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Annunciare
Cristo
alle genti
LA MISSIONE
DEI CRISTIANI
NELL’ORIZZONTE
DEL DIALOGO
TRA LE RELIGIONI
Erio Castellucci
Annunciane
Cristo alle genti
ISBN 978-88-10-45005-5
Sono escluse d all'e le n co le sigle d e i libri b iblici, per le q u a li u tilizzia m o il sistem a d ella
Bibbia di Gerusalemme, e q u e lle de i d o cu m e nti del concilio V aticano II, che v e n g o n o orm ai
co m u n e m e n te citati con la sigla com posta d alle p rim e d u e parole latine d e ll'i/icipif. Sono
escluse inoltre le sigle co m u n e m e n te utilizzate per alc u ne case editrici, com e E D B (= E d i
zion i D e h o n ia n e d i Bologna), L E V (= Libreria Editrice V aticana), ecc.
5
Introduzione
«A me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa gra
zia di annunciare ai gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo» (Ef 3,8);
«Abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza
alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome. E tra queste
siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo» (Rm 1,5-6); «Questo vangelo
del regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimo
nianza a tutte le genti» (Mt 24,14); «Andate, dunque, e ammaestrate tutte
le nazioni» (Mt 28,19); «È necessario che il vangelo sia proclamato a tutte
le genti» (Me 13,10); nel nome di Cristo «saranno predicati a tutte le
genti la conversione e il perdono dei peccati» (Le 24,47); «Come tu mi hai
mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo» (Gv 17,18); «M i
sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino
agli estremi confini della terra» (At 1,8); «Io ti manderò lontano, tra i
pagani» (At 22,21).
Sono solo alcuni degli innumerevoli passi neotestamentari nei quali è
inciso il programma missionario delle prime comunità cristiane, fondato
sull'apertura universalistica di Gesù: annunciare Cristo e il suo vangelo
alle genti. Non sono fissate restrizioni né geografiche, né etniche, né
sociali, né culturali: le nazioni, le genti, il mondo, i pagani - cioè tutti i
popoli della terra che non si radicano nel «popolo di Dio» inaugurato in
Abramo e portato a compimento in Gesù1 - sono per i primi cristiani il
1 II rapporto tra ì cristiani e g li ebrei esula d alle pro ble m atich e trattate in questo v o lu
m e, p oich é g li ebrei n o n sono com presi tra «le altre religio ni», m a rappresentano u no d e i
d u e «fuochi» d i quell'ellisse che è «il pop o lo d i D io d e ll'A ntic o e d e l N uo v o Testam ento»
(rim an d iam o a d u e nostri recenti contributi sull'argom ento: «Israele, le genti, la Chiesa:
d alla sostituzione all'in ne sto », in Rivista di teologia dell'evangelizzazione 10(2006)20, 257-
282; «Le ripercussioni d e l dia lo go ebraico-cristiano sulla teologia cattolica», in Rivista di
teologia dell’evangelizzazione 11(2007)21, 37-59. N o n co n d iv id ia m o perciò l ’o pinio ne d i
coloro che vorrebbero o m ologare il dia lo go ebraico-cristiano al rapporto tra il cristianesim o
e le altre religioni, sia che questa o pinio n e porti a d applicare il m o d e llo de lla m issione «alle
7
Annunciare Cridto alle genti
g e nti» anche a l rapporto con g li eb re i - com e avve niva n e l m o dello d e lla «sostituzione» -
sia che a l contrario porti a estendere il m o d e llo d e l dia lo go con g li ebrei anche al rapporto
con le altre re ligio ni - com e av vie ne ne ll'o rizzo nte del «p luralism o religioso» - riducendo
così la m issione a l solo e lem ento d ialo gico. A b b ia m o espresso la nostra o pinio ne circa la
p rim a ap p licazio ne n e i d u e studi citati. I m o tivi per cui dissentiam o an ch e d a lla seconda
em erg eranno ne l presente volum e. Tra i sostenitori m oderati d i questa seconda a p p lic a zio
ne, u n o d e i p iù rappresentativi è J. A rre g u i, «Urs vo n Balthasar: dos propuestas de d iàlo g o
con las religiones», in Scriptorium Victorìense 43(1996), 167-189. C o nsid e ran d o fortem ente
sim bolica e per n u lla casuale la quasi-coincidenza d e lla visita d i G io v a n n i Paolo II alla s in a
g o ga d i R om a (13 aprile 1986) con l'incon tro interreligioso d i Assisi convocato d allo stesso
pontefice (26 ottobre 1986), e gli ritiene che sia an ch e storicam ente possibile riscontrare
com e la considerazione d e lla C hiesa verso g li ebrei v a d a d i p ari passo con l'atte g g ia m e nto
verso le altre religioni. M a è soprattutto d a l p u n to d i vista teologico che, secondo l'autore,
vi sono o rm ai tutti g li e lem enti per dire che la relazione con Israele è per la C h ie sa p a ra
d ig m a d e lla sua relazione con le differenti religioni. È u n frutto d e l dia lo go ebraico-cristia
n o infatti la persuasione d a parte d e lla te ologia cristiana che la m essianità d i G e s ù sia «in
cam m in o, in speranza» e che il cristianesim o storico n o n possa presentarsi com e u n a reli
gione «assoluta». La tesi, d i derivazione b alth asariana, d ella n o n com pleta cattolicità d e lla
C h ie sa - tesi m u tu a ta proprio d al rapporto con Israele - deve per lu i orm ai riflettersi anche
sul rapporto con «le g e nti». S e n za cadere ne l relativism o, occorre o rm ai a parere d e ll’a u
tore a b b a n d o n a re no n solo l ’esclusivism o, m a an ch e l'inclusivism o, e adottare un'o ttic a
orientata alla p ie n e zza escatologica d e l cristianesim o stesso: « Q u a n d o le speranze m essia
n ich e si re alizze ranno ne l R e g no d efinitivo, solo allora potrem o riconoscere ve ram e nte che
"G e s ù è il C risto ". D i p iù , solo allora G e s ù sarà p ie n a m e n te Cristo [...). La confessione di
G e s ù com e Cristo n o n deve abolire la diffe re n za tra la storia e l'escatologia, n é provocare
ne l cristiano a lc u n a pretesa d i superiorità, b e n sì an im a rlo alla co m u ne speranza e alla lotta
co m u ne p e r il R eg no » (ivi, 189). A n c h e Kessler e G effré, per fare u n altro p aio di esem pi,
p e nsa no che il rapporto d i G e s ù e d e lla p rim a C h ie s a con Israele possa costituire u n p a ra
d ig m a u tile p e r l ’o d ierno rapporto tra il cristianesim o e le altre religioni: cf. H . K essler,
«Pluralistiche R e lig io nsth e o log ie u n d C h ristolo g ie», in R. S c h w a g e r (hrsg.), Christus
alleiti? Der Streit um die pluralistiche Religionstheologie, (Q uaestiones d isp utatae 160),
Herder, Freiburg-Basel-W ien 1996, 172; C . G e ffr é , «Le p lura lism e re ligieux et l'indiffé-
rentism e, ou le vrai d éfi de la thé o log ie ch ré tie nn e », in Revue théologique de Louvain
31(2000), 22-23. Se è vero che la riscoperta d e l d ia lo g o ebraico-cristiano, specialm en te con
il d o cu m e n to NA - che h a inserito accanto a ll’ebraism o an ch e le altre g ra n d i re ligio ni -, h a
fatto d a «seg navia» per im postare in te rm in i p iù d ia lo g ic i an ch e le relazio ni con le altre reli
g io n i (cf. H . W a ld e n fe ls , « Z w a n z ig Ja h re "N ostra ae ta te ". D ie katholische Kirche u n d die
nichtchristlichen R e lig io ne n», in K. S c h u h [hrsg.], Die òkumenische Bedeutung der
Konzilsbeschliisse, B e m w ard, H ild e sh e im 1986, 91-92), è anche vero che chi estende a n a
lo g am e n te a tutte le re ligio ni la categoria d e lla p e rm a n e n za d e lla vocazione d i Israele
perde «d i vista la specificità e storicità d e lla rivelazio ne veterotestam entaria» (L. G e ro sa,
«D iversità d elle religioni, verità e pace. Riflessioni sul ruolo d el dialo go interreligioso n e lla
costruzione d ella p ace», in Rivista teologica di Lugano 6[2001]2, 294).
8
Introduzione
9
Annunciare Cr 'uto alle genti
10
Introduzione
modello tripartito: egli ritiene che nessuna delle tre concezioni a sé stan
te possa fondare un'adeguata teologia delle religioni; la tripartizione,
perciò, può servire solo se le tre proposte non vengono presentate come
alternative ma come integrative l'una dell'altra: «Quando questi tre
momenti si separano in concezioni e descrizioni alternative del rapporto
del cristianesimo con altre religioni, in un modo o nell'altro devono per
forza risultarne visioni unilaterali e limitate dai fatti».7
Il modello tripartito comunque - non solo perché è più semplice e
immediato, ma anche perché esaurisce le possibilità di classificare le posi
zioni interreligiose fondamentali8 - resta ancora oggi quello più utilizzato
tra i teologi che intendano proporre una griglia di lettura dell'attuale
dibattito su Chiesa, salvezza e missione.9 Essi parlano di ecclesiocentrismo
11
Annunciare Cristo alle genti
12
Introduzione
13
1.
La questione
della «salvezza
dei non cristiani»
15
Annunciare Cristo alle genti
1. 1 . D u e m o d e l l i r a p p r e s e n t a t iv i
d e l l 'o r i z z o n t e
E C C L E S IO C E N T R IC O
Tenendo conto del fatto che le classificazioni sacrificano necessaria
mente molte sfumature, indichiamo comunque due grandi modelli all'in
terno del primo orizzonte: quello ecclesiocentrico a tendenza esclusivista
ha come rappresentanti maggiori K. Barth e L. Feeney (1.1.1) e quello
ecclesiocentrico a tendenza inclusivista Pio XII (in maniera solo germi
nale), H. de Lubac e C. Journet (1.1.2).
1.1.1. M o d e l l o e c c l e s i o c e n t r i c o
A T E N D E N Z A ESCLUSIVISTA:
K arl Barth e L éon ard F eeney
K arl B arth
Due sono gli scritti più significativi di K. Barth sul nostro tema: l'Epi
stola ai Romani (ed. del 1922) e la Dogmatica ecclesiale (1932-1967).1
Gibellini riassume bene la tesi di fondo della prima, famosissima opera:
La fede non ha niente a che fare con la fanghiglia dell’esperienza religio
sa; essa è miracolo, salto nel vuoto, spazio vuoto (Holraum) per la grazia di
Dio. La giustificazione avviene solo attraverso la fede, ma, qui, fede - e siamo
a uno dei punti più controversi dell'interpretazione barthiana - significa
fedeltà di Dio. La fede del credente è spazio vuoto per la fedeltà del Dio delle
promesse. L'Epistola ai Romani del 1922 è sotto il segno dell'infinita differen
za qualitativa (Kierkegaard) tra Dio e uomo e ostende una concezione rigoro
samente radicale di fede e grazia.2
Già dalle prime righe del suo volume, infatti, Barth chiarisce che il
vangelo per il quale Paolo è chiamato a essere apostolo non è affatto un
messaggio religioso che comunichi notizie e istruzioni sulla divinità, ma
è «l'ambasciata di un Dio, che è del tutto diverso, del quale l'uomo, come
uomo, non saprà e non avrà mai nulla, e dal quale appunto per questo gli
viene la salvezza».3 M a i passi più noti della polemica anti-religiosa di
Barth sono quelli in cui, commentando Rm 1,18 («L'ira di Dio si rivela dal
cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la
verità nell'ingiustizia»), identifica l’empietà con la religione:
16
La questione della «calvezza dei non cristiani»
L'ira di Dio è la giustizia di Dio rivelata alla miscredenza, poiché non si può
beffarsi di Dio. L'ira di Dio è la giustizia di Dio all'infuori di Cristo e senza Cri
sto. Che cosa significa: all'infuori e senza di Cristo? «L'ira di Dio si rivela sopra
tutta l'empietà e l'insubordinazione dell'uomo». Questi sono i segni caratteri
stici della nostra relazione con Dio, come si configura al di qua della risurre
zione. Essa è empia. Noi crediamo di sapere quello che diciamo, quando dicia
mo «Dio». Noi gli assegniamo il posto più elevato del nostro mondo. Cioè lo
poniamo, in fin dei conti, sopra una stessa linea con noi e con le cose. Noi pen
siamo che egli ha «bisogno di qualcuno» e pensiamo di poter regolare la nostra
relazione con lui, come regoliamo altre relazioni. Noi ci spingiamo importuna
mente nella sua vicinanza, e lo tiriamo inavvertitamente nella nostra vicinan
za. Noi ci permettiamo di avvicinarci a lui in una relazione di dimestichezza.
Noi ci permettiamo di calcolare con lui come se in questo non vi fosse nulla di
straordinario. Noi osiamo darci importanza come suoi confidenti, fautori, agen
ti, fiduciari. Noi scambiamo l'eternità col tempo. Questa è l'empietà della
nostra relazione con Dio [...). L'uomo ha imprigionato e incapsulato la verità,
cioè la santità di Dio, l'ha ridotta alla sua misura e così facendo l'ha privata
della sua serietà e del suo peso, l'ha resa triviale, inoffensiva, inutile, l’ha tra
sformata in falsità. Questo verrà alla luce nella sua empietà e la sua empietà
non mancherà di cadere in una sempre nuova insubordinazione. Quando l'uo
mo è Dio a se stesso, deve necessariamente sorgere l'idolo. E quando l'idolo è
in onore, l'uomo deve per forza sentirsi il vero Dio, il creatore di questa sua
creatura. Questa è la ribellione, che ci rende impossibile la visione del piano
della nuova dimensione, che significa il limite del nostro mondo e la nostra sal
vezza. Sopra questa ribellione può rivelarsi soltanto l ’ira di Dio.4
La polemica antireligionista riesplode laddove Barth, commentando
Rm 1,23-24 («Essi hanno scambiato la gloria deH'incorruttibile Dio con
l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile»), sostiene che l'uomo ha
perduto il senso di quello che è specifico in Dio, cioè l'abissale distanza
che ci separa da lui. Tra l'uomo e il Totalmente Altro si è infiltrata la reli
gione, cioè l'illusione che la creatura abbia la capacità di stabilire una
qualche forma di unità e di alleanza con il suo Creatore, senza che egli
intervenga dall'alto, verticalmente:
L’esperienza religiosa, a qualunque grado di altezza si compia, non appe
na è qualche cosa di più che spazio vuoto, non appena intende essere conte
nuto, possesso e godimento di Dio, è la sfrontata e inetta usurpazione di ciò
che può essere e diventare vero, soltanto a partire dal Dio sconosciuto. Nella
sua storicità, materialità e concretezza, essa è sempre un tradimento verso
Dio. Essa è la nascita del non-dio, dell'idolo.5
L’atteggiamento che Barth tiene nell'opera verso la religione non è
sempre così negativo nei toni, ma lo è nella sostanza. Nel capitolo setti
mo, intitolato «La libertà», egli si propone di dimostrare che la religione
«è una possibilità umana e come tale una possibilità limitata di fronte alla
quale sta, in sé ferma e sicura, la libertà di Dio di far grazia all'uomo».6
Ciò che si contrappone alla religione è la grazia, attraverso la quale
17
Annunciare Cr'uto alle genti
siamo rovesciati dal trono della nostra presunta autonomia e siamo posti
al servizio di Dio, mediante la liberazione dal peccato. Mentre la religio
ne si costituisce a partire da un'iniziativa totalmente umana, la fede
implica l’assoluta iniziativa di Dio. Si tratta di due realtà completamente
diverse, appartenenti a due mondi che non hanno nulla in comune l'uno
con l'altro, quello dell'uomo peccatore e quello dell'uomo graziato: ogni
pretesa della religione all’assolutezza, trascendenza, immediatezza è
vana; anche le sue più ardite intenzioni rimangono impigliate in un qual
che prolungamento della natura. Fino alla conclusione: «La religione
appartiene evidentemente al vecchio mondo, sta all'ombra del peccato e
della morte».7
La polemica continua nella Dogmatica ecclesiale, quando Barth sostie
ne:
La rivelazione [...] ci coglie come uomini religiosi, cioè profondamente
occupati nel tentativo di conoscere Dio sulla base delle nostre possibilità e
dunque in un'attività opposta a quella conforme alla rivelazione. Dovremmo
persuaderci che, per quanto riguarda Dio, ogni nostra attività è vana, anche
nella vita migliore, cioè dovremmo comprendere che non siamo in grado, da
noi stessi, di afferrare la verità e lasciare che Dio sia Dio e nostro Signore.
Dovremmo dunque rinunciare a tutti i tentativi di voler, nonostante ciò,
afferrare questa verità. La sola cosa che ci è richiesta è di essere pronti e
decisi a essere afferrati dalla verità, a lasciare che essa ci parli. Ma questo è
precisamente quanto noi non siamo disposti a fare. Proprio l'uomo che è
stato afferrato dalla verità sa bene di non essere stato affatto pronto e deci
so a lasciare che essa gli parlasse. Proprio il credente non dice di essere arri
vato alla fede dalla fede, ma sa di esservi arrivato dall'incredulità, cioè nono
stante il fatto che l’atteggiamento e l’attività che egli contrapponeva e anco
ra contrappone alla rivelazione fosse la religione. La rivelazione e la fede
nella rivelazione scoprono il vero volto della religione, scoprono che essa è
resistenza alla rivelazione. Alla luce della rivelazione appare chiaramente
che la religione è il tentativo umano di prevenire quel che Dio vuol fare e fa
nella sua rivelazione, è il tentativo di mettere al posto dell’opera di Dio una
costruzione umana, sostituendo alla realtà divina che si dà e si manifesta per
noi nella rivelazione un'immagine di Dio prodotta dall'arbitrio e dalla fanta
sia degli uomini. La religione è incredulità; la religione è un interesse, anzi
si deve addirittura dire che è l'interesse per eccellenza dell'uomo ateo [...].
La religione è il tentativo impotente eppure ostinato, arrogante eppur vano,
che l'uomo intraprende per procurarsi, facendo uso delle possibilità che egli
veramente ha, anche se non possono essere usate a questo modo, quella
conoscenza della verità e di Dio che egli può avere solo a patto che Dio stes
so gliela dia. Questo tentativo non può dunque essere interpretato come se
l'uomo in esso collaborasse armoniosamente con la rivelazione di Dio, come
se la religione fosse la mano tesa ad accogliere il dono che Dio le fa nella sua
rivelazione [...]: nella religione l'uomo rifiuta la rivelazione, si difende da
essa, e lo fa fabbricandosi un surrogato, anticipando per conto proprio ciò
che gli deve essere dato da Dio. L’uomo ha la possibilità di farlo. Però, facen
do uso di questa possibilità non può raggiungere la conoscenza di Dio in
quanto Dio e Signore, non ottiene dunque mai la verità, ma sempre e sol
18
La questione della «salvezza dei non cristiani»
tanto un'illusione che non ha nulla a che fare con il vero Dio, nemmeno
approssimativamente,- ottiene un idolo che deve essere smascherato non
appena la verità lo raggiunge, ma solo quando la verità lo raggiunge può
essere scoperto nel suo vero carattere.8
Questa impostazione non rimase racchiusa nelle pagine dei libri di
Barth, ma influì decisamente sull'impostazione del problema interreligio
so non solo alTintemo della tradizione protestante e calvinista in partico
lare, ma anche nel Consiglio ecumenico delle Chiese, per molto tempo
coordinato da un fedele discepolo di Barth, Kràmer, il quale mantenne
l’organismo su un'impostazione decisamente ecclesiocentrica.9
L é o n a r d Feeney
19
Annunciare C rijto alle genti
1.1.2. M o d ello e c c l e s io c e n t r ic o
A T E N D E N Z A INCLUSIVISTA:
Pio XII, H e n r i d e L u b a c ,
C h a rle s J o u r n e t
Pio X I I
12 Pio X II, lettera enciclica Mystici corporis sul corpo m istico d i Cristo, del 29 g iu g n o
1943: EE 6/151-260. U n a presentazione d e l rapporto tra C h ie sa e salvezza nell'e n ciclica in
SuixrvAN, Salvation outside thè Churchì, 131-135.
13 Denz 3821.
14 Cf. Denz 3866-3873.
20
La questione della «calvezza dei non cristiani»
Per Pio XII sono quindi decisivi, in ordine alla salvezza, un elemento
negativo (ignoranza invincibile) e tre positivi (voto/desiderio anche
implicito, perfetta carità e fede soprannaturale); essi immettono nell'or
bita della salvezza in quanto, pur senza realizzare l'appartenenza al
corpo mistico, cioè alla Chiesa visibile, «ordinano» e «uniscono» a essa.15
È in questo senso che ci pare di rinvenire in Pio XII, sebbene in maniera
solo germinale, una tendenza «inclusivista»: egli non si limita a conside
rare la salvezza dei non cristiani come im piegabile eccezione all'assio
ma, ma tenta già - all'interno di una granitica concezione dell’apparte
nenza «reale» alla Chiesa riservata ai cattolici16 - di imbastire qualche
filo con quelli che, pur essendo «fuori» della Chiesa visibile, non ne
hanno colpa e si nutrono di carità e di fede. È vero che per Pio X II la
distinzione ecclesiologica fondamentale resta quella tra chi appartiene
reapse alla Chiesa (i cattolici) e chi non vi appartiene (siano protestanti,
ortodossi, non credenti o musulmani); però è anche vero che, quando
affronta il problema della salvezza dei non cristiani, sembra sposare una
visione meno netta, che lascia la possibilità di immaginare alcune par
ziali relazioni, almeno abbozzate, con il corpo mistico di Cristo.
H e n r i de L u b a c
21
Annunciare Crijto alle genti
20 D e L u ba c , Cattolicismo, 195.
21 D e L u ba c , Cattolicismo, 198.
22 D e L u ba c , Cattolicismo, 192-193 (con q u a lch e p ic co la va riazione n e lla trad. it.).
23 G . C a n o b b io , «L'em ergere dell'interesse per le re ligio ni n e lla teologia cattolica d e l
N ovecento», in M . C rociata (ed.), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive, Paoline,
M ila n o 2001, 34.
22
La questione delta «salvezza dei non cristiani»
le parlare di Chiesa senza far entrare le missioni nella sua stessa defini
zione. È però un fatto che molti cattolici non ne sono coscienti e che i trat
tati di teologia restano guasi muti su questo argomento. Quindi è la
necessità che impone di ricercare dall'esterno una risposta che non potrà
che ricondurre al centro stesso della fede. Qual è dunque il fondamento
teologico dell'opera missionaria della Chiesa? Più semplicemente: per
ché le missioni?
Le missioni della Chiesa rispondono prima di tutto a un ordine di Cri
sto risorto, come appare da Mt 28,16-20; Me 16,15; G v 20,19-23. Questi
testi sono la carta di fondazione della Chiesa e anche la carta di fonda
zione delle missioni. L'opera missionaria non si troverà, dunque, alla
periferia delle attività della Chiesa, ma ne sarà ima parte essenziale. «La
Chiesa è per essenza missionaria poiché ciò che noi chiamiamo le sue
missioni non è altro che il primo mezzo mediante il guale porta a compi
mento la sua missione».24 Ancora:
È certo che la cattolicità non è solamente un fatto empirico. È un attributo
essenziale, non un accidente che vi si aggiunge. È prima di tutto un fatto di
coscienza, un'idea, una forza. È un'ambizione, un'esigenza. La Chiesa è cat
tolica perché, sapendosi di diritto universale, vuole diventarlo di fatto. La sua
cattolicità è la sua vocazione che si confonde col suo essere.25
La tensione veterotestamentaria tra universalismo e particolarismo
della salvezza per de Lubac è risolta da Gesù: il «piccolo gregge» è chia
mato a varcare i confini della terra. Essere se stessi, per i cristiani, è esse
re missionari. Quando il Cristo risorto affida agli apostoli la missione che
ha ricevuto dal Padre, mostra che la cattolicità per la Chiesa non è solo
un fatto empirico: è prima di tutto un attributo essenziale, un'esigenza.
La Chiesa è cattolica perché, sapendosi universale, vuole diventarlo di
fatto: la sua cattolicità è la sua vocazione che si confonde col suo essere.
Cattolicità dinamica e slancio missionario: tra l'una e l'altra non c'è affat
to differenza. La cattolicità non è autentica se è priva di questo slancio.
La domanda sul perché delle missioni ha ora una risposta in una tri
plice forma: è la volontà del Cristo espressa nel precetto agli apostoli,
nella secolare preparazione e formazione della Chiesa, nella sua struttu
ra stessa. De Lubac a questo punto cerca di chiarire meglio quest'ultima
risposta - ed è in questo contesto che il concetto di «salvezza» diventa
centrale - domandandosi perché Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse
missionaria. Si fanno avanti due soluzioni: o le missioni sono necessarie
per rendere la salvezza possibile al pagano, o solamente per renderglie
la meno difficile. M a siccome è falso che senza il missionario il «pagano»
sia irrevocabilmente votato all'inferno, dobbiamo respingere la prima
soluzione. Lo scopo delle missioni è allora semplicemente quello di «faci
litare» all'infedele la sua salvezza? M a così il cristianesimo potrebbe non
essere «assolutamente necessario». Se si rischia di restare bloccati in
24 H . de L u ba c , Per una teologia delle missioni, V ita e Pensiero, M ila n o 1975, 18.
25De Lubac, Per una teologia delle missioni, 28.
23
Annunciare C rijto alle genti
24
La questióne della «calvezza dei non cristiani»
C harles J o u r n e t
25
Annunciare Cripto atte genti
26
La quejtione della calvezza dei non cristiani»
1. 2 . R a d ic i e s v il u p p o
D E L P R IM O PA R A D IG M A
Sarebbe vano, come abbiamo accennato, cercare nel NT veri e propri
«agganci» per sostenere l'ecclesiocentrismo esclusivista. G li unici testi su
cui l'interpretazione rigorista dell ’«Extra Ecclesiam nulla salus» potrebbe
eventualmente appoggiarsi sono Me 16,15-16 e Gv 3,5: ma una loro let
tura attenta non permette tale interpretazione.
