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Caravaggio,

Bernini,
Borromini,
Tre artisti a
8/11/2022

Una ricerca fatta da


Autore: Alessandro Martini

Indice
1. Il barocco
2. Caravaggio
3. Opere di Caravaggio
4. Gian Lorenzo Bernini
5. Opere di Bernini
6. Francesco Borromini
7. Opere di Francesco Borromini

" il Caravaggio, eccellentissimo nel colorire, si dee


comparare a Demetrio, perché ha lasciato indietro
l'Idea della bellezza, disposto di seguire del tutto la
similitudine ".

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Il barocco

La corrente stilistica che caratterizzò questo secolo fu il Barocco, noto per la


teatralità e la magniloquenza delle forme. Spesso anzi risulta difficile una
suddivisione tra le varie forme artistiche, contemporaneamente impiegate per la
creazione di opere il più possibile dinamiche e d’effetto. L’arte barocca è infatti
caratterizzata da forti caratteri di dinamismo e da una nuova concezione della
natura. Lo spazio si rompe, le forme si aprono, una concezione lacerata e
amante dei contrasti spezza ogni equilibrio matematico con un senso nuovo di
infinitezza, suggerita da un moto non concluso.

Le forme artistiche interagiscono tra loro, creando opere spettacolari che


trovano un perfetto riscontro nella nuova civiltà dell’immagine. La Chiesa
trionfante e le monarchie assolute europee si affidano all’arte per celebrare la
propria grandezza. Il padre del Barocco è stato Gian Lorenzo Bernini, celebre
architetto e scultore attivo soprattutto a Roma. La sua arte è caratterizzata da
una nuova riscoperta delle forme, tese a una rappresentazione teatrale che elude
i limiti spaziali.

Il Barocco si caratterizza come lo stile con il quale l'arte si conferma e viene


usata ancor più per motivi celebrativi.

La ricchezza dei materiali e l'assoluto dinamismo che tenta continuamente di


stupire lo spettatore sono le componenti principali. L'arte barocca è un vero e
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proprio spettacolo teatrale, nel quale le arti interagiscono tra di loro, rendendo
labili i confini di demarcazione tra le stesse e tra ciò che è reale e ciò che è
finzione.

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Caravaggio
Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, nasce a Milano nel 1571. A vent'anni si
trasferisce a Roma, prima presso Lorenzo Siciliano, di seguito presso
Antiveduto Gramatica, poi presso il Cavalier d'Arpino. Costui gli affida
l'esecuzione di quadri di genere, rappresentanti fiori o frutta, genere
disprezzato dagli accademici del tempo perché ritenuti soggetti inferiori rispetto
a dipinti in cui venivano rappresentate figure umane.

Il suo primo quadro di figure, dipinto nel 1595 circa, è il Riposo durante la fuga
in Egitto, nel quale è chiaro il richiamo ai grandi maestri bergamaschi e
bresciani come Savoldo, Lorenzo Lotto e Moretto. In questo periodo abbandona
la bottega del Cavalier d'Arpino e passa sotto la protezione del cardinal
Francesco Maria Del Monte che lo immette in un ambiente culturale molto più
stimolante, esegue infatti in questo periodo Testa di Medusa, San Giovanni
Battista, L'amore vittorioso, Giuditta e Oloferne. Con il Martirio di San Matteo
ha inizio la poetica caravaggesca del rapporto luce-ombra che poi si svilupperà
nelle opere successive. Nel dipinto rappresentante la Vocazione di San Matteo il
racconto è immerso nella realtà del tempo, con personaggi con abiti moderni.

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Del dipinto rappresentante San Matteo e l'angelo esistevano due versioni, ma il
primo fu rifiutato dai committenti perché rappresentava un San Matteo
popolano in atteggiamento ritenuto scandaloso all'epoca. Il pittore interpreta i
due avvenimenti sacri come fatti semplicemente umani eliminando ogni
richiamo a schemi prefissati.

Successivamente esegue per la chiesa di Santa Maria in Vallicella “la


Deposizione”, oggi alla pinacoteca Vaticana. Esegue in questo periodo opere
come la Madonna dei Pellegrini, la Madonna dei Palafrenieri e la Morte della
Vergine per Santa Maria della Scala in Trastevere, che fu rifiutata dai
committenti per ragioni di decoro, oggi infatti il dipinto si trova al museo del
Louvre. Tra il 1606 e il 1607 Caravaggio vive nella città di Napoli. Nel 1608 Il
pittore si trova a Malta dove viene nominato cavaliere, il gesto rappresenta una
riabilitazione per la vita sregolata dell'artista che dovette fuggire da Roma dopo
aver ucciso un uomo durante una rissa.

