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Parte III

STORIA DEI RAPPORTI


ROMA COSTANTINOPOLI
dal 1958 al 2017

di P. Gerardo Cioffari o.p.

Bari 2018

1
SOMMARIO

1.- Il patriarca ecumenico Atenagora I (1948-1972)


2.- Giovanni XXIII. La svolta ecumenica della Chiesa romana
3.- Gli osservatori al Concilio Vaticano II: scontro Mosca-Costantinopoli
4. Il Concilio Vaticano II: Ritorno ai Padri della Chiesa
5.- Paolo VI e Atenagora: l’incontro di Gerusalemme
6. - Paolo VI e Atenagora: l’abrogazione delle scomuniche (7.XII.1965)
7.- Nuove tensioni Mosca-Costantinopoli: intercomunione e autocefalia
8.- Paolo VI bacia il piede di Melitone. Anche per Dimitrios il dialogo
progredisce
9.- Giovanni Paolo II e Dimitrios: la Commissione mista del dialogo
cattolico ortodosso
10. Balamand (1993): lo spartiacque ecclesiologico
11.- Bolla Ut unum sint di Giovanni Paolo II (1995).
12. Per l’Estonia: scontro Mosca-Costantinopoli sul “Protos”
13. Crisi Mosca Costantinopoli: crisi del dialogo cattolico-ortodosso
14.- Mosca e Costantinopoli, due ecclesiologie che intralciano il dialogo
15. Un dialogo a singhiozzo (2009-2016).
16. Il concilio panortodosso di Creta (19-26 giugno 2016).
17. La difficile recezione del Concilio di Creta
18. L’ecumenismo di papa Francesco

APPENDICI

I.- Unitatis Redintegratio


II.- Rimozione scomuniche
III.- Il Protos secondo i Russi
IV.- Il Protos secondo i Greci
V.- Decreto di Creta sulle relazioni ortodosse col resto del mondo cristiano
VI.- Lettera di Papa Francesco a Bartolomeo

Cronologia principale

BIBLIOGRAFIA

2
Il periodo successivo al 1958 rappresenta un capitolo nuovo nei rapporti Roma-
Costantinopoli. Se il Patriarcato ecumenico, infatti, si era “convertito” al dialogo con
le altre confessioni cristiane già nel 1875, accogliendo l‟invito dei Vecchio-cattolici a
Bonn (Germania) e soprattutto con Gioacchino III nel 1902, la Chiesa cattolico-
romana si “convertì” soltanto nel 1958.

Tutto cominciò con gli auguri natalizi inviati da papa Giovanni XXIII al patriarca di
Costantinopoli, Atenagora, e successivamente con l‟invito alle Chiese ortodosse ad
inviare osservatori al Concilio Vaticano II. Il merito principale di questo nuovo corso
all‟interno della Chiesa cattolica spetta al papa Paolo VI il quale incredibilmente, pur
provenendo da una carriera ecclesiastica sotto un papa di ferro come Pio XII, sposò
appieno la causa del dialogo avviata dal predecessore.

Un dialogo che è continuato anche sotto due papi fin troppo convinti del ruolo del
vescovo di Roma, quali Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, e che si è alquanto
arenato non tanto per i problemi tra Cattolicesimo e Ortodossia, quanto per i dissensi
interni alla Chiesa ortodossa a proposito della “ecclesialità” della Chiesa romana (per
non parlare delle altre confessioni cristiane). In altre parole, all‟epoca d‟oro del
dialogo cattolico-ortodosso, che ha avuto il suo punto più alto nel 1965 con la
reciproca rimozione delle scomuniche del 1054, è seguito un periodo di dialoghi
meno fruttuosi, disturbati soprattutto dagli screzi fra il Patriarcato di Costantinopoli
e quello di Mosca sul significato del “protos” nell‟Ortodossia.

