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Il cristianesimo antico - Dalle origini al concilio di Nicea

1 La Palestina al tempo di Gesù

Il cristianesimo è una religione “fondata” storica. Ha avuto origine con la predicazione di Gesù nella Palestina greco-
romana verso l’anno 30 della nostra era. La sua predicazione è stata preceduta nel 27-28 da quella di Giovanni Battista. E’
necessario capire qual era la situazione politica, sociale e religiosa della Palestina a quell’epoca. Sul piano politico
amministrativo la Palestina al tempo di Gesù era divisa e la regione principale cioè la Giudea era sotto il controllo diretto
dei romani. Alla morte del Re Erode il Grande (4 a.C), l’imperatore romano Augusto aveva ritenuto opportuno porre fine
alla monarchia e dividere il territorio palestinese tra i figli del re. Archelao aveva ricevuto con il titolo di etnarca – la parte
meridionale del paese (Giudea; Idumea; Samaria; Antipa; Tetrarca; Galilea; Perea) Filippo anch’egli tetrarca, la Batanea,
Auratinide, Traconitide e la Gaulanitide. Alla morte di Archelao (6 a.C), Augusto aveva ridotto la Giudea, l’Idumea e la
Samaria a provincia romana (sotto richiesta degli stessi giudei) affidandola ad un prefetto che sotto il controllo del
governatore di Siria doveva organizzare il censimento allo scopo di riscuoterne il tributo. Mentre dunque la Galilea, la
Perea e i territori del Nord-Est conservavano una loro autonomia sotto il governo dei sovrani erodiani, la Giudea (con
Gerusalemme) era sotto il dominio diretto dei romani. Ma anche sul piano religioso e sociale la Palestina era divisa.
Al governo del paese c’era la locale aristocrazia – costituita da grossi commercianti e proprietari terrieri – formata da 3
gruppi:
1) Sommi sacerdoti: rappresentanti delle più potenti famiglie sacerdotali e detentori del sommo sacerdozio, cioè la più
alta carica religiosa del paese.
2) Gli anziani: cioè i membri delle più ricche e influenti famiglia pattizie del paese, che corrispondono ai capi del popolo
o ai primi dei giudei di Giuseppe (lo storico Giuseppe Flavio)
3) Scribi: dottori della legge – coloro che studiano e insegnano la legge mosaica, curandone la corretta interpretazione e
applicazione.
Questi 3 gruppi costituiscono il Sinedrio – cioè quello che almeno in Giudea costituisce l’organo di governo e il supremo
tribunale della comunità ebraica, anche se la dominazione erodiana prima e quella romana poi ne hanno limitato
l’autorità (ai tempi di Gesù non possiede più l’autorità di condannare a morte perché spetta solo al prefetto) e aderiscono
alle due correnti principali del giudaismo del tempo: sadducei e farisei. Di fronte a questa aristocrazia puà aggiungersi
ancora il partito degli erodiani – sostenitori della casa di erodi – ceti medi e popolari della nazione giudaica. Questi ceti
formano quel “popolo della terra” che merita sì il disprezzo dei farisei, perché non conosce, e quindi non osserva la legge,
ma possiede una sua religiosità semplice, fatta di abbandono fiducioso alla misericordia divina e di speranze messianiche
di liberazione nazionale; ma in equal misura aderiscono ai diversi orientamenti religiosi nei quali si divide il giudaismo
dell’epoca.
Sul piano religioso il giudaismo non è omogeno, nelle sue opere Giuseppe indica 4 scuole/filosofie del giudaismo del suo
tempo: Sadducei, farisei, esseni e i seguaci di Giuda il Galileo. Studi più recenti hanno messo in luce una situazione del
giudaismo molto più complessa e articolata di quella che ci offre Giuseppe. Nel complesso tuttavia possiamo seguire
l’indicazione dello storico ebreo. Non è facile però individuare le differenze tra i vari orientamenti. I vangeli ad esempio
non ricordano gli esseni e i seguaci di Giuda ed individuano nei farisei e nei sadducei gli avversari implacabili di Gesù
(immagine negativa). I cui primi sono formalisti e i secondi miscredenti. Mentre Giuseppe cerca di rendere comprensibili i
diversi orientamenti del giudaismo.
1) Sadducei: parte più tradizionalista e conservatrice della religione giudaica, espressione dell’aristocrazia sacerdotale e
laica che gravita intorno al tempio di Gerusalemme – pur non respingendo del tutto i profeti e altre tradizioni,
rimangono legati alla legge scritta (i libri mosaici del Pentateuco). Rifiutano quindi tutti quegli aspetti dottrinali che sono
entrati nella religione giudaica più tardi (i vangeli ricordano la resurrezione dei morti).
2) I farisei: pur restando fedeli alla nazione, rappresentano l’elemento di progresso. Sono espressione dei ceti medi e
popolari. Pongono l’attenzione sull’osservanza della legge e favoriscono in tal modo quella trasformazione del
giudaismo da religione del tempio a religione della legge – che si compie in maniera definitiva dopo la caduta di
Gerusalemme (70) – legge adattano costantemente ai nuovi bisogno religiosi del popolo mediante il ricorso alla
tradizione dei padri (la legge orale)
3) Esseni: identificati con la comunità di Qumran (ma senza certezza) costituiscono il solo tra questi gruppi cui possa
attribuirsi la definizione di setta. Essi si sono separati dal giudaismo ufficiale del tempo (farisei e sadducei) in comunità
che si potrebbero definire monastiche, soggette a una rigida regola che prevede anni di noviziato, norme di purità,
preghiere e pasti comuni.
A queste 3 scuole si può aggiungere quella fondata da Giuda il Galileo – simile a quelle dei farisei – se ne distingue per
l’amore appassionato verso la libertà che li spinge a ribellarsi al dominio straniero. Uno dei fattori infatti per la quale tali
gruppi giudaici all’epoca si differenziavano è il loro atteggiamento nei confronti della dominazione romana.

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All’orientamento collaborazionista dei sadducei e quello lealista dei farisei (ed esseni) si contrappongono le attese
messianiche dei gruppi apocalittici, ed in modo particolare la resistenza attiva degli zeloti (partito di ispirazione
sacerdotale che in nome della fedeltà assoluta alla legge mosaica si batte per la purezza del culto e del tempio) e dei sicari
( in nome della signoria unica di Jahvè sul popolo di Israele, rifiutano di pagare il tributo a Cesare e prendono le armi
contro Roma).
Della comunità di Qumran – sono una famosa testimonianza i famosi rotoli del mar morto – ci ha restituito manoscritti di
testi biblici e apocrifi, ma sono stati importanti per ritrovare una serie di concezioni ed espressioni che gettano luce sulla
predicazione di Gesù e la comunità primitiva. Il modo di interpretare la scrittura, le forme dell’attesa messianica, l’uso di
titoli cristologici, l’idea di una nuova alleanza –> sono tutti elementi che hanno paralleli evidenti nei testi cristiani delle
origini e permettono di ricollocare idee e frasi del nuovo testamento nel loro ambiente giudaico originario. Bisogna
ricordare anche il giudaismo ellenistico. Le dominazioni straniere su Israele come babilonesi, greci, persiani, hanno
portato nei secoli precedenti all’era cristiana una disseminazione del popolo giudaico fuori dalla Palestina, e che all’epoca
di Gesù esisteva perciò nelle grandi città dell’impero romano un giudaismo della diaspora più numeroso di quello
Palestinese. Questo giudaismo della diaspora, che parla greco e vive come i greci, è stato contrapposto a quello
palestinese come un giudaismo ellenizzato. Ma non deve farci dimenticare che i giudei di lingua greca e di cultura
ellenistica si trovano anche in Palestina e che anzi, dopo secoli di dominazione greca, la Giudea e Gerusalemme, possono
essere considerate regioni ellenizzate. Anche questo è importante per non cadere nell’errore di attribuire a sviluppi tardivi
del cristianesimo antico concezioni che possono esservi entrate fin dalle origini mediante questo giudaismo ellenistico
presente in Palestina.

2. LA PREDICAZIONE DI GESU’

Non ci sono eventi molto importanti che fanno da cornice alla comparsa di Giovanni e di Gesù, siamo sotto l'imperatore
Tiberio, Caifa è il sommo sacerdote del Sinedrio e Pilato è il prefetto della Giudea. Quando Gesù inizio a predicare
(probabilmente nel 28-29) che la rivolta di Giuda il Galileo era terminata da vent'anni e la grande guerra giudeo – romana
sarebbe avvenuta nel 66 e terminata nel 73. Secondo la tradizione evangelica, durante la prefettura di Ponzio Pilato e il
sommo sacerdote di Caifa (tra il 26 ed il 36) Giovanni si ritirò nel deserto di Giuda e iniziò a predicare che il giudizio di Dio
su Israele era imminente e bisognava prepararsi ad esso con un battesimo di penitenza nel fiume giordano (la sua
predicazione destò la preoccupazione di Erode Antipa (sovrano della Galilea e Perea che fece mettere a more il
predicatore). Quello di Giovanni fu uno dei gruppi penitenziali battisti del giudaismo dell’epoca e tra coloro che ricevettero
il battesimo e aderirono al movimento – Gesù di Nazaret. Per la tradizione che interpreta gli avvenimenti da un punto di
vista teologico e non storico il Battista è il precursore di Gesù, il messaggero che secondo la scrittura prepara la strada al
messia. Essa non soltanto vede nel battesimo da parte di Giovanni il momento della vocazione di Gesù ma anche la presa di
distanza di Gesù dal battista. E tuttavia non soltanto il quarto vangelo parla di un periodo di collaborazione tra di loro, ma
anche Marco afferma che la missione di Gesù ebbe inizio solo quando il Battista venne arrestato. Fu allora che Gesù venne
in Galilea e dette inizio ad un suo ministero autonomo.

Gesù veste i ruoli di:


• Nei vangeli appare come Predicatore itinerante: per quante differenze possa contenere la tradizione evangelica
nell’immagine che ci presenta di Gesù, per quante discussioni possano farsi suoi luoghi e sulla durata del suo ministero,
cioè che appare certo a tutti è che non è stato né un maestro che ha insegnato nelle scuole, né un monaco, ma un
predicatore itinerante che girava per la Palestina, soprattutto per la Galilea, portando il suo messaggio religioso.
• Taumaturgo (chi compie atti miracolosi). Ne parlano Marco, Luca e Giuseppe Flavio.
• Nabi o profeta. Secondo il vangelo di Marco – Gesù è apparso in Palestina nelle vesti e con l’atteggiamento di un nabi
cioè di un uomo ispirato e posseduto da Dio. Ma ancora più importante è il contenuto della sua predicazione il quale
consiste nell’annuncio della venuta del regno di Dio, un evento storico con il quale la sovranità di Dio si manifesterà
definitivamente a tutti gli uomini e non solo a I Israele. E’ questo intervento di Dio col quale egli porta il suo popolo alla
salvezza. L’istaurazione del regno di Dio non comporta la restaurazione del regno di Israele e quindi della monarchia
davidica e neppure la liberazione dal dominio straniero (abbattimento dell’impero romano). Regno di Dio significa
salvezza e il dono della salvezza da parte di Dio. Ma l’annuncio di Gesù si rivolgeva in particolar modo ai poveri e ai
peccatori.
• Secondo la tradizione evangelica ha assunto anche il ruolo di Rabbi o dottore della Legge: cioè l’uomo incaricato di
insegnare la legge – Gesù ha svolto costantemente un’attività didattica cioè una spiegazione continua della legge di
Mosè. Questo insegnamento della legge conteneva grosse novità rispetto a quello degli scribi perché lui non si è limitato
a commentare ed interpretare la legge ma l’ha criticata e corretta. Nel giudizio contemporaneo egli è il maestro e i suoi
seguaci sono i discepoli – la comunità di Gesù appare dunque come un gruppo di discepoli che sono invitati a venir
dietro al maestro. La sua predicazione si svolgeva spesso nell’ambito di quel servizio liturgico della sinagoga nel giorno di
sabato.

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• Messia. Ha preteso Gesù di essere il Messia di Israele che i giudei attendevano da secoli? Si è presentato come
quel discendente di David nel quale la maggior parte dei suoi connazionali identificava il Messia? Gesù all'inizio non si
proclama Messia, l’identità della sua persona è in secondo piano rispetto all’annuncio del regno. Dopo la confessione di
Pietro, sostiene Marco, Gesù inizia ad affermare il suo carattere messianico entrando a dorso d'asino a Gerusalemme.
Infine, alla domanda di Caifa durante il processo del Sinedrio, dichiara apertamente la sua messianicità. Per questa sua
pretesa messianica Gesù ha fatto riferimento non tanto alla figura tradizionale del figlio di David (che in un futuro
imminente avrebbe dovuto ristabilirne la monarchia) dei profeti e dei salmi quanto a quella misteriosa e celeste del figlio
dell’uomo (il personaggio celeste che alla fine dei tempi doveva ricevere da Dio potere e gloria) del libro di Daniele.
Annunciando la sua necessaria morte Gesù li ha invitati a non disperare perché il suo fallimento della sua missione terrena
non avrebbe impedito l’avvento del regno di Dio – ma l’adempimento della sua volontà di salvezza. Quindi la sua
predicazione costituì una grande speranza per i suoi discepoli – certamente i discepoli hanno sperato in primo luogo che
per opera di quell’uomo stesse per realizzarsi la promessa di Dio fatta al suo popolo (che lo avrebbe liberato da ogni
oppressione politica e ristabilire il regno davidico). Questa speranza è testimoniata da Luca “noi speravamo che fosse lui
quello che avrebbe liberato Israele. Ma i discepoli hanno sperato soprattutto che Dio si sarebbe preso cura dei ceti più
oppressi e sfruttati di Israele, dando ad essi consolazione e salvezza. La sua predicazione con la promessa delle beatitudini,
col rovesciamento di valori, conteneva un messaggio rivoluzionario non solo da un punto di vista religioso ma anche
sociale. Beati e quindi privilegiati agli occhi di Dio non erano i ricchi, ma i poveri. Proprio per questo la sua predicazione
suscitò i timori delle autorità. I testi evangelici non lasciano dubbi sul fatto che Gesù fu condannato dal governatore
romano è che la motivazione era politica. La scritta sulla croce “re dei giudei” contiene il motivo della condanna. Gesù è
stato condannato da Pilato, ma è il sinedrio che lo ha fatto arrestare e lo ha consegnato al governatore romano. Le ragioni
del sinedrio erano sì politiche, ma anche religiose. Già nel periodo in Galilea i farisei cominciarono ad ostacolare quella
predicazione che richiedeva una religiosità diversa da quella tradizionale, fatta di fiducia e abbandono alla misericordia
divina piuttosto che di osservanza alla legge mosaica – una predicazione che capovolgeva i valori morali e religiosi della
tradizione.

3 La comunità primitiva di Gerusalemme (30 – 49)

Gesù muore probabilmente nel 30. Ed il periodo che va dal 30 al 46 d.C è il periodo più oscuro per gli studiosi. Scritti di
questo ventennio non ne possediamo e i testi più vicini a cui fare riferimento sono le Lettere di Paolo di Tarso e gli Atti
degli Apostoli. La morte di Gesù ha costituito per i discepoli delusione e smarrimento, l’idea di un messia sofferente era
troppo estranea alla mentalità giudaica del tempo. Con la sua morte sembrava chiaro che lui non poteva essere il Messia
promesso ad Israele. Ma ciò che ha cambiato la situazione sono state una serie di apparizioni di Gesù dopo la morte, e
che furono interpretate e raccontate come una oggettiva e concreta risurrezione. Gesù è passato da una forma di
esistenza nella carne a una forma di esistenza nello spirito. Con la risurrezione Gesù è stato identificato con quel Figlio
dell’uomo al quale nella sua predicazione egli aveva fatto più volte allusione. E nella risurrezione egli ha infatti ha ricevuto
da dio quel potere, quella gloria e sovranità che secondo la profezia di Daniele il Figlio dell’uomo avrebbe dovuto ricevere
alla fine dei tempi. Dalle apparizioni nasce l’affermazione della fede dei discepoli che la morte di Gesù ha significato il suo
passaggio alla condizione gloriosa del Messia e perciò i giudei devono riconoscere che è proprio in lui che ha trovato
compimento l’attesa messianistica di Israele. Con la risurrezione Gesù viene riconosciuto dai discepoli Signore e Messia –
è l’inizio di quello che i teologi chiamano la cristologia, cioè la riflessione credente della comunità sulla figura di Gesù.
Tenuti insieme da questa fede e speranza ( che il signore ed il messia sarebbe tornato ben preso nella gloria per l’avvento
definitivo del regno di Dio) i discepoli si sono nuovamente riuniti a Gerusalemme dando vita alla chiesa che è la comunità
primitiva, sulla quale nel giorno di Pentecoste è disceso lo Spirito Santo con i suoi doni. E’ questo della Pentecoste l’atto
ufficiale di nascita della comunità di dio: comunità di credenti in Cristo che si considera erede dell’assemblea del popolo di
Dio. La comunità primitiva è dunque una comunità giudaica unita dalla fede in Gesù come signore e Messia e vivificata dai
doni dello Spirito Santo, della quale si entra a far parte con la cerimonia del battesimo nel nome di Gesù e che ha il
momento culminante della sua vita nella ripetizione della cena del Signore. L La prima comunità è segnata da una
fortissima solidarietà (comunione di beni e servizio ai poveri). Era diretta naturalmente dai Dodici Apostoli (Mattia al
posto di Giuda – viene scelto tra coloro che erano stati con Gesù per tutto il tempo della sua vita – ricostruire il collegio
dei 12 come rappresentatività dell’intero popolo di Israele da parte degli apostoli). Accanto ai 12 si pongono subito anche
i sette (diaconi) a seguito di un contrasto insorto nella comunità perché le vedove degli ellenisti si ritenevano trascurate
nella distribuzione dei viveri, sette uomini vengono scelti e incaricati del servizio delle mense. Accanto ai dodici e ai sette
gli atti degli apostoli nominano anche i presbiteri cioè gli anziani – sembrano ricollegarsi agli anziani del giudaismo. Si
aggiunge infine Giacomo, il “fratello del Signore”, che dopo la morte di Pietro diverrà il capo effettivo della Comunità di
Gerusalemme.

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La Comunità di Gerusalemme non è molto dissimile dalle altre comunità di Giudei all'apparenza, ma se ne distingue per la
diversa idea di salvezza e di restaurazione. Essi non sperano più nella restaurazione della monarchia davidica – essi non
partecipano più ai sogni politici e teocratici del popolo di Israele. Per i seguaci di Gesù la salvezza di Israele è nell’adesione
al Cristo crocifisso e resuscitato che Dio ha costituito Signore e Messia. Questa non è un’altra versione della legge perché
la mette in discussione. Questo non può essere accettato dalle autorità di Gerusalemme e determina un contrasto assai
vivace con gli apostoli. D’altro canto la comunità primitiva non è composta solo di giudei palestinesi di lingua aramaica ma
comprende anche giudei di lingua e cultura greca. Sono i così detti “ellenisti” che hanno una diversa sensibilità religiosa
che li fa essere molto più critici e liberi nei confronti della legge di Mosè e del tempio di Gerusalemme. Dai racconti di luca
si evidenzia che questo provoca uno scontro con le autorità di Gerusalemme, una vera e propria persecuzione – ma dalle
sue notizie appare chiaro che la persecuzione colpisce solo gli ellenisti, non anche gli apostoli. Questo significa che nella
comunità primitiva ci sono 2 orientamenti:
• Apostolica  sostanzialmente fedeli alle tradizioni e alle istituzioni giudaiche (e quindi vengono tollerati dalle autorità di
gerusalemme) con a capo Giacomo, l'ala più tradizionale.
• Ellenista  Che hanno il loro leader in Stefano; nella predicazione di Gesù vedono la messa in crisi radicale delle
istituzioni giudaiche per cui vengono perseguitati.
La persecuzione è decidiva per la vita della Chiesa, proprio in seguito ad essa cristiani ellenisti usciti da Gerusalemme
cominciano a predicare anche a semplici pagani annunciando il Vangelo. Questo significa che la predicazione cristiana inizia
a staccarsi dalla sua matrice giudaica e ad assumere una dimensione universale. Proprio in seguito alla predicazione nella
città di Antiochia che i discepoli di Gesù si chiamano per la prima volta Cristiani.

4 Paolo di Tarso e la diffusione del cristianesimo

Paolo di Tarso era di famiglia genuinamente ebraica, fariseo e rigorosamente osservante. Studiò col famoso rabbino
Gamaliele. Partecipò alla prima persecuzione degli ellenisti, rivela in lui un giudeo, anzi un fariseo, di stretta osservanza.
Nato a Tarso, una città greca e la sua lingua materna era il greco prima ancora dell’aramaico e la sua formazione è prima
di tutto ellenistica, tant'è vero che quando cita le Scritture lo fa tramite la Bibbia dei Settanta. Giudeo della diaspora,
Paolo è un uomo tra due mondi. Per qualche servizio reso da sua padre all’impero romano, lui era dalla nascita cittadino
romano. Lui non era stato un discepolo di Gesù, non aveva conosciuto il Gesù terreno che annunciava la venuta del regno
di Dio e dava una nuova interpretazione della legge di Mosè. Ma nel famoso episodio di Damasco (avvenuto forse nel 33)
aveva conosciuto il Cristo Celeste, e da allora si convince che la salvezza non poteva venire dall'osservanza della legge
mosaica (per la quale, da buon fariseo, egli si era battuto) ma dalla fede in Cristo morto e risorto. Su questa esperienza e
rivelazione del risorto, Paolo fonda la sua autorità di apostolo. Sappiamo molto poco delle vicende successive alla sua
conversione. Luca narra che dopo l’episodio di Damasco Paolo si ritirò nel deserto e visse due anni in Arabia. Egli stesso ci
racconta che salì poi a Gerusalemme per incontrare i discepoli di Gesù, ed in questa occasione che dovette conoscere gli
episodi fondamentali della vita di Gesù. Poi per più di 10 anni visse in Siria e in Cilicia e solo verso il 47-48 cominciò la sua
attività di apostolo. E’ impossibile seguire gli sviluppi del suo pensiero teologico, ma se sviluppo c’è stato, non può esservi
dubbio che il nocciolo fondamentale del Vangelo di Paolo è rimasto sempre quello dell’esperienza di Damasco:
l’affermazione che la salvezza dell’uomo non deriva dall’osservanza della legge, ma dalla fede nel cristo morto e risorto.
Tale affermazione aveva due conseguenze di enorme rilievo: da una parte portava a compimento l’esaltazione della figura
di Gesù considerato salvatore divino; dall’altro il valore salvigico della legge, anzi il carattere meritorio stesso delle opere,
e quindi il privilegio nazionale del popolo giudaico, venivano completamente annullati dal principio paolino della
giustificazione di tutti gli uomini per mezzo della sola fede nel Cristo morto e risorto.
Ma Paolo non ha mai smesso di meditare sulla salvezza del popolo ebraico e il rifiuto del suo popolo per la figura di Cristo
come Messia è sempre stata per lui un problema angoscioso. Paolo dice che Dio non ha ritirato le promesse alla nazione
giudaica né l’alleanza con essa è stata revocata. Ma se la salvezza viene ora dalla fede in Cristo, allora i giudei, pur
restando il popolo eletto, sono soltanto l'Israele secondo la carne, mentre i cristiani sono l'Israele di Dio, costituito da tutti
i credenti, giudei e gentili. Il cristianesimo si affermava come religione non nazionale. Ma universale. Gli elementi più
legati alla tradizione giudaica reagirono con forza alla sua predicazione, mettendono in discussione l’autenticità
dell’apostolato. <e’ in questo contesto che si inseriscono una serie di episodi narrati da Luca negli Atti degli Apostoli:
l’incidente di Antiochia – scontro tra Pietro e Paolo sul problema dei rapporti rituali (la comunione della tavola) con i
pagani; nel Concilio di Gerusalemme (49?) nel quale gli apostoli cercano di stabilire le regole culturali minime che i pagani
devono osservare dopo la conversione. Sia Luca che Paolo testimoniamo la lotta sostenuta dall’apostolo contro i gruppi
cristiani di origine giudaica non disposti a riconoscere il principio del superamento della legge nella morte e risurrezione di

