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Stefano Asperti - Origini romanze

Metodologia della Ricerca Filologica Romanza (Università degli Studi di Messina)

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STEFANO ASPERTI

ORIGINI ROMANZE

APPUNTI DI VIRGINIA SCOGLIO

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1. Il campo di indagine

L'evoluzione linguistica che porta dal latino alle lingue romanze è frutto di un
processo molto complesso e articolato su più livelli, che culmina nell'Alto Medioevo
(476 - 1000) e porta alla riorganizzazione di nuove unità linguistiche. Queste nuove
lingue e letterature costituiscono il nucleo essenziale delle attuali lingue e letterature
nazionali romanze di queste regioni d'Europa: portoghese, spagnolo, francese,
italiano e catalano.
Il punto di partenza di questo processo è, ovviamente, la latinità, autentico fattore
culturale unificante del mondo antico occidentale.

1.1 Problemi di fondo: oggetti e ricostruzione storica

Per la ricerca storica e storico-linguistica del processo oggetto del nostro studio, è
possibile tenere in considerazione almeno due percorsi di indagine:
 da un lato troviamo, infatti, dei dati, che hanno una loro indubbia concretezza,
anche in termini di materialità. Per le fasi più antiche, ovviamente, non
disponiamo, come basi di conoscenza, che di singole forme, errori o
storpiature, e singole parole, barbarismi, individuabili in testi ancora latini:
queste innovazioni sono classificabili come “romanismi” entro contesti
conservativi; poi, gradatamente compaiono frammenti testuali più chiaramente
volgari e quindi testi romanzi integri e coerenti, via via sempre più complessi e
autonomi: a partire dai secoli X-XI molti di questi testi hanno caratteristiche
chiare che permettono di classificarli come testi letterari romanzi, diversificati
per temi e per forme. Ciascuno di questi testi, ovviamente, è sfruttato in qualità
di documento, come fonte di informazioni circa lo sviluppo delle varietà
linguistiche. Oggetti di studio sono, quindi, nel nostro caso, i testi, così come
figurano nelle fonti antiche che ce li hanno tramandati.
 dall'altra parte abbiamo, invece, una materia di studio diversa, la
configurazione e la ricostruzione di un processo linguistico e storico-culturale.
L'esposizione si svilupperà, così, lungo due percorsi conoscitivi diversi. Il primo è
descrittivo e può permettersi di essere analitico nella presentazione dei dati; l'altro
percorso, invece, è sintetico e ricostruttivo, e si costruisce in forma di ipotesi storico-
critica.
I documenti, quindi, devono essere valutati e analizzati tenendo conto e della loro
dimensione spaziale e di quella temporale. Un singolo testo, inoltre, anche di
dimensione ridotta, purchè sia limpido, vale come prova dell'esistenza e come base
della conoscenza della varietà linguistica che in esso si riflette.
Diversa è invece la situazione per quel che concerne le letterature: nella fase più
antica, là dove la documentazione è più rada (si parla del XII secolo per l'area gallo-
romanza e del XIII per quella iberica e italiana), ogni singolo testo letterario può
valere, certo, come documento di lingua, ma in quanto monumento letterario vale
solo ed esclusivamente in sé stesso, e non se ne può ricondurre, dunque,
automaticamente l'esistenza ad una letteratura cui esso appartenga.

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1.2 Prospettive e punti di vista

L’epoca di cui ci occupiamo è problematica, essendo una fase di transizione nella


quale assumono importanza i fattori di contatto e di mediazione.
Quelli che abbiamo di fronte sono sistemi linguistici non attestati o consolidati, nei
quali concorrono fattori molteplici, come stratificazioni linguistiche e culturali. Le
letterature romanze del Medioevo sono tutte attraversate da una corrente che mira
all'emulazione della tradizione latina, che diviene, quindi, uno strumento per il
conseguimento di una superiore dignità formale.

1.3 Nodi problematici: definizioni

Per affrontare la genesi degli ambiti linguistico-culturali nazionali e per definire i


processi costitutivi delle varie tradizioni letterarie, occorrerà definire alcuni termini
nei quali ci si imbatterà nell’intraprendere uno studio di tal tipo:

1.3.1 Diasistema

La definizione di diasistema linguistico prende le mosse dal concetto di lingua come


sistema, come insieme, cioè, di regole e principi che governano la comunicazione
linguistica all'interno di una comunità di parlanti, e che definiscono quindi la
grammatica della lingua, garantendo l’intercomprensione.
Ciò premesso, con il termine diasistema, secondo una definizione semplificata di
Cesare Segre, si designa o il supersistema cui possono afferire due sistemi affini,
oppure il sistema di compromesso tra due sistemi di contatto (una realtà, in
quest’ultimo caso, nella quale risultano compresenti elementi riferibili a più sistemi
magari non lontani da un ipotetico o possibile sistema di base, ma con questo non
coincidenti); in altri termini, il diasistema è presentabile come la somma delle
varianti, sui diversi livelli di analisi linguistica e per distinti livelli sociolinguistici e
pragmatici, che compongono l’insieme di una stessa lingua.

1.3.2 Testo

Il testo è un enunciato scritto autonomo e autosufficiente, ma può pure indicare


l’opera che tale enunciato costituisce.
In termini più ampi, il testo è la sintesi discorsiva (linguistica) di elementi culturali;
definizione, questa, applicabile sia sul versante dello scritto sia dell’orale.
Rispetto al nostro ambito di studio, occorre innanzitutto ricordare che per tutta la fase
anteriore al XX secolo non abbiamo per la dimensione orale che delle trascrizioni,
semmai delle descrizioni, dei dati solo scritti e che le modalità di tali ricodificazioni
possono dipendere da condizioni tra loro variabili e potenzialmente distorcenti; solo a
partire dall'apparizione dei primi atlanti linguistici, tra il XIX e il XX secolo,
disponiamo di trascrizioni criticamente controllate e attendibili.
Considerato, sempre, il nostro campo di indagine, dobbiamo tenere anche presente il

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fatto che con il termine testo possono anche intendersi frammenti di minima
estensione, singole parole, nonché unità ridotte a condizioni di incompletezza o di
assoluta frammentarietà. Ne consegue, quindi, che un testo, per essere definito tale,
non deve essere per forza compiuto e completo.
I testi antichi, ad esempio, ci sono noti attraverso varie modalità (diverse, certamente,
da quelle che informano la realizzazione e la trasmissione di un testo come noi
moderni lo intendiamo): incisioni su pareti, epigrafi, appunti, prove di penna; si tratta
sempre di manufatti realizzati sulla base di una competenza scrittoria che può variare
sensibilmente da scrivente a scrivente. Questo comporta un’ulteriore precisazione,
essenziale per i testi antichi: un oggetto testuale, cioè, ha tre dimensioni: una
linguistica, per cui illustra più o meno fedelmente lo stato di una lingua, una
letteraria, per cui si inscrive in un sistema letterario, e una, infine, in quanto oggetto
scritto, per cui partecipa di una tradizione scrittoria che ha le proprie specificità.

1.3.3 Documento/monumento

Con il termine documento intendiamo tutto ciò che serve a documentare, a fornire
mezzi o materiale informativo in un determinato campo di ricerca.
I documenti, quindi, nel nostro caso, sono da intendersi come dati di partenza delle
nostre ricerche, di qualsiasi estensione e qualità essi siano.
In molti casi quelli che ci appaiono come documenti sono il risultato di un processo
di conservazione volontario o comunque non completamente casuale; essi sono,
pertanto, da valutare prendendo in esame sia i testi o i frammenti testuali, sia i
supporti materiali che li hanno conservati, sia, infine, le modalità di trascrizione,
integrando, così, nel giudizio anche considerazioni di tipo paleografico o
codicologico. In questo caso abbiamo a che fare con monumenti, depositari di una
memoria: tali sono, ad esempio, i testi letterari, provvisti oltre tutto di caratteristiche
formali proprie da tenere in conto nel momento di valutarne natura e conservazione. I
monumenti, quindi, sono testi letterari che sono stati volontariamente conservati.
La distinzione fra documenti e monumenti è stata introdotta stabilmente da Paul
Zumthor, il quale distingue, non più in rapporto all’occasione del discorso, ma in
virtù della sua proprietà di messaggio, i monumenti linguistici, come i Giuramenti di
Strasburgo, dai documenti, qualsiasi frase di comunicazione corrente.
Se si considera la totalità degli atti linguistici possibili, risulta comunque che lo
scritto, il testo, è più spesso monumento che documento.
In generale in ogni comunità linguistica si distinguerà:
1. uno stato di lingua primario, documentario, con funzione essenzialmente
comunicativa;
2. uno stato secondario, monumentale, esistente in rapporto al primo, ma
questo irriducibile.
A questi due stati Zumthor propone di associare due funzioni specifiche e distinte: la
funzione primaria è determinata solamente dalle esigenze dell’intercomunicazione
corrente, la funzione secondaria è di edificazione, nel duplice significato di questa
parola: elevazione morale e costruzione di un edificio.

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1.3.4 Orale/scritto

Lo scritto non individua in maniera univoca una realizzazione orale e questo


soprattutto in epoche di transizione, dunque di crisi e di rielaborazione dei sistemi
linguistici: più grafie possono corrispondere ad uno stesso suono e più suoni,
viceversa, possono essere rappresentati sotto la stessa grafia.
La precisa corrispondenza biunivoca tra fatti grafici e fatti fonetici non si realizza
neanche in sistemi linguistici ben regolamentati come quelli odierni (basti pensare a
quanto avviene in italiano, con le possibili diverse realizzazioni orali di un medesimo
testo scritto nelle varie modalità regionali).
Questo discrimine è tanto importante che la filologia gallo-romanza ha parzialmente
abbandonato il concetto di lingua letteraria di un autore o di una regione, sostituendo
ad esso il termine scripta, con il quale si individua l'insieme delle tradizioni grafico-
scrittorie vigenti in un determinato ambito o territorio, tradizioni che regolano la
trascrizione di testi volgari in assenza di altre norme.
Operando retrospettivamente, possiamo farci un'idea dei fenomeni di formazione dei
volgari, come strumenti di comunicazione d'uso quotidiano e letterario, solo
attraverso insorgenze scritte più o meno sporadiche, classificabili come tracce o spie.
Esse sono da valutare sempre con cautela, dal momento che queste testimonianze
scritte ci danno un’idea di forme di comunicazione prettamente orali e quindi
riflettono la realtà del tempo non solo senza garanzie assolute di esattezza e
limpidezza, ma anche con sicura parzialità, in conseguenza proprio del carattere in
fondo occasionale delle più antiche trascrizioni.
I più antichi testi sono, dunque, classificabili come di frontiera, in quanto
effettivamente vincolati a più componenti, ma anche perché determinano la
transizione dei volgari nel medium, fino a quel momento estraneo, della scrittura.
Va segnalata, inoltre, sempre in forma di avvertenza generale, l'importanza assoluta
dell'oralità nella civiltà medievale, anche in molteplici aspetti della trasmissione di
opere che noi classifichiamo come letterarie. Così facendo, però, ossia parlando di
letteratura, estendiamo in maniera indebita la definizione o etichetta oggi per noi
abituale, che implica la lettura, a forme e tipi testuali concepiti per altre modalità di
fruizione primaria. Nel Medioevo, infatti, solo a partire dal IV secolo si diffonde la
realtà di un pubblico che legge, come siamo oggi abituati a fare e a immaginare; è,
cioè, molto lenta la definizione della lettura come attività individuale e il più delle
volte solitaria, intima. Sino a tutto il XIII secolo, infatti, di norma i testi scritti in
volgare si cantavano o recitavano ad alta voce, ad uso di un pubblico, anche limitato,
generalmente dame e cavalieri, raccolti nei castelli o nei giardini.
Vi è, quindi, una differenza sostanziale rispetto alla situazione attuale, dal momento
che oggi il rapporto tra autore e pubblico è mediato pressoché sempre dalla lettura
individuale, e non vi è, dunque, rapporto tra testo e lettore. Nel Medioevo, invece,
tale rapporto esiste, ma appare ristretto per molto tempo a settori molto tecnici.
Con l'invenzione della stampa la situazione muta: l'affermazione della tipografia e la
diffusione su scala industriale della produzione libraria, infatti, introducono un
rapporto del lettore con il testo, non del tutto nuovo, ma precedentemente
appartenente, come già detto, a particolari tipologie di intellettuale; si hanno a

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disposizione testi scritti confezionati secondo regole di alta formalità e non più
allestiti per uso personale, come spesso accadeva in precedenza, e cambia anche il
confronto con la letteratura, che si viene organizzando in biblioteche personali,
inimmaginabili prima della fine del Quattrocento.
Tutto ciò pone in risalto la necessità di operare una distinzione all'interno delle forme
di comunicazione non scritta tra ciò che può essere classificato come parlato, ossia
comunicazione corrente e poco e non necessariamente formalizzata, sul tipo di quella
quotidiana, e forme di oralità, invece controllate e più strutturate, ma non
necessariamente dipendenti dalla lettura, utilizzabili in situazioni particolari.
La distinzione tra oralità e scrittura sembra attraversare tutta la società medievale,
definendo tipi e livelli di cultura profondamente differenziati diastraticamente. Non si
tratta, però, di due mondi separati, ma anzi di realtà che vivono a contatto tra loro e si
possono reciprocamente influenzare. La distinzione di livelli e modalità di cultura che
ruota attorno all’opposizione orale/scritto è, però, utile per focalizzare due poli di una
dialettica in cui termini verranno riformulati solo nella transizione verso ciò che
chiamiamo Basso Medioevo e poi Età Moderna, ossia, per approssimazione generale,
nel XVI secolo.

1.3.5.Letteratura/letterarietà

Per letteratura intendiamo l'insieme delle forme scritte che costituiscono in tradizione
scritta la cultura di una società. Questa definizione parte da ciò che è conservato e
quindi esclude una serie di forme, potenzialmente esistenti nell’oralità, alle quali
applicheremmo la categoria oggi corrente di “letteratura orale”, e che sono andate
perdute, non avendo superato mai la soglia della scrittura.
Questa tradizione, considerate le condizioni dell’alfabetizzazione e della
distribuzione sociale e geografica delle funzioni della cultura scritta e dei suoi usi nel
Medioevo, si configura come una realtà a base sostanzialmente latina e, almeno in
potenza, letteraria: chi scrive ha imparato a scrivere e a leggere di norma in latino e
non in volgare e in seguito, se ha studiato ulteriormente, lo ha fatto di nuovo in latino,
anche come lingua della pratica scolastica d’insegnamento e quindi quale strumento
di contatto tra docente e discente e anche familiarizzandosi con autori della letteratura
latina, magari conosciuti attraverso estratti ad uso scolastico, ai quali era associata
una funzione di modello, quella che indichiamo appunto come funzione autoriale.
Una componente di letterarietà, dunque, è presente in ogni attestazione scritta.
I termini letterario e letterarietà designano specifiche funzioni del linguaggio e della
scrittura intesa come creazione dei testi, nonché la coscienza critica relativa alla
scrittura e quindi anche, e in modo del tutto speciale, applicata alla scrittura letteraria.
L'esistenza di una vera e propria coscienza letteraria, che può anche essere
indipendente dalla scrittura, è condizione propria delle realtà sviluppate, mature,
consolidate.

1.3.6 Latino/volgare

Prima di analizzare questi concetti è determinante chiarire la differenza tra la lingua

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alta, totalmente grammaticalizzata, e la lingua bassa, del popolo, non formalizzata.


Il latino era la lingua di cultura dell'Occidente medievale cristiano, ossia di un
insieme di territori vastissimi linguisticamente non uniformi, data la presenza di
parlate neolatine, germaniche e slave.
Al latino, anche in quanto mezzo linguistico di comunicazione trans-nazionale, venne
a lungo riconosciuto uno statuto che solo alcuni volgari conquistarono nel corso dei
secoli: ad esempio l'italiano, come lingua della società di corte nel Rinascimento, poi
sostituito dal francese e, oggi, dall'inglese.
La vicenda del confronto tra tradizioni letterarie latine e volgari si articola su più
piani, con tempi non simili.
Da un lato, infatti, tra il XII e il XIII secolo, si affermano tradizioni volgari nei generi
più importanti della tradizione letteraria (narrativa in prosa, in versi, lirica)
determinando, così, la supremazia del volgare sul latino: il volgare riesce a
distruggere il monopolio del latino anche in ambito teologico, filosofico, scientifico e
giuridico.
Acquisito questo rilievo, il volgare è poi in grado di resistere alla prepotente rinascita
delle lettere classiche in età umanistica. In questo processo, un ruolo di primo piano è
rivestito da figure relativamente nuove di intellettuali laici, legati in vario modo alle
istituzioni universitarie che si vengono organizzando tra XII e XIII secolo. Ad essi si
deve innanzitutto la messa in discussione del monopolio ecclesiastico dell’alta
cultura: intorno alla metà del secolo, laici occupano poi posizioni di rilievo nella
redazione dei primi esempi di enciclopedie ideate in volgare, non più adattate dal
latino; nella generazione successiva, sul limite cruciale tra XIII e XIV secolo,
appaiono sempre ad opera di laici i primi trattati originali composti interamente in
volgare.
Il taglio dato alla presentazione suggerisce la possibilità di una relazione stretta, in un
certo modo biunivoca, fra tradizione volgare, o legata alla cultura volgare, e mondo
laico, almeno a partire dal XII-XIII secolo.
In questo quadro di contatti reciproci e di aspirazioni dell'espressione volgare verso i
livelli più alti della ricerca intellettuale va inserito, ad esempio, il Convivio di Dante,
progettato come vasta enciclopedia morale, destinata ai laici che non conoscono
sufficientemente il latino: il trattato è composto in volgare e, attraverso le canzoni
dottrinarie di cui era previsto il commento, risulta legato ad alcuni degli aspetti più
rilevanti della cultura letteraria romanza, soprattutto quella che si era venuta
configurando in Italia, con un'assoluta centralità della lirica di tradizione colta.
Entro il confronto tra latino e volgari, una svolta che si può considerare definitiva si
avrà alla fine del Medioevo e all’inizio dell’età moderna, in concomitanza con una
serie di sconvolgimenti culturali e sociali e con l’invenzione e il perfezionamento, ad
opera di Gutenberg, della stampa a caratteri mobili.
La Stampa, incrementando a dismisura la circolazione e la possibilità di fruizione di
libri scritti e quindi accrescendo il pubblico potenziale di lettori, contribuì in maniera
determinante anche alla definitiva regolarizzazione delle lingue e all'affermazione di
norme nazionali.
Il processo di affermazione ed espansione delle lingue moderne sarà, comunque,
lento e graduale. Il latino nella prima Età Moderna si riduce progressivamente ad

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ambiti eruditi, letterari e accademici, in aggiunta a tutti gli usi ufficiali della Chiesa
Cattolica. Tuttavia, anche molto oltre questo limite la continuità latina si mantiene
forte in ambiti di alta cultura, specie quelli universitari.
Anche nel 500, il secolo che vede l'affermazione definitiva dei volgari romanzi, il
latino ha ancora funzione di strumento culturale e intellettuale. La resistenza e
persistenza del latino è testimoniata, sempre nel Cinquecento, dalle controversie che
opposero i fautori del latino ai sostenitori del volgare, contrasti questi che si legarono
e sovrapposero ai conflitti religiosi dell’età della Riforma, nei quali, nuovamente, la
questione della lingua come elemento qualificante della fede e della pratica religiosa
rivestì un peso non indifferente.

1.3.7 Autore, autorità, tradizione

Negli studi letterari, sino almeno all’età Moderna, vige una distinzione di gerarchia
tra il generico creatore dell’opera, nel nostro caso lo scrittore o compositore di un
testo letterario, e l’autore.
Quest’ultimo è uno speciale creatore, al quale è stata attribuita per comune consenso
la qualità di creatore d’eccellenza e la funzione di modello accettato e approvato.
L'autorità è, invece, il potere di convinzione e di persuasione di un filosofo, di un
poeta o di un oratore, potere giustificato dalla fides loro attribuita, dalla superiorità e
dall’ascendente esercitato.
Gli autore letterari, dunque, sono esempi e modelli stilistici, oggetto di imitazione e
parametro di valutazione delle nuove creazioni. Ad essi è attribuita l'auctoritas,
l’autorevolezza, e quindi il potere di persuasione.
Un’ulteriore questione si collega ai principi di autorità e autorevolezza: il principio di
paternità delle opere.
Nel Medioevo la paternità autoriale non è mai scontata; a ciò consegue la non
obbligatoria presenza di luoghi materiali nel testo dedicati ad accogliere l’indicazione
dell’autore. Ciò si traduce, quindi, nella frequente omissione del nome dell'autore in
apertura delle opere copiate nei manoscritti quando non prevalga la percezione del
prestigio dell’autore.
In campo romanzo, tutti i più antichi testi sono anonimi e moltissimi nelle epoche
successive, come conseguenza anche della condizione più incerta del volgare rispetto
al latino, ma forse più decisamente di fattori legati alle tradizioni e ai generi.
La situazione così enunciata evolve nel tempo, come conseguenza della
contrapposizione tra latino e volgari e della dialettica che si stabilisce rispetto alla
percezione e classificazione delle attività intellettuali e linguistiche e quindi rispetto
alla condizione dello scrittore in lingua volgare: la concezione della paternità
autoriale, quindi, si afferma progressivamente, in condizioni mature.
In termini generali si può dire che la coscienza autoriale si sviluppa e si afferma nel
momento in cui si afferma una tradizione letteraria, che è cosa diversa dalla semplice
esistenza di una produzione anche diffusa di opere. Si deve, cioè, costituire una
letteratura in volgare, cosciente della propria esistenza.
La condizione di anonimato, di conseguenza, è legata ad opere considerate di livello
basso, associate a pratiche di tipo latamente giullaresco, come per esempio quasi tutti

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i fabliaux francesi, i cantari italiani e i romances spagnoli.


Rivestono, pertanto, un ruolo determinante fattori legati al prestigio culturale e
letterario che, nella percezione e nella sensibilità dei contemporanei, viene
riconosciuto alle opere, ma anche agli autori, non sempre pacificamente associabili
tra loro nella generica categoria degli uomini di lettere.
Opposta, come abbiamo già accennato, è la situazione che si registra nell’ambito
della lirica cortese. La tradizione della lirica dei trovatori provenzali si costruisce a
partire da un’acuta percezione delle individualità degli autori. In queste scuole di lirca
cortese, dunque, i nomi degli autori sono di regola tramandati e la maggioranza dei
testi conservati compare nei codici manoscritti provvista di attribuzione e per lo più
organizzata in solide sezioni.
Alla fine del 13º secolo, prendendo le mosse da questa tradizione e da questa distinta
percezione dell'individualità dell'autore lirico, Dante riannoda con una incomparabile
profondità dottrinaria e straordinaria prospettiva di visione storica le fila della
riflessione circa la condizione dello scrittore di cose volgari, con La Vita Nova e il De
Vulgari eloquentia, e opera un salto qualitativo epocale, reclamando in particolare per
primo per i vulgares eloquentes la pienezza di condizione autoriale attraverso
l'acquisizione ad essi della qualificazione di poeti, sino ad allora riservata alla sola
produzione in lingua latina.

1.3.8 Lo statuto e la presentazione dei testi

I testi, antichi e moderni, vengono di norma presentati al lettore in un formato


editoriale fondamentalmente indifferenziato se non per tipologie (romanzi, poesie,
lettere e altre ancora) e che rispetta una serie di convenzioni correnti: allineamenti,
margini, punteggiatura. In sostanza, il testo a seguito di questa operazione appare
come un organismo definito, formalmente chiuso, vicino al lettore nel suo aspetto
esterno, stabilito da convenzioni tipografiche; e sulla base di questa premessa formale
esso viene normalmente utilizzato.
Sotto la superficie, però, la realtà dei fatti si presenta assai meno scontata e talora
molto problematica, tanto che lo stesso statuto primario del testo, cioè la sua esistenza
nella forma e nel dettato conosciuto, può essere seriamente messo in discussione.
Procedendo per gradi, si può innanzitutto rilevare una mancanza di congruenza, in
aspetti sia formali che sostanziali, tra i testi come oggi li leggiamo stampa e come ci
sono stati conservati da trascrizioni antiche: i testi anteriori all'Età Moderna derivano
da trascrizioni manoscritte o anche a stampa che spesso, specie per i testi antichi,
divergono dalla redazione oggi corrente.
Nel tempo si modificano le convenzioni scrittorie e le modalità di confezione di libri,
dai manoscritti alle varie epoche della stampa sino alle tecniche digitali. Ciò significa
che l’operazione di allestire e presentare un testo non contemporaneo implica
comunque un intervento, magari minimo, di comprensione, interpretazione e
ricodificazione dell’oggetto e non si può parlare di una pura, asettica trascrizione.
Esiste un problema generale di corrispondenza o conformità alla volontà dell'autore
dei testi oggi noti e correnti, in quanto trasmessi inizialmente e conservatici attraverso
non originali, ma copie di qualità ed esattezza non garantita: problema che certamente

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è più grave per i testi antichi ma che si presenta tuttavia anche per quelli moderni. Ciò
in primo luogo:
 perché mancano gli autografi per tutti i testi più antichi (i primi conservati per
la letteratura italiana sono di Petrarca e di Boccaccio);
 perché sino all’invenzione della stampa la trasmissione delle opere è stata
affidata agli incerti della copia manoscritta;
 perché in epoca più recente, e sino ai nostri giorni, vicende editoriali o
tipografiche possono avere in varia misura inciso sull’assetto delle opere:
 perché, infine, in ogni epoca e in ogni modalità di diffusione va sempre
considerata l'eventualità di modificazioni di varia entità contrarie e comunque
indipendenti dalla volontà dell'autore.
Si pone, di conseguenza, una questione generale di affidabilità, sicurezza e credibilità
del testo che ci è giunto attraverso simili condizioni di trasmissione.
Problema ancora diverso è quello dei testi di carattere tradizionale e popolare, ai quali
non è applicabile la nozione di autore individuale e che vanno affrontati con
particolari avvertenze e cautele, viste innanzitutto le peculiari modalità di
conservazione e trasmissione.
In ogni processo di trasmissione di un testo, quindi, si presentano inevitabilmente
errori di trascrizione, i quali devono essere individuati e, se possibile, eliminati,
attraverso il confronto di tutte le copie disponibili: come critica del testo intendiamo,
dunque, l'insieme di tecniche e di operazioni finalizzate ad offrire ai lettori
un'edizione critica di un testo che cerchi di riprodurre le intenzioni dell'autore,
sempre in rapporto alla qualità dei dati disponibili, qualità che dipende, ovviamente,
dalle modalità di trasmissione del testo stesso e dalla natura e dalle caratteristiche
delle copie conservate.
In accordo con quanto ora detto, si definisce edizione critica di un testo, il testo
allestito editorialmente, a conclusione di un procedimento di controllo del dettato o
lezione del testo in esame e di sua esatta definizione. Si pone, dunque, in opera un
procedimento di verifica e fissazione del testo in esame che parta dall'esame e dal
confronto di tutte le testimonianze ritenute utili e significative. Tale operazione di
controllo critico è necessaria anche nel caso, molto raro per i testi medievali, in cui si
disponga di una copia, manoscritta o a stampa, redatta sotto il controllo dell'autore e
da lui autorizzata, detta idiografo, o anche di un autografo vero e proprio.
I successivi passaggi che scandiscono l'operazione di definizione del testo critico
sono:
 procedere, prima di tutto, ad un censimento delle attestazioni disponibili, cioè
delle varie copie, del testo esaminato, dette anche testimoni; l'insieme dei
testimoni forma la tradizione del testo;
 stabilito l'elenco dei testimoni, si passa ad una loro analisi comparativa,
finalizzata ad eliminare reperti inutili. Si utilizzano, a questo fine, criteri di
valutazione di ordine più propriamente filologico integrati con altri di ordine
linguistico, letterario e storico-culturale, riferiti sia all'epoca e all'ambiente nel
quale possiamo collocare il testo, sia anche al singolo autore, ciò che si indica
spesso con la definizione latina di usus scribendi;

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 è opportuno, qualora sia possibile, cercare di distribuire i testimoni di un testo


in un albero genealogico, o stesso codicum, una rappresentazione grafica della
tradizione manoscritta di un testo. Al vertice della ricostruzione virtuale dello
stemma si colloca idealmente l’originale dell’autore, ma è talora identificabile
un archetipo, ossia un capostipite dell’intera tradizione manoscritta non più
identificabile con l’originale a causa di errori o alterazioni già in esso presenti
e poi trasmessi a tutti i discendenti;
 partendo dai materiali di base disponibili e sottoponendoli a critica e verifica
sulla base dei criteri linguistici, letterari e filologici sopra illustrati, l’editore
critico dovrà definire una lezione criticamente controllata e giustificata del
testo in esame.
L'obiettivo posto dalla critica del testo è quello di isolare e, se è possibile, eliminare
dal testo eventuali errori e quindi di far si che il testo si avvicini il più possibile a
quella che era la sua stesura originaria; l’operazione, comunque, va condotta tenendo
sempre presente che l'originale dell'autore normalmente non è con sicurezza in toto
attingibile e che, anche qualora le condizioni lo consentano, la ricostruzione condotta
con metodi formali può giungere a riguardare semmai l'archetipo, non l’originale. Il
testo stabilito dall’editore viene affiancato dalle varianti presenti nella tradizione,
ossia da tutte le altre lezioni alternative a quella scelta che s’incontrano nei relatori
del testo. Si può trattate sia di errori, di lezioni, cioè, non ascrivibili a vario titolo
all’autore, sia di varianti equivalenti o adiafore, che vengono scartate a seguito
dell’esame comparativo e dei rapporti tra testimoni. Tutte queste varianti sono
presentate in un’apposita sezione denominata apparato delle varianti.
Questa metodologia indicata per i testi antichi vale anche per i testi moderni e
contemporanei. Innanzitutto una verifica è sempre opportuna per l'individuazione di
eventuali errori tipografici; più sostanzialmente, un’operazione di collazione tra copie
e di riscontro sugli originali, ove disponibili, è da considerare doverosa in tutti quei
casi in cui non si abbia sicurezza che il processo di stampa e diffusione sia avvenuto
sotto il controllo dell’autore e ne rispetti appieno le volontà.
Identicamente si procede quando si disponga di ulteriori copie d'autore, posteriori alle
stampe e non più giunte alla luce, in cui l'autore abbia introdotto correzioni e varianti.
Queste considerazioni sono valide per uno stadio maturo del rapporto e delle
modalità in cui si esplica l’attività letteraria: una situazione nella quale è conferita
sicura dignità all’autore e si valorizza il processo di elaborazione del suo testo.
Il testo romanzo dei primi secoli, invece, viene spesso profondamente modificato nel
corso della sua trasmissione, quindi dopo essere stato ultimato dal suo creatore e
senza il suo intervento.
Quello volgare del Medioevo è, dunque, assai spesso un testo in divenire fuori del
controllo dell’autore.

