Sei sulla pagina 1di 194

BH'

Annunciare
Cristo
alle genti
LA MISSIONE
DEI CRISTIANI
NELL’ORIZZONTE
DEL DIALOGO
TRA LE RELIGIONI
Erio Castellucci

Annunciane
Cristo alle genti

LA MISSIONE DEI CRISTIANI


NELL’ORIZZONTE DEL
DIALOGO TRA LE RELIGIONI
Dedico questo volume alla memoria del forlivese sen. Leonardo Melandri (1929-2005)
che, da cittadino e cristiano appassionato alla causa dell'uomo, ha speso gli ultimi
anni della sua vita per la costruzione di luoghi e occasioni di incontro tra gli uomini
delle grandi religioni.

Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Firenze

0 2008 Centro editoriale dehoniano


via Nosadella, 6 - 40123 Bologna
EDB®

ISBN 978-88-10-45005-5

Stampa: Grafiche Dehoniane, Bologna 2008


Abbreviazioni e sigle

AAS Acta Apostolicae Sedis, Civitas Vaticana


AT Antico Testamento
BTC Biblioteca di teologia contemporanea, Queriniana
c./cc. capitolo/capitoli
Denz H . D e n z i n g e r , Enchiridion Symbolorum, edizione bilin­
gue, a cura di P. H u n e r m a n n , EDB, Bologna 1995
ed. edizione
EE Enchiridion delle encicliche, EDB
EV Enchiridion Vaticanum, EDB
Gdt Giornale di teologia, Queriniana
in part. in particolare
NBA Nuova Biblioteca Agostiniana, Città Nuova
NT Nuovo Testamento
PG Patrologia graeca, ed. Migne
PL Patrologia latina, ed. Migne
sec./secc. secolo/secoli
SCh Sources chrétiennes, du Ceri
STh Tommaso d'Aquino, Summa theologiae
trad. traduzione
vol./voll. volume/volumi

Sono escluse d all'e le n co le sigle d e i libri b iblici, per le q u a li u tilizzia m o il sistem a d ella
Bibbia di Gerusalemme, e q u e lle de i d o cu m e nti del concilio V aticano II, che v e n g o n o orm ai
co m u n e m e n te citati con la sigla com posta d alle p rim e d u e parole latine d e ll'i/icipif. Sono
escluse inoltre le sigle co m u n e m e n te utilizzate per alc u ne case editrici, com e E D B (= E d i­
zion i D e h o n ia n e d i Bologna), L E V (= Libreria Editrice V aticana), ecc.

5
Introduzione

«A me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa gra­
zia di annunciare ai gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8);
«Abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza
alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome. E tra queste
siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo» (Rm 1,5-6); «Questo vangelo
del regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimo­
nianza a tutte le genti» (Mt 24,14); «Andate, dunque, e ammaestrate tutte
le nazioni» (Mt 28,19); «È necessario che il vangelo sia proclamato a tutte
le genti» (Me 13,10); nel nome di Cristo «saranno predicati a tutte le
genti la conversione e il perdono dei peccati» (Le 24,47); «Come tu mi hai
mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo» (Gv 17,18); «M i
sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino
agli estremi confini della terra» (At 1,8); «Io ti manderò lontano, tra i
pagani» (At 22,21).
Sono solo alcuni degli innumerevoli passi neotestamentari nei quali è
inciso il programma missionario delle prime comunità cristiane, fondato
sull'apertura universalistica di Gesù: annunciare Cristo e il suo vangelo
alle genti. Non sono fissate restrizioni né geografiche, né etniche, né
sociali, né culturali: le nazioni, le genti, il mondo, i pagani - cioè tutti i
popoli della terra che non si radicano nel «popolo di Dio» inaugurato in
Abramo e portato a compimento in Gesù1 - sono per i primi cristiani il

1 II rapporto tra ì cristiani e g li ebrei esula d alle pro ble m atich e trattate in questo v o lu ­
m e, p oich é g li ebrei n o n sono com presi tra «le altre religio ni», m a rappresentano u no d e i
d u e «fuochi» d i quell'ellisse che è «il pop o lo d i D io d e ll'A ntic o e d e l N uo v o Testam ento»
(rim an d iam o a d u e nostri recenti contributi sull'argom ento: «Israele, le genti, la Chiesa:
d alla sostituzione all'in ne sto », in Rivista di teologia dell'evangelizzazione 10(2006)20, 257-
282; «Le ripercussioni d e l dia lo go ebraico-cristiano sulla teologia cattolica», in Rivista di
teologia dell’evangelizzazione 11(2007)21, 37-59. N o n co n d iv id ia m o perciò l ’o pinio ne d i
coloro che vorrebbero o m ologare il dia lo go ebraico-cristiano al rapporto tra il cristianesim o
e le altre religioni, sia che questa o pinio n e porti a d applicare il m o d e llo de lla m issione «alle

7
Annunciare Cridto alle genti

campo vastissimo dell'annuncio. L'attività missionaria della Chiesa delle


origini è la migliore prova di questa autocoscienza: il cristianesimo si è
rapidamente diffuso nei territori anche più reconditi dell'Impero romano,
entrando in dialogo con tutte le culture e innestando in esse l’annuncio
del vangelo. E successivamente, lungo i secoli, la fede cristiana ha incon­
trato i nuovi mondi che a poco a poco venivano «scoperti», giungendo
davvero «fino agli estremi confini della terra».

g e nti» anche a l rapporto con g li eb re i - com e avve niva n e l m o dello d e lla «sostituzione» -
sia che a l contrario porti a estendere il m o d e llo d e l dia lo go con g li ebrei anche al rapporto
con le altre re ligio ni - com e av vie ne ne ll'o rizzo nte del «p luralism o religioso» - riducendo
così la m issione a l solo e lem ento d ialo gico. A b b ia m o espresso la nostra o pinio ne circa la
p rim a ap p licazio ne n e i d u e studi citati. I m o tivi per cui dissentiam o an ch e d a lla seconda
em erg eranno ne l presente volum e. Tra i sostenitori m oderati d i questa seconda a p p lic a zio ­
ne, u n o d e i p iù rappresentativi è J. A rre g u i, «Urs vo n Balthasar: dos propuestas de d iàlo g o
con las religiones», in Scriptorium Victorìense 43(1996), 167-189. C o nsid e ran d o fortem ente
sim bolica e per n u lla casuale la quasi-coincidenza d e lla visita d i G io v a n n i Paolo II alla s in a ­
g o ga d i R om a (13 aprile 1986) con l'incon tro interreligioso d i Assisi convocato d allo stesso
pontefice (26 ottobre 1986), e gli ritiene che sia an ch e storicam ente possibile riscontrare
com e la considerazione d e lla C hiesa verso g li ebrei v a d a d i p ari passo con l'atte g g ia m e nto
verso le altre religioni. M a è soprattutto d a l p u n to d i vista teologico che, secondo l'autore,
vi sono o rm ai tutti g li e lem enti per dire che la relazione con Israele è per la C h ie sa p a ra ­
d ig m a d e lla sua relazione con le differenti religioni. È u n frutto d e l dia lo go ebraico-cristia­
n o infatti la persuasione d a parte d e lla te ologia cristiana che la m essianità d i G e s ù sia «in
cam m in o, in speranza» e che il cristianesim o storico n o n possa presentarsi com e u n a reli­
gione «assoluta». La tesi, d i derivazione b alth asariana, d ella n o n com pleta cattolicità d e lla
C h ie sa - tesi m u tu a ta proprio d al rapporto con Israele - deve per lu i orm ai riflettersi anche
sul rapporto con «le g e nti». S e n za cadere ne l relativism o, occorre o rm ai a parere d e ll’a u ­
tore a b b a n d o n a re no n solo l ’esclusivism o, m a an ch e l'inclusivism o, e adottare un'o ttic a
orientata alla p ie n e zza escatologica d e l cristianesim o stesso: « Q u a n d o le speranze m essia­
n ich e si re alizze ranno ne l R e g no d efinitivo, solo allora potrem o riconoscere ve ram e nte che
"G e s ù è il C risto ". D i p iù , solo allora G e s ù sarà p ie n a m e n te Cristo [...). La confessione di
G e s ù com e Cristo n o n deve abolire la diffe re n za tra la storia e l'escatologia, n é provocare
ne l cristiano a lc u n a pretesa d i superiorità, b e n sì an im a rlo alla co m u ne speranza e alla lotta
co m u ne p e r il R eg no » (ivi, 189). A n c h e Kessler e G effré, per fare u n altro p aio di esem pi,
p e nsa no che il rapporto d i G e s ù e d e lla p rim a C h ie s a con Israele possa costituire u n p a ra ­
d ig m a u tile p e r l ’o d ierno rapporto tra il cristianesim o e le altre religioni: cf. H . K essler,
«Pluralistiche R e lig io nsth e o log ie u n d C h ristolo g ie», in R. S c h w a g e r (hrsg.), Christus
alleiti? Der Streit um die pluralistiche Religionstheologie, (Q uaestiones d isp utatae 160),
Herder, Freiburg-Basel-W ien 1996, 172; C . G e ffr é , «Le p lura lism e re ligieux et l'indiffé-
rentism e, ou le vrai d éfi de la thé o log ie ch ré tie nn e », in Revue théologique de Louvain
31(2000), 22-23. Se è vero che la riscoperta d e l d ia lo g o ebraico-cristiano, specialm en te con
il d o cu m e n to NA - che h a inserito accanto a ll’ebraism o an ch e le altre g ra n d i re ligio ni -, h a
fatto d a «seg navia» per im postare in te rm in i p iù d ia lo g ic i an ch e le relazio ni con le altre reli­
g io n i (cf. H . W a ld e n fe ls , « Z w a n z ig Ja h re "N ostra ae ta te ". D ie katholische Kirche u n d die
nichtchristlichen R e lig io ne n», in K. S c h u h [hrsg.], Die òkumenische Bedeutung der
Konzilsbeschliisse, B e m w ard, H ild e sh e im 1986, 91-92), è anche vero che chi estende a n a ­
lo g am e n te a tutte le re ligio ni la categoria d e lla p e rm a n e n za d e lla vocazione d i Israele
perde «d i vista la specificità e storicità d e lla rivelazio ne veterotestam entaria» (L. G e ro sa,
«D iversità d elle religioni, verità e pace. Riflessioni sul ruolo d el dialo go interreligioso n e lla
costruzione d ella p ace», in Rivista teologica di Lugano 6[2001]2, 294).

8
Introduzione

Oggi non solamente nei paesi dove la Chiesa è «piccolo gregge», ma


anche in molti paesi occidentali di lunga tradizione cristiana, tra cui l'Ita­
lia, la fedeltà al mandato di annunciare Cristo alle genti non richiede nem­
meno più di andare lontano, ma solo di aprire gli occhi: in fabbrica, in uffi­
cio, a scuola, nei bar e nelle strade, nei negozi, e persino alTintemo della
propria famiglia, si incontrano credenti di altre religioni: musulmani, ebrei,
buddhisti, cinesi che professano le loro religioni tradizionali, insieme a
molti sincretisti e alcuni neo-gnostici... Quello che fino a qualche decen­
nio fa era un orizzonte teorico - sul quale si tramandavano racconti di
sapore esotico e avventuroso - oggi è una realtà concreta: l'incontro con le
altre grandi religioni è uscito dai libri di teologia ed è entrato nelle nostre
città, sotto la forma del quotidiano contatto con gli «altri» credenti.
La globalizzazione, che ha reso più facili gli scambi delle persone e
delle merci, ha investito nel contempo la vastissima area delle comunica­
zioni. Viaggi, migrazioni, commerci, sono oggi accompagnati e in qualche
modo regolati dalla possibilità di conoscere e inviare informazioni «in
tempo reale», attraverso i mass media, soprattutto quella vera e propria
rivoluzione che è il web, il mondo virtuale di internet. Oggi ciascuno può
usufruire in ogni momento potenzialmente di un indefinito numero di
informazioni, semplicemente mettendosi davanti al computer: anche per
conoscere le diverse proposte religiose basta digitare le parole-chiave su
un motore di ricerca. È un panorama - quello reale e quello virtuale - che
offre opportunità incredibili fino a qualche tempo fa, rendendo accessibile
un patrimonio di conoscenze, sulle religioni e sui loro aderenti, fino a ora
rimaste per lo più chiuse nelle biblioteche specializzate. E, come sempre
avviene di fronte ai progressi, è un panorama che presenta anche dei
rischi: da una parte, quello della «chiusura» e del «rifiuto», nell'afferma­
zione della propria «identità religiosa» fatta coincidere (problematicamen­
te) con l'identità etnica e civile; dall'altra parte, il «relativismo religioso»,
che considera ogni religione alla pari delle altre, e arriva persino a estrar­
re ecletticamente qualche elemento dall'una e dall'altra per costruirne di
nuove. In pochi decenni l'occidente ha attraversato diverse «fasi» nel rap­
porto con la religione: se negli anni settanta venne coniato lo slogan «Cri­
sto sì, Chiesa no», successivamente ne venne affiancato a questo uno più
radicale: «Dio sì, Cristo no»; e non manca chi negli ultimi tempi, assu­
mendo da agnostico un atteggiamento di apprezzamento verso la dimen­
sione «culturale» delle religioni, professa una sorta di religione civile:
«religione sì, Dio no».2

Il presente volume non ha l'ambizione di affrontare tutti questi pro­


blemi, ma solo di offrire una «guida» per chi volesse confrontare le diver­

2 C f. F. K ó n ig , «D e r interreligiose D ia lo g - au f d e m W e g z u einer T heologie der Reli-


gio n e n », in R. G unther (hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum dàtteri Jahrtau-
send, FS fur H . W aldenfels, B onifatius, P a d e rb o m 1996, 356.

9
Annunciare Cr 'uto alle genti

se proposte teologiche oggi esistenti sul rapporto tra l'annuncio cristiano


e le altre religioni. Fra le griglie di lettura esistenti, la più diffusa è quel­
la che organizza le diverse proposte attorno alla tripartizione «esclusivi­
smo, inclusivismo e pluralismo», oppure «ecclesiocentrismo, cristocentri-
smo e teocentrismo». M a esistono anche proposte più complesse.
A. Amato, ad esempio,3 ha parlato di cinque modelli: esclusivista o
ecclesiocentrico («Cristo contro le religioni»), inclusivista o cristocentrico
(«Cristo nelle religioni»), normativo o teocentrico («Cristo al di sopra
delle religioni»), pluralistico o antropocentrico («Cristo con le altre reli­
gioni») e modello della liberazione o regnocentrico («Religioni senza Cri­
sto»). J.P. Schilliner4 preferisce invece intrecciare una tripartizione e ima
quadripartizione e parla di 1) universo ecclesiocentrico, cristologia esclu­
siva; 2) universo cristocentrico, cristologia inclusiva; 3) universo teocen­
trico, cristologia normativa; 4) universo teocentrico, cristologia non nor­
mativa. Anche P. Knitter5 ha fatto uso di una quadripartizione, diversa
nella terminologia ma sostanzialmente uguale a quella di Schilliner nei
contenuti: 1) esclusivismo: modello evangelico conservatore (una sola
vera religione); 2) esclusivismo modificato: modello protestante classico
(salvezza solo in Cristo); 3) inclusivismo: modello cattolico romano (molte
vie, Cristo come unica norma); 4) modello teocentrico: molte vie dirette a
Dio come centro.
Altri adottano griglie legate meno alla fenomenologia e più alla teolo­
gia della rivelazione, come M. Vergottini che, ritenendo la tripartizione
«in ultima analisi lacunosa e debole, non soltanto perché riduttiva a fron­
te della complessità del problema e delle prese di posizione, ma ancor
più perché non sembra in grado di fare procedere oltre e incrementare
l'intelligenza del problema», propone piuttosto di sganciare il dibattito
dal tema «cristianesimo-religioni» e proseguirlo entro il binomio «fede-
religione».6 W. Pannenberg, infine, fa riferimento in modo originale al

3 Cf. A. A m at o , «M issione cristiana e centralità d i G e sù Cristo. La dim e nsion e cristolo­


g ica d e ll’a n n u n cio cristiano ne ll'e n ciclica "R edem ptoris m issio" d i G io v a n n i Paolo II», in E.
D al C o v o l o - A . T ria c c a (edd.), La missione del Redentore. Studi sull'enciclica missiona­
ria di Giovanni Paolo II, L D C , Torino 1992, 13-29. N onostante la classificazione pentaparti-
ta d elle tesi teologiche, sarà facile riconoscere che le ultim e tre n o n sono altro che va ria­
zio n i d e ll'u n ico te m a teocentrico, com e d e l resto si evince d a lla stessa esposizione d e ll'a u ­
tore (cf. pp. 17-22). I cin q u e m odelli, d u n q u e , sono rico nd u cib ili a tre.
4 J.P. S ch il lin er , «C hrist a n d C h urc h . A S pectrum of V ìew s», in Theological Studies
37(1976), 545-566.
5 P. K nitter , Nessun altro nome? Un esam e critico degli atteggiamenti cristiani verso le
religioni mondiali, (G d t 207), Q u e rin ia n a , Brescia 1991.
6 M . V ergottini , «S ing o larità d e l cristianesim o e p luralism o religioso», in Teologia
16(1991), 314-315; l'articolo riferisce d e l conv e gn o d i studio d al titolo «C ristianesim o e reli­
g ioni. Filosofia e teologia d i fronte alla sfida d e l p lura lism o », svoltosi a Torino il 18-19 otto­
bre 1991 e prom osso d alle U niversità d i Torino, M a ce rata e Roma-Tor Vergata. G li A tti d i
q uesto convegn o sono stati p ub b lica ti, in lin g u a ita lia n a, n e lla rivista Filosofia e teologia
6(1992)1, dove com pare an ch e u n u tile «b ila ncio » d e l convegno a cura d i D. V ic a r i , «U n
co m m e nto a l dibattito H ick-Pannenberg-G effré su "C ristianesim o e re lig io n i"» (pp. 119-
123). Per u n a critica a queste ripartizioni troppo nette, cf. an ch e M . C rociata , «In tro d u zio ­

10
Introduzione

modello tripartito: egli ritiene che nessuna delle tre concezioni a sé stan­
te possa fondare un'adeguata teologia delle religioni; la tripartizione,
perciò, può servire solo se le tre proposte non vengono presentate come
alternative ma come integrative l'una dell'altra: «Quando questi tre
momenti si separano in concezioni e descrizioni alternative del rapporto
del cristianesimo con altre religioni, in un modo o nell'altro devono per
forza risultarne visioni unilaterali e limitate dai fatti».7
Il modello tripartito comunque - non solo perché è più semplice e
immediato, ma anche perché esaurisce le possibilità di classificare le posi­
zioni interreligiose fondamentali8 - resta ancora oggi quello più utilizzato
tra i teologi che intendano proporre una griglia di lettura dell'attuale
dibattito su Chiesa, salvezza e missione.9 Essi parlano di ecclesiocentrismo

n e » a M . C rociata (ed.), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive, Paoline, M ila n o


2001, 8. C o m e Vergottini, an che A . B ertuletti percorre il b in o m io fede/religione come
que llo p iù ido ne o per u n confronto tra il cristianesim o e le altre religioni: cf. «Fede e re li­
gione: la sing o larità cristiana e l ’esperienza religiosa univ e rsale », in Cristianesimo, religio­
ne e religioni, (Q u ad e rn i d i studi e m em o rie 9), Glossa, M ila n o 1993, 95-114.
7 W . P a n n e n b e r g , «Le re ligio ni n e lla prospettiva d e lla teologia cristiana», in Filosofia e
teologia 6(1992)1, 37. Poco sopra l ’autore - in questo ch e è il suo intervento a l convegno di
Torino citato a lla no ta precedente - si era così espresso: «N ell'auto co m p re nsio ne d e l cri­
stianesim o si connettono insiem e il m o m e nto dell'e sclu sività d e lla pretesa cristiana d i pos­
sedere la verità, q u e llo delT inclusività della fede n e lla rive lazio ne d i D io q ua le u nico D io d i
tutti g li u o m in i, e q ue llo d e l riconoscim ento d i u n p lu ra lis m o effettivo d i diverse form e di
fede e d i rive nd ica zio ni n e i confronti d ella verità» (ivi). L a p osizione dell'autore, co m u nq ue ,
rientra n e lla prospettiva d e l «cristocentrismo inclusivo».
8 È convin cente il tentativo, avanzato da Schm idt-Leukel, d i mostrare com e n o n sia
s ostanzialm ente possibile uscire dallo schem a tripartito, q u a n d o si vuole im postare u n a teo­
lo g ia che si p o n g a in rapporto con le altre re ligio ni (cf. P. S c h m id t -Leukel , «Z u r Klassifica-
tio n religionstheologischer M o d e lle », in Catholica 47[1993], 163-183). L’autore sostiene con
b u o n i argo m e n ti lo g ici che a l d i fuori d ella tripartizione si p u ò dare lo g icam e nte solo la
posizione atea («tutte le religioni sono u g u a lm e n te false»); m a p oich é questa no n è o vv ia­
m e nte u n a tesi teologica, restano solo le altre tre possibilità: «U n a sola religione è vera»,
«Tutte le re ligio ni sono u g u a lm e n te vere», «U n a re ligio ne è p ie n a m e n te vera, le altre lo
sono in p arte». N o n convince in effetti il tentativo d i superare la tripartizione q uale , a d es.,
è sostenuto da S.M . O g d e n , « G ib t es n u r eine w ahre R e lig io n oder m ehrere?», in Zeitsch-
riit liir katholische Theologie 88(1991), 81-100 (in part. 96-100). L'autore ritiene che esista
u n a q ua rta im po stazio ne - la sua - d a lu i descritta com e «rappresentazione» dell'am ore
div in o da parte d i G esù; q uesti n o n sarebbe «costitutivo» (inclusivism o) n é tantom eno
«assoluto» (esclusivismo), m a n e p p u re sem plicem ente u n o d e i tan ti «fondatori» religiosi
(pluralism o), b e nsì sarebbe «rappresentativo» d e lla salvezza d iv in a. La posizione di O g d e n
in realtà rientra n e ll’am b ito d i q ue lle pluraliste: è u n p lu ra lis m o m oderato e n o n radicale,
m a p u r sem pre u n a versione d e l pluralism o, che incontrerem o a suo tem po.
9 Cf. ad es. A . Pieris, «Parlare del Figlio d i D io in culture n o n cristiane», in Concilium
19(1982)3, 117-127; J. Dupuis, Gesù Cristo incontro alle religioni, C ittadella, Assisi 1989; Id.,
«Le d éb a t christologique dans le conteste d u pluralism e re ligieux », in Nouvelle Revue Théo-
logique 113(1991), 853-863; R. B e rn h a rd t, Der Absoluteitsanspruch des Christentums. Von
der Aufklàrung bis zur Pluralistischen Religionstheorie, M o h n , G utersloh 1990; A . Rizzi,
G esù e la salvezza. Tra lede, religioni e laicità, C ittà N u o v a, R o m a 2001, 9-33. È lo schem a
adottato an ch e d alla Com m issione te o lo g ic a in te rn a z io n a le , Il cristianesimo e le religioni,
in La civiltà cattolica 148(1997)1, 146-183; il d o cum ento opta per la distinzione tripartita in
«ecclesiocentrism o esclusivista», «cristocentrismo» e «teocentrism o» con cristologia n o rm a ­
tiva o non-norm ativa, sfociando q uest'ultim o n e l soteriocentrismo (cf. n n . 10-11).

11
Annunciare Cristo alle genti

o esclusivismo o dualismo esclusivo (il Cristo contro le religioni); cristo-


centrismo o inclusivismo o superiorità gerarchica (il Cristo delle religioni);
teocentrismo o pluralismo o dualità inclusiva (il Cristo tra le religioni).

Adottiamo dunque questo schema tripartito, articolandolo però in


maniera diversa rispetto alle proposte sinora emerse. Per un'adeguata
comprensione di queste prospettive, infatti, la tripartizione va rapporta­
ta alle tre grandi problematiche - riguardanti la salvezza e la rivelazio­
ne - entro le quali ciascuna posizione è stata elaborata: la questione
della salvezza dei non cristiani, la teologia cristiana delle religioni e la
teologia del pluralismo religioso. Ne risultano così tre grandi orizzonti,
ciascuno dei quali presenta un suo modello tipico ma offre anche aggan­
ci per altri modelli.
Il «modello ecclesiocentrico» è stato elaborato, nel corso dei secoli,
all'interno della questione della salvezza dei non cristiani, sostanzial­
mente come interpretazione dell'assioma «Extra Ecclesiam nulla salus»:
l'approccio generale era quindi di tipo tendenzialmente negativo, poiché
si trattava di verificare possibilità e modalità di un'eventuale salvezza di
singoli individui fuori dei confini visibili della Chiesa (quindi come
«eccezione»). Se in alcune versioni l'ecclesiocentrismo è stato radicale,
favorendo una lettura rigorista dell'assioma, in altre si è mostrato più
moderato, aprendo il varco a quell'affermazione della centralità di Cristo
rispetto alla stessa Chiesa, che ha permesso di cambiare orizzonte.
In corrispondenza con il Vaticano II, infatti, il perno cristocentrico
attorno a cui è stata fatta ruotare l'ecclesiologia ha operato un cambio
sostanziale del quadro di riferimento: la questione non è più se e come si
possano salvare singoli individui non cristiani, ma quale valore rivelativo
e salvifico assegnare alle altre religioni in quanto tali. È l’orizzonte della
«teologia cristiana delle religioni», dove si cerca una collocazione delle
tradizioni religiose non cristiane nel piano salvifico di Dio e quindi una
relazione positiva tra la salvezza cristiana e le altre tradizioni religiose.
Anche in questo quadro al modello tipico, quello inclusivo (Cristo come
«pienezza» di verità e di grazia), se ne è affiancato un altro che ha con­
dotto ben presto alcune teologie a un nuovo cambiamento di orizzonte:
un modello che potremmo chiamare di «cristologia teocentrica».
L'esegesi del X X secolo, a partire dalla scuola liberale, ha evidenzia­
to che il baricentro della predicazione di Gesù di Nazaret è costituito
direttamente non dalla cristologia, dall'ecclesiologia o dalla sacramenta­
ria, ma dall'annuncio del Regno e del Padre. Che si accetti di individua­
re o meno in questo baricentro l'essenza del cristianesimo (individuazio­
ne che dipende, come vedremo, da opzioni previe l'analisi esegetica), il
fatto che la predicazione pre-pasquale di Gesù rimandi essenzialmente a
quei due grandi temi è stato assunto da alcuni come elemento prezioso
per la teologia cristiana delle religioni, al punto da consigliare un supe­
ramento del cristocentrismo per una convergenza su Dio e sul Regno.

12
Introduzione

I modelli teocentrico e regnocentrico hanno stimolato la nascita di un


nuovo orizzonte, la teologia del «pluralismo religioso», dove la riflessione
si concentra non più sul rapporto tra salvezza/rivelazione cristiana e altre
religioni, bensì sulle ragioni teologiche dell'esistenza di una pluralità di
religioni, vista come occasione provvidenziale per accostare la ricchezza
di Dio da diverse prospettive. Il modello tipico, che potremmo chiamare
«cristologia teo/regnocentrica», afferma la centralità di Cristo e lo ricono­
sce come il Figlio di Dio, pur ammettendo il valore rivelativo e salvifico
delle altre religioni; ma si va affermando un altro modello che sembra pre­
ludere a un nuovo superamento di orizzonte: il «soteriocentrismo», che
abbandona ogni intento teoretico - dichiarando magari il fallimento di un
dialogo interreligioso sui principi - e si concentra sulla liberazione del­
l ’uomo, considerata come l’unico campo nel quale le religioni possono
convergere. Questa posizione è nota anche come «antropocentrismo».
I tre grandi orizzonti, con i differenti modelli a essi riconducibili, fanno
trapelare altrettante concezioni della rivelazione e della salvezza: dato il
fitto intreccio di idee che si incontrano negli autori, non è sempre facile
individuare nitidamente le idee di rivelazione e salvezza sottostanti: sono
sempre isolabili, però, le linee portanti. Esponendo le diverse riflessioni,
nei primi tre capitoli emergerà quindi come le nozioni di rivelazione e di
salvezza, nel contesto interreligioso, siano collegate «a monte» con la
concezione generale della natura del cristianesimo (e in particolare con
il rapporto tra Chiesa, Cristo e Regno) e «a valle» con la concezione di
missione (dialogo e annuncio? solo dialogo? solo annuncio?). Cercheremo
dunque di individuare quali relazioni vengano stabilite dentro a ciascun
orizzonte e, di riflesso, ai rispettivi modelli, tra cristianesimo/Chiesa, sal­
vezza e missione. Nell'ultimo capitolo del volume trarremo alcune con­
clusioni di carattere sistematico, in dialogo critico specialmente con i
sostenitori del terzo orizzonte.

13
1.
La questione
della «salvezza
dei non cristiani»

Dal medioevo alle porte del Vaticano II la teologia cristiana affronta il


problema interreligioso prevalentemente nei termini della domanda sulla
«salvezza dei non cristiani» (possibilità e modalità) e, subordinatamente,
in quelli di «dimostrazione della verità del cristianesimo». Poiché in pra­
tica era l'assioma « Extra Ecclesiam nulla salus » a costituire la chiave per
affrontare le questioni interreligiose, ci occuperemo quasi esclusivamen­
te della questione soteriologica, lasciando emergere l'altra - quella apo­
logetica - solo nella misura in cui vi risulta implicata.
La problematica della «salvezza dei non cristiani» assume forma defi­
nitiva nel X X secolo, quando si fronteggiano due modelli ecclesiocentri-
ci piuttosto diversi (1.1): da una parte quello a tendenza esclusivista e
dall'altra quello a tendenza inclusivista. I due modelli rappresentano
altrettante interpretazioni dell'assioma « Extra Ecclesiam nulla salus»,
che funge da catalizzatore di ogni riflessione sulla salvezza dentro e fuori
la Chiesa.
L’origine e la storia di questo assioma, perciò, costituiscono le radici e
10 sviluppo del primo orizzonte (1.2), nel quale si individuano tre grandi
tornanti: patristico, medievale e moderno (è difficile invece trovare già
all'interno del NT affermazioni ecclesiocentriche). Ciascuno di essi offre
11 suo contributo ermeneutico daH'interno di un orizzonte peculiare: nei
padri, la problematica degli eretici e degli scismatici e il conseguente
invito a non abbandonare la Chiesa o a rientrare in essa; nei medievali,
la convinzione di una generale diffusione del vangelo e quindi una vera
e propria «teoria» sulla non-salvezza dei non cristiani; nei moderni, la
constatazione di grandi masse non ancora evangelizzate senza loro colpa
e la conseguente ricerca di ragionevoli «eccezioni» all’assioma.
I due modelli danno poi vita a determinate impostazioni missionarie,
che suppongono precise nozioni di salvezza (1.3): dalla missione finaliz­
zata alla salus animarum nel modello esclusivista, alla missione orienta­
ta alla plantatio Ecclesiae nel modello inclusivista.

15
Annunciare Cristo alle genti

1. 1 . D u e m o d e l l i r a p p r e s e n t a t iv i
d e l l 'o r i z z o n t e
E C C L E S IO C E N T R IC O
Tenendo conto del fatto che le classificazioni sacrificano necessaria­
mente molte sfumature, indichiamo comunque due grandi modelli all'in­
terno del primo orizzonte: quello ecclesiocentrico a tendenza esclusivista
ha come rappresentanti maggiori K. Barth e L. Feeney (1.1.1) e quello
ecclesiocentrico a tendenza inclusivista Pio XII (in maniera solo germi­
nale), H. de Lubac e C. Journet (1.1.2).

1.1.1. M o d e l l o e c c l e s i o c e n t r i c o
A T E N D E N Z A ESCLUSIVISTA:
K arl Barth e L éon ard F eeney

K arl B arth

Due sono gli scritti più significativi di K. Barth sul nostro tema: l'Epi­
stola ai Romani (ed. del 1922) e la Dogmatica ecclesiale (1932-1967).1
Gibellini riassume bene la tesi di fondo della prima, famosissima opera:
La fede non ha niente a che fare con la fanghiglia dell’esperienza religio­
sa; essa è miracolo, salto nel vuoto, spazio vuoto (Holraum) per la grazia di
Dio. La giustificazione avviene solo attraverso la fede, ma, qui, fede - e siamo
a uno dei punti più controversi dell'interpretazione barthiana - significa
fedeltà di Dio. La fede del credente è spazio vuoto per la fedeltà del Dio delle
promesse. L'Epistola ai Romani del 1922 è sotto il segno dell'infinita differen­
za qualitativa (Kierkegaard) tra Dio e uomo e ostende una concezione rigoro­
samente radicale di fede e grazia.2
Già dalle prime righe del suo volume, infatti, Barth chiarisce che il
vangelo per il quale Paolo è chiamato a essere apostolo non è affatto un
messaggio religioso che comunichi notizie e istruzioni sulla divinità, ma
è «l'ambasciata di un Dio, che è del tutto diverso, del quale l'uomo, come
uomo, non saprà e non avrà mai nulla, e dal quale appunto per questo gli
viene la salvezza».3 M a i passi più noti della polemica anti-religiosa di
Barth sono quelli in cui, commentando Rm 1,18 («L'ira di Dio si rivela dal
cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la
verità nell'ingiustizia»), identifica l’empietà con la religione:

1 U n rapido sguardo aU’esclusivismo b arthiano in G . D ’C osta , «Towards a Trinitarian


T heology of Religions», in C . C ornille - V. N eckebrouck (eds.), A Universal Faith? Peoples,
Cultures, Religions, and thè Christ. Essays in honor of F. De Grave, Peeters Press, Louvain
1992, 140-142; G . S chn u rr , «C hristentum u n d R e lig io n bei Friedrich Scheierm acher u n d Karl
Barth», in J. D o rè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel, N am u r 1997, 46-49.
2 R. G ibellini , La teologia dei XX secolo, (BTC 69), Q u e rin ia n a , Brescia 1993, 18.
3 K. B a rt h , L'Epistola ai Romani, F eltrinelli, M ila n o 1974, 4.

16
La questione della «calvezza dei non cristiani»

L'ira di Dio è la giustizia di Dio rivelata alla miscredenza, poiché non si può
beffarsi di Dio. L'ira di Dio è la giustizia di Dio all'infuori di Cristo e senza Cri­
sto. Che cosa significa: all'infuori e senza di Cristo? «L'ira di Dio si rivela sopra
tutta l'empietà e l'insubordinazione dell'uomo». Questi sono i segni caratteri­
stici della nostra relazione con Dio, come si configura al di qua della risurre­
zione. Essa è empia. Noi crediamo di sapere quello che diciamo, quando dicia­
mo «Dio». Noi gli assegniamo il posto più elevato del nostro mondo. Cioè lo
poniamo, in fin dei conti, sopra una stessa linea con noi e con le cose. Noi pen­
siamo che egli ha «bisogno di qualcuno» e pensiamo di poter regolare la nostra
relazione con lui, come regoliamo altre relazioni. Noi ci spingiamo importuna­
mente nella sua vicinanza, e lo tiriamo inavvertitamente nella nostra vicinan­
za. Noi ci permettiamo di avvicinarci a lui in una relazione di dimestichezza.
Noi ci permettiamo di calcolare con lui come se in questo non vi fosse nulla di
straordinario. Noi osiamo darci importanza come suoi confidenti, fautori, agen­
ti, fiduciari. Noi scambiamo l'eternità col tempo. Questa è l'empietà della
nostra relazione con Dio [...). L'uomo ha imprigionato e incapsulato la verità,
cioè la santità di Dio, l'ha ridotta alla sua misura e così facendo l'ha privata
della sua serietà e del suo peso, l'ha resa triviale, inoffensiva, inutile, l’ha tra­
sformata in falsità. Questo verrà alla luce nella sua empietà e la sua empietà
non mancherà di cadere in una sempre nuova insubordinazione. Quando l'uo­
mo è Dio a se stesso, deve necessariamente sorgere l'idolo. E quando l'idolo è
in onore, l'uomo deve per forza sentirsi il vero Dio, il creatore di questa sua
creatura. Questa è la ribellione, che ci rende impossibile la visione del piano
della nuova dimensione, che significa il limite del nostro mondo e la nostra sal­
vezza. Sopra questa ribellione può rivelarsi soltanto l ’ira di Dio.4
La polemica antireligionista riesplode laddove Barth, commentando
Rm 1,23-24 («Essi hanno scambiato la gloria deH'incorruttibile Dio con
l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile»), sostiene che l'uomo ha
perduto il senso di quello che è specifico in Dio, cioè l'abissale distanza
che ci separa da lui. Tra l'uomo e il Totalmente Altro si è infiltrata la reli­
gione, cioè l'illusione che la creatura abbia la capacità di stabilire una
qualche forma di unità e di alleanza con il suo Creatore, senza che egli
intervenga dall'alto, verticalmente:
L’esperienza religiosa, a qualunque grado di altezza si compia, non appe­
na è qualche cosa di più che spazio vuoto, non appena intende essere conte­
nuto, possesso e godimento di Dio, è la sfrontata e inetta usurpazione di ciò
che può essere e diventare vero, soltanto a partire dal Dio sconosciuto. Nella
sua storicità, materialità e concretezza, essa è sempre un tradimento verso
Dio. Essa è la nascita del non-dio, dell'idolo.5
L’atteggiamento che Barth tiene nell'opera verso la religione non è
sempre così negativo nei toni, ma lo è nella sostanza. Nel capitolo setti­
mo, intitolato «La libertà», egli si propone di dimostrare che la religione
«è una possibilità umana e come tale una possibilità limitata di fronte alla
quale sta, in sé ferma e sicura, la libertà di Dio di far grazia all'uomo».6
Ciò che si contrappone alla religione è la grazia, attraverso la quale

4 B a rt h , L'Epistola ai Romani, 19-21.


5 B art h , L'Epistola ai Romani, 25.
6 B art h , L'Epistola ai Romani, 211.

17
Annunciare Cr'uto alle genti

siamo rovesciati dal trono della nostra presunta autonomia e siamo posti
al servizio di Dio, mediante la liberazione dal peccato. Mentre la religio­
ne si costituisce a partire da un'iniziativa totalmente umana, la fede
implica l’assoluta iniziativa di Dio. Si tratta di due realtà completamente
diverse, appartenenti a due mondi che non hanno nulla in comune l'uno
con l'altro, quello dell'uomo peccatore e quello dell'uomo graziato: ogni
pretesa della religione all’assolutezza, trascendenza, immediatezza è
vana; anche le sue più ardite intenzioni rimangono impigliate in un qual­
che prolungamento della natura. Fino alla conclusione: «La religione
appartiene evidentemente al vecchio mondo, sta all'ombra del peccato e
della morte».7
La polemica continua nella Dogmatica ecclesiale, quando Barth sostie­
ne:
La rivelazione [...] ci coglie come uomini religiosi, cioè profondamente
occupati nel tentativo di conoscere Dio sulla base delle nostre possibilità e
dunque in un'attività opposta a quella conforme alla rivelazione. Dovremmo
persuaderci che, per quanto riguarda Dio, ogni nostra attività è vana, anche
nella vita migliore, cioè dovremmo comprendere che non siamo in grado, da
noi stessi, di afferrare la verità e lasciare che Dio sia Dio e nostro Signore.
Dovremmo dunque rinunciare a tutti i tentativi di voler, nonostante ciò,
afferrare questa verità. La sola cosa che ci è richiesta è di essere pronti e
decisi a essere afferrati dalla verità, a lasciare che essa ci parli. Ma questo è
precisamente quanto noi non siamo disposti a fare. Proprio l'uomo che è
stato afferrato dalla verità sa bene di non essere stato affatto pronto e deci­
so a lasciare che essa gli parlasse. Proprio il credente non dice di essere arri­
vato alla fede dalla fede, ma sa di esservi arrivato dall'incredulità, cioè nono­
stante il fatto che l’atteggiamento e l’attività che egli contrapponeva e anco­
ra contrappone alla rivelazione fosse la religione. La rivelazione e la fede
nella rivelazione scoprono il vero volto della religione, scoprono che essa è
resistenza alla rivelazione. Alla luce della rivelazione appare chiaramente
che la religione è il tentativo umano di prevenire quel che Dio vuol fare e fa
nella sua rivelazione, è il tentativo di mettere al posto dell’opera di Dio una
costruzione umana, sostituendo alla realtà divina che si dà e si manifesta per
noi nella rivelazione un'immagine di Dio prodotta dall'arbitrio e dalla fanta­
sia degli uomini. La religione è incredulità; la religione è un interesse, anzi
si deve addirittura dire che è l'interesse per eccellenza dell'uomo ateo [...].
La religione è il tentativo impotente eppure ostinato, arrogante eppur vano,
che l'uomo intraprende per procurarsi, facendo uso delle possibilità che egli
veramente ha, anche se non possono essere usate a questo modo, quella
conoscenza della verità e di Dio che egli può avere solo a patto che Dio stes­
so gliela dia. Questo tentativo non può dunque essere interpretato come se
l'uomo in esso collaborasse armoniosamente con la rivelazione di Dio, come
se la religione fosse la mano tesa ad accogliere il dono che Dio le fa nella sua
rivelazione [...]: nella religione l'uomo rifiuta la rivelazione, si difende da
essa, e lo fa fabbricandosi un surrogato, anticipando per conto proprio ciò
che gli deve essere dato da Dio. L’uomo ha la possibilità di farlo. Però, facen­
do uso di questa possibilità non può raggiungere la conoscenza di Dio in
quanto Dio e Signore, non ottiene dunque mai la verità, ma sempre e sol­

7 B a rt h , L'Epistola ai Romani, 163.

18
La questione della «salvezza dei non cristiani»

tanto un'illusione che non ha nulla a che fare con il vero Dio, nemmeno
approssimativamente,- ottiene un idolo che deve essere smascherato non
appena la verità lo raggiunge, ma solo quando la verità lo raggiunge può
essere scoperto nel suo vero carattere.8
Questa impostazione non rimase racchiusa nelle pagine dei libri di
Barth, ma influì decisamente sull'impostazione del problema interreligio­
so non solo alTintemo della tradizione protestante e calvinista in partico­
lare, ma anche nel Consiglio ecumenico delle Chiese, per molto tempo
coordinato da un fedele discepolo di Barth, Kràmer, il quale mantenne
l’organismo su un'impostazione decisamente ecclesiocentrica.9

L é o n a r d Feeney

In campo cattolico fu il gesuita americano L. Feeney, insegnante di


teologia a Boston, a portare avanti un'interpretazione decisamente esclu­
sivista dell'«£x*ra Ecclesiam nulla salus».10A partire dal 1949 egli sosten­
ne che tutti coloro che non appartengono visibilmente alla Chiesa catto­
lica, eccetto i catecumeni, sono esclusi dalla salvezza eterna. Pio XII
intervenne, attraverso il S. Uffizio, sospendendo il gesuita dall'insegna­
mento ed escludendolo dall'ordine; nello stesso 1949, poi, scrisse all'arci­
vescovo di Boston una lettera che venne resa nota solo nel 1953: anno in
cui a Feeney, che non ritrattava, venne comminata la scomunica.11 Il
magistero, evidentemente, considerava inammissibile l'interpretazione
esclusivista dell'assioma: in effetti lo stesso Pio XII, percorrendo un sen­
tiero aperto da Pio IX, aveva contribuito in maniera determinante a ela­
borarne un'interpretazione più moderata, aU'intemo di un modello che,
con le dovute cautele, si potrebbe definire «inclusivista»; esponendo
dunque l'ecclesiocentrismo inclusivista abbozzato da Pio XII avremo
subito modo di tornare sull'interpretazione sostenuta da Feeney.

8 K. B art h , Dogmatica ecclesiale. Antologia a cura di H. Gollwitzer, Il M u lin o , Bologna


1969, 46-50.
9 Cf. F.A. S ullivan , Salvation outside thè Church? Tracing thè History ol thè Catholic
Response, Paulist Press, N e w Y ork- M ahw ah 1992, 169.
10 Ricostruzione d e tta gliata dell'inte ra vice nd a in S ullivan , Salvation outside thè Chur­
ch?, 135-140.
11 C f. D e n z 3866-3873. A i nostri giorni u n a «riedizione» d e lla «questione Feeney», in
chiave a d d irittu ra scism atica, si registra con il «caso Lefebvre», il vescovo tradizionalista
che decise d i staccarsi d a R o m a proprio in seguito al dia lo go interreligioso condotto av anti
d a G io v a n n i Paolo II, specialm ente d opo l ’incontro d e l 27 ottobre 1986 a d Assisi. Lefebvre
è sem pre rim asto convinto che l'interpretazione autentica d e ll'assio m a fosse q u e lla rigori­
sta (cf. J.-M . T illard , «Sacrem ents et co m m u n io n ecclésiale. Le cas de L am b e th et d'Ecò-
ne», in Nouvelle Revue Théologique 111(1989], 641-663).

19
Annunciare C rijto alle genti

1.1.2. M o d ello e c c l e s io c e n t r ic o
A T E N D E N Z A INCLUSIVISTA:
Pio XII, H e n r i d e L u b a c ,
C h a rle s J o u r n e t

Pio X I I

L'enciclica My stici corporis di Pio X II12 non ripresenta l'assioma «Extra


Ecclesiam nulla salus»-, il papa, tuttavia - all'interno di un'impostazione
chiaramente «ecclesiocentrica» (la Chiesa cattolica identificata con il
corpo di Cristo, una considerazione non positiva dei non cattolici, ecc.) -
afferma l'importante principio del «voto implicito»: pur dichiarando la
vera appartenenza alla Chiesa solo in coloro che fanno parte della sua
struttura visibile, Pio XII ammette che vi possono essere alcuni «ordina­
ti» al mistico corpo del Redentore «inscio quodam desiderio ac voto».13 In
virtù di questo implicito desiderio si raggiunge la salvezza anche al di
fuori dell'appartenenza alla Chiesa visibile. M a è soprattutto in occasio­
ne della vicenda legata a Feeney che papa Pacelli fornisce, attraverso il
S. Uffizio, alcune importanti puntualizzazioni.
Nella menzionata lettera all'arcivescovo di Boston14 si legge che
\'«Extra Ecclesiam nulla salus» deve essere interpretato nel senso in cui
lo comprende la Chiesa, e cioè:
1) la Chiesa cattolica è necessaria «di precetto» per la salvezza (cioè
per comando di Cristo: cf. Me 16,16), per cui «non si salva chi,
sapendo che la Chiesa è stata istituita divinamente da Cristo, tut­
tavia rifiuta di sottostare al romano pontefice»;
2) la Chiesa è necessaria alla salvezza anche di necessità «di mezzo»,
poiché il Signore non ha dato solo il precetto che tutti entrassero
nella Chiesa, ma ha anche costituito la Chiesa «medium salutis»-,
3) tuttavia in qualche caso l'effetto (salvezza) può essere raggiunto
anche senza il mezzo (Chiesa visibile), quando, come nel caso del­
l'ignoranza invincibile, di coloro che però sono nella buona dispo­
sizione d'animo e vogliono conformarsi alla volontà di Dio, vi sia il
desiderio anche implicito di appartenervi: la Chiesa, dunque, non
è di necessità di mezzo «assoluta», bensì di necessità di mezzo
«relativa» per la salvezza;
4) ma non qualsiasi desiderio è sufficiente per la salvezza, bensì un
desiderio che sia «informato da perfetta carità» e da «fede sopran­
naturale».

12 Pio X II, lettera enciclica Mystici corporis sul corpo m istico d i Cristo, del 29 g iu g n o
1943: EE 6/151-260. U n a presentazione d e l rapporto tra C h ie sa e salvezza nell'e n ciclica in
SuixrvAN, Salvation outside thè Churchì, 131-135.
13 Denz 3821.
14 Cf. Denz 3866-3873.

20
La questione della «calvezza dei non cristiani»

Per Pio XII sono quindi decisivi, in ordine alla salvezza, un elemento
negativo (ignoranza invincibile) e tre positivi (voto/desiderio anche
implicito, perfetta carità e fede soprannaturale); essi immettono nell'or­
bita della salvezza in quanto, pur senza realizzare l'appartenenza al
corpo mistico, cioè alla Chiesa visibile, «ordinano» e «uniscono» a essa.15
È in questo senso che ci pare di rinvenire in Pio XII, sebbene in maniera
solo germinale, una tendenza «inclusivista»: egli non si limita a conside­
rare la salvezza dei non cristiani come im piegabile eccezione all'assio­
ma, ma tenta già - all'interno di una granitica concezione dell’apparte­
nenza «reale» alla Chiesa riservata ai cattolici16 - di imbastire qualche
filo con quelli che, pur essendo «fuori» della Chiesa visibile, non ne
hanno colpa e si nutrono di carità e di fede. È vero che per Pio X II la
distinzione ecclesiologica fondamentale resta quella tra chi appartiene
reapse alla Chiesa (i cattolici) e chi non vi appartiene (siano protestanti,
ortodossi, non credenti o musulmani); però è anche vero che, quando
affronta il problema della salvezza dei non cristiani, sembra sposare una
visione meno netta, che lascia la possibilità di immaginare alcune par­
ziali relazioni, almeno abbozzate, con il corpo mistico di Cristo.

H e n r i de L u b a c

Alcuni anni prima dei pronunciamenti di Pio XII, il gesuita Henri de


Lubac aveva già iniziato a elaborare una visione del rapporto tra Chie­
sa e salvezza che avrebbe condotto ben oltre le timide aperture del
papa. Nel 1938 era uscito l'importante volume Catholicisme, nel cui
capitolo VII, dedicato alla «salvezza mediante la Chiesa» - capitolo che
rielabora una conferenza di cinque armi prim a17 e che è stato definito da
H.U. von Balthasar «qualche cosa come im a formula breve riassuntiva
della visione globale filosofica e teologica di de Lubac» -,18 il teologo,
dopo aver richiamato la consueta ampia documentazione patristica e
medievale, pone la precisa domanda: «Ora, se ogni uomo può salvarsi,
sia pure a rigor di termini e in una maniera molto precaria, perché que­
sta Chiesa?».19 La risposta passa attraverso l'idea di «cattolicità» del
corpo ecclesiale; la Chiesa non esiste se non per crescere: «Per la C hie­

15 C oloro che n o n ap p arte ng o no alla co m p ag in e visibile d e lla C hiesa, «quandoquidem,


etiamsi inscio quodam desiderio ac voto ad mysticum Redemptoris corpus ord in en tu r»...
(D enz 3821); «quandoquidem ut g uis aeternam obtineat salutem, non semper exigitur ut
reapse Ecclesiae tamquam membrum incorporetur, sed id saltem requiritur, ut eidem voto
et desiderio a d h ae rea t» (Denz 3870). Le e vid e n zia zio ni sono nostre.
16 Cf. Denz 3802.
17 C f. J.-M . A v e lin e , «Il contributo francese alla te ologia d elle re ligio ni», in M . S e r r e t t i
(ed.), Teologia delle religioni, Paoline, M ila n o 2001, 61-68 (è la sezione d e d icata a de
Lubac).
18 H .U . v o n B a lt h a s a r , Il padre Henri de Lubac. La tradizione fonte di rinnovamento,
Ja c a Book, M ila n o 1978, 45.
19 H . de L u b a c , Cattolicismo. Gli aspetti sociali del dogma, S tu d iu m , R o m a 1964, 189.

21
Annunciare Crijto alle genti

sa il crescere è una necessità di natura finché non abbia ricoperto tutta


la terra e consolidato tutte le anime».20 Questo perché l'umanità è un
tutt'uno, è chiamata all’unità di cui la Chiesa è già un segno e uno stru­
mento; per questo,
provvidenzialmente indispensabili all’edificazione del corpo di Cristo, gli
«infedeli» devono beneficiare a modo loro degli scambi vitali di questo corpo.
Per un'estensione del dogma della comunione dei santi, sembra giusto dun­
que pensare che, pur non essendo essi stessi posti nelle condizioni normali
della salvezza, tuttavia potranno ottenere questa salvezza in virtù dei vincoli
misteriosi che li uniscono ai fedeli. In breve, potranno essere salvati perché
sono parte integrante dell'umanità che sarà salvata.21
De Lubac si spinge fino ad annettere un valore soteriologico alle reli­
gioni in quanto tali? La risposta è certamente negativa: egli, pUr essendo
un pioniere nel riconoscere valori positivi nelle altre religioni, ritiene che
fuori del cristianesimo
non tutto è corrotto, ma ciò che non rimane nello stato infantile rischia sem­
pre di deviare, oppure, per quanto vada in alto, alla fine ricade impotente.
Fuori del cristianesimo niente arriva al Termine, all'unico Termine a cui ten­
dono, senza saperlo, tutti i desideri umani, tutti gli sforzi umani, e che è l'ab­
braccio di Dio in Cristo. I più belli e i più potenti di questi sforzi hanno dun­
que assolutamente bisogno d'essere fecondati dal cristianesimo per produrre
il loro frutto d'eternità, e finché manca loro il cristianesimo, nonostante appa­
renze a lungo contrarie, non fanno altro che scavare neU'umanità il vuoto da
dove s'innalzerà il grido verso la sola Pienezza, e rivelarle più fortemente la
schiavitù da cui essa tenderà le braccia verso il Liberatore.2
In definitiva, per de Lubac,
la salvezza avviene non mediante i sistemi oggettivi non cristiani, bensì attra­
verso i legami che le persone che in essi vivono hanno con la Chiesa, nono­
stante questa cresca grazie all'integrazione in sé degli elementi presenti in
quei sistemi oggettivi. Non ci sono pertanto, neanche momentaneamente; eco­
nomie alternative straordinarie o ordinarie di salvezza, provenienti da Dio.23
Il tema soteriologico in relazione alle religioni venne ripreso dallo
stesso de Lubac in due lezioni, tenute nel 1941 a Lione e pubblicate molto
tempo dopo anche in italiano, col titolo: Per una teologia delle missioni,
nella prima delle quali affronta in modo esplicito la relazione tra Chiesa,
salvezza e missione. La lezione che qui ci interessa inizia con una provo­
catoria osservazione: il solo fatto che il problema del «perché le missio­
ni» debba essere posto per de Lubac costituisce già un paradosso e quasi
uno scandalo: è sintomo di crisi. La necessità di costruire una «teologia
delle missioni» rappresenta, infatti, un fenomeno anormale: è impossibi­

20 D e L u ba c , Cattolicismo, 195.
21 D e L u ba c , Cattolicismo, 198.
22 D e L u ba c , Cattolicismo, 192-193 (con q u a lch e p ic co la va riazione n e lla trad. it.).
23 G . C a n o b b io , «L'em ergere dell'interesse per le re ligio ni n e lla teologia cattolica d e l
N ovecento», in M . C rociata (ed.), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive, Paoline,
M ila n o 2001, 34.

22
La questione delta «salvezza dei non cristiani»

le parlare di Chiesa senza far entrare le missioni nella sua stessa defini­
zione. È però un fatto che molti cattolici non ne sono coscienti e che i trat­
tati di teologia restano guasi muti su questo argomento. Quindi è la
necessità che impone di ricercare dall'esterno una risposta che non potrà
che ricondurre al centro stesso della fede. Qual è dunque il fondamento
teologico dell'opera missionaria della Chiesa? Più semplicemente: per­
ché le missioni?
Le missioni della Chiesa rispondono prima di tutto a un ordine di Cri­
sto risorto, come appare da Mt 28,16-20; Me 16,15; G v 20,19-23. Questi
testi sono la carta di fondazione della Chiesa e anche la carta di fonda­
zione delle missioni. L'opera missionaria non si troverà, dunque, alla
periferia delle attività della Chiesa, ma ne sarà ima parte essenziale. «La
Chiesa è per essenza missionaria poiché ciò che noi chiamiamo le sue
missioni non è altro che il primo mezzo mediante il guale porta a compi­
mento la sua missione».24 Ancora:
È certo che la cattolicità non è solamente un fatto empirico. È un attributo
essenziale, non un accidente che vi si aggiunge. È prima di tutto un fatto di
coscienza, un'idea, una forza. È un'ambizione, un'esigenza. La Chiesa è cat­
tolica perché, sapendosi di diritto universale, vuole diventarlo di fatto. La sua
cattolicità è la sua vocazione che si confonde col suo essere.25
La tensione veterotestamentaria tra universalismo e particolarismo
della salvezza per de Lubac è risolta da Gesù: il «piccolo gregge» è chia­
mato a varcare i confini della terra. Essere se stessi, per i cristiani, è esse­
re missionari. Quando il Cristo risorto affida agli apostoli la missione che
ha ricevuto dal Padre, mostra che la cattolicità per la Chiesa non è solo
un fatto empirico: è prima di tutto un attributo essenziale, un'esigenza.
La Chiesa è cattolica perché, sapendosi universale, vuole diventarlo di
fatto: la sua cattolicità è la sua vocazione che si confonde col suo essere.
Cattolicità dinamica e slancio missionario: tra l'una e l'altra non c'è affat­
to differenza. La cattolicità non è autentica se è priva di questo slancio.
La domanda sul perché delle missioni ha ora una risposta in una tri­
plice forma: è la volontà del Cristo espressa nel precetto agli apostoli,
nella secolare preparazione e formazione della Chiesa, nella sua struttu­
ra stessa. De Lubac a questo punto cerca di chiarire meglio quest'ultima
risposta - ed è in questo contesto che il concetto di «salvezza» diventa
centrale - domandandosi perché Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse
missionaria. Si fanno avanti due soluzioni: o le missioni sono necessarie
per rendere la salvezza possibile al pagano, o solamente per renderglie­
la meno difficile. M a siccome è falso che senza il missionario il «pagano»
sia irrevocabilmente votato all'inferno, dobbiamo respingere la prima
soluzione. Lo scopo delle missioni è allora semplicemente quello di «faci­
litare» all'infedele la sua salvezza? M a così il cristianesimo potrebbe non
essere «assolutamente necessario». Se si rischia di restare bloccati in

24 H . de L u ba c , Per una teologia delle missioni, V ita e Pensiero, M ila n o 1975, 18.
25De Lubac, Per una teologia delle missioni, 28.

23
Annunciare C rijto alle genti

questo dilemma, afferma de Lubac, è perché il problema è male im po­


stato: il concetto-base di salvezza, qui, è totalmente negativo, essendo la
salvezza intesa solo come scampo alla dannazione e il cristianesimo solo
come mezzo privilegiato per raggiungerlo.26 Capovolgendo i termini, se
il cristianesimo è soprattutto una legge d'amore, anche la salvezza è una
realtà positiva e non è una «questione di vita o di morte», bensì una
«questione di pienezza di vita». L'evangelizzazione dei pagani è essen­
ziale perché la pienezza di vita non è un elemento aggiunto e di lusso,
ma l'essenza stessa della salvezza: la conversione al cristianesimo non
deve solo permettere di raggiungere più facilmente uno stato-limite, ma
deve elevare il livello della salvezza dell'uomo.27
Si può dire allora che il fine delle missioni è la salvezza delle anime
degli infedeli? Sì, purché questa salvezza venga intesa in un certo modo:
È giustissimo dire in generale che le missioni tendono a procurare la con­
versione e, in ultima istanza, la salvezza delle anime [...]. Si può quindi man­
tenere la formula: a condizione tuttavia, preciseremo, che questa «salvezza»
sia concepita, come abbiamo detto sopra, in modo positivo (salvezza e santifi­
cazione); a condizione che questa «anima» si intenda come una categoria spi­
rituale piuttosto che metafisica e non designi un'entità che lascerebbe al di
fuori della salvezza tutti i valori corporali; a condizione che questa «salvezza
dell'anima» sia intesa non in modo individualistico, ma nella sua relazione
con una salvezza collettiva; a condizione infine che si tratti, come si è già
visto, meno di un fine estrinseco alla Chiesa che del termine a cui deve giun­
gere la sua spontanea attività.28
Tuttavia la formula «salvezza delle anime» è molto generica: è vera
per ogni attività apostolica. Il compito proprio delle missioni è quello di
mettere a disposizione di tutti gli uomini i mezzi essenziali alla salvezza
che si compendiano in uno solo: la presenza visibile della Chiesa; lo
scopo delle missioni, conclude de Lubac, è la plantatio Ecclesiae.

26 C f. de L u ba c , Per una teologia delle missioni, 34.


27 «N e lla prospettiva che ab b ia m o indicato, l ’e va n g e lizza zio ne d e i p a g a n i n o n d iv ie n e
m e n o essenziale, perché la p ie n e zza d i cui si p arla q ui, lu n g i d a l costituire u n a specie d i
elem ento a g g iu n to e d i lusso, dev'essere considerata com e l'essenza stessa d e lla salvezza.
D ic ia m o q u in d i, se si vuole, che que sta p ie n e z z a d i vita p u ò essa stessa divenire, in u n certo
senso, u n a questione d i vita o d i morte. In u n a tale prospettiva, la conversione d e ll'in fe d e ­
le a l cristianesim o [...] n o n deve solo p e rm etterg li d i ra g g iun g e re p iù facilm ente u n certo
stato lim ite: deve d arg li la p ossibilità d i esercitare u n atto sem pre p iù eccellente. Il cristia­
nesim o reca con sé delle virtualità, m a an ch e ne l contem po o b b lig azio n i e responsabilità
nuove, e p iù la verità d e i suoi m isteri si im p o n e alla m e d ita zio ne d i u n ’an im a , p iù la sal­
ve zza d i q ue st’a n im a vede elevarsi, in q u a lch e m isura, il suo livello» (de L u ba c , Per una teo­
logia delle missioni, 34-35). D e L u b ac n o n in v e n tò la fo rm u la «p iene zza d i vita», m a la
riprese d a P. G lorieux, che l'aveva proposta nel 1933. M e ntre tuttavia, n e lla riflessione di
G lorieux, l'espressione sem brava ap p o g g iare u n a visione d elle m issioni com e «attività
sup e rflua» e n o n necessaria - e com e tale d ie d e origine a u n a p ole m ica m olto accesa - ne lla
ripresa di de L u b ac essa viene inserita in u n a precisa considerazione «cattolica» d ella C h ie ­
sa, la q u a le costituisce il vero m otivo u ltim o d e lla m issione. Per la ricostruzione d i questa
p o le m ica e la relativa d o cum e ntazione , cf. G . C o l z a n i , La missionarietà della Chiesa. Sag­
gio storico sull'epoca moderna lino al Vaticano II, ED B, B o lo gn a 1975, 58-71.
28 D e L u bac , Per una teologia delle missioni, 40.

24
La questióne della «calvezza dei non cristiani»

Con queste prospettive il teoloqo gesuita, pur muovendosi global­


mente entro il paradigma ecclesiocentrico della «salvezza dei non cri­
stiani», contribuisce al passaggio verso una vera e propria «teologia cri­
stiana delle religioni», il cui interesse principale risiede proprio nella col-
locazione delle religioni non cristiane nell'ambito del progetto salvifico di
Dio compiutosi in Cristo.

C harles J o u r n e t

La riflessione ecclesiologia di Journet ha inciso nella teologia della


metà del X X secolo e del concilio Vaticano II. Egli ha dedicato una certa
attenzione anche alla relazione tra Chiesa e salvezza, commentando l'as­
sioma «Extra Ecclesiam nulla salus».29 Secondo l'autore, esso non fa che
riassumere il cuore del NT: e tuttavia non va compreso come se inten­
desse escludere dalla salvezza tutti coloro che sono fuori della Chiesa
visibile. Journet distingue tre atteggiamenti a riguardo del messaggio
evangelico:30 coloro che lo rifiutano volontariamente e consapevolmente,
i quali si escludono da soli dalla salvezza; coloro che accolgono il mes­
saggio evangelico e appartengono alla Chiesa: di essi sono salvati quelli
che vivono un'appartenenza autentica, mentre sono condannati quelli
che commettono scandali e non si convertono; infine coloro che sono
apparentemente lontani dal messaggio evangelico, ma che in realtà
appartengono già a Cristo in maniera segreta e incipiente.
È proprio in relazione a questa terza tipologia che Journet sviluppa le
sue riflessioni più interessanti. Egli ritiene che il fatto di
credere che Dio esiste, e che Dio è remuneratore per coloro che lo cercano, è
già credere nella Trinità in una maniera implicita, è aver detto sì a questo
immenso mistero, a questo abisso, Dio nascosto nelle profondità inaccessibili
alla ragione, è avere detto sì a questa provvidenza meravigliosa [...], è crede­
re già implicitamente alla Trinità e all'incarnazione.31
Ricorrendo poi alla categoria medievale dei «sacramenti di natura»,
considerati salvifici per coloro che in buona fede li praticavano, Journet
dilata agostinianamente i confini della «Chiesa», fuori della quale non
c'è salvezza, a tutti gli uomini che dall'inizio - dalla preistoria persino -
si sono aperti al senso religioso della vita e alla carità verso i loro simili:
«Così la grazia raggiunge ciascuna anima, misteriosamente, ma in una
maniera così profonda che, se essa non resiste, comincia a costituire la
Chiesa, e se essa resiste, dice no alla Chiesa, a Cristo e all'intera Tri­

29 Le id e e centrali d i C . J o u r n e t s u questo argom ento sono raccolte ne l saggio d a l tito­


lo «Hors de l'E glise, p as de salut», che rielabora u n a conferenza te n u ta d all'au tore n e l 1952
ed è ora rip u b b lic ato in Nova et Vetera 74(2000)4, 17-33.
30 C f. J o u r n e t , «H ors de l ’Eglise, pas de salut», 18.
31 J o u r n e t , «H ors de l'E glise, pas de salut», 19. Per la n o zione ag o stiniana a m p ia d i
«C h ie sa», cf. S. M a d r i g a l T e r r a z a s , «E clesialidad y u niv e rsa lida d de la salvación a la lu z
de la no ción "E cclesia a b A b e l’’ », in Diàlogo Ecumènico 25(2000)112, 211-262.

25
Annunciare Cripto atte genti

nità».32 Dovunque, nel regime della «legge di natura», si riscontri un atto


di gratutità e di autentica religiosità, lì è presente la Chiesa; dovunque al
contrario si verifichi un atto di idolatria, lì non è presente la Chiesa.33
L'ispirazione agostiniana è manifesta quando Journet scrive:
La città del male si oppone costantemente alla città del bene. Ma là dove
la Chiesa non riesca a stabilire la sua gerarchia per comunicare la grazia per
contatto, gli uomini sono destinati a perire spiritualmente? No, Cristo invia la
grazia a distanza.34
L'ecclesiocentrismo inclusivo dell'autore è perfettamente espresso
nella sintesi che egli stesso dà del suo pensiero:
Quando il mondo cesserà e vi sarà la separazione eterna tra il cielo e l'in­
ferno, si potrà dire che tutti gli eletti saranno appartenuti alla Chiesa cattoli­
ca? Sì, o in atto compiuto o per desiderio. Per appartenere alla Chiesa cattoli­
ca, bisogna dire sì a Cristo, sì alla Trinità. Tutti coloro che saranno appartenu­
ti alla Chiesa cattolica avranno conosciuto esplicitamente, concettualmente,
Cristo e la Trinità? Ne avranno essi stessi sentito parlare? No, ma il sì che
hanno detto alla grazia che veniva loro offerta era detto implicitamente al Cri­
sto e alla Trinità [...]. Quando io dico sì dal profondo del mio cuore, quando
un preistorico dice sì alla grazia, lo dice con ciò stesso al papa, che egli non
conosce e che non lo conosce, alla Chiesa, alla Vergine, a Cristo che lo rico­
nosce come suo. Dunque nessuno raggiungerà il cielo senza essere apparte­
nuto alla Chiesa, o in atto compiuto o in atto incipiente. La Chiesa! Come è
grande! Dall'indomani della caduta fino alla fine del mondo essa è in cammi­
no, e ad essa appartengono forse miliardi di anime. Ella è più vasta di quan­
to pensiamo, più pura anche, poiché noi siamo in essa a motivo della grazia e
di ciò che vi è di autentico in noi, e non con il nostro peccato.35
L'impostazione di Journet costituisce il tentativo più coerente di spie­
gare 1'«Extra Ecclesiam nulla salus» senza rinunciare all'ecclesiocentri-
smo,- la soluzione dell'autore consiste, come è emerso, nel dilatare i confi­
ni della Chiesa fino a farla coincidere con tutti i «salvati» dall'inizio alla
fine dei tempi. È una prospettiva che ha avuto un certo seguito, perché si
aggancia ad Agostino e ad alcuni padri greci: e anche per questo è stata
ripresa dalla recente teologia ortodossa.36 Per Journet appartiene alla
Chiesa solo la «parte santa» di ciascuno, sia o meno battezzato. È eviden­
te che in questo modo «fuori della Chiesa» può essere inteso in senso let­
terale, a patto però di rinunciare a una definizione di «Chiesa» attraverso
il battesimo e i sacramenti, la fede esplicita in Cristo e la comunione con il
magistero; con tutti i problemi - tipici del dibattito aperto dalla Riforma -
di quale sia la relazione tra la Chiesa invisibile e quella visibile.

32 J o urnet , «Hors d e l ’Eglise, pas de salut», 25.


33 Cf. J o urnet , «Hors de l ’Eglise, p as de salut», 26.
34 J o urn et , «Hors de l'Eglise, pas de salut», 29.
35 J o urn et , «Hors de l ’Eglise, pas d e salut», 30.
36 Tra g li ortodossi fa propria questa prospettiva a d es. D. Pa pan dreo u , «L a vérité chré-
tie nne et l'u nive rsalité d u salut», in D orè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, 193-
208. E g li raccoglie n e l saggio il pensiero n o n solo d i teolo g i d e lla C h ie sa antica, m a anche
di altri pensatori ortodossi co ntem poranei (in particolare I. Karmiris).

26
La quejtione della calvezza dei non cristiani»

1. 2 . R a d ic i e s v il u p p o
D E L P R IM O PA R A D IG M A
Sarebbe vano, come abbiamo accennato, cercare nel NT veri e propri
«agganci» per sostenere l'ecclesiocentrismo esclusivista. G li unici testi su
cui l'interpretazione rigorista dell ’«Extra Ecclesiam nulla salus» potrebbe
eventualmente appoggiarsi sono Me 16,15-16 e Gv 3,5: ma una loro let­
tura attenta non permette tale interpretazione.
In Me 16,15-16 viene stabilita questa doppia sequenza da parte del
Risorto che invia gli undici ad annunciare il vangelo a ogni creatura:
«Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà con­
dannato». La sequenza positiva, quella della salvezza, ha due condizio­
ni, la fede e il battesimo: l'adesione alla «Chiesa» pone quindi nell'orbi­
ta della salvezza (cf. anche Rm 1,16; At 2,38-40; 16,31-33; Tt 3,5; ecc.);
quella negativa della condanna ha come unica condizione il rifiuto di cre­
dere. Nella seconda sequenza manca la menzione del battesimo, per cui
il testo non afferma formalmente che chi non è battezzato sarà condan­
nato, poiché suppone ovviamente che chi non crede non si lasci neppu­
re battezzare;37 nella stessa sequenza, inoltre, il rifiuto di credere è pre­
sentato come una presa di posizione esplicita contro l'annuncio del van­
gelo e non come semplice «dato di fatto»: non vi è dunque intesa l'even­
tualità di un'ignoranza del vangelo. In definitiva, non vi è alcun fonda­
mento nel sostenere il rigorismo sulla base di questo testo.
Un testo per alcuni aspetti imparentato con quello appena analizzato è
Gv 3,5: «In verità, in verità ti dico: se uno non nasce da acqua e da Spirito,
non può entrare nel regno di Dio». Anche in guesto caso sembrerebbe a
prima vista affermata ima concezione esclusivista della salvezza: è natura­
le infatti che i lettori di Gv interpretassero la duplice menzione dell'acqua e
dello Spirito come un riferimento al battesimo e quindi la mancata recezio­
ne del battesimo come esclusione dal regno di Dio.38 Ciò che non è natura­
le però - anzi, ciò che non è lecito dedurre dal testo - è che l'evangelista
intendesse ricavare dalle affermazioni di Gesù a Nicodemo ima «teoria»
sulla non-salvezza di coloro che non erano battezzati: è più logico supporre
che anche in questo caso l'autore si riferisca alla necessità di farsi battezza­
re da parte di coloro che venivano a conoscenza del vangelo di Gesù. Nes­
suna interpretazione rigorista è dunque lecita nemmeno da questo testo.
È in una visione ecclesiocentrica inclusivista, invece, che trovano
facilmente spazio questi e altri collegamenti neotestamentari tra il batte­
simo e la salvezza, in particolare lPt 3,20-2139 (cf. anche Ef 5,26; Eb

37 Cf. W. G r u n d m a n n , Das Evangelium nach Markus, E v ang e lisc he V erlaganstalt, Ber­


lin 1977, 454.
38 Per u n a discussione d e tta gliata sul versetto, cf. R.E. B r o w n , Giovanni, C ittadella,
Assisi 1 9 7 9 ,1, 186-190.
39 H u g o R a h n e r h a dim ostrato l'im p o rta n za d i questo testo n e llo svilu p po patristico e
m e d ie v ale d e l rapporto salvezza-Chiesa: cf. H . R a h n e r , Symbole der Kiiche. Die Ekklesio-
logie der Vàter, O tto M iiller, S a lzb urg 1964, 504-547.

27
Annunciare Criito alle genti

10,22), tra l'eucaristia e la remissione dei peccati (cf. Mt 26,28) e, più in


generale, tra la Chiesa da una parte e le realtà salvifiche dall’altra (cf. Mt
16,18-19; Gv 20,23). Una visione che però, come vedremo parlando del
secondo orizzonte, andrà integrata con quella cristocentrica e, anzi,
dovrà confluire in essa.
Solo a partire dai padri del III secolo si diffonde l'espressione «Extra
Ecclesiam nulla salus», la quale comunque non costituisce ancora una
«teoria» sulla condanna di coloro che sono fuori della Chiesa visibile
(1.2.1); saranno piuttosto i medievali, a partire da Fulgenzio di Ruspe per
giungere a Bonifacio V ili e al concilio di Firenze, a trasformare l'assioma
in una vera e propria «teoria» (1.2.2). Quando, in seguito alle scoperte di
nuovi mondi, la cristianità prende atto dell'esistenza di grandi masse
umane «extra Ecclesiam», l'assioma viene mantenuto, ma con un'inter­
pretazione moderata che vi integra la classica teoria del votum baptismi
e vi inserisce la nozione di «ignoranza invincibile». I tentativi di ripro­
porre, in questo nuovo contesto, un'interpretazione rigorista - prima con
le dottrine gianseniste nel XVII e XVIII secolo, poi con le già menziona­
te tesi di Feeney nel X X secolo - sono regolarmente respinti dal magi­
stero coevo (1.2.3).

1.2.1. « E x t r a E c c l e s ia m n u l l a s a l u s »
N EI PADRI: O R I G E N E , C lP R IA N O ,
A g o s t in o , O ttato

O rig e n e

L'assioma «Extra Ecclesiam nulla salus»40 si incontra per la prima volta


in Origene e in Cipriano. Vi sono però delle «premesse» patristiche già
nel II secolo in Ignazio e Ireneo, i quali sembrano effettivamente esclu­
dere dalla salvezza eretici e scismatici: Ignazio, quando afferma che se
qualcuno segue uno scismatico non può ereditare il regno di Dio;41 e Ire­

40 Per a lc u n i u tili ap p ro fo n d im e n ti s ulla storia e il significato dell'assiom a, cf. J. R atzin ­


g e r , «N essuna salvezza fuori d e lla C hiesa?», in I d ., Il nuovo popolo di Dio, (BTC 7), Queri-
n ian a , Brescia 1971, 365-389: W. B einert , «D ie alle in s e lig m ac h e n d e Kirche. O der: w er k a n n
gerettet w erden?», in Slimmen der Zeit 115(1990), 264-278; G . C a n o b b io , «Extra Ecclesiam
n u lla salus», in La Rivista del Clero italiano 71(1990), 428-446,- E. G o m e s , «La m issione
"d o p o la p ro m u lg a z io n e " d e l va ng e lo», in E. D al C o v o l o - A . T ria c c a (edd.), La missione
del Redentore. Studi sull'enciclica missionaria di Giovanni Paolo II, L D C , Torino 1992, 87-
98; B. K ó r n e r , «Extra Ecclesiam n u lla salus. S in n u n d P ro b le m atik diese Satzes in einer sich
w a n d e ln d e n fund a m en ta lth e o lo g isc h en E kkle sio lo gie », in Zeitschrift fiir Katholische Theo-
logie 114(1992), 274-292; M a d rig a l T erraza s , «E cle sialid ad y u niv e rsalid ad d e la salvación
a la lu z de la no ción "Ecclesia a b A b e l"» ; R. S c h w a g e r , «K irchliches L e h ram t u n d Theolo-
g ie », in Zeitschrift fiir Katholische Theologie 111(1989), 163-182. Lo studio fo n d a m e n ta le è
c o m u n q u e il m e n zio n a to vo lu m e d i S u l u v a n , Salvation outside thè Church?.
41 Cf. I g n a z io d i A n t i o c h ia , Ai Filadelfi 3,3. Per n o n com plicare le note, le citazioni dei
p ad ri e d e g li autori m e d ie v ali ve ng o no fo m ite per intero (con ind ic azion e d e ll’ed. critica e

28
La questione della «calvezza dei non cristiani»

neo, dove scrive che chi si comporta male nella Chiesa, non è sotto l'a­
zione dello Spirito.42
Origene dunque, commentando allegoricamente il racconto della pro­
stituta Raab in Gs 2, afferma che la «casa della prostituta», che sola
garantisce la salvezza in mezzo a Gerico, è la Chiesa, che era «prostitui­
ta» agli idoli del mondo e ora, per grazia di Cristo, è divenuta vergine; il
«filo scarlatto» che è segno di salvezza è il sangue di Cristo; rivolgendo­
si ai giudei, Origene può così affermare;
Chi di quel popolo vuol essere salvato, venga in questa casa per ottenere
la salvezza. Venga in questa casa, in cui il sangue di Cristo sta come segno
della redenzione [...). Al di fuori di questa sola casa, cioè fuori della Chiesa,
nessuno sarà salvato (extra hanc domum, id est extra ecclesiam, nemo salva-
tur). Se qualcuno tuttavia esce fuori, è egli stesso colpevole della sua morte.43

C ip riano

Pochi anni dopo Cipriano ripropone l'assioma in un contesto diverso.


