nel crocifisso di Santa Croce, è un allievo di Giotto. Nel San
Francesco e nella mano della Vergine, le mani sono del primo Giotto, ma rese così più per mimica
espressiva. Interesse che passa in subordine, colori quasi come uno smalto. Tavola di Filigne Valdarno,
corona gemmata che si accartoccia, trono inventato da Giotto, chiarezza architettonica e monumentale,
aprire la bottega alle sperimentazioni più varie. Bottega variegata e sperimentale, attraversata da ricerche
anche antitetiche alla stessa visione di Giotto. Tutta antigiottesca la pittura dopo di lui, le tendenze piegano
il giottismo in maniera contraria, si nota nel tripudio dei colori fiammeggianti. In rapporto con Simone
Martini che incrocia ad Assisi. Unico nel suo genere, linearismo accentuato.
GIOTTESCHI ETERODOSSI
Giotto ha allievi ribelli, mentre negli anni ’20 ci sono alcuni che costruiscono l’ortodossia del Giottismo,
come il Maestro del Codice di San Giorgio. Cristo giottesco, corpo affusolato, Maddalena che riprende l’idea
con i panneggi che richiudono tutto il corpo. San Giorgio e il drago con vena descrittiva.
Maestro del trionfo della morte di Pisa, detto Buonamico Buffalmacco, negli anni ’30 del 1300, gigantesco
tabellone con contrasto di 3 vivi e 3 morti, giovani che vanno in cavalcata e si imbattono nelle tombe di 3
morti in decomposizione che li ammoniscono. Intorno ci sono Gli eremiti della tebaide, a destra il Trionfo
della morte. In basso ci sono i poveri e malati che supplicano la morte, gaudenti che se ne infischiano, è una
scena di carattere profano, giovani che conversano. Tema cortese, pittura che prepara al gotico
internazionale. Sono prima di Boccaccio, carattere ammonitorio che è emblematico. Buonamico
Buffalmacco è l’autore, protagonista di una novella del Decameron. Lavora a Pisa, Parma, Arezzo anche se è
fiorentino. Figure molto in carne, naturalismo del dettaglio, moda dei costumi, composizioni molto
dinamiche, tono decorativo di horror vacui. Figure di uno che si tura il naso per la puzza di cadaveri

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(nell’incontro dei 3), donna schernita. Ricostruzione molto attenta della moda come faceva anche
Lorenzetti in contemporanea a Siena. Competizione con i Senesi. Di Buffalmacco sono anche altre serie di
affreschi rovinati, bombardamenti del ’44. Chiostro del camposanto, tabelloni per la predicazione ed
ammonizione. Giudizio finale, dannati che piangono e stridono, angeli poliziotti che spintonano i dannati.
Con Buffalmacco lavorava Bruno, che in Santa Maria Novella fa la Storia di San Maurizio, capo delle regioni
tebane. Non vuole più combattere per Diocleziano e quindi viene sterminato. Frammento centrale dove c’è
il tumulto di cavalieri. Bruno e Buffalmacco sono soci, vivacità realistica incredibile, ammonire i compagni a
non reagire con le armi e a farsi uccidere. Cavalli con gualdrappa, santi davanti alla Vergine. Il committente
era Guido da Campi, capo delle milizie cittadine. Vivacità estrema. Negli anni ’20 e ’30 si forma un giottismo
più maturo nella resa degli spazi e dei volumi, una seconda generazione degli allievi.
SANTA CROCE
Santa Croce è una palestra di questi pittori. Inizia Giotto che decora 4 cappelle, di cui 2 sono andate
distrutte. Rimangono Bardi e PeZruzzi. La prima è di San Francesco, la seconda di San Giovanni Battista.
Strette e lunghe, molto alte con grande bifora al fondo. Riquadri unici per ogni parete, fortemente
orizzontale. Condiziona le scelte compositive e narrative. Diverse da Assisi e Padova che erano in cornici
quadrotte. Qua entra l’idea di una strisciata. Caratteristica di queste due cappelle, è che sono state
commissionate dai mercanti più ricchi della città. Cresta dell’onda, si prendono le cappelle più importanti.
Peruzzi e Bardi sono molto diverse, scalate nel tempo. Giotto usa una tecnica diversissima: a secco nella
Peruzzi, motivo per cui vediamo delle macchie colorate senza rifiniture che modulavano. Grandiosità della
composizione, spazi, architetture e volumi. 3 dell’evangelista a destra e 3 del battista a sinistra. Giovanni
resuscita Drusiana. Figura poderosa e torreggiante, panneggio che lo fascia ampiamente. Invenzione piena
di energia a cui renderà omaggio Masaccio. Era intensamente colorato come Assisi Basilica inferiore, in
Bardi colori più freddi. Figure più potenti e statuarie. Percorso di Giotto dopo parentesi più colorata e
gotica, ritorna ad una metrica composta e solenne come Padova. Vuoto compositivo intorno al gesto di
Giovanni, con donne che lo supplicano. Architetture messe per angolo, strisciata di veduta urbana, porte
urbiche, mura, cupole… ombre e scorci dei volti, linea rossa liquida che da lontano fa vibrare il profilo
fortemente scorciato e plastico. Vediamo che è tutto concepito per grandi masse. Lontani dal filone della
pittura senese. Drusiana che ha pieghe che spariscono su schiena e braccia, fanno la rotondità di volumi,
drappo sulle gambe, complessità di temi ragionate. Altra scena della Peruzzi, l’ultima, è l’Ascensione di
Giovanni. Non muore nel martirio ma sale in cielo. Già aveva la tomba ma lievita. Visione degli astanti, di
luce, come se risucchiasse in cielo Giovanni, preso in mano da Cristo. Giotto esplode l’edificio come fosse
maquette di edificio. Spaccato giustificato per l’eruzione divina dell’ascensione. Due gruppi con figure
torreggianti, cupolo di sinistra, figure chine in avanti che scrutano nella tomba vuota incredule. Quella rossa
si scosta e si copre il volto, resa degli affetti molto misurata e trattenuta, forza drammatica. Giovanni che
ascende, raggi che scontornano la testa, imbuto di raggi dorati. Molto rovinato, si vede il fondo.
Costruzione di volumi che gira dietro e va in profondità.
TADDEO GADDI
Palestra in cui si forma Taddeo Gaddi, castello di Poppi. Si ispira a ciò, anche se in formato quadrato.
Interpreta a modo suo anche se allievo di Giotto. Accentua effetto luministico miracolistico, goticismo più
complesso e ricco. Mantello si solleva, aurea gialla. Parte dalla composizione di Giotto ma la rielabora. In
alcuni casi è molto letterale nel riprendere Giotto, Maestà a Castel Fiorentino, replica di quella Ognissanti di
Giotto. Non è copia. Proporzioni più allungate, più stretto e alto, idee di Giotto nella mano della Vergine
che stringe con forza la gamba del bambino, veste tirata. Tratti più marcati nei volti, che Gaddi avrà
sempre, allungati ed espressivi. Altro dipinto quasi copia di Giotto sono Le Stimmate. Dettagli significativi
sono la grotta che in Giotto era nascosta in una chiesa, qui si vede bene. Arbusti e piante, montagna
rocciosa prese in maniera letterale.
Taddeo Gaddi lo vediamo nel ’30 quando Giotto va a Napoli, per poi andare a Bologna. Torna dopo il ’33,
alluvione disastrosa a Firenze, quella più terribile. Aprile del ’34, Giotto come guvernator di tutte le

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fabbriche civiche di Firenze, non solo Palazzo Vecchio ma anche Duomo e chiese dei mendicanti, ovvero
Santa Maria Novella e Santa Croce, poi va a Milano dai Visconti. Allievi che hanno una certa autonomia.
Cappella più integra che si conserva a Santa Croce è la cappella Baroncelli. Addossata al tramezzo,
dedicata all’Annunziata. Abbiamo vetrate e affreschi di Gaddi, con Pala di Giotto che viene scapitozzata
delle cuspidi per quadrarla in maniera Rinascimentale. Giotto fa appena in tempo a fare questa pala per poi
andare a Napoli con la cappella ancora in costruzione, finita da Taddeo Gaddi. Ha altro vano a destra
vuoto. Parete sinistra ed esterno, storie di Anna e Gioacchino, infanzia di Vergine, poi fuori Storie di infanzia
di Cristo. Si gioca sul tema dell’irruzione dell’Annunzio. Sperimenta due scene di notturno, Annunzio ai
pastori. Sperimenta effetti illuministici che Giotto non aveva sviluppato, fa ricerche ulteriori, complicazione
scenografica. Troppo complesse, non più chiarezza razionale Giottesca. Primo esempio di Giottismo maturo
insieme ai Senesi. Spazi un po’ di sacrificio intorno alla bifora. Dare destro per raffigurare angelo che plana
dal cielo. Vergine accoccolata a terra nell’Annunciata, non esiste ancora tema di Vergine dell’Umiltà. Temi
trasversali tra Siena, Firenze ed Avignone. Interazione tra figure ed architetture, che sono ad angolo,
costruzione che non è perfettamente coordinata, è tutto empirico, ma scorci molto impegnati. Nella volta a
lato ci sono le virtù. La prudenza ha lo specchio, perché si muove potentemente nel futuro, avendo grande
concezione del passato. Testa bifronte, testa anziana sul vetro che è il passato, futuro dato da strumento
astronomico che indica la preveggenza. Effetti luministici, nimbo che è quadrangolare, ad illusione.
Rischiarata dal basso, luce radente un po’ particolare. Luce artificiale abbiamo intravista a Padova. Tutte
queste sperimentazioni hanno sempre un minimo di radice in Giotto, che poi vengono enfatizzati, come
nell’Annuncio dei pastori di Gaddi, dove vediamo luce notturna, monocromo grigio violaceo, con senso
forte di volume, panneggi, rocce affilate. Dettaglio con approfondimenti naturalistici, cane che si gratta
l’orecchio, non va troppo l’aneddoto, ma non manca. Gaddi si cimenta molto nella complessità
architettonica piegata quasi in effetti pirotecnici. Architettura per angolo nella Presentazione della Vergine
al Tempio, 9 scale, gradini simbolici, proporzione che ha scorcio di gradini che non giustifica grande
decrescita. Gioacchino ed Anna sono in un lato che commentano, narrazione un po’ prolissa che condiziona
tutta la pittura fiorentina. Narratori molto prolissi, contro chiarezza spaziale misura di Giotto. Narrazione
fiorita di mille dettagli ed episodi, che qui esplode eccessivamente, vergini del tempio che si affacciano con
fare pettegolo. Chiesa spaccato per angolo, complessità di colonne che fanno intravedere un lato. Disegno
presentazione rarissimo di Gaddi, fatto per il committente. Foglio che finisce in Francia e usato come
ispirazione. Virtuosismo di scorcio angolare, note di costume con serie di astanti molto variopinti e
popolosi. Scene chiassose come lo sposalizio della Vergine, resa della vegetazione decorativa, effetto ad
arazzo, decorativo, arricchito da palme esotiche.
CAPPELLA BARDI
Cappella Bardi, polittico disperso per il mondo. Madonna col Bambino che sta a Washington, Santo Stefano
al Museo Horne di Firenze. Volumi resi grazie a scorci e forza del disegno, non manca forza di ornato.
Doratura a missione spettacolare. Ci introduce la cappella Bardi come affresco che sta fuori. Traforate da
bifore, cappella maggiore che resterà bianca. Grandi tituli figurati, intestazione del culto della cappella che
si vedeva da molto lontano. Composizione molto essenziale. Diversa da Pisa, Assisi. Stimmate di San
Francesco di Giotto. San Francesco è rivolto a destra di solito, in questo modo però avrebbe dato le spalle
all’altare maggiore, è rivolto quindi in senso opposto, ma angelo è in alto a destra. Francesco quindi è fatto
da Giotto che si avvita su se stesso, capovolto in punto di forza sulla montagna aspra dell’Averna.
Spaccatura dietro la figura di Francesco. Straordinaria costruzione dei panneggi, pieghe che sottolineano
sottosquadro intorno al ginocchio e alla gamba, vertici della pittura italiana del ‘300. Continua nella
cappella, 6 storie. Scena a metà con Apparizione di Francesco ad Arles. Polemiche violente nel movimento
francescano, tra conventuali e spirituali. La parte vincente è la prima, che confermano istituto dell’ordine.
Messo al centro è il santo, che riecheggia alcune cose alla lettera per Assisi. Più di 30 anni dopo Assisi, ma
disponendo ugualmente Francesco come Cristo con braccia allargate tra due finestre e varco centrale,
torreggiante figura di Sant’Antonio con braccia conserte sono cose che riemergono, solo nell’architettura

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cambia. Tettoia di legno, porta e due finestre canoniche della stanza capitolare, diventa quasi metafisica,
no modanature, traguardare il capitolo, che è trasposto nel braccio del chiostro. Cornice e diaframma come
elemento di illusione dello spazio. Raggiunge vertici di virtuosismo in intersezioni minime. Non è
perfettamente centrato, vediamo da sinistra, quindi è sfalsato. Francesco e Sant’Antonio. Dietro a secco
ha fatto un Cristo in Croce che è caduto. Francesco alter Christus. Altro vertice di Giotto è la morte di San
Francesco, gesti molto intensi da vicino, labbra che tremano per il singhiozzo, figure che si bloccano
zcomposte, anche per esprimere una forte compassione. Dietro a Francesco uno si volge in alto, mano per
coprirsi gli occhi, animula in alto di San Francesco che va dritta in cielo. Transito e ricognizione delle
stimmate. Girolamo che infilano la mano nella ferita sul costato di Francesco. Membri della famiglia Bardi.
Uno dei compagni bacia la mano con le stimmate. Pittura molto sintetica, impasti dove quasi non c’è
chiaroscuro, disegno liquido che ha una sicurezza, forza dello scorcio e dei gesti, ma è un Giotto diverso,
che “abbreviò l’arte”.
MASO DI BANCO
Uno del riferimento degli ultimi allievi di Giotto. Fatta di placcature di grandi volumi, effetti silenti. Morì
giovane Maso di Banco, ha un grande ruolo, precedenti in Giotto Bardi. Si tende a non ombreggiare, intarsi
di colore. Tomba de’ Bardi, transetto sinistro che è destinato al culto. I Baroncelli fanno il cenotafio. Bardi
di Mangona adiacente all’altra Bardi, tombe vuote, cenotafi. Non hanno i corpi, che stavano sotto le volte.
Quello maschile è più grande, figura vestita sobriamente contro valle desertica, come fosse quella di
Giosafat, dove risorgeranno i morti dopo il Giudizio finale. Suonano le trombe del Giudizio. Sintesi di Maso
di Banco, grande forza, gesti precisi e studiati, passione. Effetto ieratico ma intenso. Santi confessori
presentati da Silvestro Papa. Storie della conversione di Costantino. Si convertono i sacerdoti pagani,
atterrati dai miasmi del drago, Silvestro lo uccide e fa risorgere i sacerdoti pagani. Diacronia, rappresentati
in due momenti distinti. Colore appena sfumato, intarsia. In Maso c’è ancora un acutissimo senso di volume
e di spazi. Nel suo allievo Andrea non c’è più interesse per le architetture. Città devastata dal drago in
rovina, mette arbusti che minano le crepe delle rocce.
Sogno di Costantino, colpito dalla lebbra, si fa convincere dai sacerdoti pagani che deve fare il bagno nel
sangue di neonati trucidati, ha un incubo di notte, compaiono Pietro e Paolo che lo riportano sulla retta via
e c’è l’ufficializzazione del cristianesimo come religione di stato. Pittura liquida e sensibile, linea rossa calda.
Intercetta nelle emozioni qualcosa di intenso, Costantino urla nell’incubo, il cubicolare accorre.
Santa Croce è incredibile, negli anni ’30 Gaddi fa gli armadi della sagrestia, vano quadrato dove c’è anche
crocifisso di Cimabue. Quadrilobi con storie in parallelo di Cristo di Taddeo Gaddi. Forma del quadrilobo
amata da Giotto, alla base della porta principale del Battistero di Firenze. Composizioni nei quadrilobi,
Gaddi è coinciso nella sfida dell’ambiente stretto della formella. Altra visione che c’è anche ad Assisi, di
notte vedono Francesco sul carro di fuoco. Toni della luce gialla e delle ombre violacee grigie fanno parte
del cromatismo particolare di Gaddi. Visitazione a confronto con Andrea Pisano. Le sue figure hanno un
panneggiamento più gotico, ma è vicino a Giotto nel costruire i gesti e le figure, elementi di architettura
essenziali. Ambientazione e posa salda. Di Andrea Pisano vediamo come sapeva interpretare l’arte di
Giotto, figure poderose e monumentali, barbuto con tunica apostolica che nobilita il corpo, è giottesca
l’attenzione alla descrizione misurata di dettagli. Descrizione veridica di oggetti, cassetta con soldi.
Razionalità giottesca. In un panorama fiorentino del ‘300, si sviluppano moltissimi oggetti di chiesa. Tra tutti
Bernardo Daddi, non riesce a tenere la misura grandiosa delle pareti. È molto versatile nel piccolo formato,
oggetti che fanno scuola di dittici predelle, trittici… valori di spazio che passano in subordine con preziosità
decorativa, rabeschi dorati a missione, figure gracili e minute negli arti, ingracilimento che fa parte di vena
decorativa. Discutibile tendenza ornata e decorativa per forza senese. Effetti di raccoglimento nei gesti,
lavorare sul minuto e sul dettaglio. Capire polifonia che c’è a Firenze. Dopo la peste nera, 1348, ha effetti
devastanti ovunque. Nel caso della pittura fiorentina, dopo la peste nera c’è un ritorno di raffigurazione
ieratica che deve incutere timore più che altro. Andrea di Cione (ORCAGNA) dimostra ciò nella Cappella
Strozzi di SMN. Il fratello fa vetrate ed affreschi. Composizioni uniche, storia del Giudizio Finale, schiere