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2. Il problema delle Origini romanze

La definizione di Origini Romanze individua il processo di formazione di nuovi


sistemi linguistici e di tradizioni letterarie nei vari domini romanzi. Essa riunisce in
sé due macro-fenomeni da collocare in epoca alto-medievale:
1. la formazione e stabilizzazione delle parlate romanze e, in particolare, il
delinearsi delle varietà linguistiche romanze che costituiscono la base delle
lingue letterarie medievali e successivamente delle lingue nazionali e ufficiali
del mondo moderno e contemporaneo;
2. la formazione e affermazione delle letterature volgari, cioè di tradizioni di
composizione in volgare di testi e di sistemi di testi strutturati.
In estrema sintesi, osserviamo, difatti, che:
 le lingue romanze, quali sistemi linguistici regionali distinti dal latino e tra di
loro, esistono dall’inizio del IX secolo, ossia dall’età carolingia;
 le letterature romanze, come sistemi organizzati di tradizioni linguistico-
letterarie impiantate in forma strutturata e continuativa nelle varie regioni della
Romània, esistono dall’inizio del XII secolo per l’area gallo-romanza e
dall’inizio del XIII secolo per l’area iberica e per quella italiana. Possiamo,
quindi, indicare due fasi, da collocare intorno all’anno 1100 e intorno al 1200,
quali momenti di affermazione di tradizioni letterarie volgari rispettivamente in
area gallo-romanza e nelle due distinte aree iberica e italiana.
I due ordini di problemi, quello linguistico e quello letterario, si incontrano su un
terreno speciale, che finisce col rappresentare una sorta di livello ulteriore sul quale si
distribuiscono gli oggetti di studio e che richiede speciali modalità di descrizione:
3. l’insieme delle attestazioni scritte e delle tradizioni di scrittura, abbracciando
nell’espressione una varietà di fenomeni legati ad aspetti tecnici e materiali,
dalle forme grafiche alle tradizioni manoscritte dei testi romanzi e alle
tipologie di manoscritti che esse coinvolgono. Si tratta da un lato dei dati di
partenza di cui disponiamo per fondare le ricostruzioni dei processi linguistici,
peraltro essi stessi soggetti ai problemi di definizione critica del testo e del
dettato; dall’altro i testi scritti, specialmente quelli di carattere letterario, ci
appaiono come le tappe che scandiscono l’emergere di una capacità espressiva
nuova e autonoma e di un pubblico che in essa si possa riconoscere e sia quindi
anche interessato alla sua conservazione. All’interno dell’ultima questione è,
intanto, da isolare:
3a. la formazione di sistemi ortografici specifici per la trascrizione del volgare (in
quanto contrapposto al latino) e dei vari volgari, differenziati anche sotto questo
aspetto per tradizioni geografiche.
È poi da chiarire che per tutta l’età medievale la circolazione dei testi avviene
secondo modalità diverse da quelle attuali e in generale definite, al livello sociale
e culturale, da fattori quali:
3b1. la presenza di forme diffuse di trasmissione orale, affidate ad esecutori
professionisti, i giullari, talora specializzati in determinati repertori;
3b2. la civiltà della copia manoscritta (la stampa a caratteri mobili si diffonde a

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partire dalla seconda metà del XV secolo).


Gli ultimi due aspetti insistono su un dato di base che li accomuna: l’assenza di
strumenti meccanici di riproduzione delle opere e dei prodotti librari.
Tutto questo insieme di fenomeni avviene nel quadro della dialettica complessiva tra
latino e volgari, scontando dunque la condizione ostativa rappresentata da:
4. la supremazia culturale del latino sul volgare.

2.1 Lingue e letterature: latino e volgari

Lo sviluppo delle lingue e lo sviluppo delle letterature sono tra loro differenti e si
svolgono secondo modalità e cronologie diverse l’una dall’altra.
È, innanzitutto, evidente che l’affermazione delle parlate romanze, avvertita a livello
di coscienza linguistica e confermata dai primi documenti scritti, precede di molto
l’apparizione dei primi testi letterari romanzi. Inoltre, c’è un’ulteriore divaricazione
cronologica: sia per le lingue che per le letterature si produce uno iato sensibile tra
l’epoca presumibile dei fenomeni e l’epoca della loro documentazione, iato
determinato in estensione e caratteristiche da fattori storico-culturali di vario ordine.
Dietro alle modalità di apparizione delle lingue e delle letterature e al loro
consolidamento in quanto sistemi, sia pure di natura profondamente diversa, dietro
anche alla sfasatura nella cronologia tra aree e movimenti si avverte il peso di un
fattore determinante, rappresentato dal latino. La presenza egemonica del latino nel
livello culturale ed espressivo più alto intervenne a contrastare e a ritardare
l’emersione delle lingue e letterature romanze: il latino, quindi, opera contro
l’apparizione nello scritto dei volgari in qualità di argine o filtro.
Il sistema linguistico e letterario latino ci appare così rispetto ai volgari in una
posizione contraddittoria: esso funge da ostacolo, sia tecnico che culturale, e però
anche da modello, mettendo tra l’altro a disposizione un enorme repertorio strutturato
di forme e di temi. Una piena affermazione del volgare nelle tradizioni scritte, come
poi vedremo, si verificherà solo nel Basso Medioevo, per imporsi in maniera più netta
a partire dall’età della stampa e dell’Umanesimo, ossia dai primi decenni del XVI
secolo, contemporaneamente alla normalizzazione dei sistemi ortografici e all’inizio
della riflessione grammaticale sulle lingue.
Un aspetto delle Origini Romanze di particolare rilievo nell’ottica qui adottata è
quello del momento di passaggio allo scritto, ossia di conquista, da parte dei volgari e
di ciò che si scrive in volgare, di una propria dimensione autonoma e specifica.
I più antichi testi romanzi ci appaiono come prodotti della civiltà grafico-linguistico-
letteraria latina, e in quanto tali risultano riconducibili a centri dai connotati definiti:
inizialmente, prevale nettamente l’impronta monastica, con apporti dall’ambito
giuridico e cancelleresco, come i Giuramenti di Strasbrugo.

2.2 Letterature romanze: una scelta necessaria?

Questo snodo essenziale, che si manifesta col conseguimento di una tradizionalità


letteraria, legata cioè alla scrittura colta e alla lettura, ha in sé un aspetto particolare,
quello cioè del possibile carattere “non necessario” e anzi “volontario” dell’adozione

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del volgare da parte degli scrittori medievali: essi avrebbero potuto continuare ad
usare come strumento espressivo quello ancora corrente nei medesimi ambiti di
scrittura, ossia il latino. Nel mondo romanzo medievale, invece, i capiscuola si sono
coscientemente distaccati dalla tradizione letteraria latina, adottando le lingue volgari
e creando, da queste, un complesso innovativo di testi, forme, generi, capace di
costruire rapidamente diverse tradizioni scrittorie.
Questa scelta, in ogni caso, non è dipesa solo dall’esistenza di autori volgari, ma da
una compartecipazione di autori e pubblico ad una stessa sfera comunicativa: scrittori
e pubblico hanno, quindi, prima ancora che i testi conservati, condiviso una lingua e
con essa una cultura volgare, costituita valori, temi, miti, forme espressive in via di
elaborazione. Non si intende, con questo, negare o sminuire la funzione della
mediazione letteraria latina: è vero, però, che a un certo momento si manifestò
un’opzione articolata in favore della scrittura in volgare. Tuttavia questa scelta,
cosciente e volontaria presso i singoli autori, fu in sostanza una scelta storicamente
obbligata, così come fu obbligata quella per il volgare nella comunicazione, ad un
tempo pratica e strutturata, della predicazione, sancita dal Concilio di Tours dell’anno
813. Entrambi gli orientamenti furono conseguenza di una rottura nel sistema
comunicativo avvertita ormai con nettezza in età carolingia, che impediva la
continuazione di soluzioni stilistiche e soprattutto linguistiche di compromesso, e che
vedeva però al tempo stesso i nuovi testi romanzi come i continuatori ideali di questi
prodotti dell’età anteriore.

2.3 Letterature e culture: eredità classiche e novità medievali, colto e popolare

La questione dell’Origine delle letterature volgari e della relazione tra esse e la


letteratura latina antica e medievale, non ha una dimensione solo letteraria; abbiamo,
invece, a che fare con tradizioni letterarie ancora nella fase di prima definizione; il
processo avviene in stretto rapporto con l’affermazione di sistemi linguistici
innovativi, quelli delle lingue neo-latine, che cominciano ad assumere uno statuto ben
definito, anche nella coscienza dei parlanti, solo intorno al IX secolo. Conviene,
pertanto, riproporre il discorso sul piano delle culture entro le quali inquadrare la
questione delle Origini letterarie romanze. A fronte di questi sistemi culturali e
letterari in via di formazione possiamo scorgere:
 la tradizione culturale latina e specialmente latino-cristiana a cui fa capo tutta
la produzione scritta e che definisce il livello più alto della produzione
culturale e intellettuale del tempo. In questa condizione è quindi inevitabile
che elementi di provenienza latina, classica e medievale, risultino presenti in
testi profani; tutti i più antichi testi letterari, tutti invariabilmente d’ispirazione
religiosa, mostrano, infatti, di essere stati modellati entro la tradizione latino-
cristiana e di utilizzare tratti formali qualificanti, ripresi da scritture latine;
 la tradizione profana e volgare, cui si devono aspetti tipici delle letterature
romanze: temi e motivi legati alle figure del guerriero, del cavaliere, della
dama, alla cortesia, all’amore, all’avventura, comprendenti elementi di tipo
tradizionale, come temi popolareggianti e fondo folklorico, e così pure
possibili riletture basse di motivi di ispirazione religiosa, il tutto espresso in

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forme e tipologie testuali legate a queste estrazioni.


Nel campo letterario-culturale legato ai volgari, l’individuazione di questi due poli
principali (l’eredità latina e latino-cristiana e gli elementi di novità del mondo post-
romano o post-imperiale), permette di focalizzare le due chiavi di lettura che sono
state proposte da varie scuole di pensiero per interpretare il fenomeno delle Origini
delle letterature romanze:
 da un lato, una trafila colta, clericale, mediolatina: l’attenzione è rivolta in
prima battuta verso una letterarietà colta;
 dall’altro lato, una linea popolare: si privilegiano gli aspetti folklorici e le
forme legate a espressioni orali e i nuclei tematici connessi con culture basse.
Nel primo caso si attribuisce rilevanza primaria agli spetti formali della scrittura, agli
influssi della metrica tardo-antica e mediolatina, all’organizzazione retorica e, quindi,
alla qualità complessiva della composizione, alla letterarietà nel senso più ristretto e
rigoroso del termine, che conferisce valore e dignità al prodotto testuale.
Nel secondo caso si valorizzano, invece, gli aspetti tematici e culturali, che
coinvolgono i tipi umani dei protagonisti, gli aspetti di sensibilità e quanto di tutto ciò
modella le strutture e i meccanismi narrativi di fondo. Pertanto, si dà credito alla
possibilità che intorno a questi nuclei originari si siano elaborati nuovi temi e
contenuti legati alla realtà storica del tempo e si siano venuti parimenti organizzando
e affinando dei sistemi formali, metrici e retorici innanzitutto, in grado di esprimerli
secondo modalità innovative, differenziate rispetto alla tradizione latina.
Privilegiare in maniera marcata l’uno o l’altro degli aspetti indicati significa adottare
l’una o l’altra chiave di lettura per la questione della formazione delle tradizioni
letterarie romanze; non è, però, necessario prendere partito in maniera così netta.
Innanzitutto, almeno per l’Alto Medioevo, il periodo per noi decisivo, è preferibile
non introdurre distinzioni rigide tra livelli e sistemi di cultura contrapposti, bensì
pensare in termini di cultura corrente, per cui accanto alla cultura destinata ad una
registrazione scritta (elitaria perché tecnica), ne abbiamo un’altra, non destinata alla
scrittura, che potrà per forza di cose essere chiamata orale.
Una tradizione testuale latina e una volgare, quindi, coesistono e si influenzano: una è
soprattutto scritta, l’altra soprattutto orale. Il problema di fondo è che conosciamo
solo testi scritti, quindi abbiamo necessariamente una visuale distorta della realtà che
qui ci interessa e soprattutto della fase di prime Origini: della letteratura volgare,
come anche della comunicazione in lingua volgare, conosciamo pertanto soltanto ciò
che è stato conservato in forma scritta ad opera di professionisti della scrittura latina.
Vi è, dunque, quale dato basilare e determinante, quello che si potrebbe definire come
un fondo romanzo, per sua natura legato più immediatamente, ma non
esclusivamente, alla dimensione dell’oralità. Il fatto che questo fondo romanzo, per
sua natura legato alla dimensione dell’oralità, a noi sfugga in gran parte per tutta la
fase più antica, quella grosso modo alto-medievale, e che non se ne possa fare storia,
se non per spezzoni e tracce prima che si manifesti la sua transizione allo scritto, non
significa che esso non sia esistito: va semplicemente postulato come un dato di
partenza indispensabile ed ineludibile.
Si tratta di una componente che, a fronte del latino, resta per lunghissimo tempo,
almeno fino a Dante per l’Italia, complessivamente subalterna sul piano della

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formalità letteraria intesa in senso lato e certamente quanto a statuto e ruolo degli
autori. La componente volgare ha però dalla sua l’enorme potenziale conferito
dall’espressione naturale contrapposta ad una lingua nella peculiare condizione in cui
si trovava il latino medievale: non lingua morta, certamente, ma neppure viva se non
in una dimensione meramente intellettuale.
La situazione evolve in epoca basso-medievale, a seguito dei profondi cambiamenti
delle società e all’emergere di nuovi ceti borghesi, legati al commercio e alle attività
economiche dell’artigianato. Fra il XIII e il XIV secolo, infatti, si assiste al distacco
tra due tipi di pubblico: non più clerici e illitterati, separati da un abisso tecnico e
tuttavia partecipi di una cultura sostanzialmente unica, ma alfabetizzati e non
alfabetizzati; i primi dominano un complesso di pratiche economiche e giuridiche
profondamente legate alla scrittura, i secondi depositari di una cultura tradizionale,
con meccanismi di sviluppo estremamente lenti, pure se destinata a commescersi con
echi e stimoli provenienti dalla letteratura scritta per creare nuovi modelli di gusto e
nuove pratiche compositive dotate di specifica originalità.

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3. Tarda Antichità e Alto Medioevo

L'inizio del medioevo è legato alle invasioni barbariche, causa di un autentico e


repentino collasso dell'Impero, che si dissolve in Occidente lasciando posto ai regni
romano-barbarici. Il fenomeno è, in realtà, complesso e si prolunga nel tempo: a parte
il singolo avvenimento per noi eclatante, la deposizione, cioè, dell'ultimo imperatore
d'Occidente, Romolo Augusto ad opera del re erulo Odoacre (476 d.C.), ci
confrontiamo con un processo graduale di disgregamento e ricomposizione.

3.1 Il quadro storico di riferimento

Una crisi del sistema imperiale romano si profila già nel III secolo d.C. e con
Diocleziano, alla fine dello stesso secolo, si ha l'ufficializzazione della separazione in
due parti, occidentale e orientale, dotate di relativa indipendenza politica,
amministrativa e militare. Questa divisione sancisce la differenza tra un Occidente
culturalmente e linguisticamente latino e un Oriente greco. La separazione non è,
però, totale né immediata: consistenti comunità latine si manterranno sino al VI
secolo in diverse città importanti del Mediterraneo Orientale e fino all'epoca di
Giustiniano la cancelleria imperiale conservò l'abitudine della scrittura il latino, come
fattore anche simbolico di continuità col passato. Tuttavia, nelle regioni orientali il
greco prevalse in maniera rapida, assorbendo completamente le identità latine.
Alla fine del IV secolo e poi soprattutto nel V secolo d.C., in Occidente l'unità
politica si disgrega, a seguito innanzitutto delle invasioni e dell’insediamento di
popolazioni barbare, soprattutto di stirpe germanica. Ne consegue l'indebolimento, se
non la vera e propria distruzione, del centro, prodottasi anche a livello simbolico col
saccheggio di Roma da parte dei Visigoti e poi dei Vandali. A ciò segue la formazione
di una serie di regni, di organismi politico-amministrativi, fondati su nuclei di
popolazioni germaniche. Inizialmente questi regni furono formalmente dipendenti
dall'autorità imperiale e in non pochi casi conservarono questo legame anche per
lungo tempo.
Le conseguenze di questa crisi politico-istituzionale, economica e sociale furono
gravissime anche sul piano culturale e linguistico:
 viene a mancare un'autentica unità politica, un centro; vengono duramente
colpite anche le città, da sempre elemento cardine della penetrazione romana e
del sistema di controllo del territorio: la percentuale di popolazione residente
nella città diminuisce in maniera drastica.
 le invasioni con i loro aspetti più brutali, saccheggi e distruzioni, e le guerre
che si susseguono causano danni gravissimi, talora irreparabili, in settori
estremamente delicati come quelli dell'istruzione e dei patrimoni librari.
 appaiono nuovi diritti, fondati sulle tradizioni etniche delle nuove popolazioni,
prima alleate, poi indipendenti nei nuovi organismi statali, con differenziazioni
reciproche anche sensibili.
Ulteriori modificazioni degli assetti territoriali si producono tra il VI e l'VIII secolo:
 le divisioni del dominio franco nell’età precarolingia e carolingia;

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 gli sconvolgimenti prodotti nella Penisola iberica dall'invasione arabo-berbera


del 711, con la conseguente ridefinizione della presenza cristiana in una serie
di regni e principati nel settentrione della Penisola;
 le suddivisioni interne all'Italia a seguito dell'invasione longobarda e
dell'insediamento di un Regno Longobardo nel Nord, destinato a durare sino
all'età carolingia, di ducati longobardi nel Centro e, contrapposti ad essi, di
territori controllati da Bizantini.
Su queste basi si attuano le ricomposizioni degli assetti politici e culturali,
corrispondenti in sostanza assai bene anche ai dati linguistici, che definiscono il
quadro istituzionale dell’Europa tra inizio dell’XI secolo e inizio del XIII.
Ripercorriamone in sintesi i momenti salienti.
Il Regno di Francia si forma a seguito del rapido collasso dell'unità imperiale voluta
da Carlo Magno. Già sotto i primi sovrani di stirpe carolingia si manifesta una
relativa e poi sempre più grave debolezza delle istituzioni centrali rispetto ai grandi
feudatari.
Un nuovo scenario è aperto dalla conquista normanna dell'Inghilterra da parte di
Guglielmo il Conquistatore: lingua e cultura francese, quindi, sono riversate in
Inghilterra attraverso le istituzioni di impianto normanno-continentale e attraverso
l'aristocrazia, cui sono segnati in gran parte i feudi e sono attribuiti ruoli di controllo
nelle istituzioni ecclesiastiche, monasteri e vescovati; al contrario, il contatto che si
stabilisce col mondo celtico è all'origine di alcune delle più grandi invenzioni
letterarie del XII secolo, destinate a persistere nella tradizione Occidentale (Artù, i
cavalieri della Tavola Rotonda, il Santo Graal, Tristano e Isotta).
La Prima Crociata, culminata con la conquista di Gerusalemme nel 1099, portò alla
costituzione di un gruppo di Stati cristiani nell'oriente mediterraneo: la loro esistenza,
anche se all’inizio precaria, significò comunque la presenza di volgari romanzi,
principalmente del francese, lingua di corte e della letteratura, in quello che si usa
oggi indicare come Oriente latino.
Nella Penisola Iberica, i principati cristiani sopravvissuti all'invasione araba del 711
consolidano la loro posizione, dando vita a veri e propri stati, spesso in conflitto tra
loro per la supremazia locale, oltre che con i musulmani.
L'isolamento politico e culturale di questi regni rispetto al resto dell'Europa cristiana
è marcato, con l'eccezione della Catalogna, estremo lembo di un'Europa carolingia e
post-carolingia nella quale ci appare fortemente integrata. Dall'inizio dell'XI secolo si
manifesta con vigore la spinta alla Reconquista a danno del califfato musulmano, che
controlla più della metà della Penisola; acquisizioni importanti avvengono tra l'XI e il
XII secolo, ma è soprattutto il XIII secolo a vedere il crollo definitivo della potenza
araba sotto la spinta decisiva della Castiglia.
Per quanto riguarda l'Italia, invece, all'alta frammentazione del Nord e di parte del
centro, dove si comincia a delineare l'importanza della società comunale e della Città,
attorno alla quale si andranno definendo le realtà linguistiche e culturali poi attestate
a partire dal XII secolo, fanno da contraltare alcuni importanti principati laici ed
ecclesiastici del centro e soprattutto il grande Stato normanno del sud, organizzatosi
in pochissimo tempo nella seconda metà dell’XI secolo.
La divisione e la frammentazione dei poteri conseguono all'assenza di un'autorità

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centrale non solo formale tra X e XI secolo; successivi tentativi, come quelli degli
imperatori germanici, finalizzati a ripristinare forme di potere centrale e una relativa
unità, si scontrarono con resistenze fortissime di autonomie locali già consolidatesi, le
quali furono poi all’origine degli Stati e dei principati dell’Italia basso-medievale e
moderna.

3.2 Fra Tarda Antichità e Medioevo: fattori di continuità, fattori di


cambiamento

La fase di snodo tra la Tarda antichità e l’Alto medioevo è molto importante dal
punto di vista storico generale, ma lo è anche dal punto di vista della storia linguistica
dell'Occidente, dal momento che è tra il V e il VI secolo che conviene collocare il
momento di prima crisi della latinità come sistema linguistico unitario e come
insieme culturale.
La cesura tra Mondo Antico e Medio Evo non è nettissima e la trasformazione si
produce in un lasso di tempo relativamente lungo. In questa fase di passaggio si
manifestano alcuni fattori di continuità e in certo modo anche di stabilità:
integrazione tra invasori e romani, ad esempio, si realizza ovunque nel medio-lungo
periodo. Oltre alle differenze culturali, sociali e linguistiche, un ostacolo rilevante,
superato nel tempo, è dato dalle diversità religiose: la Chiesa, però, si afferma
definitivamente come fattore di ordinamento e consolidamento sul piano
amministrativo e su quello della pratica religiosa; soprattutto il riconoscimento della
sede del papato portò con sé il mantenimento non solo di una centralità romana, ma
soprattutto di un'idea di centro.
Sopravvivono, infine, in tono minore rispetto al passato imperiale, la scuola e le
strutture amministrative di gestione del potere.
Manca, però, nel quadro sin qui abbozzato, un ulteriore fattore, forse l’unico davvero
determinante sul terreno dei fenomeni culturali che qui interessano. Alle spalle della
Chiesa come istituzione e anche del mantenimento del latino come lingua unificante
dell'Occidente sta, infatti, una realtà innovativa: il cristianesimo. È una delle religioni
rivelate, ha dunque a suo fondamento un corpus testuale, le Sacre scritture. La Bibbia,
eccettuate alcune presenze del testo greco quasi esclusivamente molto antiche, circola
in Occidente in latino e in varie versioni tra le quali è destinata ad affermarsi quella
detta Vulgata, redatta da San Girolamo alla fine del IV secolo. Non solo la Bibbia è
un testo scritto, che va letto e compreso innanzitutto a livello letterale, da cui
discende la necessità di una preparazione grammaticale di base in latino, ma è un
testo difficile che necessita di interpretazione e richiede un apposito apparato di
commento a più livelli. L’esegesi cristiana, che si può dire cominciata già con le
Epistole di San Paolo, si sviluppa impetuosamente con l’opera dei Padri della Chiesa
e produce una letteratura amplissima e, in Occidente, ovviamente in latino.
Tra i padri della Chiesa, in Occidente, ha importanza determinante Sant'Agostino,
vescovo di Ippona, non solo per la rilevanza intrinseca dei suoi scritti per gli aspetti
dottrinari e per la loro qualità anche formale, ma soprattutto come principale
promotore di un'opera di mediazione a tutto campo tra la tradizione classico-pagana e
la tradizione cristiana. Nel progetto di Agostino e nella sua stessa pratica di scrittore e

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di guida della Chiesa, il sistema di istruzione antico, fondato sulle arti liberali, già
finalizzato alla formazione del cittadino delle classi dirigenti romane, viene
riconvertito è riorientato in senso cristiano, finalizzato alla formazione di un
sacerdote; l'insieme dell'istruzione comincia anche ad assumere l'assetto che sarà poi
tipico del medioevo, con l'articolazione su tre discipline a formare il cosiddetto
trivium di base (grammatica, retorica, dialettica), cui seguivano le quattro del
quadrivium (geometria, aritmetica, astronomia, musica).
Il modello agostiniano si impone rapidamente e fonda ciò che è per noi il Medioevo
cristiano occidentale nella tradizione delle lettere latine. Esso è sostanzialmente
adottato a base dell'organizzazione dei monasteri di regola benedettina e lì realizzato,
soprattutto dal VII secolo in poi, nella duplice pratica dello studio e della trascrizione
dei codici: nella fase delicata di trapasso, le istituzioni monastiche accolsero il
compito di conservare e proteggere una parte significativa del patrimonio letterario
del mondo latino.
Per quanto ci interessa, il confronto tra testi cristiani e classici non è sempre scontato:
dall’età carolingia in poi, esso è fonte di varie tentazioni, prima di monaci, attratti dal
fascino delle lettere classiche, che dovevano invece essere mantenute nel rango in
fondo servile delle discipline strumentali, e poi di intellettuali legati alle scuole
cattedrali, spesso irregolari, cioè non inseriti in un ordinamento definito.
È utile, a questo punto, una comparazione con la condizione dell’arabo classico: nei
paesi arabi si presenta una situazione che a prima vista ha diversi tratti in comune con
quella della Romània medievale; una sola comunità araba, con un solo libro sacro in
arabo, con una sola lingua alta e scritta, ma con numerosi dialetti nazionali. La
differenza è che nei paesi arabi ci sono comunque stati moderni e c'è un sistema
scolastico capillare; i dialetti guadagnano spazio nelle forme artistiche orali, ma
continuano a restare sostanzialmente fuori dalla letteratura.
Alcuni tratti distintivi vanno in primo luogo segnalati. Al momento in cui Maometto
scrisse il Corano, l'arabo era una lingua di una comunità ristretta, molto coesa;
l’arabo di fatto non aveva una letteratura scritta, mentre esistevano generi poetici
affidati esclusivamente alla memoria; infine, quella araba era allora una società molto
semplice e poco articolata, legata al mondo della pastorizia nomade e alle attività
mercantili. Inserendosi in questo contesto, il Corano, che creava dal nulla la
letteratura araba con un testo sacro, si impose come unico punto di riferimento
linguistico-letterario, impedendo di fatto qualsiasi evoluzione innovativa nella lingua
letteraria ufficiale.
Inoltre, durante l'espansione, l'arabo, lingua del Corano e del Profeta, fu fattore di
unificazione e di identità religiosa.
Sono evidenti le differenze che si stabiliscono intorno a questi punti cruciali con la
situazione del mondo latino tardo-antico e con l’immissione del cristianesimo e del
suo libro sacro in questo contesto. Intanto il mondo latino preesiste al cristianesimo;
si tratta di una realtà linguistico-culturale che viene sì gradualmente cristianizzata,
con effetti anche traumatici, ma la cui esistenza non viene mai messa seriamente in
discussione. Di conseguenza, la traduzione latina della Bibbia si inserisce in un
contesto linguistico-letterario articolato, cui corrisponde la pluralità di livelli e registri
stilistici richiesta da una società complessa ed evoluta, che tra l'altro fa ampio e

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variegato uso della comunicazione scritta. Tra questi registri, anche la versione
biblica trova la propria collocazione, accettando la norma grammaticale antica, ma
rifiutando l’adesione alla gerarchia stilistica della letteratura classica in nome di
un’apertura, umile, verso i ceti inferiori: da un lato, quindi, la Bibbia non viene
affatto ad assumere il ruolo di unico e stabile punto di riferimento linguistico-
letterario che è proprio del Corano nella società arabo-islamica; dall'altro, la volontà
di garantire la comprensione, adeguandosi alla lingua corrente o quantomeno
tenendone conto, orienta sin dalle fasi più antiche l'opera degli scrittori cristiani e in
particolare quella dei traduttori biblici. A facilitare l’adattamento alle parlate correnti
è la stessa ampiezza della variazione linguistica interna al mondo romano, dunque al
latino, con l’ammissione di una possibilità “rustica”, condannata e disprezzata dai
retori classici, ma comunque non percepita come estranea e poi rivalutata e fino a un
certo punto accolta dai cristiani.
Nei secoli seguenti, la produzione alto-medievale latina linguisticamente più
innovativa apre la strada agli usi scritti dei volgari, in accordo con la tendenza
anticlassica e popolare già propria dei più autorevoli scrittori cristiani di età tardo-
imperiale. La formulazione di lingua romana rustica con la quale il volgare viene per
la prima volta identificato esplicitamente come lingua diversa dal latino (in un
deliberato del Concilio di Tours dell'813) e quelle che ne derivano costruite intorno
all'idea di romanità sottolineano la continuità romana nella riconosciuta diversità
idiomatica.