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Gesù. (il concilio è la testimonianza di quella contro i gruppi più moderati, rappresentati da Pietro e Giacomo. Qui fu
raggiunto un compromesso in base al quale i pagani che si convertivano al cristianesimo, se erano liberi in linea di
principio dagli obblighi derivanti dalla legge mosaica, e quindi dalla circoncisione in particolare, dovevano osservare
ancora alcune pratiche rituali di origine giudaica.)
5 La prima diffusione del cristianesimo nell'Impero Romano.
Nato in Palestina sul tronco della religione giudaica, e dunque appartenente al ceppo delle religioni il
orientali, già nella seconda metà del primo secolo cristianesimo non è più un fenomeno esclusivamente orientale e
giudaico. La Chiesa ha cominciato a staccarsi dalla sua matrice giudaica ed è ormai Chiesa di giudei e pagani. Con le
decisioni del concilio di Gerusalemme e la caduta della città santa nella guerra giudaica contro i romani (70 d.C) essa
sarebbe diventata chiesa delle genti di tutti i paesi che popolavano l’impero romano-ellenistico. Noi conosciamo le
vicende di questi anni dal racconto di Luca negli atti degli apostoli. Da Paolo in poi il cristianesimo inizia a diffondersi fino
all'estremità della terra (Grecia e Roma) come dice Luca negli Atti. Luca dice che Paolo inizia la sua predicazione presso i
giudei, dove trova un'accoglienza fredda. Passa così ai pagani dove riscuote ben altro successo. La chiesa dunque diventa
greca e raggiunge Roma. La componente giudaica ha continuato ad avere un ruolo molto forte per tutto il I secolo e anche
nel II secolo; ed è esistito anche un giudeo-cristianesimo che dentro e fuori dell’impero, ha continuato a sostenere la
necessità dell’osservanza della legge. A Gerusalemme, il partito di Giacomo esprime proprio questa tendenza a non
abbandonare le tradizioni dei padri, una tendenza che fino alla caduta della città santa rimarrà dominante. Dopo la guerra
contro Roma molte comunità giudaico-cristiane sopravvivranno, dando vita alla letteratura apocrifa del Nuovo
Testamento di cui si parlerà più in là. Non va dimenticato che c’è stato anche un cristianesimo orientale fuori dai confini
dell’impero romano che risale alla missione palestinese ed è quindi di impronta giudaica e di lingua aramaica - le
comunità dell'Osroene e dell'Adiabene. Come si diffonde quindi il cristianesimo con l'attività apostolica di Paolo? Paolo
segue le grandi vie di comunicazione romane: Siria, Cilicia, Asia Minore, Grecia e Italia. Queste sono le aree fondamentali
della predicazione paolina e i luoghi dove nascono le prime importanti comunità cristiane: Antiochia prima di tutte, poi
Efeso, Smirne, Filippi, Tessalonica, Atene, Corinto e Roma. Luca parla anche dei modi di diffusione e della reazione che
suscita nella popolazione locale, ed è credibile quanto dice, cioè che Paolo prima si rivolga alla comunità giudea del luogo
tentando di dimostrare che Gesù è il Messia, alcuni si lasciano convincere ma la maggior parte si rifiuta di credere. Allora
Si rivolge così ai pagani, specialmente i pagani convertiti o almeno simpatizzanti per il giudaismo. Secondo luca. I giudei
che si sollevano contro Paolo, sono coloro che ritengono che Paolo mette in questione le loro tradizioni religiose garantire
dalla legislazione romana e lo accusano perciò di incitare e venerare Dio in maniera contraria alla legge di porsi contro i
decreti imperiali. Muovono dunque da una motivazione schiettamente religiosa, ma dinanzi all’autorità cittadina
traducono queste motivazioni in termini politico-sociali. Ma anche i pagani a volte protestan contro l’attività missionaria
di Paolo. Essi sembrano temere che i loro interessi economici legati alle varie forme di culto siano messi in pericolo dalla
predicazione cristiana. In tutti i casi la predicazione cristiana crea un notevole fermento tra la popolazione cittadina, che
costringe l’autorità locale a intervenire.

6 Le prime comunità cristiane nel mondo pagano

Ma come vivono e sono organizzate queste prime comunità cristiane? Il primo dato significativo è che tali comunità si
trovano in quasi tutte le più grandi città greche della parte orientale dell’impero (Asia minore e Grecia). La diffusione del
cristianesimo ha seguito infatti le grandi vie di comunicazioni del mondo antico – prevalentemente vie di comunicazioni
dell’impero romano. Il cristianesimo assume fin da subito un aspetto cittadino; o addirittura fuori dall’impero tende ad
assumere un aspetto greco-romano. Questo comporta una trasformazione notevole nell’organizzazione delle comunità e
nella forma stessa della loro vita religiosa. Bousset e Reitzenstein presentano questa trasformazione nei termini di una
contrapposizione tra comunità ellenistica e comunità palestinese:

• La comunità ellenistica (Antiochia, Asia Minore, Grecia) poneva al centro della propria vita religiosa la venerazione
cultuale del Cristo Risorto;
• La comunità palestinese era una comunità giudaica di stampo apocalittico e la sua fede centrale era nell'attesa del
prossimo ritorno del Cristo.
• Posta in questi termini la contrapposizione è inaccettabile. La venerazione culturale del Cristo risorto è presente giù
nella comunità primitiva di Gerusalemme; e d’altra parte tale comunità primitiva non è una comunità puramente
araimaica, perché di essa fanno parte anche i giudei ellenisti che portano con sé, come abbiamo visto, una sensibilità
religiosa diversa. E tuttavia la trasformazione dalla comunità palestinese di Gerusalemme alle comunità ellenistiche
d’Asia e di Grecia è innegabile e profonda. La prima missione cristiana in palestina ed in Siria, per quanto centrata
sull’annuncio del cristo morto e risorto, rimaneva ancora nell’orizzonte messianistico-escatologico della tradizione

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giudaica. La comunità primitiva di Gerusalemme non si era ancora emancipata dal giudaismo e né si era data una
struttura autonoma.
Ma ora, nelle principali città dell'Asia e della Grecia sorgono delle comunità che sono molto lontane dalle speranze
messianiche e dalla tradizione legalistica della religione giudaica e tendono a organizzarsi secondo il modello delle
sinagoghe ellenistiche o di altre associazioni cultuali. Sono le chiese che Paolo ha fondato o con cui è entrato in relazione:
Efeso, Filippi, Tessalonica, Corinto, e che esprimono la sua predicazione. Ci sono poi, accanto ad esse ed in Asia minore,
chiese improntate alla predicazione successiva dell'apostolo Giovanni: Efeso, Smirne, Pergamo, Sardi, Filadelfa, Laodicea,
tutte citate nell'Apocalisse, che esprimono una tradizione diversa e in contrasto con quella paolina perchè più impregnate
di tradizione giudaica. Questo non significa tuttavia che esse abbiano già fatto proprie la vita e le istituzioni della civiltà
greco-romana. In ognuna di queste città la comunità cristiana vive come corpo separato dalle comunità cittadine e ciò
attira i sospetti e le diffidenze. I suoi membri si reclutano, prima presso le comunità giudaiche, poi tra i pagani, attraverso
un proselitismo fatto di rapporti personali e di testimonianza di vita. E’ nelle sinagoghe e negli ambienti pagani che la
predicazione cristiana si diffonde.
I ceti maggiormente raggiunti sono quelli medi e degli stranieri. Questi fedeli si riuniscono nelle case private messe a
disposizione dei membri della comunità.
L'origine dell'eucarestia: l’eucarestia è il ricordo dell’ultima cena di Gesù – è stato ripreso dai discopoli ed interpretato
come l’attualizzazione della salvezza data nella morte e risurrezione di Gesù. Come dice Paolo, è il sacramento della
memoria e della salvezza. L’eucarestia ha luogo nei primi tempi nelle case private il primo giorno della settimana e si
svolgeva nella cornice di un banchetto comune in un clima festoso di attesa escatologica. ma con il tempo, dati i numerosi
incidenti, il rito si staccò dall'agape.
L'origine del battesimo è più misteriosa. Non risulta che Gesù abbia mai battezzato e se l'ha fatto, l'ha fatto all'inizio della
sua vicenda terrena quando collaborava con Giovanni Battista. Il comando di impartire il battesimo viene posto in realtà
dai Vangeli sulla bocca del cristo risorto (Marco e Matteo). Secondo Luca, alla fine della Pentecoste, ai giudei che
chiedono che cosa devono fare Pietro risponde di pentirsi e di farsi battezzare nel nome di Gesù cristo per ottenere il
perdono dei peccati e ricevere il dono dello spirito santo. La comunità crede che nel battesimo si realizzi la comunicazione
di salvezza operata dalla morte e dalla risurrezione di Gesù e attua la remissione dei peccati e comunica il dono dello
Spirito Santo.
A questi due riti si aggiungono poi altre celebrazione che lentamente sostituiscono quelle della tradizione giudaica:
• La celebrazione della domenica come giorno del Signore, non più come giorno del riposo di Dio e dalla creazione ma
come giorno del ricordo del signore, memoria della risurrezione e attesa della parusia.
• La pasqua, non più soltanto ricordo dell'uscita degli Ebrei dall'Egitto e della liberazione del peccato, ma la celebrazione
della morte e della risurrezione di Gesù come vero agnello pasquale col cui sacrificio ha sostituito e abrogato il sacrificio
materiale degli agnelli nel tempio.
Quanto alla vita e all’organizzazione delle comunità, colpisce la solidarietà tra i loro membri, tra membri della stessa
comunità cittadina, ma anche nel vincolo fortissimo che lega tra di loro le varie comunità disseminate nell’impero. Ma le
tensioni e i contrasti non sono certamente mancanti. Tutto questo comporta una organizzazione adeguata – le origini e i
primi sviluppi della gerarchia ecclesiastica sono avvolti nella nebbia. Alcune linee però possono essere tracciate. Sappiamo
che nei primi tempi l’autorità della comunità primitiva risiede nelle mani degli apostoli (dei dodici). Ma abbiamo già visto
che accanto ai 12, si pongono i sette con funzioni di missione ed evangelizzazione; e al concilio di Gerusalemme insieme
agli apostoli un ruolo significativo viene svolto dai presbiteri. Questa pluralità di funzioni ecclesiastiche si trova anche nelle
comunità ellenistiche. In un primo tempo è probabile che nella vita delle comunità un ruolo assai significativo fosse svolto
dagli apostoli e dai predicatori itineranti e dai detentori di doni straordinari dello spirito santo (l’immagine di Chiesa della
prima lettera ai corinzi di Paolo comprende apostoli, profeti e dottori che saranno stati prevalentemente predicatori
itineranti e accenna alla presenza dei più svariati doni dello spirito. Ma piano piano l’entusiasmo cede il passo
all’organizzazione. Ai profeti e ai predicatori itineranti si aggiungono presbiteri e vescovi sedentari. E gradatamente, ma
non senza contrasti, il governo della comunità locale è assunto da un collegio di questi presbiteri, all’intero del quale,
emerge la figura di un vescovo monarchico, con sviluppi diversi da città a città. Se le così dette lettere pastorali attribuite a
Paolo, ma in realtà risalenti agli ultimi anni del primo secolo, già evidenziano uno sviluppo significativo dell’organizzazione
ecclesiastica, con il loro riferimento a vescovi e presbiteri; le lettere di Ignazio di Antiochia mostrano infatti che in Siria ed
in Asia minore già alla fine del primo secolo esiste la figura di un vescovo che governa la chiesa, mentre a Roma e in altre
località dell’impero si mantiene più a lungo una forma di governo collegiale.
7 La formazione del Nuovo Testamento

I primi discepoli di Gesù non hanno messo subito per iscritto la storia e l’insegnamento del loro maestro. Giudei quali
sono, posseggono già una scrittura, che è la norma della loro vita non soltanto religiosa. E’ a questa scrittura quindi che
continuano a fare riferimento come alla regola autorevole della loro fede. Alla luce degli eventi della vita di Gesù
cominciano a fornire una nuova interpretazione della scrittura. In un primo tempo questa tradizione è prevalentemente

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orale, soggetta quindi in particolar modo ai cambiamenti e alle oscillazioni di questo genere di trasmissione. Ma ben
presto alla tradizione orale cominciano ad aggiungersi i primi testi scritti. Il primo pezzo di tradizione ad essere messo per
iscritto, a partire dagli anni Trenta, è la storia della passione, che verranno poi inserite nel Nuovo Testamento. Il motivo è
da ricercarsi nella straordinarietà di quell'evento, così imprevedibile per i Giudei, che portano a indagare, a cercare di
capire le ragioni di quell'evento. Successivamente a questo racconto antico si aggiungono progressivamente altri testi. I
bisogni religiosi della comunità, e cioè le necessità della predicazione, le esigenze della liturgia, l’urgenza della polemica,
spingono a raccogliere l’insegnamento di Gesù e gli avvenimenti della sua vita intorno ad alcuni temi fondamentali (regno
di Dio, la legge, miracoli) e a dare a questo insegnamento una prima forma letteraria. Accanto alla storia della passione
sorgono così le prime raccolte di detti e parole di Gesù, e narrazioni su eventi salienti (storie di miracoli, parabole) della
sua vita che con gli opportuni collegamenti entreranno a far parte del testo dei vangeli. Sono però le Lettere di Paolo,
nella loro stesura definitiva, le più antiche testimonianze del canone neotestamentario. Sono lettere occasionali, nati dal
bisogno di Paolo di intervenire nelle vicende di una comunità da lui fondata, o con cui comunque ha dei rapporti, per
istruire, correggere e confortare. Esse, dunque, rappresentano il momento del consolidamento della comunità, non la sua
fondazione. Ma per esse si pone il problema dell’autenticità, legato a quello della pseudo epigrafia (l’attribuzione di un
testo ad un autore diverso da quello reale). Delle 13 lettere solo 7 vengono attribuite a Paolo. Esse sono in ordine
cronologico (che va dal 50 al 57-58) e sono:
La I Lettera ai Tessalonicesi  tratta principalmente del problema della parusìa (il ritorno di Cristo) che anche lui, come i
destinatari delle lettere, ritiene prossimo, col connesso problema alla risurrezione dei morti e del “rapimento dei vivi”.
• Lettera ai Filippesi  Dove Paolo tratta del fatto che Gesù nonostante la sua natura divina, si spogliò assumendo la
condizione di servo e divenendo simile agli uomini, apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino
alla morte e alla morte di croce (uno dei fondamenti della paolina “teologia della croce”
• Lettera ai Galati  Paolo si oppone ai giudeo-cristiani che volevano imporre l’osservanza della legge mosaica ai
convertiti dal paganesimo. Riafferma il suo vangelo della salvezza mediante la fede in Cristo morto e risorto.
• Le due Lettere ai Corinzi  appaiono i temi centrali della predicazione paolina cena eucaristica, unità della chiesa come
corpo di Cristo ect)
• La lettera ai Romani  considerata a volte come il testamento spirituale di Paolo nella quale riprende tutti i temi
principali della sua predicazione
• La lettera a Filemone  Paolo appare in una luca nuova, mentre mostra la sua sollecitudine e delicatezza pastorale,
invitando il suo destinatario a riprendere con sé uno schiavo che lo aveva abbandonato

Esse costituiscono così il primo nucleo di quello che sarà il Nuovo Testamento. Successivamente a questo nucleo si
aggiungono i quattro Vangeli, nell'ordine Marco, Luca, Matteo e Giovanni. I Vangeli non sono da considerare come vite di
Gesù o come opere di storia ma come opere di teologia, che devono testimoniare e confessare la fede della comunità in
Gesù di Nazaret Messia e Figlio di Dio. Il Gesù dei Vangeli non è dunque la figura che apparve agli abitanti di Palestina
durante la sua vicenda terrena, il Gesù secondo la carne, ma la figura di Gesù come è stata compresa dai discepoli nella
fede dopo la risurrezione, il Gesù secondo lo spirito. Gli episodi della vita di Gesù e le sue stesse parole vengono
reinterpretate dagli evangelisti alla luce di questa fede nella messianità – ed il loro significato più profondo viene colto in
relazione alle parole della scrittura. Di qui nasce il problema moderno del Gesù storico e del suo rapporto con il Cristo dei
vangeli. Ma per una valutazione corretta di questo problema non si può ignorare il processo di formazione letteraria di
questi testi.
. I primi tre presentano somiglianze così grandi nel racconto da poter essere stampati su tre colonne parallele per
abbracciarli con un solo sguardo (appunto sinossi, e quindi Sinottici), ma rivelano anche significative differenze. È questa
presenza simultanea di somiglianze e differenze a costituire la cosiddetta questione sinottica.
Il fatto che Matteo e Luca nell'ordine della narrazione vadano d'accordo tra loro fino a quando vanno anche d'accordo con
Marco e il fatto che Luca e Matteo contengano quasi tutto il materiale di Marco in forma letterariamente e
teologicamente più elaborata ha fatto stabilire che quello di Marco sia il vangelo più antico. E’ marco dunque che poco
prima del 70 d.C (nel suo vangelo non sembra conoscere ancora la distruzione di Gerusalemme) che avrebbe dato origine
al nuovo genere letterario del Vangelo. Ed è Marco che dopo il 70 (la distruzione di Gerusalemme appare adesso
conosciuta), ma probabilmente negli anni 80, avrebbe costituito il modello dei 2 vangeli sinottici successivi di Luca e
Matteo.
Marco però non è l'iniziatore della tradizione scritta, perchè prima di lui ce ne erano state altre (come abbiamo detto
prima di lui sarebbero già esistite singole narrazioni di episodi – come la storia della passione – certamente già scritte), ma
si sarebbe già provveduto a raggruppare tra loro, per motivi tematici, le singole narrazioni (pericopi) in un primo tempo
isolate. L’opera di Marco dunque sarebbe consistita proprio nell’inserire tutto questo materiale nel genere letterario del
Vangelo.
Lo studioso dei Vangeli sinottici deve distinguere non soltanto la vicenda storica di Gesù e lo sviluppo della tradizione su di
lui, ma anche la trasmissione della tradizione di Gesù e l’opera di redazione dei Vangeli. Storia della tradizione (ed in essa
storia delle forma letterarie che assume questa tradizione) e storia della redazione (ruolo degli evangelisti nella inserzione

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e sistematizzazione del materiale del Vangelo) diventano strumenti per conoscere sia la formazione dei Vangeli sia la
stessa storia di Gesù. E questo non vale soltanto per il rapporto di Matteo e Luca con Marco, e quindi per i brani che,
presenti in genere in tutti e tre i Vangeli, costituiscono la triplice tradizione, ma anche per il rapporto di Matteo e Luca tra
loro, e quindi per quei brani che presenti solo in questi due Vangeli, costituiscono la duplice tradizione.
Poiché infatti Matteo e Luca hanno in comune un’altra parte di materiale – costituita da parole, detti (lógia) di Gesù - che
non troviamo nel vangelo di Marco si è supposta l’esistenza di una secondo fonte, dall’iniziale del termine tedesco Quelle
detta Q, la cui origine sarebbe più antica del vangelo di Marco (ipotesi delle 2 fonti). Una fonte che non possediamo più
ma che dovette essere originariamente scritta in aramaico e poi tradotta in greco, e che, essendo costituita quasi
esclusivamente da parole del Signore, dovette essere riportata da luca e Matteo con fedeltà maggiore di quanto non
facessero col vangelo di Marco. (il che significa che, se viene ormai riconosciuto impossibile scrivere una vita di Gesù sulla
base del Vangelo di Marco, è possibile invece tracciare le linee della sua predicazione sulla base di queste 2 fonti).
Il quarto vangelo ha un carattere diverso. Indipendentemente dai sinottici, che probabilmente non conosce, anch’esso
contiene notizie di valore storico. Certi dati sul Battista o sul processo di Gesù sembrano fornire un’attendibilità maggiore
rispetto a quello dei sinottici. Giovanni, che se non è l’apostolo come gli studiosi proprendono ormai a credere, si colloca
dentro la sua “scuola” e possiede tradizioni storiche particolari. L’immagine di Gesù che emerge da questo Vangelo – il
Cristo Giovanneo – è diversa da quella dei sinottici. Gli studi più recenti hanno mostrato l’origine giudaica di molte idee
del vangelo di Giovanni. La ragione è invece nella natura teologica del Vangelo, che lo distingue dai Sinottici. Scritto circa
un decennio più tardi scritto da un autore che è un teologo e mistico, esso non vuole narrare la storia di Gesù come si era
svolta, ma esprimere la fede e l’interpretazionen della sua persona e del suo insegnamento quali circolavano nella sua
comunità. E non mostra grande interesse né per gli aspetti escatologici né per i contenuti etici della predicazione di Gesù,
contiene invece una riflessione teologica profonda sulla figura divina di Gesù vista nel suo ruolo salvifico e nel suo
rapporto col Padre, di cui la famosa concezione del Logos contenuta nel prologo (“in principio era il Verbo e il Verbo era
presso Dio e il Verbo era Dio – e il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi”) è aspetto significativo. Ma ad essi si affiancano
o si aggiungono poi via via gli altri scritti: lettere paoline discusse o non autentiche (II ai Tessalonicesi, agli Efesini, ai
Colossesi, I e II a Timoteo, a Tito) ; lettere “cattoliche” (I e II di Pietro, Giacomo, Giuda, I, II, III di Giovanni), lettere agli
ebrei, atti degli apostoli e apocalisse di Giovanni.
Le lettere agli Efesini e ai Colossesi, contengono sviluppi importanti sul piano ecclesiologico, che sono tra quelli che
hanno fatto maggiormente dubitare della loro autenticità paolina, e hanno una terminologia particolare. la lettera agli
Efesini riprende il tema paolino della Chiesa come corpo di Cristo, ma inserendo in un progetto salvifico di Dio che ha
dimensioni cosmiche. La chiesa manifesta il mistero della volontà divina: l’esistenza di un piano di Dio salvifico, volto a
ricondurre tutte le cose a cristo come a un capo.
Le due lettere a Timoteo e quella a Tito, scritte alla fine del primo secolo (indicate come lettere pastorali) – all’interno
troviamo una concezione della fede intesa non come fatto soggettivo, adesione persona a Cristo, ma come dottrina e
orientamento motale volto a sottolineare le opere buone, appare infatti in esse una concezione della chiesa che non è
diversa da quelle delle lettere paoline autentiche e che può essere considerata come testimonianza dell’avvenuto
passaggio dal carisma all’istituzione. Inviate ai collaboratori di Paolo responsabili delle chiese locali, insistono sul compito
affidato ai pastori (presbiteri ed episcopi) di custodire il deposito della tradizione.
Poi abbiamo: Gli atti degli apostoli che sono importanti per la conoscenza del cristianesimo antico perché, pur non
potendo essere considerati una fonte storiografica in senso stretto (la loro intenzione è pur sempre teologica) non
soltanto ci danno l’immagine della chiesa di Luca (anni 80) ma ci forniscono una serie di dati importanti sulla comunità
primitiva di Gerusalemme e la predicazione missionaria di Paolo . grazie ad essi possiamo tentare di ricostruire le vicende
personali della comunità primitiva e i momenti più importanti della missione paolina: comunità di Antiochia, concilio di
Gerusalemme, viaggi di Paolo, conflitti con giudei e pagani, il processo di Paolo, l’arrivo a Roma etc.
Apocalisse: è l’unico testo del nuovo testamento che riprende la tradizione apocalittica giudaica (rappresentata
nell’antico testamento dal libro di Daniele a cui l’apocalisse si ispira) che si caratterizza per la sua concezione drammatica
della storia, visto come un teatro di scontro tra i giusti e i peccatori, immagine di quello celeste tra Dio e Satana, di cui un
aspetto significativo è il conflitto dei credenti col potere politico, considerato strumento di Satana. Scritta probabilmente
dopo la persecuzione di Domiziano, è nei capitoli 13 e 17 che appare l’immagine, ripresa da Daniele, delle due bestie
(potere politico e religioso) che perseguitano i santi. Un immagine dell’impero romano diversa da quella paolina della
lettera ai romani che ha alimentato l’opposizione religiosa dei cristiani al potere politico.