Fondata sul ruolo simbolico di Pietro e sull'unità del collegio episcopale,
l'unità ecclesiale per Cipriano è criterio ultimo della fede e di conseguen­
za condizione imprescindibile della salvezza. Chi si pone fuori della Chie­
sa non può essere nella vera fede e non può partecipare della salvezza.
Nella sua famosa opera L'unità nella Chiesa leggiamo che «non può avere
Dio come Padre chi non ha la Chiesa come madre»; «Per i credenti non
c'è altra casa al di fuori dell'unica Chiesa»; «Non possono restare con Dio
coloro che non hanno voluto rimanere concordi nella Chiesa di Dio».44
Queste affermazioni vengono da lui stesso riassunte in altri scritti con la
formula «Extra Ecclesiam nulla salus» o espressioni molto simili.45

Agostino

Nei padri successivi, soprattutto Agostino, l'espressione acquista un


senso più generale e meno legato al contesto parenetico di Origene e
Cipriano;46 nel corso del IV secolo, con l'affermazione del cristianesimo
come religione ufficiale dell'impero, l'assioma viene ad assumere un
senso più universale, arrivando a comprendere i giudei e i pagani e non
più solo gli eretici e gli scismatici.47 Tuttavia anche aH'intemo del rigori­

d e lia trad. it. utilizzata) a fine volum e, n e lla sezione «fonti»; solo n e l caso d e l rim a n d o a PL
o a PG l'in d ic a z io n e vie ne fornita ne lle note stesse a p iè d i p a g in a .
42 Ir e n e o d i L io n e , Contro gli eretici 111,24,1.
43 O r ig e n e , In Jesu Nave 111,5; PG 12,841.
44 C ip r ia n o , L'unità della Chiesa 6,8 e 14.
45 Cf. a d es. Lettere 52,1,3; 55,24,1-2; 71,1,3; 74,7,2.
46 Cf. a d es. A g o s t in o , Lettere 43,8,21 e 141,5.
47 Cf. S u l u v a n , Salvation outside thè Church?, 24-27.

29
Annunciare Crùito alle genti

smo di Agostino, che esclude dalla salvezza perfino i neonati morti senza
battesimo,48 incontriamo una linea di pensiero che legittima una salvez­
za fuori della Chiesa visibile: ne fa fede l'idea della «Ecclesia ab Abeh,
su cui torneremo, con la guale Agostino riveste «di una categoria il pen­
siero di un'appartenenza alla Chiesa al di fuori dello spazio di una sua
visibilità giuridica»,49 derivante dall'idea - come vedremo custodita in
seguito dai teologi medievali e dal magistero antigiansenista - che la
redenzione e la grazia di Cristo hanno una portata universale che trava­
lica i confini della Chiesa visibile.50

Il senso fondam entale d e ll’assioma nei padri

Sarà però solo con Fulgenzio di Ruspe (f 533) che la formula verrà
intesa come «teoria» sulla non-salvezza di coloro che non appartengono
alla Chiesa. Nei padri, come si vede, l'intenzione non è guella di espri­
mersi sulla sorte eterna di coloro che non appartengono alla Chiesa visi­
bile, bensì guella di affermare la necessità di entrare nell'una e unica
Chiesa voluta dal Signore. L'assioma è nato dungue come appello a
entrare (o tornare) nelTunica Chiesa.51 La «salvezza» da esso intesa
appare allora certamente più ampia di un mero «scampo» dall'eterna
condanna: implica i mezzi di salvezza - predicazione e sacramenti - di
cui la Chiesa è dotata. Chi si separa volontariamente dalla Chiesa o
coscientemente decide di non entrarvi, si priva di guei mezzi salvifici di
cui il Signore l'ha dotata perché possa trasmettere i doni della sua reden­
zione; guesto sembra il significato dell'assioma presso i padri: «Extra
Ecclesiam nulla media salutis».

48 Cf. D e dono perseverante 9,23 e 11,25 (PL 45,1005-1006 e 1007-1008).


49 R a t z in g e r , «N essun a salvezza fuori d e lla C hiesa?», 373. S ul rapporto tra C h ie s a e sal­
ve zza in A gostino, cf. S u lli v a n , Salvation outside thè Church?, 28-39.
50 II p e rm ane nte valore d e ll'in tu izio n e ag o s tin ian a e la sua possibile ap p lic azio ne a ll’ec­
clesiologia attuale ve n g o no messi in e v id e n za nello studio d i M a d r i g a l T e r r a z a s , «Eclesia-
lid a d y u n iv e rsa lid a d de la salvación a la lu z de la no ción "Ecclesia ab A b e l" » , 211-262.
51 R a t z in g e r precisa: « O rig e n e n o n vu o le assolutam e nte svilu p pare u n a teoria sulla
salvezza d e l m o n d o e s u lla c o n d a n n a de i n o n cristiani; e g li te n ta sem p lice m e nte u n a p p e l­
lo a coloro che si irrigidiscono sull'A n tico T estam ento e credono d i n o n aver b is o g n o d e l
servizio d i G e s ù Cristo per la salvezza» («N e ssun a salvezza fuori d e lla C h ie sa?», 370). C h e
que sta sia l ’inte rp re tazio ne giusta è dim ostrato, tra l'altro, d a l fatto che la teologia d i Ori-
ge ne te n d e se m m a i a l versante opposto: estendere la salve zza a tutta l ’u m a n ità p r im a e
d o po Cristo e prevedere la fine d e ll'infe rn o (è la n o ta teoria d e ll’apocatastasi: cf. P. S in i­
s c a l c o , «A pocatastasi», in A. D i B e r a r d in o [ed.], Dizionario patristico e di antichità cri­
stiane, voi. I, M arie tti, C a sale M onferrato 1983, 273-274). Per q u a n to rig u a rd a C ip ria n o ,
scrive ancora R a t z in g e r : «L’inte n to delle sue asserzioni è la d e fin itiv ità d e lla struttura e p i­
scopale e l'in d is p e n s a b ilità d e ll'u n ità : div ision e è peccato, n o n v ia d e lla salvezza, m a d ella
p e rd izio n e . Il p ro b le m a d e lla salvezza d e ll’u m a n ità è fuori d e lla prospettiva d i C ip ria n o , al
q u a le sta a cuore l ’u n ità d i u n a C h ie sa scossa all'esterno d a lla persecuzione e a ll'in te rn o
d a lla div ision e» («N e ssun a salvezza fuori d e lla C h ie sa?», 371). N e lla stessa lin e a le rifles­
sioni d i S u l l i v a n , Salvation outside thè Church?, 22-24.

30
La questione della «salvezza dei non crùtiani»

O ttato

Forse nessuno meglio di Ottato di Milevi ha inquadrato questa dimen­


sione della salvezza ecclesiale. Scrivendo il suo trattato La vera Chiesa
contro i donatisti, egli adotta una premessa teologica chiara: «La Chiesa
è unica, e la sua santità deriva dai sacramenti, e non si giudica dalla
superbia delle persone» (11,1). La santità, dunque, è un fatto prima sacra­
mentale-ontologico che morale-esistenziale. M a dove si trova questa
santità? Non certo tra i donatisti: «Siamo noi a trovarci nella santa Chie­
sa cattolica» (11,9), perché ciò che contraddistingue la Chiesa e la fa santa
non è la santità morale dei suoi singoli membri, ma le «doti» della Chie­
sa, cioè la cattedra (del vescovo di Roma), l'angelo protettore (il vescovo
della Chiesa locale che garantisce la successione apostolica), lo Spirito
Santo, la fonte (il battesimo amministrato nella professione della vera
fede) e il sigillo (il Simbolo di fede; cf. 11,2-8). La patristica elabora quin­
di una concezione di santità «oggettiva» nella quale convoglia la salvez­
za nella sua dimensione ecclesiale. Si salva chi entra nell'orbita di que­
sta santità oggettiva e la assume nella sua esistenza, traducendola in san­
tità «soggettiva».

1 . 2 . 2 . « E x t r a E c c l e s ia m n u l l a s a l u s »
NEL M E D IO EV O : F U L G E N Z IO ,
IL M A G IS T E R O E T O M M A S O

F ulgenzio

Fulgenzio di Ruspe, radicalizzando il predestinazionismo agostiniano,


giunse a una visione esclusivista della salvezza in relazione al battesimo
e alla Chiesa:
Fuori della Chiesa cattolica nessuno riceverà il perdono dei peccati; e
come nella Chiesa cattolica «con il cuore si crede per la giustizia, con la voce
si fa la confessione per la salvezza» (Rm 10,10), così fuori della stessa Chiesa
cattolica un errato credere non conduce alla salvezza ma alla pena e una cat­
tiva professione di fede non produce la salvezza per colui che confessa la
fede ma genera la morte. Al di fuori di questa Chiesa neppure il nome di cri­
stiano reca giovamento ad alcuno, né il battesimo salva, né si offre a Dio un
sacrificio puro, né si riceve il perdono dei peccati, né si trova la felicità della
vita eterna.52
Ancora:
Ritieni con saldissima fede e non dubitare in nessun modo che ogni bat­
tezzato fuori della Chiesa cattolica non può essere partecipe della vita eterna
se prima della fine di questa vita non si restituirà alla Chiesa cattolica e non

52 F u lg e n z io d i R uspe, Le condizioni della penitenza I.X X II.l.

31
Annunciare C rijto alle genti

si incorporerà in essa [...]; non solo tutti i pagani, ma anche tutti i giudei e gli
eretici e gli scismatici che terminano la vita presente fuori della Chiesa catto­
lica andranno «nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli»
(Mt 25.41).53

Il magistero medievale

Fu proprio la riflessione di Fulgenzio che venne assunta a più riprese


dal magistero medievale. Il primo testo che presenta la formula è la pro­
fessione di Innocenzo III per i valdesi, del 1208, che afferma come nes­
suno si possa salvare al di fuori della Chiesa una, santa, romana, cattoli­
ca .54 Segue, di lì a poco, il concilio Lateranense IV del 1215 contro gli
albigesi, che ripercorre la formulazione di Cipriano: «Una sola è la Chie­
sa universale dei fedeli, al di fuori della quale nessuno si può in alcun
modo salvare ».55 Nella bolla Unam sanctam di Bonifacio V ili (1302), l'as­
sioma sembra ricevere una formulazione, se possibile, ancora più radi­
cale: «Dichiariamo, diciamo e definiamo che è necessario a ogni creatu­
ra umana per la sua salvezza sottomettersi al romano pontefice ».56 Q ue­
sta espressione, che, pur nella sua solennità, non è dogma (la mancanza
del «pronuntiamus» pone l'espressione papale allo stesso livello delle
prese di posizione concistoriali), fu ripresa quasi letteralmente dal conci­
lio di Firenze (1439-1445) che, ricalcando con notevole fedeltà alcune
affermazioni di Fulgenzio, ribadiva come nessuno di coloro che stanno
fuori della Chiesa cattolica - non solo i pagani ma anche i giudei, gli ere­
tici e gli scismatici - può essere partecipe della vita eterna; andrà anzi nel
fuoco eterno preparato per il diavolo e i suoi angeli (cita Mt 25,41), se
prima della fine della sua vita non si aggregherà alla Chiesa .57 Nel seco­
lo successivo queste espressioni magisteriali verranno riprese e rilancia­
te quasi alla lettera, sebbene il contesto - come vedremo tra poco - nel
frattempo sia cambiato a motivo della scoperta del Nuovo Mondo. Così
papa Pio IV, nel documento del 1564 noto come Professione di fede tri-
dentina, afferma che i cattolici devono mantenere «questa fede cattoli­
ca, al di fuori della quale nessuno può essere salvato ».58 Il concilio di
Trento, invece, non aveva riprodotto l ’assioma, limitandosi a richiamare
la necessità del battesimo «oppure il desiderio di esso (eius voto)» per
entrare nel regno di Dio .59

53Fulgenzio di Ruspe, La lede X XXVI1-XXXV III.


54 Cf. Denz 792.
55 Denz 802.
56 Denz 875. Cf. l'analisi di Suluvan, Salvation outside thè Church?, 63-66.
57 Cf. Denz 1 3 5 1. Il passaggio fa parte del Decreto per i giacobiti, del 1442.
58 Denz 1870.
59 Cf. Denz 1524. Cf. le osservazioni di Sullivan, Salvation outside thè Church?, 82-84.
Sarà Bellarmino che dedurrà esplicitamente, dalla teoria del votum baptismi, la possibilità
di salvarsi senza appartenere esplicitamente alla Chiesa, ma essendo in qualche modo in
essa «animo sive desiderio»: cf. ivi, 88-91.

32
La questione della «salvezza dei non cristiani»

Per un'adeguata ermeneutica di queste espressioni bisogna tenere


sempre conto del contesto storico: il concilio di Firenze «non teorizza a
ruota libera, ma cerca di colmare l'incrinatura della divisione tra oriente
e occidente; proprio in questo sforzo di superare lo scisma delle due parti
dell'unica Chiesa si situa il suo severo richiamo alla Chiesa indivisibi­
le ».60 Più in generale, l'intero medioevo si muove nella convinzione che
il mondo ha ormai ricevuto l'annuncio del vangelo attraverso la Chiesa e
che, quindi, chi se ne mantiene fuori lo rifiuta consapevolmente e dun­
que colpevolmente .61

T om m aso

A questo proposito è sintomatico che Tommaso,62 quando tratta della


salvezza degli infedeli del suo tempo, per avanzare l’ipotesi di uno che
non conosce il vangelo debba immaginare - almeno in una prima fase
della sua riflessione63 - un bambino cresciuto tra le belve... a cui, in via
straordinaria, Dio invierà alla fine della vita un angelo o un missionario
perché possa salvarsi: e proprio là dove propone questa inconsueta rifles­
sione, il dottore angelico offre il quadro ermeneutico adeguato per l'in ­
terpretazione dell'assioma nel medioevo.
Nel De ventate, la prima delle Quaestiones disputatae, l'Aquinate si
domanda a un certo punto se per salvarsi sia necessaria una fede espli­
cita .64 Inizia col dire che sembra assurdo condannare chiunque non pro­
fessi una fede esplicita: se ipotizziamo, appunto, che uno sia stato alle­
vato «in silvis, vel inter lupos» e che quindi non professi alcuna fede
esplicita, dovrebbe dannarsi. Nel seguito dell'articolo, per evitare questa
incresciosa conclusione, Tommaso distingue tra una fede implicita, suffi­
ciente per la salvezza nel tempo precedente la venuta di Cristo (sia nel­
l’ordine della natura che in quello della legge), e una fede esplicita, che
si richiede invece dopo la venuta di Cristo (nell'ordine della grazia). Ora,
all'individuo allevato tra gli animali selvaggi, la divina provvidenza tro­
verà sicuramente il modo di offrire la possibilità di salvarsi: infatti
«appartiene alla divina provvidenza che provveda a chiunque ciò che gli
è necessario alla salvezza, a meno che non le venga impedito da parte
sua»; egli infatti sarà condotto dalla ragione naturale a desiderare il bene

60 R a tz in g e r, «Nessuna salvezza fuori della Chiesa?», 372. Per il commento dettagliato


del decreto di Firenze, cf. S u lliv a n , Salvation outside thè ChurcIi?, 66-69.
61Cf. S. Dianich, Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Paoline, Roma
1985, 81-86; Gomes, «La missione "dopo la promulgazione" del vangelo», 89.
62 Una precisa e documentata trattazione del rapporto tra salvezza e Chiesa in Tomma­
so si trova nel volume di S u lliv a n , Salvation outside thè Church?, 47-62.
63 È possibile infatti che Tommaso su questo punto abbia evoluto la sua riflessione, arri­
vando ad ammettere che possano esistere casi non isolati di persone che non hanno cono­
sciuto il vangelo (cf. S u lliv a n , Salvation outside thè Church?, 53-56).
64 C f. De ventate q. 14, a. 11, ad 1.

33
Annunciare Cruito alle genti

e respingere il male: e se farà questo, si deve ritenere con certezza che


Dio potrà salvarlo, o rivelandogli per interna ispirazione le cose che sono
necessarie per la fede, oppure inviandogli un qualche predicatore, così
come fece con Cornelio (cf. At 10).
Tommaso poi parla del votum baptismi, che è sufficiente quando il
sacramento non si può ricevere «in re »:65 questa categoria rappresenta,
come emergerà subito, una delle aperture più interessanti e percorse nel­
l'ambito dell'orizzonte della «salvezza dei non cristiani», contribuendo a
evitare l'interpretazione rigorista dell'«£xfra Ecclesiam nulla salus».

Sintesi

Nella riflessione del grande teologo domenicano si incontrano dunque


alcuni elementi utili per comprendere adeguatamente il significato dell'as­
sioma « Extra Ecclesiam nulla salus» nel medioevo: la convinzione che tutte
le persone «normali» (cioè non allevate tra le bestie feroci) crescano poten­
do conoscere il vangelo, ormai predicato dovunque; l'idea che esistano
comunque due diverse economie in ordine alla salvezza: prima di Cristo,
dove è sufficiente una fede implicita, e dopo Cristo, dove occorre invece
una fede esplicita; la difficoltà di ipotizzare la salvezza a prescindere da
un'adesione esplicita alla rivelazione cristiana, attraverso una rivelazione
interna o una predicazione esterna; la restrizione della nozione di «salvez­
za» alla sola dimensione ultraterrena, per cui, da Fulgenzio in avanti, è
ormai assorbita dalla «salus animae». Non è invece ancora possibile esten­
dere l'economia della «fede implicita» a situazioni cronologicamente suc­
cessive a Cristo: per questo occorrerà attendere il mutamento radicale dello
scenario storico, con la scoperta del Nuovo Mondo. Solo allora, come
vedremo tra poco, diventerà chiaro che esistono masse umane vissute fino
ad allora nella stessa situazione di chi ha vissuto «prima di Cristo».
È chiaro in tal modo il contesto nel quale l'assioma viene riproposto dal
magistero e dalla teologia medievali: la convinzione della possibilità per
tutti di accedere al vangelo, avendo esso ormai (così si credeva) raggiunto
tutti i popoli. L’assioma non può quindi essere interpretato in senso rigori­
sta, neppure nell'epoca medievale. Questa conclusione si rafforza gualora
vengano rammentate le situazioni «sostitutive» dell'appartenenza alla
Chiesa visibile, che la teologia medievale ripropone: il martirio, già elabo­
rato dalla teologia patristica come «battesimo di sangue» sostitutivo per i
catecumeni del battesimo d'acqua ,66 e il votum baptismi, che, nell'impos­
sibilità di ricevere il sacramento, produce lo stesso effetto salvifico.67 L'in­
terpretazione medievale dell'assioma, in definitiva, si potrebbe rendere
così: «Extra Ecclesiam catholicam, sua culpa, nulla aeterna salus ».

65 Cf. STh in, q. 68, a. 2.


66 Cf. la prima formulazione in T e r tu llia n o , Il battesimo XVI: «Il martirio è un battesi­
mo che sostituisce il lavacro se non lo si è ricevuto e che lo rinnova se lo si è perso».
67 Cf. il già citato testo di T om m aso d 'A q u in o , STh III, q. 68, a. 2.

34
La questione della «calvezza dei non cristiani»

1.2.3. « E x t r a E c c l e s ia m n u l l a s a l u s »
NELL'EPOCA M O D E R N A :
IL M A G IS T E R O A N T IG IA N S E N IS T A
e Pio I X
Quando la scoperta di nuovi mondi, a partire dalla fine del X V seco­
lo, rende consapevoli i cristiani dell'esistenza di grandi masse di uomini
non evangelizzati e non battezzati, nella lettura dell'assioma viene espli­
citato ciò che prima rimaneva implicito. Qualcosa di simile alla curiosa
ipotesi di Tommaso sembra divenuta realtà: moltissimi uomini sono cre­
sciuti «Extra Ecclesiam visibilem», ma non certo per colpa loro. Se le
grandi scoperte etnico-geografiche non hanno causato particolari crisi
nella riflessione teologica o nel magistero, è proprio perché la teologia si
era già data da tempo gli strumenti per lasciare aperte delle possibilità di
una salvezza fuori dei confini visibili della Chiesa: e oltre al votum bap-
tismi e al martirio, ora emerge anche il tema dell'«ignoranza invincibile».
I domenicani della scuola di Salamanca diedero un apporto essenziale in
questa fase, raccogliendo e aggiornando le «aperture» medievali a una
salvezza fuori dei confini visibili della Chiesa.

La scuola di Salamanca

Francisco de Vitoria (f 1546),68 prendendo atto delle masse pagane


appena «scoperte», ricorre all'armamentario teologico medievale, esplici­
tando il fatto che non avendo avuto la possibilità di conoscere il vangelo,
quei pagani non sono colpevoli; egli, anzi, punta il dito contro i soprusi dei
conquistatori, che rendono difficile l'adesione al vangelo: anziché attra­
verso miracoli, segni, esempio di vita, i conquistatori pretendono di por­
tare il vangelo attraverso scandali, crimini e atti violenti. In questo modo
de Vitoria introduce un elemento importante nella definizione dell'«igno­
ranza invincibile»: non basta annunciare verbalmente il vangelo per
togliere questa ignoranza; il comportamento scandaloso dei cristiani può
rendere così poco convincente il loro messaggio da lasciare incolpevoli
coloro che in queste circostanze, pur avendo udito, non aderiscono.69
Domenico Soto (f 1560)70 estende esplicitamente l'idea della «fede
implicita», che Tommaso applicava alla salvezza dei soli pagani vissuti
prima di Cristo, anche alle popolazioni dell'America appena scoperta.
Egli non compie il passo - logicamente collegato - di estendere questa
osservazione anche agli ebrei e ai musulmani del passato e del presen­
te ,71 ma apre comunque uno spiraglio molto importante.

68 Cf. Sullivan, Salvation outside thè Church?, 70-73.


69 Cf. S u lliv a n , Salvation outside thè Church?, 73.
70 S u lliv a n , Salvation outside thè Church?, 75-76.
71 II primo a farlo - relativamente ai musulmani - è il teologo fiammingo A. Pigge (1490-
1542): cf. S u lliv a n , Salvation outside thè Church?, 78-81. Successivam ente il teologo gesui­

35
Annunciare C rijto alle genti

Calvino

Un'aria teologica molto diversa si respira contemporaneamente nella


teologia di Giovanni Calvino .72 Anziché riprendere dalla patristica e dal
medioevo i diversi elementi del rapporto tra Chiesa e salvezza, e - come
la scuola di Salamanca - declinarli nella nuova situazione, egli inter­
preta semplicemente il fatto che Dio fino ad allora non avesse dato ai
pagani del Nuovo Mondo la possibilità di aderire al vangelo come un
segno che essi non sono predestinati alla salvezza, bensì alla dannazio­
ne .73 Se Dio li avesse voluti salvare, avrebbe fatto in modo che aderis­
sero al vangelo.
Per comprendere questa impostazione rigorista, occorre richiamare
l'idea calvinista della doppia predestinazione (praedestinatio gemina),
che il riformatore ginevrino mutua dalla discussione altomedievale sulla
grazia e la natura :74 Dio da sempre ha eletto alcuni all'eterna felicità e
altri all’eterna dannazione. Il teologo così ne parla:
Definiamo predestinazione il decreto eterno di Dio, per mezzo del quale
ha stabilito quel che voleva fare di ogni uomo. Infatti non li crea tutti nella
medesima condizione, ma ordina gli uni a vita eterna, gli altri all'eterna con­
danna (aliis vita aeterna, aliis damnatio aeterna praeordinatur). Così, in base
al fine per il quale l'uomo è stato creato, diciamo che è predestinato alla vita
o alla morte (ita vel ad vitam vel ad mortem praedestinatum dicimus).75

In fondo Calvino, applicando la sua idea della «doppia predestina­


zione» anche al caso dei pagani del Nuovo Mondo, radicalizza la teolo­
gia agostiniana della «massa dam nata» predestinata alla condanna,
senza cercare di integrarla con la linea pure agostiniana della «Ecclesia
ab Abel».

ta J . De Lugo (1583-1660) applicherà questa teoria non solo ai «turchi e musulmani» ma


anche agli ebrei e agli eretici: cf. ivi, 94-99. Un'utile rassegna d egli atteggiamenti dei gesui­
ti in campo interreligioso e missionario, dalle origini (Francesco Saverio) a oggi (K. Rahner),
si legge nel contributo di H. Waldenfels, «Unterwegs zur Theologie der Religionen», in M.
Sievernich - G. Switek (hrsg.), Ignatianisch. Eigenart und Methode der Gesellschalt Jesu,
Herder, Freiburg-Basel-W ien 1990, 624-639.
72 Cf. SuLLtVAN, Salvation outside thè Church?, 76-78. I testi fondamentali dell’ecclesio­
logia di C alvino si trovano nell'opera basilare Institutio christianae religionis, IV,1 - 1 3 , le cui
due edizioni latine risalgono al 1536 e al 1539; un'edizione italiana facilmente reperibile è:
G. C alvino, Istituzione della religione cristiana, a cura di G. T ourn, UTET, Torino 19 7 1, 2
voli, (la sezione indicata è alle pp. 119 7 -12 16 ).
73Cf. Calvino, Istituzione della religione cristiana, 111,21,5; 111,2 1,7 ; 111,24,12.
74 Se gli appigli della teoria della «doppia predestinazione» si trovano notoriamente in
Agostino, saranno però solo gli agostiniani Isidoro di Siviglia (f 636) e Godescalco di Fulda
(f 868) a fare della «gemina praedestinatio» la formula-chiave della dottrina della grazia
(cf. rispettivamente: PL 83,606 e PL 121,36 8). La teoria venne condannata nell’853, vivente
ancora Godescalco, dal concilio di Quercy (cf. Denz 621-624).
75 C a lv in o , Istituzione della religione cristiana, 111,21,5 (voi. 2, p. 1101).

36
La questione della «calvezza dei non cristiani»

Il magistero dei secoli X V I I - X I X

Proprio mentre gli illuministi prendevano talvolta occasione dall'assio­


ma per lanciare contro la Chiesa l'accusa di intolleranza ,76 la Chiesa stes­
sa esprimeva alcuni principi importanti contro i giansenisti, rifiutando il
loro rigorismo. Già nel 1653 Innocenzo X aveva condannato alcune pro­
posizioni di Giansenio sulla grazia, nelle quali, tra l’altro, si leggeva che
«è semipelagiano dire che Cristo è morto o ha effuso il sangue assoluta-
mente per tutti gli uomini ».77 Nel 1713 Clemente XI condannò il gianse­
nista Quesnel, che aveva affermato « Extra Ecclesiam nulla conceditur gra­
tta». 78 II magistero prese così posizione contro un agostinismo esagerato e
negativo nei confronti della salvezza al di fuori della Chiesa visibile.
L’assioma verme ripreso dal magistero successivo con alcune impor­
tanti precisazioni. Pio IX ,79 nel Sillabo, sembra a prima vista presentare
una visione addirittura più chiusa rispetto a Bonifacio V ili quando, nella
proposizione 17, condanna l’affermazione secondo la quale «si può alme­
no nutrire buona speranza per la salvezza eterna di coloro che sono fuori
della Chiesa ».80 Cosa significa questa proposizione? Essa non nega la
salvezza a chi non fa parte della Chiesa visibile, ma nega che si possa
affermare che ogni religione è una via di salvezza; la proposizione 17 si
trova infatti in un discorso del 1854 (Singulari quadam) e nell'enciclica
Quanto conficiamur del 1863. Nel discorso il papa, rifiutando l'opinione
indifferentista secondo la quale ogni religione è via alla salvezza, affer­
ma che «fuori della Chiesa apostolica romana nessuno può salvarsi»; tut­
tavia, precisa, non si possono «porre dei limiti alla misericordia divina, la
quale è sconfinata», e non si può negare che una «ignoranza invincibile
della vera religione» non comporta alcuna colpa davanti agli occhi del
Signore.81 Nell'enciclica del 1863 Pio IX si esprime positivamente,
aggiungendo che
coloro i quali permangono nell'ignoranza invincibile circa la nostra santissima
religione, i quali osservano assiduamente la legge naturale e i suoi precetti
iscritti da Dio nei cuori di tutti e, pronti a obbedire a Dio, conducono una vita
retta e onesta, possono, in forza della luce divina e della grazia operante, con­
seguire la vita eterna.82

Agli sviluppi e alle ulteriori - sebbene germinali - aperture di Pio XII


ci siamo già riferiti.

76Cf. A. Rotondò, «Tolleranza», in V. Ferrone - D. Roche (edd.), L'illuminismo. Dizio­


nario storico, Laterza, Milano 1997, 62-78. Ritorneremo su questo concetto parlando di
Rousseau e di Kant (cf. sotto, 3.4.2).
77 Denz 2005.
78 Denz 2429.
79 Cf. la presentazione di Sullivan, Salvation outside thè Church?, 10 8 -12 2 (in part. 11 2 -
117 ). L’autore dimostra che la dottrina proposta da Pio IX rispecchia fedelmente le tesi dei
grandi teologi neoscolastici Perrone e Franzelin.
80 Cf. Denz 2917.
81 Cf. Denz 2865/intr.
82 Denz 2866.

37
Annunciare Cripto alle genti

Conclusione

In definitiva la teologia e il magistero degli ultimi secoli non hanno


fatto altro che esplicitare - di fronte alla presa d'atto dell'esistenza di
popolazioni che si trovavano fuori della Chiesa senza loro colpa - guan­
to la teologia e il magistero medievali mantenevano implicito: che cioè
1'«Extra Ecclesiam nulla salus» si riferisce a coloro che consapevolmente
rifiutano di entrarvi, dopo avere ascoltato la predicazione del vangelo e
avere avuto la possibilità di essere battezzati. Anche in guesti secoli,
guindi, l'assioma si può interpretare come «Extra Ecclesiam visibilem,
sua culpa, nulla aeterna salus». L'orizzonte soteriologico continua a esse­
re racchiuso nella «salus animae».

1.3. L a m i s s i o n e n e l l ’o r i z z o n t e
DELLA «SALVEZZA
D E I N O N C R IS T IA N I»
L'intera problematica della «salvezza dei non cristiani» si muove,
come abbiamo notato, entro una concezione della missione intesa preva­
lentemente in termini di «salvezza delle anime», dove l ’elemento del­
l'annuncio è assolutamente prevalente rispetto a guello del dialogo, fino
a condurre in certi momenti, nel modello esclusivista, a una missio con­
tro gentes. In guesto modello era in fondo agevole rispondere alla
domanda sul perché della missione: essa veniva semplicemente motiva­
ta dalla necessità di «salvare le anime», che altrimenti si sarebbero per­
dute o avrebbero comungue corso un serio pericolo di dannazione. Pur
avendo visto come l’assioma «Extra Ecclesiam nulla salus» in realtà non
sopporti un'interpretazione così ristretta, resta il fatto che tale interpreta­
zione ha dominato - a partire dal basso medioevo e soprattutto dai tempi
del concilio di Firenze fino al X X secolo - nella catechesi e nella predi­
cazione, e ha costituito una buona spinta per l'attività missionaria della
Chiesa, sostenendola anche in guei periodi nei guali la missione ad gen­
tes diveniva missione contro gentes. Ancora agli inizi del X X secolo - pur
nella consapevolezza che anche al di fuori della Chiesa cattolica si può a
gualche condizione raggiungere la salvezza - è corrente la definizione
del missionario come «salvatore delle anime» sia nella catechesi83 come

83 Si veda come es. il Piccolo catechismo missionario di G. Rambelli, edito a Roma nel
1929 dalla Unione missionaria del clero in Italia. A lla domanda: «Necessita l’evangelizza­
zione per salvare le anime?», risponde: «Certamente, in via normale, è necessaria l’evan­
gelizzazione per salvare le anime, perché non si possono salvare senza la fede, né avranno
la fede senza la predicazione, e senza chi è mandato da Dio e dalla Chiesa: però vi sono
anche vie straordinarie per le quali gl'infedeli possono salvarsi in virtù della grazia divina
che tutto coordina per la salvezza di tutte le anime» (ivi, 16). E tuttavia poco dopo scompa­
re il riferimento alla salvezza «fuori» della Chiesa: «Ammessa la necessità della missione,
dobbiamo ritenerla urgente? Urgentissima, perché i bisogni sono urgenti, e il lavoro deve

38
La questione della calvezza dei non cristiani»

nel magistero .84 Un concetto di salvezza puramente ultraterreno, insieme


alla convinzione che solo dentro la Chiesa visibile ci si può salvare, era
sufficiente in quell'epoca a sostenere lo sforzo missionario della Chiesa.
Persino le prime innovative linee di «teologia della missione», offerte da
Schmidlin e dalla scuola di Mùnster all'inizio del X X secolo, intendono
sostanzialmente la missione come «lavoro di salvezza dei non cristiani».85
Nella misura in cui cominciò a rendersi esplicita nella catechesi e
nella predicazione l'idea di una possibilità di salvezza « Extra Ecclesiam
visibilem», sembrò entrare in crisi la ragion d’essere della missione ad
gentes: perché la missione, se la salvezza può essere conseguita anche
da chi, senza sua colpa, ignora il vangelo? Si cominciò allora ad abban­
donare - già verso il 1930 - l’idea che lo scopo dell'opera missionaria
fosse quello di salvare le anime, per insistere sulla necessità della « pian­
tatici Ecclesiae» come fine della missione: è questa la linea di Charles e
della scuola di Lovanio .86 La missione venne collegata in tal modo all'ec-

essere immediato: perché ogni dilazione equivale alla perdita di innumerevoli anime, e al
ritardo del regno di Cristo, e cioè della costituzione della Chiesa in tutte le parti della terra»
(ivi, 18). E ancora: «Chi è il missionario? Quello che lavora per la salvezza degl’infedeli, fra
gli stessi infedeli. Il missionario è solo il salvatore delle anime? Il missionario, oltre che esse­
re il salvatore delle anime, è l'umile eroe che tutto sacrifica» (ivi, 19).
84 Si veda, ad es., l’enciclica di B e n e d e tto X V Maximum illud sulla propagazione della
fede cattolica in tutto il mondo, del 30 novembre 19 19 (EE 4/869-889), dove per almeno
nove volte viene individuato il fine della missione nella «salvezza deU’anima» e altre quat­
tro volte nella «salvezza eterna». Il legam e tra missione e salvezza dell'anima viene allen­
tandosi progressivamente, nelle encicliche del X X secolo sulla missione, in favore del lega­
me tra missione e «plantatio Ecclesiae». Così, se ancora troviamo come unico movente della
missione la «salvezza delle anime» nel breve motu proprio di Pio X I Romanorum pontili-
cum, del 3 m aggio 19 22 (in AAS 14(1922], 321-326) e, un paio di volte, nell'enciclica dello
stesso pontefice Rerum Ecclesiae sull'incremento delle missioni, del 28 febbraio 1926 (EE
5/164-187), nel magistero missionario di Pio XII viene decisam ente compiuto il passaggio
alla prospettiva della «plantatio Ecclesiae». Nell'enciclica Evangelii praecones per un rin­
novato impulso delle missioni, del 2 giugno 19 5 1 (EE 6/752-823), pur parlando della «sal­
vezza delle anime» o «dei fratelli» o «degli infedeli» e della «salvezza eterna» o «vita eter­
na» o «felicità eterna» come scopo del lavoro missionario, Pio XII mette in evidenza che si
tratta, comunque, di «condurre all'unico ovile» tutti i popoli e stabilire solidamente la C hie­
sa; e aU’inizio dell’enciclica Fidei donum stille condizioni delle missioni cattoliche partico­
larmente in Africa, del 2 1 aprile 1957 (EE 6 /130 7-134 1), lo stesso pontefice mette in risalto
come la fede trasmessa dal missionario, oltre a introdurre nei misteri della vita divina, rin­
salda già su questa terra il vincolo della comunità cristiana.
85 La valutazione è in C o lz a n i, La missionarietà della Chiesa, 23.
86 Cf. C o lz a n i, La missionarietà della Chiesa, 31-40. La differenza tra le scuole di M ùn­
ster e di Lovanio è chiaramente precisata dall'autore, alla fine del suo studio, in una sinte­
tica valutazione della disputa: «La polemica fra le due scuole fu certamente eccessiva, e la
contrapposizione cercata condusse a dimenticare che parola di Dio e Chiesa sono due realtà
complementari, poiché la parola non si capisce se non in vista del disegno divino compiu­
to nella Chiesa, e questa non ha significato se non come la comunità di fede e di vita crea­
ta attorno alla parola divina. Tuttavia (...) la differenza più che nelle soluzioni stava nelle
prospettive. Il passaggio dall'una all'altra scuola era il passaggio da una prospettiva perso­
nalistica, che assegnava alla missione il compito della salvezza degli individui, sia pure in
una Chiesa, a una prospettiva ecclesiale preoccupata della realizzazione del piano divino e
della situazione del regno in questo mondo. Vi era insomma il passaggio dall'idea di una

39
Annunciare C riito alle genti

eresiologia e, più precisamente, alla cattolicità della Chiesa: il più profon­


do - anche se non il primo - sostenitore di guesta prospettiva è H. de
Lubac, alla cui riflessione ci siamo già riferiti.
Il magistero, gran parte della teologia e la catechesi, comungue, insi­
stevano sul fatto che la Chiesa si identifica con il corpo mistico di Cristo
e, come tale, è la via ordinaria della salvezza: le «eccezioni» ammesse,
che, come abbiamo visto, non erano ben integrate in guesto guadro
ecclesiologico globale, sono tuttavia il punto di massima apertura che
raggiunge - poco tempo prima del Vaticano II - il paradigma ecclesio-
centrico della «salvezza dei non cristiani»: la salvezza non è ristretta
entro le mura della Chiesa visibile, ma offerta a tutti gli uomini; fuori
della Chiesa, essa è offerta a guei singoli che, ignorando senza colpa il
vangelo, aderiscono alla loro religione nella fede e nella carità. Non rico­
noscendo però elementi «evangelici» o «ecclesiali» fuori della Chiesa
cattolica, guesta impostazione non è in grado di precisare guale collega­
mento vi sia tra la regola («salus in Ecclesia») e l'eccezione («salus extra
Ecclesiam»), La via straordinaria di salvezza, in definitiva, viene ammes­
sa non a partire da una riflessione sul rapporto tra Cristo e la Chiesa,
bensì a partire dal connubio tra la dottrina antigiansenista della destina­
zione universale della salvezza e l'acquisizione teologico-morale dell’in ­
colpevolezza di una coscienza affetta da ignoranza invincibile.
Pio XII timidamente, de Lubac e Journet decisamente, prospettano la
possibilità di superare questo stallo attraverso categorie «inclusive»: e di
queste aperture si avvantaggerà il concilio Vaticano II; ma, continuando
anch'essi a muoversi sostanzialmente nel paradigma ecclesiocentrico,
non arrivano a impostare un ricentramento cristologico. Per andare oltre,
infatti, occorreva trasportare anche l’«eccezione» («salus extra Eccle­
siam ») nel campo del rapporto tra Cristo e la Chiesa: cioè là dove la
«regola» veniva motivata teologicamente. È appunto guesto il passo fon­
damentale che compie il Vaticano II circa il nostro argomento.

Chiesa che ha la missione a quella di una Chiesa che è missione, e in essa totalmente si
riconosce» (p. 198). Una sintetica esposizione delle posizioni sostenute dalle due scuole si
trova anche in K. M ù ller, Teoloqia della missione. Una introduzione, EMI, Boloqna 19 9 1,
53-61.

40
2.
La «teologia
cristiana
delle religioni»

L'assunzione del secondo paradigma, almeno in casa cattolica, avvie­


ne con il ricentramento cristologico dell'ecclesiologia operato dal Vatica­
no II. Prima del concilio, però, alcuni teologi avevano già offerto delle
riflessioni che - influendo sugli stessi lavori conciliari - andavano nella
direzione di un superamento dell'ecclesiocentrismo. Se già de Lubac, pur
muovendosi entro l'orizzonte della «salvezza dei non cristiani», intuiva la
necessità di liberarsi dalle strettoie dell'esclusivismo, J. Daniélou, a metà
del secolo XX, elabora una visione «positiva» del fenomeno religioso
extra-cristiano, per la quale individua solidi agganci nella Scrittura e nei
padri; e K. Rahner, già a ridosso del Vaticano II, dal versante della teolo­
gia della grazia apre la porta del «cristianesimo anonimo». Sono questi i
due modelli tipici del secondo orizzonte (2 . 1): potremmo indicare quello
di Daniélou come «cristocentrismo inclusivista» e quello di Rahner come
«cristocentrismo immanentista».
A differenza del paradigma precedente, questo affonda le radici (2.2)
direttamente nel NT, dove sono numerose le affermazioni cristocentriche
universalistiche, vanta una notevole diffusione tra i padri della Chiesa e
viene portato avanti dagli autori medievali. Nell'epoca moderna cade
invece in un certo oblio a causa di quel progressivo affermarsi dell'impo­
stazione ecclesiocentrica emersa nel capitolo precedente.
È il Vaticano II (2.3) che in maniera ufficiale e solenne supera il pre­
cedente ecclesiocentrismo attraverso una chiara impostazione cristocen­
trica; questo superamento costituisce la condizione per sfumare l'identi­
ficazione pura e semplice della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica
romana e aprire quindi la possibilità di riconoscere appartenenze «non
piene» ma comunque «vere» alla Chiesa, oltre che molteplici elementi di
verità e di salvezza presenti fuori dei suoi confini visibili.
Così il Vaticano II ha potuto rileggere il collegamento tra missione
della Chiesa e salvezza in termini più positivi rispetto al passato (2.4),
ponendo anche le basi per disincagliarlo dalla riduzione «ultraterrena»
nella quale era stato costretto; bisognava coerentemente rifondare la

41
Annunciare Cripto alle genti

missione ad gentes su basi più solide rispetto alla «salvezza delle anime»:
operazione che, però, il concilio ha appena suggerito, lasciando aperta di
fatto la questione della ragion d'essere di tale missione, una volta
ammessa la possibilità di una salvezza ultraterrena sganciata dall'appar­
tenenza alla Chiesa visibile.
Nell'orizzonte della «teologia delle religioni» si colloca praticamente
tutto il magistero universale post-conciliare (2.5), le cui espressioni in
materia interreligiosa - specialmente con Giovanni Paolo II - costituisco­
no già un corpus dottrinale molto ampio nel quale, pur con preferenze
ora verso la linea di Daniélou ora verso quella di Rahner, è inequivoca­
bile l'opzione cristocentrica.

2.1. D u e m o d e lli ra p p re s e n ta tiv i


D EL S E C O N D O O R IZ Z O N T E
Nel linguaggio post-conciliare è invalso l’uso di definire i due model­
li più rappresentativi della «teologia delle religioni» come «linea D anié­
lou» e «linea Rahner »:1 pur essendo stati delineati prima del concilio, e
avendolo influenzato, essi fungono poi da interpretazioni legittime e pos­
sibili di quanto il Vaticano II afferma sulle religioni.

2.1 .1. M o d e l l o c r is t o c e n t r ic o
A T E N D E N Z A I N C L U S I VI STA:
Jean D a n ié lo u 2

Religioni cosmiche e storiche

Collocandosi nel solco delle idee che Cullmann espresse nell'opera


basilare Cristo e il tempo,3 la riflessione di Daniélou sul nostro argomen­
to procede attorno a una tesi centrale, espressa più volte nelle sue opere:
mentre il pensiero greco concepiva la realtà come ciclica e ripetitiva - e
quindi aveva del tempo una concezione pessimista e fatalista - il pensie­

1 Cf. C om m ission e teolog ica internazionale , II cristianesimo e le religioni, in La Civiltà


cattolica 148(1997)1, 14 6 -183, n. 4. G ià il teologo padovano Sartori, vent’anni prima, aveva
sistemato l'intera gamma delle posizioni teologiche cattoliche in campo interreligioso entro
il binario della «cosiddetta linea Daniélou» e della «cosiddetta linea Rahner» (cf. L. S arto ­
ri, «Teologia delle religioni non cristiane», in Dizionario teologico interdisciplinare, M ariet­
ti, C asale Monferrato 1977, III, 405-409).
2 Tra le molte presentazioni del pensiero «interreligioso» di J. Daniélou, cf. L.F. L ad a -
ria , «D u De vera religione à l'action universelle de l'Esprit-Saint dans la théologie catholi-
que recente», in J . D orè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, A rte! Nam ur 1997,
65-66.
3 C f. O. C ullm ann , Cristo e il tempo. La concezione del tempo e della storia nel cristia­
nesimo primitivo, Il Mulino, Bologna 1965.

42
La «teologia cristiana delle religioni»

ro biblico introduce nel tempo eventi nuovi, soprattutto la liberazione


dall'Egitto per gli ebrei e l'incarnazione del Figlio di Dio per i cristiani,
che rompono il ciclo e danno alla storia una direzione, un inizio e una
fine. La concezione ebraico-cristiana della realtà è dungue storica, m en­
tre guella greca è cosmica. E mentre la religione cosmica si aggancia a
esemplari permanenti (solo ciò che si ripete ha valore), la rivelazione
biblica, al contrario, pone in presenza di azioni divine nuove e decisive,
che modificano la situazione umana in modo definitivo e non sono più
suscettibili di ripetizione. È prima con l'ebraismo e poi con il cristianesi­
mo che il tempo prende valore, come il luogo in cui si realizza un dise­
gno divino che richiede la collaborazione umana.
La diversità tra rivelazione naturale e soprannaturale, in guesta impo­
stazione, risulta netta: la prima passa attraverso il cosmo e plasma, di
fatto, una religiosità sul modello greco; la seconda passa attraverso la sto­
ria e plasma la fede biblica. A differenza di Barth, tuttavia, Daniélou rico­
nosce la presenza di «semi del Verbo», cioè dell'azione misteriosa di Cri­
sto, dentro le tradizioni religiose non cristiane.
Sarà sufficiente in guesta sede richiamare le idee che Daniélou pro­
pone nel primo capitolo di Dieu et nous, un fortunato libro del 1956 che
riprende e riassume i tratti salienti delle sue ricerche. All'inizio della
riflessione egli osserva che molti oggi non percepiscono alcuna distinzio­
ne «gualitativa» tra il cristianesimo e le altre religioni, vedendo in tutti
guesti fenomeni «delle forme diverse della "unità trascendentale" della
religione ».4 Queste tesi evoluzionistiche e sincretistiche, diffuse a partire
dalla fine dell'Ottocento, sono per lui inaccettabili:
Il cristianesimo e il giudaismo non sono manifestazioni di un'evoluzione
immanente del genio religioso dell'umanità, di cui non sarebbero se non
espressioni relativamente superiori. Sono interventi nella storia del Dio tra­
scendente, che introduce l ’uomo in un ambito per lui radicalmente inaccessi­
bile.5
Anche fuori del cristianesimo, certo, vi sono geni religiosi ed espe­
rienze religiose ricche, dato che l'atteggiamento religioso è un dato
antropologico: però ciò che salva non è l'esperienza religiosa, ma la fede
nella parola di Dio.

Rivelazione naturale
e rivelazione soprannaturale

Come spiegare allora i punti di contatto tra cristianesimo e religioni


non cristiane? L’antica ipotesi patristica del «latrocinio» di idee bibliche
da parte di filosofi e letterati pagani non tiene, anche perché fondata su
cronologie e ipotesi di contatti arbitrarie. Nemmeno l'idea di una «rivela­

4 J . D a n ié lo u , Dieu et nous, Bernard Grasset, Paris 1956, 14 (trad. nostra).


5 D a n ié lo u , Dieu et nous, 14.

43
Annunciare C ritlo alle genti

zione primitiva» è fondata: ritenere che la verità delle religioni pagane


sarebbe un residuo della rivelazione fatta nel paradiso terrestre ai proge­
nitori significa chiudere gli occhi davanti alle prospettive scientifiche. Ma
la Scrittura stessa, continua Daniélou, ci orienta verso un'altra soluzione:
Dio si manifesta a tutti gli uomini, ebrei e pagani, nella natura (cf. Sai 19;
Gb 38-39) e ad alcuni, anche non-ebrei, parla direttamente: è la cosid­
detta tradizione dei «santi pagani» dell'AT (Noè, Enoch, Melchisedek,
Lot...). Il NT, poi, precisa questa dottrina affermando che Dio non ha mai
abbandonato a se stessi i pagani (cf. At 17,26-27; Rm 1,20-23; 11,14-15).
La provvidenza di Dio si estende dunque a tutte le razze. E attraverso que­
sta provvidenza tutti gli uomini possono pervenire a conoscerlo. M a essi cer­
cano a tentoni, senza l'appoggio della rivelazione positiva. E questo perché le
loro idee su di lui sono incerte e confuse.6

Il loro approccio a Dio è mediato quasi esclusivamente dai ritmi della


natura:
È degno di nota che la base delle religioni pagane sia in effetti la cono­
scenza di Dio attraverso i ritmi della natura, che si esprime liturgicamente nel
ciclo delle feste stagionali.7

Questa rivelazione cosmica, di cui le religioni pagane sono altrettan­


te espressioni, è in ogni caso una rivelazione imperfetta e incompleta. La
rivelazione mosaica e la rivelazione cristiana la sorpassano infinitamen­
te: le religioni non cristiane rappresentano quindi momenti già superati
nella storia della rivelazione.
A questa impostazione Daniélou è rimasto sempre fedele, come
mostra una delle sue ultime prese di posizione in materia. Partecipando
con una relazione a un simposio organizzato a Roma nel marzo 1969, egli
confermava così la sua teoria generale:
Le diverse religioni non cristiane sono essenzialmente strutturazioni diver­
se e secondarie d ’un fatto primario che in esse si manifesta, cioè della dim en­
sione religiosa costitutiva dell'uomo. Il fondo primordiale, dunque, è la reli­
giosità o religione in quanto tale. M a quest'esperienza religiosa, esprimendo­
si, assume forme, simboli, riti, ascesi, che differiscono secondo le grandi razze
[...]. E poi c’è l’organizzazione di questa vita religiosa. È a questo livello che
ci si trova propriamente sul piano delle religioni. Questa organizzazione è
opera di uomini. Talvolta trae la sua origine da un'eminente personalità reli­
giosa. Il più delle volte è u n ’opera collettiva [...). Le religioni presentano, du n­
que, valori autentici; però nelle loro strutture dottrinali e rituali sono creazio­
ni umane, perciò vi si riscontrano sempre delle aberrazioni [...]. Le religioni,
infatti, come abbiamo detto, sono ordinamenti positivi del fatto religioso. Sono
creazioni umane. A questo titolo, esse appartengono a un'um anità che, lascia­
ta a se stessa, mescola la verità e l'errore. La loro autorità è soltanto umana e
non divina.8

6 D a n ié lo u , Dieu et nous, 19.


7 D a n ié lo u , Dieu et nous, 20.
8 J. D aniélou , «Le religioni non cristiane e la salvezza», in Perché le missioni?, EDB,
Bologna 1970, 81-88: qui: 81-82.83.86. Per approfondire queste prospettive di Daniélou, cf.

44
La «teologia cristiana delle religioni»

La posizione di Daniélou ha fatto scuola, creando ampi consensi ma


anche varie riserve. E non mancano ancora oggi autori che, per reagire
alla crescente tendenza pluralista, utilizzano le idee di Daniélou come un
«argine» robusto, rischiando tuttavia di restringere la sua ampia prospet­
tiva entro uno schema più vicino alla linea esclusivista che non all'inclu-
sivismo del grande teologo francese.9

2.1.2. M o d e llo c ris to c e n tric o


A T E N D E N Z A IMMANENTISTA:
K arl R ahner

La vastissima produzione di K. Rahner e il suo significato per la teolo­


gia del Novecento esigerebbero una trattazione ampia e approfondita. In
considerazione dello scopo limitato di questo volume, ci limitiamo a
pochissime annotazioni sulla famosa teoria dei «cristiani anonimi», che
condensa la soluzione rahneriana al problema del rapporto tra cristiane­
simo e altre religioni,10 e sulla determinazione della «presenza» di Cristo
nelle religioni.

L a t e o r i a d ei « c r i s t i a n i a n o n i m i »

Rahner stesso compendia l'essenziale della sua proposta nell'articolo


intitolato proprio «I cristiani anonimi ».11 Punto di partenza della riflessio­

anche J . G elot, «Vers une théologie chrétienne des religions non chrétiennes», in Islamo
Christiana 2(1976), 1-57 (su Daniélou, in part., 28-35).
9 Cf. ad es. H. van S traelen , L'Eglise et les religions non chrétiennes au seuil da XXIe
siècle, Paris, Beauchesne 1994 (l’esplicito riferimento a Daniélou si trova in 75-76): cf. la
recensione critica di J . D upuis , «Les religions et la mission. A propos de deux livres
récents», in Gregorianum 76(1995), 585-589.
10 P e r a v e r e u n a v isio n e p iù a m p ia d e lla p r o b le m a tic a in te r re lig io s a d e l te o lo g o t e d e ­
sco, si p u ò l e g g e r e u tilm e n te : K. Ra h n er , « C ristia n e sim o e re lig io n i n o n c ristia n e » , in I d .,
Saggi di antropologia soprannaturale, Paoline, Roma 1965, 5 3 3-5 7 1: ottima sintesi conte­
stu a liz z a ta in G . C anobbio , « L 'e m e rg e re d e ll'in te r e s s e p e r le re lig io n i n e lla te o lo g ia c a tto ­
lic a d e l Novecento», in M . C rociata (ed.), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive,
P a o lin e , M ila n o 2001, 49-54; cf. a n c h e K.A. W alsh , «A C h ris tia n T h e o lo g y of R e lig io n s a n d
th è P lu ra lis t P a ra d ig m » , in Science et Esprit 49(1997)3, 287-292; u n a d o c u m e n ta ta p r e s e n ­
ta z io n e d e lla te o r ia r a h n e r ia n a e d e l d ib a ttito im m e d ia ta m e n te su c c e ss iv o al q u a le h a d a to
o c c a sio n e , in F.A. S ullivan , Salvation outside thè Church? Tracing thè History of thè Catho-
lic Response, P a u list P re ss, N e w Y o rk -M a h w a h 1992, 1 7 1 - 1 8 1 ; cf. a n c h e Ladaria , «Du De
vera religione à l'a c tio n u n iv e rs e lle d e l'E s p rit-S a in t d a n s la th é o lo g ie c a th o liq u e r é c e n te » ,
60-64.
11 Cf. K. R a h n er , «I cristiani anonimi», in Id., Nuovi saggi, Paoline, Roma 19 6 8 ,1, 759-
772. Per orientarsi nell'amplissima discussione seguita alla proposta rahneriana, si può par­
tire dall'esposizione di V. Boublik, Teologia delle religioni, Studium, Roma 1973, 254-269:
qui si possono reperire abbondanti riferimenti bibliografici sull'argomento sia negli studi di
Rahner sia in quelli dei suoi seguaci e dei suoi critici. Boublik stesso si colloca sulla scia del
gesuita tedesco, quando esprime la tesi dei non cristiani come «catecumeni anonimi». È

45
Annunciare Cristo alle genti

ne è la situazione attuale delle missioni cristiane in alcune regioni parti­


colarmente impenetrabili. Nelle vecchie culture asiatiche la Chiesa non
ha potuto mettere piede e in occidente, pur con tutto il significato storico
da essa rivestito, perde continuamente di peso e di significato. Il cristia­
nesimo, poi, appare a molti solo una delle possibili forme di interpreta­
zione religiosa della realtà; e per altri la «religione», a sua volta, è solo
una delle possibili figure dell'autointerpretazione dell'uomo.
A fronte di questa situazione sta la convinzione cristiana che l'uomo,
per raggiungere la salvezza, deve credere a Dio, anzi, a Cristo, e che
l’appartenenza alla Chiesa non è un fatto puramente esteriore ma con­
cerne l'atto di fede e il processo della salvezza: «fuori della Chiesa non
c’è salvezza», nel senso - così interpreta Rahner sulle orme del Vaticano
II - che la Chiesa è in qualche modo presente là dove è in atto il proces­
so di salvezza. M a il cristiano, che crede a tutto questo, vede nel con­
tempo una grande schiera di persone passate, presenti e future, che non
aderiscono a Cristo e alla Chiesa: sono condannati? No, perché in lTm
2,4 è scritto che «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi». Il patto con
Noè non è mai stato revocato, bensì portato a compimento da Cristo.
Mettendo insieme i due poh del problema, risultano per il teologo
gesuita sia la necessità della fede cristiana per la salvezza sia la volontà
salvifica universale di Dio: due elementi che sembrano difficili da armo­
nizzare. L’unica conclusione possibile, per Rahner, è che «in qualche
modo tutti gli uomini devono poter essere membri della Chiesa»: e que­
sto «poter essere» non si deve intendere nel senso astratto di una pura
possibilità, ma in un senso reale e storicamente concreto. Ciò significa
evidentemente che possono esservi diversi gradi di appartenenza alla
Chiesa: e non solo all'intemo dei tre vincoli (sacramenti, professione di
fede, comunione gerarchica), ma anche all'esterno di essi, in un cristia­
nesimo non-ufficiale e anonimo. Un cristianesimo che, ciononostante, sia
detto tale in un senso vahdo anche se esso stesso non si definirebbe così.
Se è vero che l'uomo, in quanto uomo, si trova già nell'orizzonte della sal­
vezza anche prima di (o senza) essere raggiunto dalla Chiesa; e se, nello
stesso tempo, è vero che questa salvezza (che si trova fuori dei confini
visibili della Chiesa) è la salvezza di Cristo (perché un'altra salvezza non

giusto riconoscere a questo vo lu m e di B o ub lik « il ruolo d i p ioniere ne l p a n o ra m a d e lla pro ­


posta accad e m ica d i teologia d e lle re ligio ni in Italia»: p u r essendo d i origine ceca, B o ub lik
h a infatti inseg nato per m oltissim i a n n i a lla P ontificia università lateranense d ì R o m a (cf. P.
S e lvadagi, «Il c a m m in o d e lla teologia de lle re ligio ni in Italia», in Lateranum 64(1998), 577).
T ornando a l pensiero interreligioso d i Rahner, è u tile an ch e l'esposizione che ne d à S a r t o ­
ri in «Teologia d e lle re ligio ni n o n cristiane», 407-409. D u e letture critiche g lo bali d e ll'in te ­
ra an tro p o log ia rah n e rian a - sintetizzata in u n certo senso d a lla fo rm u la d e i «cristiani a n o ­
n im i» - sono state proposte d a J . R a tzin g e r, « H e il u n d G eschichte», in Id., Theologische
Prinzipienlehre. Bausteine zur Fundamentaltheologie, W ew el, M iin c h e n 1982, 159-179, e
d a W. K ern, «A nthro po log ische S trukturen im B lick a u f O ffe n b a ru n g », in W. K e rn - H .J.
P o ttm e y e r - M . S e c k le r (hrsg.), Handbuch der Fundamentaltheologie, Herder, Freiburg-
Basel-W ien 1985, I, 195-217 (quest'ultim o è u tile an ch e per u n a collocazione d e ll'a n tro p o ­
lo g ia ra h n e rian a n e l q ua d ro delle diverse proposte an tro po log iche attuali).

46
La «teologia cristiana delle religioni»

si dà), allora si deve concludere che gli uomini aperti alla salvezza sono
non solo «teisti anonimi», bensì «cristiani anonimi».
Rahner considera dunque il rapporto tra le attese dell'uomo non rag­
giunto dall’annuncio cristiano e il compimento di queste attese in Cristo
in «continuità qualitativa»: qui si colloca la sua fondamentale tesi secon­
do la quale l'antropologia è una cristologia incompiuta e la cristologia
un'antropologia compiuta. In questa prospettiva, l’incarnazione di Dio è il
singolare e più alto caso del compimento dell'essenza umana in quanto
tale. L'esplicita rivelazione in Cristo non entra nell’uomo come qualcosa di
estraneo o sovrapposto, ma come l’espressione di ciò che l'uomo ha sem­
pre esperimentato, almeno in modo non tematico e irriflesso. Perciò l'uo­
mo che accetta pienamente se stesso accetta implicitamente anche Cristo:
e questa accettazione non è solo questione d i «natura», poiché vi inter­
viene sempre anche la «grazia»: la grazia esiste nel mondo solo come gra­
tta Christi e - inscindibilmente, in quanto la Chiesa è presenza storica di
lui - grafia Ecclesiae. Perciò l'uomo che accoglie pienamente se stesso è
«cristiano anonimo», appartiene in qualche modo a Cristo e alla Chiesa.
Non tutti gli uomini sono «cristiani anonim i »,12 ma solo coloro che
accolgono la grazia, cioè coloro che, in ultima analisi, non si pongono in
contraddizione con la loro concreta essenza di uomini e quindi con Dio.
Perciò sarebbe sbagliato credere che la tesi dei «cristiani anonimi» possa
danneggiare l'attività missionaria della Chiesa: chi ne ricava questa con­
clusione, osserva Rahner, non ha capito la teoria. Essa vuole solo svilup­
pare le prospettive del Vaticano II laddove, in LG 16, afferma che chi non
ha ancora ricevuto il vangelo eppure è senza colpa e si sforza, non senza
l’influsso della grazia, di cercare Dio sinceramente e con l'aiuto della
coscienza, è nell'orbita della salvezza. La teoria dei «cristiani anonimi»,
dunque, intende fondare la possibilità reale di salvezza e di appartenen­
za alla Chiesa anche di coloro che non hanno ricevuto o, senza colpa, non
hanno accolto Cristo.
La tesi dei «cristiani anonimi», rielaborata e approfondita da altri,13 è
stata richiamata più volte, al di là delle intenzioni del suo autore, come

12 Su questo punto la posizione di A. Ròper - discepola di Rahner - si differenzia da


quella del teologo gesuita, in quanto ella sostiene che «ogni uomo» è come tale «cristiano
anonimo»: cf. A. R ó per , I cristiani anonimi, (Gdt 6), Queriniana, Brescia 1966.
13 Va ricordato almeno il volume, a suo tempo famoso, di H.R. S chlette , Le religioni
come tema della teologia, Morcelliana, Brescia 1968: in esso l'autore avanza tra i primi la
proposta di considerare tutte le religioni vere e proprie «vie di salvezza»; se una distinzio­
ne va mantenuta con la salvezza cristiana, per Schiette essa consiste - rovesciando la ter­
minologia classica - nel fatto che la strada di salvezza delle religioni si può considerare
come «ordinaria» e quella della Chiesa come «straordinaria» (cf. ivi, 85-86). L'autore ha in
seguito sempre mantenuto im a posizione favorevole alTinclusivismo rahneriano, contra­
stando le critiche che vi vedevano un tentativo di «accorpare» al cristianesimo il buono che
esiste altrove: per Schiette, nella misura in cui questa concezione nasce da una fede speci­
fica e non pretende di essere evidente per tutti, è perfettamente legittima ed esprime anzi
rispetto e apprezzamento verso gli altri (cf. Id., «Christliche Relativitat? Die Theologie der
Religionen, der neue Relativismus und die Frage nach Jesus», in Orientierung 61(1997),
251-252). Per una valutazione sull'attualità della teoria rahneriana, cf. A. M arranzini, «Il

47
Annunciare Crùto alle genti

punto di partenza per il superamento non solo del modello cristocentri­


co, ma dell'intero orizzonte della «teologia cristiana delle religioni», per
approdare a una vera e propria «teoria del pluralismo» religioso, come
emergerà nel prossimo capitolo.

La presenza di Cristo
nelle religioni non cristiane

A complemento della teoria dei «cristiani anonimi», Rahner è interve­


nuto anche sul significato della presenza di Cristo nelle religioni non cri­
stiane .14 La differenza rispetto alla posizione di Daniélou risulta qui anco­
ra più netta:
Non possiamo pensare che le religioni non cristiane, nel processo di acqui­
sizione della salvezza e della giustificazione attraverso la fede, la speranza e
l'amore da parte di un non cristiano, non svolgano alcun ruolo oppure svol­
gano solo un ruolo negativo.15

Pur ritenendo che le altre religioni non possano essere messe sullo
stesso piano del cristianesimo, in quanto contengono elementi problema­
tici o addirittura negativi per la salvezza dei loro aderenti, Rahner pensa
che non sia sufficiente immaginare che la salvezza dei non cristiani si
realizzi «estrapolando» dalle loro religioni alcuni elementi isolati per
immetterli nella corrente della grazia cristiana; questo, a suo parere,
andrebbe contro la natura sociale e storica assunta dalla grazia nell'e­
vento di Cristo:
Se una religione non cristiana in partenza non potesse o non dovesse
avere alcun significato positivo sul farsi della salvezza soprannaturale nel sin­
golo uomo non cristiano, ciò equivarrebbe a pensare che il farsi della salvez­
za in tale uomo è completamente asociale e astorico. Ora ciò contraddice al
fondamentale carattere storico e sociale (ecclesiale) del cristianesimo stesso.16

Una qualche forma - imperfetta ma vera - di rivelazione e di salvezza


deve quindi essere presente anche nelle altre religioni.17
Il motivo teologico di questa positiva considerazione delle religioni
non cristiane è la presenza di Cristo in esse. Con quali modalità?

"cristianesimo anonimo" di K. Rahner, oggi», in M. F arrugia (ed.), Universalità del cristia­


nesimo. In dialogo con Jacques Dupuis, San Paolo, Cinisello Balsam o 1996, 197-210.
14 Cf. K. Rahner, «Gesù Cristo nelle religioni non cristiane», in Id., Teologia dell'espe­
rienza dello Spirito, Paoline, Roma 1978, 435-469.
15 R ahner , «Gesù Cristo nelle religioni non cristiane», 456.
16 R ahn er , «Gesù Cristo nelle religioni non cristiane», 457.
17 La rivelazione divina «non sembra essere semplicemente assente da tutte le storie
delle religioni concrete»; per quanto concerne la salvezza, dobbiamo ammettere una «fun­
zione positiva (almeno parziale) delle religioni non cristiane nei confronti degli uomini che
non sono ancora stati raggiunti dal m essaggio cristiano in una m aniera per essi già diretta-
mente vincolante» (Rahner, «Gesù Cristo nelle religioni non cristiane», 458).

48
La «teologia cristiana delle religioni»

Cristo è presente e attivo nel credente non cristiano (e quindi nelle reli­
gioni non cristiane) attraverso il suo Spirito [...]. Se nel non cristiano può esi­
stere una fede salvifica e se è lecito sperare che di fatto essa esista realmente
su vasta scala, allora è ovvio che tale fede è resa possibile ed è sorretta dalla
grazia soprannaturale dello Spirito Santo.18

Lo Spirito è sempre «di Gesù Cristo», cioè scaturisce dall'evento di


incarnazione, morte e risurrezione del Figlio di Dio ed è orientato a que­
sto stesso evento .19 L'anelito umano fondamentale è quello verso un Sal­
vatore assoluto:20 e poiché tale anelito tende sempre (anche inconsape­
volmente) verso Cristo, che è l'unico Salvatore assoluto, e in quanto è
sempre mediato da un'esperienza storica e concreta, esso è mosso dallo
Spirito Santo. L'azione dello Spirito nell'uomo non cristiano è quindi la
modalità della presenza di Cristo nelle religioni.

2 .2 . R a d ic i r e m o t e e p r o s s im e
D E L S E C O N D O PARADIGM A
Nella consapevolezza che un'indagine sul cristocentrismo nella storia
della teologia assumerebbe dimensioni sterminate ed esigerebbe com­
petenze specifiche, ci limitiamo a menzionare i testi più importanti e

18Rahner, «Gesù Cristo nelle religioni non cristiane», 459.


19 Cf. R ahner , «Gesù Cristo nelle religioni non cristiane», 460-463. Di particolare pre­
gnanza è il seguente passaggio: «Nella misura in cui l’azione universale dello Spirito è in
partenza orientata al vertice della sua mediazione storica, nella misura in cui, in altre paro­
le, l'evento Cristo è la causa finale della comunicazione dello Spirito al mondo, possiamo
dire in tutta verità che tale Spirito è in partenza e dappertutto lo Spirito di Gesù Cristo, del
Logos di Dio diventato uomo. Lo Spirito partecipato al mondo possiede proprio in quanto
partecipato al mondo, né solo nelle intenzioni di Dio trascendenti il mondo che sarebbero
a lui estrinseche, un riferimento intimo a G esù Cristo; questi è la "causa" di quello, anche
se nel contempo è altrettanto vero il rapporto inverso, così come avviene nel caso dell'u­
nità, della diversità e del reciproco rapporto di condizionamento tra causa efficiente e causa
finale. In quanto la causa efficiente dell'incam azione e della croce, cioè lo Spirito, porta in
sé il proprio fine quale entelecheia intima e perveniente alla sua essenza vera e propria
(come Spirito comunicato al mondo) solo nell'incam azione e nella croce, egli è in partenza
lo Spirito di G esù Cristo. Nella misura in cui questo Spirito sorregge sempre e dappertutto
la fede giustificante, questa fede è in partenza sempre e dappertutto una fede che si veri­
fica nello Spirito di G esù Cristo, il quale in questo suo Spirito è presente e attivo in ogni
fede» (ivi, 463).
20 L'«assolutezza» di Cristo e quindi della rivelazione e salvezza da lui portate, che come
vedremo verrà esclusa nell'ambito del pluralismo, è afferm ata con chiarezza anche da un
altro grande teologo del Novecento: «L’affermazione essenziale della fede sul cristianesimo
è quella del suo valore assoluto. In effetti, se una religione consiste in un certo rapporto del­
l'uomo con Dio, bisogna dire che il rapporto degli uomini con Dio stabilito in G esù Cristo e
attraverso di lui, è assolutamente perfetto. E non è perfetto solamente di fatto: non vi può
essere un rapporto più perfetto di questo, e nemmeno un rapporto che vi sia davvero com­
parabile. Se Gesù Cristo è Dio e uomo, se egli unisce nella sua persona l'umanità e il Dio
vivente, è chiaro che nessun rapporto religioso può uguagliare questo rapporto o quello
che, in noi, si fonda per la fede su quello» (Y. C ong a r , Vaste monde, ma paroisse. Verité et
dimensions du salut, Tém oignage chrétien, Paris 1968, 39).

49
Annunciare Cristo alle genti

spesso richiamati dai sostenitori della «teologia delle religioni», dedican­


do attenzione soprattutto al NT e ai padri.

2.2.1. A g g a n c i n e o t e s t a m e n t a r i :
M t 11,27; G v 14,6; A t 4,12;
1 C o r 8,5-6; I T m 2,5; C o l 2,9
È guasi tautologico affermare che l'intero NT è «cristocentrico»: nasce
per mostrare l'adempimento delle promesse antiche di salvezza in Gesù
di Nazaret morto e risorto, presenta dalla prima all'ultima pagina l'even­
to di Cristo, nelle sue radici storiche e nel suo significato teologico, espri­
me con diverse categorie culturali la fede delle prime comunità nella
definitività dell'azione divina in e attraverso Gesù Cristo.
Non si tratta però gin di proporre e neppure abbozzare una cristolo­
gia o una soteriologia neotestamentaria, ma solo di richiamare guei passi
che esplicitano il rapporto tra 1'«unicità» della persona e dell'evento di
Cristo e la salvezza di «tutti» gli uomini. In tal modo la lente si può legit­
timamente restringere ad alcuni testi-chiave: Mt 11,27; Gv 14,6; At 4,12;
ICor 8,5-6; ITm 2,5; Col 2,9.

M t 11,27

Una delle affermazioni «trinitarie» più impegnative dei sinottici è


guella registrata da Mt 11,27: «Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nes­
suno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non
il Figlio e colui al guale il Figlio lo voglia rivelare». Si tratta di uno dei
versetti
più densi di contenuto dottrinale non solo del Vangelo di Matteo, ma di tutto
il NT; in esso sono condensati tre enunciati che riguardano: la «donazione» di
ogni potere e di ogni essere al Figlio da parte del Padre; la reciproca esclusi­
va «conoscenza» del Padre e del Figlio; infine, la necessaria «mediazione» del
Figlio per raggiungere la conoscenza del Padre.21

Attraverso il titolo «il Figlio», il cui utilizzo è tipico di Gv e inusuale


nei sinottici, Mt pone un rapporto totalizzante ed esclusivo tra il Padre e
Cristo: rapporto che, presentato inizialmente di donazione/recezione
totale, diventa di reciproca ed esclusiva «conoscenza» (altra categoria
tipica di Gv). Non è prevista per gli uomini altra via per arrivare al Padre
se non il Figlio.

21 A. L ancelotti , Matteo, Paoline, Roma 1978, 167.

50
La «teologia cristiana delle religioni»

G v 14,6

Con queste osservazioni siamo già introdotti al testo capitale di Gv


14,6: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per
mezzo di me». Gv concentra in questo versetto molti riferimenti all'uni­
cità e mediazione di Gesù sparsi ovunque nel suo vangelo: egli è l'«Io
sono» (cf. 8,24.28.58; 13,19; ecc.), la «porta» per accedere al Padre (cf.
10,9), la «vita» eterna già presente (cf. anche 5,21.26; 10,10; 11,25-26).
L'affermazione fondamentale di questa triplice autorivelazione è quella
riguardante la «via ».22 Attribuendosi la prerogativa di condurre al Padre,
Gesù presenta se stesso come mediatore «personale» della salvezza;
escludendo altre «vie» per arrivare al Padre (Gesù si definisce «la» via),
si presenta anche come mediatore «unico» e «assoluto».

At 4,12

At 4,12 appartiene al terzo discorso di Pietro dopo la Pentecoste; par­


lando al sinedrio, dopo avere identificato Gesù con la pietra angolare
scartata dai costruttori (cf. Sai 118,22), Pietro aggiunge: «In nessun altro
c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel
quale è stabilito che possiamo essere salvati». Facendo l'esegesi del
nome «Gesù» e riferendosi ancora (come già aveva fatto in 2,21) alla pro­
fezia di Gl 3,5 («Allora chiunque invocherà il nome del Signore sarà sal­
vato»), Pietro intende proporre ai giudei Cristo risorto come adempimen­
to delle attese di salvezza che nelle Scritture venivano convogliate nel
nome di YHWH.
La salvezza, promessa nell'AT per l'invocazione del nome di YHW H, è ora
legata al nome di Gesù. L'affermazione di Pietro condensa in 4,12 la straordi­
naria novità che il messaggio cristiano doveva offrire per i giudei: la salvezza
promessa da Y H W H è presente nella persona d i Gesù!23

È ovvio che
questa frase non asserisce che delle persone le quali non hanno m ai cono­
sciuto Gesù non hanno la possibilità di prendere parte al Regno futuro. Affer­
ma che la salvezza è oramai accessibile attraverso Gesù come non lo è in nes­
sun altro luogo, e ciò implica che nel caso di u n incontro personale con quel
messaggio è in gioco la propria possibilità d'essere salvato.24

22 Cf. G. S egalla , Giovanni, Paoline, Roma 1978, 378-379.


23 C .M . M artini , Atti degli apostoli, Paoline, Roma 1986, 97.
24 W. P an nenb er g , «Pluralismo religioso e rivendicazioni di verità in conflitto fra loro. Il
problema di una teologia delle religioni mondiali», in G . D ’C osta (ed.), La teologia plurali­
sta delle religioni: un mito? L'unicità cristiana riesaminata, Assisi, Cittadella 1994, 205.

51
Annunciare Crutto alle genti

1Cor 8,5-6
Quando Paolo, contro i «cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra»,
afferma che «per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e
noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esi­
stono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (ICor 8,5-6), non solo entra
direttamente in polemica verso il culto ai «molti dèi e signori» incorag­
giato nelle province romane dagli imperatori del tempo ,25 ma offre una
delle affermazioni neotestamentarie più limpide circa la mediazione
unica e universale di Gesù, in direzione sia cosmologica sia soteriologi-
ca. L'universale paternità di Dio e la sua doppia prerogativa di origine di
tutto e fine dell'uomo non diminuiscono affatto, per Paolo, l'importanza
di Cristo: anzi, è la stessa universalità che appartiene al Padre a venire
estesa al «Signore Gesù Cristo», il quale diventa così anch'egli origine
delle cose e fine dell'uomo.

1T m 2,5

L'interpretazione di lTm 2,5 - «Uno solo infatti è Dio e uno solo il


mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù» - può partire dai due
versetti nei quali è incastonata. In 2,4 leggiamo che Dio «vuole che tutti
gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità»; e in 2,6
che Cristo Gesù «ha dato se stesso in riscatto per tutti». La netta affer­
mazione dell'unicità della mediazione di Cristo si sposa quindi con l'al­
trettanto netta affermazione della volontà salvifica universale da parte di
Dio e della destinazione universale della redenzione da parte di Cristo.
L'autore presenta in tal modo «l'intuizione del grande progetto ecumeni­
co di Dio che conosce anche i modi e le strade per condurre tutti gli uomi­
ni alla "conoscenza della verità " » ,26 la quale comunque «in concreto è
l'annuncio evangelico, in particolare modo affidato a Paolo (1,11)».27
Volontà salvifica universale e adesione al vangelo, redenzione «per tutti»
e mediazione in Gesù, non sono per lTm nozioni antitetiche: al contra­
rio, camminano insieme e sono inseparabili. Il problema dell'autore non
è dunque di spiegare se e come i non-battezzati si salvino, ma di procla­
mare che la destinazione universale della salvezza e della redenzione
passa attraverso l'uomo Cristo Gesù.

25 Cf. P. R o ssano , Lettere ai Corinzi, Paoline, Roma 1979, 98.


26 R. Fabris, Le Lettere di Paolo, Boria, Roma 1980, III, 362.
27 S. C ipriani, Lettere pastorali, Paoline, Roma 1983, 82.

52
La «teologia cristiana delle religioni»

Col 2,9
Il versetto di Col va letto ovviamente nel contesto del grande inno di
1, 12 -20 , prestando attenzione soprattutto al tema «cosmico» della crea­
zione di tutte le cose per mezzo del Figlio e in vista di lui, al tema «antro­
pologico» del Figlio come «primogenito» di coloro che risuscitano dai
morti e redentore, e al tema «ecclesiologico» del Figlio come capo del
corpo, cioè della Chiesa .28 In guesto contesto, dungue, l'affermazione che
«in Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» non fa che
esplicitare in termini sintetici e guasi «metafisici» guanto l’inno aveva
contemplato nella sua estensione storico-salvifica: Cristo, nella sua
vicenda umana e (probabilmente) nella sua «presenza» ecclesiale,29 è la
dimora di Dio tra gli uomini, la «concentrazione» della divinità. La pole­
mica immediata (cf. 2 ,8 ) contro «i vuoti raggiri» di chi vorrebbe ripropor­
re gli «elementi del mondo» (probabile riferimento alle dottrine stoiche)
rende ancora più forte la sottolineatura dell'unicità di Cristo come «pie­
nezza» del divino.

C o n c lu s io n e

Altri testi potrebbero essere richiamati,30 ma sono sufficienti guesti


accenni per concludere che il NT esprime non solo l'unicità e centralità,
ma anche l’assolutezza di Gesù Cristo in ordine alla rivelazione e alla sal­
vezza: non si limita, cioè, a offrire riflessioni di carattere cristocentrico
(cosmico, antropologico, ecclesiologico), ma le declina anche nella dire­
zione di una esclusività («solo», «in nessun altro», «nessuno», ecc.) che
non riduce affatto l’universalità della salvezza (alla guale «tutti gli uomi­
ni» sono chiamati). La rivelazione e la salvezza, in una parola, sono desti­
nate a tutti attraverso l'unica mediazione d i Cristo: si può esprimere
legittimamente guesta doppia acguisizione neotestamentaria con la cate­
goria di «cristocentrismo inclusivo».