3.3 La dimensione linguistica nell’eredità culturale latina classica e cristiana

Due aspetti sono da mettere in evidenza come risultati dell'eredità cristiano-latina:


1. la presenza del latino come elemento unificante a livello sia culturale che
linguistico su scala europea. Trasmesso inizialmente dalle istituzioni religiose e
come lingua del cristianesimo romano, in latino si mantenne come lingua di
cultura, del diritto, della scienza, della filosofia, anche oltre la frattura segnata
dalla Riforma del XVI secolo;
2. la presenza, come insieme di tratti associati alla lingua latina, di modalità di
scrittura nell'alfabeto latino e nelle scritture che lo mettono in pratica, le quali
continuano oggi nel maiuscolo (la scrittura capitale epigrafica latina), nel
minuscolo (il sistema della scrittura che designiamo come minuscola Carolina,
stilizzatasi all'epoca della Riforma Carolingia, tra la fine del VIII secolo e
l’inizio del XI) e nel corsivo (una stilizzazione caratteristica di centri
umanistici italiani della fine del XV secolo e dell'inizio del XVI).
Per questi motivi non è errato dire che il latino ha operato per lungo tempo come una
sorta di superstrato linguistico-culturale dell'Europa occidentale e dei suoi
prolungamenti extra-europei, anche indipendentemente dall’appartenenza delle lingue
al gruppo neolatino.
Per altro verso, in epoca tardo-antica si registra una crisi evidente del latino come
modello linguistico unificante in senso verticale, ossia gerarchico, della società.
Assieme al declino generale della cultura e del modello culturale classico che era
stato proprio del mondo romano, va a posto in risalto almeno un secondo aspetto

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decisivo: la dissoluzione dei centri e l'affermazione di tendenze localistiche: un


sintomo quasi emblematico della crisi del modello culturale romano si ha con il
rovesciamento dei valori associati ai termini di urbanitas e rusticitas. Nel mondo
antico il predominio del metro di giudizio fondato sulla urbanitas (raffinatezza,
eleganza ed educazione) è totale, a riprova di un intero modello civile fondato su città
e sulla città per eccellenza, ossia Roma, luogo nel quale agiscono le classi egemoni.
In campo linguistico e grammaticale, per esempio, la rusticitas è condannata senza
appelli, mentre l'urbanitas rappresenta l'ideale espressivo cui tendono tutti i buoni
parlanti latino.
Le differenze sostanziali nell'organizzazione del territorio e nell'incidenza delle
società urbane che si producono nell'età tardo antica, finiscono col riflettersi su
questo sistema e col mettere in discussione il modello ad un tempo centralista ed
elevato della urbanitas.
Cambia anche gradualmente, ma alla fine in maniera decisiva, il sistema linguistico
tardo latino. Ancora in età imperiale esso appare costituito da un complesso di varietà
regionali, articolate internamente e differenziate tra loro per aspetti di pronuncia e
probabilmente anche pero uno spettro ancora limitato di scelte lessicali, le quali però
riconoscevano la predominanza assoluta di una norma centrale coincidente con la
varietà patrizia di Roma, diffusa e insegnata nelle scuole come il buon uso latino, la
cui padronanza era essenziale come tratto distintivo di classe e come strumento per
coloro che intendevano far carriera proprio attraverso l’uso della parola. Questa unità
nel tempo si disgrega e perde il fattore unificante centrale; il riconoscimento
dell'esistenza delle lingue romanze, all'inizio del XI secolo, avviene attraverso
l'accettazione dell'esistenza della rusticitas linguistica come realtà davvero differente
e della quale occorre tenere conto, aprendo così la strada alle prime utilizzazioni
coscienti e formalmente coerenti dei volgari nello scritto.

3.4 Letteratura

La vittoria religiosa del cristianesimo è seguita dal suo trionfo letterario: la letteratura
è ormai solo cristiana. Il che significa la cancellazione di un genere strettamente
profano: la poesia satirica o erotica. I generi eliminati rinasceranno solo con le
letterature vernacolari, dopo l'anno Mille. Ma questo impoverimento è compensato
dallo sviluppo di nuove forme che affondano le proprie radici nel III e nel IV secolo,
tra le quali conoscono un successo crescente i racconti che narrano la vita di un santo.
Poesie religiose e vite dei santi in versi, destinate ad essere declamate e cantate in
occasione delle festività e nei luoghi di pellegrinaggio, e frammenti di sermoni,
prodotto dell'attività di predicazione, sono i più antichi testi letterari romanzi
conservati, espressione di una tradizione latina ed ecclesiastica che si espande, in età
post-carolingia, superando la barriera tra latino e volgari.
Le agiografie costituiscono un caso specialmente interessante. Questo genere
letterario tipicamente latino-cristiano, legato al culto dei santi locali e a pratiche
devozionali, si prestava ad essere utilizzato in situazioni comunicative che
richiedevano una piena e facile comprensione da parte dei fedeli del testo fissato e
come consacrato nella tradizione rituale. La scelta di rivolgersi ai fedeli secondo i

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dettami del sermo humilis, ossia dello stile basso, aveva già portato ad un
sovvertimento sostanziale dell'assetto stilistico-formale del testo letterario.
Gradualmente si affaccia e poi si generalizza un ulteriore termine a definire lo stile
adatto per rivolgersi ai fedeli poco istruiti nell’attività pastorale che così
profondamente differenzia il Cristianesimo dalla religiosità pagana: sermo rusticus.
Tutto questo avviene all'interno di una realtà di comunicazione linguistica percepita
ancora nei secoli VI e VII come latina: per quanto lo scarto tra la lingua scritta e la
pratica orale dovesse essere ormai sensibile, e fosse quindi largamente superata la
corrispondenza tra grafia e pronuncia che era stata caratteristica del latino classico,
tuttavia l’impressione è che gli ascoltatori di quest’epoca fossero comunque ancora in
grado di comprendere un testo composto in sermo rusticus. Certo, però, il sistema
tardo-latino appare soprattutto in Gallia in rapida degradazione a quest'altezza
cronologica: in effetti, per più di un aspetto quello tra la fine del VI secolo e l'inizio
dell'VIII è da individuare come il momento decisivo di transizione tra i due sistemi
linguistici, quello latino antico e quelli non più latini delle lingue romanze emergenti.

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4. Le lingue romanze: cronologia, ipotesi e modelli

La fase di crisi e di evoluzione verso i volgari coincide con un passaggio critico nella
storia della cultura latina, a cominciare dall'istruzione di base, e di eclisse di un
modello culturale costruito su chiare gerarchie, di impianto centralista e classista. La
dimensione orale è dunque quella essenziale: quale premessa della formazione delle
molteplici varietà romanze occorre partire dalla lingua corrente negli strati medi e
subalterni del mondo latino.
Quella latina, come si è più volte sottolineato, doveva essere una realtà nient'affatto
statica, ma diversificata e dinamica; esistevano differenziazioni non solo diastratiche,
ma anche diatopiche.
La transizione dal latino ai volgari romanzi si può ritenere accertata nel momento in
cui un modello di analisi in termini di diversificazione diastratica e diatopica si riveli
ai nostri occhi insufficiente ad illustrare la realtà dei fenomeni, ossia allorquando non
riscontriamo più una distinzione di livelli, bensì di sistemi, da descrivere allora in
chiave di diglossia, stante la permanente continuità del latino nei registri più elevati
dell’espressione, non solo scritta.
Il passaggio può essere scandito secondo tre tappe successive: la prima consiste nella
nascita della nuova oralità, evento che si verifica quando la struttura della lingua
parlata cessa di essere latina per diventare romanza; la seconda è costituita dalla presa
di coscienza di questa metamorfosi e dalla coesistenza di una scrittura e di un’oralità
che non coincidono più; la terza sopraggiunge quando la nuova oralità è consacrata
da una nuova forma di scrittura, la cui natura rivela che si tratta di un cambiamento
radicale.
Questi stadi sono così riformulabili in forma schematica:
1. evoluzione dei sistemi linguistici: il latino classico vale come punto di
riferimento ideale, occorre prendere le mosse dal latino parlato tardo, un dato
già internamente complesso; le nuove lingue si sviluppano in divergenza da
questo, con differenziazioni più o meno accentuate, ma comunque alla lunga
sensibili, cioè avvertibili da parte dei parlanti;
2. presa di coscienza dell'evoluzione avvenuta e della diversità dei sistemi, in due
tempi: innanzitutto, certamente, percezione della diversità in ogni regione tra
latino e parlata volgare, in seguito, come secondo passaggio, sensibilità alla
reciproca distinzione dei volgari; la coscienza della rottura dell'unità latina si
genera nelle varie regioni in momenti diversi, a seconda della rapidità e della
profondità dell'innovazione linguistica, ossia a seconda dell'intensità dello
scarto linguistico;
3. elaborazione e utilizzazione di un sistema di trasferimento nello scritto della
nuova oralità romanza.
Il secondo e il terzo momento sono collocati nel secolo IX, in età carolingia e post-
carolingia, almeno per la Gallia, dove i processi innovativi sembrano aver subito una
accelerazione considerevole rispetto alla Penisola iberica e all'Italia. L'accordo si
fonda sulla presenza di un gruppo di testimonianze e di primissimi testi, ai quali
possiamo attribuire coordinate geografiche e cronologiche ben precise e che
scandiscono in maniera netta alcuni degli ultimi passaggi della fase di transizione.

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Il primo momento, invece, quello della nascita della nuova oralità, è oggetto di
discussione. Le ipotesi in certo modo più tradizionali tendono ad anticipare la
formazione delle parlate neolatine, collocandola in epoca tardo-antica, se non ancora
imperiale, i latinisti, al contrario, tendono a posticiparla, procrastinando il momento
dell’interruzione di una continuità latina e la frattura della sua unità.

4.1 Quattro modelli ipotetici

Del passaggio tra latino e parlate romanze si sono date interpretazioni divergenti, sia
per quanto riguarda la cronologia, sia anche per aspetti sostanziali, specialmente
rispetto al rapporto con il latino, scritto e parlato.
Per raffigurare il percorso che conduce da un sistema ancora chiaramente latino,
all'inizio dell'età imperiale, alle sicure manifestazioni delle lingue romanze nei loro
più antichi testi, a partire dall'VIII secolo in poi, si analizzano quattro schemi grafici
proposti da altrettanti studiosi. In tutti e quattro gli schemi, i processi in atto sono
raffigurati graficamente attraverso linee continue, in particolare per ciò che riguarda
la lingua parlata; questa scelta comune ribadisce l'impossibilità di stabilire un punto
di confine netto all'interno dell'evoluzione linguistica tra una realtà ancora latina e
una neolatina e conferma, invece, la necessità di postulare una fase intermedia, di
transizione.
Lo schema di Arrigo Castellani (pg. 114) è l'unico a cercare di dare conto del duplice
fenomeno di differenziazione dal latino e di differenziazione reciproca che
caratterizza le origini delle lingue romanze e si articola per questo su due tavole.
Nella seconda è illustrato il processo di differenziazione territoriale del latino in
epoca imperiale e di divergenza tra le varie parlate romanze, che acquistano
gradualmente reciproca indipendenza sulla base delle diversità antiche, intensificate e
riorganizzate strutturalmente entro sistemi innovativi. Come eventi notevoli sono
indicati l'Editto di Caracalla, che estese la cittadinanza romana a tutti i sudditi liberi
dell'impero, la riorganizzazione dell'impero da parte di Diocleziano e infine le
invasioni germaniche. Nella prima tavola, invece, è schematizzata la transizione tra il
latino e ogni lingua o parlata romanza. Il latino scritto è assunto come punto di
riferimento costante nella prima linea in alto; l’evoluzione è individuata nel solo
ambito del parlato, che prevede una differenziazione interna di tipo diastatico,
raffigurata attraverso la distanza tra le due linee che delimitano i livelli estremi alto e
basso delle possibili realizzazioni all’interno della lingua latina: la divaricazione dà
l’idea della flessibilità e articolazione del sistema. Il senso complessivo di questa
evoluzione va nella direzione di un livellamento generalizzato verso il basso ed è
esattamente nel livello, anche grafico, inferiore che è individuata la continuità che
porta alle lingue romanze. La cronologia assoluta proposta da Castellani suggerisce
che la definizione di parlate ormai romanze debba essere collocata all'incirca nel V
secolo, alla fine dell'impero, in stretta consequenzialità rispetto alle invasioni
germaniche.
Gli altri tre schemi analizzano, invece, il solo aspetto di distinzione dal latino
all'interno di una sola regione ipotetica, avendo come punto di riferimento soprattutto
l'area gallo romanza.

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Il secondo schema, del linguista americano Robert Pulgram (pg. 115), è abbastanza
simile alla prima tavola proposta da Castellani, anche se Pulgram non illustra
l'articolazione interna al latino parlato e ne semplifica drasticamente la
visualizzazione, supponendo implicitamente l'esistenza di una norma orale alta
prossima allo scritto e ad essa riducibile; egli, inoltre, cerca di dare conto di una
evoluzione anche della norma scritta attraverso l'adozione di una linea spezzata
inclinata con due punti critici, l'uno all'inizio del III secolo, e uno in età carolingia,
intorno all'anno 800, in corrispondenza della Riforma carolingia, che promuove una
ripresa del livello stilistico del latino scritto e l’inizio di una fase indicata come
medioatina; Pulgram, infine, segnala l'inizio di una tradizione scritta delle lingue
romanze in coincidenza con la Riforma carolingia e col cambio di orientamento della
linea indicante il livello dello scritto.
Nello schema di Pulgram l'apparizione di sistemi linguistici chiaramente romanzi è
collocata in fase alto-medievale, tra la fine del VII e l'inizio dell'VIII secolo, dopo
una fase classificata come protoromanza.
Anche il terzo schema, quello di Roger Wright (pg. 116), non individua
l'articolazione interna al sistema latino. La semplificazione serve in questo caso a
evidenziare l'aspetto saliente di questa interpretazione, distintiva rispetto alle ipotesi
di impianto più tradizionale, ossia la presenza di uno sviluppo parallelo e
relativamente indipendente del sistema orale e di quello scritto: secondo Wright il
latino scritto tardo-antico e dell'epoca romano-barbarica riflette solo parzialmente
un’oralità ancora latina in evoluzione. Il processo di graduale evoluzione è interrotto
dalla reazione carolingia che causa un duplice contemporaneo sviluppo artificiale:
un’oralità latina restaurata a partire da una norma scritta e una pratica scritta
romanza. In sostanza, un sistema inteso come unitario sino all’età carolingia si
sdoppia a partire da questo momento, producendo due sistemi forniti entrambi di un
versante orale e scritto. L’ipotesi di Wright è interessante, ma troppo dipendente dalla
sola realtà fonica e fonologica: si deve, però, dare atto allo studioso inglese di avere
attirato l’attenzione su una dimensione sino a quel momento trascurata, ossia quella
del latino parlato colto dall’Età tardo-antica in poi.
L’ultimo schema (pg. 117), delineato da Walter Berschin, è il più complesso in quanto
introduce una serie di ulteriori elementi di confronto sul versante latino: l'altezza
stilistica del latino letterario, gli spettri di variazione diastratica, la quantità della
produzione letteraria conservata. L'evoluzione del latino volgare tiene conto di una
serie di diversità interne, ossia di variazioni, ed è caratterizzata dall'inserimento di un
ulteriore elemento grafico lineare concernente l'evoluzione del latino volgare scritto,
col quale si intende indicare l'insieme della documentazione rimastaci che ci permette
di conoscere i livelli meno formalizzati di lingua.
La situazione, ovviamente, è molto complessa ed è impossibile dare una risposta
precisa e assoluta al quesito circa i tempi e i modi dell’esaurimento del latino come
lingua corrente; la considerazione di questi ultimi aspetti induce a scartare come poco
verosimile l’individuazione di una formazione antica delle lingue romanze tra loro
differenziate. Si può forse procedere per approssimazioni successive, cercando di
restringere progressivamente la focale e di precisare il dato acquisibile:
 non è detto che vi sia una medesima cronologia assoluta per tutti i territori

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romanzi, anzi è verosimile il contrario, ossia che tempi e velocità siano state
distinte, anche in maniera accentuata;
 non è detto che nel medesimo territorio il processo evolutivo si sia sviluppato
sempre in forma lineare e regolare, anzi è verosimile che si siano alternate fasi
di accelerazione e fasi di stasi, di consolidamento dei sistemi;
 è verosimile che in zone isolate, come la Sardegna, i sistemi si siano
riorganizzati abbastanza precocemente, su basi comunque arcaiche, quindi
ricche di tratti conservativi;
 se si accorda importanza all'aspetto di reciproca distinzione delle lingue
romanze, non è possibile collocare la loro origine neppure nella prima fase
successiva alla disgregazione dell'impero.
Tutto ciò considerato, e limitando per ora le considerazioni alla Gallia, è piuttosto il
periodo che va dalla metà del VII secolo alla metà dell'VIII che deve essere
riconosciuto come quello in cui si situa la fase di maggiore e decisiva accelerazione
nella definizione di nuovi sistemi, a seguito della più profonda crisi del sistema latino
che è attestata dalla documentazione del secolo VII.
La comunicazione in latino entro un sistema avvertito come unitario, era ancora
possibile all'inizio del VII secolo, mentre chiari segni di rottura giungono, sempre per
la Gallia, dalla seconda metà dell'VIII secolo. Ciò significa che entro questo termine
basso (760-770) devono essersi prodotti tali fenomeni da rendere ormai impossibile
per gli abitanti romanizzati del Paese, illetterati o minimamente istruiti, la
comprensione, senza un'opportuna esplicazione di sostegno, della recitazione orale di
testi scritti, ossia di testi latini.
È verosimile, sulla base della documentazione disponibile, che i processi per l’Italia e
per la Penisola Iberica siano stati più lenti e la cronologia complessiva risulti ritardata
di un secolo o più.

4.2 La rinascita carolingia e l’apparizione delle lingue romanze

Pare che il momento critico dell'evoluzione tra sistemi linguistici diversi, e di


passaggio dal latino al volgare romanzo, debba essere situato almeno per la Gallia tra
il VII e l'VIII secolo, cioè tra il 650 ed il 750. La riorganizzazione della Chiesa franca
in Gallia e della cancelleria regia a partire proprio dalla metà del secolo VIII, timido
inizio di quella che sarà poi la vera e propria Rinascita Carolingia, innesca un
processo di reazione sempre più forte al progressivo adattamento alla lingua parlata
che si era affermato nei secoli precedenti.
La Rinascita carolingia è uno dei momenti decisivi della storia della cultura
occidentale, epoca di riscoperta dei classici, copiati e conservati in grandi biblioteche
di fondazioni monastiche, e di rinnovato impulso creativo tanto in letteratura come
nelle arti figurative. Della Rinascita carolingia sono importanti soprattutto le scelte
sul versante linguistico e letterario. La Riforma carolingia del latino, e con essa la
rifondazione classicista della cultura letteraria e delle sue espressioni, partecipa di un
grande progetto che è innanzitutto politico e mira all'edificazione di una Europa
cristiana occidentale, romano-germanica e dal baricentro tendenzialmente
settentrionale e non più mediterraneo, che si fondi su una serie di fattori unitari, sia

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nei valori ideali sia anche in strumenti pratici e operativi, a partire sin dalla struttura
dell'amministrazione: l'uniformità del latino e l'uniformità della scrittura, quella che
chiamiamo appunto “minuscola carolina” e che è la base dell’uso moderno stampato,
contribuiscono a garantire la relativa coesione dell'insieme.
Si sviluppò una nuova attività letteraria alta, in versi e in prosa: varie forme di poesia
sacra, specie di argomento biblico, e d’occasione, trattatistica religiosa e storiografia.
Suo ambito di diffusione fu in primo luogo la rete di monasteri dei territori centrali
dell’Impero, luoghi ove vennero fondate scuole importanti, centri vitali di
conservazione e di trasmissione di un canone ormai ridotto di classici.
Gli effetti della Rinascita sono sostanziali e durevoli: mentre fino all'VIII secolo le
opere più significative della letteratura latino-cristiana conservata provengono
dall'Italia, dalla Spagna, dalla Gran Bretagna, a partire da questo momento si
consolida la preminenza di una zona corrispondente al cuore franco-germanico
dell'Impero. Questa nuova produzione letteraria, nutrita anche di una ricostruita e
rinnovata sensibilità linguistica, e questo sistema di fondazioni monastiche sono alle
spalle delle Origini letterarie romanze e in particolare dei testi dell'area gallo-
romanza; il più antico testo romanzo conservato, i Giuramenti di Strasburgo (842),
compare in un'opera cronistica che è per tutti i suoi caratteri da interpretare come un
tipico prodotto dell'età carolingia; in generale, tutti i più significativi testi letterari
romanzi del X e dell'XI secolo mostrano di essere stati elaborati in ambienti ricchi di
letteratura latina e quindi anche di tecnica compositiva elaborata su modelli latini.
Sul piano linguistico la Riforma carolingia si attua attraverso una estesa ed energica
restaurazione della norma linguistica antica; la Riforma rifiuta gli imbarbarimenti del
primo Medioevo nella lingua scritta, specie quelli di provenienza merovingica, e di
conseguenza anche qualsiasi compromesso con l'oralità delle terre romanze.
È a partire da questo momento che dovette cominciare ad apparire evidente la
distinzione tra il latino riformato, scritto ma anche parlato nei gruppi intellettuali, e
gli strumenti linguistici della comunicazione quotidiana nell’Europa occidentale. È
anche probabile che a questa svolta abbia contribuito la stessa composizione della
corte carolingia e dell’ambiente intellettuale costituitosi intorno ad essa, nel quale
avevano parte importante i personaggi provenienti dall’Inghilterra, dalla Germania,
anche dalla conservatrice Italia.
Con la riforma carolingia, quindi, si arresta un'evoluzione innovativa, il latino parlato
viene ancorato allo scritto, e di quest'ultimo si dà un'interpretazione che tende ad
essere fonetica. Dal punto di vista del volgo, ossia degli ascoltatori di quelle
agiografie e di quei sermoni, divenuti quasi di colpo non più comprensibili, si allenta
il rapporto psicologico con il latino, viene meno la coscienza di una continuità, si
afferma quella della discontinuità, quindi della diversità tra i sistemi linguistici.

4.3 Il Concilio di Tours

Il riconoscimento di questa diversità tra il latino e la lingua corrente di fatto non può
che giungere da una testimonianza di cultura alta, interna alla tradizione latina e anzi
dal centro stesso del nuovo mondo culturale carolingio.
Il primo dei documenti che scandiscono in qualche modo con sicurezza le tappe

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dell'evoluzione, fornendo dei riferimenti cronologici precisi, è una deliberazione del


Concilio di Tours dell'anno 813, nella quale si scorge la prima manifestazione
esplicita, da parte della gerarchia ecclesiastica, della presa di coscienza
dell'irriducibilità dei sistemi linguistici correnti e quindi dell'esistenza accanto al
latino di una vera e propria lingua parlata dal volgo, che possiamo definire come
lingua romanza: lingua del volgo e quindi volgare, come constatazione sociale che
non implica più, almeno in quel contesto, una connotazione apertamente negativa, se
non nei termini della generica subordinazione al latino, destinata a protrarsi ancora
per molti secoli.
Nel Concilio di Tours si riunirono vescovi provenienti da varie regioni dell'Impero
carolingio, sia da quelle occidentali, linguisticamente latine e ormai romanze, sia da
quelle orientali, germaniche. Le deliberazioni del Consiglio abbracciano un arco
ampio di questioni rispondendo a preoccupazioni di ordine pratico, organizzativo,
pastorale e dottrinale.
Le prescrizioni del Concilio sono dettate pensando sia alla massa dei fedeli sia anche
al basso clero, che dobbiamo pensare non fosse ancora raggiunto dall'azione
riformatrice dell'istruzione; in ogni caso, pensando a tutti coloro che entro una
gerarchia culturale carolingia potevano essere globalmente considerati come
illitterati, non istruiti nel latino.
L'accoglimento tra le prescrizioni ecclesiastiche di quelle d'ordine linguistico del
Concilio di Tours, segnarono effettivamente una svolta nella pratica pastorale della
Chiesa occidentale e l'inizio di una tendenza innovatrice i cui ultimi sviluppi entro la
Chiesa cattolica si sono avuti poco più di quarant'anni fa col Concilio Vaticano II
(1962-1965), che prescrisse l'estensione dei volgari alla liturgia e alle letture.
L'indicazione cronologica che estraiamo dalle deliberazioni del Concilio di Tours è
valida per la Gallia, soprattutto per quella settentrionale. Per l'Italia, invece, occorre
scendere di circa un secolo, sino al Panegirico dell'imperatore Berengario I, composto
in esametri latini tra il 916 e il 922: in questo panegirico, descrivendo la cerimonia di
incoronazione, avvenuta a Roma nel 915, il panegirista contrappone
significativamente agli inni che il Senato eleva in latino e all'elogio che un oratore
ufficiale recita in greco, le acclamazioni che il popolo innalza in italiano.
Sebbene in queste testimonianze figuri sempre come elemento decisivo un aspetto di
comparazione tra più di due realtà linguistiche, quelli fin qui presentati sono tutti
sguardi che possiamo considerare come interni al mondo romanzo. Ma abbiamo
almeno una testimonianza esterna che ci illustra quale potesse essere la percezione
delle realtà linguistiche dell'Europa carolingia. Il poligrafo arabo Ibn Hurdadbih
inserisce già nella prima redazione del suo “Libro delle strade e dei regni”, ultimato
nell'846, la menzione dei viaggi degli ebrei radaniti, mercanti poliglotti in grado di
parlare una molteplicità di lingue; di queste fornisce un elenco dettagliato, entro il
quale riconosciamo l'arabo, il persiano, il greco, il franco, l'andaluso e lo slavo.
Combinando le due serie di informazioni, quelle linguistiche e quelle geograficho-
commerciali, si può concludere che la menzione dell'andaluso e del franco come
lingue correnti si riferiscano a lingue parlate, ossia volgari romanzi, rispettivamente
proprie dei territori iberici dominati dagli arabi e dell'area della Francia attuale:
dunque ciò che si indica correntemente con mozarabo e una varietà gallo-romanza,

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non meglio precisata e probabilmente non distinta, nella coscienza del testimone
esterno, in articolazioni dialettali apprezzabili; due modalità, l’andaluso e il franco,
che dovevano a quell’epoca essere tanto differenziate tra loro da essere percepite
anche come simboliche di macro-aree del mondo conosciuto e frequentato dai
radaniti.