Nel 1609 è di nuovo a Napoli dove viene ferito gravemente, qui esegue opere
come Davide con la testa di Golia e Salomè con la testa di Battista. Nel 1610,
sulla spiaggia di Port'Ercole, dove era in attesa di rientrare a Roma per ricevere
la grazia, viene arrestato e incarcerato per 2 giorni, perché scambiato per
qualcun'altro, perdendo così tutti i suoi averi. Era il 18 luglio del 1610
Caravaggio non aveva ancora 39 anni, pochi giorni dopo arriverà la grazia con
il permesso di ritornare a Roma.

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Bacco adolescente (Caravaggio)

Fu commissionato dal cardinale Francesco Maria Bourbon del Monte,


ambasciatore mediceo a Roma e committente e protettore del Caravaggio, per
regalarlo a Ferdinando I de' Medici in occasione della celebrazione delle nozze
del figlio Cosimo II, per rinsaldare l'amicizia con Ferdinando che aveva avuto
così tanta importanza per favorire la carriera del cardinal Del Monte .

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Vocazione di San Matteo

Il dipinto è realizzato su due piani paralleli, quello più alto vuoto, occupato solo
dalla finestra, mentre quello in basso raffigura il momento preciso in cui Cristo
indicando San Matteo, lo chiama all'apostolato. San Matteo è seduto ad un
tavolo con un gruppo di persone, vestite come i contemporanei del Caravaggio,
come in una scena da osteria. È la prima grande tela nella quale Caravaggio,
per accentuare la tensione drammatica dell'immagine e focalizzare sul gruppo
dei protagonisti l'attenzione di chi guarda, ricorre all'espediente di immergere
la scena in una fitta penombra tagliata da squarci di luce bianca, che fa
emergere visi, mani o parti dell'abbigliamento e rende quasi invisibile tutto il
resto. Il fatto, poi, che essi siano vestiti alla moda dell'epoca del Pittore ed
abbiano il viso di modelli scelti tra la gente comune e raffigurati senza alcuna
idealizzazione, con il realismo esasperato che ha sempre caratterizzato l'opera
di Caravaggio, trasmette la percezione dell'artista dell'attualità della scena , la
sua intima partecipazione all'evento raffigurato, mentre su un piano altro,
totalmente metastorico, si pongono giustamente il Cristo e lo stesso Pietro,
avvolti in una tunica senza tempo.

La gestualità dei personaggi dipinti dal Caravaggio danno un movimento e un


coinvolgimento dei personaggi unico nel suo genere e fanno notare come il
Merisi sia stato un frequentatore di locande dei «bassifondi» romani del periodo
e sia stato in grado di riprodurre atteggiamenti, espressioni e azioni di sicuro
appresi da esso nella sua vita. Tale partecipazione viene espressa in modo ancor
più efficace, se possibile, nell'altra tela di grandi dimensioni, raffigurante il
Martirio del Santo, nella quale da una colonna sulla sinistra sbuca, timido e
pregno di compassione, un volto che non è altro se non l'autoritratto di
Caravaggio stesso, che pare riaffermare la propria personale partecipazione
all'evento narrato. Di grande intensità e valenza simbolica, nella Vocazione, è il
dialogo dei gesti che si svolge tra Cristo, Pietro e Matteo. Il gesto di Cristo viene

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ripetuto da Pietro, simbolo della Chiesa Cattolica Romana che media tra il
mondo divino e quello umano e a sua volta ripetuto da Matteo.

È la rappresentazione simbolica della Salvezza, che passa attraverso la ripetizione dei


gesti istituiti da Cristo e ribaditi, nel tempo, dalla Chiesa. Tuttavia, alcuni storici
dell'arte hanno notato la stretta analogia del gesto di Cristo del Caravaggio con quello
del Masaccio ne «Il Tributo di Pietro», suo capolavoro. Grazie alla radiografia,
sappiamo che nella prima versione non era presente la figura di San Pietro, aggiunta
successivamente.