28 Per un commento all'inno di Col rimandiamo all'ottima trattazione di F abris , Le Let­


tere di Paolo, III, 77-91.
29 «Non è escluso che il riferimento al "corpo", oltre che rimarcare l'immersione reale e
storica della presenza divina in Cristo, alluda anche al suo manifestarsi storico nel "corpo"
che è l'ekklesia» (Fabris , Le Lettere di Paolo, III, 104).
30 Ad es. E f 2 ,11-2 2 , considerata da Coda «una pericope di grande rilevanza» in ordine
alla questione interreligiosa (cf. P. C o d a , «Per un'ermeneutica cristologica del pluralismo
delle religioni», in G. C offele [ed.], Dilexit Ecclesiam. Studi in onore del prot. Donato
Valentini, LAS, Roma 1999, 125-140 , in part. 13 1- 13 5 ) ; anche Eb 1 ,1- 3 è un testo cristologi­
co capitale per la teologia della rivelazione e quindi importante per la teologia delle reli­
gioni (cf. il commento particolareggiato di S. Z edda , Lettera agli Ebrei, Paoline, Milano
1989, 27-30).

53
Annunciare Crùito alle genti

2.2.2. S v i l u p p i p a t r is t ic i e m e d ie v a l i :
G iu s t in o ,
C lem en t e A l e s s a n d r in o ,
I r e n e o , A g o s t in o e T o m m a s o

La coniugazione neotestamentaria tra la centralità e assolutezza di


Cristo da una parte e la destinazione universale della salvezza divina
dall'altra è stata ripresa in diverse direzioni dai padri che si sono occu­
pati esplicitamente del rapporto tra il cristianesimo e le altre culture/reli­
gioni. Le piste principali si possono ravvisare nelle seguenti teorie: i
«semi del Verbo» (Giustino), la «pedagogia» al vangelo (Clemente Ales­
sandrino) e la «presenza» del Verbo (Ireneo) e della Chiesa (Agostino)
prima delTincamazione.

G iu s tin o : i «semi del V erbo»

È nota la teoria dei «semi del Verbo», con la quale Giustino getta uno
sguardo positivo sulla cultura greca, ritenendo che essa abbia dato per­
sino un contributo alla piena manifestazione del Verbo di Dio in Gesù di
Nazaret: già prima della sua venuta nella carne, il Verbo spargeva i suoi
germi di verità sulla terra; germi che sono sbocciati solo con la piena rive­
lazione portata da Gesù. È in particolare la Seconda apologia a ritornare
insistentemente su questa idea. Se gli stoici e i poeti greci, scrive il filo­
sofo cristiano, pur essendosi mostrati moderati sui temi etici «grazie al
seme del Logos che è innato in ogni stirpe umana», sono stati nondime­
no perseguitati, non c'è da meravigliarsi quando sono perseguitati i cri­
stiani, «che vivono non secondo un frammento del Logos sparso in tutti,
ma secondo la conoscenza e la contemplazione di tutto il Logos, che è
Cristo» (VIII.1.3).31 La dottrina cristiana

31 Di particolare interesse è l'estesa applicazione della teoria dei «semina Verbi» a


Socrate: «Quelli che vissero prima di Cristo e si sforzarono di investigare e di indagare le
cose con la ragione, secondo le possibilità umane, furono trascinati dinanzi ai tribunali
come empi e troppo curiosi. Colui che più di ogni altro tendeva a questo, Socrate, fu accu­
sato delle stesse colpe che si imputano a noi: infatti dissero che egli introduceva nuove divi­
nità, e che non credeva negli dèi che la città riteneva come tali. Invece egli insegnò agli
uomini a rinnegare i demoni m alvagi, autori delle empietà narrate dai poeti, facendo ban­
dire dalla repubblica sia Omero sia gli altri poeti; cercava anche di spingerli alla conoscen­
za del Dio a loro ignoto, attraverso la ricerca razionale. Diceva: "Non è facile trovare il
Padre e creatore deU'universo, né è sicuro che chi l'ha trovato lo riveli a tutti". Questo è
quanto fece il nostro Cristo con la sua potenza. Infatti a Socrate nessuno credette fino al
punto di morire per questa dottrina. A Cristo invece, conosciuto almeno in parte anche da
Socrate (egli infatti era ed è il Logos che è in ogni cosa, che ha predetto il futuro per mezzo
dei profeti e per mezzo di se stesso, che si è fatto come noi e ci ha insegnato questa verità),
credettero non solo i filosofi e dotti, ma anche operai e uomini assolutamente ignoranti, che
sprezzarono i giudizi altrui, la paura, la morte. Poiché è potenza del Padre ineffabile e non
costruzione di umana ragione» (G iu stin o , Seconda apologia X ,l-6 ).

54
La «teologia crùitiaiia delle religioni»

appare più splendida di ogni dottrina umana, perché per noi si è manifestato
il Logos totale, Cristo, apparso per noi in corpo, mente, anima. Infatti tutto ciò
che rettamente enunciarono e trovarono via via filosofi e legislatori, in loro è
frutto di ricerca e speculazione, grazie a una parte di Logos. M a poiché non
conobbero il Logos nella sua interezza, che è Cristo, spesso si sono anche con­
traddetti (X, 1-3).

Questa relazione tra il «frammento» del Verbo (che comporta anche la


possibilità di storture e contraddizioni) e la «pienezza» del Verbo che si
è manifestata in Cristo viene teorizzata da Giustino in un passaggio
famoso che vale la pena di riportare per intero:
Io confesso di vantarmi e di combattere decisamente per essere trovato cri­
stiano, non perché le dottrine di Platone siano diverse da quelle di Cristo, ma
perché non sono del tutto simili, così come quelle degli altri, stoici e poeti e
scrittori. Ciascuno infatti, percependo in parte ciò che è congenito al Logos
divino sparso nel tutto, formulò teorie corrette; essi però, contraddicendosi su
argomenti di maggiore importanza, dimostrano di aver posseduto im a scien­
za non sicura e una conoscenza non inconfutabile. D unque ciò che di buono
è stato espresso da chiunque appartiene a noi cristiani. Infatti noi adoriamo e
amiamo, dopo Dio, il Logos che è da Dio non generato e ineffabile, poiché egli
per noi si è fatto uomo affinché, divenuto partecipe delle nostre infermità, le
potesse anche guarire. Tutti gli scrittori, attraverso il seme innato del Logos,
poterono oscuramente vedere la realtà. M a una cosa è u n seme e un'im ita­
zione concessa per quanto è possibile, un'altra è la cosa in sé, di cui, per sua
grazia, si hanno la partecipazione e l'imitazione (XIII,2-5).

Giustino utilizza lo schema dei «semi del Verbo» anche nella Prima
apologia, ancora in riferimento ai pagani (cf. V,4; XLIV.10; XLVI.1-4) e
nel Dialogo con Trifone, in riferimento invece ai giudei .32

C lem e nte A le ssa n drino :


la «pe d a g o g ia» al v angelo

Clemente imposta la relazione fra dottrina di Cristo e filosofia greca in


termini simili a Giustino nella sostanza, sebbene diversi nella forma: la
filosofia fu data ai greci come una preparazione alla filosofia secondo Cri­
sto, come un «pedagogo» che conduce verso Cristo. Ne Gli stromati si
incontrano le affermazioni più chiare in proposito.

32 «Quando udite le parole dei profeti pronunziate come se fossero loro, non crediate
che siano pronunziate da essi stessi sotto ispirazione, bensì dal Logos divino che le muove.
Questi infatti ora preannunzia il futuro sotto forma di predizione, ora parla come in perso­
na di Dio, Signore e Padre di ogni cosa, ora come in persona di Cristo, ora come in perso­
na di popoli che rispondono al Signore o al Padre suo: una cosa simile si può vedere anche
presso i vostri scrittori, che introducono vari personaggi dialoganti, pur essendo uno solo
colui che scrive il tutto. Non comprendendo questo, i giudei, che pure hanno i libri dei pro­
feti, non riconobbero Cristo neppure quando comparve; anzi, odiano noi perché afferm ia­
mo che egli è venuto e dimostriamo che è stato da loro crocifisso, come era stato annunzia­
to» (Giustino, Dialogo con Trifone, X XXVI, 1-3).

55
Annunciare Cruto alle genti

Orbene, prima della venuta del Signore la filosofia era ai greci necessaria
per giungere alla giustizia; ora diviene utile per giungere alla religione: essa
è in certo modo una propedeutica per coloro che intendono conquistarsi la
fede per via di dimostrazione razionale [...). Potrebbe anche darsi che la filo­
sofia fosse stata data ai greci come bene primario, avanti che il Signore li chia­
masse, poiché anche essa educava la grecità a Cristo, come la legge gli ebrei
(1,5,28; cf. anche 1,5,32).

La «propedeutica greca», compresa la filosofia, entra quindi nell'am­


bito degli interventi di Dio a favore degli uomini, se è vero che «è venu­
ta per divino volere agli uomini» (1,7,37) e che «è stata concessa dalla
divina provvidenza come propedeutica della perfezione in Cristo»
(VI, 17,153); essa è per i greci «come un testamento loro proprio»
(VI,8,67). Come Giustino, anche Clemente individua però elementi am bi­
gui e parziali nella cultura greca, che sono stati purificati e completati
con la venuta del Verbo (cf. 1,13,57-58). Colpito dalle tracce di verità che
trova nella filosofia, giunge ad affermare che «si possono definire "pre­
datori e ladri" i filosofi del mondo greco», perché «prima della venuta del
Signore trassero dai profeti ebraici parti della verità, senza acquistarsene
conoscenza piena: se ne appropriarono, facendole passare per dottrine
personali, e alcune le alterarono, su altre sottilizzarono con indebite inge­
renze, per ignoranza, altre infine le riscoprirono da sé» (1,17,87): è la tesi
già sopra menzionata del «latrocinio», assurda storicamente ma preziosa
teologicamente, perché dimostra quale affinità riscontrasse Clemente fra
filosofi greci e profeti ebrei (cf. anche 11, 1, 1), pur individuandovi, nello
stesso tempo, errori e «zizzania» (cf. VI,8,67).33

Ireneo di Lione:
la «presenza» del V erbo p r im a d e ll'in c a r n a z io n e

Per Ireneo il Verbo, manifestazione visibile del Padre, si è rivelato agli


uomini fin dall'inizio, pur portando a pienezza questa rivelazione solo
incarnandosi. Nel trattato Contro le eresie egli ricorda come gli eretici,
che dividono Gesù da Cristo (il primo è nato e ha patito e il secondo è
risalito al cielo),
non comprendono che il Verbo unigenito di Dio, sempre vicino al genere
umano (come Dio), che s’è unito intimamente all’opera sua per benigna
volontà del Padre, e che si è fatto carne, non è altri che Gesù Cristo nostro
Signore, il quale soffrì per noi, per noi risuscitò e ritornerà nella gloria del
Padre a risuscitare ogni uomo (111,16,6).

Dopo avere dimostrato «che il Verbo esisteva dal principio presso Dio,
che per opera sua furono fatte tutte le cose, che fu sempre presente al

33 La teoria di Clemente Alessandrino, come è noto, fu ripresa e divulgata con la for­


mula di «preparazione evangelica» da Eusebio di C esarea (Praeparatio evangelica 1 ,1 : PG
21,26-28).

56
La «teologia cristiana delle religioni»

genere umano e che proprio lui, in questi ultimi tempi, secondo l'ora sta­
bilita dal Padre, si im i all’opera delle sue mani divenuto uomo passibile»,
Ireneo conclude: «Resta confutata ogni affermazione contraria di coloro
che dicono: se è nato in questi ultimi tempi, vi fu un tempo in cui Cristo
non era» (111,18,1). Il Verbo, Cristo, è dunque presente da sempre in
mezzo agli uomini ed esercita tra essi la sua opera di rivelazione:
Mediante la Legge e i profeti il Verbo annunzia insieme se stesso e il Padre
[...]. Il Figlio opera dal principio alla fine disponendo a nome del Padre e
senza di lui nessuno può conoscere Dio, poiché la conoscenza del Padre è 0
Figlio: la conoscenza del Figlio poi è nel Padre, rivelata mediante il Figlio; per
questo il Signore dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, né il Padre
se non il Figlio e coloro ai quali il Figlio l'avrà rivelato». Avrà rivelato non solo
in futuro, come se il Verbo avesse incominciato a rivelare il Padre quando nac­
que da Maria, ma vale in genere per tutti i tempi. Dall'inizio, infatti, il Figlio,
stando a fianco delle sue creature, rivela a tutti il Padre, a chi vuole, quando
vuole e come vuole il Padre; perciò in tutti e operante dappertutto v'è un
unico Dio e un unico Verbo Figlio e un unico Spirito: unica ancora è la sal­
vezza per tutti coloro che credono in lui (IV,6,7; cf. anche IV,7,2).

Il fatto che il Verbo operi fin dall'inizio in tutti rende «unitaria» la


vicenda religiosa dell'umanità; infatti «Dio non è inconoscibile del tutto:
mediante il Verbo tutti possono apprendere che c'è un solo Dio Padre che
tutto contiene e a tutti dà l'essere» (IV,20,6 ); Cristo ha provveduto non
solo per quelli che vissero al tempo di Tiberio, ma per tutti (cf. IV,22,2). Il
fatto però che il Verbo sia venuto nella carne ha costituito una reale
«novità» nel mondo, poiché i profeti non potevano immaginare che il
Signore avrebbe portato non solo i suoi doni ma perfino se stesso (cf.
IV,34,1; cf. anche IV,36,4).34

A g o s tin o : la «presenza» de lla Chiesa,


corpo di C risto, p r im a de H ’in c a r n a z io n e

Nelle sue ultime opere, Agostino porta alla sua espressione più piena
l'idea di una presenza universale del mistero di Cristo anche prima del­
l ’incarnazione, giungendo - in base alla teoria del «Christus totus», capo
e corpo - ad affermare una presenza almeno germinale della Chiesa a
partire da Abele .35 Offriamo solo qualche esempio di un pensiero molto
diffuso in Agostino. Prima di tutto egli «retrodata» il cristianesimo e la
Chiesa agli inizi della storia umana:

34 Prospettive simili saranno presenti in Giovanni Crisostomo: prima che venisse nel
mondo, Cristo era già presente; non tutti lo conoscevano, ma solo coloro che si comporta­
vano virtuosamente (PG 59,67-68).
35 Un'ottima presentazione dell'argomento è quella offerta da S. M adrigal T erkazas ,
«Eclesialidad y universalidad de la salvación a la luz de la noción "Ecclesia ab A bel"», in
Diàlogo Ecumènico 25(2000)112, 2 11-2 6 2 . Lo studio che funge da apripista è notoriamente
quello di Y. C o n g a r , «Ecclesia ab Abel», in M. Reding (hrsg.), Abhandlungeri ùber Theolo-
gie und Kirche, Patmos Verlag, Dusseldorf 1952, 79-108.

57
Annunciare Crùto alle genti

Quella che ora prende il nome di religione cristiana, esisteva già in antico
e non fu assente neppure all'origine del genere umano, finché venne Cristo
nella carne. Fu allora che la vera religione, che già esisteva, incominciò a
essere chiamata cristiana.36

M a non tutti gli uomini genericamente appartengono alla Chiesa


bensì i soli giusti: «Tutti coloro che dall'inizio dei secoli furono giusti,
hanno Cristo come capo (omnes qui ab initio saeculi fuerunt iusti, caput
Christum habent)».3’’ «Abele» diventa così il capostipite e la primizia
della lunga teoria di giusti che dall'inizio alla fine del mondo formano il
«corpo di Cristo», la Chiesa.
Tutti insieme siamo membra e corpo di Cristo: non solo noi che ci troviamo
qui in questo luogo, ma tutti su tutta la terra. E non solo noi che viviamo in que­
sto tempo, ma che dire?, dal giusto Abele sino alla fine del mondo (ex A b e l
iusto usque in finem saeculi), fino a quando ci sarà generazione umana.38
Commentando il testo greco del Sai 118,152 («Fin dall'inizio ho sapu­
to che in eterno avevi fondato le tue testimonianze»), si chiede: come il
salmista
ha potuto conoscere tutto questo fin dall'inizio? Chi però parla così è la Chie­
sa, che non cessò mai di esistere sulla terra a cominciare dai primordi del
genere umano. Essa ha le sue primizie nel santo Abele, immolato anche lui
per rendere testimonianza al sangue del mediatore venturo, che sarebbe stato
versato per mano degli empi fratelli39

Il tema dell'«Ecclesia ab Abel» a un certo punto si intreccia con quel­


lo delle due città. La «città di Dio»
inizia con Abele, come la città del male inizia con Caino. Molti secoli conta
quindi questa città di Dio, cui tocca sopportare di continuo le vicissitudini
della terra mentre spera le cose del cielo/0

Queste aperture cristologico-ecclesiologiche di carattere universalisti­


co correggono in parte, senza peraltro integrarvisi compiutamente, le
posizioni agostiniane rigoriste in ordine alla salvezza, alle quali si è fatto
cenno nel capitolo precedente.
Con questa immagine dell'«Ecclesia ab Abel», comunque, Agostino
veicola una sorta di «Chiesa extra-cristiana», una comunità di grazia e di
salvezza che va dall'inizio del genere umano alla fine dei tempi, inglo­
bando in un unico «corpo» i santi, battezzati e non battezzati. È in tale
luce che vanno lette espressioni come queste:
Non circoscrivete la Chiesa, fratelli, a quei soli che dopo la venuta e la
nascita del Signore cominciarono ad essere santi; perché tutti coloro che furo­
no santi appartengono (pertinent) alla medesima Chiesa.41

36 A g o s tin o , Le ritrattazioni 13,3.


37 A g o s tin o , Esposizioni sui Salmi 36,3,4.
38 A g o s tin o , Discorso 341,9.11.
39 A g o s tin o , Esposizioni sui Salmi 118,29,9.
40 A g o s tin o , Esposizioni sui Salmi 142,3.
41 A g o s tin o , Discorso 4,11.

58
La «teologia cristiana ielle religioni»

T om m aso d 'A q u in o : C risto capo


di tu tti gli u o m in i e la fede im p lic ita in lui

Le piste percorse dai padri vengono riprese e sistematizzate in diver­


se maniere dagli autori medievali. Ci limitiamo a ricordare alcune rifles­
sioni nelle quali Tommaso legge la salvezza in chiave di universalismo
cristocentrico. Nella Summa contro Gentiles, egli affronta il problema
delle condizioni minime per ricevere la grazia salvifica:
Dio, per quanto gli compete, è pronto a dare la grazia a tutti, poiché vuole
che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. M a
sono privati della grazia solo coloro che pongono impedimento in se stessi alla
grazia, così come, quando c'è la luce del sole, se uno chiude gli occhi e gli
capita qualche disgrazia lo si deve imputare a lui solo, mentre non può vede­
re nulla se non è soccorso dalla luce del sole.42

Non esiste quindi per Tommaso una doppia predestinazione:


Coloro che non sono giustificati attraverso la grazia non sono scelti o
preordinati da Dio alla colpa ma, solamente, Dio sa in precedenza che non
avrebbero avuto la grazia e sarebbero rimasti nella loro natura 43

Chi non accetta la grazia, e rimane nell'ordine puramente naturale, si


priva da sé della beatitudine e quindi cade nella dannazione. I dannati
infatti sono coloro che rifiutano consapevolmente la grazia. Essi sono
necessari affinché si manifestino tutte le gradazioni della bontà divina:
Negli uomini che predestina alla salvezza Dio volle rappresentare la sua
bontà, «per m odum m iserico rdiae parcendo», in quelli che condanna volle
rappresentare la sua giustizia, «per m odum iustitiae pu n ien d o».44

Tommaso evita di mandare aU'infemo i bambini morti senza battesi­


mo, come faceva Agostino, ma li priva comunque della vita divina, m en­
tre si possono salvare gli uomini anche prima di Cristo,45 ma sempre
attraverso Cristo, al quale appartengono per fede implicita; ed ecco, a
questo proposito, il testo che ci interessa di più:
Nessuno m ai ottenne la grazia dello Spirito Santo se non per la fede in C ri­
sto esplicita o implicita; l’uomo infatti appartiene al Nuovo Testamento per la
fede in Cristo; per cui, chiunque ha ricevuto in dono la legge della grazia,
appartiene per questo fatto al Nuovo Testamento;46

riferimento salvifico è quindi Cristo, a cui va rapportata la fede, esplici­


ta o implicita che sia. Riprendendo la linea di Ireneo (e di altri padri
greci), egli fonda questo «cristocentrismo» della salvezza nell'incarna­
zione del Verbo: è in Cristo che l'uomo - l'uomo in quanto tale, prima

42 T o m m a so d 'A q u in o , Liber de veritate catholicae tidei contro errores intidelium quae


dicitur Summa contro Gentiles, 11,159.
43 T om m a so d 'A q u in o , Q uaesfiones quodlibetales, 5, a. 2.
44 STh I, q. 23, a. 5, ad 3.
45 STh I-II, q. 98, a. 2, ad 4.
46 STh I-H, q. 106, a. 1, ad 3.

59
Annunciare Cristo alle genti

ancora di essere «cristiano» attraverso il battesimo e una professione di


fede esplicita - diventa figlio adottivo di Dio ,47 anzi in un certo senso
diventa «dio» per partecipazione .48
Il testo più significativo - che meriterà una citazione in una nota di LG
16 - è però il seguente:
Coloro che sono al di fuori della fede, sebbene non siano nella Chiesa in
atto, vi sono tuttavia in potenza. La quale potenza si fonda su due elementi:
prima di tutto e principalmente nella forza di Cristo che è sufficiente per la sal­
vezza di tutto il genere umano; in secondo luogo, nell’arbitrio della libertà.49

Il contesto in cui Tommaso offre guesta grande apertura è guello in cui


tratta di Cristo che è capo di tutti gli uomini e - secondo una scala discen­
dente - precisa: è capo di coloro che sono uniti a lui in atto, in tre modi,
«per gloriam» (i beati), poi «per caritatem vitae» e inoltre «per /idem»; è
poi capo di coloro che sono uniti a lui in potenza: sia di chi passerà dalla
potenza all'atto, sia di chi non vi passerà. L'affresco tomista è uno dei più
grandiosi tentativi medievali di «accorpare» in qualche maniera tutti gli
uomini a Cristo capo.
Il principio «cristocentrico», declinato come è appena emerso dai
padri e da Tommaso in senso universalista, verrà poi utilizzato dal magi­
stero moderno in direzione antigiansenista, escludendo - come si è già
visto nel capitolo precedente - l’interpretazione rigorista dell’assioma
« Extra Ecclesiam nulla salus», e mantenendo così la destinazione univer­
sale della salvezza realizzata da Cristo: egli ha effuso il suo sangue per
tutti gli uomini .50

2.3 . I l s u p e r a m e n t o
'e c c l e s i o c e n t r i s m o
d e l l
AD O P E R A D E L V A T IC A N O I I
Rituffando la dottrina nel NT e nei padri, il concilio Vaticano II fu in
grado di superare le secche di guell'ecclesiocentrismo che, adottando
l'identificazione pura e semplice della Chiesa cattolica con il corpo
mistico di Cristo, impediva di riconoscere un certo grado di ecclesialità
alle altre comunità cristiane. Anche per guesta apertura ecumenica
operata dal Vaticano II, la Chiesa cattolica negli anni del concilio ha
maturato insieme alle comunità protestanti e alle Chiese ortodosse un
atteggiamento di maggiore apertura verso le altre grandi religioni del
mondo. Così, mentre il Vaticano II ammetteva la presenza di elementi
soteriologici e di autentica rivelazione nelle tradizioni religiose non cri­
stiane, anche i «fratelli separati» andavano assumendo guell'ottica di

47 Cf. STh HI, q. 23, a. 1.


48 Cf. STh ni, q. 23, a. 1, ad 1.
49 STh III, q. 8, a. 3, ad 1.
50 Cf. Denz 2005.

60
La «teologia cristiana delle religioni»

interesse, apprezzamento e dialogo verso le altre religioni che oggi


generalmente connota il cristianesimo.51

D a l «reapje» al «piene»

Il già menzionato «realmente/reapse», che nella Mystici corporis indi­


cava l'appartenenza alla Chiesa di coloro che professavano il triplice vin­
colo (battesimo, retta fede, appartenenza all'unità giuridica della Chie­
sa),52 escludeva di per sé qualsiasi sfumatura: o si era «dentro» la Chie­
sa o se ne era «fuori», senza situazioni intermedie .53 Una possibilità di
salvezza per coloro che non rientravano nei confini della Chiesa visibile
era bensì ammessa - con le teorie dell'ignoranza invincibile e del «voto
implicito» già esposte nel capitolo precedente - ma senza la preoccupa­
zione o la possibilità di armonizzarla con la teoria dell'identificazione tra
Chiesa cattolica e corpo mistico di Cristo. In questa identificazione era
infine irrilevante che i non appartenenti alla Chiesa fossero cristiani o
non cristiani: chi non era «reapse » membro del corpo mistico si trovava

51 N egli stessi anni del Vaticano II infatti anche il Consiglio ecumenico delle Chiese,
superata la fortissima influenza barthiana, affrontava positivamente la problematica inter­
religiosa: la questione si affaccia per la prima volta nell'assem blea di N ew Delhi del 19 6 1
(cf. R. Bernhardt, «Wandlungen in der Beurteilung und Kritik nicht-christlicher Religionen
in der evangelischen Theologie», in H.R. S c h ie tte [hrsg.j, Religionskritik in interkulturel-
ler und interreligióser Sicht. Dukumentation des Symposiums des Graduiertenkollegs
“Interkulturelle religióse bzw. religionsgeschichtliche Studien" vom 20.-23.11.1996 an der
Universitàt Bonn, Borengàsser, Bonn 1997, 36-37). O ggi l'argomento interreligioso è spes­
so iscritto nell’agenda ecumenica; le tre grandi ramificazioni del cristianesimo - parlando
in generale - mantengono nei suoi confronti altrettante sottolineature: il mondo ortodosso
mette l'accento sulla necessità di attingere alla tradizione quando si affrontano questi temi;
i cattolici fanno leva sulle ormai cospicue indicazioni del magistero; l'arcipelago protestan­
te, quasi cercando di recuperare il tempo perduto, è particolarmente sensibile al dialogo
con la modernità. In ogni caso, è ormai chiaro a tutti che non ci si può più sottrarre a que­
sto confronto (cf. J . Dorè, «Pour une théologie chrétienne des religions», in Id. [ed.], Le chri-
stianisme vis-à-vis des religions, 9-20; in pari. 1 1 - 1 2 e 16 -17). Per la documentazione circa
la tradizione, richiamata dai teologi ortodossi, risulta istruttiva la prima parte del contribu­
to di V. Phjdas, «Le dialogue interreligieux dans une perspective orthodoxe», in D orè (ed.),
Le chrìstianisme vis-à-vis des religions, 81-96; l'autore elenca alcuni canoni di concili e
scritti di padri e autori sacri (cf. 81-89), i quali impostano già a partire dai primi secoli que­
gli atteggiamenti di dialogo e confronto con ebrei, pagani e musulmani, che la tradizione
ortodossa ha poi cercato di custodire. Per una panoramica delle posizioni protestanti, dal
X VI secolo ad oggi, risulta poi molto utile il saggio di J.-C . Basset, «Déni ou défi: les Égli-
ses protestantes et la pluralité religieuse», in Dorè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des reli­
gions, 13 1- 14 7 ; egli ritiene che comunque continui a prevalere nelle tradizioni protestanti
- al di là del seguito di Hick e altri pluralisti - quell'impostazione esclusivista che caratte­
rizzava i padri fondatori (specialmente Lutero e Calvino) e l'impostazione di Barth e Krà-
mer (cf. in pari. 14 1-14 3 ).
52 Cf. Denz 3802.
53 Per un confronto tra l ’impostazione della Mystici corporis e quella del Vaticano II sul
tema dell'appartenenza ecclesiale, cf. J . Ratzinger , «L’ecclesiologia del Vaticano n » , in Id .,
Chiesa, ecumenismo e politica, Paoline, Cinisello Balsamo 1987, 9-32, in pari. 20-21.

61
Annunciare Cruto alle genti

automaticamente «extra Ecclesiam» e, come tale, poteva salvarsi solo in


virtù dell'ignoranza invincibile e del «voto implicito»: dunque, nonostan­
te la sua appartenenza a tradizioni diverse da quella cattolica. LG 14
sostituirà al « reapse» un «piene», aprendo in tal modo la strada al rico­
noscimento di appartenenze «reali» anche se non «piene» alla Chiesa.
Fu l'ecclesiocentrismo del « reapse» che si affacciò alla porta dell'aula
conciliare: qui, pur ricevendo all'inizio una discreta accoglienza, venne
poi decisamente respinto e abbandonato ,54 anche per merito di ima rilet­
tura approfondita della Scrittura e dei padri. Può apparire paradossale
che a superare l'ecclesiocentrismo sia stato proprio il concilio che ha
posto più di tutti la Chiesa al centro delle sue riflessioni. Quando però si
considerino più attentamente le cose, si vedrà che non di paradosso si
tratta, ma di evidenza teologica: quanto più la Chiesa guarda se stessa,
tanto più si vede relativa al mistero trinitario e al mondo. Per documen­
tare l'abbandono dell'ecclesiocentrismo da parte del Vaticano II basterà
ricordare altri due passi che sono diventati quasi dei «simboli» della rin­
novata prospettiva conciliare.

«Lumen gentium cum dii Chrutuj »


Il primo passo simbolico è l'inizio della LG, « Lumen gentium cum sit
Christus». Affermazione cristocentrica di cui si coglie meglio la portata se
si pensa che essa sostituisce un'affermazione ecclesiocentrica contenuta
nel pur così ricco progetto tedesco: «Lumen gentium cum sit Ecclesia».55
Il richiamo implicito al «mysterium lunae» nella sua origine patristica cri­
stocentrica - Cristo è il sole e la Chiesa è la luna 56 - e non nella sua appli­
cazione medievale ecclesiocentrica - la Chiesa/il papa è il sole e il
mondo/l'imperatore la lima 57 -, posto proprio all'inizio della costituzione
sulla Chiesa, ne dà la tonalità: la Chiesa è tutta relativa a Cristo: la Chie­
sa stessa è cristocentrica. La luce che le genti ricevono non è la luce della
Chiesa, che ne è invece «sacramento, cioè segno e strumento» (LG 1), ma
è la luce di Cristo della quale la Chiesa stessa vive prima di rifletterla
verso il mondo.

54 C f. A. A cerbi , Due ecclesiologie. Ecclesiologia giurìdica ed ecclesiologia di comunio­


ne nella «Lumen gentium», EDB, Bologna 1975, 107-149.
55 Cf. A cerbi, Due ecclesiologie, 19 4-19 5.
56 G li studi ormai classici in questo campo sono quelli di H. Rah n er , «Das christliche
Mysterium von Sonne und Mond», in Id ., Griechische Mythen in christlicher Deutung, Her­
der, Basel 1989, 89-158; Id., Symbole der Kirche, 89-173.
57 Cf. H. F ries , «Mutamenti dell'im m agine della Chiesa ed evoluzione storico-dogmati­
ca», in J . F einer - M. L òhrer (edd.), Mysterium salutis, Queriniana, Brescia 1972, VII, 267-
346, qui 293.

62
La «teologia cristiana delle religioni»

«Subdidtit in »
Il secondo passo è l'ormai anch'esso famoso « subsistit in » di LG 8 che,
per quanto si possa discutere sull'ermeneutica più adeguata del passo,
avendo sostituito il precedente « est », indica che la Chiesa cattolica roma­
na non è sic et simpliciter identica alla «Chiesa di Cristo»: pur essendo
fornita di tutti i mezzi di salvezza, la Chiesa cattolica riconosce che anche
al di fuori di se stessa esistono germi di verità e salvezza .58 La non piena
identificazione della Chiesa cattolica con la «Ecclesia Christi» - va riba­
dito - ha favorito direttamente il riconoscimento di elementi autentica­
mente ecclesiali nelle comunità cristiane non cattoliche e indirettamente
l'apprezzamento di elementi veri e salvifici nelle tradizioni religiose non
cristiane. Approfondiamo quest'ultimo aspetto, poiché il primo - il dialo­
go ecumenico - esula dall'argomento che stiamo trattando.

2 .4 . I l ric o n o s c im e n to
C O N C IL IA R E D I ELEM EN TI
R IV ELA T IV I E SA L V IF IC I
NELLE G RA N D I T R A D IZ IO N I
R E L I G I O S E N O N C R I S T I A N E 59
Per avere un'idea precisa del concetto di Chiesa e del suo rapporto
con la salvezza nella dottrina conciliare andrebbero affrontati tutti i passi
nei quali il concilio considera le diverse culture e le grandi religioni. Ma
sarà sufficiente qualche richiamo diretto ad alcuni testi più importanti.

LG 16 e 17

Riferendosi a «coloro che non hanno ancora ricevuto il vangelo e


[che], comunque, in vari modi sono ordinati al popolo di Dio», LG 1660
arriva a dire che «Tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro, è rite­
nuto dalla Chiesa come una preparazione al vangelo, e come dato da
colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita». Anche

58 Uno studio attento circa il senso esatto del «subsistit in» è quello di F.A. S ullivan , «In
che senso la C hiesa di Cristo "sussiste" nella Chiesa cattolica romana?», in R. Latourelle
(ed.), Vaticano II: bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), Cittadella,
Assisi 1987, II, 8 11-8 24 .
59 Cf. J. D upuis , Gesù Cristo incontro alle religioni, Cittadella, Assisi 1989, 188-193:
L adaria , «D u De vera religione à l'action universelle de l'Esprit-Saint dans la théologie
catholique récente», 57-59; cf. anche il problematico (perché pregiudizialmente ostile al
dialogo interreligioso) volume di M. R uo ka nen , The Catholic Doctrine of Non-christian Reli-
gions According to thè Second Vatican Council, Brill, Leiden-N ew York 1992.
60 EV 1/326. Commento dettagliato del paragrafo, nell'ottica che a noi qui interessa, in
S ullivan , Salvation outside thè Church?, 152 -156 .

63
Annunciare Cruto alle genti

LG 17, il paragrafo più «missionario» della costituzione sul quale torne­


remo tra poco, valuta positivamente l'ambito non cristiano: questa volta,
però, non solo dal punto di vista delle singole persone, ma anche da quel­
lo, più impegnativo, delle religioni e delle culture in quanto tali:
Con la sua attività, essa [= la Chiesa] fa in modo che ogni germe di bene
(q u id q u id boni... sem inatim i) che si trova nel cuore e nella mente degli uom i­
ni o nei riti e nelle culture proprie dei popoli, non solo non vada perduto, ma
sia purificato, elevato e perfezionato (EV 1/327).

NA 2
Dopo l'esplicita citazione dell’induismo e del buddhismo e il generale
riferimento a «le altre religioni» e prima di richiamare la necessità del­
l’attività missionaria della Chiesa, NA 2 afferma:
La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religio­
ni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei pre­
cetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto
essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio
(radium ) di quella verità che illum ina tutti gli uomini (£V 1/857).
Anche in questo caso oggetto del discorso sono «le religioni» e non
semplicemente i loro aderenti singolarmente considerati.

AG 3, 9, Ile 18

Riallacciandosi esplicitamente a Ireneo e Clemente Alessandrino, AG


3 ammette che alcune «iniziative religiose» «possono essere considerate
talvolta pedagogia al vero Dio o preparazione evangelica». A G 9 ripren­
de il menzionato brano di LG 17: dopo aver detto che «tutto ciò che di
vero e di grazia era già riscontrabile, per una nascosta presenza di Dio,
in mezzo alle genti, essa [= la Chiesa] lo purifica dalle scorie del male e
lo restituisce al suo autore, Cristo», A G 11 chiede che i cristiani «cono­
scano bene le loro [= degli uomini ai quali testimoniano il vangelo] tradi­
zioni nazionali e religiose; scoprano con gioia e rispetto i germi del Verbo
(semina Verbi) in esse nascosti». In A G 18 l'apprezzamento si estende
alla spiritualità:
G li istituti religiosi [...] devono anche considerare attentamente in che
modo le tradizioni ascetiche e contemplative, i cui germi (sem ina), talvolta già
prima della predicazione del vangelo, Dio ha immesso nelle antiche culture,
possano essere assunte per la vita religiosa cristiana (£V 1/1147).

Anche in questi passi il concilio riconosce un valore non semplice-


mente ai singoli, bensì alle religioni in quanto tali: la prospettiva è ogget­
tiva e non semplicemente soggettiva.

64
La «teologia cristiana delle religioni»

G S 22 e 92

Richiamando il dogma della redenzione universale, GS 22 così argo­


menta:
Cristo, infatti, è morto per tutti (cf. Rm 8,32) e la vocazione ultima dell'uo­
mo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo
Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio
conosce, col mistero pasquale (EV 1/1389).

È un testo che, come vedremo, Giovanni Paolo II citerà spesso, poiché


accenna a una prospettiva pneumatologica universalistica alla quale il
papa dell'evento di Assisi e della Redemptoris missio risulterà particolar­
mente affezionato. In GS 92 leggiamo che anche i credenti non cristiani
«conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi (elemento) religiosi e
umani» (EV 1/1641).

Sintesi

Pur con diverse categorie - «semina Verbi», «radium veritatis», «eie-


menta pretiosa» - e differenti espressioni, l'orientamento di fondo del
Vaticano II è univoco: il mistero di Cristo, presente pienamente nella
Chiesa, è pure presente, a diversi livelli di intensità, nelle tradizioni reli­
giose non cristiane. È da sottoscrivere, perciò, l'interpretazione della dot­
trina conciliare offerta dal documento vaticano del 1991 Dialogo e
annuncio:
Il concìlio ha riconosciuto apertamente la presenza d i valori positivi non
solo nella vita religiosa del singolo credente delle altre tradizioni religiose, ma
anche nelle stesse tradizioni religiose alle quali appartengono.61

Il concilio non ha precisato i modi di questa presenza né ha esplici­


tamente trattato il problema del «valore salvifico» delle religioni non
cristiane (se siano o meno «vie di salvezza»), verso il quale anzi ha
mantenuto un atteggiamento di sostanziale distanza :62 si è limitato - e

61 P o n tificio consiglio per il dialogo interreligioso e C o n g reg a zio n e per l' evangeliz ­
Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso
zazione dei popo li ,
e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, del 19 m aggio 19 9 1: EV 13/287-386,- l'afferm azio­
ne riportata nel testo è al n. 17. Una lettura critica del documento, considerato in parallelo
con l'enciclica Redemptoris missio (di cui parleremo), è stata proposta da J . M a sso n , «Le
dialogue entre les religions. Deux documents récents», in Nouvelle Revue Théologique
114 (19 9 2), 726-737.
62 Come afferma Canobbio concludendo la sua breve indagine sui testi conciliari: «Il
Vaticano II, nonostante le aperture mostrate dai documenti, non valuta mai positivamente
le religioni nella loro globalità, bensì gli elementi che in esse sono presenti (...], che, pur
considerati con rispetto, non vengono mai ritenuti tali da essere assunti nella loro forma sto­
rica, bensì mediante un processo che implica anche purificazione e compimento [...). Alla
luce di queste osservazioni si deve affermare che il Vaticano n, contrariamente a quanto
alcuni interpreti hanno voluto vedere, non sostiene che le religioni in quanto tali costitui­

65
Annunciare Cristo alle genti

non è comunque poco - a tracciare il solco per la riflessione teologica


successiva.63

2.5. La r ile t t u r a c o n c ilia re


D E L TEMA C H IE S A - S A L V E Z Z A
Il Vaticano II inquadra il rapporto tra Chiesa e salvezza in un'ottica
che permette di superare alcune aporie precedenti: i testi conciliari non
si accontentano di esporre o aggiornare la visione di Pio XII, ma - spe­
cialmente adottando le categorie di «popolo di Dio» e «sacramento/di
salvezza» - reimpostano la questione su basi diverse e più ampie rispet­
to alla My siici corporis.

La C hiesa p o p o lo di D io

La nozione di «popolo di Dio »64 per il concilio è la categoria ecclesio­


logica fondamentale e non è semplicemente una tra le tante immagini di
Chiesa .65 Come ha bene evidenziato J. Ratzinger, la sua assunzione da
parte del Vaticano II ha svolto tre importanti funzioni.

scano vie di salvezza; eventualmente si può dire che “alcuni elementi" costituiscono m edia­
zione della grazia» (C anobbio , «L’em ergere dell'interesse per le religioni nella teologia cat­
tolica del Novecento», 53).
63 Dhavamony, commentando la dottrina conciliare sul dialogo interreligioso e in parti­
colare le affermazioni di NA, nota che i padri conciliari hanno di proposito lasciato in secon­
do piano gli aspetti negativi delle religioni non cristiane, preferendo mettere in evidenza
quasi solo quelli positivi: a suo parere ciò è dovuto a tre motivi: il concilio era preoccupato
di non ricadere nell'errore così diffuso di quei missionari che avevano sottolineato solo i
difetti delle altre religioni; inoltre il Vaticano II aveva operato, per tutti i temi che trattava,
la scelta di valorizzare ciò che unisce e non anatematizzare nessuna opinione; infine i padri
conciliari hanno voluto mettere in primo piano la volontà salvifica universale di Dio (M.
D havamony , «Evangelizzazione e dialogo nel Vaticano II e nel Sinodo del 1974», in L atou -
relle [ed.), Vaticano II, II, 12 17 - 12 3 3 , in part. 1223).
64 La nozione di «popolo di Dio» ha una rilevanza anche nel dialogo ecumenico e inter­
religioso. Per un approfondimento dell'uso conciliare e post-conciliare della nozione è utile
consultare almeno: Y. C on g a r , «La Chiesa come popolo di Dio», in Concilium 1(1965), 19 -
43; G. C o lom bo , «Popolo di Dio e sacerdozio nell’insegnamento del magistero post-conci-
liare», in A ssociazion e te ologica italiana , Popolo di Dio e sacerdozio, Il M essaggero,
Padova 1983, 13 0 -17 5 ; Id., «Il "popolo di D io” e il "mistero della Chiesa" nell'ecclesiologia
post-conciliare», in Teologia 10(1985), 97-169; C o m m issio n e te ologica internazionale .
Temi scelti di ecclesiologia, del 7 ottobre 1985: £ V 9/1668-1765; S. D ian ich , «Popolo di D io
(I). Un nome impegnativo per la Chiesa»; Id., «Popolo di Dio (II). Problematica pastorale di
un’idea», in La Rivista del Clero italiano 71(1990), 16 5 -17 5 e 245-254.
65 Scrive uno dei principali redattori della LG: «L'espressione "popolo di Dio" non si può
applicare alla Chiesa come una similitudine, perché designa la sua stessa essenza. Non si
può dire: "La Chiesa è simile a un popolo di Dio" come si direbbe: “Il Regno è simile a un
grano di senapa” . Bisogna invece affermare: la Chiesa è il popolo di Dio della nuova ed
eterna alleanza. Qui, non più figura, ma la piena e totale realtà» (G. P h ilips , La Chiesa e il
suo mistero. Storia, testo e commento della “Lumen gentium", Ja c a Book, Milano 1975,

66
La «teologia cristiana delle religioni»

La prima funzione è di tipo ecumenico: antecedentemente al concilio,


in area germanica ci si cominciò a domandare «se l'immagine del corpo
mistico non fosse troppo ristretta come punto di partenza per definire le
molteplici forme di appartenenza alla Chiesa, che nell'intrico della storia
umana oramai ci sono»; con l’immagine del corpo e delle membra, infat­
ti, è chiaro che il problema dell'appartenenza deve essere risolto in ter­
m ini netti:
M em bri o lo si è o non lo si è, non ci sono mezzi termini. M a - ci si chie­
se - non è forse un po' troppo stretto il punto di partenza deU'immagine, giac­
ché ci sono nella realtà manifestamente dei gradi intermedi? Così ci si im ­
battè nel concetto di «popolo di Dio» che, sotto questo punto di vista, è assai
p iù ampio e p iù mobile.6®

La seconda funzione riguarda l'idea della riforma della Chiesa: l'ec­


clesiologia del «corpo mistico» attribuiva
a ogni dire e operare ministeriale della Chiesa una definitività che faceva
apparire ogni critica come un attacco a Cristo stesso e dimenticava seriamen­
te l'elemento umano, fin troppo-umano, nella Chiesa. Doveva, così si disse, di
nuovo venir chiaramente evidenziata la differenza cristologica: la Chiesa non
è identica con Cristo, ma gli sta di fronte. Essa è Chiesa di peccatori, che abbi­
sogna sempre nuovamente di purificazione e di rinnovamento, sempre nuo­
vamente deve diventare Chiesa. Così l'idea di riforma divenne un elemento
decisivo del concetto di popolo di Dio, che dall'idea di corpo di Cristo non si
lasciava invece sviluppare così facilmente.67

La terza funzione è collegata all'aspetto escatologico della Chiesa,


intesa come comunità pellegrinante: con l'introduzione del concetto di
«popolo di Dio», in concilio
il momento «escatologico» del concetto di Chiesa diventò chiaro. Soprattutto
si potè, in questa maniera, esprimere l'unità della storia della salvezza, che
comprende insieme Israele e la Chiesa, nella via del suo pellegrinaggio. Si
potè così esprimere la storicità della Chiesa, che è in cammino e che sarà com­
pletamente se stessa solo allorché le strade del tempo saranno state percorse
e sfoceranno nelle mani di Dio.68

Tutte e tre le funzioni svolte dalla categoria di «popolo di Dio» sono


connesse al tema Chiesa-salvezza: la prima rende più ampia ed «elasti­

99). «Popolo di Dio», insomma, secondo questa autorevole interpretazione, non è una tra le
immagini della Chiesa: è la Chiesa stessa in quanto cammina nella storia. La nozione di
«popolo di Dio» permette di legare inscindibilmente la Chiesa alla storia; il suo recupero
recente ha favorito il superamento di alcuni unilateralismi di cui aveva sofferto l’ecclesio­
logia pre-conciliare. Più sfumatamente si esprime la Com m issione t e o lo g ic a in te r n a z io n a ­
le : «L’espressione "popolo di Dio" ha finito per designare l'ecclesiologia conciliare. Di fatto,
possiamo asserire che si è preferito "popolo di Dio" alle altre espressioni cui il concilio ricor­
re per esprimere il medesimo mistero, quali "corpo di Cristo” o "tempio dello Spirito
Santo"» (Temi scelti di ecclesiologia, 2 .1: EV 9/1683).
66 R a tz in g e r, «L'ecclesiologia del Vaticano II», 20-21.
67 R a tz in g e r, «L'ecclesiologia del Vaticano II», 2 1.
68 R a tz in g e r, «L'ecclesiologia del Vaticano II», 22.

67
Annunciare Critto alle genti

ca» la nozione di Chiesa, la seconda e la terza evidenziano come la Chie­


sa stessa sia sempre in cammino verso la salvezza, sia nella sua forma
storica che in quella escatologica.

La C hiesa «sa cram e n to /d i salvezza»

L'altra importante nozione è quella della Chiesa come «sacramento»


(cf. le descrizioni di LG 1 e 9) o «sacramento di salvezza» (cf. LG 48; AG
1,5; GS 45).69
È LG 9 a fornire la migliore spiegazione della sacramentalità eccle­
siale in rapporto alla salvezza:
Dio ha convocato l'assemblea di coloro che guardano nella fede a Gesù,
autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chie­
sa, perché sia per tutti e per i singoli il sacramento visibile di questa unità sal­
vifica (EV 1/310).

Il testo inquadra tre momenti della storia della salvezza: la convoca­


zione da parte di Dio, Gesù autore della salvezza e la Chiesa sacramen­
to visibile della salvezza. La salvezza viene qui relazionata da una parte
alla categoria di «unità» e dall’altra a quella di «universalità».
Il richiamo all'unità rimanda a LG 1, dove la sacramentalità della
Chiesa viene spiegata nei termini di «segno e strumento dell'intima unio­
ne con Dio e delFunità di tutto il genere umano»; la Chiesa è dunque
nello stesso tempo il luogo in cui l’unità comincia a concretizzarsi (segno)
e il mezzo con cui l'unità si diffonde (strumento). Il richiamo all'univer­
salità rimanda, oltre allo stesso testo di LG 1 («tutto il genere umano»), ai
passi in cui la Chiesa è chiamata «sacramento universale di salvezza»
(LG 48, AG 1 e GS 45). Si può concludere che, quando il concilio parla
della Chiesa come «sacramento» in relazione alla salvezza, afferma la
necessaria mediazione ecclesiale del piano salvifico di Dio in Cristo:
piano che, consistendo nell'unità degli uomini con Dio e tra di loro, trova
nella Chiesa uno snodo irrinunciabile, perché essa concretizza (in quan­
to segno) e favorisce (in quanto strumento) la traduzione storica di que­
sta salvezza nel mondo.

69 Possono favorire u n a com prensione d e lla n o zione d i «sacram ento d i salvezza» a p p li­
cata alla C h ie sa i seg u e nti studi: J. A lf a r o , «Cristo, Sacram ento de Dios Padre. L a Iglesia,
Sacram ento de Cristo glorificado», in G regorianum 48(1967), 5-27; O . S e m m e lro th, «La
C h ie sa com e sacram ento d i salvezza», in Feiner - L O hrer (edd.), Mysterium salutis, VII,
377-437; Y. C o n g a r , Un popolo messianico. La Chiesa, sacramento di salvezza. La salvez­
za e la liberazione, (BTC 27), Q u e rin ia n a , Brescia 1976; J. R a tzin g e r, «D ie Kirche als Heil-
sakram e nt», in Id., Theologische Prinzipienlehre, 45-57; W. Kasper, «D ie Kirche als univer-
sales S a kra m e n t des H eils», in Id., Theologie und Kirche, M a tth ias G riin e w a ld , M a in z 1987,
237-254; G . C anobbio , «La C h ie sa sacram ento d i salvezza», in La Rivista del Clero italiano
71(1990), 428-446. Q u e st'u ltim o studio è utilissim o tra l'altro per u n uso p iù accorto e criti­
co d e lla no zione in ca m p o ecclesiologico. Cf. in fin e S u lliv a n , Salvation outside thè Chur-
ch?, 156-161.

68
La «teologia cristiana delle religióni»

La nozione di salvezza, nell'uso conciliare, non è quindi riservata all'al­


dilà: essa è unità degli uomini con Dio e tra di loro, cioè «comunione» che
ha una sua precisa traduzione attuale nell'intreccio di relazioni che forma
la Chiesa. Il concilio libera la nozione di salvezza dalla doppia strettoia
nella quale era stata costretta in precedenza - l'individualismo e lo spiri­
tualismo, cioè la «salus animae » - e la declina in termini comunionali e
relazionali; la Chiesa rappresenta già ora il «nucleo» storico della salvez­
za, in quanto realizza e opera la comunione degli uomini in Cristo.

Chiesa, salvezza e re lig io n i

È all'interno dell'ecclesiologia del «popolo di Dio» e del «sacramen­


to/di salvezza» che il Vaticano II rilegge il tema della salvezza in relazio­
ne alle altre religioni. Le affermazioni fondamentali sono contenute in LG
14 e 16. Alla fine di LG 13 si legge che a questo unico popolo di Dio «in
vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri
credenti in Cristo, sia, infine, tutti gli uomini, che dalla grazia di Dio sono
chiamati alla salvezza». A questi tre grandi soggetti sono dedicati rispet­
tivamente i tre successivi paragrafi.
LG 14 si avvicina molto alla formulazione dell'assioma «Extra Eccle­
siam nulla salus», ma preferisce riprenderne il contenuto in forma positi­
va: il concilio «insegna, appoggiandosi sulla sacra Scrittura e sulla Tradi­
zione, che questa Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza». Ne
spiega poi il motivo in questo modo: solo Cristo è la via della salvezza;
ma egli è «presente per noi nel suo corpo che è la Chiesa»; dunque anche
la Chiesa è «necessariamente» unita a Cristo nell'essere via della sal­
vezza. Di qui la conclusione, conforme al magistero precedente:
Perciò non potrebbero salvarsi quegli uomini i quali, non ignorando che la
Chiesa cattolica è stata da Dio per mezzo di Gesù Cristo fondata come necessa­
ria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare (£V 1/322).

In questo contesto l'affermazione della necessità della Chiesa per la


salvezza non significa più che l'appartenenza alla Chiesa visibile sia
necessaria per conseguire la vita eterna - pur con le eccezioni di un «voto
implicito», che il n. 14 ricorda, per limitarlo però al solo caso dei catecu­
meni -, bensì che la Chiesa è necessariamente connessa, come mezzo,
nel processo salvifico di ogni persona che di fatto si salvi: dove c'è Cristo,
là c'è anche la Chiesa, perché Cristo non esiste ormai senza il suo corpo;
e siccome ogni uomo che si salva, si salva - che lo sappia o meno - in
virtù di Cristo, egli si salva anche necessariamente in connessione con il
suo corpo che è la Chiesa. Questa interpretazione, sulla scia di de Lubac,
sposta definitivamente l'asse della domanda sulT«exfra Ecclesiam » dal
chi si salva al come ci si salva .70 Il Vaticano II ha scelto non di dilatare la

70 Una chiara documentazione di questo passaggio in B. K òrner , «Extra Ecclesiam nulla


salus. Sinn un Problematik diese Satzes in einer sich wandelnden fundamentaltheologi-

69
Annunciare Cripto alle genti

realtà della Chiesa fino a farla coincidere con la schiera dei salvati, come
faceva Journet, ma di affermare il coinvolgimento della Chiesa come
strumento («sacramento di salvezza») che interviene misteriosamente ma
realmente - in quanto dove agisce Cristo agisce anche la Chiesa - nel
processo della salvezza di chiunque si salvi.71
Dopo il paragrafo 15, di grande respiro ecumenico, LG 16 affronta il
tema del rapporto con le religioni non cristiane e con gli atei: e se i cri­
stiani non cattolici sono «congiunti per più ragioni» alla Chiesa, apparte­
nendovi realmente anche se non pienamente, «quelli che non hanno
ancora ricevuto il vangelo in vari modi sono ordinati al popolo di Dio».
Formulato il principio dell'universale «ordinazione» alla Chiesa - princi­
pio che si fonda sulla chiamata divina alla salvezza rivolta a tutti gli
uomini non solo come singoli ma anche come popolo -, il testo applica
questo principio a ebrei, musulmani, credenti in altre religioni, atei. È a
proposito dei penultimi che il concilio riprende il tema della salvezza
nella linea del magistero di Pio IX e Pio XII:
Quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tut­
tavia cercano sinceramente Dio: e sotto l'influsso della grazia si sforzano di
compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della
coscienza, possono conseguire la salvezza eterna (£V 1/326).

Le condizioni sono dunque tre: ignorare il vangelo e la Chiesa «senza


colpa» (è il motivo dell'ignoranza invincibile); cercare Dio sinceramente;
seguire nell'azione il dettame della propria coscienza. Anche dei non cre­
denti, infine, si afferma la possibilità della salvezza:
Né la divina provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che
senza colpa da parte loro non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita
di Dio e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poi­
ché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro, è ritenuto dalla Chiesa
come una preparazione al vangelo, e come dato da colui che illumina ogni
uomo affinché abbia finalmente la vita (£V 1/326).

Le condizioni in questo caso sono due: che siano atei «senza colpa da
parte loro» e che si sforzino di «condurre una vita retta», cioè seguendo
la loro coscienza (che, ancora una volta, è l'elemento decisivo); manca
ovviamente il terzo elemento, cioè la ricerca sincera di Dio.
Da questa pur rapida rassegna di testi si deduce un progresso nella
comprensione della necessità della Chiesa per la salvezza: V«Extra Eccle­
siam nulla salus » - sostanzialmente anche se non letteralmente ripropo­
sto dal Vaticano II - perde il senso «esclusivo» che, pur temperato dalle
eccezioni, aveva nelle precedenti interpretazioni magisteriah e acquista
un senso «inclusivo»: chi si salva, cioè, si salva necessariamente, che lo
sappia o meno, in connessione alla Chiesa: «salus per Ecclesiam »; o, se

schen Ekklesiologie», in Zeitschrilt tur Katholische Theologie 114(19 92), 274-292. C f. anche
C o n g a r , Vaste monde, ma paroisse, 10 9 -115 .
71 Cf. le utili riflessioni, a partire dalla dottrina conciliare, di R. P o la n c o , «La Iglesia y
la universalidad de la salvación en el cristianismo», in Teologia y Vida 44(2003), 423-443, in
part. 439-443.

70
La «teologia cristiana delle religioni»

si vuole mantenere la formulazione negativa, «sine relatione cum Eccle­


sia nulla salus ». La salvezza, esplicitamente o implicitamente, passa sem­
pre attraverso la mediazione della Chiesa, perché non esiste altra sal­
vezza offerta agli uomini che la salvezza del « Christus totus», capo e
corpo. Con questa impostazione il Vaticano II non ha cambiato la dottri­
na precedente, ma l'ha esplicitata, alla luce della consapevolezza che esi­
stono enormi masse umane che, incolpevolmente, non hanno conosciuto
il vangelo. Come afferma un noto ecclesiologo: «La differenza profonda
tra la visione medievale e la dottrina del Vaticano II circa la salvezza dei
non cattolici è che invece di una presunzione di colpa, l'atteggiamento
espresso dal concilio comprende una presunzione di innocenza» di colo­
ro che sono fuori della Chiesa .72

2 .6 . S a l v e z z a
E M I S S I O N E AD GENTES
n e l V a tic a n o II e n e l
M A G IS T E R O PO ST -C O N C IL IA R E
Basta rileggere attentamente LG 2-4 e soprattutto AG 2-4 per render­
si conto di come il Vaticano II abbia considerato la missione una qualità
essenziale della Chiesa tutta intera. Un'ottima sintesi si legge in AG 2:
«La Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in guanto essa
trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo,
secondo il disegno di Dio Padre» (EV 1/1090): è un guadagno tra i più
grandi dell’ecclesiologia conciliare.
La positiva presentazione che il concilio offrì delle altre comunità cri­
stiane e delle religioni non cristiane aprì però la strada a forti obiezioni
sull'attività missionaria della Chiesa. Mentre da una parte, sul versante
della fondazione teologica delle missioni, il decreto AG ne metteva in
luce la base trinitaria e la finalizzazione ecclesiale,73 dall'altra parte, sul
versante del rapporto tra salvezza e Chiesa, il Vaticano II non si limitò con
Pio IX e Pio XII ad ammettere «eccezioni» alla regola generale della sal­
vezza solo dentro la Chiesa, ma segnalò numerosi germi o elementi di
verità e di salvezza anche altrove. Come si è notato, non si trattava più
solo di singole persone che, a motivo della loro ignoranza invincibile - e
quindi nonostante la loro permanenza fuori della Chiesa -, potevano
essere salvate, ma di tradizioni religiose che, proporzionalmente ai
«germi di verità» in esse contenute, venivano valutate come cammini

72 C f. S ullivan , Salvation outside thè Church?, 1 5 1 .


73 Cf. C olzani , La missionarietà della Chiesa, 16 1- 17 5 . Il commento più ampio e pun­
tuale al decreto AG, in lingua italiana, resta il volume a cura di J . S c h Ott e , Il destino delle
missioni, Morcelliana, Brescia 1969. Per la prospettiva che qui ci interessa sono da segna­
lare, in questo volume, soprattutto i saggi dello stesso S c h Ot t e , «I problemi posti dalla mis­
sione al concilio», pp. 9-23, di S. Paventi, «Iter dello schema “De activitate missionali Eccle-
siae “ », pp. 56-90, e di Y. C on g a r , «Principi dottrinali (nn. 2-9)», pp. 15 1- 19 2 .

71
Annunciare Cripto alle genti

positivi, sebbene incompleti, verso la Chiesa e verso la salvezza. Perché


allora insistere sull'annuncio del vangelo e la « plantatio Ecclesiae», quan­
do dovunque si possono trovare comunità e tradizioni autenticamente
religiose? Perché la missione, se ci si può salvare in gualsiasi religione?

La rag io n d ’essere d e lla m issione « a d g e n t e d »

Nei testi conciliari dunque rimane di fatto aperta, con una forza anco­
ra maggiore rispetto a prima, la questione della necessità della missione
alle genti. Se ogni religione contiene germi di verità e di salvezza, l'atti­
vità missionaria della Chiesa a prima vista sembra perdere la sua moti­
vazione di fondo. Tanto più che chi maggiormente è consapevole m ag­
giormente rischia - se rifiuta il vangelo - di essere colpevole. Una lettu­
ra maliziosa di LG 14 potrebbe dare l'impressione che l'assioma si sia a
un certo punto quasi capovolto, tanto da diventare «in Ecclesia catholica
ardua salus». Il testo tratta in effetti un po’ troppo duramente i «figli della
Chiesa», quando non si accontenta di dire che non si salva chi, pure
appartenente all'istituzione visibile, non ha la carità, ma aggiunge:
Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro esimia condizione non
va ascritta ai loro meriti, ma a una speciale grazia di Cristo; se non vi corri­
spondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveran­
no, ma anzi saranno più severamente giudicati (£V 1/323).

Di nuovo e con maggiore forza sorge la domanda: perché allora la


missione ad gentes ? Prevedendo forse l'obiezione, LG 17 corre ai ripari,
parlando della necessità dell'attività missionaria della Chiesa e soste­
nendola con alcune motivazioni. Il paragrafo afferma innanzitutto che la
Chiesa è missionaria perché ha ricevuto da Cristo e dagli apostoli il
comando di annunciare la verità della salvezza. Questo motivo «ex auc-
toritate Christi» sarebbe però da solo insufficiente a muovere lo slancio
missionario della Chiesa, se la «salvezza», che in definitiva è lo scopo
della missione, si può raggiungere anche senza appartenere visibilmen­
te alla Chiesa, e quindi senza la conversione al vangelo e la «plantatio
Ecclesiae ». Il paragrafo accenna anche a un secondo motivo:
Predicando il vangelo, la Chiesa attira gli uditori alla fede e alla profes­
sione della fede, li dispone al battesimo, li toghe dalla schiavitù dell'errore e
li incorpora a Cristo, affinché crescano in lui per la carità fino alla pienezza
(E V 1/327).

Derivano dunque diversi «vantaggi» dall'adesione alla Chiesa: e tut­


tavia non sembrano ancora sufficienti a muovere la missione. Perché
togliere dall'errore, incorporare in Cristo, ecc., se tutto ciò non è in fondo
rilevante per la «salvezza»?
Che non si tratti di interrogativi oziosi è dimostrato dalla riduzione
della salvezza a mera «liberazione» o «promozione umana», prospettata
teoricamente e praticamente specie nel primo quindicennio post-conci­
liare: la missione - così alcuni hanno sostenuto - non deve essere finaliz­

72
La «teologia cristiana delle religioni»

zata all'evangelizzazione o alla «plantatio Ecclesiae», bensì unicamente


alla liberazione dalle ingiustizie um ane .74 Evangelizzazione o promozio­
ne umana? Evangelizzazione o liberazione? L'incongruenza di queste
alternative fu autorevolmente denunciata da Paolo VI nella Evangelii
nuntiandi,75 dieci anni dopo la conclusione del Vaticano II: ma esse sono
comunque sintomo di una crisi che riguarda la ragion d'essere e la natu­
ra della missione alle genti: non risultando più evidente la sua funzione
salvifica escatologica, essa viene motivata tuttalpiù da una funzione libe­
ratrice terrena. Dopo il concilio la teologia deve spiegare, in altri termini,
se la missione intesa come annuncio del vangelo a chi non lo conosce
abbia ancora un senso - dato che l’adesione alla Chiesa non sembra rile­
vante per la salvezza eterna - oppure se non sia meglio convogliare le
energie missionarie verso la costruzione della città dell'uomo, ossia verso
una salvezza intesa come pura e semplice promozione umana.
I teologi che ritengono ancora valida la missione intesa come annun­
cio del vangelo alla domanda sulla sua ragion d'essere danno risposte
che si appellano per lo più al piano «conoscitivo». C. Vagaggini, ad
esempio, che pure ha ragione quando afferma che la missione della
Chiesa si fonda sull'unicità del piano salvifico di Dio, motiva poi
l'inderogabile necessità della missione (...) non solo per obbedire alla volontà
di Cristo, ma proprio per realizzare il piano di salvezza di Dio anche verso i
non cristiani. Infatti, già prima che un dovere per la Chiesa, la missione è un
diritto degli stessi non cristiani. Essi hanno diritto di conoscere «tutto il consi­
glio (o piano) di Dio» [...] nel quale essi stessi sono salvati.76

La missione sembra quindi motivata ultimamente dall'opportunità che


divenga cosciente in colui che si salva il motivo per il quale - comunque
ugualmente - si salva. G.B. M ondin rimane entro una prospettiva simile
quando, parlando dell’«evangelizzazione dell'ateo», scrive:

74 U n o ttim o e d e tta g lia to status quaestionis d e lla te o lo g ia d e lla m iss io n e d a g li a n n i


Q u a r a n ta a g li a n n i Settanta, è s ta to tra c c ia to d a S. D ia n ic h , «La m iss io n e d e lla C h ie s a n e lla
te o lo g ia r e c e n te » , in A s s o c ia z io n e t e o l o g i c a it a l ia n a , Coscienza e missione di Chiesa. Atti
dei VII Congresso nazionale, C itta d e lla , A ssisi 1977, 137-206; d e llo s te sso a u to r e è a n c h e
u n a c o n fe re n z a - u tile p e r il p e rio d o in q u e s tio n e - p u b b lic a ta c o n il titolo « V an g elo e d ia ­
lo g o » , in Missione come dialogo tra le Chiese e tra le culture, P U M , R om a 1987, 49-88. P er
il p e rio d o c h e va d a g li a n n i C in q u a n ta a g li a n n i Settanta - s e m p re a p ro p o sito d i m issio n e
e d ia lo g o - si v e d a l ’e s a u r ie n te r a s s e g n a d i G elot , «V ers u n e th é o lo g ie c h r é tie n n e d e s reli-
g io n s n o n c h r é tie n n e s » , co n a m p ia b ib lio g ra fia n e lle u ltim e p a g in e ; p iù sin te tic o , m a u tile
p e r c o n o s c e re le p rin c ip a li te o rie n e llo s te sso p e rio d o , a n c h e il p rim o c a p ito lo d e l lib ro d i G.
D e R o sa , Cristianesimo, religioni e sette non cristiane a confronto, C ittà N u o v a , R om a 1989,
13-29. L im ita ta m e n te a l p e rio d o p o st-c o n c ilia re , si p u ò c o n s u lta re lo s tu d io d i G . C o ffele ,
« M issio n e e te o lo g ia fo n d a m e n ta le » , in E. D al C o v olo - A. T riacca (ed d .), La missione del
Redentore. Studi sull'enciclica missionaria di Giovanni Paolo li, LDC, T o rin o 1992, 99 -119 .
75 Cf. P a olo VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi sull'evangelizzazione nel
mondo contemporaneo, dell'8 dicembre 1975: £V 5 /158 8 -1716 ; in particolare si vedano i nn.
30-33, nei quali è appunto tracciata la complessa relazione fra annuncio del vangelo e libe­
razione dell'uomo.
76 C. V a g a g g in i , «L’intuizione e il concetto nell'atto di fede e il problema della rivela­
zione salvifica nelle religioni non cristiane e nei loro libri sacri», in Libri sacri e rivelazione,
La Scuola, Brescia 1975, 120 .129 .

73
Annunciare Cristo alle genti

Per questo è necessaria l'evangelizzazione anche dell’ateo in buona fede:


per fargli conoscere chi è la vera fonte, l'autore effettivo della sua salvezza.77

La necessità di «far conoscere» il motivo di una salvezza che si può


raggiungere ugualmente «extra Ecclesiam» e che, del resto, non è più
facile raggiungere «in Ecclesia » - se prestiamo fede a LG 14 - è suffi­
ciente a muovere l'attività missionaria «ad gen/es»?
Per il momento lasciamo aperta la domanda: il concilio infatti, non
avendo elaborato una nozione approfondita di «salvezza», non ne ha
neppure inquadrato compiutamente il rapporto con la missione ecclesia­
le. Dal Vaticano II è bene raccogliere quanto dice e non quanto non ha
potuto dire: ed è già moltissimo, se si considerano gli elementi emersi.

Il m agistero post-conciliare
tra la lin ea D a n i é lo u e la linea R a h n e r

Data per scontata ormai la possibilità di salvezza per i non cristiani,


come interpretare il fenomeno delle diverse religioni in relazione alla sal­
vezza? Nasce ben presto dopo il Vaticano II la questione se si possano
chiamare «vie di salvezza ».78 La linea cristocentrica del concilio viene
elaborata in direzione interreligiosa da parecchi teologi, che oscillano tra
la «linea Daniélou» e la «linea Rahner ».79 L'intero magistero post-conci­
liare, poi, si muove entro l'orizzonte cristocentrico della «teologia delle
religioni»: e anche in esso è possibile riscontrare alcune affermazioni
vicine alla prima e altre vicine alla seconda linea.
Vanno nella linea Daniélou, ad esempio, le scarne riflessioni che
Evangelii nuntiandi 53 dedica alle «religioni non cristiane»,
che la Chiesa rispetta e stima perché sono l’espressione viva dell'anima di
vasti gruppi umani. Esse portano in sé l’eco di millenni di ricerca di Dio, ricer­
ca incompleta, ma realizzata spesso con sincerità e rettitudine di cuore. Pos­
seggono un patrimonio impressionante di testi profondamente religiosi.
Hanno insegnato a generazioni di persone a pregare. Sono tutte cosparse di
innumerevoli «germi del Verbo» e possono costituire un'autentica «prepara­
zione evangelica» [...]. Vogliamo rilevare, soprattutto oggi, che né il rispetto
e la stima verso queste religioni, né la complessità dei problemi sollevati sono
per la Chiesa un invito a tacere l'annuncio di Cristo di fronte ai non cristiani.

77 G.B. M o n d in , La Chiesa primizia del Regno. Trattato di ecclesiologia, EDB, Bologna


1986, 4 71.
78 II Vaticano II non utilizza questa espressione: del resto, come è emerso, per il conci­
lio la salvezza di ogni uomo è strettamente legata a G esù Cristo. In ogni caso, i padri con­
ciliari non intesero risolvere la questione del significato salvifico delle altre religioni (cf. H.
W aldenfels , «Theologie der Nichtchristlichen Religionen. Konsequenzen aus “Nostra
A etate"», in E. K linger - K. W ittstadt [hrsg.], G laube im Prozess. Christsein nach dem II.
Vatikanum, FS K. Rahner, Herder, Freiburg-Basel-W ien 1984, 759-760).
79 Un'esposizione ragionata delle varie posizioni teologiche post-conciliari, entro queste
due «linee», si incontra nel già citato articolo di S artori, «Teologia delle religioni non cri­
stiane», 405-409.

74
La «teologia cristiana delle religioni»

Al contrario, essa pensa che queste moltitudini hanno il diritto di conoscere la


ricchezza del mistero di Cristo, nella quale noi crediamo che tutta l'um anità
può trovare, in una pienezza insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni
su Dio, sull'uomo e sul suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità. Anche
di fronte alle espressioni religiose naturali p iù degne di stima, la Chiesa si
basa dunque sul fatto che la religione di Gesù, che essa annunzia mediante
l'evangelizzazione, mette oggettivamente l'uomo in rapporto con il piano di
Dio, con la sua presenza vivente, con la sua azione; essa fa così incontrare il
mistero della paternità divina che si china sulla umanità; in altri termini, la
nostra religione instaura effettivamente con Dio un rapporto autentico e
vivente, che le altre religioni non riescono a stabilire, sebbene esse tengano,
per così dire, le loro braccia tese verso il cielo. Per questo la Chiesa mantiene
vivo il suo slancio missionario...80

La distinzione netta tra il cristianesimo come religione rivelata e le


altre tradizioni come espressioni della natura umana, nella linea Danié-
lou, si riaffaccia nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II Tertio mil­
lennio adveniente ,81 là dove il papa individua
il punto essenziale per cui il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni,
nelle quali s'è espressa sin dall'inizio la ricerca di Dio da parte dell’uomo. Nel
cristianesimo l'avvio è dato dall'incarnazione del Verbo. Qui non è soltanto
l’uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in persona a parlare di sé all'uomo
e a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo [...]. Il Verbo incar­
nato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'u­
manità: questo compimento è opera di Dio e va al di là di ogni attesa umana.
È mistero di grazia. In Cristo la religione non è più un «cercare Dio come a
tentoni» (cf. At 17,27), ma risposta di fede a Dio che si rivela [...]. In tal modo,
Cristo è il compimento dell'anelito a tutte le religioni del mondo e, per ciò
stesso, ne è l’unico e definitivo approdo (n. 6).82

Nella stessa direzione, per citare un ultimo testo, procede la dichiara­


zione della Congregazione per la dottrina della fede Dominus Jesu s,83
dove afferma che deve essere
ferm am ente ritenuta la distinzione tra la fede teologale e la creden za nelle
altre religioni. Se la fede è l’accoglimento nella grazia della verità rivelata
[...], la credenza nelle altre religioni è quell'insieme di esperienza e di pen­
siero, che costituiscono i tesori umani di saggezza e di religiosità, che l'uomo
nella sua ricerca della verità ha ideato e messo in atto nel suo riferimento al
Divino e all'Assoluto. Non sempre tale distinzione viene tenuta presente nella

80 EV 5 / 16 5 1-16 5 2 . Cf. le particolareggiate osservazioni di S ullivan , Salvation outside


thè Church?, 185-189 . L'autore dimostra facilmente la dipendenza - anche letterale - della
dottrina di Paolo VI dalla teologia di Daniélou. Del resto, basta confrontare le espressioni di
Paolo VI con lo studio di J. D aniélou , «Christianisme et religions non-chrétienne», in Étu-
des 109(1964), 323-336 (in part. 327, dove si leggono frasi poi riprese quasi di peso dal testo
di papa Montini).
81 G iovanni P a olo II, lettera apostolica Tertio millennio adveniente per la preparazione
del Giubileo del Duemila, del 10 novembre 1994: £ V 14 /17 14 -18 2 0 .
82 EV 14 /17 2 3 -17 2 4 .
83 C o n g reg a zio n e per la dottrina della fede , dichiarazione Dominus Jesus circa l'uni­
cità e l'universalità salvifica di G esù Cristo e della Chiesa, del 6 agosto 2000, in La Civiltà
cattolica 151(2000)4, 54-76.

75
Annunciare Cripto alle genti

riflessione attuale, per cui spesso si identifica la fede teologale, che è acco­
glienza della verità rivelata da Dio uno e trino, e la credenza nelle altre reli­
gioni, che è esperienza religiosa ancora alla ricerca della verità assoluta e
priva ancora dell'assenso a Dio che si rivela. Questo è uno dei motivi per cui
si tende a ridurre, fino talvolta ad annullarle, le differenze tra il cristianesimo
e le altre religioni (n. 7: EV 19/1158s).
Non mancano però affermazioni magisteriali che procedono piuttosto
verso la linea Rahner. È soprattutto l'enciclica Redemptoris miss io84 di
Giovanni Paolo II - nella quale confluiscono e dalla quale si diramano
altri interventi dello stesso pontefice sull'argomento - a prospettare un
superamento della linea Daniélou: superamento possibile attraverso l'ap­
profondimento del ruolo dello Spirito Santo nelle religioni non cristiane.
Si può dire che Giovanni Paolo II interpreta anche «pneumatologica-
mente» ciò che il Vaticano II aveva sostenuto «cristologicamente» sugli
obiettivi elementi di rivelazione e salvezza presenti nelle religioni non
cristiane e non solo nei singoli.
G ià dall'inizio del suo pontificato egli aveva accennato al fatto che la
«ferma credenza» dei membri di altre religioni è «effetto anch'essa dello
Spirito di verità, operante oltre i confini visibili del corpo mistico »;85 nel­
l'enciclica dedicata allo Spirito Santo aveva poi insistito sull'azione uni­
versale dello Spirito nel mondo prima dell'economia evangelica e anche
oggi, al di fuori del corpo visibile della Chiesa .86
Ma è appunto nella Redemptoris missio che il papa sviluppa con m ag­
giore ampiezza sul versante interreligioso la prospettiva pneumatologica:
ci riferiamo specialmente ai nn. 28 e 29, posti alla fine del capitolo III
dedicato all'azione dello Spirito Santo. Cominciando col ricordare che la
presenza e l ’azione dello Spirito, pur manifestandosi particolarmente
nella Chiesa, «sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo», il
n. 28 prosegue con un intarsio di citazioni prese dal Vaticano II: dal
decreto AG (3.11.15) e soprattutto dalla costituzione GS (di cui vengono
menzionati, in sei note, quindici paragrafi). Quasi ad autorevole com­
mento dei testi conciliari, Giovanni Paolo II afferma lapidariamente:
La presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la
società e la storia, i popoli, le culture, le religioni.87

84 G iovanni P aolo II, lettera enciclica Redemptoris missio sulla permanente validità del
mandato missionario, del 7 dicembre 1990: £ V 12/547-732.
85 G iovanni P aolo II, lettera enciclica Redemptor hominis all'inizio del ministero ponti­
ficale, del 4 marzo 1979: EV 6 / 116 7 -12 7 2 ; le espressioni citate nel testo sono desunte dal n.
6 (£V 6 /1185).
86 Cf. G iovanni P aolo n, lettera enciclica Dominum et vivificantem sullo Spirito Santo
nella vita della Chiesa e del mondo, del 18 maggio 1986: EV 10/448-631; cf. n. 53: EV
10/582-583.
87 EV 12/605. La concentrazione di tanti riferimenti positivi verso le altre religioni in un
unico testo magisteriale, e soprattutto quest'ultima frase, hanno fatto scrivere a un attento
commentatore: «Nel n. 28 della Redemptoris missio, la volontà salvifica universale di Dio
viene espressa con una profondità, intensità e ampiezza, che non è dato trovare in altri
documenti ufficiali della Chiesa [...). Mai, in nessun documento ufficiale della Chiesa, si era

76
La «teologia cristiana delle religioni»

Ricordando per ben due volte, nello stesso n. 28, la teologia patristica
dei «semi del Verbo», l'enciclica, sulle orme del Vaticano II, non la riferi­
sce solo alle ispirazioni di singoli, ma - coerente con il tenore del para­
grafo - alle iniziative religiose e agli sforzi tesi al bene, ai riti e alle cul­
ture. Giovanni Paolo II non adotta in questo paragrafo la netta distinzio­
ne tra cristianesimo e religioni naturali; sembra anzi prenderne le distan­
ze, quando afferma che lo Spirito Santo «è aH'origine stessa della doman­
da esistenziale e religiosa dell'uomo, la quale nasce non soltanto da
situazioni contingenti, ma dalla struttura stessa del suo essere».88 Azione
dall'alto e risposta dal basso, pneumatologia e antropologia, non sono qui
ricondotte a tradizioni religiose differenti, m a considerate come due
momenti di un unico processo - quello della ricerca di comunione con
Dio - a cui tutte le religioni, a livelli diversi di intensità, danno voce.89
Proseguendo poi sullo stesso argomento il n. 29, dopo aver ribadito che
l'universalità dell'opera dello Spirito «ci induce ad allargare lo sguardo
per considerare la sua azione presente in ogni tempo e in ogni luogo»,
presenta l'originale riferimento all'incontro interreligioso mondiale che il
papa convocò il 27 ottobre 1986 ad Assisi. «Esclusa ogni equivoca inter­
pretazione», afferma Giovanni Paolo II riferendosi alle accuse di relativi­
smo che affiorarono in quell’occasione, quell'incontro ha voluto ribadire
la convinzione che l'autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo .90
La pneumatologia rappresenta quindi, per Giovanni Paolo II, il contesto
più promettente per elaborare, aU'intemo della centralità di Gesù Cristo,
una «teologia cristiana delle religioni».
Non sarebbe difficile recuperare sfumature nella linea Daniélou o
nella linea Rahner anche in altri documenti post-conciliari che trattano
della problematica interreligiosa. Lasciando però al prossimo capitolo il
riferimento più specifico ad alcuni di questi testi, ci limitiamo a ribadirne
l ’orizzonte decisamente «cristocentrico»: per il magistero non è mai in
discussione il fatto che Cristo è l’unico Rivelatore e Salvatore, nel quale

parlato in modo così teologicamente positivo delle religioni. Si faccia bene attenzione: delle
religioni!, perché "pagani santi’’ se ne sono sempre conosciuti» (K. MG ller , Teologia della
missione. Una introduzione, EMI, Bologna 19 9 1, 205.207). Cf. anche le osservazioni di
L adaria , «D u De vera religione a l ’action universelle de l’Esprit-Saint dans la théologie
catholique récente», 69-72.
88 EV 12/604.
89 Riportiamo altri due brevi passi della stessa enciclica, che confermano le osservazio­
ni avanzate. Al n. 45, dove parla del primo annuncio di Cristo, il papa scrive: «Nell’annun-
ziare Cristo ai non cristiani 0 missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli,
per l’azione dello Spirito, un'attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sul­
l'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte» (EV 12/637). E al n.
56, a proposito del dialogo interreligioso: «Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma
è un’attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto da profondo rispetto
per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole» (EV 12/658).
90 Cf. EV 12/606. Una lettura documentata dell'evento di Assisi, contestualizzato rispet­
to al Vaticano li e agli sviluppi successivi, è offerta da A . M elloni , «La rencontre d'Assise
et ses développements dans la dynamique du concile Vatican II», in D orè (ed.), Le chri-
stianisme vis-à-vis des religions, 99-130.