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5. Tipologia dei primi documenti delle lingue romanze

I fenomeni innovativi tra sistema linguistico latino e sistemi volgari si collocano nella
dimensione del parlato; lo scritto, tendenzialmente conservativo, ne può riflettere
alcuni aspetti, cosa che effettivamente avviene soprattutto per alcune tipologie di testi
e in alcune regioni più che altrove. È grazie a queste documentazioni che si può
comprendere la fase di transizione e cercare riscontro alle ipotesi formulabili.
L’opposizione tra oralità e scrittura interviene qui su più fronti: innanzitutto va
riconosciuto che non tutta la dimensione orale è riportabile ad un livello basso,
mentre a sua volta il livello formale degli scritti può presentare differenziazioni anche
notevoli.
Date queste premesse, è intuibile che ci si troverà spesso in condizioni di equilibrio
precario tra più fattori che condizionano ricostruzione ed interpretazione. È
opportuno innanzitutto saggiare la possibilità di classificare qualitativamente
l’insieme di fonti, tipicamente testi, delle più svariate estensioni, utilizzabili nella
ricostruzione dei processi linguistici e linguistico-culturali. Si tratta di materiali
sostanzialmente simili, nel ventaglio tipologico, a quelli disponibili per le epoche
precedenti, ossia le fonti per la conoscenza del latino volgare, per esempio di età
imperiale. Troviamo difatti in questa fase avanzata:
 testi latini e contesti latini che presentano singole unità innovative;
 testi che documentano il lento passaggio verso autonome manifestazioni
scritte di un’espressione orale ormai prossima al potersi dire romanza;
 testi ormai chiaramente romanzi.
Ovviamente è difficile, nella fase di transizione, discendere ciò che è latino da ciò che
non lo è del tutto e, soprattutto, da ciò che non lo è più; di fatto, è impossibile operare
una cesura netta nella documentazione tra fonti per la conoscenza del latino volgare e
attestazioni classificabili, a posteriori, come romanze.

5.1. Documenti latini “bassi”

Abbiamo già detto che le tendenze innovative si collocano entro la dimensione orale,
mentre di contro lo scritto è per propria natura conservativo. Tuttavia con una certa
frequenza singoli elementi romanzi si insinuano in testi latini e, in generale, nel
sistema linguistico latino-medievale.
Troviamo in primo luogo testi, non necessariamente di livello basso, che sono vicini a
realtà del tempo; in primo luogo leggi e documenti, che spesso adottano termini
correnti, anche per essere più comprensibili al pubblico. Le innovazioni ci appaiono
in questi casi per lo più sotto forma di singoli elementi lessicali, i quali documentano
una realtà linguistica e storica che sta cambiando e che s’introduce a forza anche
dentro testi nel complesso corretti: si tratta in sostanza di un fenomeno di acquisizioni
di neologismi. Da questo punto di vista il sistema latino non appare, nello scritto, in
crisi significativa.
Simile al precedente è il caso delle glosse e dei glossari, esplicazioni marginali o
interlineari relative a termini o espressioni complesse o non immediatamente

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comprensibili. Glosse e glossari implicano una sensibilità e attenzione linguistica


specifica: il più delle volte, infatti, ci troviamo all’interno del solo sistema latino,
entro il quale si confrontano un registro in genere più alto o semplicemente più
antico, quello cui appartiene il termine glossato, e un registro, quello cui
appartengono le glosse, più vicino al glossatore o a coloro per i quali egli sta
allestendo le esplicazioni. Di conseguenza, le tipologie possono essere varie, a
seconda delle finalità e del livello di istruzione del glossatore, nonché della regione di
provenienza e dell’epoca: le glosse esplicative possono avvicinarsi in maniera
significativa al volgare (come si evince in parti considerevoli dei due glossari di
Reichenau e di Monza), mentre, in esempi posteriori, possono essere fatte rientrare
con sicurezza all’interno di sistemi linguistici pienamente romanzi (come le Glosse
Emilianensi e Silensi, relativamente tarde e classificabili come ormai castigliane nella
loro interezza).

5.2 Testi vicini all’espressione volgare

Nei testi riconducibili a questa seconda tipologia traspaiono soluzioni, tra loro
coerenti, che fanno intuire dei modelli di oralità che preannunciano il volgare:
prodotti, questi, di una volontà espressiva che si avvicina o cerca di avvicinarsi a
soluzioni di un’oralità che quantomeno si avvia a divenire neolatina.
Accanto a questi testi che non presentano riassetti significativi del sistema
grammaticale o che accolgono innovazioni nel complesso isolate e circoscritte, ne
incontriamo altri nei quali le modificazioni morfosintattiche e stilistiche acquistano
peso e finiscono con l’incidere profondamente sulla fisionomia linguistica degli
scritti; ciò accade anche in testi giuridici ed è però soprattutto caratteristico di quelli
agiografici, destinati ad essere compresi dal volgo e pertanto composti in modalità di
latino rustico. Per queste tipologie testuali Avalle ha introdotto nell’uso le
classificazioni di latino “circa romancum”, ossia di “latino che imita il volgare”, per
la lingua che in essi si manifesta e di testi composti “iuxta rusticitatem”, “in maniera
conforme alla rusticità”, per il complesso delle scelte formali e contenutistiche. Si
tratta di registri intermedi usati per agevolare le esigenze pratiche della
comunicazione negli atti ufficiali della vita pubblica e nella letteratura religiosa.
Procedendo nella medesima direzione, ma secondo parametri di valutazione in parte
diversi, Maria Luisa Meneghetti ha suggerito di individuare in molti testi scritti tra il
VI e l’VIII-IX secolo la presenza della realtà linguistica classificabile come “latino
della parola”: si tratta dei casi nei quali la lingua parlata filtra, anche se mai irrompe
nella lingua scritta. L’insieme di attestazioni è distribuibile in due gruppi:
 testi di carattere didattico-prescrittivo, nei quali si riflette un uso ordinario,
lontano dalle pratiche scritte correnti di tipo formalizzato o canonizzato, che
riportano un normale parlato;
 testi a carattere testimoniale, che traspongono nello scritto elementi della
comunicazione orale, come testimonianze e giuramenti, esempi di oralità
strutturata.
La distinzione è utile per focalizzare l’attenzione sulle condizioni e situazioni
particolari che hanno consentito le prime occasionali trasposizioni nello scritto di

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unità testuali in sé compiute, dapprima in latino particolarmente vicino alla modalità


parlata rustica e in seguito in lingua romanza.

5.3 Antichi testi romanzi

Sempre tenendo presenti la distinzione tra documento e monumento e quella proposta


da Meneghetti tra testi didattico-prescrittivi e testimoniali, all’interno di questo
insieme di testi già romanzi è opportuno introdurre un’ulteriore separazione di
massima rischiosa, utilizzando un criterio di ordine qualitativo interno, che porta a
distinguere:
 i più antichi testi romanzi, con formulazione generica, ossia le più antiche
attestazioni dell’uso nello scritto di modalità linguistiche coerenti che possano
dirsi romanze;
 i più antichi testi letterari romanzi, costituenti una tipologia interna alla
precedente, nei quali, in aggiunta alla manifestazione di una volontà
classificabile come monumentaria, che mira, cioè, alla creazione di un oggetto
testuale autonomo, si riconosce la messa in opera di una volontà espressiva e
formale legata precisamente allo strumento del volgare e che però va oltre la
dimensione puramente linguistica per giungere ad una più completa
definizione dell’autonoma dimensione letteraria; testi, cioè, nei quali il grado
di coerenza formale tende ad essere massimo e a dipendere da motivazioni
prevalentemente interne al testo.
Quello che qui, comunque, importa ribadire è la sostanziale diversità dei tempi che
descrivono l’apparizione e l’evoluzione dei sistemi letterari veri e propri rispetto alla
cronologia di più antichi testi romanzi. Una capacità creativa e d’invenzione si
manifesta con certezza in maniera prepotente nei testi romanzi solo a partire
dall’ultimo scorcio del secolo XI, sulla base di una nuova sensibilità legata al
volgare; è, in realtà, solo a partire dagli anni intorno al 1100 che possiamo parlare a
pieno titolo di letterature romanze, e ancora limitatamente all’area gallo-romanza,
ossia alle regioni linguistiche d’oil e d’oc. A fronte di ciò, è però del pari evidente che
già nei due secoli anteriori all’anno 1100 è possibile individuare sempre nella regione
gallo-romanza una serie di testi che si distanziano nettamente dagli altri antichi
documenti linguistici romanzi per l’intensità della tensione formale e creativa, per la
qualità di scrittura che ne risulta e per l’impegno complessivo che li anima.
Dei testi nei quali si esplica una vera e propria letterarietà tipicamente romanza, che
si conquista attraverso l’elaborazione di forme nuove, nelle quali concorrono una
serie di elementi di base coerentemente volgari, forme indirizzate, attraverso l’uso
esclusivo del volgare, ad un pubblico anche laico, destinato a divenire nel corso del
tempo fattore del tutto decisivo. Si tratta di componimenti in versi, concepiti per il
canto o la declamazione: la formalità volgare della versificazione, d’impianto diverso
dalla metrica latina antica e non perfettamente riducibile neppure a quella latina
medievale, sembra aver costituito per questi componimenti la via di accesso ad uno
status di riconosciuta esistenza, che permise loro di superare la barriera culturale che
tratteneva l’espressione volgare al di là del confine elitario dello scritto.
A questi soli testi si riserverà, dunque, la definizione di testi letterari, senza, però,

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disconoscere, la componente di letterarietà, ossia di grammaticalità, di formalità, di


strutturazione in quanto testo, che è tangibilmente presente in altri, a cominciare dai
venerabili Giuramenti di Strasburgo.
Accanto a questo nucleo innovativo di antichi testi letterari romanzi, si collocano
tradizioni scrittorie di considerevole importanza linguistica e culturale come quella
testimoniata, per esempio, dall’uso esteso del volgare negli atti giuridici redatti in
Linguadoca (e in minor misura in Catalogna) a partire dalla fine del secolo XI,
mentre strumenti giuridici, pubblici per lo più ed eccezionalmente privati, redatti in
volgare compaiono sia nel XII secolo nell’Italia centrale, sia soprattutto in Sardegna,
già dalla fine dell’XI secolo.
I nuovi testi letterari romanzi acquisiscono rapidamente carattere di compiutezza
ossia di piena finitezza formale, riconosciuta anche dalla sicura individuazione
grafica nei manoscritti che trasmettono i testi attraverso i consueti segni distintivi:
spazi di separazione, intitolazioni, lettere di grande formato. Essi dimostrano così di
avere conseguito una piena autonomia nei confronti di fattori circostanziali, che si
presentano altrove come presupposti necessari dei testi volgari e che dunque ne
condizionano l’esistenza.

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6. Antichi testi romanzi

L’ inserimento in posizione finale entro questo breve panorama di quello che per
unanime consenso è considerato il più antico testo volgare conservato di una certa
estensione, i Giuramenti di Strasburgo, e del più antico testo letterario, La Sequenza
di Sant’Eulalia, è in qualche modo forzata perché non corrisponde all’ordine
cronologico: i Giuramenti, sicuramente datati all’anno 842, e la Sequenza,
assegnabile agli anni 880-890, sono difatti sensibilmente anteriori sia a diversi
documenti italiani, come i Placiti campani, sia alle attestazioni iberiche. Questa
collocazione dei Giuramenti e dell’Eulalia finisce così con l’alterare in maniera
evidente la successione canonica dei più antichi testi romanzi. La scelta ha però una
sua funzionalità ed è motivata dalle seguenti ragioni:
 rispetto a molti degli altri testi, i Giuramenti sono contraddistinti da un sicuro
carattere monumentario, che li distanzia dalla condizione incerta dei graffiti e
iscrizioni romane e dalla pura dimensione documentaria cui è giusto ricondurre
le varie scritture occasionali e di carattere pratico;
 rispetto ai Placiti, i Giuramenti si distaccano per la superiore complessità del
dettato e per la stessa esplicita qualificazione che li introduce all’interno della
cronaca latina di Nithard;
 in particolare, proprio in quanto frutto di un intervento letterario che differisce
per grado e qualità dagli altri testi antichi qui presentati, i Giuramenti di
Strasburgo si pongono come antefatto diretto della Sequenza di Sant’Eulalia;
rispetto a questa, i Giuramenti fungono da introduzione espositiva e da termine
di confronto ravvicinato, permettendo di meglio valutare i caratteri ormai
totalmente autonomi del volgare nell’Eulalia;
 infine nella Sequenza di Sant’Eulalia la lingua francese viene utilizzata per la
prima volta, e con grande anticipo sulle altre attestazioni, con una funzione
espressiva guidata da una chiara intenzionalità letteraria; essa tra l’altro
manifesta l’importanza del tutto speciale, quasi esclusiva, che nella Francia del
Nord hanno le scritture letterarie rispetto agli altri antichi testi volgari.

6.1 Glosse e glossari

Si tratta evidentemente non di testi organici veri e propri, ma di glosse, ossia di


spiegazioni, al limite di traduzioni vere e proprie. In generale, le glosse sono parte
integrante della più ampia e articolata opera di esplicazione, illustrazione e commento
dei testi, sviluppata sistematicamente in latino per la Bibbia, ma anche, in seguito, in
ambiente universitario e sempre in latino, in primo luogo per trattati teologici,
giuridici e medici, e applicata poi tra l’altro al commento della Commedia dantesca.
Per la parte che qui interessa, si tratta di glosse di tipo lessicale, che documentano
l’evoluzione del vocabolario in epoca alto-medievale, prima dell’apparizione di
autonomi testi romanzi di apprezzabile estensione. Troviamo queste glosse disposte
accanto ai testi, nel margine o nello spazio interlineare, là dove era opportuno
spiegare e interpretare singole parole ed espressioni o anche passi più estesi. Talora le

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glosse compaiono radunate e classificate in glossari, ossia in repertori sistematici di


ampiezza variabile.
La maggior parte dei complessi di glosse e dei glossari alto-medievali ci interessa,
dunque, solo indirettamente, come testimonianza semmai di un persistente uso del
latino con differenziazioni interne, quali appunto quelle tra testo glossato ed
esplicazione, e con un apprezzabile arricchimento del lessico.
Tra i glossari di spiccato interesse romanzo se ne segnalano due:
 il glossario di Monza, di origine alto-italiana, attribuibile ai primi decenni del
X secolo; ha per caratteristica di essere greco-latino e quindi spesso nei fatti
greco-romanzo;
 il glossario di Kassel, più antico, compilato nel secolo IX da uno scrivente di
lingua madre tedesca, il quale operava sotto dettatura e non attraverso
trascrizione o ricompilazione di materiali preesistenti. Questo glossario sembra
essere il frutto di una sorta di inchiesta linguistica ante litteram condotta da uno
scrivente di lingua madre germanica presso uno o più parlanti romani,
interrogati su varie parole ed espressioni di uso quotidiano, trascritte in una
veste spesso marcata da tratti grafico/fonetici germanici con
l’accompagnamento di traduzione in tedesco. Ne risulta una lista di 180 coppie
di lemmi in tutto, ciascuna con le due forme, latino/romanza e germanica,
affiancate, raggruppate secondo un ordinamento di tipo onomasiologico:
l’uomo, gli animali domestici, la casa, il vestiario, gli attrezzi, lemmi vari.

6.1.1 Il Glossario di Reichenau

È contenuto in un manoscritto del secolo X, proveniente dalla biblioteca dell’Abbazia


benedettina di Reichenau, sul lago di Costanza, benché non copiato in questo
scriptorium. Si tratta di una considerevole raccolta di 5.000 lemmi accompagnati
dalle relative esplicazioni, suddivisa in due sezioni: la parte sostanziale della raccolta
è costituita da un Glossario biblico, ossia da un’elencazione di parole difficili
incontrate nelle Sacre Scritture; a seguito del Glossario biblico c’è un piccolo
Glossario alfabetico, composto secondo criteri simili al precedente e dedicato a
spiegare termini ricavati, oltre che dalla Bibbia, anche da scritti religiosi di vario tipo,
specialmente agiografie.
Il redattore del glossario opera all’interno di un sistema che rimane esclusivamente
latino.
Nel livello o registro inferiore, quello della glossatura, si introduce la nuova realtà
linguistica in via di affermazione, traspare, quindi, un fondo che possiamo ormai
classificare come nettamente volgare, romanzo. L’interesse delle glosse in chiave
romanza è nella maggior parte dei casi lessicale: si tratta di lemmi isolati, in genere
sostantivi, non di sintagmi, e il più delle volte le parole conservano i tratti latini per
quanto riguarda la morfologia, mentre la grafia non registra nessuna evoluzione di
carattere sostanziale.
Per la valutazione del Glossario è ovviamente dato essenziale quello della sua
datazione e localizzazione. Il manoscritto del secolo X, non è stato copiato a
Reichenau e, come detto, si presenta come una copia di un modello, forse di origine

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francese, segnato da un disordine nella sequenza dei fascicoli. I materiali raccolti


dimostrano tra l’altro l’influsso di alcune compilazioni lessicali di età carolingia; la
componente romanza indirizza con sicurezza verso la Gallia settentrionale. Pertanto è
prudente considerare il Glossario di Reichenau come compilato all’inizio del IX
secolo, e il suo repertorio lessicale come una testimonianza diretta del latino sub
letterario di età carolingia, influenzato dalla lingua correntemente parlata in Francia a
quell’epoca.
Nel Glossario è sensibile la tendenza alla sostituzione di monosillabi e di parole brevi
latine, il più delle volte caratterizzate da paradigmi irregolari, con forme più ampie e
tendenzialmente regolari (es - vim: fortiam); l’innovazione, talora, si realizza
attraverso l’introduzione di elementi lessicali di origine germanica (es – Italia:
Longobardia); in ambito morfologico, inoltre, troviamo attestata la crisi del sistema
latino dei comparativi/superlativi espressi attraverso la desinenza (es – optimos:
meliores) e una certa semplificazione nell’ambito dei pronomi (es – cuncti: omnes).

6.1.2 Le Glosse Silensi

Le Glosse Silensi prendono il nome dal monastero di Santo Domingo de Silos, nella
regione di Burgos, luogo probabile di origine del codice. Il manoscritto contiene
principalmente una raccolta di Sermoni; le glosse, un ampio complesso di
esplicazioni puntuali disposte a fianco del testo, riguardano, però, solo l’ultima delle
opere trascritte, un Penitenziale, probabilmente di origine non iberica. Dall’aspetto
delle glosse, attribuibili ai primissimi anni del secolo XI è apparso chiaro che il
copista trascriveva da un esemplare già glossato.

6.1.3 Le Glosse Emilianensi

Indichiamo con Glosse Emilianensi un insieme di annotazioni esplicative apposte da


una sola mano e contenenti volgarismi in misura variabile, che si leggono in un
manoscritto oggi nella Biblioteca della Real Academia de la Historia di Madrid. Si
tratta di un codice alto-medievale proveniente, appunto, dal monastero di San Millan,
che conserva testi latini di carattere religioso. Il manoscritto venne compilato a
cavallo dei secoli IX e X, le esplicazioni, in tutto 145, sono del secolo XI,
probabilmente di poco posteriori alle Glosse Silensi.

6.2 Testi romanzi antichissimi

Si presenta di seguito un breve campionario di antichi testi romanzi o quantomeno


prossimi alla dimensione romanza. La campionatura ha valore puramente
esemplificativo circa le diverse varietà linguistiche, la tipologia delle più antiche
scritture volgari e il grado variabile di letterarietà che ad esse è attribuibile, in
relazione sia ai contenuti sia alle caratteristiche grafiche della trascrizione. La
dimensione dei testi è in genere minima e il limite cronologico non è fissato in
maniera rigida e risulta particolarmente avanzato per l’area italiana.

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6.2.1 Dall’Italia

Tra i documenti più significativi ricordiamo:


 la postilla Amiatina (Monte Amiata, 1087): si tratta di una postilla di due
righe che il notaio Rainerio aggiunse alla fine di un atto del gennaio del 1087;
 l’iscrizione di San Clemente (Roma, XI-XII secolo): si tratta di una serie di
didascalie che illustrano, con battute pronunciate da due o più personaggi, una
scena del martirio di San Clemente, affrescata nell’omonima basilica romana;
 le testimonianze di Travale (Volterra, 1158): sono frasi in volgare inserite in
atti del giudice Balduino e relative a una controversia circa la proprietà di
alcuni casolari del contado volterrano.

6.2.1.1 L’indovinello Veronese

Separeba boves alba pratalia araba e albo versorio teneba e negro semen
seminaba

È la prima di due frasi (la seconda è in ottimo latino) inserite da due distinte mani
molto simili nella competenza grafica in uno spazio libero presente in un prezioso
codice di origine iberica, portato in Italia già all’inizio del secolo VIII, all’epoca
dell’invasione araba. L’intervento dei due scriventi è stato datato recentemente alla
seconda metà del secolo VIII, intorno al 780 circa, e interpretato come una molto
probabile prova di abilità calligrafica da parte di due diversi scribi, di pari ed elevata
bravura; il livello di competenza grafica dei due scriventi presuppone per entrambi
una formazione specifica assai accurata e quindi un livello di istruzione certamente
elevato.
La frase romanza, sopra riportata, corrisponde ad un indovinello che cela attraverso
metafore l’attività dello scrivere. L’ndovinello è, peraltro, riconducibile anche ad una
specifica tradizione di enigmistica latina, che riporterebbe piuttosto ad ambienti colti
e a tradizioni di tipo scolastico: il dato primario di collocazione culturale del testo è
dunque incerto e sfuggente.
Così come la sua classificazione culturale, l’esatta identificazione linguistica
dell’Indovinello è estremamente controversa e tuttora oggetto di dibattito. Comunque
si valuti il testo, la componente latina è ancora forte e la si avverte in diverse grafie:
pratalia (-t- intervocalica, gruppo –li-), ma anche le terminazioni in –aba ed –eba
degli imperfetti (ancora con –b); il sintagma neutro alba pratalia risponde ancora a
una morfologia latina. Tra i tratti più notevoli, è indubbia l’assenza dell’articolo.
Elementi innovativi sono, al contrario, la perdita delle marche di caso nei sostantivi e
negli aggettivi e di persona nei predicati verbali (scomparsa della –T).

6.2.1.2 L’iscrizione della Catacomba di Commodilla

Non dicere ille secrita abboce

È un’iscrizione in lettere capitali, graffita in verticale su una parete della Catacomba

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di Commodilla a Roma e databile alla prima metà del secolo IX.


Si tratta di un ammonimento rivolto agli officianti per ricordare di non pronunciare ad
alta voce le parti segrete delle orazioni.
A differenza dell’Indovinello veronese, l’articolo pare qui utilizzato in maniera simile
all’uso moderno (ma con assetto fonetico ancora latino, ille); sono invece del
romanesco antico, che ha tratti assai più meridionali di quello moderno, la forma
dicere e la presenza della velare sorda in secrita; l’imperativo ha la forma moderna
romanza e italiana con Non + infinito (il latino classico avrebbe richiesto una
costruzione con Ne + congiuntivo).
La seconda delle due –b (abboce) è soprascritta e pare aggiunta, probabilmente allo
scopo di conferire all’iscrizione una connotazione coloristica tramite il
raddoppiamento fonosintattico.

6.2.1.3 Formule volgari dei Placiti campani

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte
Sancti Benedicti.

Con questo nome si indicano congiuntamente quattro formule testimoniali, ossia di


testimonianza giurata, espresse in volgare, tra loro molto simili; formule di limitata
estensione, ma perfettamente compiute e provviste di uno statuto sintattico coerente e
per nulla complesso: in breve, i più antichi periodi risolutamente volgari nel dominio
italiano.
Queste quattro formule compaiono ciascuna all’interno di altrettanti documenti latini
degli anni 960-963, provenienti da località oggi tutte in provincia di Caserta, ossia da
una zona abbastanza circoscritta della Campania settentrionale, a quel tempo
sottoposta all’influenza dell’abbazia di Montecassino. I documenti contengono
sentenze, dette appunto placiti, emesse da tre giudici a proposito di terreni contesi tra
fondazioni monastiche e signori laici del luogo. Esse si inscrivono in un disegno
politico-istituzionale sviluppato in quei decenni dall’abbazia di Montecassino, da cui
dipendono gli altri monasteri qui coinvolti; l’obiettivo era il consolidamento delle
proprietà delle fondazioni monastiche, in contrapposizione alla nobiltà laica. Le
formule volgari costituiscono il cuore del documento: i giuramenti, eventualmente
ripetuti, con varianti al più minime, se i testimoni sono più di uno, garantiscono la
verità dei fatti e rappresentano il fondamento giuridico della sentenza. È in assoluto
rilevante che i personaggi che testimoniano non sono affatto degli illetterati, ma
chierici e notai: l’impiego del volgare nelle formule non è legato individualmente alle
loro persone e sembra piuttosto riflettere un uso che privilegiava l’evidenza
comunicativa.
La natura dei testi, la loro collocazione geografica, ha permesso di delineare i
contorni di un’Italia centro-meridionale longobardo- cassinate, estesa appunto tra il
Ducato di Spoleto, più a nord, e, a sud, il ducato di Benevento e il Principato di
Capua. Quest’area appare legata ad una serie di importanti fondazioni monastiche
benedettine, tra cui primeggia l’abbazia di Montecassino con la rete di monasteri che
ad essa faceva capo: un’area relativamente unitaria, contrapposta all’alta

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frammentazione dell’Italia settentrionale. La dimensione monastica, peraltro, non è


esclusiva: dietro ai giuramenti campani s’intravede anche una tradizione scolastico-
notarile, viva in centri laici e alla quale va probabilmente ricondotta la cultura
tecnica, formale e quindi anche ortografica, degli estensori degli atti. Alla nozione di
documento legale, ossia di strumento notarile e giuridico, si accompagna quella di
formalità, fattore importante di garanzia della veridicità degli atti.
Innanzitutto conviene isolare una componente latina, riconoscibile a livello
morfosintattico nelle espressioni di possesso costruite con “parte”.
Tratti distintivi dell’area italiana sono la conservazione generalizzata delle vocali
finali latine, la presenza di geminate (possette) e i plurali senza –s. Tra gli elementi
tipici della regione e comuni ad altri dialetti meridionali italiani si indicano il
betacismo, l’assenza di dittongazione spontanea (contene) e anche metafonetica
(foro) e la congiunzione ko, dal latino quod.
Un aspetto puntuale sul quale conviene soffermarsi, per l’importanza circa la
metodologia di indagine e la rilevanza delle conclusioni, è quello delle forme verbali
sao che compaiono in apertura della prima, seconda e quarta formula, combinandosi
nella seconda e quarta con le grafie cc- della congiunzione cco, che secondo ogni
evidenza segnano un raddoppiamento fonosintattico. Si è a lungo discusso circa la
possibile origine campana della forma “sao” (da saccio, in latino sapio);
recentemente, tuttavia, si è sostenuto che sao sia una forma settentrionale, non
campana: l’imprestito settentrionale è da intendere come parte di quella corrente di
tratti linguistici che le cancellerie longobarde con centro a Pavia iniziarono a
irradiare, tre secoli prima, verso il resto della penisola.

6.2.1.4 Il Conto navale pisano

È un elenco di spese sostenute per l’allestimento delle navi, scoperto da Ignazio


Baldelli pochi decenni or sono in un codice della Free Library di Filadelfia. Si tratta
della prima documentazione scritta di una certa estensione nella quale sia utilizzata la
varietà toscana, poi destinata a fornire la base dell’italiano normativo moderno
attraverso il modello letterario fiorentino.
Il testo è ricco di tecnicismi anche altamente specializzati.
L’appartenenza al tipo linguistico italiano e più specificamente toscano è garantita dai
seguenti tratti:
 la conservazione sistematica delle vocali di uscita latine, adattate beninteso
come tutte le altre alla fonetica romanza;
 la conservazione di geminate;
 la conservazione di occlusive intervocaliche;
 i plurali senza –s;
 la preposizione “di” e la forma del prefisso dis-, la preposizione in;
 l’evoluzione del suffisso latino – arium come –aio e di –erium come –eio;
 la conservazione di au davanti a –l, tratto, questo, dell’antico pisano, lucchese
e del pistoiese.

