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Paolo
È il primo cristiano, l'inventore della cristianità! Fino ad allora c'erano solo alcuni membri di
sette giudaiche.
(Friedrich Nietzsche, Morgenröte, 1, 68)
È facile comprendere come mai il Cristianesimo di Gesù non riuscì a imporsi politicamente e
socialmente, e perché venne agevolmente oppresso dalla polizia e dalla chiesa, mentre il
Paolinismo... sommerse l'intero mondo occidentale civilizzato.
(Bernard Shaw, 108)
Oggi Cristianesimo vuol dire in massima parte Paolo.
(Il teologo cattolico Ricciotti)
19. LA COMUNITÀ PRIMITIVA
La conoscenza del periodo apostolico ci deriva, oltre che dalle Epistole paoline, soprattutto
dagli Atti degli Apostoli, anche se le loro forti tendenze alla trasfigurazione degli eventi sono
ben note da lungo tempo e riconosciute pressoché unanimemente. Composti parecchi decenni
dopo la morte di Gesù, ostentano un'evoluzione totalmente pacifica e armonica, benché in
realtà i contrasti fossero stati davvero aspri.
I discepoli sperarono fino all'ultimo che Gesù avrebbe salvato Israele (Lc. 24, 21);
probabilmente alcuni di loro restarono a Gerusalemme, ma la maggior parte tornarono forse in
patria, in Galilea 1, dove potevano riprendersi gradualmente dalle sofferenze dell'esperienza
patita. Ed è lì che si costituì, forse, la cellula prima della Chiesa cristiana (Lohmeyer) e che si
rafforzò l'idea della Resurrezione di Gesù.
Dopo qualche tempo, tuttavia, almeno una parte dei fuggiaschi tornò a Gerusalemme; in
effetti, anche gli Apostoli, come allora numerosi Ebrei, sul monte di Sion attesero il Messia, gli
eventi definitivi della storia e la Gerusalemme celeste. Ivi si raccolsero intorno a Pietro, ai figli
di Zebedeo e a Giovanni, allargando via via la loro cerchia di influenza con la predicazione e il
dialogo.
Questo gruppo, in ogni caso, appariva una setta giudaica più che una nuova comunità
religiosa, rappresentando in un primo tempo una mera corrente dell'Ebraismo fra le tante
allora in auge, una Sinagoga che si distingueva dalla fede degli altri Ebrei principalmente per la
credenza nell'immediato ritorno del Crocifisso 2. Gli Apostoli e i loro seguaci non intesero
proclamare al mondo una nuova religione. Come dimostra soprattutto il Vangelo di Matteo,
opera di un ebreo cristiano, l'immagine tradita di Gesù venne colorita prima di tutto proprio da
loro e reinterpretata nel senso del Giudaismo dei Farisei, ossequiente alla Legge.
È possibile indicare qualche prova di questo evento importante.
Gesù non si preoccupava del Sabato, come attesta anche Matteo (Mt. 12, 1 sgg.); eppure egli
in altra occasione gli fa dire : «Pregate soltanto che la vostra fuga non accada d'inverno o di
sabato (!)» (Mt. 24,20). Negli ambienti giudaico-cristiani, dunque, da cui proviene il Vangelo di
Matteo, evidentemente il Sabato veniva di nuovo rispettato con scrupolo. Nel passo
corrispondente del Vangelo di Marco (pagano-cristiano), al contrario, Gesù si limita a dire: «Ma
pregate anche che ciò non accada d'inverno! » (Mc. 13, 18).
Altro esempio: Gesù aveva proibito il divorzio senz'alcuna eccezione (Mc. 10, 11; Lc. 16, 18), e
tuttavia Matteo gli pone sulle labbra l'affermazione per cui il divorzio sarebbe lecito nel caso di
adulterio della donna, richiamandosi anche in questo frangente alle concezioni giudaiche 3.
Analogamente Matteo riplasma spesso la tradizione in senso giudaico, un processo questo
indubbiamente assecondato già dall'adesione di Giacomo, fratello di Gesù, che non era
personalmente un Fariseo e nemmeno un simpatizzante di questa corrente ebraica.
La frattura all'interno della Comunità primitiva
La cerchia più antica dei discepoli di Gesù constava esclusivamente di Ebrei, i quali erano da un
lato Israeliti rigidamente fedeli alla Legge, alla tradizione, alle festività giudaiche, alle norme
alimentari, ai riti purificatori e ai tempi stabiliti per le preghiere; dall'altro, tuttavia, non
mancavano adepti di stirpe ebraica, ellenizzati e di lingua greca. Rientrati dalla Diaspora, dove
vivevano in numero tre volte superiore agli Ebrei di Palestina 4, erano più vicini alla cultura
ellenistica; fra di loro si trovavano anche Greci convertiti all'Ebraismo, i cosiddetti proseliti.
Codesti Ellenizzati, ben presto numerosi nella Comunità primitiva, si sentivano meno vincolati
alle tradizioni nazionali e religiose degli altri Ebrei, per cui talvolta non nascondevano una certa
ostilità nei loro confronti. «Nei giorni in cui s'accrebbe il numero dei discepoli, si giunse alla
diatriba degli Ellenizzanti con gli Ebrei» - leggiamo negli Atti, che raccontano anche che gli
Ellenizzanti avevano propri capi, i «Sette», tutti recanti nomi schiettamente greci.
Il Nuovo Testamento, naturalmente, tenta di occultare l'esistenza di due fazioni all'interno della
Comunità primitiva, nella quale sarebbe stata presente solo una suddivisione di compiti: la
predicazione sarebbe stata riservata agli Apostoli; ai «Sette», cioè agli Ellenizzanti, il servizio
di mensa (Atti, 6, 1 sgg.). In realtà, però, non si accenna mai a questa attività diaconale dei
«Sette», al loro presunto servizio di mensa; al contrario, si parla dappertutto del loro servizio
kerygmatico, della loro predicazione, che avrebbe dovuto essere un esclusivo privilegio degli
Apostoli. E dunque non c'è dubbio che i «Sette» non esercitavano affatto il servizio di mensa,
ma erano i capi degli Ellenizzanti, come gli Apostoli lo erano degli Ebrei.
La causa prima della discordia potrebbe essere stata una forma di trascuranza verso le vedove
ellenistiche durante il pasto quotidiano (Atti, 6, 1): esse sarebbero state «trascurate»,
«lasciate da parte» continuamente, come lascia intendere il testo greco. Insomma, venivano
volontariamente poste in posizione di subordine. E allora tale conflitto non era causa, bensì
conseguenza di una tensione già presente, dietro la quale si intravedono non tanto le ovvie
differenze di lingua e di cultura, quanto il problema della predicazione, vale a dire due
differenti tendenze del Cristianesimo: i giudeo-cristiani conservatori, guidati dagli Apostoli, poi
chiamati «i Dodici», e gli Ellenizzanti, guidati dai «Sette», ben più radicali e sostenitori di
posizioni più avanzate.
Secondo il punto di vista comune della ricerca critica, nella Comunità primitiva i due gruppi si
trovarono fin dall'inizio l'uno accanto all'altro, ciascuno con una propria amministrazione. Julius
Wellhausen (Kritische Analyse, 11) vi scorge addirittura i primordi di uno scisma, che non si
attuò solo perché «a Gerusalemme il terreno divenne tanto scottante sotto i piedi degli
Ellenizzanti, che furono costretti a fuggire».
Questa fuga conferma irrefutabilmente la spaccatura della Comunità primitiva: la sua
componente più attiva, antisinagogale, fu ben presto combattuta dai Giudei 5, e dopo la
lapidazione del proprio portavoce Stefano, accusato di «bestemmiare contro Mosé», vale a dire
di aver attaccato il Tempio e la Legge, abbandonò precipitosamente la città ormai diventata
poco sicura 6. Gli Ellenizzanti, come raccontano ancora gli Atti, fuggirono fino in Fenicia, a
Cipro e in Antiochia, dando così inizio alla missione cristiana e alla vera e propria storia del
Cristianesimo. Il gruppo conservatore, invece, fedele alla Legge giudaica, cui appartenevano
anche gli Apostoli, in un primo tempo fu lasciato tranquillo, godendo - come raccontano ancora
gli Atti degli Apostoli - di pace «in tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria» (Cfr. Atti, 8, 1; 8,
4; 11, 19 con 9, 31).
