STEFANO ASPERTI
ORIGINI ROMANZE
1. Il campo di indagine
L'evoluzione linguistica che porta dal latino alle lingue romanze è frutto di un
processo molto complesso e articolato su più livelli, che culmina nell'Alto Medioevo
(476 - 1000) e porta alla riorganizzazione di nuove unità linguistiche. Queste nuove
lingue e letterature costituiscono il nucleo essenziale delle attuali lingue e letterature
nazionali romanze di queste regioni d'Europa: portoghese, spagnolo, francese,
italiano e catalano.
Il punto di partenza di questo processo è, ovviamente, la latinità, autentico fattore
culturale unificante del mondo antico occidentale.
Per la ricerca storica e storico-linguistica del processo oggetto del nostro studio, è
possibile tenere in considerazione almeno due percorsi di indagine:
da un lato troviamo, infatti, dei dati, che hanno una loro indubbia concretezza,
anche in termini di materialità. Per le fasi più antiche, ovviamente, non
disponiamo, come basi di conoscenza, che di singole forme, errori o
storpiature, e singole parole, barbarismi, individuabili in testi ancora latini:
queste innovazioni sono classificabili come “romanismi” entro contesti
conservativi; poi, gradatamente compaiono frammenti testuali più chiaramente
volgari e quindi testi romanzi integri e coerenti, via via sempre più complessi e
autonomi: a partire dai secoli X-XI molti di questi testi hanno caratteristiche
chiare che permettono di classificarli come testi letterari romanzi, diversificati
per temi e per forme. Ciascuno di questi testi, ovviamente, è sfruttato in qualità
di documento, come fonte di informazioni circa lo sviluppo delle varietà
linguistiche. Oggetti di studio sono, quindi, nel nostro caso, i testi, così come
figurano nelle fonti antiche che ce li hanno tramandati.
dall'altra parte abbiamo, invece, una materia di studio diversa, la
configurazione e la ricostruzione di un processo linguistico e storico-culturale.
L'esposizione si svilupperà, così, lungo due percorsi conoscitivi diversi. Il primo è
descrittivo e può permettersi di essere analitico nella presentazione dei dati; l'altro
percorso, invece, è sintetico e ricostruttivo, e si costruisce in forma di ipotesi storico-
critica.
I documenti, quindi, devono essere valutati e analizzati tenendo conto e della loro
dimensione spaziale e di quella temporale. Un singolo testo, inoltre, anche di
dimensione ridotta, purchè sia limpido, vale come prova dell'esistenza e come base
della conoscenza della varietà linguistica che in esso si riflette.
Diversa è invece la situazione per quel che concerne le letterature: nella fase più
antica, là dove la documentazione è più rada (si parla del XII secolo per l'area gallo-
romanza e del XIII per quella iberica e italiana), ogni singolo testo letterario può
valere, certo, come documento di lingua, ma in quanto monumento letterario vale
solo ed esclusivamente in sé stesso, e non se ne può ricondurre, dunque,
automaticamente l'esistenza ad una letteratura cui esso appartenga.
1.3.1 Diasistema
1.3.2 Testo
fatto che con il termine testo possono anche intendersi frammenti di minima
estensione, singole parole, nonché unità ridotte a condizioni di incompletezza o di
assoluta frammentarietà. Ne consegue, quindi, che un testo, per essere definito tale,
non deve essere per forza compiuto e completo.
I testi antichi, ad esempio, ci sono noti attraverso varie modalità (diverse, certamente,
da quelle che informano la realizzazione e la trasmissione di un testo come noi
moderni lo intendiamo): incisioni su pareti, epigrafi, appunti, prove di penna; si tratta
sempre di manufatti realizzati sulla base di una competenza scrittoria che può variare
sensibilmente da scrivente a scrivente. Questo comporta un’ulteriore precisazione,
essenziale per i testi antichi: un oggetto testuale, cioè, ha tre dimensioni: una
linguistica, per cui illustra più o meno fedelmente lo stato di una lingua, una
letteraria, per cui si inscrive in un sistema letterario, e una, infine, in quanto oggetto
scritto, per cui partecipa di una tradizione scrittoria che ha le proprie specificità.
1.3.3 Documento/monumento
Con il termine documento intendiamo tutto ciò che serve a documentare, a fornire
mezzi o materiale informativo in un determinato campo di ricerca.
I documenti, quindi, nel nostro caso, sono da intendersi come dati di partenza delle
nostre ricerche, di qualsiasi estensione e qualità essi siano.
In molti casi quelli che ci appaiono come documenti sono il risultato di un processo
di conservazione volontario o comunque non completamente casuale; essi sono,
pertanto, da valutare prendendo in esame sia i testi o i frammenti testuali, sia i
supporti materiali che li hanno conservati, sia, infine, le modalità di trascrizione,
integrando, così, nel giudizio anche considerazioni di tipo paleografico o
codicologico. In questo caso abbiamo a che fare con monumenti, depositari di una
memoria: tali sono, ad esempio, i testi letterari, provvisti oltre tutto di caratteristiche
formali proprie da tenere in conto nel momento di valutarne natura e conservazione. I
monumenti, quindi, sono testi letterari che sono stati volontariamente conservati.
La distinzione fra documenti e monumenti è stata introdotta stabilmente da Paul
Zumthor, il quale distingue, non più in rapporto all’occasione del discorso, ma in
virtù della sua proprietà di messaggio, i monumenti linguistici, come i Giuramenti di
Strasburgo, dai documenti, qualsiasi frase di comunicazione corrente.
Se si considera la totalità degli atti linguistici possibili, risulta comunque che lo
scritto, il testo, è più spesso monumento che documento.
In generale in ogni comunità linguistica si distinguerà:
1. uno stato di lingua primario, documentario, con funzione essenzialmente
comunicativa;
2. uno stato secondario, monumentale, esistente in rapporto al primo, ma
questo irriducibile.
A questi due stati Zumthor propone di associare due funzioni specifiche e distinte: la
funzione primaria è determinata solamente dalle esigenze dell’intercomunicazione
corrente, la funzione secondaria è di edificazione, nel duplice significato di questa
parola: elevazione morale e costruzione di un edificio.
1.3.4 Orale/scritto
disposizione testi scritti confezionati secondo regole di alta formalità e non più
allestiti per uso personale, come spesso accadeva in precedenza, e cambia anche il
confronto con la letteratura, che si viene organizzando in biblioteche personali,
inimmaginabili prima della fine del Quattrocento.
Tutto ciò pone in risalto la necessità di operare una distinzione all'interno delle forme
di comunicazione non scritta tra ciò che può essere classificato come parlato, ossia
comunicazione corrente e poco e non necessariamente formalizzata, sul tipo di quella
quotidiana, e forme di oralità, invece controllate e più strutturate, ma non
necessariamente dipendenti dalla lettura, utilizzabili in situazioni particolari.
La distinzione tra oralità e scrittura sembra attraversare tutta la società medievale,
definendo tipi e livelli di cultura profondamente differenziati diastraticamente. Non si
tratta, però, di due mondi separati, ma anzi di realtà che vivono a contatto tra loro e si
possono reciprocamente influenzare. La distinzione di livelli e modalità di cultura che
ruota attorno all’opposizione orale/scritto è, però, utile per focalizzare due poli di una
dialettica in cui termini verranno riformulati solo nella transizione verso ciò che
chiamiamo Basso Medioevo e poi Età Moderna, ossia, per approssimazione generale,
nel XVI secolo.
1.3.5.Letteratura/letterarietà
Per letteratura intendiamo l'insieme delle forme scritte che costituiscono in tradizione
scritta la cultura di una società. Questa definizione parte da ciò che è conservato e
quindi esclude una serie di forme, potenzialmente esistenti nell’oralità, alle quali
applicheremmo la categoria oggi corrente di “letteratura orale”, e che sono andate
perdute, non avendo superato mai la soglia della scrittura.
Questa tradizione, considerate le condizioni dell’alfabetizzazione e della
distribuzione sociale e geografica delle funzioni della cultura scritta e dei suoi usi nel
Medioevo, si configura come una realtà a base sostanzialmente latina e, almeno in
potenza, letteraria: chi scrive ha imparato a scrivere e a leggere di norma in latino e
non in volgare e in seguito, se ha studiato ulteriormente, lo ha fatto di nuovo in latino,
anche come lingua della pratica scolastica d’insegnamento e quindi quale strumento
di contatto tra docente e discente e anche familiarizzandosi con autori della letteratura
latina, magari conosciuti attraverso estratti ad uso scolastico, ai quali era associata
una funzione di modello, quella che indichiamo appunto come funzione autoriale.
Una componente di letterarietà, dunque, è presente in ogni attestazione scritta.
I termini letterario e letterarietà designano specifiche funzioni del linguaggio e della
scrittura intesa come creazione dei testi, nonché la coscienza critica relativa alla
scrittura e quindi anche, e in modo del tutto speciale, applicata alla scrittura letteraria.
L'esistenza di una vera e propria coscienza letteraria, che può anche essere
indipendente dalla scrittura, è condizione propria delle realtà sviluppate, mature,
consolidate.
1.3.6 Latino/volgare
ambiti eruditi, letterari e accademici, in aggiunta a tutti gli usi ufficiali della Chiesa
Cattolica. Tuttavia, anche molto oltre questo limite la continuità latina si mantiene
forte in ambiti di alta cultura, specie quelli universitari.
Anche nel 500, il secolo che vede l'affermazione definitiva dei volgari romanzi, il
latino ha ancora funzione di strumento culturale e intellettuale. La resistenza e
persistenza del latino è testimoniata, sempre nel Cinquecento, dalle controversie che
opposero i fautori del latino ai sostenitori del volgare, contrasti questi che si legarono
e sovrapposero ai conflitti religiosi dell’età della Riforma, nei quali, nuovamente, la
questione della lingua come elemento qualificante della fede e della pratica religiosa
rivestì un peso non indifferente.
Negli studi letterari, sino almeno all’età Moderna, vige una distinzione di gerarchia
tra il generico creatore dell’opera, nel nostro caso lo scrittore o compositore di un
testo letterario, e l’autore.
Quest’ultimo è uno speciale creatore, al quale è stata attribuita per comune consenso
la qualità di creatore d’eccellenza e la funzione di modello accettato e approvato.
L'autorità è, invece, il potere di convinzione e di persuasione di un filosofo, di un
poeta o di un oratore, potere giustificato dalla fides loro attribuita, dalla superiorità e
dall’ascendente esercitato.
Gli autore letterari, dunque, sono esempi e modelli stilistici, oggetto di imitazione e
parametro di valutazione delle nuove creazioni. Ad essi è attribuita l'auctoritas,
l’autorevolezza, e quindi il potere di persuasione.
Un’ulteriore questione si collega ai principi di autorità e autorevolezza: il principio di
paternità delle opere.
Nel Medioevo la paternità autoriale non è mai scontata; a ciò consegue la non
obbligatoria presenza di luoghi materiali nel testo dedicati ad accogliere l’indicazione
dell’autore. Ciò si traduce, quindi, nella frequente omissione del nome dell'autore in
apertura delle opere copiate nei manoscritti quando non prevalga la percezione del
prestigio dell’autore.
In campo romanzo, tutti i più antichi testi sono anonimi e moltissimi nelle epoche
successive, come conseguenza anche della condizione più incerta del volgare rispetto
al latino, ma forse più decisamente di fattori legati alle tradizioni e ai generi.
La situazione così enunciata evolve nel tempo, come conseguenza della
contrapposizione tra latino e volgari e della dialettica che si stabilisce rispetto alla
percezione e classificazione delle attività intellettuali e linguistiche e quindi rispetto
alla condizione dello scrittore in lingua volgare: la concezione della paternità
autoriale, quindi, si afferma progressivamente, in condizioni mature.
In termini generali si può dire che la coscienza autoriale si sviluppa e si afferma nel
momento in cui si afferma una tradizione letteraria, che è cosa diversa dalla semplice
esistenza di una produzione anche diffusa di opere. Si deve, cioè, costituire una
letteratura in volgare, cosciente della propria esistenza.
La condizione di anonimato, di conseguenza, è legata ad opere considerate di livello
basso, associate a pratiche di tipo latamente giullaresco, come per esempio quasi tutti
è più grave per i testi antichi ma che si presenta tuttavia anche per quelli moderni. Ciò
in primo luogo:
perché mancano gli autografi per tutti i testi più antichi (i primi conservati per
la letteratura italiana sono di Petrarca e di Boccaccio);
perché sino all’invenzione della stampa la trasmissione delle opere è stata
affidata agli incerti della copia manoscritta;
perché in epoca più recente, e sino ai nostri giorni, vicende editoriali o
tipografiche possono avere in varia misura inciso sull’assetto delle opere:
perché, infine, in ogni epoca e in ogni modalità di diffusione va sempre
considerata l'eventualità di modificazioni di varia entità contrarie e comunque
indipendenti dalla volontà dell'autore.
Si pone, di conseguenza, una questione generale di affidabilità, sicurezza e credibilità
del testo che ci è giunto attraverso simili condizioni di trasmissione.
Problema ancora diverso è quello dei testi di carattere tradizionale e popolare, ai quali
non è applicabile la nozione di autore individuale e che vanno affrontati con
particolari avvertenze e cautele, viste innanzitutto le peculiari modalità di
conservazione e trasmissione.
In ogni processo di trasmissione di un testo, quindi, si presentano inevitabilmente
errori di trascrizione, i quali devono essere individuati e, se possibile, eliminati,
attraverso il confronto di tutte le copie disponibili: come critica del testo intendiamo,
dunque, l'insieme di tecniche e di operazioni finalizzate ad offrire ai lettori
un'edizione critica di un testo che cerchi di riprodurre le intenzioni dell'autore,
sempre in rapporto alla qualità dei dati disponibili, qualità che dipende, ovviamente,
dalle modalità di trasmissione del testo stesso e dalla natura e dalle caratteristiche
delle copie conservate.
In accordo con quanto ora detto, si definisce edizione critica di un testo, il testo
allestito editorialmente, a conclusione di un procedimento di controllo del dettato o
lezione del testo in esame e di sua esatta definizione. Si pone, dunque, in opera un
procedimento di verifica e fissazione del testo in esame che parta dall'esame e dal
confronto di tutte le testimonianze ritenute utili e significative. Tale operazione di
controllo critico è necessaria anche nel caso, molto raro per i testi medievali, in cui si
disponga di una copia, manoscritta o a stampa, redatta sotto il controllo dell'autore e
da lui autorizzata, detta idiografo, o anche di un autografo vero e proprio.