77
Annunciare C riito alle genti

e attraverso il quale sono compiuti tutti gli elementi di rivelazione e sal­


vezza presenti dovunque per opera dello Spirito. Il dialogo e l'annuncio,
come due momenti dell'unica missione, trovano quindi la loro motivazio­
ne ultima nella necessità di riconoscere e portare a compimento l'azione
rivelatrice e salvifica universale di Cristo e dello Spirito.

78
3.
La teologia cristiana
del pluralismo
religioso

Constatando che due millenni di missione cristiana hanno sinora por­


tato il vangelo e il battesimo a un solo terzo dell'umanità e che non hanno
scalfito religioni millenarie come quelle orientali, alcuni hanno concluso,
negli ultimi decenni, che l'esistenza di diverse religioni è un dato da
assumere come permanente. Nel progetto di Dio, quindi, rientrerebbe la
compresenza di tanti riti e culti, di molte «vie» che portano a lui: anziché
essere un limite, questa varietà sarebbe una ricchezza, in quanto apri­
rebbe percorsi complementari che solo presi insieme danno un'idea del
«mistero» divino. Si è aperto così l’orizzonte della «teologia cristiana del
pluralismo religioso», entro il quale il modello tipico è quello teocentrico,
la cui versione più moderata è di solito chiamata «regnocentrismo» e
quella più radicale «soteriocentrismo».
Poiché questo paradigma è ancora molto giovane e viene percorso da
teologie anche notevolmente diverse tra loro e che dichiaratamente inten­
dono solo «aprire delle piste», «sperimentare nuove prospettive», «offrire
tracce e suggerimenti», è difficile articolarlo in maniera precisa1 e convie­
ne piuttosto scegliere alcuni teologi rappresentativi:2 J. Hick e R. Panikkar
(3.1.), P. Knitter (3.2.) e J. Dupuis (3.3.). Concluderemo anche questo capi­
tolo, dopo avere illustrato alcune radici remote e prossime di questo oriz­
zonte (3.4.), con qualche osservazione sulle concezioni di salvezza e di
missione così come emergono aU’intemo dello stesso orizzonte (3.5.).

1 Per fare un esempio, Y. Huang distingue due differenti modelli di pluralismo, uno a
tendenza universalista, rappresentato da J. Hick, e un altro a tendenza particolarista, rap­
presentato da S.M. Heim; Huang, da parte sua, ritenendo i primi due tra loro contrastanti,
ne propone un terzo che a suo parere rispetta meglio le peculiarità di ciascuna religione, e
che egli stesso definisce «pluralismo comunicativo» (cf. Y. H u a n g , «Religious Pluralism and
Interfaith Dialogue: Beyond Universalism and Particularism», in International Journal for
Philosophy oi Religion 37(1995), 127-144).
2 Oltre ai quattro che indichiamo come «rappresentativi», e dei quali riassumiamo il
pensiero, molti altri si potrebbero considerare: per menzionare almeno il nome di alcuni:
W.C. Smith, G. Kaufman, L. Swidler, D. Tracy, S. Samartha.

79
Annunciare Crùito alle genti

3 .1 . M o d e l l o t e o c e n t r ic o
A TENDENZA A P O F A T IC A :
J o h n H ic k e R a im o n Pa n ik k a r

J o h n Hick

Ministro presbiteriano americano, J. Hick è uno dei padri riconosciu­


ti del teocentrismo o pluralismo,3 del quale ha fornito l'elaborazione sino­
ra «meglio definita e più m atura».4 Egli esplicita già nel titolo della sua
opera più nota la teoria che vuole sostenere: Dio ha diversi nomi.5 Q uan­
do l'opera uscì, nel 1980, Hick aveva già sperimentato quella che chiamò
una «rivoluzione copernicana»: come gli scienziati sostenitori della teo­
ria tolemaica avevano escogitato i comphcati «epicicli», per non essere
costretti ad ammettere che non la terra ma il sole è al centro dell'univer­
so, così i teologi cattolici, a suo parere, hanno escogitato tante complica­
zioni (le idee della fede implicita, del battesimo di desiderio, delle vie
ordinarie e straordinarie di salvezza, dei cristiani anonimi, ecc.) per non
essere costretti ad abbandonare Y«Extra Ecclesiam nulla salus» e ad
ammettere che non la Chiesa e neppure Cristo, ma Dio stesso è al centro
della teologia.6 Occorrerebbe dunque passare da un «cristocentrismo»
che ormai, a causa delle innumerevoli eccezioni, sembra non tenere più,
a un deciso «teocentrismo», che ammetta l'esistenza e l'azione di un
unico Spirito o Realtà divina dietro a tutte le religioni.7 È evidente il ten­
tativo di cambiare non solo modello ma anche orizzonte di riferimento;

3 Utili presentazioni sintetiche del pensiero interreligioso di Hick in: K. S urin , «Towards
a "M aterialist" Critique of "Religious Pluralism": A Polemical Examination of thè Discour-
se of John Hick and Wilfred Cantwell Smith», in The Thomist 53(1989), 655-673; R.T. S im p -
s o n , «The N ew Dialogue between Christianity and Other Religions», in Theology 22(1989),
92-102; E. A rens , «Die Vielfalt der Religionen als Herausforderung derTheologie», in Stim-
men der Zeit 118 (19 9 3 )2 11, 850-851; K.A. W alsh , «A Christian Theology of Religions and
thè Pluralist Paradigm», in Science et Esprit 49(1997)3, 294-313; H .-J. S ander , «Die Diffe-
renz der Religionen - Glauben im Pluralismus des Heiligen. Die Religionsdisput von Yama-
guchi und die pluralistische Religionstheorie von John Hick», in Neue Zeitschritt liir Mis-
sionswissenschaft 54(1998), 3-22, in pari. 13 -16 ; O.J. W iertz , «Eine Kritik an John Hicks
pluralistischer Religionstheologie aus der Perspektive der philosophischen Theologie», in
Theologie und Philosophie 75(2000), 388-416; B.E. K oziel , «Die Aufhebung der Soteriolo-
gie in Religionstheologie. Wie der religionstheologische Pluralismus die Theologie veràn-
dert», in Theologie und Philosophie 80(2005), 517 -54 5 (lo studio, sebbene non lo dichiari
nel titolo, è interamente dedicato a Hick). Una delle monografie più dettagliate, attenta
anche all'evoluzione interna del pensiero di Hick, è il volume di C. S in k in son , The Univer­
se of Faiths. A Criticai Study of John Hick's Religious pluralism, Paternoster Press, Cum-
bria-Waynesboro 2001.
4 Così, raccogliendo un consenso praticamente unanime tra i critici, si esprime K oziel ,
«Die Aufhebung der Soteriologie in Religionstheologie», 523.
5 Cf. J. H ic k , God has many Names. Britain's New Religious Pluralism, Macmillan, Lon­
don 1980.
6 Cf. H ick , God has many Names, 31-34 .
7 Cf. H ick, God has many Names, 1-6.

80
La teologia cristiana delpluralism o religioso

tentativo che Hick aveva avviato già da alcuni anni8 e che proseguirà
dopo il 1980 in molte altre pubblicazioni.9
Da ormai quattro decenni, dunque, i punti fondamentali della propo­
sta di Hick sono gli stessi. I cristiani possono bensì continuare ad aderire
a Cristo come Salvatore, senza però pretendere che sia l'unico Salvatore.
La teologia neotestamentaria, a suo avviso, non porta necessariamente a
concludere per il modello (o «mito») dell'incamazione: probabilmente
neppure lo stesso Gesù ha designato se stesso come Messia o Figlio di
Dio. È stata invece - secondo lui - la cristologia dei primi concili, influen­
zata dalle categorie di pensiero greco-romane, a rendere normativo que­
sto modello. La cristologia calcedonese non è a suo parere più sostenibi­
le, avendo scambiato un mito per una realtà;10 oggi i cristiani possono
tranquillamente lasciare da parte il «mito deU'incarnazione» - che anzi
secondo l'autore, qualora venga intesa come fatto reale, è «1"'eresia fon­
damentale" del cristianesimo»11 - e continuare a proclamare la centralità
di Gesù per loro: purché si astengano dall'affermarla anche per tutti gli
altri uomini. Per tutti vale semmai la verità sottesa al «mito del Dio incar­
nato», che altro non è se non «un modo di indicare in Gesù uno che
(metaforicamente) "ha incorporato" o "ha incarnato" il significato prati­
co della realtà di un Dio che ama per la vita um ana».12
L’interpretazione metaforica dell'incarnazione porta Hick a ritenere
ininfluente il «fatto» e a privilegiare la «possibilità»: se il cristianesimo
anziché in occidente si fosse espanso in oriente, la sua dottrina avrebbe
avuto inevitabilmente altre espressioni: se ad es. avesse raggiunto l'India
quando il buddhismo si stava diffondendo, Gesù sarebbe stato identifica­
to con un Bodhisattva anziché con il Logos.13 Pretendere di imporre la pro­
pria interpretazione del divino, come per secoli ha fatto il cristianesimo,
produce i tristi frutti dell'imperialismo, del colonialismo, del razzismo e
persino dell'antisemitismo.14 Il cristianesimo deve invece prendere atto di
non essere nel cuore della Realtà ultima, ma di essere solo «uno dei tanti
mondi di fede che ruotano attorno e riflettono questa Realtà».15 Perché
«Realtà ultima» e non «Dio»? Il motivo è ovvio: le grandi tradizioni reli­
giose non si riconoscono in un'unica concezione del «divino», anzi forse

8 Cf. J . H ick , God and thè Universe of Faiths, Fount, London 1977.
9 Per ricordarne alcune: J . H ick, Problems of Religious Pluralism, Macmillan, London
1985; J. H ic k - P. K n itt e r (edd.), L'unicità cristiana: un mito? Per una teologia pluralista
delle religioni, Cittadella, Assisi 1994, 291-312; J. H ick, An fnterpretation of Religion:
Human Responses to thè Transcendent, Yale University Press, N ew Haven-London 1989.
Altri studi dell'autore vengono menzionati nelle note seguenti.
10 È particolarmente esplicita la presa di distanza da Calcedonia in J . H ick , «A Respon-
se to Gerard Loughlin», in Modern Theology 7(1990), 58.
11 H ick, God has many Names, 74.
12 H ic k , «A Response to G eiard Loughlin», 62. Nello stesso articolo, breve ma signiti-
cativo, l'autore sintetizza la sua concezione di Cristo, definendolo «uno che ha rivelato a
molti di noi le possibilità dell'esistenza umana in risposta al Reale ultimo» (p. 66).
13 H ick, God and thè Universe of Faiths, 117.
,J Cf. a d es. H ick, A n fnterpretation of Religion, 326-337.
15 H ick, Problems of Religious Pluralism, 53.

81
Annunciare Crùito alle genti

neppure nell'idea stessa di un «divino»; Hick pensa in particolare alle reli­


gioni orientali che ruotano attorno a un Assoluto impersonale, come il
buddhismo e lo shintoismo. Occorreva quindi trovare ima categoria neu­
tra, che potesse essere intesa in maniera sia personale che impersonale, e
comprendesse in tal modo tutte le concezioni dell'Assoluto.16
Lo stesso Hick ha sintetizzato la sua posizione in queste poche frasi:
Postuleremo, dunque, un Reale ultimo, la cui natura trascende la rete dei
concetti umani: personale/impersonale, unità/molteplicità, sostanza/processo,
intenzionale/non intenzionale, buono/cattivo, ma è pensato ed esperito um a­
namente mediante il concetto di im a divinità personale o di un assoluto
impersonale, e in ogni caso reso concreto nelle forme particolari di YHW H,
santa Trinità, Vishnù, ecc. o di Brahman, Dharmakaya, Tao, ecc. (...]. Le dot­
trine cristiane, ebraiche, musulmane, induiste, buddhiste esprimono il modo
in cui questa Realtà è stata pensata ed esperita attraverso la «lente» um ana di
quelle tradizioni. Sono descrizioni non del Reale in se stesso, ma del Reale
qual è colto attraverso un particolare complesso di idee e pratiche religiose: in
termini cristiani a noi familiari, non di Dio a se ma di Dio p rò nobis. Così inte­
se, le dottrine delle diverse religioni non sono in conflitto tra loro. Il fatto che
queste persone esperiscano il Reale in questo modo non è incompatibile col
fatto che quelle persone lo esperiscano in quel modo.17

Hick non ha mai nascosto la derivazione kantiana della sua gnoseolo­


gia e l'ha, anzi, più volte esplicitamente dichiarata, sebbene con alcuni
distinguo:18 il Reale divino ultimo che è comune a tutte le religioni è il
noumeno che viene «schematizzato» o concretizzato in una serie di
immagini divine, o immagini fenomeniche, le quali sono condizionate
dalla loro specifica cultura.19 In alcune occasioni Hick ha poi richiamato

16 Cf. H ick , An Interpretation of Religion, 244-245.


17 J. H ick , «Il cristianesimo tra le religioni del mondo», in Filosofia e Teologia 6(1992),
21.22-23. Una quindicina di anni prima, l'autore aveva espresso idee molto simili sotto la
forma più modesta della domanda: «Non potrebbe essere che i differenti concetti di Dio,
come YHWH, Allah, Krishna, Param, Atma, santa Trinità, e così via [...] siano tutte imma­
gini del divino, ciascuna espressiva di qualche aspetto o serie di aspetti e comunque in se
stessa non completamente ed esaustivamente corrispondente all'infinita natura della Realtà
ulUma?» (H ic k , An Interpretation of Religion, 122).
18 In God has many Names, ad es., H ic k colloca la differenza principale tra la sua gno­
seologia e quella di Kant nel fatto che il filosofo considerava il divino come mero postulato,
mentre egli lo ritiene realmente - sebbene solo parzialmente - conoscibile a partire dalle
diverse tradizioni religiose (cf. pp. 83 e 104). A . M o r im o to mostra in proposito come l'uso
di Kant da parte di Hick rappresenti in alcuni passaggi una forzatura (cf. «The (more or less)
same light but from different lamps: The post-pluralist understanding of religion from a
Jap an ese perspective», in International Journal for Phìlosophy of Religion 53(2003), 166-
167). Per una critica dettagliata all'uso che Hick fa di Kant, cf. S inkinson , The Universe of
Faiths, 68-84 (è il c. 5 del libro, intitolato «The Kantian Heritage»).
19 Cf. J . H ick , «Towards a Philosophy of Religious Pluralism», in Neue Zeitschrift fiir
Systematische Theologie und Religionsphilosophie 22(1980), 142-143; con m aggiore
ampiezza: Id., An Interpretation of Religion, 240-246. Per una presentazione sintetica dei
rapporti tra Kant e Hick, cf. P.L. Quinn, «Towards thinner theologies: Hick and Alston on reli­
gious diversity», in International Journal for Philosophy of Religion 37(1995), 146-154. Si
muove sulla stessa linea kantiana di Hick anche K.P. A leaz , «Pluralistic Inclusivism: A Via-
ble Indian Theology of Religions», in Asia Journal of Theology 12(1998), 265-288. Portando

82
La teologia cr'utiana delpluralism o religioso

un elemento noto della gnoseologia tomista - «Cognita sunt in cogno-


scente secundum modum cognoscentis» o « Quidquid recipitur ad
modum recipientis recipitur » - indicandolo come effettiva base della sua
epistemologia religiosa.20 Un fatto è certo: «Il significato è secondo Hick
sempre il significato di una cosa o di una situazione per noi».21 Non è
possibile conoscere ima realtà «in sé», ma solo attraverso la lente della
sua relazione a «me»; ora, più lenti si adottano più ci si avvicina alla
conoscenza della realtà «in sé», poiché la molteplicità delle ottiche rive­
la diversi aspetti della realtà; le particolarità delle diverse religioni, per­
ciò, non sono caratteristiche della loro realtà «in sé», bensì caratteristiche
delle lenti attraverso le quali questa realtà viene osservata.22
L'elenco degli studiosi che si collocano sulla scia di Hick, accoglien­
done in tutto o in parte l'impostazione, sarebbe molto lungo. Per citare un
solo caso: P. Schmidt-Leukel ha dichiarato che la lettura delle opere di
Hick è stata per lui ima specie di «seconda conversione», dopo che a
diciotto anni era passato dall'ateismo al cristianesimo. L’adesione al van­
gelo lo aveva portato, in un primo tempo, a professare l'assolutezza del
cristianesimo e a interpretare il buono presente altrove secondo lo sche­
ma rahneriano dei «cristiani anonimi». Egli aveva in tal modo apprezza­
to il buddhismo, cercando di trovare in esso dei «semi del Verbo». M a la
lettura, appunto, delle opere di Hick (insieme a quelle di Smith) operò in
lui un passaggio paragonabile al primo e - così dice l'autore - gli aprì
finalmente un panorama ampio e convincente, mettendolo in grado di
apprezzare il buddhismo non come «cristianesimo anonimo» ma come
grande tradizione religiosa in grado di esprimere la trascendenza allo
stesso livello di profondità del cristianesimo.23

avanti infatti una sorta di «quarta via», da lui chiamata «inclusivismo pluralistico», in realtà
l’autore ripropone semplicemente il pluralismo nella versione di Hick; esiste fra tutte le reli­
gioni un fondo comune, una Realtà suprema, che ne rappresenta il centro; le differenze,
nonostante le apparenze contrarie, riguardano solo aspetti marginali, per cui ciò che è dav­
vero importante in ciascuna religione è in grado di interagire ed essere convertito nei ter­
mini di un'altra; nessuna religione può accampare una qualche superiorità sulle altre, anzi
si deve porre in atteggiamento di inferiorità per poter essere integrata e completata. Più che
una «quarta via», evidentemente, è semplicemente la «terza via», ossia il pluralismo.
20 Cf. H ick , «A Response to Gerard Loughlin», 64. Secondo Schmidt-Leukel, in effetti
Hick non si appoggia tanto sull’epistemologia kantiana quanto su quella tomista (cf. P.
Schmidt-Leukel, «Das Pluralistische Modell in der Theologie der Religionen. Ein Literatur-
bericht», in Theologische Revue 89(1993], 366); il che è certamente contestabile, dato che
il richiamo di Hick a Kant appare sostanziale, mentre quello a Tommaso appare più dichia­
rato che effettivo (cf. C. M orerod, «La relation entre les religions selon John Hick», in Nova
et Vetera 75[2000]4, 56-58). Il famoso passo di Tommaso si legge in STh II-II, q. 1 , a. 2.
21 P. S chmidt -L eukel , «Religiose Vielfalt als theologisches Problem. Optionen und Chan-
cen der pluralistichen Religionstheologie John Hicks», in R. S chw ager (hrsg.), Chrìstus
allein? Der Streit um die pluralistiche Religionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Her­
der, Freiburg-Basel-Wien 1996, 20 (ottima sintesi della gnoseologia di Hick ivi, pp. 16-21).
22 Cf. i testi di Hick raccolti e commentati da S chm idt -L eukel , «Religiose Vielfalt als
theologisches Problem», 2 7-31.
23 Cf. P. S chm idt -L eukel , «Pluralistiche Religions-theologie: Warum und wozu?», in
Ókumenische Rundschau 49(2000)3, 262-263.

83
Annunciare Cripto alle genti

R a im o n P a n ik k a r

Già gesuita cattolico, R. Panikkar ha gradualmente maturato in India


una posizione teocentrica sempre più radicale. Partito nel 1964 da un teo­
centrismo moderato con la prima edizione di II Cristo sconosciuto dell'in­
duism o24 approda a poco a poco al teocentrismo radicale della seconda
edizione, interamente rifatta, della medesima opera, uscita nel 1981 con
il sottotitolo Verso una cristofania ecumenica.25 La sua idea di fondo, che
si ispira esplicitamente a K. Rahner e ne presenta quasi il prolungamen­
to anche terminologico, si può riassumere così: la realtà del Cristo-Logos
è molto più ampia dell'evento di Gesù di Nazaret. 11 primo è il simbolo
più pieno del mistero - o Principio trascendente alla base delle varie
esperienze religiose - che impregna tutta la realtà; il secondo è solo una
delle manifestazioni di questo mistero, così come ne sono manifestazioni
parziali i fondatori delle altre grandi religioni. Ciascuna manifestazione
è una «dimensione sconosciuta del Cristo». Questa netta distinzione tra
il Cristo universale (o Logos) e il Gesù particolare permette a Panikkar di
concludere che nessuna forma concreta del Logos può esaurirne la ric­
chezza: considerare Gesù di Nazaret come la manifestazione perfetta del
Cristo universale significa idolatrare una storia particolare. Il «Cristo»
assume invece molti altri nomi: Rama, Krishna, Isvara, ecc. Queste diver­
se manifestazioni, tutte insieme, danno un'idea della ricchezza del Logos
che trascende la storia.26
Occorre procedere, secondo Panikkar, a quel superamento della cri­
stologia classica - costruita sulla «assolutezza» di Cristo e quindi su cate­
gorie metafisiche aristoteliche - per quella concezione «simbolica» da lui
chiamata «Cristofania», dove «Cristo è il simbolo cristiano di tutta la
realtà»,27 cioè quel sottofondo divino che costituisce il fine di ogni ricer­
ca religiosa. Ogni religione si avvicina alla conoscenza del «Cristo», ma
nessuna può pretendere di esaurirla:
Ciascuna religione vuole toccare la realtà, e la realtà è intera. M a ogni
persona, e ciascuna religione, partecipa, raggiunge, gode, arriva a, vive in

24 Cf. R. Panikkar , II Cristo sconosciuto dell'induismo, Vita e Pensiero, Milano 1976.


25 Cf. R. P anikkar , The Unknown Christ of Hinduism. Towards an Ecumenical Chri-
stophany, Logman and Todd, London 19 8 1. L'autore fa propria l'usanza linguistica, che si
va diffondendo (cf. ad es. C. G effré , «Le pluralisme religieux et l'indifférentisme, ou le vrai
défi de la théologie chrétienne», in Revue Théologique de Louvain 31(2000], 11), di appli­
care la nozione di «ecumenismo» all'ambito delle relazioni interreligiose; questa usanza
rischia però di ingenerare confusione, più che chiarezza, tra i due aspetti; per alcune con­
divisibili puntualizzazioni in merito, cf. J. B urcg r a f , «Hacia un "ecumenismo de las reli-
giones"?», in Diàlogo Ecumènico 35(2000)112, 283-301.
26 Per una presentazione genetica articolata del pensiero del prolifico autore, che pren­
de in considerazione anche gli sviluppi recenti, cf. S. Pié N in o t , «La "cosmoreligione’' di
Raimundo Panikkar. Una proposta di teologia delle religioni», in M. S erretti (ed.), Teologia
delle religioni, Paoline, Milano 2001, 130 -15 2 .
27 R. Panikkar , Cristofania. Nove tesi, EDB, Bologna 1994, 12 (la frase riportata nel testo
è il titolo della prima tesi).

84
La teologia cristiana delpluralism o religioso

[...] quell'intero in una maniera limitata [...]. Il fatto che i cristiani non abbia­
no piena conoscenza di quel simbolo che chiamano Cristo rivela loro che essi
non sono i padroni di Cristo, e conferma loro che Cristo sorpassa ogni com­
prensione.

In una pagina del volume II dialogo intrareligioso, Panikkar stesso


riassumeva le grandi linee del suo pensiero, che sono rimaste costanti
lungo i decenni:
Il fatto religioso ultim o non risiede in una dottrina e neanche in una
coscienza di sé individuale. Pertanto esso può essere presente ovunque e in
ogni religione e a buon diritto, anche se la sua «esplicitazione» richiede diver­
si gradi di scoperta, di realizzazione, di evangelizzazione, di rivelazione, di
ermeneutica, ecc. Questo fatto - religioso - fondamentale può avere diversi
nomi, interpretazioni diverse, differenti livelli d i coscienza, che non sono irri­
levanti, m a che potrebbero essere esistenzialmente equivalenti per la realiz­
zazione della persona [...]. Voglio dire che esiste un fatto teandrico primor­
diale il quale si manifesta con una certa pienezza in Gesù, ma che è parimenti
presente e operante altrove. È il mistero che esiste all'inizio del tempo e che
apparirà nella sua totale pienezza solo alla fine dei tempi. Monopolizzare
questo Mistero e fame la proprietà privata dei cristiani deriva, secondo il mio
punto di vista, da una scoraggiante microdossia.29
Uno degli sbocchi più recenti della riflessione di Panikkar sembra
andare in direzione decisamente apofatica: nel volume L’esperienza di
Dio,30 infatti, egli sostiene che «non vi è esperienza possibile di Dio,
almeno nel senso monoteista del termine».31
Dio non è monopolio di nessuna tradizione umana, né di quelle cosiddet­
te «teiste», né di quelle impropriamente denominate credenti. E neppure è
«oggetto» di alcun pensiero. Sarebbe un discorso settario quello che inten­
desse vincolarlo a una qualunque ideologia. In altre parole, i cristiani posso­
no parlare in nome di Cristo, i buddhisti possono invocare Buddha, i marxisti
Marx, i democratici la Libertà, i filosofi la Verità, gli scienziati la Precisione, i
m usulm ani Maometto, ecc., e ognuno di questi gruppi umani può ritenere di
essere interprete di una certezza che viene da Dio o dalla realtà stessa - la si
chiami fede, evidenza, ragione, senso comune, o come si voglia.32

Il volume ruota attorno alle idee del «nulla» e del «silenzio» come
atteggiamenti adeguati di fronte a Dio, anzi, come definizioni stesse di
Dio: «La divinità è silenzio, perché non dice nulla, perché nulla vi è da
dire»;33 «L’esperienza di Dio non è esperienza di nulla, non c’è un
oggetto "Dio" di cui si fa esperienza. È esperienza del nulla, per questo
è ineffabile»;34 «O gni volta che si nomina Dio [...] è poco meno che una

28 P anikkar , Cristofania, 27.


29 R. P anikkar, Il dialogo intrareligioso, Cittadella, A ssisi 1988, 139 -140 ; cf. anche Id.,
«The Crux of Christian Ecumenism: Can Universality and Chosenness be Held Simulta-
neously?», in Journal of Ecumenical Studies 26(1989), 82-99.
30 R. P anikkar, L'esperienza di Dio, (Gdt 261), Queriniana, Brescia 1998.
31 Panikkar, L'esperienza di Dio, 5.
32 P anikkar, L'esperienza di Dio, 13-14.
33 P anikkar, L’esperienza di Dio, 36.
34 Panikkar, L'esperienza di Dio, 39.

85
Annunciare Cr'uto alle genti

profanazione e una bestemmia [...], perché Dio è il silenzio stesso».35


Con queste premesse, è ovvia la rilettura dei misteri principali della
fede cristiana: Trinità e incarnazione. «Dio non è né uno né tre»,36 per­
ché occorre superare l'analogia delle persone se si vuole attingere al
«divino»; Gesù e Cristo vanno ben distinti: «Cristo non è identico a
Gesù»,37 perché Gesù è solo una delle possibili vie per arrivare a Cristo.
O gni religione ha le sue vie, tutte valide purché nessuna pretenda di
assolutizzare la propria:
Non abbiamo bisogno di mediazioni per aprirci al mistero di Dio [...]. L’u ­
nica possibile mediazione è il nostro essere, la nostra nuda esistenza, la nostra
stessa entità tra Dio e il nulla.38

3.2 . M o d e l l o t e o c e n t r ic o
A T E N D E N Z A R E G N O C EN T R IC A
E S O T E R IO C E N T R IC A :
P a u l K n it t e r

Ispirandosi liberamente ai due autori precedenti - dai quali mutua la


distinzione tra «Cristo» e «Gesù» e l'idea che l'incarnazione è mito - il
cattolico americano P. Knitter39 ha pubblicato nel 1985 un libro che ha
suscitato una vasta eco nel mondo teologico: Nessun altro nome?. In
forma interrogativa, il titolo stesso ripropone la problematica che in forma
affermativa compare nel titolo del libro di Hick: il cristianesimo può m an­
tenere la sua pretesa di unicità e universalità? Knitter offre una risposta
complessa, che si potrebbe sintetizzare così: Cristo è l'unico e il solo sal­
vatore per i cristiani, ma non per gli uomini delle altre religioni.
Come Rahner, egli parte dalla situazione religiosa del mondo attuale,
nel quale il cristianesimo è minoranza e non può sperare di invertire la
tendenza.
Che significa questo per una religione che ha considerato se stessa come
l ’unica vera religione, destinata da Dio ad abbracciare tutti i popoli? (...) La
nuova percezione del pluralismo religioso sta spingendo la nostra coscienza
culturale verso la cognizione semplice ma profonda che non c 'è una sola e
unica via.*0

Da ciò Knitter conclude rapidamente che la strada da percorrere è


quella del «pluralismo unitivo», ossia

35 Panikkar, L'esperienza di Dio, 103.


36 Panikkar, L'esperienza di Dio, 64.
37 Panikkar, L'esperienza di Dio, 70.
38 Panikkar, L'esperienza di Dio, 12.
39 Un'utile presentazione sintetica del pensiero interreligioso di P. Knitter in A ren s , «Die
Vielfalt der Religionen als Herausforderung der Theologie», 852-854.
40 P. K nitter , Nessun altro nome? Un esame critico degli atteggiamenti cristiani verso le
religioni mondiali, (Gdt 207), Queriniana, Brescia 19 9 1, 19 .2 1.

86
La teologia cristiana delpluralism o religioso

una unità in cui ogni religione, pur perdendo qualcosa del suo individualismo
(del suo ego separato), intensifica la sua personalità (la sua autoconsapevo­
lezza attraverso l'essere in relazione). O gni religione manterrà la propria u n i­
cità, ma questa si svilupperà e diventerà più profonda entrando in relazione
con altre religioni in una mutua dipendenza.41

Nessuna religione, dunque, è assoluta ma tutte sono relative: esiste


fra le diverse religioni una interazione reciproca per cui nessuna può
stare senza l'altra; al punto che
i membri di una religione devono essere fino a un certo punto membri delle
altre religioni. Come oggi le persone si rendono conto d i non poter acquisire
un'identità autenticamente personale senza aprirsi allo scambio e al dialogo
libero con gli altri, così le persone religiose sentono di non poter realmente
capire la loro identità religiosa e la propria religione senza entrare in comu­
nicazione con altre religioni. Sta diventando chiaro quanto possiamo essere
gretti, ingenui e arroganti, quando non usciamo mai dai nostri templi o dalle
nostre chiese.42

Una «pietra di inciampo» che rende difficile l'accoglienza del plurali­


smo da parte della Chiesa, però,
sembra essere la fede cristiana centrale nell'unicità di Cristo. Il presupposto
fondamentale del pluralismo unitivo è che tutte le religioni sono o possono
essere egualmente valide. Ciò significa che i loro fondatori, i personaggi reli­
giosi che stanno dietro ad esse, sono o possono essere egualmente validi. Ma
ciò potrebbe dischiudere la possibilità che Gesù Cristo sia «uno tra i tanti» nel
mondo dei salvatori e dei rivelatori. E il cristiano non può semplicemente rico­
noscere una cosa del genere, o lo può?43

La risposta di Knitter è senz'altro positiva. Egli tenta infatti di fondare


una cristologia che, pur rinunciando all'assolutezza e unicità di Cristo,
conservi il contenuto essenziale dell'identità cristiana; sembra anzi con­
vinto che questa strada, sebbene ancora percorsa da pochi, finirà inevi­
tabilmente col prevalere sul cristocentrismo tradizionale. Dopo avere
esposto le posizioni dei principali «innovatori», conclude:
La cristologia tradizionale, con la sua insistenza sulla definitività e la nor­
matività, non è conciliabile con quanto stiamo sperimentando nell'arena del
pluralismo religioso. Stiamo nel mezzo di una evoluzione dal cristocentrismo
al teocentrismo.44

Il pluralismo è fondato, prima di tutto, nel NT. Per portare avanti


questa tesi l'autore riprende le teorie, sostenute tra i primi da J. Weiss
e A. von Harnack, sulla centralità della predicazione del regno di Dio
da parte di Gesù; teorie che, sebbene contrapposte nelle conclusioni
(Weiss sostiene la dimensione futura e Harnack quella presente del
Regno), convergevano sulla premessa di fondo: Gesù di Nazaret non ha

41 K n itte r , Nessun altro nome?, 29.


42 K n itte r, Nessun altro nome?, 34-35.
43 K n itte r , Nessun altro nome?, 44.
44 K n itte r , Nessun altro nome?, 123.

87
Annunciare Cr'uto alle genti

mai annunciato se stesso, né tanto meno la Chiesa o i sacramenti, ma


unicamente il Regno la cui venuta (presente o futura) è opera del
Padre; solo dopo la morte di Gesù i discepoli ne ripresero la predica­
zione mettendo al centro il «Cristo» e trasformando così il suo messag­
gio da «teocentrico» a «cristocentrico».45 Knitter, pur non citando i due
autori, ne ripropone letteralmente le conclusioni, armonizzandone le
diversità:
Il punto focale e il contenuto centrale del messaggio originario di Gesù
fu il «regno di Dio». Il compito principale di Gesù fu quello di annunciare
tale regno, un regno che sarebbe arrivato presto e che tuttavia era già miste­
riosamente presente e all'opera (Le 11,20; 17,21) [...]. La missione e la per­
sona di Gesù furono, pertanto, profondamente incentrate sul Regno, il che
significa incentrate su Dio. Tutti i suoi poteri avevano lo scopo di servire
questo Dio e questo Regno; tutto il resto passava in secondo piano. «Venga
il tuo Regno, sia fatta la tua volontà» fu il contenuto della sua preghiera e
della sua opera. Ma se il messaggio di Gesù fu teocentrico, il messaggio del
Nuovo Testamento è in larga misura e innegabilmente cristocentrico. Dopo
la sua morte e risurrezione il proclamatore divenne il proclamato. Il punto
focale si spostò.46
Se Gesù fu «teocentrico», come è stato possibile che il movimento da
lui iniziato sia diventato «cristocentrico»? Knitter sostiene, attingendo a
varie correnti dell'esegesi contemporanea, che il cristocentrismo è il
risultato della convergenza di differenti traiettorie: apocalittiche (cristo­
logie del maranathà), delI’«uomo divino», della Sapienza e del Logos.
della Pasqua (morte e risurrezione). Ciascuna traiettoria offre le sue sot­
tolineature, a volte in tensione rispetto ad altre (ad es. le cristologie apo­
calittiche evidenziano il «non ancora», mentre quelle pasquali il «già»).
Perciò Knitter può concludere che «la cristologia fu, fin dai suoi primi
inizi, evolutiva, frutto di un dialogo»,47 in una parola: pluralista; e il sim­
bolo interpretativo che poi si è imposto, quello dell'incarnazione, non era
che uno di quelli che erano stati proposti.48

45 Cf. A. H a rn a c k , L'essenza del cristianesimo, (Gdt 12 1), Queriniana, Brescia 1980; J .


Weiss, La predicazione di Gesù sul regno di Dio, D ’Auria, Napoli 1993. Entrambe le opere
furono pubblicate nel 1900: la prima come raccolta di sedici conferenze tenute dall'autore
tra il 1899 e il 1900 all'Università di Berlino e la seconda come riedizione, rimaneggiata e
ampliata (da 67 pagine a 210), di una prima edizione del 1892.
46 K n itte r , Nessun altro nome?, 131-132.
47 Cf. K n itte r , Nessun altro nome?, 140.
48 «Abbiamo di fronte a noi la diversità della cristologia del Nuovo Testamento. Tale
diversità è qualcosa di più di semplici differenti sfaccettature di un gioiello chiaramente
visibile. Le differenze del modo di interpretare G esù sono reali e, pur non essendo con­
traddittorie, non sono neppure armoniosamente complementari. Tale diversità va conser­
vata, specie quando si tratta di valutare l'importanza del modello incamazionista, che - pos­
siamo dirlo - rappresenta il frutto finale delia cristologia del Nuovo Testamento e che nei
primi concili del IV e V secolo divenne il criterio dell'ortodossia. Vi furono e continuano ad
esserci altri simboli neotestamentari accanto a quello dell'incarnazione, simboli con cui è
possibile esprimere il significato di Gesù: il profeta escatologico [...), l’uomo costituito Figlio
di Dio nella risurrezione, il Figlio dell'uomo che viene, il nuovo Adamo, la Sapienza di Dio»
(K n itte r, Nessun altro nome?, 142).
La teologia cristiana del pluralism o religioso

Le cristologie neotestamentarie quindi non erano altro che forme


interpretative diverse, radicate in mondi culturali e religiosi differenti e
talvolta incompatibili; per cui
i sostenitori del modello teocentrico per una teologia delle religioni hanno
ragione quando guardano alle affermazioni cristologiche del Nuovo Testa­
mento come a miti; lo scopo di tale linguaggio non è quello di definire o limi­
tare la nostra comprensione di Cristo, bensì quello di farci penetrare nel suo
mistero. Questo mistero, essendo indefinibile, va compreso sempre in manie­
ra nuova [...]. 11 processo evolutivo di interpretazione, che è ben visibile nel
Nuovo Testamento, deve continuare oggi nella stessa maniera in cui esso si
verificò allora: in continuità con quanto si è verificato prima, salvaguardando
il passato senza imbalsamarlo, in fedeltà al passato senza essere limitato da
esso. I cristiani saranno fedeli alle immagini neotestamentarie di Gesù e cre­
deranno veramente in esse permettendo loro di generare nuovi simboli e
modelli capaci di dirci chi è questo Gesù e come egli salva. Ancora una volta,
questo è l'intento del modello teocentrico: una cristologia che vuole essere
genuinamente ma non totalmente nuova, una cristologia che salvaguarda il
passato rinnovandolo [...]. Il modello teocentrico dell’interpretazione di Cristo
e delle religioni è perciò in linea sia con l'eredità del cristianesimo, sia con i
«segni dei tempi». 9
Per essere fedeli al NT, quindi,
Gesù non ha bisogno di essere proclamato il profeta finale assoluto o l'unico
centro della storia; e ciò malgrado possiamo continuare ad affermare che egli
è un salvatore dalla rilevanza universale, che promette e infonde la capacità
di lavorare per un futuro escatologico, per un Regno che trasformerà il mondo
così come noi lo conosciamo.50
Knitter affronta a questo punto l'obiezione riguardante le espressioni
cristologiche in cui il NT, innegabilmente, parla di Gesù come «unico» e
«assoluto» Salvatore: specialmente At 4,12; Col 2,9; Gv 1,14; lTm 2,5. In
questi casi, risponde l'autore, oltre a tenere conto del fatto che ogni m ino­
ranza (come era il cristianesimo neotestamentario) ha bisogno di marca­
re i confini rispetto alla maggioranza, per paura di essere da questa
inghiottita, occorre anche pensare che il linguaggio della seconda gene­
razione cristiana - e più ancora quello dei primi concili - è debitore al
mondo greco, fortemente orientato alla metafisica. Occorre ritrascrivere
quelle affermazioni nel linguaggio odierno, che è di tipo relazionale.
Il linguaggio cristologico esclusivistico somiglia molto a quello che un
marito usa nei confronti di sua moglie (o viceversa): «Sei la donna più bella
del mondo... sei l’unica donna per me». Tali affermazioni sono certamente
vere nella relazione coniugale e specialmente nei momenti di intimità. Ma il
marito rimarrebbe interdetto se gli domandassimo di giurare che nel mondo
non vi sono assolutamente altre donne belle come sua moglie, o che non vi sia
nessun'altra donna che egli potrebbe eventualmente amare e sposare. Parla­
re così significherebbe usare un tipo molto diverso di linguaggio, in un conte­
sto molto differente. Significherebbe trasformare il linguaggio dell'amore in

49 K n itte r , Nessun altro nome?, 147.148.149.


50 K n itte r , Nessun altro nome?, 153.

89
Annunciare Cr 'uto alle genti

un linguaggio scientifico o filosofico [...]. Se leggiamo alcuni dei testi esclusi­


vistici classici del Nuovo Testamento come testi di un linguaggio confessiona­
le più che filosofico, scopriamo che essi suonano diversamente e diventano
personalmente ancora più esigenti.51
Adottando questa chiave di lettura, Knitter presenta un'interpretazio­
ne singolare di tali testi; basterà riportare quanto scrive su lTm 2,5:
L'aggettivo «solo» non dà l'impressione di significare l'«assolutamente
unico», bensì «colui che dobbiamo prendere sul serio», colui a cui tutti gli
uomini debbono prestare ascolto se vogliono veramente comprendere il Dio
[...]. Come tutti i cristiani pure l'autore di questo passo era entusiasta di Gesù;
la sua preoccupazione principale era che tutti gli altri sperimentassero la sua
verità e la sua salvezza. L'intenzione non era quella di condannare tutti gli
altri mediatori o tutti coloro che non conoscevano Gesù.52
Un'altra possibile obiezione, che Knitter affronta, riguarda l'interpreta­
zione della risurrezione di Gesù, evento legato alla sua figliolanza divina,
unicità e assolutezza. Su questo punto, egli è debitore per alcuni aspetti a
Bultmann,53 per altri a Schillebeeckx,54 per altri ancora a Marxsen.55 Di
suo, il nostro autore aggiunge l'applicazione al contesto interreligioso: la
«risurrezione» non è altro che un modo per esprimere la fede nella vita­
lità del messaggio dei fondatori. I racconti pasquali (apparizioni di Gesù e
sepolcro vuoto) costituiscono un resoconto abbondantemente mitico,- lo
stesso concetto di «risurrezione» fa parte dei
tentativi simbolici di esprimere e di «illustrare» quello che accadde [...]. Se
una simile comprensione della risurrezione è valida - e secondo me lo è -
abbiamo ancora una volta un'interpretazione cristologica contemporanea che
fa spazio alla cristologia non normativa proposta dal modello teocentrico. I
teologi e i cristiani, che trovano questo modello della risurrezione - risurre­
zione, cioè, come esperienza di conversione o di rivelazione - coerente con la
loro fede, sollevano senza rendersene forse chiaramente conto quest’altra
questione: la realtà che sta dietro i racconti pasquali deve essere necessaria -

51 K n itte r , Nessun altro nome?, 155.156. Cf. anche Id., «Nochmals die Absolutheitsfra-
ge. Griinde fùr eine pluralistische Theologie der Religionen», in Evangelische Theologie
49(1989), 515-516. Secondo Walsh la paternità di questo paragone tra il linguaggio coniu­
gale e il significato delle prime professioni di fede nell'unicità di Gesù appartiene a K.
Stendhal (cf. W a ls h , «A Christian Theology of Religions and thè Pluralist Paradigma, 300).
52 K n itte r , Nessun altro nome?, 157.
53 Cf. R. B u ltm a n n , Neues Testament
und Mythologie. Das Probìem der Entmythoìogi-
sierung der neutestamentlichen Verkiindigung, Kaiser, Munchen 1985 (la prima edizione è
del 1941). La sua tesi centrale in merito è che «la fede nella risurrezione di G esù non è altro
che la fede nella croce come evento di salvezza» (cf. pp. 60-61; cf. anche Id., Theologie des
Neuen Testamentes, Siebeck, Tubingen 1984, 305).
54 Cf. H. S chillebeeckx , Gesù. La storia di un vivente, (BTC 26), Queriniana, Brescia
1976, 399-576. In questa prima edizione, l'autore sostiene che la certezza della risurrezione
di Gesù venne ai discepoli dall'esperienza di «conversione» che essi (e Pietro prima di tutti)
fecero dopo la morte di Gesù, sentendosi perdonati da lui e avvertendo la sua «presenza».
55 Cf. W . M a rx se n, Jesus and Easter: Did God Raise thè Historical Jesus from thè Dead?,
Abingdon, Nashville 1990. L'autore vi sostiene la tesi - da lui espressa fin dall'inizio degli
anni Sessanta - che la «risurrezione» non è altro se non un modo per dire che «la causa di
G esù continua», cioè per esprimere la permanente validità del suo messaggio.

90
La teologia cristiana delpluralism o religioso

mente limitata a un'esperienza di Gesù? Una simile esperienza di conversio­


ne o di fede non è sostanzialmente ciò che innumerevoli donne hanno perce­
pito nella loro esperienza di altre guide religiose archetipiche, dopo che que­
sti erano morti? Gautama il Buddha può servire da esempio. I suoi discepoli
non hanno sperimentato una ulteriore, continuata «vocazione accolta nella
fede», una trasformazione personale dopo la sua morte? Non hanno conti­
nuato a sentire il suo spirito, la sua presenza reale in mezzo a loro? Certo, i
buddhisti non parlano del Buddha risorto, e con coerenza. La risurrezione dei
morti non era un mito o un modello interpretativo disponibile nella loro cul­
tura ed esperienza così come esso lo fu per i primi seguaci ebrei di Gesù.
Come sembra che alcuni primi cristiani abbiano potuto parlare della loro
esperienza del Gesù vivente senza usare il modello della risurrezione, così gli
indiani, qualora l'evento di Cristo si fosse verificato nel loro ambiente, avreb­
bero potuto interpretare la sua realtà permanente in base ad altri modelli [...].
Anche questi fondatori continuano a vivere in modo trasformato, spirituale ma
reale. Non furono sopraffatti dalla morte [...]. Quanto accadde ai primi cri­
stiani e a Gesù dopo la sua morte potrebbe essere perciò accaduto ad altri cre­
denti e ai loro salvatori. La risurrezione di Gesù, in tutto il suo mistero e poten­
za autentici, non implica necessariamente «unico e solo».56
Tolta anche la specificità della risurrezione, Cristo è uno dei tanti
mediatori, ed è ormai necessario che «ogni comunità religiosa riconosca
che vi possono essere - e molto probabilmente vi sono - altri mediatori
particolari del mistero divino, un mistero che non può essere definitiva­
mente colto da alcun singolo mediatore».57 L'assolutezza e l'unicità del
cristianesimo devono essere quindi decisamente superate: «Possono
esserci altre incarnazioni, altri individui che pervennero (o a cui fu con­
cessa) la medesima pienezza deU'unità divino-umana realizzata in
Gesù».58
L'esperienza della fede include necessariamente la convinzione che Gesù
è rivelazione e grazia di Dio. Ciò non include necessariamente la convinzione
che lui solo è questa rivelazione e questa grazia.59

Il che equivale a dire: il cristiano può mantenere l'unicità ed esclusi­


vità di Gesù per sé, ma non può pretenderla per gli altri. Gesù di Naza­
ret non è l’unico Salvatore del mondo; è certamente un Salvatore, ma non
il solo Salvatore.60

56 K nitter , Nessun altro nome?, 186-188. L’autore di fatto riprende e sviluppa quanto
aveva già sostenuto Hick sulla intercambiabilità tra «risurrezione», «immortalità», «rein­
carnazione» e simili; cf. in part. J. Hick, The Myfh of God incarnate, SCM, London 1978,
16 7-18 5.
57 K n itte r , Nessun altro nome?, 193.
58 K n itte r , Nessun altro nome?, 169.
59 K n itte r , Nessun altro nome?, 190.
60 Su questa distinzione si muove l'intero articolo di KNrrrER, «Nochmals die Abso-
lutheitsfrage»; la convinzione, che l’autore qui argomenta e che condivide con molti altri
teologi pluralisti, è che si possa parlare in un certo senso della «unicità» di G esù - in ter­
mini relazionali, non in termini ontologici - e quindi di una sua universalità, ma non della
sua definitività, normatività e assolutezza.

91
Annunciare Cristo alle genti

3 .3 . M o d e l l o t e o c e n t r ic o c o n
C R IS T O L O G IA «C O S T IT U T IV A » :
J a c q u e s D u p u is

Il gesuita J. Dupuis è passato, in meno di una decina d'anni, da un


modello cristocentrico nel quale l'evento salvifico di Cristo era presenta­
to come «assoluto», al paradigma pluralista, nel quale l'evento di Cristo
è definito solo «costitutivo».61

Il p r im o vo lu m e :
Gejà Cridto incontro alle religioni (1989)

Nel volume Gesù Cristo incontro alle religioni, del 1989, dopo avere
esposto i diversi modelli e specialmente quelli che, per dialogare con l'in­
duismo, tendono a separare il Logos da Cristo, osservava che non si può,
all’interno del piano divino, separare l'azione anticipata del Logos dall’e ­
vento Gesù Cristo, nel quale il piano si attua. Il Logos destinato a incarnarsi
e il Logos incarnato sono una realtà una e indivisibile. Gesù Cristo, Verbo
incarnato, rimane, al centro del piano divino, mistero della salvezza [...]. Dio,
inserendosi personalmente nella storia degli uomini, dà a questa un signifi­
cato nuovo e una densità inaudita. Per questo l'evento Gesù Cristo assume
un significato assoluto, irriducibile,- ed è per questo che Gesù Cristo, uno e
indivisibile, si trova posto oltre ogni «mito». Infatti, se Dio si è incarnato una
volta per tutte in Gesù di Nazaret, la sua esistenza umana è per tutti i tempi
e per tutti i luoghi il «sacramento dell'incontro» tra Dio e gli uomini [...]. Non
vi è teocentrismo cristiano che non sia anche cristocentrico. E neppure vi è
mistero cristico che sia dissociabile da Gesù di Nazaret; né Cristo della fede
senza Gesù della storia.62

Dupuis conclude quest'opera rimarcando che


per la teologia cristiana delle religioni la chiave ermeneutica è non un Cristo
senza Gesù, ma Gesù-il-Cristo. È di lui che bisogna mostrare la presenza atti­
va e universale. È il significato cosmico del mistero e dell'evento Gesù Cristo
che bisogna mettere in risalto. Una teologia cristiana delle religioni sarà quin­
di una cristologia. Lungi dal favorire l'esclusivismo, il cristocentrismo cristia­
no è capace di integrare, nelle loro differenze, tutte le esperienze religiose in
una teologia veramente cattolica, cioè inclusiva e universale.63

61 Tra le decine di pregevoli studi critici sulle teorie interreligiose di Dupuis - alcuni dei
quali menzioneremo nel capitolo seguente - si veda come intelligente introduzione al suo
pensiero l’articolo di G . H a l l , «Jacques Dupuis’ Christian Theology of Religious Pluralismi),
in Pacifica 15(2002), 37-50.
62 Dupuis, G esù Cristo incontro alle religioni, 264-265.
63 Dupuis, G esù Cristo incontro alle religioni, 353.

92
La teologia cristiana delpluralism o religioso

D a l p r im o vo lum e
alla m età degli a n n i N o v a n t a

Fino alla metà degli anni Novanta, Dupuis conserva l'impostazione


cristocentrica e inclusivista adottata in questo primo volume. Dal punto
di vista metodologico egli, criticando Knitter, rigettava un'idea di dialogo
che mettesse tra parentesi la propria fede:
Il dialogo autentico non poggia su simili espedienti. Non ammette né il sin­
cretismo che, alla ricerca di un terreno comune, tenta di passar sopra alle
opposizioni e alle contraddizioni tra fedi religiose e tradizioni diverse; né l'e­
clettismo che, alla ricerca di un comune denominatore tra le diverse tradizio­
ni, sceglie in esse elementi sparsi per combinarli poi in un amalgama informe
e incoerente. Per essere vero, il dialogo non può cercare la via facile, ma illu­
soria; senza voler dissimulare le eventuali contraddizioni tra le fedi religiose,
esso deve piuttosto assumerle - là dove esistono - con pazienza.64

E dal punto di vista contenutistico rimane nella posizione del primo


volume:
L'unicità di Gesù Cristo nell'ordine della salvezza, così come è stata tra­
dizionalmente compresa dalla fede cristiana, è un'unicità «assoluta»: Gesù
Cristo è necessariamente «costitutivo» della salvezza di tutti gli esseri
umani; egh è il salvatore universale. D'altronde l'unicità cosiddetta «rela­
zionale» - simile all'unicità «relativa» - non dà neanche ragione della fede
cristiana tradizionale.65
All'interno della posizione cristocentrica, egli ritiene comungue più
adeguata la teoria rahneriana della «presenza del mistero di Cristo» nelle
altre religioni rispetto a quella, di de Lubac, Daniélou e Balthasar, del
«compimento » .66
Presentando in un saggio del 1995 le posizioni di Panikkar e Abishik-
tananda, Dupuis individua correttamente il nucleo del problema nel con­
cetto di «storia» e, più precisamente, nel rapporto tra il Gesù della storia
e il Cristo della fede, a suo parere eguivocato dai due autori; e criticando
il pensiero di Panikkar scrive:
Se, dunque, Gesù è il Cristo, non vi è in qualsiasi modo un Cristo che non
sia Gesù stesso, risorto, trasformato, trasfigurato e, per questo, divenuto trans­
storico [...]. Non si può concepire Gesù come una manifestazione imperfetta

64 J . Dupuis, «La fede cristiana in G esù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiati­
che», in G regorianum 75(1994), 218.
65 Dupuis, «La fede cristiana in Gesù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiatiche»,
225. Subito dopo l'autore prende le distanze dall'esclusivismo e dal pluralismo e si colloca
nella posizione inclusivista (cf. p. 226); e conclude; «Fuori considerazione sono qui le posi­
zioni teologiche dell"'esclusivism o” , da una parte, come pure del cosiddetto "pluralismo",
dall'altra [...). L’ "inclusivismo'' sembra essere l’unico modello aperto a un approccio cri­
stiano verso le altre religioni, allo stesso tempo fedele all'autocomprensione cristiana e
veramente aperto alla verità e alla grazia delle altre tradizioni» (p. 232).
66 Cf. Dupuis, «La fede cristiana in G esù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiati­
che»,. 232-238.

93
Annunciare CrLtto alle genti

nel tempo di un Cristo che lo avrebbe trasceso [...]. Rimane quindi da dire che
nel cristianesimo è proprio l'evento Gesù-Cristo ad assumere un significato
assoluto, irriducibile; e ciò a causa del mistero dell'incamazione [...]. Non vi è
dunque un mistero cristico che sia dissociabile da Gesù di Nazaret; né un Cri­
sto della fede senza il Gesù della storia.67
E poco più avanti, criticando la valenza puramente «relativa» attri­
buita da Le Saux all’intervento divino nel tempo, aggiunge:
Se però Dio stesso si inserisce personalmente nella storia umana, non dob­
biamo forse dire che questo evento acquista nell'ordine storico un valore uni­
versale? È proprio così che la fede cristiana ha compreso l’evento di Gesù Cri­
sto, attribuendogli a un tempo un carattere unico e una portata cosmica. Esso
lo ha fatto professando che il mistero cristico è inseparabile dal Gesù storico
[...). Esso rifiutava quindi di dissociare il mistero di Cristo dalla storia di Gesù.68

D a lla m età degli anni N o v a n ta :


la c e n t r a l i t à d e l l a n o z i o n e di « r e g n o di D i o »

Dalla metà degli anni Novanta la riflessione di Dupuis adotta sempre


più chiaramente il metodo induttivo al posto di quello deduttivo69 e si spo­
sta sempre più decisamente verso una prospettiva «teocentrica», antici­
pando così alcuni tratti del secondo volume.70 Studiando infatti la nozione
di «regno di Dio», in sé e in relazione a Cristo e alla Chiesa, il teologo
gesuita invita a superare la sostanziale identificazione tra Chiesa e Regno
nella quale, a suo parere, restano ancorati i testi del Vaticano II, e a consi­
derare piuttosto la Chiesa come uno strumento del Regno. Gesù infatti non
ha identificato il gruppo dei discepoli da lui raccolti - primo nucleo della
Chiesa - con il Regno, ma li ha messi a servizio del Regno, li ha inviati per
l'annuncio del Regno; e dopo la Pasqua essi non hanno fatto altro che pro­

67 J . D u p u is , «Il cristianesimo di fronte alla sfida del pluralismo religioso. La proposta di


R. Panikkar e H. Le Saux», in Studia Patavina 42(1995), 138-139.
68 D u p u is , «Il cristianesimo di fronte alla sfida del pluralismo religioso», 495.
69 Già all'inizio degli anni Novanta, Dupuis opta chiaramente per la metodologia teolo­
gica induttiva, prendendo le distanze sia da un'impostazione «dogmatica» basata sugli
asserti magisteriali sia da una «genetica» fondata sull'esegesi biblica; egli qualifica come
«deduttivi» entrambi questi approcci, elaborando invece un metodo - a suo parere lancia­
to autorevolmente in campo cattolico dalla costituzione GS - che non si accontenti di «adat­
tare» il dato rivelato alle mutevoli situazioni storiche, né semplicemente di «incarnarlo»
nelle diverse culture, ma che «interpreti» alla luce del messaggio evangelico il contesto
concreto nel quale la Chiesa vive; questo metodo, osserva l'autore, valorizza le Chiese loca­
li e le mette in grado di elaborare teologie in grado di rispondere ai diversi problemi degli
uomini (cf. in particolare J. D u p u is , «Méthode théologique et théologies locales: adaptation,
inculturation, contextualisation», in Seminarium 32(1992], 61-74; Id., «La teologia nel con­
testo del pluralismo religioso. Metodo, problemi, prospettive», in A . A m a t o (ed.), Trinità in
contesto, L A S , Roma 1994, 127-150). Dupuis approfondirà e adotterà questa impostazione
metodologica nel volume del 1997, come vedremo tra poco.
70 Seguiamo le riflessioni presenti in J . D u p u is , «L'Église, le règne de Dieu et les
“autres"», in G. Dorè - Ch. T h é o b a l d (edd.), Penser la foi. Recherches en théologie
aujourd'hui. Mélanges ofiertes à Joseph Moingt, Du Cerf, Paris 1993, 327-349.

94
La teologia cristiana del pluralismo religioso

seguire questa missione relativa al Regno, anche se ormai esso si prolun­


ga nella risurrezione di Gesù.71 Sarebbe quindi un errore identificare sem­
plicemente Chiesa e Regno, assorbire tutta la realtà del primo nella secon­
da: la realtà del Regno invece eccede quella della Chiesa e
può essere raggiunta senza passare attraverso il sacramento della Chiesa e l'ap­
partenenza al suo corpo. Gli «altri» possono così essere membri del regno di Dio
senza far parte della Chiesa e senza passare attraverso la sua mediazione.72

Cristocentrismo e regnocentrismo, quindi, non sono affatto alternativi,


ma anzi si implicano a vicenda:73 e tuttavia non si identificano, di modo che
quando i credenti di altre fedi religiose percepiscono l'appello di Dio attra­
verso la loro propria tradizione, e vi rispondono nella pratica sincera di que­
sta tradizione, divengono in verità - anche senza averne formale consapevo­
lezza - membri e partecipi del Regno,

così che «le altre tradizioni esercitano in relazione ai loro membri una
certa mediazione del Regno».74 Il dialogo interreligioso non si svolge così
tra alcuni appartenenti al Regno (i cristiani) e altri che ne sarebbero fuori
(gli «altri»), ma
tra persone appartenenti già insieme al regno di Dio, inaugurato nella storia
in Gesù Cristo [...]. Ciò mostra anche perché il dialogo interreligioso è una
condivisione che consiste nel ricevere e nel donare; che, cioè, non è a senso
unico, non è un «monologo» ma un «dialogo». La ragione è che la realtà del
regno di Dio è vissuta preliminarmente in un mutuo scambio tra i cristiani e
gli altri. Il dialogo rende esplicita questa comunione preliminare nella realtà
della salvezza che è il regno di Dio venuto in Gesù per tutti.75

71 Cf. D u p u is ,«L’Église, le règne de Dieu et les "autres"», 340-342.


72 D u p u is , «L'Église, le règne de Dieu et les “autres"», 344.
73 Cf. D u p u is , «L’Église, le règne de Dieu et les “autres"», 345.
74 D u p u is , «L’Église, le règne de Dieu et les "autres”», 346.
75 D u p u is , «L'Église, le règne de Dieu et les “autres"», 348. Si noterà una diversa accen­
tuazione - che tuttavia è più di una sfumatura - nelle seguenti affermazioni dello stesso auto­
re sul regno di Dio, praticamente contemporanee a quelle riportate nel testo: «Anche se resta
una tensione tra il "già" e il "non ancora" attraverso tutta la nostra storia presente, l'accento
è non di meno posto su ciò che è già stato compiuto una volta per tutte in Gesù Cristo. La
risurrezione di Gesù Cristo, infatti, punto di partenza della fede cristiana, operava nei primi
cristiani un capovolgimento di prospettiva: la fede dei loro antenati li aveva orientati verso un
avvenire indefinito di Dio; l’esperienza pasquale li rivolgeva verso un evento definitivo che
avevano appena vissuto nel recente passato. Non che per questo svanisse l'orientamento
verso l'avvenire; ma l'attesa escatologica si trovava ormai divisa in due tempi: il “già" e E
"non ancora", l'evento compiuto e la sua pienezza finale. Tuttavia, tra questi due poli, il filo
conduttore e quindi il perno di tutta la storia della salvezza era decisivamente posto nel "già”:
il Cristo risuscitato, e non la parusia, era il centro della fede. I l resto, il “non ancora", doveva
venire come conseguenza logica, come immancabile svolgimento delle potenzialità contenu­
te nell'evento. La pienezza del regno di Dio deve senza dubbio attendere fino alla parusia;
l'evento Gesù Cristo è, nonostante questo, al centro della storia della salvezza» (D u p u is , «La
fede cristiana in Gesù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiatiche», 223-224). Puntuali
critiche alla netta distinzione operata da Dupuis tra Chiesa e Regno si leggono in C o m it é d e
r é d a c t io n , « "Tout récapituler dans le Christ". À propos de l’ouvrage de Jacques Dupuis, Vers
une théoìogie chrétienne du pluralisme religieux», in Revue Thomiste 106(1998), 609-613.

95
Annunciare Cripto alle genti

Dupuis non manca di osservare, anche occasionalmente, che la rimes­


sa al centro della nozione del regno di Dio non significa ridurre il senso
della missione o trasformarla in un'attività orizzontale; significa piuttosto
decentrare la Chiesa da se stessa mettendola a servizio del Regno, permet­
tendo così di evitare il pericolo non illusorio di un ecclesiocentrismo abusivo.76

Il s e c o n d o v o l u m e : Verdo una teologia cristiana


del pluralid/no religioso ( 1 9 9 7 )

Nel volume del 1997 si respira un clima molto diverso: Dupuis, muo­
vendosi non più nella problematica della «teologia delle religioni», ma
- come si evince dal titolo stesso - in quella del «pluralismo religioso»,
adotta con decisione un modello «teocentrico». Non si elencheranno i
numerosi meriti di questo ponderoso volume di quasi 600 pagine: basti
dire che attualmente costituisce la più ampia e sistematica rassegna esi­
stente sull'argomento (quasi 490 sono gli autori citati, tra antichi e
moderni, e circa il doppio i titoli, tra opere, articoli e libri). È un imma­
ne tentativo di rileggere l'intera problematica in maniera aggiornata e
nello stesso tempo ancorata alle fonti: di qui, nella prima parte, l’ampio
spazio dedicato alla Scrittura (AT e NT), ai padri e alla storia della teo­
logia. La seconda parte, di carattere sistematico, presenta alcune pro­
spettive piuttosto innovative e rilevanti per l'argomento che stiamo
affrontando: su questa parte, dunque, ci soffermiamo, evidenziandone
le idee fondamentali secondo una nostra scansione. Nel corso dell'e­
sposizione introdurremo anche riflessioni che lo stesso autore ha pub­
blicato in seguito.
Una prima serie di affermazioni riguarda l'estensione della storia «spe­
ciale» della salvezza a tutti i popoli. Dupuis propende per la tesi secondo
la quale la storia dei popoli extrabiblici può svolgere per essi, nell’ordine
della salvezza, un ruolo analogo a quello svolto per gli ebrei dalla storia
d’Israele, «in quanto comprendente eventi storici la cui rilevanza salvifica
divina è garantita da una parola profetica».77 Richiamando G v 1,9 («la
luce vera, quella che illumina ogni uomo») e l’insegnamento di Giovanni
Paolo II circa la presenza e azione universale dello Spirito (specialmente
in Redemptoris missio, nn. 28-29), Dupuis conclude che
una teologia della pluralità religiosa deve esprimere chiaramente la presenza
universale del Verbo e dello Spirito nelle tradizioni extra-bibliche.78

76J. D u p u is , «Les religions et la mission. A propos de deux livres récents», in Gregoria-


num 76(1995), 591.
77J. D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, (BTC 95), Queriniana,
Brescia 1997, 297.
78 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 302. Per seguire gli svi­
luppi della pneumatologia interreligiosa di Dupuis, cf. A. Y o n g , «The T u m to Pneumato-
logy in Christian Theology of Religions: Conduit or Detour?», in Journal ol Ecumenical Stu-
dies 35(1998), 447-454.

96
La teologia cristiana del pluralismo religioso

Dall'universalità della salvezza deriva - tenuto conto dell'inconsisten­


za storico-critica di una divisione netta posta da alcuni fra racconti extra­
biblici «mitici» e racconti biblici «storici»79 - l'universalità della rivelazio­
ne.80 Se esiste ima vera «salvezza» fuori dell'ambito biblico, significa che
esiste non solo esperienza religiosa autentica e preghiera autentica, ma
anche vera e propria «parola di Dio»; al punto che il concetto di «ispira­
zione» delle Scritture si può estendere a tutti i testi sacri delle religioni:
La personale esperienza dello Spirito dei veggenti, in quanto costituisce,
per provvidenza divina, un'apertura personale di Dio alle nazioni, e in quan­
to è stata documentata in maniera autentica nelle loro sacre scritture, è una
parola personale che Dio rivolge ad esse tramite intermediari di sua scelta.
Questa parola può essere chiamata, in un senso reale, «una parola ispirata da
Dio», a patto che non si dia un’interpretazione troppo rigorosa del concetto e
che si tenga sufficientemente conto dell'influsso cosmico dello Spirito Santo.81
Al carattere relativo della rivelazione di Dio in Gesù è dedicata una
seconda serie di riflessioni, nelle quali Dupuis respinge l'idea di assolu­
tezza della rivelazione cristiana, mantenendo quella di unicità e di uni­
versalità. Gesù Cristo è, certamente, nella globalità del suo evento (paro­
le, opere, persona), la pienezza della rivelazione, poiché «in lui, Dio ha
pronunciato al mondo la sua parola decisiva»; ma si tratta non di pienez­
za quantitativa, bensì qualitativa, nel senso che
nessuna rivelazione del mistero di Dio può eguagliare la profondità di ciò che
avvenne allorché il Figlio divino incarnato visse in chiave umana, in una
coscienza umana, la sua propria identità di Figlio di Dio [...]. Eppure questa
rivelazione non è assoluta. Essa rimane relativa. La coscienza umana di Gesù,
pur essendo quella del Figlio, è comunque una coscienza umana, e dunque
una coscienza limitata. Non avrebbe potuto essere altrimenti. Nessuna
coscienza umana, neppure la coscienza umana del Figlio di Dio, può esaurire
il mistero divino.82

79 Cf. D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 315-317.


80 «Affermare, pertanto, che tutta la storia è storia della salvezza implica per ciò stesso
l’universalità della rivelazione [...]. In virtù della concomitanza delle opere e delle parole
divine, sembra teologicamente giustificato andare in cerca di un discorso divino nelle tra­
dizioni religiose non bibliche, esattamente come è stato ritenuto necessario includere tali
tradizioni nell'ambito della storia della salvezza» (D u p u is , Verso una teologia cristiana del
pluralismo religioso, 319).
81 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 335. C f. a n c h e p p . 339-
340, d o v e l'a u to r e r ito rn a s u l c a ra tte re a n a lo g ic o d e ll'a p p lic a z io n e d i « p a r o la d i D io » ,
«sa cre sc rittu re » e « is p ir a z io n e » n e lle tre e c o n o m ie : c o s m ic a , v e te r o te s ta m e n ta r ia e c r is tia ­
n a . L 'id e a r is p e c c h ia p r o b a b ilm e n te la co n tro v e rs a prassi, d if fu s a i n a lc u n i a m b ie n ti i n d i a ­
n i, d i u tiliz z a r e n e lle litu r g ie e u c a r is tic h e c ris tia n e testi sa c ri n o n b ib lic i a c c a n to a lle le ttu ­
re b ib lic h e c o n s u e te . C o m e lo stesso a u to r e ric o r d a v a i n u n o s tu d io , g i à il R e s e a r c h S e m i­
n a r of n o n - B ib lic a l S c r ip tu r e s te n u to s i a B a n g a lo r e , n e l d ic e m b r e 1974, p r o p e n d e v a p e r la
le g it t im it à te o lo g ic a d i q u e s ta p ra ssi e a u s p ic a v a la p o s s ib ilità d i lit u r g ie c o n d iv is e tra c r i­
s tia n i e in d u is t i (cf. J . D u p u is , « In c u ltu r a t io n a n d In te r- R e lig io u s D ia lo g u e in In d ia T o d a y » ,
e c k e b r o u c k (eds.J, A Universal Faith? Peoples, Cultures, Religions, and
i n C . C o r n il l e - V. N
thè Christ. Essays in Honor of F. De Grave, P eeters Press, L o u v a ift 1992, 32-34).
82 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 337. Più avanti la rive­
lazione di D io in Gesù Cristo è definita «decisiva, seppure ancora incompleta» (p. 362).

97
Annunciare Cristo alle genti

Da questo Dupuis deduce che fra la rivelazione cristiana e quella


extracristiana esiste «complementarità», come fra il corpus biblico e le
scritture sacre extrabibliche, le quali «possono contenere aspetti del
mistero divino che la Bibbia, Nuovo Testamento incluso, non mette altret­
tanto in evidenza».83 L'autore cita come esempi il senso della maestà e
trascendenza divina, oltre che della sottomissione alla santità di Dio,
testimoniati dal Corano, e il senso della presenza immanente di Dio nel
mondo e nel cuore umano testimoniato dai testi induisti. Tuttavia, prose­
gue Dupuis parlando delle tre religioni monoteistiche, la maggiore con­
vergenza si registra non al livello delle dottrine su Dio ma a quello del­
l ’esperienza divina, cioè della mistica.84 Ciononostante egli rileva - sul­
l'onda di altri studi - non solo degli «addentellati» ma delle vere e pro­
prie «tracce» del mistero cristiano fondamentale, la Trinità, nell'ebrai­
smo, nell'islam85 e nell'induismo. A quest'ultima religione, anzi, egli
dedica un paragrafo dal titolo «Saccidananda e Trinità», nel quale isti­
tuisce un parallelismo tra il dogma trinitario e la tradizione induista del
Brahman come Essere (sat), Coscienza (ci/) e Beatitudine (ananda}. Stan­
do al modello inclusivista del «compimento», il saccidananda offrirebbe
solo «addentellati» al mistero trinitario; secondo la teoria della «presen­
za del mistero di Cristo» invece, il saccidananda presenta tracce dell'au-
tomanifestazione divina, e dunque di una presenza del mistero di Dio in
Cristo. La conclusione che Dupuis trae è la seguente:
Le tradizioni religiose del mondo trasmettono differenti intuizioni del
mistero della Realtà ultima. Per quanto incomplete, queste intuizioni attesta­
no una multiforme automanifestazione di Dio agli esseri umani in differenti
comunità di fede. Esse sono «volti» incompleti del mistero divino variamente
sperimentato, che devono trovare compimento in colui che è «il volto umano
di Dio».86

Ancora: essa rimane «limitata, incompleta e imperfetta. In primo luogo, nessuna coscienza
umana, neppure quella del Figlio-di-Dio-divenuto-essere-umano, può comprendere e con­
tenere il mistero divino. Le parole umane, fossero anche pronunciate da Dio stesso, non
possono esaurirne la realtà. A questa limitazione ineludibile, intrinseca, che affligge la rive­
lazione di Dio in Gesù Cristo, va aggiunto poi un limite specifico dovuto al particolare idio­
ma in cui Gesù si esprimeva, l'aramaico parlato ai suoi tempi. Ciò mostra che la "pienez­
za" attribuita dalla fede cristiana alla rivelazione in Gesù Cristo deve essere intesa corret­
tamente e non in maniera incondizionata» (ivi, 367).
83 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 341.
84 Cf. D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 351-355.
85 Da Hick, l'autore prende l’idea che i novantanove nomi di Allah si possano agevol­
mente raggruppare attorno a tre serie: Dio in quanto creatore e sovrano onnipotente del­
l’universo, in quanto grazioso e indulgente, in quanto a noi intimamente presente (cf.
D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso. 360).
86 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 377. Per ulteriori rifles­
sioni dell'autore sull'impronta trinitaria presente in ogni autentica esperienza del divino, cf.
J. D u p u is , «"Abbiamo tutti lo stesso Dio"», in Credere oggi 22(2002)129, 155-168. Il para­
gone tra il dogma trinitario cristiano e i possibili echi «trinitari» nell'induismo è stato pro­
posto da altri autori, come R. Panikkar e M. von Brùck: cf. la presentazione di questo aspet­
to della loro riflessione in F. D O r in g , «Synkretismus oder kreative Integration?», in R.
G O n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fùr H.
Waldenfels, Bonifatius, Paderbom 1996, 433-445.

98
La teologia cristiana del pluralismo religiojo

Nel contesto del parallelismo tra cristianesimo e induismo, Dupuis inse­


risce anche una breve riflessione - l'unico ma significativo accenno a que­
sta idea - sul trascendimento del Dio trinitario. La mistica indù advaita
(non-duale), afferma l'autore applicando il principio della «complementa­
rità» sopra enunciato, «può aiutare i cristiani a purificare e ad approfondi­
re la loro fede nel mistero divino»: infatti, alla luce di questa scuola misti­
ca indù, «la comunione tripersonale con Dio» appare «come ima prope­
deutica che è necessario trascendere, così da potere infine diventare una
cosa sola col mistero divino, al di là di tutte le distinzioni». Infatti:
Se il Padre è la fonte trinitaria imperscrutabile che sta al di là dello Spiri­
to e del Verbo, non abbiamo il diritto di domandare se non esista a sua volta
un al-di-là-del-Padre? Al di là di ogni individualità non vi è forse l'Abisso
insormontabile?87
In definitiva l'induismo aiuterebbe il cristianesimo a purificare la sua
idea di Dio talvolta grossolanamente antropomorfica, mettendolo sulla
strada di una sana teologia negativa: Dio come il «totalmente Altro».
Se Cristo non è assoluto come rivelatore, non lo è neppure come sal­
vatore. Dupuis prende le distanze dalla linea teologica che ha difeso
l'assolutezza del cristianesimo - Rahner compreso88 - aggiungendo ai
motivi già sopra ricordati il fatto che «1'"assolutezza" è un attributo della
Realtà ultima o Essere infinito, che non deve essere predicata di alcuna
realtà finita, sia pure l'esistenza umana del Figlio-di-Dio-fatto-uomo. Il
fatto che Gesù Cristo sia Salvatore "universale" non ne fa il "Salvatore
assoluto" - che è Dio stesso»:89 non è possibile, «facendo assegnamento
soltanto sul fondamento unilaterale di alcuni testi isolati: At 4 , 12; ITm
2 ,5 ; G v 14,6»,90 assolutizzare l'unicità di Cristo, che è invece «costituti­
va» e «relazionale». Sicuramente resta compito della teologia cristiana
mostrare «che la cristologia esplicita della Chiesa si fonda sulla cristolo­
gia implicita di Gesù stesso»;91 ma questo fondamento non è di mera
continuità:

87 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 374: l'autore rimanda al
(problematico!) concetto eckhartiano di una «suressenza» della Divinità al di là delle tre
Persone. Dupuis aveva già avanzato questa tesi, con parole molto simili e nel medesimo
contesto del dialogo con l'induismo, ma senza citare Eckart, in D u p u is , «La fede cristiana in
Gesù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiatiche», 238-239.
88 Dupuis ritiene che Rahner abbia usato «imprudentemente» l'espressione «assolutez­
za del cristianesimo» (cf. ad es. J. D u p u is , «Le pluralisme religieux dans le pian divin de
salut», in Revue Théologique de Louvain 29(1998), 494; l’intero contributo (pp. 484-504] è
una precisa e utile sintesi dei contenuti fondamentali del volume; si può leggere anche in
trad. inglese: «One God, one Christ, convergent ways», in Theological Digest 43[2000]3,
211-218); altrove Dupuis ribadisce che Rahner ha usato «forse inavvertitamente» la cate­
goria di «assolutezza del cristianesimo», e che l'intera problematica che porta questo nome
è una «errata questione» (cf. J . D u p u is , «Cristo universale e vie di salvezza», in Angelicum
74[1997), 196-197).
89 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 381.
90 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 398.
91 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 399.

