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Infine risulta chiaro che un’interpretazione dei testi che si limiti all’analisi narrativa o retorica non è in grado di
restituire il loro significato complessivo, perché no prende in considerazione il loro impatto storico, sociale, culturale.
1. mettere Gesù in scena in situazioni significative in modo che la sua figura risaltasse all'interno dei valori
fondamentali della cultura del pubblico a cui i vangeli si rivolgevano. In questo caso Gesù è rappresentato in raduni di
tipo conviviale o durante un'azione da esorcista o in situazioni in cui si discuteva di materia politica (es. tributo da
pagare a Cesare) → rispondeva al bisogno di dare rilievo a situazioni in cui si manifestava la sua attività o la sua
potenza
2. ordinare gli eventi in una sequenza narrativa → tendeva a inserire Gesù all'interno di una successione di fatti
(es. inserirlo nella storia politica romana come in Luca) → conferisce una base legittimante ai fatti narrativi e allo
scrittore che appare come un trasmettitore autorevole.
I vangeli seguivano schemi culturali per legittimare la propria visione della storia umana, per rappresentare aspetti
della figura di Gesù e dei suoi intenti, per correggere o combattere opinioni giudaiche errate → questi modelli giudaici
o ellenistico-romani potevano portare gli autori a scegliere, omettere o dare rilievo particolare a certe azioni o parole
di Gesù e a ricollocarle in certi momenti della vicenda di Gesù a seconda delle esigenze narrative. Gli studiosi di oggi,
per ricostruire un storia di Gesù o per darne un’interpretazione antropologica, seguono schemi diversi da questi
appena accennati. Intendono individuare il senso degli eventi sulla base di una sequenza temporale, anche se sono
consapevoli che la sequenza cronologica può essere ricostruita solo ipoteticamente poiché la reale cronologia dei fatti
è andata perduta fin dalle primissime fasi in cui si è iniziato a parlare di lui e raccontare le sue vicende senza però
fornire un quadro cronologico chiaro.
tutti i testi che riguardano Gesù e databili ai primi due secoli dopo la sua morte sono fondamentali. Infatti solo se
prendiamo in considerazione tutti questi scritti possiamo renderci conto della pluralità di correnti e raggruppamenti
dei seguaci di Gesù (e anche dell’autonomia e indipendenza del modo in cui si sono attuate le trasmissioni orali di
quello che si sapeva di lui). Quando ci si concentra esclusivamente sui testi canonici, si finisce per isolarli dall’ambiente
in cui nacquero e se ne perde così il significato storico.
Una corrente di studi ha ricominciato negli anni '70 a studiare sistematicamente anche i testi detti apocrifi nel
contesto del resto della letteratura protocristiana.
Conseguenze di questo approccio:
1. i quattro vangeli considerati canonici ci appaiono come elementi letterari immersi in una variegata
trasmissione di flussi orali e di singoli scritti → secondo questa visione le lettere di Paolo e i quattro vangeli non sono
alla base di tutti gli scritti protocristiani. Sono preceduti, accompagnati e seguiti da un’ampia trasmissione orale e
scritta nella quale vanno collocati. Ciascuno di essi rappresenta solo un punto di una traiettoria in cui altri testi e flussi
orali segnano punti precedenti e\o successivi.
2. il vangelo di Tommaso, la Didachè, il vangelo di Pietro e i vangeli giudeo-cristiani così come altri scritti, non
sono più considerati come dipendenti dagli scritti canonici e posteriori ad essi. Ci offrono materiale autonomo che
arricchisce le nostre conoscenze.
In sostanza solo la conoscenza di tutta la letteratura relativa a Gesù dei primi due secoli ci permette di capire quanto
siano attendibili i vangeli canonici. Essi sono raggruppati in categorie (divisione artificiale):
– Nuovo Testamento → questo termine non esiste prima del III secolo
– Padri apostolici → termine che risale al XVII secolo
– Apocrifi
– Scritti gnostici → è una categoria recente
Queste classificazioni separano artificialmente opere che invece vanno avvicinate perché sono frutto di ambienti
simili, ad esempio il vangelo di Tommaso e di Giovanni che appartengono a due categorie separate; oppure nel gruppo
dei padri apostolici vengono collocate la Didachè, la prima e la seconda lettera di Clemente (che non hanno molto in
comune), per di più non è vero che tutti gli scritti dei padri apostolici siano posteriori ai testi del nuovo testamento; e
non è neppure ero che alcune opere del nuovo testamento godessero al momento in cui furono scritte maggiore
autorevolezza di altre contenute nei padri apostolici o negli apocrifi.
il testo non ha un valore costante → la sua qualità è in larga misura determinata dalla posizione di chi lo osserva e chi
lo utilizza e muta anche nel tempo come il vangelo di Tommaso che per secoli fu usato in ambiente monastico o la
Didachè che a un certo momento scomparve ma fu riscoperto nel 1873. E’ opportuno non tenere conto delle
classificazioni o degli steccati artificiali creati nei secoli successivi in base a preoccupazioni storiche e dottrinali che non
erano quelle degli ambienti in cui quegli scritti furono prodotti e utilizzati. E’ è recente la scoperta di un frammento di
vangelo sconosciuto probabilmente molto antico contente un racconto di esorcismo di Gesù.
Ovviamente ogni volta che viene ritrovato un testo nuovo tutta la documentazione storica può mutare → si tratta di
rivedere il quadro dei testi nel suo complesso intreccio, nella misura in cui un elemento arricchisce, conferma o
modifica tutto l’insieme. Ad esempio grazie al vangelo di Tommaso sono stati riscoperti molti aspetti del Gesù storico,
esso conferisce per esempio maggiore importanza a discepoli e figure femminili e ci informa su una corrente prima
ignota orientata a un processo interiore di conoscenza spirituale. Esso ci offre un’immagine alternativa di Gesù, di ciò
che egli pensava di se stesso, della cecità di chi aveva di fronte, del rapporto vita-morte, del regno di Dio e della vita
religiosa in genere.
Inoltre è necessario un confronto di ogni elemento letterario con il resto del materiale protocristiano → mette in luce
divergenze e contraddizioni tra i testi, ricostruisce le fonti che ogni autore utilizza e come le modifica per adattarle ai
propri scopi. Si individua così una complessa storia di trasmissione delle info relative a Gesù e ai suoi seguaci. E’
questo lavoro che ci permette poi la ricostruzione di una vicenda storica. Inoltre i testi dei seguaci di Gesù vanno
studiati come parte integrante dei loro ambienti giudaici ed ellittico-romani. Essi sono scritti in un continuo dialogo
con le sacre scritture giudaiche secondo l’interpretazione e l’uso rituale che se ne faceva al loro tempo.
In che modo gli evangelisti si sono procurati le informazioni sulla storia di Gesù?
Dopo la morte di Gesù le persone che erano con lui continuano a raccontare ciò che egli aveva detto e fatto
(esperienze personali e scelte di vita). Ancora nel II secolo esisteva una ricca tradizione orale su Gesù anche se ciò non
esclude una trasmissione scritta più o meno ricca. Bisogna domandarsi se i narratori siano stati indotti dai propri scopi
ad accentuare certi aspetti o a non trasmetterne altri. Alcuni diffusero racconti su di lui con l'intento di fare adepti e
rafforzare il movimento → venivano menzionati singoli episodi all’interno di un discorso che aveva al centro la sua
morte e la sua resurrezione come fattori decisivi per la salvezza degli esseri umani.