In Me 16,15-16 viene stabilita questa doppia sequenza da parte del
Risorto che invia gli undici ad annunciare il vangelo a ogni creatura:
«Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà con
dannato». La sequenza positiva, quella della salvezza, ha due condizio
ni, la fede e il battesimo: l'adesione alla «Chiesa» pone quindi nell'orbi
ta della salvezza (cf. anche Rm 1,16; At 2,38-40; 16,31-33; Tt 3,5; ecc.);
quella negativa della condanna ha come unica condizione il rifiuto di cre
dere. Nella seconda sequenza manca la menzione del battesimo, per cui
il testo non afferma formalmente che chi non è battezzato sarà condan
nato, poiché suppone ovviamente che chi non crede non si lasci neppu
re battezzare;37 nella stessa sequenza, inoltre, il rifiuto di credere è pre
sentato come una presa di posizione esplicita contro l'annuncio del van
gelo e non come semplice «dato di fatto»: non vi è dunque intesa l'even
tualità di un'ignoranza del vangelo. In definitiva, non vi è alcun fonda
mento nel sostenere il rigorismo sulla base di questo testo.
Un testo per alcuni aspetti imparentato con quello appena analizzato è
Gv 3,5: «In verità, in verità ti dico: se uno non nasce da acqua e da Spirito,
non può entrare nel regno di Dio». Anche in guesto caso sembrerebbe a
prima vista affermata ima concezione esclusivista della salvezza: è natura
le infatti che i lettori di Gv interpretassero la duplice menzione dell'acqua e
dello Spirito come un riferimento al battesimo e quindi la mancata recezio
ne del battesimo come esclusione dal regno di Dio.38 Ciò che non è natura
le però - anzi, ciò che non è lecito dedurre dal testo - è che l'evangelista
intendesse ricavare dalle affermazioni di Gesù a Nicodemo ima «teoria»
sulla non-salvezza di coloro che non erano battezzati: è più logico supporre
che anche in questo caso l'autore si riferisca alla necessità di farsi battezza
re da parte di coloro che venivano a conoscenza del vangelo di Gesù. Nes
suna interpretazione rigorista è dunque lecita nemmeno da questo testo.
È in una visione ecclesiocentrica inclusivista, invece, che trovano
facilmente spazio questi e altri collegamenti neotestamentari tra il batte
simo e la salvezza, in particolare lPt 3,20-2139 (cf. anche Ef 5,26; Eb
27
Annunciare Criito alle genti
1.2.1. « E x t r a E c c l e s ia m n u l l a s a l u s »
N EI PADRI: O R I G E N E , C lP R IA N O ,
A g o s t in o , O ttato
O rig e n e
28
La questione della «calvezza dei non cristiani»
neo, dove scrive che chi si comporta male nella Chiesa, non è sotto l'a
zione dello Spirito.42
Origene dunque, commentando allegoricamente il racconto della pro
stituta Raab in Gs 2, afferma che la «casa della prostituta», che sola
garantisce la salvezza in mezzo a Gerico, è la Chiesa, che era «prostitui
ta» agli idoli del mondo e ora, per grazia di Cristo, è divenuta vergine; il
«filo scarlatto» che è segno di salvezza è il sangue di Cristo; rivolgendo
si ai giudei, Origene può così affermare;
Chi di quel popolo vuol essere salvato, venga in questa casa per ottenere
la salvezza. Venga in questa casa, in cui il sangue di Cristo sta come segno
della redenzione [...). Al di fuori di questa sola casa, cioè fuori della Chiesa,
nessuno sarà salvato (extra hanc domum, id est extra ecclesiam, nemo salva-
tur). Se qualcuno tuttavia esce fuori, è egli stesso colpevole della sua morte.43
C ip riano
Agostino
d e lia trad. it. utilizzata) a fine volum e, n e lla sezione «fonti»; solo n e l caso d e l rim a n d o a PL
o a PG l'in d ic a z io n e vie ne fornita ne lle note stesse a p iè d i p a g in a .
42 Ir e n e o d i L io n e , Contro gli eretici 111,24,1.
43 O r ig e n e , In Jesu Nave 111,5; PG 12,841.
44 C ip r ia n o , L'unità della Chiesa 6,8 e 14.
45 Cf. a d es. Lettere 52,1,3; 55,24,1-2; 71,1,3; 74,7,2.
46 Cf. a d es. A g o s t in o , Lettere 43,8,21 e 141,5.
47 Cf. S u l u v a n , Salvation outside thè Church?, 24-27.
29
Annunciare Crùito alle genti
smo di Agostino, che esclude dalla salvezza perfino i neonati morti senza
battesimo,48 incontriamo una linea di pensiero che legittima una salvez
za fuori della Chiesa visibile: ne fa fede l'idea della «Ecclesia ab Abeh,
su cui torneremo, con la guale Agostino riveste «di una categoria il pen
siero di un'appartenenza alla Chiesa al di fuori dello spazio di una sua
visibilità giuridica»,49 derivante dall'idea - come vedremo custodita in
seguito dai teologi medievali e dal magistero antigiansenista - che la
redenzione e la grazia di Cristo hanno una portata universale che trava
lica i confini della Chiesa visibile.50
Sarà però solo con Fulgenzio di Ruspe (f 533) che la formula verrà
intesa come «teoria» sulla non-salvezza di coloro che non appartengono
alla Chiesa. Nei padri, come si vede, l'intenzione non è guella di espri
mersi sulla sorte eterna di coloro che non appartengono alla Chiesa visi
bile, bensì guella di affermare la necessità di entrare nell'una e unica
Chiesa voluta dal Signore. L'assioma è nato dungue come appello a
entrare (o tornare) nelTunica Chiesa.51 La «salvezza» da esso intesa
appare allora certamente più ampia di un mero «scampo» dall'eterna
condanna: implica i mezzi di salvezza - predicazione e sacramenti - di
cui la Chiesa è dotata. Chi si separa volontariamente dalla Chiesa o
coscientemente decide di non entrarvi, si priva di guei mezzi salvifici di
cui il Signore l'ha dotata perché possa trasmettere i doni della sua reden
zione; guesto sembra il significato dell'assioma presso i padri: «Extra
Ecclesiam nulla media salutis».
30
La questione della «salvezza dei non crùtiani»
O ttato
1 . 2 . 2 . « E x t r a E c c l e s ia m n u l l a s a l u s »
NEL M E D IO EV O : F U L G E N Z IO ,
IL M A G IS T E R O E T O M M A S O
F ulgenzio
31
Annunciare C rijto alle genti
si incorporerà in essa [...]; non solo tutti i pagani, ma anche tutti i giudei e gli
eretici e gli scismatici che terminano la vita presente fuori della Chiesa catto
lica andranno «nel fuoco eterno preparato per il diavolo e per i suoi angeli»
(Mt 25.41).53
Il magistero medievale
32
La questione della «salvezza dei non cristiani»
T om m aso
33
Annunciare Cruito alle genti
Sintesi
34
La questione della «calvezza dei non cristiani»
1.2.3. « E x t r a E c c l e s ia m n u l l a s a l u s »
NELL'EPOCA M O D E R N A :
IL M A G IS T E R O A N T IG IA N S E N IS T A
e Pio I X
Quando la scoperta di nuovi mondi, a partire dalla fine del X V seco
lo, rende consapevoli i cristiani dell'esistenza di grandi masse di uomini
non evangelizzati e non battezzati, nella lettura dell'assioma viene espli
citato ciò che prima rimaneva implicito. Qualcosa di simile alla curiosa
ipotesi di Tommaso sembra divenuta realtà: moltissimi uomini sono cre
sciuti «Extra Ecclesiam visibilem», ma non certo per colpa loro. Se le
grandi scoperte etnico-geografiche non hanno causato particolari crisi
nella riflessione teologica o nel magistero, è proprio perché la teologia si
era già data da tempo gli strumenti per lasciare aperte delle possibilità di
una salvezza fuori dei confini visibili della Chiesa: e oltre al votum bap-
tismi e al martirio, ora emerge anche il tema dell'«ignoranza invincibile».
I domenicani della scuola di Salamanca diedero un apporto essenziale in
questa fase, raccogliendo e aggiornando le «aperture» medievali a una
salvezza fuori dei confini visibili della Chiesa.
La scuola di Salamanca
35
Annunciare C rijto alle genti
Calvino
36
La questione della «calvezza dei non cristiani»
37
Annunciare Cripto alle genti
Conclusione
1.3. L a m i s s i o n e n e l l ’o r i z z o n t e
DELLA «SALVEZZA
D E I N O N C R IS T IA N I»
L'intera problematica della «salvezza dei non cristiani» si muove,
come abbiamo notato, entro una concezione della missione intesa preva
lentemente in termini di «salvezza delle anime», dove l ’elemento del
l'annuncio è assolutamente prevalente rispetto a guello del dialogo, fino
a condurre in certi momenti, nel modello esclusivista, a una missio con
tro gentes. In guesto modello era in fondo agevole rispondere alla
domanda sul perché della missione: essa veniva semplicemente motiva
ta dalla necessità di «salvare le anime», che altrimenti si sarebbero per
dute o avrebbero comungue corso un serio pericolo di dannazione. Pur
avendo visto come l’assioma «Extra Ecclesiam nulla salus» in realtà non
sopporti un'interpretazione così ristretta, resta il fatto che tale interpreta
zione ha dominato - a partire dal basso medioevo e soprattutto dai tempi
del concilio di Firenze fino al X X secolo - nella catechesi e nella predi
cazione, e ha costituito una buona spinta per l'attività missionaria della
Chiesa, sostenendola anche in guei periodi nei guali la missione ad gen
tes diveniva missione contro gentes. Ancora agli inizi del X X secolo - pur
nella consapevolezza che anche al di fuori della Chiesa cattolica si può a
gualche condizione raggiungere la salvezza - è corrente la definizione
del missionario come «salvatore delle anime» sia nella catechesi83 come
83 Si veda come es. il Piccolo catechismo missionario di G. Rambelli, edito a Roma nel
1929 dalla Unione missionaria del clero in Italia. A lla domanda: «Necessita l’evangelizza
zione per salvare le anime?», risponde: «Certamente, in via normale, è necessaria l’evan
gelizzazione per salvare le anime, perché non si possono salvare senza la fede, né avranno
la fede senza la predicazione, e senza chi è mandato da Dio e dalla Chiesa: però vi sono
anche vie straordinarie per le quali gl'infedeli possono salvarsi in virtù della grazia divina
che tutto coordina per la salvezza di tutte le anime» (ivi, 16). E tuttavia poco dopo scompa
re il riferimento alla salvezza «fuori» della Chiesa: «Ammessa la necessità della missione,
dobbiamo ritenerla urgente? Urgentissima, perché i bisogni sono urgenti, e il lavoro deve
38
La questione della calvezza dei non cristiani»
essere immediato: perché ogni dilazione equivale alla perdita di innumerevoli anime, e al
ritardo del regno di Cristo, e cioè della costituzione della Chiesa in tutte le parti della terra»
(ivi, 18). E ancora: «Chi è il missionario? Quello che lavora per la salvezza degl’infedeli, fra
gli stessi infedeli. Il missionario è solo il salvatore delle anime? Il missionario, oltre che esse
re il salvatore delle anime, è l'umile eroe che tutto sacrifica» (ivi, 19).
84 Si veda, ad es., l’enciclica di B e n e d e tto X V Maximum illud sulla propagazione della
fede cattolica in tutto il mondo, del 30 novembre 19 19 (EE 4/869-889), dove per almeno
nove volte viene individuato il fine della missione nella «salvezza deU’anima» e altre quat
tro volte nella «salvezza eterna». Il legam e tra missione e salvezza dell'anima viene allen
tandosi progressivamente, nelle encicliche del X X secolo sulla missione, in favore del lega
me tra missione e «plantatio Ecclesiae». Così, se ancora troviamo come unico movente della
missione la «salvezza delle anime» nel breve motu proprio di Pio X I Romanorum pontili-
cum, del 3 m aggio 19 22 (in AAS 14(1922], 321-326) e, un paio di volte, nell'enciclica dello
stesso pontefice Rerum Ecclesiae sull'incremento delle missioni, del 28 febbraio 1926 (EE
5/164-187), nel magistero missionario di Pio XII viene decisam ente compiuto il passaggio
alla prospettiva della «plantatio Ecclesiae». Nell'enciclica Evangelii praecones per un rin
novato impulso delle missioni, del 2 giugno 19 5 1 (EE 6/752-823), pur parlando della «sal
vezza delle anime» o «dei fratelli» o «degli infedeli» e della «salvezza eterna» o «vita eter
na» o «felicità eterna» come scopo del lavoro missionario, Pio XII mette in evidenza che si
tratta, comunque, di «condurre all'unico ovile» tutti i popoli e stabilire solidamente la C hie
sa; e aU’inizio dell’enciclica Fidei donum stille condizioni delle missioni cattoliche partico
larmente in Africa, del 2 1 aprile 1957 (EE 6 /130 7-134 1), lo stesso pontefice mette in risalto
come la fede trasmessa dal missionario, oltre a introdurre nei misteri della vita divina, rin
salda già su questa terra il vincolo della comunità cristiana.
85 La valutazione è in C o lz a n i, La missionarietà della Chiesa, 23.
86 Cf. C o lz a n i, La missionarietà della Chiesa, 31-40. La differenza tra le scuole di M ùn
ster e di Lovanio è chiaramente precisata dall'autore, alla fine del suo studio, in una sinte
tica valutazione della disputa: «La polemica fra le due scuole fu certamente eccessiva, e la
contrapposizione cercata condusse a dimenticare che parola di Dio e Chiesa sono due realtà
complementari, poiché la parola non si capisce se non in vista del disegno divino compiu
to nella Chiesa, e questa non ha significato se non come la comunità di fede e di vita crea
ta attorno alla parola divina. Tuttavia (...) la differenza più che nelle soluzioni stava nelle
prospettive. Il passaggio dall'una all'altra scuola era il passaggio da una prospettiva perso
nalistica, che assegnava alla missione il compito della salvezza degli individui, sia pure in
una Chiesa, a una prospettiva ecclesiale preoccupata della realizzazione del piano divino e
della situazione del regno in questo mondo. Vi era insomma il passaggio dall'idea di una
39
Annunciare C riito alle genti
Chiesa che ha la missione a quella di una Chiesa che è missione, e in essa totalmente si
riconosce» (p. 198). Una sintetica esposizione delle posizioni sostenute dalle due scuole si
trova anche in K. M ù ller, Teoloqia della missione. Una introduzione, EMI, Boloqna 19 9 1,
53-61.
40
2.
La «teologia
cristiana
delle religioni»
41
Annunciare Cripto alle genti
missione ad gentes su basi più solide rispetto alla «salvezza delle anime»:
operazione che, però, il concilio ha appena suggerito, lasciando aperta di
fatto la questione della ragion d'essere di tale missione, una volta
ammessa la possibilità di una salvezza ultraterrena sganciata dall'appar
tenenza alla Chiesa visibile.
Nell'orizzonte della «teologia delle religioni» si colloca praticamente
tutto il magistero universale post-conciliare (2.5), le cui espressioni in
materia interreligiosa - specialmente con Giovanni Paolo II - costituisco
no già un corpus dottrinale molto ampio nel quale, pur con preferenze
ora verso la linea di Daniélou ora verso quella di Rahner, è inequivoca
bile l'opzione cristocentrica.
2.1 .1. M o d e l l o c r is t o c e n t r ic o
A T E N D E N Z A I N C L U S I VI STA:
Jean D a n ié lo u 2
42
La «teologia cristiana delle religioni»
Rivelazione naturale
e rivelazione soprannaturale
43
Annunciare C ritlo alle genti
44
La «teologia cristiana delle religioni»
L a t e o r i a d ei « c r i s t i a n i a n o n i m i »
anche J . G elot, «Vers une théologie chrétienne des religions non chrétiennes», in Islamo
Christiana 2(1976), 1-57 (su Daniélou, in part., 28-35).
9 Cf. ad es. H. van S traelen , L'Eglise et les religions non chrétiennes au seuil da XXIe
siècle, Paris, Beauchesne 1994 (l’esplicito riferimento a Daniélou si trova in 75-76): cf. la
recensione critica di J . D upuis , «Les religions et la mission. A propos de deux livres
récents», in Gregorianum 76(1995), 585-589.
10 P e r a v e r e u n a v isio n e p iù a m p ia d e lla p r o b le m a tic a in te r re lig io s a d e l te o lo g o t e d e
sco, si p u ò l e g g e r e u tilm e n te : K. Ra h n er , « C ristia n e sim o e re lig io n i n o n c ristia n e » , in I d .,
Saggi di antropologia soprannaturale, Paoline, Roma 1965, 5 3 3-5 7 1: ottima sintesi conte
stu a liz z a ta in G . C anobbio , « L 'e m e rg e re d e ll'in te r e s s e p e r le re lig io n i n e lla te o lo g ia c a tto
lic a d e l Novecento», in M . C rociata (ed.), Teologia delle religioni. Bilanci e prospettive,
P a o lin e , M ila n o 2001, 49-54; cf. a n c h e K.A. W alsh , «A C h ris tia n T h e o lo g y of R e lig io n s a n d
th è P lu ra lis t P a ra d ig m » , in Science et Esprit 49(1997)3, 287-292; u n a d o c u m e n ta ta p r e s e n
ta z io n e d e lla te o r ia r a h n e r ia n a e d e l d ib a ttito im m e d ia ta m e n te su c c e ss iv o al q u a le h a d a to
o c c a sio n e , in F.A. S ullivan , Salvation outside thè Church? Tracing thè History of thè Catho-
lic Response, P a u list P re ss, N e w Y o rk -M a h w a h 1992, 1 7 1 - 1 8 1 ; cf. a n c h e Ladaria , «Du De
vera religione à l'a c tio n u n iv e rs e lle d e l'E s p rit-S a in t d a n s la th é o lo g ie c a th o liq u e r é c e n te » ,
60-64.
11 Cf. K. R a h n er , «I cristiani anonimi», in Id., Nuovi saggi, Paoline, Roma 19 6 8 ,1, 759-
772. Per orientarsi nell'amplissima discussione seguita alla proposta rahneriana, si può par
tire dall'esposizione di V. Boublik, Teologia delle religioni, Studium, Roma 1973, 254-269:
qui si possono reperire abbondanti riferimenti bibliografici sull'argomento sia negli studi di
Rahner sia in quelli dei suoi seguaci e dei suoi critici. Boublik stesso si colloca sulla scia del
gesuita tedesco, quando esprime la tesi dei non cristiani come «catecumeni anonimi». È
45
Annunciare Cristo alle genti
46
La «teologia cristiana delle religioni»
si dà), allora si deve concludere che gli uomini aperti alla salvezza sono
non solo «teisti anonimi», bensì «cristiani anonimi».
Rahner considera dunque il rapporto tra le attese dell'uomo non rag
giunto dall’annuncio cristiano e il compimento di queste attese in Cristo
in «continuità qualitativa»: qui si colloca la sua fondamentale tesi secon
do la quale l'antropologia è una cristologia incompiuta e la cristologia
un'antropologia compiuta. In questa prospettiva, l’incarnazione di Dio è il
singolare e più alto caso del compimento dell'essenza umana in quanto
tale. L'esplicita rivelazione in Cristo non entra nell’uomo come qualcosa di
estraneo o sovrapposto, ma come l’espressione di ciò che l'uomo ha sem
pre esperimentato, almeno in modo non tematico e irriflesso. Perciò l'uo
mo che accetta pienamente se stesso accetta implicitamente anche Cristo:
e questa accettazione non è solo questione d i «natura», poiché vi inter
viene sempre anche la «grazia»: la grazia esiste nel mondo solo come gra
tta Christi e - inscindibilmente, in quanto la Chiesa è presenza storica di
lui - grafia Ecclesiae. Perciò l'uomo che accoglie pienamente se stesso è
«cristiano anonimo», appartiene in qualche modo a Cristo e alla Chiesa.
Non tutti gli uomini sono «cristiani anonim i »,12 ma solo coloro che
accolgono la grazia, cioè coloro che, in ultima analisi, non si pongono in
contraddizione con la loro concreta essenza di uomini e quindi con Dio.
Perciò sarebbe sbagliato credere che la tesi dei «cristiani anonimi» possa
danneggiare l'attività missionaria della Chiesa: chi ne ricava questa con
clusione, osserva Rahner, non ha capito la teoria. Essa vuole solo svilup
pare le prospettive del Vaticano II laddove, in LG 16, afferma che chi non
ha ancora ricevuto il vangelo eppure è senza colpa e si sforza, non senza
l’influsso della grazia, di cercare Dio sinceramente e con l'aiuto della
coscienza, è nell'orbita della salvezza. La teoria dei «cristiani anonimi»,
dunque, intende fondare la possibilità reale di salvezza e di appartenen
za alla Chiesa anche di coloro che non hanno ricevuto o, senza colpa, non
hanno accolto Cristo.
La tesi dei «cristiani anonimi», rielaborata e approfondita da altri,13 è
stata richiamata più volte, al di là delle intenzioni del suo autore, come
47
Annunciare Crùto alle genti
La presenza di Cristo
nelle religioni non cristiane
Pur ritenendo che le altre religioni non possano essere messe sullo
stesso piano del cristianesimo, in quanto contengono elementi problema
tici o addirittura negativi per la salvezza dei loro aderenti, Rahner pensa
che non sia sufficiente immaginare che la salvezza dei non cristiani si
realizzi «estrapolando» dalle loro religioni alcuni elementi isolati per
immetterli nella corrente della grazia cristiana; questo, a suo parere,
andrebbe contro la natura sociale e storica assunta dalla grazia nell'e
vento di Cristo:
Se una religione non cristiana in partenza non potesse o non dovesse
avere alcun significato positivo sul farsi della salvezza soprannaturale nel sin
golo uomo non cristiano, ciò equivarrebbe a pensare che il farsi della salvez
za in tale uomo è completamente asociale e astorico. Ora ciò contraddice al
fondamentale carattere storico e sociale (ecclesiale) del cristianesimo stesso.16
48
La «teologia cristiana delle religioni»
Cristo è presente e attivo nel credente non cristiano (e quindi nelle reli
gioni non cristiane) attraverso il suo Spirito [...]. Se nel non cristiano può esi
stere una fede salvifica e se è lecito sperare che di fatto essa esista realmente
su vasta scala, allora è ovvio che tale fede è resa possibile ed è sorretta dalla
grazia soprannaturale dello Spirito Santo.18
2 .2 . R a d ic i r e m o t e e p r o s s im e
D E L S E C O N D O PARADIGM A
Nella consapevolezza che un'indagine sul cristocentrismo nella storia
della teologia assumerebbe dimensioni sterminate ed esigerebbe com
petenze specifiche, ci limitiamo a menzionare i testi più importanti e
49
Annunciare Cristo alle genti
2.2.1. A g g a n c i n e o t e s t a m e n t a r i :
M t 11,27; G v 14,6; A t 4,12;
1 C o r 8,5-6; I T m 2,5; C o l 2,9
È guasi tautologico affermare che l'intero NT è «cristocentrico»: nasce
per mostrare l'adempimento delle promesse antiche di salvezza in Gesù
di Nazaret morto e risorto, presenta dalla prima all'ultima pagina l'even
to di Cristo, nelle sue radici storiche e nel suo significato teologico, espri
me con diverse categorie culturali la fede delle prime comunità nella
definitività dell'azione divina in e attraverso Gesù Cristo.
Non si tratta però gin di proporre e neppure abbozzare una cristolo
gia o una soteriologia neotestamentaria, ma solo di richiamare guei passi
che esplicitano il rapporto tra 1'«unicità» della persona e dell'evento di
Cristo e la salvezza di «tutti» gli uomini. In tal modo la lente si può legit
timamente restringere ad alcuni testi-chiave: Mt 11,27; Gv 14,6; At 4,12;
ICor 8,5-6; ITm 2,5; Col 2,9.
M t 11,27
50
La «teologia cristiana delle religioni»
G v 14,6
At 4,12
È ovvio che
questa frase non asserisce che delle persone le quali non hanno m ai cono
sciuto Gesù non hanno la possibilità di prendere parte al Regno futuro. Affer
ma che la salvezza è oramai accessibile attraverso Gesù come non lo è in nes
sun altro luogo, e ciò implica che nel caso di u n incontro personale con quel
messaggio è in gioco la propria possibilità d'essere salvato.24
51
Annunciare Crutto alle genti
1Cor 8,5-6
Quando Paolo, contro i «cosiddetti dèi sia nel cielo sia sulla terra»,
afferma che «per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e
noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esi
stono tutte le cose e noi esistiamo per lui» (ICor 8,5-6), non solo entra
direttamente in polemica verso il culto ai «molti dèi e signori» incorag
giato nelle province romane dagli imperatori del tempo ,25 ma offre una
delle affermazioni neotestamentarie più limpide circa la mediazione
unica e universale di Gesù, in direzione sia cosmologica sia soteriologi-
ca. L'universale paternità di Dio e la sua doppia prerogativa di origine di
tutto e fine dell'uomo non diminuiscono affatto, per Paolo, l'importanza
di Cristo: anzi, è la stessa universalità che appartiene al Padre a venire
estesa al «Signore Gesù Cristo», il quale diventa così anch'egli origine
delle cose e fine dell'uomo.
1T m 2,5
52
La «teologia cristiana delle religioni»
Col 2,9
Il versetto di Col va letto ovviamente nel contesto del grande inno di
1, 12 -20 , prestando attenzione soprattutto al tema «cosmico» della crea
zione di tutte le cose per mezzo del Figlio e in vista di lui, al tema «antro
pologico» del Figlio come «primogenito» di coloro che risuscitano dai
morti e redentore, e al tema «ecclesiologico» del Figlio come capo del
corpo, cioè della Chiesa .28 In guesto contesto, dungue, l'affermazione che
«in Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» non fa che
esplicitare in termini sintetici e guasi «metafisici» guanto l’inno aveva
contemplato nella sua estensione storico-salvifica: Cristo, nella sua
vicenda umana e (probabilmente) nella sua «presenza» ecclesiale,29 è la
dimora di Dio tra gli uomini, la «concentrazione» della divinità. La pole
mica immediata (cf. 2 ,8 ) contro «i vuoti raggiri» di chi vorrebbe ripropor
re gli «elementi del mondo» (probabile riferimento alle dottrine stoiche)
rende ancora più forte la sottolineatura dell'unicità di Cristo come «pie
nezza» del divino.