99
Annunciare Crùito alle genti

La particolarità storica di Gesù conferisce inevitabili limitazioni all'evento-


Cristo. Ciò è necessariamente parte dell'economia incamazionale voluta da
Dio. Come la coscienza umana di Gesù in quanto Figlio non poteva, per sua
natura, esaurire il mistero divino, e perciò lasciò incompleta la rivelazione di
Dio, in maniera analoga l'evento-Cristo non esaurisce - né lo potrebbe - la
potenza salvifica di Dio. Questi rimane al di là dell'uomo Gesù, quale fonte
ultima sia della rivelazione che della salvezza. La rivelazione di Dio da parte
di Gesù è una trasposizione umana del mistero divino; la sua azione salvifica
è il canale, il segno efficace o sacramento della volontà salvifica di Dio. Nono­
stante l'identità personale di Gesù nella sua esistenza umana fosse quella del
Figlio di Dio, fra Dio (Padre), la fonte ultima, e colui che ne è l’icona umana
continua a esistere una distanza. Gesù non si sostituisce a Dio.92
L'evento-Cristo, perciò, non è «l'unica espressione possibile» della
volontà salvifica divina; e questo, in termini cristologico-trinitari, signifi­
ca «che l'azione salvifica di Dio per mezzo del Logos non incarnato
(Logos asarkos) [...] persiste anche dopo l'incarnazione del Logos»-,93
«per quanto inseparabili, il Verbo divino e l'esistenza umana di Gesù
rimangono tuttavia distinti».94
Dupuis istituisce un nuovo confronto con una dottrina induista, quel­
la dell'avafara (discesa), convinto che quella religione «possiede la sin­
golare peculiarità di offrire elementi di dottrina simili, se non identici, a
ciò che costituisce la sostanza della fede cristiana; la Trinità e l'incarna­
zione».95 Ogni mediazione visibile del divino, che si incontra nell’indui­
smo (in particolare l’immagine sacra), è non solo un «addentellato» del­
l'incarnazione (secondo la teoria del compimento), ma «può essere il
segno sacramentale nel quale e per mezzo del quale il devoto risponde
all’offerta della grazia divina; esso può mediare segretamente la grazia
offerta da Dio in Gesù Cristo e dare espressione alla risposta umana al
dono gratuito di Dio in lui»96 (secondo la teoria della «presenza del miste­
ro di Cristo»),
Presentando le religioni come vie di salvezza, Dupuis chiarisce i ter­
mini.
Fatte salve le considerevoli differenze che intercorrono fra le varie tradi­
zioni, si può azzardare la proposta di un concetto universale di salvezza/libe­
razione così definito: la salvezza/liberazione ha a che fare con la ricerca e il
conseguimento della pienezza della vita, dell'interezza, dell'autorealizzazio­
ne e deU'integrazione.97
Adottata questa definizione, di carattere evidentemente antropologico
e formale, Dupuis presenta le diverse religioni come mediazioni salvifiche.
Le tesi contenute in questo volume hanno avviato un ampio dibattito
specialmente tra i cattolici; una discussione nella quale è intervenuto a

92 D u p u is , Verso una teologiacristiana del pluralismo religioso, 403.


93 D u p u is , Verso una teologiacristiana del pluralismo religioso, 403.
94 D u p u is , Verso una teologiacristiana del pluralismo religioso, 404.
95 D u p u is , Verso una teologiacristiana del pluralismo religioso, 406.
96 D u p u is , Verso una teologiacristiana del pluralismo religioso, 409.
97 D u p u is , Verso una teologiacristiana del pluralismo religioso, 413.

100
La teologia cristiana del pluralismo religioso

più riprese anche il magistero universale. Il gesuita, pur avendo chiarito


alcune delle sue idee, ha mantenuto nella sostanza tutte le tesi proposte
in questo libro, fino alla sua morte avvenuta alla fine del 2004. Ripren­
deremo nel capitolo seguente alcune delle critiche mosse a Dupuis, nel
più generale contesto della valutazione dell'orizzonte pluralista.

3.4. R a d i c i r e m o t e e p r o s s i m e
D E L T E R Z O P A R A D IG M A

Le radici del paradigma pluralista andrebbero cercate molto indietro:


ma non fino al NT nel quale - pur con tutta la buona volontà - non riu­
sciamo a trovare veri «agganci» in questa direzione: testi come Mt 25,40 ,
G v 1,9 , lT m 2,4 e Le 13,29, addotti talvolta come appoggi neotestamen­
tari, vanno piuttosto nel senso della possibilità della salvezza offerta a
tutti gli uomini, che è cosa ben diversa dalla tesi di una complementarità
salvifica tra le varie religioni.
Per capire le origini del paradigma pluralista occorre invece richia­
marsi alla tradizione della teologia negativa, all'impostazione gnoseolo­
gica illuminista, applicata poi al campo interreligioso da alcuni pensato­
ri tedeschi, e al pensiero post-moderno attuale: richiami che qui possono
essere solo suggeriti e non illustrati compiutamente.

3 . 4 . 1 . L a PISTA T E O L O G I C A A PO FAT ICA :


P se u d o - D io n ig i,
M eist er E ckh art, C usano

Pseudo-D ionigi

La teologia negativa o apofatica, di cui lo Pseudo-Dionigi fu certa­


mente l'autore più rappresentativo,98 si basa sull'idea che Dio è il «total­
mente Altro», diverso da ogni rappresentazione umana.99 Nessuna cono­

98 Le opere dello Pseudo-Dionigi giunte a noi sono: De coelesti hierarchia, De ecclesia­


stica hierarchia, De divinis nominibus, De mystica theoìogia e dieci Epistole. Esse sono rac­
colte in un codice bizantino che nell'anno 827 fu donato dall'imperatore d’oriente all’abate
di St. Denis llduino, il quale diede inizio alla traduzione latina (832-835), portata a termine
verso l'867 da Giovanni Scoto Eriugena. Quest'ultimo, inoltre, avviò la lunga serie dei Com­
mentarli a Dionigi. Alcuni di questi commentari, insieme ai testi di Dionigi, vennero raccolti
in ambiente parigino dopo il 1250 sotto il nome di Corpus dionysiacum.
99 «La teologia insegna che egli [Dio] è dissimile e indefinibile e diverso da ogni cosa e,
ciò che è più strano, che non esiste nulla che assomigli a lui» (De divinis nominibus, IX,7 :
PG 3.916A).

101
Annunciare CrLtto alle genti

scenza «naturale» di Dio è possibile, ma solo un avvicinamento gradua­


le e negativo (per via di ablazione), attraverso immagini e sembianze.100
Può essere considerata come il «manifesto» della teologia apofatica la
pagina nella quale lo Pseudo-Dionigi afferma, della causa universale,
che non è anima, né intelligenza, e non possiede immaginazione, né opinio­
ne, né parola, né pensiero; che essa stessa non è parola, né pensiero; e che
non è oggetto né di discorso, né di pensiero. Non è numero, né ordine, né
grandezza, né piccolezza, né uguaglianza, né disuguaglianza, né somiglian­
za, né dissomiglianza; non è ferma, né si muove, né rimane in quiete, né pos­
siede una forza, né è una forza; non è luce; non vive e non è vita; non è né
essenza, né eternità, né tempo; non ammette neanche un contatto intelligibi­
le; non è né scienza, né verità, né regno, né sapienza; non è uno, né unità, né
divinità, né bontà; non è neppure spirito, per quanto ne sappiamo; non è né
figliolanza, né paternità, né qualcosa delle cose che possono essere conosciu­
te da noi o da qualche altro essere; non è nessuno dei non-esseri e nessuno
degli esseri, né gli esseri la conoscono in quanto esiste; e neppure essa cono­
sce gli esseri in quanto esseri. A proposito di essa, non esistono né discorsi, né
nomi, né conoscenza; non è né tenebra, né luce, né errore, né verità; non esi­
stono affatto, a suo riguardo, affermazioni né negazioni: quando facciamo
affermazioni o negazioni [...], noi non l'affermiamo, né la neghiamo. Effetti­
vamente, la causa perfetta e unitaria di tutte le cose è sopra ad ogni afferma­
zione; e l’eccellenza di chi è assolutamente staccato da tutto e al di sopra di
tutto è superiore ad ogni negazione.101
Egli esclude, così, che Dio possa essere un «oggetto» della mente
umana, un ente che rientri nel processo della conoscenza: l'ascendere a
Dio per «icone» indica un cammino che va al di là della ragione e pro­
cede per simboli, i quali rispettano l'alterità della natura divina, piutto­
sto che per concetti, i quali, al contrario, pretenderebbero di «compren­
dere la natura divina».102 La teologia negativa comunque non esclude
qualunque conoscenza di Dio; a parte il fatto che è consapevole di costi­
tuire solo una parte della teologia tour court, la «via negativa» esclude
piuttosto la tentazione dell'univocità; in altre parole, essa ammette che
si possa conoscere qualche cosa di autentico del divino, ma mette in
guardia dal volerlo omologare alle concezioni umane. È la tradizione
della ineffabilitas Dei, richiamata spesso nel medioevo, che, se esclude

100È il procedimento delia diataxis, così descritto dall’autore stesso: «Dobbiamo doman­
darci come sia possibile ottenere una conoscenza di Dio, dato che egli non è intelligibile,
né sensibile, né più generalmente alcuno degli enti. Non risponde certo a verità l'afferma­
zione che conosciamo Dio a partire dalla sua natura (poiché essa è indicibile e oltrepassa
ogni parola e ogni mente); piuttosto, dal perfetto ordine di tutti gli enti, che origina da lui e
che contiene a modo di icone e sembianze i suoi divini paradigmi, gradualmente e con ordi­
ne saliamo, per quanto è a noi possibile, verso ciò che si colloca al di là di tutto, immer­
gendosi sempre più nell'aferesi e nel superamento di tutto, e nella causa che riunifica ogni
cosa» (De divinis nominibus, VII,3: PG 3.869D-872A).
101 De mystica theologia, V: PG 3.1045D.1048AB.
102Osserva in proposito Yannaras: «L'apofatismo teologico, in quanto iconismo analogi­
co, costituisce un superamento della metodologia teorico-gnoseologica: sia della via analo­
gica delle affermazioni e negazioni che del procedimento induttivo della causalità» (C.
Y a n n a r a s , Heidegger e Dionigi Areopagita. Assenza e ignoranza di Dio, Città Nuova,
Roma 1995, 69).

102
La teologia cristiana del pluralismo religioso

una nostra conoscenza esauriente e adeguata di Dio, non esclude affat­


to che noi conosciamo qualcosa di lui attraverso le sue opere e attraver­
so quanto ci ha rivelato.103

M eister Eckhart

Il rappresentante più significativo della «mistica renana», Meister


Eckhart, si colloca sulla scia della «teologia negativa» e le conferisce una
connotazione più marcatamente spirituale. Motivo conduttore della pro­
duzione di questo singolare teologo-mistico è il «nulla», categoria che in
lui ricorre continuamente e quasi ossessivamente.104
Al «nulla» deve essere ridotta prima di tutto la ragione umana, quan­
do si mette di fronte a Dio: l'uomo può solo fare «deserto» (Wiìste) per­
ché Dio possa entrare in lui; può solo diventare sordo e cieco, diventare
come un bimbo, perché Dio possa fare tutto. «Il tuo io personale deve
annullarsi» - «Esci, che Dio entri!». Questi versi, oltre a rappresentare
«un momento culminante della poesia spirituale del medioevo tede­
sco»,105 rappresentano «il messaggio religioso fondamentale di Eckhart,
presente in tutti i suoi scritti».106 La ragione può solo procedere per via
negativa, eliminando gradualmente dall'orizzonte della teologia ciò che
Dio «non è».107 Eckhart conduce l'apofatismo all’affermazione estrema
che Dio non è «essere», ma è «al di sopra dell'essere».108

103 Alcuni tra i testi più rappresentativi si trovano in s. Tommaso: cf. STh I, q. 12, a. 11;
I, q. 13, a. 5.
104 Cf. K. R u h , Mefs(er Eckhart. Teologo - Predicatore - Mistico, Morcelliana, Brescia
1989, 118. Il volume si raccomanda per la chiarezza e l'abbondante documentazione.
105 R u h , Meister Eckhart, 70.
106 R u h , Meister Eckhart, 77.
107 La dipendenza dall'apofatismo dello Pseudo-Dionigi è evidente in molte pagine di
Eckhart. Rappresentativa è quella che segue, tratta dal Sermone 46 su Pr 13,13, «Beatus
homo qui invenit sapientiam»: «Un Maestro dice: T\itto quello che si può affermare di Dio,
è Dio. Un altro dice: Tutto quello che si può affermare, non è Dio. Entrambi dicono il vero.
Agostino dice: Dio è potenza, sapienza e bontà. Dionigi dice: Dio è sovrasapienza e sovra-
bontà e sopra a tutto quello che si può affermare. Perciò nella Scrittura si danno a nostro
Signore tanti nomi, e per due motivi: il primo è che non si può cogliere la sua nobiltà con
nessuna parola, perché egli è al di fuori e al di sopra di ogni natura e ha una nobiltà non
naturale. Ora lo si chiama Potenza, ora lo si chiama Luce, ma egli è al di sopra di tutte le
luci. Perciò lo si chiama "questo e quello", e ciò perché egli non è, in senso proprio, nessu­
na di queste cose. Se si potesse cogliere con qualche nome la sua nobiltà, egli manterreb­
be sempre tali nomi. Può parlare maggiormente di Dio chi più lo nega - come si può dimo­
strare con l'esempio della nave. Se io volessi dare l’idea di una nave a una che non ne ha
mai viste, gli direi che non è di pietra né di paglia, e cosi gli avrei comunicato qualcosa di
questa nave. - Due Maestri stavano pregando. Uno invocò nostro Signore nella sua poten­
za e sapienza. L'altro disse: Taci, tu bestemmi Dio. Dio è tanto elevato al di sopra di tutto
quel che possiamo dire, che, se non fosse così umile, e i santi non avessero parlato così e
Dio non lo avesse accettato da loro, io non mi azzarderei a lodarlo con parole» (testo in R u h ,
Meister Eckhart, 83-84, con piccole varianti nella traduzione).
108 Leggiamo ad es. in un sermone tedesco: «Dio è qualcosa che è necessariamente al
di sopra dell'essere. Infatti ciò che ha essere, tempo o luogo non tocca Dio. Egli sta al di

103
Annunciare Cristo alle genti

Al «nulla», in secondo luogo, deve essere ridotta la volontà umana,


quando si pone davanti a Dio. In questo ulteriore passaggio le formula­
zioni di Eckhart raggiungono in effetti paradossi tali da mettere in allar­
me (non senza fondamento) il magistero stesso:
Dio non è essere e non è bontà. La bontà è legata all'essere, e non è più
ampia dell'essere. Dio non è buono, né migliore, né ottimo. Chi dicesse che
Dio è buono, sbaglierebbe, come se affermasse che il sole è pallido o nero.109
Se Dio non è «essere», dunque, l’uomo che voglia averne qualche
conoscenza deve abbandonare ogni concetto, ragionamento, argomenta­
zione; ma se Dio non è neppure «bene», l’uomo che intenda entrare in
contatto con lui deve anche tralasciare ogni atto di volontà.110 La pro­

sopra. Dio è in tutte le creature, nella misura in cui hanno l'essere, ed è tuttavia al di sopra
di esse. Ciò che fa che egli sia in tutte le creature, lo situa anche al di sopra di esse: ciò che
è uno in molte cose, deve necessariamente essere sopra di quelle [...]. Ogni cosa opera nel
proprio essere, nessuna può operare al di sopra del proprio essere. Il fuoco non può opera­
re che nel legno. Dio opera al di sopra dell'essere, in quella ampiezza in cui può muoversi.
Egli opera nel non essere. Dio operava anche prima che vi fosse l'essere; operava l'essere
prima che l'essere vi fosse. Alcuni maestri dallo spirito rozzo dicono che Dio è un puro esse­
re, ma egli è così elevato al di sopra dell'essere quanto il più elevato degli angeli lo è al di
sopra del moscerino. Se chiamassi Dio essere, parlerei tanto falsamente quanto se dicessi
che il sole è pallido o nero. Dio non è né questo né quello. Un Maestro dice: Chi crede di
aver conosciuto Dio, e con ciò di aver conosciuto qualcosa, non lo conosce affatto. Ma quan­
do ho detto che Dio non era un essere e che era al di sopra dell'essere, non gli ho con que­
sto negato l'essere, bensì, al contrario, gli ho attribuito un essere più elevato» (Predigt 10
«Quasi stella matutina», in M e is t e r E c k h a r t , Deutsche Predigten und Traktate, hrsg. u.
ubers. von J. Q u in t , Diogenes, Zurich 1979, 194.196).
109 M e is t e r E c k h a r t , Deutsche Predigten und Traktate, 197. N e lla b o lla d i G io v a n n i
X X I I In agro dominico, d e l 1329, d o v e v e n g o n o c o n d a n n a t e 28 p r o p o s iz io n i to lte d a lle
o p e re d i E c k h a r t, è r ip o r ta ta q u a s i le tte r a lm e n te l'u lt im a p a r te d e l p a s s o a p p e n a citato:
« D e u s non est bonus neque melior neque optimus; ita male dico, quandocumque voco
Deum bonum, ac si ego album vocarem nigrum» (Denz 978). L a p r o p o s iz io n e c ita ta p e r u l t i ­
m a v ie n e c o n d a n n a ta c o m e « e r e tic a » (in s ie m e a d a ltre s e d ic i) e n o n s e m p lic e m e n te c o m e
«male sonans» (sorte c h e to c c a a d a ltre u n d ic i) (cf. Denz 9 7 9). «L ’a s s e rz io n e in c r im in a ta
te s tim o n ia il p r o b le m a d i fo n d o d e l p r o c e d im e n to d i a c c u s a : l'is o la m e n to d i p r o p o s iz io n i
s in g o le . È c e r ta m e n te s c io c c a n te , a n z i b la s fe m o , p e r d e i f e d e li a p p r e n d e r e d a lla b o c c a d e l
p r e d ic a to r e c h e è fa lso c h ia m a r e D io " B e n e " . N e l co n te sto , in v e c e , l'a ffe r m a z io n e eckhar-
tia n a è m o lto p e n e tr a n te , m a n ie n te a ffa tto in s id io s a » (R u h , Meister Eckhart, 96). Q u i r is u l­
ta p a r tic o la r m e n te p e r tin e n te la fa m o s a o s s e r v a z io n e c h e u n a ltr o g r a n d e m is tic o r e n a n o , J.
T a u l e r , c o m u n ic ò a i s u o i fe d e li a p ro p o s ito (q u a s i c e r ta m e n te ) d i E c k h a r t: « S u c iò v i h a
is tru ito e p a r la to u n a m a b ile m a e s tr o e v o i n o n a v e te c o m p r e s o . E g li p a r la v a d a l p u n t o d i
v is ta d e ll'e te r n ità , e v o i a v e te in te s o s e c o n d o il t e m p o » (Sermone 15 «Clarilica me, pater
charitate», i n J . Ta u l e r , Predigten, h rs g . v o n F. V et t er , J o h a n n e s V e rla g , E in sie d e ln - T rie r
1987, B d . I, 103). R e sta c o m u n q u e il fa tto c h e il lin g u a g g io d i E c k h a r t è q u a n to m e n o im p r e ­
ciso e a m b ig u o .
110Come es., si veda il sermone su Sap 5,16, «lusti vivent in aeternum»: «Devi del tutto
spogliarti della tua volontà propria. Di recente ho avuto questo pensiero: se Dio non voles­
se come me, io vorrei comunque come lui. Molti vogliono avere in ogni cosa una propria
volontà, ma questo è male, insozza le cose. Altri si comportano un po' meglio, vogliono quel
che Dio vuole, non vogliono nulla contro la sua volontà e, se fossero malati, vorrebbero che
fosse volontà di Dio E loro esser sani. Così costoro vogliono che Dio voglia secondo la loro
volontà, invece di volere secondo la sua. Si può ammetterlo, ma non è bene. I giusti non
hanno assolutamente volontà propria: quel che Dio vuole è per essi del tutto uguale, per

104
La teologia cristiana del pluralismo religioso

spettiva di Eckhart si riassume in una sua secca affermazione: «Dove la


creatura finisce, là Dio comincia ad essere» (Wo die Kreatur endet, da
beginnt Gott zu sein).111 Difficilmente si può rendere meglio l'idea del-
l'alterità tra Dio e l'uomo.

N icolò Cusano

Senza poter seguire il filone dell'apofatismo in tutti i suoi rappresen­


tanti, va però menzionata almeno la riflessione di Nicolò Cusano, il quale
per primo - dall'interno della teologia - lo applicò esplicitamente al pro­
blema interreligioso. Rendendo familiare alla storia del pensiero l'e ­
spressione agostiniana «dotta ignoranza»,112 Cusano vi riassume l'unico
approccio a suo parere efficace al mistero di Dio e ne fa il titolo di una
sua famosa opera, la cui tesi di fondo è che ogni conoscenza umana è un
«approssimarsi» alla verità senza mai poter coincidere con essa.113 Per
avvicinarsi alla comprensione di Dio è necessario abbandonare i concet­
ti umani; nel mondo finito le realtà hanno grandezze diverse, dal minimo
al massimo, mentre nel mondo infinito il minimo coincide con il massimo.
È la tesi della coincidentia oppositorum, secondo la quale minimo e mas­
simo coincidono, poiché il minimo è il massimo piccolo possibile e il mas­
simo è il minimo piccolo possibile. Questo è il principio non solo gnoseo­
logico ma anche teologico di base;114 in Dio tutto coincide ed è «circola­
re», mentre noi percepiamo le differenze e le opposizioni perché vedia­
mo le cose in maniera lineare e frammentata.

quanto grande sia il disagio» (Predigt 7, in M e ist er E c k h a r t , Deutsche Predigten und Trak-
tate, 183; cf. anche Predigt 32, ivi, 304-308).
1,1 Predigt 6, i n M e is t e r E c k h a r t , Deutsche Predigten und Traktate, 178.
112 «Est ergo in nobis quaedam, ut ita dicam, docta ignorantia, sed docta spiritu Dei qui
adiuvat infirmitatem nostram» (A g o s t in o , Lettera 130,15,28).
113In maniera efficace egli esprime questa idea attraverso l'esempio del poligono e del
cerchio: «Un intelletto finito [...] non può raggiungere con precisione la verità delle cose
procedendo mediante similitudini. La verità non ha gradi, né in più né in meno, e consiste
in qualcosa di indivisibile; sicché ciò che non sia il vero stesso, non può misurarla con pre­
cisione, come il non-circolo non può misurare il circolo, la cui realtà è qualcosa di indivisi­
bile. Perciò l’intelletto, che non è la verità, non riesce mai a comprenderla in maniera tanto
precisa da non poterla comprendere in modo più preciso, all'infinito; e ha con la verità un
rapporto sìmile a quello del poligono col circolo: il poligono inscritto, quanti più angoli avrà
tanto più risulterà simile al circolo, ma non si renderà mai eguale ad esso, anche se molti­
plicherà all'infinito i propri angoli, a meno che non si risolva in identità col circolo. È dun­
que evidente che, per quanto riguarda il vero, noi non sappiamo altro se non che esso è
incomprensibile nella sua realtà in maniera precisa; che la verità è come la necessità più
assoluta, che non può essere né di più né di meno di ciò che è, e il nostro intelletto è come
la possibilità. L'essenza delle cose, che è la verità degli enti, è intangibile nella sua purez­
za, ricercata da tutti i filosofi, ma da nessuno scoperta nella sua realtà in sé. E quanto più a
fondo saremo dotti in questa ignoranza, tanto più abbiamo accesso alla verità stessa» (N.
C u s a n o , La dotta ignoranza 1,10, in Id., La dotta ignoranza. Le congetture, Rusconi, Milano
1988, 72).
1M C f. C u s a n o , La dotta ignoranza 1,43.45, in Id., La dotta ignoranza. Le congetture, 96-
97 .

105
Annunciare Crùito alle genti

L'applicazione di queste riflessioni alla vexata quaestio dei «nomi divi­


ni» è ovvia: la teologia positiva può raggiungere solo alcuni nomi di Dio,
e precisamente quelli che designano non Dio in sé, che è innominabile e
inconoscibile, bensì solo nel suo rapporto con le creature. Ogni «nome»,
infatti, in quanto desunto dall'ordine creato, obbedisce al principio di non­
contraddizione, delimitando una realtà ed escludendone un'altra: in Dio,
invece, in quanto coincidentia oppositorum, coesistono i contrari.115 Nes­
suna religione, perciò - e dunque neppure quella cristiana - sfugge per
Cusano alla tentazione di proiettare su Dio categorie umane e creaturali.
Egli delinea ima visione unitaria del fenomeno religioso, attribuendo le
differenze tra le varie religioni non a motivi sostanziali bensì accidentali e
precisamente terminologico-concettuali: Dio è unico ma viene definito
con nomi diversi.116 I pagani caddero nell'idolatria non perché diedero a
Dio nomi inadeguati - cosa che anche i cristiani necessariamente fanno -
ma perché considerarono questi nomi positivi come se fossero nomi di Dio
in senso proprio. Questa è anche la tentazione dei cristiani, che perciò
devono correggere la teologia affermativa con la teologia negativa:
Secondo la teologia negativa, in Dio non si trova altro che infinità. Perciò,
secondo tale teologia, egli non è conoscibile né in questo secolo né in quello
futuro, perché ogni creatura è tenebra nei suoi confronti e non può compren­
dere la luce infinita; egli è noto solo a se medesimo.117
Le affermazioni umane sulla verità sono solo «congetture»: e Le con­
getture è infatti il titolo di un'altra famosa opera, nella quale egli applica
anche alla conoscenza della realtà materiale il principio «negativo»
applicato prima a Dio; in essa comunque Cusano aggiunge che il princi­
pio di non-contraddizione vale solo nel mondo umano ma non in quello
divino: «Due più tre fanno cinque soltanto sotto il cielo della ragione»,118
mentre in Dio le contraddizioni si conciliano.
Il Dio nascosto è un ulteriore esempio del procedimento apofatico di
conoscenza di Dio. In quest'opera
un cristiano, solerte assertore della dottrina della «dotta ignoranza», persua­
de con relativa facilità un gentile, in verità assai ben disposto, della palese dif­

1,5 C f. C u s a n o , La dotta ignoranza 1,79-79, in Id., La dotta ignoranza. Le congetture,


117-118. A questa legge non sfugge neppure la «terminologia trinitaria» che, pur entrando
direttamente nel mistero della vita intima di Dio, lo può fare solo partendo da concetti
umani applicati poi analogicamente al mondo divino: «Ed è tanto vero questo, circa tutti i
nomi affermativi, che anche il nome stesso della Trinità e delle Persone, cioè i nomi di
Padre, di Figlio e di Spirito Santo, gli vengono attribuiti in relazione alle creature. Poiché
Dio, per il fatto di essere unità, è generante e Padre, ed essendo eguaglianza dell'unità è
generato e Figlio, ed essendo connessione dell'uno e dell'altro è Spirito Santo, è chiaro che
il Figlio ha questo nome, perché è eguaglianza dell'unità ossia dell'entità o dell'essere»
(1,80, in Id., La dotta ignoranza. Le congetture, 118).
116 C f. C u s a n o , La dotta ignoranza 1,82.83.84, in Id., La dotta ignoranza. Le congetture,
119.120.121.
117 C u s a n o , La dotta ignoranza 1,88-89, in Id., La dotta ignoranza. Le congetture, 124 (cf.
a n c h e 11,11, iv i, 139).
118 C u s a n o , Le congetture, in Id., La dotta ignoranza. Le congetture, 292.

106
La teologia cristiana del pluralismo religioso

ficoltà di fare di Dio un oggetto come un altro della nostra conoscenza. Poiché
la verità precisa delle cose ci è interdetta - nulla sappiamo della essenza del­
l'uomo o di quella della pietra -, conosciamo soltanto mere apparenze, ed è su
di esse che fonda le sue certezze il nostro sapere. Inutile pertanto il tentare di
attribuire a Dio un nome e dei caratteri, che la nostra ragione non potrebbe
fare a meno di attingere dal mondo creaturale, esplicazione contratta della
perfezione divina, e dalle «congetture» prodotte dall'attività del nostro intel­
letto. Dio, che è il massimo assoluto che in sé tutto complica e comprende, tra­
scende ogni definizione restrittiva data dalla ragione [...] ed è così di gran
lunga preferibile pensare a lui come a un dio ignoto e senza nome, piuttosto
che come a un essere provvisto di caratteri e qualità, sia pure di genere eccel­
so, e al quale sia perciò possibile assegnare nome e attributi.119

3 .4 . 2 . L a p i s t a g n o s e o l o g i c a
ILLUMINIS TA:
J ea n -Jacqu es R o u ssea u ,
Im m a n u e l K ant,
G o t t h o l d E p h r a im L e s s in g ,
E rnst T roeltsch
La seconda metà del XVII e l'intero XVIII secolo sono percorsi dall'a­
nelito alla pace e armonia tra le nazioni, che si volevano raggiungere
facendo leva sull'uomo, sulla natura, sulla ragione. Fu un periodo di
grande ottimismo nelle capacità umane, nella bontà originaria della
natura e nella ragione. Le religioni infatti, nella convinzione di molti,
avevano dimostrato di contrastare la pace e favorire guerre e battaglie;
vicende dolorose segnavano da secoli i rapporti tra cristiani e musulma­
ni: dalle crociate alla battaglia di Lepanto del 1571 e al tentativo di con­
quistare Vienna da parte dei turchi nel 1683; i rapporti tra le diverse
confessioni cristiane, poi, erano segnati dall'incomprensione e dalla vio­
lenza: si pensi solo alla devastante «guerra dei trent’anni», combattuta
tra il 1618 e il 1648, dove politica e odio religioso si intrecciavano ine­
stricabilmente.
L'illuminismo aveva coniato e diffuso l’ideale della pace mondiale,
che sembrava comportare il superamento delle differenze tra le religio­
ni e l'unificazione dell'umanità sotto una medesima religione, universa­
le e razionale, che avrebbe dovuto cancellare la diversità dei «riti» (le
singole tradizioni religiose), con le loro peculiarità, e convergere su
alcuni contenuti comuni e condivisi: Dio, la libertà umana e l'immorta­
lità dell'anima. Questo grande progetto, che verrà svolto sistematica-
mente nella poderosa riflessione di I. Kant (f 1804), trova una delle
espressioni letterarie più incisive nell'opera L'Emilio o d e ll’educazione
di J.-J. Rousseau (f 1778).

119L. M a n n a r in o , Introduzione a N. C u san o, II Dio nascosto, Laterza, Bari 1995, X-XI.

107
Annunciare Crùito alle genti

Je a n -Ja c q u e s Rousseau

Basterà richiamare, del romanzo pedagogico di Rousseau,120 qualche


passaggio dalla quarta parte, che inizia con la famosa «Professione di
fede del vicario savoiardo», per avere un'illustrazione fedele dell'impo­
stazione illuministica a riguardo delle religioni. Verso la fine della sua
esposizione, il vicario difende come unica religione valida quella «natu­
rale», che si ottiene attraverso l'esercizio della ragione e l’uso della
coscienza individuale.
Di che cosa posso essere colpevole servendo Dio secondo i lumi ch'egli dà
al mio spirito, e secondo i sentimenti che ispira al mio cuore? Quale purezza
di morale, quale dogma utile all'uomo e onorevole al suo Autore posso io trar­
re da una dottrina positiva, ch'io non possa trarre senza di essa dal buon uso
delle mie facoltà?121
Che cosa aggiungono di importante, continua il vicario, le rivelazioni
particolari a quella naturale? Esse, anzi,
non fanno che degradare Dio, dandogli le passioni umane. Anziché chiarire le
nozioni del grande essere, vedo che i dogmi particolari le ingarbugliano; che,
lungi dal nobilitarle, le avviliscono; che ai misteri inconcepibili che lo circon­
dano aggiungono contraddizioni assurde, rendono l’uomo orgoglioso, intolle­
rante, crudele; invece di stabilire la pace sulla terra, vi portano il ferro e il
fuoco. Io mi domando a che cosa serva tutto ciò, senza sapermi dare una rispo­
sta. Non vi vedo che i delitti degli uomini e le miserie del genere umano.122
Le rivelazioni, continua il vicario, sono frutti dannosi della fantasia
umana:
Mi dicono che occorreva una rivelazione per insegnare agli uomini il modo
con cui Dio voleva essere servito; allegano in prova la diversità dei culti stra­
vaganti che hanno istituiti; e non vedono che questa stessa diversità proviene
dalla fantasia delle rivelazioni. Appena i popoli hanno immaginato di far par­
lare Dio, ciascuno l’ha fatto parlare a modo suo e gli ha fatto dire quello che
ha voluto. Se non si fosse ascoltato altro che ciò che Dio dice al cuore dell’uo­
mo, non ci sarebbe stata che una sola religione sulla terra.123
Dopodiché attacca direttamente ogni pretesa di possedere la verità
assoluta ed esclusiva da parte delle singole religioni:
Non trovavo, nei dogmi della religione naturale, che gli elementi di ogni
religione. Consideravo quella diversità di sètte che regnano sulla terra, e che
si accusano reciprocamente di menzogna e di errore; io domandavo: «Qual è
la buona?». Ciascuno mi rispondeva: «È la mia». Ciascuno diceva: «Io solo e
i miei partigiani pensiamo giustamente;•tutti gli altri sono nell’errore». «E
come sapete che la vostra sètta è buona?». «Perché Dio l’ha detto». «E chi vi
dice che Dio l’ha detto?». «Il mio pastore, che lo sa bene. Il mio pastore mi dice
di credere così, ed io così credo; egli mi assicura che tutti coloro i quali dico­

120 Citiamo da J.-J. R o u s s e a u , L'Emilio, in Id., Opere, Sansoni, Milano 1993, 349-712.
121 R o u s s e a u , L'Emilio, 562.
122 R o u s s e a u , L'Emilio, 562-563.
123 R o u s s e a u , L'Emilio, 562.

108
La teologia cristiana del pluralùmo religioso

no diversamente da quello che dice lui mentono e io non li ascolto». Che!,


pensavo io, la verità non è una? E quello che è vero per me può essere falso
per voi?124
Il discorso prosegue con una critica fortissima alla pretesa di esclusi­
vità salvifica di alcune religioni: e non sarà difficile leggervi specialmen­
te un attacco all'interpretazione rigorista dell' «Extra Ecclesiam nulla
salus», che Rousseau riteneva quella ufficiale della Chiesa.
O tutte le religioni sono buone e gradevoli a Dio, o, se ce n'è una ch’egli
prescriva agli uomini, punendoli di non riconoscerla, egli le ha dato dei segni
certi e manifesti per essere distinta e conosciuta per la sola vera: questi segni
sono di tutti i tempi e di tutti i luoghi, egualmente sensibili a tutti gli uomini
grandi e piccoli, dotti e ignoranti, europei, indiani, africani, selvaggi. Se esi­
stesse sulla terra una religione fuori della quale non ci fossero che pene eter­
ne, e se in qualche luogo del mondo un solo mortale di buona fede non fosse
stato colpito dalla sua evidenza, il Dio di questa religione sarebbe il più ini­
quo e il più crudele dei tiranni.125
Infine, dopo aver messo sotto accusa la credibilità di molte delle cre­
denze cristiane e dei documenti sui quali si basano, conclude precisando
il senso e i compiti delle diverse religioni:
Considero tutte le religioni particolari come altrettante istituzioni salutari
che prescrivono in ogni paese una maniera uniforme di onorare Dio con un culto
pubblico, e che possono tutte avere le loro ragioni nel clima, nel governo, nel
genio del popolo, o in ima qualche altra causa locale che rende l'una preferibi­
le all'altra, secondo i tempi e i luoghi. Io le credo tutte buone quando vi si serve
Dio convenientemente. Il culto essenziale è quello del cuore. Dio non ne riget­
ta l'omaggio, quando esso è sincero, sotto qualunque forma gli sia offerto.126

Im m anuel Kant

La concezione epistemologica soggiacente alla posizione pluralista utiliz­


za la distinzione di Kant tra noumeno e fenomeno. Dio, o la Realtà ultima, tra­
scendente e inaccessibile aU'uomo, potrà essere sperimentato soltanto come
fenomeno, espresso con immagini e nozioni culturalmente condizionate; ne
segue che rappresentazioni diverse della stessa realtà non si escludono neces­
sariamente tra loro a priori.127

124 R o u s s e a u ,L'Emilio, 563.


125 R o u s s e a u ,L'Emilio, 563. 11vicario rende esplicita la sua repulsione verso l'assioma
qualche pagina più avanti, quando riassume così la sua predicazione: «Onorato del sacro
ministero, quantunque sia nell'ultimo posto, non farò né dirò mai niente che mi renda inde­
gno di adempiere i sublimi doveri. Predicherò sempre la virtù agli uomini, li esorterò sem­
pre a far bene; e, finché potrò, ne darò loro l'esempio. Non dipenderà da me di rendere loro
la religione amabile; non dipenderà da me di consolidare la loro fede nei dogmi veramen­
te utili e che ogni uomo è obbligato a credere: ma Dio non voglia che mai predichi loro il
dogma crudele dell'intolleranza; che mai li porti a detestare il loro prossimo, a dire agli altri
uomini: "Voi sarete dannati"; a dire: "Fuori della Chiesa non c'è salvezza!"» (ivi, 574).
126 R o u s s e a u , L'Emilio, 573-574.
127 C o m m i s s io n e t e o l o g ic a in t e r n a z io n a l e , Il cristianesimo e le religioni, in La Civiltà
cattolica 148(1997)1, 146-183, n. 14. La gnoseologia kantiana in particolare, come già emer­

109
Annunciare Cruto alle genti

È notissima la tesi kantiana dell'impossibilità di accedere alla «cosa in


sé» (noumeno) attraverso la pura ragione umana, che deve invece accon­
tentarsi della sua «manifestazione», il fenomeno, cioè la «cosa per
me».128 La rivelazione cristiana, stando ai principi kantiani, è solo una
delle approssimazioni al mistero di Dio, forse la più elevata, ma non certo
quella «assoluta», perché assoluto è solo Dio «in sé» (irraggiungibile per
via di conoscenza), non Dio come si rivela «a noi». Se rimane esclusa
ogni pretesa metafisica oggettiva, ogni approccio al divino che abbia
carattere di vera e propria conoscenza deve avvenire per via di «ragion
pura». Ne risulta che
la vera e unica religione contiene solo leggi, cioè principi pratici di cui siamo
in grado di riconoscere la necessità incondizionata, quindi l’origine, nella
ragion pura (non in modo empirico). Solo in vista di una Chiesa - di cui pos­
sono esistere varie forme egualmente buone - si emanano statuti, cioè pre­
scrizioni, considerati divini, che il nostro giudizio morale puro giudica però
arbitrari e accidentali. Ma la valutazione di questa fede statutaria (ristretta in
ogni caso a un popolo e tale da non poter contenere la religione universale)
come essenziale al culto di Dio in generale e la sua assunzione a condizione
suprema del compiacimento di Dio, è illusione religiosa, da cui deriva il falso
culto, cioè quel modo di adorare Dio che è l'opposto diretto del vero culto che
egli pretende da noi.129

Con questa netta separazione tra una religione legittima, «morale-


razionale», e una religione falsa e illusoria, «soprannaturale-statutaria»,
Kant pone le basi per una separazione tra il Cristo-Logos, che come tale
è inconoscibile, e Gesù di Nazaret, che ha rivelato una religione raziona­
le. Se il primo, nel sistema kantiano, rimane inaccessibile, il secondo si fa
talmente accessibile da essere ridotto alla sola dimensione etica: Gesù è
un grande profeta, un ottimo esempio di quale elevatezza possa rag­
giungere il sentimento religioso umano, uno dei grandi maestri dell'u­
manità. La riflessione illuminista kantiana sul cristianesimo trova nume­
rosi seguaci, tra i quali spicca Hegel.130

so a suo luogo, fa da sottofondo alle tesi di J. Hick: cf. le puntuali osservazioni di H uang,
«Religious Pluralism and Interfaith Dialogue», 134-135.
128 È la tesi fondamentale della Critica della ragion pura (1787), testo fondamentale
nella storia della filosofia occidentale: ottima ed. in lingua italiana Laterza, Bari 2000 (in
pari.: «Dottrina trascendentale del metodo», c. II, sezione I e II: pp. 491-503).
129 E. K a n t , La religione nei limiti della semplice ragione (1793); citiamo dall'ed. italia­
na TEA, Milano 1997, 177.
130Basta leggere il volumetto su Gesù per rendersi conto di come il discepolo segua da
vicino il maestro: G.W.F. H e g e l , Vita di Gesù (1795), (Gdt 278), Queriniana, Brescia 2001.
La fortissima critica che Kant levava contro la cosiddetta «religione statutaria» in favore
della «religione naturale» o «razionale» convinse profondamente Hegel: il cristianesimo
doveva spogliarsi di ogni elemento soprannaturale, di ogni pretesa legge positiva rivelata
e fare spazio solamente alla ragione e alla legge naturale, quella che attraverso la coscien­
za alberga nel cuore di ogni essere umano. Cristo non è venuto a dare nuove leggi rivela­
te, bensì a risvegliare nella coscienza dell'umanità la propria «dignità», cioè la consapevo­
lezza che l'uomo, compiendo il bene ed evitando il male, raggiunge l’altissimo scopo per il
quale Dio lo ha creato. Un’affermazione per tutte, tra quelle che Hegel mette in bocca a
Gesù nelle sue parafrasi del vangelo: «Rispetto per voi stessi, fede nella santa legge della

110
La teologia cristiana del pluralismo religioso

G otthold Ep h raim Lessing

Contemporaneamente all'elaborazione e alla prima diffusione delle


teorie gnoseologiche di Kant, G.E. Lessing riflette, nel medesimo clima
illuminista, sull'assolutezza del cristianesimo, con la proposta di
dissociare Gesù da Cristo: in quanto una individualità storica, contingente,
particolare, non può pretendere a una universalità, a una normatività, a una
assolutezza quale appunto il cristianesimo vorrebbe riconoscere e attribuire a
Gesù.131

Tutta la cristologia successiva si muove dentro a questo problema - noto


appunto come «il problema di Lessing» - della relazione tra «Gesù» e
«Cristo», cadendo a volte nella negazione del divino per assolutizzare
l'umano (teologia liberale e seguaci), altre volte nella negazione dell'u­
mano per assolutizzare il divino (teologia bultmanniana e seguaci). Poi­
ché entrambe le estremizzazioni partono dallo stesso assunto, alla fine si
toccano e convergono nel delineare kantianamente un Gesù profeta,
grande uomo, maestro universale, ispirato da Dio... ma non propriamen­
te «Figlio di Dio». Su queste basi è ovvio che la cristologia dall’alto, pre­
sente già nel NT e poi definita nei primi grandi concili ecumenici, viene
considerata un’aggiunta posteriore all’«essenza» originaria del messag­
gio di Gesù.
Lessing vede nell’umanità che si evolve una crescita graduale, che
percorre diverse tappe: la prima, corrispondente all'AT, è l'età infantile;
la seconda, coincidente con la venuta di Cristo, è l'età giovanile; la terza,
caratterizzata dall'uso libero della ragione, è l'età adulta. Cristo è per
Lessing il primo maestro che abbia saputo ispirare tutta la sua predica­
zione e azione al principio dell'immortalità dell'anima; è colui che più di
tutti ha reso possibile il successivo sviluppo della ragione e ha così offer­
to un grande contributo all'umanità. È però necessario che ora il cristia­
nesimo abbandoni la pretesa di assolutezza e unicità di Cristo e affermi
ciò che è comune alle altre religioni.
È il principio della «tolleranza» che, per Lessing, deve reggere l'inte­
ro impianto delle religioni. Tra il 1778 e il 1779 egli compone il dramma
in versi Nathan il saggio, una pacata ma ferma esaltazione del principio
di «conciliabilità» delle diverse religioni. L'opera ha per protagonisti tre
personaggi: l'ebreo Nathan, il Saladino e un giovane crociato; tre nemici
che alla fine dell'opera si abbracciano, dimostrando così che le loro tre
rispettive tradizioni religiose sono valide solo nella misura in cui condu­
cono alla rappacificazione. In un passaggio molto significativo per il
nostro argomento, Lessing mette in bocca al crociato una pesante accusa
contro l'assolutizzazione della propria religione, stigmatizzando

vostra ragione e attenzione per il giudice che avete nel petto, per la coscienza, un criterio
che è anche il criterio della divinità: questo ho voluto risvegliare in voi» (ivi, 114). Le due
maggiori censure dell’opera, non a caso, sono i miracoli e la risurrezione di Gesù.
131 G. M o i o l i , «Cristologia», in Dizionario teologico interdisciplinare, Marietti, Casale
Monferrato 1977, 643.

Ili
Annunciare Cristo alle genti

la superbia [degli ebrei], passata al cristiano e al musulmano, che solo il pro­


prio Dio sia il vero Dio [...]. Quando e dove la pia follia di avere il Dio miglio­
re, e di imporlo per questo al mondo intero, ha mai mostrato un volto più fero­
ce di quello che adesso mostra qui?132
Ma la pagina più significativa - e riassuntiva dell'intera impostazione
illuminista - è la famosa parabola degli anelli, che Nathan racconta al
Saladino (cf. w . 1911-2056). Un uomo lasciò a suo figlio un anello di ine­
stimabile valore e dotato del potere di rendere graditi a Dio e agli uomi­
ni, perché lo trasmettesse in eredità al figlio migliore, e così via di gene­
razione in generazione, finché giunse a un padre di tre figli tutti egual­
mente ottimi e degni di riceverlo; così egli fece riprodurre altri due anelli
perfettamente uguali al primo e, in punto di morte, li consegnò ai tre figli
all'insaputa l'uno dell'altro, in modo che ciascuno si ritenesse il migliore.
Come era prevedibile, però, dopo la morte del padre ogni figlio pretese di
guidare il casato e cominciarono a litigare, senza poter sapere a chi era
stato dato l'anello originale; un giudice, interpellato, rispose: «Accettate le
cose come stanno. Ognuno ebbe l’anello da suo padre: ognuno sia sicuro
che esso è autentico. Vostro padre, forse, non era più disposto a tollerare
ancora in casa sua la tirannia di un solo anello. E certo vi amò ugualmen­
te tutti e tre. Non volle, infatti, umiliare due di voi per favorirne uno. OrsùF
Sforzatevi di imitare il suo amore incorruttibile e senza pregiudizi».133

E rn st Troeltsch

Lo studioso che, ben prima dell'affermarsi dell'orizzonte pluralistico,


ha elaborato più a fondo la «relatività» del cristianesimo nel contesto
interreligioso è senza dubbio E. Troeltsch.134 In un famoso e difficile volu­
me del 1902,135 egli affronta direttamente l'argomento, dichiarando
impossibile attribuire al cristianesimo e a ogni altra religione una «asso­
lutezza»: certo, «il cristianesimo, non diversamente da tutti i grandi movi­
menti spirituali, portava con sé dall'origine l'ingenua certezza d'essere la
verità normativa assoluta»,136 ma in realtà

132Cf. G.E. Nathan il saggio, Garzanti, Milano 1992, w. 1293-1300.


L e s s in g ,
133 L e s s in g , Nathan il saggio, w . 2032-2042. Per approfondire l'interpretazione dell'o­
pera di Lessing e del suo significato nel contesto della problematica interreligiosa, cf. l'ot­
timo saggio di K.-J. K u s c h e l , «L'ebreo, il cristiano e il musulmano s’incontrano»? «Nathan
il saggio» di Lessing, (Gdt 318), Queriniana, Brescia 2006.
134 Una trattazione più completa dovrebbe prendere in considerazione, quasi come
«cornice» dell'apporto di Troeltsch, anche altri due grandi studiosi protestanti: F. Schleier-
macher e P. Tillich. Per approfondire il primo autore nell'ottica che a noi interessa, cf. G.
S c h n u r r , «Christentum und Religion bei Friedrich Schleiermacher und Karl Barth», in J.
D o r è (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel, Namur 199/, 35-49. Per ù secon­
do, è utile partire dal testo «classico»: P. T il l ic h , Christianity and Encounter oi thè World
Religions, Columbia University, New York 1963.
135 E. T r o e l t s c h , L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, Morano,
Napoli 1968.
136 T r o e l t s c h , L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 40.

112
La teologia cristiana del pluralismo religioso

la storia non conosce un concetto universale dal quale le sia possibile dedurre il
contenuto e la successione dell’effettivo accadere; conosce solo fenomeni con­
creti, individuati, sempre condizionati in un contesto, realtà di fatto e non già
logicamente deducibili. La storia, proprio per questo, non conosce norme e valo­
ri coincidenti con universali di fatto, norme e valori essa li conosce solo sotto l'a­
spetto di idee universalmente valide o con pretesa di universale validità, che
sempre si presentano in forma individuata, e che tale loro universale validità
proclamano non già in accordo, ma in lotta con la pura realtà di fatto. Per tutte
queste ragioni la storia non conosce un'evoluzione nella quale l'universale effet­
tuale, nel suo necessario dispiegarsi, generi e realizzi l'universale assiologico, e
ignora da ultimo una realizzazione assoluta del concetto universale in un conte­
sto storico: sempre, in ogni punto del suo realizzarsi, l'universale dà origine solo
a fenomeni particolaristicamente determinati e limitati e perciò individuati.137
Da queste osservazioni provengono le lapidarie sentenze poste all'ini­
zio e alla fine del libro:
La costruzione del cristianesimo come religione assoluta è, dal punto di
vista storico e con mezzi storici, impossibile.138
Una figura di cristianesimo immutabile sarebbe la fine del cristianesimo.
Essa non è mai esistita, e potrebbe esistere (paradossalmente) solo se il cri­
stianesimo fosse realtà puramente intrastorica (o intramondana).139
I motivi di questa impossibilità si riassumono nel fatto che
il cristianesimo è, in tutti i momenti della sua storia, un fenomeno puramente
storico con tutti i condizionamenti propri appunto di un fenomeno storico indi­
viduato, e non si differenzia in questo per nulla dalle altre grandi religioni.140
Il metodo che si fonda sul tentativo di costruire il cristianesimo come la reli­
gione assoluta è dunque insostenibile. Se i padri della teologia storico-evolutiva
lo hanno potuto instaurare, ciò è solo perché la storia delle religioni era, al loro
tempo, ancora oltremodo povera e ristretta e perché le loro ricerche sul cristia­
nesimo oscillavano ancora tra parziali interpretazioni razionalistico-pragmati-
che e fantasie poetico-intuitive. Soltanto sulla nebbia di ima conoscenza storica
ancora molto indeterminata poteva brillare l'arcobaleno di simili costruzioni.141

In realtà «non è concesso di parlare di una religione assoluta prima


della fine della storia».142 Ora, «poiché "storicità" e "relatività" sono la
stessa cosa»,143 si deve dire che il cristianesimo è un fenomeno relativo,
come le altre religioni. Il fatto che poi Troeltsch, per via di paragone tra
le diverse tradizioni, parli comunque di una «superiorità» del cristianesi­
mo e di una superiorità tale che difficilmente sarà eguagliata o resa obso­
leta,144 non incide sul suo rifiuto della categoria di «assolutezza»:

137 T r o e l t s c h , L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 66.


138 T r o e l t s c h , L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 62.
139 T r o e l t s c h , L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 222.
140T r o e lt s c h , L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 89.
141 T r o e l t s c h , L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 77.
142 T r o e l t s c h , L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 69.
143 T r o e l t s c h , L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 89.
144 « Il cr is tia n e s im o p u ò essere c o n s id e ra to n o n s o lta n to c o m e il p u n t o c u lm in a n te , b e n s ì
a n c h e c o m e i l p u n t o d i c o n v e r g e n z a d i tu tte le lin e e e v o lu tiv e d e lla r e lig io n e c h e c i è d a to

113
Annunciare Cruto alle genti

11 cristianesimo rimane la grande rivelazione di Dio agli uomini, anche se


le altre religioni - con la forza che hanno di elevare al di sopra della terra, del
dolore e della colpa - sono parimenti rivelazioni di Dio, e anche se non c'è teo­
ria che possa escludere, in astratto, la possibilità di ulteriori rivelazioni.145

3 .4 . 3 . L a p i s t a
POST-MODERNA

Il clima culturale odierno è «pluralista» a tutti i livelli:146 dal punto di


vista politico è segnato dalla democrazia, che si fonda sulla pluralità delle
opzioni possibili; dal punto di vista della comunicazione, è caratterizzato
dalla possibilità di accedere immediatamente a tutte le informazioni desi­
derate; il mercato economico presenta e reclamizza un enorme ventaglio
di prodotti... Le religioni, anche a motivo della mobilità e del fenomeno
migratorio, nella percezione di molti si inseriscono in questo clima plura­
lista. Il pensiero post-moderno - che in occidente ha preso il posto del­
l'ateismo militante -, tendente a identificare religione e irrazionalità,
diviene il nuovo contesto della missione: se infatti non si deve ricercare
un piano oggettivo né per la verità né per la salvezza, tutto si risolve nel­
l’adesione irriflessa del soggetto alla religione che per lui si presenti
come la migliore.147

co n o s c e re e p u ò p e r ta n to , n e l c o n fr o n to c o n le a ltre r e lig io n i, esser d e s ig n a to c o m e la s in ­


te s i c a p ita le e in s ie m e c o m e l'in iz io d i u n a v ita s o s ta n z ia lm e n te n u o v a » (T r o e l t s c h , L'asso­
lutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 128-129).
145 T r o e l t s c h , L’assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni, 142-143.
146Per un accostamento al tema del «pluralismo», nelle sue varie sfaccettature - teolo­
gica, ecclesiologica, interreligiosa, interculturale - rimandiamo a un nostro specifico contri­
buto: «Pluralismo, magistero e teologia», in Rivista di teologia dell'evangelizzazione
7(20 03 )13 , 83-149.
147 La correlazione tra teologia pluralista e post-modernità è stata evidenziata ripetuta-
mente. Per G. A n g e l i n i , «Cristianesimo e religione», in Teologia 17(1992), 105-114, il teo­
centrismo o pluralismo costituisce la resa della teologia di fronte alla «deriva irrazionale»
della religione, rappresentata da vari movimenti religiosi (sia quelli esoterici orientaleg­
gianti sia quelli fondamentalisti di derivazione cristiana): questi, presentandosi come alter­
nativi alla civiltà, favoriscono un distacco sempre più marcato tra razionalità e religione, e
quindi l'irrazionalità e il soggettivismo. Angelini perciò, oltre a respingere decisamente il
carattere «teologico» della tesi teocentrica (che «potrebbe al massimo essere qualificata
come tesi di carattere filosofico o religioso»: p. 107), segnala il pericolo che la sua diffusio­
ne possa approfondire il distacco tra cultura e religione. Anche per questo motivo, conclu­
de l'autore, deve essere decisamente respinta. Riflessioni affini si trovano ir. G.L. M O l l e r ,
«Le basi epistemologiche di una teologia delle religioni», in M . S e rret t i (ed.), Unicità e
universalità di Gesù Cristo. In dialogo con le religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001,
35-64: già nelle prime righe del suo studio l'autore esprime la tesi di fondo: «La teoria dive­
nuta nota sotto il nome di "teologia del pluralismo religioso - teologia pluralistica delle reli­
gioni", così come viene sostenuta da John Hick, da Paul Knitter e da altri, rispecchia il
mondo secolarizzato e post-cristiano della civiltà europea-nordamericana» (p. 35),- anche
lui, come Angelini, nega che questa impostazione possa essere definita «teologia cristia­
na» (p. 49). Anche A. R i z z i , in Gesù e la salvezza. Tra fede, religioni e laicità, Città Nuova,
Roma 2001, esprime l’impressione che la posizione pluralista «sia fortemente debitrice di

114
La teologia cristiana del pluralismo religioso

Il debito che la teologia pluralista contrae verso la post-modernità


viene a suo modo evidenziato anche nella critica radicale di K. Surin a
J. Hick e a W.C. Smith;148 secondo Surin la «rivoluzione copernicana»
dei pluralisti è dovuta alla «cattiva coscienza» che il cristianesimo occi­
dentale sta vivendo a motivo dell'atteggiamento trionfalistico messo in
atto nei secoli passati, dell'aggressività missionaria verso le religioni non
cristiane (specialmente verso l'islam nel medioevo) e del colonialismo
che - a loro parere - ha connotato l’atteggiamento della Chiesa, allean­
dosi con le potenze politiche ed economiche occupanti.
Studiando le relazioni tra il pluralismo inteso come fenomeno cultu­
rale generale e l'atteggiamento relativistico post-moderno nei confron­
ti della verità, H. Waldenfels ritiene che la presa di coscienza della plu­
ralità delle religioni da parte delle masse, e della verità che ciascuna di
esse avanza, produca una quadruplice reazione: scetticismo superficia­
le (rigetto «in blocco» di ogni religione, senza la preoccupazione di
documentarsi); atteggiamento pragmatistico (tutte le religioni sono
uguali: l'appartenenza all'una o all'altra dipende dalla concreta origine
e cultura in cui ciascuno si trova); selettivo-sincretistico (la religione
come «affare privato» - Privatsache - da scegliere a seconda dei gusti
e dell'utilità di ciascuno); atteggiamento conservatore-impaurito (ade­
sione acritica alla propria tradizione religiosa senza alcuna apertura
alle altre).149
Nell'ambito di questa pista si può menzionare anche la notevole sim­
patia che l'occidente odierno nutre verso le religioni orientali non cristia­
ne, specie l'induismo e il buddhismo - anche se spesso «addomesticati» -
e che determina il moltiplicarsi di gruppi e movimenti ad esse ispirate. In
queste religioni il «pluralismo» è ben noto, e si può quasi definire la cifra
interpretativa da esse adottata nella considerazione delle altre religioni,
tra le quali il cristianesimo.150

questo clima post-moderno» e aggiunge - dopo aver notato una carenza quasi completa
dei riferimenti scritturistici nella posizione pluralista: «Ora, se l’ottica dei "pluralisti"
fosse quella di una filosofia della religione, questa rimozione delle scritture bibliche
sarebbe, non dirò giustificabile, ma tollerabile. A renderla sconcertante è il fatto che si
tratta di teologi cristiani, che in quanto tali affrontano il problema della salvezza» (pp.
24.28). Sulla stessa lunghezza d'onda anche le osservazioni di J. W e r b ic k , «Der Plurali­
s m i der pluralistichen Religionstheologie. Eine Anfrage», in S c h w a g e r (hrsg.), Christus
allein?, 141-146.
148 K. S u r in , «Towards a "Materialist" Critique of "Religious Pluralism": A Polemical
Examination of thè Discourse of John Hick and Wilfred Cantwell Smith»», in The Thomist
53(1989), 655-673.
149H. W a l d e n f e l s , «Das Christentum im S tre it der Religionen um die Wahrheit», in W.
K e r n - H.J. P o t t m e y e r - M. S e c k l e r (hrsg.), Handbuch der Fundamentaltheologie, I, Her­
der, Freiburg-Basel-Wien 1985, 241-265, in part. 242-243.
150Cf. J.B. T r a p n e l l , «Indian Sources of thè Possibility of a Pluralist View of Religions»,
in Journal of Ecumenica1Studies 35(1998), 210-232.

115
Annunciare C riito alle genti

Conclusione
Le tre piste, teologico-negativa, filosofico-gnoseologica e culturale post­
moderna, costituiscono dunque le «radici» dell'orizzonte pluralista: come è
emerso nell'esposizione delle riflessioni di alcuni suoi rappresentanti, esse
vengono poi fuse con i risultati della ricerca sul cosiddetto «Gesù storico»
- in particolare le tesi di Hamack e Bultmann che, sebbene da sponde
opposte, concordano nel dividere il Logos da Gesù - e danno origine alla
tesi della distinzione netta tra l'essere e l'agire «divino» da ima parte
(mistero, Realtà ultima, Logos, Cristo, ecc.) e l'essere e l’agire «umano»
dall'altra (i diversi «profeti» di Dio: Gesù, Buddha, Maometto, ecc.).

3 .5 . « S a l v e z z a » e « m i s s i o n e »
N E L P A R A D IG M A P L U R A L IS T A

Non solo la dimensione della verità - come abbiamo appena appura­


to - ma anche quella della salvezza è decisamente in gioco nel paradig­
ma pluralista. Le conseguenze più evidenti si collocano sul piano della
missione ecclesiale. La crisi della missione intesa come annuncio del van­
gelo e costruzione della Chiesa, già iniziata neH'immediato post-concilio,
viene aggravata dalle proposte di superamento del cristocentrismo ad
opera del pluralismo: se la salvezza è sganciata dalla mediazione univer­
sale di Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato morto e risorto, e agganciata
a qualunque mediazione e all'adesione ai valori universali del regno di
Dio riscontrabili in ogni tradizione religiosa, è ovvio che la missione della
Chiesa deve cambiare radicalmente contenuti e modalità.
Nessuno meglio di Knitter ha declinato coerentemente i concetti di
salvezza e missione nel contesto del paradigma pluralistico e ne ha
dedotto le conseguenze per la vita e l'attività ecclesiale. L'esito finale
del pensiero di Knitter, come già accennato, è costituito dal «soterio-
centrismo» o «una teologia della liberazione delle religioni», che può
maturare da un dialogo approfondito tra i teologi della linea teocentri­
ca e i teologi della liberazione. Così egli illustra l'approdo della sua
riflessione:
Il fondamento e l'interesse principale di ogni valutazione teologica di altre
religioni non è il loro rapporto con la Chiesa (ecclesiocentrismo), o col Cristo
(cristocentrismo), o anche con Dio (teocentrismo), bensì la misura in cui sono
in grado di promuovere la salvezza: il benessere dell'umanità [...]. L’evoluzio­
ne nella teologia cattolica delle religioni, menzionata sopra, deve quindi anda­
re al di là del teocentrismo, verso il soteriocentrismo. Tale movimento prende
sul serio la critica, giustificata, fatta alle teologie teocentriche: sostenendo che
Dio è la base comune per il dialogo, i cristiani, implicitamente ma ancora impe-
rialisticamente, impongono le proprie nozioni della divinità ad altre religioni
che (come il buddhismo) possono non nutrire alcun desiderio di parlare di Dio
o della trascendenza (...). La preoccupazione primaria di una teologia delle
religioni non dovrebbe essere la «credenza giusta» sull'unicità di Cristo, ma la
«pratica giusta», con altre religioni, della promozione del Regno e della sua

116
La teologia cristiana delpluralismo religioso

soteria. Inoltre, i cristiani non hanno bisogno di chiarezza ortodossa sul fatto
che Gesù è l'«unica norma», o la norma «finale» o «universale», per fare espe­
rienza della verità liberante del suo messaggio e per dedicarvisi totalmente.
Non coloro che proclamano «Signore, Signore», ma quelli che fanno la volontà
del Padre entreranno nel regno dei cieli (cf. Mt 7,21-23).151
Questo orientamento soteriologico, antropologico e pratico, già pre­
sente comunque nel suo volume, porta l’autore a ipotizzare una riforma
radicale della «missione» cristiana nel mondo. Nonostante la lunghezza
della citazione, vale la pena di riportare una pagina particolarmente luci­
da di Knitter:
Molti avranno la sensazione e obietteranno vigorosamente che questo
nuovo modello di verità, specialmente con le sue implicazioni relative alla
dipolarità delle religioni, mina la lunga e diletta tradizione cristiana dell'at­
tività missionaria. Non v'è dubbio che la concezione relazionale della verità
religiosa esige una revisione radicale del modello tradizionale dell’attività
missionaria, dei suoi fini primari, dei suoi metodi, delle sue motivazioni. Pre­
cisamente attraverso questa revisione - così suona la contro-obiezione - l'a­
postolato missionario può essere integralmente definito in maniera più chia­
ra e ricevere un nuovo slancio. Questo rinnovamento dei fini della missione
è in linea con la nuova concezione della natura della missione della Chiesa.
La teologia cristiana, sia protestante che cattolica, ammette che la Chiesa
non va identificata con il regno di Dio. Il Regno, la presenza salvante e rive­
lante di Dio nel mondo, è più vasto della Chiesa e opera anche attraverso
mezzi diversi dalla Chiesa. Pertanto la missione primaria della Chiesa non è
la «faccenda della salvezza» (rendere gli uomini cristiani affinché possano
salvarsi), bensì il compito di servire e di promuovere il regno della giustizia
e dell'amore - in veste di suo segno e serva - ovunque esso può prendere
corpo. Al fine di promuovere il Regno, i cristiani devono render testimo­
nianza a Cristo. Tutti i popoli e le religioni devono conoscerlo, al fine di
cogliere il contenuto pieno della presenza di Dio nella storia. Questo bisogno
fa parte della finalità e della motivazione di giungere sino ai confini della
terra. Ma nella nuova ecclesiologia e nel nuovo modello di verità ammettia­
mo che tutti i popoli dovrebbero conoscere Buddha, Maometto e Krishna.
Pure questo fa parte del fine e dell'ispirazione del lavoro missionario: acco­
gliere la testimonianza, affinché i cristiani possano approfondire e ampliare
la loro conoscenza della presenza e della finalità di Dio nel mondo. Attra­
verso questa mutua testimonianza, questa mutua crescita, l'opera della rea­
lizzazione del Regno fa passi in avanti. In una simile concezione della mis­
sione, la conversione rimane un'istanza valida e significativa. Ma non è più
il fine primario, la ragion d'essere dell'attività missionaria. Se altri si con­
vertono alla comunità cristiana, il missionario ne gioirà, qualora la conver­
sione si sia verificata in maniera libera e come un'integrazione dell’identità
culturale e personale dell'interessato. Ma se la conversione al cristianesimo
non si verificherà, lo spirito del missionario non si abbatterà. Il fine centrale
della missione è realizzato nella misura in cui, attraverso la mutua testimo­
nianza, tutti sono convertiti a una conoscenza e a una sequela più profonda
della verità di Dio. Questo assicura la crescita del Regno. Possiamo perciò

151 Cf. P. K n it t e r , «La teologia cattolica delle religioni a un crocevia», in Concilium


22(1986), 133-144, qui 141-142; cf. anche Id., «Per una teologia della liberazione delle reli­
gioni», in H ic k - K n it t e r (edd.), L'unicità cristiana: un mito?, 291-312.

117
Annunciare Crùto alle genti

dire che il fine dell'attività missionaria è stato raggiunto, quando l'annuncio


del vangelo a tutti i popoli rende i cristiani cristiani migliori e i buddhisti
buddhisti migliori.152
La domanda alla teologia della missione diventa decisiva: perché la
missione, se tutte le religioni sono «vie di salvezza» complementari? Il
contesto in cui si colloca questa domanda è quello di una visione plurali­
stica della salvezza e della verità. Gli esiti sono il soggettivismo e il rela­
tivismo. Questo dunque il punto d'arrivo del paradigma pluralista, quan­
do è coerentemente svolto - non importa se in direzione teocentrica,
regnocentrica o soteriocentrica: la fine della missione ad gentes intesa sia
come evangelizzazione che come «plantatio Ecclesiae».

152 K n it t h r , Nessun altro nome?, 232-234. L 'a u to re te n t a d i in te g r a r e q u e s ta p o s iz io n e


a lc u n i a n n i d o p o , q u a n d o a f fe r m a c h e « m a n te n e r e l'a d e s io n e a C ris to , a n n u n c ia r e il v a n ­
g e lo e im p ia n ta r e la C h ie s a n o n solo v e n g o n o r is p e tta ti, m a a ffe r m a ti e r a ffo rz a ti d a lle
n u o v e ip o te s i p lu r a lis te circ a C ris to e le a ltre r e lig io n i» , p o ic h é u n m is s io n a r io « p lu r a lis ta »
n o n d e v e a ffa tto r in u n c ia r e a p r e d ic a re C ris to , b e n s ì a n n u n c ia r e s e c o n d o u n a « u n ic it à c o m ­
p le m e n ta r e » , c h e lo d is p o n e n o n solo a d a r e m a a n c h e a ric e v e re : « I m is s io n a r i p i ù e ffic ie n ti
s o n o c o lo ro c h e s o n o s ta ti c o n v e r titi d a q u e lli stessi c h e e g li h a c o n v e r tito » (P.F. K n it t e r ,
« M is s io n a r y A c tiv ity R e v is e d a n d R e a ffir m e d » , i n P. M o jz e s - L. S w id l e r [eds.), Christian
Mission and Interreligious Dialogue, T h e E d w in M e lle n P ress, L e w isto n - Q u e e n sto n - L a m -
p e te r 1990, 78-80 e 91-92). N o n è fa c ile c o m u n q u e c a p ire i n c h e se n so p e r K n itte r il p lu r a ­
lis m o r a ffo rz e re b b e , a n z ic h é d e p o te n z ia r e , l'a ttiv it à m is s io n a r ia d e lla C h ie s a . S u lla stessa
lin e a a n c h e le r ifle s s io n i d i U . von L in k -W ie c z o r e k , « M i t d e m "s o lu s C h r is tu s " a lle in u n te r
d e n R e lig io n e n ? Ù b e r le g u n g e n z u m c h r is to lo g is c h e n S e lb s tv e r s tà n d n is im in te r r e lig iò s e n
D ia lo g » , i n Ókumenische Rundschau 49 (2 00 0), 302-317: l ’a u tr ic e , c r itic a n d o la n o z io n e
d e lla « a s s o lu te z z a » e « u n ic it à » d i C ris to , q u a n d o v ie n e a g it a t a c o n tro le a ltre r e lig io n i, si
d ic h ia r a d ’a c c o rd o c o n l'id e a c h e n e l f u tu r o il c o m p ito m is s io n a r io d e i c ris tia n i s a r à q u e llo
d i ra ffo rza re l'a p p a r t e n e n z a d i c ia s c u n o a lla p r o p r ia r e lig io n e e v is io n e d i v ita (cf. in p a rt.
312-313).

118
4.
Missione:
dialogo e annuncio
nel contesto
interreligioso
La relazione tra il cristianesimo e le altre religioni è certamente una
sezione della teologia - oltretutto ormai piuttosto corposa - ma non è solo
questo: essa mette in gioco infatti gli assi portanti della fede cristiana: la
concezione di Dio e della rivelazione, l'idea della salvezza, l'opera delle
persone della Trinità, la natura e funzione della Chiesa. Non c'è articolo
del Credo che non risulti implicato nella questione. Si può quindi certa­
mente dire che
la riflessione critica e sistematica sul rapporto tra la fede cristiana e le altre
religioni [è] una dimensione intrinseca dell'intera teologia e viene presa dav­
vero sul serio solo quando viene integrata in tutti i campi della teologia, negli
ambiti cioè della teologia storica, pratica e sistematica.
In questo capitolo conclusivo raccogliamo alcuni degli elementi
emersi in precedenza, dedicando ampio spazio al dibattito degli ultimi
anni: in esso infatti si coagulano le più importanti riflessioni oggi dispo­
nibili - a partire dai tre orizzonti sopra delineati - sul rapporto tra sal­
vezza, missione e religioni. La prospettiva ecclesiocentrica in realtà è
stata ormai - e a buon diritto - abbandonata da tutti e quindi il confron­
to verte di fatto sul rapporto tra quella cristocentrica e quella teocentri­
ca o pluralista. Sarà perciò opportuno riprodurre i tratti essenziali del
confronto teologico e degli interventi magisteriali relativi al dibattito
interreligioso contemporaneo (4 . 1), per proporre poi alcune nostre rifles­
sioni conclusive sull'argomento (4 .2).

1 A. Bsteh, «Kirche der Begegnung. Zur Òffnung der Kirche im Zweiten Vatikanum fiir
einen Dialog des Glaubens mit den nichtchristlichen Religionen», in R. Schwager (hrsg.),
Christus alleili? Der Streit um die pluralistiche Religionstheologie, (Quaestiones disputatae
160), Herder, Freiburg-Basel-Wien 1996, 79. La stessa convinzione è espressa anche da F.
Kónig, «Der interreligiose Dialog - auf dem Weg zu einer Theologie der Religionen», in R.
Gunther (hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fùr H.
Waldenfels, Bonifatius, Paderbom 1996, 364.

119
Annunciare Cridto alle genti

4 .1 . I l m a g i s t e r o

E L A T E O L O G IA C A T T O L IC A
DI F R O N T E A L L E P R O P O S T E
T E O C E N T R I C H E 2

Conviene distinguere due fasi nel dibattito degli ultimi decenni: una
prima riguarda gli interventi teologici e magisteriali sulle prime espres­
sioni del teocentrismo, specialmente quella di Hick; una seconda fase
concerne le posizioni di Dupuis, alle quali non solo i teologi cattolici ma
anche il magistero hanno dedicato da qualche anno un'attenzione parti­
colare.

4.1.1. I l d i b a t t i t o
A T T O R N O A L L E PRIM E ESPRESSIONI
DEL TEO C EN TR IS M O

I teologi cri ti ci verso il teocent ri smo

Gran parte dei teologi cattolici (e non cattolici)3- anche molti di quel­
li che prendono le distanze dalla visione cristocentrica inclusivista «clas­
sica»4- di fronte ai teocentrismi concludono, in accordo con il magistero,

2 Per una prima panoramica globale sull'argomento, cf. «Gesù Salvatore unico e uni­
versale. Dall'enciclica "Redemptoris missio" alla dichiarazione "Dominus Jesus"», in La
Cività cattolica 152(2001)1, 335-347.
3 S i v e d a , a d e s e m p io , l'a r tic o lo d i L. R o u n e r , « G e s ù S a lv a to r e u n ic o e u n iv e r s a le . D a l­
l'e n c ic lic a " R e d e m p to r is m is s io " a lla d ic h ia r a z io n e " L a te o lo g ia d e lle r e lig io n i n e lla r ifle s ­
s io n e p r o te s ta n te c o n t e m p o r a n e a " » , in Concilium 22(1 98 6), 145-155, c h e p r o p o n e u n cri-
s to c e n tris m o a p e r to in v e c e d e l te o c e n tris m o ; q u e s t'u lt im o in f a t ti offre «so lo l'id e a d i u n D io
v u o to » , c h e « n o n è u n a b u o n a n o t iz ia p e r n e s s u n o » (p. 155). S u lla stessa lin e a a n c h e l'o ­
r ie n ta m e n to d i R . B e r n h a r d t , « W a n d lu n g e n in d e r B e u r te ilu n g u n d K r itik n ic h t- c h ris tlic h e r
Religionskritik in
R e lig io n e n in d e r e v a n g e lis c h e n T h e o lo g ie » , i n H .R . S c h l e t t e (h rsg .),
ìnterkultureller und interreligióser Sicht. Dokumentation des Symposiums des Graduier-
tenkollegs "Interkulturelle religióse bzw. religionsgeschichtliche Studien" vom 20.-23.11.
1996 an der Universitàt Bonn, B o re n g às se r, B o n n 1997, 35-51.
4 Cf. ad es. H. K u n g , «Per una teologia ecumenica delle religioni. Tesi di chiarimento»,
in Concilium 22(1986), 156-165. Geffré, da parte sua, afferma: «Ci si è già congedati dalla
fede cristiana se il Cristo non è che un mediatore fra gli altri e non la manifestazione di Dio
per tutti gli uomini e le donne» (C. G e f f r é , «La singolarità del cristianesimo nell'età del plu­
ralismo religioso», in Filosofia e teologia 6[1992], 39). L'opinione di questi due teologi è par­
ticolarmente indicativa se pensiamo che essi, pur rifiutando il «teocentrismo» nella sua
forma più netta, propendono per la tesi della «relatività» reciproca tra cristianesimo e altre
religioni. Va inoltre osservato che Kung sembra avere cambiato o almeno corretto il suo ini­
ziale cristocentrismo, di decennio in decennio, in direzione sempre più vicina al pluralismo:
durante e subito dopo il Vaticano n, egli prese ripetutamente posizione in senso cristocen­
trico classico, ritenendo la posizione di Rahner troppo avanzata; nel corso degli anni Set­
tanta, però, anche a motivo di un dibattito avviato con Knitter, iniziò a propendere per un
moderato pluralismo; pluralismo che caratterizza i suoi interventi dalla metà degli anni

120
M ilio n e : dialogo e annuncia nel contesto interreligioso

che nella comprensione cattolica della fede il «cristocentrismo» non è


solo uno degli elementi del cristianesimo ma è il cuore stesso del cristia­
nesimo: «metterlo tra parentesi» non significa appena tralasciare una
parte della fede cristiana, bensì svuotarla dall'interno.5 Il cristianesimo
«sta o cade» con il dogma della centralità, universalità e unicità di Cri­
sto. Le teologie teocentriche vengono professate a spese dell'unicità e
universalità salvifica di Cristo,6e quindi in definitiva contraddicono diret­
tamente le verità centrali del cristianesimo: l'incarnazione, che è ridotta
a mito, la Trinità, che viene negata essendo Gesù solo una delle tante
manifestazioni di Dio, e la salvezza in Cristo, che viene svuotata in quan­
to Gesù è considerato solo come un «rivelatore».7
Di conseguenza una teologia delle religioni e/o delle missioni non
potrà definirsi «cristiana» se non mantenendo un sostanziale cristocen­
trismo: certo, come sopra vedemmo, dovrà trattarsi di un cristocentrismo
aperto alla valorizzazione dei «semi del Verbo» che, per opera dello Spi­
rito,8 sono presenti nelle altre religioni; ma non si potrà comunque arri­
vare a mettere sullo stesso piano «oggettivo» la rivelazione di Dio in Cri­
sto e negli altri fondatori o profeti, separando il «Verbo» dal «Cristo».9
La scelta di abbracciare o meno la fede cristiana è libera: ma non ci si
potrà dire «cristiani» - e nemmeno «teologi cristiani» - senza accettare
l’integra professione di fede su Gesù Cristo, unico Signore e Figlio di
Dio.10Se l'ecclesiocentrismo danneggia la cristologia perché dimentica lo
scarto tra Cristo e la Chiesa, tendendo a identificarli, il teocentrismo dan­

Ottanta in avanti, quando - secondo l'auspicio formulato dallo stesso Knitter - sembra pro­
prio avere «attraversato il Rubicone teologico», insistendo sulla necessità che il cristianesi­
mo nel dialogo interreligioso si ponga come uno dei partner e non come rivelazione nor­
mativa. Per la documentazione puntuale di questa evoluzione, cf. S. C o w d ell , «Hans Kung
and World Religions: The Emergence of a Pluralista, in Theology 22(1989), 85-102.
5Cf. ad es. J. Levesque, «.Jésus-Christ, l’unique Sauveur», in M ission de l'Église (1991)91,
6-15, in part. 8.
6 «Si possono moltiplicare quanto si vuole gli aggettivi e dire che Gesù è "normativo",
"definitivo", rispetto agli altri. Se non si proclama Cristo "Dio”, nel senso con cui l'ha inte­
so da Nicea in poi la Chiesa, non si esce dal relativismo e non si vede dove si fondano que­
gli stessi aggettivi. La differenza tra lui e gli altri fondatori o profeti resta solo quantitativa,
o di grado. Non si salva, ripeto, l'unicità e l'universalità della salvezza di Cristo, ma, al mas­
simo, la sua superiorità, e anche questa senza che se ne percepisca più la ragione» (R. C a n -
ta lam essa , «Oggi è nato per voi un Salvatore. Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini», in
Id ., Preparate le vie del Signore, EDB, Bologna 1994, 120-121).
7C a n ta la m e s s a , «Oggi è nato per voi un Salvatore», 124.
8 Alcune interessanti linee di cristologia «pneumatica» si trovano in F.X. D u rrw ell ,
«Pour une christologie selon l’Esprit Saint», in Nouvelle Revue Théologique 114(1992), 653-
677. È stimolante, poi, anche se solo abbozzata, la prospettiva delineata da P. R o s s a n o in
alcune pagine del suo studio «Teologia e religioni: un problema contemporaneo», in R.
L atourelle - G. O ’C o llin s (edd.), Problemi e prospettive di teologia fondamentale, Queri-
niana, Brescia 1980, 359-377.
9 Cf. ad es. M. F e d o u , «La théologie des religions à l'heure du pluralisme», in Études
134(1989), 821-830, in part. 829.
10 Cf. ad es. J. D o r è , «L'annonce de Jésus-Christ et la rencontre avec les religions», in
La documentation catholique (1992)2044, 171-178, in part. 173-174.