Le parole di Gesù e le narrazioni delle sue azioni furono raccolte in collezioni e queste poi, in tempi e luoghi diversi,
furono trasmesse ad altri che li diffusero a loro volta. Solo singole porzioni delle narrazioni furono presumibilmente
trascritte e giunsero in parte ai vangeli. Molte andarono perdute o dimenticate. Quelle tramandate fino ad oggi
divennero al centro dell'attenzione per lo studio delle origini cristiane. Il fatto decisivo è che i processi di trasmissione
della vicenda di Gesù sono oggi ricostruibili solo attraverso un numero limitato di testi, i quali ci fanno intuire
l’esistenza di un numero molto maggiore di opere. Il punto più critico è che alcuni racconti furono poi messi per
iscritto molti decenni dopo che i fatti erano accaduti e che le informazioni su Gesù erano state accostate le une dalle
altre. Ciò complica la ricostruzione di oggi e costituisce una sfida alla conoscenza di Gesù.
Bisogna distinguere:
➢ i primissimi seguaci di Gesù → importanza fondamentale perchè sono loro che hanno inizialmente trasmesso
le vicende di Gesù – e sono i loro racconti che hanno diffuso le immagini di Gesù che gli evangelisti si ritrovano
davanti.
➢ dagli autori posteriori che hanno scritto i vangeli → scrivono dopo che il messaggi odi Gesù era stato
trasmesso per decenni oralmente e aveva dato luogo a gruppi più o meno numerosi di credenti
In ciò va tenuto presente che la trasmissione orale continua anche quando nasce la messa per iscritto e che le opere
possono essere a loro volta raccontate di nuovo (rioralizzate) perché i contenuti, una volta letti, possono essere
tramandati verbalmente ed entrare di nuovo in circolazione in modo orale. Non bisogna pensare che tra le esperienze
vissute insieme con Gesù e i racconti che le tramandarono e poi la messa per iscritto di questi racconti ci sia un
processo lineare senza trasformazioni. la morte di Gesù rappresenta un momento di rottura drammatica e di
riorganizzazione della trasmissione → modificazione motivata dal fatto che, per cercare un senso all’uccisone di Gesù,
si avviò una reinterpretazione di tutto ciò che era accaduto prima → lo scopo degli autori dei vangeli era legittimare
sia il messaggio diffuso dalla precedente trasmissione orale sia le forme aggregative nate dal messaggio. Oltre a ciò, di
fronte alle varie interpretazioni del messaggio allora correnti, essi vogliono offrire la loro valutazione. Questo Intento è
chiaro nel vangelo di Luca: dice che molti avevano scritto di Gesù prima di Luca e ritiene che si debba fare ordine nei
racconti trasmessi dai testimoni oculari, il suo scopo è dare fondatezza, certezza a notizie che circolavano e a ciò che
veniva insegnato ai seguaci di Gesù. Distingue perciò da un lato coloro che hanno iniziato a scrivere e dall'altro i
testimoni oculari. Il suo interesse sta proprio nell’accertare la fondatezza dall’insegnamento che circolava ai suoi
tempi. Egli dichiara di scrivere perché il lettore Teofilo, chiunque egli sia, si possa rendere conto della certezza degli
insegnamenti in cui è istruito – il bisogno di dare vita a un testo certo. La sua opera è di fondazione e controllo
dell’insegnamento corrente fra i seguaci di gesù al suo tempo, che è successivo a quello dei servitori della parola del
periodo iniziale. Luca è un autore che di fronte a varie fonti di informazioni si trova nella necessitò di fare delle scelte e
dare un ordine a ciò che gli è pervenuto. Non è un cronista che ha partecipato agli eventi, ma un autore che vaglia e
rimette insieme le notizie seguendo criteri di coerenza, fondatezza e legittimità → da una parte è un credente che
vuole dimostrare la forza dell'annuncio e dall'altra ha l'esigenza di accertare la verità. Per l'autore c'è incertezza →
analizza le fonti su Gesù con spirito critico. Si trova di fronte ad una confusione data dalle divergenti interpretazioni
che emergono da quello che è stato scritto su Gesù prima di lui per cui si richiede una valutazione critica. Il bisogno di
scrivere nasce da un contrasto di opinioni su quanto era avvenuto. In una prima fase i seguaci di gesù avevano
elaborato e trasmesso una certa quantità di credenze e pratiche religiose, ad un certo punto sentono il bisogno di
giustificare mediante un collegamento con il passato della vicenda di gesù queste informazioni che erano state
raccolte spontaneamente. Ed è in questo momento più tardo che si scrivono i vangeli.
il vangelo di Matteo ha una prospettiva diversa → vuole mostrare la legittimità della svolta secondo cui il messaggio di
Gesù è rivolto ai non giudei, egli accanto alla bibbia (strumento culturale valido esclusivamente per i giudei) usa infatti
anche criteri conoscitivi accettabili per gli ambienti ellenistico-romani come il sogno e la rivelazione astrologica. Egli
parla di uno scriba esperto di legge giudaica (che pretende di essere basata essenzialmente sulla bibbia) il quale
diventa discepolo di Gesù, ma dice anche che le parabole di Gesù vanno capite ed interpretate e che in questa
interpretazione è necessario far ricorso anche alla sapienza degli scribi e dunque alla sacre scritture giudaiche.
All’antico va aggiunto il nuovo, il quale a sua volta è interpretato alla luce dell’antico.
Vangelo di Giovanni → anche Giovanni vuole opporsi a un'errata interpretazione della vicenda di Gesù e cerca di
difendere il valore di quella che ritiene giusta. Esso sembra scritto per legittimare una particolare forma aggregativa di
seguaci di gesù che chiamiamo Giovannista. Siccome sa che la sua interpretazione non è quella realmente giusta
perché tra lui e le vicende di Gesù è passato molto tempo fa appello, per la comprensione dei fatti, allo Spirito Santo
che riflette una concezione tipicamente giudaica. Mette in atto in meccanismo che potremmo definire di “memoria
ispirata” è un ricordare che, grazie all’illuminazione soprannaturale, permette di capire atti e parole di Gesù meglio di
quanto li comprendevano i suoi discepoli quando egli era in vita.
Nel vangelo di Marco → egli fa una distinzione tra il messaggio pubblico di Gesù, e quello riservato ai discepoli che
consisterebbe nel “mistero del regno di Dio”. Anche per lui, quindi bisogna distinguere le parole di Gesù dalla sua
successiva interpretazione. C’è un mistero del regno di Dio che non è chiaro a tutti e deve essere spiegato. Il vangelo
vuole introdurre i propri lettori alla conoscenza di questo mistero. Quindi di pone come un chiarimento.
ogni testo per certi versi è incompleto: Luca e Giovanni si pongono esplicitamente il problema della pluralità di flussi di
tradizioni, nessuno dei quali trasmetteva in modo completo quanto Gesù aveva detto e fatto. Entrambi erano
consapevoli delle interpretazioni divergenti e prendevano posizioni rispetto ad esse. La loro opera di ricostruzione si
muove tra la necessità di indagine e di verifica e il bisogno di giustificare le credenze del proprio gruppo o
dell’ambiente di cui facevano parte.