8 I primi conflitti della comunità cristiana con l'autorità politica

L’ingresso nel mondo greco- romano comporta per i cristiani l’assunzione di un atteggiamento più preciso nei confronti
dell’autorità politica. Finchè il ritorno di Cristo era ritenuto imminente e la fine del mondo era considerata vicina, ci si
poteva anche non preoccupare di questo problema. Ma col ritardo della parusia e l’allontanarsi della fine diventava
sempre più importante sapere come regolarsi nei confronti del potere politico. Su questo terreno i discepoli di Gesù

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avevano una indicazione fondamentale il famoso “Date a Cesare quel che era di Cesare, ma a Dio quel che era di Dio”.
Ricordiamo questo passo successivo perché costituisce la base di tutti gli atteggiamenti successivi dei cristiani nei
confronti del potere politico. Secondo il Vangelo di Marco, verso la fine della vita di Gesù, a Gerusalemme, gli si avvicinò
una delegazione giudaica (composta da farisei ed erodiani) probabilmente mandata dal Sinedrio e gli posero un problema
difficile: è lecito ai giudei pagare il tributo a Cesare? – il tributo alla quale si riferiscono è il tributum capitis, cioè la tassa
personale che dopo la riduzione della Galilea a provincia romana ogni abitante della regione doveva pagare all’imperatore
in segno di sottomissione all’autorità romana. Dire che doveva essere pagata significava apparire come un
collaborazionista dei romani (come i sadducei) dire il contrario significava apparire un sovversivo come Giuda il Galileo. La
risposta di Gesù viene spiegata come una distinzione tra politica e religione, tra “stato” e “chiesa” – a cesare le cose di
cesare, a Dio quelle di Dio. Gesù non è invitato a risolvere la questione di principio dei rapporti tra politica e religione, o
dei doveri del credente nei confronti del potere, ma la questione concreta del pagamento del tributo. E d’altra parte egli
non dice semplicemente: “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» ma: «Quel che è di Cesare datelo
[pure] a Cesare, e [ = ma] quel che è di Dio datelo a Dio». Il tributo lo si dia pure a Cesare, purchè vengano rispettati i
diritti di Dio. Tributi e imposte spettano a Cesare, ma l’uomo appartiene solo a Dio. Onere quindi a Cesare in quanto
Cesare, ma venerazione soltanto a Dio. Questa non è neutralità, ma una recisa secolarizzazione dell’autorità politica e una
spiritualizzazione della signoria di Dio. Il pagamento del testatico solo perchè non implica nessuna attribuzione di divinità
a Cesare. Q esta affermazione resterà a base di tutto il successivo pensiero cristiano sul potere politico e con Paolo
nascono nuovi sviluppi. Essendo cittadino romano era doppiamente convinto quindi della necessità del potere politico. La
posizione di Paolo nei confronti del potere romano è duplice e solo apparentemente contraddittoria:
“Ogni persona si sottometta alle autorità superiori. Non c'è infatti autorità se non da Dio; ma quelle che ci sono sono state
ordinate da Dio. Di modo che, chi si ribella all'autorità si pone contro l'ordine stabilito da Dio. E quelli che si pongono
contro attireranno a se stessi la condanna. I magistrati infatti non fanno paura per le opere buone ma per le cattive. Vuoi
dunque non aver paura dell'autorità? Fa' il bene e avrai lode da essa. È infatti a servizio di Dio, perché faccia il bene. Ma se
fai il male, abbi paura: poiché non porta invano tu la spada; è infatti a servizio di Dio, vindice dell'ira contro colui che
compie il male. Perciò è necessario sottomettersi non solo a motivo dell'ira, ma anche a motivo della coscienza. Per
questo anche pagate i tributi: sono infatti servitori i pubblici di Dio che si applicano costantemente a questo compito. Date
a ognuno quel che gli è dovuto: a chi il tributo il tributo, a chi l’imposta è l'imposta, a chi il timore il timore, a chi l'onore
l'onore (Rom. I3, I-7}.
• Da un lato nella Lettera ai Romani introduce il principio della lealtà nei confronti dell’autorità . affermando che i cristiani
devono essere leali con i romani, che bisogna obbedire e sottomettersi alle autorità perché le autorità che esistono sono
ordinate da Dio. Questa obbedienza è dovuta all’autorità perché fa parte di un ordine voluto da Dio. Il che comporta
che l’obbedienza non sia prestata soltanto per timore di essere puniti, ma come un dovere di coscienza ed un modo
intelligente di evitare anarchie all'interno delle comunità.
• Da un altro lato lascia intendere che questa autorità politica, ha un origine divina, deve svolgere un compito puramente
profano: spingere gli uomini a fare il bene e ad evitare il male. Cioè significa osservare e far rispettare la legge. Il
compito delle autorità non è salvare l’uomo o renderlo felice, ma mantenere l’ordine nel mondo. Lo Stato è Stato ma
non è Chiesa. Deve limitarsi a creare le condizioni favorevoli per una vita tranquilla e dignitosa.
• E questo conduce ad un’altra affermazione di Paolo che ha avuto più peso nei primi secoli nel determinare
l’atteggiamento dei cristiani nei confronti del potere politico. E’ l’affermazione di Phil. “la nostra cittadinanza è però nei
cieli, da dove attendiamo anche come salvatore il signore Gesù cristo” – l’identità del cristiano non gli è data dalla
partecipazione alla comunità politica e quindi dalla sua cittadinanza terrena, ma dalla sua cittadinanza celeste. Essendo
loro cittadini del cielo, sulla terra e nei confronti della comunità politica vivono come stranieri in condizioni di estraneità.
Tutte le forme successive di obiezioni di coscienza dei cristiani nei confronti dell’impero romano trovano qui il loro
fondamento, perciò questa affermazione è fondamentale per capire i motivi delle persecuzioni dei cristiani (a
cominciare da quelle di NERONE E DOMIZIANO)
All'inizio nei primi trent'anni, l'autorità romana non ha granchè da rimostrare ai cristiani e si pone solo come sedatrice del
disordine pubblico data la difficile convivenza di culture e tradizioni diverse, ma non per ostilità nei confronti dei cristiani.
Ma improvvisamente scoppia la persecuzione.
Tacito narra infatti nel XV libro degli Annali che nel 64 d.C per porre fine alle voci che attribuivano la responsabilità
dell’incendio di Roma, l’imperatore fece condannare a molti cristiani accusandoli di essere gli autori dell’incendio. Tacito
suggerisce chiaramente che loro non erano gli autori dell’incendio, ma il capo espiatorio scelto da Nero. Qui tacito né da
una spiegazione – dice che i cristiani erano odiati dalla popolazione per i crimini che si attribuivano loro e se erano stati
condannati era per il loro atteggiamento ostile nei confronti del resto del mondo. La loro colpa era nell’isolarsi dalla
società imperiale e dalla vita pubblica. I cristiani ereditano quell’ostilità che la società greco-romana nutriva nei confronti
degli ebrei. E il delitto che riassume in se tutti gli altri è precisamente l’odium humani generis (generatori dell’odio umano)
la tendenza dunque di essere cittadini della città celeste, a estraniarsi dalla vita pubblica, a rifiutare costumi ed istituzioni.
Ed è questo il pretesto colto da Nerone per metterli a morte e stornare da se tutti i sospetti.

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Nel 95 poi scatta la persecuzione di Domiziano, più difficile da spiegare. La fonte pagana più antica è Svetonio, che ci
racconta che Domiziano fece uccidere, per un leggerissimo sospetto, il console Flavio Clemente, suo cugino. E giudica
Clemente uomo “contemptissimae inertiae”, un’accusa riferibile sia a un cristiano che non partecipa alla vita pubblica,
sia a un oppositore politico, sia a uno stoico.
Le fonti cristiane più antiche sono la I lettera ai Corinzi e l'Apocalisse che però non parlano di persecuzioni. Ne parlano
invece altre due fonti cristiane, lo scrittore il palestinese Egesippo e il vescovo di Sardi Melitone. E agli inizi del terzo
secolo lo storico pagano Cassio Dione poi rivela che Clemente e sua moglie erano inclini ai costumi dei giudei e furono
condannati per ateismo, accusa rivolta spesso ai cristiani. Il che ha convinto gli studiosi che Domiziano ha perseguitato i
cristiani, ma questa conclusione non appare del tutto sicura. Ma sono tutte fonti poco attendibili che lasciano pensare che
in realtà Domiziano abbia scatenato una violenta persecuzione verso tutti gli oppositori del regime, che questa
persecuzione abbia colpito col pretesto dell’ateismo anche persone come Flavio Clemente colpevoli solo di inertia, cio di
astenersi come i giudei dalla vita politica, e che in questa persecuzione abbia finito per coinvolgere alcuni cristiani .

9 La reazione pagana e le accuse al cristianesimo

Dagli inizi del 2 secolo sembra disegnarsi una prima forma di reazione organica del pensiero pagano nei confronti dei
cristiani. Non sono più le accuse di un’opinione pubblica rozza e poco informata che stravolge i dati della fede cristiana e
neppure i provvedimenti di sovrani crudeli e diffidenti come Nerone e Domiziano, ma sono le voci degli uomini più
rappresentativi dell’epoca che denotano una scarsa info contro i cristiani. Le critiche sono essenzialmente di due tipi:

• Accuse filosofico/religiose, nate in nome della difesa dei valori tradizionali della cultura greca – in particolare dal
filosofo stoico Epitteto, dallo scrittore satirico Luciano e dal medico- filosofo Galeno. (diffusa nelle aree più orientali
grosso modo – pensatori di lingua greca)
• Accuse sociali/religiose, nate sulla base di più concrete preoccupazioni di ordine politico (non dobbiamo dimenticare
che nel mondo imperiale la religione non era banale, ma una religione sotto controllo dato che era pubblica. Una
religione alla quale veniva affidata la sorte dell’opinione pubblica. Troviamo qui Plinio il giovane, Svetonio e Tacito.
(ambito occidentale degli scrittori antichi di lingua latina)
Ciascuna tipologia muove accuse nei confronti del cristianesimo legate a certi temi – tali critiche non si possono
separare in modo radicale.
Conviene esaminare questi due ordini di critiche per vedere poi come esse confluiscano nella valutazione
particolarmente complessa che dei cristiani daranno negli anni ’70 l’imperatore Marco Aurelio e il filosofo platonico
Celso.
Epitteto (50-130) critica la mancanza di paura della morte dei cristiani, enumerando varie categorie di persone che
nutrono lo stesso sentimento: bambini, pazzi (e dunque non hanno paura della morte soltanto per incoscienza) quelli che
per qualche motivo particolare vogliono morire (e dunque non temono la morte per semplice abitudine) e quelli che
accettano la morte con serenità come i filosofi ( e sanno dunque morire con indifferenza, per riflessione – il filosofo
comprende la logica della morte in quanto giunge il momento per la materia di ritornare agli elementi di cui è costituita).
Tra coloro che non hanno paura della morte soltanto per abitudine ci sono i “Galilei” e con questo termine sembra che
abbia proprio a che fare con i cristiani. Dunque il comportamento dei Cristiani ha colpito Epitteto così come colpirà più
tardi Marco Aurelio e Galeno). Essi possono sembrare coraggiosi, ma non lo sono veramente perché il motivo di questo
coraggio non è nella ragione (logos) e nella dimostrazione, che fanno apparire la morte come un fatto naturale, da
accogliere quindi con indifferenza, bensì nell’abitudine di considerarla come un evento straordinario che va ricercato e
desiderato. Per cui sono vicini a quei bambini e pazzi che affrontano la morte senza paura per incoscienza. (per i cristiani si
trattava passare a miglior vita, ad una vita autentica)
Luciano di Samosata, scrive sotto Marco Aurelio, in uno dei suoi dialoghi nomina un certo Peregrino (un ciarlatano, per
breve tempo cristiano) e attraverso questo personaggio rappresenta i cristiani come fanatici e creduloni. Ne mostra la
poca stima che ne ha l’autore. Racconta che Peregrino per mostrare il suo disprezzo per la morte si getta nel fuoco a
Olimpia. Luciano aggiunge che essi credono di essere immortali perciò disprezzano la morte e le vanno incontro volentieri.
Ma come Luciano spiega questo comportamento dei cristiani con il fanatismo e la credulità, Epitteto spiega il
“coraggio” dei martiri di fronte alla morte con l’abitudine e la follia, che altro non sono in definitiva se non una forma
diversa di schiavitù.
Galeno, medico-filosofo all’epoca di Marco Aurelio, 130-200; Egli manifesterà tutta la sua ammirazione per il disprezzo
della morte che mostrano i cristiani. A differenza di Epitteto e di Luciano, darà un giudizio realmente positivo sul loro
comportamento morale. Per lui i cristiani non soltanto disprezzano la morte ma sono capaci di astenersi per tutta la vita

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dai rapporti sessuali e a volte sono così progrediti nella ricerca tenace della virtù da non cedere in nulla ai veri filosofi. Non
è più soltanto il disprezzo della morte, ma tutta la vita morale dei cristiani che lo colpisce. Alla fine anch’egli dirà che,
fondata com’è non sulla ragione, ma sulla fede (la pistis), quella dei cristiani, come quella degli ebrei, non è saggezza ma
credulità.

Di tutt’altro segno sono le critiche che vengono rivolte ai cristiani Plinio il giovane, Tacito e Svetonio.
Plinio scrive a Traiano nel 112 per chiedergli come deve comportarsi di fronte al numero crescente di denunzie che gli
vengono presentate nei confronti dei cristiani. Non avendo mai preso parte ad un processo contro di loro, egli non sa per
quale reato e con quale pena debbano essere riuniti. E’ convinto che la diffusione del cristianesimo debba essere fermata
dal governo. Tacito ricorda l’oscuro episodio dell’incendio di Roma nel 64 – e racconta che essendosi diffusa nell’opinione
pubblica la convinzione che ad appiccare l’incendio fosse stato lo stesso imperatore, Nerone gettò la colpa sui cristiani
ben sapendo che era gente mal vista del popolo. Sicchè pur trattandosi di persone colpevoli e meritevoli di una punizione,
i romani finirono per provare compassione capendo che erano vittime soltanto della crudeltà di Nerone.
Il riferimento di Svetonio è invece molto più scarno. L’unico accenno esplicito che egli fa ai cristiani ricorre nella “vita di
Nerone” in cui enumera i provvedimenti positivi presi dall’imperatore e ricorda semplicemente che durante il suo governo
furono inviati al supplizio i cristiani.
Tacito (55-120 d.C) – Annali - racconta nei suoi annali le vicende della storia imperiale, mostrando simpatie e antipatie
anche in maniera molto chiara dei personaggi che ritrae. Racconta l’episodio dell’incendio che ha causato Neurone
ammettendo che l’incendio è stato doloso e che Nerone spacciò per colpevoli i cristiani. Per tacito il cristianesimo è una
funesta superstizione per le loro nefandezze. Vengono definiti come Nemici del genere umano perché non si attenevano
alle regole di vita della vita pubblica. Nerone fece condannare i cristiani e per tali spettacoli aveva aperto i suoi giardini (si
facevano dilaniare dai cani, dopo averli vestiti di pelli ferine; o si inchiodavano su croci, o si dava loro fuoco. Tacito non si
spende a favore dei cristiani, sono considerati pericolosi. Sebbene si trattasse di colpevoli che meritavano castighi che
nasceva un senso di Pietà perché in realtà morivano per saziare la crudeltà di uno, non per il bene di tutti. Cristiani indicati
come odiatori del genere umano e funesta superstizione  come elemento di disturbo
Tutti e tre gli autori definiscono anzitutto il cristianesimo superstitio. In questa epoca superstitio non è più nel linguaggio
dei romani equivalente a religio, ma costituisce il suo contrario. Poiché la religione è per i romani parte integrante del
patrimonio nazionale, essi considerano superstitiones tutte le forme religiose e le pratiche cultuali che non corrispondano
a quelle trasmesse dagli antenati e non siano fornite di pubblico riconoscimento. Tutte le pratiche religiose a carattere
individuale e privato; e poi tutte le religioni, tutti i culti stranieri, fin quando almeno non siano stati riconosciuti dalla
pubblica autorità. E poiché carattere fondamentale della religio sono la sua ragionevolezza e la sua moderazione i romani
considerano anche superstitiones tutte le forme esagerate, fanatiche, di religiosità, che indulgono a pratiche aberranti.
Perciò sono anche tutti i culti orientali. Definendo superstitio il cristianesimo, loro 3, esprimono dunque un giudizio
negativo. Il cristianesimo è una religione straniera, orientale che ha un carattere eccessivo, fanatico. Essi non si
accontentano di definire superstitio il cristianesimo ma aggiungono anche che è “prava, exitiabilis, nova e malefica”.
Perché? Cosa rende il cristianesimo così contrario alla sensibilità religiosa romana e lo espone ad un giudizio negativo? I
testi in realtà non danno una risposta precisa, ma lasciano intuire.
Plinio deve riconoscere di non aver trovano nella sua indagine sui cristiani elementi criminosi, ma per quello che ha saputi
i cristiani sono un gruppo unito e solidale che si impegna ad una vita particolarmente virtuosa. Eppure egli definisce
“prava” la nuova religione e mostra di ritenerla inconciliabile con la tradizione romana. I cristiani ai suoi occhi mostrano
una mancanza di ragionevolezza e moderazione, una forma di ostinazione, che mostrano davanti ai magistrati quando si
rifiutano di accettare ogni invito a qualsiasi ripensamento che giustifica la loro condanna.
Tacito è ancora più duro. Lascia capire che i cristiani non erano responsabili dell’incendio di Roma è che se sono stati
condannati è avvenuto solo per la crudeltà di Nerone che cercava un capo espiratore a cui addossare le colpe che
minacciavano di travolgerlo. Ma la gente li odiava per le infamie che riteneva che commettessero. E c’è in effetti per
Tacito nella nuova religione un atteggiamento di fondo che lo rende detestabili: è la sua ostilità nei confronti di tutto il
resto della popolazione, quello che tacito definisce l’odium humani generis – che in qualche modo riassume in sé tutte le
infamie possibili e che rende i cristiani meritevoli di una condanna esemplare.
Svetonio aggiunge ancora due elementi a questo quadro: definisce malefica la superstitio cristiana e sembra imputare
così ai cristiani di far ricorso ad arti magiche per diffondere la loro religione; e ancora la definisce nova individuando così
un altro elemento che agli occhi dei romani rende il cristianesimo ancora peggiore del giudaismo e che costituirà nel
secondo secolo uno dei punti decisivi del contrasto: la sua assoluta novità, cioè la sua mancanza di radici, di tradizione
nazionale.
Se durante il primo secolo la cultura ellenistico-romana non sembra aver manifestato una particolare ostilità nei confronti
dei cristiani, dall’inizio del secondo secolo si assiste ad una reazione violenta nei confronti della nuova religione che
continuerà per tutto il secolo.

10. Il fondamento giuridico delle persecuzioni (98 – 138 Traiano e Adriano 138 – 161 Antonino Pio)

11
La comparsa di questa violenta reazione nella opinione colta non significa però ancora l’esistenza di una persecuzione e
soprattutto non ci dice nulla sulle motivazioni giuridiche delle prima persecuzioni. Una religione straniera può apparire ai
romani riprovevole e sospetta, ma non per questo illecita. Il giudaismo che pure è superstitio externa e barbara, ha
ricevuto addirittura il riconoscimento dell’impero romano; è infatti religio licita che gode di particolari privilegi. Cos’è che fa
diventare illecito il cristianesimo?

Abbiamo individuato tre soluzioni:


1. La soluzione più tradizionale è quella che vede il fondamento giuridico delle persecuzioni nella esistenza di una legge
speciale, fatta risalire a Nerone, che vietava la professione del cristianesimo in tutto il territorio romano. L’accusa e la
condanna dei cristiani in quanto responsabili dell’incendio di Roma del 64 avrebbe determinato questo effetto: la
proibizione della religione cristiana. E una conferma di questa ipotesi la si è vista nell’accenno fatto da Tertulliano.
Periodicamente però si è cercato di far risalire l’emanazione della legge addirittura all’epoca di Tiberio.
2. Altri hanno invece affermato che i cristiani non venivano perseguitati e condannati in base ad una legge speciale
emanata da Tiberio o da Nerone, ma in base all’ordinamento penale generale. Essi sarebbero stati accusati di reati
comuni, incesto, quindi crimini, i flagitia. Secondo questa ipotesi i cristiani non sarebbero stati quindi processati e
condannati in quanto cristiani, ma responsabili di diversi reati.
3. Altri ancora affermano che le persecuzioni furono semplici azioni repressive per calmare l'ordine pubblico nelle
province messe in pericolo dal rifiuto dei cristiani di riconoscere la religio romano e la maiestas imperiale (affidate ai
singoli governatori delle province).
Ora la lettera di Plinio a Traiano e il rescritto che traiano invia a Plinio sembrano dimostrare che una legge che proibisse il
cristianesimo in quel momento non esisteva. La documentazione in proposito manca quasi completamente, perché
l’institutum neronianum relativo ai cristiani di cui parla Tertulliano non indica un provvedimento legislativo preso da
Nerone, ma l’azione repressiva da lui effettuata e poi ripresa dai suoi successori. D’altro canto, che i cristiani venissero
condannati soltanto per reati comuni neppure è sostenibile. È anche possibile che in qualche modo essi abbiano potuto
costituire la motivazione formarle di qualche condanna, ma nella maggior parte dei casi, l’oggetto della condanna era
soltanto la qualità di cristiani. Anche l’ipotesi del mantenimento dell’ordine pubblico e delle misure repressive sembra non
essere fondata.
Una risposta soddisfacente può arrivare da una mescolanza dei tre punti. La loro abitudine di escludersi dalla vita
pubblica, il loro allontanamento dalla tradizione dei padri, il loro disprezzo degli dei romani ed il loro rifiuto del culto
imperiale faceva apparire tale religione come una religione che metteva in crisi i valori fondanti della Res Pubblica e quindi
non poteva essere tollerata. Con questi atteggiamenti si mostravano “nemici dello stato”. Ora questa convinzione che il
nomen christianum comportasse atteggiamenti contrari alla tradizione romana e indotto a manifestarsi nel processo
come appartenenza esclusiva a Cristo e disprezzo della religione imperiale, dovesse perciò esser oggetto di condanna
giudiziaria. E che i governatori abbiano fatto uso di questa discrezionalità appare chiaro in un passo di Tertulliano.
Se questo è vero è più facile comprendere il senso e la portata dei due famosi rescritti di Traiano e di Adriano sui cristiani
(Traianio risponde al governatore di Ponto e Bitinia Plinio e il giovane che gli chiede istruzioni su come comportarsi nei
confronti dei cristiani; Adriano risponde a Minucio Fundano sollecitato dall’assemblea delle città dell’asia che
richiedeva un irrigidimento della legislazione contro i cristiani) dei quali va ricordato che in quanto rescritti imperiali non
sono vere e proprio “leggi generali” che introducono nuove ipotesi di reato – ma disposizioni autorevoli ai governatori di
una provincia sulla procedura da seguire nella repressione di un crimine. Né Traiano né adriano hanno voluto fissare una
norma generale o definire un crimine particolare, ma fornire indicazioni più precise sulla procedura da seguire nei
processi contro i cristiani. Una cosa appare chiara, questi due rescritti non mostrano alcune particolare durezza nei
confronti del cristianesimo – essi per quanto possano apparire contradditori su piano giuridico, finiscono col mettere al
riparo i cristiani da forme più gravi di persecuzioni. Traiano afferma che i cristiani non devono essere ricercati, e qualora
vengano denunciati, devono essere condannati solo se la denuncia è firmata ed essi persistano nel loro atteggiamento.
Adriano aggiunge che l’accusatore deve stare in giudizio di persone e, se la sua accusa si rivela infondata, deve essere egli
stesso condannato. Ciò poneva la speranza che l’impero si stesse muovendo verso un progressivo riconoscimento della
nuova religione.