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6.2.1.5 La formula di confessione umbra

Alla fine del manoscritto B 63 della Biblioteca Vallicelliana di Roma, proveniente dal
monastero di Sant’Eutizio di Norcia, di formato piccolo e attribuibile agli ultimi anni
del XI secolo, lo stesso copista principale del codice ha aggiunto una formula di
confessione, nota come formula di Confessione umbra, dal luogo di origine e per i
tratti dialettali che la caratterizzano.
Si tratta di un testo liturgico-devozionale, significativo per i caratteri di compiutezza
formale ed eloquente quale esemplificazione dei campi gradatamente acquisiti
all’espressione in volgare. I suoi connotati linguistici sono ancora quelli di un testo di
transizione, nel quale molti elementi volgari sono inseriti all’interno di un’ossatura
testuale di impianto ancora in gran parte latino.
Oltre a caratteri genericamente italiani, centro-meridionali, possiamo riconoscere
anche tratti specifici dei dialetti diversi dal toscano, in particolare l’umbro.
La base italiana si individua in fenomeni già rilevati nella carta pisana; conservazione
delle vocali di uscita e delle geminate, plurali senza -s. Quali fenomeni specifici di
area umbra, invece, si segnalano: la presenza di metafonesi nel trattamento delle
vocali toniche e l’assenza del dittongamento metafonetico.

6.2.2 Dalla penisola iberica: la Noticia de kesos castigliana

Si tratta di una lista di formaggi consumati nel convento di San Justo y Pastor. Il
documento, databile probabilmente verso il 980, ha carattere pratico e attesta un uso
ormai corrente del volgare per registrazioni a scopo utilitario.
Non deve disturbare l’uso del K per indicare la velare sorda: ci troviamo
evidentemente ancora in una fase di riorganizzazione del sistema grafico latino e di
definizione della modalità di indicazione di occlusive velari.

6.2.3 Dalla penisola iberica: la Noticia de fiadores portoghese

È il più antico testo conosciuto scritto in portoghese, benché sensibilmente più tardo
rispetto agli altri riportati, essendo datato al 1175. Si tratta di un’annotazione
conservata in una pergamena del monastero di S. Cristovao de Rio Tinto, riportante
un elenco di personaggi che si impegnano a fornire una garanzia in denaro; la
tipologia si colloca a metà strada tra la maggiore formalità delle forme più
tipicamente giuridiche, ben attestate a quest’altezza cronologica in area occitanica, e
le scritture di carattere pratico come la carta navale pisana o la noticia de kesos. Gli
elementi volgari sono qui ancora minimi; i primi documenti portoghesi di una certa
complessità sono dell’inizio del XIII secolo.

6.2.4 Dai Grigioni

In uno spazio bianco del manoscritto contenente il De Officiis di Cicerone, assieme


ad alcuni versetti dei Vangeli compare una brevissima annotazione in volgare
romanzo alpino, l’unica così antica per questa regione.

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La postilla, interpretata concordemente come una semplice prova di penna, è


ovviamente per noi enigmatica; l’interpretazione più probabile fa riferimento al detto
grigionese “aver voglia di far qualcosa”. Tra i tratti linguistici notevoli, la presenza di
una forma certamente plurale, come muscha, sprovvista di –s morfematica.

6.3 I Giuramenti di Strasburgo

Con questo testo si registra un salto di qualità epocale rispetto alla documentazione di
incerta classificazione tra latino e volgare e rispetto all’insieme di testi presi in
esame, costituiti dalle prime timide apparizioni di scritture volgari, occasionali, poco
strutturate, di ridotta estensione; al contrario, l’ampiezza, l’alta organizzazione, la
sicura intenzionalità della conservazione storica, conferiscono ai Giuramenti una
posizione di preminenza assoluta.
Col nome di Giuramenti di Strasburgo si designa una duplice formula di giuramento
in lingue volgari, in romanzo e in germanico, contenuta nella Storia dei figli di
Ludovico il Pio, scritta da Nithard, letterato e grande signore. La Historia di Nithard è
conservata da un solo manoscritto, compilato tra il X e l’XI secolo, transitato per
l’abbazia di St. Medard a Soisson ma forse proveniente dall’abbazia di St. Riquier
dove presumibilmente si conservava l’originale autografo di Nithard. La Historia
narra le vicende del conflitto che oppose alla morte del padre, i figli di Ludovico il
Pio: Lotario, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo. La guerra fu decisa
dall’alleanza tra Ludovico e Carlo, che portò al trattato di Verdun (843) col quale
l’impero carolingio venne diviso in maniera definitiva in due componenti, una
occidentale, romanza, assegnata a Carlo e una orientale, germanica, assegnata a
Ludovico, separate lungo tutto l’asse Nord-sud del Mare del Nord al Mediteraneo da
una sottile striscia di territorio rimasta sotto la sovranità di Lotario.
Passaggio essenziale verso il trattato di Verdun fu un incontro, avvenuto a Strasburgo
il 14 febbraio 842, tra i due fratelli Carlo e Ludovico e i rispettivi seguiti ed eserciti,
nel corso del quale vennero scambiati impegni di fedeltà; i due sovrani giurarono
ciascuno nella lingua dell’altro e quindi fedeli ed eserciti ripeterono ciascuno nella
propria lingua il medesimo giuramento.
L decisione di Nithard di riportare entrambe le formule nelle lingue in cui vennero
pronunciate è del tutto eccezionale sia rispetto alla storiografia del tempo, sia anche
rispetto alle fonti giuridiche carolingie.
Il fatto decisivo, quindi, è che Nithard abbia riportato il testo nelle due redazioni
volgari, contravvenendo in maniera flagrante alla convenzione letteraria e
storiografica dell’utilizzazione di un’unica lingua nella narrazione, attraverso la quale
far anche parlare ed eventualmente far dialogare i personaggi. La scelta di Nithard
intende presumibilmente sottolineare l’importanza dell’avvenimento, anche
attraverso la componente linguistica. In effetti l’impegno dei due figli di Ludovico il
Pio a giurare ciascuno nella propria lingua indica lo sviluppo di una identità etnico-
linguistica che potremmo cominciare a classificare come nazionale.
Le ragioni dell’importanza attribuita ai Giuramenti nell’ambito della linguistica
storica romanza sono evidenti: nella cronaca si esplicita che il doppio giuramento
volgare venne pronunciato in “lingua romana”; la precisione assoluta nella datazione

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cronotopica conferisce al reperto un’evidenza simbolica cui può essere comparata


solo quella dei Placiti campani; l’ampiezza, la solennità e la complessità del dettato
dimostrano una acquisita coscienza delle possibilità espressive della lingua corrente.
Tutto ciò ha da sempre indotto gli studiosi a vedere nei giuramenti di Strasburgo
l’atto ufficiale di nascita delle lingue romanze come strumento espressivo evoluto. In
realtà essi possono essere visti, secondo prospettive ovviamente complementari, tanto
come il punto di partenza di tradizioni scrittorie romanze, tanto come un punto di
arrivo, dove confluiscono esperienze eterogenee non sempre coerenti, compiute
nell’ambito dei più antichi registri linguistici intermedi fra il latino e il volgare.
La valutazione si lega al problema della matrice linguistica identificata alla base del
testo dei Giuramenti nella redazione romanza (quella germanica è classificabile come
francone renano).
Non sorprende, soprattutto dato il tipo di testo, che si avverta l’influsso di una
tradizione latina di cancelleria, dalla quale sono derivate le formule giuridiche che
scandiscono il dettato. Tale impronta è avvertibile anche nell’ordine delle parole, che
tende ad essere fedele all’assetto latino, e in aspetti conservativi come la resistenza
all’introduzione di articoli. L’impronta latina è da interpretare come il risultato di una
ben comprensibile volontà di conferire al testo del giuramento in volgare una
solennità formale adatta all’occasione e che evidentemente non era associata, nella
sensibilità del tempo, alla semplice e piana espressione in lingua romana, o lingua
romana rustica, secondo la formula impiegata nelle prescrizioni del Concilio di Tours.
È probabile, inoltre, che anche l’assetto grafico sia debitore a tradizioni ortografiche
pre-caroline, ossia relative a latino scorretto, che erano state proprie della cancelleria
merovingica, e che vengono estese qui al volgare sulla base dell’opposizione alle
regole del latino carolingio riformato, sulla base di quella che potremmo definire
come un’analogia culturale.
In altri aspetti dell’assetto grafico scorgiamo indubitabili tratti omogenei che sono
invece riconducibili a una cultura grafica volgare e che, pur sempre attraverso il filtro
della scrittura, ci fanno intravedere una lingua ormai decisamente gallo-romanza.

6.4 Il più antico testo letterario francese: la Sequenza di Santa Eulalia

Si tratta di un codice pergamenaceo di 143 fogli, assegnabile al IX secolo e


proveniente dal fondo librario del monastero benedettino di Saint-Amand, sul confine
franco-belga.
Alla fine del codice vennero operate alcune aggiunte di testi brevi, quelli che qui
interessano, da parte di tre diverse mani tutte attribuibili su base paleografica alla fine
dello stesso secolo IX. Si tratta in tutto di quattro componimenti: sul recto venne
trascritta una sequenza latina dedicata a Santa Eulalia; sul retro della stessa carta
venne trascritta in seguito la sequenza volgare di Santa Eulalia, che ricalca l’assetto
metrico del testo latino; nello spazio ancora disponibile in fondo, il medesimo
amanuense cui si deve l’Eulalia inizia la trascrizione del Rithmus teutonicus de piae
memoriae Hluduuico Rege filio Hluduuici aeque regis; sempre sui medesimi fogli e
immediatamente a seguito del testo germanico, un terzo trascrittore aggiunse un’altra
sequenza latina, d’argomento sempre religioso, ma non più connessa con la martire

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Eulalia. È altamente significativo che i due testi volgari, l’Eulalia e il Rithmus


teutonicus, l’uno romanzo e l’altro tedesco, siano trascritti dalla stessa mano e siano
stati conservati congiuntamente in un codice proveniente da una regione di confine
fra i due domini linguistici, dove presumibilmente era più acuta la sensibilità verso le
due modalità espressive, distinte tra loro e in opposizione con il registro più elevato
costituito dal latino.
Il Rithmus venne composto per onorare il re dei Franchi Ludovico, vincitore della
battaglia di Saucourt dell’881 e morto poi l’anno successivo: è dunque databile tra i
due avvenimenti, mentre l’intitolazione piae memoriae presente nel manoscritto ci
garantisce che la trascrizione è posteriore alla morte.
All’inizio del IX secolo è da ricondurre anche la duplice sequenza, latina e volgare,
su Santa Eulalia, martire spagnola del secolo III: infatti il culto della Santa si diffuse
dopo la scoperta del suo presunto sepolcro, avvenuta nell’878 a Barcellona.
La sequenza è un tipo di componimento della tradizione latina alto-medievale,
concepito a partire da una base musicale costituita da coppie di unità simmetriche
ripetute, cui corrispondono nel testo letterario altrettante coppie di serie sillabiche,
classificabili come versicoli. La sequenza è alla base di alcune rielaborazioni formali
in campo romanzo, ma nella sua tipizzazione originaria è una forma pressoché
esclusiva della tradizione latina.
Non vi sono altri esempi di sequenza nella produzione romanza più antica, sino a
tutto l’XI secolo: da questo punto di vista si può senz’altro affermare che l’Eulalia,
primo testo letterario romanzo, fa uso di una forma precipuamente latina, non
desueta, ma di stringente attualità.
La sequenza di Santa Eulalia è composta di 14 periodi ritmici di lunghezza diseguale,
ciascuno dei quali è costituito di due unità pari tra loro per computo sillabico, legate
da assonanza e correlate sintatticamente quanto a sviluppo testuale. La struttura
ricalca in gran parte quella della sequenza latina trascritta nella facciata precedente,
tanto che si può legittimamente pensare che i due componimenti prevedessero la
stessa melodia. Le due sequenze, però, sono diversissime dal punto di vista del
contenuto e della struttura poetica: la sequenza latina ha un’intonazione lirica e un
andamento quasi elegiaco nel ricordo della martire, canta il valore della
testimonianza di fede per il credente, attinge a un lessico più ricercato; la sequenza
volgare ha al contrario assetto decisamente narrativo e descrive la funzione esemplare
del suo martirio. Si possono immaginare funzioni diverse e anche pubblici in parte
distinti per le due sequenze: quella volgare, pensata forse per i rustici, poteva avere
destinazione più ampia rispetto a quella, più elitaria per lingua e taglio complessivo,
della prosa latina. A pochissimi decenni di distanza dai giuramenti di Strasburgo, la
lingua dell’Eulalia si presenta considerevolmente più nitida. Il testo esemplifica bene
diverse caratteristiche linguistiche dell’area gallo-romanza settentrionale e anche
delle varietà orientali, con aspetti problematici di un certo rilievo, non più, però, col
grado di opacità così nettamente avvertibile nei Giuramenti.
Conviene preliminarmente avvertire della presenza di alcuni tratti ortografici
conservativi nei confronti del sistema latino, in sostanza dei veri e propri debiti
mantenuti attraverso la pratica dello scritto, talora conservatisi sino ai giorni nostri.
Quanto ai fenomeni, entro una sintassi ormai volgare è da notare come tratto

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caratteristico dell’Eulalia l’assenza dell’articolo in alcuni sintagmi che parrebbero,


invece, richiederlo. Tratti regionali valloni, cioè esattamente della regione in cui si
trovava il monastero di Saint Amand, si intrecciano a dati contradditori: due
fenomeni, in particolare, nell’Eulalia non sono riconducibili all’area dialettale
vallone: esito di /ka/ iniziale, probabilmente influsso del piccardo, e la presenza di
una consonante epentetica di transizione, probabile influsso linguistico originario di
area centrale.

6.5 Bilancio

Innanzitutto è opportuno ribadire la priorità cronologica dell’area gallo-romanza,


immediatamente percepibile attraverso l’accostamento dei complessi Giuramenti di
Strasburgo a uno qualsiasi dei più antichi reperti di altre aree. Non è certo un caso che
quella gallo-romanza, specie nella sua porzione settentrionale, sia la regione più
fortemente innovativa entro la Romània antica e costituisca anche il nucleo centrale
della Rinascita Carolingia. I più antichi testi romanzi complessi sono rappresentati da
formule di giuramento: queste formule, sono fornite di una propria autonomia e
provviste anche di caratteri funzionali/formali precisi che derivano da una tradizione
giuridico-cancelleresca, e sono peraltro legate a condizioni peculiari, dalle quali
dipendono in maniera determinante; senza la presenza dei rispettivi testi-contenitore
latini, la cronaca di Nithard e le sentenze dei giudici campani, le formule volgari non
possono esistere. Queste antiche documentazioni di uso del volgare racchiudono,
inoltre, diversi aspetti essenziali della fase delle Origini ed in particolare del processo
che si sviluppa tra le prime attestazioni romanze e l’affermazione di tradizioni
scrittorie vere e proprie, finalizzate alla conservazione di testi indipendenti, ai quali è
riconosciuta quella qualità e specifica rilevanza che ne giustifica appunto la
trascrizione. Questo processo si costruisce intorno a due parametri, condizioni
essenziali dell’apparizione di primi testi volgari e specialmente di primi testi letterari:
la formalità dell’impianto testuale e la sua stretta funzionalità rispetto a finalità
espressive complesse, da cui dipendono organizzazioni testuali rigorose. Nell’assetto
dei componimenti, anche come si sono tramandati nei manoscritti del tempo, ciò
corrisponde tra l’altro al conseguimento di un carattere di finitezza e compiutezza,
ossia alla presenza di un inizio e di una fine. Tutti questi aspetti trovano una prima
realizzazione già nei più antichi testi letterari romanzi conservati. Il primo di essi, la
Sequenza di Santa Eulalia, compare già alla fine di quello stesso secolo IX che
abbiamo visto aprirsi sotto il regno della Riforma carolingia e del riconoscimento dei
volgari sancito dal Concilio di Tours. L’avvio della letteratura in area francese, entro
il contesto culturale post-carolingio, sembra delinearsi con grande forza e chiarezza
nella sequenza ravvicinata Giuramenti di Strasburgo- Sequenza di Santa Eulalia. In
realtà il cammino si rivela assai più lento e faticoso. L’Eulalia adotta una veste
formale, metrica innanzitutto, tipicamente latina. Servirà almeno un secolo, il X,
perché si comincino a definire le prime soluzioni espressive più propriamente
romanze, e un altro ancora, l’XI, perché queste presenze si consolidino, venendo a
costituire la base di un sistema letterario volgare che si manifesta in tutta la sua forza
innovativa a cavallo tra XI e XII secolo, ossia intorno all’anno 1100.

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7. Le origini delle letterature romanze

I testi presentati nelle pagine precedenti costituiscono sono le lontane premesse delle
letterature romanze medievali; si tratta infatti dei primi passi di tradizioni scrittorie
che dimostrano chiaramente l'avvenuto distacco dal latino.
Un percorso assai lungo separa queste prime prove dalle vere e proprie letterature
romanze del medioevo; come si è più volte richiamato, questo passaggio è uno degli
aspetti nodali delle Origini letterarie romanze.

7.1 Tempi, fasi, tipologie testuali

Due tappe scandiscono il percorso di formazione di vere e proprie tradizioni letterarie


nell'Occidente romanzo:
 la prima, fino all'anno 1000 circa, fatta ancora di apparizioni isolate, una fase
di genesi remota;
 la seconda, che si sviluppa sull'arco del secolo XI per l'area gallo-romanza e
dei secoli XI e XII per quella iberica e italiana; durante questa seconda fase:
a) nell'area gallo-romanza le documentazioni di carattere letterario si
infittiscono e conseguono anche un grado notevolissimo di compiutezza formale,
giungendo ad annoverare testi letterari di primo livello;
b) in Iberia e in Italia a fronte di documentazioni ancora del tutto
episodiche, si cominciano a delineare le condizioni e le premesse concrete per lo
sviluppo di una produzione letteraria autonoma, cosa che accadrà dalla fine del
secolo XII e poi nel XIII.
L'insieme dei testi gallo-romanzi anteriori al XII secolo è di assoluta rilevanza. Si
tratta comunque di presenze in qualche misura insufficienti, che lasciano un senso di
incompletezza. Questi componimenti dei secoli X e XI, si concentrano difatti in
generi di ispirazione religiosa: si tratta per lo più di testi destinati ad essere cantati,
forse in occasione di festività e ricorrenze. Mancano invece completamente i generi
profani, ai quali peraltro è associata l’immagine sintetica delle letterature romanze
medievali: la lirica amorosa, le canzoni di gesta, i romanzi d'avventura. Eppure questi
generi (la lirica, le canzoni di gesta e il romanzo) appaiono di colpo ma perfettamente
formati per lingua, stile, forme metriche, strutture testuali complessive nei rispettivi
generi, negli anni a cavallo tra XI e XII secolo, intorno, cioè, all'anno 1100. Per la
lirica e l’epica, tra l’altro, abbiamo a che fare con opere che costituiscono punti di
riferimento essenziali per scuole letterarie che da lì si dipartono. Di qualche decennio
anteriori, scaglionati lungo il secolo XI, sono i testi religiosi volgari, di carattere
agiografico di cui sopra si parlava, strettamente connessi per alcuni tratti formali
rilevanti alle forme narrative romanze profane. Infine, intorno al 1100, sono
documentati alcuni testi lirici religiosi che appaiono quasi come un contraltare della
prima lirica cortese amorosa profana sviluppatasi nella Francia centro-occidentale.
Per quanto concerne il dibattito circa le Origini delle letterature romanze, occorre
innanzitutto ricordare che ci troviamo in una fase anteriore all’insediamento stabile
dei volgari nella tradizione letteraria scritta, fase in cui la nascente letteratura

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romanza solo saltuariamente accede a forme non precarie di conservazione, con una
presenza molto forte, forse talora esclusiva, dell’oralità. Al di là della più stretta
dimensione della colloquialità quotidiana, dovevano esistere forme di comunicazione
minimamente strutturata, senza che sia poi possibile precisare ulteriormente il
giudizio. Dopo l’età carolingia, e più ancora verso e dopo il 1000, si può presumere
che tali forme fossero abbastanza definite e stabili, in rapporto anche con la loro
natura tradizionale, sebbene forse ancora molto semplici. Date queste condizioni, gli
elementi più interessanti di discussione sono in buona parte costituiti da aspetti e
prodotti sia della letteratura latina, sia delle arti figurative, ossia prodotti di tradizioni
che erano in grado di assicurare almeno la possibilità della conservazione. In
particolare, la letteratura latina opera a due livelli: come tradizione letteraria
consolidata, cui possiamo ragionevolmente attribuire la funzione di modello, ma
anche come tradizione aperta a temi che apparivano legati alla cultura corrente e
specificamente recettiva di innovazioni formali, metriche innanzitutto, legate
nativamente alle lingue volgari.

7.2 Letteratura latina medievale e nascita delle tradizioni volgari

L’arco cronologico che qui ci interessa, che si estende su un periodo che va dal IX al
XII secolo, corrisponde con la stagione forse più importante e produttiva, sia sul
piano qualitativo che su quello quantitativo, della letteratura latina medievale,
compresa tra l’età carolingia e la cosiddetta Rinascita del XII secolo.
Queste epoche corrispondono a momenti di grande creatività nella storia del pensiero
occidentale e della produzione artistica; è evidente, quindi, l’importanza della
relazione di fondo con le arti figurative e l’architettura stabilito nell’età romanica a
partire dal’evoluzione nella sensibilità e anche dal confronto continuo con modelli
antichi.
L’epoca in questione, tra IX e XI-XII secolo, vede innanzitutto la riscoperta dei
classici non solo come referenti grammaticali, ma anche per la loro qualità letteraria,
la riorganizzazione di biblioteche, l'avvio di una prassi di studio, commento e
interpretazione dei testi condotta con mezzi sempre più approfonditi ed estesa dalle
Sacre Scritture e patristiche agli auctores antichi e attenta proprio anche alle qualità
formali di questi. Queste nuove attività si traducono in una produzione variegata,
molto ricca e qualitativamente superiore in maniera netta a quella dei secoli
precedenti.
Si precisano col tempo anche nuovi profili intellettuali: accanto a figure più
tradizionali di scrittori di formazione ecclesiastica ne compaiono altre classificabili
più tipicamente come letterati, poeti e prosatori; agli studiosi formatisi in monastero e
a coloro che erano legati alle poche cancellerie alto-medievali, si vengono
affiancando quelli attivi nelle scuole cattedrali, nelle cancellerie, che si sviluppano
fortemente soprattutto dopo il XII secolo, poi nelle università: centri tutti destinati a
dominare il profilo intellettuale complessivo del Basso Medioevo e a definire
ambienti e modelli culturali entro i quali si formarono molti tra i più importanti
scrittori in volgare dei secoli più tardi.
Sul piano delle tipologie testuali, oltre a generi già attestati, come le agiografie e la

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letteratura omiletica, vanno menzionate almeno la grande produzione di poesia


ritmica, la poesia musicale, l'apparizione di prime forme teatrali strutturate quali
sviluppi drammaturgici in rapporto con festività e celebrazioni. Più tardi compaiono
raccolte di narrazioni in prosa, spesso nella specifica funzione di repertori di racconti
destinati all'attività dei predicatori.
Anche questa minima elencazione di forme a vario titolo pertinenti alla sfera romanza
fa avvertire uno spostamento nell'equilibrio interno del repertorio: da una dominanza
di forme e tipologie legate alla predicazione e alla devozione, si va verso un'incidenza
apprezzabile di forme più controllate e, tendenzialmente, più elitarie, anche
maggiormente connotate in senso individuale, portatrici in ogni modo di una qualità
formale superiore, aspetto quest'ultimo che appare come davvero decisivo.

7.3 Testi mediolatini come tracce possibili di tradizioni volgari

Entro la Romània e nei vicini territori tedeschi, alcuni testi latini del X e dell'XI
secolo, e poi anche del XII, paiono echeggiare temi e forme peculiari della letteratura
romanza: presenze interpretate appunto quali impronte lasciate da testi volgari,
romanzi e germanici, allora esistenti e poi però svaniti, non direttamente conservati
come tali.
Ecco alcune di queste tracce o impronte:
 La Nota Emilianensis: un breve testo latino rinvenuto in un manoscritto
castigliano proveniente dal monastero di San Milan, nella Rioja, nel quale uno
scrivente, verosimilmente un monaco, della seconda metà dell'XI secolo,
probabilmente verso il 1070, riporta in latino lo schema narrativo di un
racconto di carattere epico relativo ad una spedizione in Spagna da parte di
Carlo Magno, conclusa con una battaglia nella quale muore l'eroe Rolando. La
trama corrisponde bene all'assetto generale della Chanson de Roland francese,
di cui si conserva una redazione attribuibile agli anni 1070-1090 circa. Si tratta
poco più che di un appunto, vergato in scrittura molto posata e inserito con
grande attenzione in uno spazio disponibile nel codice. L'intenzionalità della
conservazione è in questo caso indubbia. Nell'elenco dei grandi signori che
attorniano Carlo Magno compaiono, accanto ai protagonisti del Roland, anche
personaggi che non figurano affatto nella Chanson francese conservata e che
sono invece protagonisti di altre canzoni o di interi cicli di canzoni.
La più antica versione conservata della Chanson de Roland è trasmessa da un
manoscritto anglonormanno della seconda metà del XII secolo, ma, sulla base
di una serie di allusioni interne a luoghi e ad avvenimenti, l’epoca di
composizione del poema è ritenuta generalmente da riportare alla fine dell'XI
secolo, all'incirca a un secolo prima del codice che la conserva e grosso modo
alla stessa età della nota emilianense. A fronte di questa retrodatazione
l'importanza di quest'ultima potrebbe apparire assai sminuita, quasi
trascurabile. L’esistenza della Nota, tuttavia, è un dato positivo, che in qualche
modo àncora a un riferimento sicuro la storia del Roland; essa, inoltre,
evidenzia un processo di elaborazione di un nucleo leggendario durante il
quale hanno convissuto versioni anche sensibilmente differenziate della

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medesima storia.
 Il Frammento dell'Aia: trasmesso, incompleto dell'inizio, da un manoscritto
che ha le dimensioni tipiche di un quaderno piccolo, databile all'inizio dell'XI
secolo e assegnabile su basi paleografiche alla Francia settentrionale. È il
frutto di un esercizio scolastico, consistente nella prosificazione di porzioni
consecutive di un testo metrico altrimenti sconosciuto, un poema epico latino
in esametri che descrive l’assalto a una città fortificata con scene d'assedio e
battaglia nelle quali compaiono Carlo Magno e personaggi che saranno
protagonisti del complesso di canzoni di gesta francesi imperniate su
Guglielmo d'Orange. L'azione si sviluppa secondo meccanismi simili a quelli
dell'Epica francese, il testo è però il risultato di una elaborazione di tipo
classicheggiante con prestiti frequenti da Virgilio, da Lucano e da Ovidio. Il
frammento lascia intravedere la possibilità di una fase molto antica di messa in
forma di temi epici medievali, d’impronta complessivamente volgare
nell’argomento.
A queste testimonianze di area romanza se ne possono accostare due di area tedesca,
rappresentate da ampi poemi latini, il Waltharius e il Ruodlieb, rispettivamente del X
e dell'XI secolo, entrambi di origine monastica. Il primo è una rielaborazione in
forma epica di impianto virgiliano di temi che compaiono nell'antico frammento di
Hildebrandslied, il secondo un abbozzo di poema epico-cavalleresco nel quale si
comincia a scorgere una certa impronta cortese.
In campo lirico, varie poesie latine dall'XI secolo in poi dimostrano la progressiva
affermazione di una vena amorosa, sostanzialmente diversa dall'antica lirica erotica
classica e però comparabile solo parzialmente anche con la lirica cortese romanza che
si afferma a partire dal XII secolo. Segnalo alcune tra le testimonianze più
significative:
 Con il nome di Carmina Cantabrigensia si designa una collezione miscellanea
di poesia lirica della metà del secolo XI, redatta sulla base di interessi
prevalentemente musicali. Il manoscritto è di fattura inglese, ma la confezione
dell'antologia di nuovo riporta ad un'area germanica Renana, benché i testi
siano poi di provenienza svariata e almeno in parte risalenti al secolo
precedente. Accanto a diverse composizioni religiose, figurano nella selezione
alcune poesie profane, tra cui spiccano due componimenti celebri e di grande
eleganza, un invito a un incontro amoroso e un canto d'amore in voce di donna
aperto da un esordio primaverile. Alcune consonanze con la successiva
tradizione romanza sono palesi nei due Carmina di Cambridge, per esempio
nella presentazione del tema primaverile: si tratta però di affinità solo
generiche e in entrambi i casi il tipo di soggettività che vi si esprime non ha
riscontro pratico nella lirica volgare. È invece possibile che queste
somiglianze, oltre che dalla condivisione di alcuni archetipi culturali
complessivi, dipendano dalla reinterpretazione in chiave latina, quindi entro
una tradizione letteraria latina, di temi correnti in una possibile produzione
romanza sommersa, certamente non ancora di livello artistico e non
classificabile con sicurezza come letteraria.
 Un certo interesse hanno anche i Carmina dell'Anonimo innamorato di Ripoll:

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un monaco sconosciuto, probabilmente di origine francese, verso la metà del


XII secolo inserì in un manoscritto dell'abbazia catalana di Ripoll una
collezione di poesie amorose latine, semplici nell'assetto e dai tratti
popolareggianti.
In seguito, nel corso del XII secolo, si delinea un’ulteriore corrente di produzione
mediolatina che si dimostra dipendente per temi e per forme dalla letteratura profana
romanza del tempo: si ricordino almeno il poemetto noto come Concilio di
Remiremont, il trattato De Amore di Andrea Cappellano e le varie riscritture in latino
di opere volgari.
È opportuno, tuttavia, segnalare che mentre per i secoli anteriori al XII non abbiamo
che tracce discontinue e non del tutto coerenti di produzione letteraria romanza, per il
XII secolo ci troviamo di fronte ad una produzione volgare che è, si, di origine ancora
solo gallo-romanza, ma che però dimostra di avere goduto di diffusione realmente
europea e che si configura con caratteri di potente originalità innovativa.