Il rapporto tra scrittura e trasmissione orale della vicenda di Gesù si pone nelle lettere di Paolo in modo diverso
rispetto ai vangeli ed una differenza fondamentale è negli obiettivi temporali. Paolo → scrive per lettori del presente
con l'intenzione di istruire chi ha davanti a sé e trasmettere la verità posseduta nel presente, lo spirito santo offre tale
verità. il riferimento al passato serve per fondare la vita attuale non per ricordare quella precedente. Le divergenze di
opinioni, secondo lui, sono risolte o sulla base dell’autorità presente dell’apostolo oppure mediante il richiamo a una
rivelazione dello spirito attuale o futura. (i vangeli vogliono fare memoria al passato anche se guardano al proprio
tempo). Questo è il motivo per cui Paolo non sente affatto il bisogno di scrivere un vangelo che narri le vicende di
Gesù.
La spiegazione più diffusa relativa alla formazione dei vangeli di Marco, Luca e Matteo è la Teoria delle due fonti →
elaborata negli anni 30 nell'ottocento sostiene che gli autori dei vangeli di Luca e Matteo non siano testimoni oculari
della vicenda di Gesù ma da persone appartenenti alla seconda o terza generazione di seguaci che hanno conosciuto i
fatti attraverso informazioni orali o documenti scritti. Si basano su due documenti: il vangelo di Marco e una raccolta
di detti di Gesù (fonte Q). Una delle ragioni per la quale si sostiene che Matteo e Luca dipendano da Marco è che essi
per lo più ripetono, nonostante alcune differenze, la successione degli eventi che si trova in questo vangelo.
Quest’argomentazione è contestabile perché sulla base dell’ordine in cui sono presentati gli eventi, si può al massimo
sostenere, che Marco rappresenta una posizione mediana tra gli altri due vangeli.
L'esistenza di Q sarebbe dimostrata dal fatto che Matteo e Luca riportano discorsi di Gesù che non sono presenti in
Marco e che hanno una formulazione letteraria estremamente simile. Inoltre questi detti di Gesù, assenti in Marco,
sono riportati da Mattero e Luca non solo con una forma letteraria quasi identica, ma anche nel medesimo ordine.
Infine, sia luca sia Mattero narrano eventi e discorsi di Gesù che non si trovano né in Marco né in Q. Perciò la teoria
ipotizza che ciascuno dei due abbia attinto a fonti speciali. Alcuni criticano la teoria delle due fonti dicendo che in
realtà Luca non aveva come fonte Marco ma Matteo o viceversa. Altri invece hanno ipotizzato che conoscessero una
forma precedente del Vangelo di Marco che poi sarebbe stata trasformata da un autore che lo avrebbe riscritto nella
forma che ci è pervenuta. Quindi oltre alla teoria delle due fonti, ognuno di loro due, ha utilizzato dei materiali speciali
il quale aveva raccolto da provenienze forse disparate. I materiali speciali di Luca sono molto diversi da quelli utilizzati
da Matteo.
Conseguenze della teoria delle due fonti:
– Anzitutto, poiché la raccolta dei detti di Gesù trasmetti nella ipotetica fonte Q non contiene la narrazione
degli eventi della vita di Gesù ma le sue parole, ciò implica che Luca e Matteo non sapevano la scansione cronologica
degli eventi della vita di Gesù, se non perché lo leggevano in Marco. Quindi Matteo e Luca in sostanza non avevano
un’idea propria sullo svolgimento della vita di Gesù. Matteo e luca conoscevano molte parole attribuite a Gesù perché
le trovavano nella raccolta Q che Marco non aveva utilizzato; le variazioni che loro due introducono dipenderebbero
non solo dalle loro opinioni personali ma proprio dalle loro fonti speciali.
– i materiali speciali poiché scelti dal singolo autore fanno trasparire meglio le intenzioni dell'autore – ad
esempio in Luca troviamo molte delle più celebri parabile di Gesù che ci sono note solo grazie ad essi. D’altra parte il
fatto che una buona parte delle informazioni su Gesù ci vengano da fonti che solo un evangelista ha raccolto fa
nascere dubbi sulla loro attendibilità, vista la mancanza di dati con cui confrontarle.
– Il fatto che queste informazioni speciali non siano confrontabili con altre fonti non è sufficiente per escluderle
– potrebbero essere state conosciute da altri autori che hanno deciso di non dare loro credito e di non trasmetterle.
la teoria delle due fonti ci permette di individuare 3 grossi blocchi di informazioni su Gesù che esistevano prima di
Marco, Matteo e Luca:
– fonte Q
– materiali speciali di Luca
– materiali speciali di Matteo
questi due vangeli allargano molto le informazioni pre-evangeliche che possiamo ricostruire perchè ci permettono di
conoscere la raccolta dei detti di Gesù (Q) e molti dei materiali contenuti nelle fonti speciali.
Discorso che vale per descrivere complessivamente i rapporti dei tre vangeli. Prendiamo ad esempio il racconto della
passione → In questo caso Matteo e Luca non potevano avere come fonte la collezione Q perché in essa non è
contenuta nessuna notizia relativa all’arresto, processo crocifissione ed i 5 vangeli che ne parlano riportano
informazioni diverse.
Ne derivano due problemi:
1. quanti racconti della passione esistevano già prima della redazione dei vangeli?
2. A quali fonti gli evangelisti hanno attinto gli elementi narrativi che ciascuno di loro presenta in modo
esclusivo?
Qui il primo problema è se Matteo e Luca abbiano conosciuto non solo il racconto di Marco nella forma attuale o in
una precedente, ma anche se abbiano avuto altri racconti a disposizione. Se hanno usufruito anche di un’altra
narrazione della morte di Gesù, la teoria delle due fonti, per questo caso andrebbe modificata. Alcuni sostengono che
Giovanni conoscesse un racconto della passione indipendente da quello di Marco, altri che Luca fosse al corrente di
una narrazione diversa da quella di Marco. Ma comunque ci sono varie ipotesi. Bisogna analizzare parola per parola i
due racconti → il racconto della passione di Giovanni presenta 23 elementi narrativi assenti in Marco che ha 30
elementi assenti in Giovanni, mentre hanno 27 punti in comune. Esiste, infine, un dato di fatto indubitabile che deve
essere ancora integrato nella teoria delle due fonti e dei materiali speciali di Matteo e Luca, Le teorie che riguardano
la formazione dei soli Marco-luca-matteo non affrontano la questione di tutti i flussi di trasmissione orale e scritta dei
materiali relativi a Gesù. Lo potrebbero fare se tutti gli altri vangeli e tutti gli scritti dei seguaci di Gesù fossero
posteriori e dipendenti da loro. Ma in un arco di tempo relativamente ampio vengono prodotti molti scritti e tra essi
anche questi 3 vangeli che non hanno una priorità rispetto ad altre opere.