11 L'apologetica cristiana

I cristiani conoscono dunque negli anni di Traiano e Adriano (98-138) e ancora in quelli di Antonino Pio (138-161) un
periodo di difficoltà, ma non sono ancora oggetto di persecuzione. Sarà con Marco Aurelio che l’ostilità della opinione
pubblica verso la nuova religione arriverà fino alla corte imperiale e si tradurra in repressioni nei suoi confronti. Ormai nel
II secolo i cristiani sentono il bisogno di giustificarsi dalle continue accuse rivolte a loro, di confrontarsi con la civiltà
romano-ellenistica. Ha origine così quell’orientamento di pensiero del cristianesimo del II secolo che si esprime negli

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scritti della letteratura apologetica greca e latina. Questo orientamento ha una grande importanza per lo sviluppo del
pensiero cristiano – dalla fine dell’età apostolica sino a questo momento, cioè dalla fine del primo secolo fin verso il 130,
le preoccupazioni dei responsabili delle comunità cristiane si sono rivolte al rafforzamento della fede e della vita dele
comunità stesse. E’ stato un periodo di assestamento, dopo quello di entusiasmo delle origini che ha portato alla
sistemazione della tradizione apostolica e alla formazione dei testi neotestamentari: il periodo detto “dei padri apostolici”
(clemente, ignazio etc), cioè la generazione dei padri successiva a quella degli apostoli. E la letteratura che ha prodotto
caratterizzata da preoccupazioni di natura liturgica, morale rispecchia questa situazione. Si tratta di lettere, istruzioni e
omelie volte a consolidare la fede trasmessa dai primi discepoli.
Ricordiamo la Didachè (fine del I secolo) che forniva indicazioni sulle prime celebrazioni liturgiche delle comunità
siro/palestinesi.
La I lettera di Clemente ai Corinzi, che fu scritta dal Vescovo di Roma subito dopo la persecuzione di Domiziano per
ricondurre la comunità di Corinto alla pace e alla concordia, è testimonianza di un primo emergere della chiesa di Roma
tra le chiese dell’epoca. La lettera di Barnaba (scritta nel 130 c.a. all'epoca di Adriano) è un primo tentativo di definire
l'identità cristiana in opposizione a quella giudaica, ed è una decisa presa di distanza dalle sue istituzioni e dalla sua
interpretazione della scrittura. Il Pastore di Erma, scritto sono Antonio Pio, che testimonia la ripresa di motivi apocalittici
della tradizione giudaica. Contiene un invito alla comunità di Roma perché faccia una seconda penitenza dopo quella del
battesimo. Nel compresso quella dei padri apostolici è una letteratura minore, senza pretesa culturale o preoccupazione
letteraria. Con gli apologisti la situazione cambia. Cristiani di discreta formazione culturale non si rivolgono ai fratelli nella
fede, ma si confrontando con il mondo pagano e lo scopo dell’apologetica è duplice: difendere i cristiani dalle accuse dei
pagani ed esporre gli aspetti principali della nuova religione.
Distinguiamo:
• Apologetica greca di Aristide, Giustino, Taziano, Atenagora e Teofilo. Forniti di una preparazione filosofica (stoica e
platonica) e sono attenti agli aspetti culturali del confronto coi pagani. cercano di dare una valutazione complessiva della
civiltà romano-ellenistica e dall’altro si preoccupano di offrire un’immagine di gesù che appaia comprensibile agli occhi
di uomini di cultura greca ( non parlando di Gesù come Messia, ma elaborano la “cristologia del Logos”.
• Apologetica latina di Tertulliano, Minucio Felice, Cipriano e poi Lattanzio. Sono più sensibili ad aspetti politici e giuridici
della questione cristiana. Essi da un lato offrono una critica di tutta la politica religiosa dell’impero romano e dall’altro
sottolineano le incertezze della legislazione romana sui cristiani.
Anche all’interno dei due gruppi le differenze sono numerose – un elemento accomuna però tutti gli autori  la volontà
di condurre un confronto con la cultura ellenistica e l’impero romano.

Il primo apologista di cui ci sia pervenuta l’opera è Aristide di Atene scrive alla fine dell'impero di Adriano e la sua
Apologia, non è opera di grande profondità. Ma l’interesse dello scritto è proprio in questa utilizzazione della critica
filosofica della religione da parte di un autore cristiano. La religine riveste una veste culturale più dignitosa,
presentandosi al pubblico come una teologia ed una filosofia. È una preziosa polemica contro la divinizzazione degli
elementi e delle credenze politeistiche dei pagani, sostenendo che i cristiani posseggono una idea di Dio più razionale e
una vita morale più elevata dei giudei e dei greco/romani.
Giustino è pensatore di altro livello. Nato in Palestina a Flavia Neapolis, si sposta poi a Roma dove scrive due Apologie e
un Dialogo con Trifone. Ci ha lasciato una importante riflessione sui rapporti tra cristianesimo e cultura greco /romana.
Nel Dialogo con Trifone racconta il suo travaglio spirituale che lo ha portato, prima di arrivare al cristianesimo, ad
abbracciare diverse scuole: filosofiche, stoica, peripatetica, pitagorica e platonica. Sarà lo spettacolo eroico dei martiri a
contribuire alla sua conversione. Non è stata per lui dunque una rottura con il passato, ma il punto di arrivo di un
itinerario intellettuale. Il cristianesimo per Giustino è il compimento della filosofia greca. Fa suoi uno dei concetti
fondamentali del pensiero stoico, quello del logos spermaticos, della ragione seminale, e lo fonde con le premesse del
quarto vangelo, affermando che Gesù è il Logos divenuto carne. Il Logos esisteva già da prima della incarnazione e nelle
apparizioni divine dell’antico testamento, già da allora spargeva i suoi semi di verità su Mosè, sui profeti ebrei, sui filosofi
e sui legislatori pagani. Il cristianesimo è dunque il punt di arrivo di una lunga storia dell’umanità che ha i suoi inizi non
sono nella religione giudaica, ma anche nella filosofia greca. E i filosofi greci, i profeti ebrei, essendo in qualche modo
partecipi al logos e avendo intravisto la verità possono dirsi “cristiani prima di cristo”. Gli intellettuali pagani non hanno
quindi motivo di temere o disprezzare il cristianesimo. Il cristianesimo partecipa in maniera eminente del logos, è perciò
una religione razionale. E si presenta come l’esito di una tradizione culturale. Aderire alla religione cristiana non significa
rinunciare alla filosofia greca, alla cultura umana, ma portarle al loro perfetto compimento.
Taziano, allievo di Giustino, scrive il Discorso ai Greci, che contiene una valutazione completamente diversa della civiltà
greco/romana. Taziano era siro di nascita e orgoglioso della sua origine “barbara”, e capovolge interamente gli argomenti
di Giustino, accomunando tutte le conquiste intellettuali greche come un coacervo di immoralità e contraddizione,
ispirato non dal Logos ma dai demoni. Se hanno qualcosa di buono lo hanno preso dai barbari. Filosofi, artisti, poeti sono
tutti immorali. Le leggi cittadine sono diverse da città in città e sono tutte contraddittorie. All’unica legge morale che vige

13
nel regno di Dio si contrappongono la pluralità e l’immoralità delle istituzioni cittadine. Con l’apologetica il pensiero
cristiano è ormai venuto alla scoperta, si confronta con quello pagano e reclama la sua dignità.

12 Il distacco del cristianesimo dal giudaismo e il confronto con Marcione

La letteratura apologetica era ancora più ricca di quella che mostra la sua consistenza attuale. Essa è dovuta alla raccolta
che di questi scritti fece l’arcivescovo di Cesarea in Cappadocia, Areta. Il confronto con il paganesimo non è solo il
problema del cristianesimo di questo periodo, ve ne era un altro: la discussione col giudaismo e il confronto con
Marcione. Il cristianesimo nasce dal giudaismo ma subito se ne allontana per il non riconoscimento in Gesù di Nazaret del
Messia di Israele. Così il cristianesimo deve sancire la sua diversità dal giudaismo, deve precisare la sua posizione e gli
scritti che si presentano come il suo patrimonio rilevato. Questo era già stato l'argomento principale del Concilio di
Gerusalemme del 49 di cui si è già discusso. Qui infatti, restando ovvia la fedeltà dei cristiani di origine giudaica alle
tradizioni di Israele, si era posto il problema dell’osservanza della legge mosaica da parte dei cristiani di origine pagana. E
si era deciso che, pur essendo liberi da questa osservanza, essi dovevano attenersi ad alcune prescrizioni riturali della
legge. Ma era già stato il grande problema di Paolo tanto nella predicazione quanto nelle lettere – ed egli aveva dato una
soluzione teologica. La chiesa di Cristo è l’erede del popolo di Dio e anche la sua realizzazione; i giudei pur rimanendo il
popolo della promessa e conservando i loro privilegi, costituiscono per Paolo l’Israele secondo la carne, la discendenza
fisica di Abramo; ma l’Israele di Dio è ormai la chiesa dei giudei e dei gentili e di coloro che hanno riconosciuto in Gesù il
Cristo ed il signore e hanno riposto in lui la loro fede e speranza. Se la scrittura giudaica conserva il suo valore di parola e
di promessa di Dio, la legge mosaica ha perduto il suo carattere salvifico che le attribuiva la tradizione giudaica – la
salvezza non viene dal compimento delle opere della legge ma dalla fede nel cristo.
Ma non tutti erano naturalmente d'accordo con la soluzione di Paolo. Anzi può dirsi che per tutto il secolo la storia della
Chiesa appare dominata dal problema del giudaismo e della scrittura. Da un lato ci sono tutti quei cristiani che pur avendo
riconosciuto in Gesù il Messia e il Salvatore, considerano ancora vincolante la legge mosaica e restano quindi attaccati alle
sue prescrizioni (tendenze giudeo-cristiane) che ad esempio difendono la circoncisione, l’osservanza del sabato etc. (la
letteratura che li esprime è quella apocrifa del nuovo testamento che è andato in gran parte perduta). E a rappresentare
queste tendenze ci sono anche i pagani giunti al cristianesimo tramite il giudaismo e non vogliono rinunciare alle sue
pratiche riturali. E tuttavia il problema più grosso non è costituto da questi cristiani che rimangono fedeli alle tradizioni
giudaiche, ma di quei cristiani che contestano il giudaismo in maniera radicale. Un preannuncio di questa posizione è
costituito dalla Lettera di Barnaba in cui per la prima volta il cristianesimo cerca di definire la propria identità attraverso
una valutazione complessiva della religione giudaica che in realtà è quasi una totale condanna. Non attribuisce nessun
valore alle istituzioni giudaiche dell’antico testamento – per lui è soltanto l’ispirazione demoniaca che ha portato i giudei
ad interpretare in maniera letterale la prescrizione della legge, il cui vero valore era quello di prefigurare la realtà del
cristo. E le promesse della scrittura hanno infatti trovato la loro realizzazione in un nuovo popolo, che non è quello dei
giudei ma dei cristiani.
Colui che ha portato alle estreme conseguenze le idee di Paolo e di Barnaba è stato Marcione giundendo ad una posizione
dualista. Ed era di Sinope, nel Ponto. Entrato in conflitto con la comunità ecclesiastica del luogo per le sue dottrine
dualiste si recò a Roma ed entrò in una comunità cristiana del luogo. Espulso da tale comunità nel 144 egli fondò una
chiesa separata. Le sue opere sono andate quasi interamente perdute, ma l’idea centrale del suo pensiero sembra essere
quella del contrasto insanabile tra la legge di Mosè che esige la giustizia, ed il vangelo di Gesù che proclama grazia, quindi
tra i libri che costituiscono la scrittura dei giudei e quelli che dovrebbero costruire la scrittura dei scristiani. Egli aveva
raccolto in un libro tutte le antitesi che si possono trovare tra la legge giudaica ed il vangelo cristiano. Il dio dei giudei per
lui non è il Dio supremo di bontà e misericordia, ma inferiore ed artefice di un mondo materiale e malvagio e dispensatore
della legge severa e crudele. Il vero Dio è rimasto sconosciuto fino alla venuta di Cristo. Il corpo di cristo, a sua
incarnazione, è solo apparente. La sua morte in croce, voluta dal creatore, ma non prevista dall’antico testamento, non fa
che ribadire la condanna del mondo. Accanto a queste affermazioni ve ne sono altre sul piano morale – da queste
premesse sull’origine del mondo e sulla natura della realtà materia deriva l’esigenza di una rigorosa continenza, ascesi,
sessuale, che neghi le opere del mondo e della carne.
Ora l’unico autore che per Marcione ha compreso il contrasto insanabile tra legge giudaica e vangelo cristiano è stato
paolo. Solo i testi dell’apostolo devono costituire il nucleo essenziale della scrittura cristiana. (al massimo si può
aggiungere il vangelo di Luca che più degli altri rivela un carattere paolino).
Apologisti ed eresiologi antichi lo hanno accomunato agli agnostici (dualismo, docetismo, ascetismo sono caratteri
distintivi delle dottrine gnostiche) e alcuni elementi vanno verso questa direzione come il disprezzo del mondo e della
carne, che lo porta al rifiuto del creatore dell’antico testamento e del carattere apparente dell’incarnazione di cristo.
Secondo Von Harnack Marcione non è uno gnostico ma il più coerente interprete di Paolo, che con le sue antitesi di Legge
e grazia, Legge e vangelo, anticiperebbe la riforma protestante. L’affermazione del carattere apparente dell’incarnazione
di Cristo e la mancanza di qualunque previsione della sua morte nell’antico testamento colpiva la fede cristiana nel suo

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aspetto centrale. E il rifiuto del Dio creatore dell’antico testamento come dio soltanto dei giudei e della legge urtava
contro l’elemento costitutivo di tutta la tradizione giudeo-cristiana. Non era possibile quindi seguire Marcione in questa
sua radicalizzazione del pensiero di Paolo. Ma d’altra parte, se i giudei contestavano ai cristiani l’abbandono delle pratiche
religiose prescritte dalla legge, Marcione rimproverava loro di non sottolineare abbastanza la novità del vangelo rispetto
alla legge. Quello che era necessario, per far fronte alle obiezioni dei giudei e di Marcione, era elaborare una teologia
della storia che, mentre conservava l’essenziale della tradizione giudaica, salvasse la novità della rivelazione cristiana. Ed il
testimone di questo atteggiamento è Giustino. In quella discussione con un interlocutore ebreo ambientata ad Efeso
(135) ma messa per iscritto introno al 160, che va sotto il nome di Dialogo con Trifone affronta questo problema dandone
una soluzione esemplare. Il dio della scrittura, non è soltanto il Dio dei giudei e della legge, ma il creatore del mondo e il
signore della storia, è anche il Dio dei cristiani. E la scrittura contiene la sua rivelazione. Ma il valore della scrittura è di
annunciare il Cristo. Negli eventi raccontati dalla scrittura e nelle parole pronunciate dai profeti erano infatti prefigurate la
vita e la predicazione di Gesù. Se i giudei e Marcione sapessero leggere le scritture si accorgerebbero che da un lato che
tutti gli avvenimenti della vita di Gesù (in particolare morte e risurrezione) trovano in esse la loro prefigurazione; dall’altro
capirebbero che le prescrizioni date da Mosè ai giudei per la loro durezza di cuore come il sabato, i sacrifici, la
circoncisione, hanno fatto il loro tempo con la venuta di Cristo. Tutte quele prescrizioni non sono altro che figure, simboli
e annunci sia di quanto doveva accadere a Cristo, sia di coloro che era previsto dovessero credere in lui, sia infine di
quando doveva accadere per opera dello stesso Cristo. E venuto Cristo, non hanno più valore. Le promesse fatte da Dio a
Israele hanno trovato il loro compimento non nel popolo giudaico (Israele per discendenza carnale) ma in quello cristiano
(vera stirpe di Israele). L’antico testamento è conservato infatti nel cristianesimo, ma solo come la sua necessaria
preparazione.

13 Lo gnosticismo

Lo gnosticismo è una forma di religione dualistica che pone al suo centro la conoscenza (la gnosi) del mondo e dell'uomo,
ottenuta attraverso una rivelazione divina. E’ un fenomeno assai complesso, che pone allo studioso una serie di problemi
interpretativi.
• Harnack nel suo “manuale di storia del sogna” dice che lo gnosticismo è un fenomeno interno al cristianesimo, un’eresia
cristiana, determinata dall’incontro del messaggio cristiano con la cultura greca. E’ una forma di ellenizzazione acuta del
cristianesimo che avrebbe luogo a partire dal secondo quarto del secondo secolo. Qui gli elementi filosofici dello
gnosticismo sono primari, l’influenza del pensiero greco è determinante e l’origine dello gnosticismo non si colloca
prima del secondo secolo.
• Bousset e Reitzenstein sostengono, invece, che esso sia un fenomeno che avrebbe inizio già nel primo secolo e
riguarderebbe con il suo carattere sincretistico non soltanto il cristianesimo, ma anche altre religioni, quella giudaica e
pagana in particolare. Quindi un fenomeno della storia delle religioni, nato in Oriente in una forma che dava ampio
spazio ad elementi mitologici di origine soprattutto iranica e diffusosi poi in Occidente (penetrando in particolare nella
religione cristiana) in una forma che dava molto più spazio agli elementi filosofici di provenienza greca. Primari nello
gnosticismo invece sono gli elementi mitologici, essenziale è l’apporto delle religioni orientali e la nascita del movimento
può collocarsi già nel primo secolo.
Anche il giudizio sull’estensione del fenomeno gnostico varia. L’interpretazione orientale dello gnosticismo,
anticipandone la nascita ad un’epoca precedente o coeva al cristianesimo e allargandone allo stesso tempo le
manifestazioni a quasi tutte le forme religiose dell’antichità – ha finito col vedere gnosticismo dappertutto (dal giudaismo
ellenistico a scritti ermetici e autori antignostici)
L’interpretazione greca e cristiana pur riconoscendo in origine con Harnack agli gnostici il merito di essere i veri fondatori
della teologia cristiana tende invece a ridurre la presenza gnostica nel mondo antico, non soltanto riportandola all’interno
del pensiero cristiano ma considerandola anche un aspetto limitato di questo pensiero.
Fino al 1945 lo gnosticismo era conosciuto solo sulla base delle notizie e dagli estratti contenuti nelle confutazioni dei
Padri della Chiesa, in particolare dall'Adversus Haereses di Ireneo di Lione e dalla Refutatio omnium haeraesium di
Ippolito di Roma che consideravano lo gnosticismo una eresia cristiana.
Nel 1945 si scopre a Nag Hammadi una intera biblioteca gnostica in copto che dette la possibilità di conoscere lo
gnosticismo in maniera più diretta e di verificare le notizie e gli estratti dei padri della chiesa. però non sembra avere
modificato radicalmente la valutazione della natura e delle origini del movimento gnostico, dato che purtroppo risalgono
alla seconda metà del II secolo, non dicendo dunque nulla a proposito di una ipotetica gnosi precristiana o
contemporanea al cristianesimo e per questo problema devono necessariamente cedere il passo alla testimonianza degli
eresiologi (e del nuovo testamento). Dall’altro laddove il confronto diretto è possibile bisofna dire che i testi di Nag
Hammadi hanno confermato le notizie di Ireno e di Ippolito, rivalutandone l’attendibilità.

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Ireneo ed Ippolito dicono che lo gnosticismo risale a Simon Mago, il personaggio di cui parlano gli Atti degli Apostoli. Ma
le notizie che essi danno di questo Simone in parte sono leggendarie, in parte riportano sviluppi successivi del pensiero
gnostico. La situazione appare diversa con Saturnino e l’Apocrifo di Giovanni. La figura di Saturnino è abbastanza
misteriosa, di cui sappiamo solo che operò ad Antiochia nella prima metà del II secolo. Dice Ireneo che la sua dottrina
consiste in una interpretazione della Genesi in chiave dualistica. Per Saturnino esistono solo due categorie di uomini: i
buoni ed i malvagi.
Questa reinterpretazione del racconto della Genesi diventa più radicale nell’Apocrifo di Giovanni (probabilmente di
origine siriaca la cui redazione più antica è precedente ad Ireneo). Qui la creazione del mondo materiale è opera di
Iadalboth, il dio dei Giudei di Saturnino, identico a Saclas, il diavolo. Caino e Abele nascono dall'unione di Iadalboth con
Eva. La scrittura dei giudei deve essere quindi reinterpretata, la storia delle origini non si è svolta come disse Mosè ma in
modo diverso, che solo lo gnostico, illuminato dalla rivelazione, conosce veramente. Questo gnosticismo giudaico fondato
principalmente sulla reinterpretazione del racconto della Genesi, acquista una veste più filosofica nello gnosticismo
cristiano che si sviluppa ad Alessandria con Basilide e testi come L’ipostasi degli arconti e l’origine del mondo ritrovati a
Nag Hammadi. Anche in questo caso ci sono racconti della Genesi interpretati in chiave dualistica, ma soprattutto in
Basilide, si alimenta al pensiero greco e al platonismo medio. Da qui proviene l’affermazione della trascendenza assoluta
di Dio, che porta Basilide a presentare Dio come non esistente e da qui l’insistenza sul processo di degradazione del
divino, da cui deriva tutta la realtà spirituale.
E’ legittimo a questo punto porre la domanda: le origini dello gnosticismo sono dunque da cercarsi in questa
interpretazione dualistica della tradizione giudeo-cristiana sulle origini del mondo contenuta nella Genesi, interpretazione
che da più spazio al pensiero greco e alla filosofia platonica? Sarebbe azzardato sostenerlo in maniera esclusiva. Quel che
sembra legittimo affermare è che esiste comunque in Siria ad in Egitto nella prima metà del secondo secolo una forma di
gnosticismo (anti) giudaico e cristiano che consiste in una reinterpretazione dualistica ed esoterica del racconto della
Genesi.
Verso la metà del 2 secolo si afferma lo gnosticismo di Valentino e della sua scuola. Anche lui venne a Roma ed ebbe
l’influenza della comunità cristiana, ma ad un certo punto si allontana definitivamente dalla chiesa. Egli ebbe molti
discepoli, una vera e propria scuola che si distingue in un ramo orientale (teodoto e Marco) e occidentale (tolomeno ed
Eracleone). Risale agli anni 70-80 e polemizzano gli eresiologi cristiani. Quali sono gli elementi caratterizzanti? Il primo è il
senso di estraneità e di alienazione che provano gli gnostici nei confronti del mondo ed il loro desiderio di allontanarsene
per recuperare la loro natura originaria perduta. Lo gnostico si sente straniero e gettato in questo universo materiale ed è
convinto di appartenere ad un mondo divino da cui sarebbe decaduto nel tempo delle origini la cui conoscenza egli
possiede per mezzo di una rilevazione. Il portatore di questa rivelazione deve venire dal mondo divino e portare con la
rivelazione anche la redenzione, la possibilità dunque di ritornare nel mondo da cui proviene. Qui le differenze tra i
valentiniani e le altre scuole e anche all’interno della stessa scuola valentiniana. Una caratteristica condivida da questa
scuola e le altre è la concezione dualistica del mondo secondo cui per effetto di un dramma cosmico originario che ha
visto la degradazione della realtà celeste e lo scontro tra potenza divina suprema e le potenze inferiori contrapposte, lo
spirito dell’uomo, che era originariamente parte del pleroma celeste, è finito in balia del creatore del mondo materiale e
giace ora in questo mondo materiale come prigioniero del corpo e dominato dalle potenze del male. Di origine celeste,
quale esso è, potrà ottenere la salvezza mediante la conoscenza della propria natura divina estranea a questo mondo
materiale. Questa conoscenza non si raggiunge razionalmente, ma viene rilevata agli uomini da un redentore celeste
proveniente del pleroma divino, tra i seguaci di Valentino, viene identificato non con Gesù nato da Maria, ma con il Cristo
invisibile proveniente dall’alto. E’ soprattutto dopo la risurrezione che avviene questa rivelazione del Cristo rivolta solo ai
discepoli eletti.