C o n c lu s io n e
53
Annunciare Crùito alle genti
2.2.2. S v i l u p p i p a t r is t ic i e m e d ie v a l i :
G iu s t in o ,
C lem en t e A l e s s a n d r in o ,
I r e n e o , A g o s t in o e T o m m a s o
È nota la teoria dei «semi del Verbo», con la quale Giustino getta uno
sguardo positivo sulla cultura greca, ritenendo che essa abbia dato per
sino un contributo alla piena manifestazione del Verbo di Dio in Gesù di
Nazaret: già prima della sua venuta nella carne, il Verbo spargeva i suoi
germi di verità sulla terra; germi che sono sbocciati solo con la piena rive
lazione portata da Gesù. È in particolare la Seconda apologia a ritornare
insistentemente su questa idea. Se gli stoici e i poeti greci, scrive il filo
sofo cristiano, pur essendosi mostrati moderati sui temi etici «grazie al
seme del Logos che è innato in ogni stirpe umana», sono stati nondime
no perseguitati, non c'è da meravigliarsi quando sono perseguitati i cri
stiani, «che vivono non secondo un frammento del Logos sparso in tutti,
ma secondo la conoscenza e la contemplazione di tutto il Logos, che è
Cristo» (VIII.1.3).31 La dottrina cristiana
54
La «teologia crùitiaiia delle religioni»
appare più splendida di ogni dottrina umana, perché per noi si è manifestato
il Logos totale, Cristo, apparso per noi in corpo, mente, anima. Infatti tutto ciò
che rettamente enunciarono e trovarono via via filosofi e legislatori, in loro è
frutto di ricerca e speculazione, grazie a una parte di Logos. M a poiché non
conobbero il Logos nella sua interezza, che è Cristo, spesso si sono anche con
traddetti (X, 1-3).
Giustino utilizza lo schema dei «semi del Verbo» anche nella Prima
apologia, ancora in riferimento ai pagani (cf. V,4; XLIV.10; XLVI.1-4) e
nel Dialogo con Trifone, in riferimento invece ai giudei .32
32 «Quando udite le parole dei profeti pronunziate come se fossero loro, non crediate
che siano pronunziate da essi stessi sotto ispirazione, bensì dal Logos divino che le muove.
Questi infatti ora preannunzia il futuro sotto forma di predizione, ora parla come in perso
na di Dio, Signore e Padre di ogni cosa, ora come in persona di Cristo, ora come in perso
na di popoli che rispondono al Signore o al Padre suo: una cosa simile si può vedere anche
presso i vostri scrittori, che introducono vari personaggi dialoganti, pur essendo uno solo
colui che scrive il tutto. Non comprendendo questo, i giudei, che pure hanno i libri dei pro
feti, non riconobbero Cristo neppure quando comparve; anzi, odiano noi perché afferm ia
mo che egli è venuto e dimostriamo che è stato da loro crocifisso, come era stato annunzia
to» (Giustino, Dialogo con Trifone, X XXVI, 1-3).
55
Annunciare Cruto alle genti
Orbene, prima della venuta del Signore la filosofia era ai greci necessaria
per giungere alla giustizia; ora diviene utile per giungere alla religione: essa
è in certo modo una propedeutica per coloro che intendono conquistarsi la
fede per via di dimostrazione razionale [...). Potrebbe anche darsi che la filo
sofia fosse stata data ai greci come bene primario, avanti che il Signore li chia
masse, poiché anche essa educava la grecità a Cristo, come la legge gli ebrei
(1,5,28; cf. anche 1,5,32).
Ireneo di Lione:
la «presenza» del V erbo p r im a d e ll'in c a r n a z io n e
Dopo avere dimostrato «che il Verbo esisteva dal principio presso Dio,
che per opera sua furono fatte tutte le cose, che fu sempre presente al
56
La «teologia cristiana delle religioni»
genere umano e che proprio lui, in questi ultimi tempi, secondo l'ora sta
bilita dal Padre, si im i all’opera delle sue mani divenuto uomo passibile»,
Ireneo conclude: «Resta confutata ogni affermazione contraria di coloro
che dicono: se è nato in questi ultimi tempi, vi fu un tempo in cui Cristo
non era» (111,18,1). Il Verbo, Cristo, è dunque presente da sempre in
mezzo agli uomini ed esercita tra essi la sua opera di rivelazione:
Mediante la Legge e i profeti il Verbo annunzia insieme se stesso e il Padre
[...]. Il Figlio opera dal principio alla fine disponendo a nome del Padre e
senza di lui nessuno può conoscere Dio, poiché la conoscenza del Padre è 0
Figlio: la conoscenza del Figlio poi è nel Padre, rivelata mediante il Figlio; per
questo il Signore dice: «Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, né il Padre
se non il Figlio e coloro ai quali il Figlio l'avrà rivelato». Avrà rivelato non solo
in futuro, come se il Verbo avesse incominciato a rivelare il Padre quando nac
que da Maria, ma vale in genere per tutti i tempi. Dall'inizio, infatti, il Figlio,
stando a fianco delle sue creature, rivela a tutti il Padre, a chi vuole, quando
vuole e come vuole il Padre; perciò in tutti e operante dappertutto v'è un
unico Dio e un unico Verbo Figlio e un unico Spirito: unica ancora è la sal
vezza per tutti coloro che credono in lui (IV,6,7; cf. anche IV,7,2).
Nelle sue ultime opere, Agostino porta alla sua espressione più piena
l'idea di una presenza universale del mistero di Cristo anche prima del
l ’incarnazione, giungendo - in base alla teoria del «Christus totus», capo
e corpo - ad affermare una presenza almeno germinale della Chiesa a
partire da Abele .35 Offriamo solo qualche esempio di un pensiero molto
diffuso in Agostino. Prima di tutto egli «retrodata» il cristianesimo e la
Chiesa agli inizi della storia umana:
34 Prospettive simili saranno presenti in Giovanni Crisostomo: prima che venisse nel
mondo, Cristo era già presente; non tutti lo conoscevano, ma solo coloro che si comporta
vano virtuosamente (PG 59,67-68).
35 Un'ottima presentazione dell'argomento è quella offerta da S. M adrigal T erkazas ,
«Eclesialidad y universalidad de la salvación a la luz de la noción "Ecclesia ab A bel"», in
Diàlogo Ecumènico 25(2000)112, 2 11-2 6 2 . Lo studio che funge da apripista è notoriamente
quello di Y. C o n g a r , «Ecclesia ab Abel», in M. Reding (hrsg.), Abhandlungeri ùber Theolo-
gie und Kirche, Patmos Verlag, Dusseldorf 1952, 79-108.
57
Annunciare Crùto alle genti
Quella che ora prende il nome di religione cristiana, esisteva già in antico
e non fu assente neppure all'origine del genere umano, finché venne Cristo
nella carne. Fu allora che la vera religione, che già esisteva, incominciò a
essere chiamata cristiana.36
58
La «teologia cristiana ielle religioni»
59
Annunciare Cristo alle genti
2.3 . I l s u p e r a m e n t o
'e c c l e s i o c e n t r i s m o
d e l l
AD O P E R A D E L V A T IC A N O I I
Rituffando la dottrina nel NT e nei padri, il concilio Vaticano II fu in
grado di superare le secche di guell'ecclesiocentrismo che, adottando
l'identificazione pura e semplice della Chiesa cattolica con il corpo
mistico di Cristo, impediva di riconoscere un certo grado di ecclesialità
alle altre comunità cristiane. Anche per guesta apertura ecumenica
operata dal Vaticano II, la Chiesa cattolica negli anni del concilio ha
maturato insieme alle comunità protestanti e alle Chiese ortodosse un
atteggiamento di maggiore apertura verso le altre grandi religioni del
mondo. Così, mentre il Vaticano II ammetteva la presenza di elementi
soteriologici e di autentica rivelazione nelle tradizioni religiose non cri
stiane, anche i «fratelli separati» andavano assumendo guell'ottica di
60
La «teologia cristiana delle religioni»
D a l «reapje» al «piene»
51 N egli stessi anni del Vaticano II infatti anche il Consiglio ecumenico delle Chiese,
superata la fortissima influenza barthiana, affrontava positivamente la problematica inter
religiosa: la questione si affaccia per la prima volta nell'assem blea di N ew Delhi del 19 6 1
(cf. R. Bernhardt, «Wandlungen in der Beurteilung und Kritik nicht-christlicher Religionen
in der evangelischen Theologie», in H.R. S c h ie tte [hrsg.j, Religionskritik in interkulturel-
ler und interreligióser Sicht. Dukumentation des Symposiums des Graduiertenkollegs
“Interkulturelle religióse bzw. religionsgeschichtliche Studien" vom 20.-23.11.1996 an der
Universitàt Bonn, Borengàsser, Bonn 1997, 36-37). O ggi l'argomento interreligioso è spes
so iscritto nell’agenda ecumenica; le tre grandi ramificazioni del cristianesimo - parlando
in generale - mantengono nei suoi confronti altrettante sottolineature: il mondo ortodosso
mette l'accento sulla necessità di attingere alla tradizione quando si affrontano questi temi;
i cattolici fanno leva sulle ormai cospicue indicazioni del magistero; l'arcipelago protestan
te, quasi cercando di recuperare il tempo perduto, è particolarmente sensibile al dialogo
con la modernità. In ogni caso, è ormai chiaro a tutti che non ci si può più sottrarre a que
sto confronto (cf. J . Dorè, «Pour une théologie chrétienne des religions», in Id. [ed.], Le chri-
stianisme vis-à-vis des religions, 9-20; in pari. 1 1 - 1 2 e 16 -17). Per la documentazione circa
la tradizione, richiamata dai teologi ortodossi, risulta istruttiva la prima parte del contribu
to di V. Phjdas, «Le dialogue interreligieux dans une perspective orthodoxe», in D orè (ed.),
Le chrìstianisme vis-à-vis des religions, 81-96; l'autore elenca alcuni canoni di concili e
scritti di padri e autori sacri (cf. 81-89), i quali impostano già a partire dai primi secoli que
gli atteggiamenti di dialogo e confronto con ebrei, pagani e musulmani, che la tradizione
ortodossa ha poi cercato di custodire. Per una panoramica delle posizioni protestanti, dal
X VI secolo ad oggi, risulta poi molto utile il saggio di J.-C . Basset, «Déni ou défi: les Égli-
ses protestantes et la pluralité religieuse», in Dorè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des reli
gions, 13 1- 14 7 ; egli ritiene che comunque continui a prevalere nelle tradizioni protestanti
- al di là del seguito di Hick e altri pluralisti - quell'impostazione esclusivista che caratte
rizzava i padri fondatori (specialmente Lutero e Calvino) e l'impostazione di Barth e Krà-
mer (cf. in pari. 14 1-14 3 ).
52 Cf. Denz 3802.
53 Per un confronto tra l ’impostazione della Mystici corporis e quella del Vaticano II sul
tema dell'appartenenza ecclesiale, cf. J . Ratzinger , «L’ecclesiologia del Vaticano n » , in Id .,
Chiesa, ecumenismo e politica, Paoline, Cinisello Balsamo 1987, 9-32, in pari. 20-21.
61
Annunciare Cruto alle genti
62
La «teologia cristiana delle religioni»
«Subdidtit in »
Il secondo passo è l'ormai anch'esso famoso « subsistit in » di LG 8 che,
per quanto si possa discutere sull'ermeneutica più adeguata del passo,
avendo sostituito il precedente « est », indica che la Chiesa cattolica roma
na non è sic et simpliciter identica alla «Chiesa di Cristo»: pur essendo
fornita di tutti i mezzi di salvezza, la Chiesa cattolica riconosce che anche
al di fuori di se stessa esistono germi di verità e salvezza .58 La non piena
identificazione della Chiesa cattolica con la «Ecclesia Christi» - va riba
dito - ha favorito direttamente il riconoscimento di elementi autentica
mente ecclesiali nelle comunità cristiane non cattoliche e indirettamente
l'apprezzamento di elementi veri e salvifici nelle tradizioni religiose non
cristiane. Approfondiamo quest'ultimo aspetto, poiché il primo - il dialo
go ecumenico - esula dall'argomento che stiamo trattando.
2 .4 . I l ric o n o s c im e n to
C O N C IL IA R E D I ELEM EN TI
R IV ELA T IV I E SA L V IF IC I
NELLE G RA N D I T R A D IZ IO N I
R E L I G I O S E N O N C R I S T I A N E 59
Per avere un'idea precisa del concetto di Chiesa e del suo rapporto
con la salvezza nella dottrina conciliare andrebbero affrontati tutti i passi
nei quali il concilio considera le diverse culture e le grandi religioni. Ma
sarà sufficiente qualche richiamo diretto ad alcuni testi più importanti.
LG 16 e 17
58 Uno studio attento circa il senso esatto del «subsistit in» è quello di F.A. S ullivan , «In
che senso la C hiesa di Cristo "sussiste" nella Chiesa cattolica romana?», in R. Latourelle
(ed.), Vaticano II: bilancio e prospettive venticinque anni dopo (1962-1987), Cittadella,
Assisi 1987, II, 8 11-8 24 .
59 Cf. J. D upuis , Gesù Cristo incontro alle religioni, Cittadella, Assisi 1989, 188-193:
L adaria , «D u De vera religione à l'action universelle de l'Esprit-Saint dans la théologie
catholique récente», 57-59; cf. anche il problematico (perché pregiudizialmente ostile al
dialogo interreligioso) volume di M. R uo ka nen , The Catholic Doctrine of Non-christian Reli-
gions According to thè Second Vatican Council, Brill, Leiden-N ew York 1992.
60 EV 1/326. Commento dettagliato del paragrafo, nell'ottica che a noi qui interessa, in
S ullivan , Salvation outside thè Church?, 152 -156 .
63
Annunciare Cruto alle genti
NA 2
Dopo l'esplicita citazione dell’induismo e del buddhismo e il generale
riferimento a «le altre religioni» e prima di richiamare la necessità del
l’attività missionaria della Chiesa, NA 2 afferma:
La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religio
ni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei pre
cetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto
essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio
(radium ) di quella verità che illum ina tutti gli uomini (£V 1/857).
Anche in questo caso oggetto del discorso sono «le religioni» e non
semplicemente i loro aderenti singolarmente considerati.
AG 3, 9, Ile 18
64
La «teologia cristiana delle religioni»
G S 22 e 92
Sintesi
61 P o n tificio consiglio per il dialogo interreligioso e C o n g reg a zio n e per l' evangeliz
Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso
zazione dei popo li ,
e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo, del 19 m aggio 19 9 1: EV 13/287-386,- l'afferm azio
ne riportata nel testo è al n. 17. Una lettura critica del documento, considerato in parallelo
con l'enciclica Redemptoris missio (di cui parleremo), è stata proposta da J . M a sso n , «Le
dialogue entre les religions. Deux documents récents», in Nouvelle Revue Théologique
114 (19 9 2), 726-737.
62 Come afferma Canobbio concludendo la sua breve indagine sui testi conciliari: «Il
Vaticano II, nonostante le aperture mostrate dai documenti, non valuta mai positivamente
le religioni nella loro globalità, bensì gli elementi che in esse sono presenti (...], che, pur
considerati con rispetto, non vengono mai ritenuti tali da essere assunti nella loro forma sto
rica, bensì mediante un processo che implica anche purificazione e compimento [...). Alla
luce di queste osservazioni si deve affermare che il Vaticano n, contrariamente a quanto
alcuni interpreti hanno voluto vedere, non sostiene che le religioni in quanto tali costitui
65
Annunciare Cristo alle genti
La C hiesa p o p o lo di D io
scano vie di salvezza; eventualmente si può dire che “alcuni elementi" costituiscono m edia
zione della grazia» (C anobbio , «L’em ergere dell'interesse per le religioni nella teologia cat
tolica del Novecento», 53).
63 Dhavamony, commentando la dottrina conciliare sul dialogo interreligioso e in parti
colare le affermazioni di NA, nota che i padri conciliari hanno di proposito lasciato in secon
do piano gli aspetti negativi delle religioni non cristiane, preferendo mettere in evidenza
quasi solo quelli positivi: a suo parere ciò è dovuto a tre motivi: il concilio era preoccupato
di non ricadere nell'errore così diffuso di quei missionari che avevano sottolineato solo i
difetti delle altre religioni; inoltre il Vaticano II aveva operato, per tutti i temi che trattava,
la scelta di valorizzare ciò che unisce e non anatematizzare nessuna opinione; infine i padri
conciliari hanno voluto mettere in primo piano la volontà salvifica universale di Dio (M.
D havamony , «Evangelizzazione e dialogo nel Vaticano II e nel Sinodo del 1974», in L atou -
relle [ed.), Vaticano II, II, 12 17 - 12 3 3 , in part. 1223).
64 La nozione di «popolo di Dio» ha una rilevanza anche nel dialogo ecumenico e inter
religioso. Per un approfondimento dell'uso conciliare e post-conciliare della nozione è utile
consultare almeno: Y. C on g a r , «La Chiesa come popolo di Dio», in Concilium 1(1965), 19 -
43; G. C o lom bo , «Popolo di Dio e sacerdozio nell’insegnamento del magistero post-conci-
liare», in A ssociazion e te ologica italiana , Popolo di Dio e sacerdozio, Il M essaggero,
Padova 1983, 13 0 -17 5 ; Id., «Il "popolo di D io” e il "mistero della Chiesa" nell'ecclesiologia
post-conciliare», in Teologia 10(1985), 97-169; C o m m issio n e te ologica internazionale .
Temi scelti di ecclesiologia, del 7 ottobre 1985: £ V 9/1668-1765; S. D ian ich , «Popolo di D io
(I). Un nome impegnativo per la Chiesa»; Id., «Popolo di Dio (II). Problematica pastorale di
un’idea», in La Rivista del Clero italiano 71(1990), 16 5 -17 5 e 245-254.
65 Scrive uno dei principali redattori della LG: «L'espressione "popolo di Dio" non si può
applicare alla Chiesa come una similitudine, perché designa la sua stessa essenza. Non si
può dire: "La Chiesa è simile a un popolo di Dio" come si direbbe: “Il Regno è simile a un
grano di senapa” . Bisogna invece affermare: la Chiesa è il popolo di Dio della nuova ed
eterna alleanza. Qui, non più figura, ma la piena e totale realtà» (G. P h ilips , La Chiesa e il
suo mistero. Storia, testo e commento della “Lumen gentium", Ja c a Book, Milano 1975,
66
La «teologia cristiana delle religioni»
99). «Popolo di Dio», insomma, secondo questa autorevole interpretazione, non è una tra le
immagini della Chiesa: è la Chiesa stessa in quanto cammina nella storia. La nozione di
«popolo di Dio» permette di legare inscindibilmente la Chiesa alla storia; il suo recupero
recente ha favorito il superamento di alcuni unilateralismi di cui aveva sofferto l’ecclesio
logia pre-conciliare. Più sfumatamente si esprime la Com m issione t e o lo g ic a in te r n a z io n a
le : «L’espressione "popolo di Dio" ha finito per designare l'ecclesiologia conciliare. Di fatto,
possiamo asserire che si è preferito "popolo di Dio" alle altre espressioni cui il concilio ricor
re per esprimere il medesimo mistero, quali "corpo di Cristo” o "tempio dello Spirito
Santo"» (Temi scelti di ecclesiologia, 2 .1: EV 9/1683).
66 R a tz in g e r, «L'ecclesiologia del Vaticano II», 20-21.
67 R a tz in g e r, «L'ecclesiologia del Vaticano II», 2 1.
68 R a tz in g e r, «L'ecclesiologia del Vaticano II», 22.
67
Annunciare Critto alle genti
69 Possono favorire u n a com prensione d e lla n o zione d i «sacram ento d i salvezza» a p p li
cata alla C h ie sa i seg u e nti studi: J. A lf a r o , «Cristo, Sacram ento de Dios Padre. L a Iglesia,
Sacram ento de Cristo glorificado», in G regorianum 48(1967), 5-27; O . S e m m e lro th, «La
C h ie sa com e sacram ento d i salvezza», in Feiner - L O hrer (edd.), Mysterium salutis, VII,
377-437; Y. C o n g a r , Un popolo messianico. La Chiesa, sacramento di salvezza. La salvez
za e la liberazione, (BTC 27), Q u e rin ia n a , Brescia 1976; J. R a tzin g e r, «D ie Kirche als Heil-
sakram e nt», in Id., Theologische Prinzipienlehre, 45-57; W. Kasper, «D ie Kirche als univer-
sales S a kra m e n t des H eils», in Id., Theologie und Kirche, M a tth ias G riin e w a ld , M a in z 1987,
237-254; G . C anobbio , «La C h ie sa sacram ento d i salvezza», in La Rivista del Clero italiano
71(1990), 428-446. Q u e st'u ltim o studio è utilissim o tra l'altro per u n uso p iù accorto e criti
co d e lla no zione in ca m p o ecclesiologico. Cf. in fin e S u lliv a n , Salvation outside thè Chur-
ch?, 156-161.
68
La «teologia cristiana delle religióni»
69
Annunciare Cripto alle genti
realtà della Chiesa fino a farla coincidere con la schiera dei salvati, come
faceva Journet, ma di affermare il coinvolgimento della Chiesa come
strumento («sacramento di salvezza») che interviene misteriosamente ma
realmente - in quanto dove agisce Cristo agisce anche la Chiesa - nel
processo della salvezza di chiunque si salvi.71
Dopo il paragrafo 15, di grande respiro ecumenico, LG 16 affronta il
tema del rapporto con le religioni non cristiane e con gli atei: e se i cri
stiani non cattolici sono «congiunti per più ragioni» alla Chiesa, apparte
nendovi realmente anche se non pienamente, «quelli che non hanno
ancora ricevuto il vangelo in vari modi sono ordinati al popolo di Dio».
Formulato il principio dell'universale «ordinazione» alla Chiesa - princi
pio che si fonda sulla chiamata divina alla salvezza rivolta a tutti gli
uomini non solo come singoli ma anche come popolo -, il testo applica
questo principio a ebrei, musulmani, credenti in altre religioni, atei. È a
proposito dei penultimi che il concilio riprende il tema della salvezza
nella linea del magistero di Pio IX e Pio XII:
Quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa, e tut
tavia cercano sinceramente Dio: e sotto l'influsso della grazia si sforzano di
compiere con le opere la volontà di Dio, conosciuta attraverso il dettame della
coscienza, possono conseguire la salvezza eterna (£V 1/326).
Le condizioni in questo caso sono due: che siano atei «senza colpa da
parte loro» e che si sforzino di «condurre una vita retta», cioè seguendo
la loro coscienza (che, ancora una volta, è l'elemento decisivo); manca
ovviamente il terzo elemento, cioè la ricerca sincera di Dio.
Da questa pur rapida rassegna di testi si deduce un progresso nella
comprensione della necessità della Chiesa per la salvezza: V«Extra Eccle
siam nulla salus » - sostanzialmente anche se non letteralmente ripropo
sto dal Vaticano II - perde il senso «esclusivo» che, pur temperato dalle
eccezioni, aveva nelle precedenti interpretazioni magisteriah e acquista
un senso «inclusivo»: chi si salva, cioè, si salva necessariamente, che lo
sappia o meno, in connessione alla Chiesa: «salus per Ecclesiam »; o, se
schen Ekklesiologie», in Zeitschrilt tur Katholische Theologie 114(19 92), 274-292. C f. anche
C o n g a r , Vaste monde, ma paroisse, 10 9 -115 .
71 Cf. le utili riflessioni, a partire dalla dottrina conciliare, di R. P o la n c o , «La Iglesia y
la universalidad de la salvación en el cristianismo», in Teologia y Vida 44(2003), 423-443, in
part. 439-443.
70
La «teologia cristiana delle religioni»
2 .6 . S a l v e z z a
E M I S S I O N E AD GENTES
n e l V a tic a n o II e n e l
M A G IS T E R O PO ST -C O N C IL IA R E
Basta rileggere attentamente LG 2-4 e soprattutto AG 2-4 per render
si conto di come il Vaticano II abbia considerato la missione una qualità
essenziale della Chiesa tutta intera. Un'ottima sintesi si legge in AG 2:
«La Chiesa peregrinante per sua natura è missionaria, in guanto essa
trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo,
secondo il disegno di Dio Padre» (EV 1/1090): è un guadagno tra i più
grandi dell’ecclesiologia conciliare.
La positiva presentazione che il concilio offrì delle altre comunità cri
stiane e delle religioni non cristiane aprì però la strada a forti obiezioni
sull'attività missionaria della Chiesa. Mentre da una parte, sul versante
della fondazione teologica delle missioni, il decreto AG ne metteva in
luce la base trinitaria e la finalizzazione ecclesiale,73 dall'altra parte, sul
versante del rapporto tra salvezza e Chiesa, il Vaticano II non si limitò con
Pio IX e Pio XII ad ammettere «eccezioni» alla regola generale della sal
vezza solo dentro la Chiesa, ma segnalò numerosi germi o elementi di
verità e di salvezza anche altrove. Come si è notato, non si trattava più
solo di singole persone che, a motivo della loro ignoranza invincibile - e
quindi nonostante la loro permanenza fuori della Chiesa -, potevano
essere salvate, ma di tradizioni religiose che, proporzionalmente ai
«germi di verità» in esse contenute, venivano valutate come cammini
71
Annunciare Cripto alle genti
Nei testi conciliari dunque rimane di fatto aperta, con una forza anco
ra maggiore rispetto a prima, la questione della necessità della missione
alle genti. Se ogni religione contiene germi di verità e di salvezza, l'atti
vità missionaria della Chiesa a prima vista sembra perdere la sua moti
vazione di fondo. Tanto più che chi maggiormente è consapevole m ag
giormente rischia - se rifiuta il vangelo - di essere colpevole. Una lettu
ra maliziosa di LG 14 potrebbe dare l'impressione che l'assioma si sia a
un certo punto quasi capovolto, tanto da diventare «in Ecclesia catholica
ardua salus». Il testo tratta in effetti un po’ troppo duramente i «figli della
Chiesa», quando non si accontenta di dire che non si salva chi, pure
appartenente all'istituzione visibile, non ha la carità, ma aggiunge:
Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro esimia condizione non
va ascritta ai loro meriti, ma a una speciale grazia di Cristo; se non vi corri
spondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveran
no, ma anzi saranno più severamente giudicati (£V 1/323).