1.- Il patriarca ecumenico Atenagora I (1948-1972)

La figura centrale nei rapporti ecumenici verso la metà del XX secolo fu


certamente il patriarca di Costantinopoli Atenagora I1, eletto nel 1948. Seguendo la
linea tracciata dai suoi predecessori (nelle encicliche del 1902 e 1920), Atenagora
volle ribadire l‟impegno del riavvicinamento fra le chiese cristiane in un‟enciclica del
1952.
L‟occasione gli era stata offerta dal Consiglio Mondiale delle Chiese, che gli aveva
inviato l‟invito a partecipare all‟assemblea di Lund. Questa enciclica era in realtà una

1 Al secolo Aristokles Spyrou, Atenagora nacque il 25 marzo 1886 a Tsaraplanà, provincia di Iannina
in Epiro. Studiò ad Halki abbracciando poi la vita monastica. Ordinato sacerdote nel 1910 divenne ben
presto segretario del Santo Sinodo di Grecia. Nel 1923 fu nominato metropolita di Corfù e nel 1930
entrò a far parte del Santo Sinodo di Costantinopoli come arcivescovo di tutta l‟America. Stabilitosi a
New York nel 1931, dovette affrontare il problema dei tanti rifugiati greci giunti dalla Turchia. Come
primate della chiesa greco-ortodossa d‟America svolse un grande lavoro a favore dell‟unità
dell‟ortodossia lacerata dalle diverse etnie, come pure si adoperò affinché le chiese ortodosse
partecipassero agli incontri ecumenici. Eletto patriarca di Costantinopoli il 26 gennaio 1948, in lui
l‟America vide un mediatore fra Grecia e Turchia in chiave anticomunista. Mantenne rapporti col
Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra e col primate d‟Inghilterra, oltre che di amicizia con
Giovanni XXIII prima che divenisse papa. Grandi gesti furono l‟incontro con Paolo VI a Gerusalemme
(1964) e l‟abrogazione delle scomuniche del 1054 (1965). Favorevole all‟intercomunione con la Chiesa
cattolica, fu aspramente criticato da diversi vescovi greci. Morì ad Istanbul il 7 luglio 1972.

3
lettera al patriarca di Alessandria, chiedendogli il suo parere sul come rispondere.
Scriveva tra l‟altro:

Nell’epoca in cui i popoli e le nazioni lavorano intensamente per il loro


avvicinamento, onde fronteggiare insieme i grandi problemi che occupano
l’umanità intera; mentre la necessità della manifestazione della unità del mondo
cristiano di fronte alle tendenza e agli indirizzi anticristiani del mondo, acquista
importanza del tutto particolare l’opera di avvicinamento e di collaborazione di
tutte le Confessioni e gli Organismi cristiani, in quanto è un dovere sacro e un
obbligo santo, derivante dalla loro qualità stessa e dalla loro missione.

Riferendosi al Consiglio Mondiale delle Chiese, egli era consapevole che il suo
principale intento è pratico. Tuttavia:

Poiché tale è lo scopo del Consiglio Mondiale delle Chiese, ma anche poiché con la
sua partecipazione fino ad oggi al Movimento intercristiano, la Chiesa ortodossa ha
cercato soprattutto di far conoscere e comunicare agli eterodossi la ricchezza della
sua fede, del suo culto, della sua organizzazione, nonché della sua esperienza
religiosa e ascetica, ed informarsi essa stessa dei nuovi metodi e delle opinioni della
loro vita ecclesiastica ed azione; elementi preziosi che, date le condizioni nelle quali
si trovava, non poteva avere e coltivare; cosicché d’ora in poi, la partecipazione e la
collaborazione della Chiesa col Consiglio Mondiale delle Chiese, secondo noi,
grandemente si impongono.