I successivi passaggi che scandiscono l'operazione di definizione del testo critico
sono:
procedere, prima di tutto, ad un censimento delle attestazioni disponibili, cioè
delle varie copie, del testo esaminato, dette anche testimoni; l'insieme dei
testimoni forma la tradizione del testo;
stabilito l'elenco dei testimoni, si passa ad una loro analisi comparativa,
finalizzata ad eliminare reperti inutili. Si utilizzano, a questo fine, criteri di
valutazione di ordine più propriamente filologico integrati con altri di ordine
linguistico, letterario e storico-culturale, riferiti sia all'epoca e all'ambiente nel
quale possiamo collocare il testo, sia anche al singolo autore, ciò che si indica
spesso con la definizione latina di usus scribendi;
Lo sviluppo delle lingue e lo sviluppo delle letterature sono tra loro differenti e si
svolgono secondo modalità e cronologie diverse l’una dall’altra.
È, innanzitutto, evidente che l’affermazione delle parlate romanze, avvertita a livello
di coscienza linguistica e confermata dai primi documenti scritti, precede di molto
l’apparizione dei primi testi letterari romanzi. Inoltre, c’è un’ulteriore divaricazione
cronologica: sia per le lingue che per le letterature si produce uno iato sensibile tra
l’epoca presumibile dei fenomeni e l’epoca della loro documentazione, iato
determinato in estensione e caratteristiche da fattori storico-culturali di vario ordine.
Dietro alle modalità di apparizione delle lingue e delle letterature e al loro
consolidamento in quanto sistemi, sia pure di natura profondamente diversa, dietro
anche alla sfasatura nella cronologia tra aree e movimenti si avverte il peso di un
fattore determinante, rappresentato dal latino. La presenza egemonica del latino nel
livello culturale ed espressivo più alto intervenne a contrastare e a ritardare
l’emersione delle lingue e letterature romanze: il latino, quindi, opera contro
l’apparizione nello scritto dei volgari in qualità di argine o filtro.
Il sistema linguistico e letterario latino ci appare così rispetto ai volgari in una
posizione contraddittoria: esso funge da ostacolo, sia tecnico che culturale, e però
anche da modello, mettendo tra l’altro a disposizione un enorme repertorio strutturato
di forme e di temi. Una piena affermazione del volgare nelle tradizioni scritte, come
poi vedremo, si verificherà solo nel Basso Medioevo, per imporsi in maniera più netta
a partire dall’età della stampa e dell’Umanesimo, ossia dai primi decenni del XVI
secolo, contemporaneamente alla normalizzazione dei sistemi ortografici e all’inizio
della riflessione grammaticale sulle lingue.
Un aspetto delle Origini Romanze di particolare rilievo nell’ottica qui adottata è
quello del momento di passaggio allo scritto, ossia di conquista, da parte dei volgari e
di ciò che si scrive in volgare, di una propria dimensione autonoma e specifica.
I più antichi testi romanzi ci appaiono come prodotti della civiltà grafico-linguistico-
letteraria latina, e in quanto tali risultano riconducibili a centri dai connotati definiti:
inizialmente, prevale nettamente l’impronta monastica, con apporti dall’ambito
giuridico e cancelleresco, come i Giuramenti di Strasbrugo.
del volgare da parte degli scrittori medievali: essi avrebbero potuto continuare ad
usare come strumento espressivo quello ancora corrente nei medesimi ambiti di
scrittura, ossia il latino. Nel mondo romanzo medievale, invece, i capiscuola si sono
coscientemente distaccati dalla tradizione letteraria latina, adottando le lingue volgari
e creando, da queste, un complesso innovativo di testi, forme, generi, capace di
costruire rapidamente diverse tradizioni scrittorie.
Questa scelta, in ogni caso, non è dipesa solo dall’esistenza di autori volgari, ma da
una compartecipazione di autori e pubblico ad una stessa sfera comunicativa: scrittori
e pubblico hanno, quindi, prima ancora che i testi conservati, condiviso una lingua e
con essa una cultura volgare, costituita valori, temi, miti, forme espressive in via di
elaborazione. Non si intende, con questo, negare o sminuire la funzione della
mediazione letteraria latina: è vero, però, che a un certo momento si manifestò
un’opzione articolata in favore della scrittura in volgare. Tuttavia questa scelta,
cosciente e volontaria presso i singoli autori, fu in sostanza una scelta storicamente
obbligata, così come fu obbligata quella per il volgare nella comunicazione, ad un
tempo pratica e strutturata, della predicazione, sancita dal Concilio di Tours dell’anno
813. Entrambi gli orientamenti furono conseguenza di una rottura nel sistema
comunicativo avvertita ormai con nettezza in età carolingia, che impediva la
continuazione di soluzioni stilistiche e soprattutto linguistiche di compromesso, e che
vedeva però al tempo stesso i nuovi testi romanzi come i continuatori ideali di questi
prodotti dell’età anteriore.
formalità letteraria intesa in senso lato e certamente quanto a statuto e ruolo degli
autori. La componente volgare ha però dalla sua l’enorme potenziale conferito
dall’espressione naturale contrapposta ad una lingua nella peculiare condizione in cui
si trovava il latino medievale: non lingua morta, certamente, ma neppure viva se non
in una dimensione meramente intellettuale.
La situazione evolve in epoca basso-medievale, a seguito dei profondi cambiamenti
delle società e all’emergere di nuovi ceti borghesi, legati al commercio e alle attività
economiche dell’artigianato. Fra il XIII e il XIV secolo, infatti, si assiste al distacco
tra due tipi di pubblico: non più clerici e illitterati, separati da un abisso tecnico e
tuttavia partecipi di una cultura sostanzialmente unica, ma alfabetizzati e non
alfabetizzati; i primi dominano un complesso di pratiche economiche e giuridiche
profondamente legate alla scrittura, i secondi depositari di una cultura tradizionale,
con meccanismi di sviluppo estremamente lenti, pure se destinata a commescersi con
echi e stimoli provenienti dalla letteratura scritta per creare nuovi modelli di gusto e
nuove pratiche compositive dotate di specifica originalità.
Una crisi del sistema imperiale romano si profila già nel III secolo d.C. e con
Diocleziano, alla fine dello stesso secolo, si ha l'ufficializzazione della separazione in
due parti, occidentale e orientale, dotate di relativa indipendenza politica,
amministrativa e militare. Questa divisione sancisce la differenza tra un Occidente
culturalmente e linguisticamente latino e un Oriente greco. La separazione non è,
però, totale né immediata: consistenti comunità latine si manterranno sino al VI
secolo in diverse città importanti del Mediterraneo Orientale e fino all'epoca di
Giustiniano la cancelleria imperiale conservò l'abitudine della scrittura il latino, come
fattore anche simbolico di continuità col passato. Tuttavia, nelle regioni orientali il
greco prevalse in maniera rapida, assorbendo completamente le identità latine.
Alla fine del IV secolo e poi soprattutto nel V secolo d.C., in Occidente l'unità
politica si disgrega, a seguito innanzitutto delle invasioni e dell’insediamento di
popolazioni barbare, soprattutto di stirpe germanica. Ne consegue l'indebolimento, se
non la vera e propria distruzione, del centro, prodottasi anche a livello simbolico col
saccheggio di Roma da parte dei Visigoti e poi dei Vandali. A ciò segue la formazione
di una serie di regni, di organismi politico-amministrativi, fondati su nuclei di
popolazioni germaniche. Inizialmente questi regni furono formalmente dipendenti
dall'autorità imperiale e in non pochi casi conservarono questo legame anche per
lungo tempo.
Le conseguenze di questa crisi politico-istituzionale, economica e sociale furono
gravissime anche sul piano culturale e linguistico:
viene a mancare un'autentica unità politica, un centro; vengono duramente
colpite anche le città, da sempre elemento cardine della penetrazione romana e
del sistema di controllo del territorio: la percentuale di popolazione residente
nella città diminuisce in maniera drastica.
le invasioni con i loro aspetti più brutali, saccheggi e distruzioni, e le guerre
che si susseguono causano danni gravissimi, talora irreparabili, in settori
estremamente delicati come quelli dell'istruzione e dei patrimoni librari.
appaiono nuovi diritti, fondati sulle tradizioni etniche delle nuove popolazioni,
prima alleate, poi indipendenti nei nuovi organismi statali, con differenziazioni
reciproche anche sensibili.
Ulteriori modificazioni degli assetti territoriali si producono tra il VI e l'VIII secolo:
le divisioni del dominio franco nell’età precarolingia e carolingia;
centrale non solo formale tra X e XI secolo; successivi tentativi, come quelli degli
imperatori germanici, finalizzati a ripristinare forme di potere centrale e una relativa
unità, si scontrarono con resistenze fortissime di autonomie locali già consolidatesi, le
quali furono poi all’origine degli Stati e dei principati dell’Italia basso-medievale e
moderna.
La fase di snodo tra la Tarda antichità e l’Alto medioevo è molto importante dal
punto di vista storico generale, ma lo è anche dal punto di vista della storia linguistica
dell'Occidente, dal momento che è tra il V e il VI secolo che conviene collocare il
momento di prima crisi della latinità come sistema linguistico unitario e come
insieme culturale.
La cesura tra Mondo Antico e Medio Evo non è nettissima e la trasformazione si
produce in un lasso di tempo relativamente lungo. In questa fase di passaggio si
manifestano alcuni fattori di continuità e in certo modo anche di stabilità:
integrazione tra invasori e romani, ad esempio, si realizza ovunque nel medio-lungo
periodo. Oltre alle differenze culturali, sociali e linguistiche, un ostacolo rilevante,
superato nel tempo, è dato dalle diversità religiose: la Chiesa, però, si afferma
definitivamente come fattore di ordinamento e consolidamento sul piano
amministrativo e su quello della pratica religiosa; soprattutto il riconoscimento della
sede del papato portò con sé il mantenimento non solo di una centralità romana, ma
soprattutto di un'idea di centro.
Sopravvivono, infine, in tono minore rispetto al passato imperiale, la scuola e le
strutture amministrative di gestione del potere.
Manca, però, nel quadro sin qui abbozzato, un ulteriore fattore, forse l’unico davvero
determinante sul terreno dei fenomeni culturali che qui interessano. Alle spalle della
Chiesa come istituzione e anche del mantenimento del latino come lingua unificante
dell'Occidente sta, infatti, una realtà innovativa: il cristianesimo. È una delle religioni
rivelate, ha dunque a suo fondamento un corpus testuale, le Sacre scritture. La Bibbia,
eccettuate alcune presenze del testo greco quasi esclusivamente molto antiche, circola
in Occidente in latino e in varie versioni tra le quali è destinata ad affermarsi quella
detta Vulgata, redatta da San Girolamo alla fine del IV secolo. Non solo la Bibbia è
un testo scritto, che va letto e compreso innanzitutto a livello letterale, da cui
discende la necessità di una preparazione grammaticale di base in latino, ma è un
testo difficile che necessita di interpretazione e richiede un apposito apparato di
commento a più livelli. L’esegesi cristiana, che si può dire cominciata già con le
Epistole di San Paolo, si sviluppa impetuosamente con l’opera dei Padri della Chiesa
e produce una letteratura amplissima e, in Occidente, ovviamente in latino.
Tra i padri della Chiesa, in Occidente, ha importanza determinante Sant'Agostino,
vescovo di Ippona, non solo per la rilevanza intrinseca dei suoi scritti per gli aspetti
dottrinari e per la loro qualità anche formale, ma soprattutto come principale
promotore di un'opera di mediazione a tutto campo tra la tradizione classico-pagana e
la tradizione cristiana. Nel progetto di Agostino e nella sua stessa pratica di scrittore e
di guida della Chiesa, il sistema di istruzione antico, fondato sulle arti liberali, già
finalizzato alla formazione del cittadino delle classi dirigenti romane, viene
riconvertito è riorientato in senso cristiano, finalizzato alla formazione di un
sacerdote; l'insieme dell'istruzione comincia anche ad assumere l'assetto che sarà poi
tipico del medioevo, con l'articolazione su tre discipline a formare il cosiddetto
trivium di base (grammatica, retorica, dialettica), cui seguivano le quattro del
quadrivium (geometria, aritmetica, astronomia, musica).
Il modello agostiniano si impone rapidamente e fonda ciò che è per noi il Medioevo
cristiano occidentale nella tradizione delle lettere latine. Esso è sostanzialmente
adottato a base dell'organizzazione dei monasteri di regola benedettina e lì realizzato,
soprattutto dal VII secolo in poi, nella duplice pratica dello studio e della trascrizione
dei codici: nella fase delicata di trapasso, le istituzioni monastiche accolsero il
compito di conservare e proteggere una parte significativa del patrimonio letterario
del mondo latino.
Per quanto ci interessa, il confronto tra testi cristiani e classici non è sempre scontato:
dall’età carolingia in poi, esso è fonte di varie tentazioni, prima di monaci, attratti dal
fascino delle lettere classiche, che dovevano invece essere mantenute nel rango in
fondo servile delle discipline strumentali, e poi di intellettuali legati alle scuole
cattedrali, spesso irregolari, cioè non inseriti in un ordinamento definito.
È utile, a questo punto, una comparazione con la condizione dell’arabo classico: nei
paesi arabi si presenta una situazione che a prima vista ha diversi tratti in comune con
quella della Romània medievale; una sola comunità araba, con un solo libro sacro in
arabo, con una sola lingua alta e scritta, ma con numerosi dialetti nazionali. La
differenza è che nei paesi arabi ci sono comunque stati moderni e c'è un sistema
scolastico capillare; i dialetti guadagnano spazio nelle forme artistiche orali, ma
continuano a restare sostanzialmente fuori dalla letteratura.
Alcuni tratti distintivi vanno in primo luogo segnalati. Al momento in cui Maometto
scrisse il Corano, l'arabo era una lingua di una comunità ristretta, molto coesa;
l’arabo di fatto non aveva una letteratura scritta, mentre esistevano generi poetici
affidati esclusivamente alla memoria; infine, quella araba era allora una società molto
semplice e poco articolata, legata al mondo della pastorizia nomade e alle attività
mercantili. Inserendosi in questo contesto, il Corano, che creava dal nulla la
letteratura araba con un testo sacro, si impose come unico punto di riferimento
linguistico-letterario, impedendo di fatto qualsiasi evoluzione innovativa nella lingua
letteraria ufficiale.
Inoltre, durante l'espansione, l'arabo, lingua del Corano e del Profeta, fu fattore di
unificazione e di identità religiosa.