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Gian Lorenzo Bernini

Grande interprete della cultura figurativa del suo tempo, Bernini fu un ardito e
continuo sperimentatore, che lungo una carriera durata oltre sessant’anni fu in
grado di innovare in continuazione, ispirando generazioni su generazioni di
artisti, creando stuoli di imitatori, guadagnandosi l’attenzione e gli incarichi non
soltanto dei papi per i quali lavorò e per le grandi famiglie romane, ma anche di
diversi regnanti europei che gli chiedevano ritratti in continuazione. Fu dunque
un artista di enorme successo. I suoi capolavori sono custoditi in tutti gli angoli
del centro storico, e quasi non si può dire d’aver davvero visto Roma se non si
compie un tour berniniano, dato che la Roma barocca porta inequivocabilmente
la sua firma.
Gian Lorenzo Bernini nasce a Napoli il 7 dicembre del 1598, da Pietro Bernini e
Angelica Galante, napoletana. Da adolescente, Gian Lorenzo comincia a
realizzare alcune opere autonome, come il Martirio di san Lorenzo oggi agli
Uffizi e il San Sebastiano del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid. Nel 1623 il
cardinale Maffeo Barberini diventa pontefice col nome di Urbano VIII e Bernini
viene nominato commissario delle fontane di Piazza Navona nonostante la
giovane età, e alla scomparsa del padre nel 1629 ottiene anche l’incarico di
Architetto delle Acque. Nel 1628, Bernini comincia a realizzare il monumento
funebre di Urbano VIII che verrà terminato nel 1647, e l’anno successivo
l’artista, a trentun anni, viene nominato sovrintendente della Fabbrica di San
Pietro.

Risale invece al 1636 il celebre ritratto di Costanza Bonarelli, la sua amante, che
è la moglie di Matteo Bonarelli, scultore lucchese collaboratore di Gian
Lorenzo. Nel 1639 Gian Lorenzo sposa Caterina Tezio, dalla quale avrà undici
figli. Nel 1642, per i Barberini, Gian Lorenzo esegue la celebre Fontana del
Tritone, e nel 1644 Il nuovo papa Innocenzo X, succeduto a Urbano VIII
scomparso l’anno prima, affida all’artista la realizzazione della Fontana dei
Quattro Fiumi, malgrado la predilezione del papa per lo storico rivale di Gian
Lorenzo Bernini, ossia Francesco Borromini. Tornato in Italia, nel 1667 papa
Clemente IX gli affida la realizzazione delle statue per Ponte Sant’Angelo, e
quattro anni dopo Bernini comincia a lavorare a uno dei suoi capolavori tardi,
l’Estasi della beata Ludovica Albertoni.

Gian Lorenzo Bernini si spegne a Roma il 28 novembre del 1680.


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Per comprendere i temi e le novità dell’arte di Gian Lorenzo Bernini si potrebbe
cominciare dell’Apollo e Dafne, opera del 1622-1623. Il primo tema è quello del
movimento, che sta alla base dell’estetica barocca, apprezziamo qui la corsa del
dio Apollo, che con una mano ha ormai agguantato la ninfa, e lo slancio di
Dafne che tenta di fuggire dal dio, per una sensazione di dinamismo ben
restituita dalla grande sapienza con cui Gian Lorenzo Bernini delinea i muscoli
in movimento e la torsione dei corpi. Si tratta di motivi che Bernini elabora
all’indomani del Ratto di Proserpina, altro suo grande capolavoro giovanile.
Si tratta di una figura in pieno movimento, che segue un ritmo quasi a spirale,
colta in un momento culminante della storia, un grande capolavoro dell’arte
barocca in cui come abbiamo visto l’intento principale è proprio quello di
suggerire il movimento e coinvolgere lo spettatore.
Come per il baldacchino di San Pietro, Bernini studiò profondamente le
condizioni di luce, che lo portarono a inserire nella cappella una finestra
nascosta che si trova praticamente sopra il gruppo principale e chiude in alto
quella piccola abside semicircolare che accoglie santa Teresa e l’angelo, onde far
filtrare la luce naturale per illuminare tutto il gruppo creando riflessi anche sui
magnifici raggi dorati che stanno dietro le due figure e che simboleggiano la luce
divina. La Fontana dei Quattro Fiumi, realizzata con ampio concorso della
bottega, rappresenta le personificazioni dei quattro fiumi, che simboleggiano il
mondo conosciuto nei suoi continenti, e sono state realizzate da collaboratori di
Bernini secondo il progetto originario.

Bernini è stato, in sostanza, il massimo interprete del gusto barocco in scultura,


dettando gusti e tendenze della scultura del Seicento.

Per conoscere l’arte di Bernini bisogna recarsi a Roma, città dove si


concentrano tutti i maggiori capolavori del grande artista di origini toscane.
Alcuni capolavori di Bernini si possono comunque ammirare fuori Roma. A
Firenze, il Museo Nazionale del Bargello custodisce uno dei ritratti più
emozionanti dell’artista, quello di Costanza Bonarelli. Gli Uffizi conservano
invece un’opera giovanile, il Martirio di san Lorenzo, del 1617.

A Modena si ammira il ritratto di Francesco I alla Galleria Estense, mentre nel


Duomo di Siena si possono vedere il monumento a papa Alessandro VII, il San

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Girolamo e la Santa Maria Maddalena. Altri musei sparsi per il mondo
conservano busti e ritratti dell’artista toscano.