Gesù Cristo
benedice
l’opera
di
Paolo VI
e
Atenagora

4
Nella seconda parte Atenagora si dichiarava contrario a che gli ortodossi
partecipassero ai lavori di Faith and Order (Fede e Costituzione), in quanto qui si
voleva raggiungere l‟unione per mezzo di discussioni dogmatiche tra rappresentanti
di Chiese che divergono profondamente. Inoltre sarebbe stato opportuno che la
Chiesa ortodossa fosse rappresentata da rappresentanti di tutte le Chiese ortodosse
autocefale locali, cosa che darebbe prestigio particolare ed autorità a tale sua
partecipazione. A tale scopo ogni chiesa locale avrebbe dovuto avere delle
commissioni ecumeniche in cui studiare le tematiche da discutere nelle assemblee del
Consiglio Mondiale delle Chiese non in condizione di inferiorità.
Grande apertura dunque, anche se non mancava la prudenza ecclesiale. Ai
rappresentanti ortodossi appartenenti al clero, infatti, non era permesso di
partecipare a liturgie comuni perché contrarie ai sacri canoni, ma celebrando liturgie
pienamente ortodosse avrebbero manifestato lo splendore del culto ortodosso 2.

Interessante il commento del teologo Stavridis, dal quale è ricavato quanto sopra, a
questa iniziativa di Atenagora. A suo avviso, per meglio comprendere tale iniziativa
vanno presi in considerazione alcuni punti: 1) I vari statuti delle chiese a partire dal
Patriarcato ecumenico (in Turchia: chiesa libera in uno stato laico); mentre in Europa
Asia Australia e America vi sono diocesi con statuti di chiese libere in stati
secolarizzati o con religione ufficiale cattolica, anglicana, luterana, calvinista,
oppure di chiese nazionali (come in Grecia e Finlandia); 2. Il carattere
sovranazionale del patriarcato ecumenico i cui fedeli sono greci, ma non solo (anche
finlandesi, estoni, svedesi, ungheresi, cecoslovacchi, russi e, a titolo individuale,
anche inglesi tedeschi francesi, olandesi, americani e così via; 3. tutti dispersi nei
quattro continenti; 4. La forma di lavoro del patriarcato: le questioni vengono
sottoposte al santo Sinodo per essere studiate dando poi istruzioni alle commissioni
panortodosse, trasmesse quindi alle Commissioni pancristiane i cui membri sono i
vescovi, il primo segretario del sinodo e i professori di Halki; 5. Presenza di persone
preparate in modo che la partecipazione al movimento ecumenico sia efficace; 6. Il
diritto di iniziativa che è riconosciuto al patriarca ecumenico a motivo del suo
primato d‟onore che è anche una garanzia per l‟unità dell‟ortodossia; un compito che
si manifesta nella ricerca di una strategia comune di fronte al movimento ecumenico,
come è avvenuto tra il 1920 e il 1937, e dal 1961 nel Consiglio Mondiale delle Chiese.

2.- Giovanni XXIII. La svolta ecumenica della Chiesa romana

Se il patriarca Atenagora si era trovato a continuare e incrementare le precedenti


iniziative del patriarca Gioacchino III e del luogotenente patriarcale Dositeo, non così
il papa Giovanni XXIII. Egli era succeduto nel 1958 a Pio XII, il quale aveva
continuato l‟atteggiamento di chiusura totale della chiesa cattolica a qualsiasi dialogo,
che appariva come un cedimento dottrinale.
Per comprendere l‟atteggiamento antiecumenico della Chiesa romana fino al
1958 basti pensare che nel 1951 la Chiesa Romana (a firma di Montini) non raccolse
l‟invito dell‟arcivescovo di Atene, Spyridion, alle celebrazioni dei 1900 anni dall‟arrivo