7.4 Testimonianze iconografiche

A quelle di carattere letterario, si aggiungono testimonianze indirette, allusioni,


riferimenti in opere storiche e documenti. Particolarmente notevoli sono le
testimonianze iconografiche, tra le quali se ne segnalano tre italiane, di specialissima
rilevanza sia per l'epoca sia per le tradizioni letterarie cui si riferiscono.
 A Nepi (Viterbo), un'iscrizione del 1131 utilizza il nome di Gano,
protagonista negativo della Chanson de Roland, come paradigma della
figura del traditore.
 A Verona una delle statue che decorano il portale centrale della chiesa di
San Zeno, del 116° circa, raffigura Roland in armatura e con la propria
spada: attestazione precoce della fortuna della leggenda Rolandiana in una
regione dalla quale giungono, circa un secolo dopo, due importanti
rimaneggiamenti in franco-veneto della chanson antica.
 Ancora più notevole è la raffigurazione sull'archivolto del portale laterale
settentrionale del Duomo di Modena, databile alla prima metà del XII
secolo, nella quale sono raffigurati alcuni personaggi della leggenda
arturiana: Arturo, Galvano e altri cavalieri si dirigono verso un castello,
formato da una torre centrale in pietra circondata da un fossato e da torri in
legno, nel quale Mardoc tiene rinchiusa Ginevra e si preparano ad assalire
da due lati la fortificazione. Il nucleo tematico può corrispondere al
romanzo di Chretien de Troyes, nel quale Lancillotto si impegna nella
ricerca di Ginevra, rapita da uno sconosciuto. Con il bassorilievo di Modena
siamo molto prima di Chretien e prima della decisiva formalizzazione
letteraria, in latino, della leggenda arturiana, la Historia Regum Britanniae
di Goffredo di Montmouth, con la quale viene ripreso e totalmente
reinventato il personaggio di Artù. Siamo a Modena, lungo la via Emilia e
dunque tappa importante lungo la strada che conduceva dalla Francia verso
Roma e verso i domini normanni di recente acquisizione nell'Italia del sud,
che tra l'altro comprendevano una delle più importanti mete di

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pellegrinaggio medievali, il santuario di San Michele al Gargano. I riscontri


circa l'esistenza di questo asse sono numerosi: a Otranto, nel mosaico
absidale della cattedrale troviamo un’altra antica raffigurazione di Artù; e in
chiese della Puglia normanna sono diverse antiche raffigurazioni di soggetto
epico. A Modena dunque, nel momento del rifacimento del Duomo da parte
di uno dei più significativi artisti del tempo, Wiligelmo, si decise di inserire
come elemento decorativo emblematico un momento di una leggenda
esotica e di incerta e per noi assai dubbia matrice cristiana, ma di carattere
tale da godere, presumibilmente, il favore dei fedeli e di incontrare
l’accettazione della committenza; il tutto ancora prima che nelle regioni di
origine della leggenda stessa si giungesse ad una sua messa in forma
letteraria.
L'archivolto di Modena è una dimostrazione eccezionale dell'esistenza a
quel momento di vie lungo le quali per l'Occidente medievale si
diffondevano leggende e storie, tra le quali vediamo comparire anche alcuni
dei capitoli fondanti della letteratura medievale.
Le stesse vie ci testimoniano, attraverso ricerche onomastiche, la diffusione in larga
parte d’Europa, a partire dalla seconda metà dell'XI secolo, di nomi di personaggi
importanti dell'epica francese: emblematico tra tutti il caso delle coppie di fratelli
battezzati come Rolando e Olivieri, dal nome degli eroi di quella che è per noi la
chanson de Roland. È chiaro che a partire dalla metà del secolo XI cominciano a
presentarsi condizioni favorevoli all'accoglienza e all'elaborazione autonoma di
spunti, di temi, di storie, che probabilmente avevano anche avuto una vita antica
presso varie genti, come parte del loro patrimonio culturale tradizionale: così
certamente lo spunto storico-narrativo relativo ad Artù, così anche la storia di Roland
e le varie tradizioni di età carolingia e post-carolingia che rifluiscono nelle canzoni di
gesta del XII secolo.
Questi stadi anteriori ai testi conservati e dunque la fase di gestazione che
corrisponde ai secoli X-XI non sono che il frutto di ricostruzioni in larga misura
ipotetiche. Al contrario, nel XII secolo assistiamo, in rapidissima progressione,
all’emergere e all’affermarsi di testi provvisti di una propria pienezza formale, per
quanto spesso ancora sperimentali e destinati ad essere presto soppiantati da prodotti
più evoluti. Nel XII secolo, i testi che ci appaiono oggi come i capostipiti della nuova
letteratura romanza circolano ampiamente e vengono accolti, magari anche grazie ad
un minimo fascino d’esotico e di straniero, in luoghi anche lontani da quelli di origine
e da loro dissimili per lingua e per cultura. Le condizioni e il clima culturale
dell'Occidente sono favorevoli a questi scambi e contatti: e anche questa è tra le
premesse dell’affermazione di nuove letterature romanze come parte di una Rinascita
del XII secolo.

7.5 Ipotesi a confronto sul tema delle origini delle letterature romanze

Sulla base delle condizioni dei secoli X-XI e tenendo conto delle tracce in testi latini
e delle ulteriori testimonianze indirette e rapportando tutto questo con le forme dei
testi letterari volgari conservati a partire dal secolo XI e poi soprattutto dal secolo

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XII, sono stati formulati due schemi generali di interpretazione della genesi delle
letterature romanze e si sono individuati i seguenti modelli di Origini letterarie
romanze:
 un modello dotto e religioso o clericale, con riferimento agli ambienti scolastici
e monastici e attribuzione di valore formativo alle prove di letteratura religiosa
conservata per i secoli X-XI, elaborate a partire da esempi latini e poi utilizzate
a loro volta come modelli e punti di riferimento per componimenti profani;
 un modello popolare, del tutto opposto al primo, del quale ribalta cronologia e
rapporti; esalta la funzione della tradizione popolare, dunque della memoria e
dell'oralità, come veicolo di trasmissione dei nuclei tematici e dei
componimenti stessi.
La prima ipotesi è decisamente letteraria, in quanto fa riferimento ad un duplice
strutturale intervento della tradizione colta e scritta. Ad essa è associata la funzione di
modello attivo, che opera al livello sia della composizione in lingua volgare in
ambienti colti, sia della stessa trasmissione dei testi. In questa prospettiva, le
letterature romanze vengono viste come uno sviluppo del movimento che comincia
con la rinascita carolingia e delle evoluzioni nel sistema culturale latino a partire dalla
fine dell'XI secolo.
La seconda ipotesi, al contrario, prescinde dalla letteratura, in quanto tende a
svincolare la fase di genesi della componente colta, letteraria e scritta, la quale
interverrebbe solo nelle fasi finali e avrebbe così funzione proporzionalmente poco
rilevante, non decisiva, e comporterebbe, attraverso la messa in forma grazie alla
mediazione con il livello letterario alto, un certo grado almeno potenziale di
distorsione della tradizione pre-letteraria volgare.
Senza addentrarci in un’analisi specifica delle due tesi qui schematicamente
presentate, si può tentare una mediazione pratica su più piani:
 la gente del medioevo ha raccontato, cantato, ballato; l'ha fatto con testi che
dobbiamo immaginare legati alla lingua corrente e provvisti di una almeno
rudimentale struttura metrica e il cui contenuto può essere facilmente
immaginato: feste rituali, credenze, miti d’ascendenza pagana e cristiana,
amore, imprese, guerre e così via. Circa la loro esistenza, fanno fede sufficiente
le ricorrenti ammonizioni ecclesiastiche contro i canti amorosi o legati alle
tradizioni folkloriche. Tuttavia, quanto a contenuti e assetti testuali di questi
componimenti è lecito dire molto poco e in particolare bisogna astenersi dal
derivare deduzioni stringenti da apparizioni in epoche successive di
composizioni di livello basso, le quali molto probabilmente sono il risultato di
una revisione formale attraverso il contatto con un livello cosciente e altamente
stilizzato di scrittura alta. D'altra parte deve essere data per scontata la presenza
di un fondo tematico di tipo tradizionale, possibilmente associato a proprie
modalità espressive, quindi a forme; questa componente di fondo è
classificabile se vogliamo come popolare, avendo ben chiaro che non si tratta
assolutamente di una dimensione circoscritta alle sole classi inferiori;
 quale esempio dei frequenti riferimenti a condanne di giullari e di cantilenae, è
importante la settima deliberazione del Concilio di Topurs, dell'anno 813.

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Questi giullari erano portatori di un'espressione orale non necessariamente solo


volgare: entro certi limiti e in ambienti più colti o linguisticamente più
conservativi, come l'Italia per esempio, il latino poteva ancora essere utilizzato,
magari all'occorrenza storpiato e adattato all'uso locale, avendo dalla sua
l’immenso vantaggio dato dall'essere strumento pratico e largamente condiviso
di comunicazione, per definizione sovranazionale;
 sin qui ci troviamo all'interno di una dimensione probabilmente solo orale e a
questa riportano anche le notizie circa giullari e simili; invece i testi antichi
conservati hanno un'indubbia componente letteraria in senso proprio, che non
può essere considerata solo come risultato di un'ultima messa in forma finale.
Si tratta di strutture complesse e fortemente coese, a partire dalle quali non è
lecito estrapolare forme testuali originarie a minore o nullo contenuto di
letterarietà;
 il confine tra dotto e colto, da un lato, e tradizionale e popolare dall'altro, il
confine, cioè, tra scritto e orale, è il larga misura artificioso; le due realtà sono
a contatto e la stessa ragione d'essere di tipologie testuali conservate da epoca
abbastanza precoce anche in veste romanza, come l’agiografia e le liriche
religiose legate a particolari ricorrenze, dimostra l'interscambio tra le due
dimensioni, anche a livello di esecuzione e di messa in scena. Per converso,
non si può escludere che, soprattutto nella fase più antica, anche i testi volgari
di carattere più colto e di impronta più letteraria, più prossimi quindi alla
dimensione latina, dipendano in qualche misura da influenze e mediazioni
rispetto ad una tradizione volgare più bassa, allora ancora latente;
 il carattere estremamente curato, finito e al tempo stesso fortemente innovativo
che riconosciamo in molti testi letterari romanzi della fase più antica,
soprattutto in area gallo-romanza, fa pensare che l'aspetto formale, nel senso
più lato, sia decisivo per l'apparizione e il consolidamento in tradizione
autonoma delle nuove espressioni letterarie romanze. I volgari giungono a
conquistare uno spazio entro un generale sistema di distribuzione e
gerarchizzazione della cultura nel mondo medievale, dunque riescono a
costituirsi in tradizioni letteraria in senso proprio e quindi anche a guadagnarsi
con relativa stabilità un ruolo e una dimensione nella documentazione scritta.
Consegue a tutto ciò che il processo di apparizione delle letterature romanze
medievali è soprattutto un processo di definizione formale, che va seguito su
entrambi i piani dell'espressione e dei contenuti, del resto strettamente intrecciati tra
loro nei concreti risultati testuali. I testi letterari romanzi delle Origini e in generale le
nostre letterature romanze sono comunque dei prodotti di mediazione e sintesi, nei
quali si presentano di volta in volta più o meno accentuati i caratteri tradizionali di
fondo, reinterpretati in misura minore o maggiore a confronto con la tradizione di
scrittura che ne modella la configurazione testuale.
Ciò che è peculiare dell'epoca delle Origini neolatine è il continuo confronto interno
tra la lingua latina e le lingue che ne discendono, tra la cultura latina e le culture
volgari che tendono a emanciparsi dall’egemonia della prima, pur non riuscendo a
svincolarsi dal debito funzionale contratto con essa e anzi a più riprese ricercando
l'emulazione e il rafforzamento del rapporto.

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L'influsso della letteratura latina sulle scritture volgari non si arresta o attenua in
alcun modo a partire dall'altezza cronologica entro la quale si è arrestata la
campionatura dei contatti, ossia dallo snodo tra l'XI e il XII secolo. Il rapporto con le
lettere latine e mediolatine resta anzi fortissimo, innanzitutto a partire da tutta la
produzione intellettualmente più complessa e da tutte le scritture legate a temi
religiosi.
Insomma, il XII secolo segna effettivamente una svolta circa i rapporti reciproci tra
tradizioni latine e tradizioni volgari, che vede il delinearsi della supremazia delle
seconde negli ambiti che noi consideriamo più strettamente letterari. Questa
inversione di tendenza ha come centro l’area gallo-romanza ed è preannunciata da un
considerevole numero di testi attribuibili ai due secoli precedenti, il X e l'XI.

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8. I più antichi testi letterari romanzi

Quello che segue è il catalogo delle opere letterarie romanze pervenute anteriori al
XII secolo. Va avvertito, tuttavia, che il termine cronologico è intrinsecamente
opinabile, dal momento che si opera talora non sulla base di evidenze paleografico-
codicologiche, ma a partire da risultati di analisi e valutazioni linguistiche e storico-
letterarie: diversi testi, sebbene trasmessi da manoscritti del XII secolo, sono però
ritenuti composti nel secolo precedente.
Con l’unica eccezione delle controverse xarajat arabo-andaluse, tutti gli altri testi di
carattere letterario provengono dall’area gallo-romanza, che appare nettamente
precoce rispetto a quella iberica e italiana per quantità e qualità dei prodotti. Di
conseguenza, l’area gallo-romanza occupa una posizione cruciale di preminenza
rispetto al complesso delle letterature romanze medievali e svolge una funzione di
modello e orientamento, della quale si hanno prove evidenti negli influssi decisivi che
testi gallo-romanzi esercitano sulle prime opere letterarie di altre regioni della
Romània. Ciò vale per l’elaborazione non solo di forme e di registri espressivi, ma
anche di temi, di valori, di modelli anche umani e comportamentali. Questa posizione
di preminenza e la funzione ad essa associata di centro delle innovazioni condivise si
manterranno fino quasi alla fine del XIII secolo.
In favore di questo sviluppo così macroscopicamente anticipato dell’area gallo-
romanza possono aver giocato fattori interni, linguistico-culturali, ed esterni, storico-
sociali ed anche istituzionali: più rapida evoluzione dei sistemi linguistici e,
parallelamente, precoce presa di coscienza della diversità dei sistemi; sviluppo di una
attenzione specifica ai problemi della comunicazione anche strutturata in ambito
quantomeno religioso; relativa omogeneità degli assetti territoriali e dei poteri, in
contrasto con la più elevata frantumazione caratteristica di Italia e Iberia; coincidenza
con alcune delle regioni culturalmente più sviluppate dell’età post-carolingia e quindi
con i centri di produzione letteraria latina dei secoli X-XI. Non è infine da
sottovalutare l’importanza di contatti con aree limitrofe produttive anche in campo
volgare; si pensi alle zone germaniche occidentali e soprattutto all’Inghilterra
anglosassone, luogo privilegiato d’incontro a seguito della conquista normanna del
1066 e dell’insediamento di una nuova classe dirigente linguisticamente francese.

8.1 Catalogo dei testi letterari romanzi anteriori al XII secolo

A. IN LINGUA D’OIL

8.1.1 Sequenza di Sant’Eulalia

Anno 880 circa, 29 versi disposti in 14 periodi di due versi ciascuno, con l’ultimo
irrelato (privo di connessione o relazione con altri elementi), in struttura di sequenza;
marcati elementi dialettali valloni di base, con pochi ma evidenti tratti estranei, alcuni
probabilmente piccardi e altri franciani. Il manoscritto proviene dal monastero di St.

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Amand, presso Valenciennes, probabile luogo di composizione della sequenza stessa.

8.1.2 Sermone su Giona o sermone di Valenciennes

Testo latino-francese con le due lingue alternate, composto nel pieno X secolo, tra il
937 e il 952, conservato in un codice ora a Valenciennes; il testo consta
complessivamente di 37 ampie righe di scrittura e proviene dalla medesima regione
dell’Eulalia, forse proprio da un ambiente vicino al monastero di St.Amand. Si tratta
verosimilmente di appunti, incompleti, che lasciano aperta la possibilità di una
realizzazione orale dai caratteri romanzi più accentuati, coerenti, definiti. È l’unico
dei testi qui considerati a non essere in versi e lo statuto letterario appare in certo
modo discutibile.
Spicca in maniera evidente il carattere romanzo della maggioranza delle parole
espresse in chiaro, con tratti anche molto ben definiti.

8.1.3 Vie de Saint Leger

240 octosyllabes in strofe di 6 versi assonanzati a coppie; testo vallone, trascritto nel
Poitou, con sovrapposizione di tratti linguistici di questa regione. È un testo inserito
nell’XI secolo, con parecchi altri testi, in spazi bianchi di un manoscritto del secolo
X, contenente un Liber Glossarum. Il codice forse proviene dal monastero di St.
Maixent, presso Poitiers, dove potrebbero essere state effettuate queste aggiunte.

8.1.4 Passion

516 octosyllabes in 129 strofette di 4 versi assonanzati a due a due. Testo originario
della fascia meridionale dell’area oitanica; il manoscritto che lo tramanda è di sicura
provenienza pittavina ed è il medesimo che conserva anche il St. Leger. Il testo è noto
correntemente come Passione di Clermont dal luogo di attuale conservazione, ma
certamente non è alverniate per origine.

8.1.5 Sponsus

Dramma religioso bilingue incentrato sulla parabola evangelica delle vergini sagge e
delle vergini folli; sezioni latine si alternano a sezioni volgari, queste ultime su strofe
di 3 decasyllabes rimati con refrain; è opinione comune che le sezioni romanze siano
state interpolate in una base preesistente monolingue, con funzioni di esplicazione e
parafrasi di corrispondenti parti del testo latino, che non esclude alcuni ulteriori
sviluppi indipendenti. Lo Sponsus è conservato in un manoscritto composito della
fine dell’XI secolo o dell’inizio del XII, proveniente dall’abbazia di San Marziale a
Limoges. Il dialetto originario del testo è riconducibile al sud-ovest dell’area oitanica,
ossia al Poitou, ma la copia è dovuta ad uno scrivente dell’estremo Nord dell’area
occitanica.

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8.1.6 Tropo Quant li solleiz converset en leon

24 strofe di 3 versi. Il tropo era destinato ad essere cantato in occasione della festa
dell’Assunzione, prima dell’offertorium Ave Maria. Testo originario delle regioni
dell’ovest, forse Normandia, copiato probabilmente in territorio un po’ più
meridionale, ossia nella valle della Loira, all’inizio del XII secolo.
La datazione entro il secolo XI in questo caso non è assicurata, dal momento che il
manoscritto relatore è da assegnare al primo quarto del XII. Si è inserito comunque il
tropo nel catalogo per una duplice ragione. Innanzitutto esso rappresenta una
categoria di testi religiosi, inni e preghiere, che è attestata con più di un prodotto a
partire dall’inizio del XII secolo e con origini anche settentrionali. In secondo luogo,
il tropo appare notevole a fianco dei testi romanzi di carattere profano nei quali si
introduce il tema dell’incontro con una fanciulla solitaria.

8.17 Vie de Saint Alexis o Chanson de Saint Alexis

Testo dell’XI secolo, forse, de 1040 circa; la lingua è comunque antica e corrisponde
a uno stadio anteriore, seppur di poco, a quella utilizzata nella Chanson de Roland
conservata e la datazione alla metà o entro il terzo quarto del secolo XI appare assai
probabile. Testo in strofe di 5 decasyllabes, legati da assonanza: nella redazione del
manoscritto più antico, il poemetto conta 625 versi.
Il testo dell’Alexis volgare venne originariamente composto sul continente, in area
linguistica della Francia settentrionale. La diffusione antica del poemetto è
documentata soprattutto nella regione anglo-normanna: è discusso se vi sia stata una
vera e propria revisione e ristrutturazione in area normanna, forse nel monastero di
Le Bec, ovvero se le diverse copie anglo-normanne pervenute, appartenenti a diversi
rami della tradizione, siano da identificare come tracce indipendenti di una generica
ampia fortuna del testo.

8.1.8 Chanson de Saint Catherine

Fine XI secolo, ma forse 1050-1070 circa, ossia contemporaneamente alla redazione


primitiva del Saint Alexis. Manoscritto anglonormanno del secolo XIII. L’autore
sembra provenire da Rouen e opera forse in Inghilterra, nei primissimi anni a ridosso
della conquista normanna. Il poema venne integralmente riscritto dalla monaca
inglese Clemence de Barking nell’ultimo quarto del XII secolo come Vie de Sainte
Catherine, in distici di ottosillabi.

A. IN LINGUA D’OC

8.1.9 Formule augurali per la guarigione delle ferite

Ritrovate da Bernard Bischoff nel margine di un manoscritto del secolo IX/X, dove
sono state inserite, assieme ad un’altra simile in latino, da una mano assegnabile alla

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metà o alla seconda metà del secolo X. In entrambi i testi è percepibile la presenza di
tradizione ortografica latina; tra gli elementi linguistici significativi in chiave
romanza è da notare l’assenza dell’articolo.

8.1.10 Frammento di 6 versi noto come Passione di Augsburg

Appartenente ad una composizione, forse drammatica, di natura o intonazione


profetica, con notazione musicale per il canto; provenienza dalla Francia orientale o
nord-orientale, causa di almeno possibili distorsioni a seguito della sovrapposizione
di una patina linguistica settentrionale sul fondo occitanico; manoscritto del X secolo.
Senza addentrarsi in ipotesi di ricostruzione, si noteranno un assetto metrico su una
base di octosyllabes e la presenza di un apparente refrain, elemento che indirizza
verso le canzoni da ballo, attestate anche in ambito clericale.

8.1.11 Alba religiosa bilingue o Alba di Fleury

Componimento su tre strofe in latino, ciascuna delle quali è seguita da refrain


(ritornello) costante in volgare; quest’ultimo è difficilmente decifrabile sia nel dettato
che nell’assetto linguistico di base. L’Alba venne copiata nel X secolo nel monsatero
di Fleury-sur-Loire. Il testo vi compare aggiunto sul verso del penultimo foglio del
manoscritto, che contiene testi religiosi e monastici.

8.1.12 Boeci

Frammento iniziale di 255 versi di un poemetto narrativo-didattico sulla vita del


filosofo tardo-romano Severino Boezio, vissuto nel secolo VI e autore del trattato “La
consolazione della filosofia”, fatto giustiziare dal re ostrogoto Teodorico e per questo
interpretato dalla tradizione medievale come martire cristiano; testo in lasse brevi di
decasyllabes rimati, concepito per il canto individuale. Originale in limosino,
trascritto nell’abbazia di Saint-Martial a Limoges entro l’XI secolo, o al massimo
all’inizio del successivo.

8.1.13 Canzone mariana bilingue In hoc anni circulo…mei amic e mei fiel

XI secolo; 19 strofe di tre heptasyllabes monorimi ciascuna, alternate tra latino e


volgare, con le ultime tre in volgare (nel complesso, 11 strofe su 19 sono in volgare);
ciascuna strofa è seguita da un verso di clausola, di fatto equivalente a un refrain,
costante dopo le strofe latine, minimante variato in quelle volgari.

8.1.16 Due minimi testi lirici della seconda metà del secolo XI, di contenuto più o
meno direttamente amoroso

Entrambi di una sola strofa e accompagnati da notazione musicale, rinvenuti da


Bernhard Bischoff alla fine di un manoscritto di Terenzio confezionato all’inizio del
secolo XI e proveniente dalla regione del Reno; qui uno scrivente tedesco, molto

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probabilmente renano, della seconda metà dello stesso XI secolo, ci ha conservato,


sottoforma di appunto su un foglio di guardia del codice, questa prima apparizione
della lirica romanza profana. Il secondo testo è forse meglio classificabile come di
contenuto satirico, in quanto invettiva moralistica contro cavalieri senza scrupoli e
monache; il primo testo, più chiaramente intellegibile e di indubbio contenuto
amoroso, presenta un assetto linguistico problematico, di interpretazione non sicura.
Esso è molto probabilmente occitanico in origine, ma deve essere giunto nelle mani
del copista tedesco attraverso regioni più settentrionali, transito che ha lasciato, ad
esempio, come traccia sensibile, l’adattamento in –er delle rime originariamente in –
ar.

8.1.17 Chanson de Sainte Foi

Seconda metà dell’XI secolo, 1060 circa. Testo di 593 octosyllabes in lasse
assonanzate, destinato al canto, originario della regione occitanica al limite
meridionale del Massiccio Centrale; la chanson è copiata agli inizi del XII secolo in
un manoscritto proveniente dall’abbazia di Fleury-sur-Loire, senza modificazioni
significative dell’assetto linguistico primitivo. Il manoscritto nel suo stato originale si
presentava come una raccolta organica destinata a usi paraliturgici e con significativa
presenza musicale, comprendente testi in latino e in volgare.

B. IN FRANCO-PROVENZALE

8.1.18 Frammento di un Roman d’Alexandre

Si tratta di una traduzione della Storia latina di Curzio Rufo, ad opera di un Alberic
de Pisancon; il frammento è conservato in un manoscritto databile all’inizio del
secolo XII e consta di 105 octosyllabes superstiti, distribuiti in 15 lasse di misura
abbastanza costante, oscillante intorno ai 6-8 versi ciascuna, in un solo caso 10,
legate per lo più da rima, e in tre casi da assonanza.

C. IN MOZARABO

8.1.19 Xarajat

All’incirca refrains romanzi, tuttavia di incerta decifrazione anche in conseguenza


della scrittura in caratteri arabi o ebraici, che si trovano inseriti in canzoni appunto
arabe appartenenti al genere delle muwassahat, composte in Andalusia nella seconda
metà dell’XI e nel XII secolo: in tutto gli inserti romanzi identificati con ragionevole
sicurezza sono 68. La muwassahat si articola normalmente in un corpo in arabo
classico, che prevede l’inserzione strutturale in ogni strofa di clausole di chiusura in
arabo volgare, ossia nella lingua corrente, assimilabili in certo modo ai nostri
ritornelli. In un certo numero di muwassahat di origine andalusa composti da poeti sia
arabi che ebrei, in luogo della clausola in arabo volgare se ne incontra una nel volgare
romanzo della regione, il romanzo andaluso comunemente indicato come mozarabo.

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La decifrazione linguistica dei testi, prima ancora della loro interpretazione, è resa
difficoltosa dalla trascrizione che, secondo le norme degli alfabeti arabo ed ebraico,
non indica le vocali, allora pronunciate mentalmente dal lettore e oggi reintegrate
dagli studiosi moderni attraverso molteplici difficoltà e con risultati incerti, tant’è
che, per la base linguistica romanza, oltre al mozarabo, si è pensato anche ad altre
varietà peninsulari.
Intorno alle xarajat, identificate per la prima volta nel 1948 dal semitista Samuel
Stern in poesie ebraiche, si sono intrecciate valutazioni contrastanti e si sono costruite
ipotesi anche di grande portata circa le origini della lirica occidentale: secondo alcuni,
a questa tradizione ipotetica sarebbero da attribuire influenze determinanti circa
origini e sviluppo della lirica in territorio gallo-romanzo. La natura degli inserti
volgari non può dirsi chiarita, dal momento che non si può stabilire se si tratti di
frammenti composti ad hoc dai poeti ovvero se siano vere e proprie citazioni di testi o
frammenti indipendenti appartenenti ad una vera e propria tradizione lirica autoctona,
altra rispetto a quelle arabe ed ebraiche d’Andalusia. In ogni caso, come messo in
chiaro dagli studi più recenti, gli spezzoni romanzi obbediscono a regole di
versificazione e composizione araba, il che implica quantomeno un adattamento
strutturale rispetto agli ipotetici modelli lirici mozarabici, di conseguenza ancor più
sfuggenti.