E dunque la cerchia intorno agli Apostoli non venne infastidita, invece il gruppo degli
Ellenizzanti fu perseguitato; mentre Stefano veniva lapidato per la propria confessione, agli
Apostoli non fu torto un capello; mentre i seguaci del primo martire cristiano si disperdevano ai
quattro venti, gli Apostoli se ne stettero tranquilli in città.
E ciò significa, con tutta evidenza, che i contrasti interni alla Comunità primitiva erano noti
anche agli estranei; e prova, inoltre, che gli Apostoli non possono aver condiviso in aspetti
assolutamente fondamentali la fede di Stefano e dei suoi amici perseguitati, dai quali prese le
mosse la missione cristiana. Del resto, la ricerca teologica distingue nella Comunità primitiva
una gran messe di correnti e di concezioni le più svariate.
Il motivo principale di contrasto fra gli Ebrei e gli Ellenizzanti era costituito dal problema
escatologico. Per i giudeo-cristiani il nucleo centrale della fede si trovava nella speranza del
prossimo ritorno del Crocifisso, mentre i pagano-cristiani rimossero ben presto l'aspettazione
della fine mediante gli atti rituali di pietà, il misticismo, l'estasi, la glossolalia, la fede in un dio
vissuto e risorto sulla terra, onorato cultualmente come gli dèi delle pratiche misteriche e alla
cui resurrezione si partecipa con l'assunzione dei sacramenti.
Inoltre, c'era fra loro tutta una serie di rilevanti punti di frizione: per i giudeo-cristiani vigevano
il rigido rispetto della Legge, la permanenza nel Tempio, l'obbligo della circoncisione prima del
battesimo, un atteggiamento penitenziale pronunciato che ne costituiva addirittura una
caratteristica dirimente e, non da ultimo, la loro diffusa benché volontaria comunanza dei beni.
Tutto ciò era estraneo ai pagano-cristiani, che rifiutavano la Legge giudaica, trascuravano
l'appartenenza al Tempio, non esigevano la circoncisione prima del battesimo, sottolineavano il
carattere gioioso della nuova fede e non attribuivano soverchia importanza all'ideale
pauperistico.
I capi dei due gruppi erano Pietro e Giacomo da una parte, e Paolo dall'altra.
Pietro
I contestatori della storicità della figura di Gesù hanno visto anche in Pietro un'invenzione della
fantasia, una creazione mitica, da porre in relazione con divinità come Giano, Proteo, Atlante,
Petra ecc. Ma la sua persona è ritenuta storicamente fondata, tanto più perché non ne parlano
favorevolmente né Paolo né gli Evangelisti.
Ciò che gli Atti degli Apostoli, la nostra fonte principale, raccontano di Pietro è, per la verità, in
massima parte leggendario. La sua persona storica resta per noi quasi completamente oscura,
come quella degli altri Apostoli, a meno di non illustrarla con un noto agiografo cristiano sulla
scorta di una severa plastica romanica del XII secolo.
Secondo i Vangeli, Simone bar Jona, il nome originale del pescatore di Betsaida, insieme ai figli
di Zebedeo Giacomo il Vecchio e Giovanni, fu una delle persone più vicine a Gesù. Benché il
Signore, come è stato scritto un po' pomposamente, percorresse col discepolo prediletto strade
nelle quali neppure Pietro era in grado di addentrarsi, proprio a lui avrebbe conferito il primato
su tutti gli Apostoli, designandolo addirittura primo Papa. (Ma di questo avremo occasione di
parlare in seguito). Tuttavia il capo vero e proprio dei giudeo cristiani diventò, già nei primi
anni '40,
Giacomo, il fratello di Gesù 7
Quando il Signore era ancora in vita, a quanto pare Giacomo ebbe per lui scarsa
comprensione; in seguito, però, volle anch'egli andare incontro al Risorto, unendosi lla nuova
setta ormai in crescita (1 Cor. 15, 7; Atti, 1, 14). Giacomo divenne il primo personaggio
delineato con precisione della storia del Cristianesimo. In una descrizione pregnante risalente
alla fine del II secolo, in verità poco attendibile, di lui si dice:
«Egli fu santo fin nel seno materno. Non bevve vino o alcun'altra bevanda alcolica né mangiò
carni di animali. Nessuna lama toccò mai il suo capo, non si unse d'olio né prese un bagno. A
lui solo fu concesso di entrare nel santuario, perché non indossava abiti di lana, ma di lino. Si
recava nel Tempio sempre da solo, dove lo si poteva trovare inginocchiato a pregare Dio
perché perdonasse il popolo; così le sue ginocchia erano indurite come quelle di un cammello»
(In Euseb., h. e. 2, 23, 4 sgg.).
Consacrato Nasireo dalla madre Maria, Giacomo, che viveva notoriamente nell'ascesi e che si
richiamava alla Legge, dette l'avvio a una duplice rielaborazione della dottrina di Gesù, da un
lato nel senso di una vita monastica lontana dal mondo, dall'altro nell'inclinazione a una stretta
osservanza della Legge, a un rinnovato richiamo alla Thora, contro la quale Gesù aveva
combattuto fino alla morte. Con Giacomo ha inizio per il Cristianesimo un processo, gravido di
conseguenze, di rinnovata giudaicizzazione della religione, che influenzerà anche i Vangeli,
soprattutto quello di Matteo, particolarmente prediletto dalla Chiesa.
In alcuni elenchi falsificati e contraddittori di Episcopi, Giacomo compare quale primo Vescovo
di Gerusalemme 8. Il suo «seggio episcopale» - come ironizza lo Harnack - veniva ancora o già
mostrato nel IV secolo. In realtà Giacomo, ben presto al di sopra di tutti gli Apostoli, guidò
tutta la cristianità primitiva, godendo di un rango superiore allo stesso Pietro, che pare gli
abbia riconosciuto la primazia all'interno della Comunità originaria 9. Egli capeggiò, dunque, la
Comunità per vent'anni, finché i Giudei non lo lapidarono intorno al 62 10. Dopo la sua morte
fu Simeone, un cugino di Gesù, che venne crocifisso come supposto discendente di Davide
durante l'Impero di Traiano, ad assumere la guida della Comunità di Gerusalemme 11, di cui
intendiamo perseguire lo sviluppo e la fine almeno nei suoi tratti fondamentali.
La fine del Cristianesimo giudaico
Dopo la cacciata del gruppo di Stefano, contrario alla Legge, i membri conservatori della
Comunità primitiva rimasero incontrastati nella città ancora per alcuni decenni. Fu solo nel 66
o nel 67, poco prima dell'assedio di Gerusalemme da parte dei Romani che si trasferirono
compatti nei territori a est del Giordano, nella cittadina di Pella 12, perché - come scrive un
Teologo cattolico (Erhard) - non volevano impugnare le armi, atto allora impensabile per dei
cristiani.
Alcuni anni dopo la conquista di Gerusalemme per mano di Tito, i giudeo-cristiani rientrarono
da Pella; ma dopo che venne domata la rivolta di Bar Kochba (135 d.C.), cui non avevano
preso parte perché duramente perseguitati dal capo ribelle (Just., apol. 1, 31. Euseb., h.e. 4,
8, 4), essi furono scacciati dalla città insieme a tutti i Giudei. L'ingresso in Gerusalemme, ora
chiamata Aelia Capitolina, fu vietato a tutti gli Ebrei, pena la morte. Era così giunta la
conclusione definitiva del Cristianesimo giudaico in Palestina, la cui totale rottura con la
Sinagoga aveva avuto luogo alla fine del secolo, e fors'anche prima.
Il Cristianesimo giudaico perdurò a est del Giordano e in Siria fino al IV secolo inoltrato, ma
dopo la conquista di Gerusalemme si trattò di una minoranza priva di particolare rilevanza ai
fini dello sviluppo vero e proprio del Cristianesimo. Già nel II secolo gli eredi diretti degli
Apostoli, gli Ebioniti e i Nazorei, furono dichiarati eretici ed eterodossi dai rappresentanti del
Cattolicesimo nascente, e nel IV secolo i loro epigoni furono irrisi da San Gerolamo, che li
definì «Ebrei dimidiati» e «Cristiani dimidiati». Mentre il Cristianesimo più antico periva in
solitudine, le promanazioni del gruppo degli Ellenizzanti erano divenute potentissime nel
mondo greco-romano, tanto da segnare il destino futuro della nuova religione. Capo dei
pagano-cristiani divenne Paolo.