14 La letteratura apocrifa e la formazione del nuovo testamento (II sec.)

Marcione aveva assunto una posizione nei confronti dei Vangeli e delle lettere paoline che ha spinto verso la formazione
di un canone dei libri del Nuovo Testamento (anche se qst era un processo iniziato da tempo.
Nella storiografia attuale c’è un dibattito acceso per quanto riguarda i testi apocrifi nel Nuovo Testamento: cioè cosa deve
realmente intendersi per “apocrifo del Nuovo Testamento”. Anzitutto dobbiamo dire che apocrifo non è sinonimo di
eretico o di falso. Con apocrifo si dovrebbe intendere uno scritto non canonico, in seguito alla formazione del canone
neotestamentario, anche se non tutto ciò che non è canonico può definirsi apocrifo. Approfondiamo il discorso.
Possiamo definire apocrifi solo quegli scritti che non sono diventati canonici, ma per la loro forma letteraria e per
l'autorità dottrinale che rivendicano appaiono in concorrenza con i testi canonici.
Il fenomeno degli apocrifi nasce dalla varietà e dalla flessibilità della tradizione apostolica nei riguardi di Gesù, che
essendo all'inizio orali, erano suscettibili di cambiamenti più o meno vasti. Un esempio del genere è quello del papiro
Egerton 2, fine del II secolo, che contiene quattro episodi evangelici in una forma leggermente diversa da quella dei
vangeli canonici.

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Il fenomeno si amplia quando nascono testi dottrinali dotati di una certa autorità. La Chiesa non ha ancora adottato una
forma canonica, così gruppi cristiani di orientamenti teologici diversi possiedono forme diverse di un medesimo scritto.
Prendiamo come esempio il Vangelo di Matteo:
I Padri della Chiesa citano molti testi usati da gruppi giudeo cristiani di Siria che appaiono in stretto rapporto con questo
Vangelo: lo Judaicon, il Vangelo secondo gli Ebrei, il Vangelo dei Nazareni, il Vangelo degli Ebioniti. Conosciamo poco questi
scritti ma una considerazione la possiamo fare: vi sono stati certamente in Siria (tra la fine del I sec. e gli inizi del II) dei
gruppi giudeo/cristiani che utilizzano e rielaborano ai propri fini il Vangelo di Matteo, o apportando semplicemente delle
varianti. Prima fanno delle varianti del testo in modo che sia più comprensibile, poi sviluppando ed elaborando alcuni
episodi in chiave apologetica, correggendo il testo con tagli e ampliamenti che esprimono il punto di vista teologico del
proprio gruppo.
Dagli inizi del secondo secolo questi gruppi rielaborano anche gli altri tre vangeli.
All’inizio questi gruppi rielaborano solo il Vangelo di Matteo, ma poi questo fenomeno si allarga (inizi II sec.) a tutti e 4 i
vangeli. Un altro caso, infatti, è quello del Vangelo di Tommaso, una raccolta di 114 detti di Gesù scoperta nella biblioteca
gnostica di Nag Hammadi, nell’ Alto Egitto. Sembra che l’autore finale conosca detti di Gesù contenuti i n tutti e 4 i Vangeli
ma inoltre, anche questo Vangelo, sembra sia passato per redazioni successive, utilizzando e rielaborando i detti contenuti
nei quattro Vangeli Canonici in una forma letteraria simile alla cosiddetta Fonte Q adattandoli ai propri scopi dottrinali.
Il Vangelo di Pietro proviene anch'esso dalla chiesa di Siria ma il risultato dato dall' apologetico e il novellistico di episodi
della vita di Gesù non consentono di darne una valutazione compiuta.
Gli apocrifi citati fin qui sono sorti in un periodo in cui non esiste ancora un canone neotestamentario definito. Dal II
secolo avanzato però inizia a formarsi un vero e proprio canone ed è proprio questa formazione ad aumentare la
produzione di testi apocrifi. Proprio il tentativo di ottenere, infatti, un riconoscimento canonico, generava molta
letteratura apocrifa, di forma letteraria ugualmente avanzata. È questo ad esempio il carattere degli apocrifi gnostici,
intendendo per apocrifi non tutti gli scritti gnostici ma quegli scritti gnostici che si presentano come cristiani, assumono
una forma letteraria analoga a quella dei testi neotestamentari e fondano la loro pretesa dottrinale su una rivelazione
segreta ricevuta da Cristo. Proprio il fatto che molti di questi testi vengano attribuiti a personaggi di origine apostolica
(Pietro, Giovanni, Paolo, Filippo) esprimono la volontà di entrare in concorrenza con i testi canonici, affermando di avere
la vera rivelazione di Cristo.
La produzione di apocrifi del Nuovo Testamento conoscerà ancora, naturalmente, numerosi sviluppi. Ci sono quegli scritti
apocrifi che nascono dal desiderio popolare di conoscere, di raccontare episodi più numerosi e suggestivi della vita dei
propri eroi, abbellendo con caratteri novellistici i dati, originariamente molto sobri, della tradizione apostolica. Nascono
così per esempio le storie dell’infanzia di Gesù, della vita di Maria ma anche gli Atti di Pietro, di Giovanni, di Andrea e di
Tommaso. La produzione di questi continuerà anche dopo la chiusura del canone e avranno una notevole importanza
nell’alimentare la spiritualità popolare (come per esempio l’influenza che ebbe il Vangelo di Giacomo, dove si raccontano
storie di Maria, sulla religione e l’arte del medioevo). Ma cmq, a quel punto la formazione del canone neotestamentario è
ormai avvenuta e l’elenco dei libri canonici sostanzialmente definitivo.

14.1 La formazione del canone neotestamentario

Come si formò il canone neotestamentario? Non è chiaro. Non è una decisione della gerarchia ecclesiastica che indica
autorevolmente i testi canonici. È la logica stessa dello sviluppo della tradizione che porta all'affermazione di un corpus di
testi normativi, gli scritti che appaiono autentici testimoni della tradizione. È anche vero che il moltiplicarsi di testi che
pretendono di avere autorità dottrinale, obbliga la Chiesa a operare una selezione.
Marcione e il suo tentativo di dare un suo corpus di testi normativi sarà probabilmente stata la molla decisiva. Alla fine del
II secolo ci sono due importanti testimonianze che ci forniscono l'elenco dei libri considerati canonici:
• L'Adversus Haereses di Ireneo di Lione. Composto tra il 180 e il 190 cita, anche se non li definisce ancora come Nuovo
Testamento: i Quattro Vangeli, le Tredici lettere di Paolo, gli Atti degli Apostoli, la I lettera di Pietro, I e II lettera di
Giovanni, Apocalisse, Lettera agli Ebrei e Pastore di Erma.
• Il Frammento Muratoriano, forse di Ippolito, scoperto nel 1740 da Ludovico Muratori. Qui si citano: i Quattro Vangeli,
le Tredici lettere di Paolo, gli Atti degli Apostoli, I e II lettera di Giovanni, Apocalisse, Apocalisse di Pietro (seppur con
qualche riserva).
Non esplicitano i criteri dell'accoglimento dei testi ma lasciano chiaramente intendere che sono quelli che corrispondono
all'autenticità della tradizione apostolica accolta universalmente dalla Chiesa, quella tradizione di cui poi parleremo con
Ireneo e Tertulliano: la regula fidei.

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15 La persecuzione sotto Marco Aurelio (161 – 180): nuove forma di spiritualità

Con l'imperatore Marco Aurelio la repressione si fa ancora più dura provocando nuove forme di martirii e nuove forme di
spiritualità. Aurelio (161-180), nonostante l'immagine che ha lasciato ai posteri (di imperatore saggio e filosofo), non ha
alcuna simpatia per i cristiani, anzi è considerato il 1 vero persecutore dei cristiani. Infatti lui nn li comprendeva e nutre
una grande antipatia nei loro confronti. A differenza di Galeno ed Epitteto, rispettivamente suo medico e suo maestro di
filosofia, valuta l’atteggiamento dei martiri in modo negativo e vede la totale assenza di paura della morte dei cristiani
senza alcuna bonarietà, giudicandola teatrale e leggera.
Ma non è da vedere tanto in questo il motivo della loro persecuzione (in questo periodo infatti si avvertono i primi segni di
crisi dell’impero “umanistico” che poi si aggraveranno con suo figlio Commodo) quanto nel progressivo allontanamento
della popolazione romana dal servizio militare, proprio in un momento in cui i barbari premevano ai confini dell'impero,
c’erano disastri di varia natura (come la peste) ma anche contrasti politici. Questa parataxis, come viene definito
l'atteggiamento di opposizione frontale alla leva da Marco Aurelio, quindi giunge alla conclusione che nn si potevano
tollerare i cristiani così come facevano i suoi predecessori. Quindi x circa 15 anni (165-180), la Chiesa conosce la 1 vera
persecuzione e molti + casi di martirio.
Giustino muore nel 165. Negli stessi anni vengono condannati vari vescovi e Policarpo nel 166 o 167 a Smirne. Come
reagiscono i cristiani? Abbiamo una duplice reazione: Aumentano la produzione di scritti apologetici e cercano di
convincere i romani della loro assoluta lealtà per fermare le repressioni. Risale a questo momento anche la famosa
Apologia di Melitone (visto come il manifesto del lealismo cristiano), il vescovo di Sardi che in questo scritto sostiene la
comunanza di destino della Chiesa e dell'Impero, provvidenziale quest'ultimo anche per la salvezza della Chiesa.
Troviamo poi la famosa Supplica di Atenagora di Atene che desidera provare l'equilibrio e la lealtà dei cristiani. Atenagora
mostra tutta la sua fiducia nella ragione impostando un dialogo moderato e posato che termina appoggiando l'idea della
successione dinastica, che poi in effetti si avvererà con Commodo 8vediamo quindi quanto i cristiani erano coinvolti nei
problemi dell’impero).
Il terzo famoso scritto, anonimo, è A Diogneto, che pur contenendo una delle più forti affermazioni dell'estraneità dei
cristiani nei confronti del mondo, appare un atteggiamento di sostanziale lealtà di fronte all'impero: nei capitoli V e VI di
questo testo apologetico (ricorrono frasi sul carattere "paradossale" della vita dei cristiani e sulla loro effettiva
"cittadinanza celeste"), vediamo affermazioni sul lealismo politico i cristiani partecipano a tutto come cittadini,
obbediscono alle leggi stabilite, mantengono il mondo. Dio gli ha dato un posto così nobile che non è loro lecito
sottrarvisi.
Inoltre, appaiono forme di spiritualità segnate dal difficile momento che stava attraversando il rapporto tra cristiani e
impero. All’interno del pensiero cristiano è sempre stato molto importante il martirio: l’Apocalisse di Giovanni per
esempio esprime già un grande apprezzamento per questi testimoni di Cristo, tanto da definirsi “il libro dei martiri”.
Proprio in questo periodo di Marco Aurelio quindi, la spiritualità diventa + forte e da origine a una particolare letteratura:
Gli Atti dei Martiri. Sono di due tipi: o come “verbali” dei processi condotti contro i cristiani dai magistrati romani, come
gli “Atti di Giustino”, o in forma di lettere inviate da una chiesa all'altra per raccontare le vicende drammatiche della
persecuzione come il “Martirio di Policarpo”. Questi testi sono accomunati dall'idea del martirio senza paura, come un
evento di salvezza, un dono di grazia, una liturgia sacra. Nell'arena e nell'anfiteatro dove hanno luogo le esecuzioni è in
atto una gara, una lotta, tra Cristo e Satana, il cui premio è per i martiri l'incontro con Dio, la vita eterna. I martiri con la
loro idea di regno celeste, con le loro risposte ai magistrati che gli chiedevano nome, nazione e cittadinanza, liquidati con
un laconico christianum sum, possiamo considerarli come un vero e proprio primo schieramento militare antimperiale
che suscitava le preoccupazioni dell'imperatore.
Gli Encratiti Questi erano invece Di tendenze anarchiche, esprimono la forma più acuta di diffidenza dei cristiani nei
confronti del mondo e della carne, quasi un nucleo primordiale di monachesimo. Predicano la continenza sessuale ed
alimentare, condannano il matrimonio, adottano uno stile di vita di fuga dal mondo e disprezzo per il corpo. È difficile dire
da dove derivano qst atteggiamenti ascetici cristiani, ma potremmo dire che Le origini dell'encratismo derivano forse:
• da una parte dal dualismo etico escatologico della tradizione giudaica (e quindi la continenza per arrivare al regno dei
cieli);
• dall'altra dal dualismo cosmico/antropologico della tradizione platonica (ke contrappone lo spirito alla carne e
condanna la materia).
Ireneo, come vescovo integrato nella società romana, non vede di buon occhio questi eccessi, e in lui è forte lo spirito
urbano dei romani. Indica come fondatore dell'encratismo Taziano, che vede vicino a Marcione, Valentino e Saturnino e
che polemizza violentemente contro tutta la civiltà greco-romana. Ma l'encratismo, o per lo meno la sua idea, veniva
certo prima di Taziano, almeno l’ideale della continenza. L'encratismo, almeno alle origini, non è una eresia ma una
tendenza, una spiritualità, lo diventa solo quando accentua il suo carattere gnostico.
I Montanisti

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Hanno una caratterizzazione sicuramente più polemica e politica. Vari studiosi hanno ritenuto di cogliere atteggiamenti
montanisti in episodi di autodenuncia ai magistrati raccontati dagli “atti dei martiri”, e vedono proprio in qst
atteggiamenti provocatori una delle cause principali della persecuzione di M. Aurelio (ipotesi nn convincente). La data
ufficiale di formazione del movimento montanista è probabilmente quella indicata da Eusebio, tra il 171 e il 172
successiva all’inizio delle persecuzioni. Ma soprattutto qst natura “politica” del montanismo viene messa in discussione
visto che potevano sembrare alle autorità pericolosi sul piano politico.
Tuttavia, Conosciamo male il montanismo originario, perché i suoi scritti erano spesso sotto forma di oracoli di leader
raccolti da seguaci come testi ispirati, e sono andati quasi completamente perduti. Pare che nasca da un certo Montano,
un profeta frigio che predicava assieme a due donne di nome Priscilla e Massimilla. Il montanismo sembra un revival
dell'entusiasmo apocalittico. Si presenta come una nuova profezia che prende spunto dall'Apocalisse di Giovanni quando
parla di Gesù che promette di inviare il Paraclito (lo Spirito Santo). In nome di ciò sancisce che la fine del mondo è vicina e
invita i suoi seguaci a riunirsi nella valle di Pepuza. Il montanismo è considerato non tanto un movimento dottrinale ed
eretico quanto ascetico e profetico, protestatario nei confronti di una Chiesa sempre più secolarizzata.

16 La critica di Celso ai cristiani (177-180)

Le critiche verso i cristiani da parte dei pagani si facevano sempre + forti proprio perché gli argomenti degli apologisti
difficilmente potevano apparire convincenti. Verso la fine dell’impero di M. Aurelio, vediamo Celso ke è un intellettuale
pagano che dedica per la prima volta un intero libro alla polemica contri i cristiani. Dare una valutazione precisa di
quest’opera nn è possibile perché la figura dell’autore è un mistero e l’opera ci è arrivata solo parzialmente.
Sappiamo solo che si intitolava Alethes Logos, cioè la vera dottrina. Probabilmente è stato composto tra il 177 e il 180
durante gli anni della correggenza di M. Aurelio e il figlio Commodo. Il contenuto lo conosciamo solo grazie al Contra
Celsum di Origene, del 248, che ribatteva punto per punto le idee di Celso. Chi fosse Celso non lo sappiamo xké dall’opera
non risulta e nn lo sapeva più nemmeno Origene.
In quest’opera è come se Celso volesse rispondere alle argomentazioni degli apologisti (in particolare alcuni pensano alle
Apologie di Giustino). Sono critiche intelligenti e posate, inquadrate in un discorso organizzato e organico di carattere
principalmente filosofico. Celso è un intellettuale platonico e combatte nei cristiani un’idea di Dio e dell’uomo che ritiene
scandalosa. È convinto che il mondo sia un tutto ordinato di cui l'uomo è un infinitesimo frammento. Dunque per lui
l'antropocentrismo cristiano è inconcepibile è impossibile che Dio si occupi tanto degli uomini e soprattutto di quegli
uomini senza valori e dignità come i giudei e i cristiani. I cristiani sono paragonati a grappoli di pipistrelli, formiche uscite
dalla tana, rane in riunione in uno stagno fangoso e vogliono stabilire chi di loro è più colpevole. Per un platonico convinto
dell’immutabilità di Dio è Inconcepibile pure l'idea dei cristiani di un Dio che abbandona la sua quiete perfetta e si incarna
in un uomo. A che scopo? Apprendere ciò che accade tra gli uomini? Sa già tutto no? E se lo sa che fa? Scende a
correggerli? O non sa farlo o ha bisogno di un uomo in carne e ossa per farlo? Se Dio scende davvero sulla terra deve
subire un mutamento (dal bene al male, dal bello al brutto, dalla felicità all’infelicità) ma chi sceglierebbe un
mutamento del genere?
Celso poi sfrutta i dati dei Vangeli e tutte le dicerie che correvano su Gesù in maniera abile per disegnare una immagine
caricaturale e negativa di Gesù e dei discepoli Gesù è un ignorante nato da una donna scacciata dal marito per
adulterio. Parlava male anche dei suoi miracoli (opere di magia o di millanteria), la cui testimonianza di risurrezione è
affidata a gente poco affidabile (una invasata come la Maddalena o qualche compagno di stregoneria). Dice che i discepoli
sono peggio di lui perché sono 10 0 11 uomini screditati, uomini miserabili e cn qst è dovuto scappare per nn farsi
arrestare dalle autorità. La preoccupazione di Celso sembrerebbe essere non tanto religiosa o filosofica ma sociale e
politica. Celso odia i cristiani perché li vede come un gruppo che si sottrae ai suoi doveri civici, un vero e proprio inno
alla rivolta. Essi non osservano infatti i culti delle regioni in cui abitano, non partecipano alle feste cittadine, non ricoprono
cariche pubbliche, non prestano servizio militare. In una parola, si astengono ostentatamente dal partecipare alla vita
pubblica del paese in cui vivono e con ciò si collocano ai margini della società civile, si pongono al di fuori delle sue
istituzioni tramandate dunque al di fuori di tutto quanto di più "sacro" c'è nella vita cittadina. In qst sono peggiori perfino
dei giudei. Ma mentre i giudei sono nati da una rivolta, da un'apostasia, dagli egiziani, hanno almeno una loro antichità
che le rende rispettabili; sono infatti ancestrali come quelle degli altri popoli. Mentre i cristiani, nati da una rivolta, da
un'apostasia, dal giudaismo, sono contro tutte le tradizioni.
Ma la preoccupazione di Celso (come in M. Aurelio) è anche religiosa definita la “religiosità dei persecutori”. Il rifiuto dei
cristiani di partecipare alla vita pubblica è per Celso un vero e proprio «grido di rivolta» e li vede cm sovversivi. Ma qst va
al di là dell’aspetto politico perché mette in discussione la sostanza del mondo antico . Celso vede nell’astensionismo
cristiano il rifiuto a servire due padroni: loro appartengono a Cristo e non sottostanno ai doveri pubblici e per come
intendono la libertà e la cittadinanza sono messi contro l’impero. Libertà e cittadinanza non consistono più nella
partecipazione alla vita pubblica della città terrena, ma nell' appartenenza paradossale ed esclusiva alla città celeste. La
loro apostasia quindi era pericolosa xké vengono messe in discussione le tradizioni e le istituzioni del mondo antico (già
ritenuti in pericolo da M. Aurelio per la pressione dei barbari ai confini dell’impero e per le crisi sociali interne).

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Quindi Celso conclude l’opera con un appello ai cristiani (che per alcuni è il vero scopo dell’opera): raccogliersi intorno
all’imperatore e collaborare con tutte le loro forze x difendere le leggi e la pietà.

17 La teologia di Ireneo di Lione (130 – 202)

Lo scritto di Celso riceverà una critica solo nel 248 da Origene (Contra Celsum). Infatti la Chiesa aveva in qst momento
problemi troppo grandi per pensare a Celso. Tra la fine del II secolo e l'inizio del III si assiste ad un poderoso sforzo della
Chiesa per darsi un assetto dottrinale e organizzativo più definito. Dovrà affrontare innanzitutto tre grandi problemi:
• Il problema della Pasqua. Dibattito avvenuto verso il 165. Era una questione soprattutto liturgica e disciplinare. Questo
problema è un riflesso dei conflitti col giudaismo. Si trattava di stabilire se il 14 del mese di nisan (la data accolta dalla
tradizione ebraica) era ancora il giorno della celebrazione del banchetto pasquale con l'agnello, o se il rito era
completamente da abolire in quanto Gesù era l'agnello pasquale vero e unico. I giudeo cristiani infatti non volevano
abolire il banchetto e abbandonare le pratiche rituali della legge mosaica. Melitone e Apollinare, invece, che pure erano
quartodecimani (cioè festeggiavano la pasqua il 14 del mese di nisan), sostenevano che la Pasqua cristiana aveva
completamente abolito il rito giudaico della Pasqua. Nella Pasqua non si celebra più la consumazione dell'agnello ma la
morte del Signore al posto dell'agnello. Ippolito conclude dicendo che quel giorno Cristo la Pasqua non l'ha mangiata ma
sofferta.
• Il problema del montanismo. Era necessaria anche una presa di posizione dei vescovi contro molti montanisti. Qui il
problema era tanto dottrinale come organizzativo. Il montanismo aveva suscitato notevole fascino sulle chiese d'Asia, per
la loro sostanziale ortodossia, per l'entusiasmo profetico, per l'intransigenza morale dei suoi seguaci. Ma i maggiori
vescovi del tempo temevano una degenerazione settaria in questa ripresa della protesta apocalittica contro il mondo e la
civiltà greco-romana, che del resto suscitava numerose proteste dell'impero romano. La questione era molto importante
per le sorti della religione cristiana: infatti si sentì l’esigenza per la 1 volta di riunire assemblee di chiese vicine per
discuterne apertamente (e qst è un momento molto importante x i futuri sviluppi “conciliari” della organizzazione
ecclesiastica).
• Il problema dello gnosticismo. Era certamente il problema più importante la presenza degli gnostici. I seguaci degli
gnostici dilagavano oramai in tutte le comunità cristiane. La confutazione più organica e completa dello gnosticismo viene
proprio da Ireneo da Lione che contribuisce alla “cattolicizzazione” della chiesa.

Ireneo nasce a Smirne nel 130 e la sua confutazione anti gnostica si compie tra il 180 e il 190 con i suoi cinque libri del suo
Adversus Haereses. Fu allievo di Policarpo, vescovo quartodecimano messo a morte da Marco Aurelio nel 166/167. Ma
poi andò in Gallia dove aveva vissuto il terribile massacro di Lione nel 177 e già qui aveva avuto rapporti stretti con la
Chiesa di Roma. La teologia di Ireneo conserva molti elementi asiatici (come l'accettazione della tesi millenaristica, cioè la
convinzione che l’avvento del regno di Dio sarebbe stato preceduto da 1 periodo di 1000 anni di regno di Cristo con i giusti
sulla terra) ma l'orientamento della sua teologia è tipicamente romano. E questo orientamento si avverte nella polemica
antiagnostica. Infatti, l'importanza di Ireneo per la storia del pensiero cristiano è sicuramente in particolare nella
confutazione della dottrina gnostica, soprattutto valentiniana, che lo porta a fondare la prima vera “teologia della storia”
del pensiero cristiano, dando una vistosa accentuazione a tutti quegli elementi teologici di carattere istituzionale (canone
neotestamentario, tradizione ecclesiastica, poteri episcopali, primato romano) che saranno l'ossatura della nascente
Chiesa cattolica.