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degli eletti del paradiso a sinistra, a destra inferno, che è la prima raffigurazione di quello dantesco con i
gironi, descritti in maniera precisa. Vergine raccomanda a Cristo San Tommaso, per cui è dedicata la
cappella. Dipinto molto dogmatico. Andrea di Cione dà una sterzata in questo, senso di svuotamento, linee
taglienti e dure, senso di autorevolezza più che naturalezza. Cicli di pittura murale e aneddotica. È anche
architetto e scultore, altro capolavoro è il tabernacolo. Effetti espressivi astratti e marcati. Piegoni tubolari
e spezzati, corpo che sparisce. Pittura Orcagnesca. Nardo e Iacopo di Cione sono i fratelli, il primo è più
sensibile di Andrea, ma condivide figure tetragone e placcate. Trittico del convento di Santa Maria degli
Angeli. Svuotano naturalismo e spazialità dei volumi giotteschi. Forme originalissime e slanciate, cuspidi
slanciate in quadrilobi allungati. Tema della trinità, tema raro ma dogmatico. Giovanni del Biondo con il
Polittico Cavalcanti è un altro, predelle molto colorate, macchine grandi come polittico per la Sagrestia di
SMN, si va verso tardogotico, carpenterie che diventano selva di cuspidi. Schiere di Santi. Al centro
Annunciazione.
Panorama della pittura fiorentina è molto complessa, ci sono pittori che difendono una linea sfumata e
sensibile. Uno in particolare, tra i maggiori del ‘300 italiano è Giottino. Tommaso di Stefano, è tra i maggiori
allievi di Giotto. Grandiosità delle figure, Stefano e Giottino si intrecciano con il giottismo lombardo.
Lasciano un grande segno. È colorato, riformato, figure che sono grandiose e ben pausate, panneggiamenti
con poche pieghe ma essenziali, tutto iniettato di colore pastoso e caldo, carni abbronzate, arrossamento
che rende gli affetti. Resa del dolore trattenuta e misurata. Pochi pittori dopo di lui seppero avvicinarsi così
allo spirito più intimo di Giotto. Scena narrativa trasposta fuori dal tempo. Chiesa di San Remigio,
rappresentate dai loro santi, presenti al Compianto, Vergine che accarezza e medita sul corpo. Come
colonne che si guardano. Senso molto sfumato e caldo, altro pittore molto simile a Giottino è Puccio ad
Assisi. Dipingere dolcissimo e tanto unito. Fuori dagli Orcagna, che avevano pittura irrigidita e marcata,
questa è sfumata e sapiente. Artista che fa da tramite è Giovanni da Milano, documentato a Firenze nel
1346. Maddalena malinconica in primo piano di Giottino, egli non ha la sua resa, ma ha delle carni più
pungenti, toni grigi della verità della carne. Intensità patetica che è dimenticata completamente dagli
Orcagna. Unica vera forte alternativa agli orcagneschi, volume, spazio, colore. Dialettica interessante in
Santa Croce, affrescata da Giovanni da Milano. Controcanto agli Orcanti.
LOMBARDIA
Figure torreggianti dell’Abazia degli Umiliati. Madonna col Bambino di Giovanni da Milano, Bambino con
slancio grandioso, tenerezza della madre, modo di dipingere di Giovanni, luci come impalpabili, sfumano e
creano come dei volumi. Pennellatine vibranti, carni minute e attenzione palpante. Gentile da Fabriano.
Naturalismo di epidermide, diverso da Simone Martini, per toni più penetranti. Vertice di Cristo in un Clipeo
della cappella Guidalotti in Santa Croce, intensità realistica, Levi solleva la tovaglia per sbirciare. Valori di
architettura di Taddeo Gaddi e Giotto che vengono ancora tenuti vivi. Sensibilità luministica. Luce che
accarezza e ci scivola sopra. Modo di dipingere con ciglia sfilate, dettagli della mensa. Dettagli della scena,
tratteggini per rendere trama di una stoffa. Istantanea della Maddalena, volte a crociera schiacciate, donne
e uomini in maniera tetragona, schiacciati, Gioacchino che viene scacciato dal tempio. Giovanni da Milano si
interessa ad una narrazione affabile ed intima, brani di scena di costume, scene elegantissime, si passano le
vivande da portare alla Sant’Anna. Bagno della bambina, veste della levatrice che denunzia la sua
inquietudine. Cristo Benedicente, mano destra, grandezza di Giovanni da Milano. Altro suo dipinto è
Compianto di Cristo Morto, Vergine che tiene in grembo il cadavere di Cristo come se fosse il suo bambino,
resa delle carni naturalistica. Pietà del ’65 è insolita, scene narrative che sono paradigmi di devozione,
coinvolgimento empatico, sorreggere corpo morto di Cristo, mano artigliata che si aggrappa sul braccio
della madre, che quasi sorride. Maddalena che lacrima, capelli d’oro.

10. IL RUOLO DI SIENA NEL TRECENTO


APERTURE GOTICHE

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Il discorso riprende da Duccio e Giovanni Pisano per spiegare come a cavallo dei due secoli la città abbia
una grandissima apertura cosmopolita. Nuova tecnica di smalto, detto translucido. Orvieto, realtà molto
interessante, città di residenza estiva papale. Erezione di cattedrale in competizione con quella di Siena.
Ugolino di Vieri, reliquiario in forma microarchitettonica che riproduce come una facciata di una cattedrale.
Fabbrica del Duomo di Orvieto, vede scultori senesi all’opera. Natività di Cristo e creazione di Eva di
Lorenzo Maitani, si sviluppa un rilievo pittorico, complica la gestualità e l’interazione tra le figure. Eva che
viaggia con le altre figure con la naturalezza di Simone Martini. È infatti esempio di grande scultura del
‘300 che esegue valori propri della pittura contemporanea. Oltre a Maitani ricordiamo Tino di Camaino.
Tomba del cardinale Petroni, carnosità delle figure che è in rapporto stretto con i pittori dell’epoca.
SIMONE MARTINI
Sia lui che Lorenzetti sono allievi di Duccio, emergono con la Maestà di Duccio, ma Simone riceve maggiore
spessore in ambito di pittura civile e pubblica. Fa le mura del Governo dei Nove, una specie di contraltare
della Maestà di Duccio con più illusione. Aperta con incorniciatura della sala, con fendenti scorciati in
maniera spaziale, come se la Vergine e i Santi assistessero alle riunioni. La parete è bucata, arricchimento
del programma iconografico, 4 evangelisti e 4 dottori. Il quadro è dentellato, assemblea di Madonna con
Santi su gradoni di legno decorati alla certosina, baldacchino, che sottolinea la regalità di ambito francese,
invenzione elegantissima per misurare lo spazio. È uno degli artisti che ha una comprensione più profonda
dell’arte di Giotto, con illusione, volumi e spazi, al contrario della paratassi di Duccio. È empirica, si
costruisce in modo in cui i Santi danno una texture analitica. Modo di Simone Martine di partire dai volumi
giotteschi per dare più illusione empirica, carni, materiali, stoffe… il confronto va fatto con la Maestà di
Duccio, il contesto è diverso, uno è in Duomo, un altro in un contesto laico. Come se si rappresentasse la
scena di un sovrano sotto un baldacchino. In Duccio è tutto serrato, in Simone i nimbi si sovrappongono,
gruppo che si dispone con grandissima scioltezza e libertà.
L’idea del baldacchino che si affloscia riguarda Giotto, egli va a lavorare ad Assisi, ma lo conosce già da
prima. Cornice illusionistica, come l’alcova con baldacchino del sogno di Gregorio IX. Decoro che
asseconda l’allentarsi della stoffa, era anche impreziosito d’oro. Gigli di Francia, fedeltà guelfa angioina,
stemma di leone rampante su fondo rosso. Aste argentate, senso di rotondità.
Gruppo dei Santi mescolati con angeli, Simone Martini dà impressione di gruppo di figure che si animano
disponendosi in ordine sciolto. I Santi hanno ancora un rapporto con Duccio nei volti maschili e femminili,
ma con un volume e dettagli nuovi. Mani che afferrano e stringono, variate e prensili, meno schematiche di
quelle di Giotto, che aveva dato il senso di pinza. Sono più nervose, retrattili. Sottile espressività dei volti.
Alcune teste sono più minute e piccole, come la Santa con braccia conserte, ma hanno anche carni più
luminose, per rifacimento di anni più tardi. Intensione di ribadire un certo messaggio e aggiornare le teste
più importanti. Tenerezza della resa delle carni ulteriori. Vediamo Sant’Agnese ed arcangeli, più si scende
verso il basso più era importante la pittura a secco. Azzurrite scurita da ombreggiatura sottostante. Ad un
certo punto cambia e usa punzonature floreali. Modo di stagliare i nimbi che tagliano i volti dietro alla
giottesca, ma il naturalismo approfondisce le rese varianti di superfici ed oggetti. Le mani non sono
semplicemente riprese da Giotto, ma sono dei veri e propri ritratti. Da vicino il pittoricismo che Martini
incomincia a coltivare, vediamo carni volumetriche, che apre alla resa di una carnosità più tenera di Giotto.
Sommossa dall’interno, ciocche dei capelli un po’ stilizzate ma si animano con ritmi gotici. Labbra realizzate
da grumi di colore per rendere la carnosità. In confronto con la testa di Sant’Agnese nella Maestà di Duccio,
è evidente che come suo allievo Simone parte dagli stessi stilemi, ma li rende più Giotteschi e volumetrici.
Duccio è ritmico ed iterato, i linearismi di Simone Martini sono molto più varianti. Volti più naturalistici, con
riccioli che si muovono. Mano avvolta nella stoffa con gonfiore, rendere la mano un volume sotto il
drappo. È dimostrato che Martini si confrontasse con Giotto dagli angeli in primo piano che porgono delle
coppe come quelli nella Maestà di Giotto. Esplicito omaggio a Giotto, come ali che misurano i volumi. In
Giotto la figura era colonnare, in Martini vediamo slancio più sciolto e fisico del corpo. Trono diverso da
quelli Giotteschi, ligneo dorato, imperghe molto slanciate, incrostato al fondo con pittura a vernice sull’oro

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che allude a motivi cosmateschi. Capacità polimaterica di Martini, arricchisce ulteriormente la figura.
Individua una cesura tra verde petrolio e azzurro, cambiano strumenti, interruzione significativa, opera
finita nel maggio del 1315, evoluzione enorme di stile, tondi con dottori della chiesa dipinti a secco,
linguaggio che ha subito dopo ad Assisi. Dentelli traforati, punzoncini per arricchire il metallo. Busto
materico che ha densità e spessore, punzonando malta. Dipingere a vernice su argento ed oro. Volto della
Madonna con il Bambino avente toni più luminosi, Madonna regale con capelli che escono dalla cuffia.
Riccioli d’oro scatenati del Bambino, mano affusolata con mignolo che si impiglia con un lembo della sua
veste. Vivezza dello sguardo del bambino, labbra fatto con colori, punzonature e vetri inseriti. Testa di San
Vittore della Maestà con scorcio potente Giottesco, appena accennando dietro, epidermide con barba
riccia, senso sfumato sulle carni. 6 anni dopo è meno sanguigno, più raffinato. Scoperta della corporeità che
lo porta a questi esiti. Pittore che è quasi prigioniero di eleganze linearistiche, figure senza corpo? No, resa
di volumi e carnalità molto individuati. Testa di San Crescenzo. Altri esempi della sua sensibilità
polimaterica si vedono in a San Girolamo che ha due libri, testo greco e pezzi di carta con rubricature.
Fondo dorato, fuoriesce dall’oblò. Gioco illusionistico.
Nelle cornici vediamo che non si limita ad illudere a generici agenti fogliacei, ma li individua nel cardo con
foglie spinose, varietà fenomenica che va oltre Giotto stesso.
Versi in Volgare, risposta della Vergine alle suppliche dei 4 patroni di Siena. Nel ’21 viene cancellato con
seconda risposta della Vergine, aggiungendo cartigli con intercessioni dei santi che chiedono la protezione
di Siena. Legittimazione del governo dei 9, garantire la potenza senza essere violenti. Rivolta dei macellai
del ’19, prova di scalzare il governo dei 9, che viene repressa e viene fatta la Maestà. Legittimazione della
sala, reggimento per la città di Siena, monito messo in bocca alla Vergine contro i nemici. Invettiva contro
loro stessi. Messaggio politico di legittimazione dei 9. Immagine potentissima imitata in altri palazzi come in
San Giminiano. Affresco fatto al cognato di Lippo Memmi, che sposerà la sorella di Simone Martini. Replica
interpretativa, fa le figure una dietro l’altra, la Madonna è più ieratica, pur riprendendo quel linguaggio.
Ricchezza del mantello, pieghe che guardano a Giovanni Pisano e arte francese.
CAPPELLA SAN MARTINO ASSISI
Forte di questo successo viene chiamato ad Assisi, Simone, per la cappella di San Martino. Angiò grandi
finanziatori della basilica di Assisi. Aperte cappelle per ospitare ricchi che pagando si fanno mettere lì. 3
bifore, vetrate, controfacciata, dedica della cappella stessa, cardinale Gentile Partino da Montefiore accolto
in cielo da San Martino. È un milite romano che si converte e diventa evangelizzatore della Gallia. Si parte
dalla storia del Santo Cavaliere. In questa scena che domina tutto, la resa dello spazio sembra ancora di più
giottesca. Scorcio di sotto in su, triforio che fa intravedere l’altro lato. Simone Martini sviluppa un ciclo di
10 storie con ritmo ascensionale, al vertice dell’arcone ci sono le scene della morte di San Martino ed
esequie. Si parte dalle scene di lui ancora cavaliere. Importanza di incorniciature marmoree, in questo
dialoga con ambiente architettonico di Giotto. Raffigura varietà di Santi scorciati da sotto in su. Opere più
famose, Investitura cavalleresca del santo, che ci fa ricostruire come avvenivano le investiture. Giuliano
l’Apostata lo investe. Va oltre Giotto nella varietà variopinta e degli attributi, con anche quelli venatori,
falcone con cappuccio, mani inguantate. Ambientazione spaziale ma non acuta come Giotto. Varietà delle
barbe. Opposizione di ricondurre tutto a paradigmi esemplari narrativi. Dialettica fondante della varietà
delle strade di naturalismo.
Altra scena è quella di un sogno premonitorio di San Martino. Confrontabile con il sogno di Innocenzo III di
Giotto, aspetto che è più celestiale, Cristo attorniato da angeli con mantello sovrabbondante, si infila al lato
del letto di Martino, alcova con punto di fuga rialzato, descrivere in maniera attenta la coperta nei valori di
ornato e pittura atmosferica. Stoffa come seta leggera che lustra, evidenzia il corpo e sensibilizza. Superficie
più che spazio. Naturalezza della figura ravvolta nelle lenzuola che dorme. Piegoline della stoffa, incresparsi
di quadrettatura. Linee incise di guida, poi corpo che fa tremolare il motivo per il senso della naturalezza.
Geometrie vibrate. Punzonare i nimbi, miracolo di una celebrazione, ormai è vescovo. Cubicolo spaziale,
descrizione attenta.

