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L’ENIGMA GESU’

Introduzione di Emanuela Prinzivalli


Nonostante le Chiese vedano ridurre la loro capacità di influenzare gli individui, l’interesse per Gesù non è affatto
scemato, anzi si è intensificato per varie ragioni. Fra le cause che alla lontana hanno prodotto tale interesse
ricordiamo:

 la quasi totale alfabetizzazione, che ha messo i singoli in condizione di accedere da soli ai testi che parlano di
Gesù;
 l’azione della Chiesa cattolica che ha incoraggiato, in seguito al Concilio Vaticano II, la lettura diretta delle
fonti evangeliche;

A ciò si unisce, nel recente periodo, la rinnovata centralità del fenomeno religioso su scala mondiale e il recente
confronto in Italia, a causa anche dell’immigrazione, con le altre religioni ha portato ad interrogarsi non solo sul
Cristianesimo, ma anche sulla figura che lo ha fondato, soprattutto sulla sua vita o sulle sue intenzioni.

Questo non vuol dire che i Vangeli siano oggi ben conosciuti in Italia. Giorgio Jossa afferma che sono molto poco
conosciuti e quasi per nulla compresi, questo perché c’è attualmente una pluralità di modi di fruizione di materiale
evangelico o collegato a Gesù. Egli è stato un uomo protagonista di un’esperienza tanto straordinaria quanto tragica,
che è nato e cresciuto in un preciso contesto culturale, sociale e religioso, che ha detto cose che continuano a toccare
la coscienza e il cuore degli uomini.

Un primo intento di questo volume è di spiegare la differenza fra una ricerca autenticamente storica su Gesù e i tanti
“sentito dire” che circolano. Due fatti avvenuti tra il 2006 e il 2007 sono di interesse specifico per il nostro discorso. Da
un lato il successo che ha accolto il volume-intervista di Corrado Augias e Mauro Pesce, Inchiesta su Gesù; dall’altro
l’uscita del volume di papa Ratzinger/Benedetto XVI intitolato Gesù di Nazareth.

Augias e Pesce hanno evidenziato una diffidenza da parte di alcuni settori del clero italiano nei confronti del metodo
storico applicato alla ricerca su Gesù e il timore per i possibili effetti derivanti dalla divulgazione dei risultati della
ricerca storica. Tuttavia Benedetto XVI cita l’enciclica Divino afflante Spiritu (1943) che legittimava l’uso per i teologi
cattolici del metodo storico-critico, ponendosi la domanda: “che significato può avere la fede in Gesù se l’uomo Gesù
era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e lo annuncia la Chiesa?”. Una simile situazione è drammatica
per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento, dunque la figura stessa di Gesù, secondo il
pontefice, si sarebbe allontanata o rischierebbe di allontanarsi dai fedeli per il moltiplicarsi delle ricostruzioni parziali
della ricerca storica. Le parole di Benedetto XVI confermano l’attualità della questione del “Gesù storico” e la
persistente interrogazione circa il rapporto tra fede e storia.

Il lavoro dello storico ha come punto di riferimento la verità, accertabile storicamente, cioè secondo parametri stabiliti
dalla stessa ricerca. Lo storico che manipola la documentazione, che omette deliberatamente parti di essa, che non dà
ragione delle proprie fonti, che parte da un presupposto da dimostrare a tutti i costi, non merita il nome di storico.

Girolamo è stato il traduttore della Scrittura direttamente dall’ebraico in latino, in un’epoca in cui i cristiani avevano
serie perplessità ad abbandonare l’antica traduzione latina basata sul greco dei Settanta, perciò si sarebbe creata una
discrepanza nell’uso del testo sacro con i cristiani di lingua greca e perché sospettosi nei confronti degli ebrei, con cui
c’era polemica continua, che avrebbero potuto criticare o negare la bontà della traduzione latina dall’ebraico.
Girolamo andò avanti per la sua strada e riteneva il tradurre un’attività soggetta a pubblica e razionale verifica,
un’attività scientifica: se, dunque, Girolamo sapeva distinguere i diversi piani di verità, suppongo ci sia almeno una
piccola speranza anche per noi.

Nel corso della storia della ricerca su Gesù sono stati elaborati alcuni criteri per vagliare il materiale su Gesù.
Nonostante Gesù non abbia lasciato niente di scritto, il materiale su di lui è abbondante: il suo insegnamento è stato
memorizzato, ri-detto e trasmesso dai suoi seguaci. Inizialmente i detti e le opere furono trasmessi oralmente e chi ha
composto i vangeli si è servito di una tradizione precedente, rielaborandole secondo le proprie tendenze. Insomma, gli
studiosi hanno via via compiuto il cammino di risalita dell’attuale redazione dei vangeli ai materiali preesistenti che
hanno costituito le fonti degli evangelisti. Il primo passo compiuto fu la determinazione dei rapporti tra i vangeli
sinottici (Matteo, Marco e Luca), chiamati così perché se posti su colonne parallele (sinossi), mostravano somiglianze
tali da presupporre rapporti di dipendenza letterale fra loro. Ne risultò la teoria delle due fonti: Matteo e Luca
dipendono da Marco e da una fonte denominata Q. La fonte Q doveva essere un seguito di detti di cornice narrativa.
Una prova dell’esistenza di due fonti di Matteo e Luca è data dall’esistenza ei doppioni, cioè detti di Gesù che
ricorrono due volte in Matteo e Luca, una volta in forma uguale a Marco, e un’altra in forma comune a loro due e
diversa da Marco. Matteo e Luca utilizzano inoltre anche materiale proprio, cioè che l’uno ha e l’altro non ha, e anche
questo indica la varietà delle tradizioni loro pervenute.

Per quanto concerne i detti di Gesù, praticamente in quasi nessun caso si può arrivare a stabilire la forma “letterale” in
cui sono stati pronunciati, non solo per il fatto che Gesù parlava in aramaico, e per il fatto che la forma letteraria dei
detti può essere stata modificata per facilitare la memorizzazione, ma anche perché egli stesso può aver espresso più
volte uno stesso concetto.

Tuttavia il contenuto dell’insegnamento e i fatti della sua vita possono essere ricostruiti su base storica grazie alla
criteriologia elaborata, rispondendo alla domanda: in base a quale criterio è possibile distinguere il materiale
effettivamente risalente a Gesù?

Il primo a sentire l’esigenza di esplicitare dei criteri nella ricerca fu Ernst Kasemann. Egli enunciò il criterio della
dissomiglianza, detto anche della discontinuità o della originalità o della differenza o della doppia irriducibilità. I limiti
sono evidenti: esso corre il rischio di strappare Gesù dal suo contesto storico giudaico, facendone un isolato senza
radici e senza frutti, ed è viziato dalla precomprensione teologica che Gesù sia unico e incomparabile. Il criterio non
può però essere abbandonato, ma va usato in positivo, per stabilire l’autenticità della tradizione e deve essere
accompagnato da altri criteri che ne compensino le possibili distorsioni e restituiscano un quadro d’insieme. Questo
vale per tutti i criteri. Il modo più equilibrato di procedere è quello di applicare congiuntamente un certo numero di
criteri riconosciuti come efficaci dalla critica.

Criteri:

 Criterio della Molteplice attestazione (applicato ai testi non canonici): viene ritenuto autentico un detto o un
fatto di Gesù trasmesso almeno da due fonti letterarie indipendenti l’una dall’altra: per esempio, Paolo e
Marco, o il vangelo di Tommaso e Luca;
 Criterio dell’imbarazzo: sono ritenute autentiche le parole o gli atti di Gesù che hanno creato difficoltà alle
comunità primitive: l’esempio classico è il battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista;
 Criterio della dissomiglianza: elaborato da Kasemann. Ha buona probabilità di essere autentico l’imperativo
“lascia che i morti seppelliscano i morti” che non ha paralleli. Altri esempi: l’espressione “regno di Dio” è
discontinua rispetto al giudaismo dell’epoca e poco usata nella successiva tradizione ecclesiastica;
 Criterio della plausibilità storica: è adatto a correggere le eventuali distorsioni prodotte dal criterio
precedente. Il criterio ammonisce a tenere conto del nesso tra Gesù e il contesto giudaico e del nesso fra
Gesù e i suoi effetti: cioè la differenziazione di Gesù può essere sorta solo all’interno del contesto giudaico e i
suoi atteggiamenti devono essere stati tali da spiegare l’evoluzione successiva. Ad esempio, il suo
atteggiamento verso la Legge giudaica è di rifondazione, non di abrogazione;
 Criterio della coerenza: è un criterio d’appoggio, non principale. Una volta stabilito il materiale che ha alta
probabilità di risalire a Gesù, e una volta individuate linee di tendenza e costanti nel suo comportamento, si
possono integrare nel quadro elementi che appaiono con esso coerenti.

La struttura del volume: Gli autori di questo volume, Claudio Gianotto, Enrico Novelli e Mauro Pesce sono tre esperti
della materia, riconosciuti a livello internazionale. I tre interventi si collegano fra loro in un discorso unitario, così da
costruire un’opera compatta. Il primo capitolo (E.Norelli) imposta il discorso di metodo dell’uso delle fonti antiche. Il
secondo capitolo (C.Gianotto) incentra l’attenzione sulla fonte apocrifa tenuta in maggior conto dagli studiosi, Il
Vangelo di Tommaso. Infine, Mauro Pesce entra nel vivo del dibattito contemporaneo in Italia e all’estero.

Considerazioni di metodo sull’uso delle fonti per la ricostruzione della figura storica di Gesù- Enrico Norelli
Norelli tratta questioni relative ai testi cristiani antichi e all’uso che se ne può fare per ricostruire la figura storica di
Gesù. Egli tratta:

1. Considerazioni metodologiche di carattere generale sulle fonti letterarie relative a Gesù e sul loro uso sulla
ricerca.
2. Alcuni esempi relativi a fonti generalmente non prese in considerazione per la ricostruzione del Gesù storico.

Per iniziare a parlare della distinzione tra Gesù storico e Gesù reale possiamo utilizzare le parole di James Dunn, che
afferma che il Gesù storico è il Gesù costruito dalla ricerca storica, tuttavia l’espressione è usata per indicare il Gesù di
Nazareth. Oppure, per essere più precisi, l’espressione “Gesù storico” è una specie di amalgama dei due senti.