Sono evidenti le differenze che si stabiliscono intorno a questi punti cruciali con la
situazione del mondo latino tardo-antico e con l’immissione del cristianesimo e del
suo libro sacro in questo contesto. Intanto il mondo latino preesiste al cristianesimo;
si tratta di una realtà linguistico-culturale che viene sì gradualmente cristianizzata,
con effetti anche traumatici, ma la cui esistenza non viene mai messa seriamente in
discussione. Di conseguenza, la traduzione latina della Bibbia si inserisce in un
contesto linguistico-letterario articolato, cui corrisponde la pluralità di livelli e registri
stilistici richiesta da una società complessa ed evoluta, che tra l'altro fa ampio e
variegato uso della comunicazione scritta. Tra questi registri, anche la versione
biblica trova la propria collocazione, accettando la norma grammaticale antica, ma
rifiutando l’adesione alla gerarchia stilistica della letteratura classica in nome di
un’apertura, umile, verso i ceti inferiori: da un lato, quindi, la Bibbia non viene
affatto ad assumere il ruolo di unico e stabile punto di riferimento linguistico-
letterario che è proprio del Corano nella società arabo-islamica; dall'altro, la volontà
di garantire la comprensione, adeguandosi alla lingua corrente o quantomeno
tenendone conto, orienta sin dalle fasi più antiche l'opera degli scrittori cristiani e in
particolare quella dei traduttori biblici. A facilitare l’adattamento alle parlate correnti
è la stessa ampiezza della variazione linguistica interna al mondo romano, dunque al
latino, con l’ammissione di una possibilità “rustica”, condannata e disprezzata dai
retori classici, ma comunque non percepita come estranea e poi rivalutata e fino a un
certo punto accolta dai cristiani.
Nei secoli seguenti, la produzione alto-medievale latina linguisticamente più
innovativa apre la strada agli usi scritti dei volgari, in accordo con la tendenza
anticlassica e popolare già propria dei più autorevoli scrittori cristiani di età tardo-
imperiale. La formulazione di lingua romana rustica con la quale il volgare viene per
la prima volta identificato esplicitamente come lingua diversa dal latino (in un
deliberato del Concilio di Tours dell'813) e quelle che ne derivano costruite intorno
all'idea di romanità sottolineano la continuità romana nella riconosciuta diversità
idiomatica.
3.4 Letteratura
La vittoria religiosa del cristianesimo è seguita dal suo trionfo letterario: la letteratura
è ormai solo cristiana. Il che significa la cancellazione di un genere strettamente
profano: la poesia satirica o erotica. I generi eliminati rinasceranno solo con le
letterature vernacolari, dopo l'anno Mille. Ma questo impoverimento è compensato
dallo sviluppo di nuove forme che affondano le proprie radici nel III e nel IV secolo,
tra le quali conoscono un successo crescente i racconti che narrano la vita di un santo.
Poesie religiose e vite dei santi in versi, destinate ad essere declamate e cantate in
occasione delle festività e nei luoghi di pellegrinaggio, e frammenti di sermoni,
prodotto dell'attività di predicazione, sono i più antichi testi letterari romanzi
conservati, espressione di una tradizione latina ed ecclesiastica che si espande, in età
post-carolingia, superando la barriera tra latino e volgari.
Le agiografie costituiscono un caso specialmente interessante. Questo genere
letterario tipicamente latino-cristiano, legato al culto dei santi locali e a pratiche
devozionali, si prestava ad essere utilizzato in situazioni comunicative che
richiedevano una piena e facile comprensione da parte dei fedeli del testo fissato e
come consacrato nella tradizione rituale. La scelta di rivolgersi ai fedeli secondo i
dettami del sermo humilis, ossia dello stile basso, aveva già portato ad un
sovvertimento sostanziale dell'assetto stilistico-formale del testo letterario.
Gradualmente si affaccia e poi si generalizza un ulteriore termine a definire lo stile
adatto per rivolgersi ai fedeli poco istruiti nell’attività pastorale che così
profondamente differenzia il Cristianesimo dalla religiosità pagana: sermo rusticus.
Tutto questo avviene all'interno di una realtà di comunicazione linguistica percepita
ancora nei secoli VI e VII come latina: per quanto lo scarto tra la lingua scritta e la
pratica orale dovesse essere ormai sensibile, e fosse quindi largamente superata la
corrispondenza tra grafia e pronuncia che era stata caratteristica del latino classico,
tuttavia l’impressione è che gli ascoltatori di quest’epoca fossero comunque ancora in
grado di comprendere un testo composto in sermo rusticus. Certo, però, il sistema
tardo-latino appare soprattutto in Gallia in rapida degradazione a quest'altezza
cronologica: in effetti, per più di un aspetto quello tra la fine del VI secolo e l'inizio
dell'VIII è da individuare come il momento decisivo di transizione tra i due sistemi
linguistici, quello latino antico e quelli non più latini delle lingue romanze emergenti.
La fase di crisi e di evoluzione verso i volgari coincide con un passaggio critico nella
storia della cultura latina, a cominciare dall'istruzione di base, e di eclisse di un
modello culturale costruito su chiare gerarchie, di impianto centralista e classista. La
dimensione orale è dunque quella essenziale: quale premessa della formazione delle
molteplici varietà romanze occorre partire dalla lingua corrente negli strati medi e
subalterni del mondo latino.
Quella latina, come si è più volte sottolineato, doveva essere una realtà nient'affatto
statica, ma diversificata e dinamica; esistevano differenziazioni non solo diastratiche,
ma anche diatopiche.
La transizione dal latino ai volgari romanzi si può ritenere accertata nel momento in
cui un modello di analisi in termini di diversificazione diastratica e diatopica si riveli
ai nostri occhi insufficiente ad illustrare la realtà dei fenomeni, ossia allorquando non
riscontriamo più una distinzione di livelli, bensì di sistemi, da descrivere allora in
chiave di diglossia, stante la permanente continuità del latino nei registri più elevati
dell’espressione, non solo scritta.
Il passaggio può essere scandito secondo tre tappe successive: la prima consiste nella
nascita della nuova oralità, evento che si verifica quando la struttura della lingua
parlata cessa di essere latina per diventare romanza; la seconda è costituita dalla presa
di coscienza di questa metamorfosi e dalla coesistenza di una scrittura e di un’oralità
che non coincidono più; la terza sopraggiunge quando la nuova oralità è consacrata
da una nuova forma di scrittura, la cui natura rivela che si tratta di un cambiamento
radicale.
Questi stadi sono così riformulabili in forma schematica:
1. evoluzione dei sistemi linguistici: il latino classico vale come punto di
riferimento ideale, occorre prendere le mosse dal latino parlato tardo, un dato
già internamente complesso; le nuove lingue si sviluppano in divergenza da
questo, con differenziazioni più o meno accentuate, ma comunque alla lunga
sensibili, cioè avvertibili da parte dei parlanti;
2. presa di coscienza dell'evoluzione avvenuta e della diversità dei sistemi, in due
tempi: innanzitutto, certamente, percezione della diversità in ogni regione tra
latino e parlata volgare, in seguito, come secondo passaggio, sensibilità alla
reciproca distinzione dei volgari; la coscienza della rottura dell'unità latina si
genera nelle varie regioni in momenti diversi, a seconda della rapidità e della
profondità dell'innovazione linguistica, ossia a seconda dell'intensità dello
scarto linguistico;
3. elaborazione e utilizzazione di un sistema di trasferimento nello scritto della
nuova oralità romanza.
Il secondo e il terzo momento sono collocati nel secolo IX, in età carolingia e post-
carolingia, almeno per la Gallia, dove i processi innovativi sembrano aver subito una
accelerazione considerevole rispetto alla Penisola iberica e all'Italia. L'accordo si
fonda sulla presenza di un gruppo di testimonianze e di primissimi testi, ai quali
possiamo attribuire coordinate geografiche e cronologiche ben precise e che
scandiscono in maniera netta alcuni degli ultimi passaggi della fase di transizione.
Il primo momento, invece, quello della nascita della nuova oralità, è oggetto di
discussione. Le ipotesi in certo modo più tradizionali tendono ad anticipare la
formazione delle parlate neolatine, collocandola in epoca tardo-antica, se non ancora
imperiale, i latinisti, al contrario, tendono a posticiparla, procrastinando il momento
dell’interruzione di una continuità latina e la frattura della sua unità.
Del passaggio tra latino e parlate romanze si sono date interpretazioni divergenti, sia
per quanto riguarda la cronologia, sia anche per aspetti sostanziali, specialmente
rispetto al rapporto con il latino, scritto e parlato.
Per raffigurare il percorso che conduce da un sistema ancora chiaramente latino,
all'inizio dell'età imperiale, alle sicure manifestazioni delle lingue romanze nei loro
più antichi testi, a partire dall'VIII secolo in poi, si analizzano quattro schemi grafici
proposti da altrettanti studiosi. In tutti e quattro gli schemi, i processi in atto sono
raffigurati graficamente attraverso linee continue, in particolare per ciò che riguarda
la lingua parlata; questa scelta comune ribadisce l'impossibilità di stabilire un punto
di confine netto all'interno dell'evoluzione linguistica tra una realtà ancora latina e
una neolatina e conferma, invece, la necessità di postulare una fase intermedia, di
transizione.
Lo schema di Arrigo Castellani (pg. 114) è l'unico a cercare di dare conto del duplice
fenomeno di differenziazione dal latino e di differenziazione reciproca che
caratterizza le origini delle lingue romanze e si articola per questo su due tavole.
Nella seconda è illustrato il processo di differenziazione territoriale del latino in
epoca imperiale e di divergenza tra le varie parlate romanze, che acquistano
gradualmente reciproca indipendenza sulla base delle diversità antiche, intensificate e
riorganizzate strutturalmente entro sistemi innovativi. Come eventi notevoli sono
indicati l'Editto di Caracalla, che estese la cittadinanza romana a tutti i sudditi liberi
dell'impero, la riorganizzazione dell'impero da parte di Diocleziano e infine le
invasioni germaniche. Nella prima tavola, invece, è schematizzata la transizione tra il
latino e ogni lingua o parlata romanza. Il latino scritto è assunto come punto di
riferimento costante nella prima linea in alto; l’evoluzione è individuata nel solo
ambito del parlato, che prevede una differenziazione interna di tipo diastatico,
raffigurata attraverso la distanza tra le due linee che delimitano i livelli estremi alto e
basso delle possibili realizzazioni all’interno della lingua latina: la divaricazione dà
l’idea della flessibilità e articolazione del sistema. Il senso complessivo di questa
evoluzione va nella direzione di un livellamento generalizzato verso il basso ed è
esattamente nel livello, anche grafico, inferiore che è individuata la continuità che
porta alle lingue romanze. La cronologia assoluta proposta da Castellani suggerisce
che la definizione di parlate ormai romanze debba essere collocata all'incirca nel V
secolo, alla fine dell'impero, in stretta consequenzialità rispetto alle invasioni
germaniche.
Gli altri tre schemi analizzano, invece, il solo aspetto di distinzione dal latino
all'interno di una sola regione ipotetica, avendo come punto di riferimento soprattutto
l'area gallo romanza.
Il secondo schema, del linguista americano Robert Pulgram (pg. 115), è abbastanza
simile alla prima tavola proposta da Castellani, anche se Pulgram non illustra
l'articolazione interna al latino parlato e ne semplifica drasticamente la
visualizzazione, supponendo implicitamente l'esistenza di una norma orale alta
prossima allo scritto e ad essa riducibile; egli, inoltre, cerca di dare conto di una
evoluzione anche della norma scritta attraverso l'adozione di una linea spezzata
inclinata con due punti critici, l'uno all'inizio del III secolo, e uno in età carolingia,
intorno all'anno 800, in corrispondenza della Riforma carolingia, che promuove una
ripresa del livello stilistico del latino scritto e l’inizio di una fase indicata come
medioatina; Pulgram, infine, segnala l'inizio di una tradizione scritta delle lingue
romanze in coincidenza con la Riforma carolingia e col cambio di orientamento della
linea indicante il livello dello scritto.
Nello schema di Pulgram l'apparizione di sistemi linguistici chiaramente romanzi è
collocata in fase alto-medievale, tra la fine del VII e l'inizio dell'VIII secolo, dopo
una fase classificata come protoromanza.
Anche il terzo schema, quello di Roger Wright (pg. 116), non individua
l'articolazione interna al sistema latino. La semplificazione serve in questo caso a
evidenziare l'aspetto saliente di questa interpretazione, distintiva rispetto alle ipotesi
di impianto più tradizionale, ossia la presenza di uno sviluppo parallelo e
relativamente indipendente del sistema orale e di quello scritto: secondo Wright il
latino scritto tardo-antico e dell'epoca romano-barbarica riflette solo parzialmente
un’oralità ancora latina in evoluzione. Il processo di graduale evoluzione è interrotto
dalla reazione carolingia che causa un duplice contemporaneo sviluppo artificiale:
un’oralità latina restaurata a partire da una norma scritta e una pratica scritta
romanza. In sostanza, un sistema inteso come unitario sino all’età carolingia si
sdoppia a partire da questo momento, producendo due sistemi forniti entrambi di un
versante orale e scritto. L’ipotesi di Wright è interessante, ma troppo dipendente dalla
sola realtà fonica e fonologica: si deve, però, dare atto allo studioso inglese di avere
attirato l’attenzione su una dimensione sino a quel momento trascurata, ossia quella
del latino parlato colto dall’Età tardo-antica in poi.
L’ultimo schema (pg. 117), delineato da Walter Berschin, è il più complesso in quanto
introduce una serie di ulteriori elementi di confronto sul versante latino: l'altezza
stilistica del latino letterario, gli spettri di variazione diastratica, la quantità della
produzione letteraria conservata. L'evoluzione del latino volgare tiene conto di una
serie di diversità interne, ossia di variazioni, ed è caratterizzata dall'inserimento di un
ulteriore elemento grafico lineare concernente l'evoluzione del latino volgare scritto,
col quale si intende indicare l'insieme della documentazione rimastaci che ci permette
di conoscere i livelli meno formalizzati di lingua.
La situazione, ovviamente, è molto complessa ed è impossibile dare una risposta
precisa e assoluta al quesito circa i tempi e i modi dell’esaurimento del latino come
lingua corrente; la considerazione di questi ultimi aspetti induce a scartare come poco
verosimile l’individuazione di una formazione antica delle lingue romanze tra loro
differenziate. Si può forse procedere per approssimazioni successive, cercando di
restringere progressivamente la focale e di precisare il dato acquisibile:
non è detto che vi sia una medesima cronologia assoluta per tutti i territori
romanzi, anzi è verosimile il contrario, ossia che tempi e velocità siano state
distinte, anche in maniera accentuata;
non è detto che nel medesimo territorio il processo evolutivo si sia sviluppato
sempre in forma lineare e regolare, anzi è verosimile che si siano alternate fasi
di accelerazione e fasi di stasi, di consolidamento dei sistemi;
è verosimile che in zone isolate, come la Sardegna, i sistemi si siano
riorganizzati abbastanza precocemente, su basi comunque arcaiche, quindi
ricche di tratti conservativi;
se si accorda importanza all'aspetto di reciproca distinzione delle lingue
romanze, non è possibile collocare la loro origine neppure nella prima fase
successiva alla disgregazione dell'impero.