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Gli angeli coprono le braccia di San Martino mentre eleva l’ostia, presente una tovaglia alla perugina, croce,
calice, descrizione incredibile. Chierico che solleva il vestito del vescovo è colonnare ma più gotico,
sottigliezza della mano filiforme che solleva il lembo.
Morte di San Martino, animula di San Martino che va in gloria. Effetto di angeli con vesti ondulate, ricchezza
di colore, cangiante da viola a giallo dorato. Corpo cadaverico di San Martino, i chierici che lo ripongono,
uno di schiena, rivestito da ricche stoffe e uno chinato in avanti. Pelata grigia e carni più rosate. Mai come
ad Assisi, Martini indaga varietà di tipi umani ed articolazione di dettagli. Corruccio dei chierici, altro che ha
testa torta verso l’alto, come guardando animula che sale in cielo. Martini fa i conti con idee di illusione di
corpo e volumi, piegando ad una resa più sensibile.
A fronte l’ultima scena sono le Esequie di San Martino. Disputa di Giotto, squadri di volumi straordinari.
Architettura francesizzante, colonnine tortili, trifore stilizzate. Architettura che rispetto a Giotto
dispongono figure in maniera più diversa, bambini con candelabri, esequie… santi negli sguanci della
cappella. Varietà di eremiti, confessori, come San Giorgio e Maurizio, condottiero di legioni africane. Lo
connota come un africano, interesse di tipi fisici. Illusionismo empirico lo spinge ad inventare una
incorniciatura con edicola triforata, davanti e dietro vediamo tutto scorciato.
San Giorgio che fa penzolare la testa del drago fuori dall’incorniciatura. Ricchezza stordente di colori.
Esercizi che partono dalla parte giottesca e la declinano in maniera alternativa. Naturalismo che coniuga
ritrattismo e sfarzo.
NAPOLI
1320, Martini può competere a Giotto la palma di maggiore pittore internazionale e va a Napoli, prima
ancora di Giotto. Nel ’17 viene canonizzato Lodovico vescovo di Tolosa e il re gli commissiona una tavola
per celebrare questo nuovo santo. Primogenito, cede la corona terrena a Roberto per ottenere la corona
della santità dagli angeli. Molto solenne e ieratica, ma i n realtà ha molte sottigliezze di volume e spazio.
Pavimento descritto in maniera attenta, che dà anche lo spazio. Gambe smussate da un lato, viviale
ricchissimo che scivola fino a terra, lonine dorate. Regalità che approda in Francia. Ricchezza incredibile,
lavorazione orafa delle superfici. Enorme vetro incastonato nella fibbia, in rilievo. Punzonatura.
SIENA
Pala dedicata ad Agostino Novello. Era senese, che cerca di lanciarne il culto in competizione con Nicola da
Tolentino. Miracoli di tipo popolare, bambino che cade e si rialza, miracolo post mortem. Tutti miracoli
dopo la morte. Eleganza propria di Simone Marini, resa della barba incredibile, aspetto selvaggio
dell’eremita, che assume però aspetto raffinato. Punta di pennello che lavora in maniera sottilmente
vibrante. Concatenare gesti, narrazione non Giottesca come fotogramma bloccata, nei senesi la narrazione
dà la sensazione dilatata del defluire. Agostino Novello fa capolino da una torre, pronto a sparire. Rabbia
della madre che bastona un cane. Martini non è solo umanità atteggiata, ma anche grande decoratore e
narratore. Madre disperata di quello caduto dal balcone. Venatura del legno, naturalismo più analitico.
Paesaggio grande punto di forza senese. In Martini già si vede che vuole eludere l’idea di paesaggio come
quinta. Sensibile a luce che trascorre e sfuma, lascia intravedere chiesa lontana. Uno caduto da una
stradella, schiacciato sotto il cavallo e poi risanato.
Esercizio di paesaggio con Guidoriccio da Fogliano. Manifesto politico di espugnazione di un castello ribelle.
Martini ne pitturò 4 nella sala del Governo. Rispetto alla Maestà, questo è un lavoro meno ricco. Graffi
rotanti, tracce di mappamondo: c’era un’enorme tela rotante che raffigurava il mondo con Siena al centro
e tutti i paesi del contado sottomessi intorno. Si è lacerato e perso. Castello di Giuntarico riconquistato nel
’14. Duccio lavora mentre Martini fa la Maestà, scalza subito il maestro. Scena paesaggistica che supera le
quinte giottesche. Castello di Montemassi, era stato pagato per andare a vedere i castelli, doveva essere
riconoscibile. Collina di fronte chiamata Battifoglia dove c’era una macchina d’assedio. Accampamento
miliare con vigne, metafora che intende dire che l’assedio fu così potente che ci hanno piantato le vigne.
Dipinta in giallo e simil oro, punzonato per alludere a veste sontuosa. Goticismo molto acceso. Torrione
ancora presente, ottagonale, a segno di come ci sia una novità. Accampamenti militari sommari rispetto a

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quelli di Assisi, perché era come un manifesto politico che non si aspettava rimanesse per tanto tempo.
Ritratto intenso con volto pingue, porcino. Stagno per fare cotta in maglia, resa del panno di pelliccia.
Pittura a calce, stampigliature per illudere briglio della luce.
Prima pala delle 4 dei santi avvocati, Pala Annunciazione di fra Sant’Ansano e santa Massima, cornice
neogotica falsa, riproduce quella che era la cornice originale. Santi avvocati importantissimi, polittico per
ospitare scena narrativa, grandi feste della Vergine, Nascita della Vergine, Purificazione, Parto. Fanno
corona alla Maestà di Duccio, con più storie. Martini che diventa più astratto ed etereo, senza realtà
fenomenica vista fino a poco fa. Collabora con Lippo Memmi, che va a destra. Pittura su oro con vernice ed
ombre perse che dovevano modulare meglio le vesti. Azzerare ogni ambientazione, animazione delle figure
che scaturisce dai corpi stessi. Lorenzetti la finisce nel ’42, Lorenzetti artista in dialettica completa con
Martini. Se Simone aveva eliminato ambientazioni costruendo tutto con figure, Lorenzetti si specializza in
architettura complessa.
Vergine che chiude il libro, pittura più metodica di Lemmi, che è più regolare. Modo diverso da quello
intaccato e vibrante di Martini. Si prepara la pittura fiamminga con oro punzonato del vaso dipinto su oro.
Stampini di varia forma che si infittiscono su creste di luce. Vernice traslucida per far trasparire oro.
MARTINI AD AVIGNONE
Capacità portentose che lo fa chiamare ad Avignone, dove passa ultimi 10 anni. È una coorte a tutti gli
aspetti. Papa sotto egida di re di Francia. Vari papi ampliano il palazzo, dove Martini incontra anche
Petrarca. Madonna dell’Umiltà, seduta a terra nel Rimprovero di Gesù, Vergine e Giuseppe che sgridano
Gesù, perso nel tempio. Scena aneddotica, Gesù non accetta il rimprovero, tira fuori natura divina, sottrarsi
ad affetti domestici per adempiere alla missione. Realizzato per grande cardinale, scena domestica quasi.
Giovanni Pisano francesizzanti è ripreso, ricchissima stoffa rossa del bambino. Affresco con Madonna
dell’Umiltà rovinato. Degli anni avignonesi ricordiamo un polittico, che si rifà a Duccio. Andata al calvario,
umanità che erompe fuori dalle mura con patetismo teatrale. Preziosità cromatica. Struttura originale.
Pittura a grumi. Compianto di Cristo, incredibile, deroga dal fondo oro per fondale vinaccia luttuoso. Per
Petrarca dipinge allegoria, eleganza inarcata calligrafica, dettagli accarezzati con scenette di genere del
pastore che munge. Contadino che pota gli alberi. Anni avignonesi, tavola di fronte con San Martino il
Povero, caduta di angeli ribelli. Visione di respiro cosmico. Angeli ribelli che precipitano nella terra,
combattimento di angeli in cielo. Più da vicino vediamo che angeli ribelli sono di dimensioni diverse, ciò dà
respiro cosmico. Schiocchi ariosi come Guidoriccio. Alcuni diavoli inghiottiti dalla terra. Avignone significa
anche Matteo Giovannetti, cicli profani, vestizione dipinta con scene di caccia e pesca, gusto profano che si
fa strada. Muore Martini e continua Matteo Giovannetti, squaderna illusione con architettura
rocambolesca. Narrazione ricchissima e vivace.
PIETRO LORENZETTI
Altro polo della pittura senese del ‘300. Tutta la pittura seguente sarà seguita da questi filoni. All’inizio
lavora a Cortona, poi ad Assisi, affreschi del transetto sinistro nella Cappella Orsini. Madonna e due santi
che si affacciano dal davanzale, in competizione con Giotto. Allievo di Duccio ma diversamente da Martini è
influenzato da Giovanni Pisano. San Francesco curvato, bambino vivace, mani della Vergine particolari. Si
confronta con Pisano, che morirà a Siena. In una delle opere giovanili di Lorenzetti vediamo il bambino che
si protende tutto con la madre, si tenta lo scambio degli sguardi. Bambino che si aggrappa e si scambiano gli
sguardi. Dinamismo espressivo, ammorbidisce la resa delle carni ma aggiunge linearismo. Squaderna al
massimo la sua forza espressiva nel transetto sinistro della Basilica inferiore di Assisi. Tematica, dentro un
ciclo che la spiega. Dopo quella di Cimabue è molto grandiosa, 60 personaggi che la popolano. La prima
scena vede l’ingresso di Cristo in Gerusalemme. Sistema di pittura arrampicata, la riempie di trovate ed
invenzioni, piene di forza ed energia. Cristo con profilo saldo e sicuro, fanciulli che si svestono, in gara con
Giotto nello scorcio di fianco o di dietro. Ebrei, sacerdoti da barbe fluviali che rendono omaggio ai Profeti di
Giovanni Pisano. Città con effetti ricchissimi, ombre proiettate. Energia di teste che si scambiano occhiate,
mormorano, rende valori espressivi molto più concitati, riferimento programmatico a Giovanni Pisano.

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Patetismo fortissimo. Giovane che strappa ramo d’ulivo per gettarlo di fronte a Cristo confrontato con
Simone Martini nella morte di San Martino, in Lorenzetti è scheggiato quasi rispetto allo sfumato di Martini.
Sono quasi in antitesi.
Lavanda dei piedi, spazio ad L, organizza una pensilina dove infila apostoli di schiena alla giottesca,
inserendo energia molto particolare, Cristo che tira su manto purpureo per lavare piedi a San Pietro. Scena
di ultima cena, figure intorno di commensali. Figura di genere e di cucina, gatto addormentato, ombre
proiettate di cane che lecca. Imitazione di smalti disciplinata da scorci e dettagli naturalistici. Giotto non
proietterà mai le ombre. Cattura di Cristo, stelline decorative, dorate con falce della luna, suggerire
ambientazione notturna, tono monocromo grigio degli alberi, come se ci fosse una luce lunare. Giuda in
primo piano che sopraffà Cristo. Figura di schiena idea giottesca che è torta, non misura lo spazio.
Crocefissione, Cristo gigantesco immane che troneggia, complessione robusta, chiome che cascano sul
petto, gambe flesse, ladroni con gambe strattonate. Addossato altare, cavalli visti da dietro, imbizzarriti.
Moltitudine di figure, svenimento della Vergine che casca e viene sorretta dalle compagne, plasticismo
espressivo di Lorenzetti. Rispetto al giottismo gli interessa il senso di corpi che occupano la scena. Cavallo
drizzato che si intravede sulla destra. Le ultime scene realizzate sono la deposizione della croce e del
sepolcro. Senso più potente dei volumi, icastico, coinciso. Cristo deposto della Croce che rivisita la
tradizione bizantina, ma qui casca, è strattonato. Raccolto da braccia, Giuseppe d’Arimatea sulla scala.
Nicodemo nell’atto di schiavellare, a terra c’è il sangue, sotto le gambe di Nicodemo si vede scolatura di
sangue. Diacronia, introdurre spunti di ragionamento importanti, forte capacità empatica di dialogo.
Deposizione nel sepolcro. Piegato ad un senso distorto dei gesti e del movimento, fatica del calare il corpo
nel lavello. Nella parte bassa fa finti marmi molto più poveri di Giotto e Martini, ma introduce finta panca
con ombra proiettata. Altare di San Giovanni evangelista, finto trittico con Madonna dei Tramonti. Colpisce
con raggio di luce punto di transetto sinistro. Madonna ispirata a Giovanni Pisano. Volto in profilo
interrogante, Vergine che gli addita San Francesco. Crocifisso su fondo oro. Lavora fino al ’48, muore con la
peste nera. Muore anche suo fratello Ambrogio, pittore civico di Siena al posto di Martini che va ad
Avignone. Grande ruolo, senesi nello sviluppare le pale d’altare, più dei fiorentini. Polittici su più registri.
Commissione di Lorenzetti dalla Pieve. Figura in 2/3, Madonna non in trono, come Giovanni Pisano.
Mantello rosa trapunto, code di ermellino che si vedono. Sopra Annunciazione con cameretta di illusione
chiara ma semplice dei volumi. Preziosità orafa non ricca come Martini. Pietro e Ambrogio si confrontano
con resa di architetture complesse. Acutezza di scorcio di cameretta, soffitti scorciati. Plasticismo essenziale
della Vergine, angelo che si genuflette con profilo espressivo. Figura molto ferma e solenne. Nel ’44
Annunciazione con masse gonfianti e piene. Effetti orafi, stiletto. Scorcio di pavimento mattonelle con
prospettiva centrale. Nel ’40 entrambi raggiungono grande esito di scorci e prospetti, soprattutto nella
Natività della Vergine, alcova a sinistra di Sant’Anna, Gioacchino a destra. Quasi veduta del palazzo
pubblico di Siena, bambina che sgambetta, si ribella. Acutezza delle volte incardinate nelle cornici. Figura di
sant’Anna, rannicchiata.
AMBROGIO LORENZETTI
Non meno grande di Pietro. È un pittore “filosofo” secondo Ghiberti, per le pitture civiche, allegorie di
effetti del buono e cattivo governo. Mette in scena pitture con contenuti complessi. ’19, Madonna di vico
Labate, attivo in ambito fiorentino. Volto solenne, carnalità di Lippo Menni, bambino con carnalità
eccezionale. Interazione con la maternità. Artista che rispetto a Pietro non ha vena profetica grandiosa,
resa variopinta degli affetti umani, complessità delle architetture complicate e ricchi. Ambrogio fa la 3° pala
di San Crescenzio, con la Purificazione di Maria. Cambia modulo, stringe il trittico centrale. 3 arcate,
architettura che è tagliata dalla cornice. Tempio orientale esotico, sinagoga dove il Cristo fanciullo viene
portato, incrostato di sculture, trafori, statue all’antica. Tiburio ottagonale. Interno selva di colonne
incrostate di colori delicatissimi. Strafare con illusione fastosa e d’ambiente. Affonda tutto nella penombra.
Figure imponenti e colonnari, mosse come nel bambino che si dimena. Annunciazione di 2 anni dopo,
colonnina tortile, libro sulle ginocchia, coste del libro, dettagli singolari. Usando l’oro i capelli sono

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completamente sull’oro. Pietro e Ambrogio nel ’40 si rassomigliano molto. Maestà di Massa Marittima,
composizione a schiere si Santi, virtù teologali. Carità, virtù dell’amore è rosso fuoco, speranza verde e fede
bianca. Carità ha un cuore, fede si specchia e vede trinità, speranza ha una torre. Verità degli affetti con
Madonna con il bambino, verità immediata del bambino guancia a guancia.
SALA DELLA PACE
Uno dei complessi più straordinari del ‘300. Propaganda politica, pace concetto cardine della politica,
prosperità economica. Ambrogio dipinge allegoria del buon governo, effetti del buon governo ed effetti del
cattivo governo. Dominano Giustizia e Bene Comune, che è la Repubblica, con mitici fondatori, tradizione
senese riconosce nei gemelli. Virtù cardinali, pace, donna rilassata vestita di bianco è la Pace, armatura che
vince contro violenza e guerra. Giustizia ispirata da Dio, tiene enorme bilancia, giustizia commutativa e
distributiva. Enorme pialla, è la Concordia, appiana i conflitti. Concordia, corda che viene annodata insieme,
viene dalla Giustizia, 30 uomini di Siena che a coppie la tengono in mano. In cima le virtù teologali, sotto le
cardinali. In un caso colpo di spada su chi ha fatto l’ingiustizia incoronando la parte lesa, dall’altra lamina di
stagno con cui misurare quantitativo di grano. Ad ognuno il suo. Effetti del Buon Governo, panoramica a
volo d’uccello che vede mura, città e campagna.