Estasi di santa Teresa

Nel 1645 - in un periodo in cui, con il pontificato di Innocenzo X, la


straordinaria carriera artistica di Bernini stava conoscendo qualche
appannamento - il cardinale Federico Cornaro affidò alle sue qualità di
architetto e di scultore la realizzazione della cappella della propria famiglia, nel
transetto sinistro della chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Roma.

Una delle cifre per intendere l'arte barocca è, come noto, il gusto per la
"teatralità": la rappresentazione spettacolare e talvolta anche enfatica degli
eventi. In quest'opera Bernini, mettendo a frutto la sua esperienza diretta di
organizzatore di spettacoli teatrali, trasforma, in senso non metaforico ma
letterale, lo spazio della cappella in teatro.
Per far ciò egli amplia innanzitutto la profondità del transetto; poi, aprendo
sulla parete di fondo una finestra con i vetri gialli, pensata per rimanere
nascosta dal timpano dell'altare, si procura una fonte di luce che agisce dall'alto,
come un riflettore e che conferisce un senso realistico alla irruzione sulla scena
di un fascio di raggi in bronzo dorato, così la luce che scende sul gruppo,
attraverso i raggi, sembra momentanea, transitoria e instabile in modo da
rafforzare la sensazione di provvisorietà dell'evento. Si può facilmente
immaginare quanto tale effetto, nella penombra della chiesa, dovesse apparire a
quel tempo suggestivo. Anche la freccia originaria retta dall'angelo, ora
sostituita da un semplice dardo, venne realizzata con dei raggi che scaturivano
dalla sua punta, a rappresentarne il fuoco del «grande amore di Dio», come
santa Teresa stessa ebbe a dire nella sua autobiografia.

Ma non è per la famiglia committente, bensì per l'ideale platea dei fedeli che si
accostano all'altare – palcoscenico della cappella che Bernini mette in scena
l'estasi della santa. Egli dimostra qui tutta la sua maestria di scultore, capace di
lavorare il marmo come fosse cera, con estrema attenzione ai particolari.

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Baldacchino di San Pietro

Fu realizzato da Gian Lorenzo Bernini tra il luglio 1624 e il 1633. Quella del
Baldacchino è la prima opera di Bernini in cui si fondono scultura e architettura
a tal punto da creare una allegorica immagine di un oggetto, un catafalco
processionale di grandezza monumentale, molto più grande del solito, e che
sostituisse il consueto ciborio inserendosi nello spazio in maniera innovativa e
scenografica, aprendo nuove prospettive all'architettura barocca.
Quest'impresa è il risultato di un lavoro di cantiere collettivo che vide coinvolti
Francesco Borromini, suo assistente per la parte architettonica, il quale
partecipò alla progettazione, e altri artisti celebri come gli scultori Stefano
Maderno, François Duquesne, Andrea Bolgi, Giuliano Finelli, Luigi Bernini e
una schiera di fonditori e scalpellini.
A certificarne l'identificazione è il diario dello stesso Urbano VIII, conservato
nella Biblioteca Apostolica Vaticana con il nome di Codice Urbinate 1647.
Le caratteristiche colonne tortili, alte 11 metri, sono composte di tre rocchi
ciascuna, a cui si aggiungono i capitelli compositi e gli alti basamenti in pietra,
su cui sono raffigurate le fasi di un parto tramite le espressioni di un volto
femminile, all'interno dello stemma papale di Papa Urbano VIII Barberini. Le
colonne sono congiunte alla trabeazione attraverso quattro dadi di matrice
brunelleschiana, che conferiscono al monumentale baldacchino un aspetto più
slanciato, ispirando un senso di grande leggerezza. Sono appunto tortili, ad
imitazione e richiamo della pergula della vecchia basilica di San Pietro, a loro
volta ispirate al Tempio di Salomone. Sono attraversate da elementi naturalistici
bronzei come tralci di lauro, lucertole ed api, che fanno parte dello stemma della
famiglia papale e che si trovano anche nei basamenti marmorei.

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L'unione di questi due elementi si evince dal fatto che l’artista riesce a conferire
all'opera la monumentalità di una struttura architettonica e la leggerezza di un
baldacchino processionale, grazie all'utilizzo di materiali specifici e virtuosismi
tecnici portati alla loro massima espressione formale.