Tutto ciò considerato, e limitando per ora le considerazioni alla Gallia, è piuttosto il
periodo che va dalla metà del VII secolo alla metà dell'VIII che deve essere
riconosciuto come quello in cui si situa la fase di maggiore e decisiva accelerazione
nella definizione di nuovi sistemi, a seguito della più profonda crisi del sistema latino
che è attestata dalla documentazione del secolo VII.
La comunicazione in latino entro un sistema avvertito come unitario, era ancora
possibile all'inizio del VII secolo, mentre chiari segni di rottura giungono, sempre per
la Gallia, dalla seconda metà dell'VIII secolo. Ciò significa che entro questo termine
basso (760-770) devono essersi prodotti tali fenomeni da rendere ormai impossibile
per gli abitanti romanizzati del Paese, illetterati o minimamente istruiti, la
comprensione, senza un'opportuna esplicazione di sostegno, della recitazione orale di
testi scritti, ossia di testi latini.
È verosimile, sulla base della documentazione disponibile, che i processi per l’Italia e
per la Penisola Iberica siano stati più lenti e la cronologia complessiva risulti ritardata
di un secolo o più.
nei valori ideali sia anche in strumenti pratici e operativi, a partire sin dalla struttura
dell'amministrazione: l'uniformità del latino e l'uniformità della scrittura, quella che
chiamiamo appunto “minuscola carolina” e che è la base dell’uso moderno stampato,
contribuiscono a garantire la relativa coesione dell'insieme.
Si sviluppò una nuova attività letteraria alta, in versi e in prosa: varie forme di poesia
sacra, specie di argomento biblico, e d’occasione, trattatistica religiosa e storiografia.
Suo ambito di diffusione fu in primo luogo la rete di monasteri dei territori centrali
dell’Impero, luoghi ove vennero fondate scuole importanti, centri vitali di
conservazione e di trasmissione di un canone ormai ridotto di classici.
Gli effetti della Rinascita sono sostanziali e durevoli: mentre fino all'VIII secolo le
opere più significative della letteratura latino-cristiana conservata provengono
dall'Italia, dalla Spagna, dalla Gran Bretagna, a partire da questo momento si
consolida la preminenza di una zona corrispondente al cuore franco-germanico
dell'Impero. Questa nuova produzione letteraria, nutrita anche di una ricostruita e
rinnovata sensibilità linguistica, e questo sistema di fondazioni monastiche sono alle
spalle delle Origini letterarie romanze e in particolare dei testi dell'area gallo-
romanza; il più antico testo romanzo conservato, i Giuramenti di Strasburgo (842),
compare in un'opera cronistica che è per tutti i suoi caratteri da interpretare come un
tipico prodotto dell'età carolingia; in generale, tutti i più significativi testi letterari
romanzi del X e dell'XI secolo mostrano di essere stati elaborati in ambienti ricchi di
letteratura latina e quindi anche di tecnica compositiva elaborata su modelli latini.
Sul piano linguistico la Riforma carolingia si attua attraverso una estesa ed energica
restaurazione della norma linguistica antica; la Riforma rifiuta gli imbarbarimenti del
primo Medioevo nella lingua scritta, specie quelli di provenienza merovingica, e di
conseguenza anche qualsiasi compromesso con l'oralità delle terre romanze.
È a partire da questo momento che dovette cominciare ad apparire evidente la
distinzione tra il latino riformato, scritto ma anche parlato nei gruppi intellettuali, e
gli strumenti linguistici della comunicazione quotidiana nell’Europa occidentale. È
anche probabile che a questa svolta abbia contribuito la stessa composizione della
corte carolingia e dell’ambiente intellettuale costituitosi intorno ad essa, nel quale
avevano parte importante i personaggi provenienti dall’Inghilterra, dalla Germania,
anche dalla conservatrice Italia.
Con la riforma carolingia, quindi, si arresta un'evoluzione innovativa, il latino parlato
viene ancorato allo scritto, e di quest'ultimo si dà un'interpretazione che tende ad
essere fonetica. Dal punto di vista del volgo, ossia degli ascoltatori di quelle
agiografie e di quei sermoni, divenuti quasi di colpo non più comprensibili, si allenta
il rapporto psicologico con il latino, viene meno la coscienza di una continuità, si
afferma quella della discontinuità, quindi della diversità tra i sistemi linguistici.
Il riconoscimento di questa diversità tra il latino e la lingua corrente di fatto non può
che giungere da una testimonianza di cultura alta, interna alla tradizione latina e anzi
dal centro stesso del nuovo mondo culturale carolingio.
Il primo dei documenti che scandiscono in qualche modo con sicurezza le tappe
non meglio precisata e probabilmente non distinta, nella coscienza del testimone
esterno, in articolazioni dialettali apprezzabili; due modalità, l’andaluso e il franco,
che dovevano a quell’epoca essere tanto differenziate tra loro da essere percepite
anche come simboliche di macro-aree del mondo conosciuto e frequentato dai
radaniti.
I fenomeni innovativi tra sistema linguistico latino e sistemi volgari si collocano nella
dimensione del parlato; lo scritto, tendenzialmente conservativo, ne può riflettere
alcuni aspetti, cosa che effettivamente avviene soprattutto per alcune tipologie di testi
e in alcune regioni più che altrove. È grazie a queste documentazioni che si può
comprendere la fase di transizione e cercare riscontro alle ipotesi formulabili.
L’opposizione tra oralità e scrittura interviene qui su più fronti: innanzitutto va
riconosciuto che non tutta la dimensione orale è riportabile ad un livello basso,
mentre a sua volta il livello formale degli scritti può presentare differenziazioni anche
notevoli.
Date queste premesse, è intuibile che ci si troverà spesso in condizioni di equilibrio
precario tra più fattori che condizionano ricostruzione ed interpretazione. È
opportuno innanzitutto saggiare la possibilità di classificare qualitativamente
l’insieme di fonti, tipicamente testi, delle più svariate estensioni, utilizzabili nella
ricostruzione dei processi linguistici e linguistico-culturali. Si tratta di materiali
sostanzialmente simili, nel ventaglio tipologico, a quelli disponibili per le epoche
precedenti, ossia le fonti per la conoscenza del latino volgare, per esempio di età
imperiale. Troviamo difatti in questa fase avanzata:
testi latini e contesti latini che presentano singole unità innovative;
testi che documentano il lento passaggio verso autonome manifestazioni
scritte di un’espressione orale ormai prossima al potersi dire romanza;
testi ormai chiaramente romanzi.
Ovviamente è difficile, nella fase di transizione, discendere ciò che è latino da ciò che
non lo è del tutto e, soprattutto, da ciò che non lo è più; di fatto, è impossibile operare
una cesura netta nella documentazione tra fonti per la conoscenza del latino volgare e
attestazioni classificabili, a posteriori, come romanze.
Abbiamo già detto che le tendenze innovative si collocano entro la dimensione orale,
mentre di contro lo scritto è per propria natura conservativo. Tuttavia con una certa
frequenza singoli elementi romanzi si insinuano in testi latini e, in generale, nel
sistema linguistico latino-medievale.
Troviamo in primo luogo testi, non necessariamente di livello basso, che sono vicini a
realtà del tempo; in primo luogo leggi e documenti, che spesso adottano termini
correnti, anche per essere più comprensibili al pubblico. Le innovazioni ci appaiono
in questi casi per lo più sotto forma di singoli elementi lessicali, i quali documentano
una realtà linguistica e storica che sta cambiando e che s’introduce a forza anche
dentro testi nel complesso corretti: si tratta in sostanza di un fenomeno di acquisizioni
di neologismi. Da questo punto di vista il sistema latino non appare, nello scritto, in
crisi significativa.
Simile al precedente è il caso delle glosse e dei glossari, esplicazioni marginali o
interlineari relative a termini o espressioni complesse o non immediatamente
Nei testi riconducibili a questa seconda tipologia traspaiono soluzioni, tra loro
coerenti, che fanno intuire dei modelli di oralità che preannunciano il volgare:
prodotti, questi, di una volontà espressiva che si avvicina o cerca di avvicinarsi a
soluzioni di un’oralità che quantomeno si avvia a divenire neolatina.
Accanto a questi testi che non presentano riassetti significativi del sistema
grammaticale o che accolgono innovazioni nel complesso isolate e circoscritte, ne
incontriamo altri nei quali le modificazioni morfosintattiche e stilistiche acquistano
peso e finiscono con l’incidere profondamente sulla fisionomia linguistica degli
scritti; ciò accade anche in testi giuridici ed è però soprattutto caratteristico di quelli
agiografici, destinati ad essere compresi dal volgo e pertanto composti in modalità di
latino rustico. Per queste tipologie testuali Avalle ha introdotto nell’uso le
classificazioni di latino “circa romancum”, ossia di “latino che imita il volgare”, per
la lingua che in essi si manifesta e di testi composti “iuxta rusticitatem”, “in maniera
conforme alla rusticità”, per il complesso delle scelte formali e contenutistiche. Si
tratta di registri intermedi usati per agevolare le esigenze pratiche della
comunicazione negli atti ufficiali della vita pubblica e nella letteratura religiosa.
Procedendo nella medesima direzione, ma secondo parametri di valutazione in parte
diversi, Maria Luisa Meneghetti ha suggerito di individuare in molti testi scritti tra il
VI e l’VIII-IX secolo la presenza della realtà linguistica classificabile come “latino
della parola”: si tratta dei casi nei quali la lingua parlata filtra, anche se mai irrompe
nella lingua scritta. L’insieme di attestazioni è distribuibile in due gruppi:
testi di carattere didattico-prescrittivo, nei quali si riflette un uso ordinario,
lontano dalle pratiche scritte correnti di tipo formalizzato o canonizzato, che
riportano un normale parlato;
testi a carattere testimoniale, che traspongono nello scritto elementi della
comunicazione orale, come testimonianze e giuramenti, esempi di oralità
strutturata.
La distinzione è utile per focalizzare l’attenzione sulle condizioni e situazioni
particolari che hanno consentito le prime occasionali trasposizioni nello scritto di
L’ inserimento in posizione finale entro questo breve panorama di quello che per
unanime consenso è considerato il più antico testo volgare conservato di una certa
estensione, i Giuramenti di Strasburgo, e del più antico testo letterario, La Sequenza
di Sant’Eulalia, è in qualche modo forzata perché non corrisponde all’ordine
cronologico: i Giuramenti, sicuramente datati all’anno 842, e la Sequenza,
assegnabile agli anni 880-890, sono difatti sensibilmente anteriori sia a diversi
documenti italiani, come i Placiti campani, sia alle attestazioni iberiche. Questa
collocazione dei Giuramenti e dell’Eulalia finisce così con l’alterare in maniera
evidente la successione canonica dei più antichi testi romanzi. La scelta ha però una
sua funzionalità ed è motivata dalle seguenti ragioni:
rispetto a molti degli altri testi, i Giuramenti sono contraddistinti da un sicuro
carattere monumentario, che li distanzia dalla condizione incerta dei graffiti e
iscrizioni romane e dalla pura dimensione documentaria cui è giusto ricondurre
le varie scritture occasionali e di carattere pratico;
rispetto ai Placiti, i Giuramenti si distaccano per la superiore complessità del
dettato e per la stessa esplicita qualificazione che li introduce all’interno della
cronaca latina di Nithard;
in particolare, proprio in quanto frutto di un intervento letterario che differisce
per grado e qualità dagli altri testi antichi qui presentati, i Giuramenti di
Strasburgo si pongono come antefatto diretto della Sequenza di Sant’Eulalia;
rispetto a questa, i Giuramenti fungono da introduzione espositiva e da termine
di confronto ravvicinato, permettendo di meglio valutare i caratteri ormai
totalmente autonomi del volgare nell’Eulalia;
infine nella Sequenza di Sant’Eulalia la lingua francese viene utilizzata per la
prima volta, e con grande anticipo sulle altre attestazioni, con una funzione
espressiva guidata da una chiara intenzionalità letteraria; essa tra l’altro
manifesta l’importanza del tutto speciale, quasi esclusiva, che nella Francia del
Nord hanno le scritture letterarie rispetto agli altri antichi testi volgari.
Le Glosse Silensi prendono il nome dal monastero di Santo Domingo de Silos, nella
regione di Burgos, luogo probabile di origine del codice. Il manoscritto contiene
principalmente una raccolta di Sermoni; le glosse, un ampio complesso di
esplicazioni puntuali disposte a fianco del testo, riguardano, però, solo l’ultima delle
opere trascritte, un Penitenziale, probabilmente di origine non iberica. Dall’aspetto
delle glosse, attribuibili ai primissimi anni del secolo XI è apparso chiaro che il
copista trascriveva da un esemplare già glossato.
6.2.1 Dall’Italia
Separeba boves alba pratalia araba e albo versorio teneba e negro semen
seminaba
È la prima di due frasi (la seconda è in ottimo latino) inserite da due distinte mani
molto simili nella competenza grafica in uno spazio libero presente in un prezioso
codice di origine iberica, portato in Italia già all’inizio del secolo VIII, all’epoca
dell’invasione araba. L’intervento dei due scriventi è stato datato recentemente alla
seconda metà del secolo VIII, intorno al 780 circa, e interpretato come una molto
probabile prova di abilità calligrafica da parte di due diversi scribi, di pari ed elevata
bravura; il livello di competenza grafica dei due scriventi presuppone per entrambi
una formazione specifica assai accurata e quindi un livello di istruzione certamente
elevato.
La frase romanza, sopra riportata, corrisponde ad un indovinello che cela attraverso
metafore l’attività dello scrivere. L’ndovinello è, peraltro, riconducibile anche ad una
specifica tradizione di enigmistica latina, che riporterebbe piuttosto ad ambienti colti
e a tradizioni di tipo scolastico: il dato primario di collocazione culturale del testo è
dunque incerto e sfuggente.
Così come la sua classificazione culturale, l’esatta identificazione linguistica
dell’Indovinello è estremamente controversa e tuttora oggetto di dibattito. Comunque
si valuti il testo, la componente latina è ancora forte e la si avverte in diverse grafie:
pratalia (-t- intervocalica, gruppo –li-), ma anche le terminazioni in –aba ed –eba
degli imperfetti (ancora con –b); il sintagma neutro alba pratalia risponde ancora a
una morfologia latina. Tra i tratti più notevoli, è indubbia l’assenza dell’articolo.
Elementi innovativi sono, al contrario, la perdita delle marche di caso nei sostantivi e
negli aggettivi e di persona nei predicati verbali (scomparsa della –T).
Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte
Sancti Benedicti.
Alla fine del manoscritto B 63 della Biblioteca Vallicelliana di Roma, proveniente dal
monastero di Sant’Eutizio di Norcia, di formato piccolo e attribuibile agli ultimi anni
del XI secolo, lo stesso copista principale del codice ha aggiunto una formula di
confessione, nota come formula di Confessione umbra, dal luogo di origine e per i
tratti dialettali che la caratterizzano.
Si tratta di un testo liturgico-devozionale, significativo per i caratteri di compiutezza
formale ed eloquente quale esemplificazione dei campi gradatamente acquisiti
all’espressione in volgare. I suoi connotati linguistici sono ancora quelli di un testo di
transizione, nel quale molti elementi volgari sono inseriti all’interno di un’ossatura
testuale di impianto ancora in gran parte latino.
Oltre a caratteri genericamente italiani, centro-meridionali, possiamo riconoscere
anche tratti specifici dei dialetti diversi dal toscano, in particolare l’umbro.
La base italiana si individua in fenomeni già rilevati nella carta pisana; conservazione
delle vocali di uscita e delle geminate, plurali senza -s. Quali fenomeni specifici di
area umbra, invece, si segnalano: la presenza di metafonesi nel trattamento delle
vocali toniche e l’assenza del dittongamento metafonetico.
Si tratta di una lista di formaggi consumati nel convento di San Justo y Pastor. Il
documento, databile probabilmente verso il 980, ha carattere pratico e attesta un uso
ormai corrente del volgare per registrazioni a scopo utilitario.
Non deve disturbare l’uso del K per indicare la velare sorda: ci troviamo
evidentemente ancora in una fase di riorganizzazione del sistema grafico latino e di
definizione della modalità di indicazione di occlusive velari.
È il più antico testo conosciuto scritto in portoghese, benché sensibilmente più tardo
rispetto agli altri riportati, essendo datato al 1175. Si tratta di un’annotazione
conservata in una pergamena del monastero di S. Cristovao de Rio Tinto, riportante
un elenco di personaggi che si impegnano a fornire una garanzia in denaro; la
tipologia si colloca a metà strada tra la maggiore formalità delle forme più
tipicamente giuridiche, ben attestate a quest’altezza cronologica in area occitanica, e
le scritture di carattere pratico come la carta navale pisana o la noticia de kesos. Gli
elementi volgari sono qui ancora minimi; i primi documenti portoghesi di una certa
complessità sono dell’inizio del XIII secolo.
Con questo testo si registra un salto di qualità epocale rispetto alla documentazione di
incerta classificazione tra latino e volgare e rispetto all’insieme di testi presi in
esame, costituiti dalle prime timide apparizioni di scritture volgari, occasionali, poco
strutturate, di ridotta estensione; al contrario, l’ampiezza, l’alta organizzazione, la
sicura intenzionalità della conservazione storica, conferiscono ai Giuramenti una
posizione di preminenza assoluta.
Col nome di Giuramenti di Strasburgo si designa una duplice formula di giuramento
in lingue volgari, in romanzo e in germanico, contenuta nella Storia dei figli di
Ludovico il Pio, scritta da Nithard, letterato e grande signore. La Historia di Nithard è
conservata da un solo manoscritto, compilato tra il X e l’XI secolo, transitato per
l’abbazia di St. Medard a Soisson ma forse proveniente dall’abbazia di St. Riquier
dove presumibilmente si conservava l’originale autografo di Nithard. La Historia
narra le vicende del conflitto che oppose alla morte del padre, i figli di Ludovico il
Pio: Lotario, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo. La guerra fu decisa
dall’alleanza tra Ludovico e Carlo, che portò al trattato di Verdun (843) col quale
l’impero carolingio venne diviso in maniera definitiva in due componenti, una
occidentale, romanza, assegnata a Carlo e una orientale, germanica, assegnata a
Ludovico, separate lungo tutto l’asse Nord-sud del Mare del Nord al Mediteraneo da
una sottile striscia di territorio rimasta sotto la sovranità di Lotario.
Passaggio essenziale verso il trattato di Verdun fu un incontro, avvenuto a Strasburgo
il 14 febbraio 842, tra i due fratelli Carlo e Ludovico e i rispettivi seguiti ed eserciti,
nel corso del quale vennero scambiati impegni di fedeltà; i due sovrani giurarono
ciascuno nella lingua dell’altro e quindi fedeli ed eserciti ripeterono ciascuno nella
propria lingua il medesimo giuramento.
L decisione di Nithard di riportare entrambe le formule nelle lingue in cui vennero
pronunciate è del tutto eccezionale sia rispetto alla storiografia del tempo, sia anche
rispetto alle fonti giuridiche carolingie.
Il fatto decisivo, quindi, è che Nithard abbia riportato il testo nelle due redazioni
volgari, contravvenendo in maniera flagrante alla convenzione letteraria e
storiografica dell’utilizzazione di un’unica lingua nella narrazione, attraverso la quale
far anche parlare ed eventualmente far dialogare i personaggi. La scelta di Nithard
intende presumibilmente sottolineare l’importanza dell’avvenimento, anche
attraverso la componente linguistica. In effetti l’impegno dei due figli di Ludovico il
Pio a giurare ciascuno nella propria lingua indica lo sviluppo di una identità etnico-
linguistica che potremmo cominciare a classificare come nazionale.
Le ragioni dell’importanza attribuita ai Giuramenti nell’ambito della linguistica
storica romanza sono evidenti: nella cronaca si esplicita che il doppio giuramento
volgare venne pronunciato in “lingua romana”; la precisione assoluta nella datazione
6.5 Bilancio
I testi presentati nelle pagine precedenti costituiscono sono le lontane premesse delle
letterature romanze medievali; si tratta infatti dei primi passi di tradizioni scrittorie
che dimostrano chiaramente l'avvenuto distacco dal latino.
Un percorso assai lungo separa queste prime prove dalle vere e proprie letterature
romanze del medioevo; come si è più volte richiamato, questo passaggio è uno degli
aspetti nodali delle Origini letterarie romanze.
romanza solo saltuariamente accede a forme non precarie di conservazione, con una
presenza molto forte, forse talora esclusiva, dell’oralità. Al di là della più stretta
dimensione della colloquialità quotidiana, dovevano esistere forme di comunicazione
minimamente strutturata, senza che sia poi possibile precisare ulteriormente il
giudizio. Dopo l’età carolingia, e più ancora verso e dopo il 1000, si può presumere
che tali forme fossero abbastanza definite e stabili, in rapporto anche con la loro
natura tradizionale, sebbene forse ancora molto semplici. Date queste condizioni, gli
elementi più interessanti di discussione sono in buona parte costituiti da aspetti e
prodotti sia della letteratura latina, sia delle arti figurative, ossia prodotti di tradizioni
che erano in grado di assicurare almeno la possibilità della conservazione. In
particolare, la letteratura latina opera a due livelli: come tradizione letteraria
consolidata, cui possiamo ragionevolmente attribuire la funzione di modello, ma
anche come tradizione aperta a temi che apparivano legati alla cultura corrente e
specificamente recettiva di innovazioni formali, metriche innanzitutto, legate
nativamente alle lingue volgari.
L’arco cronologico che qui ci interessa, che si estende su un periodo che va dal IX al
XII secolo, corrisponde con la stagione forse più importante e produttiva, sia sul
piano qualitativo che su quello quantitativo, della letteratura latina medievale,
compresa tra l’età carolingia e la cosiddetta Rinascita del XII secolo.
Queste epoche corrispondono a momenti di grande creatività nella storia del pensiero
occidentale e della produzione artistica; è evidente, quindi, l’importanza della
relazione di fondo con le arti figurative e l’architettura stabilito nell’età romanica a
partire dal’evoluzione nella sensibilità e anche dal confronto continuo con modelli
antichi.
L’epoca in questione, tra IX e XI-XII secolo, vede innanzitutto la riscoperta dei
classici non solo come referenti grammaticali, ma anche per la loro qualità letteraria,
la riorganizzazione di biblioteche, l'avvio di una prassi di studio, commento e
interpretazione dei testi condotta con mezzi sempre più approfonditi ed estesa dalle
Sacre Scritture e patristiche agli auctores antichi e attenta proprio anche alle qualità
formali di questi. Queste nuove attività si traducono in una produzione variegata,
molto ricca e qualitativamente superiore in maniera netta a quella dei secoli
precedenti.
Si precisano col tempo anche nuovi profili intellettuali: accanto a figure più
tradizionali di scrittori di formazione ecclesiastica ne compaiono altre classificabili
più tipicamente come letterati, poeti e prosatori; agli studiosi formatisi in monastero e
a coloro che erano legati alle poche cancellerie alto-medievali, si vengono
affiancando quelli attivi nelle scuole cattedrali, nelle cancellerie, che si sviluppano
fortemente soprattutto dopo il XII secolo, poi nelle università: centri tutti destinati a
dominare il profilo intellettuale complessivo del Basso Medioevo e a definire
ambienti e modelli culturali entro i quali si formarono molti tra i più importanti
scrittori in volgare dei secoli più tardi.
Sul piano delle tipologie testuali, oltre a generi già attestati, come le agiografie e la
Entro la Romània e nei vicini territori tedeschi, alcuni testi latini del X e dell'XI
secolo, e poi anche del XII, paiono echeggiare temi e forme peculiari della letteratura
romanza: presenze interpretate appunto quali impronte lasciate da testi volgari,
romanzi e germanici, allora esistenti e poi però svaniti, non direttamente conservati
come tali.
Ecco alcune di queste tracce o impronte:
La Nota Emilianensis: un breve testo latino rinvenuto in un manoscritto
castigliano proveniente dal monastero di San Milan, nella Rioja, nel quale uno
scrivente, verosimilmente un monaco, della seconda metà dell'XI secolo,
probabilmente verso il 1070, riporta in latino lo schema narrativo di un
racconto di carattere epico relativo ad una spedizione in Spagna da parte di
Carlo Magno, conclusa con una battaglia nella quale muore l'eroe Rolando. La
trama corrisponde bene all'assetto generale della Chanson de Roland francese,
di cui si conserva una redazione attribuibile agli anni 1070-1090 circa. Si tratta
poco più che di un appunto, vergato in scrittura molto posata e inserito con
grande attenzione in uno spazio disponibile nel codice. L'intenzionalità della
conservazione è in questo caso indubbia. Nell'elenco dei grandi signori che
attorniano Carlo Magno compaiono, accanto ai protagonisti del Roland, anche
personaggi che non figurano affatto nella Chanson francese conservata e che
sono invece protagonisti di altre canzoni o di interi cicli di canzoni.
La più antica versione conservata della Chanson de Roland è trasmessa da un
manoscritto anglonormanno della seconda metà del XII secolo, ma, sulla base
di una serie di allusioni interne a luoghi e ad avvenimenti, l’epoca di
composizione del poema è ritenuta generalmente da riportare alla fine dell'XI
secolo, all'incirca a un secolo prima del codice che la conserva e grosso modo
alla stessa età della nota emilianense. A fronte di questa retrodatazione
l'importanza di quest'ultima potrebbe apparire assai sminuita, quasi
trascurabile. L’esistenza della Nota, tuttavia, è un dato positivo, che in qualche
modo àncora a un riferimento sicuro la storia del Roland; essa, inoltre,
evidenzia un processo di elaborazione di un nucleo leggendario durante il
quale hanno convissuto versioni anche sensibilmente differenziate della
medesima storia.
Il Frammento dell'Aia: trasmesso, incompleto dell'inizio, da un manoscritto
che ha le dimensioni tipiche di un quaderno piccolo, databile all'inizio dell'XI
secolo e assegnabile su basi paleografiche alla Francia settentrionale. È il
frutto di un esercizio scolastico, consistente nella prosificazione di porzioni
consecutive di un testo metrico altrimenti sconosciuto, un poema epico latino
in esametri che descrive l’assalto a una città fortificata con scene d'assedio e
battaglia nelle quali compaiono Carlo Magno e personaggi che saranno
protagonisti del complesso di canzoni di gesta francesi imperniate su
Guglielmo d'Orange. L'azione si sviluppa secondo meccanismi simili a quelli
dell'Epica francese, il testo è però il risultato di una elaborazione di tipo
classicheggiante con prestiti frequenti da Virgilio, da Lucano e da Ovidio. Il
frammento lascia intravedere la possibilità di una fase molto antica di messa in
forma di temi epici medievali, d’impronta complessivamente volgare
nell’argomento.
A queste testimonianze di area romanza se ne possono accostare due di area tedesca,
rappresentate da ampi poemi latini, il Waltharius e il Ruodlieb, rispettivamente del X
e dell'XI secolo, entrambi di origine monastica. Il primo è una rielaborazione in
forma epica di impianto virgiliano di temi che compaiono nell'antico frammento di
Hildebrandslied, il secondo un abbozzo di poema epico-cavalleresco nel quale si
comincia a scorgere una certa impronta cortese.
In campo lirico, varie poesie latine dall'XI secolo in poi dimostrano la progressiva
affermazione di una vena amorosa, sostanzialmente diversa dall'antica lirica erotica
classica e però comparabile solo parzialmente anche con la lirica cortese romanza che
si afferma a partire dal XII secolo. Segnalo alcune tra le testimonianze più
significative:
Con il nome di Carmina Cantabrigensia si designa una collezione miscellanea
di poesia lirica della metà del secolo XI, redatta sulla base di interessi
prevalentemente musicali. Il manoscritto è di fattura inglese, ma la confezione
dell'antologia di nuovo riporta ad un'area germanica Renana, benché i testi
siano poi di provenienza svariata e almeno in parte risalenti al secolo
precedente. Accanto a diverse composizioni religiose, figurano nella selezione
alcune poesie profane, tra cui spiccano due componimenti celebri e di grande
eleganza, un invito a un incontro amoroso e un canto d'amore in voce di donna
aperto da un esordio primaverile. Alcune consonanze con la successiva
tradizione romanza sono palesi nei due Carmina di Cambridge, per esempio
nella presentazione del tema primaverile: si tratta però di affinità solo
generiche e in entrambi i casi il tipo di soggettività che vi si esprime non ha
riscontro pratico nella lirica volgare. È invece possibile che queste
somiglianze, oltre che dalla condivisione di alcuni archetipi culturali
complessivi, dipendano dalla reinterpretazione in chiave latina, quindi entro
una tradizione letteraria latina, di temi correnti in una possibile produzione
romanza sommersa, certamente non ancora di livello artistico e non
classificabile con sicurezza come letteraria.