11. VENEZIA MUNDUS ALTER


VENEZIA DEL ‘300
Nel ‘200 intorno alla fabbrica di San Marco le tradizioni bizantine dialogano con il mondo Gotico e pagano.
Mundus alter, come città che tra le lagune è librata tra oriente ed occidente. Caratteri ibridi, molto
particolari ma di grandissimo livello. Nella pittura in particolare nessun centro può rivaleggiare con i Toscani
se non i Veneziani. Tra tutti primeggia Paolo Veneziano. Dipinge da giovane un’opera ibrida, San Donato
fatto per Murano. Tema dell’importanza delle policromie, coesistenza tra pittori ed intagliatori. Polittici
grandiosi. Prima di Paolo di Martino c’era suo padre, che ha fatto l’Incoronazione della Vergine, crisografie
ovunque che danno bizantinismo spinto, ma il tono stesso è tridimensionale, avente scorci che
presuppongono Giotto. La novità è che entrano in dialettica con il Giotto degli Scrovegni, dissimulare i loro
debiti di volumi per rivestirli di materia più luminosa e ricca, esce quindi qualcosa che non è giottesco né
bizantino, è una cosa unica. Già nel 1324 vediamo intaglio ligneo della cornice, è molto colorato, valva,
semicerchio. Dello stesso maestro vediamo una tavola, storiette che mostrano una parziale comprensione
del giottismo. Figure colonnari, narrazione realistica. Gesti in maniera realistica. Lo stesso Paolo Veneziano
crea delle singolari parafrasi della cappella degli Scrovegni di Padova. Volumi architettonici coloratissimi,
sacerdote barbone alla bizantina, veste con crisografia. Presentazione della Vergine al tempio, tono
narrativo che ha una scioltezza di dettaglio che mostra una certa comprensione del giottismo. Di primo
impatto sembrano antigiottesche e bizantineggianti, specie quando il soggetto vuole un tono più aulico. Fa
un eptittico, 7 scomparti, altare maggiore di San Lorenzo a Vicenza. Al centro c’è la chimesis della Vergine,
con animula che sale in cielo. Carni con ombre fumose come il Giunta Pisano, molto bizantino. Nimbi che
tagliano le teste che stanno dietro, cosa impensabile senza Giotto. Le figure di Antonio e Franceso sono
colonnari. Capacità di creare un linguaggio ibrido. Paolo Veneziano diventa egemone totale, tutti pittori.
Linguaggio che ha avuto una forte scultura. Storicamente a Bologna si chiamava un pittore Veneziano.
Parte alta del polittico di Vicenza è un tripudio celeste. In quegli anni Simone Martini lavora oro con
incisioni e graniture, vernici. Cristo che porta animula è tutto sull’oro. Pittura sontuosa come quella
paleologa, ma volto in ¾, scorci, volume di base giottesco. Base di marrone scuro che dà profondità fumosa
alle ombre. Incisioni dei nimbi che contro il punzone toscano, presenta una monotonia, girali a mano libera
con racimoli che fanno dei grappolini.
Polittico integro importantissimo è quello dell’Incoronazione, cornici importanti intagliate con fogliami, con
valve, motivo di scrittura marciana del ‘200. Tripudio celestiale, stoffe rabescate. Idea del firmamento
celeste che sopraffà l’architettura. Paolo Veneziano è un nuovo Duccio che ripropone cose molto analoghe,

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ritmi che si rispondono di colori e linee, ragiona ritmicamente. A confronto con Vitale da Bologna ha meno
vivezza e più solennità. Vitale da Bologna è degli anni ’50, Paolo Veneziano fa un polittico. Gentile da
Fabriano, incoronazione fatta tutta d’oro, firmamento come visione cosmologica.
Tomba del Doge Francesco Foscari, importante è la pala feriale, si tiravano su con la parte alta degli smalti,
marchingegno, aprire a libro le due coperte. Punto di arrivo della riconfezione della pala d’oro. Imago
pietatis in alto, sotto narrazione. 2 registri diversi, nella narrazione della Storia di San Marco abbiamo
architetture scorciate, tono realistico delle storie.

12. ARTI NELLE CORTI DEL NORDITALIA,


SCALIGERI, CARRARESI E VISCONTI
Protagonisti dopo la peste. Stagione del tardogotico nel 1400. Rispetto alla Toscana, dalla seconda metà del
‘300 il panorama si fa ricco e articolato, vedendo i nuovi protagonisti a Verona, Padova e Milano.
PADOVA E VERONA
Basilica del Santo, ordini mendicanti, chiese ad aula unica senza divisione a navate, cappelle addossate al
transetto. Qui vediamo un’eccezione, si venera Sant’Antonio da Padova, chiesa santuario di straordinaria
importanza e venerazione. In pianta vediamo che è longitudinale, al fondo abside monumentale con
deambulatorio e 9 cappelle radiali. Modello oltralpe, struttura nordicizzante innestante su edificio avente
5 cupole in asse, chiaramente traducente il modello di San Marco di Venezia, città di cui Padova è
competitrice. Si vuole imitare San Marco con una grande teoria di cupole allineate.
A Verona troviamo gli Scaligeri, chiesa dei francescani è la chiesa di San Fermo maggiore. I francescani
ottengono quella precedente alla fine del ‘200, ampliandola e realizzando una più grande e curiosa.
Chiesa ad aula costruita sulla precedente romanica. Copertura lignea tipica dell’area Adriatica, in linea con i
dettami del capitolo di Narbona. Profilo carenato, pieno di tavolette dipinte secondo il modo che si ha in
tutto l’Adriatico. Rappresentazione di un personaggio imponente che offre il modello della nuova chiesa,
nella nuova facciata e volta carenata, che fa iniziare a dipingere il tutto da un pittore giottista. Il
personaggio è Guglielmo Castelvarco, braccio militare di Cangrande della Scala, controlla le vie di transito
verso la Germania. Il pittore giottesco lo rende in maniera imperiosa, brutale, avvicinandoci all’arte delle
signorie, vediamo che sono tutti uomini d’arme, che devono imporre anche un’immagine più soave e colta,
qui però siamo proprio agli inizi di ciò. Di fronte a lui vediamo in posizione d’onore il padre custode, priore
francescano, chiamato Daniele. Giottesco, con forza plastica però anche semplificata. Scritte che egli rivolge
a Dio, pronunciate da Guglielmo, sottolineando che sono stati possibili per le sue finanze.
In San Fermo vediamo arti improntate alla visione riminesca. Giotteschi veronesi, educati sul Giotto
padovano, inquadrano figure scultoree, che si presentano in maniera quasi ieratica. Non è propriamente
moderno. Pittori veneziani e giotteschi mischiati. Realizza anche qualche pittura su tavola, figure plastiche e
bloccate, linearismo più forte nella resa dei volti. Elementi giotteschi, bambino con vesticciola avente
pieghe che cadono a piombo scanalate. Figure scultoree che hanno aspetto fuori dal tempo, ma il
linguaggio di base è giottesco.
Ad Arco, Castello, vediamo che il Maestro del Redentore crea una sala insolita, alla basa dell’arte profana.
Incorniciatura ancora bidimensionale, figure colonnari che ritraggono scene di svago e di giochi di tipo
cortese. Nell’ambiente delle signorie si sviluppano questi temi. Si inizieranno sempre di più forme di vita
aristocratica. I temi nascono dalle corti ma poi vengono imitati ad ampio raggio. Elite militare veronese. Nel
dettaglio vediamo il gioco degli scacchi, tentativi di scorcio dei corpi ancora alle origini.
Sagrato della chiesa di Sant’Anastasia a Verona si realizzano delle tombe monumentali in esterno. La prima
di tutte è di Guglielmo di Castelbarco. Lascia molti soldi e sovvenziona la prima chiesa dei domenicani a
Verona. Fa realizzare arca funeraria. Genere diverso, monumento pubblico all’esterno, come una
dichiarazione politica del prestigio. Edicole aniconiche a Bologna, non avevano raffigurazioni, qui a Verona
nascono quelle raffigurate, politiche e pubbliche. Maggiori arche di Verona. La più antica è Gisant e
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Cangrande della Scala. Investono nella magnificenza delle tombe. Questa è fatta fare dal suo nipote
Mastino. Tronco di piramide con al vertice il Can che ride, il cavaliere cavalca un cavallo con gualdrappa,
abbigliamento da trionfo del cavallo, che era tutto colorato e finito in metalli, rivestito di dorature preziose,
si volge di scatto con un grande sorriso stampato, in linea con la riscoperta del sorriso, attributo della
signoria. Sotto c’è la porta. Lastre tombali presso la porta erano ambite, umiliazione perché le calpestano e
perché erano molto visibili. Moda contemporanea del 1330. Monumenti equestri ripresi nell’arca
seguente. L’ultima arca è di Can Signorio. Scultore lombardo, Bonino da Campione. Vediamo che la scultura
è traforata e complicata, il cavaliere è molto libero. Idea ieratica del potere che contraddice l’arte del
tempo. 4 edicole agli angoli popolate da sculture nell’Arca di Mastino della Scala. Storie del Peccato
originale e di Caino e Abele. Figura riversa a terra di Abele ucciso. Ebbrezza di Noè, ubriaco. Potere delle
signorie che diventa molto potente, inizia ad invadere gli spazi sacri, come Bernabò Visconti, che stava nel
presbiterio a Verona. Sulle colonne ci sono tralci con oro a mordente, così come per i peli del cavallo.
Svolgimento verso il gotico internazionale. Oggetto completamente diverso, allargato all’area dello spazio,
guglie popolate dalle figure delle virtù, monumento equestre al vertice della costruzione piramidale.
Evoluzione che percorre il ‘300. Guglie estreme che preparano il tardo gotico.
Aspetti più psicologici e narrativi, realistici, uno dei battistrada è Tommaso da Modena, che si era formato
dalla scuola bolognese post giottesca. Si sposta nel Veneto in occasione della peste, ci rimane e lascia molte
opere a Treviso. Via della Germania, città molto cosmopolitica, dove nasceranno romanzi cavallereschi.
Sala capitolare dei Domenicani, province fatte in lista di un capitolo generale. Domenicani a lavoro nel loro
studiolo. Alcuni come Alberto Magno sono santi, altri beati. Devono fare una sorta di galleria. Campioni di
erudizione, sapienza e dottrina. Vita conventuale, finestra aperta. Scorcio architettonico molto sommario,
empirico. Pittore che non si cimenta con gli aspetti strutturali del giottismo. Origine del ritratto moderno,
fattezze fisiche, ritratto dell’anima, catturare espressione. Varietas stupenda. Alberto Magno avente carni
rese in maniera affusata. Pelle perfetta, vanto di pittura lombarda. Intensità psicologica. Libri alla rinfusa,
calami e pennini descritti in maniera realistica. Cardinale domenicano di Niccolò, che con una lente di
ingrandimento cerca di leggere. Ciclo delle storie della Sant’Orsola, in linea con le storie cavalleresche. Tutte
quante vengono massacrate del re degli Unni, è una martire cristiana per eccellenza, storia cavalleresca
epica. Profili giotteschi che interessa più che altro la verità carnosa e degli sguardi. Sorriso leggero dei volti
delle fanciulle. Linea che corre le silhouette. Maniera sensuale delle figure. Apparentemente può sembrare
semplice, non ha complessi panneggiamenti, ma c’è un realismo moderno soprattutto nelle emozioni dei
gesti. Più caratterizzato e severo è per i Domenicani, sui piloni ci sono molte raffigurazioni come una
potente di San Girolamo nello studio che indica un libro. Fascette alla parete, boccia di inchiostro. Come
Pietro Lorenzetti, è l’unico del ‘300 a dare dettagli del genere. Ombre sottilmente rugose, astrazione
bizantina del ‘200. Senso moderno delle carni. Imago pietatiis, soffusa di dolcezza ma anche acre nei
dettagli. Confronto con uno di Vitale da Bologna, punto di partenza di Tommaso da Modena. Egli va oltre
nella caratterizzazione più individuale dei tipi.
MILANO E PAVIA
Visconti, in accordo con la Repubblica di Firenze ottiene gli allievi di Giotto e lo scultore Giovanni di
Balduccio. Impianta una scuola a Milano. Arca di San Pietro Martire, in Sant’Eustorgio. Viene fuori da
Giovanni Pisano, ma decora, arricchisce, è un ornatista, la glimpa e gli occhi della figura sono psicologici.
Partecipa al movimento di crescente naturalismo dell’arte settentrionale. Giottismo riformato che si
sviluppa da Milano e dalla Lombardia. Giotto ci lavora per un anno, ma ci rimane uno dei suoi allievi
maggiori. Capacità di allineare le figure in maniera imponente e di rivestirle in maniera imperiosa. Abbazia
degli Umiliati, ordine laborioso. Giottismo maturo, trono scorciato e svettante, arricchito di turiboli e
pinnacoli, che rispetto alla svolta astratta degli Orcagna, vediamo la complessità reale dei volumi, colori
cangianti. Toni molto caldi che caratterzzano Tommaso di Stefano detto Giottino. Troviamo figure solenni
e torrite nello spazio, carni arrossate. Giovanni da Milano è molto influenzato da Giottino, ma rispetto alla
figura colonnare è influenzato dalle carni.

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Pittura improntata da Giottino e Giovanni da Milano che va avanti in Lombardia. Corte dei Visconti, in linea
con le corti d’oltralpe è in linea con i gusti nordici. Miniatura lombarda, 1320, Roman de Tristan, vivacità
estrema, ma niente scorci. È impressionante la crescita della Lombardia, 1320 rimane araldica e
bidimensionale, nel 1370 si nota una grandissima evoluzione, Mastro del Guiron, libro illustrato, che non si
imbriglia nelle iniziali, ma deborda sui margini e nella zona in basso. Crescita di ambientazione e spaziale
enorme, tridimensionale. Giottismo fondamentale, senso di atmosfera, scorci improvvisi, lucori sfuggenti,
effetti obliqui che vanno e vengono come in Giovanni da Milano. Scena cavalleresca, 4 cavalieri che
sconfiggono e disarcionano. Da vicino si nota che la narrazione è viva. Sempre lui rappresenta Re Artù che
gioca a scacchi, mentre gli arriva un messaggio. Natura cortese, si vede alcova, cani a terra, figure che
sbirciano. Modo frammentato ma vivo, naturalismo che poi passerà a Gentile da Fabriano. Lombardi
famosi in Europa per i codici cavallereschi, ma anche libri di illustrazione protoscientifica. Naturalistici, che
nell’inventario francese si chiamano Ouvrage de Lombardie. Maestro di Lancelot, Perceval che banchetta
con Satana. Volontà di attualizzare il sacro, libro d’ore, si vede il campanile di San Gottardo al fondo. Una
sorta di presepe in miniatura, realismo del bagno del bambino che viene poi fasciato. Volontà di
modernizzare. Ciottolato del selciato. Pellame di animali, stoffe, acqua saponosa. Salti di proporzione
irrazionali, si allontana un po’ dal primo giottismo riformato.
Modena, Maestro del libro d’ore di Modena, tono leggero dell’arte sacra. Produzione profana, oltre ai
romanzi cavallereschi, ci sono anche i taccuina sanitatiis. Testo arabo tradotto in latino, lunghe didascalie,
che descrivono le proprietà di elementi naturali, una specie di enciclopedia scientifica e medica, avente una
grande fortuna. Lunghe didascalie. Vediamo Aqua ordei, “orzata”. Doppio aspetto, vivacità realistica, moda
elegante e raffinata. Colori della miniatura lombarda, toni vivi e particolari. Copia cortese. Donna offre
orzata all’uomo che la sorseggia. Uomo avente scarpe a punta, ambientazione fantastica nell’architettura
che è selva di trafori e pinnacoli, incarnando il gotico “fiammeggiante” internazionale. Ambiente lombardo,
taccuina sanitatiis, emerge un miniatore, artista a tutto tondo con oreficerie, vetrate. Giovannino de’
Grassi. Fabbrica del Duomo di Milano, 1385, anni ’80 e ’90. Cresta dell’onda. Miniatore. Conosciamo un
taccuino acquerellato, scene realistiche varie, di gusto cortese, come queste due donne, di cui una suona
articordo. Silhouette eleganti, mani sforbiciate, volti carnose. Modo di dipingere che ricorre alla
puntinatura, che vuole dare una sinuosità delicata.
PADOVA E VERONA
Padova, vediamo che è al secondo posto dopo Bologna per gli intellettuali. Petrarca alla fine della sua vita
va a Padova, dove Guariento d’Arpo è il migliore, vuole imitare il Giotto degli Scrovegni, rivelandosi uno
straordinario narratore. Accanto agli Scrovegni vede finte sculture, parte bassa della parete, ciclo
astrologico, 7 pianeti e 7 giorni della settimana, molto colto e complesso. Rilievi che sembrano animarsi,
modanature complesse. Vestizione di Sant’Agostino da parte di Sant’Ambrogio. Ordine agostiniano, scena
popolosa. Abside al fondo, aprire con 3 fornici architettura scorciandola con 3 fornici. Per la metà del ‘300 è
molto complesso, architetture che ancora non sono sistematiche, ma pongono le basi al neogiottismo
veneto. Giottismo complesso, riscoperta di Giotto che avviene proprio a Padova, dove Giotto aveva lasciato
molte cose che poi sono andate distrutte. Altichiero studia le sue opere. Chiesa di Sant’Anastasia, della
famiglia Cavalli. Elite che imita i modelli signorili del personaggio di riferimento. Donatori umilmente
inginocchiati ai piedi della Madonna, che erano in passato ancora più piccoli, membri maschili della famiglia
Cavalli armati di tutto punto che si inginocchiano. Emblema della famiglia Cavalli, è come se fosse una
scena di udienza cortese, in scala proporzionata. Sul lato scorciato vediamo in un’edicola traforata da
cuspidi, la Madonna con il Bambino che si sporge in avanti. Scena della Commendatio animae diventa
realisticamente e scenograficamente di udienza, in un palazzo che è una reggia cortese. Loggia di un
palazzo, in cui raffigura busti di imperatori romani. Storie di San Giacomo che mischia temi cavallereschi a
propaganda politica dei Carrara. Crocifissione sulle pareti, in cui sono stillate storie di San Giacomo, che
sostengono Carlo Magno nell’assedio di Pamplona nel nord della Spagna per scacciare i Mori. Capitolazione
degli sconfitti, figura che si inginocchia in segno di preghiera. Sbuca in un fondo tra le mura della città ad