17 La teologia di Ireneo di Lione rivolta al fedele

Ireneo comincia prendendo spunto dalla polemica contro Marcione sul problema dell'unità di Dio e della continuità dei
testamenti. Non ci sono due dei dell’Antico e Nuovo testamento ma un unico Dio regge e governa il mondo e la storia
umana, accompagnandolo dalla creazione all'incarnazione di Cristo attraverso le tappe dei due testamenti. Il vecchio
testamento contiene persone ed eventi che rinviano simbolicamente a qll del nuovo e preparano all'avvento di Cristo.
Quindi Cristo non ha abolito la Legge ma l'ha completata.--> Al contrario i precetti fondamentali della Legge e del Vangelo
sono identici: l’amore di Dio e l'amore del prossimo.
La polemica si sposta poi sugli “pneumatici” (che Ireneo collega con i marcioniti), che affermavano che con venuta di
Cristo e il dono dello Spirito Santo l'uomo ha raggiunto la perfezione finale e che questo processo di crescita, iniziato con
la creazione di Adamo e compiutosi nell’incarnazione di Cristo, deve continuare finché l’uomo diventi interamente a
immagine e somiglianza di Dio.
Dopo l'incarnazione, infatti, lo Spirito Santo continua a guidare l'uomo verso la perfezione finale, con una crescita
tranquilla nel tempo della Chiesa. Prima dell'avvento del regno di Dio, ci saranno mille anni di regno di Cristo durante i
quali i giusti si abitueranno a comprendere Dio.

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Ma la polemica principale di Ireneo è contro i valentiniani e ha affrontato principalmente il problema della cristologia:
parte dal ribadire l’identità di Gesù con Cristo. Non ci sono un Gesù nato "attraverso" la Vergine e un Cristo impassibile
disceso su Gesù al momento del battesimo, come vuole Valentino. Ma la redenzione è opera del Verbo fatto carne, che è
quello stesso Gesù Cristo che ha patito, è morto ed è risorto, Figlio di Dio divenuto Figlio dell'uomo. I valentiniani, dice
Ireneo, scindono le due nature di Cristo perché sono ostili nei confronti della realtà materiale, che è invece cosa buona e
afferma la bontà del mondo e la salvezza della carne. Il mondo è creato da Dio e non dal demiurgo. L'incarnazione del
Verbo ottiene la salvezza di tutto l'uomo, corpo e anima, non soltanto dell' anima, o dell'uomo spirituale. La carne non
viene abbandonata ma salvata con lo spirito. Il regno di Cristo quindi anticipa il regno di Dio nei cieli.
Un altro aspetto significativo del pensiero di Ireneo è quello relativo al potere politico. Scrivendo sotto Commodo (180-
I92), in un periodo quindi che è non soltanto di pace per il mondo romano ma anche di tranquillità per i cristiani, Ireneo,
ringrazia infine i romani. Con Commodo i cristiani possono viaggiare per terra e per mare in tutta serenità e senza alcun
timore. Quindi l'Impero è buono per i cristiani e non deriva da Satana, non può essere l'Anticristo. Hanno quindi torno gli
agnostici che vedono nel numero 666 dell’Apocalisse l’impero romano. È Dio, non il demonio, che assegna i regni di
questo mondo.
La teologia di Ireneo costituisce già il primo grande tentativo di sistemazione organica del pensiero cristiano, la prima vera
apparizione di una teologia cattolica che si preoccupa del semplice fedele più che delle élites di intellettuali. Ma questo
carattere "cattolico" appare ancora più evidente nella presa di posizione di Ireneo sul problema delle fonti e delle norme
della dottrina cristiana. Ireneo afferma due principi fondamentali per la lettura e l'interpretazione della Scrittura:
• il rispetto dei testi nella loro unità materiale;
• l'esigenza di una lettura di carattere ecclesiale;

Questo non lo fanno marcioniti e valentiniani, che preferiscono tagliare a loro piacimento i libri dei due testamenti e
interpretare arbitrariamente ciò che mantengono dei testi. Ma la Scrittura rifiuta queste manipolazioni. Antico e Nuovo
Testamento, V angeli, Atti degli Apostoli, lettere paoline e Apocalisse costituiscono un unico corpo di dottrine, un solo
deposito di tradizioni e devono essere conservati integralmente.
Sono i vescovi in particolare a custodire e garantire il deposito della dottrina perché sono i vescovi che con la successione
degli apostoli ne hanno ereditato il dono della verità. La chiesa di Roma possiede poi una antichità particolarmente
eminente perché proviene da Pietro e Paolo. È questa la prima base teologica per le pretese di Roma sulle altre chiese.
La gerarchia ecclesiastica conosce, nel periodo di Ireneo, uno sviluppo decisivo. All'epoca le Chiese hanno ormai una solida
organizzazione e si impone l’episcopato monarchico. I vescovi sono i capi delle chiese con delle liste episcopali che
testimoniano la diretta discendenza di un vescovo da un determinato apostolo (così da contestare gli gnostici).
Alla fine del secolo c’è cmq un avvenimento importante che segna una svolta del rapporto delle chiese con Roma: cioè un
conflitto tra la chiesa di Roma e quelle dell’Asia. I vescovi dell'Asia, seguendo la tradizione giudaica, celebravano la Pasqua
il 14 del mese di nisan e commemoravano nella festa la morte di Gesù. La chiesa di Roma, recidendo invece ogni legame
con la tradizione giudaica, festeggiava nella Pasqua la risurrezione di Gesù e ne spostava la celebrazione alla domenica
successiva. Addirittura la Chiesa Romana nel 190 col vescovo Vittore vorrà imporre anche alle chiese d'Asia la nuova
interpretazione della Pasqua, che sancirà la rottura definitiva col giudaismo, suscitando le proteste dello stesso Ireneo
che aveva abbandonato la sua posizione di quartodecimana x aderire alla prassi domenicale romana. È un passo decisivo
verso l’affermazione della chiesa di Roma.

18 La rottura definitiva del cristianesimo col giudaismo (fine del II secolo)

La vicenda quartodecimana può essere letta come il distacco definitivo del cristianesimo dalla tradizione giudaica. Erano
considerati “giudaizzanti” quei quartodecimani che il 14 del mese di nisan volevano festeggiare il banchetto pasquale, ma
adesso dai sostenitori della Pasqua domenicale potevano essere considerati giudaizzanti anche coloro che volevano
conservare il 14 nisan (anche se come giorno della passione di Gesù). Vittore vuole l’adozione della Pasqua domenicale e
quindi (dopo aver già sostituito la circoncisione e il sabato con il battesimo e la domenica) anche la pasqua giudaica veniva
sostituita dalla pasqua cristiana. Quindi alla fine del II sec abbiamo qst rottura con il giudaismo.
Si esplica in tre argomenti fondamentali l’antisemitismo cristiano:
• L'accusa di deicidio. Chi ha messo a morte Gesù? A chi va attribuita la responsabilità? il Sinedrio o Pilato, gli ebrei o i
romani? Negli ultimi decenni gli ebrei hanno giustamente reagito a un'accusa che non soltanto ne faceva gli unici
responsabili della morte di Gesù ma, estendendo questa responsabilità a tutto il popolo ebraico, vedeva in quest'ultimo
l’autore di un "deicidio". Una corrente di studiosi afferma che il Sinedrio giudaico all'epoca aveva ancora facoltà di
mettere a morte senza bisogno di rivolgersi al governatore romano. Altri dicono che sia stato Pilato a ratificare la
condanna. Il Vangelo di Marco, che è la nostra fonte più antica, indica che il popolo giudaico non aveva nessuna colpa.

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Secondo Marco, la predicazione di Gesù ebbe molto successo (ma un successo che Marco esagera perché gli evangelisti
avevano la tendenza ad accentuare gli aspetti messianici) e intere folle lo seguivano. In realtà furono gli scribi e i farisei del
Sinedrio ad accusarlo rilevando tutte le trasgressioni della Legge commesse da lui. Sono i sinedriti che decidono di
mandarlo a morte a Gerusalemme e non potendolo fare di persona perché privati dai romani del potere di uccidere, si
rivolgono a Pilato (governatore della provincia di Giudea) e Pilato ratificò la morte per ragioni politiche.
Ma i cristiani, affamati di lealismo nei confronti dei romani, iniziarono ad addossare interamente le colpe agli ebrei.
Matteo e Luca già attenuano un po' le responsabilità di Pilato nei loro vangeli. Luca fa dire tre volte a Pilato di non trovare
motivo d'accusa verso Gesù. Negli Atti degli Apostoli e nel Vangelo di Giovanni si afferma esplicitamente che l'unica
responsabilità è degli ebrei che si oppongono a Gesù.
Nel II secolo il processo tende ad amplificarsi, con un accentuarsi della polemica dei cristiani contro i giudei. Nel Vangelo
di Pietro è Erode (re della Giudea) a ratificare la condanna, non Pilato. Giustino dice che sono stati gli ebrei e non i romani
a metterlo a morte. Nell' “Omelia sulla pasqua” di Melitone da Sardi i romani scompaiono direttamente, e ci sarà un
processo di attenuazione della colpa di Pilato fino alla cristianizzazione di quest’ultimo e la sua canonizzazione nelle chiese
copte ed etiopiche. Si inizia a fare strada la pericolosa idea che siano tutti gli Ebrei gli assassini di Cristo e che questo sia
stato l'ultimo di una lunga serie di atti infedeli di Israele, E questo fa di esso il popolo deicida, rappresentante del mondo
ostile a Dio.
A questo aspetto se ne aggiunge un secondo:
• La giusta punizione dei Giudei per il deicidio. Ma la giustizia è arrivata e la colpa ha ricevuto la sua pena. Trentasei anni
dopo scoppia la rivolta dei Giudei contro Roma, e Gerusalemme e il tempio vengono distrutti: finisce in un bagno di
sangue e la distruzione dei templi e segna la fine del popolo giudaico come entità politica.
I polemisti cristiani sfruttano abilmente la coincidenza vicina della morte di Gesù con la distruzione di Gerusalemme, un
castigo di Dio (Era consuetudine diffusa nel popolo giudaico leggere le proprie disgrazie come un castigo inviato da Dio
per punire le colpe del suo popolo). Raccogliendo questa tradizione i cristiani hanno visto perciò nella distruzione della
città santa e nella scomparsa della nazione giudaica la punizione divina per il crimine commesso dagli ebrei contro Gesù.
Già in Matteo viene abbozzata questa lettura teologica della storia. La parabola della grande cena diventa in Matteo la
parabola delle nozze regali. E il re che manda a incendiare la città degli invitati è Dio che, attraverso i romani, colpisce il
popolo ebraico. La seconda conseguenza pericolosa è che si fa strada l'idea dei romani come strumento inconsapevole
della volontà di Dio (e quindi un ruolo provvidenziale) e degli ebrei giustamente condannati per le loro continue infedeltà.
Giustino arriva a dire che la circoncisione era il giusto segno che indicava gli ebrei, gente da condannare. Melitone dice
che mentre Gesù era crocifisso, gli ebrei gioivano e danzavano nelle case.
 La lettura del Vecchio Testamento alla luce esclusiva del Nuovo Testamento.
Abbiamo un terzo aspetto di questa questione: Abbiamo già visto che i cristiani si pongono fin dall'inizio come gli eredi di
Israele. Essi affermano di essere il nuovo, il vero, Israele, che ha sostituito l'Israele secondo la discendenza carnale. Il
popolo di Dio non è più Israele, ma la Chiesa perché i Giudei hanno perso i loro privilegi. Gli ebrei sono la discendenza
carnale, i cristiani quella spirituale.
Il privilegio ebraico ancora sostenuto da Paolo finisce per scomparire. La promessa fatta ad Israele ha trovato compimento
nella Chiesa. La vecchia alleanza sul monte Sinai è sostituita da quella fatta con il sangue di Gesù. La Scrittura, dice
Giustino, afferma chiaramente che sono due le discendenze di Giuda, le stirpi di Giacobbe, «l'una generata dal sangue e
dalla carne, l'altra dalla fede e dallo Spirito». Quando dunque essa chiama il Cristo «Israele» e «Giacobbe», afferma
altrettanto chiaramente che non sono i giudei ma i cristiani «la vera stirpe di Israele».
Queste affermazioni, come è evidente, trovano infatti per Giustino e Melitone, come per tutti i cristiani, la loro conferma
nella Scrittura. Ma è altrettanto evidente che esse richiedono nello stesso tempo una interpretazione particolare della
Scrittura. Per i cristiani Gesù è il Messia che ha portato a compimento la storia di Israele. Ma ora tutta la Scrittura giudaica
viene riletta e reinterpretata come una grande profezia, una grande "parabola", del Cristo. Si può dire che non c'è frase o
avvenimento dell'Antico Testamento che non faccia riferimento diretto o indiretto a lui (e non + quindi letti in riferimento
alla storia del popolo giudaico ma rinviano tutti a Cristo). Questo ha conseguenze impo nella discussione tra cristiani e
giudei sulla scrittura: Per i cristiani i giudei non capiscono la Scrittura perché la interpretano alla lettera, in modo
materiale, non ne colgono il valore profetico, di prefigurazione. Manca loro la chiave di lettura che solo lo Spirito può dare
e pensano che parli solo della storia del popolo e delle prescrizioni della Legge. Ma il valore della Scrittura, dell'Antico
Testamento, è proprio quello di aver preannunciato la venuta di Cristo. Il suo senso è interamente "cristologico". La Legge
ha trovato infatti il suo compimento nel V angelo e il popolo la sua realizzazione nella Chiesa. Solo i cristiani possiedono
allora la chiave per comprendere la Scrittura. I giudei sono invece accecati e non possono farlo.
Queste potrebbero anche essere viste come ragioni all’origine dell’antisemitismo cristiano (anche se qst discorso è molto
+ complesso e + amplio).

19 Sviluppi liturgici e dottrinali. Il monarchianismo

22
Con Ireneo e Vittore abbiamo un grande sviluppo della religione cristiana e della istituzione ecclesiastica e questa fase può
essere definita “cattolicizzazione “ del cristianesimo. Dalla lotta contro giudei, marcioniti, gnostici e montanisti è emersa
la figura della Chiesa Cattolica (1 organismo religioso universale con 1 propria dottrina, un culto e 1 organizzazione).
L’impero inoltre, in qst periodo, consente alla Chiesa di rafforzarsi. Già con l'imperatore Commodo (180 – 192) la Chiesa
gode di un lungo periodo di pace. Nn vuole essere attaccato alle tradizioni e nn mostra antipatia verso i cristiani. Anzi, la
concubina di Commodo, Marcia, mostra una aperta simpatia per il cristianesimo, così Commodo interviene a mitigare le
conseguenze della persecuzione paterna liberando alcuni cristiani.
La dinastia dei Severi (192 – 235) amplia ancora di più il clima di pace. Di origine afro-siriana, dunque non legato troppo
alla tradizione romana, vide salire al trono nell'ordine Settimio Severo, Caracalla, Eliogabalo e Alessandro Severo.
L'influenza delle potentissime donne della corte, in particolare Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, e Giulia
Mammea, nipote di Settimio Severo e madre di Alessandro Severo, apre al pensiero e alla cultura orientale l'impero
romano. Il cristianesimo, di origine orientale, non poteva non beneficiarne. Addirittura Giulia Mammea fece venire da
Antiochia Origene per discutere di religione.
In questo clima di pace la Chiesa può lavorare al suo consolidamento. Con la dinastia dei Severi abbiamo l’età classica del
“sincretismo” religioso cioè il cristianesimo nn è + considerato come religione ostile alla tradizione romana ma, come il
giudaismo, è assimilabile. Sincretismo religioso vuol dire infatti tentativo, a volte consapevole a volte inconsapevole, di
assorbire anche il giudaismo e il cristianesimo nella religione romana.
Quindi in qst periodo di quiete la Chiesa si dedica a rafforzare la sua struttura culturale: vediamo che x quanto riguarda il
problema della Pasqua, ricordiamo che Vittore cerca di imporre il festeggiamento della Pasqua domenicale in Asia, ma
nonostante alcune differenze ancora presenti tra le varie chiese, possiamo dire di avere una liturgia sostanzialmente
unitaria. La celebrazione comincia con un digiuno obbligatorio (2 o + giorni), e culmina con la vigilia notturna tra il sabato
e la domenica di delinea così quella che sarà poi definita “settimana santa” (particolarmente impo i giorni di venerdì,
morte di cristo, e notte sabato/domenica, resurrezione).
L'innovazione più importante è sicuramente quella del catecumenato: il periodo di preparazione ufficiale al battesimo
sotto la direzione ecclesiastica, motivato dalla necessità di sorvegliare l'esatto culto cristiano, da sottrarre alle varie eresie,
e dalla necessità di dare una fede più solida al credente in vista di nuove possibili persecuzioni per scongiurare possibili
rinnegamenti. Si analizzavano le qualità morali del candidato, che doveva avere una condotta ineccepibile e doveva essere
garantito da un uomo di provata fede x assicurarne la conversione e la serietà. Quindi il maestro dei catecumeni
esaminava il candidato, i motivi della conversione, la situazione matrimoniale e la professione svolta. Andavano poi
abbandonate tutte le professioni ritenute inconciliabili con la fede cristiana e legate al culto cristiano: indovino, sacerdote,
astrologo, attore e quelle considerate immorali. Erano tollerate le professioni di maestro e soldato a condizione che non
professassero idolatria.
I candidati andavano poi istruiti. Ireneo e Tertulliano parlano della famosa regula fidei, l'insieme delle verità fondamentali
della religione cristiana, espresso principalmente in formule di confessione che costituiscono i primi simboli della fede. Su
queste verità il candidato che vuole battezzarsi viene interrogato, e viene istruito anche sulla Traditio apostolica e sulla
lettura di brani della Scrittura. Il catecumenato durava tre anni e si conclude con un esame. A qst seguiva un periodo di
pratiche penitenziali e infine si è ammessi al battesimo. Il battesimo e la sua liturgia vanno anche perfezionandosi.
Il sacramento si impartiva alla vigilia pasquale, accentuando quindi il suo carattere di passaggio dalla morte alla vita. Si
battezzavano in ordine: bambini, uomini, donne. Si ungeva la fronte e si imponevano le mani rinunziando a Satana, poi si
professava una triplice professione di fede tratto dalla Tradizione apostolica.
Ma problemi di carattere dottrinale continuavano a rimanere aperti: La persona di Gesù Cristo. Chi era e quale era il suo
rapporto col padre (l’unico Dio)? Questi problemi cristologici e trinitari impegnano la chiesa x secoli. Una soluzione geniale
viene dall’apologetica: Giustino e Teofilo avevano intelligentemente sistemato la faccenda ispirandosi al prologo del
Vangelo di Giovanni, identificando Gesù con il Logos. Il Logos era prima immanente (endiatheos) al Padre, era stato
proferito dal padre (prophorikos) all'atto della creazione. La trascendenza assoluta di Dio e la natura divina di Gesù
apparivano in tal modo entrambe garantite. Cristo era dunque il Logos, il verbo, proferito e incarnato tramite Maria,
quindi l’apparizione visibile della parola di Dio. Ma questo non risolveva i problemi dell'unità divina e del rapporto del
Figlio e dello Spirito Santo col Padre.

19.1 Caratteristiche del Monarchianismo

Alla fine del II secolo vengono date due soluzioni a qst problemi, entrambe definite MONARCHIANE ma che in realtà sono
antitetiche e quindi definite in modo diverso:

23
• Monarchianismo dinamistico, detto anche Adozionismo. È stato sostenuto a Roma da Teodoto: L'adozionismo porta
alle estreme conseguenze la posizione subordazionistica degli apologisti. Teodoto sosteneva che Gesù era soltanto un
uomo sul quale il battesimo aveva fatto sì che scendesse la forza di Dio elevandolo al rango di figlio adottivo. Si salvava
dunque l'unità divina sacrificando la divinità di Gesù e vedendolo solo come un figlio adottivo. L'unità divina era quindi
salvata sacrificando la divinità di Gesù e vedendo in lui un semplice uomo adottato da Dio. Posizione razionalistica che
rifiuta l'incarnazione di Dio e fu accolta solo dai ceti più intellettuali e condannata dal vescovo Vittore alla fine del II sec.
• Monarchianismo modalistico, detto anche Modalismo. Ebbe una diffusione molto più vasta ed è la vera forma di
monarchianismo. La gente semplice rifuggiva le soluzioni troppo intellettuali (Logos, Adozionismo) e non accettava
comunque di rinunciare all’unità di Dio e alla divinità di Gesù.
Noeto, un cristiano di Smirne, sembra essere colui che ha dato inizio al monarchianismo e l'ideatore di una nuova
soluzione, che conosciamo solo perché Ippolito ne parla nel Contra Noetum e nella Refutatio omnium haeresium. Noeto
difendeva la divinità di Gesù e l'unità di Dio e cercava di affermare con la forza la divinità di Gesù e cercava di salvare
l’unità di Dio riducendo il Padre e il Figlio a forme, a modi di essere, della divinità. Pur portando, nelle sue estreme
conseguenze, ad affermazioni inaccettabili per la fede cristiana, come quella che è il Padre stesso che ha sofferto sulla
croce, questa posizione rispondeva bene alla fede dei meno colti perché non soltanto ebbe notevole diffusione tra i
semplici credenti ma qualche simpatia riscosse pure tra i vescovi di Roma.
Epigono e Cleomene, suoi discepoli, portarono il modalismo a Roma, sostenuto anche da un certo Prassea, di cui parla
Tertulliano nel suo Adversus Praxean. Il modalismo non considera lo Spirito Santo, dato che Ippolito accusa Noeto di
bestemmiare contro lo Spirito Santo, e si impegna a difendere il trinitarismo. Una dottrina certamente più vicina ai ceti
popolari e che per questo ebbe molta diffusione. Attenuava però molto la paradossalità del vivere cristiano e il contrasto
ideologico col mondo romano. Fu duramente contrastata a Roma da Tertulliano e da Ippolito in Oriente.

20 Ippolito e Tertulliano (II sec.)

La figura di Ippolito è stata oggetto negli ultimi anni di numerosi studi e discussioni a causa del mistero che fin
dall’antichità avvolge la sua figura. L’opera pubblicata nel 1851 con il nome Philosophumena, viene attribuita a Ippolito di
Roma e narra le vicende romane e descrivono il suo scontro violentissimo col vescovo di Roma, Callisto. Contiene inoltre
un’esposizione sintetica della fede cristiana dove vediamo una teologia binitaria (cioè basata solo su Padre e Figlio e nn
considera lo Spirito Santo) e in contrasto con la tesi del Contra Noetum (sempre di Ippolito) in cui emerge una teologia
trinitaria. Per questo e per altri motivi gli studiosi sono portati a parlare e a distinguere le due figure e a parlare di due
Ippolito, uno romano e uno orientale, anche se c’è chi pensa che il pensiero di Ippolito con il tempo si sia evoluto.
Ippolito è maturato in Asia Minore, probabilmente a Smirne, nel clima di entusiasmo apocalittico della fine del II secolo
(momento segnato dal movimento dei montanisti e dalla persecuzione di Settimo Severo, 202). Dunque i suoi primi
interessi sono esegetici e sono puntati sui problemi che trattano la fine del mondo e dell’impero romano e si interessa dei
testi dell’Antico e Nuovo testamento: il Libro di Daniele e l'Apocalisse di Giovanni. Prende le distanza dall’estremismo dei
montanisti e dai fanatici che vanno nel deserto aspettando la fine e Ippolito esprime una grande contrapposizione dei
cristiani contro l’impero: qst fondata su una consapevolezza della propria identità di fede, che era tipica in particolare
dell'Apocalisse di Giovanni.
Ippolito, a differenza di Ireneo, riconosce nei romani la bestia che sale dal mare, e vede in cristiani e romani due eserciti
contrapposti, uno secondo la potenza di Satana e l'altro secondo la potenza di Dio. Ma quando compare il
monarchianismo in Asia, Ippolito prende a cuore il problema trinitario e scrive il Contra Noetum dove sostiene la
concezione della divinità non monarchica ma economica (cioè in tre unità distinte) e dove a indicare le "persone" del
Padre e del Figlio ha introdotto per la prima volta il termine prósopon.
A Roma la posizione di Ippolito si fa però difficile. I vescovi Vittore e Zefirino mostravano un atteggiamento incerto nei
confronti dei monarchiani ma Ippolito pensa che papa Callisto sia troppo incerto nel prendere posizione contro i
monarchiani e adottava sul piano etico e disciplinare provvedimenti che sembravano a Ippolito troppo permissivi e che
fosse in generale troppo generoso con gli abiuratori della fede in seguito alle persecuzioni che venivano riammessi.
L'intransigenza di Ippolito rivela la ormai avvenuta secolarizzazione della Chiesa. Si giunge così al violentissimo scontro tra
Ippolito e il vescovo Callisto, che Ippolito pone come uno scontro tra la Chiesa (la sua) e una scuola (quella di Callisto) nei
Philosophumena.