La teoria delle due fonti è stata più volte messa in discussione, dalla teoria dei due vangeli o ipotesi di J.J Griesbach,
secondo la quale Luca avrebbe usato Matteo, mentre Marco avrebbe usato sia Matteo e Luca. Una terza ipotesi è
quella di Farrer e Goulder secondo la quale Matteo avrebbe usato Marco mentre Luca sia Marco che Matteo.
Quest’ultima teoria in sostanza esclude l’esistenza della fonte Q.
Per cui anche molti scritti protocristiani forniscono informazioni che non dipendono da Marco, Luca e Matteo. questo
significa che si tratta oggi di ricostruire il vasto fenomeno delle linee di trasmissione che da Gesù vanno a tutti gli scritti
protocristiani in nostro possesso. Questo processo di ricostruzione delle diverse linee di trasmissione è in corso ancora
e la difficoltà che presenta dipende anche dal fatto che alcuni testi dei protocristiani sono stati ad un certo momento
canonizzati (a partire dall’inizio del III secolo), mentre gli altri considerati apocrifi hanno subito con i secoli un processo
di marginalizzazione. Per cui questo ha attirato lo sguardo degli specialisti solo su di loro. Tutto questo ci fa
comprendere che prima che i vangeli fossero scritti i singoli flussi tramandavano informazioni su Gesù abbastanza
indipendenti, probabilmente perché avevano origine geografica diversa e per un tempo non breve non furono in
contatto tra loro. L’esistenza di collezioni di sole parole dimostra che certi ambienti non sentivano il bisogno di una
biografia di Gesù, di un quadro complessivo della sua vicenda (come del resto non lo sentiva Paolo). Nell’ultimo secolo
si è sostenuto che il quadro narrativo complessivo di tutta la vicenda di Gesù è in qualche modo una creazione di
Marco.
quando gli autori hanno deciso di redigere i vangeli hanno dovuto mettere in ordine i fatti che obbediva alle loro
preoccupazioni tematiche e alle strategie narrative. E’ così che in Giovanni ad esempio la cacciata dei mercanti dal
Tempio è all'inizio, verso la fine in Marco). La scrittura autoriale sistematica esige regole di coerenza, di
consequenzialità. Il modello narrativo adottato da chi scrive segue necessariamente una logica che molti studiosi
hanno cercato di mettere in luce, potremmo chiamare questo processo “messa in racconto”. I vangeli attuali hanno
certamente utilizzato racconti sugli eventi che vanno dalla cattura di Gesù alla sua morte e gli studi del 900 hanno
sostenuto che qui racconti fanno parte dei materiali più antichiche trasmettevano la vicenda di Gesù. La questione è
però complessa e dibattuta. L’idea che al forma letteraria dei vangeli sia nata a partire da un racconto dell’esecuzione
capitale di Gesù – a cui sarebbe stato aggiunto un racconto della precedente vicenda, quasi come introduzione alla
passione – è stata da tempo messa in discussione.
– Nessuno nega che Marco ha utilizzato un racconto sulla morte di Gesù a lui precedente
– Crossan ipotesi che Pietro abbia utilizzato un racconto più antico di quello usato da Marco
– Secondo l’ipotesi delle due fonti, Matteo e Luca per il racconto della morte avrebbero attinto al vangelo di
marco, correggendolo in base altre informazioni in loro possesso
– Si discute se Giovanni, invece, avesse un racconto della passione diverso da quello utilizzato da Marco
Si ritiene che Giovanni avesse informazioni autonome rispetto a Marco ed altri vangeli, ma che conoscesse almeno un
racconto della passione che anche Marco aveva utilizzato. Per i vangeli le fonti preesistenti che trasmettevano info su
Gesù apparivano certamente autorevoli. E’ molto probabile che ciascun evangelista conoscesse uno o più racconti
della cattura, condanna ed esecuzione di Gesù, precedentemente elaborati da diverse linee di trasmissione, e che li
modificasse.
Per ricostruire le fasi di trasmissione dei materiali che hanno preceduto la scrittura
dei vangeli non possiamo che partire dai vangeli stessi, ma i modi da impiegare per
ricostruire le fonti che essi hanno utilizzato varia da vangelo a vangelo a vangelo.
Ed è proprio mediante l’individuazione delle differenze interne ai singoli testi che
la ricostruzione storica può guadagnare punti di vista essenziali, e le differenze
sono tracce interessanti dell’evoluzione di cui l’operazione testuale dell’autore è
parte.
I diversi modi per individuare le fonti perdute di un evangelista sono:
– tendenze teologiche e ideologiche dell’autore - ad esempio si pensa che Marco abbia inserito varie volte la
sua teoria del cosiddetto segreto messianico, attribuendola direttamente a gesù
– caratteristiche letterarie - tipiche di Marco – mettono in luce che ci si trovi di fronte ad un’elaborazione
dell’autore più che ad una fonte precedente. In questo caso è abbastanza probabile che l’autore bon avesse a
disposizione alcuna fonte
– disomogeneità di stile letterario → si suppone che l'autore abbia cucito racconti diversi senza particolari
preoccupazioni di uniformità letteraria, fonti antecedenti aggiungendo osservazioni che hanno causato
inverosimiglianze. E’ ovvio che un autore inserendo nel proprio testo una fonte precedente tenti di armonizzarla con
la propria strategia letteraria; ma ciò non toglie che il brano utilizzato provenga da una fonte antecedente e che siano
comunque rimaste nel testo delle tracce letterarie dell’operazione di inserimento.
– contesto cronologico e geografico che è rappresentato nel testo è una spia rilevante. Ad esempio la
collocazione di un evento o di un insegnamento di Gesù in un contesto preciso sembra un atto creativo di marco, dato
che i materiali di Gesù vennero per un certo periodo tramandati al di fuori di tale contesto. Ciò permette di dubitare
che eventi e discorsi di Gesù siano stati svolti nel preciso contesto che Marco assegna loro. Inoltre anche le
affermazioni contrastanti tra i vangeli mettono in luce l’incertezza della collocazione temporale e spaziale di azioni e
detti di Gesù e obbligano a interrogarsi sulle circostanze in cui gli eventi si sono di fatto svolti.
L’individuazione delle tendenze teologiche e letteraria tipiche di Luca e Matteo permette di comprendere come questi
due vangeli abbiano modificato il testo del vangelo di Marco. L’individuazione di queste tendenze consente anche di
individuare la forma pre-lucana e pre-matteana dei materiali che provengono dalle fonti speciali di questi due vangeli.
Spesso il confronto tra i modi in ci Luca da una parte e Matteo dall’altra hanno modificato le due loro fonti comuni
cioè Marco e Q permette di vedere le loro tendenze teologiche e letterarie. In genere Luca e Matteo seguono la
successione narrativa di Marco però la modificano collocando azioni e parole di Gesù in tempi e luoghi diversi da
quello di Marco. Poiché Luca e Matteo si allontano da Marco solo in parte nel collocare geograficamente e
cronologicamente l’azione di Gesù, non ci permettono di ricostruire le fasi della vicenda di Gesù. Solo in alcuni casi
forse la collocazione di certi eventi in un ordine diverso rispetto a Marco dipende da info che ritenevano storicamente
più attendibili.