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assistere i Franchi, scene come Ambrogio Lorenzetti, veduta a volo di uccello non in maniera attualizzante,
ma dà corpo agli ideali cavallereschi. Mischia, assalto, dettagli di brani di forza psicologica. A sinistra
vediamo il consiglio di guerra dove Carlo Magno si consulta con i suoi, avendo avuto prima un sogno in cui
San Giacomo lo conforta. La scena di udienza vede una naturalezza della figura accasciata nel sogno,
scorciata di taglio in profondità, andando oltre la scatola spaziale di Giotto, marmi pregiati che gareggiano
con quelli della zoccolatura degli Scrovegni. Volti ritrattistici, udienza di Carlo Magno. Colore caldo e
sfumato delle figure. Armature realizzate con la lamina. Dorature, elementi di ricchezza, capacità di mettere
in atto un’azione in maniera teatrale. Figure giustiziate in primo piano. Teatro sacro nel Calvario, è il più
corale dopo Lorenzetti. Articolato nelle 3 campate della cappella, al centro c’è Cristo in Croce, angeli
scorciati sul modello del Giotto Scrovegni. Moltitudine che popola la scena, figure che spesso sono di spalle,
ma rispetto a Giotto abbiamo pelle cromatica. Soldato in primo piano con mantelletta azzurra che cangia in
rosa. Monumentalità e grandiosità. Maniera non composta di bolognesi che ha elementi realistici,
svenimento della Vergine e manovali che rientrano in città dopo aver fatto il lavoro, con in mano i loro
strumenti. Soldati che si spartiscono le vesti di Cristo. Registro tragico, grandioso e alto, si nutre di dettagli
molto realistici. Giotto viene rivisitato con una pelle più calda e sfumata, carni pulsanti. Puntualmente
avente scorci di nimbi. Calvario nella scena di Sinistra, Vergine che sviene, toni misurati. Dettagli di intenso
pathos, aneddotica di bambino che frigna, manovali che rientrano in città, martello servito per inchiodare
Cristo e ladroni. Capacità di scorciare e padroneggiare i volumi, impalcando scena scalata. Gruppi di figure
diverse, organizzando il paesaggio come quinta. Cavalieri che entrano in scena all’improvviso.
Jacopo Avanzi di Bologna lavora al suo fianco molto. Li troviamo insieme nella Cappella di San Giacomo,
inizio della sua storia dove lavora il suo socio. Bolognese, formazione vicina a Vitale, ha ombre più
aggressive, ritmi spezzati ed è meno razionale. Meno grandiose di Altichiero. Lunette che faranno grande
impressione, miniatore francese che passò a Bologna e Padova, fa fiorire spettacolare quinta architettonica
in ambito internazionale. Altra lunetta di Jacopo Avanzi, è il San Giacomo condotto al Martirio, guarisce
cieco ai suoi piedi e poi viene decollato. Bambini che corrono, poi scena cruenta. Figura vista di schiena
simile ad Altichiero, ma colori non pastosi, tutto è più regolare ed empirico. Altra lunetta è il corpo di San
Giacomo che viene trasportato in Galizia, dove la regina Lupa si converte. Arrivo di San Giacomo che viene
seppellito. Miracolo post mortem che interviene e fa crollare ponte su cui passavano dei miscredenti.
Palazzo di Cansignorio della Scala, Loggia di Altichiero. Volti che riprendono la numismatica. Veri e
palpitanti. Dottrina di ambiente colto dietro Altichiero legato a due sue miniature che illustrano biografie
di uomini importanti del tempo, scritti da Petrarca. Fama di Condottieri, Gloria mondana su un carro che
porta le corone di alloro. Spiritelli che suonano trombe alate. Giotto stesso aveva raffigurato una gloria
mondana a Milano, qui è riproposta. Idea teatrale e spettacolare, cavalieri che si protendono per prendere
la corona, scena festosa e fastosa. Altra grande impresa decorativa è l’Oratorio di San Giorgio. Oratorio che
ripropone in piccolo la cappella Scrovegni, aula unica a botte. Stesso stratagemma di affrescare oltre il
limite di imposta della volta, dando ampiezza nuova dello spazio. Protoprospettiva. Purificazione di Maria,
presentazione al tempio di Cristo, spaccato di architettura, facciata aperta per mostrare l’interno, avente
anche veduta urbana, teatrale e fastosa, amplifica architetture, arche scaligere, edicole traforate e
cupolotti, architetto idealizzante. Aspetto retorico che c’è in Altichiero, costruire in maniera colonnare le
figure, ma in tono caldo e delicato. Lo scorcio rispetto a Guariento è più sicuro e assestato. In confronto
Giotto nei gruppi figurati vede panneggiamenti che inguainano, posa del bambino simile a quello degli
Scrovegni. Vedute urbane, clima nuovo e mutato. Esequie di Santa Lucia, descrizione di personaggi ritratti
che sarebbero stati riconosciuti dai padovani del tempo. Vediamo moltitudine di personaggi, copricapi
colorati, figura con il cappuccio scuro che è di Francesco da Carrara. Teatro grande, enfatica, retorica, che
sa commuovere. Intimità di sguardi e gesti. Figure anziane, popolo che accorre al suo funerale. Qualità
ritrattistica di volti, intensità e sfumatura della resa delle carni. Verità individuante dei volti. Squarcio di
dettagli, scorciare in profondità. Oltre Altichiero e Jacopo, vediamo un competitor, Giusto dei Menabuoi
che viene da Firenze, ma educato da Milano. Pittura integrale del battistero di Padova. Anni ’70 dopo

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attività Milanese con il suo giottismo. Molto diverso da Altichiero, che crea un’attualizzazione mondana.
Egli ha un’aurea sacrale quasi bizantina, gravitas solenne. Ciclo del battistero. Annunciazione. Cattura di
Cristo, moltitudine di elmi, armata infinita che va a catturare Cristo. Nozze di Cana, tavolo a L, quello che
mette acqua in otri, rispetto all’efficace sintesi di Giotto, vediamo dilatazione che si dilata di figure,
allineamento intorno alla mensa, che perde di forze drammatica ma sviluppa gusto aneddotico.
Purificazione di Maria, gareggia con Altichiero nello squadro ma non ha lo stesso stupore architettonico.

13. IL GOTICO INTERNAZIONALE IN EUROPA


Geografia artistica molto relativa, Firenze sarà molto importante, come anche le Fiandre, ma il linguaggio si
afferma gradualmente e faticosamente nell’Italia delle corti, dove, anche a Roma, persiste fino alla metà
del ‘400 il linguaggio del tardo gotico, detto internazionale. Momento di straordinaria vitalità di scambi in
Europa, intensificarsi di traffici mercantili, le città e le corti diventano protagoniste. Re di Francia e i suoi
vari duchi avranno un’importanza fondamentale. Boemia come sede dell’Impero, soprattutto a Praga, come
anche Avignone nuova sede papale. Verona, Padova, Milano e Pavia sono i centri nevralgici italiani di
cultura cortese. Tardo gotico allude ad un linguaggio perpetuato ancora, chiave conservatrice e
retrospettiva, intensificarsi di molti aspetti, materiali, calligrafismi proliferanti che vengono ricondotti al
gotico. Periodo di fermenti, interesse per realtà fenomenica in linea con il movimento del gotico. Risposte
contraddittorie: linguaggio figurativo in chiave rinascimentale a Firenze, pittorico nei fiamminghi. Termine
“gotico internazionale” coniato in Francia nella fine dell’800. Ruolo nazionalistico della Francia come leader
europeo del ‘400, alla base della genesi del Rinascimento. Germe che porterà allo sviluppo di questo
periodo in Italia centrale. Internazionalità del linguaggio all’insegna di un primato francese. Tardo gotico,
linguaggio che persiste nel ‘500 anche, motivi scultorei ed architettonici, “flamboyant” che Vasari
stigmatizza come “maledizione di altarini”, complicazione babelica di aspetti gotici rispetto alla razionalità
rinascimentale. In ambito tedesco alcuni stilemi gotici persistono anche nel ‘500. Complessità del tardo
gotico. Anno di riferimento 1400, transizione tra i secoli XIV e XV. Ambivalenze del linguaggio che unisce
anche aspetti contraddittori come eccessiva decorazione ma anche indagazione fenomenica. Stilemi cortesi
di carattere filo cavalleresco, per promuoversi le corti perseguono questo modello di status. Un oggetto
prestigioso del re di Francia Carlo V è uno scettro, in cui egli è raffigurato in maniera idealizzata. Si allude
alla vita regale di Francia come Carlo Magno. Il pomo raffigura la morte di Carlo Magno, avente la sua
anima disputata dall’angelo e dal demonio, che poi grazie a San Giacomo andrà con l’angelo. Sculturine
realizzate a sbalzo, tempestate di perle e di gioielli. Atelier parigini di corte francese sviluppo straordinario.
Micro sculture, nelle corti si sviluppa una passione per il lusso che non aveva eguali. Impressionante
commistione tra arte sacra e profana. La miniatura diventa un’arte guida del gotico internazionale. Liturgia
delle ore, tipo di libro che si sviluppa tra ‘300 e ‘400, ma sono oggetti di lusso che vengono usati da
dignitari che li usano più per esibirli che per recitare i carmi. È detto libro d’ore. Jean de Berry, fratello di
Carlo V e zio di Carlo IV, amante del lusso e committente di molte opere, in un libro d’ore si fa
rappresentare mentre va in un pellegrinaggio, esibendo per fine pubblicistico la sua pietas e devozione
religiosa. Mantello foderato di pelliccia, ciacca in testa, collana d’oro e gioielli, mentre viene accompagnato
da un angelo. Levriero in primo piano che allude per lo più ad una battuta di caccia. Mentalità percorsa da
conflitti e ambivalenze. Colori molto luminosi, fondo riempito da azzurro su blu, girali astratti.
Raffigurazione della moda, empatia tra tendenze figurative e della moda del tempo. Lunghi vestiti
strascicati delle donne, maniche molto larghe, vistose. Non c’è solo ridondanza figurativa, spicca anche una
tensione volta a captare il dettaglio fenomenico e una resa degli affetti indagata. Emerge Claus Sluter, nella
corte di Borgogna. Filippo l’Ardito è il personaggio centrale. Politicamente è un periodo di guerre
sanguinose, come la guerra dei Cent’anni, che non limita la grande potenza economica francese. Egli sposa
Margherita di Fiandra, ultimo erede di questo ducato. La Francia dunque si abbraccia al Belgio. In età
carolingia scaturisce in Lotaringia. Dalla Borgogna nascono gli ordini religiosi più importanti del Medioevo,
come anche le caratteristiche principali architettoniche. Certosa di Champmol, ordine certosino è l’ordine

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più aristocratico. Le certose rispettano una clausura integrale, sono molto esclusivi. I certosini sono 24, il
doppio degli apostoli, essendo i rampolli delle famiglie più importanti e ricche. Filippo l’Ardito dà il modello
costruendo questa certosa. Dopo pochi anni, Giangaleazzo Visconti fonderà quella di Pavia, imitando
proprio l’Ardito. Visconti si intreccerà con i Valois francesi. Penetra così la cultura francese in Lombardia e
viceversa i codici lombardi in Francia. È questo alla base di internazionalità, la certosa di Pavia convergerà
anche nel Duomo di Milano. La Chatreuse de Champmole è andata distrutta, rimane solo un portale
francese con Trumeau, avente il Battista e Santa Caterina, oltre Filippo l’Ardito, accompagnati da San
Giovanni Battista e Santa Caterina. Salto ulteriore, la scultura è una statua a tutto tondo, che si allarga
rispetto alla sua base creando un palcoscenico, le figure dei committenti si inginocchiano alla Vergine che
sta oltre l’ingresso. Anche i due santi si allargano nell’esplosione delle pieghe del vestito, ha anche
espressione nel volto, ridondanza teatrale non fine a se stessa ma incarnata nella resa teatrale degli
affetti. La Madonna col Bambino è un’esplosione di affetti, ma rivisita Giovanni Pisano, che allarga le
braccia dando enfasi alla scena, aprendo anche le braccia. Figura che sotto ha una corporeità, non è
semplicemente calligrafismo che svuota la figura. Linguaggio rinascimentale, che sarà ripreso da Iacopo
della Quercia e Donatello. Altra impresa di Sluter, è il Pozzo di Mosè. Lati di esagono, con colonnine che
spariscono dietro la figura umana, come Donatello egli ragiona in funzione della collocazione delle loro
opere, visto che sta in alto si sporgono in avanti per dialogare con chi le vede. I profeti hanno
un’espressione tormentata, vivevano nel dolore per non aver visto Cristo, gli angeli piangono. In accordo
con la base del calvario gli angeli squadernano le ali, sono tutti diversi tra loro, avendo un’intensa
caratterizzazione individuale. Vediamo da vicino gli sguardi corrucciati dei profeti che dicono le loro
profezie. C’è ideale di Giovanni Pisano avente a monte Donatello. Policromia, erano vistosamente colorate
e decorate, anche di lamine metalliche. Valore che il Rinascimento dimenticherà in favore del marmo
puro all’antica. Tombe della Certosa di Champmol. Sarcofago a isola, parallelepipedo su cui sta il Guisent.
Le sculture che ci interessano sono quelle di Sluter, che trafora la base come se fosse un portico di un corteo
funebre, avente certosini che piangono i morti Filippo e Margherita di Fiandra. Teatralizzazione
spettacolare, “i piangenti” hanno il cappuccio monastico calato sul volto. Incedono con sai monastici
sovrabbondanti, le pieghe sono essenziali ma stupendamente articolate e variate, fanno intuire il corpo
sottostante, anche se per frammenti come mani che sbucano. Panneggio ridondante, ma non eccessivo.
Valori che si influenzano a vicenda, come le sculture di Sluter dobbiamo immaginarle impreziosite da
metalli, così l’oreficeria stessa emulava la teatralità sluteriana. Tutti i duchi avevano residenze a Parigi,
dove stavano i vari atelier. Sviluppano tipologie innovative, gioielli come teatrini devozionali a “ronde-
bosse”, microsculture realizzate direttamente in oro, poi rivestite dallo smalto. Si parla di smalto a tutto
tondo. Fino ad allora i francesi caratterizzano tutta la smaltistica precedente come smalti su superfici
piatte, bidimensionali, l’idea di usare la pasta vitrea intorno alla statuina è rivoluzionaria: scultura di oro
smaltato. Smalto bianco o traslucido, soprattutto nel rosso, verde e azzurro. Effetti della pasta vitrea, dà
luce. Nei capelli l’oro è risparmiato, come anche nella croce. Luminosità data anche nel bianco. Smaltati
“de albo”. Invenzione Brunelleschiana delle rubiane nei Medici, che avevano sicuramente un collegamento
con ciò. Oggetti di dono tra le corti, accompagnavano i matrimoni, che erano occasioni di scambio di
modelli figurativi. Questo è un dono per il matrimonio di Filippo e Margherita. Calvario che ci dà un’idea di
quello perduto di Sluter. Cristo che ha una ciocca che gli cade da una parte, idea giottesca. Maniera intensa
e vezzosa. Tutto è tempestato di gioielli. Ad Altoetting vediamo un Cavallino dorato, la moglie di Carlo V,
Isabella di Baviera, lo donò al marito nel 1404. Oggetto di 70 cm, in oro, luminosità abbagliante, teatrino su
due livelli, scudiero di Carlo VI, sopra Carlo stesso inginocchiato in preghiera di fronte ad una Madonna col
Bambino dell’Umiltà. Dossale rampicante che è un “roseto”, che delimita il giardino della Vergine, allusione
alla sua purezza. Foglioline di querce tempestate di perle. Vergine tutta bianca abbagliante, sotto ci sono
bambinetti che indicano Santi Giovanni Battista e Evangelista e Caterina. Valore augurale, Carlo VI era
affetto da insania mentale, molto grave, infermità che erano uno stigma di elezione divina, sacralità del re.
Certe malattie erano viste così. Aura particolare intorno all’insania del re. Mancava ancora un erede