72
La «teologia cristiana delle religioni»
73
Annunciare Cristo alle genti
Il m agistero post-conciliare
tra la lin ea D a n i é lo u e la linea R a h n e r
74
La «teologia cristiana delle religioni»
75
Annunciare Cripto alle genti
riflessione attuale, per cui spesso si identifica la fede teologale, che è acco
glienza della verità rivelata da Dio uno e trino, e la credenza nelle altre reli
gioni, che è esperienza religiosa ancora alla ricerca della verità assoluta e
priva ancora dell'assenso a Dio che si rivela. Questo è uno dei motivi per cui
si tende a ridurre, fino talvolta ad annullarle, le differenze tra il cristianesimo
e le altre religioni (n. 7: EV 19/1158s).
Non mancano però affermazioni magisteriali che procedono piuttosto
verso la linea Rahner. È soprattutto l'enciclica Redemptoris miss io84 di
Giovanni Paolo II - nella quale confluiscono e dalla quale si diramano
altri interventi dello stesso pontefice sull'argomento - a prospettare un
superamento della linea Daniélou: superamento possibile attraverso l'ap
profondimento del ruolo dello Spirito Santo nelle religioni non cristiane.
Si può dire che Giovanni Paolo II interpreta anche «pneumatologica-
mente» ciò che il Vaticano II aveva sostenuto «cristologicamente» sugli
obiettivi elementi di rivelazione e salvezza presenti nelle religioni non
cristiane e non solo nei singoli.
G ià dall'inizio del suo pontificato egli aveva accennato al fatto che la
«ferma credenza» dei membri di altre religioni è «effetto anch'essa dello
Spirito di verità, operante oltre i confini visibili del corpo mistico »;85 nel
l'enciclica dedicata allo Spirito Santo aveva poi insistito sull'azione uni
versale dello Spirito nel mondo prima dell'economia evangelica e anche
oggi, al di fuori del corpo visibile della Chiesa .86
Ma è appunto nella Redemptoris missio che il papa sviluppa con m ag
giore ampiezza sul versante interreligioso la prospettiva pneumatologica:
ci riferiamo specialmente ai nn. 28 e 29, posti alla fine del capitolo III
dedicato all'azione dello Spirito Santo. Cominciando col ricordare che la
presenza e l ’azione dello Spirito, pur manifestandosi particolarmente
nella Chiesa, «sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo», il
n. 28 prosegue con un intarsio di citazioni prese dal Vaticano II: dal
decreto AG (3.11.15) e soprattutto dalla costituzione GS (di cui vengono
menzionati, in sei note, quindici paragrafi). Quasi ad autorevole com
mento dei testi conciliari, Giovanni Paolo II afferma lapidariamente:
La presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la
società e la storia, i popoli, le culture, le religioni.87
84 G iovanni P aolo II, lettera enciclica Redemptoris missio sulla permanente validità del
mandato missionario, del 7 dicembre 1990: £ V 12/547-732.
85 G iovanni P aolo II, lettera enciclica Redemptor hominis all'inizio del ministero ponti
ficale, del 4 marzo 1979: EV 6 / 116 7 -12 7 2 ; le espressioni citate nel testo sono desunte dal n.
6 (£V 6 /1185).
86 Cf. G iovanni P aolo n, lettera enciclica Dominum et vivificantem sullo Spirito Santo
nella vita della Chiesa e del mondo, del 18 maggio 1986: EV 10/448-631; cf. n. 53: EV
10/582-583.
87 EV 12/605. La concentrazione di tanti riferimenti positivi verso le altre religioni in un
unico testo magisteriale, e soprattutto quest'ultima frase, hanno fatto scrivere a un attento
commentatore: «Nel n. 28 della Redemptoris missio, la volontà salvifica universale di Dio
viene espressa con una profondità, intensità e ampiezza, che non è dato trovare in altri
documenti ufficiali della Chiesa [...). Mai, in nessun documento ufficiale della Chiesa, si era
76
La «teologia cristiana delle religioni»
Ricordando per ben due volte, nello stesso n. 28, la teologia patristica
dei «semi del Verbo», l'enciclica, sulle orme del Vaticano II, non la riferi
sce solo alle ispirazioni di singoli, ma - coerente con il tenore del para
grafo - alle iniziative religiose e agli sforzi tesi al bene, ai riti e alle cul
ture. Giovanni Paolo II non adotta in questo paragrafo la netta distinzio
ne tra cristianesimo e religioni naturali; sembra anzi prenderne le distan
ze, quando afferma che lo Spirito Santo «è aH'origine stessa della doman
da esistenziale e religiosa dell'uomo, la quale nasce non soltanto da
situazioni contingenti, ma dalla struttura stessa del suo essere».88 Azione
dall'alto e risposta dal basso, pneumatologia e antropologia, non sono qui
ricondotte a tradizioni religiose differenti, m a considerate come due
momenti di un unico processo - quello della ricerca di comunione con
Dio - a cui tutte le religioni, a livelli diversi di intensità, danno voce.89
Proseguendo poi sullo stesso argomento il n. 29, dopo aver ribadito che
l'universalità dell'opera dello Spirito «ci induce ad allargare lo sguardo
per considerare la sua azione presente in ogni tempo e in ogni luogo»,
presenta l'originale riferimento all'incontro interreligioso mondiale che il
papa convocò il 27 ottobre 1986 ad Assisi. «Esclusa ogni equivoca inter
pretazione», afferma Giovanni Paolo II riferendosi alle accuse di relativi
smo che affiorarono in quell’occasione, quell'incontro ha voluto ribadire
la convinzione che l'autentica preghiera è suscitata dallo Spirito Santo .90
La pneumatologia rappresenta quindi, per Giovanni Paolo II, il contesto
più promettente per elaborare, aU'intemo della centralità di Gesù Cristo,
una «teologia cristiana delle religioni».
Non sarebbe difficile recuperare sfumature nella linea Daniélou o
nella linea Rahner anche in altri documenti post-conciliari che trattano
della problematica interreligiosa. Lasciando però al prossimo capitolo il
riferimento più specifico ad alcuni di questi testi, ci limitiamo a ribadirne
l ’orizzonte decisamente «cristocentrico»: per il magistero non è mai in
discussione il fatto che Cristo è l’unico Rivelatore e Salvatore, nel quale
parlato in modo così teologicamente positivo delle religioni. Si faccia bene attenzione: delle
religioni!, perché "pagani santi’’ se ne sono sempre conosciuti» (K. MG ller , Teologia della
missione. Una introduzione, EMI, Bologna 19 9 1, 205.207). Cf. anche le osservazioni di
L adaria , «D u De vera religione a l ’action universelle de l’Esprit-Saint dans la théologie
catholique récente», 69-72.
88 EV 12/604.
89 Riportiamo altri due brevi passi della stessa enciclica, che confermano le osservazio
ni avanzate. Al n. 45, dove parla del primo annuncio di Cristo, il papa scrive: «Nell’annun-
ziare Cristo ai non cristiani 0 missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli,
per l’azione dello Spirito, un'attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sul
l'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte» (EV 12/637). E al n.
56, a proposito del dialogo interreligioso: «Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma
è un’attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto da profondo rispetto
per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole» (EV 12/658).
90 Cf. EV 12/606. Una lettura documentata dell'evento di Assisi, contestualizzato rispet
to al Vaticano li e agli sviluppi successivi, è offerta da A . M elloni , «La rencontre d'Assise
et ses développements dans la dynamique du concile Vatican II», in D orè (ed.), Le chri-
stianisme vis-à-vis des religions, 99-130.
77
Annunciare C riito alle genti
78
3.
La teologia cristiana
del pluralismo
religioso
1 Per fare un esempio, Y. Huang distingue due differenti modelli di pluralismo, uno a
tendenza universalista, rappresentato da J. Hick, e un altro a tendenza particolarista, rap
presentato da S.M. Heim; Huang, da parte sua, ritenendo i primi due tra loro contrastanti,
ne propone un terzo che a suo parere rispetta meglio le peculiarità di ciascuna religione, e
che egli stesso definisce «pluralismo comunicativo» (cf. Y. H u a n g , «Religious Pluralism and
Interfaith Dialogue: Beyond Universalism and Particularism», in International Journal for
Philosophy oi Religion 37(1995), 127-144).
2 Oltre ai quattro che indichiamo come «rappresentativi», e dei quali riassumiamo il
pensiero, molti altri si potrebbero considerare: per menzionare almeno il nome di alcuni:
W.C. Smith, G. Kaufman, L. Swidler, D. Tracy, S. Samartha.
79
Annunciare Crùito alle genti
3 .1 . M o d e l l o t e o c e n t r ic o
A TENDENZA A P O F A T IC A :
J o h n H ic k e R a im o n Pa n ik k a r
J o h n Hick
3 Utili presentazioni sintetiche del pensiero interreligioso di Hick in: K. S urin , «Towards
a "M aterialist" Critique of "Religious Pluralism": A Polemical Examination of thè Discour-
se of John Hick and Wilfred Cantwell Smith», in The Thomist 53(1989), 655-673; R.T. S im p -
s o n , «The N ew Dialogue between Christianity and Other Religions», in Theology 22(1989),
92-102; E. A rens , «Die Vielfalt der Religionen als Herausforderung derTheologie», in Stim-
men der Zeit 118 (19 9 3 )2 11, 850-851; K.A. W alsh , «A Christian Theology of Religions and
thè Pluralist Paradigm», in Science et Esprit 49(1997)3, 294-313; H .-J. S ander , «Die Diffe-
renz der Religionen - Glauben im Pluralismus des Heiligen. Die Religionsdisput von Yama-
guchi und die pluralistische Religionstheorie von John Hick», in Neue Zeitschritt liir Mis-
sionswissenschaft 54(1998), 3-22, in pari. 13 -16 ; O.J. W iertz , «Eine Kritik an John Hicks
pluralistischer Religionstheologie aus der Perspektive der philosophischen Theologie», in
Theologie und Philosophie 75(2000), 388-416; B.E. K oziel , «Die Aufhebung der Soteriolo-
gie in Religionstheologie. Wie der religionstheologische Pluralismus die Theologie veràn-
dert», in Theologie und Philosophie 80(2005), 517 -54 5 (lo studio, sebbene non lo dichiari
nel titolo, è interamente dedicato a Hick). Una delle monografie più dettagliate, attenta
anche all'evoluzione interna del pensiero di Hick, è il volume di C. S in k in son , The Univer
se of Faiths. A Criticai Study of John Hick's Religious pluralism, Paternoster Press, Cum-
bria-Waynesboro 2001.
4 Così, raccogliendo un consenso praticamente unanime tra i critici, si esprime K oziel ,
«Die Aufhebung der Soteriologie in Religionstheologie», 523.
5 Cf. J. H ic k , God has many Names. Britain's New Religious Pluralism, Macmillan, Lon
don 1980.
6 Cf. H ick , God has many Names, 31-34 .
7 Cf. H ick, God has many Names, 1-6.
80
La teologia cristiana delpluralism o religioso
tentativo che Hick aveva avviato già da alcuni anni8 e che proseguirà
dopo il 1980 in molte altre pubblicazioni.9
Da ormai quattro decenni, dunque, i punti fondamentali della propo
sta di Hick sono gli stessi. I cristiani possono bensì continuare ad aderire
a Cristo come Salvatore, senza però pretendere che sia l'unico Salvatore.
La teologia neotestamentaria, a suo avviso, non porta necessariamente a
concludere per il modello (o «mito») dell'incamazione: probabilmente
neppure lo stesso Gesù ha designato se stesso come Messia o Figlio di
Dio. È stata invece - secondo lui - la cristologia dei primi concili, influen
zata dalle categorie di pensiero greco-romane, a rendere normativo que
sto modello. La cristologia calcedonese non è a suo parere più sostenibi
le, avendo scambiato un mito per una realtà;10 oggi i cristiani possono
tranquillamente lasciare da parte il «mito deU'incarnazione» - che anzi
secondo l'autore, qualora venga intesa come fatto reale, è «1"'eresia fon
damentale" del cristianesimo»11 - e continuare a proclamare la centralità
di Gesù per loro: purché si astengano dall'affermarla anche per tutti gli
altri uomini. Per tutti vale semmai la verità sottesa al «mito del Dio incar
nato», che altro non è se non «un modo di indicare in Gesù uno che
(metaforicamente) "ha incorporato" o "ha incarnato" il significato prati
co della realtà di un Dio che ama per la vita um ana».12
L’interpretazione metaforica dell'incarnazione porta Hick a ritenere
ininfluente il «fatto» e a privilegiare la «possibilità»: se il cristianesimo
anziché in occidente si fosse espanso in oriente, la sua dottrina avrebbe
avuto inevitabilmente altre espressioni: se ad es. avesse raggiunto l'India
quando il buddhismo si stava diffondendo, Gesù sarebbe stato identifica
to con un Bodhisattva anziché con il Logos.13 Pretendere di imporre la pro
pria interpretazione del divino, come per secoli ha fatto il cristianesimo,
produce i tristi frutti dell'imperialismo, del colonialismo, del razzismo e
persino dell'antisemitismo.14 Il cristianesimo deve invece prendere atto di
non essere nel cuore della Realtà ultima, ma di essere solo «uno dei tanti
mondi di fede che ruotano attorno e riflettono questa Realtà».15 Perché
«Realtà ultima» e non «Dio»? Il motivo è ovvio: le grandi tradizioni reli
giose non si riconoscono in un'unica concezione del «divino», anzi forse
8 Cf. J . H ick , God and thè Universe of Faiths, Fount, London 1977.
9 Per ricordarne alcune: J . H ick, Problems of Religious Pluralism, Macmillan, London
1985; J. H ic k - P. K n itt e r (edd.), L'unicità cristiana: un mito? Per una teologia pluralista
delle religioni, Cittadella, Assisi 1994, 291-312; J. H ick, An fnterpretation of Religion:
Human Responses to thè Transcendent, Yale University Press, N ew Haven-London 1989.
Altri studi dell'autore vengono menzionati nelle note seguenti.
10 È particolarmente esplicita la presa di distanza da Calcedonia in J . H ick , «A Respon-
se to Gerard Loughlin», in Modern Theology 7(1990), 58.
11 H ick, God has many Names, 74.
12 H ic k , «A Response to G eiard Loughlin», 62. Nello stesso articolo, breve ma signiti-
cativo, l'autore sintetizza la sua concezione di Cristo, definendolo «uno che ha rivelato a
molti di noi le possibilità dell'esistenza umana in risposta al Reale ultimo» (p. 66).
13 H ick, God and thè Universe of Faiths, 117.
,J Cf. a d es. H ick, A n fnterpretation of Religion, 326-337.
15 H ick, Problems of Religious Pluralism, 53.
81
Annunciare Crùito alle genti
82
La teologia cr'utiana delpluralism o religioso
avanti infatti una sorta di «quarta via», da lui chiamata «inclusivismo pluralistico», in realtà
l’autore ripropone semplicemente il pluralismo nella versione di Hick; esiste fra tutte le reli
gioni un fondo comune, una Realtà suprema, che ne rappresenta il centro; le differenze,
nonostante le apparenze contrarie, riguardano solo aspetti marginali, per cui ciò che è dav
vero importante in ciascuna religione è in grado di interagire ed essere convertito nei ter
mini di un'altra; nessuna religione può accampare una qualche superiorità sulle altre, anzi
si deve porre in atteggiamento di inferiorità per poter essere integrata e completata. Più che
una «quarta via», evidentemente, è semplicemente la «terza via», ossia il pluralismo.
20 Cf. H ick , «A Response to Gerard Loughlin», 64. Secondo Schmidt-Leukel, in effetti
Hick non si appoggia tanto sull’epistemologia kantiana quanto su quella tomista (cf. P.
Schmidt-Leukel, «Das Pluralistische Modell in der Theologie der Religionen. Ein Literatur-
bericht», in Theologische Revue 89(1993], 366); il che è certamente contestabile, dato che
il richiamo di Hick a Kant appare sostanziale, mentre quello a Tommaso appare più dichia
rato che effettivo (cf. C. M orerod, «La relation entre les religions selon John Hick», in Nova
et Vetera 75[2000]4, 56-58). Il famoso passo di Tommaso si legge in STh II-II, q. 1 , a. 2.
21 P. S chmidt -L eukel , «Religiose Vielfalt als theologisches Problem. Optionen und Chan-
cen der pluralistichen Religionstheologie John Hicks», in R. S chw ager (hrsg.), Chrìstus
allein? Der Streit um die pluralistiche Religionstheologie, (Quaestiones disputatae 160), Her
der, Freiburg-Basel-Wien 1996, 20 (ottima sintesi della gnoseologia di Hick ivi, pp. 16-21).
22 Cf. i testi di Hick raccolti e commentati da S chm idt -L eukel , «Religiose Vielfalt als
theologisches Problem», 2 7-31.
23 Cf. P. S chm idt -L eukel , «Pluralistiche Religions-theologie: Warum und wozu?», in
Ókumenische Rundschau 49(2000)3, 262-263.
83
Annunciare Cripto alle genti
R a im o n P a n ik k a r
84
La teologia cristiana delpluralism o religioso
[...] quell'intero in una maniera limitata [...]. Il fatto che i cristiani non abbia
no piena conoscenza di quel simbolo che chiamano Cristo rivela loro che essi
non sono i padroni di Cristo, e conferma loro che Cristo sorpassa ogni com
prensione.
Il volume ruota attorno alle idee del «nulla» e del «silenzio» come
atteggiamenti adeguati di fronte a Dio, anzi, come definizioni stesse di
Dio: «La divinità è silenzio, perché non dice nulla, perché nulla vi è da
dire»;33 «L’esperienza di Dio non è esperienza di nulla, non c’è un
oggetto "Dio" di cui si fa esperienza. È esperienza del nulla, per questo
è ineffabile»;34 «O gni volta che si nomina Dio [...] è poco meno che una
85
Annunciare Cr'uto alle genti
3.2 . M o d e l l o t e o c e n t r ic o
A T E N D E N Z A R E G N O C EN T R IC A
E S O T E R IO C E N T R IC A :
P a u l K n it t e r
86
La teologia cristiana delpluralism o religioso
una unità in cui ogni religione, pur perdendo qualcosa del suo individualismo
(del suo ego separato), intensifica la sua personalità (la sua autoconsapevo
lezza attraverso l'essere in relazione). O gni religione manterrà la propria u n i
cità, ma questa si svilupperà e diventerà più profonda entrando in relazione
con altre religioni in una mutua dipendenza.41
87
Annunciare Cr'uto alle genti
89
Annunciare Cr 'uto alle genti
51 K n itte r , Nessun altro nome?, 155.156. Cf. anche Id., «Nochmals die Absolutheitsfra-
ge. Griinde fùr eine pluralistische Theologie der Religionen», in Evangelische Theologie
49(1989), 515-516. Secondo Walsh la paternità di questo paragone tra il linguaggio coniu
gale e il significato delle prime professioni di fede nell'unicità di Gesù appartiene a K.
Stendhal (cf. W a ls h , «A Christian Theology of Religions and thè Pluralist Paradigma, 300).
52 K n itte r , Nessun altro nome?, 157.
53 Cf. R. B u ltm a n n , Neues Testament
und Mythologie. Das Probìem der Entmythoìogi-
sierung der neutestamentlichen Verkiindigung, Kaiser, Munchen 1985 (la prima edizione è
del 1941). La sua tesi centrale in merito è che «la fede nella risurrezione di G esù non è altro
che la fede nella croce come evento di salvezza» (cf. pp. 60-61; cf. anche Id., Theologie des
Neuen Testamentes, Siebeck, Tubingen 1984, 305).
54 Cf. H. S chillebeeckx , Gesù. La storia di un vivente, (BTC 26), Queriniana, Brescia
1976, 399-576. In questa prima edizione, l'autore sostiene che la certezza della risurrezione
di Gesù venne ai discepoli dall'esperienza di «conversione» che essi (e Pietro prima di tutti)
fecero dopo la morte di Gesù, sentendosi perdonati da lui e avvertendo la sua «presenza».
55 Cf. W . M a rx se n, Jesus and Easter: Did God Raise thè Historical Jesus from thè Dead?,
Abingdon, Nashville 1990. L'autore vi sostiene la tesi - da lui espressa fin dall'inizio degli
anni Sessanta - che la «risurrezione» non è altro se non un modo per dire che «la causa di
G esù continua», cioè per esprimere la permanente validità del suo messaggio.
90
La teologia cristiana delpluralism o religioso
56 K nitter , Nessun altro nome?, 186-188. L’autore di fatto riprende e sviluppa quanto
aveva già sostenuto Hick sulla intercambiabilità tra «risurrezione», «immortalità», «rein
carnazione» e simili; cf. in part. J. Hick, The Myfh of God incarnate, SCM, London 1978,
16 7-18 5.
57 K n itte r , Nessun altro nome?, 193.
58 K n itte r , Nessun altro nome?, 169.
59 K n itte r , Nessun altro nome?, 190.
60 Su questa distinzione si muove l'intero articolo di KNrrrER, «Nochmals die Abso-
lutheitsfrage»; la convinzione, che l’autore qui argomenta e che condivide con molti altri
teologi pluralisti, è che si possa parlare in un certo senso della «unicità» di G esù - in ter
mini relazionali, non in termini ontologici - e quindi di una sua universalità, ma non della
sua definitività, normatività e assolutezza.
91
Annunciare Cristo alle genti
3 .3 . M o d e l l o t e o c e n t r ic o c o n
C R IS T O L O G IA «C O S T IT U T IV A » :
J a c q u e s D u p u is
Il p r im o vo lu m e :
Gejà Cridto incontro alle religioni (1989)
Nel volume Gesù Cristo incontro alle religioni, del 1989, dopo avere
esposto i diversi modelli e specialmente quelli che, per dialogare con l'in
duismo, tendono a separare il Logos da Cristo, osservava che non si può,
all’interno del piano divino, separare l'azione anticipata del Logos dall’e
vento Gesù Cristo, nel quale il piano si attua. Il Logos destinato a incarnarsi
e il Logos incarnato sono una realtà una e indivisibile. Gesù Cristo, Verbo
incarnato, rimane, al centro del piano divino, mistero della salvezza [...]. Dio,
inserendosi personalmente nella storia degli uomini, dà a questa un signifi
cato nuovo e una densità inaudita. Per questo l'evento Gesù Cristo assume
un significato assoluto, irriducibile,- ed è per questo che Gesù Cristo, uno e
indivisibile, si trova posto oltre ogni «mito». Infatti, se Dio si è incarnato una
volta per tutte in Gesù di Nazaret, la sua esistenza umana è per tutti i tempi
e per tutti i luoghi il «sacramento dell'incontro» tra Dio e gli uomini [...]. Non
vi è teocentrismo cristiano che non sia anche cristocentrico. E neppure vi è
mistero cristico che sia dissociabile da Gesù di Nazaret; né Cristo della fede
senza Gesù della storia.62
61 Tra le decine di pregevoli studi critici sulle teorie interreligiose di Dupuis - alcuni dei
quali menzioneremo nel capitolo seguente - si veda come intelligente introduzione al suo
pensiero l’articolo di G . H a l l , «Jacques Dupuis’ Christian Theology of Religious Pluralismi),
in Pacifica 15(2002), 37-50.
62 Dupuis, G esù Cristo incontro alle religioni, 264-265.
63 Dupuis, G esù Cristo incontro alle religioni, 353.
92
La teologia cristiana delpluralism o religioso
D a l p r im o vo lum e
alla m età degli a n n i N o v a n t a
64 J . Dupuis, «La fede cristiana in G esù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiati
che», in G regorianum 75(1994), 218.
65 Dupuis, «La fede cristiana in Gesù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiatiche»,
225. Subito dopo l'autore prende le distanze dall'esclusivismo e dal pluralismo e si colloca
nella posizione inclusivista (cf. p. 226); e conclude; «Fuori considerazione sono qui le posi
zioni teologiche dell"'esclusivism o” , da una parte, come pure del cosiddetto "pluralismo",
dall'altra [...). L’ "inclusivismo'' sembra essere l’unico modello aperto a un approccio cri
stiano verso le altre religioni, allo stesso tempo fedele all'autocomprensione cristiana e
veramente aperto alla verità e alla grazia delle altre tradizioni» (p. 232).
66 Cf. Dupuis, «La fede cristiana in G esù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiati
che»,. 232-238.