Un certo interesse hanno anche i Carmina dell'Anonimo innamorato di Ripoll:
7.5 Ipotesi a confronto sul tema delle origini delle letterature romanze
Sulla base delle condizioni dei secoli X-XI e tenendo conto delle tracce in testi latini
e delle ulteriori testimonianze indirette e rapportando tutto questo con le forme dei
testi letterari volgari conservati a partire dal secolo XI e poi soprattutto dal secolo
XII, sono stati formulati due schemi generali di interpretazione della genesi delle
letterature romanze e si sono individuati i seguenti modelli di Origini letterarie
romanze:
un modello dotto e religioso o clericale, con riferimento agli ambienti scolastici
e monastici e attribuzione di valore formativo alle prove di letteratura religiosa
conservata per i secoli X-XI, elaborate a partire da esempi latini e poi utilizzate
a loro volta come modelli e punti di riferimento per componimenti profani;
un modello popolare, del tutto opposto al primo, del quale ribalta cronologia e
rapporti; esalta la funzione della tradizione popolare, dunque della memoria e
dell'oralità, come veicolo di trasmissione dei nuclei tematici e dei
componimenti stessi.
La prima ipotesi è decisamente letteraria, in quanto fa riferimento ad un duplice
strutturale intervento della tradizione colta e scritta. Ad essa è associata la funzione di
modello attivo, che opera al livello sia della composizione in lingua volgare in
ambienti colti, sia della stessa trasmissione dei testi. In questa prospettiva, le
letterature romanze vengono viste come uno sviluppo del movimento che comincia
con la rinascita carolingia e delle evoluzioni nel sistema culturale latino a partire dalla
fine dell'XI secolo.
La seconda ipotesi, al contrario, prescinde dalla letteratura, in quanto tende a
svincolare la fase di genesi della componente colta, letteraria e scritta, la quale
interverrebbe solo nelle fasi finali e avrebbe così funzione proporzionalmente poco
rilevante, non decisiva, e comporterebbe, attraverso la messa in forma grazie alla
mediazione con il livello letterario alto, un certo grado almeno potenziale di
distorsione della tradizione pre-letteraria volgare.
Senza addentrarci in un’analisi specifica delle due tesi qui schematicamente
presentate, si può tentare una mediazione pratica su più piani:
la gente del medioevo ha raccontato, cantato, ballato; l'ha fatto con testi che
dobbiamo immaginare legati alla lingua corrente e provvisti di una almeno
rudimentale struttura metrica e il cui contenuto può essere facilmente
immaginato: feste rituali, credenze, miti d’ascendenza pagana e cristiana,
amore, imprese, guerre e così via. Circa la loro esistenza, fanno fede sufficiente
le ricorrenti ammonizioni ecclesiastiche contro i canti amorosi o legati alle
tradizioni folkloriche. Tuttavia, quanto a contenuti e assetti testuali di questi
componimenti è lecito dire molto poco e in particolare bisogna astenersi dal
derivare deduzioni stringenti da apparizioni in epoche successive di
composizioni di livello basso, le quali molto probabilmente sono il risultato di
una revisione formale attraverso il contatto con un livello cosciente e altamente
stilizzato di scrittura alta. D'altra parte deve essere data per scontata la presenza
di un fondo tematico di tipo tradizionale, possibilmente associato a proprie
modalità espressive, quindi a forme; questa componente di fondo è
classificabile se vogliamo come popolare, avendo ben chiaro che non si tratta
assolutamente di una dimensione circoscritta alle sole classi inferiori;
quale esempio dei frequenti riferimenti a condanne di giullari e di cantilenae, è
importante la settima deliberazione del Concilio di Topurs, dell'anno 813.
L'influsso della letteratura latina sulle scritture volgari non si arresta o attenua in
alcun modo a partire dall'altezza cronologica entro la quale si è arrestata la
campionatura dei contatti, ossia dallo snodo tra l'XI e il XII secolo. Il rapporto con le
lettere latine e mediolatine resta anzi fortissimo, innanzitutto a partire da tutta la
produzione intellettualmente più complessa e da tutte le scritture legate a temi
religiosi.
Insomma, il XII secolo segna effettivamente una svolta circa i rapporti reciproci tra
tradizioni latine e tradizioni volgari, che vede il delinearsi della supremazia delle
seconde negli ambiti che noi consideriamo più strettamente letterari. Questa
inversione di tendenza ha come centro l’area gallo-romanza ed è preannunciata da un
considerevole numero di testi attribuibili ai due secoli precedenti, il X e l'XI.
Quello che segue è il catalogo delle opere letterarie romanze pervenute anteriori al
XII secolo. Va avvertito, tuttavia, che il termine cronologico è intrinsecamente
opinabile, dal momento che si opera talora non sulla base di evidenze paleografico-
codicologiche, ma a partire da risultati di analisi e valutazioni linguistiche e storico-
letterarie: diversi testi, sebbene trasmessi da manoscritti del XII secolo, sono però
ritenuti composti nel secolo precedente.
Con l’unica eccezione delle controverse xarajat arabo-andaluse, tutti gli altri testi di
carattere letterario provengono dall’area gallo-romanza, che appare nettamente
precoce rispetto a quella iberica e italiana per quantità e qualità dei prodotti. Di
conseguenza, l’area gallo-romanza occupa una posizione cruciale di preminenza
rispetto al complesso delle letterature romanze medievali e svolge una funzione di
modello e orientamento, della quale si hanno prove evidenti negli influssi decisivi che
testi gallo-romanzi esercitano sulle prime opere letterarie di altre regioni della
Romània. Ciò vale per l’elaborazione non solo di forme e di registri espressivi, ma
anche di temi, di valori, di modelli anche umani e comportamentali. Questa posizione
di preminenza e la funzione ad essa associata di centro delle innovazioni condivise si
manterranno fino quasi alla fine del XIII secolo.
In favore di questo sviluppo così macroscopicamente anticipato dell’area gallo-
romanza possono aver giocato fattori interni, linguistico-culturali, ed esterni, storico-
sociali ed anche istituzionali: più rapida evoluzione dei sistemi linguistici e,
parallelamente, precoce presa di coscienza della diversità dei sistemi; sviluppo di una
attenzione specifica ai problemi della comunicazione anche strutturata in ambito
quantomeno religioso; relativa omogeneità degli assetti territoriali e dei poteri, in
contrasto con la più elevata frantumazione caratteristica di Italia e Iberia; coincidenza
con alcune delle regioni culturalmente più sviluppate dell’età post-carolingia e quindi
con i centri di produzione letteraria latina dei secoli X-XI. Non è infine da
sottovalutare l’importanza di contatti con aree limitrofe produttive anche in campo
volgare; si pensi alle zone germaniche occidentali e soprattutto all’Inghilterra
anglosassone, luogo privilegiato d’incontro a seguito della conquista normanna del
1066 e dell’insediamento di una nuova classe dirigente linguisticamente francese.
A. IN LINGUA D’OIL
Anno 880 circa, 29 versi disposti in 14 periodi di due versi ciascuno, con l’ultimo
irrelato (privo di connessione o relazione con altri elementi), in struttura di sequenza;
marcati elementi dialettali valloni di base, con pochi ma evidenti tratti estranei, alcuni
probabilmente piccardi e altri franciani. Il manoscritto proviene dal monastero di St.
Testo latino-francese con le due lingue alternate, composto nel pieno X secolo, tra il
937 e il 952, conservato in un codice ora a Valenciennes; il testo consta
complessivamente di 37 ampie righe di scrittura e proviene dalla medesima regione
dell’Eulalia, forse proprio da un ambiente vicino al monastero di St.Amand. Si tratta
verosimilmente di appunti, incompleti, che lasciano aperta la possibilità di una
realizzazione orale dai caratteri romanzi più accentuati, coerenti, definiti. È l’unico
dei testi qui considerati a non essere in versi e lo statuto letterario appare in certo
modo discutibile.
Spicca in maniera evidente il carattere romanzo della maggioranza delle parole
espresse in chiaro, con tratti anche molto ben definiti.
240 octosyllabes in strofe di 6 versi assonanzati a coppie; testo vallone, trascritto nel
Poitou, con sovrapposizione di tratti linguistici di questa regione. È un testo inserito
nell’XI secolo, con parecchi altri testi, in spazi bianchi di un manoscritto del secolo
X, contenente un Liber Glossarum. Il codice forse proviene dal monastero di St.
Maixent, presso Poitiers, dove potrebbero essere state effettuate queste aggiunte.
8.1.4 Passion
516 octosyllabes in 129 strofette di 4 versi assonanzati a due a due. Testo originario
della fascia meridionale dell’area oitanica; il manoscritto che lo tramanda è di sicura
provenienza pittavina ed è il medesimo che conserva anche il St. Leger. Il testo è noto
correntemente come Passione di Clermont dal luogo di attuale conservazione, ma
certamente non è alverniate per origine.
8.1.5 Sponsus
Dramma religioso bilingue incentrato sulla parabola evangelica delle vergini sagge e
delle vergini folli; sezioni latine si alternano a sezioni volgari, queste ultime su strofe
di 3 decasyllabes rimati con refrain; è opinione comune che le sezioni romanze siano
state interpolate in una base preesistente monolingue, con funzioni di esplicazione e
parafrasi di corrispondenti parti del testo latino, che non esclude alcuni ulteriori
sviluppi indipendenti. Lo Sponsus è conservato in un manoscritto composito della
fine dell’XI secolo o dell’inizio del XII, proveniente dall’abbazia di San Marziale a
Limoges. Il dialetto originario del testo è riconducibile al sud-ovest dell’area oitanica,
ossia al Poitou, ma la copia è dovuta ad uno scrivente dell’estremo Nord dell’area
occitanica.
24 strofe di 3 versi. Il tropo era destinato ad essere cantato in occasione della festa
dell’Assunzione, prima dell’offertorium Ave Maria. Testo originario delle regioni
dell’ovest, forse Normandia, copiato probabilmente in territorio un po’ più
meridionale, ossia nella valle della Loira, all’inizio del XII secolo.
La datazione entro il secolo XI in questo caso non è assicurata, dal momento che il
manoscritto relatore è da assegnare al primo quarto del XII. Si è inserito comunque il
tropo nel catalogo per una duplice ragione. Innanzitutto esso rappresenta una
categoria di testi religiosi, inni e preghiere, che è attestata con più di un prodotto a
partire dall’inizio del XII secolo e con origini anche settentrionali. In secondo luogo,
il tropo appare notevole a fianco dei testi romanzi di carattere profano nei quali si
introduce il tema dell’incontro con una fanciulla solitaria.
Testo dell’XI secolo, forse, de 1040 circa; la lingua è comunque antica e corrisponde
a uno stadio anteriore, seppur di poco, a quella utilizzata nella Chanson de Roland
conservata e la datazione alla metà o entro il terzo quarto del secolo XI appare assai
probabile. Testo in strofe di 5 decasyllabes, legati da assonanza: nella redazione del
manoscritto più antico, il poemetto conta 625 versi.
Il testo dell’Alexis volgare venne originariamente composto sul continente, in area
linguistica della Francia settentrionale. La diffusione antica del poemetto è
documentata soprattutto nella regione anglo-normanna: è discusso se vi sia stata una
vera e propria revisione e ristrutturazione in area normanna, forse nel monastero di
Le Bec, ovvero se le diverse copie anglo-normanne pervenute, appartenenti a diversi
rami della tradizione, siano da identificare come tracce indipendenti di una generica
ampia fortuna del testo.
A. IN LINGUA D’OC
Ritrovate da Bernard Bischoff nel margine di un manoscritto del secolo IX/X, dove
sono state inserite, assieme ad un’altra simile in latino, da una mano assegnabile alla
metà o alla seconda metà del secolo X. In entrambi i testi è percepibile la presenza di
tradizione ortografica latina; tra gli elementi linguistici significativi in chiave
romanza è da notare l’assenza dell’articolo.
8.1.12 Boeci
8.1.13 Canzone mariana bilingue In hoc anni circulo…mei amic e mei fiel
8.1.16 Due minimi testi lirici della seconda metà del secolo XI, di contenuto più o
meno direttamente amoroso
Seconda metà dell’XI secolo, 1060 circa. Testo di 593 octosyllabes in lasse
assonanzate, destinato al canto, originario della regione occitanica al limite
meridionale del Massiccio Centrale; la chanson è copiata agli inizi del XII secolo in
un manoscritto proveniente dall’abbazia di Fleury-sur-Loire, senza modificazioni
significative dell’assetto linguistico primitivo. Il manoscritto nel suo stato originale si
presentava come una raccolta organica destinata a usi paraliturgici e con significativa
presenza musicale, comprendente testi in latino e in volgare.
B. IN FRANCO-PROVENZALE
Si tratta di una traduzione della Storia latina di Curzio Rufo, ad opera di un Alberic
de Pisancon; il frammento è conservato in un manoscritto databile all’inizio del
secolo XII e consta di 105 octosyllabes superstiti, distribuiti in 15 lasse di misura
abbastanza costante, oscillante intorno ai 6-8 versi ciascuna, in un solo caso 10,
legate per lo più da rima, e in tre casi da assonanza.
C. IN MOZARABO
8.1.19 Xarajat
La decifrazione linguistica dei testi, prima ancora della loro interpretazione, è resa
difficoltosa dalla trascrizione che, secondo le norme degli alfabeti arabo ed ebraico,
non indica le vocali, allora pronunciate mentalmente dal lettore e oggi reintegrate
dagli studiosi moderni attraverso molteplici difficoltà e con risultati incerti, tant’è
che, per la base linguistica romanza, oltre al mozarabo, si è pensato anche ad altre
varietà peninsulari.
Intorno alle xarajat, identificate per la prima volta nel 1948 dal semitista Samuel
Stern in poesie ebraiche, si sono intrecciate valutazioni contrastanti e si sono costruite
ipotesi anche di grande portata circa le origini della lirica occidentale: secondo alcuni,
a questa tradizione ipotetica sarebbero da attribuire influenze determinanti circa
origini e sviluppo della lirica in territorio gallo-romanzo. La natura degli inserti
volgari non può dirsi chiarita, dal momento che non si può stabilire se si tratti di
frammenti composti ad hoc dai poeti ovvero se siano vere e proprie citazioni di testi o
frammenti indipendenti appartenenti ad una vera e propria tradizione lirica autoctona,
altra rispetto a quelle arabe ed ebraiche d’Andalusia. In ogni caso, come messo in
chiaro dagli studi più recenti, gli spezzoni romanzi obbediscono a regole di
versificazione e composizione araba, il che implica quantomeno un adattamento
strutturale rispetto agli ipotetici modelli lirici mozarabici, di conseguenza ancor più
sfuggenti.