121
Annunciare Cristo alle genti

neggia la cristologia perché considera secondario ciò che nel cristianesi­


mo è primario e fondante, cioè il fatto che in Cristo, uomo e Dio, la rive­
lazione divina ha raggiunto la sua ineguagliabile pienezza. Come scrive
A. Amato,
il cristianesimo senza il mistero trinitario, senza il mistero dell'incarnazione,
senza il mistero salvifico della Chiesa, senza il riconoscimento della centralità
salvifica di Cristo non è più cristianesimo.11
In fondo i teologi che professano un pluralismo radicale, come notano
alcuni, non fanno che riproporre la ben nota questione del rapporto tra il
Gesù della storia e il Cristo della fede, centrale nell'approccio contempo­
raneo alla cristologia, prima con la scuola liberale che assolutizzava il
primo, poi con quella bultmanniana che assolutizzava il secondo; e lo
fanno tuttavia in maniera anche più radicale, poiché per essi
la questione non è più di sapere come raggiungere il Gesù storico attraverso
documenti scritti alla luce dell'esperienza pasquale in cui l’interpretazione
dell'evento è ispirata alla fede. Più che di critica storica si tratta di critica della
storia. Occorre sapere come un qualsiasi evento storico, all'occorrenza l'even­
to Gesù Cristo, possa avere il valore assoluto che il cristianesimo gli attribui­
sce nell'ordine della salvezza.12
La questione sottesa alla proposta teocentrica radicale, quindi - e più
in generale alle teorie interreligiose degli autori interessati al dialogo con
l’induismo e il buddhismo -, è quella che ha caratterizzato il moderno
atteggiamento critico verso Gesù Cristo; e non solo in senso esegetico-
storico, ma anche e più radicalmente in senso filosofico-religioso: da Les-
sing in avanti la domanda cristologica di fondo posta dalla ragione
umana alla teologia riguarda la possibilità che un evento divino si possa
veramente incrociare con una vicenda umana, quella di Gesù di Nazaret,
in modo tale da renderla unica e assoluta. Per lo storicismo è un contro­
senso attribuire a un avvenimento storico caratteri immutabili, poiché la
storia esclude assoluti. È proprio questo il punto: se si decide per la posi­
zione storicista, è esclusa l’auto-interpretazione del cristianesimo che si
incontra già a partire dal NT, dai padri e dai primi concili; se si decide al
contrario per questa interpretazione, è escluso lo storicismo, poiché in tal
caso la storia ruota attorno a un elemento fermo che la definisce e la
supera nel contempo. È difficile rinunciare all'assolutezza del cristianesi­
mo e mantenere in vita, del cristianesimo stesso, poco più che un «sim­
bolo» universale o un «mito» religioso: ciò che puntualmente si verifica
in parecchi teologi pluralisti.

11 A . A m ato , «Missione cristiana e centralità di Gesù Cristo», in E. D a l C o v o lo - A.


T ria c c a (edd.), La missione del Redentore. Studi sull'enciclica missionaria di Giovanni
Paolo II, L D C , Torino 1992, 27.
12J. D u p u is , «Il cristianesimo di fronte alla sfida del pluralismo religioso. La proposta
di R. Panikkar e H. Le Saux», in Studia Patavina 42(1995), 488. La valutazione critica di
Dupuis si riferisce direttamente a R. Panikkar, ma si può estendere a tutti i pluralisti radi­
cali.

122
M ujione: dialogo e annuncio nel contento interrcligiojo

L a critica dei teologi a J o h n H ick

Il teologo più rappresentativo dell'orizzonte teocentrico e pluralista, J.


Hick, come era da attendersi è stato al centro del dibattito e delle criti­
che. L'obiezione di fondo sollevata da molti teologi è la supposizione di
un'interconnessione universale tra le religioni, di un «noumeno» che
farebbe da base comune a tutte le religioni, a partire dal quale poi cia­
scuna si svilupperebbe in modo diverso e complementare. Ammettere
un'interconnessione tra le religioni, in realtà, non equivale a dire che vi
sia un quid comune ad esse:
Ciò che connette cristianesimo e giudaismo è diverso da ciò che lo con­
nette all'islam, ed è nuovamente diverso da ciò che lo connette all'induismo o
al buddhismo o al confucianesimo.13
È tutt'altro che evidente l’esistenza di una sorgente comune e di un
destino comune, oltre che l'idea di una «salvezza» comune tra le reli­
gioni: esse anzi spesso presentano visioni così differenti da non risulta­
re compatibili.14 Postulare kantianamente l’esistenza di un comune
«noumeno» che le varie tradizioni religiose esprimerebbero parzial­
mente in quanto «fenomeni», come fa Hick, significa prendere di peso
un'interpretazione della realtà nella quale nessuna grande religione si
riconosce e che, oltretutto, è stata ormai quasi abbandonata dalla stes­
sa filosofia.15 Nei pensatori illuministi infatti - Kant in testa - quel siste­
ma era funzionale a evidenziare la solidità delle comuni verità raziona­
li, mentre in Hick è funzionale alla sottolineatura della relatività delle
singole verità religiose.16 Oltretutto Hick dichiara inconoscibile il
«Reale in sé», ma poi inevitabilmente e contraddittoriamente gli attri­
buisce dei tratti precisi, postulandolo appunto quale base comune tra le

13Y. H u a n g , «Religious Pluralismi and Interfaith Dialogue: Beyond Universalism and


Particularism», in International Journal for Philosophy of Religion 37(1995), 137.
14 Cf. K.A. W a lsh , «A Christian Theology of Religions and thè Pluralist Paradigm», in
Science et Esprit 49(1997)3, 306-310.
15 Una critica molto precisa all'epistemologia kantiana in sé e nella versione fatta pro­
pria da Hick si trova nel saggio di B.E. Koziel, «Die Aufhebung der Soteriologie in Reli­
gionstheologie. Wie der rehgionstheologische Pluralismus die Theologie veràndert», in
Theologie und Philosophie 80(2005), 517-545. Cf. inoltre due brevi ma densi contributi: P.R.
E d d y , «Religious Pluralism and thè Divine. Another Look at John Hick's Neo-Kantian Pro­
posai», in Religious Studies 30(1994), 467-478; D. Cockburn, «Religious Pluralism and Kan-
tian Metaphysics», in Theology 100(1997), 117-122; la tesi di quest'ultimo è ben espressa
nella chiusa dell'articolo, quando sostiene che l'applicazione della metafisica kantiana
all’ambito interreligioso «may confuse more than it clarifies». Sulla derivazione kantiana
della proposta di Hick cf. anche J. Morales, «La teologia de las religiones», in Scripta Theo-
logica 30(1998)3, 759-765; A. Kreiner, «Philosophische Probleme der pluralistischen Reli­
gionstheologie», in Schwager (hrsg.), Christus allein?, 123-125.
16 Cf. J.V. A p c z y n s m , «John Hick's Theocentrism: Revolutionary or Implicitly Exclusi-
vist?», in Modern Theology 8(1992), 39-52. La critica dell’autore a Hick, riguardante il volu­
me A n Interpretation of Religion (come buona sintesi del pensiero del teologo pluralista),
ritiene inadeguato e fuorviante il sistema di Hick proprio a partire dall'insostenibilità del
suo approccio gnoseologico.

123
Annunciare Crùto alle genti

religioni e ritenendo che il criterio di autenticità della religione sia il


centramento sulla Realtà - i cui segni «soteriologici» sono amore, com­
passione, bontà - anziché su se stessi: quindi tale Realtà è buona, amo­
revole, compassionevole.17
RL. Quinn, insieme a molti altri critici, pensa che le grandi tradizioni
religiose rigetterebbero l'affermazione che le loro convinzioni sono
«vere» solo in quanto fenomeni o modi di apparire della realtà, e non
vere in se stesse.18Davanti all'impostazione di Hick, osserva Verkamp, ci
si può chiedere perché egli non compia il passo logicamente successivo
e non arrivi a concludere che la religione stessa è un fenomeno total­
mente «umano»: se infatti nessuna tradizione religiosa può avanzare una
pretesa di verità superiore alle altre, cosa impedisce di pensare che nes­
suna possa dire qualcosa di vero, e quindi tutte siano in realtà illusorie?19
La posizione di Hick non è perciò propriamente teologica, bensì filosofi­
ca e a tratti fenomenologica; ma dal punto di vista filosofico i presuppo­
sti neokantiani dell'autore sono molto discutibili, e dal punto di vista
fenomenologico non basta confrontare superficialmente le diverse reli­
gioni per evincerne una concezione soteriologica comune.20
Molti altri critici di Hick puntano il dito contro l'applicazione della
nozione di «mito» alle verità cristiane. G. Loughlin, ad esempio, dopo
avere documentato l'evoluzione del pensiero di Hick in questo settore
- prima applica la categoria di «mito» alla cristologia, successivamente
alla teodicea e infine alla religione in quanto tale - esprime la convinzio­
ne che il teologo americano finisca per postulare un Reale ultimo che di
fatto è inutile nel suo sistema: basterebbe infatti, per coerenza, afferma­
re che il «mito» è una struttura antropologica con la quale l'uomo tenta
di spiegare l'inspiegabile; sarebbe sufficiente, in altre parole, riferire i
termini mitologici «non al Reale ma alla nozione di Reale».21 Hick, come
tutti i pluralisti, rende superflua la valenza ontologica del Reale e si

17È questa l’obiezione fondamentale di O.J. W ie rtz , «Eine Kritik an John Hicks plura-
listischer Religionstheologie aus der Perspektive der philosophischen Theologie», in TIteo­
logie und Philosophie 75(2000), 388-416: l'autore fornisce numerosi esempi di questa ine­
vitabile contraddizione nelle opere di Hick.
18È la critica fondamentale che l'autore avanza alle teorie di J. Hick: cf. P.L. Q u in n ,
«Towards thinner theologies: Hick and Alston on religious diversity», in International Jour­
nal lor Philosophy oi Religion 37(1995), 150-151.
19 Cf. B.-J. V erka m p , «Hick's Interpretation of Religious Pluralism», in Philosophy ol
Religion 30(1991), 103-124, in part. 104-105. Lo studio, paragonando continuamente la gno­
seologia di Kant con quella di Hick, costituisce una buona lettura «filosofica» delle pre­
messe del teologo pluralista.
20 Cf. le puntuali critiche di B ern h a rd t , «Wandlungen in der Beurteilung und Kritik
nicht-christlicher Religionen in der evangelischen Theologie», 48-51. Il critico nota che il
semplice accostamento delle diverse idee di «salvezza» (HeilJHeilung) tra le varie religio­
ni e visioni del mondo dovrebbe logicamente far posto anche al famigerato «Heil Hitler»:
se non ci sono criteri oggettivi per stabilire cosa è davvero salvifico e cosa non lo è, chi ha
il diritto di distinguere? (cf. p. 51).
21 G. L o u g h u n , «Prefacing Pluralism: John Hick and thè Mastery of Religion», in
Modem Theology 7(1990), 42.

124
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso

ferma a considerarne la valenza etico-naturale: non a caso per lui la


discriminante tra religioso e non religioso è il passaggio dall'autocentra-
tura all'eterocentratura (other-centredness). Nel suo sistema ogni religio­
ne potrebbe essere vera o falsa, tutte vere o tutte false: e non cambie-
rebbe nulla, purché la loro «espressione» fenomenica porti comunque chi
la pratica all'eterocentratura. Ma questa impostazione non corrisponde
all'autocomprensione di nessuna religione. È quindi vero che «l’approc­
cio pluralistico alla religione non appare in grado di prendere sul serio
l'autocomprensione dei credenti. Oppure, se lo fa, lo fa nella convinzio­
ne che i credenti hanno capito male».22 Per stare al solo cristianesimo
basti pensare che Hick, nell'intenzione di essere fedele al suo approccio,
deve rieditare sic et simpliciter il modalismo, esplicitamente condannato
nella tradizione ecclesiale.23
È paradossale, come nota G. D'Costa, che per combattere il presun­
to imperialismo delle religioni che pensano di proclamare la verità, Hick
prospetti un quadro in cui tutte le religioni sono «mitologiche»: para­
dossale perché si tratta di un nuovo imperialismo, questa volta di tipo
illuministico, nel quale si pretende che ogni religione si autocomprenda
come mito, pena l'accusa di interpretare falsamente le sue proprie dot­
trine.24 Non manca infine chi fa notare come la «rivoluzione copernica­
na» proposta da Hick sia molto meno rivoluzionaria di quanto pensi il
suo promotore, perché in realtà è una riedizione dell'inclusivismo, non
limitato però alla cristologia, ma dilatato alla nozione stessa del divino:
Hick infatti elabora una concezione «universale» del divino a partire
dalla tradizione personalista e da alcuni attributi ben precisi della
«Realtà ultima»; con questa petitio principii egli poi riscontra un'idea
universale del divino, «includendovi» tutte le religioni; si tratta, insom-
ma - paradossalmente - di un altro «epiciclo»,25 di una forma diversa di
quell'imperiahsmo che la teologia pluralista delle religioni voleva com­
battere.26
In definitiva - e questa appare la critica più radicale - il pluralismo
interreligioso di Hick non è una «teologia», ma una «filosofia»: essa infat­
ti non si muove sulla base dell'interpretazione della rivelazione cristiana,

22T. M e r r ig a n , «The Challenge of thè Pluralist Theology of Religions and thè Christian
Rediscovery of Judaism», in D. P ollefeyt (ed.), Jews and Christians: Rivals or Partners for
thè Kingdom of God? In Search ol an Alternative for thè Theology of Substitution, Peeters
Press, Louvain 1997, 129.
23 Cf. L o u g h l in , «Prefacing Pluralism», 48.
24Cf. G . D ’C o s ta , «Taking other Religions Seriously: Some Ironies in thè Current Deba-
te on a Christian Theology of Religions», in The Thomist 54(1990), 519-529, in part. 524-525.
25 Cf. in merito le giuste critiche raccolte da W a lsh , «A Christian Theology of Religions
and thè Pluralist Paradigma, 312-313; cf. anche A. M o r im o t o , «The (More or Less) Same
Light but from Different Lamps: The Post-Pluralist Understanding of Religion from a Japa-
nese Perspective», in International Journal for Philosophy of Religion 53(2003), 168-170.
26 Va in questo senso la critica di J. Moltmann, «Dient die "pluralistiche Theologie"
dem Dialog der Weltreligionen?», in Evangeliche Theologie 49(1989), 528-537, in part.
534-536.

125
Annunciare Cristo alle genti

bensì sulla base di premesse ed elementi provenienti dalla filosofia, in


particolare da quella kantiana.27 Si tratta quindi di una «filosofia della
religione»,28 ovviamente legittima, che però non può pretendere di costi­
tuire una proposta teologica.

L ’e n ciclica Redemptoris middio (1990)

La prima e finora più approfondita presa di posizione del magistero


universale di fronte alle tendenze teocentriche si incontra nell'enciclica
Redemptoris missio. Giovanni Paolo II, mentre riconosce una presenza e
azione universali di Cristo nello Spirito, ribadisce la posizione cristo­
centrica. L'enciclica dà una valutazione sostanzialmente negativa dei
teocentrismi, siano essi a sfondo antropocentrico o regnocentrico, pro­
prio perché essi finiscono con il marginalizzare Cristo in nome della
centralità di Dio. Pur riconoscendo, infatti, che anche in queste conce­
zioni vi sono «aspetti positivi», il papa le respinge, per diversi motivi
esposti al n. 17 (£V 12/583s). Primo: esse presentano un'idea di Regno
che «tende a diventare una realtà del tutto umana e secolarizzata» e «si
traduce facilmente in una delle ideologie di progresso puramente terre­
no»; citando Gv 18,36, il papa fa invece notare che «il regno di Dio non
è di questo mondo». Secondo: «passano sotto silenzio Cristo» e, privile­
giando un'idea divina universale, «tacciono sul mistero della redenzio­
ne». Terzo: emarginano o sottovalutano la Chiesa, ritenendola solo un
«segno, non privo peraltro di ambiguità», del regno di Dio. Concezione
inadeguata del regno di Dio in se stesso, del suo rapporto con Cristo e
con la Chiesa: questi dunque i vizi teologici di fondo che l'enciclica
individua nelle posizioni teocentriche.
Si comprende come, in risposta a queste posizioni, il papa affronti
direttamente l'argomento dell'unicità, universalità e assolutezza di Cri­
sto, con una forza e una insistenza sconosciuta ai precedenti testi magi-
steriali.
Nel c. I della Redemptoris missio il papa afferma che un autentico
«teocentrismo» cristiano non può essere altro che «cristocentrico», per­
ché Cristo, Dio e uomo, è il centro e l'apice del manifestarsi di Dio. Gio­
vanni Paolo II sostiene questa posizione facendo appello al NT, alla tra­

27 Una convicente articolazione di questa critica di fondo si trova in K r e in e r , «Philo-


sophische Probleme der pluralistischen Religionstheologie», 118-131.
28 Così ad es., con molti altri, H.-J. S a n d e r , «Die Differenz der Religionen - Glauben
im Pluralismus des Heiligen. Die Religionsdisput von Yamaguchi und die pluralistische
Religionstheorie von John Hick», in Neue Zeìtschrift (iir Missionswissenschaft 54(1998),
13; H.R. S c h l e t t e , «Christliche Relativitàt? Die Theologie der Religionen, der neue Rela-
tivismus und die Frage nach Jesus», in Orientierung 61(1997), 252: egli definisce la posi­
zione pluralista «un'aperta e persino simpatica filosofia della religione», escludendo che
possa trattarsi di una «teologia cristiana» delle religioni. Dello stesso parere anche D.
C h e e t h a m , «Religious Passion and thè Pluralist Theology of Religions», in New Blackfriars
79(1998), 236.

126
M ilio n e : dialogo e annuncio nel contento interreligioso

dizione e al magistero: con diverse formulazioni, la prospettiva cristo­


centrica viene ribadita almeno venti volte in otto paragrafi (4-11: soprat­
tutto 4-6). Colpisce, in particolare, la nutrita serie di avverbi, aggettivi e
sostantivi riferiti a Cristo: «solo», «soltanto», «unico», «unicamente» (sot­
tolineato alla fine del n. 5), «singolarità», «assoluto», «universale», «cen­
tro», ecc. In diversi casi si tratta di citazioni dal NT: come i passi di At
4,12, lCor 8,6 e lTm 2,5 riportati al n. 5; o quelli di Col 2,9, Ap 22,13 e
Ef 1,10 al n. 6. In altri casi si tratta di citazioni dalla tradizione e dal magi­
stero: come l'inizio della confessione cristologica del Simbolo niceno-
costantinopolitano («Credo in un solo Signore, Gesù Cristo»), riproposta
al n. 4; o il riferimento non letterale a GS 7 («È proprio questa singola­
rità unica di Cristo che a lui conferisce un significato assoluto e univer­
sale, per cui, mentre è nella storia, è il centro e il fine della stessa sto­
ria»), che compare al n. 6. Le restanti affermazioni cristocentriche, infi­
ne, sono proprie dell'enciclica e compaiono a introduzione ed esplicita-
zione delle citazioni scritturistiche o magisteriali. Così il n. 5 inizia con
l'affermazione: «Risalendo alle origini della Chiesa, troviamo chiara­
mente affermato che Cristo è l'unico salvatore di tutti, colui che solo è in
grado di rivelare Dio e di condurre a Dio». E poco dopo: «L'universalità
di questa salvezza in Cristo è affermata in tutto il Nuovo Testamento».
Per concludere, a commento di lCor 8,5-6, che «l’unico Dio e l'unico
Signore sono affermati in contrasto con la moltitudine di "dèi" e "signo­
ri” che il popolo ammetteva».
Alla fine dello stesso n. 5, il papa riafferma - con una terminologia
volta chiaramente a rispondere ai teocentrismi - l'unicità, universalità e
imprescindibilità della mediazione di Cristo nel rapporto con Dio:
Gli uomini, quindi, non possono entrare in comunione con Dio se non per
mezzo di Cristo, sotto l’azione dello Spirito. Questa sua mediazione unica e
universale, lungi dall'essere di ostacolo al cammino verso Dio, è la via stabili­
ta da Dio stesso, e di ciò Cristo ha piena coscienza. Se non sono escluse
mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia attingono signifi­
cato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come
parallele e complementari (£V 12/562).
Non meno forte l'affermazione cristologica iniziale del n. 6, diretta-
mente rivolta alle teologie che distinguono nettamente il Logos da Gesù:
«È contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il
Verbo e Gesù Cristo [...]. Cristo non è altro che Gesù di Nazaret». Que­
sti insistenti richiami (e altri che compaiono anche nei successivi numeri
del c. I), oltre a confermare che la problematica teologica fondamentale
dell'enciclica - e quindi della missione - è di tipo cristologico e, più pre­
cisamente, concerne il ruolo unico e supremo di Cristo Gesù nell'opera
salvifica, portano a concludere che, per la dottrina cattolica qual è ripro­
posta dalla Redemptoris missio, non è possibile prescindere dall'univer­
salità, unicità e assolutezza di Cristo.

127
Annunciare Cristo alle genti

Il d o c u m e n t o d e l l a
C om m issione teologica internazionale ( 1 9 9 6 )

Per ricordare una seconda autorevole presa di posizione nei confronti


dei «teocentrismi», possiamo richiamare il già menzionato documento
che la Commissione teologica internazionale pubblicò nel 1996, Il cri­
stianesimo e le religioni. La critica ai teocentrismi e l'orientamento cri­
stocentrico sono inequivocabili anche in questo testo: basterà elencare
alcune affermazioni. Le posizioni teocentriche non affrontano nel giusto
modo il tema della verità, cadono nel relativismo, finiscono per coniare
un'idea astratta di Dio nella quale nessuna tradizione religiosa si ricono­
sce, distruggono le basi stesse del dialogo, perché nessun confronto è
possibile dove scompare l'identità, ecc.29 Invece «i testi neotestamentari
non concepiscono il Logos di Dio prescindendo da Gesù» (n. 22). «N é ima
limitazione della volontà salvifica di Dio, né l'ammissione di mediazioni
parallele a quella di Gesù, né un'attribuzione di questa mediazione uni­
versale al Logos eterno non identificato con Gesù risultano compatibili
con il messaggio neotestamentario» (n. 38). A conclusione della rassegna
patristica, il documento osserva:
Gli uomini possono salvarsi soltanto in Gesù, e perciò il cristianesimo ha
una chiara pretesa di universalità [...]. Con la sua venuta nel mondo Gesù illu­
mina ogni uomo, egli è l'ultimo e definitivo Adamo al quale tutti sono chia­
mati a conformarsi, ecc. La presenza universale di Gesù appare in forma più
elaborata nell’antica dottrina del Logos spermatikos [...]. Gesù porta a compi­
mento la storia .intera [...]. Essendo Gesù l’unico mediatore, che porta a com­
pimento il disegno salvifico dell'unico Dio Padre, la salvezza è unica ed è la
stessa per tutti gli uomini: la piena conformazione a Gesù e la comunione con
lui nella partecipazione alla sua filiazione divina. Perciò si deve escludere l'e­
sistenza di economie diverse per quelli che credono in Gesù e per quelli che
non credono in lui. Non ci possono essere vie per andare a Dio che non con­
fluiscano nell'unica via che è Cristo (cf. Gv 14,6) (n. 49: EV 15/1034ss).
Parlando dello Spirito Santo, insiste sul fatto che è lo Spirito di Gesù,
che ha unto Gesù ed è stato poi da lui offerto con la sua risurrezione (cf.
nn. 53-60), tanto che «lo Spirito è dono di Gesù e conduce a lui, anche se
la via concreta per la quale conduce gli uomini è nota soltanto a Dio» (n.
60). Sintetizzando: «Non c’è un Logos che non sia Gesù e non c'è uno
Spirito che non sia lo Spirito di Cristo» (n. 80). I germi autentici di sal­
vezza (cf. nn. 81-87) e di rivelazione (cf. nn. 88-92) che gli uomini incon­
trano nelle loro tradizioni religiose trovano il loro compimento in Cristo.
In quanto Cristo è il Christus totus e non esiste senza il suo corpo, la
Chiesa, essa è associata a lui in questa mediazione salvifica, come
«sacramento universale» (cf. nn. 62-79).

29 Una critica dettagliata alle teologie teocentriche in questa chiave anti-relativista si


trova ai nn. 93-104, che costituiscono la sezione M.3, intitolata «La verità come problema
tra la teologia delle religioni e la posizione pluralista» (EV 15/1082-1093).

128
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso

4.1.2. I l d i b a t t i t o
D O P O I L V O L U M E DI
J a c q u e s D u pu is su l p l u r a l is m o

Sebbene più moderate delle tesi pluraliste portate avanti da Hick,


Panikkar, Knitter e altri, quelle di Dupuis hanno riacceso il dibattito teo­
logico sul problema interreligioso: probabilmente proprio il loro caratte­
re «moderato»,30 la serietà con la quale sono state proposte e, soprattut­
to, la maggiore autorevolezza di p. Dupuis - all'epoca professore di teo­
logia dogmatica alla Pontificia università gregoriana - rispetto a tutti gli
altri autori pluralisti, hanno stimolato il dibattito e gli interventi del magi­
stero. Rammentiamo alcuni elementi del dibattito: qualche presa di posi­
zione teologica sul volume di Dupuis e una sua replica (4.2.1), la Dichia­
razione Dominus Jesus della Congregazione per la dottrina della fede e
la Notificazione a Dupuis da parte della stessa Congregazione (4.2.2).

Le p r i me critiche da parte dei te ol og i

Richiamiamo solo alcune delle prime prese di posizione, lasciando altri


approfondimenti successivi - in particolare dopo gli interventi della Con­
gregazione per la dottrina della fede - alla seconda parte del presente
capitolo. Uno dei primi teologi a intervenire sul volume del gesuita è stato
l’allora presidente dell'Associazione teologica italiana, Giacomo Canob-
bio, che in una breve ma acutissima riflessione, dopo avere riconosciuto
all'autore grande competenza e notevole modestia unita a coraggio e
avere riassunto i tratti principali di «quest'opera piuttosto complessa,
nella quale molte affermazioni stanno in continua tensione reciproca»,31
gli pone una domanda di fondo: che relazione esiste tra l'evento storico di
Gesù e l'identità di Dio? Domanda che ne implica molte altre: se Gesù è
l'autocomunicazione di Dio, allora le rivelazioni delle altre tradizioni reli­
giose sono davvero «complementari» o non sono piuttosto «obsolete»?
Dopo l'evento Gesù si può ancora pensare a un'azione del Logos asarkos
che continuerebbe oltre a quella attuata in Cristo? L'incarnazione è solo
un «modello» o è davvero la definitiva autocomunicazione di Dio all'uo­
mo? E lo Spirito agisce in forma slegata dall'evento di Cristo? Canobbio
riassume tutte queste domande in tm ultimo interrogativo:

30 Così si esprimerà l'Articolo di commento alla Notificazione che la Congregazione per


la dottrina della fede farà pervenire a Dupuis: «La Notificazione interviene per sottolinea­
re la gravità e la pericolosità di alcune affermazioni, che, pur apparendo moderate, proprio
per questo rischiano di essere facilmente e ingenuamente accolte come compatibili con la
dottrina della Chiesa, anche da parte di persone cordialmente impegnate nella riuscita del
dialogo interreligioso» (L'Osservatore romano del 26-27 febbraio 2001, 11-12; l'articolo è fir­
mato con tre asterischi).
31 G. C a n o b b io , «Nota a margine dell'opera di J. Dupuis», in Rassegna di teologia
38(1997), 837.

129
Annunciare Crùto alle genti

La trascendenza di Dio sta nel suo essere libero rispetto alla forma di mani­
festazione che ha deciso di assumere in Cristo o sta nella libertà di decidere
quella forma, alla quale poi resta vincolato?32
Fin dal titolo, «Una teologia problematica del pluralismo religioso», G.
De Rosa prende le distanze dall'opera del confratello gesuita. A una sin­
tesi precisa del pensiero di Dupuis, De Rosa fa seguire alcuni rilievi criti­
ci, premettendo - come Canobbio - che si tratta di un'opera estrema-
mente complessa, «nel senso che ogni affermazione è in tensione con
un'altra, è controbilanciata da un'altra».33 Le posizioni di Dupuis, si
domanda in primo luogo De Rosa, rendono giustizia dei dati del NT e
della tradizione circa l'assolutezza della rivelazione e della salvezza in
Cristo? Così come appare dal volume, sembra di no; infatti,
è certo che soltanto Dio è assoluto e che Gesù ha i limiti propri della natura
umana. Ma ci sembra che il problema dell'assolutezza di Gesù e della sua
rivelazione sia legato non all'umanità di Gesù, che, per il fatto di essere stori­
ca, è necessariamente limitata, ma al fatto che Gesù di Nazaret è il Figlio di
Dio fatto uomo, il Figlio che ha assunto una natura umana, per cui Gesù è
sempre il Figlio di Dio che agisce e parla in forma umana. Ciò significa che
quanto Gesù uomo fa e dice ha valore divino, perché è la persona del Figlio
di Dio che compie certe azioni e dice certe parole. Per conseguenza le azioni
umane e le parole umane di Gesù, pur avendo un carattere storico e dunque
limitato, hanno un valore divino, e dunque unico e assoluto.34
Una seconda domanda riguarda l'azione del Verbo e dello Spirito
dopo l'incarnazione; se il NT va nella direzione dell'unità tra il Verbo e
Gesù (cf. Gv 1,14) e tra il Risorto e lo Spirito (cf. Gv 20,22), «non si può
dunque affermare che il Verbo e lo Spirito agiscono distintamente da
Gesù, il Verbo incarnato, sia prima sia dopo l’incarnazione»;35 parlare
quindi di «complementarità» di rivelazioni non è possibile. De Rosa ritie­
ne inoltre che Dupuis non abbia dato il giusto rilievo alla mediazione
ecclesiale che, per quanto subordinata a quella di Cristo, è inseparabile
dalla sua, essendo essa «corpo di Cristo»; e si domanda, infine, che cosa
rimanga in una teologia pluralista del mandato missionario chiaramente
attestato da Mt 28,18-20.

L e r i s p o s t e di D u p u i s

Altri studiosi sono intervenuti nei mesi successivi la pubblicazione del


volume di Dupuis, con interessanti riflessioni e recensioni.36 Tenendo

«Nota a margine dell'opera di J. Dupuis», 838.


32 C a n o b b io ,
«Una teologia problematica del pluralismo religioso», in La Civiltà cat­
33 G . D e R o s a ,
tolica 149(1998)3, 140.
34 D e R o s a , « U n a te o lo g ia p r o b le m a t ic a d e l p lu r a lis m o r e lig io s o » , 141.
35 De R o s a , «Una teologia problematica del pluralismo religioso», 142.
36 Ne ricordiamo solo alcuni. M. De G io r g i, «Jacques Dupuis. Un uomo, un pensiero»,
in Ad G entes 2(1998), 104-109: l’autrice, in quest’ampia recensione, definisce le riflessioni

130
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso

conto di tutte queste osservazioni, l'autore ha replicato con uno studio nel
quale, ribadendo in sostanza le principali tesi del suo volume, rende
ragione dei nodi più controversi.37 Affrontando alcune obiezioni «cristo­
logiche», egli ribadisce che anche dopo l’incarnazione si può «parlare di
un'azione continua del Logos "oltre Cristo", purché non la si distacchi da
quella in Gesù Cristo, in cui si trova la "concentrazione" insuperabile
dell’auto-rivelazione divina secondo il disegno unico di Dio di salvezza
per l'umanità intera»,-38 e riafferma anche il carattere «decisivo» anziché
«definitivo» dell'evento Cristo, poiché
non si devono escludere (...) manifestazioni divine dopo l'evento Cristo, ben­
ché si debba affermare che nessuna manifestazione storica ulteriore possa mai
essere equiparata all'insuperabile automanifestazione dell'incarnazione.39
Quanto al rapporto tra l'azione umana e quella divina in Gesù di
Nazaret, Dupuis riafferma che «sebbene l’azione umana di Gesù sia azio­
ne del Verbo, l'azione divina rimane pur sempre distinta da quella
umana» e non può «essere ridotta al modo in cui si esprime attraverso
l'umanità unita».40
Passando alle obiezioni «pneumatologiche», Dupuis vede nei suoi cri­
tici il pericolo di limitare l'azione dello Spirito al solo evento di Cristo,
quasi che lo Spirito sia «una "funzione" del Cristo risorto, che consiste­
rebbe soltanto nel rendere attuale l'opera di Cristo, essendone per così
dire "il vicario". Perderebbe così lo Spirito la pienezza della sua opero­
sità salvifica personale»;41 la presenza dello Spirito non è dunque esclu­
sivamente vincolata all'umanità risorta di Cristo.42
Affrontando poi le obiezioni «soteriologiche», Dupuis precisa che,
chiamando Gesù Salvatore «costitutivo» anziché «assoluto»,

di Dupuis «convincenti e stimolanti» e ritiene che il volume «rimarrà a lungo un importan­


te punto di riferimento e di discussione» (104.109); N. M a d o n i a , «Unicità e singolarità di
Gesù Cristo», in Rassegna di teologia 39(1998), 207-238: egli dedica a Dupuis alcune pagi­
ne (233-235), nelle quali però sembra non registrare il passaggio di paradigma operato dal­
l'autore tra 0 primo e il secondo volume e continua ad attribuire al Dupuis il modello inclu-
sivista cristocentrico, esplicitamente abbandonato dal gesuita (il dubbio affiora comunque
di passaggio nell'autore: cf. p. 234, nota 72); A . T o n io l o , «Teologia cristiana delle religioni.
Considerazioni a partire dalla recente pubblicazione di Jacques Dupuis», in Rassegna di
teologia 39(1998), 285-293: egli mette l'accento sulla correlazione tra salvezza e «verità»,
categoria quest'ultima piuttosto dimenticata nella discussione interreligiosa odierna.
37 J. D u p u is , «La teologia del pluralismo religioso rivisitata», in Rassegna di teologia
40(1999), 667-693.
38 D u p u is , «La teologia del pluralismo religioso rivisitata», 670.
39 D u p u is , «La teologia del pluralismo religioso rivisitata», 671.
40 D u p u is , «La teologia del pluralismo religioso rivisitata», 674. Per un approfondimen­
to di queste tesi cristologiche, già illustrate nel volume del 1997, cf. J. D u p u is , «Le Verbe de
Dieu, Jésus Christ et les religions du monde», in Nouvelle revue théologique 123(2001),
529-546. L'autore, riferendosi continuamente a Gv 1,9, per confermare la tesi della perdu­
rante distinzione tra il Verbo e Gesù anche dopo l'incarnazione, si appoggia alle afferma­
zioni di alcuni esegeti: di X. Léon-Dufour, J. Dupont, D. Mollat, Y. Raguin e B. Senécal.
41 D u p u is , «La teologia del pluralismo religioso rivisitata», 676.
42 Cf. D u p u is , «La teologia del pluralismo religioso rivisitata», 678.

131
Annunciare Cristo alle genti

non [ha] mai voluto ridurre Gesù Cristo a una figura salvifica «tra le altre»,
anche se la più alta. Perciò l'ho chiamato, in senso unico, Salvatore «costitu­
tivo», in quanto l'evento Cristo è veramente causa, anzi causa universale della
salvezza, mentre le altre «figure salvifiche» possono tuttalpiù fare da «indica­
tori» verso una via attraverso cui i loro seguaci si incontreranno, senza esser­
ne consapevoli, con l'evento di salvezza Cristo. M i chiedo, però, se sia oppor­
tuno attribuire alle azioni umane di Gesù un valore divino, assoluto o infinito.
Le azioni umane di Gesù, pur essendo azioni del Figlio e, come tali, salvifiche,
rimangono umane per quanto riguarda la loro specificità.43
Si apre così lo spazio per una «complementarità» tra rivelazione bibli­
ca e altre rivelazioni; con questa affermazione
si intende soltanto riconoscere che taluni aspetti del mistero divino possono
essere messi in evidenza nelle scritture non bìbliche più di quanto non lo
siano in quelle bibliche, le quali conservano comunque la loro trascendenza 44
Alle obiezioni «ecclesiologiche», infine, Dupuis non riserva molto spa­
zio, ritenendo che il coinvolgimento della Chiesa nell'opera salvifica sia
in gran parte una questione teologica aperta; alla domanda del perché la
Chiesa, nella prospettiva pluralista, dovrebbe continuare ad annunciare
il vangelo a coloro che non lo conoscono, Dupuis risponde che
la loro «ordinazione» verso la Chiesa (cf. LG 16) e la loro «vocazione» a diven­
tare discepoli di Gesù in essa non è in vista di una salvezza altrimenti non rag­
giungibile, ma perché alla Chiesa è stata affidata da Cristo «la pienezza dei
beni e dei mezzi di salvezza» (cf. Redemptoris missio 18), la quale non è a
disposizione al di fuori di essa [...]. Soltanto la Chiesa può comunicare loro la
conoscenza esplicita di colui in cui si trovano salvati.4®
Dupuis conclude difendendo un pluralismo religioso de iure e non
solo de facto: le religioni rappresentano «per prime i "diversi modi” (cf.
Eb 1,1) con cui Dio ha cercato gli uomini attraverso la loro storia - una
ricerca divina alla quale hanno potuto rispondere a seconda delle loro
possibilità limitate».46

La Dominud Jediid (2000)

Nell'anno giubilare la Congregazione per la dottrina della fede firma la


dichiarazione Dominus Jesus, nella quale vengono ribadite l'unicità e l’u-

43 D u p u is , « L a te o lo g ia d e l p lu r a lis m o re lig io s o r iv is ita ta » , 681.


44 D u p u is ,«La teologia del pluralismo religioso rivisitata», 684.
45 D u p u is ,«La teologia del pluralismo religioso rivisitata», 689.
46 D u p u is , «La teologia del pluralismo religioso rivisitata», 691. Lo stesso autore ha
meglio articolato alcune sue aperture ecclesiologiche pluraliste nell'interessante presenta­
zione dei lavori del Sinodo per l'Asia, «Premiers échos du Synode pour l'Asie», in Études
143(1998), 215-227. Qui Dupuis non risparmia critiche ad alcune tendenze emerse sia nella
preparazione che nella celebrazione di tale sinodo, a suo parere troppo preoccupate di
«centralizzare» a scapito dell'iniziativa delle Chiese locali, di sottolineare l'annuncio a sca­
pito del dialogo, l'ampliamento della Chiesa a scapito della sua kenosis che privilegia l’im­
magine del lievito, e in definitiva il Cristo del dogma sul Gesù della storia.

132
Middume: dialogo e annuncio nel contento interreligiojo

niversalità di Cristo e della Chiesa, prendendo posizione critica nei con­


fronti delle tesi pluraliste.47 Il documento, del quale ricordiamo solo alcu­
ni passaggi, comprende una introduzione, sei capitoli e una conclusione.
Nell'introduzione vengono offerti alcuni elementi importanti per l'in­
terpretazione del documento: la sua finalità
non è quella di trattare in modo organico la problematica relativa all'unicità e
universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo e della Chiesa, né quella di pro­
porre soluzioni alle questioni teologiche liberamente disputate, ma di riespor­
re la dottrina della fede cattolica al riguardo, indicando nello stesso tempo alcu­
ni problemi fondamentali che rimangono aperti a ulteriori approfondimenti, e
di confutare determinate posizioni erronee o ambigue (n. 3: EV 19/1147).
Nel seguito del documento (già a partire dal n. 4, ultimo paragrafo
dell'introduzione) diventa evidente che queste «posizioni» sono quelle
che rientrano nel paradigma «pluralista».
Il primo capitolo, intitolato «Pienezza e definitività della rivelazione di
Gesù Cristo» (nn. 5-8), viene posto come articolo da credere «fermamen­
te»: soprattutto «l'affermazione che nel mistero di Gesù Cristo, Figlio di
Dio incarnato [...] si dà la rivelazione della pienezza della verità divina»
(n. 5); per cui è «contraria alla fede della Chiesa la tesi circa il carattere
limitato, incompleto e imperfetto della rivelazione di Gesù Cristo, che x
sarebbe complementare a quella presente nelle altre religioni» (n. 6); di
conseguenza i libri sacri di altre religioni, per quanto di fatto alimentino
il senso religioso di moltitudini di credenti, non possono essere qualifica­
ti come «testi ispirati»: essi invece «ricevono dal mistero di Cristo quegli
elementi di bontà e di grazia in essi presenti» (n. 8).
Nel secondo capitolo, «Il Logos incarnato e lo Spirito Santo nell'opera
della salvezza» (nn. 9-12), il documento contrasta ogni separazione tra il
Logos e Gesù, secondo la quale esisterebbe «una economia del Verbo eter­
no, valida anche al di fuori della Chiesa e senza rapporto con essa, e una
economia del Verbo incarnato» (n. 9); invece deve essere fermamente cre­
duta sia «la dottrina di fede che proclama che Gesù di Nazaret, figlio di
Maria, e solamente lui, è il Figlio e il Verbo del Padre» (n. 10), sia «la dot­
trina di fede circa l'unicità dell'economia salvifica voluta da Dio uno e
trino, alla cui fonte e al cui centro c'è il mistero delTincamazione del Verbo,
mediatore della grazia divina sul piano della creazione e della redenzio­
ne» (n. 11). Così come è contraria alla fede «l'ipotesi di un'economia dello
Spirito Santo con un carattere più universale di quella del Verbo incarna­
to, crocifisso e risorto», poiché lo Spirito «non fa che attuare l'influsso sal­
vifico del Figlio fatto uomo nella vita di tutti gli uomini», e quindi la sua
azione «non si pone al di fuori o accanto a quella di Cristo» (n. 12).
Il terzo capitolo si schiera contro coloro che negano 1'«unicità e uni­
versalità del mistero salvifico di Gesù Cristo» (nn. 13-15), affermando che

47 C o n g r e g a z io n e p e r l a d o t t r in a d e l l a f e d e , dichiarazione Dominus Jesus circa l'uni­


cità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, del 6 agosto 2000, in La Civiltà
cattolica 151(2000)4, 54-76: EV 19/1142-1200.

133
Annunciare Critto alle genti

deve essere fermamente creduta, «come dato perenne della fede della
Chiesa, la verità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Signore e unico Salvatore,
che nel suo evento di incarnazione, morte e risurrezione ha portato a
compimento la storia della salvezza, che ha in lui la sua pienezza e il suo
centro» (n. 13; cf. anche l'inizio del n. 14). Occorre valutare, certamente,
«se e come anche figure ed elementi positivi di altre religioni rientrino
nel piano divino di salvezza», ma «risulterebbero, tuttavia, contrarie alla
fede cristiana e cattolica quelle proposte di soluzione, che prospettasse­
ro un agire salvifico di Dio al di fuori dell'unica mediazione di Cristo» (n.
14). Perciò è legittimo parlare di Gesù Cristo come del Salvatore «unico»,
«universale» e «assoluto» (cf. n. 15).
I capitoli terzo, quarto e quinto trattano direttamente della Chiesa in
relazione alla salvezza. Nei paragrafi sulla «Unicità e unità della Chiesa»
(nn. 16-17) il documento ribadisce che la Chiesa è inseparabile da Cristo,
come suo corpo, che è una e che «sussiste nella» Chiesa cattolica. Nel
capitolo quinto, «Chiesa, regno di Dio e regno di Cristo» (nn. 18-19),
viene affermato nel contempo «l'inscindibile rapporto tra Chiesa e
Regno» e la non-identificazione del Regno con la Chiesa visibile (cf. n.
19). Nell'ultimo capitolo, «La Chiesa e le religioni in rapporto alla sal­
vezza» (nn. 20-22), sono ribadite due verità in tensione: la reale possibi­
lità della salvezza in Cristo per tutti gh uomini e la necessità della Chie­
sa in ordine alla salvezza (cf. n. 20); dalla coniugazione delle due verità,
si deduce che la Chiesa è sempre connessa alla salvezza di chiunque,
sebbene i «modi» di questo processo siano lasciati all'approfondimento
teologico: quello che è certo è «che sarebbe contrario alla fede cattolica
considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costitui­
te dalle altre religioni» (n. 21); perciò la missione ad gentes conserva
tutta la sua validità e il «dialogo», che di essa fa parte, non va inteso
come un tributo al relativismo religioso (cf. n. 22).
Nonostante la perentorietà del tono, legata al genere letterario scelto,
e le difficoltà ermeneutiche poste dal metodo seguito (un intarsio di cita­
zioni cucite da qualche commento),48 è evidente che il documento non fa
altro che riaffermare, precisare e rilanciare quanto il magistero è venuto
dicendo nel dopo-concilio sulle problematiche interreligiose in riferi­
mento al paradigma «pluralista».

48 Cf. in merito le osservazioni critiche di J. R ig a l , «À propos de la déclaration "Domi­


nus Jesus”», in Nouvelle revue théologique 123(2001), 192-203. Egli ritiene infelice la
mescolanza tra questioni di ordine ecumenico, questioni di carattere interreligioso e osser­
vazioni sul relativismo; osserva che il documento ha adottato «un genere letterario diffici­
le», in quanto si tratta di un accumulo di 102 citazioni di provenienza diversissima e senza
apprezzabile ermeneutica che permetta di collocare le citazioni nel loro contesto: «II procè­
de plutót par proclamations et injonctions» (p. 194); pensa che rispetto al Vaticano II si
distingua nettamente nel tono, nelle insistenze, nei silenzi. Ci si può in effetti domandare
se 0 genere letterario del syllabus sia ancora oggi adeguato a esprimere la dottrina, dato
che provoca quasi sempre una certa diffidenza o addirittura un rifiuto; mentre l'esposizio­
ne pacata e lineare della dottrina - come ha fatto il Vaticano II nei suoi documenti finali -
non fa perdere in chiarezza e acquista in «recettibilità».

134
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso

La Notificazione a D upuis (20 0 1)

Esplicitamente collegata alla Dominus Jesus è la breve Notificazione


della stessa Congregazione a p. Dupuis, resa nota il 26 febbraio 2001,
poco più di un mese dopo la sua firma.49 Nel Preambolo la Congregazio­
ne, dopo avere indicato con esattezza il paradigma scelto da Dupuis
(«Non si tratta semplicemente di una teologia delle religioni, ma di una
teologia del pluralismo religioso») e avere messo in evidenza la sua
«buona disposizione» e la sua «volontà di rimanere fedele alla dottrina
della Chiesa», avverte che nell'opera del teologo belga «sono contenute
notevoli ambiguità e difficoltà su punti dottrinali di rilevante portata, che
possono condurre il lettore a opinioni erronee o pericolose».
Queste ambiguità e difficoltà riguardano cinque punti:
1) la mediazione salvifica unica e universale di Gesù Cristo, per cui
vanno escluse ogni «separazione» tra il Verbo e Gesù e ogni «indipen­
denza» dell'azione del Verbo divino da quella delTumanità del Verbo
incarnato;
2) l'unicità e pienezza della rivelazione di Gesù Cristo, per cui essa è
completa e perfetta in quanto «offre tutto ciò che è necessario per la sal­
vezza dell'uomo e non ha bisogno di essere completata da altre religio­
ni»; quindi ogni elemento buono e vero presente m altre religioni deriva
ultimamente dalla mediazione fontale di Gesù Cristo;
3) l'azione salvifica universale dello Spirito Santo, la quale non si può
«estendere oltre l’unica economia salvifica universale del Verbo incarna­
to», perché lo Spirito è sempre lo Spirito di Cristo inviato dal Padre;
4) l'ordinazione di tutti gli uomini alla Chiesa, «segno e strumento di
salvezza per tutti gli uomini», che non permette di «considerare le varie
religioni del mondo come vie complementari alla Chiesa in ordine alla
salvezza»;
5) il valore e la funzione salvifica delle tradizioni religiose, che non va
individuato nell'erronea considerazione di esse come «vie di salvezza»,
ma nel fatto che «lo Spirito Santo opera la salvezza dei non cristiani
anche mediante quegli elementi di verità e di bontà presenti nelle varie
religioni», le quali comunque non potranno mai considerarsi comple­
mentari alle Scritture e nemmeno al solo AT. È importante infine, dal
punto di vista ermeneutico, richiamare che l'intenzione del documento
non è «esprimere un giudizio sul pensiero soggettivo dell'autore», ma
«confutare opinioni erronee o pericolose, a cui, indipendentemente dalle
intenzioni dell'autore, il lettore può pervenire a motivo di formulazioni
ambigue o spiegazioni insufficienti contenute in diversi passi del libro».

49 C o n g r e g a z io n e p er l a d o t t r in a d e l l a f e d e , Notificazione a p. Dupuis, del 24 gennaio


2001, in Ji Regno documenti 46(2001), 143-145: EV 20/153-164. Il collegamento con la
Dominus Jesus, che già risulta evidente a ima prima lettura dei due documenti, è esplicita­
to alla nota 1: «La Notificazione si ispira ai principi indicati nella suddetta Dichiarazione per
la valutazione dell'opera di J. Dupuis».

135
Annunciare Cripto alU genti

4.2. O s s e r v a z i o n i t e o l o g i c h e
c o n c l u s i v e

Queste pagine finali intendono rileggere sinteticamente il Credo


alla luce della problematica interreligiosa, mostrando che la prospetti­
va cristocentrica è l'unica in grado di rendere adeguatamente ragione
della fede cristiana. Emergerà un cristocentrismo «aperto» al riconosci­
mento dei «semi del Verbo» presenti dovunque e all'azione universale
dello Spirito: un cristocentrismo che, comunque lo si voglia definire e
articolare, risulta l'orizzonte insuperabile di ogni teologia autentica­
mente cristiana.
Dungue a nostro parere è il modello cristocentrico a custodire e tra­
mandare integralmente i dati del NT e della tradizione circa la salvezza
e la verità cristiane, mentre i modelli tendenti alTecclesiocentrismo e al
teocentrismo, all'interno dei rispettivi orizzonti, operano una censura
tale, nelle nozioni cristiane di salvezza e di verità, da renderle irricono­
scibili e inadeguate: in sede conclusiva è questa la tesi di fondo che
intendiamo sostenere, facendo tesoro di quanto è emerso nel corso della
ricerca. Tralasciando i problemi di carattere epistemologico,50 richiamia­

50 Per i quali rimandiamo alle pagine chiarificatrici di M. C r o c ia t a , «Per uno statuto


della teologia delle religioni», in Id. (ed.), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive,
Paoline, Milano 2001, 325-370, in part. 355-370. Aggiungiamo solo che il procedimento
«contestuale» nella riflessione interreligiosa - utilizzato in genere dai pluralisti e bene
argomentato da Dupuis - che passa quasi automaticamente dalla «pratica» alla «teoria» o,
in altre parole, dall'esistenza di tante religioni de facto alla loro legittimazione teologica
de iure, è molto problematico già dal punto di vista metodologico. Le obiezioni teologiche
fondamentali si possono ricondurre a tre. 1) Se questo procedimento fosse stato applicato
fin dalle origini della Chiesa, non avrebbe mai preso avvio la missione ad gentes, la quale
risulta invece praticata e teorizzata già dal NT, sia nella conclusione dei vangeli, sia nei
primi passi della Chiesa descritti in At, sia infine nell'epistolario paolino. 2) Non si com­
prende con quale plausibilità solo oggi e proprio oggi la missione alle genti debba limi­
tarsi al solo dialogo, ossia non solo a «fotografare» (de facto) ma anche a «immortalare»
(de iure) la mappa delle religioni, riconducendo la sua odierna varietà alla provvidenza
divina. Come si può stabilire legittimamente che proprio nel XX o XXI sec. - e non ad es.
nel II, nel IX o nel XII - l'evangelizzazione dei «non cristiani» debba cessare, per consa­
crare la mappa contemporanea delle religioni? 3) La teologia induttiva inverte il rapporto
tra la storia e la rivelazione: in realtà la storia pone alla rivelazione delle domande e invi­
ta ad approfondirne degli aspetti, ma la risposta va cercata nelle fonti della rivelazione;
viceversa, nella teologia «contestuale» sembra che la prassi vada semplicemente fondata
e avallata così com’è, con il rischio di piegare la parola di Dio alla storia, e di eliminare l'i­
nevitabile tensione tra le due grandezze: tensione che tra l'altro mantiene alla rivelazione
una funzione critica nei confronti della storia, ed evita le teologie che si limitano a «legit­
timare» l'esistente. Per fare un solo esempio, si pensi ai danni causati dalla cosiddetta
«teologia del disprezzo» verso gli ebrei: che altro non era se non il tentativo di fondare e
«legittimare» ima realtà - la diaspora degli ebrei e le persecuzioni contro di loro -
sull’«automaledizione» di quei giudei che contribuirono a crocifiggere Gesù (per
approfondire questo aspetto, nell'ottica del metodo teologico, cf. il nostro contributo:
«Israele, le genti, la Chiesa: dalla sostituzione all’innesto», in Rivista di teologia dell'e­
vangelizzazione 10[2006]20, 257-282).

136
M ilio n e : dialogo e annuncio nel contento interreligioso

mo alcuni elementi che ci sembrano essenziali per impostare la proble­


matica interreligiosa all'interno della teologia cristiana: il problema della
verità, l'unità di Dio e dell'umanità, la Trinità divina e l'originalità del cri­
stianesimo, il ruolo della Chiesa, la salvezza e l'antropologia.

4.2.1. L a q u e s t i o n e d e l l a v e rità
Il recente dibattito teologico sul paradigma pluralista ha messo in luce
come la questione della verità sia di fatto implicata nelle diverse posizio­
ni, eppure spesso non venga dichiarata o sia addirittura ritenuta trascu­
rabile.51

L a tendenza a separare salvezza « verità

Come afferma la Commissione teologica internazionale, a proposito


del «problema della verità delle religioni»
oggi si nota una tendenza a relegarlo in secondo piano, separandolo dalla
riflessione sul valore salvifico [...]. Tralasciare il discorso sulla verità conduce
a mettere superficialmente sullo stesso piano tutte le religioni, svuotandole in
fondo del loro potenziale salvifico. Affermare che tutte sono vere equivale a
dichiarare che tutte sono false: sacrificare la questione della verità è incom­
patibile con la visione cristiana.52
Un modo meno radicale di trascurare la questione della verità, nel
contesto interreligioso, è l'accentuazione unilaterale della «salvezza» in
buona fede, che può implicare anche l'errore; è vero che questa salvezza
è possibile e ammessa - come si è ampiamente documentato nei capitoli
precedenti - ma è anche vero che non è possibile fare astrazione di ogni
elemento gnoseologico nel concetto di «verità», come se la conoscenza
della verità non appartenesse in qualche misura alla pienezza dell'uomo,

51 Si può sottoscrivere l'osservazione di Canobbio, secondo il quale è proprio quello


della «verità» «il problema che ora si presenta come urgente alla riflessione teologica. La
preoccupazione soteriologica, divenuta dominante, ha portato ad accantonare il problema
della verità, ma in tal modo ha inevitabilmente condotto a posizioni che la teologia rite­
neva di aver superato» (G. C a n o b b io , «L’emergere dell'interesse per le religioni nella teo­
logia cattolica del Novecento», in C r o c ia t a [ed.j, Teologia delle religioni, 54). La stessa
preoccupazione muove le riflessioni di T o n io l o in «Teologia cristiana delle religioni», e
anche di P. H O n e r m a n n , «La verità del cristianesimo di fronte alla verità delle altre reli­
gioni», in Studia Patavina 46(1999), 543-554. Rimandiamo inoltre, per una trattazione arti­
colata del tema, al volume di M. S err et t i (ed.), Unicità e universalità di Gesù Cristo. In
dialogo con le religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001. i cui contributi sono tutti svol­
ti secondo l'ottica veritativa.
52 C o m m i s s io n e t e o l o g ic a in t e r n a z io n a l e , Il cristianesimo e le religioni, n. 13, in La
Civiltà cattolica 148(1997)1, 146-183: una critica dettagliata alla posizione pluralista in que­
sta chiave anti-relativista, come già ricordato, si trova ai nn. 93-104, che costituiscono la
sezione III.3, intitolata «La verità come problema tra la teologia delle religioni e la posizio­
ne pluralista».

137
Annunciare Criito alle genti

alla sua «salvezza» appunto.53 È in questa prospettiva - una verità sgan­


ciata dalla salvezza - che si comprendono proposte come quella, pur
moderata nel tono, di M. FuB, il quale prospetta come modello di teolo­
gia interreligiosa «la famiglia delle verità»,54 ritenendolo in grado di evi­
tare sia il relativismo che l'integralismo:
Come i diversi componenti di una famiglia si riuniscono alla stessa mensa,
sebbene nelle cose della vita quotidiana siano impegnati diversamente, così
gli appartenenti alle diverse religioni condividono una fede fondamentale
(fides qua), senza tuttavia riconoscere reciprocamente i contenuti espliciti
della fede (fides quae).55
Si può sottoscrivere quanto nota T. Merrigan, con precisione critica:
I pluralisti mettono tra parentesi la questione della verità dottrinale. Lo
scopo delle religioni non si identifica con una dottrina adeguata su Dio (ciò
che, in ogni caso, è impossibile), ma con il contributo che dà la religione al
benessere umano. Secondo i pluralisti, le religioni del mondo sono più o meno
uguali in ciò che concerne un tale contributo. Ancora una volta, non si può
esprimere alcun giudizio che parrebbe favorire una tradizione particolare.
Questo vuol dire in effetti che non si potrà mai definire la natura precisa della
salvezza. Secondo la teologia pluralista, deve restare un concetto generale.56
Come emergerà tra poco, invece, la «salvezza» è profondamente con­
nessa alla verità sull'uomo e sul mondo.
Come nota infine W. Pannenberg, proprio perché non considera
importante la questione della verità il pluralismo finisce per rinunciare
alle missioni «ad gentes», contro l'evidente dottrina biblica della rivela­
zione:
Solo quando il messaggio cristiano è considerato più di una convinzione
religiosa soggettiva, solo quando è fondato sulla rivelazione di un unico Dio
per tutti gli uomini, la missione è legittima. Questa infatti è legata alla que­
stione della verità e della volontà salvifica. Il fatto che oggi molti cristiani,
anche teologi, intendano rinunciare al pensiero della missione, mostra che la
dottrina cristiana viene ritenuta non più come la verità divina, ma solo come
tradizione umana e oggetto di una lealtà soggettiva.57

53 Cf. L.F. Ladaria, «Du De vera religione à l'action universelle de l'Esprit-Saint dans la
théologie catholique recente», in J. Dorè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions,
Artel, Namur 1997, 73-74. Come afferma Gerosa, «il problema della verità non può essere
estromesso o semplicemente sostituito con quello delle buone intenzioni, perché altrimen­
ti diventa impossibile da una parte riconoscere che cosa sia oggettivamente buono e vero,
dall'altra permettere che la salvezza nell'aldilà possa manifestarsi, già qui sulla terra, in una
forma di vita che rende l'uomo più vero, più umano e perciò conforme a Dio» (L. Gerosa,
«Diversità delle religioni, verità e pace. Riflessioni sul ruolo del dialogo interreligioso nella
costruzione della pace», in Rivista teologica di Lugano 6[2001]2, 294).
54 Cf. M. Fub, «Die Familie der Wahrheiten. Fragmentarische Skizzen zu einer Theolo­
gie der Religionen», i n G O n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie, 381-393.
55 Fub, «Die Familie der Wahrheiten», 387.
56T. M e r r ig a n , « Tour nous et pour notre salut". L'action de Dieu selon la théologie des
religions», in Lumen Vitae 53(1998), 424.
57W. P a n n e n b e r g , «Das Christentum - eine Religion unter anderen?», in D o r è (ed.), Le
christianisme vis-à-vis des religions, 221.

138
A I iddione: dialogo e annuncio net contento interreligioso

U n a v e r i t à o molti fr a m m e n ti di v e r i t à ?

I pluralisti sostengono che non è possibile raggiungere la verità «in


sé», nel suo «nucleo», nella sua «essenza», ecc., poiché essa rimane inco­
noscibile all'uomo, che ne può percepire solo alcuni frammenti incom­
pleti: la verità «per me», nella sua «corteccia^, nella sua «manifestazio­
ne», ecc. Applicata alle religioni, questa impostazione gnoseologica
porta a concludere che Dio non è conoscibile «in sé» in alcuna tradizio­
ne religiosa; per avere un'idea di Dio - che sarà comunque sempre
imprecisa e incompleta - occorre sommare e confrontare le differenti
«rivelazioni», ciascuna delle quali darà un'immagine di Dio che va inte­
grata e corretta attraverso le altre. Se il cristianesimo mantiene una spe­
cificità all'interno del panorama religioso, non sarà data dalla sua «asso­
lutezza» (prerogativa di Dio «in sé»), ma dalla sua maggiore capacità di
illuminare alcuni elementi della realtà divina. Non sarà difficile trovare
questi principi - le cui radici si collocano nella teologia apofatica e nella
gnoseologia kantiana, come abbiamo notato nel capitolo precedente - al
di sotto delle posizioni di Hick, Panikkar, Knitter e, con le dovute sfuma­
ture, anche di Dupuis.

L a v a le n z a cristo lo g ica della verità

Il limite fondamentale della posizione appena richiamata risiede a


nostro parere nell'avere coniato una nozione di «verità» astratta e di
averla poi successivamente applicata a Cristo e al cristianesimo. Questo
modo di procedere non è teologico, ma filosofico: elabora un concetto a
prescindere dalla rivelazione e poi lo confronta con l'evento cristiano,
considerato fenomenologicamente sullo stesso piano di tutte le religioni
o le filosofie. Dal punto di vista teologico cristiano, invece, la «verità» è
donata pienamente in e con Cristo (cf. Gv 14,6; Eb 1,1-3; 9,12; ecc.), e
ogni deduzione veritativa procede a partire da questo fondamentale
metro, non viceversa.
È in questo senso che la fede cristiana implica una dimensione cono-
scitivo-veritativa, intesa non solo come atto (fides qua),58 ma anche come
contenuto (fides quae): quest'ultima dimensione, anzi, è quella che inte­
ressa maggiormente l'ambito interreligioso. Ridurre la professione cristo­
logica del NT alla prospettiva «relazionale», come fa Knitter, per poi rileg­
gere con questa lente anche le affermazioni più chiaramente «metafisi­
che» (come At 4,12; Gv 14,6; lTm 2,5) significa trascurare il fatto fonda-
mentale che le affermazioni neotestamentarie su Cristo sono sì espressio­
ni di «relazione» con lui, ma intendono nel contempo dire qualcosa di lui;

58 S u questo aspetto, cf. P. N e u n e r , «Der Glaube als subjektives Prinzip der theologi-
schen Erkenntnis», in W. K e r n - H.J. P o t t m e y e r - M. S e c k l e r (hrsg.), Handbuch der Fun-
damentaltheologie, IV, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1988, 51-67.

139
Annunciare Cr'uto alle genti

hanno dunque anche un contenuto oggettivo, proposizionale, che fa parte


costitutivamente dell'annuncio cristiano dai suoi primi passi; già dall'ini­
zio dunque le professioni di fede implicanti Gesù contenevano una prete­
sa di verità, facevano appello all'adesione verso un «contenuto» di fede.59
Immaginare poi come oggetto della fede cristiana un irraggiungibile
«assoluto» - che lo si indichi come Realtà, mistero, nulla, al-di-là-del-
Padre o altro qui non è decisivo - implica che la perfezione divina si col­
lochi nella «inaccessibilità» di Dio, nel suo non-coinvolgimento con le
creature, al limite nella sua «impassibilità»; è un'operazione certamente
legittima dal punto di vista puramente filosofico o fenomenologico, ma
fuorviante da quello teologico cristiano: da cui risulta invece che la per­
fezione divina consiste nell'amore (cf. lG v 4,8.16), che implica relazione.
Dio, che è in sé relazione (trinitaria), partecipa di questa relazione anche
le sue creature (creazione, incarnazione, mistero pasquale). Questo Dio si
«conosce» pienamente - per quanto è possibile e sufficiente in questa
vita terrena - in Cristo, punto di incontro tra la discesa di Dio verso l’uo­
mo e l'ascesa dell'uomo verso Dio. Quando Dio prende carne in Cristo,
non diminuisce la sua divinità né annienta l'umanità, non è «meno Dio»;
è piuttosto la manifestazione piena di Dio.
Insistere, come fa Dupuis insieme ad altri pluralisti, sui «limiti» del
Gesù uomo per dedurne la «parzialità» della sua rivelazione, significa
adottare un concetto di rivelazione che non corrisponde alla tradizione
cristiana:
Si può essere d’accordo sul fatto che nessuna conoscenza creata (neppure
quella dei beati!) comprende Dio, ma la rivelazione non ha affatto come scopo
quello di esaurire il mistero di Dio! La sua finalità, nell'ordine della cono­
scenza, è di comunicare agli uomini tutte le verità necessarie alla salvezza.
Ora, queste verità non sono infinite di numero; esse possono dunque essere
mediate dalla coscienza umana di Gesù. Non è assolutamente contraddittorio
sostenere che tutto quello che Dio ci ha voluto comunicare in materia di rive­
lazione, ce l’ha comunicato attraverso Cristo (cf. DV 4).60
Tutta la verità su Dio che è dato raggiungere, quindi, si attinge attra­
verso l'incarnazione, morte e risurrezione e non nonostante essa. Come
afferma la Dominus Jesus: «La verità su Dio non viene abolita o ridotta
perché è detta in linguaggio umano. Essa, invece, resta unica, piena e
completa perché chi parla e agisce è il Figlio di Dio incarnato» (n. 6). Il
pluralismo nella sua forma più radicale, invece, decide preventivamente
che l'incarnazione è impossibile: essa, come si è visto, viene considerata
come un simbolo o un mito per indicare la vicinanza di Dio all'uomo:61 la

59 Cf. E. A r e n s , «Die Vielfalt der Religionen als Herausforderung der Theologie», in


Stimmen der Zeit 118(1993)211, 855-856.
60 C o m ité de r é d a c t i o n , «"Tout récapituler dans le Christ". À propos de l'ouvrage de
Jacques Dupuis, Vers urie théologie chrétienne du pluralisme religieux», in Revue thomiste
106(1998), 626.
61 «Un’incarnazione a priori è impossibile. Sarebbe logicamente contraddittorio all'es­
sere Dio di Dio, se il Creatore neU'incamazione fosse contemporaneamente anche una

140
M ilio n e : dialogo e annuncio nel contejto interreligioso

«verità», quindi, andrebbe cercata abbandonando il rivestimento mitico


per attingere al concetto sottostante. Nella teologia cristiana occorre
piuttosto invertire il procedimento:
La verità teologica trova nella verità Persona e nell'evento storico dell'in­
carnazione, della croce e risurrezione il nuovo orizzonte di verità come luogo
di comprensione di ogni particolare affermazione di contenuto dogmatico.
In conclusione, non è condivisibile l'idea che vi sia «più verità religio­
sa» nell'insieme di tutte le religioni che nel solo cristianesimo.63 Questa
concezione, oltre ad essere in contrasto con il significato unico dell'even­
to di Cristo, non tiene conto della sostanziale diversità tra molti concetti
religiosi, che si elidono a vicenda e che resistono a tutti i tentativi di omo­
logazione: o il divino è personale o è impersonale; o ha una natura unica
o ve ne sono tanti; o parla o tace; o si fa carne o non si fa carne; o è inat­
tingibile o è (parzialmente) conoscibile; o è l'autore del male oppure lo
permette solo.64 Per non parlare poi delle diversità in campo antropologi­
co ed etico, sulle quali torneremo alla fine del capitolo, focalizzando il
tema della «salvezza». Ora seguiamo a grandi linee la struttura del Credo.

4.2.2. U n s o l o D i o
C R E A T O R E E SA L VA T OR E,
UN SOLO GENERE U M A N O
C R E A T O E SALVATO
La teologia cristiana, dopo il superamento della visione dei «due
piani» sovrapposti di natura e soprannatura, ricomprende ogni autentica
ricerca umana di assoluto nell'alveo della grazia soprannaturale (cf. i
testi basilari di LG 16 e GS 22); avendo recuperato l'idea neotestamenta­

parte della sua propria creazione. Il tutto non può diventare una parte in se stesso. La divi­
nità di Dio non consente l'incarnazione di Dio. (...) Poiché l'automanifestazione escatologi-
co-storica del Dio trino e l'incarnazione della Parola si ritengono a priori ontologicamente
impossibili, l’incarnazione come realtà, così come viene professata nell’inno ai FiUppesi (Fil
2,6-11), nel prologo di Giovanni e nel dogma niceno-calcedonese, è impensabile» (G.L.
M O l l e r , «Le basi epistemologiche di una teologia delle religioni», in S err et t i (ed.), Unicità
e universalità di Gesù Cristo, 50.55).
62 M . B o r d o n i , «La cristologia odierna di fronte alla questione della verità», in S e rretti
(ed.), Unicità e universalità di Gesù Cristo, 101.
63 Così ad es. C. G e f f r é , «Le pluralisme religieux et l’indifférentisme, ou le vrai défi de
la théologie chrétienne», in Revue théologique de Louvain 31(2000), 16 e 23.
64 Proprio per questo non convincono i tentativi pluralisti, nemmeno quelli moderati, di
cogliere precise «analogie» tra le idee di Dio, dell’uomo e della sua salvezza/liberazione
nelle diverse religioni (cf. ad es. G e f f r é , «Le pluralisme religieux et l’indifférentisme», 25-
30). Secondo alcuni autori, comunque, esisterebbe nell'induismo una propensione plurali­
sta, una sorta di capacità a inglobare tutte le prospettive religiose, anche le più distanti tra
loro, in una sorta di «arcipelago religioso» onnicomprensivo (cf. J.B. T r a p n e l l , «Indian
Sources of thè Possibility of a Pluralist View of Religions», in Journal of Ecumenical Studies
35[ 1998], 210-232). Certamente non è però questo il caso del cristianesimo.

141
Annunciare Cripto alle genti

ria che la stessa creazione ad opera del Padre avviene in Cristo (cf. ICor
8,5-6; Eb 1,1-3; Col 1,15-17; Ef 3,14-15; Gv 1,3.10), oggi la teologia tende
a rifiutare l'ipotesi che esista un piano puramente creaturale in cui la gra­
zia non ha influsso. Non è in altre parole giustificata una netta separa­
zione tra un livello naturale, nel quale si muoverebbero le «religioni non
cristiane», e un livello soprannaturale proprio ed esclusivo del cristiane­
simo: non solo la posizione di K. Barth, ma anche quella di J. Daniélou,
da questo punto di vista, è inadeguata, poiché non riesce a superare lo
schema dei «due piani» sovrapposti.
Questa unità basilare tra il piano della creazione e quello della reden­
zione si fonda sulla comunione sostanziale fra le Persone della Trinità:
comunione che esclude ogni interpretazione dualistica della realtà - sia
essa di tipo gnostico o marcionita - e fonda ultimamente la possibilità di
un dialogo tra gli uomini religiosi e le loro tradizioni.65 Anche da que­
st'ottica la contrapposizione barthiana tra religione e fede è come tale
inaccettabile, perché implicherebbe una contrapposizione tra il Dio che
crea e il Dio che salva. Invece:
La confessione di fede nell'unico Dio include che l’unico Dio è il Dio di tutti
gli uomini che abbraccia tutto e tutti. Mentre il politeismo pone la molteplicità
della realtà, dei popoli e delle culture, la confessione di fede nell'unico Dio è
la contraddizione più acuta possibile della frammentazione della realtà e l’af­
fermazione più chiara possibile dell'unità del mondo e dell’umanità. La con­
fessione di fede nell'unico Dio dice che tutti gli uomini sono fratelli e sorelle,
poiché essi appartengono all'unica famiglia sotto l'unico Padre che è nei deh.
Così la pretesa universale dell'unico Dio conserva al tempo stesso 0 valore ine­
liminabile e inalienabile di ciò che è rispettivamente singolare.66
La percorrenza della pista «fenomenologica», a questo punto, sareb­
be certamente interessante ma non decisiva per la teologia interreligiosa

65 Non si può condividere l’opinione di chi nega ogni contatto tra le religioni, per arri­
vare a un «pluralismo plurale», che non è altro se non l'accostamento delle diverse religio­
ni, ritenute tutte ugualmente valide. Sembra andare in questa direzione la riflessione di S.
C h u l K i m , «Ein Weg zum pluralen Pluralismus der Religionen. Von Troeltsch zum Zen
Buddhismus», in G O n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie, 421-431. Valutando poco audace la
stessa teologia pluralista (cita esplicitamente Panikkar, Knitter e Hick), perché basata sulla
convinzione che esistano elementi comuni tra le religioni, l'autore ritiene invece che nes­
sun dialogo vero sia possibile per il cristianesimo finché adotta il «logocentrismo», che a suo
parere non lascia spazio alla «alterità degli altri» (p. 424); sarebbe invece il buddhismo Zen,
basato sul silenzio, a costituire un modello di autentico dialogo. È però davvero singolare,
a nostro parere, pensare che il «dialogo» (dia-logos) si possa costruire sul «silenzio» e far
passare il Logos come elemento intrinseco di divisione. L'autore avrebbe potuto almeno
ricordarsi che una delle prime approfondite riflessioni teologiche sulla relazione con «l'al­
tro» - quella di s. Giustino - fece perno proprio sul Logos, inteso come elemento non di
separazione bensì di unione e apprezzamento dell'alterità. Infine: come può un «pluralismo
plurale» costituire un modello di dialogo? Non è piuttosto un modello di «confusione delle
lingue», una sorta di Babele delle religioni? Se non si individuano dei punti di contatto o di
confronto tra le religioni, come si può «dialogare»?
66 W. K a s p e r , «Unicità e universalità di Gesù Cristo», in S e rret t i (ed.). Unicità e uni­
versalità di Gesù Cristo, 29. Cf. anche A . S c o l a , «Libertà, verità e salvezza», in S e rretti
(ed.), Unicità e universalità di Gesù Cristo, 11-16.

142
Missione: dialogo e annuncia nel contesto interreligioso

cristiana:67 è impossibile infatti giungere a una effettiva convergenza


sulla concezione di Dio, come sembra ormai chiaro anche ad alcuni soste­
nitori del paradigma pluralista, i quali pure avevano indicato questa pista
come decisiva; il tentativo di elaborare categorie «neutrali» e il più gene­
riche possibili, affinché tutte le religioni vi si possano ritrovare (Realtà
u lt im a, mistero, nulla, assoluto, ecc.) in realtà finisce per scontentare
tutti, perché nessuno vi riconosce più il propripDio e la propria conce­
zione di salvezza.68 Si possono certo raggiungere, percorrendo la pista
fenomenologica della comparazione, alcune forme religiose comuni
(archetipi, simboli, ecc.) a tutti gli uomini, che affondano nel «senso reli­
gioso» insito nell'umana creaturalità: poiché ogni uomo - da quando si
può parlare di autocoscienza - si pone le domande esistenziali sull'origi­
ne, la fine e il senso della sua vita, e come tale si apre al «mistero» che lo
supera, non è difficile riscontrare dei parallelismi e delle analogie tra le
diverse espressioni religiose dell'umanità; è questo un argomento sul
quale esiste un’abbondante bibliografia. Questa pista però è spesso con­
nessa con una precomprensione che non va data per scontata e che anzi,
dal punto di vista teologico, va posta in crisi: che le diverse religioni non
siano altro che differenti espressioni di un'unica e identica realtà. Questa
precomprensione che - come è sopra emerso - rappresenta uno dei
cavalli di battaglia dell'illuminismo, è tutt'altro che dimostrata. Sarebbe
anzi facile dall'interno stesso dell'indagine fenomenologica mostrare
l'impossibilità di una pura e semplice riconduzione unitaria di fenomeni
così diversi come, ad esempio, le religioni bibliche e quelle orientali. Il
teologo deve perciò conoscere e tenere in considerazione i principali
risultati delFindagine fenomenologica sulle religioni, ma deve anche
saperli disgiungere dalla precomprensione illuminista.69

67Quando Coda parla del «fondamentale e irrinunciabile guadagno della pur non linea­
re vicenda della fenomenologia della religione nel nostro secolo; l'essere cioè l'esperienza
religiosa una dimensione specifica e irriducibile dell'esistenza umana», si riferisce eviden­
temente a un aspetto diverso da quello da noi inteso, cioè alla ricerca dell'Assoluto da parte
dell'uomo. In questo senso, egli ha perfettamente ragione nel mettere in guardia dalla sot­
tovalutazione dell'elemento fenomenologico: «Talvolta, la giusta sottolineatura dell'origi­
nalità delle differenti esperienze religiose, che senza dubbio vuol rispondere al pericolo
tutt'altro che remoto di un loro appiattimento o, peggio, di un loro troppo facile e apriori­
stico addomesticamento, non tiene conto, per reazione, di questo semplice ma irrinunciabi­
le costitutivo universale dell'esistenza umana» (P. C o d a , «Per un'ermeneutica cristologica
del pluralismo delle religioni», in G . C o f f e l e [ed.], Dilexit Ecclesiam. Studi in onore del
prof. Donato Valentini, LAS, Roma 1999, 126.128).
68 Come nota Muller, adottando il paradigma pluralista «inspiegata resta la questione
su che cosa si intenda con il termine "Dio": una sigla per l'orizzonte dell'esperienza reli­
giosa, per il motore immobile aristotelico, per uno degli dèi della mitologia, per il divino
orologiaio del deismo, oppure per YHWH Elohim la cui Parola si è fatta carne» ( M u l l e r ,
«Le basi epistemologiche di una teologia delle religioni», 50-51). In questa direzione vanno
anche le critiche al pluralismo da parte di H. V e r w e y e n , «Pluralismus als Fundamentali-
smusverstàrker?», in S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein?, 132-139, in part. 135-137.
69 In proposito risulta particolarmente illuminante l'introduzione al volume di M. Dha-
v a m o n y , Jesus Christ in thè Understanding of World Religions, (Documenta Missionalia 30),
PUG, Roma 2004, 7-17, con bibliografia. L'intero volume è del resto ima miniera per

143
Annunciare Cristo alle genti

Poiché l'unità della natura divina e quella del genere umano, nella
modalità creduta dai cristiani, sono frutto della rivelazione biblica e sono
accessibili solo confusamente al di fuori di essa, è di gran lunga più frut­
tuosa per la teologia la percorrenza della pista «biblica».70 Premettendo
però che un approccio biblico adeguato, cioè di tipo teologico, non
avverrà isolando alcuni versetti, né adottando chiavi interpretative
estrinseche, che coincidono in genere con la visione filosofico-culturale
dell'interprete: dell'uno e dell'altro approccio abbiamo incontrato esem­
pi all'interno dei vari paradigmi; esso consisterà invece
nel fare riferimento alle categorie oggettive e olistiche approntate dalla teolo­
gia biblica per una comprensione finalmente «scritturistica della Scrittura»,
sviluppata cioè all'interno dell'universo culturale rivelato, con categorie inter­
testuali, con criteri di mentalità biblica, a partire dallo stesso linguaggio nel
quale la rivelazione si è storicamente consegnata come un tutto organico.71
Questa interpretazione non mette affatto tra parentesi la fede: al con­
trario, la suppone come presupposto ermeneutico fondamentale per la
comprensione unitaria delle Scritture.
L'unità del suo progetto divino, derivante dall'unicità di Dio stesso,
teologicamente si sostiene a partire da ragioni derivanti dalla Scrittura,
che vanno ricercate in diverse direzioni:
1) il dato secondo il quale tutti sono creati a immagine e somiglianza
di Dio (cf. Gen 1,26-27; 9,6) e che, fin dall'inizio della creazione, Dio ha
stretto un'alleanza con tutti i popoli (cf. Gen 1—11);72
2) il fatto che le alleanze/chiamate «particolari» di Dio sono sempre
in qualche maniera «per tutti»; quella in Noè abbraccia tutti i viventi
della terra (cf. Gen 9,9.12.17.18), quella in Abramo è promessa di bene­

ricostruire fenomenologicamente l’interpretazione di Cristo nelle diverse religioni: da quel­


le tradizionali africane al giudaismo, dall'islam alle diverse correnti deU'induismo e al
buddhismo.
70 W. Pannenberg sottolinea acutamente questo aspetto. Egli definisce l'immagine di
Hick secondo la quale ciascuna religione ruota attorno all'unico Dio «una pia immagine,
mentre la questione verte solo sul modo in cui noi giungiamo a conoscere il Dio che sta al
centro, indipendentemente dalla fede cristiana o da qualche altra prospettiva religiosa. La
tradizione cristiana afferma che è precisamente attraverso la testimonianza biblica e defi­
nitivamente attraverso Gesù Cristo che questo Dio diviene a noi noto. Non nega che ci sia
ima qualche oscura e provvisoria conoscenza di Dio in tutta l'umanità, ma perfino il fatto
che è quest'unico Dio ad essere conosciuto anche altrove in forme provvisorie si può sta­
bilire solo sulla base della rivelazione in Cristo. In quale altro modo potremmo sapere che
i membri di altre religioni sono in relazione con lo stesso Dio, anche se lo adorano sotto
nomi diversi? » (W. P a n n e n b e r g , «Pluralismo religioso e rivendicazioni di verità in conflit­
to fra loro. Il problema di una teologia delle religioni mondiali», in G. D ' C o s t a (ed.). La
teologia pluralista delle religioni: un mito? L'unicità cristiana riesaminata, Assisi, Cittadel­
la 1994, 201).
71 G. B e l l ia , «Una teologia biblica delle religioni?», in S erretti (ed.), Unicità e univer­
salità di Gesù Cristo, 291.
72 «Ciò dimostra che vi è una sola storia di salvezza per tutta l'umanità»: P o n t if ic io c o n ­
s ig l io PER IL DIALOGO INTERRELIGIOSO E CONGREGAZIONE PER L’EVANGELIZZAZIONE DEI POPOLI, Dia­
logo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Van­
gelo di Gesù Cristo, del 19 maggio 1991 (EV 13/287-386), n. 19.