Nonostante questo si applichi su qualunque personaggio storico, la ricerca su Gesù appare come un caso speciale. Si
afferma che il materiale disponibile su Gesù mostra l’influenza avuta da Gesù, cioè quel che i testimoni hanno
percepito e ricordato. L’impatto esercitato da Gesù produce fede. Naturalmente Gesù ha prodotto anche forme di
impatto che non furono fede in lui, ma quand’anche le avessimo (per esempio Gesù visto da Pilato, Erode, Caifa ecc),
non consentirebbero di spiegare la nascita del cristianesimo e dunque non avrebbero rilevanza.

Nell’ambito della ricerca si decide quale eredità di un personaggio storico prendere in considerazione e poi si prosegue
per quella via. Poiché Gesù è rimasto nella storia come iniziatore del cristianesimo, ciò implica che le fonti utilizzabili
sono tutte ispirate dalla fede in lui. Perciò non ha senso distinguere tra la figura storica di Gesù da quella delle fede. Il
Gesù che possiamo raggiungere è quello “della fede” e l’unica soluzione sarebbe ammettere che non ci può essere
altro Gesù storico che quello. Di conseguenza per Dunn arriveremo non solo a un Gesù ricordato, ma arriveremo a un
Gesù ricordato della fede.

Dunn dice che Gesù può essere percepito solo attraverso la fede e su questa base egli ritiene che si possa superare la
frattura fra storia e fede perché ci troviamo di fronte una fede storica. Ma cosa vuol dire fede storica? Se vuol dire che
la memoria relativa a Gesù è stata composta da persone che credevano in lui e al fine di formulare e aumentare la
fede in lui è vero. Lo storico deve tener conto di tale carattere delle fonti, se vuole usarle in maniera adeguata, ma ciò
non può significare che una corretta conoscenza storica di Gesù è possibile solo a partire da una posizione di fede in
lui. Lo storico riconosce la fede che ha ispirato le sue fonti, ma non opera assumendo in proprio tale fede.

Meier stesso riconosce che c’è una certa distinzione tra ciò che conosce di Gesù tramite la fede e ciò che conosce
tramite la ricerca. Egli distingue tra il Gesù reale, la persona realmente esistita, e il Gesù storico, quello che possiamo
conoscere attraverso le fonti disponibili. Meier ammette che la realtà totale di una persona è inconoscibile. Dichiara
che in ciò la situazione di Gesù non è diversa da quella di tutti gli altri personaggi della storia. Diciamo che il “Gesù
reale” possiamo senz’altro metterlo da parte, per concentrarci sul “Gesù storico”.

È essenziale che ciò non significhi che la fede, o l’assenza di fede, in Gesù condizioni necessariamente il lavoro storico
e i suoi risultati. In altri termini, la ricezione di Gesù sulla fede è un processo nato da quel che possiamo chiamare un
interesse per l’attualità della persona di Gesù; la ricezione di Gesù nel processo di ricostruzione storica nasce
anch’essa da un interesse per l’attualità della persona di Gesù, ma ciò non autorizza a sovrapporre le due attività,
perché sia gli atteggiamenti nei confronti di Gesù che i modi in cui le due attività hanno luogo sono profondamente
diversi tra loro. In caso contrario, arriveremo facilmente alla conclusione che una “vera” conoscenza storica di Gesù è
possibile solo a partire da un atteggiamento di fede, perché sovrapporremo l’interesse o la simpatia del credente
all’interesse o alla simpatia dello storico, che operano in maniera diversa.

Per Norelli “il Gesù della fede” porta con sé una traccia eloquente di un condizionamento dogmatico che ha pesato
nella ricerca storica. Se questa formulazione serve a distinguere la ricezione nella fede da quella storica va bene, ma è
pericolosa se veicola l’idea che c’è un Gesù recepito e ricordato nella fede; in realtà ce ne sono molti come
documentato dal Nuovo Testamento e dalla letteratura non canonizzata. Se si parla di “il Gesù della fede” o il “Gesù
ricordato”, ciò suggerisce che si tratti del Gesù proposto dai testi canonici, o almeno ortodossi, e che tali testi
contengano una memoria di Gesù unitaria. Ma questo è un presupposto teologico, generato dall’esigenza di aderire a
un gruppo di testi contenenti “verità”. Tali concetti di vero e di falso non possono essere assunti come tali dalla ricerca
storica, ma quest’ultima deve valutare tutti i testi alla stessa stregua e con gli stessi strumenti.

Secondo Dunn, le fonti veramente pertinenti sono quelle scritte dai suoi discepoli. Molto spesso le fonti non cristiane
vengono liquidate e identificate come fonti che non forniscono alcun contributo, eccezione fatta per Giuseppe Flavio
che in due punti parla di Gesù nel testo Antichità giudaiche, e le sue affermazioni sembrano suscitare polemiche
perché appaiono impossibili sotto la penna di un ebreo non credente in lui. Vi sono fondamentalmente tre posizioni
tra gli studiosi. Alcuni in effetti considerano il passo come un’interpolazione cristiana, altri cercano di interpretarlo in
modo da renderlo interamente plausibile; ma la maggior parte ritiene che il brano provenga sostanzialmente da
Giuseppe, ma che alcune espressioni siano interpolazioni cristiane. Questa terza opzione è la più ragionevole; essa
ammette che Flavio Giuseppe abbia fornito una testimonianza su Gesù, non redatta da una prospettiva di fede. Non vi
è motivo di considerarla meno pertinente di quelle prodotte da credenti in Gesù.

Le altre testimonianze di parte ebrea su Gesù sono più tardive e così largamente leggendarie che non se ne può trarre
nulla di attendibile, anzi, Meier ha cercato di dimostrare che praticamente nessuna di essere era in origine riferita a
Gesù. Tali passi non hanno affidabilità storica.

Quanto alle testimonianze su Gesù provenienti da autori non credenti in lui né ebrei, c’è la convinzione che, se da una
parte esse confermano (come i passi di Flavio Giuseppe) l’esistenza storica di Gesù, dall’altra dipendono dalla
tradizione cristiana e non costituiscono dunque fonti indipendenti per la conoscenza del personaggio. Uno solo di
questi passi potrebbe essere indipendente dai testi o tradizioni cristiane, quello di Tacito, Annali.

La ricerca contemporanea su Gesù, soprattutto a partire dall’applicazione alle prime fonti cristiane del metodo della
“storia delle forme” dalla fine degli anni Dieci del 900, ha insistito sul fatto che le tradizioni su Gesù sono state
veicolate in determinati contesti tipici dalle comunità dei credenti, le quali le hanno adattate alle proprie esigenze e
alle proprie concezioni della salvezza. Se alcuni di questi autori dipendono chiaramente da vangeli scritti, altri
dipendono probabilmente solo da fonti orali, e anche i primi sono stati influenzati in qualche misura da informazioni
non scritte, provenienti da credenti in Gesù. Questo rende la rappresentazione più complessa e articolata. Certamente
in quest’ottica si prendono in seria considerazione le fonti meno influenzate da un atteggiamento di adesione al
personaggio studiato. È interessante notare che il criterio che si vuole applicare sulla ricerca su Gesù sia contraria alla
tendenza nelle fonti, dettata dall’adesione o avversione personale degli autori nei confronti dell’oggetto.

Nessuna operazione storiografica potrà mai essere completamente oggettiva o definitiva, tutte le ricostruzioni sono
soggette a critica. È per questo che la distinzione tra storia e memoria resta capitale. Secondo Maurice Halbawachs:

• La storia è un quadro di cambiamenti, ed è naturale che essa si persuada che le società cambiano
incessantemente, perché essa fissa lo sguardo sull’insieme e non passano anni senza che si produca qualche
trasformazione. La storia, dunque, esamina i gruppi dall’esterno e abbraccia un lungo periodo.
• La memoria collettiva, al contrario, è il gruppo visto dall’interno, e durante un periodo che non supera la
durata media della vita umana. È un quadro delle somiglianze e il gruppo resta tale perché la memoria
collettiva fissa la sua attenzione sul gruppo e ciò che cambia sono solo le relazioni o i contatti del gruppo con
gli altri.

Dunque la storia è una, universale, e si sforza di essere imparziale, mentre la memoria collettiva non può essere
universale perché è la “nostra” memoria e fonda e legittima l’identità di un gruppo. Esiste una pluralità di memorie
collettive che non solo si succedono, ma coesistono.

Negli anni ‘30 del ‘900 sono state scoperte delle pubblicazioni di testi manichei che ci hanno permesso di conoscere
meglio Mani (fondatore della religione persiana) e la sua dottrina. Si tratta essenzialmente dei frammenti provenienti
da Turfan nel Turkestan Cinese, della biblioteca di opere manichee tradotte in copto scoperta nel 1931 a Medinet
Madi nel Fayum egiziano, e del codice greco contenente una vita di Mani, conservato a Colonia e pubblicato per la
prima volta nel 1975. Il Mani che queste fonti ci fanno conoscere è un personaggio della fede. Nessuno può affermare
che l’indagine storica può condurre a una conoscenza definitiva del passato.

Identificare il Gesù che la critica storica può ricostruire con il Jesus remembered significa confondere storia e
memoria. Secondo Norelli comunque è sbagliato dire che l’unica immagine di Gesù che si può ricostruire è quella della
fede, il Gesù remembered, perché sarebbe come affermare che le uniche fonti utilizzabili sono le fonti che sono
diventate canoniche, cioè i 4 vangeli del Nuovo Testamento. Si ammette che le immagini di Gesù nei 4 vangeli non
sono identiche, non solo si privilegia la memoria ma ci si arroga il diritto di scegliere solo alcune tra le varie memorie di
Gesù attestate nel primo cristianesimo. E si afferma di compiere tale scelta sulla base di criteri storiografici.

Noi non ci fondiamo esclusivamente su fonti le quali presentano solamente il “Gesù della fede” ma, nell’indagare sulla
figura storica di Gesù, non possiamo applicare un metodo diverso nell’esame delle une e delle altre. Non è corretto
dedurre, dal fatto che abbiamo testimonianze dettate dalla fede, il principio che il Gesù storico non può che essere
identico al Cristo della fede. Né vale obiettare che, se abbiamo fonti su Gesù, è perché c’è stata la fede in lui. E dunque
il carattere credente di tali testimonianze non è contingente, ma neanche necessario. Infatti Dunn deve riconoscere
che la mancanza di fonti non ispirate dalla fede è un fatto contingente, e del resto tali fonti esistono. Dunque, lo
storico deve tenere conto del fatto che la grandissima maggioranza delle fonti su Gesù nasce dalla fede: ne deve tener
conto sia perché ciò dice qualcosa sull’impatto di Gesù, sia perché tale consapevolezza è indispensabile per una
corretta critica delle fonti.