I quattro modi sopra accennati valgono anche per il Vangelo di Giovanni, come sappiamo sembra aver utilizzato
racconti, miracoli, segni di Gesù e molti altri materiali che potrebbero risalire a specifici ambienti giovannisti.
Sappiamo che presenta 23 elementi che non si trovano nel racconto parallelo di Marco. E queste differenze possono
essere in parte dovute alle tendenze teologiche dell’autore, ma dipendono anched da informazioni e fonti speciali che
aveva a disposizione. Il fatto poi che marco e giovanni abbiamo una serie di fatti in cui i loro acconti coincidono
nell’ordine narrativo obbliga a riconoscere una relazione letteraria tra i due testi. Non sappiamo però se giovanni
abbia ripreso da Marco oppure da fonte pre-marciana. Questa discussione sui loro rapporti è un ulteriore segno
dell’antichità di Marco ma ripropone anche la questione dell’attendibilità storica dei materiali speciali di Giovanni.
Questo vangelo infatti presenta dati storici, geografici, azioni e parole di Gesù non contenuti in Marco-Luca-Matteo.
Un ulteriore questione riguarda la successione cronologica – l’ordine temporale presente nel racconto di Marco è
ritenuto una creazione dell’evangelista che ha organizzato la trasmissione a lui precedente; Matteo e Luca non
sembrano avere sull’evoluzione biografica di Gesù rilevanti oltre quelle di marco. Va aggiunto che il fatto che giovanni
presenti una successione degli eventi molto diversa da quella di Marco pone con maggiore forza la questione di quale
fosse la reale collocazione storica degli atti e discorsi di Gesù. L’antichità non assicura una maggiore storicità, anche
una fonte antica può essere incerta o inattendibile. In ogni caso il confronto tra le diverse testimonianze è la strada
che permette ipotesi storiche mirate.
E’ quindi ovvio che memoria delle vicende di Gesù è dominata dalle incertezze che dipendono da complesse linee di
diffusione e dagli interventi degli autori (selezioni, omissioni, aggiunte ed interpretazioni). I testi rappresentano il
risultato di una strategia del ricordare, di un’attività orale e scritta volta a non staccare i seguaci dal loro tempo, dagli
eventi che erano all’origine della loro credenza. la politica della memoria impone di ricorrere a pratiche socio-culturali
dirette alla conservazione e al completamento della storia passata. E’ in questo senso che va ogni forma di
commemorazione delle esperienze di vita che i seguaci vissero con Gesù e degli eventi legati alla sua morte. Secondo
alcuni studiosi gli scritti evangelici conterrebbero una memoria storica sicura e le differenze tra i vangeli
riguarderebbero fatti non essenziali → teoria errata perchè le differenze sono tutt'altro che minime → la memoria è
selettiva e creativa, essa costruisce e non solo ripete. Cresce, decresce, cambia vettori ed obiettivi e ciò in base a
motivazioni psichiche, interessi sociali e politici. La memoria è collegata anche all’oblio e perciò è anche omissiva. Ogni
atto di memoria è un atto di interruzione rispetto al passato e di trasformazione di condizioni antecedenti in funzione
del presente. Non è solo una perpetuazione di ciò che è avvenuto in precedenza. Anzi è il caso di prendere la
questione da un altro punto di vista: da quello del completamento o aggiustamento intenzionale di ciò che deriva dal
passato. La memoria, soprattutto quella collettiva, è terreno fertile per la cancellazione intenzionale e la produzione di
significativi cambiamenti.
Inoltre constatiamo che nel primo cristianesimo vi sono state numerose variazioni e distorsioni della memoria
tutt’altro che secondarie o marginali e nei vangeli esse sono di notevole rilevanza. L’esame dei testi mostra pluralità di
linee di tradenti, di aree di trasmissione, di contenuti a volte contradditori. Sono proprio le dissonanze o le divergenze
fra i testi che rendono possibile una prospettiva storico-culturale.
Le differenze più importanti tra i ricordi dei testimoni si verificano dunque nel momento iniziale, e quindi l’affidabilità
della trasmissione concernente Gesù può essere in questa prima fase più che in quella successiva. i testimoni delle
vicende di Gesù hanno innanzitutto comunicato le loro reazioni agli eventi. In secondo luogo la trasmissione dei loro
ricordi avvenne in luoghi distanti con tutta probabilità; per cui una delle cause di divaricazione, nelle linee di
trasmissione, è quindi di tipo geografico. La vicenda di Gesù è stata ricordata ed elaborata da gruppi che risiedevano
in differenti località e possedevano notizie approssimative o parziali. Solo in specifiche circostanze le conoscenze
locali potevano essere accostate e confrontante. Va soprattutto ricordato che solo ciò che si può rappresentare – in
schemi modelli, detti e gesti – diventa atto di trasmissione durevole e utile a costruire testi o altri tipi di narrazione.
La teoria di un nucleo primario fedele e di variazioni secondarie è stata elaborata da alcuni esegeti → James Dunn e
Richard Bauckham si è sostenuta la complessiva attendibilità dei racconti evangelici. Questa teoria si rifà a Kenneth
Baily, pastore protestante che sostiene nei villaggi medio-orientali che aveva conosciuto le storie, i poemi ecc in
quanto parti di letteratura orale tradizionale venivano trasmessi in un contesto comunitario da chiunque → si tratta di
una trasmissione informale e le persone sedute ad ascoltare avrebbero esercitato sul narratore un controllo
comunitario; in questo modo ogni racconto sarebbe stato trasmesso fedelmente perché le storie errate venivano
subito corrette da chi li ascoltava e conosceva la versione giusta. Erano permesse variazioni a questi racconti, ma solo
secondarie, mentre il nucleo del racconto sarebbe rimasto intatto. E sostiene che questa competenza vale solo
all’interno di ciascun villaggio.
Questa teoria non è applicabile alla memoria relativa a Gesù perchè prende in esame racconti già noti e standardizzati.
Nel caso della formazione dei primi racconti su Gesù non si tratta affatto di una tradizione orale di storie popolari già
in circolazione da tempo e da tutti conosciute e standardizzate. In questa prima fase le persone che ascoltano i
racconti di gesù non conoscono le narrazioni che si stanno costruendo e quindi non possono controllarle. Quindi la
prima fase delle informazioni su Gesù non avviene in presenza di ricordi già condensati in racconti standard e
controllati dalla comunità, ma vengono standardizzati successivamente.
Kloppenborg ha criticato la tesi di Baily poiché egli ha ignorato la natura fallibile della memoria → il controllo sociale
del discorso, non è ovviamente o necessariamente conservatore nel senso che esso tenderebbe a mantenere la
tradizione come è stata ricevuta – il controllo sociale tende a selezionare o delimitare ciò che può essere detto. Inoltre
dato che la tradizione si sposta da un ambito sociale a un altro, dobbiamo aspettarci alterazioni dovute non solo ai
capricci della memoria, ma anche alla variazione dei registri sociali nei quali la tradizione è performata e messa in
pratica. A Baily sfugge il punto centrale e cioè che la il controllo comunitario interviene e modifica la realtà dei fatti.