144
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso

dizione per tutte le famiglie deUa terra (cf. Gen 12,3; 22,17-18; 26,4-5;
28,14.18);
3) la centralità di Cristo, nella dimensione della creazione e in quella
della redenzione, che rende unica la storia della salvezza di tutti gli
uomini (cf. i testi già citati di lCor 8,5-6; Eb 1,1-3; Col 1,15-17; Ef 3,14-
15; Gv 1,3.10; cf. inoltre i temi: dell'«immagine» in 2Cor 4,4 e Col 1,15;
del «nuovo Adamo» in lCor 15,20-22.44-49; Rm 5,12-21 e della «media­
zione salvifica universale» di Cristo in Eb 8,6; 9,15; 12,24; lTm 5,6);
4) l’azione e presenza dello Spirito anche fuori dei confini visibili
della Chiesa (cf. Gv 3,8; At 10,44-48).
È in questo contesto biblico «olistico» che va compresa la dialettica tra
elezione e missione, tra particolarismo e universalismo, presente in
entrambi i Testamenti. Per l’AT occorrerà tenere presenti i passi nei quali
è attestato sia il riconoscimento del Dio d’Israele da parte di stranieri (cf.
Gs 2; IRe 10,1-13; 17,17-24; 2Re 5,1-27) sia l'apertura della salvezza a
tutti i popoli (cf. Is 2,3; 42,1-4; 49,6-8; 52,10; 66,18-21), sia infine l'azione
universale dalla Sapienza (cf. Pr 1,20-23; 8,2-11; Sap 6,1.10-21). Per il
Nuovo sarà necessario tenere presenti i brani che mostrano l'estensione
dei benefici di Gesù a stranieri (cf. Mt 8,5-13; Me 7,24-30 e Mt 15,21-28),
il superamento della visione territoriale del «culto» (cf. Gv 4,23), la pos­
sibilità di accedere al Regno da parte dei gentili (cf. Mt 8,11-12; 11,20-24;
25,31-32.34) e le aperture degli apostoli ai pagani (cf. soprattutto Paolo in
Licaonia in At 14,8-18 e ad Atene in At 17,22-34).
Sulla base dell'unicità divina e dell'unico piano di creazione e di sal­
vezza è possibile sostenere la legittimità di una criteriologia cristiana
generale per il confronto interreligioso. La convinzione che la grande
varietà delle tradizioni religiose renda ormai pensabile solo i dialoghi
bilaterali, pur avendo una sua parte di verità - vi sono infatti aspetti che
solo in contesti bilaterali possono essere approfonditi73 - non può essere
sposata tale e quale: esiste infatti almeno un «senso religioso» comune
tra gli uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio e salvati da Gesù
Cristo. Parliamo comunque di criteriologia «cristiana» generale e non di
criteriologia generale, nella convinzione che non sia né possibile né utile
perseguire un accordo interreligioso sulla criteriologia, impresa destina­
ta al fallimento, come hanno evidenziato specialmente le critiche all'im­
postazione di Hick. Questo livellamento avverrebbe necessariamente
verso il basso, il che dal punto di vista della teologia cristiana comporte­
rebbe conclusioni inaccettabili, come quella che segue: Gesù Cristo non
può essere il criterio immediato di valutazione delle altre religioni, ma si
deve ricercare un criterio comune a tutti nel concetto di «salvezza»,
all'interno del quale rientri anche la salvezza portata da Cristo.74

J. D u p u is , «Inculturation and Inter-Religious Dialogue in India Today», in C . C o r -


73 C f.
- V. N e c k e b r o u c k (edd.), A Universal Faith? Peoples, Cultures, Religions, and thè
n il l e
Christ. Essays in Honor ot F. De Grave, Peeters Press, Louvain 1992, 23.
74 Così, con molti altri pluralisti, P. S c h m id t -Le u k e l , «Skizze einer Theologie der Reli­
gionen», in G O n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie, 448.

145
Annunciare Cristo alle genti

4.2.3. D i o i n t r e P e r s o n e :
O R IG INALITÀ DELLA RIVELAZIONE
E SALVEZZA CRISTIANE
Se l'unità delle Persone divine fonda ultimamente l’unicità del pro­
getto di creazione e redenzione, la trinità delle Persone fonda la distin­
zione del cristianesimo rispetto alle altre religioni, o in altre parole la sua
irriducibilità alla categoria pura e semplice di «religione».75
È proprio la fede nella Trinità, che esiste dall'etemità nella sua dimen­
sione «immanente» e si rivela e agisce «economicamente» nella storia, a
impedire l'assorbimento completo del cristianesimo dentro la categoria di
«religione». Poiché in Cristo la rivelazione e la salvezza divine si sono
presentate all'uomo nella forma della pienezza (cf. Col 2,9; Gv 1,16; Gal
4,4), è da lui che deve prendere avvio l'enucleazione degli elementi ori­
ginali del cristianesimo; da lui è rivelata la paternità di Dio e da lui, insie­
me al Padre, è donato lo Spirito alla Chiesa.

L a cristologia, questione decisiva


nel d i b a t t i t o i n t e r r e l i g i o s o

Si registra un ampio consenso tra gli studiosi nel ritenere che la que­
stione teologica risolutiva nel dibattito interreligioso sia quella «cristolo­
gica»:76 mentre gli inclusivisti si collocano sulla scia della cristologia cal-
cedonese, con gli opportuni aggiornamenti, i pluralisti si muovono in una
sorta di cristologia pneumatica, che fa leva su una netta distinzione tra
Gesù e il Logos e sull'azione universale dello Spirito.
Molti converrebbero sul fatto che l'incarnazione del Verbo di Dio (cf.
Gv 1,1.14), del Figlio nel quale e attraverso il quale il mondo è stato crea­
to (cf. lCor 8,5-6; Col 1,15-17; Eb 1,1-3; ecc.), rappresenta il punto foca­
le del cristianesimo e l'elemento della sua massima originalità rispetto
alle altre religioni: come tale, essa è pietra d'inciampo per ogni tentativo
omologante.77 Ora, la scelta fondamentale è proprio questa: l'incamazio-

75 Per approfondire in diverse direzioni i pochi cenni trinitari che presentiamo, cf. R.
W «Trinità e pluralismo», in D 'C o s t a (ed.), La teologia pluralista delle religioni: un
il l ia m s ,
mito?, 65-83; Id., «Cristo, Trinità e pluralità religiosa», in D ' C o s t a (ed.), La teologia plurali­
sta delle religioni: un mito?, 84-103 (l’autore prospetta un «trinitarismo cristocentrico»); Id.,
«Towards a Trinitarian Theology of Religions», in C o r n il l e - N e c k e b r o u c k (edd.), A Uni-
versai Faith?, 139-154 (in questo studio l'autore imposta un «inclusivismo trinitario»),
76 Individua con particolare lucidità nella cristologia la questione-chiave S c h l e t t e ,
«Christliche Relativitàt?», 252-253; cf. anche U. Ruh, «Selbstrelativierung kein Ausweg.
Ansatz und Probleme einer pluralistischen Religionstheologie», in Herder Korrespondenz
48(1994), 578.
77 «La maggiore difficoltà del cristianesimo si è sempre focalizzata nell"’incarnazione di
Dio”, che conferisce alla persona e all'azione di Gesù Cristo le caratteristiche di unicità e
di universalità in ordine alla salvezza dell'umanità» (C o m m i s s io n e t e o l o g ic a in t e r n a z io ­
n a l e , Il cristianesimo e le religioni 18: EV 15/1003).

146
Muàione: dialogo e annuncio nel contento interreligioso

ne è un evento «reale» oppure è solo una «metafora», un «mito»? Men­


tre il NT e la tradizione ecclesiale affermano la realtà dell'incamazione,
oggi molti pluralisti propendono chiaramente per l'interpretazione
metaforica:
Ciò che Dio ha compiuto in Cristo non è affatto sminuito se si crede che lo
abbia compiuto allo stesso livello anche attraverso altri mediatori e in altre
maniere. Ciò che i pluralisti pensano sull'azione salvifica di Dio nell'incarna­
zione non è di meno, ma di più.78

Si potrebbe chiedere: «di meno» o «di più» rispetto a che cosa? Non
certo alla rivelazione cristiana, bensì a un'idea astratta - e piuttosto
«quantitativa» - dell'agire di Dio verso l’umanità. In opinioni come que­
ste è evidente che il criterio utilizzato non è più quello «teologico» del­
l’accoglienza della rivelazione ma quello «fenomenologico» dell’omolo­
gazione tra le diverse religioni. Ciò che del resto dimostra il seguito della
riflessione del medesimo autore:
In tutti gli ambiti la pluralità accresce il valore anziché ridurlo. Che vi sia
non un solo fiore bello ma molti e diversi, non rende più piccolo il valore della
bellezza, ma lo fa risaltare meglio. Non relativizza affatto il suo valore. Dove
possono crescere insieme gigli, rose, orchidee e fiori di loto, noi possiamo
ancora meglio distinguere i fiori dall’erba cattiva. Non vale questo valore
della pluralità anche per le religioni?79

Come nota acutamente J. Werbick, la metafora dei fiori è sintomatica:


il pluralismo interreligioso infatti rischia la deriva «estetista» - il giardi­
no post-moderno è tanto più bello quanto più colorato e vario - dalla
quale è poi difficile trarre dei criteri convincenti e oggettivi che distin­
guano i fiori dalla cattiva erba.80
Tornando alTincamazione: essa non si esaurisce nell'unione ipostatica
- una riduzione essenzialista che ha caratterizzato molta manualistica -
ma riguarda l'intera vita di Gesù; il modo con cui Gesù ha impostato il
suo rapporto con gli «altri» - specialmente gli stranieri - offre criteri utili
alla Chiesa per continuare essa stessa a impostare oggi questo rapporto.
La «carne» di Gesù non si può ignorare: la concretezza della sua uma­
nità, letta già dai vangeli alla luce della risurrezione, rimane per sempre
il criterio fondamentale del pensare e deU'agire cristiano: quindi anche
del rapporto con i non cristiani.81

78 P. S c h m id t -Le u k e l , «Religióse Vielfalt als theologisches Problem. Optionen und


Chancen der pluralistichen Religionstheologie John Hicks», in S c h w a g e r (hrsg.), Christus
allein?, 40.
79 S c h m id t -Le u k e l , «Religiose Vielfalt als theologisches Problem», 47.
80 Cf. J. W e r b ic k , «Der Pluralismus der pluralistichen Religionstheologie. Eine Anfra-
ge», in S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein?, 152-155.
81 Tra i tanti che hanno puntato l'attenzione sull'umanità di Gesù per dedurne dei cri­
teri validi nelle relazioni teologiche interreligiose, va segnalato almeno W. L o g ist er , «In thè
Name of Jesus Christ: Christology and thè Interreligious Dialogue», in C ornille - N e c k e -
brou ck (edd.), A Universal Faith, 155-181.

147
Annunciare Cristo alle genti

Ora, l'atteggiamento di Gesù e dei primi cristiani è quello dell’annun­


cio - non della semplice tolleranza82 - nell’apprezzamento di ciò che già
esiste di buono e di vero.
La cristologia non si esaurisce però nella categoria di «incarnazione»,
ma trova il suo apice nell'evento pasquale della morte e risurrezione di
Gesù Cristo. «Abilitato a esibire il contenuto di verità e il valore di credi­
bilità dell'evento cristologico è ultimamente l'evento pasquale, e in esso
la risurrezione. In essa infatti si concentra l'istanza veritativa della rive­
lazione e della salvezza in Cristo».83 Fu a partire dalla fede nella risurre­
zione di Gesù, come evento storico e meta-storico insieme, che nella
generazione apostolica venne approfondita la valenza salvifica della
croce, come sintesi del dono di sé che Dio fa all'uomo e l'uomo fa a Dio.
Per questo intreccio tra divino e umano nel mistero di incarnazione,
morte e risurrezione di Gesù, il NT prospetta la «salvezza» sempre lega­
ta all'evento di Cristo e mai fuori di esso (cf. Gv 4,42; At 4,12; ITm 2,5;
ICor 8,6; Ef 4,5; Eb 7,27; Gd 3). È per questo che il titolo di «Salvatore»
nel NT non è usato solo per Dio (cf. ITm 1,1; 2,3; 4,10; Tt 1,3; 2,10; ecc.),
ma anche, specificamente, per Cristo (Le 2,11; Gv 4,42; At 5,31; ecc.; cf.
anche Mt 1,21, dove l'angelo spiega il nome di Gesù affermando che
«egli salverà il suo popolo dai suoi peccati»).84
Tra il Gesù considerato nella sua umanità - il «Gesù rivelatore» - e la
fede in Cristo incarnato, morto e risorto - il «Cristo salvatore» - esiste un
preciso legame, oppure si tratta di due grandezze a sé stanti o magari
addirittura in contrasto? È emersa sopra, nelle riflessioni dei pluralisti, la
teoria dell'incompatibilità tra il Gesù della storia e il Cristo della fede, o
almeno di una grande distanza fra i due; gli avvenimenti pasquali (morte,
sepoltura, risurrezione/ascensione) risultano in tal modo secondari e non
entrano di fatto in gioco in queste riflessioni teologiche: è sufficiente che
Gesù, come profeta ebreo, abbia annunciato il regno di Dio.85 Non c'era
bisogno, insomma, di dispiegare tutto l'armamentario della crisi, della
croce, della glorificazione di Gesù: bastava un predicatore convinto e
carismatico. I pluralisti infatti, generalmente, nel loro approccio cristolo­
gico fanno a meno di una teologia del «Triduo pasquale»: neppure un
moderato come Dupuis elabora una riflessione sul «Cristo pasquale», sof­
fermandosi invece quasi esclusivamente sul Gesù prepasquale. Pur sup­
ponendo e affermando il valore redentivo della croce e la realtà della
risurrezione, egli evita di inserirle strutturalmente nella sua riflessione,

82 Cf. la presentazione critica di A.T. K h o u r y , «Religiose Wahrheit und Toleranz. Einige


Anmerkungen», in G O n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie, 395-401,- cf. inoltre L. H a g e m a n n ,
«Pluralitàt der Religionen - Konkurrenz oder Konvivenz?», in G O n t h e r (hrsg.), Wege der
Theologie, 411-419.
83 C r o c ia t a , «Per uno statuto della teologia delle religioni», 336.
84 Per una trattazione biblica esauriente della «salvezza», rimandiamo all'ampio artico­
lo di W. F o e r s t e r - G.G. F o h r e r , «Sozo, soteria, soter, soterios», in G. K it t el - G. F r ie d r ic h
(edd.), Grande lessico del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1981, XII, 445-608.
85 Così ad es. P. S c h m id t -Le u k e l , «Pluralistiche Religions-theologie: Warum und
wozu?», in Òkumenische Rundschau 49(2000)3, 268.

148
M ilio n e : dialogo e annuncio nel contento interreligioso

dedicandovi solo pochi accenni, a fronte delle numerose pagine riserva­


te al Gesù terreno.86 Significativo che anche C. Geffré, che si è collocato
su una posizione simile a quella di Dupuis, si concentri sulla sola incar­
nazione - il paradosso cristologico che egli interpreta secondo la catego­
ria dell'«universale concreto» - riservando alla croce un piccolo accenno
negativo, per dire che la Chiesa deve essere cosciente di una «mancan­
za» che la stimola ulteriormente a un vero dialogo, ma non inserisca la
risurrezione nella sua traccia cristologica interreligiosa.87
La tendenza pluralista a separare il Gesù rivelatore dal Cristo salva­
tore dimentica lo stretto legame esistente tra i due aspetti: già nel «Gesù
storico» esiste una dimensione salvifica implicitamente cristologica e nel
Gesù glorioso è confermata e rilanciata la sua rivelazione terrena.88 Il
«ponte» tra Gesù storico e Cristo glorioso è dato dalla fede pasquale:
«Gesù di Nazaret, il Crocifisso, è risorto». Tra gli esegeti che praticano il
metodo storico-critico esiste oggi una certa convergenza nell'individuare
nei testi evangelici una «cristologia» implicita - una «pretesa» cristologi­
ca dicono alcuni - che sarà il punto d'innesto dal quale, dopo gli eventi
pasquali, prenderà avvio una cristologia sempre più esplicita; quest'ulti-
ma non appare così né arbitraria né tanto meno frutto di presunte «mac­
chinazioni» della Chiesa.
Il messaggio cristiano e la Chiesa non avrebbero affatto preso avvio,
e Gesù sarebbe facilmente caduto nell'oblio come migliaia di altri perso­
naggi pure significativi della storia, se i suoi discepoli non avessero avuto
la precisa convinzione della sua risurrezione, che ne confermava ai loro
occhi la messianità, e che fu la miccia che fece partire l'interesse su di lui,
a ritroso. In un primo tempo, i discepoli di Gesù si limitano ad annuncia­
re - senza nemmeno capirne loro stessi tutte le conseguenze - che il Cro­
cifisso è stato risuscitato da Dio; solo gradualmente ne riprendono le
vicende, la predicazione (compresi gli aspetti morali), i miracoli, e a poco
a poco capiscono in che modo egli ha adempiuto le attese dell'AT, collo­
candosi in continuità con esse ma introducendo anche la radicale novità
della sua persona, quella del Verbo fatto carne.
La «storicità» di Gesù non è quindi un'appendice facoltativa dell'an­
nuncio cristiano; così sarebbe se il cuore di questo annuncio fosse una
filosofia su Dio o un'etica religiosa o un codice di leggi; ma il cuore del­
l'annuncio cristiano è invece «Dio ha risuscitato Gesù, il Crocifisso»: è
una piccola «storia» dell'agire di Dio su un personaggio storico, Gesù.
Già dai suoi primi passi, la fede cristiana nasce come intreccio di storia e

86 Cf. J. D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, (BTC 95), Queri-
niana, Brescia 1997, 336-338.363-370.398-406.459-462.
87 Cf. G e f f r é , «Le pluralisme religieux et rindifférentisme», 18-21.
88 Tra le decine di ottime trattazioni cristologiche che mostrano il legame stretto tra il
Gesù della storia e il Cristo della fede, rimandiamo a due opere di autori eminenti, diverse
per genere letterario ma unite dalla chiarezza e dal rigore nell'uso delle fonti: W. K a s p e r ,
Gesù il Cristo, (BTC 23), Queriniana, Brescia 1976; B e n e d e t t o XVI - J. R a t z in g e r , Gesù di
Nazaret, Rizzoli, Milano 2007.

149
Annunciare Cruto alle genti

teologia: una teologia che rimanda alla storia di Gesù e una storia che
non si comprende se non si apre all'azione divina. Per questo è impossi­
bile separare il Gesù storico dal Cristo della fede: occorrerà certo distin­
guerli, evidenziare come la cristologia abbia sviscerato ed esplicitato ele­
menti solo impliciti nella parola e azione del Gesù terreno - è l'enorme
impegno che porta avanti, da secoli, la ricerca storica su Gesù e sullo svi­
luppo della cristologia - ma non si potrà assumere preventivamente nel­
l'analisi dei vangeh la separazione tra i due aspetti del mistero di Cristo,
qualora si voglia impostare un lavoro teologico rispettoso della storia del
cristianesimo.89

L a p a te r n ità di D i o
e l ’a z i o n e u n i v e r s a l e d e llo S p i r i t o

Dalla lente del mistero pasquale prendono forma per i primi cristiani
sia la paternità di Dio che l'identità dello Spirito. In questo senso - a par­
tire però dalla realtà dell'incamazione, morte e risurrezione di Cristo - la
cristologia più adeguata per fondare una teologia delle religioni è una
«cristologia trinitaria».90 È da Cristo infatti che apprendiamo la paternità
di Dio: un rapporto del tutto personale tra lui e ì'Abbà, il «Padre suo», del
quale però analogicamente possiamo prendere parte anche noi, come
figli adottivi: per questo Dio è anche «Padre nostro» (cf. Mt 6,9; Le 11,2;
ecc.). La paternità è così la nota soteriologica fondamentale del Dio rive­
lato da Gesù. Solo attraverso la rivelazione di Cristo sappiamo che Dio
non è mero «principio» interiore, neutro creatore, freddo giudice, ma
«padre» di tutti, ebrei e gentili (cf. Rm 3,29), che offre la sua salvezza a
tutte le genti (cf. Le 2,30; 3,6; At 28,28; ecc.). Al di fuori dell'evento di Cri­
sto la paternità di Dio, nei suoi tratti salvifici universali e misericordiosi
(cf. anche Le 15,11-32), non è più accessibile o assume comunque con­
torni troppo sfumati e generici - come avviene per l'omerico «Zeus,
padre degli dèi e degli uomini», che poi però si mostra antagonista del
successo degli uomini e rivaleggia con loro.
Il recupero della paternità di Dio, come «origine unica sia del Figlio
che dello Spirito Santo»,91 permette di trovare una base «interna» alla

89Per approfondire e documentare questi accenni, cf. il nostro volume Davvero il Signo­
re è risorto. Indagine teologico-iondamentale sugli avvenimenti e le origini della fede
pasquale, Cittadella, Assisi 2005.
90Dupuis è probabilmente il teologo che più a fondo ha elaborato tale cristologia in con­
testo interreligioso (cf., oltre ai riferimenti dati a suo luogo, due brevi ma densi contributi
che si possono considerare insieme come ima sintesi fedele del suo pensiero interreligioso:
J. D u p u is , «The Spirit, Basis for Interreligious Dialogue», in Theology Digest 46(1999), 27-
31; Id., «From Religious Confrontation Encounter», in Theology Digest 49[2002), 103-108);
qui tuttavia intendiamo la categoria di «cristologia trinitaria» in modo diverso dal teologo
gesuita.
91 G io v a n n i Pa o l o n, Omelia nella basilica di S. Pietro a Roma, del 29 giugno 1995: Inse­
gnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII/1 (1995), LEV, Città del Vaticano 1997, 1861.

150
MLuione: dialogo e annuncio nel contento interreligiosa

teologia cristiana - base particolarmente cara alla teologia ortodossa92 -


da cui partire per apprezzare il fatto che tutti gli uomini in senso genera­
le sono figli di Dio e che questa unità viene prima delle distinzioni suc­
cessive. Essa permette inoltre di mantenere un orizzonte sempre «ulte­
riore» rispetto alle singole tradizioni religiose, poiché il Padre è l'appro­
do finale dopo la storia; Gesù, che del Padre condivide la vita intima e
vive con lui un rapporto impareggiabile di comunione, ci invita a ricor­
dare che il Padre è «nei cieli» e a domandare la venuta del suo Regno.
L’orizzonte della paternità divina è quindi anche un pungolo per ricorda­
re a tutti, a qualunque religione appartengano, che sono comunque pel­
legrini verso la pienezza di Dio.93
È dalla lente del mistero pasquale, infine, che prende forma anche la
rivelazione dell'identità e azione dello Spirito, non solo come «forza»
divina, ma come vero e proprio Dio.94 L'opera universale dello Spirito,
come è risultato dai due capitoli precedenti, è stata messa in evidenza
negli ultimi decenni non solo dai teologi pluralisti, ma anche dal magi­
stero di Giovanni Paolo II, specialmente nell'enciclica Redemptoris mis­
sio nn. 28-29 (£V 12/604ss). Lo Spirito, che nel NT si presenta come pro­
tagonista di molte azioni salvifiche, è lo Spirito di Gesù Cristo, connes­
so inscindibilmente al suo mistero salvifico (cf. Le 4,16; Gv 14,26; 15,26;
16,13; 19,31; At 16,7; Gal 4,6; Rm 8,9; cf. anche la finale di ognuna delle
sette lettere alle Chiese, dove il Cristo glorioso identifica le sue parole
con «ciò che lo Spirito dice alle Chiese»: Ap 2,7.11.17.29; 3,6; 13; 22).
Per questo
non ha senso affermare una universalità dell'azione dello Spirito che non si
trovi in relazione con il significato di Gesù, il Figlio incarnato, morto e risor­
to. Invece in virtù dell'opera dello Spirito tutti gli uomini possono entrare in
relazione con Gesù, che visse, morì e risuscitò in un luogo e in un tempo
concreti.95

92 Cf. J. K o n s t a n t in id is , «Orientations théologiques dans la fidélité à la tradition ortho-


doxe», in D o r è (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, 23-33, in part. 30-31.
93 Per un'articolazione di queste e simili prospettive, cf. A. C a m p s , «Theologie der Reli-
gionen als Pilger-Theologie», in G O n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie, 369-380.
94 Cf. Denz 150.
95 C o m m i s s io n e t e o l o g ic a in t e r n a z io n a l e , Il cristianesimo e le religioni 60. Come osser­
va giustamente P. Coda, un'elaborazione in chiave pneumatologica della pluralità delle
religioni «non può essere sganciata dal riferimento cristologico e trinitario. Occorre, è vero,
evolvere più che nel passato l'azione dello Spirito "prima" dell'evento cristologico e della
stessa prima alleanza con Israele, ma tenendo conto di almeno tredati: 1) che lo Spirito pre­
para e orienta alla pienezza della rivelazione in Cristo; 2) che l’identità/azione ipostatica
dello Spirito nella storia è donata escatologicamente dal Cristo crocifisso e risorto; 3) che lo
Spirito del Crocifisso/Risorto è colui che realizza l'incontro tra l'evento Cristo già dato e l’at­
tesa (anche inconsapevole) di esso nel cuore delle diverse esperienze religiose, in cui lo
Spirito è già presente/operante» (C o d a , «Per un'ermeneutica cristologica del pluralismo
delle religioni», 137).

151
Annunciare C riito alle gente

4.2 A . C h iesa
« S A C R A M E N T O DI S A L V E Z Z A »
L'opera salvifica trinitaria, in Cristo, si concretizza nella storia piena­
mente attraverso la Chiesa, nelle forme della martyria, della leiturgia e
della diakonia.96 Quelli sopra abbozzati sono i contenuti originali del cri­
stianesimo, che prendono complessivamente il nome di «salvezza». Essi
si storicizzano pienamente attraverso la Chiesa, per tre vie fondamentali
e strettamente correlate: la parola di Dio, che la Chiesa accoglie e dona
per rendere consapevoli gli uomini della salvezza realizzata in Cristo,- la
grazia dei sacramenti, che la Chiesa accoglie e dona per tradurre la sal­
vezza nelle diverse situazioni della vita,- la carità soprannaturale, che la
Chiesa riceve e dona dando il suo contributo già da ora alla trasforma­
zione della storia (personale e comunitaria) secondo il modello del regno
di Dio annunciato e iniziato da Gesù. La Chiesa è quindi comunità sal­
vata che si fa strumento efficace della salvezza per il mondo. In questo
senso la Chiesa è «sacramento universale di salvezza» (cf. LG 48, AG 1,
GS 45): essa riceve la salvezza e la offre al mondo secondo la triplice logi­
ca dell'innesto, della purificazione e del compimento, corrispondente alle
tre dimensioni del mistero di Cristo: incarnazione, morte e risurrezione.
Essa non è la salvezza, ma non vi è neppure estranea, costituendone «il
segno e lo strumento» (cf. LG 1); non è il Regno, ma non è neppure ad
esso estrinseca, costituendone «il germe e l'inizio» (cf. LG 5) o il Regno
«già presente in mistero» (cf. LG 3). La Chiesa, in definitiva, è intrinse­
camente coinvolta nel processo della salvezza di chiunque si salva - sia
o meno battezzato, conosca o meno il vangelo -, se è vero che Cristo è
l'unico mediatore della salvezza, e che Cristo oggi agisce, come capo,
attraverso il suo corpo che è la Chiesa (cf. LG 14).97
Se l'esagerazione dell'implicanza della Chiesa nel processo salvifico
conduce a inaccettabili tesi esclusiviste e rigoriste, la sua sottovalutazione
conduce a quella equiparazione tra Chiesa e altre tradizioni religiose che,
risultando inevitabile nell'orizzonte pluralista, conduce a un'altrettanto
inaccettabile destoricizzazione della salvezza. Ritenere infatti che la «sal­
vezza» possa essere raggiunta indifferentemente dall'intemo di qualun­
que tradizione religiosa significa ripiombare nella concezione soteriologi-
ca puramente ultraterrena della «salus animae» (che, paradossalmente, è
la stessa restrizione operata dall’ecclesiocentrismo rigorista): la forma sto­
rica della salvezza, il già, non avrebbe di fatto alcuno spessore; la visione
dell'uomo - tradotta in regole di convivenza, leggi, valori, ecc. - non fareb­
be parte della «salvezza»; vivere dentro a una società che riconosce ugua­

C f. C o m m i s s io n e t e o l o g ic a in t e r n a z io n a l e , 11cristianesimo e le religioni 75.


97 Per approfondire questi cenni, è molto utile partire dallo studio di G. C a n o b b io , «La
Chiesa sacramento di salvezza», in La Rivista del Clero italiano 71(1990), 428-446; Id., Chie­
sa, religioni, salvezza. Il Vaticano II e la sua recezione, Morcelliana, Brescia 2007. Rimane
poi tuttora validissimo il volume di Y. C o n g a r , Un popolo messianico. La Chiesa, sacra­
mento di salvezza. La salvezza e la liberazione, (BTC 27), Queriniana, Brescia 1976.

152
Mijóumc: dialogo e annuncio nel contento interreligioso

le dignità a tutti gli esseri umani o che li considera al contrario divisi in


caste, sarebbe la stessa cosa per la «salvezza»; appartenere a una civiltà
che persegue l'uguale dignità tra l'uomo e la donna o al contrario ritiene
la donna inferiore, non farebbe differenze per la «salvezza». Riprendere­
mo il filo del discorso tra poco, parlando della «salvezza integrale».
Così si intravede già l'improbabilità di un «soteriocentrismo» a sé
stante, sganciato da una precisa visione di Dio, così come cerca di impo­
starlo in particolare Knitter: quasi che fosse possibile una convergenza
tra tutte le religioni sulla concezione dell'uomo, della sua convivenza e
dei suoi diritti, a prescindere dalla concezione di Dio.98 Il fatto è che non
solo non è possibile arrivare a una teologia comune, nemmeno minimale
(come pretenderebbe Hick), ma neppure esiste un’antropologia condivi­
sa, raggiungibile mettendo tra parentesi le singole idee religiose. I plu­
ralisti rieditano l’impossibile programma illuminista di una minimale
convergenza «etica» delle religioni universali, senza pensare che questa
convergenza è di fatto irrealizzabile qualora si chieda alle singole reli­
gioni di rinunciare, per amore di dialogo, a ciò che le differenzia dalle
altre e che costituisce, precisamente, il loro specifico. Non si tratta inve­
ce di «mettere tra parentesi» - ciò che nessuna religione è disposta a fare,
pena la propria scomparsa - ma di guadagnare, dall’interno della propria
tradizione religiosa, gli elementi per ima positiva valutazione delle altre
religioni: e solo a questo punto ricercare una convergenza, fin dove è
possibile, sul piano teologico, etico e spirituale."

4.2.5. P e r u n a « t e o l o g i a
DELLE R E L IG IO N I» D ALL’ INTERNO
D E L L A F EDE C R I S T I A N A
La fede cristiana non ha dunque bisogno di essere messa tra parente­
si per poter riconoscere il valore positivo delle altre religioni, perché con­

98 «Agli albori del XXI secolo è storicamente evidente che non è più facile accordarsi
sull'uomo che su Dio [...). La stessa base di consenso sull'uomo, creatasi in occidente sulla
piattaforma del Credo e deU’esperienza cristiana, sta pericolosamente vacillando» (M. Ser-
retti , «Sulla teologia del pluralismo religioso», in Id. [ed.], Unicità e universalità di Gesù
Cristo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 167).
99 Come giustamente sostiene un critico di Hick, non esiste un concetto condiviso di
humanitas tra le diverse culture e religioni; si illude che esista solo chi adotta un modello
riduzionista-liberale, che nessuna religione è in realtà disposta ad assumere; l'autore opta
invece per un modello che egli chiama «radicale», dove la ricerca di convergenze avviene
passando attraverso le singole tradizioni, ossia scandagliando fino in fondo le proprie radi­
ci (cf. R.T. S im p s o n , «The New Dialogue between Christianity and Other Religions», in
Theology 22(1989], 92-102). Cf. anche le critiche del teologo giapponese Morimoto al ten­
tativo avanzato da Hick di trovare un terreno comune a tutte le religioni di impegno per la
«giustizia sociale»: M o r im o t o , «The (More or Less) Same Light but from Different Lamps»,
170-173. Si vedano infine gli accenni critici dello stesso tipo rivolti, questa volta a Knitter,
da R. Bernh ard t , «Ein neuer Lessing? - Paul Knitters Theologie der Religionen», in Evan-
gelische Theologie 49(1989), 520.

153
Annunciare Cristo alle genti

tiene al proprio interno tutti gli elementi per una loro collocazione nel
piano salvifico divino. Astrarsi dalla particolarità della tradizione cristia­
na - come di ogni altra tradizione, nessuna delle guali infatti accetta di
essere messa tra parentesi - significa disporre di una (impossibile) sopra­
religione dalla quale valutare tutte le altre: questa è la pretesa nella
quale inevitabilmente cade la teoria pluralista, almeno quando pensa di
giudicare dall'esterno di ciascuna religione il grado di validità presente
in essa.100 Livellare al basso tutte le religioni, ritenendo che «nel fondo»
siano uguali, porta a un pluralismo relativista nel quale nessuna grande
religione è disposta a riconoscersi.101 Come scrive Larcher,
è pura demagogia pretendere che uno sia «cittadino del mondo» senza radi­
ci in nessun luogo. È infatti dalle profondità della propria peculiarità che uno
ha la possibilità di manifestare l’apertura universale a tutto ciò che è autenti­
camente umano. Così, nel dialogo interreligioso, la fedeltà di ciascuno a se
stesso - detto diversamente, la condivisione totale della propria fede - è la
condizione del vero incontro. Il dialogo autentico e realistico avviene «tra
"identità forti" e non sulla base di un minimo comune denominatore».102
Come anche afferma lapidariamente W. Pannenberg,
il dialogo non può veramente compiersi se il partner cristiano intende lascia­
re da parte o addirittura rinunciare alla sua convinzione dell'universale verità
della rivelazione dell’unico Dio in Gesù Cristo, come se questa fosse la pre­
messa di un autentico dialogo interreligioso. È vero il contrario: è la stessa
pretesa cristiana di verità che deve essere messa sul piatto del dialogo.103

100 Cf. in merito le interessanti osservazioni di P. Web, «Sind alle Religionen gleich
wahr? Eine Antwort auf die Pluralistiche Religionstheologie», in Zeitschrift fiir Missions-
wissenschaft und Religionswissenschaft 80(1996), 37-38; l'autore critica le posizioni plurali-
ste di Schmidt-Leukel, al quale attribuisce appunto l'implicita supposizione di questa
«Uber-Religion»: e il teologo preso di mira risponde alla critica specifica in un altro studio
dello stesso quaderno: P. Schmidt-Leukel «Ganz unwahrscheinlich? Eine Antwort auf Paul
Weifi», in Zeitschrift liir Missionswissenschaft und Religionswissenschaft 80(1996), 223-228.
Pertinenti osservazioni critiche verso la posizione pluralistica di Schmidt-Leukel si trovano
inoltre - sempre nello stesso quaderno - in B. Theb, «Erhòht die pluralistiche Religions­
theologie die Plausibilitàt des christilichen Glaubens», in Zeitschrift fiir Missionswissen­
schaft und Religionswissenschaft 80(1996), 287-293. Citiamo infine, tra i tanti studi che pro­
pongono una teologia delle religioni «dall'interno» della fede cristiana e prendono le
distanze dai tentativi pluralisti, quello di M. D h a v a m o n y , «Christian Theology of Religions»,
in Seminarium 38(1998), 751-769.
101 Sono utili in proposito le osservazioni di H. W aldenfels , «Pluralitàt der Religionen.
Folgen fur Mission und kirchliche Entwicklungsarbeit», in Stimmen der Zeit, 120(1995)213,
593-603, in part. 600. Sulla medesima lìnea anche il contributo di R. S c h w a g e r , «Offenba-
rung als dramatische Konfrontation», in Id. (hrsg.), Christus ailein?, 95-106. Interessante e
originale, per quanto riguarda le difficoltà di impostare una teologia pluralista islamica, è il
contributo di H. Z irker , «Zur "Pluralistischen Religionstheologie" im Blick auf den Islam»,
in S c h w a g e r (hrsg.), Christus ailein?, 189-202.
102 G. L a rc h e r , «Hermeneutisch-theologische Elemente fur ein dramatisches Konzept
interreligióser Begegnung», in Sc h w a g e r (hrsg.), Christus ailein?, 111.
103Pannenberg, «Das Christentum - eine Religion unter anderen?», 222. Importanti
anche le riflessioni di J. K reim l, «Der interreligiose Dialog. Zum Verhàltnis des Christen-
tums zu den anderen Religionen», in Forum Katholische Theologie 21(2005), 136-143 («Il
dialogo può avvenire solo quando è chiara l’identità di chi vi prende parte»...: p. 140).

154
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso

Particolarmente indicativo è il fatto che anche Geffré, che pure si col­


loca su posizioni vicine al pluralismo, ritenga essenziale lasciare da parte
persino l'illusione che, al fine di facilitare il dialogo, uno debba «mettere
tra parentesi la propria fede o semplicemente sospenderla temporanea­
mente per incontrare l'altra parte».104
Se questa strada fosse percorsa coerentemente e fino in fondo, si arri­
verebbe ad applicare il relativismo religioso a tutte le religioni, e quindi
«a relativizzarle tutte e a rendere inutile, se non impossibile, il dialogo
con esse».105 È invece dall'interno della propria tradizione che i cristiani
- e non solo106 - trovano non solo la possibilità ma l'invito a recuperare,
secondo la dinamica della «pienezza», ogni elemento di rivelazione e sal­
vezza presente nelle altre tradizioni: e questo vale sia per la cristolo­
gia/trinitaria che per l'ecclesiologia.

C r is t o lo g ia e t r in it a r ia

Mentre sono fattori di originalità e irriducibilità del cristianesimo,


come è risultato poco sopra, cristologia e trinitaria sono anche fattori di
unità con le altre religioni: proprio a partire da un accostamento integra­
le alla figura di Gesù e alla realtà del Dio trino è possibile riconoscere
ogni germe di verità e di salvezza presente in tutti gli uomini e nelle loro
tradizioni religiose. Come scrive M. Crociata,
nel confronto con le altre religioni l’evento cristologico deve mostrare di
possedere in sé, nelle sue implicanze cristologiche e trinitarie, le ragioni non

104 C. G e f f r é , «Christian Uniqueness and Interreligious Dialogue», in P. M o j z e s - L.


(eds.), Christian Mission and Interreligious Dialogue, The Edwin Mellen Press,
S w id l e r
Lewiston-Queenston-Lampeter 1990, 63. Lo stesso concetto è stato espresso dallo stesso
G e ffr é anche in «La responsabilité historique des trois religions monothéistes», in D o r è
(ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, 253.
105 G e r o s a , «Diversità delle religioni, verità e pace», 293.
106 N o n è a r g o m e n to d ire tto d i q u e s te p a g in e , m a è im p o s s ib ile n o n fare a lm e n o u n
a c c e n n o a tre p is te d i in d a g in e c h e n e g li u ltim i d e c e n n i s ta n n o d iv e n ta n d o c o n s is te n ti e - in
m a n ie r a b e n p i ù s ig n ific a tiv a ris p e tto a lla f e n o m e n o lo g ia c o m p a r a ta d e lle r e lig io n i - s ta n ­
n o in te g r a n d o u tilm e n te la te o lo g ia in te r r e lig io s a c r is tia n a . C i rife r ia m o : a) a g li a p p r o fo n ­
d im e n t i s u lle d iv e rs e c o n c e z io n i d i « io » e d e l d iv in o n e lle v a rie r e lig io n i, a p a r tir e d a ll ’au-
to c o m p r e n s io n e d i c ia s c u n a d i esse (c o m e r e c e n te e s e m p io b e n riu s c ito si v e d a il v o lu m e d i
M . C r o c ia t a [ed.], Il Dio di Gesù Cristo e i monoteismi, C it t à N u o v a , R o m a 2003; cf. a n c h e
il lib r o d i J .B . C o b b J r . - C . I v e s , The Emptying God. A Buddhist - Jewish - Christian Con-
versation, M a r y k n o ll, N e w Y o r k 1994); b) a q u e lle im p o s t a z io n i te o lo g ic o - fo n d a m e n ta li
a tte n te a ll'e v a n g e liz z a z io n e e c o m u n ic a z io n e d e lla fe d e c h e a s s u m o n o s tr u ttu r a lm e n te la
p r o b le m a t ic a in te r r e lig io s a e in te r c u ltu r a le (cf. a d es. i d o c u m e n ta ti v o lu m i d i U . S a r t o r io ,
Credere in dialogo. Percorsi di fede e di annuncio, M e s s a g g e r o , P a d o v a 20 02 , e A . R u s s o ,
Dio a colori. Pensare Dio nell'orizzonte del pluralismo, S a n P a o lo , C in is e llo B a ls a m o 2002);
c) a g li a p p r o fo n d im e n ti r ig u a r d a n ti la fig u r a , il m e s s a g g io e la p e r s o n a d i C ris to (ed e v e n ­
t u a lm e n te il c ris tia n e s im o ) n e i testi f o n d a t iv i o e s p lic a tiv i d e lle a ltre r e lig io n i (es. m o lto
in te r e s s a n te è il g i à m e n z io n a to v o lu m e d i D havam ony, Jesus Christ in thè Understanding
of World Religions).

155
Annunciare Cristo alle genti

solo per non escludere m a soprattutto per comprendere la pluralità dell'e­


sperienza religiosa.107

Queste idee, come si è visto nei capitoli precedenti, sono emerse più
volte nella tradizione cristiana:108 vale la pena di richiamarle in sintesi.
L’evento rivelatore e salvifico di Cristo, secondo la prospettiva dei
«semina Verbi», lanciata da Giustino, individua e accoglie ogni elemen­
to di verità e di bontà sparso dovunque, e si lascia interrogare da esso,
nella logica delTincarnazione; lo mette a confronto con la pienezza della
rivelazione in Cristo e lo purifica, nella logica della croce; e infine ne
mostra il compimento evangelico, nella logica della risurrezione. Incar­
nazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo costituiscono quindi i criteri
irrinunciabili di valutazione e valorizzazione di ogni elemento che, nelle
altre religioni, presenti tratti rivelativi e salvifici. Rinunciare a questi cri­
teri equivarrebbe a rinunciare allo specifico cristiano.
La professione di Dio come «Creatore e Padre» di tutti gli uomini, poi,
evidenzia a sua volta l'universalità dell'agire salvifico di Dio. Senza arri­
vare a omologare il piano creaturale con quello soprannaturale, l'origine
comune da Dio e la sua universale custodia degli uomini fonda la possi­
bilità di riconoscere in ogni persona l'impronta divina - «immagine e
somiglianza» (cf. Gen 1,26-27) - e quindi la presenza in essa di elementi
veritativi e salvifici. Non solo: recuperando un'articolazione unitaria del
piano creaturale con quello salvifico, si crea uno spazio adeguato per
accogliere tutti i tentativi di «conoscenza» di Dio e di vita secondo
«coscienza» non solo come espressione delle forze umane o della ragio­
ne, ma anche come tracce di autentici interventi divini, negli scritti sacri
delle grandi religioni e nelle prassi delle loro tradizioni vissute. Non esi­
ste autentico anelito umano che sia al di fuori dell’opera del Padre; e se
tale opera si rivela e compie in pienezza nella storia salvifica culminante
in Cristo, essa però si estende, a diversi livelli di intensità, dovunque
compaiano «semi del Verbo».
Si può delineare infine una pneumatologia che, mantenendo l'essen­
ziale riferimento al mistero pasquale di Cristo, permetta di vedere tracce
dello Spirito in tutto ciò che di vero e di buono esiste, dovunque si incon­
tri: è la prospettiva rilanciata senza tentennamenti da Giovanni Paolo II,
specialmente nei testi citati di Redemptoris missio nn. 28-29, e ripresa più
volte anche in altri interventi autorevoli. Per tutti sintetizza la Commis­
sione teologica internazionale:

107 C rociata , «Per uno statuto della teologia delle religioni», 338. L'autore continua poco
più avanti: «In questa linea cristologica e trinitaria può essere unicamente cercata la rispo­
sta al problema del significato teologico della pluralità delle tradizioni religiose. È questo,
peraltro, un percorso suscettibile di recepire e sviluppare i motivi conciliari delle vie segre­
te e dei germi di verità nel cuore degli uomini» (p. 341).
108 Suona esagerato il giudizio del rabbino Neusner, secondo il quale nessuna religione
finora ha fatto spazio, dall'intemo del proprio sistema, a una valutazione positiva delle altre,
e in particolare che nessuna religione occidentale ha mai tentato di affrontare seriamente
tale questione (cf. J . N eusner , «Thinking about "The Other" in Religion: It is Necessary, but
is it Possible?», in Modern Theology 6(1990), 273-285, in part. 273.274.276).

156
M inim e: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso

A motivo di tale esplicito riconoscimento della presenza dello Spirito di


Cristo nelle religioni, non si può escludere la possibilità che queste, come tali,
esercitino una certa funzione salvifica, aiutino cioè gli uomini a raggiungere
il fine ultimo, nonostante la loro ambiguità. Nelle religioni viene messo in
rilievo esplicitamente il rapporto dell’uomo con l'Assoluto, la sua dimensione
trascendente. Sarebbe difficile pensare che abbia valore salvifico quanto lo
Spirito Santo opera nel cuore degli uomini come individui e non lo abbia
quanto lo stesso Spirito opera nelle religioni e nelle culture: il recente m agi­
stero non sembra autorizzare una differenza così drastica.109

Ci si può spingere allora a parlare di «ispirazione» dei testi religiosi


non cristiani, come fa Dupuis, insieme a molti altri teologi pluralisti,
riprendendo un'ipotesi ventilata per la prima volta nel contesto del cri­
stianesimo asiatico?110 È ancora la Commissione teologica internazionale
a offrire la risposta più equilibrata:
Anche se non si può escludere (...) qualche illuminazione divina nella
composizione di tali libri (nelle religioni che li hanno), è più adeguato riser­
vare la qualifica di «ispirati» ai libri canonici (cf. D V 11) [...). I libri sacri delle
varie religioni, anche quando possano far parte di una preparazione evange­
lica, non si possono considerare come equivalenti all'Antico Testamento, che
costituisce la preparazione immediata alla venuta di Cristo nel mondo.111

E cc le sio lo g ia

La mediazione ecclesiale a cui abbiamo già fatto cenno (attraverso la


martyria, la leiturgia e la diakonia ) partecipa della stessa dinamica della
«pienezza»: la Chiesa, inseparabile da Cristo perché suo corpo (cf. LG 7
e 14) e dal Regno perché di esso è «germe e inizio» o «regno di Dio già

109 C om m issio ne teo log ica internazionale , II cristianesimo e le religioni 84.


110 Cf. H. W aldenfels , «Theologie der Nichtchristlichen Religionen. Konsequenzen aus
"Nostra A etate’’ », in E. K linger - K. W ittstadt (hrsg.), Glaube im Prozess. Christsein nach
dem II. Vatikanum, FS K. Rahner, Herder, Freiburg-Basel-W ien 1984, 773-774 (con relativi
rimandi bibliografici).
111 C o m m ission e teolog ica internazionale , Il cristianesimo e le religioni 92. Al n. 85 già
si leggeva: «Nelle religioni agisce lo stesso Spirito che guida la Chiesa: tuttavia la presen­
za universale dello Spirito non si può equiparare alla sua presenza particolare nella C hie­
sa di Cristo. Anche se non si può escludere il valore salvifico delle religioni, non è detto che
in esse tutto sia salvifico: non si può dimenticare la presenza dello spirito del male, l’eredità
del peccato, l'imperfezione della risposta umana all’azione di Dio, ecc. Soltanto la Chiesa è
il corpo di Cristo, e soltanto in essa è data con tutta la sua intensità la presenza dello Spiri­
to: perciò non può essere affatto indifferente l'appartenenza alla Chiesa di Cristo e la piena
partecipazione ai doni salvifici che si trovano soltanto in essa. Le religioni possono eserci­
tare la funzione di praeparatio evangelica, possono preparare i popoli e le culture ad acco­
gliere l'evento salvifico che è già avvenuto: ma la loro funzione non si può paragonare a
quella dell'Antico Testamento, che fu la preparazione allo stesso evento di Cristo». E al n.
90: «Se, come insegna la Chiesa, nelle religioni si trovano “sem i del Verbo" e "raggi della
verità", non si possono escludere in esse elementi di una vera conoscenza di Dio, anche se
imperfetta (cf. Redemptoris missio 55). La dimensione gnoseologica non può essere del
tutto assente dove riconosciamo elementi di grazia e di salvezza».

157
Annunciare Cripto alle genti

presente in mistero» (cf. LG 3 e 5), è necessaria alla salvezza del mondo


in quanto storicizza pienamente tale salvezza, sia come segno che come
strumento, cioè «come sacramento» (cf. LG 1): non perché di fatto tutti
vi entrino, ma perché in ogni caso la salvezza di Cristo - in cui si salva­
no tutti coloro che di fatto si salvano - è donata senza saltare la media­
zione almeno interiore della Chiesa, «in connessione» con essa, che -
come sua sposa e suo corpo - è ormai da lui inseparabile.112
La salvezza dentro e fuori la Chiesa visibile allora - sorge spontanea l'o­
biezione - si equivalgono? Sì, se la salvezza viene intesa solo come «salus
animae», nella sua dimensione ultraterrena; no, se la salvezza va intesa
anche a partire da questa esistenza terrena. La prima concezione, «ultra-
terrenista», è quella emersa negli orizzonti della «salvezza dei non cristia­
ni» e del «pluralismo religioso»; la seconda, «integrale», è quella che inve­
ce risulta dall'orizzonte della «teologia delle religioni». La prospettiva del
«cristocentrismo trinitario», nella linea sopra tratteggiata, implica l'assun­
zione del modello «integrale» di salvezza come dell'unico capace di tra­
durre compiutamente la ricchezza della rivelazione e soteriologia cristiane.

4 .2 .6 . U n a s o t e r i o l o g i a i n t e g r a l e
NEL D IA LO G O IN T ERRELIG IO SO
E NELLA M ISS IO N E

Solo una concezione di salvezza che abbracci anche la dimensione


storica dell'esistenza umana corrisponde alla visione biblica della salvez­
za e quindi alle esigenze del dialogo interreligioso e dell’annuncio ad
gentes.

C r itic a al concetto di «salvezza»


dei p lu r a lis ti

I pluralisti radicali, come abbiamo accennato, ritornano paradossal­


mente a una sottolineatura ultraterrenista e astratta della salvezza, quan­
do affermano che ci si «salva» indifferentemente in qualunque religione.
Non che essi trascurino la dimensione terrena della salvezza - anzi, la

112 Sembra in questa linea anche il card. Biffi, quando sostiene che se la «santità sog­
gettiva» è possibile attraverso tutte le tradizioni religiose, per opera dell'unico Spirito di
Cristo che opera quanto di vero e di buono è in ogni uomo, la «santità oggettiva» o «pre­
senza sacrale» è specifica della Chiesa e consiste nella sacra Scrittura, nei sacramenti e
nella successione apostolica. «L'irradiamento della salvezza nell'universo di fatto avviene
perché in mezzo alla varietà delle genti, che sono poste in situazioni concrete diversissime
nei confronti del piano primario di Dio, c ’è un “popolo sacerdotale ", che offrendo quotidia­
namente il sacrificio della Nuova Alleanza, innalzando le implorazioni ispirategli dal Para-
clito che risiede nel cuore dei credenti, proclamando instancabilmente e gioiosamente il
vangelo, sollecita a favore di ogni essere l'elargizione della verità e della grazia» (G. B iffi ,
La Chiesa cattolica e il problema della salvezza, LDC, Torino 2000, 36-37).

158
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso

versione soteriocentrica del pluralismo ne fa addirittura il perno della


riflessione - ma finiscono per farla consistere in nucleo «interiore» che
rischia di scivolare in una grandezza «gnostica»;113 del tutto in linea con
la considerazione della storia come «mito».
La salvezza, nel pluralismo, viene ridotta in tal modo nella sua dimen­
sione terrena a un'esperienza interiore di liberazione. Se così fosse, ovvia­
mente, la Chiesa non avrebbe più motivi convincenti per essere missio­
naria, dato che ci si può salvare in qualsiasi religione e che l'adesione sin­
cera a ciascuna tradizione crea la convinzione di essere liberati interior­
mente: e infatti i motivi che vengono addotti nella direzione della consa­
pevolezza di essere salvati o di una maggiore facilità a raggiungere la vita
eterna, per chi aderisce al vangelo, come abbiamo visto a suo luogo, non
sono sufficienti a sostenere la missio ad gentes; se la salvezza si riducesse
a ciò, basterebbe portare avanti il dialogo interreligioso senza la fatica
dell'annuncio. Anzi, ancora di più: poiché oggi molti trasferiscono sul
denaro e sull'apparenza le loro attese di salvezza - « Extra mercatum nulla
salus », «Extra media nulla salus »114 - basterebbe che il cristianesimo si
ponesse in semplice dialogo con queste visioni di vita, limitandosi a legit­
timarle, nel caso in cui si mostrino capaci da dare «felicità»!
Si può estendere alle diverse versioni del pluralismo la critica che J.
Morales, con molti altri, rivolge a J. Hick:
Il risultato è che la salvezza, come categoria univoca, si converte in una
pura astrazione formale, e che le tradizioni concrete che danno vita a ciascun
credo religioso vengono affermate funzionalmente senza riguardo al loro con­
tenuto dottrinale o esperienziale, e sono ritenute irrilevanti per la salvezza. Si
impone così il paradosso che in questa ipotesi le differenze tra le religioni non
sono religiosamente significative [...]. In questa prospettiva sembra che si
dimentichi, senza dubbio, che la capacità per raggiungere il fine ultimo così
come viene concepito da una religione dipende in buona parte dal tipo di vita
che si conduce, e che questa vita è informata da pratiche, dottrine e atteggia­
menti determinati, che ogni comunità religiosa esorta a tenere in considera­
zione. L’unione con la Trinità, il nirvana buddhista o il paradiso musulmano,
non designano una ricompensa estrinseca e indifferente ai riferimenti e ai
contenuti religiosi della religione corrispondente. Esiste, al contrario, una con­
nessione intrinseca tra le finalità e le norme di vita in ciascuna comunità e il
raggiungimento del fine ultimo che questa comunità insegna.115

1,3 Cf. in particolare la critica al concetto di salvezza, così come esso appare nelle opere
di Hick, da parte di M . P a g a n o , «Pluralità e universalità nel dibattito interreligioso», in P.
C o d a - G . L in g u a (edd.), Esperienza e libertà, Città Nuova, Roma 2000, 63-86, in part. 67;
e in Pannenberg, «Pluralismo religioso e rivendicazioni di verità in conflitto fra loro», 201.
La deriva gnostica della teologia pluralista è segnalata anche da R. de H aes, «De la théolo­
gie des religions non-chrétiennes au dialogue interreligieux», in Revue africaine de théo­
logie 14(1990)27-28, 58.
114 Le due espressioni vengono proposte e commentate, come sintesi delle attese salvi­
fiche odierne, da J . N iewiadom ski, «Begegnung von Religionen im weltzivilisatorischen
Kontext», in S chw ager (hrsg.), Christus allein?, 83-94.
115 M o ra les , «La teologia de las religiones», 760-761. Cf. anche le riflessioni, per molti
versi simili, di K o z ie l , «Die Aufhebung der Soteriologie in Religionstheologie», 529-535.

159
Annunciare Cripto alle genti

Anche in quegli autori pluralisti più attenti alla dimensione «sociale»


della salvezza - sulla linea della teologia della liberazione - come Knit­
ter e Schmidt-Leukel, l'esito è inevitabilmente un'idea astratta di salvez­
za. Emblematico è il procedimento di Schmidt-Leukel, il quale - seguen­
do Hick - si richiama alla prospettiva evangelica dei «frutti» da cui valu­
tare la bontà dell'albero, per concludere che il fatto decisivo, nel rappor­
to tra le religioni, non è la concezione del divino o qualche idea dogm a­
tica, bensì l'effettiva incidenza salvifica sulla realtà; e propone come
esempio la reincarnazione, dove a suo parere non è decisiva la verità o
meno di questa ipotesi escatologica, bensì il fatto che «il processo salvi­
fico si può realizzare altrettanto bene in quelle religioni che insegnano la
reincarnazione come in quelle che la combattono».116 È evidente che la
«salvezza», separata dalla verità, qui è ridotta a una cifra astratta, che
nulla ha a che vedere con la concreta proposta di vita proveniente dalle
diverse religioni; come è già risultato più volte, del resto, è campato per
aria il presupposto che le diverse religioni si riconoscano in una comune
idea di salvezza, redenzione, esperienza liberatrice, ecc.117 E. Arens nota
giustamente che il criterio dei «frutti» è applicato in genere dai pluralisti
secondo la «tradizione pragmatica della filosofia americana»:118 il con­
cetto di salvezza, per Hick, Knitter, Peirce, Smith e altri, è legato a un
impreciso progresso o «bene» dell'uomo, che contribuirebbe alla cresci­
ta del regno di Dio da qualunque parte esso provenga; ma in questo
modo, astraendo dalle singole tradizioni religiose e quindi concezioni
della salvezza, il modello proposto risponde a una filosofia della religio­
ne più che a una vera e propria teologia.119 Tutt'al più, stando alle rifles­
sioni di Hick, si potrebbe individuare una sorta di «collettivo» formato da
cinque o sei «religioni»120 (cristianesimo, ebraismo, islam, induismo,
buddhismo... e forse - dato il concetto ampio di religione da lui usato -
anche il marxismo), le cui convergenze soteriologiche determinerebbero
i criteri di maggiore o minore umanizzazione/liberazione.
In conclusione: che prospettino un concetto di salvezza puramente
interiore (l'esperienza di «sentirsi liberati») o socialmente rilevante (i
«frutti» che contribuiscono al bene dell'umanità), i pluralisti trascurano il
fatto che dal vangelo provengono criteri di valutazione capaci talvolta di

116 S chm idt -L eukel , «Religiose Vielfalt als theologisches Problem», 29. Il suo maestro
a v e v a già proposto questo esempio di passaggio, insieme ad altri: «Non sembra che vi s ia
alcuna differenza soteriologica se uno crede che il mondo è eterno o non lo è, che la sua
storia è ciclica oppure lineare, che noi ci reincarniamo o no, che esistono o meno angeli e
demoni» (J. H ick , An Interpretation of Religion: Human Responses to thè Transcendent,
Yale U n iv e rsity Press, N ew H a v e n -L o n d o n 1989, 369).
Il? Cf. le puntuali critiche di W erbick , «Der Pluralismus der pluralistichen Religions­
theologie», 15 2 -15 3 .
1.8 E. A rens , «Pluralistiche oder Praktische Religionstheologie?», in S chw ager (hrsg.),
Christus allein?, 177.
1.9 Cf. A rens , «Pluralistiche oder Praktische Religionstheologie?», 174-188.
120 L'efficace immagine è utilizzata in senso critico verso Hick da K oziel , «Die Aufhe-
bung der Soteriologie in Religionstheologie», 538.

160
M ilio n e : dialogo e annuncio net contesto interreligioso

mettere in crisi - e anzi «obbligati» moralmente a mettere in crisi - certe


mentalità, ideologie e prassi che risultino in contrasto con la dignità
umana; e questo anche se chi professa quelle ideologie o ne pratica i prin­
cipi si sentisse «liberato» e pensasse di contribuire al bene comune. Chi
si sente libero accettando la logica di una cultura che fa del denaro e del
mercato l'unico dio, al quale sacrificare tutto e tutti, è davvero libero? E lo
è chi vive in uno Stato che cerca di eliminare ogni espressione del senso
religioso, crescendo nella convinzione che tutta la realtà non sia altro se
non evoluzione della materia, e che il suo contributo al bene comune con­
sista nel vivere il materialismo? Come può essere davvero libero, anche se
si sente tale, chi ritiene che l'umanità sia divisa in caste, e che i fuori-casta
non godano di una dignità umana? O che la dorma sia per natura inferio­
re all'uomo? L'elenco potrebbe continuare, ma la conclusione sarebbe la
stessa: il pluralismo radicale, individuando la «salvezza» in un'esperien­
za di liberazione interiore o in una concezione dei «frutti» e del «bene
comune» completamente soggettiva, ne fa inevitabilmente un concetto
astratto, considerando irrilevante la forza critica del vangelo.

L a «salvezza integ rale»,


m o tiv a z io n e fo n d a m e n ta le de lla m issione

La «salvezza» cristiana non si riduce alla sua dimensione escatologi­


ca, né a un nucleo interiore e soggettivo, ma prende avvio dalla vita ter­
rena e comprende l'impegno per un «bene comune» oggettivo. Se il
magistero conciliare e immediatamente post-conciliare ha sottolineato in
modo prevalente la dimensione escatologica della salvezza, lo ha fatto
perché era incombente a quell'epoca il pericolo di un assorbimento oriz-
zontalistico.121 È Giovanni Paolo II che, senza ovviamente dimenticare
l'orizzonte escatologico della salvezza,122 di fronte a un clima religioso

121 È emblematica la sottolineatura che presenta P aolo VI in Evangelii nuntiandi (EV


5/158 8-1716 ); al n. 9 afferma che la salvezza «non solo è liberazione da tutto ciò che oppri­
me l’uomo, ma è soprattutto liberazione dal peccato e dal maligno, nella gioia di conoscere
Dio e di essere conosciuti da lui, di vederlo, di abbandonarsi a lui». E al n. 32 segnala che
«molti cristiani, anche generosi e sensibili alle questioni drammatiche che racchiude il pro­
blema della liberazione, volendo impegnare la Chiesa nello sforzo di liberazione, hanno
spesso la tentazione di ridurre la sua missione alle dimensioni di un progetto semplicemen­
te temporale; i suoi compiti a un disegno antropologico; la salvezza, di cui essa è m essagge­
ra e sacramento, a un benessere materiale; la sua attività, trascurando ogni preoccupazione
spirituale e religiosa, a iniziative di ordine politico o sociale». Per un quadro ampio e detta­
gliato del clima di quel periodo, rimandiamo nuovamente allo studio di S. D ian ich , «La mis­
sione della Chiesa nella teologia recente», in A ssociazione teologica italiana , Coscienza e
missione di Chiesa. Atti del VII Congresso nazionale, Cittadella, Assisi 1977, 137-206.
122 Anche G iovanni P aolo II, in Redemptoris missio 1 1 , segnala i pericoli dell’orizzon-
talismo: «La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana,
quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una “gra­
duale secolarizzazione" della salvezza, per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo
dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi, invece, sappiamo che G esù

161
Annunciare Cristo alle genti

tentato ormai più daH'intimismo e dallo spiritualismo, capovolge la sotto-


lineatura, invitando a considerare la salvezza non come una realtà
discontinua rispetto a questa vita, ma - facendo leva soprattutto su affer­
mazioni giovannee e paoline - come una «pienezza di vita» che comin­
cia già ora in colui che «crede» e «conosce» Cristo.123
All'inizio dell'enciclica il papa si domandava:
Anche a causa dei cambiamenti moderni e del diffondersi di nuove idee
teologiche, alcuni si chiedono: è ancora attuale la missione tra i non cristiani?
Non è forse sostituita dal dialogo interreligioso? Non è un suo obiettivo suffi­
ciente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e della libertà non
esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare in qualsiasi reli­
gione? Perché quindi la missione? (i?M 4: EV 12/558).

Nel rispondere, Giovanni Paolo II non trascura le risposte classiche.


L'enciclica, come tutti i documenti magisteriali e gli studi teologici,
richiama prima di tutto e ripetutamente la «fondazione biblica della mis­
sione», attraverso le numerose citazioni che testimoniano come Gesù
abbia affidato alla Chiesa il compito di annunciare il vangelo a tutte le
genti, e come essa lo porti avanti, fino ai confini della terra. Le pagine
finali di Me, Mt, Le, Gv, quelle iniziali di At, i passi paolini sulla neces­
sità e la pratica dell'annuncio di Cristo: tutti i passi neotestamentari più
importanti sulla «missione» scorrono nell'enciclica, tanto che per men­
zionarli bisognerebbe citarne praticamente tutti i numeri. Questa prima
ragione - la volontà esplicita di Cristo tradotta in pratica dalla Chiesa fin
dall'inizio - rappresenta sempre la motivazione di base della missione.
In secondo luogo, la Redemptoris missio accoglie da de Lubac, dal
Vaticano II e dalla Evangelii nuntiandi la motivazione derivante dalla
natura missionaria della Chiesa, dalla sua «cattolicità». La Chiesa non
può non essere missionaria, orientata fuori di se stessa, perché la sua
stessa natura è di comunicare il vangelo: essa esiste per questo e «non
può fare a meno di proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di
Dio e a meritare, con la croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli
uomini» (n. 11).
In terzo luogo, l'enciclica appoggia la necessità della missione ad gen-
tes sulla dialettica diritti-doveri in ordine alla verità; dialettica mutuata
dal Vaticano II e da Paolo VI. Redemptoris missio 8 cita Evangelii nun­
tiandi 53:
Le moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di Cri­
sto, nel quale crediamo che tutta l'umanità può trovare, in una pienezza inso­
spettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull'uomo e sul suo destino,

è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, apren­
doli ai mirabili orizzonti della filiazione divina» (EV 12/571).
123 P. T ih on offre alcune importanti chiavi di lettura soteriologiche dell'enciclica, nella
convinzione che «le salut, dans l'encycììque, ne signifie pas seulement l'accès à la béatitu-
de éternelle. Il est d'abord l'instauration progressive du royaume de Dieu dans le tissu de
l'histoire humaine» («Retour aux missions? Une lecture de l’enciclique "Redemptoris mis-
sio” », in Nouvelle revue théologique 114(199 2), 84).

162
Miàdione: dialogo e annuncio net contesto interreligioso

sulla vita e sulla morte, sulla verità [...]. Per questo la Chiesa mantiene il suo
slancio missionario e vuole, altresì, intensificarlo nel nostro momento storico
(EV 12/567).

E poco dopo, allo stesso numero, riporta questo passo da DH 2: «Tutti


gli esseri umani (...) sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale
tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione.
Essi sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e a ordi­
nare tutta la loro vita secondo le sue esigenze» (cf. anche nn. I l e 44).
Queste tre grandi motivazioni, come si vede anche dai riferimenti del­
l'enciclica a testi precedenti, sono da Giovanni Paolo II semplicemente
riassunte e rilanciate. La sua originalità va invece ricercata in una quar­
ta ragione, che fa riferimento al concetto di «salvezza integrale». A nzi­
ché abbandonare il collegamento tra missione e salvezza, che sembrava
a molti irrimediabilmente compromesso e «politicamente scorretto» nel
contesto interreligioso, Giovanni Paolo II approfondisce proprio la nozio­
ne di «salvezza» e arriva a fondare la ragion d’essere della missione ad
gentes sulla nozione di «salvezza integrale».
L'enciclica considera la «salvezza» non come una realtà discontinua
rispetto a questa vita terrena, ma - sulla linea di alcune suggestioni pao-
line e giovannee - come una «pienezza di vita» che comincia già ora in
colui che crede in Cristo e lo conosce. E questa prospettiva - la «salvez­
za integrale» - è in grado di motivare la missione ad gentes anche
ammettendo, come è doveroso, che si possa raggiungere la salvezza
ultraterrena aderendo a qualsiasi religione o persino a nessuna. Si pos­
sono richiamare alcuni passaggi pregnanti dell’enciclica. «La salvezza
escatologica inizia già ora nella novità di vita in Cristo: "A quanti lo
hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che cre­
dono nel suo nome" (Gv 1,12)» (n. 20). Al n. 7 il papa descrive con più
ampiezza questa novità di vita presente già da ora, facendone il princi­
pale motivo della missione ad gentes:
L'urgenza dell'attività missionaria emerge dalla radicale novità d i vita, por­
tata da Cristo e vissuta dai suoi discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e
all'uomo è richiesto di accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo
la sua vocazione integrale in conformità a Cristo. Tutto il Nuovo Testamento è
un inno alla vita nuova per colui che crede in Cristo e vive nella sua Chiesa. La
salvezza in Cristo, testimoniata e annunziata dalla Chiesa, è autocomunicazio­
ne di Dio [...]. Dio offre all'uomo questa novità di vita (£V 12/565).

Ancora più pregnante è l'inizio del n. 59, che può essere considerato il
miglior svolgimento del tema della «salvezza integrale» o «novità di vita»:
Col messaggio evangelico la Chiesa offre una forza liberante e fautrice di
sviluppo, proprio perché porta alla conversione del cuore e della mentalità, fa
riconoscere la dignità di ciascuna persona, dispone alla solidarietà, all'im pe­
gno, al servizio dei fratelli, inserisce l'uomo nel progetto di Dio, che è la
costruzione del regno di pace, di giustizia a partire già da questa vita. È la
prospettiva biblica dei «cieli nuovi e terra nuova» (cf. Is 65,17; 2Pt 3,13; Ap
21,1), la quale ha inserito nella storia lo stimolo e la meta per l’avanzamento
dell’umanità (EV 12/663).

163
Annunciare Cripto alle genti

Ne deriva, per l’attività missionaria della Chiesa, una motivazione


che «resiste» anche di fronte alla possibilità reale di una salvezza esca­
tologica fuori della Chiesa. Continua l'enciclica:
Perché la m issione? Perché a noi, come a s. Paolo, «è stata concessa la gra­
zia di annunciare ai pagani le imperscrutabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8). La
novità di vita in lui è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: ad essa
tutti gli uomini sono chiamati e destinati. Tutti di fatto la cercano, anche se a
volte in modo confuso, e hanno il diritto di conoscere il valore di tale dono e
di accedervi. La Chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né con­
servare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per esse­
re comunicata a tutti gli uomini. Ecco perché la missione, oltre che dal m an­
dato formale del Signore, deriva dall’esigenza profonda della vita di Dio in noi
(n. 11: £V 12/572).

La motivazione ultima dell'annuncio, che deve accompagnare e inte­


grare il dialogo interreligioso, non è guindi la «salus animae» e neppure
semplicemente la «plantatio Ecclesiae »,124 poiché guesta stessa ragione
ecclesiale è a sua volta orientata alla vera felicità dell'uomo: la Chiesa
annuncia il vangelo e cerca di allargare il più possibile la propria pre­
senza e azione nel mondo, perché quanto più tra gli uomini nascono
legami di «vita nuova» derivanti dall'adesione al vangelo - e dunque
quanto più nasce e cresce la Chiesa - tanto più l'uomo è liberato piena­
mente e trova il senso autentico della vita: l'accoglienza della «buona
notizia», infatti, lo affranca interiormente dal peccato e dalle paure e si
riflette socialmente - sia nella vita ecclesiale che nel tessuto della vita
civile - in una convivenza fondata su valori pienamente liberanti per
l'uomo.125

124 Non si vuole con ciò dire che la prospettiva della «plantatio Ecclesiae» sia sorpassa­
ta: si vedano anzi, in particolare, i nn. 48-49 di Redemptoris missio («La missione ad gentes
ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane, sviluppare chiese fino alla loro completa
maturazione...»).
125 In quale misura l’adesione ecclesiale al vangelo influisce sulle varie culture, immet­
tendo in esse valori che, gradualmente assorbiti, cambiano mentalità, usi, leggi? Tre verifi­
che concrete potrebbero essere condotte, ad es., sui temi della concezione di «persona»,
della «schiavitù» e della dignità della «donna»; temi che registrano sviluppi peculiari nelle
culture che - almeno per un periodo piuttosto lungo e con una profondità tale da creare cul­
tura, istituzioni e leggi - hanno incontrato il vangelo. È ovvio che ima tale ricerca esula
completamente dai limiti e dalle competenze di questo studio, coinvolgendo piuttosto la
«dottrina sociale della Chiesa».

164
Conclusione

Le numerose teorie affacciatesi nelle pagine di questo volume, che


possono avere disorientato qualche lettore, in fondo si riconducono alla
domanda su come armonizzare le affermazioni contenute nei poco più
che due versetti di lT m 2,4-6a:
Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della
verità. Uno solo, infatti, è Dio e uno solo il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uo­
mo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti.

L’autore della lettera vedeva in profonda connessione l'universalità


della volontà salvifica divina e l'unicità della mediazione salvifica cristo­
logica. O ggi invece sembra che i due aspetti siano difficilmente armo­
nizzabili, e - come è stato ampiamente documentato - v'è da una parte
chi tende ad affermare l’universalismo della salvezza a scapito dell'uni­
cità della mediazione di Cristo (tendenza pluralista) e dall'altra chi, al
contrario, tende ad affermare la seconda a scapito della prima (tendenza
esclusivista). Una «teologia delle religioni» adeguata deve invece, come
lTm, comporre le due affermazioni: è quanto abbiamo tentato di fare
impostando mi «cristocentrismo trinitario», che da una parte fonda la
volontà salvifica e la rivelazione «universale» di Dio (oltre a lTm 2,4, cf.
anche At 10,34-35) sul dato della creazione e della paternità universale
di Dio, della redenzione di Cristo estesa a tutti gli uomini, dell'azione
senza confini dello Spirito; e dall’altra fonda la mediazione «unica e asso­
luta» di Cristo (oltre a lT m 2,5-6a, cf. anche At 4,12) sulla definitività
della rivelazione che il Padre ci ha trasmesso nel Figlio e sull'unicità del­
l'incarnazione (morte e risurrezione) del Verbo.
Nel volume abbiamo quindi cercato di mostrare che, come afferma
Colzani,
bene intesa, la riproposizione della fede cristologico-trinitaria offre un quadro
di comprensione delle diversità forse più rispettoso e aperto di quanto pre­
tenda di fare lo stesso pluralismo [...]. Una teologia delle religioni non può
partire dal presupposto di una comune struttura delle religioni, ma dalla
coscienza della loro storica diversità [...]; solo prendendo sul serio la loro

165
Annunciare Crùito alle genti

diversità si può sperare di rendere ragione al cristianesimo e alle altre reli­


gioni. Accettare la loro diversità è il presupposto di ogni serio discorso sulle
religioni.1

Le grandi religioni non faticano a trovare al loro interno i motivi di


apprezzamento reciproco: se il cristianesimo ha svolto la funzione di
«motore» negli ultimi decenni - grazie soprattutto all'opera infaticabile
di Giovanni Paolo II -, anche le altre religioni mondiali stanno scanda­
gliando il loro patrimonio di testi sacri e tradizioni millenarie per esplici­
tare meglio gli strumenti che permettono di valorizzare gli «altri».2 Sono
le sètte che fanno «muro contro muro», considerando cattivo tutto ciò che
è fuori e buono tutto ciò che è dentro: fanno così perché, non avendo
profondità e consistenza, non riescono a gestire una relazione positiva e
articolata con «l'altro», e devono rafforzare la corazza per non crollare.
M a le grandi religioni - sebbene, come del resto le culture non religiose,
siano sempre insidiate da rischi settari - tradirebbero i loro ricchi patri­
moni se si chiudessero ermeticamente alle altre.