2
Stavridis Basile Th., Histoire du Patriarcat oecuménique, Istina (Paris) 1970/2, pp. 242-244.
5
di S. Paolo in Grecia. Questa dunque l‟atmosfera. Alla morte di papa Pio XII, il 28
ottobre 1958 fu eletto Angelo Roncalli, papa Giovanni XXIII3.
Nel messaggio natalizio Giovanni XXIII accennava al sogno di un concilio già al
tempo in cui si trovava a Costantinopoli. In occasione del Natale, rompendo un
silenzio di secoli, inviò gli auguri anche al patriarca ecumenico. Il 1° gennaio 1959
Atenagora rispondeva al messaggio dichiarandosi interessato al progetto papale del
concilio.
Il 25 gennaio, annunciando il prossimo concilio, il papa si rivolgeva agli orientali,
affinché, diceva: partecipino con noi a questo convito di grazia e di fraternità a cui
tante anime anelano da tutti i punti della terra4 . Il papa aveva fatto l‟annuncio senza
alcuna consultazione previa, affermando che l‟idea gli era venuta come
un’ispirazione, la cui spontaneità ci colpì come un lampo improvviso ed
imprevedibile nell’umiltà della nostra anima.
Il 18 marzo 1959 venivano ricevuti in udienza dal papa a Roma l‟inviato del patriarca
ecumenico, il metropolita di Malta, Iakovos Koukouzis (rappresentante del patriarca
ecumenico presso il Consiglio mondiale delle Chiese) e il teologo Nikos Nissiotis.

Giovanni XXIII
e
Paolo VI

3 Angelo Giuseppe Roncalli, era nato in una famiglia umile a Sotto il Monte il 25 novembre 1881, da
Giovanni Battista Roncalli e da Marianna Mazzola. Entrato in seminario a Bergamo, grazie ad una
borsa di studio gli fu possibile studiare a Roma presso il seminario dell‟Apollinare (oggi Pontificio
Seminario Romano Maggiore). Ordinato sacerdote nel 1904, divenne segretario del vescovo di
Bergamo, affiancando a questo anche l‟insegnamento di Storia della Chiesa nel locale seminario.
Cappellano durante la prima Guerra Mondiale, nel 1921 papa Benedetto XV lo nominò presidente del
Consiglio Nazionale dell‟Opera della Propagazione della Fede. Nel 1925 fu visitatore apostolico in
Bulgaria col titolo di arcivescovo di Areopoli (antica sede della Palestina). Proprio in quel periodo il re
Boris III sposava Giovanna di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele III. Il papa fu molto scontento perché
il matrimonio cattolico fu ripetuto in una celebrazione ortodossa a Sofia e i figli furono battezzati
nell‟ortodossia. Nel 1927 il Roncalli rendeva visita a Basilio III, patriarca di Costantinopoli. Nel 1934,
come arcivescovo di Mesembria, fu nominato delegato apostolico in Turchia e in Grecia, nonché
vicario apostolico di Costantinopoli. Nel 1944 Pio XII lo nominava nunzio apostolico a Parigi. Nel 1953
era creato cardinale nonché patriarca di Venezia. Con sua sorpresa il 28 ottobre 1958 veniva eletto
papa. Molti supposero che data l‟età sarebbe stato solo un papa di transizione. Suo segretario fu Loris
Francesco Capovilla. L‟11 ottobre 1962 si apriva il Concilio, di cui avrebbe seguito solo le prime
sessioni, visto che già a settembre aveva avuto la prima avvisaglia del cancro allo stomaco. L‟11 aprile
del 1963 promulgava la celebre enciclica Pacem in Terris. Dopo alcuni giorni di agonia, si spegneva il 3
giugno 1963. E‟ stato beatificato da Giovanni Paolo II il 3 settembre del 2000.

4
Alberigo G, Storia del Concilio Vaticano II, Il Mulino, Bologna 1995, 33.
6
In aprile la visita era ricambiata. Inviato del papa era il delegato apostolico in
Turchia, Giacomo Testa, che veniva ricevuto da Atenagora. Nei mesi successivi, si
mostravano interessati il patriarcato di Antiochia, la chiesa copta e la chiesa greca
(con le riserve di H. Alivisatos); mentre la Chiesa russa a maggio smentiva la sua
partecipazione al Concilio.