Note
1 Ciò si può evincere con una certa sicurezza da Mc,. 14, 28 e 16, 7.
2 Atti, 24, 5. 14. K.L. Schmidt, Die Kirche des Urchristentum, 279. Lohmeyer, Kultus u.
Evangelium, 123. Erbt, 21. Heiler, Urkirche u. Ostkirche, 66 sgg. Bultmann, Das
Urchristentum, 195. Dibelius Kümmel, 82. Goppelt, Christentum u. Judentum, 72. B. Le Roy
Kurkhart, 194. Wenschkewitz, 106 sg. Leipoldt, Jesu Verhältnis, 184 sg.; 201. Haenchen,
Apostelgeschichte, 186.
3 Mt. 5, 32; 19,9; inoltre, ad es., Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt, 154.
4 Mentre i Giudei viventi in Palestina ai tempi di Gesù vengono stimati intorno al milione, quelli
della Diaspora dispersi per l'Impero Romano, compresi i Proseliti, vengono valutati in circa 3
milioni e mezzo. Cfr. Knopf, Einführung, 184 sg. Grundmann, Das Problem des hellenistischen
Christentums, 54 sgg.
5 Cfr. Atti, 8, 1 sgg.; 9, 1 sg.; 11, 19. Altresì Gal. 1,13; 1 Cor. 15, 9.
6 Atti, 8, 1 e 6, 11. Schoeps, Urgemeinde, Judentum, Gnosis, 13, dubita persino della storicità
di Stefano e lo definisce una probabile «controfigura inserita da Luca per motivi tendenziosi,
sulla quale dovevano essere scaricate dottrine imbarazzanti per l'autore».
7 Gal. 2, 9; Atti, 15; 21, 18 sgg.
8 Euseb., h.e. 2, 1, 2 sgg. Altresì Lohmeyer, Galiläa u. Jerusalem, 56.
9 Da Paolo, Giacomo viene citato prima di Pietro: Gal. 2, 9. Cfr. anche Atti, 12, 17; 15, 13 sgg.
Inoltre, E. Meyer, Ursprung und Anfänge III, 223. Wagenmann, 15 sgg. Schoeps, Theologie
des Judenchristentums, 125 con riferimento a Atti, 12, 17; recentemente ancora attenuato da
Schoeps, Paulus, 61. Urchristentum, Judentum, Gnosis, 7, nota l.
10 Joseph., ant. jud. 20, 9, 1. Egesippo sposta il martirio all'anno 66: in Euseb., h. e. 2, 23,
18.
11 Euseb., h. e. 4, 22, 4 sgg.; 3, 32, 1 sgg.
12 Euseb., h. e. 3, 5, 3. Cfr. anche Schoeps, Theologie u. Geschichte des Judenchristentums,
265 sgg. Idem, Urchristentum, Judentum, Gnosis, 8.
Note
1 Eurip., Bacch. 795. Cfr. anche Smend, 41. Klausner, Von Jesus zu Paulus, 306. Schneider,
Geistesgeschichte, 1, 291 sg.
2 Pind., Pyth. 2, 95. Aisch. Ag. 1624.
3 2 Mak. 3 specie vers. 27. In proposito Windisch, Die Christusepiphanie von Damaskus, 1 sgg.
4 Aug., ep. 185, 22.
5 Th. Zahn, Die Apostelgeschichte des Lucas, 327, nota 15.
6 Cfr. Atti, 9, 5 sgg. e 22, 10 con 26, 15 sgg.
Note
1 2 Cor. 11, 5; 12, 11. Interpretato come ironico dalla maggior parte degli studiosi. Cfr., ad
es., Ackermann, Jesus, 152. Hamack, Mission u. Ausbreitung, I, 353. Goguel, 51. Albertz, 150.
2 Grundmann, Das Problem des hellenistischen Christentums, 1, 73. Anche Heitmüller, Zum
Problem Paulus u. Jesus, 320 sgg.
3 1 Cor. 9, 1 sg.; Gal. 1, 6-10; Thess. 2, 3 sg.; 2 Cor. 12, 1-14; 4, 1-5; 12, 16-18; Thess. 2,
5; 2 Cor. 10, 1; 10, 10; 11, 6; 5, 13; 11, 1; 11, 1216 sgg. Inoltre Feine-Behm, 159 sg.
Schoeps, Paulus, 72 sgg. Sospetta una certa avidità di denaro in Paolo anche il teologo
cattolico Guardini, Das Bild von Jesus dem Christus, 41.
4 2 Cor. 3, 1. Inoltre Pfleiderer, 1, 87 sg. e 131.
5 1 Cor. 3, l; Kol. 4,18; Thess. 2, 2; 3, 17; inoltre Nock, Paulus, 116. E anche Ricciotti, Paulus,
162.
6 E. Meyer, Ursprung und Anfänge, III, 441. Cfr. anche Lietzmann, Geschichte der alten
Kirche, I, 110. Idem, Sitzungsbericht der Berliner Akademie der Wissenschaften, Phil. hist. Kl.
1930, 153 sgg. Nock, Paulus, 87.
7 Gal. 2, 14; 1, 6 sg.; 4, 17; 4, 9; 3, 13; 5, 1; 3, 1; 1, 8 sg.; 5, 12.
8 1 Cor. 3, 3; 11, 18; 1, 10-12.
9 2 Cor. 10, 12-18; 11, 4; 2, 117; Phil. 1, 15 sg.
10 2 Cor. 11, 20; 2, 5; 7, 12; 2, 1; 12, 21.
11 Phil. 3, 2. Che in questo passo si intendano i giudeo-cristiani e non, ad esempio, i Giudei,
viene espressamente rilevato da Ehrhard, Urkirche u. Frühkatholizismus, 55.
12 Phil. 1, 17. Inoltre Stauffer, Die Urkirche, 301.
13 Cfr. Jak. 2, 14 sgg. (a condizione, naturalmente, che la lettera di Giacomo non sia, come
alcuni suppongono, uno scritto puramente giudaico) con Rom. 4, 3; inoltre 1 Mos. 15, 6. In
proposito Diem, 400 sgg. Anche Lietzmann, Geschichte der alten Kirche, 1, 213.
14 Ps. Clem., rec. 3, 61. Cfr. specialmente anche Ps. Clem., hom. 17, 13 sgg.; 18, 6 sgg.
Schoeps, Theologie u. Geschichte des Judenchristentums, 118 sgg. Idem, Paulus, 77 sgg.
Idem, Urchristentums, Judentum, Gnosis, 1
Note
1 Cfr. Clem. Al., strom. 2, 11, 52. Hieron., praef. comm. in ep. ad Tit.
2 Nock, Paulus, 7. Barnikol, Mensch und Messias, 5. Bornkamm, Studien zu Antike u.
Urchristentum, II, 139. Cfr. anche A. Schweitzer, Die Mystik des Apostes Paulus, 49 sg. Una
serie di lettere e di rnissive più ampie alle comunità andarono perdute, ad esempio, ai
Laodicesi, assai probabilmente anche altre lettere ai Corinzi e ai Filippesi. Cfr. Kol. 4, 16; 1
Cor. 5, 9. 2 Cor. 2, 3. Philip. 3, l.
3 Phil. 2, 5-11. È controverso se qui Paolo citi un canto a Cristo formatosi già prima, come
ritiene Lohmeyer in Kyrios Christos. Cfr., ad es., contro di lui Windisch, Paulus u. Christus,
163. Nel contesto che qui ci interessa ciò non è importante. Cfr. su Phil. 2, 5 sgg. anche Rom.
1, 11 sgg.; 8, 3; 1 Cor. 1, 23; 15, 23 sgg.; 2 Cor. 8, 9. 2 Cor. 3, 1. Inoltre Pfleiderer, 1, 87 sg.
e 131.
4 L'eccezione Mt. 18, 6. Mc. 9, 42. Inoltre Mt. 18, 10; Lc. 17, 2. Bousset, Jesus, 93.
5 Cfr. Mc. 15, 43 con Mt. 27, 57. In proposito Dibelius, Formgeschichte, 198.
6 Cfr., ad es., Mc. 9, 1 con Mt. 16, 28. Altre prove cita Bousset, Kyrios Christos, 52. Cfr. anche
Grässer, 201.
7 Atti, 2, 22; 3, 22; 7, 37; 4, 27; 3, 14; 2, 33; 2, 36.
8 Iren., adv. haer. 1, 10, 1; 3, 4, 1. La prova più antica per la leggenda che ne scaturì:
Apostol. Constitutiones, 6, 14.