Che nella trasmissione si compiono atti di creazione e di modificazione collettiva della realtà. In conclusione, un
discorso costruttivo sulla memoria deve partire dal fatto che essa è un’operazione che mette insieme giustificazioni,
interpetazione, aggiustamento, invenzione, completamento, ma anche omissioni, interruzioni, riprese e
manipolazione di dati e significati. È sbagliata sia l'idea di una trasmissione lineare ininterrotta sia quella che le
variazioni consistano solo in piccole aggiunte o modifiche di valore limitato che non cambiano il significato di ciò che
viene trasmesso.
l'idea che un testo possa riprodurre fedelmente i fatti reali si basa sulla presunzione diffusa che un autore possa
possedere totalmente la realtà anche se è lontana. le notizie memorizzate nei racconti possono derivare da fonti
multiple, chiacchere o anche opinioni → e all’interno del testo, le notizie memorizzate acquistano un nuovo senso,
mutano di significato perché sono trasportate e immesse in un altro contesto testuale o esistenziale. la trasmissione
delle parole di Gesù avvenne in più modi diversificati, l'idea di trasmissione verbale lineare, controllata da una
comunità come diceva Bailey, viene quindi smentita proprio dalla varietà e informalità di molti processi verbali.
I fatti traumatici sono frequentemente ricordati e poi raccontati → la traumaticità dell'evento impedisce al soggetto
che assiste di essere pienamente lucido, la sua attenzione si focalizza su alcuni aspetti e non su altri. E’ anche per
questo che diversi testimoni oculari del medesimo evento traumatico hanno reazioni differenti. L’intensità e l’urgenza
della memorizzazione non garantiscono però la correttezza del ricordo, nonostante la buona fede di chi trasmette.
Molti testimoni di fronte ad un medesimo evento reagiscono in modo differente.
La vicenda mortale di Gesù è stata ricordata e trasmessa da una molteplicità di persone che spinte dal bisogno di
ricordare un fatto sconvolgente, lo hanno fatto in modo non formalizzato, all’interno della normale interazione tra
persone. Una volta che diverse dicerie o versioni dei fatti, dopo la morte di Gesù, si sono raccolte in un’informazione
strutturata, è difficile ricostruire da dove provengono le singole notizie. In conclusione, l’interagire e il sovrapporsi
d’informazioni e commenti è un fenomeno costante che sfugge al controllo e domina l’esistenza degli individui. E’
difficile essere sicuri dell’attendibilità delle notizie, perché le testimonianze nascono dal bisogno di ordinare, ma anche
dal timore di dimenticare, dalla necessità di aggregare consensi. Va aggiunto che nel caso di Gesù non esiste una sola
comunità di seguaci o persone singole a conoscenza dei fatti – ma vi è una gamma di informazioni.
Qualche conclusione
1. alcuni eventi dei seguaci di Gesù possono rimanere più impresse di altre – ad esempio il momento del primo
incontro con lui.
2. non vi fu un solo momento in cui si sentì il bisogno di ricordar Gesù. Un primo evento è quello della sua
uccisione, dalla quale sorse il bisogno di ripensare al significato della sua vicenda e perciò si cominciò a richiamare alla
mente quello che Gesù aveva fatto. Ma anche lo stesso predicare metteva in risalto il bisogno di riferirsi a Gesù, per
cui il predicatore portava alla memoria eventi, parole ed esperienze di Gesù.
3. la morte di Gesù fu un momento in cui si dovette cominciare a rammentare ma rappresenta anche
un'interruzione e trasformazione delle esperienze alla luce dell'evento traumatico. I ricordi che si avevano prima della
morte sono diversi da quelli che si hanno dopo la morte.
4. ogni momento traumatico si incide nella mente dei soggetti. Ma coloro che vi assistono reagiscono all’evento
in modo spesso opposto e ricordano cose diverse.
5. bisogna distinguere i seguaci che vissero con Gesù da quelli che aderirono al suo movimento successivamente
perché i primi ricordavano quello che aveva fatto Gesù e le proprie esperienze con lui, i secondi quello che avevano
ascoltato dai predicatori.
6. non vi fu un solo luogo in cui si cominciò a ricordare e poi si ripeté diversamente da ciò che si era ricordato,
ma si misero insieme tanti ricordi in tanti villaggi e insediamenti dove esistevano gruppi di seguaci di gesù.
Che cosa insegna la costruzione di liste di tradenti? Indica il bisogno di reperire elemebti da utilizzare per consolidare e
legittimare una storia, un’istituzione, un gruppo. La convinzione che questi elementi possiedono un’autorità perché
trasmessi intatti da una catena di tradnti che parte da un’origine autorevole. all'origine di una tradizione può esservi
un singolo individuo particolarmente rilevante oppure un soggetto a cui viene dato un titolo identitario, a volte si
indica un soggetto anonimo (discepolo amato), altre volte le funzioni che esercita (il Battezzatore) o il rango parentale
(madre di...) o politico-religioso → tutto ciò risponde alla necessità degli autori di essere legati a storie individuali di
grande rilievo. Esprime la volontà di derivare da chi è stimato o venerato nella società a cui si appartiene. (è questo il
caso dei vangeli di Matteo e Luca).
– ricerca di tracce nascoste nei testi → l’esistenza di tracce sul terreno ci da la certezza che in un passato più o meno
recente qualcuno è stato presente, ha occupato quello spazio e vi ha esercitato un ruolo. Tali tracce sono segnali
molto preziosi, prove visibili. I testi narrano fatti precisi, ma ad un tratto scorgiamo in essi qualcosa appena
percettibile, di cui lo scritto non ci dice nulla esplicitamente. Qualcosa che sembra diverso da quello che il testo sta
raccontando, è il residuo di una vita o il riflesso di un passato scomparso che la narrazione porta in sé solo
implicitamente. il fatto che queste tracce siano indirette non deve scoraggiare. Quando un testo rielabora e trasforma
i fatti del passato, il racconto non può non conservare qualche traccia della realtà che aveva difronte. E solitamente
queste tracce sono parole o nomi che spesso non sono funzionali all’immagine culturale o religiosa che i testi cercano
di dare agli eventi. E’ un residuo dimenticato. Ma ovviamente anche le cose lasciate in ombra non sono meno
importanti di quelle ricordate. La traccia testimonia qualcosa che gli autori non hanno intenzione o non sono in grado
di porre al centro dell’attenzione. Possono essere accadimenti secondari, riferimenti sbiaditi, e se gli autori non li
sviluppano nel testo significa che non ne comprendono il senso, perché appartengono a realtà culturali diverse da
quelle in cui i fatti che narrano si sono svolti. I veicoli che trasportano nei testi le tracce di un passato cancellato o
trasformato sono spesso le rappresentazioni (dati ambientali, temporali, relazioni, oggetti) di cui tali testi si servono
per narrarlo. Analizzare queste rappresentazioni, individuarne le carenze significa mettere in rilievo le loro capacità di
veicolare il passato anche nella forma che aveva prima di essere trasformato o sostituito. Mediante tali tracce è
possibile ricostruire i fatti presupposti dal testo.
i vangeli permettono la ricostruzione dei luoghi di provenienza delle informazioni su Gesù (informazioni del vangelo di
Marco provengono dal nord della Terra di Israele non significa che il testo sia stato scritto lì). Il termine gruppo
permette di affrontare la natura dei rapporti dei seguaci di Gesù tra loro e l'ambiente che li circondava → accento
sulle relazioni più che sui supposti confini, nessun individuo può essere isolato da un contesto composto da altri
numerosi soggetti.