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maschio, quindi i bambinetti presenti augurano ciò. Carlo VI è un personaggio bizzarro, viveva in una
dimensione chiusa in corte, amante del lusso e di abiti sfarzosi. Lo vediamo con un vestito ricchissimo.
Carnalità, volti e gesti con intensità espressiva fine. Santa Caterina nel teatrino che porge l’anello al
bambino. È tutto molto animato, diverso dalla potenza drammatica di Sluter. Gazebo con foglioline di
quercia. Il Bambino si sporge con l’anello verso Santa Caterina. Cavallo reso in maniera naturalistica. La
granitura è un elemento fondamentale, oro lavorato in punta di stiletto, incisione puntiforme, come lo
abbiamo visto in Giovannino delle miniature lombarde. Sella del cavallo lavorata in granitura. Cennino ne
parla come “arte del granare”, creare ancora più luccicante l’oro brunito.
Corte di Carlo VI e Isabella di Baviera hanno un codice scritto dal suo segretario, dialoghi suoi con il
sovrano, in cui lo interroga un po’ su tutto da Adamo ed Eva in poi, rivelando le sue inquietudini. Squarcio
di vita cortese nelle miniature, letta come il sovrano voleva farsi rappresentare. Maniera intima ma
teatrale. È sul ciglio del suo letto, dipinto sontuosamente, mentre dialoga. Stoffe lussuose, baldacchino,
dettagli che preparano l’arte fiamminga. Argento dei vetri piombati, cielo tempestato di stelle, anche di
notte il sovrano dialogava. La moglie si fa raffigurare mentre viene omaggiata del libro di una letterata di
origine italiana, Christine Pizan. Scrive dei testi che sono misti tra lett. cavalleresca e religiosa edificante.
Scrive anche delle epistole delle amanti deluse. Elisabella di Baviera è seduta nella sua stanza da letto con le
sue damigelle, gigli d’oro di Francia, cagnolino affusolato al piede del letto. Cane simbolo di fedeltà. Tono
un po’ spezzato di ritrarre intimità, cura di tutto, copricapi a sella. La miniatura è un’arte guida,
specialmente quella francese a cavallo tra ‘300 e ‘400. Uno dei primi innovatori con aspetti moderni di
apertura verso la resa della natura a volo di uccello, empirica ma moderna, sono quelle di Jacquemart de
Hesdin. Vediamo la sua Fuga di Egitto, vignetta a piena pagina, come un quadro, incorniciata da girali
minuti e fiorellini, tipicamente francese, le bordure hanno elementi araldici, cigno e orso. Amante era
Ursina, gioco di parole. Dose di esibizione. Paesaggio a volo di uccello come i primi senesi che lo
introducono. Notiamo anche la tensione a ritrarre ambienti di interno e paesaggi con verità penetrante e
spoglia. È una fuga invernale, paesaggio grigio e desolato. Intimità e tenerezza del bambino infreddolito,
valori comunicativi intensi. Un altro anonimo è il Maestro del maresciallo di Boucicaut. Passione
spasmodica, pregava la notte. Uno dei suoi libri è spettacolare, foglie d’edera minute a penna, filogranato,
che ha in contrasto lo squarcio della Fuga in Egitto. Il paesaggio non è essenziale e spoglio, esplosione della
descrizione naturalistica. Alcune cose sono stilizzate, nella vegetazione, però al fondo l’idea è a volo
d’uccello. Dettagli del fondo avente pittura quasi sfatta. Azzurro che si schiarisce, cielo atmosferico che
diventerà la norma. Spinge in un monocromo che presagisce nella prospettiva aerea di Leonardo. Non è
ancora propriamente ciò, ma si inizia. Verso il fondo è ancora un po’ crepuscolare a contrasto del disco
laminato in oro del sole. Oro a missione nei raggi. Parigi è capitale della miniatura europea. Vediamo un
miniatore bolognese, il maestro delle iniziali di Bruxelles. Decoro a penna filigranato mescolato a fogliame
carnoso neogiottesco. Architettura di Jacopo Avanzi, maniera arbitraria, specie di reggia principesca un po’
babelica, popolata da molti dettagli. Si vedono degli scarafaggi, gioco umanistico. Ambiente colto e
stimolante. Figurette scherzose, a tratti mostruose. Putti con giochi erotici e sadici. Idea multicolore.
Elementi di divertissemoint e di altro genere. Gotico internazionale impersonato dai tre fratelli Laimbourg,
che si legheranno al duca di Berry. Moriranno nel suo stesso anno. Peculiarità del libro d’ore di Chantilly.
All’inizio c’è il calendario. Tipicamente c’erano le raffigurazioni dei mesi, segno zodiacale e lavoro del
mese. Qui diventano squarci di vita interni ed esterni popolati da molti episodi, come negli affreschi di
Torre Aquila a Trento. Lavori e svaghi principeschi. In Gennaio si sceglie come raffigurazione il banchetto di
Capodanno. Il duca è davanti al caminetto, mescolano cose realistiche ad esibizioni teatrali. In primo piano
uno dà gli ossi al cane, si vede la mensa con piatti di oro e argento. Orso dorato emblematico. Confusione
della resa dell’ambiente, al fondo ci sono arazzi con scene cavalleresche. Confusione tra i vari astanti e
arazzi al fondo. Scritta in oro che dice “avvicinati per scaldarti al camino”. Agosto, vediamo che è
incompiuto negli ornati, non c’è ancora prospettiva ma senso della vastità delle ambientazioni che
presagisce questi sviluppi. Paesaggio sotto il solleone, campi dove c’è il fieno, si taglia l’erba, castello

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lontano con guglie. In primo piano battuta di caccia, valore di status symbol, sono tutti bardati con abiti
sovrabbondanti e complicati. Metafora di cultura cortese. Figurette grigie che nuotano nell’acqua. Gusto
cromatico, colori delicati. Il Buon Governo di Lorenzetti è capostipite di ciò, su tutto regna armonia.
Febbraio, ci offre una scena di vita invernale, modernità straordinaria, filone tipicamente nordico di pittura
sensoriale. Raffigurazione che fa sentire quasi il silenzio e i fruscii, quasi gli odori. Non parte da un volume
mentale, va in maniera additiva per insieme di dettagli. Fumo al fondo del comignolo grigio contro le
colline, ramoscelli che hanno la neve in maniera precisa. Novità del cielo atmosferico. In primo piano si
vedono uccelli che beccano sull’aia, figure che si scaldano sul caminetto. Altro esempio è San Nicola che
salva i naviganti da una burrasca. Nave che si squaderna, limite di artificio decorativo, eleganza delle curve.
Eventi metereologici in Gentile da Fabriano, mare che diventa verde per la torbidezza. Nelle acque nuota
una sirena, retaggio della fantasia antica. Figurette che nuotano a pelo d’acqua. Immagini memorabili, di
cui spicca l’Ego Sum, dal Vangelo di Giovanni. Quando vanno a vessare Cristo dopo il bacio di Giuda, si
interroga Cristo e tutti cadono a terra. Silenzio sconfinante della notte, sfide mimetiche che non sono solo
visive, danno proprio atmosfere e situazioni. Vastità sconfinata della notte. Tono monocromo che rende
l’ora della notte. Momento antelucano, torce accese a terra, San Pietro e solitudine di Cristo che si erge.
Nella Crocifissione vediamo che si ritrae il momento del cielo oscurato, non appena muore. Monocromo
verde e marrone, composizione popolosa con figure dalla delicatezza estrema. Tramite di Avignone
straordinario di tardo gotico. Eleganza trionfa nella Cacciata e peccato del Paradiso Terrestre. Specie di
anello che ha intorno l’universo, montagne, nubi intorno, dimensione dell’etere connotata dalla fonte della
vita che diventa oreficeria. Fontana che è proprio architettura flamboyant. Compiacimento nel retrarre
eleganza flessuosa dei corpi nudi, figura arcigna del Dio Padre che accusa i progenitori. Tema di esplosione
floreale, piegati in una simbologia. Madonna del Roseto, Hortus Conclusus recinta in un giardino con rose.
Museo di Castelvecchio di Verona. Madonna dell’Umiltà a terra, tutto è delimitato dal pergolato che corre
intorno, fontana tutta in oro come se fosse un reliquiario, angeli che scherzano con l’acqua della fontana,
corona a Santa Caterina, fiori simbolici della Vergine. Immagine che vuole essere di felicità endemica.
Michelino da Besozzo, maggiore pittore lombardo a cavallo tra ‘300 e ‘400. Gotico internazionale, figurette
che sembrano spolparsi, fino alle mani che si sfinano. Invenzione particolare del bambino nudo, in pose
giocose. Nimbi fiammeggianti, invenzioni orafe. Leggeri rilievi di gesso, fontana dorata. Hortus conclusus
tema fiammingo e francese. Miniatura con il roseto esplicito dietro a New York. Ciliegia, viole, fiori
individuati in maniera individualista. Altro aspetto è il donatore che si fa raffigurare inginocchiato in
preghiera, ammesso nell’hortus conclusus. Da confrontare con l’elogio funebre di Gian Galeazzo Visconti
di Michelino Besozzo. Idea grandiosa che sembra incoronazione della Vergine, donne che incarnano le virtù
del Visconti. Rose intorno con profeti. Tortorella e gigantesca luce irradiata dal signore. Declinazione della
Madonna dell’Umiltà, luoghi lontanissimi tra di loro, modelli analoghi di stile ed iconografia. Pittore
marchigiano Lorenzo di Salimbene, Madonna dell’Umiltà porge il bambino a Santa Caterina. Tutti seduti su
rose bianche e rosse, camminano su un prato fiorito. Tono principesco e signorile che contamina anche un
pittore marchigiano. Santa Caterina, volto pallido ed espressione esangue, in contrasto con il bambino
ridente. Difficoltà di rendere in maniera realistica l’espressione. Prezioso per data e firma, valle marchigiana
nel 1400. Contagiato da ideali di goticismo proliferante, intimamente incarna una dualità che intreccia la
delicatezza alla crudezza dolorosa delle ante esterne. Vergine che tiene in braccio il corpo morto di Cristo. In
Lorenzo Salimbeni lo tiene in piedi, solerte. Tema delle siepi fiorite che sta anche nell’Epitre à Hector. Eco
respinge Narciso e Signore si affida ad Eros. Modernità del raffigurare temi classici, amore respinto di Eco,
Narciso è innamorato di se stesso. È raffigurato come un elegantone del 1400. Ambientare al loro tempo le
storie mitologiche. Passioni venatorie, nel gotico internazionale trovano un apice ulteriore dopo Federico II.
Scene relative alle pratiche della caccia, uccellagione. Veri e propri trattati di caccia, Livre de chasse.
Miniature che raffigurano oggetti di caccia ed animali che saltellano in un paesaggio assurdo di
proporzioni. È un po’ irrazionale ma vediamo cielo atmosferico. Guglie aggettanti, mulini a vento. Dalle
buche escono le lepri. Passione per la caccia, animali che sono nei vari serragli delle corti. Descrizioni

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fenomeniche intrecciate con il gusto cortese. Ritrarre in maniera veridica gli animali. Michelino da Besozzo
raffigura nel palazzo Borromeo le favole di Esopo. Pavoni con naturalezza straordinaria. Omaggio cortese
del cuore e Donna col falcone. Allusivo al tema amoroso che si vede nel volto languente. Posa con falcone e
cagnolino, c’è offerta d’amore, cavaliere che offre il suo cuore. Taccuino di Giovannino de’ Grassi, cinghiale
che viene braccato e sbranato dai cani. Taccuini sono oggetto di pregio, di regalie. Repertorio di curiosità,
per i signori. Veicolo di modelli per artisti. Dipinta da Berthélemy d’Eyek, corrispondenza con la fine del
‘300.
Esplosione di una cultura profana e cavalleresca, dai romanzi arturiani ai temi allegorici della caccia, ma
anche altri molto particolari, come vediamo nel castello della Manta a Saluzzo. Vaso comunicante con le
corti francesi. Emanuele II non sapeva l’italiano, parlava il francese, per dimostrare il legame. Raffigurare
nel suo castello la Fontana della giovinezza in una parete, dall’altra parte uomini e donne illustri. Scelta
francese, tre terne, classici della Bibbia e classici Moderni e romanzi. Altra parete ha l’allineamento di
personaggi, pitture su fondo bianco. Boschetto con stemmi di fantasia, attributi di questi personaggi. Giulio
Cesare e Giosuè hanno una gesticolazione enfatica. Nel Giulio Cesare vediamo i profeti di Sluter, pittore dai
colori fantastici. Davide raffigurato come un condottiero, descrizione analitica. La Fontana della Giovinezza
ha una narrazione con vecchi trascinati su un carro, si tuffano nella fontana e ritornano giovani e vogliosi.
Senso comico, pose dove loro si svestono, ma è bidimensionale, intarsia colori vivaci con linee molto
marcate. Carro dei vecchi che va alla fontana, figura popolana che frusta i cavalli. Compiacimento della
raffigurazione comica dei popolani. Origine della pittura di genere fiamminga. Altri vecchi malandati si
fanno portare alla magica fontana. Dall’altra parte ingiovaniti partono eleganti.
Trento, ciclo dei Mesi. Uno dei più straordinari, nel castello. Era sede del vescovo Boemo Giorgio di
Lichtenstein, una piccola signoria in cui ha potere secolare e religioso. Venendo dalla Boemia, sede
dell’impero, chiama artisti che gli fanno uno studiolo. Luogo molto difeso, in cui ha i Mesi sulle pareti. Come
se la parete fosse aperta alle montagne circostanti del castello. Intuizione di veduta vasta e a volo d’uccello,
figlia di Lorenzetti. Aspetti artificiosi del gotico internazionale. Ribaltato sulla superficie, rocce sfumate di
mille colori in cui sbucano boschi e natura. Il dicembre ha la neve, paesaggio innevato in maniera realistica.
Figura che parte per una caccia, figure che giocano a palle di neve.
Lasciano l’ambito profano, vediamo che nella devozione ci sono forme che preparano la devotio moderna.
Rito non estrinseco ma individuale e coinvolgente. Le basi sono già nelle confraternite del ‘200. Nel gotico
internazionale c’è esplosione di tipi, incarnano tensione verso la modernità. Porterà alla riforma
protestante del ‘500. Appropriazione del culto. Rassegna di manufatti. Teatralizzazione coinvolgente,
madonne “apribili”. Ambito tedesco e Boemo, alpino. Madonna con il Bambino che si apre e diventa della
Misericordia. Aspetto astratto di Sant’Osvaldo in legno a Graz e un Battista ad Aosta. Argento sbalzato e
dorato, policromato a freddo, tempera. Renderlo più vero. Oggetti di devozione che sviluppano culti
particolari. Culto spagnolo, veronica della Vergine, immagine di Cristo impressa sul sudario. In Spagna nasce
anche quella della Vergine. Delicatezze calligrafiche tipiche del gotico internazionale. Scene narrative,
accentuazione di momenti coinvolgenti come nella Morte della Vergine. Radicalizzazione della Chimesis
bizantina, qui si raffigura il momento proprio della Vergine che sta per morire, mentre viene sorretta dagli
Apostoli giunti al suo capezzale. Fatta da Konrad Laib. Confortata dagli Apostoli. Tenerezza anche nelle
invenzioni come quella del Versperbild (dolore della sera). La pietà di Michelangelo è dello stesso tema. La
Vergine ha in grembo il corpo morto di Cristo, contrasto tra la sua fiorente bellezza e crudezza del corpo di
Cristo. Giudizio Particolare, Scettro di Carlo Magno.
Abbiamo visto il tema importante dell’Imago pietatis, icona della passione, Cristo morto è in piedi. Nel
gotico internazionale si sente l’esigenza di naturalizzarla. Deve essere sorretto da qualcuno che lo pianga.
Sportellino per contenere qualcosa. Interessa l’angelo che sorregge Cristo. Icona della passione
naturalizzata. Esempio sommo è il reliquiario di Montalto Marche. Domina l’angelo che porge il corpo
morto di Cristo. Oreficeria tutto tondo, oro a vista nei capelli, smaltatura sottilissima. Ferite e sangue che
esce dalle ferite. Naturalismo di dettaglio. Rielaborazione della Pietà si complica nella corte francese, dipinti