9 1 Cor. 11, 29 sgg. In proposito A. Schweitzer, Die Mystik des Apostels Paulus, 93.
10 1 Cor. 15, 22 sgg. Cfr. anche 1 Thess. 4, 16 sg.
Note
1 Cfr. Jh. 14, 6; 17, 3; Did. 9, 3; 10, 3; 2 Clem. 20, 5. Cfr. Knopf, Das nachapostolische
Zeitalter, 373 sgg.
2 Philostr., vita Apoll. 4, 31. Lact., div. inst., 5, 3, 14.
3 Fascher, Das Neue Testament, col. 941. Klausner, Von Jesus zu Paulus, 305.
4 Il passo controverso: 2 Cor. 5, 16; 1 Cor. 9, 1 si riferisce certamente alla visione presso
Damasco. Cfr. anche 1 Cor. 15, 8.
5 I passi in questione: 1 Cor. 7, 10; 9, 14; 11, 24 sg.; 1 Thess. 4, 15. I due ultimi passi non
sono in discussione. Cfr. ad es. Bultmann, Theologie des N. T., I, 185. Cfr. anche la sezione
«Le parole del Signore» in Drews, Díe Christusmythe, 11, 134 sgg.
6 1 Thess. 1, 6; Rom. 15, 7; Kol. 3, 13. In proposito Nock, Paulus, 195. Bultmann, Theologie
des N. T., 185.
7 Lettera a Lavater dell'8/4/1774. Cit. da Nestle, Krisis, 280.
8 Lessing, Die Religion Christi, 1780, cit. da Nestle, Krisis, 280.
Note
1 Arthur Schopenhauer, cit. da Th. Ussing, Europa u. Asien, 138.
2 Cfr. Mt. 26, 28 con Mc. 14, 24; Lc. 22, 20; 1 Cor. 11, 25.
3 Jh. 11,50. Cfr. anche 18, 14. Inoltre Zehren, 98.
4 Orig. Cels. 1, 31. Cfr. anche la lunga enumerazione di sacrifici umani dei pagani in Euseb.,
praep. ev. 4, 16.
5 1 Cor. 4, 13; cfr. in proposito Schneider, Geistesgeschichte, 1, 127; 454 sgg. Leipoldt,
Antisemitismus in der alten Welt, 28 sg. Weinel, Biblische Theologie, 232. Zehren, 98 sg.
Schöpf, 22 sgg. Schwenn.
6 Cfr. 1 Cor. 15, 3; Rom. 4, 25; Gal. 3, 13 e altrove.
7 Seeberg, 1, 189. Cfr. anche Harnack, Marcion, 17.
8 Rom. 3, 9-17; 5, 12-21; 7, 14-25; Eph. 2, 3.
9 Aristides, Apol. 15; Athenag., res. mort. 14. Hermas, sim. 9, 29, 1.
10 Così A. Gaudel; secondo Gross, ibid 1, 52. Cfr. ibidem anche per quel che segue.
11 Mc. 2, 18; Mt. 9, 14; Lc. 5, 33. In proposito Heussi, Ursprung des Mönchtums, 15 sgg.
12 Lc. 4, 1 sgg.; Mt. 4,1 sgg.; Mc. 1,12 sg.; 2 Mos. 34, 28; 1 Re 19, 8.
13 5 Mos. 22, 13 sgg.; 22, 28 sg. In proposito Delitzsch, Die große Täuschung, 1, 77 sgg.
Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt, 77 sgg. Idem, Der soziale Gedanke, 72 sgg. Preisker,
Christentum u. Ehe, 77.
14 Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt, 142 sgg. Sulla cerchia dei discepoli, Mc. 15, 40 sg.;
Lc. 8, 2 sg.; 10, 38 sgg.
15 Lc. 10, 38 sgg.; 23, 27sgg.; 7, 36 sgg.; Mc. 12, 41 sgg.; Lc. 8, 1 sgg. Inoltre Leipoldt, Die
Frau in der antiken Welt, 119 sgg. Idem, Der soziale Gedanke, 87. Nielsen, 205.
16 Mc. 1, 29 sgg.; 10, 29; 1 Petr. 5,13. Inoltre W. Bauer in Hennecke, 117 sg.
17 1 Cor. 9, 5; Mc. 1, 30; Mt. 8, 14; Lc. 4, 38.
18 Delling, 108sg. Inoltre 1 Cor. 11, 3; 14, 34.
19 Fascher, Zeitschrift für neutestamentliche Wissenschaft, 28, 1929, 65.
20 1 Cor. 7, 12 sgg. soprattutto v. 15 sg. All'uopo Bornkamm, Die Stellung des N.T zur
Ehescheidung, 283 sgg.
21 Clem Al, strom. 3, 6, 53. Per il matrimonio di Paolo, Jeremias, War Paulus Witwer?, 310
sgg.
Note
1 Greg. Naz., or. 2, 84. Harnack, Marcion, 10.
2 Per Porfirio ad es. Fr. 27 (Harnack). Spengler, Der Untergang des Abendlandes, 2a ed., 524.
Nietzsche, Antichrist, 42. Cfr. 45.
3 Gal. 6, 10. Cfr. anche Rom. 12,18. In proposito Preisker, Das Ethos des Urchristentums, 184
sg.
4 Jh. 17, 9. Cfr. anche 1 Jh. 2, 9 sgg.; 3, 14 sgg.; 4, 20 sg. Inoltre Preisker, ibid., 205. Cfr.,
ad es., anche Werner, Jesus Christus-Das Licht der Welt, 29 sg.
5 1 Cor. 16, 22 sgg. Cfr., ad es., le attenuazioni giustificatorie nei cattolici Daniel-Rops, Die
Kirche, 89 oppure di Schuchert, 75: «non è uomo di fiacchezze umanitarie!».
6 1 Thess. 2, 15 sg. Leipoldt, Jesus u. Paulus, 13. Schneider, Das Frühchristentum als
antisemitische Bewegung, 5. Oepke, 198 sg. E. Meyer, Ursprung u. Anfänge, III, 85.
7 Le SA, Sturmabteilungen, erano reparti speciali d'assalto del Partito nazista [n.d.t.].
8 1 Cor. 3, 9. Sulla superbia Pauli (Lutero), autoesaltazione e umile boriosità, che farà poi
scuola nella Chiesa, cfr., ad es., 2 Cor. 3, 6 sgg.; 11, 22 sgg.; 12, 1 sgg; 1 Cor. 3, 10 sgg.;
11, 1; 2 Cor. 6, 3 sgg.; Thess. 2, 10; 1, 6; Phil. 3, 17. 3, 4. 4, 9; 1 Cor. 2, 6 sgg.; 4, 16; 9,
15; 14, 18; 2 Cor. 1, 12; 1, 14; 3, 1; 5, 12; 10, 13. Sull'accusa di autoesaltazione da parte dei
cristiani: 2 Cor. 3, 1; 5, 12; 10, 13. Inoltre: Fridrichsen, Zum Stil des paulinischen
Peristasenkatalogs 2 Cor 11, 23 sgg.; 25 sgg. idem, Peristasenkatalog und Res Gestae, 78
sgg. Windisch, Paulus u. Christus, 189. Schneider, Geistesgeschichte, 1, 107. K.L. Schmidt,
Der Jude u. der Christ Paulus, 207.
APPENDICE II
L'antifemminismo della Chiesa antica e le sue conseguenze
Questo tema così importante, già accennato a proposito di Paolo, sarà ora oggetto di un'analisi
di massima fino ai nostri giorni.
L'ascesi, qua e là condannata anche nelle Epistole neotestamentarie (1 Tim. 4, 3; 4, 8), ben
presto si impose ampiamente nel Cristianesimo 1, adeguandosi a una tendenza molto viva e
diffusa nell'atmosfera di stanchezza culturale e mondana della tarda antichità.
Ai primi del III secolo grandi Teologi come Tertulliano, Origene o Cipriano fanno già a gara
nell'esaltazione della vita ascetica. Nel IV secolo le esortazioni dei Padri della Chiesa divennero
ancor più pressanti: quanto più la Chiesa si mondanizzava, tanto più predicava la rinuncia al
mondo. Basilio proibì ai fedeli non solo ogni divertimento, ma persino il riso. Il lutto per
l'infelice esistenza terrena dev'essere espresso già dallo sguardo obliquo dei cristiani, dai
capelli incolti, dalle vesti miserabili ecc. Gregorio di Nissa paragona la vita intera a un
«letamaio». Lattanzio scorge nel profumo d'un fiore un'arma del demonio (Lact., div. inst. 6,
22). E per Zeno di Verona il maggior vanto della virtù cristiana consiste nel «calpestare la
natura».