8.2 Precisazioni metriche

Con la sola eccezione del Sermone di Valenciennes, tutti gli altri testi delle origini
sono in versi e l’impressione generale è che la presenza di un’organizzazione metrica,
via via sempre più precisa e con crescenti caratteri romanzi, in allontanamento da
modelli latini del tempo, pienamente rispettati solo nell’Eulalia, e quindi di una forma
percepibile ed elevata, sia una caratteristica qualificante decisiva nell’apparizione dei
primi testi letterari romanzi. È pertanto opportuno abbozzare i contorni di questa
acquisita formalità attraverso alcune definizioni degli aspetti metrici incontrati nei
testi sopra presentati.

Strofa

Unità metrica costituita di un numero fisso di versi (come minimo due), monometrici
o polimetrici; in campo romanzo la strofa è caratteristica della poesia lirica, dove
compare soprattutto, ma non solo, in realizzazioni complesse, destinate sempre in
origine ad essere accompagnate dal canto (da cui appunto il nome di lirica), secondo
una melodia ripetuta di norma di strofa in strofa con l’eccezione di forme particolari,
i discordi, costruiti su articolazioni più libere, non strofiche; ma forme minime e
standardizzate di strofa, in particolare il couplet d’octosyllabes nella letteratura
francese e la quartina di alessandrini in varie tradizioni nazionali (francese, spagnola,
anche italiana) vennero largamente utilizzate per la letteratura in versi d’argomento
narrativo e didattico; così poi l’ottava di endecasillabi, detta anche ottava rima, che
compare per la prima volta nel Filostrato di Boccaccio ed è poi tipica della narrativa
italiana in versi dalla metà del ‘300 in poi, utilizzata sia nei cantari sia nei poemi

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cavallereschi in versi.
Lassa

Unità metrica costituita da un numero variabile di versi, rigorosamente monometrici.


Forma tipica della letteratura medievale gallo-romanza e specificamente delle
canzoni epiche e di alcune canzoni agiografiche, essa venne utilizzata anche in
ambito iberico e antico italiano. Metri tipici delle canzoni gallo-romanze in lasse sono
il decasyllabe, equivalente grosso modo nella prosodia ad un endecasillabo italiano, e
l'alessandrino.

Rima

Due versi rimano tra loro quando tra di essi vi sia identità perfetta, sia nelle vocali
che nelle consonanti, a partire dall'ultimo accento di ciascuno; la rima è dunque la
sezione finale di un verso, a partire dall'ultimo accento, quello che nella tradizione
romanza medievale e post-medievale identifica i tipi diversi.

Assonanza

Identità tra le sole vocali, in condizioni analoghe a quelle che definiscono la rima.

Decasyllabes

In italiano meglio traducibile con decenario piuttosto che con decasillabo, per evitare
confusioni sulla misura: verso caratterizzato e individuato da un accento dominante in
decima sede, che identifica la rima o l'assonanza; il decasillabe epico prevede inoltre
un secondo accento, di importanza quasi pari al primo, collocato sempre in quarta
sede e individuante una cesura interna; la struttura nei due casi è dunque stabilmente
o 4 + 6 oppure 6 + 4. Nella misura prosodica complessiva il decasyllabe epico è
strettamente comparabile all'endecasillabo della tradizione italiana, che è però più
simile, entro la stessa misura di base, al decasyllabe lirico della tradizione provenzale,
leggermente più flessibile di quello epico. Il decasyllabe è nella tradizione francese il
verso tipico della canzone di gesta del XII secolo, poi affiancato e in parte sostituito
dall'alessandrino.

Octosyllabe

In italiano si traduce con ottosillabo ma è equivalente al novenario: verso individuato


da un accento dominante in ottava sede. Nella tradizione gallo-romanza ed in
particolare come elemento costitutivo del distico di octosyllabes questo è il metro
caratteristico dei generi versificati di argomento narrativo e didattico destinati alla
lettura; nelle canzoni di gesta fa la sua comparsa solo nell'antica canzone di Gormont
e Isembart, ma è caratteristico di un buon numero di antichi poemetti, a cominciare
dal St. Leger.

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Alessandrino

Verso lungo, corrispondente a un dodecayllabe cesurato al mezzo e costituito dunque


di due unità simmetriche, ciascuna caratterizzata da un accento strutturale in sesta
sede, dopo la quale può o no essere presente un’ulteriore sillaba atona, corrispondente
di norma alla finale di una parola piana. L'alessandrino venne così chiamato a partire
dal testo che lo impose nel gusto del pubblico, un Roman d’Alexandre, ossia una
rielaborazione della storia leggendaria di Alessandro Magno, composta verso la fine
del XII secolo. Organizzato in strofette di quattro versi, dette appunto quartine di
alessandrini, questo verso fu metro importante della poesia soprattutto didattica
francese e spagnola, con esempi notevoli anche in Italia, in particolare come
soluzione metrica tipica della poesia didattica settentrionale.

Tropo

Dal greco tropos, “direzione, maniera, stile”, termine passato a indicare nella retorica
antica il traslato, ossia uno dei fenomeni di deviazione e traslazione di significato,
una figura di pensiero che organizza i sensi figurati. Conservando questo significato
nella tradizione retorica, il termine tropo ne assunse un altro nella tradizione metrico-
musicale mediolatina, indicando ampliamenti particolari di elementi preesistenti; si
trattava quindi di sviluppi anche autonomi ma costruiti sempre a partire da un
elemento dato e quindi non in tutto liberi, in forma in fondo non dissimile sul piano
concettuale da quel che saranno in seguito le variazioni.

Versus/vers

Con questo nome sono designate diverse composizioni del repertorio dell'abbazia di
San Marziale a Limoges, attribuibili alla fine dell'XI e al XII secolo e caratterizzate
dall'originalità e libertà nella costruzione, a differenza di quanto avveniva per i tropi.
I versus della scuola aquitana hanno forma astrofica, passata in eredità alla forma del
vers nella più antica tradizione trobadorica provenzale, poi rielaborata intorno alla
metà del XII secolo in quella di canzone, fondamento a sua volta della lirica d'arte
romanza del medioevo.

8.3.1 Dimensione dei testi

Innanzitutto è evidente che questi componimenti acquistano nel corso del tempo una
dimensioni via via maggiore: anche lasciando di lato la cantilena di Sant’Eulalia, che
ha la struttura molto particolare di sequenza, passiamo dai 245 versi del St. Leger, ai
516 della Passion, ai 593 della S.te Foy, ai 625 del St. Alexis. La chanson de Roland,
di cui conosciamo una versione forse attribuibile alla fine dell'XI secolo e
rimaneggiata l'inizio del successivo, conta più di 4000 versi nel più antico stadio
ricostruibile.

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8.3.2 Connotati culturali di origini: tradizioni monastiche

L'ambito di origine dei testi è sempre religioso e più precisamente monastico; non
compaiono invece centri di cultura che pure dal secolo XI cominciano ad avere una
specifica rilevanza, come le scuole che si definiscono cattedrali, ossia associate a una
sede vescovile, dunque di fatto a città. Questo tratto di origine è ancora più forte della
stessa ispirazione sacra, pure largamente dominante, dal momento che i manoscritti
che conservano i testi provengono certamente da ambienti monastici. Appare chiaro
così il legame con le pratiche di culto: ricorrenze, cerimonie, festività e pellegrinaggi.

8.3.3 Tradizione manoscritta

Con la sola eccezione del St. Alexis, tutti questi componimenti sono in testimonianza
unica, ossia sono trasmessi da un solo manoscritto. La maggior parte è rimasta legata
al luogo di composizione: in questi casi non possiamo supporre un'effettiva
circolazione, diffusa o comunque ampia, dei testi. Altri componimenti invece sono
trascritti in codici esemplati in luogo diverso e talora anche lontano da quello dove
videro presumibilmente la luce. Non solo: il fatto che in uno stesso manoscritto siano
stati riuniti testi differenti quanto a origine fa intuire un processo di circolazione delle
opere e di loro raccolta in centri interessati a queste tipologie testuali, fenomeno che
potrebbe essere stato ben più esteso di quanto ricostruibile sulla base della
documentazione conservata. È aspetto indubbiamente notevole la trascrizione di
alcuni testi fuori dall'area romanza, da affiancare all'apparizione dell’Eulalia, in una
zona e in un manoscritto di confine e da porre in relazione con l'alta percentuale di
testi provenienti dalle zone orientali del dominio gallo-romanzo. Questi contatti e
percorsi si stabiliscono anche a cavallo tra latino e volgare. Nell'elaborazione della
leggenda religiosa, il St. Alexis francese deriva ovviamente da modelli agiografici
latini, ma ne influenza a sua volta. Ancora più singolare il caso dell'antico St. Leger,
che deriva da una vita latina radicata in territorio pittavino, là dove il santo era
specialmente venerato; il poemetto romanzo venne composto in zona piccarda o
comunque in una scripta fortissimamente segnata da tratti piccardi e ritornò però
nella regione d'origine della leggenda, finendo trascritto in un manoscritto
localizzabile tra Poitou e Limosino e disegnando così un doppio percorso di andata e
ritorno dell'asse sud ovest-nord est entro l'area oitanica.
Pare opportuno distinguere due piani: da un lato abbiamo una geografia precisa,
puntualmente definita dai manoscritti conservati e dai centri monastici cui possono
quasi tutti essere ricondotti; è una geografia reale, ma anche molto lacunosa, a causa
proprio della parzialità della documentazione. Accanto a questa è però giusto
considerare anche una geografia dai connotati assai meno netti, suggerita da alcuni
percorsi di diffusione, che possono essere delineati almeno in via di ipotesi. In
particolare, a proposito di diversi di questi testi gallo-romanzi, in genere legati al
canto e alla esecuzione pubblica, dalla Passion di Clermont sino alla canzone di gesta
di Girart de Roussillon, della metà del secolo XII, è stata discussa la localizzazione
con proposte che riconducevano a un capo o all'altro dell'area di transizione del

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cosiddetto croissant (ossia da quella regione a forma di falce di luna che contorna a
nord la regione linguisticamente occitanica nell'area del massiccio centrale),
formulate a partire da dati linguistici contraddittori; questo solo fatto è un indizio
della potenziale mobilità dei testi, ossia della possibilità di semplicissimi adattamenti
operati tra modalità linguistiche tra loro simili, neppure necessariamente coincidenti
con quella originaria del testo.

8.3.4 Geografia culturale della tradizione

In generale, esaminando tanto i centri ipotetici di produzione quanto i luoghi di


trascrizione, la Chiesa e le istituzioni ecclesiastiche appaiono svolgere una funzione
assolutamente centrale: la geografia che possiamo delineare è contraddistinta da
centri religiosi di cultura, in primo luogo monasteri.
Circa il ruolo delle istituzioni ecclesiastiche, il caso del St. Alexis è per tanti aspetti
emblematico. L’inno latino Pater deus ingenite, composto a Roma verso il 1070, si
configura come un adattamento della leggenda sacra a partire da uno schema
coincidente con quello della Chanson volgare e divergente dalle varie Vitae latine del
Santo, conosciute a loro volta, a quanto risulta, soprattutto a cominciare dall'inizio
dello stesso secolo XI e con Roma come centro apparente di irradiazione.
Ma la Chanson di Alessio esce dei monasteri. Verso la metà del XII secolo la fortuna
della Francia orientale è assicurata dal ruolo che le viene assegnato nell'episodio della
conversione di Pietro Valdo, il quale secondo un cronista del tempo avrebbe deciso di
abbracciare la vita religiosa, fondando il movimento riformatore che da lui prese il
nome, dopo essere rimasto colpito nell'ascoltare la vita del santo, recitata, e
verosimilmente in volgare, da un giullare sulla piazza del mercato di Lione.

8.3.5 Tipologie di manoscritti

Si individuano più tipologie significative di manoscritti. Fatti salvi alcuni dei


testimoni più tardi del Saint Alexis, tutti i testi qui elencati sono ospitati in
manoscritti latini. Occorre però ben distinguere alcune tipologie sostanziali,
schematizzabili in tre gruppi principali:
 Troviamo innanzitutto testi romanzi chiaramente inseriti su un supporto
scrivibile disponibile, che funge da semplice appoggio, senza un chiaro
progetto di conservazione nel tempo. In questi casi si può a pieno diritto
parlare di scritture avventizie, indotte da una volontà di conservazione
innanzitutto personale dei testi coinvolti; non a caso si tratta di trascrizioni
informali, benché eseguite con competenza. Si tratta di testi brevi, con basso
grado di complessità intrinseca nell’organizzazione formale e di conseguenza
nella trascrizione.
 Abbiamo poi testi anche questi inseriti in spazi bianchi di manoscritti latini
preesistenti, secondo però modalità tali da far pensare alla sicura intenzionalità
della trascrizione in termini di cosciente volontà di conservazione nel tempo
dell'oggetto testuale. I parametri rilevanti per questa valutazione sono: la
disposizione complessiva del testo, l'accuratezza della scrittura, l’attenzione

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per le partizioni del testo, a cominciare dalla distribuzione di iniziali di testo e


di strofa. Si può parlare in questo caso di testi romanzi ospitati entro
manoscritti latini. I testi da collocare in questo gruppo sono: l’Eulalia, il St.
Leger, la Passion, il Boeci, il Roman d’Alexandre di Alberic. Si noterà come
tratto non casuale il tentativo di adeguamento formale o qualitativo al livello
del manoscritto ospitante; il testo romanzo non sfigura in apparenza,
soprattutto là dove l’aggiunta è operata in spazi bianchi intermedi e non
marginali di un codice di ottimo livello.
 Compaiono infine testi romanzi integrati originariamente all'interno di
manoscritti latini, o in quanto parte di collezioni dominate da impronta
comune per contenuto ovvero concepiti secondo un progetto unitario. In questi
casi la modalità di trascrizione dei testi romanzi è totalmente allineata a quella
dei testi latini pur ancora preponderanti nell'economia complessiva dei codici
interessati; e si tratta, in tutti i casi, di manoscritti latini di alto o anche
altissimo livello.

8.3.6 Preistoria: pratiche liturgiche

È possibile che a monte di questi testi ve ne fossero altri analoghi. Per esempio, Molk
ha riesaminato recentemente una testimonianza dell'inizio dell'XI secolo, quella del
cronista Bernardo D’Angers, relativa ai pellegrinaggi a Conques legati alla devozione
per Santa Fede che avevano luogo in quel tempo: durante i festeggiamenti e anche
dentro la chiesa i pellegrini intonavano delle cantilenae rusticae; si tratta di
componimenti di forma ovviamente non precisabile e però certamente di argomento
religioso e che su questa base il testimone giudica benevolmente, come espressione
della simplicitas, ignorantia e fragilitas dei pellegrini. La testimonianza è di
specialissima rilevanza, considerato che Conques si trova ai limiti della regione nella
quale può essere collocata, su base dialettologica, l'origine della Chanson de S.te Foy.

8.3.7 Forme metriche e storia letteraria

Si vanno nel tempo definendo degli assetti testuali via via più stabili e complessi, che
prefigurano quelli della letteratura profana del secolo XII e attraverso i quali si
comincia a delineare una supremazia almeno settoriale del volgare rispetto al latino.
Un primo dato rilevante è offerto dai metri. Dei due tipi di versi che ricorrono negli
antichi testi agiografici, il decasyllabe è il metro dominante delle canzoni di gesta,
l’octosyllabe della poesia didattica e narrativa oitanica, destinata a dilagare dalla metà
del XII secolo in poi. Sia per il decasyllabe che per l’octosyllabe sono stati additati
antecedenti più o meno diretti in tipi di verso attestati in precedenza nell'innografia
religiosa mediolatina. Comunque si voglia intendere il rapporto tra modelli
mediolatini e tipi romanzi, l’importanza della connessione è indubbia, soprattutto in
considerazione del fatto che i testi romanzi versificati erano tutti destinati al canto e
che l’esecuzione, per quanto ne sappiamo, ricalcava le modalità vigenti nella
tradizione clericale.
Un secondo aspetto che richiede attenzione è quello dei modelli di organizzazione e

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raggruppamento dei versi, in breve delle forme storiche. Con l'eccezione dell'Eulalia,
tutti i testi di dimensioni apprezzabili sono strutturati o in strofe o il lasse, comunque
brevi.
L'opinione corrente circa i due modelli di organizzazione strofica è che la lassa sia un
derivato della strofa, già attestata in ambito mediolatino, e che in particolare la
successiva strofa epica del Roland discenda dalla strofa di cinque versi del
decasyllabes del Saint Alexis.
Il discorso non può essere ristretto ai soli componimenti formali, intesi come
costituenti una griglia o ossatura di base, di natura pre-testuale, fatta di modelli
possibili di verso e di organizzazione strofica. Le coincidenze metriche di fatti
implicano e in qualche modo portano con sé somiglianze di ordine micro-testuale,
nell’articolazione della frase e nelle soluzioni espressive, tra testi appartenenti a
generi diversi. Partendo da questi dati puntuali è possibile riconoscere l'affinità
retorico-compositiva complessiva che lega due gruppi di opere: da un lato soprattutto
i più tardi e complessi dei poemetti agiografici e in primo luogo il St. Alexis, e
dall'altro le canzoni di gesta, a cominciare con la chanson de Roland. Speciale e
particolarmente stretto è il rapporto che intercorre tra Alexis e Roland. Oltre alla
tecnica di costruzione del decasillabo, è simile anche l'articolazione metrico-narrativa
che si impernia assai spesso su gruppi di strofe di impostazione simmetrica, costruiti
specialmente per gruppi di tre unità, con effetti di rallentamento dell'azione e di
potenziamento delle emozioni. Vi è quindi un’affinita formale specifica e abbastanza
stringente che implica, al di là della semplice coerenza cronologica, un'affinità
sostanziale di ambienti e di pubblico e configura una condizione di contatto dinamico
tra i due generi dell’agiografia volgare e dell'epica. Alexis e Roland sono due
realizzazioni riconducibili a diversi indirizzi di una medesima arte compositiva e
radicate nella medesima cultura letteraria, benché poi diversissime nell’ispirazione e
nel sistema di valori portanti, quanto ci si aspetterebbe tra un testo agiografico-
ascetico e un’epica, certamente cristiana, ma dai tratti guerrieri e laici.

8.3.8 Geografia e storia della letteratura: Nord e sud in area gallo romanza

Tra i testi versificati gallo-romanzi, un carattere nettamente settentrionale è evidente


solo nell’Eulalia e nel St. Leger. Diversi testi vengono da zone di transizione, o
presentano tratti ibridi o problematici, anche interpretati come elementi originari cui
si sono sovrapposte successive stratificazioni linguistiche, connesse a possibili
revisioni sostanziali.
Si comincia a percepire un'opposizione nella distribuzione dei tipi testuali che vede
una predominanza della lingua d'oil nei generi narrativi, cui fa da contrappeso una
anteriorità e predominanza della lingua doc nella lirica colta. La partizione ha
carattere decisivo: il complesso della letteratura romanza medievale si costituirà nella
sua articolazione di forme e generi a partire da punti di riferimento costituiti
dall'ambito oitanico per tutta la narrativa e per alcune espressioni liriche di tipo basso
e di contenuto folklorico-tradizionale, e dell'ambito occitanico per la lirica e colta o
d’arte di matrice cortese.

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8.3.9 Assenza del centro e predominanza della periferia in area oitanica

All'interno dell'area oitanica si delinea con sufficiente precisione una caratteristica di


fondo della distribuzione geografica della produzione e circolazione dei testi letterari,
destinata a permanere fino al XIII secolo inoltrato.
I primi centri di cultura volgare francese sono relativamente periferici nei confronti
della capitale. Da una parte la Piccardia-Vallonia dall'altra il Poitou. A queste due
aree si aggiunge a partire dalla fine dell'XI secolo quella anglo-normanna, che svolge
una funzione determinante sino al terzo quarto del XII secolo, affiancata, dalla metà
dello stesso XII secolo, da altre aree non centrali, come la Champagne e la Lorena,
che si aggiungono sull'asse orientale alla regione piccardo-vallone. E se è vero che i
primi testi di origine centrale appaiono dalla fine del XII secolo, Parigi non
comincerà a rivestire un ruolo di qualche rilievo, come capitale anche delle lettere
volgari, che all’epoca di San Luigi, alla metà del XIII secolo, quando entreranno
potentemente in gioco la corte regia, l'università e anche la scuola musicale di Notre-
Dame, quali nuovi poli culturali di riferimento, destinati a dominare il panorama delle
lettere francesi già a partire dalla fine del secolo.
In area occitanica, dove non vi è una capitale e non vi è neppure una zona che possa
agire da vero e proprio centro geografico di attrazione e dove esistono invece più
centri regionali, la preminenza iniziale dell'area limosina è da spiegare con la
presenza di centri di cultura religiosa importanti, tra i quali si segnala con funzione
primaria in questa fase più antica il monastero di San Marziale a Limoges.

8.3.10 Tra preistoria e storia: l'apparizione della tematica cortese

Conviene soffermarsi un attimo sui frammenti di lirica amorosa precortese


individuati da Bischoff (8.1.16), cominciando con due osservazioni su punti rilevanti
dei preziosissimi reperti. Innanzitutto, la discrepanza linguistica di base è essenziale:
il copista annota il testo estraneo che l’ha colpito. Secondariamente, lo spazio del
codice utilizzato è questa volta davvero marginale, indizio da un lato
dell'occasionalità e fortunosità della conservazione, dall'altro della sostanziale
marginalità, da intendere come stranezza linguistica ma anche come diversità
culturale di fondo della materia lirica dei due frammenti rispetto all'ambiente nel
quale vennero accolti.
Nella sua semplicità, il folgorante frammento anticipa interi capitoli delle letterature
romanze successive. Così, da un alto l’immagine della trasformazione in uccello
fantastico per raggiungere l’amata, propria della tradizione folklorica e ricorrente
nella lirica di ispirazione bassa e non cortese, è fatta propria da Marie de France come
nucleo narrativo del suo Lai de Yonec, racconto che ripropone in chiave cortese un
motivo derivato dal folklore celtico, poi a sua volta rielaborato nella favolistica
moderna colta; dall’altro la formula di attacco preannuncia quella che viene
sviluppata in una lirica di Bernart de Ventadorn, databile agli anni 1150-1170, e
quindi, come la ripresa narrativa di Marie de France, posteriore di un secolo alla
strofetta.

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8.3.11 Tra preistoria e storia: singolarità del frammento di Roman d’Alexandre

Il poema di Alberic è da considerare il capostipite delle successive numerose


rielaborazioni gallo-romanze della leggenda di Alessandro ed è probabile che anche
alla loro fortuna si debba imputare l’eclisse quasi totale della redazione più antica.
Il poema di Alberic si colloca in una posizione cruciale di snodo tra generi diversi e
anche tra intere tradizioni distinte della letteratura gallo-romanza delle origini.
L'argomento del poema è sviluppato successivamente in opere che classifichiamo
abitualmente come romanzi. Per converso, la sua forma è prossima a quella dei
poemetti agiografici dell'XI secolo e non lontana da quella dell’epica più antica.
L'atteggiamento dell'autore induce a collocare il poemetto in ambiente colto,
quantomeno scolastico, coerentemente con l'argomento, ed è però significativa la
scelta del volgare e la giustificazione che egli ne dà. La lingua infine, non è
omogenea, ma composita, come accade per diversi altri testi del dominio
francoprovenzale e del Delfinato e presenta la mescolanza di tratti di origini differenti
anche a livello di lingua letteraria. Difatti troviamo fenomeni linguistici settentrionali
accanto ad altri meridionali, complessivamente prevalenti e forse dovuti al processo
di trasmissione. La lingua dell’Alexandre pone così a contatto, fuse entro uno stesso
testo, le due tradizioni linguistico-letterarie che si andavano allora delineando; più
ancora che la possibilità di una concreta configurazione sul piano dialettologico in
una zona effettivamente di transizione, cosa che è peraltro possibile attraverso
l'individuazione del territorio franco-provenzale come presumibile area di origine del
poemetto, appare significativa la scelta dell'autore di utilizzare contemporaneamente
elementi caratterizzanti di entrambe le tradizioni linguistico-letterarie emergenti
dell'area gallo-romanza, che evidentemente dovevano già ai suoi occhi avere assunto
fisionomie tanto significative, di certo non sul piano linguistico-dialettologico, bensì
su quello linguistico-letterario. E con l'opera di Alberic siamo intorno all'anno 1100.

8.3.12 La Chanson de Saint Alexis come punto di svolta nelle origini romanze

L'apparizione del St. Alexis corrisponde a una svolta sostanziale. La leggenda


dell'uomo di Dio, di alti natali e che rinuncia però del tutto al proprio rango e alla
propria famiglia per una vita solitaria di mendicante che lo conduce sin dentro la casa
paterna, è indubbiamente in sé particolarmente toccante e dovette dare voce a una
serie di inquietudini e di nuove sensibilità che si affacciavano nel mondo occidentale
dopo il 1000. Essa è interpretata in volgare in un testo di considerevole qualità
letteraria, che occupa una posizione nodale nello sviluppo delle forme romanze. Il
poemetto godette di durevole fortuna nel tempo e la sua persistenza è confermata dal
numero consistente di testimoni di diversa provenienza che ce lo hanno trasmesso. I
manoscritti sono scaglionati sull'arco di oltre un secolo e mezzo e sono originari sia
dell'Inghilterra normanna sia del continente. È la dimostrazione della presenza di una
tradizione culturale e letteraria romanza ormai fortemente stabilita.
Il manoscritto siglato L nella tradizione del St. Alexis presenta per la prima volta un
testo romanzo inserito in posizione di grande evidenza entro un manoscritto

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monastico di altissimo livello qualitativo e come parte cospicua di un progetto


organico complessivo, che lo vede affiancato da un lato a una raffigurazione pittorica
della vita di Cristo, composta da decine di illustrazioni a piena pagina, dall'altro a una
sezione formata dai salmi e da una collezione di cantica e inni: il poemetto volgare
compare così tra l’altro, in posizione non subordinata, a fianco di uno dei massimi
esempi di scrittura sacra in latino. Inoltre con il manoscritto A, della fine del XII
secolo, incontriamo uno dei massimi esempi integralmente conservati di manoscritti
romanzi, ossia di libri progettati e realizzati per accogliere solo testi volgari, tra l'altro
in questo caso legati tra loro da elementi apprezzabili di coerenza.
Dato emblematico circa il momento di svolta nei rapporti tra letteratura latina e
letterature volgari è la dipendenza dell'inno latino Pater deus ingenite da una versione
romanza della vita del Santo che non doveva essere molto differente da quella
conservata. Ciò che per noi più importa è che si ha qui una prima dimostrazione
evidente dell'influenza diretta di un comportamento romanzo dai tratti strutturati su
un componimento latino, quindi di un'influenza tra le due letteratura che comincia ad
essere tangibilmente biunivoca.