Ma le fallacie di tale posizione non sono affatto esaurite. In generale, non credo che esistano fonti neutre relative a
qualche personaggio della storia. Non si può comprendere il personaggio di Napoleone attenendosi esclusivamente ai
ricordi dei più devoti tra i suoi soldati. In questi casi si applicherà alle fonti una rigorosa critica. Si pretende di applicare
i metodi riconosciuti come adeguati al lavoro storiografico al fine di poter selezionare alcune “memorie” alle quale
attenersi, tradendo lo spirito stesso del metodo storico che si è affermato di voler applicare. Ciò avviene
inevitabilmente una volta posto il criterio che le fonti capaci di far comprendere il “Gesù storico” sono quelle
appartenenti alle istituzioni che a lui si richiamano.

Inoltre, così, si fallisce con il presupporre che la “memoria” di Gesù sia omogenea nella fase più antica e coincida con
quella adottata da una tradizione religiosa che non potrebbe legittimarsi che mediante la sua continuità con la persona
storica di Gesù. Ecco che il circolo si chiude. Il metodo storico permette di concludere che le uniche fonti affidabili per
una conoscenza storica di Gesù sono i vangeli canonici; Gli stessi testi contengono anche il Gesù cui si riferisce la fede
della comunità cristiana; Si afferma il principio che questo Gesù presentato dalla fede degli evangelisti alla fede
s’identifica con il Gesù della storia; Si ricostruisce il Gesù storico delle immagini contenute nei 4 vangeli e accettate
come sostanzialmente coerenti. La finalità di questa operazione è mettere al sicuro il personaggio rendendolo non
separabile da quello della Chiesa.

Il lavoro storico non può mai essere assolutamente obiettivo; esso è condizionato da esperienze concrete che
influenzano le conoscenze passate, ma tale lavoro deve costantemente sottoporre a verifica i propri presupposti e i
propri procedimento. Esso deve sicuramente orientarsi in direzione opposta al condizionamento da parte della
preoccupazione di confermare o invalidare delle posizioni teologiche.

Norelli critica il metodo utilizzato da molti storici che classificano come fonti affidabili sono i 4 vangeli e identificano le
altre fonti come da essi dipendenti. Facendo l’esempio di Gianotto che identifica il vangelo di Tommaso come
dipendente dai sinottici, egli non esclude che questo vangelo possa sia dipendere dai sinottici, sia attingere ad altre
fonti o tradizioni. Nel 2° secolo la diffusione della parola di Gesù è ancora fluida e i 4 vangeli canonizzati acquistano
terreno rispetto agli altri, ma non godono di autorità esclusiva, quindi il vangelo di Tommaso nonostante abbia molti
passi in comune con i sinottici, non è detto che non contenga parole provenienti da altri testi. Il trattamento riservato
ai vangeli canonici non è quindi paritario a quello riservato ai vangeli divenuti apocrifi, come sarebbe giusto che fosse,
all’inizio dell’indagine.

La monografia di Meier discute lo statuto delle fonti su Gesù in una serie di capitoli, dividendoli in “i libri canonici del
Nuovo Testamento”, altri scritti ebrei e pagani” e infine “gli agrapha e i vangeli apocrifi”. Il fatto di dedicare a priori
capitoli separati al materiale canonico e a quello apocrifo è altamente significativo. Infatti, dal punto di vista dello
storico, quale pertinenza ha di fatto che una parte delle fonti sia diventata canonica? Qui traspare un presupposto più
o meno inconscio. Norelli propone di analizzare le fonti una per una, in ordine cronologico o per genere letterario, e
sottoporle tutte agli stessi criteri, per trarre conclusioni che stabiliscano il grado di attendibilità di quello che è stato
detto.

Norelli propone che per analizzare i vari testi e stabilirne l’autenticità bisognerebbe utilizzare più criteri. Quel che
avviene in generale negli studi sul Gesù storico è che si elimina dapprima il materiale considerato non pertinente e poi
si applicano i criteri di autenticità, dunque essenzialmente al materiale canonico. Uno dei criteri più applicati è quello
dell’attestazione multipla, cioè della presenza di un medesimo detto in fonti su Gesù che possiamo considerare come
indipendenti tra loro. In tal caso il dato deve risalire a uno stadio più antico della tradizione. Naturalmente, l’età delle
fonti non è indifferente, ma soprattutto l’indipendenza reciproca può essere oggetto di discussione, come avviene nel
caso del Vangelo secondo San Tommaso rispetto ai sinottici. Tuttavia, se questo criterio viene usato insieme ad altri,
ha un valore.

In prospettiva storica, interrogarsi sull’apporto dei vangeli apocrifi alla conoscenza di Gesù è metodologicamente
sbagliato. L’insieme che designiamo come “gli apocrifi” è costituito da scritti le cui epoche e luoghi di composizione, i
generi letterari, le idee sono diversissimi tra di loro. Bisognerebbe, forse, porre la domanda “esiste materiale utile per
la ricostruzione della figura storica di Gesù tramandato in testi che non sono stati canonizzati?”, ma una simile
formulazione privilegia ancora di più i testi canonizzati. L’atteggiamento davvero corretto sarebbe quello di chiedersi,
per ogni testo, in quale misura ci fornisca informazioni utilizzabili; che sia apocrifo o canonico, non ha alcuna rilevanza
in questa ottica.

Meier comincia la sua trattazione su “The Apocryphal Gospels” con i testi designati come il Protovangelo di Giacomo e
il Vangelo dell’infanzia di Tommaso e spiega che da simili scritti non c’è nulla da ricavare. In seguito passa a
considerare testi designati come vangeli giudeo-cristiani, cioè i frammenti che i moderni distribuiscono tra i vangeli
degli ebioniti, nazareni ed ebrei. Di quest’ultimo ne restano solo 7 frammenti e questo scritto esalta Giacomo, il
fratello del Signore, contraddicendo ciò che il Nuovo testamento ha da dire al riguardo. Ciò che il NT ha da dire su
Giacomo ha bisogno di essere verificato e criticato a partire da testimonianze esterne al NT, in primo luogo quella di
Flavio Giuseppe.

Sotto la denominazione di “vangeli giudeocristiani” gli studiosi riuniscono una serie di frammenti che di fatto sono
profondamente diversi. Il fatto di riunire tali scritti sotto una sola etichetta può indurre nei non specialisti
l’impressione che siano caratterizzati da una certa omogeneità, ma così non è. Sono testimonianze e citazioni antiche
e medievali relative a vangeli che sarebbero in rapporto con gruppi detti Giudeocristiani. Nei vangeli giudeocristiani la
cristologia e, più in generale, la dottrina di quei vangeli è molto diversa. Il tratto più pertinente è la coesistenza della
fede in Gesù con l’osservanza della fede mosaica: ma in realtà alcuni gruppi hanno operato una selezione all’interno di
questa legge, sminuendo il valore di alcuni dei suoi precetti. Inoltre, la ripartizione di tali testimonianze tra scritti
diversi rappresenta un problema. Alcuni studiosi hanno riferito le testimonianze ad un solo vangelo, altri a due o
ancora a tre: ebioniti, nazareni ed ebrei. I tre titoli, naturalmente, non sono stati dati dagli autori di questi scritti, né da
chi li usava, ma piuttosto da chi era esterno ai gruppi che li leggevano.

Il vangelo degli ebioniti è stato trattato da Epifanio di Salamina, egli ne cita alcuni passi e lo designa anche come “il
vangelo che presso di loro è chiamato secondo Matteo”, aggiungendo che lo chiamano Hebraikon. La citazione cui si
riferisce questa designazione racconta che Gesù, nella casa di Simon Pietro a Cafarnao, evoca la vocazione dei
discepoli che ha da poco effettuato; si parla di dodici, ma qui ne sono nominati otto. La citazione inizia con la frase “ci
fu un uomo di nome Gesù, e aveva circa 30 anni, il quale ci scelse”: il racconto era, dunque, narrato da uno dei Dodici,
sicuramente Matteo, come mostra il nome di quest’ultimo che chiude la lista dei nomi e che è introdotto così: “e te,
Matteo, ti ho chiamato mentre sedevi al banco dell’esattore, e mi seguisti”. Secondo Ireneo questo vangelo è una
deformazione del loro vangelo di Matteo ed è un blocco compatto e distinto dagli altri vangeli giudeocristiani. In
questo vangelo non si parla della nascita, ma direttamente da Giovanni Battista. Alcuni frammenti riguardano il
battesimo di Gesù, la parola su chi sono sua madre e i suoi fratelli e un’altra con l’ordine di abrogare i sacrifici, che non
ha paralleli veri e proprio nella tradizione divenuta canonica. La dipendenza dai sinottici è evidente. Questo vangelo
non sembra fornire materiale utile per la ricostruzione della figura storica di Gesù in quanto dipende dai tre vangeli
sinottici che possediamo.

Gli altri frammenti di “vangeli giudeocristiani” Le cose sono diverse con gli altri due vangeli “giudeocristiani”, ciascuno
dei quali sembra fornirci un caso diverso. Non è facile distribuire i frammenti che ci sono stati trasmessi. La citazione
più antica è fornita da Clemente di Alessandria: “Come è scritto anche nel Vangelo secondo gli ebrei: chi sarà
meravigliato regnerà e chi avrà regnato riposerà”, mentre altrove Clemente cita una forma un po’ diversa del detto
che è più vicina a una parola di Gesù contenuta nel vangelo di Tommaso “colui che cerca non cessi di cercare finché
non abbia trovato, e quando avrà trovato si stupirà, e quando si sarà stupito regnerà, e quando avrà cominciato a
regnare si riposerà”. Se Clemente ha ragione si trovava nel Vangelo degli ebrei, ma Clemente lo conosce anche da
un’altra fonte che può essere di tradizione orale. È chiaro che il Vangelo degli ebrei e quello secondo Tommaso
abbiano ripreso e riadattato un detto che circolava oralmente. Origene attesta che vi era la circolazione di un vangelo
secondo gli ebrei in Egitto. La connessione tra un vangelo degli ebrei e la setta giudeocristiana dei nazarei appare
anche altrove in Girolamo. Questi parla di un vangelo di Matteo in lingua ebraica e nella sua opera Gli uomini illustri,
afferma che questo vangelo si conservava nella biblioteca di Cesarea e che i nazarei che lo usavano gli hanno
permesso di copiarlo nella città di Berea in Siria. D’altra parte, l’esistenza di almeno un vangelo in lingua semitica è
confermata anche da Eusebio che fornisce notizie sullo scrittore cristiano Egesippo, il quale “riporta alcune cose dal
vangelo secondo gli ebrei e dal vangelo siriaco”. Ma Girolamo confonde due scritti: il vangelo secondo gli ebrei citato
da Origene e Clemente e un vangelo in lingua semitica usato dai nazareni nella zona di Berea.