Il Teologo Harnack, tuttavia, vede nel disprezzo della donna la peggiore conseguenza
dell'ascesi cristiana.
La diffamazione della donna nella Chiesa antica
Le donne, da Gesù equiparate agli uomini, presto prevalsero numericamente fra i cristiani, e
proprio a ciò si deve la penetrazione della nuova religione nei ceti più colti. L'autore degli Atti
una volta definisce «discepola» la cristiana Tabitha, con ciò riconoscendo implicitamente la
posizione elevata delle donne nella cristianità più antica 2, le quali per lungo tempo
esercitarono un'attività assai vasta all'interno del Cristianesimo: le profetesse cristiane sono
forse più antiche dei profeti, non poche donne fondarono comunità o ne furono a capo, già in
epoca apostolica esisteva un'organizzazione delle vedove e l'ufficio delle Diaconesse,
corrispondente in parte a quello dei Presbiteri, ma poi soppresso dalla Chiesa cattolica (Linton,
115; Leipoldt, Die Frau in der antiken Welt, 201 sgg.,).
All'inizio del IV secolo le donne erano ancora prevalenti, anche se già nel III secolo era stata
loro interdetta qualsiasi funzione sacerdotale durante il servizio divino e nel II secolo un
eminente Dottore della Chiesa dichiarò che le profetesse erano esseri posseduti dal demonio
(Iren., adv. haer. 1, 13, 3).
La subordinazione della donna potrebbe risalire alla Comunità primitiva, evidentemente per
l'influsso determinante della tradizione giudaica; ma poi non mancò di esercitare la sua
influenza l'avvento dell'ascetismo, nonché, l'atteggiamento di Paolo.
Nella nascente Chiesa cattolica alla fine del II secolo la donna appare ormai soltanto come una
creatura volgare, carnale e seduttrice dell'uomo: è Eva, la peccatrice per antonomasia.
Tertulliano presenta la donna come una «breccia, attraverso la quale s'insinua il demonio» e le
attribuisce la colpa della morte di Gesù
«Sei proprio tu - prosegue la requisitoria tertullianea - che hai aperto la porta la demonio, tu
hai spezzato il sigillo di quell'albero, tu hai violato per prima la legge divina, sei ancora tu che
hai affascinato coloro ai quali il demonio non era capace di accostarsi. Tu hai facilmente
gettato a terra l'uomo, che è immagine di Dio: a causa della tua colpa, cioè in nome della
morte, dovette morire anche il figlio di Dio; e ciononostante ti viene anche in mente di
applicare monili e ornamenti sopra la tua veste di pelli!?» 3.
Ma non bastava che la donna fosse disadorna: Gerolamo avrebbe desiderato raderle il capo a
zero (Hier., ep. 93); molti sostenevano che dovesse astenersi anche dal canto. C'erano
cristiani che evitavano di recarsi nella casa di Dio al fine di evitare «tentazioni», il che alla
Chiesa apparve un po' eccessivo, così che uno scrittore ordinava: «Ama le donne nelle sante
festività, ma odiale nella vita privata!».
Non sempre veniva loro consentito l'ingresso in chiesa: gravidanza e mestruazione le
rendevano inadatte al rapporto con Dio. Per Dionisio di Alessandria (m. 265) era cosa
assolutamente ovvia che le donne non dovessero entrare in Chiesa, per evitare «di toccare il
corpo e il sangue di Cristo» nei giorni della mestruazione. La pensa allo stesso modo anche
Timoteo di Alessandria (m. 385). La Chiesa siriaca puniva le donne mestruate, che avessero
frequentato la chiesa, con una penitenza settennale; i sacerdoti che avessero distribuito loro la
Comunione in taluni casi venivano allontanati dall'ufficio.
I Canones Hippoliti, un importante regolamento ecclesiastico del III secolo, vietavano
l'amministrazione del Battesimo alle donne quando «su di loro giunge l'impurità» e proibivano
la partecipazione «ai Misteri» a coloro che avessero assistito una partoriente, precisamente per
venti giorni se era nato un maschio, quaranta se era nata una femmina. Il tempo per la
purificazione della madre era di quaranta giorni se aveva partorito un maschio, di ottanta se
aveva dato alla luce una femmina. Ancora nella seconda metà del V secolo i preti si rifiutavano
di battezzare puerpere morenti, prima della scadenza del tempo prescritto per la purificazione.
A giudizio di uno studioso cattolico del N.T. (Meinertz) «col Cristianesimo la donna conobbe
una dignità del tutto nuova», ma si tratta di una valutazione che capovolge la realtà dei fatti,
benché non si debba sottacere che non pochi «eretici» preferissero ricordare apertamente l'alta
stima di Gesù per le donne. Marco, gnostico e discepolo di Valentino, le ammetteva al servizio
divino e alla celebrazione dell'Eucaristia, e nel Montanismo potevano diventare persino
sacerdoti e vescovi.
Insieme alla donna, la Chiesa svalutò fortemente anche il matrimonio
Anch'esso si basa su un identico atto di fornicazione. Perciò, la cosa migliore per l'uomo è non
toccare la donna.
(Tertulliano) 4
... vivere a guisa di bestie.
(Gerolamo, adv. Jovin.)
Già nel Nuovo Testamento vengono esaltati «coloro che non si sono contaminati con
femmine», dal che si evince che nel Cristianesimo esisteva una corrente di pensiero, che per
principio combatteva il matrimonio.
Alcune tarde fonti cristiane sostengono che Pietro, il primo «Papa», coniugato con figli, evitava
qualsiasi posto in cui si celasse una donna; non solo, ma fu anche definito «misogino» e gli fu
attribuita la frase: «Le donne non sono degne di vivere». Dell'Apostolo Giovanni si sottolinea
sempre e comunque la verginità. La Prima Lettera di Clemente si fa autorevole propugnatrice
della rinuncia al matrimonio, e nel II e III secolo la tendenza misogina della Chiesa emerge
sempre più chiaramente.
Secondo Giustino, l'apologeta più importante del II secolo, è peccato qualsiasi soddisfacimento
dell'istinto sessuale, ed è illegittimo il matrimonio in qualche modo legato alla soddisfazione di
un istinto maligno (Theiner, 1, 37). Nel III secolo il Padre della Chiesa Cipriano raccomanda
alle fanciulle cristiane una tranquilla esistenza senza figli, contemporaneamente terrorizzandole
con l'evocazione dei dolori del parto (Cypr. testim. 3, 32; hab. virg. 22).
Lo stesso farà il Dottore della Chiesa Ambrogio (Ambr. virg. 1, 6), che tenterà di persuadere le
ragazze cristiane a restare nubili anche contro la volontà dei genitori: «Supera
immediatamente il timore reverenziale dei genitori!» (Ambr. virg. 3, 11. Cfr. anche Hieron. ep.
5 ad Heliod.). Zeno, Vescovo di Verona, consiglia alle giovani dame di non andarsene in giro
per nove mesi con un fardello addosso. Agostino promette alle figlie vergini un posto in
Paradiso migliore di quello assegnato ai genitori, e si augura che nessuno più contragga
matrimonio, onde affrettare la fine del mondo (August. Serm. 354 ad continentes habit. 8. De
bono coniugali, 10).
Gerolamo sa essere forse ancor più seducente, allorché esorta la vergine a parlare, sospirare e
scherzare sul letto solo con lo sposo spirituale; non appena sarai stata colta dal sonno -
sussurra allettante Gerolamo, qui ispirato forse più dai ricordi di una giovinezza scapestrata
che dallo Spirito Santo - Egli verrà «e sfiorerà il tuo ventre» (et tanget ventrem tuum) (Hieron.
ep. 18 ad Eustochium). Infatti, come Gerolamo premette, qualcosa bisognerà pur amare, ma
«l'amore carnale viene superato da quello spirituale»!.