Francesco Borromini

Francesco Castelli nacque il 27 settembre 1599 a Bissone, villaggio appartenente


all'epoca al baliaggio di Lugano, situato nell'odierno cantone Ticino. Il
soprannome di Borromini potrebbe avere una diversa origine nel senso che
fosse «ispirato alla grande devozione che lui, lombardo, portò al più grande dei
santi lombardi del suo tempo, Carlo Borromeo. Seguendo l'iter proprio delle
maestranze lapicidi provenienti dalla regione del lago di Lugano, Borromini a
soli nove anni venne inviato dal padre a fare apprendistato a Milano, dove
giunse nel 1608.».

Arrivato nell'Urbe nel 1619, Borromini fu ospite e collaboratore di un parente


prossimo per via materna, Leone Garove, residente al vicolo dell'Agnello, presso
la parrocchia di San Giovanni dei Fiorentini. Garove, già attivo come
capomastro scalpellino a Milano, allora godeva in città di una distinta notorietà,
accresciutasi in seguito alla parentela con l'illustre architetto Carlo Maderno,
acquisita sposando nel 1610 la nipote Cecilia. L'apprendistato presso il Garove,
tuttavia, fu di breve durata, allorché quest'ultimo morì accidentalmente il 12
agosto 1620, precipitando dalle impalcature della basilica di San Pietro.

Francesco Borromini è stato raffigurato sul recto della sesta serie di banconote
da 100 franchi svizzeri, in circolazione dal 1976 fino al 2000. Secondo lui, poiché
nel XVII secolo i territori che nel 1803 divennero il Canton Ticino erano
possedimenti italiani di alcuni cantoni svizzeri, Borromini non poteva essere
definito né ticinese né svizzero. Borromini è il soggetto del film La Sapienza di
Eugène Green, uscito nel 2015.

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San Carlo alle 4 fontane

La chiesa, il chiostro ed il convento vennero realizzati tra il 1634 e il 1644 da


Francesco Borromini. I Trinitari gli commissionarono un nuovo convento con
annessa chiesa, dove già da un secolo c'era una piccola cappella.

Il chiostro, prima parte ad essere stata progettata, venne ideato dal Borromini
nel 1635, ma ultimato nel 1644, mentre nello stesso anno si finiva la facciata
dell'istituto sull'odierna Via del Quirinale, la chiesa ed un primo campanile
quadrangolare adiacente. Il campanile venne abbattuto per la sistemazione del
corpo convesso della chiesa sull'angolo delle Quattro Fontane e ne venne
costruito un altro nel 1670. La decorazione della facciata si protrasse ancora per
un decennio, fino alla posa della statua di San Carlo nella nicchia principale nel
1680. Grazie al genio dell'architetto, che seppe unire queste qualità ad un
risultato elegante ed innovativo, la chiesa e l'intero complesso possono
annoverarsi tra massimi prodotti dell'architettura barocca.

Il chiostro:

In questo modo, con grande raffinatezza nelle linee, Borromini riesce a dare,
come poi nella chiesa, un senso di accoglienza, togliendo la sensazione di
oppressione che deriverebbe dalle esigue dimensioni dell'ambiente. Il tema
dell'ottagono è presente anche nei capitelli del secondo ordine di colonne e nella
vera del pozzo che completa la visione del chiostro.

La cupola:

La cupola è costruita in laterizio. Al centro della decorazione della cupola a


lacunari c'è una raffigurazione dello Spirito Santo entro il triangolo della
Trinità.
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Corpo dell'edificio:

Il raccordo tra la cupola e il corpo dell'edificio è realizzato grazie alla presenza


di quattro pennacchi che poggiano sulla trabeazione. Le croci dei Trinitari
compaiono anche nelle decorazioni della cupola.

La facciata:

Nella facciata Borromini utilizza due ordini, uno superiore ed uno inferiore.
Borromini lavorerà alla facciata fino all'ultimo dei suoi giorni, ma riuscirà a
completare solamente la metà inferiore. Il motivo stilistico concavo-convesso fu
poi applicato dal nipote di Francesco Borromini, Achille Larducci di Salò, nella
costruzione della Chiesa di San Matteo di Lecce.

Contesto urbano:

Questa rumorosa e caotica situazione pare sparire non appena entrati nella
chiesa e nel chiostro, segnando un tranquillo punto di quiete nel centro di Roma.

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San Giovanni in Laterano

La basilica sorse nel IV secolo nella zona allora nota come Horti Laterani, un
antico possedimento fondiario della famiglia dei Laterani confiscato ed entrato a
far parte delle proprietà imperiali al tempo di Nerone. Sul luogo degli antichi
castra venne edificata dunque la primitiva basilica, consacrata da Milziade al
Redentore, all'indomani dell'editto di Milano dell'anno 313 che legalizzava il
Cristianesimo. La dedicazione ufficiale della basilica al Santissimo Salvatore fu
compiuta però da papa Silvestro I nel 324, che dichiarò la chiesa e l'annesso
Palazzo del Laterano Domus Dei.