Tertulliano era uno scrittore africano di Cartagine che ha numerose affinità con Ippolito. Nei suoi primi scritti affronta il
problema dei rapporti tra i cristiani e l’impero romano e difende il cristianesimo dalle accuse dei pagani. Nel suo famoso
Apologetico difenderà con veemenza il cristianesimo dalle accuse dei pagani, inaugurando la letteratura cristiana di
origine latina.

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Le argomentazioni di Tertulliano sono di origine giuridica e contestano ai romani la sostanziale illegalità della loro
legislazione religiosa. Confuta pesantemente la lettera di Plinio a Traiano che costituiva ancora la base giuridica della
condanna ai cristiani. Alla critica di essere contro i valori più sacri del mos maiorum, risultando dunque improduttivi e
infruttuosi, Tertulliano risponde appellandosi alla verità e alla moralità della religione cristiana che impedisce loro di
partecipare alla vita pubblica. Se la società romana si aprisse ai valori cristiani, i cristiani prenderebbero parte alla vita
civile. Ma per Tertulliano gran parte delle attività pubbliche sono intrise di idolatria e nel De Spaectaculis giudica immorali,
osceni e idolatrici i giochi. La veritas è al di sopra della consuetudo. Se la legge è sbagliata si modifica.
Ma Tertulliano riconosce che l’argomento non poteva ritenersi sufficiente e quindi Si scaglia anche contro le eresie, forte
di una tradizione ormai consolidata. Nel De praescriptione haereticorum invita anzi a prescrivere gli eretici perché solo
nella Chiesa Cattolica è stata trasmessa la vera dottrina. Confuta così le dottrine eretiche e scrive contro il marcionismo
nel Adversus Marcionem tra il 207 e il 212, che però non appare molto originale perché si serve degli scritti di autori
precedenti come il Dialogo con Trifone di Giustino o l'Adversus Haereses di Ireneo. Inoltre scrive anche contro i giudei e gli
gnostici.
Sul piano teologico Tertulliano difende strenuamente il Logos e contribuisce all’evoluzione del dogma trinitario e non
rifiuta innovazioni audaci sul piano linguistico e concettuale. Nell'Adversus Praxean insiste sulla pluralità delle persone
divine, introducendo quei termini di “trinitas” e “persona” che avranno tanto successo in futuro, ed è lui a esprimere al
meglio la teoria del dogma trinitario: una substantia, tres personae.
Ma Tertulliano è simile a Ippolito nella sua condanna di una Chiesa ormai secolarizzata e troppo incline ai patteggiamenti
col mondo. Nell'ultima parte della sua vita, proprio per questo, probabilmente aderirà al movimento montanista
scagliandosi contro il lassismo chiesastico su argomenti delicati come il servizio militare (De Corona), le seconde nozze (De
monogamia), la fuga in seguito a persecuzione (De fuga in persecutione).

Ippolito e Tertulliano possono essere visti come coloro che hanno fatto il primo grande sforzo organico per dotare il
pensiero cristiano di quegli strumenti linguistici e concettuali che già la precedente apologetica aveva cominciato a
utilizzare e che erano indispensabili per poter competere con la cultura ellenistica e farsi dunque accettare dai ceti sociali
più elevati. Rispetto a Ireneo essi rivelano indubbiamente una sensibilità più profonda per i problemi teologici più
complessi e una maggiore apertura verso la cultura profana.

21 I teologi alessandrini

Non c'è stata una missione paolina in Egitto quindi il cristianesimo approda tardi qui. Non sappiamo nulla delle origini del
cristianesimo di Alessandria ma sappiamo che quando appaiono i primi scrittori cristiani alessandrini, il loro livello di
preparazione dottrinale e letteraria è molto alto. È soltanto alla fine del secolo che possiamo cominciare a parlare con
sicurezza di una storia cristiana di Alessandria.
Non esiste una vera e propria scuola ecclesiastica di Alessandria e il suo fondatore sembrerebbe Panteno, di cui nn
sappiamo nulla. Parliamo di Clemente e Origene, gli unici ad avere attuato un tentativo serio di aprire la tradizione
cristiana ad un reale dialogo con la cultura ellenistica.
Di Clemente sappiamo poco. Era nato ad Atene da famiglia pagana intorno al 150. Da adulto si converte al cristianesimo e
giunge ad Alessandria alla fine del secolo. Svolge qui attività di maestro privato fino alla persecuzione di Settimio Severo
che lo costringe a rifugiarsi in Asia Minore dove muore intorno al 215. La sua prima opera non è una apologia ma un
protrettico, cioè un'esortazione alla vita virtuosa nello stile della tradizione aristotelica. Ha un andamento costruttivo e
poco polemico. Affronta certo i temi principali dell'apologetica cristiana (critica alla religione pagana, limiti della cultura
greca, crudeltà delle persecuzioni) ma lo fa con un tono di tranquilla superiorità, invitando a considerare il cristianesimo
come la realizzazione più perfetta della tradizionale aspirazione greca alla conoscenza e alla cultura.
La seconda opera di Clemente è il Pedagogo. È la presentazione della morale cristiana sotto la guida di Cristo. Cristo è il
Logos inviato da Dio, punto principale dell'orientamento morale. Clemente vuole dare ai suoi lettori, di solito di buona
estrazione sociale e culturale, una direttiva sicura su tutti i mille problemi della esistenza quotidiana. Offre così molteplici
consigli su come comportarsi in tutti i momenti e tutti gli aspetti della vita di ogni giorno: il criterio fondamentale indicato
dall'autore è quello, tradizionale al pensiero greco, della moderazione, che non cada mai nella immodestia ma d'altra
parte non rifiuti quanto di buono c'è nella cultura del tempo.
Gli Stromati (Tappezzerie) sono la sua opera più importante. Il coronamento ideale dei due libri precedenti. Clemente qui
affronta una serie di questioni che sono una concreta introduzione a quella che egli vuole presentare come la vera gnosi
cristiana: l'approfondimento dei temi della fede da parte del cristiano perfetto, gnostico.
Questo libro include i due aspetti più caratteristici del pensiero di Clemente:
• preparazione notevolissima nel campo della cultura profana, in particolare della filosofia stoica, tenuta in
altissima considerazione e ritenuta un vero e proprio avviamento al Vangelo.
• Padronanza assoluta della Sacra Scrittura che con lui si apre all'applicazione sistematica del metodo allegorico.

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L’opera di Clemente `interessante xkè è un riuscito tentativo di conciliare il pensiero cristiano e la filosofia greca, fornendo
un modello di vita che sia in grado di conquistare al cristianesimo anche i ceti sociali più elevati; una sorta di "stoicismo
cristiano".
Origene è un pensatore di tempra molto più dura. Uno dei più grandi teologi di tutti i tempi. Conosciamo bene la sua vita
perché Eusebio era un suo grande ammiratore e nel VI libro della sua Storia Ecclesiastica ne da ampie notizie.
Nasce verso il 185 ad Alessandria, da famiglia cristiana. Il padre Leonida era stato martirizzato durante la persecuzione di
Settimio Severo e in questa occasione il diciottenne Origene scrisse per lui una esortazione al martirio. Il vescovo
Demetrio lo chiamò a dirigere il catecumenato che divise in due livelli: il più elementare lo affidò all'amico Eracla, mentre
il più avanzato lo tenne per sé. Nasce così la prima vera Scuola Superiore di Alessandria, distinta da quella x i catecumeni.
Dedicatosi interamente alla ricerca e all'insegnamento, Origene raggiunse una grande fama suscitò la gelosia del vescovo
Demetrio che, approfittando del fatto che durante un viaggio in Palestina egli si era fatto ordinare prete dai vescovi locali
in maniera irregolare, lo fece condannare e allontanare dal didaskaléion e si trasferì in Cesarea di Palestina dove aprì una
nuova scuola dove insegnava e in qst luogo anche predicava.
Viene arrestato durante la persecuzione di Decio e Sarà torturato nel 250, ma sopravviverà. Morirà nel 253.
Riconosciuto da ammiratori e avversari come grandissimo teologo, bisogna innanzitutto liberarsi dal clichè che lo vuole un
platonico, autore del De principiis, primo trattato di filosofia cristiana. Origene è soprattutto un interprete della Bibbia e si
forma esegeticamente sul testo sacro: lui analizza il testo ebraico e le versioni greche dell'Antico Testamento per
verificare la traduzione greca dei Settanta, che era considerata la versione ufficiale dei cristiani. Origene dispone su sei
colonne il testo ebraico, la trascrizione greca, la versione di Aquila di Simmaco dei Settanta e di Teodozione, inserendo un
obelòs o un asterisco per segnalare i passi che i Settanta avevano aggiunto o tolto.
Origene ha soprattutto svolto un lavoro immane di predicatore e commentatore della Scrittura. Possediamo solo una
piccola parte delle sue Omelie e dei suoi Commentari, spesso in traduzione latina, che testimoniano lo sforzo di offrire
una spiegazione della Bibbia a tutti i livelli. Origene distingue infatti due significati della Scrittura: il letterale e lo spirituale.
Pur adottando un allegorismo a volte eccessivo che gli sarà rimproverato dagli avversari, il suo merito è quello di avere
liberato la Scrittura dagli eccessi del letteralismo, del fondamentalismo diremmo oggi, giudaico e marcionita, dando ad
essi una lettura spirituale.
Con Origene, anche se la Bibbia perde parte della concreta storicità giudaica, diventa comunque quel grande poema
cristologico e morale che alimenterà per secoli la spiritualità cristiana dei secoli successivi. Origene interpreta tutta la
creazione in senso spirituale ed è questo il punto che lo accomuna maggiormente ai platonisti, che comunque utilizza. La
realtà materiale sembra a Origene una immensa figura che rinvia perennemente ad una realtà superiore.
Origene contribuisce anche al fondamento della teologia trinitaria. Afferma con grande vigore la concezione economica
ma non usa il termine prosopon ma hypostasis, che svincola la generazione del Verbo dal momento della creazione cui
l'aveva legata la riflessione degli apologisti, mantenendone la subordinazione al Padre (il Verbo è sempre un “secondo
dio”) ma affermandone chiaramente l'eternità.
Origene non presta particolare attenzione ai rapporti coi romani.

22 La vita dei cristiani nella prima metà del terzo secolo

Com’è la vita dei cristiani nella 1 metà del 3 sec? non abbiamo molte fonti. I cristiani non si distinguono dagli altri uomini
né per il paese né per la lingua né per il modo di vestire. Risiedono nella propria patria, ma come peregrini; partecipano a
tutto come cittadini e tutto sopportano come stranieri. I cristiani non vivono ghettizzati, né in catacombe, ma rimangono
qualcosa di separato. Partecipano alla vita cittadina, condividono usi e costumi ma rimangono qualcosa di diverso.
Perché?
• Vita familiare e sessuale. Agli inizi del III sec, Non c'è ancora una forma cristiana di matrimonio ma c'è comunque un
nuovo modo di concepire la vita familiare e sessuale. X quanto riguarda la celebrazione, hanno utilizzato riti e formule di
quella romana, dalla quale avranno soltanto eliminato gli eventuali riferimenti cultuali idolatrici e gli sposi ricevono la
benedizione del vescovo e le preghiere dei fedeli. La novità cmq risiede nel modo di concepire la vita familiare e sessuale:
Sessualità, procreazione e matrimonio sono una unità indissolubile. I rapporti sessuali sono finalizzati solo alla
riproduzione e sono leciti solo all’interno del matrimonio (sempre con fine la procreazione). Quindi la sessualità nn ha un
valore autonomo. Matrimonio e famiglia hanno un carattere fortemente istituzionalizzato. Il matrimonio cristiano realizza
una comunanza di vita religiosa, e Tertulliano nel suo Ad Uxorem, pur usando espressioni molto belle sul rapporto di
coppia, pone l'accento sul comune assolvimento dei doveri religiosi. Il matrimonio cristiano realizza una comunanza di
vita religiosa, che risulta ovviamente impossibile nella unione con un pagano, dove addirittura è messa in pericolo la
stessa fede personale. È per questo che i matrimoni coi pagani non erano visti di buon occhio. La verginità è messa sopra
il matrimonio, aspetto inedito e assurdo per un pagano abituati a considerare diversamente la vita sessuale. La verginità
aveva la sua motivazione più profonda nell'idea di precarietà del mondo terreno e di tutte le sue forme, come un
contenersi per il regno dei cieli. Inoltre si apre a motivi ascetici xké riceve alimento dalla diffusa diffidenza dei cristiani x 1

26
vita sessuale segnata dal piacere disordinato e che solo nel matrimonio trova una legittimazione e un freno alla sua
inclinazione alla peccaminosità.
Nelle relazioni familiari (comprendenti genitori e figli ma anche padroni e schiavi) i cristiani seguono in tutto i romani,
quindi hanno una concezione patriarcale, senza cambiare una virgola dei precedenti rapporti gerarchici anche se vengono
trasfigurati in chiave religiosa: la sottomissione è l’invito + costante ed è come se avvenisse al Signore. Le mogli devono
essere sottomesse ai mariti, gli schiavi ai padroni. E questo modello è rimasto sostanzialmente inalterato nei secoli
successivi. La condizione della donna del tempo è stata fatta propria dai cristiani e la schiavitù non è stata messa in
discussione. Anche se qst rapporti vengono trasfigurati x l’affermazione cristiana che tutti gli uomini sono uguali di fronte
a Dio. Questa affermazione della eguaglianza di tutti gli uomini è stata vissuta in maniera molto concreta, perché
all'interno della Chiesa funzioni importanti sono state svolte da uomini e donne, padroni e schiavi. Le donne non sono
ammesse al sacerdozio e dopo i primi tempi anche l’attività profetica, di ammaestramento, è riservata sempre più
esclusivamente agli uomini. In una Chiesa che nei primi due secoli della sua vita si recluta ancora largamente dagli strati
più bassi della società, gli schiavi hanno avuto d'altra parte un ruolo assai notevole, non soltanto testimoniando in
maniera esemplare la loro fede, fino al martirio ma anche assumendo le funzioni più elevate nella comunità, sino
all’episcopato.
• La morale. I cristiani seguono una vita particolarmente virtuosa. Grande solidarietà tra i membri: non dimentichiamo la
cassa comune diaconale. Questi aiuti ai poveri suonavano curiosi ai pagani e dà luogo anzi a forme assistenziali di
carattere istituzionale. Infatti c’erano persone (diaconi, vedove ecc.) che sono addette specificamente al servizio dei
poveri. Nella comunità cristiana c'è una solidarietà, un'accoglienza, che consente ai poveri e agli stranieri, e in genere agli
emarginati e agli sradicati, di trovare quella identità e quell'appartenenza che non possiedono altrove.
Ma non era tutto rose e fiori e si è già detto come la Chiesa abbia abbandonato il suo rigore primitivo alla fine del II sec. Il
problema della ricchezza ad esempio: Clemente tenta di diluire le prescrizioni della Scrittura sulla ricchezza, dicendo che è
delle passioni che bisogna liberarsi e che accumulare denaro in fondo non è male se lo si dona ai poveri.
Parliamo infine del possesso da parte della Chiesa di propri edifici di culto nel III secolo. Nei primi tempi della loro vita le
riunioni dei cristiani avevano luogo nelle case private messe a disposizione dai membri più agiati della comunità. E questa
è stata la situazione fino a tutto il secondo secolo. Ma agli inizi del terzo secolo troviamo nei testi degli accenni che fanno
pensare all'esistenza di edifici di culto.
Nello stesso periodo compaiono, come è noto, anche i primi cimiteri cristiani. Nei primi tempi della loro esistenza i
cristiani hanno seppellito i loro morti accanto a quelli pagani. Poi piano piano cominciano ad apparire sepolture distinte. Si
comincia con gli ipogei delle ricche famiglie e si passa poi alle Catacombe (le più antiche sono quella di Callisto sulla via
Appia e quella di Domitilla sulla via Ardeatina e quella di Priscilla sulla via Salaria) decorate con motivi pagani e poi con
storie della Bibbia (quindi abbiamo le prime forme di arte cristiana, con propri temi e raffigurazioni.

23 Le persecuzioni di Decio e Valeriano ('200)

Le persecuzioni di Decio (imperatore dal 249 al 251) e Valeriano (imperatore dal 253 al 260). Nel III sec vediamo come le
preoccupazioni dei pagani verso i cristiani aumentano. Lo sforzo degli apologisti e degli alessandrini l'aveva portato a un
livello culturale degno di competere col pensiero ellenistico. Tuttavia c'erano almeno due aspetti del cristianesimo che
continuavano a suscitare le diffidenze dei pagani nei suoi confronti. Da un lato, il cristianesimo conservava una
consapevolezza della propria diversità e un distacco quindi dalla vita cittadina che lo facevano apparire ancora come un
corpo estraneo nella organizzazione dell'impero. Inoltre avevano una forte identità di “popolo” e un loro sistema di vita e
di credenze che ne facevano una alternativa alla società greco-romana e davano loro una valenza politica. Questa valenza
politica era preoccupante perché i cristiani nn costituivano davvero un popolo o una nazione, quindi i rapporti con loro
non potevano essere regolati e si diffondeva in tutti gli strati della società. D’altra parte, qst popolo aveva già una definita
e potente organizzazione: il processo di cattolicizzazione di Ireneo di Lione era andato avanti e esisteva una istituzione
ecclesiastica con una dottrina propria, un culto e una gerarchia. I lasciti ai fedeli e l'attività imprenditoriale di alcuni di loro
avevano arricchito le casse vescovili che facevano gola alle dissestate casse imperiali, mentre le chiese delle città
dell’impero si erano legate tra loro con forti vincoli organizzativi sotto la guida del vescovo di Roma. Questo rendeva la
chiesa temibile xké si proponeva come una alternativa reale all’impero.
Così con Decio scoppia un altra persecuzione, molto diversa dalle altre per forma e proporzioni perché sancita con un atto
imperiale esplicito che riguardava tutto il territorio imperiale. Le motivazioni di fondo però rimangono sempre quelle:
Decio è un conservatore tradizionalista che vorrebbe restaurare quei valori della tradizione che il cristianesimo sembrava
avere compromesso. La persecuzione di Decio si divide in due momenti:
• Fine 249 – inizi 250. La popolazione assale e perseguita i cristiani a Roma, e nelle atte città dell’impero, confortata dalle
idee di Decio.

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• Marzo – aprile 250. Decio, sicuro dell'appoggio popolare, emana un editto apertamente in contrasto con la politica
religiosa romana. L’editto organizza un gigantesco censimento della popolazione che richiede ai sudditi non la semplice
partecipazione al culto pubblico ma una personale professione religiosa. Tutti i cittadini romani devono offrire un
sacrificio personale agli dèi come segno manifesto di lealtà politica. Coloro che sacrificano ricevono un certificato, un
libellus, che attesta la loro fedeltà alla religione imperiale, coloro che rifiutano sono invece condannati. Abbiamo la 1
persecuzione dei cristiani sancita con un editto.
Una persecuzione che ha degli effetti devastanti nella vita della chiesa e getta nel panico i cristiani, tra cui escono
moltissimi delatori che testimoniano le parole di Tertulliano, Ippolito e Origene sulla integrità dei fedeli ed evidenziando il
decadimento morale dei cristiani. In tutte le regioni sono infatti moltissimi i fedeli che o sacrificano senz'altro agli dei o
almeno si procurano l'attestato di aver sacrificato. Anche il comportamento dei responsabili più autorevoli delle varie
chiese non appare del resto univoco.
Non sarà una persecuzione rigorosa per le difficoltà organizzative e le preoccupazioni politiche e perché Decio morirà
presto e non sarà mai molto amato dal popolo, quindi non ha molto effetto.

Questo tentativo fallimentare induce il suo successore ad adottare un atteggiamento diverso. Valeriano tenta uno
atteggiamento non ostile all'inizio (ma anzi all’inizio dell’impero c’è un favore verso i cristiani) ma le pressioni barbariche
ai confini danubiani e orientali, le carestie, la fame sconvolgono gli animi delle popolazioni e se i cristiani vi vedono
l'imminente fine del mondo, i romani vi vedono l'effetto della presenza dei cristiani. La persecuzione di Valeriano segnano
una svolta nella storia dei rapporti tra impero e Chiesa e aprirà paradossalmente le porte al riconoscimento della Chiesa
con il successivo imperatore Gallieno ma Valeriano, spinto forse dal tesoriere Macriano, attua la prima persecuzione verso
la Chiesa nel suo complesso con il desiderio anche di impossessarsi dei beni della Chiesa. Ovviamente non è l’unico motivo
e le cause sn + generali e di ordine politico-religioso.
La svolta consiste nel fatto che non sono + i singoli cristiani, ma è la chiesa nel complesso ad essere presa di mira. Nel 1
editto di valeriano nel 257 fa chiudere gli edifici di culto, fa confiscare i cimiteri e gli altri luoghi di culto, esilia gli
ecclesiastici. Nel 2, nel 258, fa uccidere i vescovi arrestati e confisca le loro sostanze. Sono quindi i capi della chiesa e i loro
beni ad essere presi di mira Valeriano vuole annientare la Chiesa e le sue strutture. Ma anche Valeriano muore anche la
sua persecuzione fallisce nel 259, l’imperatore parte x la guerra con i persiani viene fatto prigioniero dal re persiano
Sapore e quindi ucciso. La resistenza dei cristiani questa volta era stata molto più ferma che non all'epoca di Decio.
Il successore di Valeriano, Gallieno, capisce che è ora di cambiare strategia nei confronti dei cristiani ed emana un editto
riparatore nel 260 che consente loro di rientrare in possesso dei beni confiscati e ne affida l' amministrazione ai vescovi
stessi. Iniziano quarant'anni di pace che gli consentiranno di affrontare tutti i principali problemi emersi nell'ultimo
periodo, e in modo particolare quelli scaturiti dalle due recenti persecuzioni.

24 Problemi disciplinari e teologici a Roma e Cartagine

Il quarantennio di pace permette alla Chiesa di affrontare nuovi problemi disciplinari e teologico. Il primo è sempre quello
della difesa dagli attacchi dei pagani. L'ostilità popolare esplosa con Decio, determina una nuova creazione di testi
apologetici. Ricordiamo Cipriano ke ripreso qst tradizione apologetica con:
• Ad Donatum: sulla contrapposizione tra immoralità dei costumi pagani e sulla santità di quelli cristiani.
• Ad Demetrianum: la responsabilità dei pagani per le disgrazie dell'impero e il tema dell'invecchiamento del mondo e
della prossimità della fine.
• Quod idola dii non sint: la critica delle divinità pagane identificate con uomini divinizzati.

Commodiano con il Carmen Apologeticum nel 260, un poema in lingua latina, che contiene un’ammonizione ai pagani
sulla fine imminente del mondo.

Il problema principale della Chiesa però, era come comportarsi con coloro che abiurano durante le persecuzioni di Decio e
Valeriano. Si distinguevano in:
• sacrificati = avevano senza dubbio offerto il sacrificio agli dei
• thurificati = avevano solo bruciato incenso davanti all’altare
• libellatici = si erano solo procurati il certificato falso x attestare il sacrificolo
E persino tra coloro che avevano confessato con fermezza la propria fede nascevano dei problemi. C’erano qll che
avevano confessato (i confessores), avevano patito il carcere ed erano inorgogliti della confessione e pretendevano di
avere una parte significativa nella riammissione dei caduti. Nascevano così due problemi. Il peccato commesso dai caduti
doveva considerarsi irremissibile o, con un congruo periodo di penitenza, potevano essere riammessi nella comunità? E il
potere di riammetterli spettava soltanto al vescovo o poteva essere esteso in qualche modo anche ai confessores?