Del matrimonio egli valorizza solo la generazione di vergini. «Se è un bene non toccar donna -
pontifica richiamandosi a Paolo -allora è un male toccarla!» (Hieron. adv. Jovin. 1, 4). I coniugi
vivono, a suo dire, «a guisa di bestie», e nel rapporto sessuale gli uomini «in nulla si
distinguono dai porci e dagli animali privi di ragione»! (ibid., ed ep. ad Vigilantium). Contro il
monaco Gioviniano, poi, il quale verso la fine del IV secolo a Roma sosteneva con notevole
successo il concetto che non essere sposati e digiunare non costituiva un merito particolare,
equiparando alle vergini e alle vedove le donne maritate, il Dottore della Chiesa suddetto,
segretario e amico di Papa Damaso, Santo della Chiesa Cattolica e Protettore dei Dotti,
indirizzò un libello, nel quale, fra l'altro apostrofava l'avversario con queste parole:
«Tu sei ben disposto verso le prosperose, le graziose e le eleganti. Aggiungici anche tutte le
scrofe e le cagne, e, dal momento che sei un amante della carne, anche avvoltoi, aquile e
civette... Tutti i bei volti, tutte le ricciolute, tutte le rubiconde fan parte della tua mandria,
oppure grugniscono piuttosto fra i tuoi maiali... I tuoi porcari sono più ricchi dei nostri pastori,
e i capri attirano molte capre. Sono diventati come stalloni che nitriscono frementi alle
giumente: basta che vedano una donna e nitriscono. Anche le povere donnicciuole intonano il
canto del loro maestro: Dio non esige altro che sperma» (Hieron. adv. Jovin. cit. da Theiner, 1,
134).
Significativamente nella Chiesa romana si incontrerà un fidanzamento ecclesiastico solo a
partire dal XIV secolo, e solo dal XVI secolo sarà celebrato all'interno di un edificio consacrato.
Questo fatto dipende indubbiamente dal declassamento e dal disprezzo ecclesiastico della
donna, la quale era tenuta, invece, a un'obbedienza incondizionata e sempiterna al marito,
anche nel caso che si ubriacasse e la malmenasse. Infatti, come insegnava il Vescovo Basilio
nella sua predicazione, egli è un membro di lei «e invero il più eccellente dei membri»
(Basilius, 7 Hom. 5).
Conseguenze della predicazione ecclesiastica dell'ascesi
All'inizio del II secolo Ignazio dovette raccomandare al Vescovo Policarpo di esortare «le sorelle
ad amare il Signore e a prendere soddisfazione dei loro mariti in carne e spirito». Qualche
tempo dopo la Chiesa raccomandava di non aprire le labbra nell'abituale «bacio d'amore» dopo
l'Agape «e di non ripetere il bacio, se scatena sensazioni di piacere».
Non sarà inopportuno accennare qui anche ai matrimoni spirituali, cioè alla convivenza di
«santi», maschi e femmine, sotto uno stesso tetto o nello stesso letto, vale a dire alle gynài
syneisaktheioi, lat. virgines subintroductae. Tale fenomeno esisteva già, a quanto pare, nella
Corinto paolina e deve questa denominazione al termine col quale il Sinodo di Antiochia definì
quelle attraenti signore che il Vescovo Paolo di Samosata si portava appresso come dame di
compagnia (Euseb. h.e. 7, 30).
In Erma (inizio del II secolo) il profeta dorme «come un fratello» in mezzo a dodici vergini;
esse lo baciano e abbracciano, ma alla fine «non facevano null'altro che pregare, e io pregavo
incessantemente con loro e non meno di loro» (Herm. sim. 9, 11). All'incirca nello stesso
periodo anche la Didachè menziona la strettissima convivenza con una donna, senza rapporti
sessuali, considerata per lungo tempo segno della più alta forma di astinenza, mentre le
seconde nozze di una vedova da molti erano sentite come scandalose e assolutamente
riprovate.
Ma questi sponsali «spirituali» divennero progressivamente sospetti: Tertulliano racconta di
gravidanze di vergini consacrate, e ritiene che per molti Dio sia il ventre. Cipriano Vescovo
esige che le vergini che si rifiutano di lasciare i loro preti siano visitate da levatrici, benché
sappia troppo bene che si può peccare anche con organi non suscettibili di indagini: fu
necessaria una battaglia secolare per sopprimere siffatti matrimoni «spirituali».
Il celibato
Non preoccupavano Gregorio VII gli amorosi sospiri di suore ammalate, i secreti calli dei frati, i
peccati silenziosi o sonori dei chierici, i matrimoni rovinati da loro... e ogni altra turbativa che
ne doveva scaturire; ma nel libro della storia i suoi risultati sono sotto gli occhi di tutti.
(Il teologo J. G. Herder, Ideen zur Philosophie der Geschichte, Libro II, 4)
La proibizione del matrimonio dei sacerdoti risale all'idea, un tempo ampiamente diffusa nel
Paganesimo e presente in ogni forma di culto dell'età imperiale, che il rapporto sessuale
rendesse inadatti al servizio divino. In Oriente, dove l'Eucaristia veniva celebrata solo in giorni
determinati, in quegli stessi giorni ai preti veniva proibito il coito; in Occidente, invece, dove si
celebrava quotidianamente, si impose un'astinenza matrimoniale totale.
Il celibato è affare esclusivamente cattolico. Nella Chiesa ortodossa d'Oriente il matrimonio dei
sacerdoti è rimasto fino ai nostri giorni un fatto assolutamente ovvio. Nella Chiesa romana, a
partire dal III secolo, Vescovi e Preti rimanevano scapoli dopo l'ordinazione, perché ciò
avrebbe dovuto accrescerne il prestigio agli occhi del popolo, il quale cominciava a percepire il
matrimonio come condizione peccaminosa.
Ma accanto al motivo cultuale ebbe un suo ruolo importante anche quello economico, perché i
parroci erano obbligati a consegnare tutte le entrate ai Vescovi, ai quali i sacerdoti scapoli
erano quindi ben più graditi di quelli con mogli e figli. Nel IV secolo molti preti venivano
ricompensati con tanta parsimonia, che potevano intraprendere le usuali pratiche religiose solo
grazie al contributo dei fedeli.
Ma fu solo a partire dal VI secolo che si iniziò a dichiarare nulli i matrimoni di chierici contratti
dopo l'ordinazione. Il Terzo Concilio di Toledo (539) prescrisse ai Vescovi di vendere le donne
sospettate di usare commercio sessuale coi preti, e di distribuire ai poveri il ricavato! E così
anche il Quarto Concilio sempre di Toledo del 633.
Tuttavia solo il decreto sul celibato di Gregorio VII del 1074 proibì ai preti sposati l'esercizio di
funzioni ecclesiastiche e definì «concubine» le loro mogli legittime: da allora vige nel mondo
cattolico il Celibato, quantunque in diretto contrasto col Nuovo Testamento, che pretende dai
Vescovi e dai Diaconi che siano mariti di una sola donna e guidino correttamente i propri figli
(1 Tim. 3, 2 sgg.; 3, 12). Il basso clero si oppose appassionatamente al Papa, chiamandolo
pazzo, eretico, ignorante le Sacre Scritture e fautore di lussuria.
Le conseguenze furono enormi: l'ipocrisia, definita da Richard Wagner il tratto caratteristico
assoluto e il vero e proprio stigma dei secoli cristiani, e il meretricio crebbero in misura quasi
inimmaginabile. La libidine dei chierici era talmente generalizzata, che, secondo Isidoro, non
veniva più considerata un vizio, ma veniva tollerata. Per tutto il Medioevo un gran numero di
ecclesiastici si trascinava dietro veri e propri sciami di concubine; le loro dimore e le abitazioni
vicine, nelle quali si sistemavano siffatte femmine, brulicavano di marmocchi.
In una missiva a Papa Zacaria, Bonifazio, l'Apostolo dei Tedeschi, tratteggia un quadro molto
vivace della Chiesa franca dell'VIII secolo: da più di ottant'anni i Franchi non tenevano
assemblee ecclesiastiche, non nominavano Arcivescovi o rinnovavano i regolamenti della
Chiesa; gli Arcivescovadi erano nelle grinfie di laici avidi di denaro o di preti adulteri; c'erano
Diaconi che vivevano nella lussuria fin dalla giovinezza;
«così sono pervenuti al Diaconato e ancora mantengono di notte nei loro letti quattro, cinque o
più concubine, né si vergognano di leggere il Vangelo e di definirsi Diaconi. E in siffatte
condizioni diventano sacerdoti, anzi persino Vescovi».
Tra questi ultimi Bonifazio trova anche personaggi che «scendono in campo armati, e con le
proprie mani versano sangue umano di Pagani e Cristiani».