La leggenda aurea di Costantino e papa Silvestro:

Pare che Costantino fosse stato colpito da lebbra, nel 313, ma si rifiutasse di
sacrificare i bambini il cui sangue, secondo i medici, lo avrebbe guarito.
Costantino avrebbe dunque sognato due sconosciuti di nome Pietro e Paolo, che
lo esortarono a mandare a cercare un eremita di nome Silvestro, che con i suoi
compagni si era sottratto alle persecuzioni anticristiane in una grotta del monte
Soratte, il quale avrebbe saputo guarirlo. Costantino, che aveva scambiato i due
santi per dei, mandò a chiamare Silvestro, che, arrivato, gli mostrò due ritratti
degli apostoli Pietro e Paolo, nei quali l'imperatore riconobbe i suoi "dei" del
sogno.

Allora Silvestro impose all'imperatore di liberare i cristiani carcerati e


digiunare una settimana, poi lo immerse nel fonte battesimale e l'imperatore ne
uscì guarito. Costantino dedicò allora gli otto giorni successivi a produrre leggi
sulla cristianizzazione di Roma e sull'istituzione della potestà dei vescovi e della
Chiesa. Poi, l'ottavo giorno, dice la leggenda «l'imperatore andò alla chiesa di
san Pietro, dove confessò piangendo le sue colpe. Prese poi il piccone e iniziò

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personalmente lo scavo per costruire la basilica e portò via sulle sue spalle
dodici carichi di terra».

Sul primitivo aspetto della basilica, dopo l'editto di Milano, sono note le
descrizioni delle fonti e le informazioni relative alle successive ricostruzioni, che
per un certo periodo continuarono a basarsi sulla struttura originaria.
L'originale basilica era nota, per il suo splendore e per la sua importanza, con il
nome di Basilica Aurea ed era oggetto di continue e importanti donazioni da
parte degli imperatori, dei papi e di altri benefattori, testimoniate nel Liber
Pontificalis. Già colpita nel 410 dal Sacco di Roma dei Visigoti di Alarico, nel
455 la basilica venne nuovamente saccheggiata dai Vandali di Genserico, che la
privarono di tutti i suoi tesori. La chiesa venne però restaurata e riportata al
suo originario splendore da papa Leone Magno attorno al 460, venendo poi
ulteriormente arricchita sotto il successore Ilario, il quale vi aggiunse tre
oratori.

In totale la basilica venne dunque a essere circondata da sette oratori, in seguito


parzialmente inglobati nell'edificio, da cui nacque in seguito la tradizione di
dotare le chiese di sette altari. Declinata parallelamente al declino della città, la
basilica venne restaurata da papa Adriano I alla fine dell'VIII secolo,
apparendo in tutto il suo splendore in occasione della Pasqua dell'anno 774,
quando vi ricevette il battesimo Carlo Magno. Nuovi interventi seguirono poi
negli anni 844-847, quando papa Sergio II ricavò una confessio sotto l'altare
maggiore. L'opera Papa Formoso e Stefano VII di Jean-Paul Laurens, custodita
al Musée des Beaux-Arts di Nantes, raffigura l'episodio del cosiddetto "sinodo
del cadavere".

La mummia di Formoso fu dunque riesumata dal sepolcro, abbigliata con i


paramenti pontifici e collocata su un trono nella sala del concilio per rispondere
a tutte le accuse che erano state avanzate da papa Giovanni VIII. La macabra
adunanza si svolse nella Basilica con i cardinali e i vescovi riuniti sotto la
presidenza dello stesso Stefano VI. Le vesti papali vennero strappate dal suo
corpo, le tre dita della mano destra, usate dal Papa per le consacrazioni,
vennero tagliate e il cadavere fu poi trascinato per le vie di Roma e gettato nel
Tevere. I racconti dicono che la basilica "sprofondò dall'altare alle porte" e i
danni furono così ampi che si rese necessaria una radicale ricostruzione.

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Poche tracce rimanenti degli edifici originali possono tuttora essere identificate
nelle Mura aureliane, fuori Porta San Giovanni e una grande parete decorata
con pitture fu trovata nel XVIII secolo all'interno della basilica stessa, dietro la
cappella Lancellotti.

Il nuovo edificio, completato agli inizi del X secolo, rispettava nella loro essenza
le proporzioni della basilica costantiniana. La basilica di papa Sergio era dotata
di un campanile, distrutto però da un fulmine nel 1115 e riedificato da papa
Pasquale II. Nel XII secolo, poi, papa Lucio II dedicò il Palazzo del Laterano e
la basilica anche a San Giovanni Evangelista. Nel 1276 all'interno della basilica
venne poi inaugurato il Monumento Annibaldi, opera di Arnolfo di Cambio che
costituì un prototipo per le tombe romane del periodo gotico.