Il vangelo dei Nazarei, in lingua semitica, doveva essere una forma simile al vangelo di Matteo, sia nella struttura
d’insieme (dalla nascita di Gesù alla passione) che nelle singole parti, però con differenze rilevate nei frammenti di cui
disponiamo. L’episodio il cui il signore dice a un ricco di dare tutto ai poveri e di seguirlo si fonda su una forma di
racconto diverso da quelli canonizzati, vicina a quella usata da Matteo. Alcuni passi sembrano aver usato tradizioni più
antiche dei sinottici e se così è questo vangelo diviene una fonte da non scartare per la ricerca sul Gesù storico, ma da
valutare accanto ad altri vangeli, chiedendosi, per ogni frammento, se possa avere utilizzato tradizione autonoma,
quale fosse la forma più antica di questa e in che misura possa aiutarci a ricostruire la figura di Gesù. In questo caso
sembra che siamo in presenza di un racconto du Gesù che può aver usato il vangelo di Matteo accanto ad altri
materiali.

Il terzo dei vangeli giudeocristiani è il vangelo degli ebrei. Era un testo narrativo come i sinottici e andava dal
battesimo alla resurrezione e le poche parole di Gesù che ci sono trasmesse tra quelle in esso contenute non hanno
equivalente nei vangeli canonizzati: si potrebbe pensare che gli autori che ci hanno riportato i frammenti siano stati
incuriositi dai passi non attestati dalla tradizione, però non è così per i brani narrativi che presentano invece forme
varianti di episodi attestati anche nei vangeli del NT. Dei frammenti narrativi, tre sono importanti nella nostra
prospettiva, uno di questi riguarda il battesimo di Gesù.

Il vangelo degli ebrei fa del battesimo di Gesù il luogo della sua legittimazione mediante una voce celeste, ma il
contenuto di questa legittimazione è diverso da quella sinottica perché vedeva nel battesimo l’adempimento “su di lui
si poserà lo spirito del Signore”. L’espressione “tutta la fonte dello spirito” è in rapporto con il contenuto della voce.
Dietro sta la concezione della tradizione sapienziale, secondo cui la Sapienza divina è entrata, di generazione in
generazione, nelle anime di santi e profeti, però in maniera parziale e senza trovare una dimora definitiva: ora essa
discende nella sua totalità in Gesù e rimane in lui. Anche la clausola finale “che regni in eterno” si riferisce
probabilmente al fatto che lo Spirito Santo ha trovato in Gesù la sua dimora ultima; abbiamo anche visto come il
credente in Gesù sia chiamato, secondo il Vangelo degli ebrei, a regnare anch’egli e a riposarsi: quella parola trova il
suo fondamento nella lettura che questo vangelo dà del significato del battesimo di Gesù.

Molto interessante è un frammento analizzato da Origene: “poco fa mia madre, lo Spirito Santo, mi ha preso per uno
dei miei capelli e mi ha trasportato sul grande monte Tabor”: egli si chiedeva come lo Spirito Santo, venuto all’essere
mediante il Logos, possa essere madre di Cristo. Questo passo è ripreso tre volte anche da Girolamo ed egli affermava
che poteva trattarsi dell’episodio della tentazione nel deserto, dove Gesù fu condotto dallo Spirito, oppure della
trasfigurazione che ha usato su di una montagna (Tabor), ma potrebbe anche essere un altro episodio a noi
sconosciuto. Che lo Spirito trasporti per i capelli è un tratto già presente nel NT, ma che sia femminile proviene dal
genere delle lingue semitiche.

Molto interessante è un altro frammento, conservato da Girolamo, nel quale viene messo Giacomo in evidenza: esso
raccontava l’uscita di Gesù dal sepolcro e lo faceva immediatamente dopo apparire a Giacomo. Inoltre, faceva
partecipare Giacomo all’ultima cena, tratto che le versioni successive del passo hanno cercato di eliminare. Questo
vangelo somigliava nella struttura ai sinottici, ma utilizzava fatti e fonti circolanti sin dai primi anni della fede in Gesù
dandone una propria interpretazione secondo linee giudeo elleniche.

Secondo Norelli non c’è motivo per cui lo storico che si accinge a interrogarsi su Gesù non debba, nella disamina
preliminare delle fonti, situare in partenza il Vangelo degli ebrei sullo stesso piano dei vangeli canonici in quanto il
procedimento di creazione è analogo. Il vangelo secondo gli ebrei contribuisce a meglio comprendere, e al tempo
stesso a relativizzare, il procedimento con cui sono stati composti i vangeli divenuti canonici. Esso è analogo a quello
messo in opera per testi che sono diventati apocrifi e non garantisce di per sé una particolare affidabilità come fonte
per il Gesù storico.

Il comandamento dell’amore reciproco, il nesso tra Gesù e lo spirito, il tema del regno, sono comuni ai sinottici per cui
la testimonianza del Vangelo degli ebrei andrebbe a confermare che alla base di tali aneddoti ci sia Gesù. Il Vangelo
degli ebrei si differenzia dai sinottici in quanto non lascia scorgere una fase ulteriore in cui il regno, iniziatosi con
l’attività di Gesù, si afferma definitivamente a livello cosmico con la catastrofe della fine del mondo. Elemento
differente è quello tra Gesù e la sua famiglia, qui Giacomo crede in Gesù sin da prima della sua morte, i vangeli
canonizzati affermano che la famiglia di Gesù, e in particolare i suoi fratelli, sono stati scettici circa il suo ministero e
che egli prese le distanze da loro.

L’esigenza di cambiare paradigma: Norelli ha cercato di attirare l’attenzione sula necessità di adottare, nell’uso delle
fonti letterarie per la ricerca sul Gesù storico, un atteggiamento diverso d quello che è ancora dominante. Dalla fine
degli anni ‘10 del ‘900, l’applicazione ai sinottici, e poi agli altri scritti delle origini cristiane, del metodo detto della
storia delle forme ha messo in evidenza il fatto che le varie unità di tale tradizione sono state modellate a seconda di
determinati caratteri stilistici, adeguate a funzionare entro le circostanze tipiche, cioè costantemente ripetute della
vita delle comunità: la catechesi, la liturgia, la missione, la controversia con gli “esterni”, l’esigenza di confessare la
fede. Sono tali esigenze contestuali che ci hanno conservato la tradizione su Gesù, ma il prezzo ne è stata la
stilizzazione e la trasformazione in funzione delle medesime esigenze. Naturalmente i processi non sono stati così
meccanici, perché constatiamo talora la conservazione di elementi arcaici, ma quella qui riassunta è sicuramente la
tendenza di cui bisogna assolutamente tener conto per valutare quella tradizione. L’insistenza sul Gesù ricordato non
sfugge a questa tendenza. Bisogna anche precisare che le “leggi” che hanno prodotto le varie “forme” abbiano
operato nella fase di trasmissione orale, e in generale la “memoria” sia individuale che collettiva opera non
passivamente, ma attivamente, scegliendo, combinando, interpretando in funzione del presente al quale essa è
chiamata a servire. Gli scritti apocrifi sono testimoni della tradizione antica su Gesù allo stesso modo dei canonici e ci
permettono di trovare idee e pratiche oscurate dai processi di costituzione del canone. Gli apocrifi ci permettono di
ritrovare, anche se molto parzialmente, ambienti, idee, pratiche del primo cristianesimo che sono stati oscurati nei
processi di costituzione delle strutture di potere, del canone, dei sistemi dottrinali, delle pratiche collettive; e la loro
conoscenza è pertanto necessaria anche proprio per comprendere quei processi che sono avvenuti anche in reazione
ai gruppi, agli scritti, alle idee attestati dalla letteratura apocrifa.

Il Vangelo secondo Tommaso e il problema storico di Gesù – di Claudio Giannotto


Storia e tratti caratteristici

Nel dicembre del 1945 in Alto Egitto nei pressi di Nag Hammadi, un contadino scoprì in una grande giara di argilla 13
codici papiracei rilegati in pelle. Questi 13 codici contenevano una cinquantina di scritti diversi, prevalentemente di
carattere gnostico, redatti nella lingua dell’Egitto cristiano, il copto. I codici furono acquisiti dalle autorità governative
egiziane, restaurati e depositati nel Museo copto del Cairo, dove sono attualmente conservati. Tra essi il secondo
scritto del codice n.2 porta il nome di Vangelo secondo Tommaso. È una raccolta di 114 parole attribuite a Gesù e prive
di contesto narrativo, semplicemente introdotte dalla frase “Gesù ha detto”. Il codice è databile al 4° secolo e i
frammenti greci risalgono al 3° secolo. La lingua originale potrebbe essere stata il greco oppure l’aramaico o il siriaco.
È una collezione di logoi (parole) di Gesù e presenta molte analogie con la fonte Q. Dal punto di vista formale, dei 114
detti di EvTh (vangelo secondo Tommaso) circa 2/3 dei detti presentano paralleli con i sinottici, mentre il resto è
materiale originale. Il vangelo è caratterizzato da alcuni particolari:

A. Assenza di contesto narrativo e irrilevanza della croce. A differenza del quadro che ci forniscono i vangeli
divenuti canonici che intrecciano l’insegnamento di Gesù con la sua attività di predicatore itinerante e in
qualche modo fanno culminare tale intreccio nell’evento della sua passione, morte e risurrezione, EvTh ci
presenta le nude parole di Gesù, senza mostrare alcun interesse per il contesto in cui sono state pronunciate.
Le parole di Gesù si propongono come un insegnamento senza tempo, non riferito ad alcuna circostanza
storica particolare e valido per tutti quelli che lo sapranno cogliere.
B. Gesù rivelatore di una sapienza segreta. EvTh si apre con questa affermazione: ˂ Queste sono le parole
segrete che Gesù, il Vivente, ha pronunciato e che Giuda Tommaso ha messo per iscritto. E ha detto
“Chiunque trovi il significato di queste parole non gusterà la morte”˃. I detti della raccolta sono segreti, cioè
devono essere trasmessi secondo una catena esoterica di tradizione che esclude esplicitamente il grande
pubblico e si vuole circoscritta ad un gruppo ristretto di iniziati. Diversi scritti protocristiani, in particolare
quelli gnostici, presentano questa caratteristica esoterica. Una catena di tradizione segreta garantiva non solo
l’autenticità delle parole trasmesse, ma anche il loro valore e la loro preziosità. Nel caso di EvTh si tratta di
parole capaci di vincere la morte, vale a dire di assicurare la salvezza a chi sappia coglierne il significato
profondo. All’origine di questa catena di trasmissione si colloca un personaggio dal nome ridondante: Didimo
Giuda Tommaso (Tommaso è più un appellativo che poi diviene nome e in aramaico Ta’ma’ significa gemello).
Giuda Tommaso è il nome di uno dei discepoli di Gesù, cui sarebbe stato aggiunto l’appellativo di gemello
(ta’ma’=Tommaso) proprio per distinguerlo da quello di Giuda l’Iscariota. Tommaso ha un ruolo molto
importante. È lui che assicura il radicamento della tradizione segreta, alla quale consegna il suo scritto, con il
personaggio storico di Gesù che aveva conosciuto personalmente e di cui era stato discepolo. Questo detto ci
presenta una scena che si ritrova in tutti i vangeli sinottici: Gesù domanda ai suoi discepoli di dirgli che idea si
fanno di lui. Pietro lo paragona ad un angelo-messaggero giusto; Matteo ad un filosofo sapiente; Tommaso si
rivolge a lui chiamandolo maestro. Nei vangeli sinottici troviamo differenza tra l’immagine che di Gesù si fa la
gente fuori, qui troviamo le diverse concezioni di Gesù che si sono formate tra i discepoli. La risposta di
Tommaso dimostra che egli ha compreso il senso vero e profondo di Gesù, delle quali si è come inebriato. In
effetti, EvTh non riprende nessuno dei titoli tradizionali attribuiti a Gesù (cristo, profeta, figlio di Dio) negli
altri scritti protocristiani; egli preferisce orientare gli sforzi dei suoi lettori alla comprensione profonda dei
suoi insegnamenti. L’identità di Gesù si nasconde nel cuore del messaggio che annuncia. Egli non può essere
separato dalle sue parole come l’albero non può essere separato dai suoi frutti; Gesù è quello che dice.
C. Parabole senza allegoria: EvTh contiene anche parabole di Gesù, alcune con paralleli sinottici e altre senza.
Ora, le parabole di EvTh appaiono prive di quei tratti allegorici che l’esegesi critica riconosce generalmente
come tardivi e che sono presenti nelle parabole dei sinottici. Nella versione dei sinottici gli elementi
allegorizzanti sono numerosi, mentre nella versione della stessa parabola i tratti allegorizzanti vengono meno:
la formulazione è molto più sobria ed essenziale. Molti studiosi riconoscono che questa versione è molto più
prossima all’originale delle versioni sinottiche. Ma la diversa formulazione implica anche una mutazione del
significato e delle accentuazioni. Innanzitutto, nella versione di EvTh il rimando della parabola alla vicenda
personale di Gesù appare molto meno necessario, ma è soprattutto la diversa conclusione che suggerisce
nuove e diverse potenzialità di senso. Nella versione di EvTh sulla parabola della vigna manca il riferimento
all’intervento punitivo del padrone; e questa mancanza permette di assegnare valori diversi ai protagonisti
del racconto. Le versioni dei sinottici, attraverso il suggerimento a identificare allegoricamente il proprietario
della vigna con Dio, presentano necessariamente sotto una luce negativa i vignaioli e il loro gesto di
ribellione. Nella versione di EvTh questa valutazione negativa non è più necessaria. Gesù avrebbe anche
potuto stare dalla parte dei vignaioli e mostrare comprensione nei confronti della loro disperata reazione.
Tenuto conto della situazione di oppressione in cui versavano i contadini della Galilea nel I secolo, non
sarebbe strano che Gesù avesse mostrato solidarietà nei loro confronti, come faceva in generale con tutti i
più deboli ed emarginati. Il fatto è che le parabole di Gesù, in generale, non pretendono di indicare precisi
modelli di comportamento da imitare; la loro funzione è piuttosto quella di invitare alla riflessione e all’azione
di ascoltare attraverso lo sconcerto prodotto dalle loro conclusioni paradossali e del tutto inaspettate. In
sostanza, Gesù non esortava a uccidere i padroni o a truffarli, piuttosto le sue parole richiedevano sempre, da
parte dell’ascoltatore, la disponibilità ad agire, a fare qualcosa; l’inazione è considerata da Gesù come
negativa, lasciare le cose come stanno è la peggiore soluzione, significa non sapere cogliere un’opportunità
irripetibile.
D. Ideale ascetico: molti detti di EvTh rivelano una evidente connotazione encratitica. L’ideale ultimo che il
discepolo di Gesù si propone di conseguire, secondo questo scritto, è quello dell’unione mistica con Dio,
unione che attraverso uno sforzo, il controllo delle passioni, la continenza sessuale (enkrateia), la rinuncia al
mondo può essere già anticipata nell’esperienza di questa vita. L’ascesi e la continenza permettono di
ripristinare la condizione di Adamo prima del peccato originale. La condizione da raggiungere è quella del
singolo solitario, la realizzazione della condizione paradisiaca perduta.

La formazione della raccolta I tratti illustrati fin qui emergono soprattutto in quei detti di EvTh che non hanno paralleli
nei vangeli canonici. Il resto del materiale non traccia di Gesù e del suo insegnamento un’immagine radicalmente
diversa. Quello che sembra mancare in EvTh è un chiaro principio di composizione dell’opera, un criterio che spieghi la
sequenza dei detti, la loro organizzazione interna, i loro rapporti reciproci, la strategia di comunicazione sottesa. La
ricerca di questo principio, capace di dar conto del disegno complessivo della raccolta, da tempo sfida gli studiosi che
non si rassegnano all’ipotesi che i 114 detti siano disposti alla rinfusa.

Un confronto tra il testo greco dei frammenti di Ossirinco e il testo copto di Nag Hammadi ci fornisce una prima
informazione sulla sequenza dei detti in EvTh. Si riscontra una concordanza di massima tra i diversi testimoni testuali,
tuttavia in alcuni detti, il testo greco è più lungo di quello in copto, in altri è più corto; in altri ancora presenta varanti
significative, induce a pensare che fossero in circolazione diverse recensioni del testo, le quali presentavano differenze
anche nella sequenza dei logoi. Nella raccolta ci sono diversi doppioni e in alcuni casi ci sono incoerenze tra i detti.
Questo ha indotto a ipotizzare che EvTh non sia un’opera unitaria, ma il prodotto della stratificazione successiva di
materiali differenti. In questa ipotesi si postula l’intervento di un autore o redattore che avrebbe rielaborato e
organizzato il materiale tradizionale, fino a dargli la forma che conosciamo. Il problema del principio di composizione
dell’opera, comunque, resta irrisolto.

In realtà, gli studi su EvTh che si sono sviluppati negli ultimi decenni, hanno avanzato qualche ipotesi sul problema del
principio di composizione dell’opera, segnalando che alcuni logoi sono raggruppati tematicamente, altri legati da
parole cerniera. Nel 2005 la studiosa DeConik, affiancando gli strumenti dell’analisi letteraria e delle scienze umane, ha
proposto una spiegazione complessiva al processo di formazione dell’opera elaborando il modello del rolling corpus,
suggerito dall’immagine della palla di neve che, rotolando, diventa sempre più grande: all’inizio c’è un nucleo
originario di parole di Gesù, intorno al quale si cristallizzano nuove aggiunte, che riflettono i problemi della comunità.
Il gruppo originario di detti si presenta organizzato in 5 discorsi, costruiti secondo precise strategie di retorica e
comunicazione. Le aggiunte successive, invece, sarebbero il prodotto di una comunità che reinterpreta il patrimonio e
lo integra sotto stimolo di nuovi impulsi.

I rapporti con la tradizione sinottica; gli ambienti d’origine e la datazione: I primi studi comparsi negli anni ’60
interpretano lo scritto di EvTh sullo sfondo dello gnosticismo. Il carattere gnostico di EvTh però è più presupposto che
dimostrato. Mancano del tutto riferimenti al cosiddetto ‘mito gnostico’: non si parla della spaccatura tra dio superiore
e demiurgo. Sono, invece, riconducibili allo gnosticismo una certa tensione dualistica e anche un anticosmismo e
antisomatismo evidenti, che si esprimono nel perseguimento dell’ideale ascetico. Questi ultimi caratteri, tuttavia, non
sono esclusivi dei movimenti gnostici, ma si ritrovano, più o meno accentuati, in diversi altri ambienti del mondo
religioso antico.

L’ipotesi del carattere gnostico della collezione imponeva necessariamente l’opzione per una datazione tardiva (metà
2° secolo) che, a sua volta, non poteva che condizionare la soluzione di un altro problema, quello dei rapporti tra EvTh
e la tradizione sinottica. Si è detto della presenza, all’interno della raccolta di EvTh, di molto materiale che presenta
paralleli con i sinottici (2/3), questo ha indotto gli studiosi a interrogarsi sui loro rapporti reciproci: EvTh dipende dai
sinottici oppure rappresenta una linea di tradizione autonoma e indipendente? La datazione tardiva ipotizzata sulla
base del suo carattere gnostico ha orientato Schrage nel 1964 nel senso della dipendenza di EvTh da questi ultimi,
sostenendo che nella stragrande maggioranza dei casi si può provare questa dipendenza. Le piccole varianti
documentate dal testo di EvTh rispetto a quello dei sinottici si spiegherebbero con il fatto che il redattore gnostico
della raccolta costruisce, a partire dal materiale sinottico, delle citazioni miste, che attingono ora a questo ora a
quell’altro evangelista. Tuttavia lo storico non dimostra in modo incontrovertibile la dipendenza dai sinottici, se non
altro perché potrebbe essere altrettanto legittimamente utilizzata in senso inverso, vale a dire per dimostrare la
dipendenza dei sinottici da EvTh.