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su tavola come la Grand Pitié rond di Jean Malouel. Cristo retto da Dio Padre, accarezzato dalla Vergine e
sorretto dagli angeli. Non è una scena narrativa, è una immaginazione che mette in atto la compassione,
modello per compartecipare. Corpo di Cristo quasi bianco, gioca come se avesse avorio nel corpo.
Intonazione dalle note crude che vengono contaminate con queste delicatezze. Un testo fondamentale di
questa cultura è un libro, capolavoro letterario di uno storico Olandese, “l’autunno del Medioevo”, in cui si
sottolineano le ambivalenze del Medioevo e contraddittorietà. Odore del sangue mischiato al profumo
delle rose. Raffigurazioni più aspre in un libro d’ore del 1430, quello di Rohan. Arte borgognona, patetismo
potente, estenuata. Uno dei salmi con compianto sul Cristo morto, raffigurato come un cadavere. Dio Padre
impotente, si affaccia in uno stormire di angeli. Resa raccapricciante del corpo morto che si fa strada anche
nel monumento sepolcrale. Committenze eccezionali nel Cenotafio del cardinale di Sain Martial. Era una
cosa babelica su 6 piani, misteri sui vari piani. Ad ognuno corrispondeva un grande dignitario della corte di
Francia. Sotti raffigurazione della sua commendatio. Oltre al Guisent elegante, c’era in contrasto il corpo in
putrefazione. Temi di memento mori. Entra nelle raffigurazioni come ad Urbimo in Lorenzo e Jacopo
Salimbeni, Crocefissione nel cattivo ladrone.

14. DA GENTILE DA FABRIANO A PISANELLO


GENTILE DA FABRIANO
Il Papa gli aveva promesso di farlo lavorare a Roma per il ciclo di San Giovanni in Laterano. Grande scisma
d’occidente. Roma punto più basso di decadenza, richiesto da Martino V nel momento di ripresa della città.
Verso il 1410 diventa uno dei pittori più famosi. Sala più importante del palazzo ducale che farà con
Pisanello, che si affermerà fino alla metà del secolo nelle corti italiane. L’opera affermativa è il Polittico di
Valleromita. Tra ‘300 e ‘400 si sviluppa un nuovo ordine, detto dell’osservanza, ritorno alle origini. Visione
ascetica e penitenziale. In ambito francescano San Bernardino da Siena sarà il massimo predicatore.
Chiavello Chiavelli è lo “sponsor” che promuove la formazione lombarda di Fabriano. Nel luogo della sua
sepoltura fa fare questo polittico. Madonna siede sull’oro puro, come se fosse un effetto celeste. Lavora i
metalli in maniera duttile e raffinata. Volta celeste con angeli musicanti oltre i quali si intravede il mondo
celeste. Firma di Fabriano confrontabile con quella di 15 anni dopo. Si intrattiene a Firenze, avrà
commissioni come la Pala Strozzi, uno dei più ricchi del tempo. La chiesa di famiglia è Santa Trinita.
Squadernare l’opera che si trova agli Uffizi. Polittico tardogotico, in basso vediamo che la firma è in lettere
capitali, quindi semi umanistiche. Questo artista che arriva a Firenze intorno al 1420, scopre un ambiente
artistico che è in pieno fermento verso tutt’altra direzione, essendosi formati i capisaldi dell’Umanesimo e
Rinascimentale. La vicenda di Gentile è emblematica perché fa i conti con questa riforma. Cornucopia di
diversi linguaggi. A monte del Polittico di Valleromita c’era una paletta che sta a Berlino, in cui il
committente viene presentato da San Nicola alla Vergine, unificazione che si chiamerà Sacra Conversazione
più avanti. Qui è più empirica, prato fiorito su cui camminano i santi. In Santa Caterina si vede che c’è una
ruota dentata, non hanno il nimbo, si stagliano sull’oro e sembra una figura mondana, con vesti
strascicanti. Freschezza di resa delle carni, bambino che sguscia tra le mani eleganti della Vergine. Trono
minimalista, il ritratto richiama quelli di Altichiero a Padova, il committente è un mercante, ha un marco di
fondaco delineato in oro. La pedana è in legno, si vedono le lineature, è traforata da archetti come
oreficeria, oro a missione. È più austera ma usa l’oro, anche il soppanno della Madonna è puntinato in oro
secondo la tradizione lombarda. Confronto con Michelino da Besozzo, incontrato già in alcune miniature.
Assenza di definizione dello spazio, figure che sembrano non avere consistenza, ma allacciano
un’interazione di gesti e di sguardi pure, resa delle carni che è più calda e accesa di colori pastosi. In Gentile
è più pungente e naturalistica. San Nicola di Gentile e gli altri hanno lustri sulla carne scremati che la rende
palpitante. Bambino nudo come spesso nel gotico internazionale. Fossette sulla carne come una specie di
lentiggine in Santa Caterina, sottilmente puntinata. Panneggi a cannule, in maniera più accentuata in

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Michelino da Besozzo. Tradizione lombarda, Giovannino de’ Grassi è un esponente, vediamo che crea il
libro d’ore per Visconti. Fuga in Egitto, descrive ombra che si infoltisce verso il ciottolato, ombra sul fondo,
senso delle carni pastoso e fragrante, elemento che passerà in Michelino e Gentile da Fabriano. Madonna
col Bambino di Gentile spedito da Venezia a Perugia, i mari sono le autostrade del tempo. Semplicità
disadorna, feriale della pala di Berlino, ricchezza formicolante delle invenzioni, il trono è microarchitettura
tutta forata da quadrilobi e trifore, che richiamano l’architettura tardo gotica veneziana. Vegetazione che
sbuca dappertutto. Sull’oro sono incisi degli angeli che la incoronano. È allo stesso tempo una Madonna
dell’umiltà seduta a terra, in più c’è anche il giardino delle rose. Tono sensuale del volto, panneggio sulla
fronte che dà affetto avvolgente e rifluente. Preziosità maggiore e sontuosità pittorica dei veneziani, tono
rossastro dato dalla base dell’argento rovinato, che era a reticolo per rendere una trama. Illusione di 6
angioletti sull’oro fatto a granitura. Nel polittico di Valleromita vediamo che i santi camminano, francescani
osservanti. Pannelli superiori, Battista inginocchiato nel deserto, paesaggio roccioso, costruisce un palco
con l’azione, allusione per frammenti, tutto costruito nel dettaglio. Interesse prevalente, rivestire le carni e
le stoffe di una pittura sottile, valori di superficie, senso di ambiente che i fiamminghi sistemeranno in una
resa ottica. Altra figura del polittico è la Maddalena, figura molto elegante che incede in panneggio a
strascico che scivola da tutte le parti, trama della pelliccia, viola toccheggiato per rendere una granulosità,
ombre e luci sono effetti della luce che scivola sulla superficie. Margini intaccati e smangiati da pittura
sottilmente impastata, arrossamenti delicati, sottigliezze come catenina tra i capelli che sparisce e riappare,
Maddalena che ha un vasetto in bilico. Descrizione naturalistica dei fiori di campo intorno, tramatura delle
stoffe per rendere le superfici. Adattamento della tradizione veneziana con l’oro, Incoronazione della
Vergine in cielo, simbolo un po’ astratto del trono. Rende la superficie come se si spaccasse al paradiso.
Alcuni angeli sono visti di schiena, corpi disfatti in gioco di gorghi continui del panneggio, crisografia di
tradizione bizantina, rivisitata in maniera più pittorica, con ombreggiature a lacca e dorate, come i capelli
stessi. Descrizione molto attenta degli strumenti musicali. Struggente morbidezza dei panneggi che
scivolano, si avvolgono dolcemente, secondo i canoni della cultura Boema. Minuta incisione in punta di
stiletto a trattini, effetto di pellicciotto. Madonna impaginata con una certa vivacità di pose. Lavora a
Venezia, influenza tutta la terraferma, come Treviso, Vicenza e Brescia. Anche a Ferrara vediamo la
tradizione neogiottesca, scorcio del lavello, paesaggio al fondo, tono crepuscolare e pittoresco, vegetazione
che sbuca nelle rocce, l’influsso di Gentile si vede nella carnalità del committente, resa delle carni flaccide.
Importanza di Gentile come ritrattista. Vediamo Michiel, un veneziano fatto da un allievo di Gentile, lo
capiamo dalla carnosità della pelle, in maniera grassa ad olio. Anche Michele Giambuono perseguirà ciò.
Altro è Zanino di Pietro, creando una grandiosa crocifissione, figure di schiena, tutto si incrina però di vita
pullulante e carni espressive. Nel paesaggio anche ci sono effetti pittoreschi. Cristo tutto sfibrato
pateticamente, angioletti graniti sull’oro. A Venezia altro artista che viene meno influenzato, ma che
interpreta il gotico internazionale in ritmi calligrafici e colori vivaci, è Jacobello del Fiore, lavora nei primi 30
anni del ‘400 soprattutto nelle Marche a Fermo, dossale sulla storia di Santa Lucia. Violento, crudo, passi
danzanti e colori delicatissimi. Prato in imitazione di culture nordiche, tono meno pastoso, più in linea con il
‘300 veneziano, impreziosire la veste in oro di Santa Lucia, codificato in Jacobello. Sensibilizza l’oro, nel rogo
tentato della Santa si vedono stampigliature, fiamme rosse che sfiammano, riprese con oro a missione.
Fumo nerastro intorno, elementi naturalistici stilizzati. Un altro esempio dei suoi influssi è a Treviso, in cui
ci sono opere giovanili di Pisanello. San Cristoforo che sta per attraversare il fiume verso Gesù, ripa del
fiume con disco rosso fiammeggiante, strisciate di luce gialla, tentativo di resa di effetto atmosferico
interessante, che porterà a compimento nella Pala Strozzi. Di Gentile è la Madonna dell’Umiltà con San
Giuseppe, atmosfera suggerisce tono più complesso.
A Venezia ha due allievi importanti, Pisanello e Jacopo Bellini, che avrà una rivoluzione para
rinascimentale, nella fase giovanile è ancora legato al mondo di Gentile, con aperture in più che vediamo
nella Madonna dell’Umiltà, veste puntinata che vediamo in Gentile, oro in polvere legato con un medium
oleoso che viene steso come fosse un colore. Rispetto all’oro a missione vediamo che crea effetti ancora

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più infinitesimali. Frammenti di vera lamina, tecnica che rende effetto più soffice del manto. Mollezza delle
carni gentiliana, resa pungente del donatore. Resa del paesaggio, si intravede un orizzonte lontano
incurvato, che si vedono in pittori Senesi. Intuizione di uno spazio più vasto con cielo atmosferico. Paesaggio
che digrada con città scorciata, montagne, castelli, effetto di una luce dell’alba. Come se fosse bagnato di
luce che struscia su tutto il paesaggio e sulla città, creando effetto pulviscolare, creando una suggestione di
ambiente. Come abbiamo visto prima di Giotto, Cimabue e Duccio si ponevano il problema della corposità,
ma non sapevano farlo, anche qui c’è l’idea di rendere un paesaggio aeroso, come i fiamminghi, ma siamo
all’incipit di ciò. Gentile a Milano realizza le stimmate di San Francesco, tema che abbiamo visto più volte
nell’interpretazione dei Giotteschi. Sfruttando l’oro, vediamo che è inciso dai raggi che promanano dal
Cristo Serafino, che viene poi raschiato. Vanno a illuminare la montagna, come se fosse un tono medio che
si disperde nella penombra delle prime ore del giorno. Effetto illuministico che arriva ad ispirare un’ombra
proiettata del Frate Leone. Raggetti incisi sull’oro del fondo, effetto di luce calda che promana sulle cose.
Non c’è un digradare dello spazio razionale, ricerca di effetti di ambiente e di luce interessanti. Praticello
dipinto nella maniera tipica di Gentile. Ombra proiettata che si può comparare con miniature fiamminghe
ottiche e atmosferiche, come quella del Livre du coeur d’amour apris, in cui ci sono le ombre stagliate
sull’erba. Tornando a Fabriano incontra Arcangelo di Cola, che lo inseguirà a Firenze. Nel dittico Madonna
con il Bambino e Crocifissione vediamo aspetti di crocifissione di recupero di aspetti riminesi, pittura sfatta
su modello di Gentile. Anni fiorentini tra ’20 e ’25, Madonna dell’Umiltà che non è sul prato fiorito ma in
un’alcova foderata di stoffe, lavorare incidendo l’oro a missione, avendo tappetino e fondo. Bambino con
velo trasparente, ricco tappetino su cui corre una scritta islamica. Resa delle carni sensibile. Mani
affusolate ma rivestite da pittura polposa che struscia le unghie e le fossette della carne, nel volto anche.
Tono di calda intimità che Gentile vuole dare alla Madonna col Bambino. Masaccio avrà un modo simile e
diverso, volto della Vergine che incede in penombra, avente malinconia. Egli ha dietro Donatello.
Modulazione della luce che costruisce i volumi razionalmente. Usa l’oro, inciso con stiletto in maniera
molto sciolta, costruire piani di chiaroscuro strutturale, intermittenza tenue di luci soffuse e penombre
accennate. 1423, data importante in cui è a Firenze, in quegli anni Donatello, Masolino e Masaccio
lavoreranno ad opere molto famose. Omaggio dei magi molto fortunoso, perché rappresenta l’omaggio dei
potenti della terra. Si fa raffigurare il committente vestendo in maniera tipica cortese. Arte fiorentina che va
in altra direzione completamente. Dietro ai Magi c’è un seguito tumultuante delle figure. Leonardo
svilupperà il tema in maniera enfatica, cavalli e animali che si imbizzarriscono, la violenza del mondo prima
di Cristo. Pala Strozzi che viene dall’ambiente della sagrestia di Santa Trinita. Ambiente stretto e alto che
viene progettato da Lorenzo Ghiberti, con cui Fabriano entrerà in sintonia per la sua radice tardo gotica.
Pala Strozzi con il figlio Lorenzo. Cornice della Pala Strozzi incredibile per intagli che sono stretti e lunghi,
per raffigurare 36 fiori diversi. Come se fosse svuotato e abitato da piante che fuoriescono in maniera
illusionistica. Erbari organizzati specialmente in Lombardia. Gentile come nuovo Simone Martini, è pittore
ma anche orafo, allusione vibrante di dettagli, corona di Gasparre, re mago più anziano, rilievo di gesso
fatto con pennello, essicca rapidamente. Viene poi dorato, completato con la vernice che fa ombre e
gemme. Nelle lunette della cornice ci sono antefatti, corteo dei Magi che sembra più una bandita di caccia
che una processione. I magi portavano con sé un ghepardo, che qui si vede sbranare un cerbiatto.
Penombra e granulosità, si infila un po’ ovunque. Luminosità della stella protagonista dei re Magi, appare a
loro nella prima scena in alto, sul monte Vettore. Riappare a Betlemme. Re Magi si appropinquano alle
mura di Betlemme, raggi che li investono e provocano effetti di luce artificiale. Grande stella, affetti che ora
si apprezzano meno, ma notiamo che nella situazione di luce accidentale di una chiesa antica, i metalli
luccicavano di più, rendendo meglio. Oro del sole granito e velato, opacizzato da una vernice. Tante
pagliuzze di oro a missione sparse intorno. Grande stella che determina effetti di luce ed ombre dietro alla
capanna. Luce divina che promana dal bambino, investe la capanna e contrasta la luce flebile della falce
d’argento della luna. Adorazione dell’annuncio ai pastori investita di luce gialla abbagliante. Valori
luministici, che fiamminghi svilupperanno. Scena centrale della fuga in Egitto. Ci sono avvisaglie di cielo