La lotta innaturale della Chiesa contro il matrimonio dei preti fece sì che il clero privato di un
tal diritto si abbandonasse al concubinaggio; si verificarono persino casi di stupro dentro le
Chiese, e non mancarono congressi carnali con parenti stretti, se il Concilio di Metz del 753 si
sentì in dovere di proclamare:
«Qualora i preti intrattengano rapporti sessuali con monache, madri (!), sorelle ecc., se
occupano posizioni gerarchiche elevate saranno deposti, se appartenenti al basso clero,
saranno fustigati».
Alla fine del secolo VIII il Vescovo Teodulfo di Orleans minacciava severe sanzioni contro coloro
che coltivassero relazioni sessuali con animali (già la Bibbia è costretta a ribadire
continuamente ai figli di Dio, anche di sesso femminile, l'intimazione contro i rapporti sessuali
con le bestie, anche con la minaccia della punizione capitale 5; in tal caso dovevano essere
uccise insieme alle persone anche le bestie «depravate»!).
La Chiesa inglese previde forme di castigo per Vescovi e Preti, che usassero commercio
sessuale con animali quadrupedi, con le madri e con le sorelle oppure con le monache per
instrumentum. Ancor oggi, del resto, la regola 32a del Regolamento Generale della Compagnia
di Gesù, che impone di «non toccare altri nemmeno per gioco» per la conservazione della
castità, viene estesa da eminenti Gesuiti italiani anche ai contatti con animali.
Fino al secolo XVI inoltrato molti membri del clero conducevano una vita dissoluta alla luce del
sole: per esempio, durante la Guerra dei contadini, i cittadini di Würzburg si rifiutarono di
scendere in campo, perché ritenevano che le donne rimaste a casa non fossero al sicuro dalle
grinfie dei preti. In una lettera pastorale del 1517 il Vescovo Hugo di Costanza lamentò il gioco
d'azzardo, l'ubriachezza e la sregolatezza sessuale di tutti i parroci della Diocesi. A Zurigo
alcuni preti si picchiarono nella pubblica piazza per contendersi una bella puttana. I cittadini di
Regensburg, che nel 1513 avevano catturato il Canonico Zenger perché nottetempo e con
grandi clamori tentava di penetrare in un bordello, e gli abitanti di Augsburg, che spedirono in
catene al Vescovo il prete Frischhans, perché aveva stuprato un bambino, subirono l'interdetto
dei loro Vescovi.
In molti conventi fioriva la fornicazione: verso la fine del Medioevo il monastero di Lipsia
veniva definito una delle meraviglie del mondo, perché conteneva tanti bambini e nemmeno
una donna; il convento svevo di Gnadenzell si chiamava «La casa aperta», perché le suore lo
avevano trasformato in un pubblico bordello. Alla fine del XV secolo erano rinomati come veri
propri e bordelli anche i conventi di suore di Interlaken, Frauenbrunn, Brun, Gottstadt presso
Berna, Ulm e Mülhausen. Il Consiglio Comunale di Lausanne prescrisse pubblicamente alle
suore di non fare concorrenza sleale ai bordelli, e quello di Zurigo emanò una severa ordinanza
«contro l'immondo andirivieni nel convento delle suore».
La lotta dei Concili contro questo comportamento era destinata a rimanere lettera morta, tanto
più se si tien presente che spesso vi contribuivano massicciamente le più alte gerarchie
ecclesiastiche, e non solo nel periodo della pornocrazia, cioè del regime fornicatorio dei Papi.
Nel secolo X il Papa Sergio III mise al mondo con Marozia, moglie del Margravio Alberico, un
bambino, che salì poi al soglio di Pietro col nome di Giovanni XI (931-936). Giovanni XII (955-
963), che divenne Papa a 18 anni e nominò Vescovo un bambino di 10 anni (Giovanni X aveva
fatto di meglio, nominando Arcivescovo di Reims un fanciullino di 5 anni), visse
incestuosamente con le sorelle e fu ammazzato in flagrante adulterio.
Durante la permanenza a Lione nel secolo XIII i Papi, come attestano i teologi, trasformarono
la città in un bordello. I Vescovi tenevano come concubine badesse e suore. Il Papa Giovanni
XXIII (1410-1415), poi cassato dagli elenchi papali perché Antipapa di Gregorio XII (e di
Benedetto XIII), ebbe una relazione con la moglie del fratello, e sembra che a Bologna (ma la
cosa appare un po' esagerata) abbia reso felici duecento fra vedove e verginelle. Innocenzo
VIII (1484-1492), che si portò dietro in Vaticano due figli, criticò aspramente l'ordinanza di un
Vicario apostolico, che prevedeva l'allontanamento delle concubine dei preti. Alessandro VI
(1492-1503), giunto in Vaticano con quattro figli, diede il cappello cardinalizio al diciottenne
figlio Cesare, ebbe una relazione con la figlia Lucrezia (che a sua volta se la intendeva coi
fratelli) e fece dipingere una delle sue amanti, la bella Giulia Farnese, come Madonna, e se
stesso ai suoi piedi in pompa papale.
Dopo il Concilio di Trento (metà del secolo XVI) almeno in apparenza tali fenomeni
diminuirono, ma ancora nel 1883 il Teologo cattolico Curci poteva scrivere:
«Ora però io credo d'avere sufficienti informazioni per assicurare che, prescindendo dalla
circospezione un po' più attenta comprensibilmente adoperata, dovuta al progresso della
cultura, in alcune provincie oggi le cose non vanno meglio che nel secolo XVI prima
dell'introduzione delle riforme tridentine, quando le concubine dei Prelati, accompagnate dai
servi in livrea dei loro protettori, scorrazzavano per le vie di Roma. Tempi passati davvero
ignominiosi! Ma essi non fanno altro che mostrarci quanto incerto sia sempre stato
l'atteggiamento del Vaticano riguardo a tali problemi: durante gli ultimi anni del pontificato di
Pio IX in una provincia meridionale c'era una piccola Diocesi, nella quale per alcuni anni non ci
fu prete, né il Vescovo faceva eccezione, che non mantenesse pubblicamente la sua donna».
Questa notizia riguardava l'Italia, ma anche nella Spagna del secolo XIX la Chiesa ritenne di
dover conservare intatta la severità dell'Inquisizione, onde impedire «che il confessionale
venisse trasformato in un bordello».
Sempre nel secolo scorso, si diceva che l'amoralità del clero cattolico sudamericano superasse
quella di tutte le altre categorie sociali, comportandosi «come se solo ad esso competesse
l'esercizio della lussuria e dovesse illuminare col proprio esempio i laici non meno corrotti».
Nel 1889 un Teologo cattolico ammette a proposito dei preti cattolici del Perù:
«Sono pochi coloro che non sono pubblici concubini... Un colono assolutamente degno di fede
scrisse all'autore d'essere costretto a superare molte esitazioni prima di mandare a confessarsi
una ragazzina di dodici anni».
Anche dei Cardinali romani si diceva che si facessero prestare le donne dai loro mariti:
«In nome dell'ordine - ritiene Rousseau - era lecito che solo le maritate avessero dei figli da
uomini di religione» 6.
Eppure queste sono le conseguenze più innocue dell'obbligo al celibato del clero cattolico: i
Teologi cattolici Johann Anton e Augustin Theiner raccolsero, sempre per il XIX secolo, un
materiale probatorio schiacciante sulla seduzione di bambini, pratiche sadiche, aborti, delitti
compiuti da preti e monaci per gelosia e lussuria. Particolarmente raccapricciante appare il
caso di quel parroco bavarese, che battezzò i suoi due figli prima che la cuoca li assassinasse.
D'altro canto i religiosi che prendevano seriamente il dovere all'astinenza conducevano una
battaglia logorante, si mortificavano giorno e notte in modo assurdo o addirittura si
castravano.
Ma fino a tempi assai recenti ci fu un'aperta opposizione del clero cattolico alla costrizione
celibataria dei Papi, come testimoniano, ma non sono i soli, i sopra citati fratelli Theiner
nell'opera in tre volumi L'introduzione dell'obbligo al celibato per i preti cristiani e le sue
conseguenze. La Chiesa cattolica fece tutto il possibile per acquistare e distruggere il libro;
Anton Theiner fu privato della sua cattedra universitaria, fu assegnato a una parrocchia e morì,
alla fine, in estrema povertà come segretario della Biblioteca Universitaria di Breslau: lo
stipendio bastava appena a non farlo morire di fame. Il fratello minore Agostino si riconciliò
con la Chiesa e diventò Prefetto dell'Archivio Vaticano, ma durante il Concilio Vaticano,
sospettato di fornire ai Prelati dell'opposizione indicazioni e fonti bibliografiche, fu licenziato; la
porta che conduceva dalla sua abitazione all'Archivio venne murata. Il Teologo Friedrich
Nippold curò la riedizione della loro opera nel 1893.