Nessuno degli autori dei vangeli aveva conosciuto Gesù e aveva vissuto con lui → perciò ci si chiede da quale gruppo
provengano le informazioni dei singoli vangeli? Dove risiedevano i gruppi o le persone che trasmettevano le
informazioni su gesù? Quanto sapevano i gruppi e le persone che tramandavano notizie su Gesù e come erano a
arrivati a conoscere quello che raccontavano?
Certamente in ciascun villaggio dove risiedevano seguaci di Gesù venivano trasmesse notizie e opinioni su di lui. Poi, a
dare informazioni su gesù erano stati quei seguaci che lo avevano seguito quando era vivo e lo accompagnarono a
Gerusalemme dove fu ucciso. Dopo, a diffondere notizie su Gesù in luoghi disparati furono i predicatori che
percorsero la Terra di Israele e diverse parti del mediterraneo e del vicino Oriente. Anche le loro notizie dovettero
essere conservate da gente che viveva in luoghi precisi. E’ quindi molto importante sapere quali furono i villaggi e le
città in cui risiedettero i primi gruppi di seguaci dopo la morte di Gesù.
non abbiamo fonti materiali che permettano di stabilire con precisione la collocazione delle comunità cristiane →
abitare e occupare uno spazio è una dimensione umana primaria e strategica sempre e ovunque. Attribuire una base
insediativa a soggetti umani individuali e collettivi è un’operazione che definisce la loro identità, funzione, continuità. Il
luogo in cui gli uomini vivono è fattore integrante del loro orientamento socio-culturale. E’ in spazi concreti che si
manifesta la loro coerenza e si da la loro permanenza. Noi partiamo dal presupposto che la nostra immaginazione
sociale situa sempre gli individui o gli eventi in uno spazio, in un tempo e all'interno di una scena sociale determinata.
Anche se non sono citati i luoghi e gli spazi sono sempre presenti.
Il rapporto tra soggettività e localizzazione, tra gli individui e gli spazi che essi occupano
agendo (e quindi anche tra Gesù con i suoi discepoli e l’ambiente in cui si trovavano) si
articola su due livelli:
a) quello della realtà esistenziale nella realtà esistenziale si da sempre un rapporto con
uno spazio preciso.
b) quella della ricostruzione della memoria quando si ricorda un evento del proprio passato, anche il luogo in cui
avviene l’atto del ricordare è illuminante. (è perciò probabile che alcuni ricordi dei suoi seguaci avvenissero nei luoghi
in cui essi avevano vissuto o visitato e nei quali Gesù era stato in certi momenti della sua vita).
Per ricostruire questa trasmissione variegata dobbiamo cercare di rappresentarci i gruppi che trasmisero informazioni
su Gesù. Anzitutto già durante la vita di Gesù esistevano piccoli gruppi di seguaci in diversi villaggi della terra di Israele
e delle zone limitrofe da lui visitate – gruppi che nacquero perché avevano aderito al suo messaggio e che non lo
avevano seguito nei suoi spostamenti. Il suo obiettivo era quello di provocare l’adesione all’attesa dell’avvento del
regno di Dio. La sua prospettiva era la totalità di Israele. I seguaci di ciascun villaggio non conoscevano per intero il
messaggio e l’attività di Gesù, conoscevano solo quello che Gesù aveva detto e fatto nel loro villaggio. Questi seguaci
avevano scarsa conoscenza di gruppi presenti in altri villaggi ed in altre regioni della terra di Israele e scarsi contatti
con loro. C’è anche la possibilità che molti di questi gruppi abbiano continuato ad esistere dopo la morte di gesù negli
stessi villaggi, ed in essi, nei decenni successivi, si sarebbero sviluppati gruppi più numerosi. E’ ugualmente verosimile
che nuovi gruppi di seguaci siano nati dopo la morte di gesù in altri luoghi per impulso di coloro che si dedicarono alla
diffusione del suo messaggio. Questi gruppi più recenti vanno differenziati dai precedenti perché erano composti da
persone che non erano state raggiunte fin dall’inizio dal messaggio di Gesù. E’ anche verosimili che fra i gruppi di
seguaci di Gesù che si erano formati durante la sua vita alcuni non aderissero al nuovo messaggio diffuso dopo la
morte di Gesù allontanandosi dai gruppi più recenti. Questo fenomeno (di distanza tra i seguaci che avevano aderito a
Gesù durante la sua vita e quelli che invece avevano aderito al nuovo messaggio diffuso dopo la sua morte) sembra
implicito nella contrapposizione tra quelli di fuori a cui Gesù aveva parlato solo in modo enigmatico e i discepoli più
stretti a cui Gesù aveva spiegato il mistero del regno. Per cui probabilmente seguaci di Gesù non collegati ai discepoli
più stretti e forse da essi combattuti.
la mappa mentale di Marco importante individuare la complessa rappresentazione spaziale di Marco che fa da sfondo
alla sua narrazione. Questi spazi si delineano attraverso soggetti umani, le folle e i loro movimenti sono indicatori
rilevanti. Immagina masse di persone che si muovono dall’Idumea verso nord; dal fiume verso occidente; da Tiro,
Sidone verso sud-est. Quindi per Marco, Gesù si trova al centro di queste 3 traiettorie e ciò nella Galilea del Nord.
Marco menziona quasi esclusivamente località e regioni del nord della terra di Israele, questo significa che la sua
mappa mentale si è probabilmente costruita su informazioni che provengono da fonti ed informatori di quelle zone. Il
nostro argomento si basa sull’ipotesi che i luoghi a cui si accenna nei vangeli fossero già presenti nei racconti
preevangelici e che furono menzionati nei racconti perché i narranti provenivano da quei luoghi
In sostanza, la storia della redazione del testo induce a pensare che Marco per dare uno scenario spaziale preciso
all’attività di Gesù, si sia limitato a usare indicazioni di luogo tratte dai seguaci, dalla cui informazioni dipendeva,
inserendole in una successione di trasferimenti o spostamenti di gesù sul territorio. E’ questa successione di
trasferimenti o spostamenti ad essere una sua creazione narrativa – è un fattore essenziale della strutturazione del
testo. E si potrebbe ipotizzare che quando marco menziona luoghi precisi non siano altro che punti di partenza,
transito o arrivo di Gesù e che quindi utilizzi i luoghi per dare una strutturazione geografica ai movimenti e agli
spostamenti.