Due anni dopo, nel 1966, l’ipotesi di Schrage fu radicalmente messa in discussione da Sieber. Sieber precisa i criteri
che mostrano una dipendenza: secondo lui, per postulare che EvTh dipende dai sinottici non è sufficiente indicare
sequenze di parole o costruzioni comuni; solo quando EvTh presenti, nella formulazione dei suoi detti, tratti
redazionali, che rivelino in modo chiaro la specifica intenzione teologica di un evangelista, si può parlare con certezza
di dipendenza. Se si applicano questi criteri allora la stragrande maggioranza dei detti di EvTh che hanno paralleli con i
sinottici risultano indipendenti. La stessa indagine è staa ripetuta nel 1993 da Patterson che è giunto a conclusioni
analoghe.

Oggi gli studiosi affermano che il vangelo di Tommaso contiene materiale molto antico e sviluppatosi
indipendentemente dai sinottici, facendo decadere l’ipotesi di un testo gnostico. In alternativa all’opzione gnostica, si
sono avanzate proposte che tendono a collocare le origini e il successivo processo di formazione di EvTh negli
ambienti della Siria in cui si registrarono i primi sviluppi del movimento di Gesù. Il collegamento con la Siria era già
stato suggerito sulla base di numerosi semitismi nel testo di EvTh. Guillaumont ha presupposto due stadi di tradizione
anteriori alle traduzioni greche, dalle quali sarebbe poi derivata la traduzione copta di Nag Hammadi: Aramaico-
palestinese e Siriaco. Il cristianesimo che si sviluppò in questa regione nei primi due secoli presenta tratti molto diversi
da quello sviluppatosi in Occidente. Si tratta di un cristianesimo legato alla cultura semitica e al giudaismo: si esprime
in aramaico e poi in siriaco; riconosce una particolare autorità a Giacomo, fratello del Signore; manifesta maggiore
interesse per le conseguenze pratiche della fede in Gesù che non per le speculazioni filosofiche-teologiche,
presentandosi come una via, un modo di vivere; comporta tratti spiccatamente ascetici.

Diverse fonti letterarie documentano l’esistenza in queste regioni di una forma encratica di cristianesimo, che
privilegia la vita continente rispetto a quella matrimoniale, fino a richiedere, in certi casi, il celibato e la pratica
dell’ascesi per l’ammissione al battesimo. Con la continenza, gli uomini ripristinavano la condizione paradisiaca, intesa
come sforzo ascetico del singolo che mette in pratica gli insegnamenti di Gesù. Questi sono gli ambienti in cui
potrebbe essersi formata e sviluppata la raccolta di EvTh, in un processo lungo e complesso, che implica la continua
interazione di oralità e scrittura e si estende dal periodo immediatamente successivo alla morte di Gesù al 120 circa.
EvTh e la ricerca storica su Gesù: Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la pubblicazione di EvTh nel 1959
non ebbe molto successo a causa delle ipotesi di una sua origine gnostica. C’è, però, uno studioso che va
controcorrente e si rende conto della straordinaria importanza della scoperta di EvTh. Koester dalla fine degli anni 50
si interessa al problema della trasmissione delle parole di Gesù e nella sua tesi di dottorato dimostra come numerose
parole di Gesù citate dai Padri apostolici e da Giustino fossero giunte in maniera indipendente rispetto ai sinottici.
Koester è uno dei primi a riconoscere la rilevanza anche degli scritti di Nag Hammadi in questo contesto. Nel 1978 la
cosiddetta “terza ricerca” del Gesù storico iniziava a muovere i suoi primi passi. Questa fase della ricerca si caratterizza
per due elementi: l’ampliamento della base documentata, che viene estesa ben al di là delle fonti canoniche,
abbracciando gli scritti apocrifi più antichi, altre fonti letterarie e documentarie (papiri, epigrafi ecc) che illustrano
l’ambiente storico e sociale della Palestina del I secolo, le testimonianze archeologiche; in secondo luogo, il ricorso agli
strumenti di indagine forniti dalle scienze antropologiche e sociali, in aggiunta a quelli della filologia e della ricerca
letteraria e storica.

Il Jesus Seminar, lanciato per iniziativa di Funk nel 1985, voleva riesaminare tutte le fonti disponibili, canoniche e non
canoniche, al fine di ricostruire ciò che Gesù aveva detto. Il progetto in sé non era niente di nuovo. Cambiava il
metodo: il gruppo si riuniva due volte l’anno per esaminare un gruppo di detti attribuiti a Gesù, con l’obiettivo di
stabilire se fossero autentici o meno. Dopo il lavoro di analisi critica e la discussione comune, a ogni membro del
seminario veniva chiesto di votare con delle palline colorate, che esprimevano il grado di autenticità. Ad es. pallina
rossa = detto autentico, pallina rosa = detto probabilmente autentico, pallina grigia = detto probabilmente non
autentico, pallina nera = detto non autentico. Ai diversi colori veniva assegnato un valore numerico (dal 3 del rosso
allo 0 del nero) e alla fine i risultati delle votazioni venivano elaborati in modo da attribuire a ciascun detto un valore
medio ponderato, che permetteva di classificarlo in uno dei quattro colori. Invece della figura di un profeta
escatologico, annunciatore del regno di Dio che chiama a raccolta i peccatori perché si convertano in attesa
dell’imminente fine dei tempi, dai lavori del Seminar venne fuori un’immagine di Gesù come maestro itinerante,
dispensatore di aforismi sapienziali, la cui morale universale emerge da un linguaggio dominato dal gusto del
paradosso, dall’esagerazione, dalla battuta di spirito. La prima fase dell’attività del Jesus Seminar si concluse nel 1993,
con la pubblicazione di un volume che raccoglieva i risultati dell’indagine The five gospels: the search for the authentic
words of Jesus. Il testo aggiunge ai vangeli canonici il vangelo di Tommaso come fonte. La scia del Jesus Seminar sarà
poi ripresa da Crossan, il quale aggiungerà anche il vangelo degli ebrei, il vangelo di Pietro e la fonte Q però purgata di
tutti i tratti apocalittici. L’autore americano asserisce che la predicazione di Gesù deve essere intesa non in senso
apocalittico, ma etico-sapienziale, come messaggio di fraternità. Queste ricostruzioni della vicenda terrena di Gesù,
che sono caratteristiche della “terza ricerca”, si pongono in consapevole contrapposizione con l’immagine di Gesù,
profeta escatologico, che emerge dai vangeli canonici. Ogni tensione verso il futuro viene eliminata, ogni riferimento a
una storia della salvezza e alle attese di Israele scompare. Secondo lo schema di Crossan, le fonti canoniche, che
veicolano l’immagine dell’attesa escatologica, sarebbero più tardive. EvTh dà un contributo importante alla
costruzione dell’immagine del Gesù non escatologico, perché contiene diversi detti che presentano il regno come una
realtà già pienamente realizzata nell’interiorità di ciascuno. Com’è noto, la raccolta di EvTh non è un’opera omogenea
e coerentemente articolata, ma contiene materiali molto diversi, che si sono progressivamente accumulati attraverso
un incessante processo di rielaborazione e di riadattamento. Il recente studio di DeConick, che ha condotto
un’indagine sistematica sul materiale di EvTh, cercando di classificarlo, sulla base di criteri formali, li assegna agli strati
più recenti. I detti del nucleo originario, in effetti, attesterebbero la presenza di una prospettiva apocalittico-
escatologica nell’insegnamento di Gesù, non molto diversa da quella dei vangeli canonici. Ma vi sono anche dei
contro-esempi che fanno riferimento a una escatologia realizzata che sarebbero stati aggiunti successivamente e
testimonierebbero l’attività di riflessione dei gruppi all’interno dei quali circolava la raccolta, i quali, reagendo alla
delusione e alla frustrazione per le aspettative disattese a motivo del non evento della fine, avrebbero reinterpretato i
detti di Gesù, modificandone la prospettiva da un’escatologia imminente a una immanente. Il vangelo secondo
Tommaso è comunque il prodotto di un gruppo, di una comunità e ne riflette problemi ed esigenze. L’insegnamento di
Gesù giunge a noi sempre filtrato dagli ambienti nei quali è stato ricordato e trasmesso: questo vale sia per EvTh che
per i vangeli canonici. In nessun testo giunto a noi è possibile accedere a parole o a discorsi di Gesù autentici, puri, non
adulterati.

Il contributo che questo vangelo può dare al dibattito sulla ricerca storica su Gesù va oggi ripensato, alla luce delle più
recenti ricerche. La sua importanza, in ogni caso, resta fondamentale in quanto ci ha consegnato un certo numero di
detti attribuiti a Gesù che non hanno paralleli in altre fonti antiche. Il Jesus Seminar non aveva identificato nessuno dei
detti di EvTh come sicuramente autentico (colore rosso), ma aveva classificato come probabilmente autentica (rosa) la
parabola della giara piena di farina.

Diversi autori della terza ricerca hanno messo in evidenza due elementi di differenziazione dagli altri testi canonici:
assenza della dimensione apocalittica ed escatologica e ogni riferimento alla passione-morte di Gesù. Resta irrilevante
la non centralità della croce e questo induce a ridimensionare l’importanza della passione di Gesù che quindi non ha
costituito il più importante orizzonte interpretativo della sua vicenda terrena.

3 Alla ricerca della figura storica di Gesù – Mauro Pesce


Attualmente abbiamo 3 tendenze promettenti per la ricerca sul Gesù storico:

• La ricerca sulla trasmissione delle parole di Gesù tra i gruppi dei suoi seguaci nei primi tre secoli;
• Attenzione alle esperienze religiose di Gesù;
• Interpretazione socio antropologica del movimento di Gesù e del primo cristianesimo.

Per quanto riguarda la prima ricerca (fine del XIX secolo – anni ’70 del XX) l’interesse sta nell’allargamento delle parole
attribuite a Gesù, cercando di appurare se alcuni detti non contenuti nei vangeli canonici potessero essere considerati
autentici. Cosa ha effettivamente detto Gesù? La domanda deve essere posta anche a proposito dei vangeli canonici, i
quali ci presentano le parole di Gesù in forma abbastanza diverse e divergenti tra loro. Bisogna riesaminare tutta la
tradizione evangelica, infatti esistono diverse versioni di una sola parola di Gesù nella tradizione protocristiana.
Quindi, nessun testo può rappresentare con certezza la formulazione originaria. Anche i vangeli apocrifi danno il loro
contributo, infatti parole molto rilevanti di Gesù si trovano al di fuori dei testi canonici.