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Cipriano nn prese provvedimenti durante la persecuzione dall’esilio e tornato a Cartagine nel 251 dice che i caduti non
erano esclusi definitivamente dalla comunione con la chiesa e potevano essere riammessi (solo dopo una penitenza
proporzionale alla colpa). I sacrificati potevano essere riammessi solo se erano in pericolo di vita, Mentre i libellatici
potevano essere riammessi con una procedura rapida. Le altre due categorie erano riammesse dopo un piccolo atto di
penitenza.
A Roma la situazione è invece più complessa. Alla morte del vescovo Fabiano, la chiesa di Roma era retta da un collegio di
presbiteri tra cui spiccava Novaziano, possibile prossimo vescovo. Novaziano approvava per lettera il comportamento
prudente di Cipriano durante la persecuzione. Novaziano non verrà invece eletto papa, e al suo posto sarà scelto Cornelio
che assumerà un atteggiamento abbastanza indulgente. A quel punto è Novaziano che assume un atteggiamento più
rigido. Nasce un conflitto teologico che è anche scontro tra vescovi che provocò uno scisma e una comunità portata avanti
da Novaziano. Tempo dopo ci fu anche anche un conflitto teologico che divise gli stessi due vescovi di Cartagine e di
Roma: Cipriano sosteneva che i seguaci di Novaziano se volevano essere riammessi nella comunità dovevano essere
ribattezzati perché il battesimo dell'antipapa Novaziano non aveva valore. Con Stefano, successore di Cornelio, la
polemica si seda e il battesimo viene ritenuto valido.
Cipriano scrive poi il De catholicae Ecclesiae unitae (una meditazione sulla realtà soprannaturale della chiesa e sulla sua
necessità x la salvezza. Ma in essa Cipriano affronta anche il tema dell'autorità nella Chiesa e del primato di Roma.
Abbiamo due versioni di questo scritto: uno, in più manoscritti, che rifiuta al vescovo di Roma ogni potere di giurisdizione
sulle altre chiese e quindi il primato autoritario della Chiesa di Roma è solo onorifico, e un altro dove il primato è effettivo.
Probabilmente non si tratta di interpolazioni ma di un effettivo irrigidimento della posizione di Cipriano.
Anche la dottrina trinitaria e l'esegesi della Scrittura continuarono a fare progressi e ad arricchirsi di nuove posizioni.
Infatti a Roma Novaziano perfeziona il tema della trinità nel suo De Trinitate, opera che difende la cristologia del Logos ed
è fortemente influenzata da Tertulliano, anche se si elimina la distinzione tra Logos immanente e Logos proferito e la
generazione del Logos è indipendente dalla creazione del mondo. Lo Spirito Santo è solo una potenza divina di
santificazione.
Ricordiamo infine la Scuola di Antiochia tra il 264 e il 268 che contro Origene propendeva per una esegesi più letterale del
testo biblico. Benché si parli ormai comunemente di una "scuola" di Antiochia, non si tratta però di una scuola come
quella di Alessandria, ma soltanto di un gruppo di autori uniti da un comune orientamento esegetico. Il metodo che si
affermò ad Antiochia, in polemica aperta con quello seguito da Origene e dai suoi seguaci ad Alessandria, e che avrà i
suoi più illustri rappresentanti, nei secoli quarto e quinto, in Diodoro di Tarso e Teodoro di Mopsuestia, viene
normalmente definito "letterale" in opposizione a quello "allegorico" alessandrino.

25 Gli ultimi attacchi alla religione cristiana (III sec.)

Alla fine del III secolo, dopo i quarant'anni di pace trascorsi grazie all’editto di Galieno, arrivano le persecuzioni e gli
attacchi più duri.
Culturalmente parlando l'attacco più duro viene da un filosofo neoplatonico allievo di Plotino: Porfirio di Tiro. Nel 270
compone un'opera in quindici libri intitolata Contro i cristiani. Non conosciamo l'opera come si deve perché Costantino
una decina d'anni dopo l'Editto di Milano (313- 1 caso di proscrizione di uno scritto cristiano da parte dello stato) e la fa
distruggere (e Teodosio II un secolo più tardi conferma la condanna). Ciò che sappiamo lo prendiamo da estratti di
Girolamo ed Eusebio e dalla confutazione di Macario di Magnesia. Non sappiamo quasi nulla dunque, ma da quel poco è
chiara sia la virulenza dell'attacco sia il carattere della critica.
La polemica è intellettuale. Ma la polemica di Porfirio è diversa da quella di Celso. Non ci sono motivazioni politiche nel
suo attacco, solo religiose. Sono in gioco due concezioni del mondo anche se la concezione di Porfirio è meno organica di
quella di Celso. Sono in confronto in Porfirio due concezioni del mondo. È una religione che riflette un'epoca in crisi, un
sistema dottrinario pieno di tensioni e contraddizioni, tra ansia di razionalità ed eccessi di superstizione, tra acribia
filologica e ingenuità superstiziose. Ha però una grande conoscenza del cristianesimo: ha letto sicuramente Vecchio e
Nuovo Testamento e forse è stato catecumeno.
Manca però qualsiasi intenzione di comprendere l'avversario. La sua critica è malevola e il tono più utilizzato è il sarcasmo.
Le critiche di Porfirio sono simili a quelle di Celso. È ancora una volta il neoplatonismo che si scontra con il cristianesimo.
Porfirio non comprende il disprezzo del mondo, la presunzione di essere i soli salvati, l'origine rozza della gran parte di
loro. Erano aspetti assolutamente inconciliabili con le idee plotiniane e di Plotino. Il monoteismo cristiano non ha senso,
perché Dio, se governa, governa suoi simili quindi devono esserci dei suoi simili, altre divinità. Il monoteismo cristiano è
un politeismo mascherato perché accanto a Dio pone gli angeli come esseri divini. L'incarnazione del figlio di Dio è
altrettanto assurda. Se i cristiani accusano i pagani di credere che nelle statue abitino le divinità, è più folle pensare che la
divinità abiti nel seno della vergine Maria. E poi non si capisce perché l'incarnazione del figlio di Dio sia avvenuta così
tardivamente. E come si può pensare che un Figlio di Dio possa soffrire?

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È inconcepibile anche l'escatologia cristiana concepita da Paolo, perché è assurdo credere nella risurrezione dei morti e
nella fine del mondo. Se anche scomparisse la terra non potrebbe scomparire il cielo. Inconcepibili poi sono i
comportamenti e i riti dei cristiani sono del resto immorali e ripugnanti. Se la salvezza è riservata ai peccatori, i peccatori
sono migliori? E il battesimo? Non è concepibile che una sola abluzione elimini per sempre ogni turpitudine.
Ma la conoscenza diretta dei testi cristiani e dei loro racconti consente a Porfirio di sviluppare due punti in maniera
particolare. Innanzi tutto le critiche ai fondatori del cristianesimo, e dice Porfirio ke sono solo dei poveracci saltimbanchi
che si arricchivano ai danni dei più creduli. Ma Pietro e Paolo in particolare, i primi degli apostoli, sono figure tutt'altro che
esemplari Pietro ha rinnegato tre volte il maestro e Paolo è ancora peggio con le sue affermazioni contraddittorie sul
valore della legge mosaica, sulla natura della verginità e del matrimonio, sulla liceità e illiceità dei cibi.
Vari studiosi affermano che invece Porfirio, aveva maggior rispetto per Gesù. Egli sarebbe stato il primo ad assumere
quell'atteggiamento, divenuto così frequente in seguito, che consiste nel distinguere la dignità di Gesù dalla meschinità
dei suoi discepoli. Ma è difficile condividere qst opinione xké la critica di Porfirio a Gesù serberebbe essere ugualmente
dura cm qll dei suoi discepoli. Perché, nelle tentazioni del demonio, egli si rifiuta di fare miracoli? Perché a volte, invece di
combattere i demoni, sembra quasi assecondarli? E perché soprattutto, nella passione, appare così umile e privo di
dignità? È l'origine spregevole dei cristiani che, nonostante la loro penetrazione anche nei ceti più elevati, continua a
suscitare le obiezioni più gravi nei pagani colti.
Un altro punto è l’attacco alle Scritture nel testo di Porfirio doveva esserci una critica radicale all’Antico testamento e
afferma che è pieno di favole e contesta l’autenticità dei libri di Mosè (il Pentateuco).
Analoga è la critica del Nuovo Testamento Gli evangelisti sono gli inventori, non gli storici, delle cose che dicono di
Gesù. Le profezie dei Vangeli non si sono avverate. In particolare il racconto della passione di Gesù nei quattro evangelisti
è pieno di contraddizioni.
Una polemica articolata come qll di Porfirio non poteva non lasciare il segno e specialmente le critiche rivolte all’Antico e
Nuovo testamento provocò problemi ai cristiani. Le sue critiche alla Scrittura furono confutate e riprese varie volte da
diversi intellettuali come Metodio di Olimpio, Eusebio, Apollinare, che dedicarono anche intere opere alla confutazione di
Porfirio (che però sono andate perse). In questo modo si diede vita a un genere letterario specifico: il Questiones et
responsiones sull’Antico e Nuovo testamento.
Sul piano politico ci fu invece la persecuzione di Diocleziano, quella che sarebbe rimasta anche in seguito nella tradizione
come la "grande persecuzione". Anche Diocleziano, come Valeriano, non ha preso subito posizione contro i cristiani ma
per 15 anni la sua politica appare moderata. Intorno al 300 abbiamo una svolta che porterà alla persecuzione: alcuni
sostengono che prese questa direzione sotto l’influenza di Cesare Galerio e anche xké nella sua corte erano usuali le idee
di Porfirio. I 40 anni di pace che ebbe la chiesa le aveva permesso lo sviluppo dei suoi confini geografici e un allargamento
della sua base sociologica. Se, agli inizi del quarto secolo, il cristianesimo è ancora sostanzialmente un fenomeno
mediterraneo, che ha i suoi centri principali in Alessandria, in Antiochia e nell'Asia minore, l'espansione della religione ha
raggiunto però tutto l'impero, fino in Spagna e Britannia e inoltre se prima era un fenomeno esteso solo tra gli strati
sociali meno elevati, adesso influenzava anche gli strati con + potere (corte e governo). Infatti le persecuzioni di
Diocleziano faranno martiri anche tra qst strati dirigenti. Qst ha determinato un allentamento dei costumi morali, di cui il
concilio di Elvira (inizi 4 sec) ne è prova. I suoi canoni disciplinari devono infatti fissare la penitenza per la bigamia,
l’aborto, 1' adulterio, proibire l'usura, punire l'idolatria. Ma la diffusione del cristianesimo è cmq un problema x l’impero
xké Diocleziano stava seguendo un programma di restaurazione della tradizione e quindi nn può ammettere che si ponga
in discussione la religione romana. (quindi nuovamente una persecuzione in nome della tradizione).
In qst modo, sotto le sollecitazioni di Galerio, Diocleziano abbandona l’atteggiamento moderato ke aveva adottato fino a
ql momento, e riprende il programma di Decio e Valeriano e lo porta avanti con + determinazione. Dal 303 al 304, emana
4 editti: il 1 prescrive la distruzione degli edifici cristiani e la consegna dei libri sacri; il secondo ordina l'arresto dei «capi
delle chiese»; il 3 impone ai prigionieri (come test) un sacrificio x ottenere la liberazione; il 4 prescrive un sacrificio
generale agli dei a tutti gli abitanti dell’impero.
La persecuzione ebbe svolgimento diverso nelle varie regioni. In Gallia e in Britannia l’esecuzione delle misure repressive
da parte del Cesare Costanzo Cloro (il padre di Costantino) fu alquanto blanda. A Roma e in Africa l'Augusto Massimiano
mostrò invece maggiore severità; ma il suo successore Massenzio già nel 306 riconobbe libertà ai cristiani. Fu in Oriente
che la persecuzione assunse le dimensioni più tragiche, prima con lo stesso Diocleziano, poi, dopo l'abdicazione di
quest'ultimo, nel 305, con Galerio e Massimino Daia. Qst dettero alla persecuzione un carattere sistematico, con metodi di
propaganda che si possono definire moderni.
Gli effetti furono devastanti come x l’epoca di Decio: tantissimi furono i martiri (nn si può stabilire un numero) e le
defezioni (il sottrarsi a 1 fede, 1 parola data). Infatti la Chiesa nn era + qll comunità eroica dei primi 2 secoli (x Ippolito x
es.) e molti consegnarono i libri sacri (divennero quindi traditores), sacrificarono agli dei o trovarono delle scappatoie
come all’epoca di Decio. Ma ancora una volta qst persecuzione fallì xké la diffusione del cristianesimo era troppo grande x
fermarla. È simbolico il fatto che proprio Galerio (che era stato un gran persecutore) riconosce qst fallimento: fu colpito da
una malattia e x i cristiani era la punizione di Dio e pochi giorni prima di morire (311), emanò un editto con cui poneva fine

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alla persecuzione e riconosceva ai cristiani il diritto di esistere.(ci sono 3 imperatori xké Diocleziano istituisce la tetrarchia
 Wikipedia  https://it.wikipedia.org/wiki/Tetrarchia#/media/File:Prima_tetrarchia_Diocletianus.PNG ).
Qst editto è molto interessante xké ribadisce il motivo della persecuzione: l’abbandono delle istituzioni politiche, sociali e
religiose da parte dei cristiani che metteva in pericolo lo Stato quindi lo scopo era la restaurazione della religione
romana secondo la tradizione. Riconosce ke qst scopo nn può essere raggiunto xké la maggior parte dei cristiani è rimasta
nella loro follia e quindi concede clemenza. Non è prevista la restituzione ai cristiani degli edifìci confiscati, ma è
esplicitamente riconosciuto loro il diritto di esistere e di riunirsi. La responsabilità delle stragi è attribuita esclusivamente
all' ostinazione dei cristiani e x colpa loro nn è stato possibile ristabilire l’unità religiosa dell’impero.
Pochi mesi soltanto dopo la pubblicazione dell'editto Massimino Daia riprenderà infatti per breve tempo la persecuzione.
Ma in Occidente nél 312 Massenzio andrà invece ben oltre il provvedimento di Galerio, restituendo ai cristiani anche gli
immobili confiscati. Con tutti i suoi limiti, in effetti leditto di Galerio era un documento di importanza storica eccezionale.
Esso infatti sconfessava la politica religiosa seguita dall'impero per quasi due secoli. E riconosceva ai cristiani il diritto di
esistere e di riunirsi liberamente. Per la prima volta il cristianesimo veniva considerato una religio licita, come gli altri culti
dell'impero.

26 Costantino e il concilio di Nicea

L'editto di Galerio del 311 non pone fine soltanto alla persecuzione. Esso contiene il riconoscimento legale della religione
cristiana, quindi i cristiani ottengono il diritto di libertà e riunione superando quella situazione di insicurezza politica
caratteristica del cristianesimo fino a ql momento.
L'"editto di Milano" è qualcosa di più. A dire il vero, sembra ormai sicuro che non c'è mai stato alcun editto di Milano. Noi
possediamo soltanto, nel De mortibus persecutorum di Lattanzio l'imperatore Licinio ha riconosciuto i diritti dei cristiani
nei territori da lui conquistati. Ma in questo rescritto Licinio fa riferimento a un accordo preso a Milano con Costantino nel
febbraio di quell'anno. Nel 312 infatti c’era stata una battaglia (ponte Milvio) e Costantino era diventato padrone
dell’intera parte occidentale dell’impero e quindi sembrava necessario regolare la nuova situazione dei sudditi. Il
provvedimento d Licino quindi è solo l’estensione ai territori del vinto Massimino delle misure decise con Costantino.
Queste misure vanno al di là d qll di Galerio: si riconosce ai cristiani la libertà di praticare la loro religione, vengono
restituiti i beni confiscati, edifici di culto e cimiteri. Inoltre cambia il tono del documento: mostra un’attenzione particolare
x i cristiani: è x assicurare il rispetto della divinità e l’appoggio della divinità che viene data a tutti la possibilità di seguire la
religione che vogliono.
Questa è la svolta costantiniana  l’inizio di un rapporto nuovo tra l’impero e la Chiesa, con cui possiamo ritenere
conclusa la storia del cristianesimo antico. Su qst si è discusso tanto e due sembrano i problemi principali: Quale giudizio
anzitutto bisogna dare di questa svolta dal punto di vista della storia della Chiesa? È il trionfo del cristianesimo o è l’inizio
della sua decadenza? E poi: qst svolta significa la conversione di Costantino al cristianesimo? Si è convertito davvero o è
stata solo una mossa politica?
Il primo problema può essere fuorviante xké è un giudizio teologico + che 1 valutazione storica: noi come storici possiamo
indicare i cambiamenti che qst scelta di Costantino ha introdotto nella chiesa e nei suoi rapporti col mondo e lo stato.
Qualcosa di simile la possiamo dire sulla conversione di Costantino: Gli scrittori ecclesiastici non hanno dubbi sulla
adesione convinta dell'imperatore alla religione cristiana e le prove sono qst provvedimenti che adotta. Dal De mortihus
persecutorum alla Storia Ecclesiastica alla Vita di Costantino vediamo 1 accentuazione della conversione imperiale con
delle caratteristiche molto singolari: si fa battezzare prima di morire, fa esecutare brutalmente amici e familiari e qst porta
al dubbio della conversione di carattere politico di Costantino.
Per quanto riguarda la politica adottata dall’imperatore, questa è stata dall’inizio favorevole alla religione cristiana: già
all’epoca della guerra con Licino (313-324) Costantino ha intrapreso infatti una politica che mirava a privilegiare il
cristianesimo sia con iniziative e interventi diretti in suo favore sia mediante l'ispirazione cristiana di larga parte della
legislazione. Qst politica fu accentuata dopo la vittoria su Licino, dato che diventò l’unico imperatore dell’impero. Infatti
l’editto sanciva nella realtà dei fatti un favoritismo verso il cristianesimo. Costantino infatti costruì nuovi edifici di culto,
fece donazioni in loro favore, concesse privilegi di vario genere al clero, adottò simboli religiosi bene accetti alla religione
cristiana, riconobbe alle chiese il diritto di ricevere per testamento, introdusse il riposo festivo della domenica. Quindi Col
313 non ha inizio insomma soltanto la libertà della Chiesa, ma si apre un regime di favore nei suoi confronti.
I cristiani hanno preso compreso l’importanza di qst svolta e l’hanno celebrata nelle loro opere letterarie. Tra il 318 e il
321 lo scrittore africano Lattanzio pubblica il De mortibus persecutorum con cui inneggia la vittoria della fede e con cui
ritiene che solo gli imperatori cattivi hanno perseguitato il cristianesimo e infatti la morte violenta di questi imperatori era
la volontà divina per punire i nemici della fede cristiana. Successivamente (324) anche Eusebio di Cesarea scrive la Storia
ecclesiastica con cui si inaugura il genere letterario cristiano che ebbe molta fortuna. Negli ultimi libri su Costantino, lui
interpreta la storia della religione cristiana in termini teologici e provvidenziali, nel senso che la storia umana, guidata
dalla Provvidenza guidata, ha portato all’affermazione del cristianesimo. Quindi tutta la storia del cristianesimo, a partire

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dal II sec, che era stata elaborata x dare continuità tra cristianesimo e giudaismo, viene estesa a tutte le vicende
successive della Chiesa e questa storia (dalle persecuzioni alla vittoria) è vista come parte della storia della salvezza.
Ma un’altra cosa MOLTO IMPO della svolta costantiniana è il cambiamento apportato nella relazione tra chiesa e
imperatore (definita età costantiniana): Convinto non soltanto che il cristianesimo sia un potente fattore di ordine e di
stabilità, ma anche di essere investito di una precisa missione nei suoi confronti, sicuro quindi di doversi preoccupare
delle sorti della religione cristiana non soltanto per il bene dell'impero ma anche per quello della Chiesa, Costantino
interviene nelle sue vicende interne con tutto il peso della propria autorità. È convinto di essere un cristiano ke ha il
potere imperiale e una missione da svolgere a favore dei cristiani. Il suo biografo dice che lui espresse qst compito con la
formula “vescovo di quelli di fuori” o, come dicono altri “per gli affari esterni” qst significa che doveva preoccuparsi
delle persone al di fuori dell’organizzazione ecclesiastica, cioè soggetti al potere dei vescovi. Però ci sn dei dubbi a
riguardo anche se vediamo in qst formula la convinzione di Costantino che l’imperatore cristiano ha il compito di vegliare
sull’andamento del mondo ecclesiastico xkè il cristianesimo era un tratto distintivo del suo impero.
Questo nuovo rapporto tra l'imperatore e la Chiesa, che è la caratteristica più notevole della "età costantiniana", appare
chiaramente in due dei momenti più significativi della storia di questo periodo:
1. vicende del donatismo: trova la sua origine in una polemica nella chiesa durante la persecuzione  ricordiamo ke il 1
editto di Diocleziano imponeva la consegna dei libri sacri e quindi ci sono così i traditores , coloro che li avevano
consegnati. Il problema si ebbe in Africa con la scelta del nuovo vescovo di Cartagine perché era stato scelto Ceciliano ma
c’erano state delle critiche era era stato consacrato da un traditores. Questo riportò in ballo il problema dei sacramenti
impartiti da coloro che avevano commesso apostasia durante la persecuzione e i rigoristi seguirono Donato di Casae
Nigrae che era il protagonista della vicenda provocando uno scisma che si estese in tante sedi vescovili africane con il
risultato di contrapporre alla Chiesa cattolica, la "Chiesa dei traditori", una Chiesa donatista, la "Chiesa dei santi" in
quanto sostenevano di portare avanti la vera chiesa, che non si tirava indietro di fonte al martirio. Qst questione aveva
però anche conseguenze economiche e sociali: I benefici economici e le agevolazioni :fiscali stabilite da Costantino per il
clero riguardavano soltanto i cattolici e quindi i donatisti rischiavano di esserne esclusi mentre a questa chiesa aderivano
per lo + gli strati + bassi della società. Donato cercò di risolvere la questione attraverso varie istituzioni ma non ci riuscì e
dato che non volevano piegarsi, Costantino usò la forza e nel 317 con una legge impose la consegna ai donatismi di tutti
gli edifici di culto che possedevano. Eppure nn ebbe effetto perché i donatisti continuarono a non piegarsi e dopo scontri
e martirii l’imperatore si dichiarò sconfitto e concesse loro la tolleranza.
2. altro evento importante di qst nuovo rapporto imperatore/chiesa è il concilio di Nicea del 325: convocato x risolvere il
grave problema dottrinale della trinità sollevato da Ario. Ario insisteva sul carattere UNICO DEL PADRE e affermava che,
essendo Dio ingenerato xkè immutabile, il Figlio da lui generato deve essere creato e quindi non può essere Dio e quindi si
appellava all’Antico testamento dicendo che il Logos non è eterno come il Padre xkè è da lui che ha ricevuto la vita. La sua
posizione fu respinta dal vescovo di Alessandria, Alessandro, e fu condannata ma questa si propagò rapidamente in tutto
oriente e asia minore e creò grandi polemiche. Proprio x qst Costantino decise di convocare qst concilio che fu il primo
“ecumenico” della storia della Chiesa, cioè universale, perché coinvolse tutta la chiesa cristiana.
La decisione del concilio nn fu facile xkè i vescovi che venivano da posti diversi, avevano idee teologiche diverse e quindi si
optò x una mediazione. Si prese come punto di partenza la formula di fede di Eusebio e il concilio aggiunse a qst delle
precisazioni, dicendo che il Figlio è «Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre »
formula ancora insufficiente xkè si parlava della divinità del figlio e non della distinzione delle persone. A molti qst scelta
non piacque xkè presentava delle ambiguità in quanto era stata già usata da Paolo di Samosata ma era proprio x qst che
fu scelta, fu un atto coraggioso x dare vigore allo sforzo della Chiesa.
Più di quella donatista, la controversia ariana era essenzialmente dottrinale ma presto si aggiunsero motivi politici: Le
divisioni religiose diventarono spesso divisioni politiche. In realtà il concilio di Nicea, convocato e aperto dallo stesso
imperatore, la cui presenza continuò a farsi sentire per tutti i lavori del concilio, e conclusosi con una soluzione della
controversia ariana che lasciava aperti moltissimi problemi, segnò l'inizio di una serie di conflitti nei quali l'aspetto
religioso sarebbe divenuto materia e strumento di lotte politiche, abbandonando il principio della separazione di religione
e politica, Chiesa e Stato, che pure era stato tra gli effetti più importanti della rivoluzione cristiana.

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