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9. Le letterature romanze medievali

9.1 Penisola iberica e Italia

È opportuno innanzitutto definire alcune coordinate cronologiche che permettano di


inquadrare a grandi linee lo sviluppo delle letterature nella Romània occidentale. Due
punti di riferimento importanti sono dati dagli anni 1100 e 1200, ossia dagli inizi del
XII e del XIII secolo.
Abbiamo visto come intorno al 1100 nelle diverse regioni dell’area linguistica gallo-
romanza si cominciano a definire centri e tradizioni di un’attività letteraria in volgare
in via di rapida affermazione. I segnali sono sensibili già dalla fine del secolo XI: si
pensi anche solo ad un indizio della forza della Nota Emilianense e si è detto come la
composizione e la prima fortuna della Chanson de St. Alexis, a cavallo appunto tra XI
e XII secolo, segni per varie ragioni un punto di svolta nella vicenda delle origini
delle letterature romanze.
Un’ulteriore svolta si registra a circa un secolo di distanza, intorno al 1200 o poco
oltre, in coincidenza del passaggio tra XII e XIII secolo. La svolta, accertabile anche
sulla base della documentazione conservata e non più solo ipotizzabile sulla base di
indizi e tracce spesso infide o deboli, concerne pressoché contemporaneamente la
penisola iberica e l’Italia.
Nella Penisola Iberica constatiamo sia l’avvio di una tradizione lirica autoctona in
lingua galego-portoghese sia la composizione del capostipite della letteratura
castigliana medievale, il Poema de mio cid, poema epico in tre cantares nel quale
sono rievocate le imprese di Rodrigo Diaz de Bivar, eroe della Reconquista.
La più antica cantiga galego-portoghese è databile al 1196: si tratta di un testo satirico
a sfondo politico composto da Johan Soarez de Pavia “Ora riunisce l’esercito il
Signore di Navarra”. La tradizione lirica galego-portoghese si estende dall’ultimo
scorcio del secolo XII fino al XIV inoltrato, con caratteri assai forti di continuità
interna negli aspetti formali e tematici. Sua caratteristica essenziale è l’adozione,
come elemento costitutivo posto a propria base e fondamento, di una sola lingua
poetica a matrice innanzitutto galega e poi tintasi di tratti portoghesi nel corso della
sua evoluzione e soprattutto ad opera dei trovatori più tardi di origine lusitana. Questa
lingua venne adottata sensibilmente anche da autori non originari della Galizia e non
legati specificamente a centri di quella regione. L’esempio massimo ed emblematico
è quello del re di Castiglia e Leon, Alfonso X, la cui corte di Toledo è riconosciuta
come massimo centro promotore di una tradizione di prosa castigliana di alto livello:
Alfonso fu egli stesso poeta profano in galego e adottò questa lingua per la
monumentale raccolta di Canti in onore della Vergine Maria da lui promossa e nella
cui realizzazione intervenne di certo direttamente.
Per quanto riguarda l’ambito più propriamente castigliano e il Poema de mio cid,
tutte le indagini più recenti convergono nell’assegnare agli ultimissimi anni del
secolo XII o ai primissimi del XIII il poema così come conservato nel manoscritto
unico. Protagonista è Rodrigo Diaz, detto appunto “il cid”, vassallo scacciato dalla

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corte di Alfonso VI di Castiglia e Leon nel 1081 e da allora protagonista di una serie
di spedizioni fuori dai confini del regno, prima contro il conte di Barcellona e poi
contro gli Arabi, ai quali riuscì a strappare persino la grande città di Valencia.
Rodrigo Diaz impersonifica i caratteri di un tipo, epico e umano, propriamente
castigliano: eroe di famiglia nobile, ma non appartenente all’alta aristocrazia,
valoroso ma anche insofferente e protagonista così di una ribellione contro il proprio
re, di conseguenza espulso e bandito dal regno ma capace di riconquistare la dignità e
il favore del sovrano grazie alle proprie imprese e di difendere poi l’onore delle
proprie figlie umiliate da mariti invidiosi provenienti da una famiglia della più alta
nobiltà.
Dopo il cid e ormai dentro il secolo XIII seguiamo i primi passi di una letteratura
castigliana ancora in cerca anche di un proprio canone formale, destinato a definirsi
intorno alle figure di Gonzalo de Berceo e poi soprattutto di Alfonso X.
In Italia, i primi testi letterari cominciano ad apparire dopo l’anno 1100, sparsi lungo
il corso del secolo e con una concentrazione significativa negli ultimi decenni. È
innanzitutto conservato un brevissimo frammento della metà del secolo XII noto
come Pianto della Vergine di Montecassino, costituito da tre versi introdotti da una
didascalia in latino. Si tratta della sezione conclusiva di un testo drammaturgico in
latino, uno di quei componimenti che si è soliti indicare col nome generico di sacre
rappresentazioni, relativo, in questo caso, alla Passione e parte dunque del ciclo
pasquale che è largamente attestato nell’Europa Medievale, vivente nelle tradizioni
religiose popolari dei secoli successivi e sino ai giorni nostri. I tre versi volgari
compaiono anche in un più ampio Pianto della Vergine trasmesso da tre manoscritti
sensibilmente posteriori, stagionati tra la fine del XIII e la metà del XIV secolo. Si ha
dunque l’impressione che i tre versi inseriti alla fine del dramma latino siano stati
estratti da un componimento volgare già esistente a quell’epoca, sebbene non
necessariamente in tutto coincidente con quello poi attestato. Il dato appare concorde
con quanto qui più volte rilevato circa il rapporto di dipendenza tra cultura latina e
cultura volgare nella fase di gestazione delle tradizioni romanze: è il testo latino che
fornisce il contenitore che può accogliere e preservare nello scritto un testo volgare
dallo statuto non ancora precisato, per altro collocato nella posizione massimamente
evidente di clausola finale.
Restando in Italia, a fianco del Pianto sono da ricordare alcuni altri componimenti di
tematica religiosa provenienti sempre dall’area mediana che vedeva ancora nei
monasteri benedettini, a cominciare da quello di Montecassino, i centri culturali
fondamentali: il Ritmo cassinese, il Ritmo su Sant’Alessio marchigiano, primo
adattamento nella penisola della leggenda sacra tanto importante nella letteratura
gallo-romanza delle origini.
Si affaccia anche, però, una produzione profana, di tematica politica e civile, ispirata
dai conflitti che travagliano il mondo comunale e attraverso i quali si comincia a
intravedere l’intersezione tra elementi cortesi e feudali, dai connotati galloromanzi,
ed elementi di cultura cittadina. Il più antico testo poetico della Toscana centrale, il
Ritmo Laurenziano, composto poco prima del 1200, presenta la medesima cifra
complessiva, adattata però a un componimento giullaresco e scherzoso.
Si tratta, però, solo di avvisaglie. È noto a tutti che l’avvio di una vera e propria

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letteratura nazionale in Italia è in vario modo segnato dall’inizio del XIII secolo. Il
Cantico delle Creature di San Francesco, riprendendo aspetti di tradizione mediana e
innovando però in maniera del tutto originale sul fronte dell’assetto testuale, apre una
stagione durante la quale si può realmente misurare la spinta creativa della letteratura
in Italia.
Da un lato, e sulla linea maggiore, la Scuola poetica siciliana costituitasi attorno a
Federico II, inaugura una tradizione di lirica intorno alla quale, a partire dalla
mediazione Toscana, si stabilisce tra XIII e XIV secolo la base stessa della lingua
letteraria italiana.

9.2 Cronologia assoluta e relativa

Scontando qualche semplificazione, è parso utile cercare di riassumere il quadro


cronologico globale dei rapporti tra letterature romanze e tradizioni manoscritte
conservate in una sintesi grafica strutturata per macro-aree, che, per ragioni di
semplicità ed evidenza espositiva, associa:
 sotto l’etichetta di Francia, tutta la regione gallo-romanza, quindi sia l’area
oitanica che quella occitanica, con una duplice avvertenza: che la tradizione
manoscritta conservata del secolo XII concernente testi oitanici è in
larghissima parte costituita da codici di origine anglonormanna; che la
tradizione manoscritta della lirica dei trovatori provenzali, ossia del genere
letterario di gran lunga più significativo elaborato in questa lingua è
complessivamente tarda, dal momento che essa confluisce tutta in grandi
raccolte repertoriali che non rimontano a prima del 1250, dunque ad una fase
nella quale si annuncia l’esaurimento della scuola;
 sotto l’etichetta di Spagna, le varie aree iberiche, Catalogna compresa, con
l’avvertenza questa volta che la quantità di testi portoghesi medievali è minima
sino ad una data assai avanzata e che parimenti minima è la quantità di
manoscritti medievali conservati.
In sostanza, quanto detto circa la cronologia dei testi trova riscontro nelle tradizioni
manoscritte, che sono un’importante spia della natura e qualità dei sistemi culturali. I
manoscritti francesi conservati del secolo XII sono relativamente numerosi, ma
ancora facilmente computabili e ordinabili. Al contrario, il numero dei manoscritti
duecenteschi italiani è ancora ristrettissimo (i tre grandi canzonieri antichi della lirica
delle origini, i primi codici della poesia didattica settentrionale, il Laudario di
Cortona, alcune raccolte di testi didattici in prosa di provenienza toscana: la maggior
parte di questi manoscritti è da ricondurre all’ultimo scorcio del secolo).
Analogamente, i pochi codici duecenteschi di origine spagnola sono pressoché tutti
da associare a un luogo e a una situazione particolarissima, ossia alla corte castigliana
di Alfonso X, che fu al tempo stesso grande centro culturale e grande officina
scrittoria, ossia luogo sia di compilazione sia di trascrizione delle opere.
Dopo l’anno 1300 si registra un’ulteriore svolta per tanti aspetti decisiva in tutta la
Romània letteraria e di segno diverso: mentre si attenua la centralità francese e viene
meno del tutto, o quasi del tutto, il punto di riferimento rappresentato dalla lirica
cortese provenzale, si delineano varie tradizioni nazionali, che appaiono ormai

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saldamente costituite e provviste ciascuna di propri tratti caratterizzanti e distintivi.


Anzi, mentre la Guerra dei Cent’anni (1340-1450) è causa di una profonda crisi
materiale e culturale in Francia, il Trecento vede l’autentica esplosione della
letteratura volgare italiana e, soprattutto, l’aumento esponenziale del numero dei
codici conservati, rappresentativi di tutti i generi della cultura scritta.

9.3 Modalità e tempi

Entro il processo d’insieme di sviluppo delle letterature romanze tra XI-XII e XIV
secolo è opportuno soffermarsi su due aspetti di portata complessiva: i passaggi che
portano alla costituzione di una civiltà letteraria volgare e al consolidamento di una
sua specifica memoria, e le diversità nei tempi e nelle velocità tra le aree.
Armando Petrucci, pensando alla realtà italiana e definendo tuttavia un modello
applicabile anche alle situazioni gallo-romanza e ibero-romanza, ha sintetizzato con
grande efficacia il succedersi di varie fasi entro cui va distribuito l’insieme delle
testimonianze scritte degli usi letterari della lingua volgare:
1. tracce: attestazioni sparse, dipendenti anche formalmente dalla lingua latina,
spesso tra loro isolate e raggruppabili al più in sistemi dai connotati neutri;
questa fase coincide per l’Italia coi secoli XI-XII;
2. macchie: attestazioni che si raggruppano in aree e centri culturali che
cominciano ad avere tratti distintivi di cultura volgare e che non
necessariamente risultano in vitale connessione reciproca; in Italia questo si
verifica nel XIII secolo;
3. tessuto: è la fase della maturità, ossia della definizione di una tradizione
letteraria che tende ad assumere caratteri nazionali, quale si delinea in Italia
dall’inizio del XIV secolo in avanti, ferme restando le peculiarità legate
anche ai diversi stati regionali in cui la penisola risulta divisa;
4. strati: articolazioni interne della tradizione, la quale, una volta assestatasi, è
indagabile in termini di variazioni non solo diacroniche e diatopiche, ma
anche diastratiche.
Lo schema va letto tenendo presente un’avvertenza importante. La presenza di tracce
non è limitata alla sola fase più antica. Anche in momenti successivi continuiamo a
imbatterci in attestazioni saltuarie, in genere precarie e non canoniche, anzi per lo più
occasionali a livello di modalità di trascrizione, che ci documentano, accanto alla più
o meno larga diffusione di testi della letteratura alta, provvisti di propri canali e modi
canonici di trasmissione e persistenza, la presenza di filoni di produzione in genere di
tipo basso, ancora fortemente legati alla dimensione dell’oralità. Queste tracce,
raramente o eccezionalmente condensatesi in macchie comunque non persistenti,
sono l’unica dimostrazione di esistenza di testi, forme e tradizioni che spesso hanno
corrispondenti nei modi della letteratura alta; si tratta di presenze non esattamente
quantificabili e qualificabili, che tuttavia arricchiscono, in termini di articolazione
diastratica, il panorama della produzione basso-medievale.
Quanto ai tempi che scandiscono la prima fase d’avvio, anche un primo sguardo che
abbracci l’insieme dell’area romanza coglie le differenze macroscopiche: il ritardo di
un secolo di Penisola Iberica e Italia rispetto alla Francia e poi, stringendo la focale

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sul solo XII secolo, la povertà e assoluta sporadicità delle attestazioni iberiche e
italiane a fronte dell’ampiezza e della ricchezza anche assoluta, in termini qualitativi,
della produzione letteraria gallo-romanza, attraverso la quale si definisce a pieno
titolo una letteratura, non più solo rappresentata da isolati monumenti, pur
considerevoli che siano, come accade ancora per il secolo XI, ma articolata e distesa
su un sistema di generi e tipologie. Lo squilibrio è reale e non è solo o in parte
prevalente la conseguenza di perdite estese nella documentazione. Lo garantiscono
sia per la produzione letteraria iberica sia per quella italiana le solide basi di
continuità che si costituiscono, nel XIII secolo, con prime ma significative avvisaglie
negli anni di svolta tra XII e XIII secolo, proprio a partire dall’applicazione e
dall’adattamento di modelli e schemi compositivi francesi e provenzali.
D’altro canto, una funzione e posizione centrale dell’area gallo-romanza nei suoi due
versanti diversi e per tanti aspetti complementari, è avvertibile nell’irradiamento dei
testi e nella diffusione di elementi costitutivi decisivi: temi (i nuovi personaggi e i
nuovi paesaggi e terreni d’azione della letteratura romanza del secolo XII), generi (le
canzoni di gesta, il romanzo, la lirica cortese..), forme (modelli strofici, metri, ma
anche aspetti stilistici e di tecnica compositiva e poi l’affermazione della prosa
narrativa e didattica).
Inoltre, nel XIII e nel XIV secolo la letteratura francese, specie nei generi narrativi,
circola largamente nell’Italia centro-settentrionale: la variata tipologia dei manoscritti
suggerisce la penetrazione in strati sociali anch’essi diversificati. L’importanza della
presenza fu tale che stimolò la composizione di opere originali in francese, ma anche
in lingua ibrida, ottenuta mescolando con diverse percentuali e densità francese e
dialetti dell’area padano-veneta, dando vita a un filone in realtà poco coeso.
Per l’assenza iberica e italiana dalla fase più antica di avvio delle tradizioni letterarie
volgari, che pare riflettere un effettivo ritardo, oltre che corrispondere a una maggiore
precocità dell’area gallo-romanza, si sono proposte spiegazioni che fanno
riferimento:
 per l’Iberia alla situazione ancora precaria dei territori cristiani e alla
debolezza, in tale condizione, del tessuto culturale-letterario;
 per l’Italia, prima all’arretratezza e staticità della situazione alto-medievale,
poi all’evoluzione innovativa e creativa della produzione latina che si indirizza
in città importanti dell’Italia centro-settentrionale, gravitanti intorno a Bologna
e alla sua Università.

9.4 Il XII secolo: l’affermazione della letteratura in volgare

Ritorniamo allora al XII secolo nell’area gallo-romanza: per la letteratura in lingua


volgare è questo un secolo non più di formazione, ma di affermazione. Il
cambiamento rispetto al periodo precedente è sostanziale: per l’XI secolo occorre
parlare ancora a tutti gli effetti di Origini, ossia di una fase di preparazione della
quale rimane un certo numero di testimonianze di impronta religiosa, già rilevanti di
per sé e che ci permettono anche, assieme alle tracce indirette fornite da testi
mediolatini, di abbozzare una preistoria ipotetica, formale e tematica, di alcuni generi
profani, epica e lirica in particolare. Dopo l’anno 1100 dobbiamo parlare invece di

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piena manifestazione di una letteratura romanza variegata nei temi e nelle forme e
nella quale campeggiano nuovi generi profani, cui è ormai da attribuire una funzione
autenticamente trainante, anche sulla base di fattori di qualitativa novità.
La nuova letteratura romanza, innanzitutto francese e provenzale, si costruisce lungo
molteplici linee, tra cui, accanto a quella di ispirazione religiosa, che continua la
propria traiettoria e amplia la propria autorità, si individuano come costitutive quelle
dell’epica, della narrativa cortese, della lirica cortese, della produzione didattica.
Nell’epica campeggiano eroi cristiani, per lo più cavalieri di nobile stirpe, spesso
investiti di feudi, in lotta contro nemici di religione diversa, di norma musulmani, ma
anche pagani sassoni come ad esempio nella Chanson des Saisnes. Si manifesta qui la
sensibilità della civiltà feudale, tra assetti alto-medievali e realtà contemporanee.
L’andamento è corale e la destinazione delle opere è, non solo nella fase più antica,
quello della declamazione pubblica sulla base di una linea melodica; i personaggi
sono eroi simbolici, nei quali il pubblico (un pubblico non esclusivo, a differenza di
quanto si constata almeno in una fase iniziale per le forme cortesi) può riconoscere i
propri campioni.
Nella narrativa cortese si afferma un tipo umano simile al precedente, ma diverso: i
protagonisti sono di nuovo nobili, cavalieri, ma il loro campo d’azione non è più
quello di gravi scontri collettivi tra nazioni, civiltà e religioni, come nell’epica, ma
quello dell’avventura individuale di ricerca, scoperta e riconquista di un ruolo sociale,
di una condizione, di una donna, spesso ereditiera di un feudo e di un titolo. Si
affaccia l’amore come potente stimolo dell’azione umana, talora assolutamente
incontrollabile, come nei romanzi che raccontano di Tristano e Isotta, oppure mediato
da considerazioni di carattere sociale ed etico, come nei romanzi di Chretien de
Troyes. I protagonisti sono dunque in primo luogo individui: su questa linea l’intera
tematica dell’avventura cavalleresca, in origine del tutto profana, può venire
sottoposta a revisioni che la cristianizzano nel profondo. Si delinea parimenti un certo
gusto per l’esotico, di sicuro alimentato dalle Crociate ed in generale dall’interesse
per l’oriente, documentato già a partire dal secolo XII attraverso il frammento
francoprovenzale di Alberic. Prendono così corpo tre nuclei essenziali, ciascuno
provvisto di propri connotati: il romanzo storico e antico; le storie di Tristano; le
storie di Artù e del Graal. Tutti questi cicli verranno sottoposti in misura maggiore o
minore nel corso del duecento ad operazioni di risistemazione, connesse con
l’affermazione della scrittura in prosa e al gusto per ampie complicazioni cicliche, di
carattere sistematico.
L'accentuazione individuale della narrativa cortese riprende e sviluppa in chiave
narrativa quello che è il nucleo essenziale della lirica cortese, creazione esclusiva del
sud della Francia e di poeti, detti trovatori, legati al peculiare tessuto sociale di questa
regione, caratterizzata da un'alta frammentazione dei poteri territoriali. Nel suo più
completo e decisivo sviluppo, a partire dalla seconda metà del secolo, la lirica dei
trovatori acquisisce valenza e statura europea, imponendosi come punto di
riferimento ad un tempo di una nuova sensibilità cortese e di una modalità espressiva
che potesse dare voce a questa nuova realtà interiore attraverso forme
qualitativamente elevate e pur esse innovative. Una delle ragioni determinanti della
formazione europea della lirica cortese trobadorica, è proprio il conseguimento di una

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espressione formalmente compiuta e quindi l'affermazione testuale, letteraria, di una


nuova soggettività che si manifesta liricamente attraverso l'assunzione di una
centralità della prima persona e del punto di vista soggettivo e individuale che ad essa
è associato. Oggetto dell'amore è una donna collocata in una posizione di dominanza
rispetto alla quale l'amante-trovatore accetta una condizione di subalternità e
sottomissione, nella speranza che fedeltà e perseveranza gli permettano di colpire
l'animo della donna, inducendola a una benevola accoglienza; sempre dal lato
dell'amante, l'accettazione di questa condizione di attesa, di perpetuazione della
richiesta amorosa, di tensione del desiderio non appagato si fonda sulla convinzione
che questa scelta si traduca in un processo di affinamento morale che porta al
miglioramento individuale. Questo nuovo io laico e questa nuova sensibilità si
impongono nella lirica cortese come forma modellante anche a livello grammaticale
dell'intero discorso amoroso e quindi di una nuova sensibilità e di una nuova modalità
di percezione dell'individuo; dal sistema dei segnali testuali si costruisce una visione
dell'esistenza che è innovativa rispetto ai modelli tardo-antichi e alto-medievali, di
estrazione classica, cristiana o barbarica.
Si affaccia infine con alcune prime prove la letteratura di tipo didattico, cui
riconduciamo diversi trattati informativi, anche di contenuto eminentemente pratico.
La strada aperta dalle prime scritture didattiche dell'inizio del XII secolo porta a
quella graduale estensione del campo d'azione del volgare a scapito del latino che si è
segnalata più volte come uno dei grandi temi sui quali è possibile costruire una
periodizzazione di riferimento tra medioevo ed età moderna.

9.5 Novità del XII secolo

Si affermano attraverso testi nuovi ideali e nuovi tipi umani, nel complesso si
definisce una nuova cultura, componente centrale di quella che si suole definire
Rinascita del XII secolo. Le nuove espressioni letterarie volgari manifestano una
cultura non più solo religiosa, ma anche laica che attraverso quei testi ci appare ormai
evidente e organizzata in forme e modi di comportamento del tutto svincolati da
qualsiasi connessione con la rusticitas e che anzi si presenta come antitetica alla
componente tradizionale e corrente, aspirando coscientemente a una condizione
elitaria. I testi romanzi innovativi riflettono un cambiamento in corso e in parte
almeno lo guidano, contribuendo a definire un sistema di valori che stabilisce una
discontinuità sensibile con l'epoca precedente.
L'apparizione delle letterature volgari è un fenomeno di tale vastità e importanza da
farsi intuire la profondità del cambiamento in atto nella spiritualità di una parte
considerevole della società medievale. Un esempio può essere utile per rendere
meglio l’idea, facendo riferimento a due dei testi più notevoli di questa prima
stagione della letteratura francese, la chanson de Saint Alexis e l’Yvain di Chretien,
una canzone agiografica dedicata ad un santo eremita e asceta e un romanzo costruito
intorno alle avventure di un cavaliere.
L'aspetto da sottolineare si trova nell'apertura delle due storie. In entrambi i testi si
può individuare un elemento comune a base dell'azione: l'abbandono per scelta del
protagonista di un luogo chiuso e protetto, provvisto di chiare valenze simboliche

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rispetto alle scelte di base dell'esistenza; questo per intraprendere una ricerca che è
comunque, nelle due diversissime maniere in cui viene portata avanti, la ricerca di se
stessi, della propria vita umana individuale.
L'elemento tematico basilare comune ai due testi ci fa intravedere quelle che
dovevano essere tensioni effettive nella spiritualità e nella stessa vita sociale del
tempo; la storia di Alessio non è una consueta vita di Santo e il successo che le arrise
tra l'XI e il XII secolo dimostra chiaramente la corrispondenza con una sensibilità in
via di cambiamento e con le domande nuove che essa poneva.
Un ulteriore elemento di novità di sistema da mettere in evidenza concerne i centri
della vita intellettuale e della produzione letteraria. Aspetto determinante della nuova
letteratura del XII e poi del XIII secolo è l'apparizione di nuovi centri di produzione,
di nuovi punti di riferimento in una geografia culturale volgare i cui confini tendono a
superare quelli linguistici della romanza. Per l’epica, genere più antico almeno in
alcuni presupposti di fondo è spesso difficile individuare centri e luoghi di
produzione: il peculiare rapporto col pubblico che è implicito nell'epica suggerisce
che gli ambienti di creazione e diffusione dovrebbero essere stati in buona parte
comparabili con quelli dell'antica agiografia. È certo invece che le varie forme della
letteratura che definiamo cortese devono essere ricondotte a corti nobiliari,
soprattutto grandi corti per la narrativa del Nord, almeno nella fase iniziale,
soprattutto piccole corti per la lirica del sud. Le città e i ceti borghesi cominciano a
partecipare a questa nuova voga cortese, spesso causando adattamenti sostanziali: è
quanto accade con la lirica cortese, rivista in chiave borghese nelle città francesi del
Nord a partire dal secondo quarto del Duecento e in quelle dell’Italia centro-
settentrionale, qualche decennio dopo. Legata ancora alle città più che alle corti
signorili è in gran parte la produzione didattica e morale, intorno alla quale si
stabilisce un più diretto confronto con la cultura alta latina, sviluppata sempre negli
ambienti cittadini delle scuole cattedrali e delle università.

9.6 Prospettive

Con questa schematizzazione si sono voluti indicare i nuclei di testi e di generi


intorno ai quali si costruisce per la prima volta, nel XII secolo e in area gallo-
romanza, un complesso cui può essere applicato a pieno titolo l’etichetta di letteratura
romanza. A partire da questo dato che è in qualche modo di base, è possibile
schizzare per sommi capi attraverso alcuni nodi problematici una serie di prospettive
di sviluppo nei secoli seccessivi:
- geografia e storia: a partire dalla svolta tra il XII e il XIII secolo,
compaiono sulla scena nuove aree e prendono corpo nuove tradizioni in
Italia e nella penisola iberica. Anche là dove si era registrata la prima
affermazione delle tradizioni letterarie romanze la geografia non è
stabile: mentre si annuncia un primo declino dell'area occitanica e della
tradizione più propriamente trobadorica, si affievolisce il rilievo
dell'area anglo-normanna. In Inghilterra si mantiene l'abitudine alla
scrittura letteraria in francese, l'isola perde però quei caratteri di centro
propulsivo per le tematiche celtiche e di preminenza per la precoce

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attenzione alla conservazione dei testi in forma scritta consolidata che


sono stati strutturanti della storia letteraria del secolo XII.
Parallelamente si afferma la preminenza della regione centrale francese
e di Parigi come capitale e centro culturale di importanza europea,
grazie soprattutto alla sua università; ed è non più dall'Inghilterra ma
dalla Francia settentrionale, con Parigi in posizione sempre più
marcatamente predominante dalla fine del Duecento, che proviene la
grande maggioranza dei manoscritti volgari conservati del XIII secolo;
- generi: rispetto al quadro tipologico dei componimenti più antichi, il
panorama delle tipologie testuali riscontrabili nelle tradizioni romanze
del basso medioevo si amplia considerevolmente, anche a seguito
dell'adozione stessa della prosa; tra le innovazioni più significative,
oltre al panorama nutritissimo dei volgarizzamenti, si segnalano almeno
la didattica religiosa e profana e lo sviluppo della narrativa profana con
caratteri non più solo cavallereschi e cortesi e strutturata su un'ampia
varietà tematica e formale, che prevede accanto al romanzo anche forme
brevi, che preannunciano il racconto e la novella italiana;
- forme: in particolare intorno alla distinzione tra versi e prosa, che ha
carattere strutturale quanto se non più di quella tra lirica e forme
narrative e didattiche in versi e epica cui si è già accennato presentando
in termini contrastivi le due parti, meridionale e settentrionale, dell’area
gallo-romanza. Infatti tutta la produzione più significativa del XII
secolo è in versi, la prosa si affaccia nella scrittura letteraria con le
prime applicazioni, ma è ancora strutturalmente limitata a tipologie
formali ben ristrette, oltre che all'importante tradizione documentaria e
giuridica del sud occitanico. Proprio dalla fine del secolo XII la prosa si
afferma nella storiografia e nelle forme narrative ampie come nuovo e
potente strumento espressivo, legato a principi estetici differenti da
quelli che avevano generato e animato le scrittura in versi.
La prosa è destinata a conquistare progressivamente i settori più disparati attraverso
tipologie testuali via via più differenziate sui versanti delle scritture didattiche e
scientifiche, religiose e morali, giungendo a restringere in maniera abbastanza netta
l'uso della versificazione. Questa dialettica tra prosa e verso costituisce un’ulteriore
chiave di lettura del confronto continuo tra volgare e latino, che si riarticola in termini
nuovi sul terreno della prosa: se il volgare si era affacciato nello scritto in forme
testuali complesse attraverso la mediazione formale indispensabile del verso e quindi
di forme metriche, lo sviluppo della prosa è permesso da un nuovo grado di coscienza
che attribuisce ormai al volgare la piena maturità espressiva. Come si è più volte
avvertito, il confronto tra versi e prosa non si decide subito, si prolunga per tutto il
medioevo, però è chiaro che la svolta di fine XII secolo ha carattere nel complesso
decisivo.
Le radici di questa espansione su più piani si possono ravvisare nel XII secolo, anche
per esempio nell'apparizione della prosa in quei tipi letterari speciali che sono i
sermoni, diretti a tutti e quindi programmaticamente e sotto ogni aspetto riformulati
in rusticam romanam linguam. Anche sotto questo profilo, e in sostanza sotto ogni

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punto di vista, la letteratura gallo-romanza del secolo XII si conferma come un


grande repertorio comune di forme e temi, poi sviluppati successivamente e con
specifiche originalità individuali nelle scuole letterarie nazionali: in certo modo è
ribadito che la centralità francese si manterrà inalterata per tutto il XIII secolo
(mentre il ruolo del sud occitanico comincia a declinare precocemente già con l'inizio
dello stesso secolo), il XII secolo gallo-romanzo costituisce un momento di grande
letteratura europea occidentale.

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