Tra il 1297 e il 1300 sono inoltre forse databili i primi interventi da parte di
Giotto sui cicli decorativi della basilica, nel corso del suo secondo soggiorno
romano. L'apice della gloria della nuova basilica lateranense giunse comunque
il 22 febbraio 1300, quando papa Bonifacio VIII vi indisse il primo Giubileo.
Nella notte del 6 maggio 1308 la seconda basilica laterana andò quasi
completamente distrutta in un furioso incendio.

Età bassomedievale: la terza basilica

Da Avignone, papa Clemente V e papa Giovanni XXII inviarono il denaro


necessario alla ricostruzione e al mantenimento della basilica, ma la chiesa non
tornò più al suo splendore originario. La terza basilica continuò a mantenere la
sua forma antica, essendo ancora divisa in cinque navate separate da colonne e
preceduta da un ampio quadriportico di stile paleocristiano, anch'esso retto da
colonne e decorato, al centro, da fontane. A differenza dell'edificio precedente,
però, Clemente fece introdurre una navata trasversale, imitata senza dubbio da
quella aggiunta molto prima alla Basilica di San Paolo fuori le mura e a modello
dei tipici transetti medievali.

Basilica e Battistero:

Papa Urbano V affidò i restauri al senese Giovanni di Stefano, il quale eliminò


parzialmente le trabeazioni interne e sostituì le colonne costantiniane con venti
pilastri in laterizio, realizzando infine, con il contributo del re di Francia Carlo

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V il grandioso ciborio, inaugurato nel 1370, nel quale furono inseriti i preziosi
reliquiari contenenti le teste dei Santi Pietro e Paolo.

La basilica in una pubblicazione del 1864

Nonostante questo, lo stesso Gregorio dotò la basilica di un nuovo portale,


ornato da leoni, riedificando al contempo la facciata settentrionale, nella quale
fece aprire un nuovo rosone. Nel 1413 la basilica lateranense venne però
nuovamente danneggiata dalle truppe di Ladislao I di Napoli, costringendo
papa Martino V a provvedere con grandiosi restauri, che si prolungarono sino
al pontificato di Eugenio IV. Alla basilica venne annesso inoltre un nuovo
convento, addossato al muro della città, assegnato a monaci benedettini.
Papa Innocenzo X decise il radicale rinnovo della basilica, affidandone l'opera
al Borromini. Nel 1660 papa Alessandro VII fece rimuovere i portoni bronzei
dell'antica Curia Iulia perché divenissero i battenti del nuovo ingresso della
basilica. I lavori edilizi si prolungarono fino al pontificato di Clemente XII,
quando venne realizzata infine la facciata principale, progettata da Alessandro
Galilei, completata nel 1734 rimuovendo completamente le vestigia del
tradizionale impianto dell'antica basilica. Della basilica medioevale restarono
visibili solo il pavimento, il ciborio e il mosaico absidale, restaurato poi da papa
Leone XIII.

Francesco Borromini racchiuse le colonne dell'antica navata centrale in nuovi


pilastri, alternati ad archi e caratterizzati da un ordine colossale di paraste.

L'interno dell'attuale basilica, frutto dei radicali lavori del Borromini

Finalmente, dopo che le nicchie borrominiane erano rimaste vuote per decenni,
la ricostruzione dell'interno si concluse quando, verso la fine del 1702, Papa
Clemente XI e il cardinale Benedetto Pamphilj, arciprete della Basilica laterana,
annunciarono la loro intenzione di dotare le nicchie di 12 monumentali sculture
degli Apostoli.

La facciata fu invece progettata da Alessandro Galilei, dopo un concorso che lo


vide primeggiare, per essere conterraneo del papa fiorentino Clemente XII
Corsini su architetti ben più celebri di lui, e dopo che Filippo Juvarra fu invitato
a partecipare al confronto solo come giudice. La facciata, tra le più suggestive di
Roma, si presenta come uno schermo davanti all'originaria basilica, generando
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così un nartece o vestibolo che, rapportato alla navata centrale e alle due navate
laterali, ha richiesto una parte centrale più larga del resto. Nei primi del XX
secolo dopo che un avveniristico progetto di traslazione non poté esser messo in
opera in ragione dei costi elevati che avrebbe comportato, l'abside antica fu
abbattuta per volontà di Leone XIII e ricostruita in posizione diversa per
ospitare un nuovo coro, turbando così la spazialità della basilica.