Con la sola eccezione del Sermone di Valenciennes, tutti gli altri testi delle origini
sono in versi e l’impressione generale è che la presenza di un’organizzazione metrica,
via via sempre più precisa e con crescenti caratteri romanzi, in allontanamento da
modelli latini del tempo, pienamente rispettati solo nell’Eulalia, e quindi di una forma
percepibile ed elevata, sia una caratteristica qualificante decisiva nell’apparizione dei
primi testi letterari romanzi. È pertanto opportuno abbozzare i contorni di questa
acquisita formalità attraverso alcune definizioni degli aspetti metrici incontrati nei
testi sopra presentati.
Strofa
Unità metrica costituita di un numero fisso di versi (come minimo due), monometrici
o polimetrici; in campo romanzo la strofa è caratteristica della poesia lirica, dove
compare soprattutto, ma non solo, in realizzazioni complesse, destinate sempre in
origine ad essere accompagnate dal canto (da cui appunto il nome di lirica), secondo
una melodia ripetuta di norma di strofa in strofa con l’eccezione di forme particolari,
i discordi, costruiti su articolazioni più libere, non strofiche; ma forme minime e
standardizzate di strofa, in particolare il couplet d’octosyllabes nella letteratura
francese e la quartina di alessandrini in varie tradizioni nazionali (francese, spagnola,
anche italiana) vennero largamente utilizzate per la letteratura in versi d’argomento
narrativo e didattico; così poi l’ottava di endecasillabi, detta anche ottava rima, che
compare per la prima volta nel Filostrato di Boccaccio ed è poi tipica della narrativa
italiana in versi dalla metà del ‘300 in poi, utilizzata sia nei cantari sia nei poemi
cavallereschi in versi.
Lassa
Rima
Due versi rimano tra loro quando tra di essi vi sia identità perfetta, sia nelle vocali
che nelle consonanti, a partire dall'ultimo accento di ciascuno; la rima è dunque la
sezione finale di un verso, a partire dall'ultimo accento, quello che nella tradizione
romanza medievale e post-medievale identifica i tipi diversi.
Assonanza
Identità tra le sole vocali, in condizioni analoghe a quelle che definiscono la rima.
Decasyllabes
In italiano meglio traducibile con decenario piuttosto che con decasillabo, per evitare
confusioni sulla misura: verso caratterizzato e individuato da un accento dominante in
decima sede, che identifica la rima o l'assonanza; il decasillabe epico prevede inoltre
un secondo accento, di importanza quasi pari al primo, collocato sempre in quarta
sede e individuante una cesura interna; la struttura nei due casi è dunque stabilmente
o 4 + 6 oppure 6 + 4. Nella misura prosodica complessiva il decasyllabe epico è
strettamente comparabile all'endecasillabo della tradizione italiana, che è però più
simile, entro la stessa misura di base, al decasyllabe lirico della tradizione provenzale,
leggermente più flessibile di quello epico. Il decasyllabe è nella tradizione francese il
verso tipico della canzone di gesta del XII secolo, poi affiancato e in parte sostituito
dall'alessandrino.
Octosyllabe
Alessandrino
Tropo
Dal greco tropos, “direzione, maniera, stile”, termine passato a indicare nella retorica
antica il traslato, ossia uno dei fenomeni di deviazione e traslazione di significato,
una figura di pensiero che organizza i sensi figurati. Conservando questo significato
nella tradizione retorica, il termine tropo ne assunse un altro nella tradizione metrico-
musicale mediolatina, indicando ampliamenti particolari di elementi preesistenti; si
trattava quindi di sviluppi anche autonomi ma costruiti sempre a partire da un
elemento dato e quindi non in tutto liberi, in forma in fondo non dissimile sul piano
concettuale da quel che saranno in seguito le variazioni.
Versus/vers
Con questo nome sono designate diverse composizioni del repertorio dell'abbazia di
San Marziale a Limoges, attribuibili alla fine dell'XI e al XII secolo e caratterizzate
dall'originalità e libertà nella costruzione, a differenza di quanto avveniva per i tropi.
I versus della scuola aquitana hanno forma astrofica, passata in eredità alla forma del
vers nella più antica tradizione trobadorica provenzale, poi rielaborata intorno alla
metà del XII secolo in quella di canzone, fondamento a sua volta della lirica d'arte
romanza del medioevo.
Innanzitutto è evidente che questi componimenti acquistano nel corso del tempo una
dimensioni via via maggiore: anche lasciando di lato la cantilena di Sant’Eulalia, che
ha la struttura molto particolare di sequenza, passiamo dai 245 versi del St. Leger, ai
516 della Passion, ai 593 della S.te Foy, ai 625 del St. Alexis. La chanson de Roland,
di cui conosciamo una versione forse attribuibile alla fine dell'XI secolo e
rimaneggiata l'inizio del successivo, conta più di 4000 versi nel più antico stadio
ricostruibile.
L'ambito di origine dei testi è sempre religioso e più precisamente monastico; non
compaiono invece centri di cultura che pure dal secolo XI cominciano ad avere una
specifica rilevanza, come le scuole che si definiscono cattedrali, ossia associate a una
sede vescovile, dunque di fatto a città. Questo tratto di origine è ancora più forte della
stessa ispirazione sacra, pure largamente dominante, dal momento che i manoscritti
che conservano i testi provengono certamente da ambienti monastici. Appare chiaro
così il legame con le pratiche di culto: ricorrenze, cerimonie, festività e pellegrinaggi.
Con la sola eccezione del St. Alexis, tutti questi componimenti sono in testimonianza
unica, ossia sono trasmessi da un solo manoscritto. La maggior parte è rimasta legata
al luogo di composizione: in questi casi non possiamo supporre un'effettiva
circolazione, diffusa o comunque ampia, dei testi. Altri componimenti invece sono
trascritti in codici esemplati in luogo diverso e talora anche lontano da quello dove
videro presumibilmente la luce. Non solo: il fatto che in uno stesso manoscritto siano
stati riuniti testi differenti quanto a origine fa intuire un processo di circolazione delle
opere e di loro raccolta in centri interessati a queste tipologie testuali, fenomeno che
potrebbe essere stato ben più esteso di quanto ricostruibile sulla base della
documentazione conservata. È aspetto indubbiamente notevole la trascrizione di
alcuni testi fuori dall'area romanza, da affiancare all'apparizione dell’Eulalia, in una
zona e in un manoscritto di confine e da porre in relazione con l'alta percentuale di
testi provenienti dalle zone orientali del dominio gallo-romanzo. Questi contatti e
percorsi si stabiliscono anche a cavallo tra latino e volgare. Nell'elaborazione della
leggenda religiosa, il St. Alexis francese deriva ovviamente da modelli agiografici
latini, ma ne influenza a sua volta. Ancora più singolare il caso dell'antico St. Leger,
che deriva da una vita latina radicata in territorio pittavino, là dove il santo era
specialmente venerato; il poemetto romanzo venne composto in zona piccarda o
comunque in una scripta fortissimamente segnata da tratti piccardi e ritornò però
nella regione d'origine della leggenda, finendo trascritto in un manoscritto
localizzabile tra Poitou e Limosino e disegnando così un doppio percorso di andata e
ritorno dell'asse sud ovest-nord est entro l'area oitanica.
Pare opportuno distinguere due piani: da un lato abbiamo una geografia precisa,
puntualmente definita dai manoscritti conservati e dai centri monastici cui possono
quasi tutti essere ricondotti; è una geografia reale, ma anche molto lacunosa, a causa
proprio della parzialità della documentazione. Accanto a questa è però giusto
considerare anche una geografia dai connotati assai meno netti, suggerita da alcuni
percorsi di diffusione, che possono essere delineati almeno in via di ipotesi. In
particolare, a proposito di diversi di questi testi gallo-romanzi, in genere legati al
canto e alla esecuzione pubblica, dalla Passion di Clermont sino alla canzone di gesta
di Girart de Roussillon, della metà del secolo XII, è stata discussa la localizzazione
con proposte che riconducevano a un capo o all'altro dell'area di transizione del
cosiddetto croissant (ossia da quella regione a forma di falce di luna che contorna a
nord la regione linguisticamente occitanica nell'area del massiccio centrale),
formulate a partire da dati linguistici contraddittori; questo solo fatto è un indizio
della potenziale mobilità dei testi, ossia della possibilità di semplicissimi adattamenti
operati tra modalità linguistiche tra loro simili, neppure necessariamente coincidenti
con quella originaria del testo.
È possibile che a monte di questi testi ve ne fossero altri analoghi. Per esempio, Molk
ha riesaminato recentemente una testimonianza dell'inizio dell'XI secolo, quella del
cronista Bernardo D’Angers, relativa ai pellegrinaggi a Conques legati alla devozione
per Santa Fede che avevano luogo in quel tempo: durante i festeggiamenti e anche
dentro la chiesa i pellegrini intonavano delle cantilenae rusticae; si tratta di
componimenti di forma ovviamente non precisabile e però certamente di argomento
religioso e che su questa base il testimone giudica benevolmente, come espressione
della simplicitas, ignorantia e fragilitas dei pellegrini. La testimonianza è di
specialissima rilevanza, considerato che Conques si trova ai limiti della regione nella
quale può essere collocata, su base dialettologica, l'origine della Chanson de S.te Foy.
Si vanno nel tempo definendo degli assetti testuali via via più stabili e complessi, che
prefigurano quelli della letteratura profana del secolo XII e attraverso i quali si
comincia a delineare una supremazia almeno settoriale del volgare rispetto al latino.
Un primo dato rilevante è offerto dai metri. Dei due tipi di versi che ricorrono negli
antichi testi agiografici, il decasyllabe è il metro dominante delle canzoni di gesta,
l’octosyllabe della poesia didattica e narrativa oitanica, destinata a dilagare dalla metà
del XII secolo in poi. Sia per il decasyllabe che per l’octosyllabe sono stati additati
antecedenti più o meno diretti in tipi di verso attestati in precedenza nell'innografia
religiosa mediolatina. Comunque si voglia intendere il rapporto tra modelli
mediolatini e tipi romanzi, l’importanza della connessione è indubbia, soprattutto in
considerazione del fatto che i testi romanzi versificati erano tutti destinati al canto e
che l’esecuzione, per quanto ne sappiamo, ricalcava le modalità vigenti nella
tradizione clericale.
Un secondo aspetto che richiede attenzione è quello dei modelli di organizzazione e
raggruppamento dei versi, in breve delle forme storiche. Con l'eccezione dell'Eulalia,
tutti i testi di dimensioni apprezzabili sono strutturati o in strofe o il lasse, comunque
brevi.
L'opinione corrente circa i due modelli di organizzazione strofica è che la lassa sia un
derivato della strofa, già attestata in ambito mediolatino, e che in particolare la
successiva strofa epica del Roland discenda dalla strofa di cinque versi del
decasyllabes del Saint Alexis.
Il discorso non può essere ristretto ai soli componimenti formali, intesi come
costituenti una griglia o ossatura di base, di natura pre-testuale, fatta di modelli
possibili di verso e di organizzazione strofica. Le coincidenze metriche di fatti
implicano e in qualche modo portano con sé somiglianze di ordine micro-testuale,
nell’articolazione della frase e nelle soluzioni espressive, tra testi appartenenti a
generi diversi. Partendo da questi dati puntuali è possibile riconoscere l'affinità
retorico-compositiva complessiva che lega due gruppi di opere: da un lato soprattutto
i più tardi e complessi dei poemetti agiografici e in primo luogo il St. Alexis, e
dall'altro le canzoni di gesta, a cominciare con la chanson de Roland. Speciale e
particolarmente stretto è il rapporto che intercorre tra Alexis e Roland. Oltre alla
tecnica di costruzione del decasillabo, è simile anche l'articolazione metrico-narrativa
che si impernia assai spesso su gruppi di strofe di impostazione simmetrica, costruiti
specialmente per gruppi di tre unità, con effetti di rallentamento dell'azione e di
potenziamento delle emozioni. Vi è quindi un’affinita formale specifica e abbastanza
stringente che implica, al di là della semplice coerenza cronologica, un'affinità
sostanziale di ambienti e di pubblico e configura una condizione di contatto dinamico
tra i due generi dell’agiografia volgare e dell'epica. Alexis e Roland sono due
realizzazioni riconducibili a diversi indirizzi di una medesima arte compositiva e
radicate nella medesima cultura letteraria, benché poi diversissime nell’ispirazione e
nel sistema di valori portanti, quanto ci si aspetterebbe tra un testo agiografico-
ascetico e un’epica, certamente cristiana, ma dai tratti guerrieri e laici.
8.3.8 Geografia e storia della letteratura: Nord e sud in area gallo romanza
8.3.12 La Chanson de Saint Alexis come punto di svolta nelle origini romanze
corte di Alfonso VI di Castiglia e Leon nel 1081 e da allora protagonista di una serie
di spedizioni fuori dai confini del regno, prima contro il conte di Barcellona e poi
contro gli Arabi, ai quali riuscì a strappare persino la grande città di Valencia.
Rodrigo Diaz impersonifica i caratteri di un tipo, epico e umano, propriamente
castigliano: eroe di famiglia nobile, ma non appartenente all’alta aristocrazia,
valoroso ma anche insofferente e protagonista così di una ribellione contro il proprio
re, di conseguenza espulso e bandito dal regno ma capace di riconquistare la dignità e
il favore del sovrano grazie alle proprie imprese e di difendere poi l’onore delle
proprie figlie umiliate da mariti invidiosi provenienti da una famiglia della più alta
nobiltà.
Dopo il cid e ormai dentro il secolo XIII seguiamo i primi passi di una letteratura
castigliana ancora in cerca anche di un proprio canone formale, destinato a definirsi
intorno alle figure di Gonzalo de Berceo e poi soprattutto di Alfonso X.
In Italia, i primi testi letterari cominciano ad apparire dopo l’anno 1100, sparsi lungo
il corso del secolo e con una concentrazione significativa negli ultimi decenni. È
innanzitutto conservato un brevissimo frammento della metà del secolo XII noto
come Pianto della Vergine di Montecassino, costituito da tre versi introdotti da una
didascalia in latino. Si tratta della sezione conclusiva di un testo drammaturgico in
latino, uno di quei componimenti che si è soliti indicare col nome generico di sacre
rappresentazioni, relativo, in questo caso, alla Passione e parte dunque del ciclo
pasquale che è largamente attestato nell’Europa Medievale, vivente nelle tradizioni
religiose popolari dei secoli successivi e sino ai giorni nostri. I tre versi volgari
compaiono anche in un più ampio Pianto della Vergine trasmesso da tre manoscritti
sensibilmente posteriori, stagionati tra la fine del XIII e la metà del XIV secolo. Si ha
dunque l’impressione che i tre versi inseriti alla fine del dramma latino siano stati
estratti da un componimento volgare già esistente a quell’epoca, sebbene non
necessariamente in tutto coincidente con quello poi attestato. Il dato appare concorde
con quanto qui più volte rilevato circa il rapporto di dipendenza tra cultura latina e
cultura volgare nella fase di gestazione delle tradizioni romanze: è il testo latino che
fornisce il contenitore che può accogliere e preservare nello scritto un testo volgare
dallo statuto non ancora precisato, per altro collocato nella posizione massimamente
evidente di clausola finale.