93
Annunciare CrLtto alle genti
nel tempo di un Cristo che lo avrebbe trasceso [...]. Rimane quindi da dire che
nel cristianesimo è proprio l'evento Gesù-Cristo ad assumere un significato
assoluto, irriducibile; e ciò a causa del mistero dell'incamazione [...]. Non vi è
dunque un mistero cristico che sia dissociabile da Gesù di Nazaret; né un Cri
sto della fede senza il Gesù della storia.67
E poco più avanti, criticando la valenza puramente «relativa» attri
buita da Le Saux all’intervento divino nel tempo, aggiunge:
Se però Dio stesso si inserisce personalmente nella storia umana, non dob
biamo forse dire che questo evento acquista nell'ordine storico un valore uni
versale? È proprio così che la fede cristiana ha compreso l’evento di Gesù Cri
sto, attribuendogli a un tempo un carattere unico e una portata cosmica. Esso
lo ha fatto professando che il mistero cristico è inseparabile dal Gesù storico
[...). Esso rifiutava quindi di dissociare il mistero di Cristo dalla storia di Gesù.68
94
La teologia cristiana del pluralismo religioso
così che «le altre tradizioni esercitano in relazione ai loro membri una
certa mediazione del Regno».74 Il dialogo interreligioso non si svolge così
tra alcuni appartenenti al Regno (i cristiani) e altri che ne sarebbero fuori
(gli «altri»), ma
tra persone appartenenti già insieme al regno di Dio, inaugurato nella storia
in Gesù Cristo [...]. Ciò mostra anche perché il dialogo interreligioso è una
condivisione che consiste nel ricevere e nel donare; che, cioè, non è a senso
unico, non è un «monologo» ma un «dialogo». La ragione è che la realtà del
regno di Dio è vissuta preliminarmente in un mutuo scambio tra i cristiani e
gli altri. Il dialogo rende esplicita questa comunione preliminare nella realtà
della salvezza che è il regno di Dio venuto in Gesù per tutti.75
95
Annunciare Cripto alle genti
Nel volume del 1997 si respira un clima molto diverso: Dupuis, muo
vendosi non più nella problematica della «teologia delle religioni», ma
- come si evince dal titolo stesso - in quella del «pluralismo religioso»,
adotta con decisione un modello «teocentrico». Non si elencheranno i
numerosi meriti di questo ponderoso volume di quasi 600 pagine: basti
dire che attualmente costituisce la più ampia e sistematica rassegna esi
stente sull'argomento (quasi 490 sono gli autori citati, tra antichi e
moderni, e circa il doppio i titoli, tra opere, articoli e libri). È un imma
ne tentativo di rileggere l'intera problematica in maniera aggiornata e
nello stesso tempo ancorata alle fonti: di qui, nella prima parte, l’ampio
spazio dedicato alla Scrittura (AT e NT), ai padri e alla storia della teo
logia. La seconda parte, di carattere sistematico, presenta alcune pro
spettive piuttosto innovative e rilevanti per l'argomento che stiamo
affrontando: su questa parte, dunque, ci soffermiamo, evidenziandone
le idee fondamentali secondo una nostra scansione. Nel corso dell'e
sposizione introdurremo anche riflessioni che lo stesso autore ha pub
blicato in seguito.
Una prima serie di affermazioni riguarda l'estensione della storia «spe
ciale» della salvezza a tutti i popoli. Dupuis propende per la tesi secondo
la quale la storia dei popoli extrabiblici può svolgere per essi, nell’ordine
della salvezza, un ruolo analogo a quello svolto per gli ebrei dalla storia
d’Israele, «in quanto comprendente eventi storici la cui rilevanza salvifica
divina è garantita da una parola profetica».77 Richiamando G v 1,9 («la
luce vera, quella che illumina ogni uomo») e l’insegnamento di Giovanni
Paolo II circa la presenza e azione universale dello Spirito (specialmente
in Redemptoris missio, nn. 28-29), Dupuis conclude che
una teologia della pluralità religiosa deve esprimere chiaramente la presenza
universale del Verbo e dello Spirito nelle tradizioni extra-bibliche.78
96
La teologia cristiana del pluralismo religioso
97
Annunciare Cristo alle genti
Ancora: essa rimane «limitata, incompleta e imperfetta. In primo luogo, nessuna coscienza
umana, neppure quella del Figlio-di-Dio-divenuto-essere-umano, può comprendere e con
tenere il mistero divino. Le parole umane, fossero anche pronunciate da Dio stesso, non
possono esaurirne la realtà. A questa limitazione ineludibile, intrinseca, che affligge la rive
lazione di Dio in Gesù Cristo, va aggiunto poi un limite specifico dovuto al particolare idio
ma in cui Gesù si esprimeva, l'aramaico parlato ai suoi tempi. Ciò mostra che la "pienez
za" attribuita dalla fede cristiana alla rivelazione in Gesù Cristo deve essere intesa corret
tamente e non in maniera incondizionata» (ivi, 367).
83 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 341.
84 Cf. D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 351-355.
85 Da Hick, l'autore prende l’idea che i novantanove nomi di Allah si possano agevol
mente raggruppare attorno a tre serie: Dio in quanto creatore e sovrano onnipotente del
l’universo, in quanto grazioso e indulgente, in quanto a noi intimamente presente (cf.
D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso. 360).
86 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 377. Per ulteriori rifles
sioni dell'autore sull'impronta trinitaria presente in ogni autentica esperienza del divino, cf.
J. D u p u is , «"Abbiamo tutti lo stesso Dio"», in Credere oggi 22(2002)129, 155-168. Il para
gone tra il dogma trinitario cristiano e i possibili echi «trinitari» nell'induismo è stato pro
posto da altri autori, come R. Panikkar e M. von Brùck: cf. la presentazione di questo aspet
to della loro riflessione in F. D O r in g , «Synkretismus oder kreative Integration?», in R.
G O n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fùr H.
Waldenfels, Bonifatius, Paderbom 1996, 433-445.
98
La teologia cristiana del pluralismo religiojo
87 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 374: l'autore rimanda al
(problematico!) concetto eckhartiano di una «suressenza» della Divinità al di là delle tre
Persone. Dupuis aveva già avanzato questa tesi, con parole molto simili e nel medesimo
contesto del dialogo con l'induismo, ma senza citare Eckart, in D u p u is , «La fede cristiana in
Gesù Cristo in dialogo con le grandi religioni asiatiche», 238-239.
88 Dupuis ritiene che Rahner abbia usato «imprudentemente» l'espressione «assolutez
za del cristianesimo» (cf. ad es. J. D u p u is , «Le pluralisme religieux dans le pian divin de
salut», in Revue Théologique de Louvain 29(1998), 494; l’intero contributo (pp. 484-504] è
una precisa e utile sintesi dei contenuti fondamentali del volume; si può leggere anche in
trad. inglese: «One God, one Christ, convergent ways», in Theological Digest 43[2000]3,
211-218); altrove Dupuis ribadisce che Rahner ha usato «forse inavvertitamente» la cate
goria di «assolutezza del cristianesimo», e che l'intera problematica che porta questo nome
è una «errata questione» (cf. J . D u p u is , «Cristo universale e vie di salvezza», in Angelicum
74[1997), 196-197).
89 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 381.
90 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 398.
91 D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, 399.
99
Annunciare Crùito alle genti
100
La teologia cristiana del pluralismo religioso
3.4. R a d i c i r e m o t e e p r o s s i m e
D E L T E R Z O P A R A D IG M A
Pseudo-D ionigi
101
Annunciare CrLtto alle genti
100È il procedimento delia diataxis, così descritto dall’autore stesso: «Dobbiamo doman
darci come sia possibile ottenere una conoscenza di Dio, dato che egli non è intelligibile,
né sensibile, né più generalmente alcuno degli enti. Non risponde certo a verità l'afferma
zione che conosciamo Dio a partire dalla sua natura (poiché essa è indicibile e oltrepassa
ogni parola e ogni mente); piuttosto, dal perfetto ordine di tutti gli enti, che origina da lui e
che contiene a modo di icone e sembianze i suoi divini paradigmi, gradualmente e con ordi
ne saliamo, per quanto è a noi possibile, verso ciò che si colloca al di là di tutto, immer
gendosi sempre più nell'aferesi e nel superamento di tutto, e nella causa che riunifica ogni
cosa» (De divinis nominibus, VII,3: PG 3.869D-872A).
101 De mystica theologia, V: PG 3.1045D.1048AB.
102Osserva in proposito Yannaras: «L'apofatismo teologico, in quanto iconismo analogi
co, costituisce un superamento della metodologia teorico-gnoseologica: sia della via analo
gica delle affermazioni e negazioni che del procedimento induttivo della causalità» (C.
Y a n n a r a s , Heidegger e Dionigi Areopagita. Assenza e ignoranza di Dio, Città Nuova,
Roma 1995, 69).
102
La teologia cristiana del pluralismo religioso
M eister Eckhart
103 Alcuni tra i testi più rappresentativi si trovano in s. Tommaso: cf. STh I, q. 12, a. 11;
I, q. 13, a. 5.
104 Cf. K. R u h , Mefs(er Eckhart. Teologo - Predicatore - Mistico, Morcelliana, Brescia
1989, 118. Il volume si raccomanda per la chiarezza e l'abbondante documentazione.
105 R u h , Meister Eckhart, 70.
106 R u h , Meister Eckhart, 77.
107 La dipendenza dall'apofatismo dello Pseudo-Dionigi è evidente in molte pagine di
Eckhart. Rappresentativa è quella che segue, tratta dal Sermone 46 su Pr 13,13, «Beatus
homo qui invenit sapientiam»: «Un Maestro dice: T\itto quello che si può affermare di Dio,
è Dio. Un altro dice: Tutto quello che si può affermare, non è Dio. Entrambi dicono il vero.
Agostino dice: Dio è potenza, sapienza e bontà. Dionigi dice: Dio è sovrasapienza e sovra-
bontà e sopra a tutto quello che si può affermare. Perciò nella Scrittura si danno a nostro
Signore tanti nomi, e per due motivi: il primo è che non si può cogliere la sua nobiltà con
nessuna parola, perché egli è al di fuori e al di sopra di ogni natura e ha una nobiltà non
naturale. Ora lo si chiama Potenza, ora lo si chiama Luce, ma egli è al di sopra di tutte le
luci. Perciò lo si chiama "questo e quello", e ciò perché egli non è, in senso proprio, nessu
na di queste cose. Se si potesse cogliere con qualche nome la sua nobiltà, egli manterreb
be sempre tali nomi. Può parlare maggiormente di Dio chi più lo nega - come si può dimo
strare con l'esempio della nave. Se io volessi dare l’idea di una nave a una che non ne ha
mai viste, gli direi che non è di pietra né di paglia, e cosi gli avrei comunicato qualcosa di
questa nave. - Due Maestri stavano pregando. Uno invocò nostro Signore nella sua poten
za e sapienza. L'altro disse: Taci, tu bestemmi Dio. Dio è tanto elevato al di sopra di tutto
quel che possiamo dire, che, se non fosse così umile, e i santi non avessero parlato così e
Dio non lo avesse accettato da loro, io non mi azzarderei a lodarlo con parole» (testo in R u h ,
Meister Eckhart, 83-84, con piccole varianti nella traduzione).
108 Leggiamo ad es. in un sermone tedesco: «Dio è qualcosa che è necessariamente al
di sopra dell'essere. Infatti ciò che ha essere, tempo o luogo non tocca Dio. Egli sta al di
103
Annunciare Cristo alle genti
sopra. Dio è in tutte le creature, nella misura in cui hanno l'essere, ed è tuttavia al di sopra
di esse. Ciò che fa che egli sia in tutte le creature, lo situa anche al di sopra di esse: ciò che
è uno in molte cose, deve necessariamente essere sopra di quelle [...]. Ogni cosa opera nel
proprio essere, nessuna può operare al di sopra del proprio essere. Il fuoco non può opera
re che nel legno. Dio opera al di sopra dell'essere, in quella ampiezza in cui può muoversi.
Egli opera nel non essere. Dio operava anche prima che vi fosse l'essere; operava l'essere
prima che l'essere vi fosse. Alcuni maestri dallo spirito rozzo dicono che Dio è un puro esse
re, ma egli è così elevato al di sopra dell'essere quanto il più elevato degli angeli lo è al di
sopra del moscerino. Se chiamassi Dio essere, parlerei tanto falsamente quanto se dicessi
che il sole è pallido o nero. Dio non è né questo né quello. Un Maestro dice: Chi crede di
aver conosciuto Dio, e con ciò di aver conosciuto qualcosa, non lo conosce affatto. Ma quan
do ho detto che Dio non era un essere e che era al di sopra dell'essere, non gli ho con que
sto negato l'essere, bensì, al contrario, gli ho attribuito un essere più elevato» (Predigt 10
«Quasi stella matutina», in M e is t e r E c k h a r t , Deutsche Predigten und Traktate, hrsg. u.
ubers. von J. Q u in t , Diogenes, Zurich 1979, 194.196).
109 M e is t e r E c k h a r t , Deutsche Predigten und Traktate, 197. N e lla b o lla d i G io v a n n i
X X I I In agro dominico, d e l 1329, d o v e v e n g o n o c o n d a n n a t e 28 p r o p o s iz io n i to lte d a lle
o p e re d i E c k h a r t, è r ip o r ta ta q u a s i le tte r a lm e n te l'u lt im a p a r te d e l p a s s o a p p e n a citato:
« D e u s non est bonus neque melior neque optimus; ita male dico, quandocumque voco
Deum bonum, ac si ego album vocarem nigrum» (Denz 978). L a p r o p o s iz io n e c ita ta p e r u l t i
m a v ie n e c o n d a n n a ta c o m e « e r e tic a » (in s ie m e a d a ltre s e d ic i) e n o n s e m p lic e m e n te c o m e
«male sonans» (sorte c h e to c c a a d a ltre u n d ic i) (cf. Denz 9 7 9). «L ’a s s e rz io n e in c r im in a ta
te s tim o n ia il p r o b le m a d i fo n d o d e l p r o c e d im e n to d i a c c u s a : l'is o la m e n to d i p r o p o s iz io n i
s in g o le . È c e r ta m e n te s c io c c a n te , a n z i b la s fe m o , p e r d e i f e d e li a p p r e n d e r e d a lla b o c c a d e l
p r e d ic a to r e c h e è fa lso c h ia m a r e D io " B e n e " . N e l co n te sto , in v e c e , l'a ffe r m a z io n e eckhar-
tia n a è m o lto p e n e tr a n te , m a n ie n te a ffa tto in s id io s a » (R u h , Meister Eckhart, 96). Q u i r is u l
ta p a r tic o la r m e n te p e r tin e n te la fa m o s a o s s e r v a z io n e c h e u n a ltr o g r a n d e m is tic o r e n a n o , J.
T a u l e r , c o m u n ic ò a i s u o i fe d e li a p ro p o s ito (q u a s i c e r ta m e n te ) d i E c k h a r t: « S u c iò v i h a
is tru ito e p a r la to u n a m a b ile m a e s tr o e v o i n o n a v e te c o m p r e s o . E g li p a r la v a d a l p u n t o d i
v is ta d e ll'e te r n ità , e v o i a v e te in te s o s e c o n d o il t e m p o » (Sermone 15 «Clarilica me, pater
charitate», i n J . Ta u l e r , Predigten, h rs g . v o n F. V et t er , J o h a n n e s V e rla g , E in sie d e ln - T rie r
1987, B d . I, 103). R e sta c o m u n q u e il fa tto c h e il lin g u a g g io d i E c k h a r t è q u a n to m e n o im p r e
ciso e a m b ig u o .
110Come es., si veda il sermone su Sap 5,16, «lusti vivent in aeternum»: «Devi del tutto
spogliarti della tua volontà propria. Di recente ho avuto questo pensiero: se Dio non voles
se come me, io vorrei comunque come lui. Molti vogliono avere in ogni cosa una propria
volontà, ma questo è male, insozza le cose. Altri si comportano un po' meglio, vogliono quel
che Dio vuole, non vogliono nulla contro la sua volontà e, se fossero malati, vorrebbero che
fosse volontà di Dio E loro esser sani. Così costoro vogliono che Dio voglia secondo la loro
volontà, invece di volere secondo la sua. Si può ammetterlo, ma non è bene. I giusti non
hanno assolutamente volontà propria: quel che Dio vuole è per essi del tutto uguale, per
104
La teologia cristiana del pluralismo religioso
N icolò Cusano
quanto grande sia il disagio» (Predigt 7, in M e ist er E c k h a r t , Deutsche Predigten und Trak-
tate, 183; cf. anche Predigt 32, ivi, 304-308).
1,1 Predigt 6, i n M e is t e r E c k h a r t , Deutsche Predigten und Traktate, 178.
112 «Est ergo in nobis quaedam, ut ita dicam, docta ignorantia, sed docta spiritu Dei qui
adiuvat infirmitatem nostram» (A g o s t in o , Lettera 130,15,28).
113In maniera efficace egli esprime questa idea attraverso l'esempio del poligono e del
cerchio: «Un intelletto finito [...] non può raggiungere con precisione la verità delle cose
procedendo mediante similitudini. La verità non ha gradi, né in più né in meno, e consiste
in qualcosa di indivisibile; sicché ciò che non sia il vero stesso, non può misurarla con pre
cisione, come il non-circolo non può misurare il circolo, la cui realtà è qualcosa di indivisi
bile. Perciò l’intelletto, che non è la verità, non riesce mai a comprenderla in maniera tanto
precisa da non poterla comprendere in modo più preciso, all'infinito; e ha con la verità un
rapporto sìmile a quello del poligono col circolo: il poligono inscritto, quanti più angoli avrà
tanto più risulterà simile al circolo, ma non si renderà mai eguale ad esso, anche se molti
plicherà all'infinito i propri angoli, a meno che non si risolva in identità col circolo. È dun
que evidente che, per quanto riguarda il vero, noi non sappiamo altro se non che esso è
incomprensibile nella sua realtà in maniera precisa; che la verità è come la necessità più
assoluta, che non può essere né di più né di meno di ciò che è, e il nostro intelletto è come
la possibilità. L'essenza delle cose, che è la verità degli enti, è intangibile nella sua purez
za, ricercata da tutti i filosofi, ma da nessuno scoperta nella sua realtà in sé. E quanto più a
fondo saremo dotti in questa ignoranza, tanto più abbiamo accesso alla verità stessa» (N.
C u s a n o , La dotta ignoranza 1,10, in Id., La dotta ignoranza. Le congetture, Rusconi, Milano
1988, 72).
1M C f. C u s a n o , La dotta ignoranza 1,43.45, in Id., La dotta ignoranza. Le congetture, 96-
97 .
105
Annunciare Crùito alle genti
106
La teologia cristiana del pluralismo religioso
ficoltà di fare di Dio un oggetto come un altro della nostra conoscenza. Poiché
la verità precisa delle cose ci è interdetta - nulla sappiamo della essenza del
l'uomo o di quella della pietra -, conosciamo soltanto mere apparenze, ed è su
di esse che fonda le sue certezze il nostro sapere. Inutile pertanto il tentare di
attribuire a Dio un nome e dei caratteri, che la nostra ragione non potrebbe
fare a meno di attingere dal mondo creaturale, esplicazione contratta della
perfezione divina, e dalle «congetture» prodotte dall'attività del nostro intel
letto. Dio, che è il massimo assoluto che in sé tutto complica e comprende, tra
scende ogni definizione restrittiva data dalla ragione [...] ed è così di gran
lunga preferibile pensare a lui come a un dio ignoto e senza nome, piuttosto
che come a un essere provvisto di caratteri e qualità, sia pure di genere eccel
so, e al quale sia perciò possibile assegnare nome e attributi.119
3 .4 . 2 . L a p i s t a g n o s e o l o g i c a
ILLUMINIS TA:
J ea n -Jacqu es R o u ssea u ,
Im m a n u e l K ant,
G o t t h o l d E p h r a im L e s s in g ,
E rnst T roeltsch
La seconda metà del XVII e l'intero XVIII secolo sono percorsi dall'a
nelito alla pace e armonia tra le nazioni, che si volevano raggiungere
facendo leva sull'uomo, sulla natura, sulla ragione. Fu un periodo di
grande ottimismo nelle capacità umane, nella bontà originaria della
natura e nella ragione. Le religioni infatti, nella convinzione di molti,
avevano dimostrato di contrastare la pace e favorire guerre e battaglie;
vicende dolorose segnavano da secoli i rapporti tra cristiani e musulma
ni: dalle crociate alla battaglia di Lepanto del 1571 e al tentativo di con
quistare Vienna da parte dei turchi nel 1683; i rapporti tra le diverse
confessioni cristiane, poi, erano segnati dall'incomprensione e dalla vio
lenza: si pensi solo alla devastante «guerra dei trent’anni», combattuta
tra il 1618 e il 1648, dove politica e odio religioso si intrecciavano ine
stricabilmente.
L'illuminismo aveva coniato e diffuso l’ideale della pace mondiale,
che sembrava comportare il superamento delle differenze tra le religio
ni e l'unificazione dell'umanità sotto una medesima religione, universa
le e razionale, che avrebbe dovuto cancellare la diversità dei «riti» (le
singole tradizioni religiose), con le loro peculiarità, e convergere su
alcuni contenuti comuni e condivisi: Dio, la libertà umana e l'immorta
lità dell'anima. Questo grande progetto, che verrà svolto sistematica-
mente nella poderosa riflessione di I. Kant (f 1804), trova una delle
espressioni letterarie più incisive nell'opera L'Emilio o d e ll’educazione
di J.-J. Rousseau (f 1778).
107
Annunciare Crùito alle genti
Je a n -Ja c q u e s Rousseau
120 Citiamo da J.-J. R o u s s e a u , L'Emilio, in Id., Opere, Sansoni, Milano 1993, 349-712.
121 R o u s s e a u , L'Emilio, 562.
122 R o u s s e a u , L'Emilio, 562-563.
123 R o u s s e a u , L'Emilio, 562.
108
La teologia cristiana del pluralùmo religioso
Im m anuel Kant
109
Annunciare Cruto alle genti
so a suo luogo, fa da sottofondo alle tesi di J. Hick: cf. le puntuali osservazioni di H uang,
«Religious Pluralism and Interfaith Dialogue», 134-135.
128 È la tesi fondamentale della Critica della ragion pura (1787), testo fondamentale
nella storia della filosofia occidentale: ottima ed. in lingua italiana Laterza, Bari 2000 (in
pari.: «Dottrina trascendentale del metodo», c. II, sezione I e II: pp. 491-503).
129 E. K a n t , La religione nei limiti della semplice ragione (1793); citiamo dall'ed. italia
na TEA, Milano 1997, 177.
130Basta leggere il volumetto su Gesù per rendersi conto di come il discepolo segua da
vicino il maestro: G.W.F. H e g e l , Vita di Gesù (1795), (Gdt 278), Queriniana, Brescia 2001.
La fortissima critica che Kant levava contro la cosiddetta «religione statutaria» in favore
della «religione naturale» o «razionale» convinse profondamente Hegel: il cristianesimo
doveva spogliarsi di ogni elemento soprannaturale, di ogni pretesa legge positiva rivelata
e fare spazio solamente alla ragione e alla legge naturale, quella che attraverso la coscien
za alberga nel cuore di ogni essere umano. Cristo non è venuto a dare nuove leggi rivela
te, bensì a risvegliare nella coscienza dell'umanità la propria «dignità», cioè la consapevo
lezza che l'uomo, compiendo il bene ed evitando il male, raggiunge l’altissimo scopo per il
quale Dio lo ha creato. Un’affermazione per tutte, tra quelle che Hegel mette in bocca a
Gesù nelle sue parafrasi del vangelo: «Rispetto per voi stessi, fede nella santa legge della
110
La teologia cristiana del pluralismo religioso
vostra ragione e attenzione per il giudice che avete nel petto, per la coscienza, un criterio
che è anche il criterio della divinità: questo ho voluto risvegliare in voi» (ivi, 114). Le due
maggiori censure dell’opera, non a caso, sono i miracoli e la risurrezione di Gesù.
131 G. M o i o l i , «Cristologia», in Dizionario teologico interdisciplinare, Marietti, Casale
Monferrato 1977, 643.
Ili
Annunciare Cristo alle genti
E rn st Troeltsch
112
La teologia cristiana del pluralismo religioso
la storia non conosce un concetto universale dal quale le sia possibile dedurre il
contenuto e la successione dell’effettivo accadere; conosce solo fenomeni con
creti, individuati, sempre condizionati in un contesto, realtà di fatto e non già
logicamente deducibili. La storia, proprio per questo, non conosce norme e valo
ri coincidenti con universali di fatto, norme e valori essa li conosce solo sotto l'a
spetto di idee universalmente valide o con pretesa di universale validità, che
sempre si presentano in forma individuata, e che tale loro universale validità
proclamano non già in accordo, ma in lotta con la pura realtà di fatto. Per tutte
queste ragioni la storia non conosce un'evoluzione nella quale l'universale effet
tuale, nel suo necessario dispiegarsi, generi e realizzi l'universale assiologico, e
ignora da ultimo una realizzazione assoluta del concetto universale in un conte
sto storico: sempre, in ogni punto del suo realizzarsi, l'universale dà origine solo
a fenomeni particolaristicamente determinati e limitati e perciò individuati.137
Da queste osservazioni provengono le lapidarie sentenze poste all'ini
zio e alla fine del libro:
La costruzione del cristianesimo come religione assoluta è, dal punto di
vista storico e con mezzi storici, impossibile.138
Una figura di cristianesimo immutabile sarebbe la fine del cristianesimo.
Essa non è mai esistita, e potrebbe esistere (paradossalmente) solo se il cri
stianesimo fosse realtà puramente intrastorica (o intramondana).139
I motivi di questa impossibilità si riassumono nel fatto che
il cristianesimo è, in tutti i momenti della sua storia, un fenomeno puramente
storico con tutti i condizionamenti propri appunto di un fenomeno storico indi
viduato, e non si differenzia in questo per nulla dalle altre grandi religioni.140
Il metodo che si fonda sul tentativo di costruire il cristianesimo come la reli
gione assoluta è dunque insostenibile. Se i padri della teologia storico-evolutiva
lo hanno potuto instaurare, ciò è solo perché la storia delle religioni era, al loro
tempo, ancora oltremodo povera e ristretta e perché le loro ricerche sul cristia
nesimo oscillavano ancora tra parziali interpretazioni razionalistico-pragmati-
che e fantasie poetico-intuitive. Soltanto sulla nebbia di ima conoscenza storica
ancora molto indeterminata poteva brillare l'arcobaleno di simili costruzioni.141
113
Annunciare Cruto alle genti
3 .4 . 3 . L a p i s t a
POST-MODERNA
114
La teologia cristiana del pluralismo religioso
questo clima post-moderno» e aggiunge - dopo aver notato una carenza quasi completa
dei riferimenti scritturistici nella posizione pluralista: «Ora, se l’ottica dei "pluralisti"
fosse quella di una filosofia della religione, questa rimozione delle scritture bibliche
sarebbe, non dirò giustificabile, ma tollerabile. A renderla sconcertante è il fatto che si
tratta di teologi cristiani, che in quanto tali affrontano il problema della salvezza» (pp.