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atmosferico integrale, fuga d’Egitto, predella che interamente è dipinto sull’oro. Campi e colline, borchia in
rilievo dell’oro. Ancora astrattamente rifulgente, digradare delle colline, pomi di alberi lumeggiati
risparmiando oro sottostante con lacca rossa, in primo piano abbiamo ombre proiettate di alberi.
Descrizioni della campagna. Campi arati, tono caldo ottenuto con oro sottostante piegato all’effetto
atmosferico. Negli stessi anni Brunelleschi inseriva lo specchio per il cielo. Purificazione di Maria, pose
eleganti, volti carnosi di Gentile che a Firenze rispetto al tempo veneziano si va progressivamente verso
volumi più rassodati. Pittura tutta toccheggiata e vibrante. Ombra proiettata, risonanza enorme, indirizzo
primario dell’arte fiorentina, formazione gotica internazionale, si aprono in maniera parziale idee proto
rinascimentali. A Siena c’è Stefano di Giovanni che negli anni ’20 intercetta novità proto rinascimentali
dell’Angelico, scansione dei volumi nello spazio. Passo elegante e ricchezza di espressione dei costumi,
densità vibrante delle stoffe che dipende da Gentile da Fabriano. Lavora anche per Siena, Madonna dei
Banchetti. Ultima opera è il Polittico Quaratesi, Gentile reagisce alle novità fiorentine, ricchezza calligrafica,
figure monumentali, volumi torniti, nel dettaglio è sempre pittura ricchissima e vibrante, metalli preziosi,
nella Maddalena vediamo diadema sulla fronte, grosso rubino con bollo impresso, trecce che traspaiono.
Nel San Nicola, piviale ricamato in maniera pittorica dipingendo sull’oro, raschiando il colore con lo stiletto.
Nella predella di questo, nella scena del miracolo di San Nicola che risuscita i 3 fanciulli messi in salamoia,
c’è uno scorcio del soppalco, luce e ombra che sono reazione a Masaccio. Scorci di architettura che restano
al di qua dell’esercizio prospettico, sono empirici. Mensa dell’oste malvagio, altra scena sono le 3 palle
d’oro per le fanciulle, intimità domestica. Nei pannelli più belli della predella sono i miracolati alla tomba di
San Nicola. Sotto ci sono le 5 stesse storie della predella, si vede una crocifissione di aspetto duecentesco,
miracolo narrato come qualcosa di quotidiano. Zoppicano, ripartono con gruccia in spalla. Fortunale al
centro, interesse della resa delle verità atmosferiche che avrà una resa a Firenze, nella predella del martirio
di San Marco, fatto dall’Angelico. Chiarezza di volumi diversa. A San Niccolò d’Oltrarno rimane un polittico
di Gentile in cui vediamo uno dei suoi ultimi approdi fiorentini. Visione cosmica, non è più semplicemente il
firmamento simbolico di Valleromita, ma la terra solcata da borghi. Finisce la vita a Roma, ciclo delle storie
di San Giovanni Battista in San Giovanni in Laterano. Borromini lo distrusse rifacendo tutto l’interno, ma in
un suo disegno c’è la traccia di com’era il ciclo. Segno che egli rimane fedele alla sua formazione. A Roma va
a lavorare Pisanello nel ’31, allievo di Gentile, incuriosito da sarcofagi romani ritrae alcune copie. Umanisti
non maturano atteggiamento di ripresa consapevole verso l’antico, corpi di sarcofagi con mollezze e
sensibilità di un allievo di Gentile. Di Pisanello giovane vediamo altro disegno con segno graffiante che lo
distingue dal maestro. Opera giovanile, segno acre e caricato nel ritrarre una donna nuda con copricapo
strano, allegoria di Lussuria. Lavora nel maggior consiglio con Gentile, salone a Venezia nel secondo
decennio. Altra opera è a Verona in San Fermo, cenotafio Brenzoni. Scultore fiorentino che si goticizza
lavorando in Veneto. Tendone aperto sul Cristo Risorto. Pisanello e Nanni di Bartolo scavano il muro e
creano un mensolone che viene in fuori, dando connotazione teatrale. Progetto di Pisanello che ha
mentalità scenotecnica. Impatto teatrale grande, lo differenzia da Gentile, poesia sommessa e meno
grintosa. Pisanello dipinge negli angoli l’Annunciazione, dipinge la parete fino al soffitto, gazebo di verzura
traforato e aperto. In cima ci sono angeli, statua che illusionisticamente è pensata come se stesse ridendo.
Molto scenografica, angelo nell’istante in cui atterra, si genuflette, capelli sollevati che mettono a nudo la
nuca. Raggio di luce nel rosone, raggio di luce che penetra, incarnazione nella Vergine. Pisanello, cittadino
veronese, diventa stipendiato alla corte di Mantova, marchese Gianfrancesco Gonzaga. Negli anni ’40 la
lascerà andando a Ferrara dagli Este, poi a Napoli dagli Aragonesi. Lavora per grandi personaggi, non come
Gentile che era libero. A Mantova nel palazzo resta un salone affrescato in maniera incompiuta, episodio
minore del Lancelot, scena cavalleresca che parte da un grande torneo, mischia di un torneo cruento a cui
assistono fanciulle da un palco. Metalli e stagno per armature, spazio che non va in profondità, come arazzo
in verticale. Fregio emblematico al vertice, nei dettagli disegno graffiante di Pisanello. Compagno che è
trafitto da una lancia nella schiena che striscia, effetti grandi che lo resero famoso. Nella prima metà del
‘400 è considerato il maggior artista dagli Umanisti. Un po’ più avanti, nel ’36, realizza a Verona nella chiesa

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dei Domenicani San Giorgio e il drago. Testine del re di Selene dall’aspetto orientale, sono di 20 cm, ora è in
alto a 8m da terra, dettagli che nessuno vede. Pisanello alimenta mito delle sue capacità prodigiose di
ritrarre le varietà fenomeniche della natura. Favoleggiare di cose che si vedevano e non si vedevano. Negli
anni ’40 crea solo prodotti esclusivi di corte. Non raffigura la lotta tra San Giorgio e il drago, ma il
momento precedente, c’era San Giorgio sul piedritto che ringuainava la spada post conflitto. Quindi scena
prima e dopo insieme. Lui sta per salire sul cavallo, città che riprende quelle di Altichiero, impiccati fuori,
arcobaleno… natura che è tutta un prodigio, diversa da quella di Gentile.

15. IL GOTICO INTERNAZIONALE IN ITALIA


Duomo di Milano. Dalla Lombardia in maniera privilegiata penetra questo linguaggio. In modo
emblematico la fabbrica del Duomo di Milano è ciò, anche se poi si porterà avanti nel corso dei secoli.
Guglie e archi flamboyant, edicole con statue a figura intera, cantiere di tutta Europa alla fine del ‘300.
Giovannino de’ Grassi fornisce disegni, era ingegnere, non quello dei calcoli, ma che fornisce i disegni per
capitelli, sculture, vetrate, oreficerie. È anche miniatore, offiziolo Visconti suo capolavoro. Cogliere
originalità fantasiosa con cui popola i margini. Modelli del gotico Flamboyant, torrette a precipizio, cervi al
pascolo per gusto naturalistico, mosca, farfalla, coleotteri. Trovate pittoresche fantasiose come la scena
della Genesi, divisione terra e acqua. Nel taccuino c’è alfabeto con figurette. Nel Duomo anche abbiamo
queste figure estrose nelle garguglie, doccioni per scolo di acqua in forma di animali o giullari. Mescolarsi di
oreficeria e scultura, chiave di volta con clipeo avente testa di Dio Padre sbalzato e dorato. Riccioli
capricciosi, carnosità delle labbra e zigomi, espressività calligrafica. Lo scultore maggiore è Iacopino da
Tradate, figure risucchiate da panneggi sovrabbondanti, Martino V, papa che risolse lo scisma d’occidente.
Madonna che accompagna i gesti con dolcezza, si confronta con Michelino da Besozzo, dettagli di tenera
carnosità paffuta del bambino con occhietti persi, Santa Caterina con lentiggine, scambio dell’anello.
Michelino da Besozzo, sposalizio della Vergine, pastosità delle carni arrossate e languide. Michelino è anche
miniatore, fa un’epistole a Venezia, Trinità e Cristo Risorto. Volti teneri, bocca aperta, pittura pastosa.
Prima di Pisanello è un animalista, le fonti lombarde lo esaltano come un enphant prodige, prima di parlare
disegna uccelli. Ghepardo che ha la tenerezza pittorica di Michelino, vivezza che colpisce, ritraendo una sua
carcassa.
VENEZIA
Sopra archi inflessi, lingue fogliacee sopra le quali ci sono angeli a Venezia. Niccolò di Pietro Lamberti, che
sembra esiliarsi dalla nuova strada di Firenze, egli rimane legato al gusto internazionale. I pittori locali
vanno ricordati nella scuola veneziana, di Pietro realizza una Madonna col Bambino, partecipa al
neogiottismo padano dell’ultimo ‘300, figura torreggiante rivestita da colori caldi. Tono umoresco con occhi
scintillanti. Jacobello del Fiore fa raggi stagliati e spezzati, ma tenerezza, grande narratore, più incisivo di
Gentile da Fabriano. Martirio di San Pietro Martire annegato nella natura. Santa Lucia che aiuta i poveri,
contrapporre sfarzo principesco della veste dorata della santa e figure povere. Gusto architettonico
complicato anche se scombiccherato. Santa Lucia condannata a lupanare, ma non si smuove da dov’è.
Jacobello e Pierpaolo delle Masegne, polittico dell’altare maggiore di San Francesco a Bologna, cuspidi,
statue, figura animata tipica gotica. Macchine fastose simili a ciò a Venezia, a San Zaccaria. Gusto del gotico
che ancora persiste. Lunga durata. Altro artista è Michele Giambono, in collaborazione con Pisanello
realizza incorniciatura di cenotafio di Cortesia da Serego. Linee inflesse, al di là di ciò c’è annunciazione,
immersa in architettura rocambolesca. Complicare all’inverosimile il giottismo. Michele Giambono eredita
da Gentile la resa delle carni.
MARCHE
Protagonista Lorenzo Salimbeni, trittico giovanile e patetica Crocefissione con Maddalena urlante, panneggi
che si avviluppano in spirali. Vediamo intensità carnale di resa del corpo di Cristo, toni marroni e gialli.
Oratorio ad Urbino di San Giovanni, grandioso calvario al fondo e storie del Battista ai lati. Gusto

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veneziano di scene popolose e ricche di aneddotica. Colori luminosissimi, compiacimento di infiorettare con
aneddoti e scene di vita quotidiana nel Zaccaria. Panneggi spogliati, colori delicati, vivacemente assortiti.
Scena del Battista che battezza le genti. Gusto comico di raffigurare scene di genere, attualizzazione del
sacro. Coinvolgimento del mondo contemporaneo. Giallo abbagliante, gusto polimaterico delle ali degli
angeli del Battesimo di Cristo, nel Calvario vediamo una scena tumultuosa, cavalli impennati, svenimento
della Vergine, cattivo ladrone. Realismo tardo gotico macabro.
Gubbio, Ottavino Nelli il cui capolavoro è la Madonna del Bambino fra San Giovanni evangelista e
Sant’Antonio, carni penetranti. Affresco che riprende il tema del Bambino nudo a terra con metallo
rifulgente. A Foligno fa la cappella, storie sovraccariche, un po’ fumettista, storie della morte della Vergine,
apostoli richiamati miracolosamente che predicano in giro per il mondo.
BOLOGNA
Energie cittadine che convergono nel santuario cittadino per San Petronio, altra grande fabbrica
ecclesiastica del gotico internazionale, si inizia dalla facciata. Poderosi pilastri compositi che sorreggono
architettura slanciata. Gusto venezianeggiante. Antonio di Vincenzo è architetto, va a Milano per
ispirazione del Duomo. In questo cantiere, in cui lavorerà anche Iacopo della Quercia. Giovanni Falloppi
crea la cappella Bolognini, uno dei mercanti più ricchi del tempo. Viaggio dei Magi di Giovanni da Modena,
pittore che indulge a energia potente come imitando aspetti di Sluter, figure che incedono con passo
rubesto, volti corrucciati, barbe fluviali. Ripartenza dei Magi per mare, uccelli marini, vena popolaresca che
si fa strada. Croce per San Francesco a Bologna dimostra la sua conoscenza di Sluter, capigliatura molto
lunga, stimmate del Santo sotto, figura arcigna e canuta in alto, Vergine con velo calato sugli occhi come
Sluter, espressività ispida e forte in cui vive arte borgognona. Si forma anche Iacopo della Quercia, che fa
una scultura ancora aderente al gotico internazionale, pieghe della veste dolci, cerca di rendere una verità
più palpitante delle carni, che poi in Toscana cambierà verso il linguaggio degli umanisti. Tomba di Ilaria del
Carretto, riprende le tombe a isola dei reali di Francia, panneggio falcato e teso, moda del 1400.
Maturazione di Iacopo verso ideali rinascimentale. A Lucca fa un polittico scultoreo per la cappella Trenta,
esplosione dei panneggi ancora gotici, piglio ed energia psicologica moderna.
FIRENZE
Mondo nuovo che avanza per gradi, 1401 concorso per la porta del Battisteri vinta da Ghiberti, perché
Brunelleschi era neogiottesca. Figura che si inarca, Abramo che si avventa su Isacco, mantelletta che
schiocca in aria, elementi di elegante grafia, paesaggio pittoresco gotico. Si fanno già timidamente strada
ideali di ripresa dell’antico, che si vede nella figuretta dell’Isacco, studio dell’antico riletto con gentilezza,
non ancora quello di Donatello. Riprendere l’antico in maniera culturale, idea della Firenze come nuova
Roma, incarnando i valori della Roma repubblicana, contrappondoai alle signorie. Porta della Mandorla,
sugli stipiti popolati di una vegetazione carnosa ci sono divinità classiche rivisitate, con anatomia ancora
molto accarezzata. Nell’Annunciazione adatta gli spazi al quadrilobo, narratore enorme, la porta nord è
ancora gotico internazionale, calligrafismi, figure slanciate che ancora entrano in tale linguaggio. Ritrosia
dell’angelo in volto. Battesimo di Cristo con falcature, figure in linea con il gotico internazionale, modo di
costruire la scena come le miniature. Statua del Battista per Orsammichele, rifluire di panneggi, naturalezza
di Ghiberti. Intorno a lui fioriscono molti pittori, i più importanti sono Lorenzo Monaco e Gherardo
Starnina, che va a Valenza in Spagna. Riporta a Firenze pittura calligrafica fatta di guizzi e virgole, fioritura
espressiva. Predella con scena di miracolo, macchine tardo gotiche. Adorazione dei Magi che esibisce
eleganze supreme, calligrafismi ancora più sciolti. Predella che interpreta rivelazione di Santa Brigida,
frammenti di paesaggio lunare fantastico e astratto. Adorazione dei Magi, parallela a Gentile da Fabriano,
qui è teatrino astratto di figure iridescenti, scena metafisica e surreale. Linguaggio coloratissimo ma
stilizzato.

FINE

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