Restando in Italia, a fianco del Pianto sono da ricordare alcuni altri componimenti di
tematica religiosa provenienti sempre dall’area mediana che vedeva ancora nei
monasteri benedettini, a cominciare da quello di Montecassino, i centri culturali
fondamentali: il Ritmo cassinese, il Ritmo su Sant’Alessio marchigiano, primo
adattamento nella penisola della leggenda sacra tanto importante nella letteratura
gallo-romanza delle origini.
Si affaccia anche, però, una produzione profana, di tematica politica e civile, ispirata
dai conflitti che travagliano il mondo comunale e attraverso i quali si comincia a
intravedere l’intersezione tra elementi cortesi e feudali, dai connotati galloromanzi,
ed elementi di cultura cittadina. Il più antico testo poetico della Toscana centrale, il
Ritmo Laurenziano, composto poco prima del 1200, presenta la medesima cifra
complessiva, adattata però a un componimento giullaresco e scherzoso.
Si tratta, però, solo di avvisaglie. È noto a tutti che l’avvio di una vera e propria
letteratura nazionale in Italia è in vario modo segnato dall’inizio del XIII secolo. Il
Cantico delle Creature di San Francesco, riprendendo aspetti di tradizione mediana e
innovando però in maniera del tutto originale sul fronte dell’assetto testuale, apre una
stagione durante la quale si può realmente misurare la spinta creativa della letteratura
in Italia.
Da un lato, e sulla linea maggiore, la Scuola poetica siciliana costituitasi attorno a
Federico II, inaugura una tradizione di lirica intorno alla quale, a partire dalla
mediazione Toscana, si stabilisce tra XIII e XIV secolo la base stessa della lingua
letteraria italiana.
Entro il processo d’insieme di sviluppo delle letterature romanze tra XI-XII e XIV
secolo è opportuno soffermarsi su due aspetti di portata complessiva: i passaggi che
portano alla costituzione di una civiltà letteraria volgare e al consolidamento di una
sua specifica memoria, e le diversità nei tempi e nelle velocità tra le aree.
Armando Petrucci, pensando alla realtà italiana e definendo tuttavia un modello
applicabile anche alle situazioni gallo-romanza e ibero-romanza, ha sintetizzato con
grande efficacia il succedersi di varie fasi entro cui va distribuito l’insieme delle
testimonianze scritte degli usi letterari della lingua volgare:
1. tracce: attestazioni sparse, dipendenti anche formalmente dalla lingua latina,
spesso tra loro isolate e raggruppabili al più in sistemi dai connotati neutri;
questa fase coincide per l’Italia coi secoli XI-XII;
2. macchie: attestazioni che si raggruppano in aree e centri culturali che
cominciano ad avere tratti distintivi di cultura volgare e che non
necessariamente risultano in vitale connessione reciproca; in Italia questo si
verifica nel XIII secolo;
3. tessuto: è la fase della maturità, ossia della definizione di una tradizione
letteraria che tende ad assumere caratteri nazionali, quale si delinea in Italia
dall’inizio del XIV secolo in avanti, ferme restando le peculiarità legate
anche ai diversi stati regionali in cui la penisola risulta divisa;
4. strati: articolazioni interne della tradizione, la quale, una volta assestatasi, è
indagabile in termini di variazioni non solo diacroniche e diatopiche, ma
anche diastratiche.
Lo schema va letto tenendo presente un’avvertenza importante. La presenza di tracce
non è limitata alla sola fase più antica. Anche in momenti successivi continuiamo a
imbatterci in attestazioni saltuarie, in genere precarie e non canoniche, anzi per lo più
occasionali a livello di modalità di trascrizione, che ci documentano, accanto alla più
o meno larga diffusione di testi della letteratura alta, provvisti di propri canali e modi
canonici di trasmissione e persistenza, la presenza di filoni di produzione in genere di
tipo basso, ancora fortemente legati alla dimensione dell’oralità. Queste tracce,
raramente o eccezionalmente condensatesi in macchie comunque non persistenti,
sono l’unica dimostrazione di esistenza di testi, forme e tradizioni che spesso hanno
corrispondenti nei modi della letteratura alta; si tratta di presenze non esattamente
quantificabili e qualificabili, che tuttavia arricchiscono, in termini di articolazione
diastratica, il panorama della produzione basso-medievale.
Quanto ai tempi che scandiscono la prima fase d’avvio, anche un primo sguardo che
abbracci l’insieme dell’area romanza coglie le differenze macroscopiche: il ritardo di
un secolo di Penisola Iberica e Italia rispetto alla Francia e poi, stringendo la focale
sul solo XII secolo, la povertà e assoluta sporadicità delle attestazioni iberiche e
italiane a fronte dell’ampiezza e della ricchezza anche assoluta, in termini qualitativi,
della produzione letteraria gallo-romanza, attraverso la quale si definisce a pieno
titolo una letteratura, non più solo rappresentata da isolati monumenti, pur
considerevoli che siano, come accade ancora per il secolo XI, ma articolata e distesa
su un sistema di generi e tipologie. Lo squilibrio è reale e non è solo o in parte
prevalente la conseguenza di perdite estese nella documentazione. Lo garantiscono
sia per la produzione letteraria iberica sia per quella italiana le solide basi di
continuità che si costituiscono, nel XIII secolo, con prime ma significative avvisaglie
negli anni di svolta tra XII e XIII secolo, proprio a partire dall’applicazione e
dall’adattamento di modelli e schemi compositivi francesi e provenzali.
D’altro canto, una funzione e posizione centrale dell’area gallo-romanza nei suoi due
versanti diversi e per tanti aspetti complementari, è avvertibile nell’irradiamento dei
testi e nella diffusione di elementi costitutivi decisivi: temi (i nuovi personaggi e i
nuovi paesaggi e terreni d’azione della letteratura romanza del secolo XII), generi (le
canzoni di gesta, il romanzo, la lirica cortese..), forme (modelli strofici, metri, ma
anche aspetti stilistici e di tecnica compositiva e poi l’affermazione della prosa
narrativa e didattica).
Inoltre, nel XIII e nel XIV secolo la letteratura francese, specie nei generi narrativi,
circola largamente nell’Italia centro-settentrionale: la variata tipologia dei manoscritti
suggerisce la penetrazione in strati sociali anch’essi diversificati. L’importanza della
presenza fu tale che stimolò la composizione di opere originali in francese, ma anche
in lingua ibrida, ottenuta mescolando con diverse percentuali e densità francese e
dialetti dell’area padano-veneta, dando vita a un filone in realtà poco coeso.
Per l’assenza iberica e italiana dalla fase più antica di avvio delle tradizioni letterarie
volgari, che pare riflettere un effettivo ritardo, oltre che corrispondere a una maggiore
precocità dell’area gallo-romanza, si sono proposte spiegazioni che fanno
riferimento:
per l’Iberia alla situazione ancora precaria dei territori cristiani e alla
debolezza, in tale condizione, del tessuto culturale-letterario;
per l’Italia, prima all’arretratezza e staticità della situazione alto-medievale,
poi all’evoluzione innovativa e creativa della produzione latina che si indirizza
in città importanti dell’Italia centro-settentrionale, gravitanti intorno a Bologna
e alla sua Università.
piena manifestazione di una letteratura romanza variegata nei temi e nelle forme e
nella quale campeggiano nuovi generi profani, cui è ormai da attribuire una funzione
autenticamente trainante, anche sulla base di fattori di qualitativa novità.
La nuova letteratura romanza, innanzitutto francese e provenzale, si costruisce lungo
molteplici linee, tra cui, accanto a quella di ispirazione religiosa, che continua la
propria traiettoria e amplia la propria autorità, si individuano come costitutive quelle
dell’epica, della narrativa cortese, della lirica cortese, della produzione didattica.
Nell’epica campeggiano eroi cristiani, per lo più cavalieri di nobile stirpe, spesso
investiti di feudi, in lotta contro nemici di religione diversa, di norma musulmani, ma
anche pagani sassoni come ad esempio nella Chanson des Saisnes. Si manifesta qui la
sensibilità della civiltà feudale, tra assetti alto-medievali e realtà contemporanee.
L’andamento è corale e la destinazione delle opere è, non solo nella fase più antica,
quello della declamazione pubblica sulla base di una linea melodica; i personaggi
sono eroi simbolici, nei quali il pubblico (un pubblico non esclusivo, a differenza di
quanto si constata almeno in una fase iniziale per le forme cortesi) può riconoscere i
propri campioni.
Nella narrativa cortese si afferma un tipo umano simile al precedente, ma diverso: i
protagonisti sono di nuovo nobili, cavalieri, ma il loro campo d’azione non è più
quello di gravi scontri collettivi tra nazioni, civiltà e religioni, come nell’epica, ma
quello dell’avventura individuale di ricerca, scoperta e riconquista di un ruolo sociale,
di una condizione, di una donna, spesso ereditiera di un feudo e di un titolo. Si
affaccia l’amore come potente stimolo dell’azione umana, talora assolutamente
incontrollabile, come nei romanzi che raccontano di Tristano e Isotta, oppure mediato
da considerazioni di carattere sociale ed etico, come nei romanzi di Chretien de
Troyes. I protagonisti sono dunque in primo luogo individui: su questa linea l’intera
tematica dell’avventura cavalleresca, in origine del tutto profana, può venire
sottoposta a revisioni che la cristianizzano nel profondo. Si delinea parimenti un certo
gusto per l’esotico, di sicuro alimentato dalle Crociate ed in generale dall’interesse
per l’oriente, documentato già a partire dal secolo XII attraverso il frammento
francoprovenzale di Alberic. Prendono così corpo tre nuclei essenziali, ciascuno
provvisto di propri connotati: il romanzo storico e antico; le storie di Tristano; le
storie di Artù e del Graal. Tutti questi cicli verranno sottoposti in misura maggiore o
minore nel corso del duecento ad operazioni di risistemazione, connesse con
l’affermazione della scrittura in prosa e al gusto per ampie complicazioni cicliche, di
carattere sistematico.
L'accentuazione individuale della narrativa cortese riprende e sviluppa in chiave
narrativa quello che è il nucleo essenziale della lirica cortese, creazione esclusiva del
sud della Francia e di poeti, detti trovatori, legati al peculiare tessuto sociale di questa
regione, caratterizzata da un'alta frammentazione dei poteri territoriali. Nel suo più
completo e decisivo sviluppo, a partire dalla seconda metà del secolo, la lirica dei
trovatori acquisisce valenza e statura europea, imponendosi come punto di
riferimento ad un tempo di una nuova sensibilità cortese e di una modalità espressiva
che potesse dare voce a questa nuova realtà interiore attraverso forme
qualitativamente elevate e pur esse innovative. Una delle ragioni determinanti della
formazione europea della lirica cortese trobadorica, è proprio il conseguimento di una
Si affermano attraverso testi nuovi ideali e nuovi tipi umani, nel complesso si
definisce una nuova cultura, componente centrale di quella che si suole definire
Rinascita del XII secolo. Le nuove espressioni letterarie volgari manifestano una
cultura non più solo religiosa, ma anche laica che attraverso quei testi ci appare ormai
evidente e organizzata in forme e modi di comportamento del tutto svincolati da
qualsiasi connessione con la rusticitas e che anzi si presenta come antitetica alla
componente tradizionale e corrente, aspirando coscientemente a una condizione
elitaria. I testi romanzi innovativi riflettono un cambiamento in corso e in parte
almeno lo guidano, contribuendo a definire un sistema di valori che stabilisce una
discontinuità sensibile con l'epoca precedente.
L'apparizione delle letterature volgari è un fenomeno di tale vastità e importanza da
farsi intuire la profondità del cambiamento in atto nella spiritualità di una parte
considerevole della società medievale. Un esempio può essere utile per rendere
meglio l’idea, facendo riferimento a due dei testi più notevoli di questa prima
stagione della letteratura francese, la chanson de Saint Alexis e l’Yvain di Chretien,
una canzone agiografica dedicata ad un santo eremita e asceta e un romanzo costruito
intorno alle avventure di un cavaliere.
L'aspetto da sottolineare si trova nell'apertura delle due storie. In entrambi i testi si
può individuare un elemento comune a base dell'azione: l'abbandono per scelta del
protagonista di un luogo chiuso e protetto, provvisto di chiare valenze simboliche
rispetto alle scelte di base dell'esistenza; questo per intraprendere una ricerca che è
comunque, nelle due diversissime maniere in cui viene portata avanti, la ricerca di se
stessi, della propria vita umana individuale.
L'elemento tematico basilare comune ai due testi ci fa intravedere quelle che
dovevano essere tensioni effettive nella spiritualità e nella stessa vita sociale del
tempo; la storia di Alessio non è una consueta vita di Santo e il successo che le arrise
tra l'XI e il XII secolo dimostra chiaramente la corrispondenza con una sensibilità in
via di cambiamento e con le domande nuove che essa poneva.
Un ulteriore elemento di novità di sistema da mettere in evidenza concerne i centri
della vita intellettuale e della produzione letteraria. Aspetto determinante della nuova
letteratura del XII e poi del XIII secolo è l'apparizione di nuovi centri di produzione,
di nuovi punti di riferimento in una geografia culturale volgare i cui confini tendono a
superare quelli linguistici della romanza. Per l’epica, genere più antico almeno in
alcuni presupposti di fondo è spesso difficile individuare centri e luoghi di
produzione: il peculiare rapporto col pubblico che è implicito nell'epica suggerisce
che gli ambienti di creazione e diffusione dovrebbero essere stati in buona parte
comparabili con quelli dell'antica agiografia. È certo invece che le varie forme della
letteratura che definiamo cortese devono essere ricondotte a corti nobiliari,
soprattutto grandi corti per la narrativa del Nord, almeno nella fase iniziale,
soprattutto piccole corti per la lirica del sud. Le città e i ceti borghesi cominciano a
partecipare a questa nuova voga cortese, spesso causando adattamenti sostanziali: è
quanto accade con la lirica cortese, rivista in chiave borghese nelle città francesi del
Nord a partire dal secondo quarto del Duecento e in quelle dell’Italia centro-
settentrionale, qualche decennio dopo. Legata ancora alle città più che alle corti
signorili è in gran parte la produzione didattica e morale, intorno alla quale si
stabilisce un più diretto confronto con la cultura alta latina, sviluppata sempre negli
ambienti cittadini delle scuole cattedrali e delle università.
9.6 Prospettive