24.28). Sulla stessa lunghezza d'onda anche le osservazioni di J. W e r b ic k , «Der Plurali
s m i der pluralistichen Religionstheologie. Eine Anfrage», in S c h w a g e r (hrsg.), Christus
allein?, 141-146.
148 K. S u r in , «Towards a "Materialist" Critique of "Religious Pluralism": A Polemical
Examination of thè Discourse of John Hick and Wilfred Cantwell Smith»», in The Thomist
53(1989), 655-673.
149H. W a l d e n f e l s , «Das Christentum im S tre it der Religionen um die Wahrheit», in W.
K e r n - H.J. P o t t m e y e r - M. S e c k l e r (hrsg.), Handbuch der Fundamentaltheologie, I, Her
der, Freiburg-Basel-Wien 1985, 241-265, in part. 242-243.
150Cf. J.B. T r a p n e l l , «Indian Sources of thè Possibility of a Pluralist View of Religions»,
in Journal of Ecumenica1Studies 35(1998), 210-232.
115
Annunciare C riito alle genti
Conclusione
Le tre piste, teologico-negativa, filosofico-gnoseologica e culturale post
moderna, costituiscono dunque le «radici» dell'orizzonte pluralista: come è
emerso nell'esposizione delle riflessioni di alcuni suoi rappresentanti, esse
vengono poi fuse con i risultati della ricerca sul cosiddetto «Gesù storico»
- in particolare le tesi di Hamack e Bultmann che, sebbene da sponde
opposte, concordano nel dividere il Logos da Gesù - e danno origine alla
tesi della distinzione netta tra l'essere e l'agire «divino» da ima parte
(mistero, Realtà ultima, Logos, Cristo, ecc.) e l'essere e l’agire «umano»
dall'altra (i diversi «profeti» di Dio: Gesù, Buddha, Maometto, ecc.).
3 .5 . « S a l v e z z a » e « m i s s i o n e »
N E L P A R A D IG M A P L U R A L IS T A
116
La teologia cristiana delpluralismo religioso
soteria. Inoltre, i cristiani non hanno bisogno di chiarezza ortodossa sul fatto
che Gesù è l'«unica norma», o la norma «finale» o «universale», per fare espe
rienza della verità liberante del suo messaggio e per dedicarvisi totalmente.
Non coloro che proclamano «Signore, Signore», ma quelli che fanno la volontà
del Padre entreranno nel regno dei cieli (cf. Mt 7,21-23).151
Questo orientamento soteriologico, antropologico e pratico, già pre
sente comunque nel suo volume, porta l’autore a ipotizzare una riforma
radicale della «missione» cristiana nel mondo. Nonostante la lunghezza
della citazione, vale la pena di riportare una pagina particolarmente luci
da di Knitter:
Molti avranno la sensazione e obietteranno vigorosamente che questo
nuovo modello di verità, specialmente con le sue implicazioni relative alla
dipolarità delle religioni, mina la lunga e diletta tradizione cristiana dell'at
tività missionaria. Non v'è dubbio che la concezione relazionale della verità
religiosa esige una revisione radicale del modello tradizionale dell’attività
missionaria, dei suoi fini primari, dei suoi metodi, delle sue motivazioni. Pre
cisamente attraverso questa revisione - così suona la contro-obiezione - l'a
postolato missionario può essere integralmente definito in maniera più chia
ra e ricevere un nuovo slancio. Questo rinnovamento dei fini della missione
è in linea con la nuova concezione della natura della missione della Chiesa.
La teologia cristiana, sia protestante che cattolica, ammette che la Chiesa
non va identificata con il regno di Dio. Il Regno, la presenza salvante e rive
lante di Dio nel mondo, è più vasto della Chiesa e opera anche attraverso
mezzi diversi dalla Chiesa. Pertanto la missione primaria della Chiesa non è
la «faccenda della salvezza» (rendere gli uomini cristiani affinché possano
salvarsi), bensì il compito di servire e di promuovere il regno della giustizia
e dell'amore - in veste di suo segno e serva - ovunque esso può prendere
corpo. Al fine di promuovere il Regno, i cristiani devono render testimo
nianza a Cristo. Tutti i popoli e le religioni devono conoscerlo, al fine di
cogliere il contenuto pieno della presenza di Dio nella storia. Questo bisogno
fa parte della finalità e della motivazione di giungere sino ai confini della
terra. Ma nella nuova ecclesiologia e nel nuovo modello di verità ammettia
mo che tutti i popoli dovrebbero conoscere Buddha, Maometto e Krishna.
Pure questo fa parte del fine e dell'ispirazione del lavoro missionario: acco
gliere la testimonianza, affinché i cristiani possano approfondire e ampliare
la loro conoscenza della presenza e della finalità di Dio nel mondo. Attra
verso questa mutua testimonianza, questa mutua crescita, l'opera della rea
lizzazione del Regno fa passi in avanti. In una simile concezione della mis
sione, la conversione rimane un'istanza valida e significativa. Ma non è più
il fine primario, la ragion d'essere dell'attività missionaria. Se altri si con
vertono alla comunità cristiana, il missionario ne gioirà, qualora la conver
sione si sia verificata in maniera libera e come un'integrazione dell’identità
culturale e personale dell'interessato. Ma se la conversione al cristianesimo
non si verificherà, lo spirito del missionario non si abbatterà. Il fine centrale
della missione è realizzato nella misura in cui, attraverso la mutua testimo
nianza, tutti sono convertiti a una conoscenza e a una sequela più profonda
della verità di Dio. Questo assicura la crescita del Regno. Possiamo perciò
117
Annunciare Crùto alle genti
118
4.
Missione:
dialogo e annuncio
nel contesto
interreligioso
La relazione tra il cristianesimo e le altre religioni è certamente una
sezione della teologia - oltretutto ormai piuttosto corposa - ma non è solo
questo: essa mette in gioco infatti gli assi portanti della fede cristiana: la
concezione di Dio e della rivelazione, l'idea della salvezza, l'opera delle
persone della Trinità, la natura e funzione della Chiesa. Non c'è articolo
del Credo che non risulti implicato nella questione. Si può quindi certa
mente dire che
la riflessione critica e sistematica sul rapporto tra la fede cristiana e le altre
religioni [è] una dimensione intrinseca dell'intera teologia e viene presa dav
vero sul serio solo quando viene integrata in tutti i campi della teologia, negli
ambiti cioè della teologia storica, pratica e sistematica.
In questo capitolo conclusivo raccogliamo alcuni degli elementi
emersi in precedenza, dedicando ampio spazio al dibattito degli ultimi
anni: in esso infatti si coagulano le più importanti riflessioni oggi dispo
nibili - a partire dai tre orizzonti sopra delineati - sul rapporto tra sal
vezza, missione e religioni. La prospettiva ecclesiocentrica in realtà è
stata ormai - e a buon diritto - abbandonata da tutti e quindi il confron
to verte di fatto sul rapporto tra quella cristocentrica e quella teocentri
ca o pluralista. Sarà perciò opportuno riprodurre i tratti essenziali del
confronto teologico e degli interventi magisteriali relativi al dibattito
interreligioso contemporaneo (4 . 1), per proporre poi alcune nostre rifles
sioni conclusive sull'argomento (4 .2).
1 A. Bsteh, «Kirche der Begegnung. Zur Òffnung der Kirche im Zweiten Vatikanum fiir
einen Dialog des Glaubens mit den nichtchristlichen Religionen», in R. Schwager (hrsg.),
Christus alleili? Der Streit um die pluralistiche Religionstheologie, (Quaestiones disputatae
160), Herder, Freiburg-Basel-Wien 1996, 79. La stessa convinzione è espressa anche da F.
Kónig, «Der interreligiose Dialog - auf dem Weg zu einer Theologie der Religionen», in R.
Gunther (hrsg.), Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fùr H.
Waldenfels, Bonifatius, Paderbom 1996, 364.
119
Annunciare Cridto alle genti
4 .1 . I l m a g i s t e r o
E L A T E O L O G IA C A T T O L IC A
DI F R O N T E A L L E P R O P O S T E
T E O C E N T R I C H E 2
Conviene distinguere due fasi nel dibattito degli ultimi decenni: una
prima riguarda gli interventi teologici e magisteriali sulle prime espres
sioni del teocentrismo, specialmente quella di Hick; una seconda fase
concerne le posizioni di Dupuis, alle quali non solo i teologi cattolici ma
anche il magistero hanno dedicato da qualche anno un'attenzione parti
colare.
4.1.1. I l d i b a t t i t o
A T T O R N O A L L E PRIM E ESPRESSIONI
DEL TEO C EN TR IS M O
Gran parte dei teologi cattolici (e non cattolici)3- anche molti di quel
li che prendono le distanze dalla visione cristocentrica inclusivista «clas
sica»4- di fronte ai teocentrismi concludono, in accordo con il magistero,
2 Per una prima panoramica globale sull'argomento, cf. «Gesù Salvatore unico e uni
versale. Dall'enciclica "Redemptoris missio" alla dichiarazione "Dominus Jesus"», in La
Cività cattolica 152(2001)1, 335-347.
3 S i v e d a , a d e s e m p io , l'a r tic o lo d i L. R o u n e r , « G e s ù S a lv a to r e u n ic o e u n iv e r s a le . D a l
l'e n c ic lic a " R e d e m p to r is m is s io " a lla d ic h ia r a z io n e " L a te o lo g ia d e lle r e lig io n i n e lla r ifle s
s io n e p r o te s ta n te c o n t e m p o r a n e a " » , in Concilium 22(1 98 6), 145-155, c h e p r o p o n e u n cri-
s to c e n tris m o a p e r to in v e c e d e l te o c e n tris m o ; q u e s t'u lt im o in f a t ti offre «so lo l'id e a d i u n D io
v u o to » , c h e « n o n è u n a b u o n a n o t iz ia p e r n e s s u n o » (p. 155). S u lla stessa lin e a a n c h e l'o
r ie n ta m e n to d i R . B e r n h a r d t , « W a n d lu n g e n in d e r B e u r te ilu n g u n d K r itik n ic h t- c h ris tlic h e r
Religionskritik in
R e lig io n e n in d e r e v a n g e lis c h e n T h e o lo g ie » , i n H .R . S c h l e t t e (h rsg .),
ìnterkultureller und interreligióser Sicht. Dokumentation des Symposiums des Graduier-
tenkollegs "Interkulturelle religióse bzw. religionsgeschichtliche Studien" vom 20.-23.11.
1996 an der Universitàt Bonn, B o re n g às se r, B o n n 1997, 35-51.
4 Cf. ad es. H. K u n g , «Per una teologia ecumenica delle religioni. Tesi di chiarimento»,
in Concilium 22(1986), 156-165. Geffré, da parte sua, afferma: «Ci si è già congedati dalla
fede cristiana se il Cristo non è che un mediatore fra gli altri e non la manifestazione di Dio
per tutti gli uomini e le donne» (C. G e f f r é , «La singolarità del cristianesimo nell'età del plu
ralismo religioso», in Filosofia e teologia 6[1992], 39). L'opinione di questi due teologi è par
ticolarmente indicativa se pensiamo che essi, pur rifiutando il «teocentrismo» nella sua
forma più netta, propendono per la tesi della «relatività» reciproca tra cristianesimo e altre
religioni. Va inoltre osservato che Kung sembra avere cambiato o almeno corretto il suo ini
ziale cristocentrismo, di decennio in decennio, in direzione sempre più vicina al pluralismo:
durante e subito dopo il Vaticano n, egli prese ripetutamente posizione in senso cristocen
trico classico, ritenendo la posizione di Rahner troppo avanzata; nel corso degli anni Set
tanta, però, anche a motivo di un dibattito avviato con Knitter, iniziò a propendere per un
moderato pluralismo; pluralismo che caratterizza i suoi interventi dalla metà degli anni
120
M ilio n e : dialogo e annuncia nel contesto interreligioso
Ottanta in avanti, quando - secondo l'auspicio formulato dallo stesso Knitter - sembra pro
prio avere «attraversato il Rubicone teologico», insistendo sulla necessità che il cristianesi
mo nel dialogo interreligioso si ponga come uno dei partner e non come rivelazione nor
mativa. Per la documentazione puntuale di questa evoluzione, cf. S. C o w d ell , «Hans Kung
and World Religions: The Emergence of a Pluralista, in Theology 22(1989), 85-102.
5Cf. ad es. J. Levesque, «.Jésus-Christ, l’unique Sauveur», in M ission de l'Église (1991)91,
6-15, in part. 8.
6 «Si possono moltiplicare quanto si vuole gli aggettivi e dire che Gesù è "normativo",
"definitivo", rispetto agli altri. Se non si proclama Cristo "Dio”, nel senso con cui l'ha inte
so da Nicea in poi la Chiesa, non si esce dal relativismo e non si vede dove si fondano que
gli stessi aggettivi. La differenza tra lui e gli altri fondatori o profeti resta solo quantitativa,
o di grado. Non si salva, ripeto, l'unicità e l'universalità della salvezza di Cristo, ma, al mas
simo, la sua superiorità, e anche questa senza che se ne percepisca più la ragione» (R. C a n -
ta lam essa , «Oggi è nato per voi un Salvatore. Gesù Cristo Salvatore di tutti gli uomini», in
Id ., Preparate le vie del Signore, EDB, Bologna 1994, 120-121).
7C a n ta la m e s s a , «Oggi è nato per voi un Salvatore», 124.
8 Alcune interessanti linee di cristologia «pneumatica» si trovano in F.X. D u rrw ell ,
«Pour une christologie selon l’Esprit Saint», in Nouvelle Revue Théologique 114(1992), 653-
677. È stimolante, poi, anche se solo abbozzata, la prospettiva delineata da P. R o s s a n o in
alcune pagine del suo studio «Teologia e religioni: un problema contemporaneo», in R.
L atourelle - G. O ’C o llin s (edd.), Problemi e prospettive di teologia fondamentale, Queri-
niana, Brescia 1980, 359-377.
9 Cf. ad es. M. F e d o u , «La théologie des religions à l'heure du pluralisme», in Études
134(1989), 821-830, in part. 829.
10 Cf. ad es. J. D o r è , «L'annonce de Jésus-Christ et la rencontre avec les religions», in
La documentation catholique (1992)2044, 171-178, in part. 173-174.
121
Annunciare Cristo alle genti
122
M ujione: dialogo e annuncio nel contento interrcligiojo
123
Annunciare Crùto alle genti
17È questa l’obiezione fondamentale di O.J. W ie rtz , «Eine Kritik an John Hicks plura-
listischer Religionstheologie aus der Perspektive der philosophischen Theologie», in TIteo
logie und Philosophie 75(2000), 388-416: l'autore fornisce numerosi esempi di questa ine
vitabile contraddizione nelle opere di Hick.
18È la critica fondamentale che l'autore avanza alle teorie di J. Hick: cf. P.L. Q u in n ,
«Towards thinner theologies: Hick and Alston on religious diversity», in International Jour
nal lor Philosophy oi Religion 37(1995), 150-151.
19 Cf. B.-J. V erka m p , «Hick's Interpretation of Religious Pluralism», in Philosophy ol
Religion 30(1991), 103-124, in part. 104-105. Lo studio, paragonando continuamente la gno
seologia di Kant con quella di Hick, costituisce una buona lettura «filosofica» delle pre
messe del teologo pluralista.
20 Cf. le puntuali critiche di B ern h a rd t , «Wandlungen in der Beurteilung und Kritik
nicht-christlicher Religionen in der evangelischen Theologie», 48-51. Il critico nota che il
semplice accostamento delle diverse idee di «salvezza» (HeilJHeilung) tra le varie religio
ni e visioni del mondo dovrebbe logicamente far posto anche al famigerato «Heil Hitler»:
se non ci sono criteri oggettivi per stabilire cosa è davvero salvifico e cosa non lo è, chi ha
il diritto di distinguere? (cf. p. 51).
21 G. L o u g h u n , «Prefacing Pluralism: John Hick and thè Mastery of Religion», in
Modem Theology 7(1990), 42.
124
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso
22T. M e r r ig a n , «The Challenge of thè Pluralist Theology of Religions and thè Christian
Rediscovery of Judaism», in D. P ollefeyt (ed.), Jews and Christians: Rivals or Partners for
thè Kingdom of God? In Search ol an Alternative for thè Theology of Substitution, Peeters
Press, Louvain 1997, 129.
23 Cf. L o u g h l in , «Prefacing Pluralism», 48.
24Cf. G . D ’C o s ta , «Taking other Religions Seriously: Some Ironies in thè Current Deba-
te on a Christian Theology of Religions», in The Thomist 54(1990), 519-529, in part. 524-525.
25 Cf. in merito le giuste critiche raccolte da W a lsh , «A Christian Theology of Religions
and thè Pluralist Paradigma, 312-313; cf. anche A. M o r im o t o , «The (More or Less) Same
Light but from Different Lamps: The Post-Pluralist Understanding of Religion from a Japa-
nese Perspective», in International Journal for Philosophy of Religion 53(2003), 168-170.
26 Va in questo senso la critica di J. Moltmann, «Dient die "pluralistiche Theologie"
dem Dialog der Weltreligionen?», in Evangeliche Theologie 49(1989), 528-537, in part.
534-536.
125
Annunciare Cristo alle genti
126
M ilio n e : dialogo e annuncio nel contento interreligioso
127
Annunciare Cristo alle genti
Il d o c u m e n t o d e l l a
C om m issione teologica internazionale ( 1 9 9 6 )
128
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso
4.1.2. I l d i b a t t i t o
D O P O I L V O L U M E DI
J a c q u e s D u pu is su l p l u r a l is m o
129
Annunciare Crùto alle genti
La trascendenza di Dio sta nel suo essere libero rispetto alla forma di mani
festazione che ha deciso di assumere in Cristo o sta nella libertà di decidere
quella forma, alla quale poi resta vincolato?32
Fin dal titolo, «Una teologia problematica del pluralismo religioso», G.
De Rosa prende le distanze dall'opera del confratello gesuita. A una sin
tesi precisa del pensiero di Dupuis, De Rosa fa seguire alcuni rilievi criti
ci, premettendo - come Canobbio - che si tratta di un'opera estrema-
mente complessa, «nel senso che ogni affermazione è in tensione con
un'altra, è controbilanciata da un'altra».33 Le posizioni di Dupuis, si
domanda in primo luogo De Rosa, rendono giustizia dei dati del NT e
della tradizione circa l'assolutezza della rivelazione e della salvezza in
Cristo? Così come appare dal volume, sembra di no; infatti,
è certo che soltanto Dio è assoluto e che Gesù ha i limiti propri della natura
umana. Ma ci sembra che il problema dell'assolutezza di Gesù e della sua
rivelazione sia legato non all'umanità di Gesù, che, per il fatto di essere stori
ca, è necessariamente limitata, ma al fatto che Gesù di Nazaret è il Figlio di
Dio fatto uomo, il Figlio che ha assunto una natura umana, per cui Gesù è
sempre il Figlio di Dio che agisce e parla in forma umana. Ciò significa che
quanto Gesù uomo fa e dice ha valore divino, perché è la persona del Figlio
di Dio che compie certe azioni e dice certe parole. Per conseguenza le azioni
umane e le parole umane di Gesù, pur avendo un carattere storico e dunque
limitato, hanno un valore divino, e dunque unico e assoluto.34
Una seconda domanda riguarda l'azione del Verbo e dello Spirito
dopo l'incarnazione; se il NT va nella direzione dell'unità tra il Verbo e
Gesù (cf. Gv 1,14) e tra il Risorto e lo Spirito (cf. Gv 20,22), «non si può
dunque affermare che il Verbo e lo Spirito agiscono distintamente da
Gesù, il Verbo incarnato, sia prima sia dopo l’incarnazione»;35 parlare
quindi di «complementarità» di rivelazioni non è possibile. De Rosa ritie
ne inoltre che Dupuis non abbia dato il giusto rilievo alla mediazione
ecclesiale che, per quanto subordinata a quella di Cristo, è inseparabile
dalla sua, essendo essa «corpo di Cristo»; e si domanda, infine, che cosa
rimanga in una teologia pluralista del mandato missionario chiaramente
attestato da Mt 28,18-20.
L e r i s p o s t e di D u p u i s
130
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso
conto di tutte queste osservazioni, l'autore ha replicato con uno studio nel
quale, ribadendo in sostanza le principali tesi del suo volume, rende
ragione dei nodi più controversi.37 Affrontando alcune obiezioni «cristo
logiche», egli ribadisce che anche dopo l’incarnazione si può «parlare di
un'azione continua del Logos "oltre Cristo", purché non la si distacchi da
quella in Gesù Cristo, in cui si trova la "concentrazione" insuperabile
dell’auto-rivelazione divina secondo il disegno unico di Dio di salvezza
per l'umanità intera»,-38 e riafferma anche il carattere «decisivo» anziché
«definitivo» dell'evento Cristo, poiché
non si devono escludere (...) manifestazioni divine dopo l'evento Cristo, ben
ché si debba affermare che nessuna manifestazione storica ulteriore possa mai
essere equiparata all'insuperabile automanifestazione dell'incarnazione.39
Quanto al rapporto tra l'azione umana e quella divina in Gesù di
Nazaret, Dupuis riafferma che «sebbene l’azione umana di Gesù sia azio
ne del Verbo, l'azione divina rimane pur sempre distinta da quella
umana» e non può «essere ridotta al modo in cui si esprime attraverso
l'umanità unita».40
Passando alle obiezioni «pneumatologiche», Dupuis vede nei suoi cri
tici il pericolo di limitare l'azione dello Spirito al solo evento di Cristo,
quasi che lo Spirito sia «una "funzione" del Cristo risorto, che consiste
rebbe soltanto nel rendere attuale l'opera di Cristo, essendone per così
dire "il vicario". Perderebbe così lo Spirito la pienezza della sua opero
sità salvifica personale»;41 la presenza dello Spirito non è dunque esclu
sivamente vincolata all'umanità risorta di Cristo.42
Affrontando poi le obiezioni «soteriologiche», Dupuis precisa che,
chiamando Gesù Salvatore «costitutivo» anziché «assoluto»,
131
Annunciare Cristo alle genti
non [ha] mai voluto ridurre Gesù Cristo a una figura salvifica «tra le altre»,
anche se la più alta. Perciò l'ho chiamato, in senso unico, Salvatore «costitu
tivo», in quanto l'evento Cristo è veramente causa, anzi causa universale della
salvezza, mentre le altre «figure salvifiche» possono tuttalpiù fare da «indica
tori» verso una via attraverso cui i loro seguaci si incontreranno, senza esser
ne consapevoli, con l'evento di salvezza Cristo. M i chiedo, però, se sia oppor
tuno attribuire alle azioni umane di Gesù un valore divino, assoluto o infinito.
Le azioni umane di Gesù, pur essendo azioni del Figlio e, come tali, salvifiche,
rimangono umane per quanto riguarda la loro specificità.43
Si apre così lo spazio per una «complementarità» tra rivelazione bibli
ca e altre rivelazioni; con questa affermazione
si intende soltanto riconoscere che taluni aspetti del mistero divino possono
essere messi in evidenza nelle scritture non bìbliche più di quanto non lo
siano in quelle bibliche, le quali conservano comunque la loro trascendenza 44
Alle obiezioni «ecclesiologiche», infine, Dupuis non riserva molto spa
zio, ritenendo che il coinvolgimento della Chiesa nell'opera salvifica sia
in gran parte una questione teologica aperta; alla domanda del perché la
Chiesa, nella prospettiva pluralista, dovrebbe continuare ad annunciare
il vangelo a coloro che non lo conoscono, Dupuis risponde che
la loro «ordinazione» verso la Chiesa (cf. LG 16) e la loro «vocazione» a diven
tare discepoli di Gesù in essa non è in vista di una salvezza altrimenti non rag
giungibile, ma perché alla Chiesa è stata affidata da Cristo «la pienezza dei
beni e dei mezzi di salvezza» (cf. Redemptoris missio 18), la quale non è a
disposizione al di fuori di essa [...]. Soltanto la Chiesa può comunicare loro la
conoscenza esplicita di colui in cui si trovano salvati.4®
Dupuis conclude difendendo un pluralismo religioso de iure e non
solo de facto: le religioni rappresentano «per prime i "diversi modi” (cf.
Eb 1,1) con cui Dio ha cercato gli uomini attraverso la loro storia - una
ricerca divina alla quale hanno potuto rispondere a seconda delle loro
possibilità limitate».46
132
Middume: dialogo e annuncio nel contento interreligiojo
133
Annunciare Critto alle genti
deve essere fermamente creduta, «come dato perenne della fede della
Chiesa, la verità di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Signore e unico Salvatore,
che nel suo evento di incarnazione, morte e risurrezione ha portato a
compimento la storia della salvezza, che ha in lui la sua pienezza e il suo
centro» (n. 13; cf. anche l'inizio del n. 14). Occorre valutare, certamente,
«se e come anche figure ed elementi positivi di altre religioni rientrino
nel piano divino di salvezza», ma «risulterebbero, tuttavia, contrarie alla
fede cristiana e cattolica quelle proposte di soluzione, che prospettasse
ro un agire salvifico di Dio al di fuori dell'unica mediazione di Cristo» (n.
14). Perciò è legittimo parlare di Gesù Cristo come del Salvatore «unico»,
«universale» e «assoluto» (cf. n. 15).
I capitoli terzo, quarto e quinto trattano direttamente della Chiesa in
relazione alla salvezza. Nei paragrafi sulla «Unicità e unità della Chiesa»
(nn. 16-17) il documento ribadisce che la Chiesa è inseparabile da Cristo,
come suo corpo, che è una e che «sussiste nella» Chiesa cattolica. Nel
capitolo quinto, «Chiesa, regno di Dio e regno di Cristo» (nn. 18-19),
viene affermato nel contempo «l'inscindibile rapporto tra Chiesa e
Regno» e la non-identificazione del Regno con la Chiesa visibile (cf. n.