Breve rassegna di teologia morale cattolica e di medicina pastorale
Si sarebbe tentati di annoverare fra la pornografia numerose produzioni di teologia morale.
(Il teologo Heiler)
... sono sorprendenti l'ampiezza e lo scrupolo dedicati da studiosi eminenti alla trattazione di
tali questioni... Si può affermare senza tema di smentite che non c'è libro sconcio che, sotto
questo aspetto, sia peggiore di un trattato di teologia morale.
(Il teologo Alighiero Tondi)
Quanto il celibato sia una condizione contro natura, oltre che contro il Nuovo Testamento, si
evince dalla produzione letteraria di molti maestri di Teologia morale. Un Prelato romano così
si esprime sulla Teologia morale del secolo XVII:
«Quanta sporcizia contengono i trattati di teologia morale, quante sconcezze diffondono! Dov'è
possibile trovare tanti luridi cenci, quanti si ritrovano nelle loro pagine! Al confronto, qualsiasi
bordello della Suburra potrebbe definirsi pudico. Io stesso, che pure ho condotto una
giovinezza scapestrata, disonorandola con ogni sorta di azioni lussuriose, confesso d'essere
arrossito non poco alla lettura del Gesuita Sánchez, dal quale ho appreso più turpitudini di
quante me ne avrebbe potuto insegnare la più svergognata delle puttane... Ma perché mi
limito solo a Sánchez?» 7.
Il Gesuita Sánchez viene ancor oggi citato come un'autorità nel campo della Teologia morale.
Nei paragrafi che seguono faremo alcune citazione dettagliate, traendole dall'opera di un noto
esperto cattolico, composta con la collaborazione dei Gesuiti, e la cui 19a edizione venne
diffusa nel 1923.
Già nelle prime righe del capitolo dedicato al sesto comandamento si legge «che piccoli
fanciulletti iniziano a masturbarsi fra le braccia della madre», dopodiché la masturbazione
viene definita un tactus impudicus teso direttamente a scatenare la polluzione. La sezione
dedicata alla perversione sessuale si occupa ancora della masturbazione con i capelli caduti a
una donna, «i ben noti tagliatori di trecce» [espressione gergale n.d.t.].
Molti luoghi sono davvero ridicoli, come, ad esempio, gli excursus sulla polluzione: quella che
si verifica durante il sonno non è peccaminosa, a patto che non sia stata favorita da fantasie
sensuali. Ma cosa fare, se ci si sveglia e si è lì lì per emettere il seme o se la cosa è già
iniziata? Il nostro esperto cattolico si domanda: «In tal caso si è tenuti a evitare la emissio
seminis». Il revisore dell'edizione più recente entra a questo punto in contrasto con l'autore
della precedente: quest'ultimo ritiene un dovere morale impedire l'evento imminente,
soprattutto mediante energici esercizi della volontà «legati, ad esempio, a una elevatio cordis
ad deum (!)». Inoltre ritiene «cosa ragionevole cercare nel letto un cantuccio più freddo,
oppure saltarne fuori».
Il revisore, al contrario, consiglia l'impedimento della polluzione solo se è presente «un alto
rischio di consentimento al piacere», diversamente non scorge nulla di male (come si affretta
ad aggiungere con formula addirittura classica) «nel consentire il corso spontaneo di un evento
puramente fisiologico e nel dominio di qualsivoglia pericolo di consentimento della volontà,
rivolgendosi a Dio con atti di devozione religiosa». Per il resto anche questo espertissimo
pastore di anime raccomanda di attenuare l'eccitamento connesso cercando un angolino più
freddo del letto ecc. Tuttavia conclude rassegnato: «Però, in ultima istanza, è tutto inutile».
Accenniamo adesso brevemente alla Theologia moralis in lingua latina (come è proprio delle
opere cattoliche sull'argomento) dei Teologi pontifici Aertnys e Damen, pubblicata in due
volumi a Roma nel 1944. Basta menzionare solo pochi problemi di cui si occupano costoro: si
chiedono:
«se sia lecito a una donna pregare un uomo dedito all'onanismo affinché abbia luogo il coito»;
«se la donna possa assolvere ai doveri coniugali qualora il marito eserciti l'onanismo tramite
strumenti preservativi»; «se il marito debba prestare il dovere coniugale, qualora gli sia noto
ch'essa ha occluso artificialmente con un pessario la propria vagina in prossimità dell'orifizio
dell'utero»; «se sia lecito emettere il seme proprio all'ingresso della vagina»; «se i coniugi
commettano peccato mortale qualora durante il rapporto trattengano il seme volontariamente,
perché non si sono ancora molto eccitati»; «se la moglie commetta peccato mortale, quando,
mentre il marito emette il seme, lei trattiene il proprio»;
e così via. Nell'opera cattolica si può ancora leggere ad esempio:
«Si ha un coito contro natura se si adopera un organo inadeguato o si fa uso contro natura
dell'organo deputato al rapporto, onde evitare la fecondazione. Nel primo caso si ha sodomia
impropria, nel secondo si tratta di onanismo. La sodomia impropria è il coito compiuto
nell'organo posteriore della donna, a prescindere dal fatto che l'uomo emetta il seme fuori o
dentro»;
o ancora, come scrivono i due Teologi pontifici:
«L'introduzione del membro virile nella bocca della donna, nella misura in cui avviene
rapidamente e senza pericolo di emissione dei seme, a seconda dei casi non viene considerato
un peccato mortale, poiché la bocca non costituisce organo adeguato al rapporto sodomitico e
l'atto in questione, quindi, rappresenta un tactus impudicus... Sant'Alfonso (de' Liguori), in
accordo col giudizio generale, ritiene un peccato mortale l'introduzione del membro virile nella
bocca della donna soprattutto perché quasi sempre sussiste il rischio dell'eiaculazione».
L'ex professore dell'Università Gregoriana Alighiero Tondi racconta che i cervelli dei cattolici,
soprattutto dei preti, vengono torturati con una specie particolare di mania sessuale, di natura
chiaramente psicoanalitica. I Teologi si intrattengono assai spesso e con evidente soddisfazione
sulle cose più ripugnanti:
«Tutti i professori di morale della Pontificia Università Gregoriana, fatta una o due eccezioni, ne
parlano incessantemente e si occupano della "soluzione morale" dei casi più strampalati e più
rari, purché rigurgitino di accadimenti piccanti. Davanti a un simile atteggiamento mentale e
alla struttura della dottrina cattolica ci si può facilmente immaginare il carattere delle lezioni di
Teologia morale. L'aula traboccava. Un pigia pigia di preti, di seminaristi imberbi che
bisbigliavano estasiati, con le gote roventi e le orecchie aguzze. Lo spettacolo mi dava la
nausea. Taluni insegnanti tengono nelle loro camere raffigurazioni anatomiche e modelli in
gesso per illustrare privatamente ai discepoli che facciano richiesta di spiegazioni ulteriori la
struttura degli organi genitali e l'atto sessuale».
Sono queste alcune delle conseguenze che i Cattolici traggono dall'insegnamento di Gesù
Note
1 Cfr. 1 Clem. 38, 2; 48, 5; 2 Clem. 8,4; 14, 4 sg.; 15, 1; Did. 6, 2 sg.; 11, 11; Herm., vis. 2,
2, 3; sim. 9, 11; Tert., resur. carn. 61; cultu fem. 9, 11; Orig., Hom 9 in Levt.; Hom 13 in
Exod.
2 Atti, 9, 36. Leipoldt, Der soziale Gedanke, 155 sg.
3 Tert., cultu fem. 1, l. La polemica contro gli adomarnenti femminili si trova già nei Pitagorici.
4 Tert, exh. cast. 9. Cfr. anche monog. 3; exh. cast., 10.
5 2 Mos. 22, 18; 3 Mos. 18, 23; 20, 15; 5 Mos. 27, 21. Inoltre Henry, passim, soprattutto
28.».
6 J.J. Rousseau, Confessioni, Ed. H. Bühler, 1948, 172.
7 Cit. da Heiler, Der Kathoizismus, 250, nota 10.