Se i nomi di luogo erano già contenuti nelle fonti e nelle informazioni che Marco aveva a disposizione, dobbiamo
domandarci quale attendibilità storica avessero queste indicazioni. Si può pensare che veramente Gesù avesse
compiuto una certa azione proprio in un determinato luogo, ma si può anche ritenere che avesse veramente visitato
quel luogo, ma che la localizzazione di una certa azione in quel luogo fosse avvenuta successivamente, nell’evolversi
dei racconti. Poteva indurre a collegare fatti noti con luoghi noti, anche se questo collegamento in realtà non c’era
stato. Un altro punto: per i racconti pre-evangelici l’indicazione del luogo aveva la funzione di legittimare i gruppi delle
località in cui risiedevano rispetto ad altri gruppi di seguaci altro, ma è anche vero che questi racconti non avevano
una cornice narrativa. In un vangelo invece la struttura narrativa con le sue esigenze letterarie e teologiche da un
contesto all’opera dell’autore. Quindi marco utilizza queste localizzazioni per costruire la sua proposta. Concludendo si
possono indicare i luoghi indicati o nominati da Marco in 3 ambiti geografici. La Galilea centro-settentrionale, il lago ed
i territori ad esso vicini; Il Golan e i territori della Siria occidentale e cioè zone a nord e nord ovest della Galilea (Tiro,
Sidone; la bassa Galilea, con la sola menzione a Nazareth.
i luoghi in Luca
luca modifica il racconto di Marco quando si tratta dei luoghi della Galilea, vi sono una dozzina di casi che comportano
sia correzioni intese a spostare un evento della Galilea in altro luogo, sia omissioni di fatti avvenuti in Galilea riportati
da Marco. Luca riflette suoi luoghi indicati nel Vangelo di Marco e assume un atteggiamento critico e omissivo verso di
essi. Le ragioni di questa distanza possono probabilmente dipendere dal fatto che si basava su fonti e informazioni
localizzate in Gerusalemme, nella Giudea della zona marittima ed in Samaria. Luca forse poteva anche avere un
intento polemico verso i gruppi di seguaci di Gesù situati in quelle aree, egli sostiene che l’attività del movimento post-
gesuano inizia a Gerusalemme e si contrappone così a Marco e Matteo. Probabilmente riteneva che le fonti e le
informazioni che marco aveva, almeno per una certa parte, non fossero attendibili. D’altra parte può anche aver
pensato che la strategia narrativa di marco – che lo spingeva a localizzare punti di partenza e di arrivo – non fosse
condivisibile e questo lo ha spinto a sottolineare che un determinato fatto si era svolto in una località sconosciuta, a
differenza di Marco. Si conferma una delle ipotesi: l’ignoranza reciproca è diffusa, i discepoli situati in località diverse,
che hanno informazioni differenti tra loro, non conoscono quelle degli altri gruppi – quando si confrontano si creano
delle divergenze.
i luoghi di giovanni
Secondo il capitolo 20 del vangelo di Giovanni, che costituiva la fine del vangelo in una precedente redazione, gesù
muore, risorge a Gerusalemme e appare a lì 3 volte. Il capitolo 20 si accorda quindi con la visione di Luca e non con
quella di Marco e Matteo – anche se entrambi situano a Gerusalemme le apparizioni di Gesù risorto esse non sono le
stesse. Ciò spinge a pensare che a Gerusalemme e nei dintorni esistessero gruppi differenziati di seguaci che seguivano
proprie convinzioni e strategie di diffusine. Nell’ultima redazione del vangelo di giovanni, il capitolo 21 sembra cercare
una conciliazione con la visione di Marco e di Matteo perché gesù appare in Galilea. Per cui qui, l’inizio della missione
dei discepoli è in Galilea come Marco e Matteo. Possiamo quindi aggiungere che il fenomeno di frazionamento dei
gruppi di gesù su un medesimo territorio non si verifica solo a Gerusalemme, ma anche in Galilea - e poi vi si stabilisce
fino alla morte. Lo scenario della localizzazione di Gesù e dei suoi seguaci in Giudea è abbastanza diverso da quello di
Luca. Giovanni conosce un’altra zona della Giudea in cui Gesù è attivo – località della giudea orientale intorno a
Gerusalemme, a nod e a este della città. Uno scenario di cui non abbiamo notizia dagli altri 3 vangeli canonici. Anche
l’emergere di discepoli sconosciuti agli altri 3 vangeli o le maggiori informazioni su Tommaso sono due dati che
spingono a ipotizzare l’esistenza di fonti ed info sconosciute agli altri 3 vangeli e aprono nuovi orientamenti sul
movimento post gesuano.
Conflitti e opposizioni
La domanda inevitabile perché marco e Matteo presentano l’inizio della missione a partire dalla Galilea mentre
Luca e Giovanni da Gerusalemme? Non si può trovare una soluzione perché i racconti sono inconciliabili, né mediante
l’ipotesi che una delle due linee o ambedue abbiano voluto mutare lo svolgimento dei fatti. La risposta va cercata nel
fatto - nei racconti tramandati da gruppi locali - era inevitabili raccontare ciò che era avvenuto in quel luogo o
assegnare agli eventi di Gesù una localizzazione situata nel proprio ambiente. Sono gruppi locali, radicati in realtà
attive e complesse, che hanno tramandato le proprie notizie. C’è un conflitto nelle immaginazioni spaziali tra i primi
gruppi di seguaci di Gesù. Il divario tra le visioni di Luca-atti, quella di Marco\Matteo, quella di Q e quella di Giovanni ci
mette di fronte a gruppi in competizione o in lotta, a gruppi che danno diverse rappresentazioni dello spazio di azione
di Gesù. Tutto ciò spinge a pensare alcuni gruppi di seguaci di Gesù, portatori di informazioni diverse su di lui, furono
isolati e non entrarono in contatto tra loro. Quando cominciarono a comunicare iniziò una serie di divergenze tra loro
sia sull’interpretazione che si doveva dare al messaggio di Gesù, sia al ruolo che ciascun gruppo pretendeva di avere.
Non vi fu un coordinamento e ciò rese viva la trasmissione. Luca sembra voler ignorare l’esistenza dei gruppi galilei e i
galielai sembrano volersi sottrarre ad un coordinamento con le istituzioni del tempio e delle autorità giudaiche
centrali. Il quadro è chiaro: diverse localizzazioni implicano diversi progetti. Si potrebbe dire che, mentre Marco,
Matteo e Giovanni insistono sulla continuità in Galilea del movimento di Gesù prima e dopo la morte, Luca sottolinea
la discontinuità. Sembra che la diversa localizzazione e la differente strategia di espansione territoriale dei gruppi sia
determinata anche da una percezione diversa del pericolo rappresentato dalle autorità romane. Per Luca si tratta di
integrarsi nel mondo romano, per Matteo rimane primaria la percezione della persecuzione da parte delle autorità
romane e giudaiche. La strategia di Matteo è quella di un gruppo minoritario ostracizzato. La strategia di Luca è quella
di un gruppo lealista che cerca integrazione. Anche per Giovanni, nella sua ultima redazione, la Galilea appare come
luogo di rifugio e la Giudea come luogo del pericolo. L’autore del cap 21 appare quindi pensare alla Galilea come ad un
posto più sicuro per la difesa e l’espansione del proprio gruppo.