19). Nell'ultimo capitolo, «La Chiesa e le religioni in rapporto alla sal
vezza» (nn. 20-22), sono ribadite due verità in tensione: la reale possibi
lità della salvezza in Cristo per tutti gh uomini e la necessità della Chie
sa in ordine alla salvezza (cf. n. 20); dalla coniugazione delle due verità,
si deduce che la Chiesa è sempre connessa alla salvezza di chiunque,
sebbene i «modi» di questo processo siano lasciati all'approfondimento
teologico: quello che è certo è «che sarebbe contrario alla fede cattolica
considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costitui
te dalle altre religioni» (n. 21); perciò la missione ad gentes conserva
tutta la sua validità e il «dialogo», che di essa fa parte, non va inteso
come un tributo al relativismo religioso (cf. n. 22).
Nonostante la perentorietà del tono, legata al genere letterario scelto,
e le difficoltà ermeneutiche poste dal metodo seguito (un intarsio di cita
zioni cucite da qualche commento),48 è evidente che il documento non fa
altro che riaffermare, precisare e rilanciare quanto il magistero è venuto
dicendo nel dopo-concilio sulle problematiche interreligiose in riferi
mento al paradigma «pluralista».
134
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso
135
Annunciare Cripto alU genti
4.2. O s s e r v a z i o n i t e o l o g i c h e
c o n c l u s i v e
136
M ilio n e : dialogo e annuncio nel contento interreligioso
4.2.1. L a q u e s t i o n e d e l l a v e rità
Il recente dibattito teologico sul paradigma pluralista ha messo in luce
come la questione della verità sia di fatto implicata nelle diverse posizio
ni, eppure spesso non venga dichiarata o sia addirittura ritenuta trascu
rabile.51
137
Annunciare Criito alle genti
53 Cf. L.F. Ladaria, «Du De vera religione à l'action universelle de l'Esprit-Saint dans la
théologie catholique recente», in J. Dorè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions,
Artel, Namur 1997, 73-74. Come afferma Gerosa, «il problema della verità non può essere
estromesso o semplicemente sostituito con quello delle buone intenzioni, perché altrimen
ti diventa impossibile da una parte riconoscere che cosa sia oggettivamente buono e vero,
dall'altra permettere che la salvezza nell'aldilà possa manifestarsi, già qui sulla terra, in una
forma di vita che rende l'uomo più vero, più umano e perciò conforme a Dio» (L. Gerosa,
«Diversità delle religioni, verità e pace. Riflessioni sul ruolo del dialogo interreligioso nella
costruzione della pace», in Rivista teologica di Lugano 6[2001]2, 294).
54 Cf. M. Fub, «Die Familie der Wahrheiten. Fragmentarische Skizzen zu einer Theolo
gie der Religionen», i n G O n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie, 381-393.
55 Fub, «Die Familie der Wahrheiten», 387.
56T. M e r r ig a n , « Tour nous et pour notre salut". L'action de Dieu selon la théologie des
religions», in Lumen Vitae 53(1998), 424.
57W. P a n n e n b e r g , «Das Christentum - eine Religion unter anderen?», in D o r è (ed.), Le
christianisme vis-à-vis des religions, 221.
138
A I iddione: dialogo e annuncio net contento interreligioso
U n a v e r i t à o molti fr a m m e n ti di v e r i t à ?
58 S u questo aspetto, cf. P. N e u n e r , «Der Glaube als subjektives Prinzip der theologi-
schen Erkenntnis», in W. K e r n - H.J. P o t t m e y e r - M. S e c k l e r (hrsg.), Handbuch der Fun-
damentaltheologie, IV, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1988, 51-67.
139
Annunciare Cr'uto alle genti
140
M ilio n e : dialogo e annuncio nel contejto interreligioso
4.2.2. U n s o l o D i o
C R E A T O R E E SA L VA T OR E,
UN SOLO GENERE U M A N O
C R E A T O E SALVATO
La teologia cristiana, dopo il superamento della visione dei «due
piani» sovrapposti di natura e soprannatura, ricomprende ogni autentica
ricerca umana di assoluto nell'alveo della grazia soprannaturale (cf. i
testi basilari di LG 16 e GS 22); avendo recuperato l'idea neotestamenta
parte della sua propria creazione. Il tutto non può diventare una parte in se stesso. La divi
nità di Dio non consente l'incarnazione di Dio. (...) Poiché l'automanifestazione escatologi-
co-storica del Dio trino e l'incarnazione della Parola si ritengono a priori ontologicamente
impossibili, l’incarnazione come realtà, così come viene professata nell’inno ai FiUppesi (Fil
2,6-11), nel prologo di Giovanni e nel dogma niceno-calcedonese, è impensabile» (G.L.
M O l l e r , «Le basi epistemologiche di una teologia delle religioni», in S err et t i (ed.), Unicità
e universalità di Gesù Cristo, 50.55).
62 M . B o r d o n i , «La cristologia odierna di fronte alla questione della verità», in S e rretti
(ed.), Unicità e universalità di Gesù Cristo, 101.
63 Così ad es. C. G e f f r é , «Le pluralisme religieux et l’indifférentisme, ou le vrai défi de
la théologie chrétienne», in Revue théologique de Louvain 31(2000), 16 e 23.
64 Proprio per questo non convincono i tentativi pluralisti, nemmeno quelli moderati, di
cogliere precise «analogie» tra le idee di Dio, dell’uomo e della sua salvezza/liberazione
nelle diverse religioni (cf. ad es. G e f f r é , «Le pluralisme religieux et l’indifférentisme», 25-
30). Secondo alcuni autori, comunque, esisterebbe nell'induismo una propensione plurali
sta, una sorta di capacità a inglobare tutte le prospettive religiose, anche le più distanti tra
loro, in una sorta di «arcipelago religioso» onnicomprensivo (cf. J.B. T r a p n e l l , «Indian
Sources of thè Possibility of a Pluralist View of Religions», in Journal of Ecumenical Studies
35[ 1998], 210-232). Certamente non è però questo il caso del cristianesimo.
141
Annunciare Cripto alle genti
ria che la stessa creazione ad opera del Padre avviene in Cristo (cf. ICor
8,5-6; Eb 1,1-3; Col 1,15-17; Ef 3,14-15; Gv 1,3.10), oggi la teologia tende
a rifiutare l'ipotesi che esista un piano puramente creaturale in cui la gra
zia non ha influsso. Non è in altre parole giustificata una netta separa
zione tra un livello naturale, nel quale si muoverebbero le «religioni non
cristiane», e un livello soprannaturale proprio ed esclusivo del cristiane
simo: non solo la posizione di K. Barth, ma anche quella di J. Daniélou,
da questo punto di vista, è inadeguata, poiché non riesce a superare lo
schema dei «due piani» sovrapposti.
Questa unità basilare tra il piano della creazione e quello della reden
zione si fonda sulla comunione sostanziale fra le Persone della Trinità:
comunione che esclude ogni interpretazione dualistica della realtà - sia
essa di tipo gnostico o marcionita - e fonda ultimamente la possibilità di
un dialogo tra gli uomini religiosi e le loro tradizioni.65 Anche da que
st'ottica la contrapposizione barthiana tra religione e fede è come tale
inaccettabile, perché implicherebbe una contrapposizione tra il Dio che
crea e il Dio che salva. Invece:
La confessione di fede nell'unico Dio include che l’unico Dio è il Dio di tutti
gli uomini che abbraccia tutto e tutti. Mentre il politeismo pone la molteplicità
della realtà, dei popoli e delle culture, la confessione di fede nell'unico Dio è
la contraddizione più acuta possibile della frammentazione della realtà e l’af
fermazione più chiara possibile dell'unità del mondo e dell’umanità. La con
fessione di fede nell'unico Dio dice che tutti gli uomini sono fratelli e sorelle,
poiché essi appartengono all'unica famiglia sotto l'unico Padre che è nei deh.
Così la pretesa universale dell'unico Dio conserva al tempo stesso 0 valore ine
liminabile e inalienabile di ciò che è rispettivamente singolare.66
La percorrenza della pista «fenomenologica», a questo punto, sareb
be certamente interessante ma non decisiva per la teologia interreligiosa
65 Non si può condividere l’opinione di chi nega ogni contatto tra le religioni, per arri
vare a un «pluralismo plurale», che non è altro se non l'accostamento delle diverse religio
ni, ritenute tutte ugualmente valide. Sembra andare in questa direzione la riflessione di S.
C h u l K i m , «Ein Weg zum pluralen Pluralismus der Religionen. Von Troeltsch zum Zen
Buddhismus», in G O n t h e r (hrsg.), Wege der Theologie, 421-431. Valutando poco audace la
stessa teologia pluralista (cita esplicitamente Panikkar, Knitter e Hick), perché basata sulla
convinzione che esistano elementi comuni tra le religioni, l'autore ritiene invece che nes
sun dialogo vero sia possibile per il cristianesimo finché adotta il «logocentrismo», che a suo
parere non lascia spazio alla «alterità degli altri» (p. 424); sarebbe invece il buddhismo Zen,
basato sul silenzio, a costituire un modello di autentico dialogo. È però davvero singolare,
a nostro parere, pensare che il «dialogo» (dia-logos) si possa costruire sul «silenzio» e far
passare il Logos come elemento intrinseco di divisione. L'autore avrebbe potuto almeno
ricordarsi che una delle prime approfondite riflessioni teologiche sulla relazione con «l'al
tro» - quella di s. Giustino - fece perno proprio sul Logos, inteso come elemento non di
separazione bensì di unione e apprezzamento dell'alterità. Infine: come può un «pluralismo
plurale» costituire un modello di dialogo? Non è piuttosto un modello di «confusione delle
lingue», una sorta di Babele delle religioni? Se non si individuano dei punti di contatto o di
confronto tra le religioni, come si può «dialogare»?
66 W. K a s p e r , «Unicità e universalità di Gesù Cristo», in S e rret t i (ed.). Unicità e uni
versalità di Gesù Cristo, 29. Cf. anche A . S c o l a , «Libertà, verità e salvezza», in S e rretti
(ed.), Unicità e universalità di Gesù Cristo, 11-16.
142
Missione: dialogo e annuncia nel contesto interreligioso
67Quando Coda parla del «fondamentale e irrinunciabile guadagno della pur non linea
re vicenda della fenomenologia della religione nel nostro secolo; l'essere cioè l'esperienza
religiosa una dimensione specifica e irriducibile dell'esistenza umana», si riferisce eviden
temente a un aspetto diverso da quello da noi inteso, cioè alla ricerca dell'Assoluto da parte
dell'uomo. In questo senso, egli ha perfettamente ragione nel mettere in guardia dalla sot
tovalutazione dell'elemento fenomenologico: «Talvolta, la giusta sottolineatura dell'origi
nalità delle differenti esperienze religiose, che senza dubbio vuol rispondere al pericolo
tutt'altro che remoto di un loro appiattimento o, peggio, di un loro troppo facile e apriori
stico addomesticamento, non tiene conto, per reazione, di questo semplice ma irrinunciabi
le costitutivo universale dell'esistenza umana» (P. C o d a , «Per un'ermeneutica cristologica
del pluralismo delle religioni», in G . C o f f e l e [ed.], Dilexit Ecclesiam. Studi in onore del
prof. Donato Valentini, LAS, Roma 1999, 126.128).
68 Come nota Muller, adottando il paradigma pluralista «inspiegata resta la questione
su che cosa si intenda con il termine "Dio": una sigla per l'orizzonte dell'esperienza reli
giosa, per il motore immobile aristotelico, per uno degli dèi della mitologia, per il divino
orologiaio del deismo, oppure per YHWH Elohim la cui Parola si è fatta carne» ( M u l l e r ,
«Le basi epistemologiche di una teologia delle religioni», 50-51). In questa direzione vanno
anche le critiche al pluralismo da parte di H. V e r w e y e n , «Pluralismus als Fundamentali-
smusverstàrker?», in S c h w a g e r (hrsg.), Christus allein?, 132-139, in part. 135-137.
69 In proposito risulta particolarmente illuminante l'introduzione al volume di M. Dha-
v a m o n y , Jesus Christ in thè Understanding of World Religions, (Documenta Missionalia 30),
PUG, Roma 2004, 7-17, con bibliografia. L'intero volume è del resto ima miniera per
143
Annunciare Cristo alle genti
Poiché l'unità della natura divina e quella del genere umano, nella
modalità creduta dai cristiani, sono frutto della rivelazione biblica e sono
accessibili solo confusamente al di fuori di essa, è di gran lunga più frut
tuosa per la teologia la percorrenza della pista «biblica».70 Premettendo
però che un approccio biblico adeguato, cioè di tipo teologico, non
avverrà isolando alcuni versetti, né adottando chiavi interpretative
estrinseche, che coincidono in genere con la visione filosofico-culturale
dell'interprete: dell'uno e dell'altro approccio abbiamo incontrato esem
pi all'interno dei vari paradigmi; esso consisterà invece
nel fare riferimento alle categorie oggettive e olistiche approntate dalla teolo
gia biblica per una comprensione finalmente «scritturistica della Scrittura»,
sviluppata cioè all'interno dell'universo culturale rivelato, con categorie inter
testuali, con criteri di mentalità biblica, a partire dallo stesso linguaggio nel
quale la rivelazione si è storicamente consegnata come un tutto organico.71
Questa interpretazione non mette affatto tra parentesi la fede: al con
trario, la suppone come presupposto ermeneutico fondamentale per la
comprensione unitaria delle Scritture.
L'unità del suo progetto divino, derivante dall'unicità di Dio stesso,
teologicamente si sostiene a partire da ragioni derivanti dalla Scrittura,
che vanno ricercate in diverse direzioni:
1) il dato secondo il quale tutti sono creati a immagine e somiglianza
di Dio (cf. Gen 1,26-27; 9,6) e che, fin dall'inizio della creazione, Dio ha
stretto un'alleanza con tutti i popoli (cf. Gen 1—11);72
2) il fatto che le alleanze/chiamate «particolari» di Dio sono sempre
in qualche maniera «per tutti»; quella in Noè abbraccia tutti i viventi
della terra (cf. Gen 9,9.12.17.18), quella in Abramo è promessa di bene
144
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso
dizione per tutte le famiglie deUa terra (cf. Gen 12,3; 22,17-18; 26,4-5;
28,14.18);
3) la centralità di Cristo, nella dimensione della creazione e in quella
della redenzione, che rende unica la storia della salvezza di tutti gli
uomini (cf. i testi già citati di lCor 8,5-6; Eb 1,1-3; Col 1,15-17; Ef 3,14-
15; Gv 1,3.10; cf. inoltre i temi: dell'«immagine» in 2Cor 4,4 e Col 1,15;
del «nuovo Adamo» in lCor 15,20-22.44-49; Rm 5,12-21 e della «media
zione salvifica universale» di Cristo in Eb 8,6; 9,15; 12,24; lTm 5,6);
4) l’azione e presenza dello Spirito anche fuori dei confini visibili
della Chiesa (cf. Gv 3,8; At 10,44-48).
È in questo contesto biblico «olistico» che va compresa la dialettica tra
elezione e missione, tra particolarismo e universalismo, presente in
entrambi i Testamenti. Per l’AT occorrerà tenere presenti i passi nei quali
è attestato sia il riconoscimento del Dio d’Israele da parte di stranieri (cf.
Gs 2; IRe 10,1-13; 17,17-24; 2Re 5,1-27) sia l'apertura della salvezza a
tutti i popoli (cf. Is 2,3; 42,1-4; 49,6-8; 52,10; 66,18-21), sia infine l'azione
universale dalla Sapienza (cf. Pr 1,20-23; 8,2-11; Sap 6,1.10-21). Per il
Nuovo sarà necessario tenere presenti i brani che mostrano l'estensione
dei benefici di Gesù a stranieri (cf. Mt 8,5-13; Me 7,24-30 e Mt 15,21-28),
il superamento della visione territoriale del «culto» (cf. Gv 4,23), la pos
sibilità di accedere al Regno da parte dei gentili (cf. Mt 8,11-12; 11,20-24;
25,31-32.34) e le aperture degli apostoli ai pagani (cf. soprattutto Paolo in
Licaonia in At 14,8-18 e ad Atene in At 17,22-34).
Sulla base dell'unicità divina e dell'unico piano di creazione e di sal
vezza è possibile sostenere la legittimità di una criteriologia cristiana
generale per il confronto interreligioso. La convinzione che la grande
varietà delle tradizioni religiose renda ormai pensabile solo i dialoghi
bilaterali, pur avendo una sua parte di verità - vi sono infatti aspetti che
solo in contesti bilaterali possono essere approfonditi73 - non può essere
sposata tale e quale: esiste infatti almeno un «senso religioso» comune
tra gli uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio e salvati da Gesù
Cristo. Parliamo comunque di criteriologia «cristiana» generale e non di
criteriologia generale, nella convinzione che non sia né possibile né utile
perseguire un accordo interreligioso sulla criteriologia, impresa destina
ta al fallimento, come hanno evidenziato specialmente le critiche all'im
postazione di Hick. Questo livellamento avverrebbe necessariamente
verso il basso, il che dal punto di vista della teologia cristiana comporte
rebbe conclusioni inaccettabili, come quella che segue: Gesù Cristo non
può essere il criterio immediato di valutazione delle altre religioni, ma si
deve ricercare un criterio comune a tutti nel concetto di «salvezza»,
all'interno del quale rientri anche la salvezza portata da Cristo.74
145
Annunciare Cristo alle genti
4.2.3. D i o i n t r e P e r s o n e :
O R IG INALITÀ DELLA RIVELAZIONE
E SALVEZZA CRISTIANE
Se l'unità delle Persone divine fonda ultimamente l’unicità del pro
getto di creazione e redenzione, la trinità delle Persone fonda la distin
zione del cristianesimo rispetto alle altre religioni, o in altre parole la sua
irriducibilità alla categoria pura e semplice di «religione».75
È proprio la fede nella Trinità, che esiste dall'etemità nella sua dimen
sione «immanente» e si rivela e agisce «economicamente» nella storia, a
impedire l'assorbimento completo del cristianesimo dentro la categoria di
«religione». Poiché in Cristo la rivelazione e la salvezza divine si sono
presentate all'uomo nella forma della pienezza (cf. Col 2,9; Gv 1,16; Gal
4,4), è da lui che deve prendere avvio l'enucleazione degli elementi ori
ginali del cristianesimo; da lui è rivelata la paternità di Dio e da lui, insie
me al Padre, è donato lo Spirito alla Chiesa.
Si registra un ampio consenso tra gli studiosi nel ritenere che la que
stione teologica risolutiva nel dibattito interreligioso sia quella «cristolo
gica»:76 mentre gli inclusivisti si collocano sulla scia della cristologia cal-
cedonese, con gli opportuni aggiornamenti, i pluralisti si muovono in una
sorta di cristologia pneumatica, che fa leva su una netta distinzione tra
Gesù e il Logos e sull'azione universale dello Spirito.
Molti converrebbero sul fatto che l'incarnazione del Verbo di Dio (cf.
Gv 1,1.14), del Figlio nel quale e attraverso il quale il mondo è stato crea
to (cf. lCor 8,5-6; Col 1,15-17; Eb 1,1-3; ecc.), rappresenta il punto foca
le del cristianesimo e l'elemento della sua massima originalità rispetto
alle altre religioni: come tale, essa è pietra d'inciampo per ogni tentativo
omologante.77 Ora, la scelta fondamentale è proprio questa: l'incamazio-
75 Per approfondire in diverse direzioni i pochi cenni trinitari che presentiamo, cf. R.
W «Trinità e pluralismo», in D 'C o s t a (ed.), La teologia pluralista delle religioni: un
il l ia m s ,
mito?, 65-83; Id., «Cristo, Trinità e pluralità religiosa», in D ' C o s t a (ed.), La teologia plurali
sta delle religioni: un mito?, 84-103 (l’autore prospetta un «trinitarismo cristocentrico»); Id.,
«Towards a Trinitarian Theology of Religions», in C o r n il l e - N e c k e b r o u c k (edd.), A Uni-
versai Faith?, 139-154 (in questo studio l'autore imposta un «inclusivismo trinitario»),
76 Individua con particolare lucidità nella cristologia la questione-chiave S c h l e t t e ,
«Christliche Relativitàt?», 252-253; cf. anche U. Ruh, «Selbstrelativierung kein Ausweg.
Ansatz und Probleme einer pluralistischen Religionstheologie», in Herder Korrespondenz
48(1994), 578.
77 «La maggiore difficoltà del cristianesimo si è sempre focalizzata nell"’incarnazione di
Dio”, che conferisce alla persona e all'azione di Gesù Cristo le caratteristiche di unicità e
di universalità in ordine alla salvezza dell'umanità» (C o m m i s s io n e t e o l o g ic a in t e r n a z io
n a l e , Il cristianesimo e le religioni 18: EV 15/1003).
146
Muàione: dialogo e annuncio nel contento interreligioso
Si potrebbe chiedere: «di meno» o «di più» rispetto a che cosa? Non
certo alla rivelazione cristiana, bensì a un'idea astratta - e piuttosto
«quantitativa» - dell'agire di Dio verso l’umanità. In opinioni come que
ste è evidente che il criterio utilizzato non è più quello «teologico» del
l’accoglienza della rivelazione ma quello «fenomenologico» dell’omolo
gazione tra le diverse religioni. Ciò che del resto dimostra il seguito della
riflessione del medesimo autore:
In tutti gli ambiti la pluralità accresce il valore anziché ridurlo. Che vi sia
non un solo fiore bello ma molti e diversi, non rende più piccolo il valore della
bellezza, ma lo fa risaltare meglio. Non relativizza affatto il suo valore. Dove
possono crescere insieme gigli, rose, orchidee e fiori di loto, noi possiamo
ancora meglio distinguere i fiori dall’erba cattiva. Non vale questo valore
della pluralità anche per le religioni?79
147
Annunciare Cristo alle genti
148
M ilio n e : dialogo e annuncio nel contento interreligioso
86 Cf. J. D u p u is , Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso, (BTC 95), Queri-
niana, Brescia 1997, 336-338.363-370.398-406.459-462.
87 Cf. G e f f r é , «Le pluralisme religieux et rindifférentisme», 18-21.
88 Tra le decine di ottime trattazioni cristologiche che mostrano il legame stretto tra il
Gesù della storia e il Cristo della fede, rimandiamo a due opere di autori eminenti, diverse
per genere letterario ma unite dalla chiarezza e dal rigore nell'uso delle fonti: W. K a s p e r ,
Gesù il Cristo, (BTC 23), Queriniana, Brescia 1976; B e n e d e t t o XVI - J. R a t z in g e r , Gesù di
Nazaret, Rizzoli, Milano 2007.
149
Annunciare Cruto alle genti
teologia: una teologia che rimanda alla storia di Gesù e una storia che
non si comprende se non si apre all'azione divina. Per questo è impossi
bile separare il Gesù storico dal Cristo della fede: occorrerà certo distin
guerli, evidenziare come la cristologia abbia sviscerato ed esplicitato ele
menti solo impliciti nella parola e azione del Gesù terreno - è l'enorme
impegno che porta avanti, da secoli, la ricerca storica su Gesù e sullo svi
luppo della cristologia - ma non si potrà assumere preventivamente nel
l'analisi dei vangeh la separazione tra i due aspetti del mistero di Cristo,
qualora si voglia impostare un lavoro teologico rispettoso della storia del
cristianesimo.89
L a p a te r n ità di D i o
e l ’a z i o n e u n i v e r s a l e d e llo S p i r i t o
Dalla lente del mistero pasquale prendono forma per i primi cristiani
sia la paternità di Dio che l'identità dello Spirito. In questo senso - a par
tire però dalla realtà dell'incamazione, morte e risurrezione di Cristo - la
cristologia più adeguata per fondare una teologia delle religioni è una
«cristologia trinitaria».90 È da Cristo infatti che apprendiamo la paternità
di Dio: un rapporto del tutto personale tra lui e ì'Abbà, il «Padre suo», del
quale però analogicamente possiamo prendere parte anche noi, come
figli adottivi: per questo Dio è anche «Padre nostro» (cf. Mt 6,9; Le 11,2;
ecc.). La paternità è così la nota soteriologica fondamentale del Dio rive
lato da Gesù. Solo attraverso la rivelazione di Cristo sappiamo che Dio
non è mero «principio» interiore, neutro creatore, freddo giudice, ma
«padre» di tutti, ebrei e gentili (cf. Rm 3,29), che offre la sua salvezza a
tutte le genti (cf. Le 2,30; 3,6; At 28,28; ecc.). Al di fuori dell'evento di Cri
sto la paternità di Dio, nei suoi tratti salvifici universali e misericordiosi
(cf. anche Le 15,11-32), non è più accessibile o assume comunque con
torni troppo sfumati e generici - come avviene per l'omerico «Zeus,
padre degli dèi e degli uomini», che poi però si mostra antagonista del
successo degli uomini e rivaleggia con loro.
Il recupero della paternità di Dio, come «origine unica sia del Figlio
che dello Spirito Santo»,91 permette di trovare una base «interna» alla
89Per approfondire e documentare questi accenni, cf. il nostro volume Davvero il Signo
re è risorto. Indagine teologico-iondamentale sugli avvenimenti e le origini della fede
pasquale, Cittadella, Assisi 2005.
90Dupuis è probabilmente il teologo che più a fondo ha elaborato tale cristologia in con
testo interreligioso (cf., oltre ai riferimenti dati a suo luogo, due brevi ma densi contributi
che si possono considerare insieme come ima sintesi fedele del suo pensiero interreligioso:
J. D u p u is , «The Spirit, Basis for Interreligious Dialogue», in Theology Digest 46(1999), 27-
31; Id., «From Religious Confrontation Encounter», in Theology Digest 49[2002), 103-108);
qui tuttavia intendiamo la categoria di «cristologia trinitaria» in modo diverso dal teologo
gesuita.
91 G io v a n n i Pa o l o n, Omelia nella basilica di S. Pietro a Roma, del 29 giugno 1995: Inse
gnamenti di Giovanni Paolo II, XVIII/1 (1995), LEV, Città del Vaticano 1997, 1861.