L'atrio, che ricalca lo stile, seppur in forme più semplici, di quello di San Pietro
in Vaticano, custodisce, in una nicchia quadrangolare posta all'estremità
sinistra, una statua di epoca romana raffigurante Costantino I. La porta
centrale della basilica proviene dalla Curia Iulia, già chiesa di Sant'Adriano, ed
è stata riadattata dal Borromini per la chiesa. Nel timpano si trova un mosaico
proveniente dalla basilica paleocristiana raffigurante Gesù.

La facciata settentrionale

La facciata del transetto nord, inquadrata tra due campanili medioevali


dell'epoca di Pio IV, è preceduta da un ampio portico con loggiato, opera di
Domenico Fontana.

Le navate e le cappelle

La basilica di San Giovanni ha cinque navate. Mentre quella centrale ha il


soffitto a cassettoni e le due limitrofe a piccole cupolette, le navatelle estreme
hanno il soffitto piatto e sono divise in campate quadrate e rettangolari da
lesene. Nella navata centrale, in alcune nicchie ricavate nei pilastri, si trovano le
statue dei dodici Apostoli, inserite nella basilica con gli interventi del Borromini,
opere di vari artisti, tra cui Camillo Rusconi, Pierre Legros e Angelo De Rossi.
La pavimentazione è quella cosmatesca della basilica medievale.

Le decorazioni di contorno in stucco sono opera dello scultore messinese Simone


Martinez e del figlio Francesco, autore delle due Beatitudini in marcato
altorilievo poste ai lati della finestra della parete sinistra, sopra la statua di papa
Clemente XII, e i modelli delle teste di cherubino e dei due angeli reggenti lo
stemma dei Corsini che ornano la cancellata, sono anch'essi opera del Martinez.

Cappella Colonna o del Coro

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Il transetto nord della basilica ospita nella controfacciata l'enorme organo
cinquecentesco di Luca Biagi decorato da Giovan Battista Montano. Adiacente
all'abside è la cappella Colonna o del S. Salvatore detta del Coro, realizzata da
Girolamo Rainaldi su commissione del cardinale Ascanio in sostituzione del
precedente altare dedicato alla Maddalena di cui godevano il iuspatronato, dove
sono sepolti alcuni dei cardinali della famiglia. Nel transetto sud, invece, c'è
l'altar maggiore, o del S.S.

L'altare papale e la confessione

L'altare papale si trova nella crociera ed è sormontato dal monumentale ciborio


gotico, opera dell'architetto Giovanni di Stefano. I reliquiari sono del 1804 e
sostituiscono quelli andati trafugati nel 1799 e che erano stati realizzati da
Giovanni di Bartolo. Davanti all'altare si apre la confessione, fatta realizzare
per volontà di papa Pio IX nel 1851 su progetto di Filippo Martinucci, in
concomitanza con i lavori di rifacimento dell'altare papale diretti dallo stesso
Martinucci.

L'abside e il coro di Leone XIII

Papa Leone XIII fece restaurare l'antica abside della basilica, distruggendo
quella con deambulatorio fatta erigere da Niccolò IV alla fine del XIII secolo. Il
nuovo coro, fastosamente decorato da affreschi, stucchi e marmi policromi,
contiene sei cantorie, tre per lato, con parte delle canne dell'organo della
basilica. Nel catino dell'abside c'è l'enorme mosaico raffigurante la Vergine che
presenta il committente Niccolò IV inginocchiato, San Paolo, San Pietro, San
Francesco d'Assisi, San Giovanni Battista, Sant'Antonio di Padova, San
Giovanni Evangelista e Sant'Andrea.

Palazzo del Laterano

Accanto alla Basilica è situato il Palazzo del Laterano, eretto sul finire del XVI
secolo da papa Sisto V al posto dell'antico Patriarchio, cioè l'antico palazzo
patriarcale dei Papi, danneggiato da un incendio nel XIV secolo e ormai
pericolante, che era stato, fino al 1309, loro residenza ufficiale.

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Il palazzo del Laterano ospita il Vicariato della città di Roma, una delle due
articolazioni su cui è strutturata la diocesi papale, competente per tutte le
attività diocesane riguardanti la città e il territorio esterno alla Città Leonina.

Si dice che la tomba originale, erettagli da papa Sergio IV, si inumidiva quando
si avvicinava la morte di un cardinale, mentre trasudava acqua quando un papa
si avvicinava alla morte. Questo fino al 1684, quando, per volere di papa
Innocenzo XI, venne aperta per un'ispezione e le spoglie del papa, trovate
intatte, si dissolsero al contatto con l'aria.

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