In questo quadro cristocentrico-trinitario la natura e missione della


Chiesa, anziché venire assunta a «misura di tutte le cose», come nell’ec-
clesiocentrismo, oppure venire relegata a mezzo facoltativo e in definitiva
superfluo, come nel teocentrismo, è risultata connessa intrinsecamente al
processo di rivelazione e salvezza, «come un sacramento, cioè segno e
strumento». L'impossibilità di separare Cristo dalla Chiesa - il «Christus
totus» - impone di ritenere che, sebbene per vie misteriose, dovunque sia
in atto un processo rivelativo e salvifico, lì operi non solo Cristo ma anche
la Chiesa. Essa è il luogo concreto nel quale continua ad essere trasmes­
sa al mondo la pienezza dei doni divini - Parola, sacramenti e
carismi/carità - irradiandosi a tutti gli uomini attraverso i canali della gra­
zia, per alcuni attraverso l'adesione esplicita ad essa, per altri attraverso i
«germi», le «tracce», gli «elementi» di verità e bontà che incontrano nelle
loro tradizioni religiose. Se essa continua ad annunciare Cristo e il suo
vangelo, nonostante la guadagnata convinzione che ci si possa «salvare»
in tutte le religioni e perfino senza una professione teista esplicita, è per­
ché il suo Signore l'ha chiamata non solo a indicare la via della salvezza
dell'«anima» dopo la morte - della quale decide colui che conosce non
l’apparenza ma il cuore (cf. ISam 16,7) -, ma anche ad annunciare e inne­

1 G . C olzani, «Pluralismo, relativismo e dialogo. L’universalismo di Cristo e il ruolo


della Chiesa», in Euntes docete 59(2005), 12 8 .139 .
2 Cf. in merito i tre seguenti contributi: A. A m ato , «Presenza del dialogo interreligioso
nello sviluppo del pensiero teologico. Prospettiva cattolica», in H. F itte (ed.), Fermenti nella
teologia alle soglie del terzo millennio, LEV, Città del Vaticano 1997, 37-55,- D. R o se n , «Pre­
senza del dialogo interreligioso nello sviluppo del pensiero teologico. Prospettiva ebrea»,
ivi, 56-65; H. E nna Ifer , «Presenza del dialogo interreligioso nello sviluppo del pensiero teo­
logico. Prospettiva islamica», ivi, 66-75.

166
Conclusione

stare nella storia la «salvezza integrale» della persona, che già da ora, in
questa vita terrena, fa sperimentare una «pienezza di vita» nell'adesione
a Cristo e al vangelo. Ecco perché, come è emerso nelle ultime pagine del
capitolo quarto, l'attività missionaria «alle genti» continua ad essere vali­
da e fondata, e non può essere soppiantata dal dialogo interreligioso. Se i
cristiani non avessero l'umile consapevolezza che una vita «in Cristo» è
una vita «piena» anche umanamente - poiché rende più significative le
relazioni, le esperienze, i progetti, i sentimenti, le scelte - e quindi non
cercassero di testimoniare e comunicare la bellezza dell'essere cristiani,
non avrebbero più nulla da dare al mondo, se non qualche «valore» etico
che si può facilmente trovare anche altrove, magari a minor prezzo.
La correlazione «missione-salvezza» va dunque mantenuta anche nel­
l’attuale contesto di pluralismo religioso: ma si tratta di una «salvezza»
che coinvolge non solo lo spirito ma anche la carne; non solo l'individuo,
ma anche la società; non solo la vita eterna, ma anche quella terrena. È
il desiderio che la «vita nuova» derivante dall'adesione convinta al van­
gelo - vita che inizia già ora e si compirà al cospetto di Dio - sia comuni­
cata a tutte le genti a far sì che la Chiesa continui la sua attività missio­
naria e il suo ministero salvifico. Anziché proclamare la «dimissione della
missione»,3 come fanno oggi alcuni a partire dalle accuse di colonialismo
e imperialismo e dalla convinzione che ogni religione vale l'altra, è quin­
di teologicamente fondato un rilancio della missione ad gentes, a partire
dalle convinzione che l'adesione a Cristo apre alla «salvezza integrale».

Ci si può infine chiedere: perché allora il dialogo? Non basta, in que­


sta impostazione, l'annuncio? Abbiamo cercato in questo volume di
mostrare come la missione «alle genti», in effetti, comporti inscindibil­
mente il dialogo e l'annuncio; e come l'annuncio da solo - conforme alle
proposte ecclesiocentriche - trascurerebbe i germi di verità e salvezza
presenti dovunque, e il dialogo da solo - conforme alle proposte teocen­
triche - devierebbe dal senso autentico della fede cristologico-trinitaria e
della «salvezza integrale» che la Chiesa è chiamata a portare al mondo.
Ad alcuni l'inserimento del dialogo nell'ambito della missione suona
come un'operazione subdola, quasi che il dialogo diventi puramente
«strumentale» all'annuncio.4 Esiste in altre parole il sospetto che, per chi
non abbraccia il pluralismo, il dialogo sia solo un passaggio strategico

3 Cf. le pertinenti osservazioni di M. S ievernich , «Mission im Wandel. Historische Leis-


tung und kunftige», in Stimmen der Zeit 120(19 9 5)213, 677-690.
4 Evers ad esempio esprime una lunga e articolata critica all'enciclica Redemptoris mis­
sio, in quanto rilanciando la missio ad gentes contraddirebbe la prassi e la teoria - pure fatte
proprie da Giovarmi Paolo II - del dialogo autentico: cf. G. E vers , «Interreligióser Dialog
und Mission nach der Enzyklika "Redemptoris M issio’’ », in Zeitschriit tur M issionswissen-
schaft und Reiigionswissenschaft 75(19 91), 191-209; cf. in part. la critica ai nn. 55-56 del­
l'enciclica alle pp. 199-202.

167
Annunciare Cristo alle genti

per rendere più efficace l'annuncio.5 Ora, senza negare che chiunque
dialoga su quella che a lui appare come la verità e il senso della vita - e
non solo in campo religioso - mira a rendere convincenti le sue argo­
mentazioni, cercando nell'opinione altrui anche «punti di contatto e di
innesto» della propria, e accetta volentieri l'eventuale adesione finale del
suo interlocutore - quando è espressione di libera scelta6 -, il dialogo
interreligioso ha un valore e un significato molto più grande e ricco.
Prima di tutto, il dialogo in generale aiuta chi lo pratica a scoprire
megho la verità in tutte le sue sfaccettature. Se esercito solo monologhi,
ho una visione «bidimensionale», quindi piatta, della realtà: assumo
infatti due soli criteri di valutazione, ossia ciò che io penso di me stesso e
ciò che penso dell'altro. Se dialogo, invece, assumo una visione «quadri­
dimensionale», quindi a tutto tondo, della realtà: oltre ai due criteri sud­
detti, ne avrò a disposizione anche altri due, che provengono da ciò che
l'interlocutore pensa di se stesso7 e da ciò che pensa di me. Quattro
visuali anziché due: la verità, pur essendo una, può così essere affronta­
ta da prospettive differenti e più facilmente conosciuta.8
In secondo luogo, il dialogo interreligioso aiuta il cristiano sia ad
apprezzare ciò che di vero, bello e buono è presente dovunque, come
impronta di Dio Creatore e Padre di tutti, germe del Verbo, opera dello
Spirito; sia a rendersi meglio conto delle proprie ricchezze, talvolta
annebbiate da abitudine o distrazione o errori, che magari invece altre
tradizioni hanno conservato ed evidenziato con maggiore convinzione:
un cristiano, ad esempio, può approfondire il valore del silenzio a contat­

5 Così ad es. pensa Schmidt-Leukel, secondo il quale per chi abbraccia l'esclusivism o il
dialogo è solo un mezzo per capire meglio come può annunciare il vangelo al non cristiano
e per chi professa l'inclusivismo è unicamente l’occasione per scoprire quei semi del Verbo
che solo in Cristo trovano pienezza; mentre il vero dialogo, senza altra finalità che quella di
arricchirsi scoprendo cose nuove, è appannaggio di chi aderisce al pluralismo (cf. P.
Schmidt-Leukel, «Pluralistiche Religions-theologie: Warum und wozu?», in Òkumenische
Rundschau 49[2000]3, 265-266). Meno radicale e più articolato, ma comunque piuttosto
propenso ad ammettere che il dialogo valga per se stesso - se abbiamo inteso bene l’auto­
re - è il contributo di H.-M. B arth, «Missionarische Verantwortung im Kontext des interre-
ligiòsen Dialogs? Uber das schwierige Verhàltnis zw eier eigenstàndiger Funktionen des
christlichen Glaubens», in J . D orè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel,
Namur 1997, 229-246.
6 Cf. in proposito le riflessioni di M. D elga do , «Vierzig Jah re "Dignitatis hum anae"
oder die Religionsfreiheit als Bedingung fùr Mission und interreligiòsen Dialog», in Zeil-
schrift /tir Missionswissenschalt und Religionswissenschaft 89(2005), 297-310.
7 Su questo vantaggio insiste con particolare convinzione H.R. S chlette , «Wahres und
Heiliges anerkennen... Eine Frage zur “Theologie der Religionen’’ », in R. GO nther (hrsg.),
Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fùr H. Waldenfels, Boni-
fatius, Paderbom 1996, 403-409, in part. 405-406.
8 Interessante in proposito il contributo di F. A ltemeyer , «Théologie des religions non-
chrétiennes», in La ioi et le temps 24(1994), 5 17 - 5 3 1, che sintetizza le piste da evitare nel
dialogo interreligioso in dieci vicoli ciechi: nessun dialogo,- dialogo tra sordi; convinzione
che il dialogo cadrà dal cielo; convinzione di possedere il monopolio della verità; dialogo
immaginario; dialogo cronometrato; dialogo disincarnato; dialogo senza volto personale;
dialogo senza mistero.

168
Conclusione

to con un buddhista, o il senso della trascendenza divina dialogando con


un musulmano, o l'intima armonia interiore di tutte le cose a colloquio
con un induista. Non si tratta di elementi che provengono al cristiano
«dal di fuori», bensì di elementi che - presenti nel proprio patrimonio
religioso - sono talvolta trascurati e possono essere rivitalizzati, appunto,
nel dialogo.9
Il dialogo interreligioso, nella chiarezza delle posizioni, è una grande
speranza per il futuro deU'umanità: non solo per le importanti conver­
genze etiche e spirituali alle quali sta dando forza - su temi come la pace,
il rispetto per il creato e per la vita, la giustizia - ma anche per le occa­
sioni di incontro tra le persone delle diverse religioni; il rapporto inter­
personale mette in secondo piano tante «categorie» con le quali si è abi­
tuati a ragionare e fa sperimentare come il cuore della persona sia sem­
pre più grande e più ricco della «categoria» alla quale è assegnata (cre­
dente/non credente, cristiano/musulmano/buddhista, ecc.). Il futuro del­
l'umanità passa in buona parte attraverso il dialogo interreligioso; e que­
sto, a sua volta, attraverso l'incontro delle persone che lo portano avanti.
La «pace» sognata dagli spiriti illuminati di tutte le epoche è quindi affi­
data non certo ai militanti fanatici che non mancano mai nelle religioni e
ideologie di sempre; ma neppure agli irenisti ingenui che pensano di
mettere tutti d'accordo attorno a una sorta di «religione universale»; piut­
tosto ai credenti realisti, i quali - professando e annunciando integral­
mente la loro fede - cercano caparbiamente il dialogo, attraverso l'in­
contro non solo con le altre religioni ma anche e soprattutto con gli altri
credenti.

9 Negli ultimi tempi si parla molto anche di «trialogo», riferendosi non solo al dialogo
ecumenico fra cattolici, ortodossi e protestanti, ma anche al dialogo interreligioso tra ebrei,
cristiani e musulmani. La specificità delle tre religioni e le loro peculiari interconnessioni
giustifica la nascita della categoria, che corrisponde a una prassi ormai avviata. Una recen­
te presentazione, che segnala puntualmente i nodi del problema, è quella di H. K essler ,
«Trialog zwischen Juden, Christen und Muslimen», in Stimmen der Zeit 130(2005), 158 -173 .

169
Fonti

F o n t i p a t r is t ic h e e m e d ie v a l i

A g o s tin o , Le ritrattazioni, introduzione generale di G. M a d e c , trad., note


e indici di U. P izzani, (NBA II), Città Nuova, Roma 1994.
A g o s tin o , Le Lettere, 1, introduzione di M. P e lle g r in o , trad. di T. Ali-
m o n ti (1-30) e L. C a r r o z z i (31-70), note di L. C a rr o z z i, (NBA XXI/1),
Città Nuova, Roma 1969.
A go stino, Le Lettere, 2, trad. e note di L. C arrozzi, (NBA XXII), Città
Nuova, Rom a 1971.
A go stino, Esposizioni sui Salmi, 1, introduzione di A. C o r tic e lli, trad. di
R. M in u ti, revisione e note illustrative a cura delle Benedettine di S.
M a ria di Rosano, (NBA XX V ), C ittà Nuova, Roma 1967.
A g o s tin o , Esposizioni sui Salmi, 3, trad., revisione e note illustrative a
cura di T. M a r iu c c i - V. T a r u lli, (NBA XXVII), Città Nuova, Roma
1976.
A g o s tin o , Esposizioni sui Salmi, 4, trad., revisione e note illustrative a
cura di V. T a r u lli, indici a cura di F. M o n te v e rd e , (NBA XXVIII), Città
Nuova, Roma 1977.
A gostino, Discorsi, 1: Sul Vecchio Testamento, introduzione di M . P e lle ­
grino, trad. e note di P. B e llin i - F. C ruciani - V. T aru lli, indici a cura
di F. M onteverde, (NBA X X IX ), Città Nuova, Roma 1979.
A g o s tin o , Discorsi, 6: Su argomenti vari, trad. e note a cura di V. P a r o ­
n e t t o - A .M . Q u a r t ir o li, indici a cura di F. M o n te v e rd e , (NBA
XXXIV), Città Nuova, Roma 1989.
C a lv in o G., Istituzione della religione cristiana, trad. it. d i G. Tourn,
UTET, Torino 1971, 2 voli.
Cipriano, L'unità della Chiesa, introduzione di P. S iniscalco - P. M attei,
apparati, note, appendici e indici a cura di P. M atte i, trad. di A. Car-
pin, San Clemente-ESD, Roma-Bologna 2006.
Cipriano, Le Lettere, trad. di G. S iro lli, Cantagalli, Siena 1969; testo cri­
tico in G.F. Diercks (ed.), Corpus christianorum Series latina. III C,
Brepols, Turnhout 1996.
Clem ente A lessandrino, Gli Stromati. Note di vera filosofia, introduzio­
ne, trad. e note di G. Pini, Paoline, Rom a 1985; testo critico in O. Stàh-

171
Fonti

l i n - L. F r O c h te l (hrsg.), Griechische Christlichen Schriftsteller der


ersten drei Jahrhunderte, voli. 2-3, Berlin 1960 e 1970.
C u s a n o N., La dotta ignoranza. Le congetture, Rusconi, Milano 1988.
C u s a n o N., Il Dio nascosto, Laterza, Bari 1995.
F ulg enzio di Ruspe, Le condizioni della penitenza. La fede, trad., intro­
duzione e note a cura di M.G. Bianco, (CTP 57), Città Nuova, Roma
1986; testo critico in J. F raipon t (ed.), Sancti Fulgentii Episcopi
Ruspensis opera, Corpus Christianorum Series Latina 91A, Brepols,
Tumhout 1968, 647-707 e 709-760.
G iustino, Le due Apologie, introduzione e note a cura di G. G a n d o lfo ,
trad. di A. R e g ald o Raccone, Paoline, Roma 1983; testo critico in G.
Rauschen (hrsg.), S. Iustini Apologiae duae, Hanstein, Bonn 1911.
G iustino, Dialogo con Trifone, XXXV I, 1-3, introduzione, trad. e note di
G. V isonà, Paoline, Rom a 1988; testo critico in E.J. Goodspeed (hrsg.),
Die àltesten Apologeten, V andenhoeck u. Ruprecht, G òttingen 1914,
90-265.
Ig nazio di A n tiochia, Lettere, in A. Q u a c q u a r e lli (ed.), I Padri apostoli­
ci, (CTP 5), Città Nuova, Roma 1978, 99-143; testo critico in Ignace
d 'A n tio ch e - Polycarpe de Smyrne, Lettres, introd., trad. et notes de
P.-Th . C am e lot, (SCh 10), Du Cerf, Paris 1969.
Ireneo di Lione, Contro le eresie, introduzione, trad. e note di V. D ella-
giacoma, Cantagalli, Siena 1984, 2 voli.; testo critico in Irénée, Contre
les hérésies, éd. critique par A. Rousseau - L. D o u tre le a u et al., Du
Cerf, Paris 1965-1982.
M e is te r E c k h a r t, Deutsche Predigten und Traktate, hrsg. u. iibers. von J.
Q u in t, Diogenes, Zùrich 1979.
Origene, In Jesu Nave, testo critico in Homélies sur Josué, texte latin, intro-
duction, traduction et notes par A. Jaubert, (SCh 71), Du Cerf, Paris 1960.
O t t a t o di M ilevi, La vera Chiesa, introduzione, trad. e note a cura di L.
D a ttrin o , (CTP 71), Città Nuova, Roma 1988; testo critico in S. Opta­
ti Mileuitani libri 7: Accedunt decem monumenta vetera ad Donati-
starum historiam pertinentia, ree. et commentario critico indicibusque
instruxit C. Ziwsa, Tempsky, Vindobonae-Pragae 1888.
T auler J., Predigten, hrsg. von F. Vetter, Johannes Verlag, Einsiedeln-
Trier 1987.
T e rtu llia n o , Il battesimo, a cura di P.A. G ram a g lia , Paoline, Roma 1979;
testo latino in T e rtu llian u s, De baptismo = Von der Taufe, hrsg. u.
iibers. v. J.W.P h . B orleffs, Brepols, Tumhout 1954, 275-295.
Tommaso d'A quino, Quaestiones disputatae, 1: De ventate, a cura di R.
Spiazzi, Marietti, Torino 1964.
Tommaso d A q u in o , Liber de ventate catholicae fidei contro errores infi-
delium quae dicitur Summa contro gentiles, III, a cura di P. M a r c - C.
P e ra- P . C a ram e llo , Marietti, Torino 1961.
Tommaso d A q u in o , Summa theologiae, a cura di De Rubeis - B illu a r t et
al., Marietti, Torino 1932.
T om m aso d A q u in o , Quaestiones quodlibetales, a cura di R. Spiazzi,
Marietti, Torino-Roma 1956.

172
Fonti

D ocum enti d e l m a g is t e r o
E C A T EC H ISM I
B e n e d e tto XV, lettera enciclica Maximum illud sulla propagazione della
fede cattolica in tutto il mondo, del 30 novembre 1919: EE 4/869-889.
Com m issione t e o lo g ic a in te r n a z io n a le , Temi scelti di ecclesiologia, del
7 ottobre 1985: EV 9/1668-1765.
C om m issione t e o lo g ic a in te r n a z io n a le , Il cristianesimo e le religioni, in
La Civiltà cattolica 148(1997)1, 146-183.
C o n g re g a z io n e per l a d o t t r in a d e l l a fede, Dichiarazione Dominus
Jesus circa l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della
Chiesa, del 6 agosto 2000, in La Civiltà cattolica 151(2000)4, 54-76.
C o n g re g a z io n e per l a d o t t r in a d e l l a fede, Notificazione a p. Dupuis,
del 24 gennaio 2001, in II Regno documenti 46(2001), 143-145.
G io v a n n i P a o lo II, lettera enciclica Redemptor hominis all’inizio del
ministero pontificale, del 4 marzo 1979: EV 6/1167-1272.
G io v a n n i P a o lo II, lettera enciclica Dominum et vivificantem sullo Spiri­
to Santo nella vita della Chiesa e del mondo, del 18 maggio 1986: EV
10/448-631.
G io v a n n i P a o lo II, lettera enciclica Redemptoris missio sulla permanen­
te validità del mandato missionario, del 7 dicembre 1990: EV 12/547-
732.
G io v a n n i P a o lo II, lettera apostolica Tertio millennio adveniente per la
preparazione del Giubileo del Duemila, del 10 novembre 1994: EV
14/1714-1820.
P a o lo VI, esortazione apostolica Evangelii nuntiandi sull'evangelizzazio­
ne nel mondo contemporaneo, dell'8 dicembre 1975: EV 5/1588-1716.
Pio XI, motu proprio Romanorum pontificum, del 3 maggio 1922: AAS
14(1922), 321-326.
Pio XI, lettera enciclica Rerum Ecclesiae sull'incremento delle missioni,
del 28 febbraio 1926: EE 5/164-187.
Pio XII, lettera enciclica M y stici corporis sul corpo mistico di Cristo, del
29 giugno 1943: EV 6/151-260.
Pio XII, lettera enciclica Evangelii praecones per un rinnovato impulso
delle missioni, del 2 giugno 1951: EE 6/752-823.
Pio XII, lettera enciclica Fidei donum sulle condizioni delle missioni cat­
toliche particolarmente in Africa, del 21 aprile 1957: EE 6/1307-1341.
P o n tific io c o n s ig lio per i l d ia lo g o in te r r e lig io s o e C o n g r e g a z io n e per
l'e v a n g e liz z a z io n e dei popou, Dialogo e annuncio. Riflessioni e orien­
tamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del vangelo di Gesù
Cristo, del 19 maggio 1991: EV 13/287-386.
R a m b e lli G., Piccolo catechismo missionario, Unione missionaria del
clero in Italia, Roma 1929.

173
Bibliografia

Due ecclesiologie. Ecclesiologia giuridica ed ecclesiologia di


A c erbi A .,
comunione nella «Lumen gentium», EDB, Bologna 1975.
A le a z K.P., «Pluralistic Inclusivism: A Viable Indian Theology of Reli­
gions», in Asia Journal of Theology 12(1998), 265-288.
A l f a r o J., «Cristo, Sacramento de Dios Padre. La Iglesia, Sacramento de
Cristo glorificado», in Gregorianum 48(1967), 5-27.
A lte m e y e r E, «Théologie des religions non-chrétiennes», in La Foi et le
Temps 24(1994), 517-531.
A m a to A ., «Missione cristiana e centralità di Gesù Cristo. La dimensione
cristologica dell'annuncio cristiano nelTenciclica "Redemptoris mis­
sio " di Giovanni Paolo II», in E. D a l C o v o lo - A . T ria c c a (edd.), La
missione del Redentore. Studi sull'enciclica missionaria di Giovanni
Paolo II, LDC, Torino 1992, 13-29.
A m a to A ., «Presenza del dialogo interreligioso nello sviluppo del pensie­
ro teologico. Prospettiva cattolica», in H. F itte (ed.), Fermenti nella
teologia alle soglie del terzo millennio, LEV, Città del Vaticano 1997,
37-55.
A pczynski J.V., «John Hick's Theocentrism: Revolutionary or implicitly
Exclusivist?», in Modern Theology 8(1992), 39-52.
A re n s E., «Die Vielfalt der Religionen als Herausforderung der Theolo­
gie», in Stimmen der Zeit 118(1993)211, 849-857.
A re n s E., «Pluralistiche oder Praktische Religionstheologie?», in R.
S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein? Der Streit um die pluralistiche Reli­
gionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Herder, Freiburg-Basel-
Wien 1996, 174-188.
A rre g u i J., «Urs von Balthasar: dos propuestas de diàlogo con las reli-
giones», in Scriptorium Victoriense 43(1996), 117-189.
A v e lin e J.-M., « n contributo francese alla teologia delle religioni», in M.
S e r r e tti (ed.), Teologia delle religioni, Paoline, Milano 2001, 59-79.
B a lt h a s a r H.U. v o n , Il padre Henri de Lubac. La tradizione fonte di rin­
novamento, Jaca Book, Milano 1978.

175
Bibliografia

B a r t h H.-M., «Missionarische Verantwortung im Kontext des interreli-


giòsen Dialogs? Uber das schwierige Verhàltnis zweier eigenstàndi-
ger Funktionen des christlichen Glaubens», in J. D o rè (ed.), Le chri­
stianisme vis-à-vis des religions, Artel, Namur 1997, 229-246.
B a r t h K., Dogmatica ecclesiale. Antologia, a cura di H. G o llw itz e r , Il
Mulino, Bologna 1969.
B a r t h K., L'Epistola ai Romani, Feltrinelli, Milano 1974.
B asset J.-C., «Déni ou défi: les Églises protestantes et la pluralità reli-
gieuse», in J. D o rè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel,
Namur 1997, 131-147.
B e in e rt W., «Die alleinseligmachende Kirche. Oder: wer kann gerettet
werden?», in Stimmen der Zeit 115(1990), 264-278.
B e llia G., «Una teologia biblica delle religioni?», in M. S e r r e tti (ed.),
Unicità e universalità di Gesù Cristo Cristo. In dialogo con le religio­
ni, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 284-322.
B e r n h a r d t R., «Ein neuer Lessing? - Paul Knitters Theologie der Reli­
gionen», in Evangelische Theologie 49(1989), 516-528.
Der Absoluteitsanspruch des Christentums. Von der
B e r n h a r d t R.,
Aufklàrung bis zur Pluralistischen Religionstheorie, Mohn, Gùtersloh
1990.
B e r n h a r d t R., «Wandlungen in der Beurteilung und Kritik nicht-christli-
cher Religionen in der evangelischen Theologie», in H.R. S c h le tt e
(hrsg.), Religionskritik in interkultureller und interreligiòser Sicht.
Dukumentation des Symposiums des Graduiertenkollegs "lnterkultu-
relle religióse bzw. religionsgeschichtliche Studien" vom 20.-23.11.
1996 an der Universitàt Bonn, Borengàsser, Bonn 1997, 35-51.
B e r t u le t t i A., «Fede e religione: la singolarità cristiana e l'esperienza
religiosa universale», in Cristianesimo, religione e religioni: Quaderni
di studi e memorie 11(1993), 95-114.
B iffi G., La Chiesa cattolica e il problema della salvezza, LDC, Torino
2000 .
B o rd o n i M., «La cristologia odierna di fronte alla questione della verità»,
in M. S e r r e tti (ed.), Unicità e universalità di Gesù Cristo. In dialogo
con le religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 65-111.
B o u b lik V., Teologia delle religioni, Studium, Roma 1973.
B ro w n R.E., Giovanni, 2 voli., Cittadella, Assisi 1979.
B ste h A ., «Kirche der Begegnung. Zur Òffnung der Kirche im Zweiten
Vatikanum fùr einen Dialog des Glaubens mit den nichtchristlichen
Religionen», in R. S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein? Der Streit um die
pluralistiche Religionstheologie, (Quaestiones Disputatae 160), Her­
der, Freiburg-Basel-Wien 1996, 50-82.
B u ltm a n n R., Theologie des Neuen Testamentes, Siebeck, Tùbingen 1984.
Neues Testament und Mythologie. Das Problem der
B u ltm a n n R.,
Entmythologisierung der neutestamentlichen Verkundigung, Kaiser,
Mùnchen 1985.
B u r g g r a f J., «Hacia un "ecumenismo de las religiones"?», in Diàlogo
Ecumènico 35(2000)112, 283-301.

176
Bibliografia

Camps A ., «Theologie der Religionen als Pilger-Theologie», in R. G ù n t h e r


(hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend,
FS fùr H. Waldenfels, Bonifatius, Paderbom 1996, 369-380.
C a n o b b io G., «Extra Ecclesiam nulla salus», in La Rivista del Clero ita­
liano 71(1990), 428-446.
C a n o b b io G., «La Chiesa sacramento di salvezza», in La Rivista del Clero
italiano 71(1990), 428-446.
C a n o b b io G., «Nota a margine dell'opera di J. Dupuis», in Rassegna di
teologia 38(1997), 834-838.
C a n o b b io G., «L’emergere dell'interesse per le religioni nella teologia
cattolica del Novecento», in M. C r o c ia ta (ed.), Teologia delle religio­
ni. Bilanci e prospettive, Paoline, Milano 2001, 15-55.
C a n o b b io G ., Chiesa, religioni, salvezza. Il Vaticano II e la sua recezione,
Morcelliana, Brescia 2007.
C a n ta la m e s s a R., «"O ggi è nato per voi un Salvatore". Gesù Cristo Sal­
vatore di tutti gli uomini», in Id., Preparate le vie del Signore, EDB,
Bologna 1994, 113-135.
C a s t e llu c c i E., «Pluralismo, magistero e teologia», in Rivista di teologia
dell'evangelizzazione 7(2003)13, 83-149.
C a s t e llu c c i E., Davvero il Signore è risorto. Indagine teologico-fonda-
mentale suqli avvenimenti e le oriqini della lede pasquale, Cittadella,
Assisi 2005.
C a s t e llu c c i E., «Israele, le genti, la Chiesa: dalla sostituzione all'inne-
sto», in Rivista di teologia dell'evangelizzazione 10(2006)20, 257-282.
C a s t e llu c c i E., «Le ripercussioni del dialogo ebraico-cristiano sulla teo­
logia cattolica», in Rivista di teologia dell'evangelizzazione
11(2007)21, 37-59.
C h e e th a m D., «Religious Passion and thè Pluralist Theology of Reli­
gions», in New Blackfriars 79(1998), 229-240.
C h u l Kim S., «Ein Weg zum pluralen Pluralismus der Religionen. Von
Troeltsch zum Zen Buddhismus», in R. G O n th e r (hrsg.), Wege der
Theologie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fùr H. Wal­
denfels, Bonifatius, Paderbom 1996, 421-431.
C ipriani S. (ed.), Lettere pastorali, Paoline, Roma 1983.
C obb J r . J.B. - Ives C., The Emptying God. A Buddhist - Jewish - Chri­
stian Conversation, Maryknoll, New York 1994.
C o c k b u r n D ., «Religious Pluralism and Kantian Metaphysics», in Theo­
logy 100(1997), 117-122.
C o d a P, «Per un'ermeneutica cristologica del pluralismo delle religioni»,
in C o ffe le G. (ed.), Dilexit Ecclesiam. Studi in onore del prof. Donato
Valentini, LAS, Roma 1999, 125-140.
C o f f e le G., «Missione e teologia fondamentale», in E. D a l C o v o lo - A.
T ria c c a (edd.), La missione del Redentore. Studi sull'enciclica missio­
naria di Giovanni Paolo II, LDC, Torino 1992, 99-119.
C o lo m b o G ., «Popolo di Dio e sacerdozio nell'insegnamento del m agi­
stero post-conciliare», in A sso c ia zio n e t e o lo g ic a it a lia n a , Popolo di
Dio e sacerdozio, Il Messaggero, Padova 1983, 130-175.

177
Bibliografia

C o lo m b o G., «Il "popolo di Dio" e il “mistero della Chiesa" nell'eccle­


siologia post-conciliare», in Teologia 10(1985), 97-169.
La missionarietà della Chiesa. Saggio storico sull'epoca
C o lz a n i G .,
moderna fino al Vaticano II, EDB, Bologna 1975.
C o lz a n i G., «Pluralismo, relativismo e dialogo. L'universalismo di Cristo
e il ruolo della Chiesa», in Euntes docete 59(2005), 125-144.
C o m ité de r é d a c tio n , «"Tout récapituler dans le Christ”. À propos de
l ’ouvrage de Jacgues Dupuis, Vers une théologie chrétienne du plu­
ralisme religieux», in Revue thomiste 106(1998), 591-630.
C o n g a r Y., «Ecclesia ab Abel», in M . R eding (hrsg.), Abhandlungen ùber
Theologie und Kirche, Patmos Verlag, Dusseldorf 1952, 79-108.
C o n g a r Y., «La Chiesa come popolo di Dio», in Concilium 1(1965), 19-43.
C o n g a r Y., Un popolo messianico. La Chiesa, sacramento di salvezza. La
salvezza e la liberazione, (BTC 27), Q ueriniana, Brescia 1976.
C o n g a r Y., Vaste monde, ma paroisse. Verité et dimensions du salut,
Témoignage chrétien, Paris 1968.
C o n g a r Y., «Principi dottrinali (nn. 2-9)», in J. S c h u t te (ed.), Il destino
delle missioni, Morcelliana, Brescia 1969, 151-192.
C o w d e ll S., «Hans Kùng and World Religions: The Emergence of a Plu-
ralist», in Theology 22(1989), 85-102.
C r o c ia ta M. (ed.), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive, Paoline,
Milano 2001.
C r o c ia ta M., «Per uno statuto della teologia delle religioni», in Id. (ed.),
Teologia della religioni. Bilanci e prospettive, Paoline, Milano 2001,
325-370.
C r o c ia ta M . (ed.), Il Dio di Gesù Cristo e i monoteismi, C ittà Nuova,
Roma 2003.
C u llm a n n O ., Cristo e il tempo. La concezione del tempo e della storia
nel cristianesimo primitivo, Il Mulino, Bologna 1965.
D a l C o v o lo E. - T ria c c a A. (edd.), La missione del Redentore. Studi sul­
l'enciclica missionaria di Giovanni Paolo II, LDC, Torino 1992.
D a n ié lo u J., Dieu et nous, Bernard Grasset, Paris 1956.
D a n ié lo u J., «Christianisme et religions non-chrétienne», in Études
109(1964), 323-336.
D a n ié lo u J., «Le religioni non cristiane e la salvezza», in Perché le mis­
sioni?, EDB, Bologna 1970.
D 'C o s ta G ., «Towards a Trinitarian Theology of Religions», in C. Cor-
n i ll e - V. N e c k e b ro u c k (eds.), A Universal Faith? Peoples, Cultures,
Religions, and thè Christ. Essays in Honor of F. De Grave, Peeters
Press, Louvain, 139-154.
D 'C o s t a G ., «Taking other Religions Seriously: Some Ironies in thè Cur-
rent Debate on a Christian Theology of Religions», in The Thomist
54(1990), 519-529.
D 'C o sta G. (ed.), La teologia pluralista delle religioni: un mito? L'unicità
cristiana riesaminata, Assisi, Cittadella 1994.
De G io r g i M., «Jacgues Dupuis. Un uomo, un pensiero», in Ad gentes
2(1998), 104-109.

178
Bibliografia

De Haes R., «De la théologie des religions non-chrétiennes au dialogue


interreligieux», in Revue africaine de théologie 14(1990)27-28, 47-
63.
D e lg a d o M., «Vierzig Jahre "Dignitatis hum anae" oder die Religions-
freiheit als Bedingung fùr Mission und interreligiòsen Dialog», in
Zeitschrift fùr M issionswissenschaft und Religionswissenschaft
89(2005), 297-310.
De L u b a c H., Cattolicismo. Gli aspetti sociali del dogma, Studium, Roma
1964.
D e L u b a c H ., Per una teologia delle missioni, Vita e Pensiero, Milano
1975.
De Rosa G., Cristianesimo, religioni e sette non cristiane a confronto,
C ittà Nuova, Roma 1989.
De Rosa G., «U na teologia problem atica del pluralism o religioso», in La
Civiltà cattolica 149(1998)3, 129-143.
D h a v am o n y M., «Evangelizzazione e dialogo nel Vaticano II e nel Sino­
do del 1974», in R. L a to u r e lle (ed.), Vaticano II: bilancio e prospetti­
ve venticinque anni dopo (1962-1987), Cittadella, Assisi 1987, II, 1217-
1233.
D h a v a m o n y M., «Christian Theology of Religions», in Seminarium
38(1998), 751-769.
D h a v a m o n y M., Jesu s Christ in thè Understanding of World Religions,
(Documenta Missionalia 30), PUG, Roma 2004.
D ia n ic h S., «La missione della Chiesa nella teologia recente», in A s s o ­
Coscienza e missione di Chiesa. Atti del
c ia zio n e t e o lo g ic a it a lia n a ,
VII Congresso nazionale, Cittadella, Assisi 1977, 137-206.
D ia n ic h S., Chiesa in missione. Per una ecclesiologia dinamica, Paoline,
Roma 1985.
D ia n ic h S., «Vangelo e dialogo», in
Missione come dialogo tra le Chiese
e tra le culture, PUM, Roma 1987, 49-88.
D ia n ic h S., «Popolo di Dio (I). Un nome impegnativo per la Chiesa», in
La Rivista del Clero italiano 71(1990), 165-175.
D ia n ic h S., «Popolo di Dio (II). Problematica pastorale di un'idea», in La
Rivista del Clero italiano 71(1990), 245-254.
D ò r in g F., «Synkretismus oder kreative Integration?», in R. G O n th e r
(hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten Jahrtau-
send, FS fur H. Waldenfels, Bonifatius, Paderborn 1996, 433-445.
D o r è J., «L'annonce de Jésus-Christ et la rencontre avec les religions», in
La documentation catholique (1992)2044, 171-178.
D orè J., «Pour une théologie chrétienne des religions», in Id. (ed.), Le
christianisme vis-à-vis des religions, Artel, N am ur 1997, 9-20.
D o r è J. (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel, Namur 1997.
D upuis J., Gesù Cristo incontro alle religioni, Cittadella, Assisi 1989.
Dupuis J., «Le débat christologique dans le conteste du pluralisme reli-
gieux», in Nouvelle revue théologique 113(1991), 853-863.
D upuis J., «Méthode théologique et théologies locales: adaptation, incul-
turation, contextualisation», in Seminarium 32(1992), 61-74.

179
Bibliografia

Dupuis J., «L'ÉgUse, le règne de Dieu et les "autres"», in G. D o rè - C h .


T h é o b a ld (edd.), Penser la loi. Recherches en théologie aujourd'hui.
M élanges offertes à Joseph Moingt, Du Cerf, Paris 1993, 327-349.
D upuis J., «La fede cristiana in Gesù Cristo in dialogo con le grandi reli­
gioni asiatiche», in Gregorianum 75(1994), 217-240.
Dupuis J., «La teologia nel contesto del pluralismo religioso. Metodo, pro­
blemi, prospettive», in A. Amato (ed.), Trinità in contesto, LAS, Roma
1994, 127-150.
D upuis J., «Il cristianesimo di fronte alla sfida del pluralismo religioso. La
proposta di R. Panikkar e H. Le Saux», in Studia Patavina 42(1995),
487-497.
Dupuis J., «Les religions et la mission. A propos de deux livres récents»,
in Gregorianum 76(1995), 585-592.
Dupuis J., «Cristo universale e vie di salvezza», in Angelicum 74(1997),
193-217.
Dupuis J., Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, (BTC 95),
Queriniana, Brescia 1997.
D upuis J., «Le pluralisme religieux dans le pian divin de salut», in Revue
théologique de Louvain 29(1998), 484-505.
Dupuis J., «Premiers échos du Synode pour lA sie», in Études 143(1998),
215-227.
Dupuis J., «La teologia del pluralismo religioso rivisitata», in Rassegna di
teologia 40(1999), 667-693.
D upuis J., «The Spirit, Basis for Interreligious Dialogue», in Theology
Digest 46(1999), 27-31.
D upuis J., «Inculturation and Inter-Religious Dialogue in India Today», in
C . C o r n ille —V. N e c k e b ro u c k (eds.), A Universa] Faith? Peoples, Cul-
tures, Religions, and thè Christ. Essays in Honor of F. De Grave, Pee-
ters Press, Louvain 2000, 21-47.
D upuis J., «One God, one Christ, convergent ways», in Theological
Digest 43(2000)3, 211-218.
D upuis J., «Le Verbe de Dieu, Jésus Christ e les religions du monde», in
Nouvelle revue théologique 123(2001), 529-546.
Dupuis J., «Abbiamo tutti lo stesso Dio», in Credere oggi 22(2002)129,
155-168.
D upuis J., «From Religious Confrontation to Encounter», in Theology
D ig e sti 9(2002), 103-108.
E d d y P.R., «Religious Pluralism and thè Divine. Another Look at John
H ick’s Neo-Kantian Proposai», in Religious Studies 30(1994), 467-
478.
E d ito r ia le , «Gesù Salvatore unico e universale. Dall'enciclica "Redemp-
toris missio" alla dichiarazione "Dominus Jesus"», in La Cività catto­
lica 152(2001)1, 335-347.
E n n a ife r H., «Presenza del dialogo interreligioso nello sviluppo del pen­
siero teologico. Prospettiva islamica», in H. F itte (ed.), Fermenti nella
teologia alle soglie del terzo millennio, LEV, Città del Vaticano 1997,
66-75.

180
Bibliografia

E vers G., «Interreligiòser Dialog und Mission nach der Enzyklika


"Redemptoris Missio"», in Zeitschrift fiir Missionswissenschaft und
Religionswissenschaft 75(1991), 191-209.
Fabris R., Le Lettere di Paolo, Boria, Roma 1980, 3 voli.
F a r r u g ia M. (ed.), Universalità del cristianesimo. In dialogo con Jacques
Dupuis, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996.
Fed ou M., «La théologie des religions à l'heure du pluralisme», in Études
134(1989), 821-830.
F o e rs te r W. - F o h re r G.G., «Sozo, soteria, soter, soterios», in G. K i t t e l -
G. F rie d ric h (edd.), Grande lessico del Nuovo Testamento, Paideia,
Brescia 1981, XII, 445-608.
Fries H., «Mutamenti dell'immagine della Chiesa ed evoluzione storico­
dogmatica», in J. Feiner - M. L ò h r e r (edd.), M y sterium salutis, Que-
riniana, Brescia 1972, VII, 267-346.
Fub M., «Die Familie der Wahrheiten. Fragmentarische Skizzen zu einer
Theologie der Religionen», in R. G u n t h e r (hrsg.), Wege der Theolo­
gie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fùr H. Waldenfels,
Bonifatius, Paderborn 1996, 381-393.
G e ffr é C., «Christian Uniqueness and Interreligious Dialogue», in P. M oj-
zes - L. S w idler (eds.), Christian Mission and Interreligious Dialogue,
The Edwin Mellen Press, Lewiston-Queenston-Lampeter 1990, 61-76.
G e ff r é C ., «La singolarità del cristianesimo nell'età del pluralismo reli­
gioso», in Filosofia e teologia 6(1992), 38-58.
G e ffr é C., «La responsabilité historique des trois religions monothéi-
stes», in J. Dorè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel,
Namur 1997, 249-266.
G e ff r é C., «Le pluralisme religieux et l'indifférentisme, ou le vrai défi de
la théologie chrétienne», in Revue théologique de Louvain 31(2000),
3-32.
G e l o t J., «Vers une théologie chrétienne des religions non chrétiennes»,
in Islamo Christiana 2(1976), 1-57.
G e ro s a L., «Diversità delle religioni, verità e pace. Riflessioni sul ruolo
del dialogo interreligioso nella costruzione della pace», in Rivista teo­
logica di Lugano 6(2001)2, 287-301.
G ib e llin i R., La teologia del XX secolo, (BTC 69), Queriniana, Brescia
1993, 18.
G om es E., «La missione "dopo la promulgazione" del vangelo», in E. D a l
C o v o lo - A . T ria c c a (edd.), La missione del Redentore. Studi sull'en­
ciclica missionaria di Giovanni Paolo II, L D C , Torino 1992, 87-98.
G r u n d m a n n W., Das Evangelium nach Markus, Evangelische Verlag-
anstalt, Berlin 1977.
G u n t h e r R. (hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten
Jahrtausend, FS fiir H. Waldenfels, Bonifatius, Paderborn 1996.
H a g e m a n n L., «Pluralitàt der Religionen - Konkurrenz oder Konvi-
venz?», in R. G u n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle
zum dritten Jahrtausend, FS fùr H. Waldenfels, Bonifatius, Paderborn
1996, 411-419.

181
Bibliografia

H a l l G ., «Jacques Dupuis' Christian Theology of Religious Pluralism», in


Pacifica 15(2002), 37-50.
H a r n a c k A.,
L'essenza del cristianesimo, (Gdt 121), Queriniana, Brescia
1980.
H e g e l G.W.F., Vita di Gesù (1795), (Gdt 278), Queriniana, Brescia 2001.
H ick J., God and thè Universe of Faiths, Fount, London 1977.
H ic k J., The M y th of God Incarnate, SCM, London 1978.
Hick J., God Has Many Names. Britain's New Religious Pluralism, M ac­
millan, London 1980.
Hick J., «Towards a Philosophy of Religious Pluralism», in Neue Zeit-
schrift fur System atische Theologie und Religionsphilosophie
22(1980), 131-149.
H ic k J., Problems of Religious Pluralism, Macmillan, London 1985.
H ic k J., An Interpretation of Religion: Human Responses to thè Tran-
scendent, Yale University Press, New Haven-London 1989.
H ic k J., «A Response to Gerard Loughlin», in Modern Theology 7(1990),
57-66.
H ic k J., «Il cristianesimo tra le religioni del mondo», in Filosofia e teolo­
gia 6(1992), 13-24.
H ic k J. - K n itt e r P. (edd.),
L’unicità cristiana: un mito? Per una teologia
pluralista delle religioni, Cittadella, Assisi 1994, 291-312.
H u a n g Y., «Religious Pluralism and Interfaith Dialogue: Beyond Univer-
salism and Particularism», in International Journal for Philosophy of
Religion 37(1995), 127-144.
H O n e rm a n n P , «La verità del cristianesimo di fronte alla verità delle altre
religioni», in Studia Patavina 46(1999), 543-554.
J o u r n e t C., «Hors de l’Église, pas de salut», in Nova et Vetera 74(2000)4,
17-33.
K a n t E., Critica della ragion pura (1787), Laterza, Bari 22000.
K a n t E., La religione nei limiti della semplice ragione (1793), TEA, M ila ­
no 1997,
Kasper W., «Die Kirche als universales Sakrament des Heils», in Id.,
Theologie und Kirche, Matthias Grunewald, Mainz 1987, 237-254.
Kasper W., «Unicità e universalità di Gesù Cristo», in M. S e r r e tti (ed.),
Unicità e universalità di Gesù Cristo. In dialogo con le religioni, San
Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 17-33.
K e rn W., «Anthropologische Strukturen im Blick auf Offenbarung», in W.
K e rn - H.J. P o ttm e y e r - M. S e c k le r (hrsg.), Handbuch der Funda­
mentaltheologie, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1985,1, 195-217.
K essler H., «Pluralistiche Religionstheologie und Christologie», in R.
S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein? Der Streit um die pluralistiche Reli­
gionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Herder, Freiburg-Basel-
Wien 1996, 158-173.
K e ssler H., «Trialog zwischen Juden, Christen und Muslimen», in Stim-
men der Zeit 130(2005), 158-173.
K h o u ry A.T., «Religiose Wahrheit und Toleranz. Einige Anmerkungen»,
in R. G O n th e r (hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum drit-

182
Bibliografia

ten Jahrtausend, FS fur H. Waldenfels, Bonifatius, Paderborn 1996,


395-401.
K n itt e r P., «La teologia cattolica delle religioni a un crocevia», in Conci-
lium 22(1986), 133-144.
K n itt e r P.F., «Nochmals die Absolutheitsfrage. Griinde fur eine plurali-
stische Theologie der Religionen», in Evangelische Theologie
49(1989), 505-516.
Nessun altro nome? Un esame critico degli atteggiamenti cri­
K n itt e r P„
stiani verso le religioni mondiali, (Gdt 207), Queriniana, Brescia 1991.
K n itt e r P.F., «Missionary Activity Revised and Reaffirmed», in P. M o jz e s
- L. S w id le r (edd.), Christian Mission and Interreligious Dialogue, The
Edwin Mellen Press, Lewiston-Queenston-Lampeter 1990, 77-92.
K n it t e r P., «Per una teologia della liberazione delle religioni», in J. H ic k
- P. K n it t e r (edd.), L'unicità cristiana: un mito? Per una teologia plu­
ralista delle religioni, Cittadella, Assisi 1994, 291-312.
K ò n ig F , «Der interreligiose Dialog - auf dem Weg zu einer Theologie
der Religionen», in R. G u n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie: an der
Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fur H. Waldenfels, Bonifatius,
Paderborn 1996, 355-367.
K ò r n e r B., «Extra Ecclesiam nulla salus. Sinn un Problematik diese Sat-
zes in einer sich wandelnden fundamentaltheologischen Ekklesiolo-
gie», in Zeitschrift fiir Katholische Theologie 114(1992), 274-292.
K o n s ta n tin id is J., «Orientations théologigues dans la fidélité à la tradi-
tion orthodoxe», in J. D o r è (ed.), Le christianisme vis-à-vis des reli­
gions, Artel, Namur 1997, 23-33.
K o z ie l B.E., «Die Aufhebung der Soteriologie in Religionstheologie. Wie
der religionstheologische Pluralismus die Theologie verandert», in
Theologie und Philosophie 80(2005), 517-545.
K re im l J., «Der interreligiose Dialog. Zum Verhàltnis des Christentums
zu den anderen Religionen», in Forum Katholische Theologie
21(2005), 136-143.
K reine r A., «Philosophische Probleme der pluralistischen Religionstheo­
logie», in R. S c h w a g e r (hrsg.), Christus ailein? Der Streit um die plu­
ralistiche Religionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Herder,
Freiburg-Basel-Wien 1996, 118-131.
K u n g H., «Per una teologia ecumenica delle religioni. Tesi di chiarimen­
to», in Concilium 22(1986), 156-165.
K u s c h e l K.-J., «L’ebreo, il cristiano e il musulmano s'incontrano»?
«Nathan il saggio» di Lessing, (Gdt 318), Queriniana, Brescia 2006.
L a d a r ia L.F., «Du De vera religione à l'action universelle de l'Esprit-Saint
dans la théologie catholigue recente», in J. Dorè (ed.), Le christiani­
sme vis-à-vis des religions, Artel, Namur 1997, 53-75.
L a n c e lo t t i A., Matteo, Paoline, Roma 1978.
L a rc h e r G ., «Hermeneutisch-theologische Elemente fur ein dramatisches
Konzept interreligiòser Begegnung», in R. S c h w a g e r (hrsg.), Christus
ailein? Der Streit um die pluralistiche Religionstheologie, (Quaestiones
disputatae 160), Herder, Freiburg-Basel-Wien 1996, 107-117.

183
Bibliografia

Lessing G.E., Nathan il saggio, Garzanti, Milano 1992.


Levesque J., «Jésus-Christ, l'unique Sauveur», in M ission de l'Église
(1991)91, 6-15.
Link-W ieczorek U. v o n , «Mit dem "solus Christus" allein unter den Reli­
gionen? Uberlegungen zum christologischen Selbstverstàndnis im
interreligiòsen Dialog», in Òkumenische Rundschau 49(2000), 302-317.
L o g is te r W., « In thè N a m e of Jesu s Christ: C hristology a n d thè Interreli-
gious D ia lo g u e », in C. C o r n ille - V. N e c k e b ro u c k (eds.), A Univeisal
Faithì Peoples, Cultures, Religions, and thè Christ. Essays in honor of
F. De Grave, Peeters Press, L o u v a in 2000, 155-181.
L o u g h lin G ., «Prefacing Pluralism: John Hick and thè Mastery of Reli­
gion», in Modern Theology 7(1990), 29-55.
M a d o n ia N., «Unicità e singolarità di Gesù Cristo», in Rassegna di teolo­
gia 39(1998), 207-238.
M a d r ig a l T e rra zas S., «Eclesialidad y universalidad de la salvación a la
luz de la noción "Ecclesia ab Abel''», in Diàlogo ecumènico
25(2000)112, 211-262.
M a r r a n z in i A ., «Il "cristianesimo anonimo" di K. Rahner, oggi», in M .
F a r r u g ia (ed.), Universalità del cristianesimo. In dialogo con Jacqu es
Dupuis, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, 197-210.
M a r t in i C .M ., Atti degli apostoli, Paoline, Roma 1986.
Jesus and Easter: Did God Raise thè Historical Je su s from
M a rx s e n W.,
thè Dead?, Abingdon, Nashville USA 1990.
M a s s o n J., «Le dialogue entre les religions. Deux documents récents», in
Nouvelle Revue Théologique 114(1992), 726-737.
M e l l o n i A., «La rencontre d'Assise et ses développements dans la dyna-
mique du concile Vatican II», in J. D o r è (ed.), Le christianisme vis-à-
vis des religions, Artel, Namur 1997, 99-130.
M e r r ig a n T., «The Challenge of thè Pluralist Theology of Religions and
thè Christian Rediscovery of Judaism», in D. P o lle f e y t (ed.), Jew s and
Christians: Rivals or Partners for thè Kingdom of Godi In Search of an
Alternative for thè Theology of Substitution, Peeters Press, Louvain
1997, 95-132.
M e r r ig a n T., «"Pour nous et pour notre salut". L'action de Dieu selon la
théologie des religions», in Lumen vitae 53(1998), 414-425.
M o io li G., «Cristologia», in Dizionario teologico interdisciplinare,
Marietti, Casale Monferrato 1977, 639-651.
M o lt m a n n J., «Dient die "pluralistiche Theologie" dem Dialog der Welt-
religionen?», in Evangelische Theologie 49(1989), 528-537.
M o n d in G.B., La Chiesa primizia del Regno. Trattato di ecclesiologia,
EDB, Bologna 1986.
M o r a le s J., «La teologia de las religiones», in Scripta Theologica
30(1998)3, 753-777.
M o r e r o d C h ., «La relation entre les religions selon John Hick», in Nova
et Vetera 75(2000)4, 35-62.
M o r im o to A., «The (More or Less) Same Light but from Different Lamps:
The Post-Pluralist Understanding of Religion from a Japanese Pers-

184
Bibliografia

pective», in International Journal for Philosophy of Religion 53(2003),


163-180.
M u l l e r G.L., «Le basi epistemologiche di una teologia delle religioni», in
M . S e r r e tti (ed.), Unicità e universalità di Gesù Cristo. In dialogo con
le religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 35-64.
M u l l e r K., Teologia della missione. Una introduzione, EMI, Bologna
1991.
N e u n e r R, «Der Glaube als subjektives Prinzip der theologischen
Erkenntnis», in W. K e rn - H.J. P o ttm e y e r - M. S e c k le r (hrsg.), Hand-
buch der Fundamentaltheologie, Herder, Freiburq-Basel-Wien 1988,
IV, 51-67.
N e u sn e r J., «Thinking About "The Other" in Religion: It is Necessary,
but is it Possible?», in M odern Theology 6(1990), 273-285.
N iew iadom ski J., «Begegnung von Religionen im weltzivilisatorischen
Kontext», in R. S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein? Der Streit um die
pluralistiche Religionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Her­
der, Freiburg-Basel-Wien 1996, 83-94.
O g d e n S.M., «Gibt es nur eine wahre Religion oder mehrere?», in Zeit-
schrift tur katholische Theologie 88(1991), 81-100.
P a g a n o M ., «P lu ra lità e u n iv e rsa lità n e l d ib attito interreligioso», in P.
C o d a - G. L in g u a (edd.), Esperienza e libertà, C ittà N u o v a, R o m a
2000, 63-86.
P a n ik k a r R., Il Cristo sconosciuto delTinduismo, Vita e Pensiero, Milano
1976.
Panikkajr R., The Unknown Christ of Hinduism. Towards an Ecumenical
Christophany, Logman and Todd, London 1981.
P a n ik k a r R., Il dialogo intrareligioso, Cittadella, Assisi 1988.
P a n ik k a r R., «The Crux of Christian Ecumenism: Can Universality and
Chosenness be Held Simultaneously? », in Journal of Ecumenical Stu­
dies 26(1989), 82-99.
P a n ik k a r R., Cristofania. Nove tesi, EDB, Bologna 1994.
P a n ik k a r R., L'esperienza di Dio, (Gdt 261), Queriniana, Brescia 1998.
P a n n e n b e rg W ., «Le religioni nella prospettiva della teologia cristiana»,
in Filosofia e teologia 6(1992), 25-37.
P a n n e n b e rg W., «Pluralismo religioso e rivendicazioni di verità in conflit­
to fra loro. Il problema di una teologia delle religioni mondiali», in G.
D 'C o s t a (ed.), La teologia pluralista delle religioni: un mito? L'unicità
cristiana riesaminata, Assisi, Cittadella 1994, 199-213.
P a n n e n b e rg W., «Das Christentum - eine Religion unter anderen?», in J.
D o r è (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel, Namur 1997,
215-228.
P ap a n d re o u D ., «La vérité chrétienne et l'universalité du salut», in J.
D o rè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel, Namur 1997,
193-208.
P av enti S., «Iter dello schema “De activitate missionali Ecclesiae"», in J.
S c h u t te (ed.), II destino delle missioni, Morcelliana, Brescia 1969, 56-
90.

185
Bibliografia

P hidas V., «Le dialogue interreligieux dans une perspective orthodoxe»,


in J. D o rè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel, Namur
1997, 81-96.
Philips G.,La Chiesa e il suo mistero. Storia, testo e commento della
«Lumen gentium», Jaca Book, Milano 1975.
Pié N in o t S., «La "cosmoreligione" di Raimundo Panikkar. Una proposta
di teologia delle religioni», in M. S e r r e tti (ed.), Teologia delle religio­
ni, Paoline, Milano 2001, 130-152.
Pieris A., «Parlare del Figlio di Dio in culture non cristiane», in Concilium
19(1982)3, 117-127.
P o la n c o R., «La Iglesia y la universalidad de la salvación en el cristiani­
smo», in Teologia y Vida 44(2003), 423-443.
Q u in n P.L., «Towards Thinner Theologies: Hick and Alston on Religious
Diversity», in International Journal for Philosophy of Religion
37(1995), 145-164.
R a h n e r H., Symbole der Kirche. Die Ekklesiologie der Vàter, Otto Miil-
ler, Salzburg 1964.
R a h n e r H., «Das christliche Mysterium von Sonne und M ond», in Id.,
Griechische M y then in christlicher Deutung, Herder, Basel 1989, 89-
158.
R a h n e r K., «Cristianesimo e religioni non cristiane», in Id., Saggi di
antropologia soprannaturale, Paoline, Roma 1965, 533-571.
R a h n e r K., «I cristiani anonimi», in Id., Nuovi saggi, Paoline, Roma 1968,
I, 759-772.
R a h n e r K., «Gesù Cristo nelle religioni non cristiane», in Id., Teologia
dell'esperienza dello Spirito, Paoline, Roma 1978, 435-469.
R a tz in g e r J., Il nuovo popolo di Dio, (BTC 7), Queriniana, Brescia 1971,
365-389.
R a tz in g e r J., «Nessuna salvezza fuori della Chiesa?», in Id., Il nuovo
popolo di Dio, Queriniana, Brescia 1971, 365-389.
R a tz in g e r J., «Heil und Geschichte», in Id., Theologische Prinzipienleh-
re. Bausteine zur Fundamentaltheologie, Wewel, Munchen 1982, 159-
179.
R a tz in g e r J., «Die Kirche als Heilsakrament», in Id., Theologische Prin-
zipienlehre. Bausteine zur Fundamentaltheologie, Wewel, Munchen
1982, 45-57.
R a tz in g e r J., Chiesa, ecumenismo e politica, Paoline, Cinisello Balsamo
1987.
R a tz in g e r J., «L'ecclesiologia del Vaticano II», in Id., Chiesa, ecumeni­
smo e politica, Paoline, Cinisello Balsamo 1987, 9-32.
Rizzi A., Gesù e la salvezza. Tra fede, religioni e laicità, Città Nuova,
Rom a 2001.
Ròper A., I cristiani anonimi, (Gdt 6), Queriniana, Brescia 1966.
R osen D., «Presenza del dialogo interreligioso nello sviluppo del pensiero
teologico. Prospettiva ebrea», in H. F itte (ed.), Fermenti nella teologia
alle soglie del terzo millennio, LEV, Città del Vaticano 1997, 56-65.
R o ssa n o P.,
Lettere ai Corinzi, Paoline, Roma 1979.

186
Bibliografia

R o s s a n o R, «Teologia e religioni: un problema contemporaneo», in R.


L a t o u r e lle - G. O ' C o llin s (edd.), Problemi e prospettive di teologia
fondamentale, Queriniana, Brescia 1980, 359-377.
R o t o n d ò A., «Tolleranza», in V. F e rro n e - D. R o c h e (edd.), L'illumini­
smo. Dizionario storico, Laterza, Milano 1997.
R o u n e r L., «Gesù Salvatore unico e universale. DaH'enciclica "Redemp-
toris missio" alla dichiarazione "La teologia delle religioni nella rifles­
sione protestante contemporanea"», in Concilium 22(1986), 145-155.
R ousseau J.-J., L'Emilio, in Id., Opere, Sansoni, Milano 1993, 349-712.
R u h K., Meister Eckhart. Teologo - Predicatore - Mistico, Morcelliana,
Brescia 1989.
R u h U., «Selbstrelativierung kein Ausweg. Ansatz und Probleme einer
pluralistischen Religionstheologie», in Herder Korrespondenz
48(1994), 576-580.
The Catholic Doctrine of Non-christian Religions Accor-
R u o k a n e n M .,
ding to thè Second Vatican Council, Brill, Leiden-New York 1992.
Russo A., Dio a colori. Pensare Dio nell'orizzonte del pluralismo, San
Paolo, Cinisello Balsamo 2002.
S a n d e r H.-J., «Die Differenz der Religionen - Glauben im Pluralismus
des Heihgen. Die Religionsdisput von Yamaguchi und die pluralisti-
sche Religionstheorie von John Hick», in Neue Zeitschrift fiir Mis-
sionswissenschaft 54(1998), 3-22.
S a r t o r i L., «Teologia delle religioni non cristiane», in Dizionario teologi­
co interdisciplinare, Marietti, Casale Monferrato 1977, III, 400-415.
S a r t o r io U., Credere in dialogo. Percorsi di fede e di annuncio, Messag­
gero, Padova 2002.
S c h ille b e e c k x E., Gesù. La storia di un vivente, (BTC 26), Queriniana,
Brescia 1976.
S c h illin e r J.P., «Christ and Church. A Spectrum of Views», in Theologi-
cal Studies 37(1976), 545-566.
S c h le t t e H.R., Le religioni come tema della teologia, Morcelliana, Bre­
scia 1968.
S c h le t t e H.R., «Wahres und Heiliges anerkennen... Eine Frage zur
"Theologie der Religionen"», in R. G u n t h e r (hrsg.), Wege der n e o ­
logie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fùr H. Waldenfels,
Bonifatius, Paderborn 1996, 403-409.
S c h le t t e H.R., «Christliche Relativitàt? Die Theologie der Religionen,
der neue Relativismus und die Frage nach Jesus», in Orientierung
61(1997), 250-253.
Schm idt-Leukel P, «Das Pluralistische Modell in der Theologie der Reli­
gionen. Ein Literaturbericht», in Theologische Revue 89(1993), 353-370.
Schm idt-Leukel P, «Zur Klassification religionstheologischer Modelle»,
in Catholica 47(1993), 163-183.
Schm idt-Leukel P, «Skizze einer Theologie der Religionen», in R.
G u n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten
Jahrtausend, FS fùr H. Waldenfels, Bonifatius, Paderborn 1996, 447-
460.

187
Bibliografia

Schm idt-Leukel P., «Ganz unwahrscheinlich? Eine Antwort auf Paul


WeiB», in Zeitschrift fur Missionswissenschaft und Religionswissen-
schaft 80(1996), 223-228.
Schm idt-Leukel P., «Religiose Vielfalt als theologisches Problem. Optio-
nen und Chancen der pluralistichen Religionstheologie John Hicks»,
in R. S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein? Der Streit um die pluralistiche
Religionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Herder, Freiburg-
Basel-Wien 1996, 11-49.
S c h m id t- L e u k e l P, «Pluralistiche Religions-theologie: Warum und
wozu?», in Òkumenische Rundschau 49(2000)3, 259-272.
S c h n u r r G ., «Christentum und Religion bei Friedrich Scheiermacher und
Karl Barth», in J. D o rè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions,
Artel, Namur 1997, 35-49.
S c o la A., «Libertà, verità e salvezza», in M. S e r r e tti (ed.), Unicità e uni­
versalità di Gesù Cristo. In dialogo con le religioni, San Paolo, Cini-
sello Balsamo 2001, 11-16.
S c h u t te J. (ed.), Il destino delle missioni, Morcelliana, Brescia 1969.
S c h ù t te J., «I problemi posti dalla missione al concilio», in Id. (ed.), Il
destino delle missioni, Morcelliana, Brescia 1969, 9-23.
S c h w a g e r R., «Kirchliches Lehramt und Theologie», in Zeitschrift fiir
katholische Theologie 111(1989), 163-182.
S c h w a g e r R. (hrsg.), Christus allein? Der Streit um die pluralistiche Reli­
gionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Herder, Freiburg-Basel-
Wien 1996, 95-106.
S c h w a g e r R., «Offenbarung als dramatische Konfrontation», in Id.
(hrsg.), Christus allein? Der Streit um die pluralistiche Religionstheo­
logie, (Quaestiones disputatae 160), Herder, Freiburg-Basel-Wien
1996, 95-106.
S e g a lla G., Giovanni, Paoline, Roma 1978.
S e lv a d a g i P., «Il cammino della teologia delle religioni in Italia», in Late-
ranum 64(1998), 577-594.
S e m m e lro th O., «La Chiesa come sacramento di salvezza», in J. Feiner -
M. L ò h r e r (edd.), Mysterium salutis, Queriniana, Brescia 1972, VII,
377-437.
S e r r e tti M. (ed.), Teologia delle religioni, Paoline, Milano 2001.
S erretti M . (ed.), Unicità e universalità di Gesù Cristo. In dialogo con le
religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001.
S e r r e tti M., «Sulla teologia del pluralismo religioso», in Id. (ed.),
Unicità
e universalità di Gesù Cristo. In dialogo con le religioni, San Paolo,
Cinisello Balsamo 2001, 149-186.
S iev ernich M., «Mission im Wandel. Historische Leistung und kùnftige»,
in Stimmen der Zeit 120(1995)213, 677-690.
Simpson R.T., «The New Dialogue between Christianity and Other Reli­
gions», in Theology 22(1989), 92-102.
S in is c a lc o P., «Apocatastasi», in A. Di B e r a rd in o (ed.),
Dizionario patri­
stico e di antichità cristiane, Marietti, Casale Monferrato 1983, I, 273-
274.

188
Bibliografia

S in k in so n C.,
The Universe of Faiths. A Criticai Study of John Hick’s Reli-
gious pluralism, Paternoster Press, Cumbria-Waynesboro 2001.
S u lliv a n F.A., «In che senso la Chiesa di Cristo "sussiste" nella Chiesa
cattolica romana?», in R. L a to u r e lle (ed.), Vaticano II: bilancio e pro­
spettive venticinque anni dopo (1962-1987), Cittadella, Assisi 1987, II,
811-824.
S u lliv a n F.A.,
Salvation outside thè Church? Tracing thè History of thè
Catholic Response, Paulist Press, New York-Mahwah 1992.
S u rin K., «Towards a "Materialist" Critique of "Religious Pluralism": A
Polemical Examination of thè Discourse of John Hick and Wilfred
Cantwell Smith», in The Thomist 53(1989), 655-673.
Theb B., «Erhòht die pluralistiche Religionstheologie die Plausibilitàt des
christilichen Glaubens», in Zeitschrift fùr Missionswissenschaft und
Religionswissenschaft 80(1996), 287-293.
T ih o n P., «Retour aux mission? Une lecture de l'enciclique "Redemptoris
missio"», in Nouvelle Revue Théologique 114(1992), 69-86.
T illa r d J.-M., «Sacrements et communion ecclésiale. Le cas de Lambeth
et d’Ecòne», in Nouvelle Revue Théologique 111(1989), 641-663.
T illic h R, Christianity and Encounter of thè World Religions, Columbia
University, New York 1963.
T o n io lo A., «Teologia cristiana delle religioni. Considerazioni a partire
dalla recente pubblicazione di Jacques Dupuis», in Rassegna di teolo­
gia 39(1998), 285-293.
T r a p n e ll J.B., «Indian Sources of thè Possibility of a Pluralist View of
Religions», in Journal of Ecumenical Studies 35(1998), 210-232.
T r o e lts c h E., L'assolutezza del cristianesimo e la storia delle religioni,
Morano, Napoli 1968.
V a g a g g in i C., «L'intuizione e il concetto nell'atto di fede e il proble­
ma della rivelazione salvifica nelle religioni non cristiane e nei loro
libri sacri», in Libri sacri e rivelazione, La Scuola, Brescia 1975,
109-138.
V a n S t r a e le n H., L'Église et les religions non chrétiennes au seuil du
XXIe siècle, Beauchesne, Paris 1994.
V e r g o t tin i M., «Singolarità del cristianesimo e pluralismo religioso», in
Teologia 16(1991), 306-315.
V erkam p B.-J., «Hick's Interpretation of Religious Pluralism», in Philo­
sophy of Religion 30(1991), 103-124.
V erw eyen H., «Pluralismus als Fundamentalismusverstàrker?», in R.
S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein? Der Streit um die pluralistiche Reli­
gionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Herder, Freiburg-Basel-
Wien 1996, 132-139.
V ic a ri D., «Un commento al dibattito Hick-Pannenberg-Geffré su "Cri­
stianesimo e religioni''», in Filosofia e teologia 6(1992), 119-123.
W a ld e n fe ls H., «Theologie der Nichtchristlichen Religionen. Konse-
quenzen aus "Nostra Aetate''», in E. K lin g e r - K. W itts ta d t (hrsg.),
Glaube im Prozess. Christsein nach dem II. Vatikanum, FS K. Rahner,
Herder, Freiburg-Basel-Wien 1984, 757-775.

189
bibliografia

W a ld e n fe ls H., «Das Christentum im Streit der Religionen um die


Wahrheit», in W. K e rn - H.J. P o ttm e y e r - M. S e c k le r (hrsg.), Hand-
buch der Fundamentaltheoloqie, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1985,
I, 241-265.
W a ld e n f e ls H., «Zwanzig Jahre "Nostra aetate". Die katholische Kirche
und die nichtchristlichen Rehgionen», in K. S c h u h (hrsg.), Die òku-
menische Bedeutung der Konzilsbeschliisse, Bernward, Hildesheim
1986, 87-97.
W a ld e n f e ls H., «Unterwegs zur Theologie der Rehgionen», in M. Sie-
v e r n ic h - G. Sw itek (hrsg.), Ignatianisch. Eigenart und Methode der
Gesellschaft Jesu, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1990, 624-639.
W a ld e n fe ls H., «Pluralitàt der Rehgionen. Folgen fùr Mission und kirch-
hche Entwicklungsarbeit», in Stimmen der Zeit 120(1995)213, 593-
603.
W a ls h K.A., «A Christian Theology of Religions and thè Pluralist Para-
digm», in Science et Esprit 49(1997)3, 281-314.
W eiss J., La predicazione di Gesù sul Regno di Dio, D Auria, Napoli 1993.
W erbick J., «Der Pluralismus der plurahstichen Religionstheologie. Eine
Anfrage», in R. S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein? Der Streit um die
pluralistiche Religionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Her­
der, Freiburg-Basel-Wien 1996, 140-157.
Web P, «Sind alle Religionen gleich wahr? Eine Antwort auf die Plurali­
stiche Religionstheologie», in Zeìtschrift fùr Missionswissenschaft und
Religionswissenschaft 80(1996), 26-43.
W ie rtz O.J., «Eine Kritik an John Hicks pluralistischer Religionstheolo­
gie aus der Perspektive der philosophischen Theologie», in Theologie
und Philosophie 75(2000), 388-416.
W illia m s R., «Trinità e pluralismo», in G . D 'C o s ta (ed.), La teologia plu­
ralista delle religioni: un mito? L'unicità cristiana riesaminata, Assisi,
Cittadella 1994, 65-83.
W illia m s R., «Cristo, Trinità e pluralità religiosa», in G. D 'C o s ta (ed.), La
teologia pluralista delle religioni: un mito? L’unicità cristiana riesami­
nata, Assisi, Cittadella 1994, 84-103.
W illia m s R., «Towards a Trinitarian Theology of Religions», in C . Cor-
n i ll e - V. N e c k e b ro u c k (eds.), A Universal Faith? Peoples, Cultures,
Religions, and thè Christ. Essays in honor of F. De Grave, Peeters
Press, Louvain 2000, 139-154.
Y a n n a r a s C., Heidegger e Dionigi Areopagita. Assenza e ignoranza di
Dio, Città Nuova, Roma 1995.
Y o n g A., «The Turn to Pneumatology in Christian Theology of Religions:
Conduit or Detour?», in Journal of Ecumenical Studies 35(1998), 437-
454.
Zedda S., Lettera gli Ebrei, Paoline, Milano 1989.
Z irk e r H., «Zur "Pluralistischen Religionstheologie" im Blick auf den
Islam», in R. S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein? Der Streit um die plu­
ralistiche Religionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Herder,
Freiburg-Basel-Wien 1996, 189-202.

190
Indice

Abbreviazioni e sigle....................................................................... p. 5
Introduzione..................................................................................... » 7

1.
La q u e stio n e d e l l a «sa lv e z z a dei n o n c ris tia n i»

1.1. Due modelli rappresentativi


dell'orizzonte ecclesiocentrico................................................ » 16
1.1.1. Modello ecclesiocentrico a tendenza esclusivista:
Karl Barth e Léonard Feeney ........................................ » 16
1.1.2. Modello ecclesiocentrico a tendenza inclusivista:
Pio XII, Henri de Lubac, Charles Journet ................... » 20
1.2. Radici e sviluppo del primo pa ra d ig m a ................................ » 27
1.2.1. «Extra Ecclesiam nulla salus » nei padri:
Origene, Cipriano, Agostino, Ottato.............................. » 28
1.2.2. «Extra Ecclesiam nulla salus » nel medioevo:
Fulgenzio, il magistero e Tommaso .............................. » 31
1.2.3. « Extra Ecclesiam nulla salus » nell’epoca moderna:
il magistero antigiansenista e Pio IX ............................ » 35
1.3. La missione nell'orizzonte
della «salvezza dei non cristiani».......................................... » 38

2.
La « t e o lo g ia c r is tia n a d e lle re lig io n i»

2.1. Due modelli rappresentativi del secondo orizzonte ........... » 42


2.1.1. Modello cristocentrico a tendenza inclusivista:
Jean D aniélou.................................................................. » 42
2.1.2. Modello cristocentrico a tendenza immanentista:
Karl Rahner...................................................................... » 45
2.2. Radici remote e prossime del secondo paradigma ............. » 49
2.2.1. Agganci neotestamentari: M t 11,27; Gv 14,6;
At 4,12; ICor 8,5-6; lTm 2,5; Col 2 ,9 ............................ » 50

191
Indice

2.2.2. Sviluppi patristici e medievali: Giustino,


Clem ente Alessandrino, Ireneo, Agostino e Tommaso p. 54
2.3. Il superamento dell'ecclesiocentrismo
ad opera del Vaticano I I .............................................................. » 60
2.4. Il riconoscimento conciliare di elementi rivelativi
e salvifici nelle grandi tradizioni religiose non cristiane .... » 63
2.5. La rilettura conciliare del tem a Chiesa-salvezza................... » 66
2.6. Salvezza e missione ad gentes nel Vaticano II
e nel magistero post-conciliare................................................. » 71

3.
L a teologia cristiana
DEL PLURALISMO RELIGIOSO

3.1. M odello teocentrico a tendenza apofatica:


Jo h n H ick e Raim on P an ik k ar................................................... » 80
3.2. M odello teocentrico a tendenza regnocentrica
e soteriocentrica: Paul K n itte r................................................... » 86
3.3. M odello teocentrico con cristologia «costitutiva»:
Jacques D u p u is .......................................................................... » 92
3.4. Radici remote e prossime del terzo p a r a d ig m a ..................... » 101
3.4.1. La pista teologica apofatica: Pseudo-Dionigi,
Meister Eckhart, C u s a n o ................................................... » 101
3.4.2. La pista gnoseologica illuminista:
Jean-Jacques Rousseau, Im m anuel Kant,
Gotthold E phraim Lessing, Ernst T roeltsch.................. » 107
3.4.3. La pista post-m oderna....................................................... » 114
3.5. «Salvezza» e «missione» nel paradigm a p lu ralista.............. » 116

4.
M issione : d ialogo e an nu ncio
NEL CONTESTO INTERRELIGIOSO

4.1. Il magistero e la teologia cattolica


di fronte alle proposte teocentriche ........................................ » 120
4.1.1. Il dibattito attorno dalle prim e espressioni
del teocentrism o.................................................................. » 120
4.1.2. Il dibattito dopo il volum e
di Jacques D upuis sul p lu ra lis m o .................................... » 129
4.2. Osservazioni teologiche conclusive ........................................ » 136
4.2.1. La questione della v e r ità ................................................... » 137
4.2.2. Un solo Dio creatore e salvatore,
u n solo genere um ano creato e salvato ......................... » 141
4.2.3. Dio in tre Persone: originalità della rivelazione
e salvezza cristiane.............................................................. » 146

192
Indice

4.2.4. Chiesa «sacramento di salvezza»............................:..... p. 152


4.2.5. Per una «teologia delle religioni» dall'interno
della fede cristiana.......................................................... ». 153
4.2.6. Una soteriologia integrale nel dialogo interreligioso
e nella missione .............................................................. » 158

C onclusione..................................................................................... » 165

Fonti ................................................................................................. » 171


Fonti patristiche e medievali.................................................... » 171
Documenti del magistero e catechismi.................................... » 173

Bibliografia....................................................................................... » 175

193
BtE
Biblioteca l* di Teologia
dell’Evangelizzazione

Le religioni non cristiane possono


essere via di salvezza? Se si. in che
E r io Castellu c c i senso Cristo e necessario alla salvez­
Nato nel 1960, è presbitero za e la Chiesa e mezzo di salvezza? Se
della diocesi di Forlì-Bertinoro. no. in che modo i non cristiani posso
Laureato in teologia alla no salvarsi? E chc peso teologico assu
Pontifìcia Università Gregoriana me il dato di fatto chc la maggioranza
nel 1988 con una tesi sul degli uomini nella storia non ha senti
ministero ordinato nel concilio to parlare di Cristo? Le risposte elabo­
Vaticano II, è preside della Facoltà rate dalla teologia più recente ven
teologica dell’Emilia-Romagna, gono classificate, in base al riconosci
dove insegna teologia sistematica. mento dato o non dato all interlocu
Ha pubblicato studi sul ministero, tore. come scelta di esclusivismo, di
l’ecclesiologia, l’escatologia inclusivismo e di pluralismo, oppure,
e la cristologia. Nella sua diocesi in base al concetto teologico struttu
è impegnato nella pastorale rante. come ccclcsioccntrismo. cristo
giovanile e familiare. centrismo e teocentrismo. La teologia
cristiana delle religioni cerca una col
locazione delle altre tradizioni rcligio
se nel piano salvifico di Dio e Q u in d i
una relazione positiva tra la salvezza
cristiana e gli altri annunci di salvez­
za. Sono chiamati in causa concetti co
me rivelazione, salvezza, missione:
atteggiamenti diversi come dialogo o
esclusione, riconoscimento o condan
na. valorizzazione o sincretismo. L'in
contro con le altre grandi religioni è
uscito dai libri ed e entrato nelle no­
stre città: l'incontro con gli «altri» cre­
denti. prima raccontato dai missiona
ri. è oggi contatto Q u o tid ia n o di strada
e di lavoro. Per chi si interroga su posi
zioni e atteggiamenti, il presente volu
me fa da «guida» tra i teologi più re
ISBN 978-88-10-45005-5 Q af centi e le posizioni espresse in modo
uff iciale nella Chiesa cattolica dal ma­
788810 450055 > V s gistero recente e meno recente.

Potrebbero piacerti anche