La seconda ricerca tiene conto delle esperienze religiose di Gesù. I vangeli ci parlano chiaramente della preghiera di
Gesù e di come avveniva ed è di interesse straordinario approfondire questa ricerca usando metodi di antropologia
culturale. Accanto alla preghiera ci sono altre esperienze come il battesimo, le tentazioni del deserto e la
trasfigurazione. Questo ci permette di mettere in luce altri due problemi:

• La relazione tra esperienza religiosa intima di Gesù e Gesù come maestro spirituale. Questa dimensione
emerge nel vangelo di Tommaso e nel vangelo degli ebrei.
• La possibilità di una continuità tra Gesù e le chiese primitive proprio in questi aspetti di esperienze di contatto
con il soprannaturale. Bisogna provare a non opporre il Gesù sociale con il Gesù religioso perché la distinzione
tra religione e politica, tra elemento “religioso” e “sociale” è troppo contemporanea per essere applicata al
mondo antico. Il messaggio di Gesù è radicalmente sociale e radicalmente religioso, la sua concentrazione su
Dio è quella su un Dio ebraico che interviene nel mondo a regnare, a trasformarlo. Dio e mondo, verticalità e
orizzontalità non sono opposte. L’amore di Dio è contemporaneamente amore dell’uomo. Le beatitudini
esprimono il rivolgimento sociale che il regno di Dio introdurrà nel mondo portando giustizia, per questo ha
un contenuto sociale. Nel 3° secolo il messaggio di Gesù è stato radicalmente spiritualizzato nell’ambito di
una degiudaizzazione. Il Gesù storico non va cercato nei padri della Chiesa lontani dalla cultura giudaica.

Il terzo orientamento di ricerca è una visione antropologica di Gesù e delle origini cristiane, iniziato per influsso di
Adriana Destro. Gesù è un grande leader religioso che si occupa anche della vita concreta degli uomini, non può quindi
essere studiato solo o prevalentemente con il metodo della storia delle idee, quasi fosse un filosofo o teologo, ma
come una persona immersa nella vita della gente e nei meccanismi sociali in atto. Per capire la sua figura si deve
partire dal fatto che ha creato un gruppo di discepoli che è entrato nei gruppi domestici: la parentela organizzata per
gruppi domestici. Gesù da una parte chiede un distacco dal nucleo domestico, dall’altro chiede ospitalità nelle case e
nelle famiglie e il suo gruppo discepolare ne sconvolge l’esistenza. Nasce così una dialettica tra discepolato e
parentela. È questo che mette in moto una dinamica di rinnovamento e di trasformazione, che crea nuovi tipi di
religiosità. La logica dell’itineranza che priva Gesù di ogni base identitaria localizzata (famiglia, lavoro, proprietà) lo
spinge radicalmente verso la costruzione di una identità personale centrata sul rapporto diretto tra sé e Dio. Solitudine
e rapporto verticale con Dio diventano la radice della consistenza della personalità di Gesù. Un nuovo tipo di persona
nasce, libera e radicata in se stessa, perché in se stessa trova il rapporto più intimo e radicale con Dio.

Comprendere questo aiuta anche a comprendere quale rapporto egli ebbe con la società del suo tempo. Il gruppo dei
discepoli è un’aggregazione volontaria che si rivolge a tutta la società di Israele a partire dai nuclei domestici
inserendosi così alla base della società. Gesù non crea una comunità separata verso cui la gente deve muoversi, Gesù
va verso la gente. Non sta fermo in una base attendendo ce la gente vada da lui: egli e i suoi sono itineranti. Tra Gesù e
il popolo di Israele a cui si rivolge non ci deve essere nulla in mezzo. I testi protocristiani, come Matteo, vedono nel
gruppo di Gesù una prefigurazione delle Chiese successive, ma Gesù non voleva fondare una nuova religione: solo Dio
avrebbe instaurato il suo regno nel quale sarebbero entrati tutti i popoli della terra grazie alla conversione.

Momenti della ricerca sul Gesù storico come sfondo della situazione attuale in Italia La ricerca che tende a ricostruire
la figura storica di Gesù inizia in Europa nel XVI secolo con Abraham di Troki che sosteneva l’ebraicità di Gesù e la
distinzione tra Gesù e il cristianesimo primitivo, affermando che Gesù volesse l’eterna durata della legge mosaica. In
seguito la consapevolezza non armonizzabile dei vangeli canonici rese necessaria una ricerca su cosa avesse realmente
detto e fatto Gesù. Divenne chiaro in diverse parti d’Europa che esisteva una differenza tra la predicazione di Gesù e
l’interpretazione che ne aveva dato la Chiesa primitiva. Queste prese di coscienza (della differenza tra i vangeli e della
discontinuità tra Chiesa primitiva e Gesù) costituiscono le due condizioni principali di sviluppo della ricerca storica di
Gesù, basato sul metodo storico, cioè un metodo razionale, verificabile, basato su un esame critico delle fonti.

È scorretto far nascere la ricerca del Gesù storico in Germania con Reimarus. La storia della ricerca di Gesù è connessa
alla sua ebraicità, ma questa riscoperta non è frutto della cosiddetta “terza ricerca” e nemmeno frutto della critica (e
autocritica) all’antisemitismo cristiano dopo la Shoah. Bisogna diffidare delle semplificazioni che parlano di tre o
cinque fasi, l’una successiva all’altra, quasi ci fosse un senso logico in questa evoluzione che porterebbe a sempre più
convincenti risultati.

Per comprendere come le ricerche su Gesù storico sono recepite in Italia è indispensabile una certa conoscenza della
storia dell’interpretazione della Bibbia in Italia dall’età delle rivoluzioni ad oggi. I momenti o periodi fondamentali di
questa storia sono:

• Reazione cattolica alla critica della Bibbia durante la restaurazione;


• Atteggiamenti verso la critica biblica nei diversi ambienti cattolici fino alla loro soppressione nel 1870;
• Periodo del modernismo (1880) alla vigilia della prima guerra mondiale. Lo stesso modernismo è
incomprensibile senza un confronto con i dibattiti, gli studi, le pubblicazioni dell’accademia italiana di fine
Ottocento. Si tratta di un periodo in cui non pochi cattolici, valdesi, ebrei e laici furono avvolti in un’unica
atmosfera scientifica;
• Repressione antimodernista che caratterizza la Chiesa italiana dalla metà degli anni 10 fino agli anni ’30;
• A partire dagli anni ‘30 si crea un nuovo clima nella Chiesa cattolica italiana. Le istituzioni come il Pontificio
istituto biblico assumono una funzione di ricerca scientifica, più autonoma che in passato;
• Nel 1943 papa Pio XII emana l’enciclica Divino afflante Spiritu e viene accettata la ricerca storica. Fino agli
anni ’70 la chiesa fu aperta alla ricerca, poi iniziò un periodo di conservatorismo. Questa svolta è stata
influenzata dal Concilio Vaticano II (1965), dopo il quale la Bibbia assume un ruolo centrale e determinante.
Le Chiese si trovavano nel bisogno di spiegare a fedeli senza cultura accademica soprattutto il contenuto di
fede dei testi biblici che erano ora diventati così rilevanti nella vita ecclesiale e personale. Proprio la
valorizzazione della Bibbia finiva così per sollevare un dubbio radicale sull’utilità della ricerca storica sulla
Bibbia perché appariva quasi pericolosa per la stessa fede perché metteva in dubbio le affermazioni
immediate e letterali contenute nei testi biblici. Un secondo fattore riguarda la diffusione negli ambienti
religiosi, non solo cattolici, di una critica alle basi della cultura contemporanea: si diffondeva l’idea che le
radici di ateismo e comunismo dovevano trovarsi nell’illuminismo settecentesco e una rinascita religiosa
proponeva una condanna dell’illuminismo e della critica moderna. Allo stesso modo veniva colpita la scienza
moderna, guardata con estremo sospetto e incolpata sia di danni di carattere socio-politico, sia di danni
ecologici, sia di una visione radicalmente opposta a una visione di fede. Questa posizione non è nuova, ma è
una delle più estreme risposte ai 4 grandi problemi dell’età moderna: scienza moderna, analisi scientifica
delle religioni, società basate sul principio dei diritti naturali inalienabili dei singoli e nuovi stili di vita etica e
sociale.

Perché una ricerca storica su Gesù è necessaria? Oggi alcuni apologeti affermano che è possibile accedere alla figura
storica di Gesù grazie al Nuovo Testamento. I vangeli canonici sarebbero documenti attendibili perché ispirati da Dio.
L’interpretazione teologica della figura di Gesù che i concili di Nicea e di Calcedonia hanno formulato dogmaticamente
nel IV e nel V secolo sarebbe infine perfettamente fedele alle idee religiose già chiaramene contenute nei vangeli
canonici e nel resto del Nuovo Testamento. Per questi motivi non si dovrebbe cercare una figura di Gesù diversa da
quella dei testi canonici e interpretata sulla base della teologia dogmatica della Chiesa cattolica. Queste teologie sono
semplicemente frutto di una teologia restauratrice e fondamentalista che non può essere identificata con la fede
cristiana e non sono attendibili storicamente per una serie di motivi:

1. Il Nuovo Testamento non esisteva nel I e nel II secolo. Perciò parlare di Nuovo Testamento per ricostruire la
figura storica di Gesù è un anacronismo. Non sappiamo quando, ma il Nuovo Testamento non fu fissato prima
della fine del III secolo.
2. Il Nuovo Testamento contiene solo 27 scritti protocristiani, ed esclude opere molto utili prodotte nel I o agli
inizi del II secolo e che sono fonti molto utili per ricostruire la fisionomia storica di Gesù.
3. Nel I secolo i seguaci di Gesù non leggevano insieme i 4 vangeli che furono poi molto dopo inseriti nel Nuovo
Testamento.
4. Nessun vangelo era più autorevole degli altri.
5. Nel I secolo e sicuramente almeno fino alla prima metà del II secolo esisteva una ricca e molteplice tradizione
orale su Gesù che veniva considerata molto autorevole.
6. Nessuno dei vangeli canonici era più autorevole delle tradizioni orali.
7. Le scritture giudaiche erano considerate normative.
8. Siccome le comunità dei seguaci di Gesù non erano separate dalle comunità dei giudei, esse continuavano ad
usare una serie di opere giudaiche anteriori o anche prodotte nel I secolo.
9. Non è vero che le opere del Nuovo testamento sono le opere protocristiane più antiche.
10. La ricerca degli ultimi 30 anni circa ha mostrato che i 4 vangeli canonici non costituiscono la base utilizzata da
tutti gli altri vangeli e da tutte le altre opere che poi non furono incluse nel canone neotestamentario. Per
esempio la Didachè non dipende da Matteo, i vangeli giudeo cristiani non sono una riscrittura dei sinottici, ma
opere molte volte indipendenti.