150
MLuione: dialogo e annuncio nel contento interreligiosa
151
Annunciare C riito alle gente
4.2 A . C h iesa
« S A C R A M E N T O DI S A L V E Z Z A »
L'opera salvifica trinitaria, in Cristo, si concretizza nella storia piena
mente attraverso la Chiesa, nelle forme della martyria, della leiturgia e
della diakonia.96 Quelli sopra abbozzati sono i contenuti originali del cri
stianesimo, che prendono complessivamente il nome di «salvezza». Essi
si storicizzano pienamente attraverso la Chiesa, per tre vie fondamentali
e strettamente correlate: la parola di Dio, che la Chiesa accoglie e dona
per rendere consapevoli gli uomini della salvezza realizzata in Cristo,- la
grazia dei sacramenti, che la Chiesa accoglie e dona per tradurre la sal
vezza nelle diverse situazioni della vita,- la carità soprannaturale, che la
Chiesa riceve e dona dando il suo contributo già da ora alla trasforma
zione della storia (personale e comunitaria) secondo il modello del regno
di Dio annunciato e iniziato da Gesù. La Chiesa è quindi comunità sal
vata che si fa strumento efficace della salvezza per il mondo. In questo
senso la Chiesa è «sacramento universale di salvezza» (cf. LG 48, AG 1,
GS 45): essa riceve la salvezza e la offre al mondo secondo la triplice logi
ca dell'innesto, della purificazione e del compimento, corrispondente alle
tre dimensioni del mistero di Cristo: incarnazione, morte e risurrezione.
Essa non è la salvezza, ma non vi è neppure estranea, costituendone «il
segno e lo strumento» (cf. LG 1); non è il Regno, ma non è neppure ad
esso estrinseca, costituendone «il germe e l'inizio» (cf. LG 5) o il Regno
«già presente in mistero» (cf. LG 3). La Chiesa, in definitiva, è intrinse
camente coinvolta nel processo della salvezza di chiunque si salva - sia
o meno battezzato, conosca o meno il vangelo -, se è vero che Cristo è
l'unico mediatore della salvezza, e che Cristo oggi agisce, come capo,
attraverso il suo corpo che è la Chiesa (cf. LG 14).97
Se l'esagerazione dell'implicanza della Chiesa nel processo salvifico
conduce a inaccettabili tesi esclusiviste e rigoriste, la sua sottovalutazione
conduce a quella equiparazione tra Chiesa e altre tradizioni religiose che,
risultando inevitabile nell'orizzonte pluralista, conduce a un'altrettanto
inaccettabile destoricizzazione della salvezza. Ritenere infatti che la «sal
vezza» possa essere raggiunta indifferentemente dall'intemo di qualun
que tradizione religiosa significa ripiombare nella concezione soteriologi-
ca puramente ultraterrena della «salus animae» (che, paradossalmente, è
la stessa restrizione operata dall’ecclesiocentrismo rigorista): la forma sto
rica della salvezza, il già, non avrebbe di fatto alcuno spessore; la visione
dell'uomo - tradotta in regole di convivenza, leggi, valori, ecc. - non fareb
be parte della «salvezza»; vivere dentro a una società che riconosce ugua
152
Mijóumc: dialogo e annuncio nel contento interreligioso
4.2.5. P e r u n a « t e o l o g i a
DELLE R E L IG IO N I» D ALL’ INTERNO
D E L L A F EDE C R I S T I A N A
La fede cristiana non ha dunque bisogno di essere messa tra parente
si per poter riconoscere il valore positivo delle altre religioni, perché con
98 «Agli albori del XXI secolo è storicamente evidente che non è più facile accordarsi
sull'uomo che su Dio [...). La stessa base di consenso sull'uomo, creatasi in occidente sulla
piattaforma del Credo e deU’esperienza cristiana, sta pericolosamente vacillando» (M. Ser-
retti , «Sulla teologia del pluralismo religioso», in Id. [ed.], Unicità e universalità di Gesù
Cristo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 167).
99 Come giustamente sostiene un critico di Hick, non esiste un concetto condiviso di
humanitas tra le diverse culture e religioni; si illude che esista solo chi adotta un modello
riduzionista-liberale, che nessuna religione è in realtà disposta ad assumere; l'autore opta
invece per un modello che egli chiama «radicale», dove la ricerca di convergenze avviene
passando attraverso le singole tradizioni, ossia scandagliando fino in fondo le proprie radi
ci (cf. R.T. S im p s o n , «The New Dialogue between Christianity and Other Religions», in
Theology 22(1989], 92-102). Cf. anche le critiche del teologo giapponese Morimoto al ten
tativo avanzato da Hick di trovare un terreno comune a tutte le religioni di impegno per la
«giustizia sociale»: M o r im o t o , «The (More or Less) Same Light but from Different Lamps»,
170-173. Si vedano infine gli accenni critici dello stesso tipo rivolti, questa volta a Knitter,
da R. Bernh ard t , «Ein neuer Lessing? - Paul Knitters Theologie der Religionen», in Evan-
gelische Theologie 49(1989), 520.
153
Annunciare Cristo alle genti
tiene al proprio interno tutti gli elementi per una loro collocazione nel
piano salvifico divino. Astrarsi dalla particolarità della tradizione cristia
na - come di ogni altra tradizione, nessuna delle guali infatti accetta di
essere messa tra parentesi - significa disporre di una (impossibile) sopra
religione dalla quale valutare tutte le altre: questa è la pretesa nella
quale inevitabilmente cade la teoria pluralista, almeno quando pensa di
giudicare dall'esterno di ciascuna religione il grado di validità presente
in essa.100 Livellare al basso tutte le religioni, ritenendo che «nel fondo»
siano uguali, porta a un pluralismo relativista nel quale nessuna grande
religione è disposta a riconoscersi.101 Come scrive Larcher,
è pura demagogia pretendere che uno sia «cittadino del mondo» senza radi
ci in nessun luogo. È infatti dalle profondità della propria peculiarità che uno
ha la possibilità di manifestare l’apertura universale a tutto ciò che è autenti
camente umano. Così, nel dialogo interreligioso, la fedeltà di ciascuno a se
stesso - detto diversamente, la condivisione totale della propria fede - è la
condizione del vero incontro. Il dialogo autentico e realistico avviene «tra
"identità forti" e non sulla base di un minimo comune denominatore».102
Come anche afferma lapidariamente W. Pannenberg,
il dialogo non può veramente compiersi se il partner cristiano intende lascia
re da parte o addirittura rinunciare alla sua convinzione dell'universale verità
della rivelazione dell’unico Dio in Gesù Cristo, come se questa fosse la pre
messa di un autentico dialogo interreligioso. È vero il contrario: è la stessa
pretesa cristiana di verità che deve essere messa sul piatto del dialogo.103
100 Cf. in merito le interessanti osservazioni di P. Web, «Sind alle Religionen gleich
wahr? Eine Antwort auf die Pluralistiche Religionstheologie», in Zeitschrift fiir Missions-
wissenschaft und Religionswissenschaft 80(1996), 37-38; l'autore critica le posizioni plurali-
ste di Schmidt-Leukel, al quale attribuisce appunto l'implicita supposizione di questa
«Uber-Religion»: e il teologo preso di mira risponde alla critica specifica in un altro studio
dello stesso quaderno: P. Schmidt-Leukel «Ganz unwahrscheinlich? Eine Antwort auf Paul
Weifi», in Zeitschrift liir Missionswissenschaft und Religionswissenschaft 80(1996), 223-228.
Pertinenti osservazioni critiche verso la posizione pluralistica di Schmidt-Leukel si trovano
inoltre - sempre nello stesso quaderno - in B. Theb, «Erhòht die pluralistiche Religions
theologie die Plausibilitàt des christilichen Glaubens», in Zeitschrift fiir Missionswissen
schaft und Religionswissenschaft 80(1996), 287-293. Citiamo infine, tra i tanti studi che pro
pongono una teologia delle religioni «dall'interno» della fede cristiana e prendono le
distanze dai tentativi pluralisti, quello di M. D h a v a m o n y , «Christian Theology of Religions»,
in Seminarium 38(1998), 751-769.
101 Sono utili in proposito le osservazioni di H. W aldenfels , «Pluralitàt der Religionen.
Folgen fur Mission und kirchliche Entwicklungsarbeit», in Stimmen der Zeit, 120(1995)213,
593-603, in part. 600. Sulla medesima lìnea anche il contributo di R. S c h w a g e r , «Offenba-
rung als dramatische Konfrontation», in Id. (hrsg.), Christus ailein?, 95-106. Interessante e
originale, per quanto riguarda le difficoltà di impostare una teologia pluralista islamica, è il
contributo di H. Z irker , «Zur "Pluralistischen Religionstheologie" im Blick auf den Islam»,
in S c h w a g e r (hrsg.), Christus ailein?, 189-202.
102 G. L a rc h e r , «Hermeneutisch-theologische Elemente fur ein dramatisches Konzept
interreligióser Begegnung», in Sc h w a g e r (hrsg.), Christus ailein?, 111.
103Pannenberg, «Das Christentum - eine Religion unter anderen?», 222. Importanti
anche le riflessioni di J. K reim l, «Der interreligiose Dialog. Zum Verhàltnis des Christen-
tums zu den anderen Religionen», in Forum Katholische Theologie 21(2005), 136-143 («Il
dialogo può avvenire solo quando è chiara l’identità di chi vi prende parte»...: p. 140).
154
Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso
C r is t o lo g ia e t r in it a r ia
155
Annunciare Cristo alle genti
Queste idee, come si è visto nei capitoli precedenti, sono emerse più
volte nella tradizione cristiana:108 vale la pena di richiamarle in sintesi.
L’evento rivelatore e salvifico di Cristo, secondo la prospettiva dei
«semina Verbi», lanciata da Giustino, individua e accoglie ogni elemen
to di verità e di bontà sparso dovunque, e si lascia interrogare da esso,
nella logica delTincarnazione; lo mette a confronto con la pienezza della
rivelazione in Cristo e lo purifica, nella logica della croce; e infine ne
mostra il compimento evangelico, nella logica della risurrezione. Incar
nazione, morte e risurrezione di Gesù Cristo costituiscono quindi i criteri
irrinunciabili di valutazione e valorizzazione di ogni elemento che, nelle
altre religioni, presenti tratti rivelativi e salvifici. Rinunciare a questi cri
teri equivarrebbe a rinunciare allo specifico cristiano.
La professione di Dio come «Creatore e Padre» di tutti gli uomini, poi,
evidenzia a sua volta l'universalità dell'agire salvifico di Dio. Senza arri
vare a omologare il piano creaturale con quello soprannaturale, l'origine
comune da Dio e la sua universale custodia degli uomini fonda la possi
bilità di riconoscere in ogni persona l'impronta divina - «immagine e
somiglianza» (cf. Gen 1,26-27) - e quindi la presenza in essa di elementi
veritativi e salvifici. Non solo: recuperando un'articolazione unitaria del
piano creaturale con quello salvifico, si crea uno spazio adeguato per
accogliere tutti i tentativi di «conoscenza» di Dio e di vita secondo
«coscienza» non solo come espressione delle forze umane o della ragio
ne, ma anche come tracce di autentici interventi divini, negli scritti sacri
delle grandi religioni e nelle prassi delle loro tradizioni vissute. Non esi
ste autentico anelito umano che sia al di fuori dell’opera del Padre; e se
tale opera si rivela e compie in pienezza nella storia salvifica culminante
in Cristo, essa però si estende, a diversi livelli di intensità, dovunque
compaiano «semi del Verbo».
Si può delineare infine una pneumatologia che, mantenendo l'essen
ziale riferimento al mistero pasquale di Cristo, permetta di vedere tracce
dello Spirito in tutto ciò che di vero e di buono esiste, dovunque si incon
tri: è la prospettiva rilanciata senza tentennamenti da Giovanni Paolo II,
specialmente nei testi citati di Redemptoris missio nn. 28-29, e ripresa più
volte anche in altri interventi autorevoli. Per tutti sintetizza la Commis
sione teologica internazionale:
107 C rociata , «Per uno statuto della teologia delle religioni», 338. L'autore continua poco
più avanti: «In questa linea cristologica e trinitaria può essere unicamente cercata la rispo
sta al problema del significato teologico della pluralità delle tradizioni religiose. È questo,
peraltro, un percorso suscettibile di recepire e sviluppare i motivi conciliari delle vie segre
te e dei germi di verità nel cuore degli uomini» (p. 341).
108 Suona esagerato il giudizio del rabbino Neusner, secondo il quale nessuna religione
finora ha fatto spazio, dall'intemo del proprio sistema, a una valutazione positiva delle altre,
e in particolare che nessuna religione occidentale ha mai tentato di affrontare seriamente
tale questione (cf. J . N eusner , «Thinking about "The Other" in Religion: It is Necessary, but
is it Possible?», in Modern Theology 6(1990), 273-285, in part. 273.274.276).
156
M inim e: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso
E cc le sio lo g ia
157
Annunciare Cripto alle genti
4 .2 .6 . U n a s o t e r i o l o g i a i n t e g r a l e
NEL D IA LO G O IN T ERRELIG IO SO
E NELLA M ISS IO N E
112 Sembra in questa linea anche il card. Biffi, quando sostiene che se la «santità sog
gettiva» è possibile attraverso tutte le tradizioni religiose, per opera dell'unico Spirito di
Cristo che opera quanto di vero e di buono è in ogni uomo, la «santità oggettiva» o «pre
senza sacrale» è specifica della Chiesa e consiste nella sacra Scrittura, nei sacramenti e
nella successione apostolica. «L'irradiamento della salvezza nell'universo di fatto avviene
perché in mezzo alla varietà delle genti, che sono poste in situazioni concrete diversissime
nei confronti del piano primario di Dio, c ’è un “popolo sacerdotale ", che offrendo quotidia
namente il sacrificio della Nuova Alleanza, innalzando le implorazioni ispirategli dal Para-
clito che risiede nel cuore dei credenti, proclamando instancabilmente e gioiosamente il
vangelo, sollecita a favore di ogni essere l'elargizione della verità e della grazia» (G. B iffi ,
La Chiesa cattolica e il problema della salvezza, LDC, Torino 2000, 36-37).
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Missione: dialogo e annuncio nel contesto interreligioso
1,3 Cf. in particolare la critica al concetto di salvezza, così come esso appare nelle opere
di Hick, da parte di M . P a g a n o , «Pluralità e universalità nel dibattito interreligioso», in P.
C o d a - G . L in g u a (edd.), Esperienza e libertà, Città Nuova, Roma 2000, 63-86, in part. 67;
e in Pannenberg, «Pluralismo religioso e rivendicazioni di verità in conflitto fra loro», 201.
La deriva gnostica della teologia pluralista è segnalata anche da R. de H aes, «De la théolo
gie des religions non-chrétiennes au dialogue interreligieux», in Revue africaine de théo
logie 14(1990)27-28, 58.
114 Le due espressioni vengono proposte e commentate, come sintesi delle attese salvi
fiche odierne, da J . N iewiadom ski, «Begegnung von Religionen im weltzivilisatorischen
Kontext», in S chw ager (hrsg.), Christus allein?, 83-94.
115 M o ra les , «La teologia de las religiones», 760-761. Cf. anche le riflessioni, per molti
versi simili, di K o z ie l , «Die Aufhebung der Soteriologie in Religionstheologie», 529-535.
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Annunciare Cripto alle genti
116 S chm idt -L eukel , «Religiose Vielfalt als theologisches Problem», 29. Il suo maestro
a v e v a già proposto questo esempio di passaggio, insieme ad altri: «Non sembra che vi s ia
alcuna differenza soteriologica se uno crede che il mondo è eterno o non lo è, che la sua
storia è ciclica oppure lineare, che noi ci reincarniamo o no, che esistono o meno angeli e
demoni» (J. H ick , An Interpretation of Religion: Human Responses to thè Transcendent,
Yale U n iv e rsity Press, N ew H a v e n -L o n d o n 1989, 369).
Il? Cf. le puntuali critiche di W erbick , «Der Pluralismus der pluralistichen Religions
theologie», 15 2 -15 3 .
1.8 E. A rens , «Pluralistiche oder Praktische Religionstheologie?», in S chw ager (hrsg.),
Christus allein?, 177.
1.9 Cf. A rens , «Pluralistiche oder Praktische Religionstheologie?», 174-188.
120 L'efficace immagine è utilizzata in senso critico verso Hick da K oziel , «Die Aufhe-
bung der Soteriologie in Religionstheologie», 538.
160
M ilio n e : dialogo e annuncio net contesto interreligioso
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Annunciare Cristo alle genti
è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, apren
doli ai mirabili orizzonti della filiazione divina» (EV 12/571).
123 P. T ih on offre alcune importanti chiavi di lettura soteriologiche dell'enciclica, nella
convinzione che «le salut, dans l'encycììque, ne signifie pas seulement l'accès à la béatitu-
de éternelle. Il est d'abord l'instauration progressive du royaume de Dieu dans le tissu de
l'histoire humaine» («Retour aux missions? Une lecture de l’enciclique "Redemptoris mis-
sio” », in Nouvelle revue théologique 114(199 2), 84).
162
Miàdione: dialogo e annuncio net contesto interreligioso
sulla vita e sulla morte, sulla verità [...]. Per questo la Chiesa mantiene il suo
slancio missionario e vuole, altresì, intensificarlo nel nostro momento storico
(EV 12/567).
Ancora più pregnante è l'inizio del n. 59, che può essere considerato il
miglior svolgimento del tema della «salvezza integrale» o «novità di vita»:
Col messaggio evangelico la Chiesa offre una forza liberante e fautrice di
sviluppo, proprio perché porta alla conversione del cuore e della mentalità, fa
riconoscere la dignità di ciascuna persona, dispone alla solidarietà, all'im pe
gno, al servizio dei fratelli, inserisce l'uomo nel progetto di Dio, che è la
costruzione del regno di pace, di giustizia a partire già da questa vita. È la
prospettiva biblica dei «cieli nuovi e terra nuova» (cf. Is 65,17; 2Pt 3,13; Ap
21,1), la quale ha inserito nella storia lo stimolo e la meta per l’avanzamento
dell’umanità (EV 12/663).
163
Annunciare Cripto alle genti
124 Non si vuole con ciò dire che la prospettiva della «plantatio Ecclesiae» sia sorpassa
ta: si vedano anzi, in particolare, i nn. 48-49 di Redemptoris missio («La missione ad gentes
ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane, sviluppare chiese fino alla loro completa
maturazione...»).
125 In quale misura l’adesione ecclesiale al vangelo influisce sulle varie culture, immet
tendo in esse valori che, gradualmente assorbiti, cambiano mentalità, usi, leggi? Tre verifi
che concrete potrebbero essere condotte, ad es., sui temi della concezione di «persona»,
della «schiavitù» e della dignità della «donna»; temi che registrano sviluppi peculiari nelle
culture che - almeno per un periodo piuttosto lungo e con una profondità tale da creare cul
tura, istituzioni e leggi - hanno incontrato il vangelo. È ovvio che ima tale ricerca esula
completamente dai limiti e dalle competenze di questo studio, coinvolgendo piuttosto la
«dottrina sociale della Chiesa».
164
Conclusione
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Annunciare Crùito alle genti
166
Conclusione
stare nella storia la «salvezza integrale» della persona, che già da ora, in
questa vita terrena, fa sperimentare una «pienezza di vita» nell'adesione
a Cristo e al vangelo. Ecco perché, come è emerso nelle ultime pagine del
capitolo quarto, l'attività missionaria «alle genti» continua ad essere vali
da e fondata, e non può essere soppiantata dal dialogo interreligioso. Se i
cristiani non avessero l'umile consapevolezza che una vita «in Cristo» è
una vita «piena» anche umanamente - poiché rende più significative le
relazioni, le esperienze, i progetti, i sentimenti, le scelte - e quindi non
cercassero di testimoniare e comunicare la bellezza dell'essere cristiani,
non avrebbero più nulla da dare al mondo, se non qualche «valore» etico
che si può facilmente trovare anche altrove, magari a minor prezzo.
La correlazione «missione-salvezza» va dunque mantenuta anche nel
l’attuale contesto di pluralismo religioso: ma si tratta di una «salvezza»
che coinvolge non solo lo spirito ma anche la carne; non solo l'individuo,
ma anche la società; non solo la vita eterna, ma anche quella terrena. È
il desiderio che la «vita nuova» derivante dall'adesione convinta al van
gelo - vita che inizia già ora e si compirà al cospetto di Dio - sia comuni
cata a tutte le genti a far sì che la Chiesa continui la sua attività missio
naria e il suo ministero salvifico. Anziché proclamare la «dimissione della
missione»,3 come fanno oggi alcuni a partire dalle accuse di colonialismo
e imperialismo e dalla convinzione che ogni religione vale l'altra, è quin
di teologicamente fondato un rilancio della missione ad gentes, a partire
dalle convinzione che l'adesione a Cristo apre alla «salvezza integrale».
167
Annunciare Cristo alle genti
per rendere più efficace l'annuncio.5 Ora, senza negare che chiunque
dialoga su quella che a lui appare come la verità e il senso della vita - e
non solo in campo religioso - mira a rendere convincenti le sue argo
mentazioni, cercando nell'opinione altrui anche «punti di contatto e di
innesto» della propria, e accetta volentieri l'eventuale adesione finale del
suo interlocutore - quando è espressione di libera scelta6 -, il dialogo
interreligioso ha un valore e un significato molto più grande e ricco.
Prima di tutto, il dialogo in generale aiuta chi lo pratica a scoprire
megho la verità in tutte le sue sfaccettature. Se esercito solo monologhi,
ho una visione «bidimensionale», quindi piatta, della realtà: assumo
infatti due soli criteri di valutazione, ossia ciò che io penso di me stesso e
ciò che penso dell'altro. Se dialogo, invece, assumo una visione «quadri
dimensionale», quindi a tutto tondo, della realtà: oltre ai due criteri sud
detti, ne avrò a disposizione anche altri due, che provengono da ciò che
l'interlocutore pensa di se stesso7 e da ciò che pensa di me. Quattro
visuali anziché due: la verità, pur essendo una, può così essere affronta
ta da prospettive differenti e più facilmente conosciuta.8
In secondo luogo, il dialogo interreligioso aiuta il cristiano sia ad
apprezzare ciò che di vero, bello e buono è presente dovunque, come
impronta di Dio Creatore e Padre di tutti, germe del Verbo, opera dello
Spirito; sia a rendersi meglio conto delle proprie ricchezze, talvolta
annebbiate da abitudine o distrazione o errori, che magari invece altre
tradizioni hanno conservato ed evidenziato con maggiore convinzione:
un cristiano, ad esempio, può approfondire il valore del silenzio a contat
5 Così ad es. pensa Schmidt-Leukel, secondo il quale per chi abbraccia l'esclusivism o il
dialogo è solo un mezzo per capire meglio come può annunciare il vangelo al non cristiano
e per chi professa l'inclusivismo è unicamente l’occasione per scoprire quei semi del Verbo
che solo in Cristo trovano pienezza; mentre il vero dialogo, senza altra finalità che quella di
arricchirsi scoprendo cose nuove, è appannaggio di chi aderisce al pluralismo (cf. P.
Schmidt-Leukel, «Pluralistiche Religions-theologie: Warum und wozu?», in Òkumenische
Rundschau 49[2000]3, 265-266). Meno radicale e più articolato, ma comunque piuttosto
propenso ad ammettere che il dialogo valga per se stesso - se abbiamo inteso bene l’auto
re - è il contributo di H.-M. B arth, «Missionarische Verantwortung im Kontext des interre-
ligiòsen Dialogs? Uber das schwierige Verhàltnis zw eier eigenstàndiger Funktionen des
christlichen Glaubens», in J . D orè (ed.), Le christianisme vis-à-vis des religions, Artel,
Namur 1997, 229-246.
6 Cf. in proposito le riflessioni di M. D elga do , «Vierzig Jah re "Dignitatis hum anae"
oder die Religionsfreiheit als Bedingung fùr Mission und interreligiòsen Dialog», in Zeil-
schrift /tir Missionswissenschalt und Religionswissenschaft 89(2005), 297-310.
7 Su questo vantaggio insiste con particolare convinzione H.R. S chlette , «Wahres und
Heiliges anerkennen... Eine Frage zur “Theologie der Religionen’’ », in R. GO nther (hrsg.),
Wege der Theologie: an der Schwelle zum dritten Jahrtausend, FS fùr H. Waldenfels, Boni-
fatius, Paderbom 1996, 403-409, in part. 405-406.
8 Interessante in proposito il contributo di F. A ltemeyer , «Théologie des religions non-
chrétiennes», in La ioi et le temps 24(1994), 5 17 - 5 3 1, che sintetizza le piste da evitare nel
dialogo interreligioso in dieci vicoli ciechi: nessun dialogo,- dialogo tra sordi; convinzione
che il dialogo cadrà dal cielo; convinzione di possedere il monopolio della verità; dialogo
immaginario; dialogo cronometrato; dialogo disincarnato; dialogo senza volto personale;
dialogo senza mistero.
168
Conclusione
9 Negli ultimi tempi si parla molto anche di «trialogo», riferendosi non solo al dialogo
ecumenico fra cattolici, ortodossi e protestanti, ma anche al dialogo interreligioso tra ebrei,
cristiani e musulmani. La specificità delle tre religioni e le loro peculiari interconnessioni
giustifica la nascita della categoria, che corrisponde a una prassi ormai avviata. Una recen
te presentazione, che segnala puntualmente i nodi del problema, è quella di H. K essler ,
«Trialog zwischen Juden, Christen und Muslimen», in Stimmen der Zeit 130(2005), 158 -173 .
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Fonti
F o n t i p a t r is t ic h e e m e d ie v a l i
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2.
La « t e o lo g ia c r is tia n a d e lle re lig io n i»
191
Indice
3.
L a teologia cristiana
DEL PLURALISMO RELIGIOSO
4.
M issione : d ialogo e an nu ncio
NEL CONTESTO INTERRELIGIOSO
192
Indice
C onclusione..................................................................................... » 165
Bibliografia....................................................................................... » 175
193
BtE
Biblioteca l* di Teologia
dell’Evangelizzazione