Anche i sinottici presentano delle differenze tra loro, e quindi possiamo dire che nessuna delle formulazioni può
definirsi come sicuramente Gesuana. Richiamare l’unità del Nuovo Testamento è anacronistico e non è uno strumento
utilizzabile per chi studia il primo secolo, ma lo è per chi studia il terzo. L’unità del Nuovo Testamento non è un dato
chiaro, vi sono almeno due teorie teologiche:

1. Una sostiene che il canone neotestamentario legittima la diversità, che cioè le Chiese antiche hanno messo
insieme opere con idee teologiche diverse proprio per legittimare la diversità teologica e istituzionale nelle
Chiese;
2. La seconda sostiene che il canone neotestamentario ha annullato le differenze.

Il Nuovo Testamento raccoglie 27 testi e il teologo suppone che essi riflettano una visione unitaria, ma come si
individua questa unità? Per lo storico il centro del NT, la sua unità, è diversa a seconda della diversità delle teologie e
delle Chiese. Questa unità e questo centro sono cambiati nei secoli e in ogni epoca sono definiti diversamente. Non
esiste, del resto, una definizione dogmatica di un concilio ecumenico di tale unità che tutti debbano accettare per
fede. Bisogna distinguere l’esegesi di ogni singolo scritto del NT dalla teologia del NT che è una disciplina teologica che
cerca di interpretare l’unità teologica del canone sulla base dei singoli 27 scritti. Ma la teologia neotestamentaria non
coincide con la fede, è necessario che il neotestamento coincida con la fede alla luce del dogma delle singole Chiese.

La pubblicazione di Inchiesta su Gesù: Nel settembre 2006 viene pubblicata un’intervista sullo stato della ricerca
storica sul Gesù storico rilasciata da Mauro Pesce. Lo scopo dell’intervista era di comunicare in modo sintetico alcune
delle questioni e ipotesi dibattute nella ricerca scientifica internazionale. Inchiesta su Geù ha riscosso successo e ha
suscitato un dibattito molto vasto, solo una frazione di esponenti della Chiesa cattolica ha espresso un vivace dissenso.
Il fatto che alcune opinioni esegetiche vengano percepite oggi da alcuni sacerdoti della Chiesa cattolica italiana non
come il risultato di una ricerca, ma come un attacco alla fede cattolica merita una riflessione. Per Mauro Pesce lo
scopo dell’esegesi storica è quello di restituire la figura storica di Gesù, dunque ogni elemento che la storia mette in
luce diventa rilevante per le Chiese che, così, possono riscoprire nuovi aspetti di lui. Se questa esegesi fornisce aspetti
in contrasto con le idee della Chiesa non vuol dire che essa sia in contrasto con il cristianesimo e contro la fede
cristiana ma, al contrario, vuole contribuire al suo rinnovamento.

La riscoperta della figura storica di Gesù è importantissima per la fede. Una tesi fondamentale per comprendere la
figura di Gesù è che egli era ebreo ed è sempre rimasto all’interno della religione ebraica. Non aveva intenzione di
fondare una nuova religione ed era convinto che Dio stesse per realizzare il suo regno. Il suo potere taumaturgo ne era
la dimostrazione. La sua predicazione era rivolta solo alle pecorelle smarrite e ad esse soltanto dovevano indirizzarsi
anche i Dodici. Dopo il giudizio universale sarebbe iniziato il regno di Dio, e tutte le genti si sarebbero convertite
all’unico Dio. La speranza di Gesù non era di fondare un nuovo regno ma di riunire tutti i popoli sotto il regno di Dio.

Questa tesi, nonostante fosse largamente diffusa, è stata criticata a Pesce attraverso 4 punti che ne esaltavano l’uscita
dall’ebraismo:

• Eliminazione della distinzione tra cibi puri e impuri decretata nella Torah;
• Amore dei nemici;
• Atteggiamento di Gesù verso il sabato;
• Condotta di Gesù con peccatori, pubblicani, donne di malaffare.

Pesce risponde che in nessuno di questi casi Gesù esce fuori dal giudaismo. Per quanto riguarda la questione degli
alimenti, Pesce afferma che le critiche mosse da padre De Rosa sono legate a un testo (Levitico) con una traduzione
creativa e non fedele. De Rosa legge infatti “Gesù dichiarava puri tutti gli alimenti”, mentre in realtà la traduzione è
“dichiarava puri tutti gli alimenti” e il soggetto non è Gesù; anche Pietro tratta lo stesso tema dicendo di ricevere 3
rivelazioni dirette. Per quanto riguarda l’amore dei nemici non c’è dubbio che questo sia un insegnamento tipico di
Gesù, ma si tratta di un approfondimento che si muove totalmente all’interno della cultura ebraica, Gesù dice che
l’amore è ciò che caratterizza un ebreo da un non ebreo.

Per alcuni Gesù rompe il riposo del sabato, ma in realtà in nessuno dei passi in cui Gesù viene accusato di compiere
guarigioni di sabato, i vangeli sinottici mettono in bocca a Gesù frasi che invitano a non rispettare il riposo sabbatico.
Gesù dice che le opere buone possono compiersi anche di sabato senza mancare di rispetto al precetto del riposo “è
lecito in giorno di sabato fare il bene o il mare, salvare una vita o toglierla?”, non afferma nulla contro il sabato in sé.
Gesù esclude che la guarigione sia un’infrazione del rispetto del sabato.

Uno storico deve avere fede se studia Gesù? La ricerca storica non conosce mai un oggetto con un contatto diretto o
per inglobamento, ma solo in modo indiretto, mediante documenti, resti, tracce, testimonianze. Alcuni teologi cattolici
sono disposti a riconoscere la diversità fra le fedi purché si rispetti il principio di leggere i vangeli secondo la fede
attraverso cui sono stati scritti. In altre parole, dato che in vangeli sono stati scritti come atto di fede, sarebbe
impossibile comprenderli senza la fede, tuttavia i documenti scritti mostrano diversi tipi di fede, quindi lo storico
dovrebbe chiedersi a quale tipo di fede appellarsi; al vangelo di Giovanni? Di Tommaso? Neppure la resurrezione ha
provocato una fede unica. Tra affermazioni storiche da una parte e affermazioni di fede dall’altra esiste una
discontinuità epistemologica, non c’è passaggio diretto. L’unico strumento che abbiamo per conoscere il passato è la
ricerca storica, l’archeologia e tutte le discipline ad esso connesse. Nonostante i loro limiti sono la storia e
l’archeologia che ci hanno aperto e continueranno ad aprire la conoscenza del passato.

Appendice: Risposta di Mauro Pesce al padre Raniero Cantalamessa. Diffondere la conoscenza del dibattito esegetico
su Gesù è oggi necessario Il padre Raniero Cantalamessa ha dedicato un lunghissimo articolo al libro Inchiesta su Gesù
di Mondadori scritto da Corrado Augias (intervistatore) e da Mauro Pesce (intervistato). Padre Cantalamessa ha
manifestato la sua preoccupazione che la diffusione di opinioni esegetiche possa nuocere la fede dei lettori. Mauro
Pesce si domanda: quale tipo di fede è quella che vacilla di fronte all’esposizione di opinioni esegetiche? Padre
Cantalamessa gli ha attribuito delle affermazioni che non ha scritto. Le accuse sono:

1. Accusa di essere sulla scia del Codice da Vinci. Pesce ribatte che Cantalamessa non mette a fuoco il veleno
delle tesi di Dan Brown che falsifica i documenti che finge di utilizzare e che inventa l’idea del rito sessuale
come unione tra Dio e uomo. Afferma che la ricerca del Gesù storico è cosa ben diversa dal Codice da Vinci.
2. Accusa di scegliere il filone di Reimarus, Voltaire, Hengel ecc. e che la grande esegesi è assente. Pesce
risponde affermando di aver criticato Voltaire nel suo libro, parla di Hengel come uno studioso di fama
mondiale che appartiene alla grande esegesi. Pesce afferma di non essersi mai ispirato a nessuno di questi
3. Accusa un uso selettivo di fonti, criticando il fatto che se i racconti evangelici smentiscono la sua tesi sono
adattamenti posteriori, se coincidono sono storici. Questa critica lo farebbe apparire come poco serio e senza
metodo.
4. Il padre Cantalamessa scrive che per Pesce le scoperte dei nuovi testi avrebbero modificato il quadro storico
sulle origini cristiane, facendo riferimento ad alcuni vangeli apocrifi e soprattutto ai codici di Nag Hammadi.
Anche questo non è vero perché per Pesce i testi gnostici di Hammadi non sono importanti per il Gesù
storico, e Pesce cita il protovangelo di Giacomo, l’Ascensione di Isaia e la Didachè che contengono tradizioni
più antiche del vangelo di Matteo. Egli non crede che il Gesù storico sia presente nei testi gnostici e crede che
Luca sia colui che ha meglio compreso l’essenza del messaggio di Gesù.
5. I vangeli apocrifi segnano una violenta rottura con il vecchio testamento facendo di Gesù il rivelatore di un
Dio diverso e superiore. Pesce afferma che non tutti gli apocrifi sono tali, alcuni non sono gnostici.
6. Non utilizzare Paolo nella ricostruzione della figura storica di Gesù, utilizzando le sue apparizioni solo allo
scopo di screditarlo. In realtà Pesce utilizza l’opinione di altri esegeti che ritengono utile avvalersi delle
neuroscienze per spiegare come possa verificarsi che entità soprannaturali possano entrare in contatto con la
coscienza, e utilizza il termine stati alterati di coscienza.
7. Lo accusa di sottolineare sempre le divergenze e mai le convergenze tra i vangeli canonici.
8. Conclude dicendo che sono divisi dalla fede. Pesce dice che la fede non lo divide da nessuno perché non dà
opinioni storiche.

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