3.- Gli osservatori al Concilio Vaticano II: scontro Mosca-Costantinopoli

Nel mese di giugno del 1961 la Commissione per le Chiese orientali si recava a
Costantinopoli per mettere al corrente Atenagora sull‟andamento del Concilio. Le
reticenze ad agire da parte di questa Commissione spingeva Giovanni XXIII ad
affidare il problema degli osservatori al “Segretariato per l‟unità dei cristiani”.
Contemporaneamente aveva luogo la 1ª Conferenza Panortodossa di Rodi (che in tal
modo riprendeva un‟analoga conferenza tenuta nel 1930 a Vatopedi (Monte Athos),
convocata dal patriarca Fozio II. In essa si esprimeva parere favorevole al
mantenimento di relazioni con altre comunità cristiane.
Nel 1962 il Segretariato invitava ufficialmente Atenagora al Concilio, chiedendogli
di estendere l‟invito a tutte le Chiese ortodosse. L’iniziativa irritò la Chiesa russa,
che non voleva essere invitata da Costantinopoli, ma direttamente da Roma. Il
metropolita Nikodim insisteva con tutti gli intervistatori che la Chiesa russa non
aveva ricevuto alcun invito a partecipare al concilio. Dopo un soggiorno a Mosca
(settembre ottobre 1962) Willebrands apprendeva che un invito diretto sarebbe stato
accettato. Il 4 ottobre il card. Bea telegrafava a Nikodim di aver rivolto l‟invito
ufficiale al patriarca di Mosca. Il 6 Atenagora telegrafava a Mosca per sapere se ci
fossero novità. Il 7 Mosca rispondeva di no.
Di conseguenza Atenagora, che pure era il più ardente sostenitore a favore dell‟invio
di osservatori, rispondeva alla Santa Sede di non poter partecipare al concilio, così
pure come tutte le chiese nazionali. Ma, colpo di scena... Il 10 ottobre il patriarca
Alessio, ascoltata la relazione di Nikodim al Santo Sinodo, accettava l‟invito e
designava osservatori l‟arciprete Vitalij Borovoj e l‟archimandrita Vladimir Kotljarov.
Grande fu lo stupore a Costantinopoli nell‟apprendere tale notizia. Durissima fu la
reazione della Chiesa greca. Secondo Crisostomo di Atene questo era un grave colpo
all’unità dell’ortodossia. Secondo Iakovos, primate greco d‟America, era il tentativo
di Roma di spaccare l‟ortodossia. A suo avviso, il fatto che Roma trattasse
direttamente con Mosca era un‟operazione illecita, che violava il ruolo di primus del
patriarca di Costantinopoli, e tendeva a creare divisioni nel mondo ortodosso. Ma
quando il Santo Sinodo della chiesa greca il 16 ottobre ribadì il suo no, il prof.
Alvisatos affermò che questo era un errore storico che isolava la chiesa greca. Intanto,
il patriarca di Mosca Alessio, intervistato dal giornale greco Ethnos, dichiarava:

Non riteniamo che la presenza di Osservatori ortodossi al Concilio esiga un’intesa


di tutte le chiese ortodosse. Gli osservatori, infatti, non sono autorizzati a discutere,
per esempio, circa il problema del ristabilimento del canone delle preghiere comuni
alla Chiesa ortodossa ed a quella cattolico romana, né di altre questioni la cui
soluzione è di competenza dell’intera famiglia ortodossa5 .
Qualche mese dopo Nikodim comunicava che il patriarca Alessio aveva scritto ad
Atenagora a proposito del dialogo con la Chiesa cattolica: E’ una questione
importante che può essere regolata solo da una decisione comune delle 14 chiese, su
5
La Croix, 16 febbraio 1963; NCWC News Service 25 febbraio 1963
7
una base di uguaglianza. Non ci sono Chiese grandi e Chiese piccole, ed il patriarca
Atenagora non è il capo della Chiesa ortodossa, ma solo il primo fra uguali. Se
effettivamente Alessio si rivolse così bruscamente ad Atenagora, è da supporre che lo
facesse a seguito di qualche nota di critica o di rammarico dello stesso patriarca al
modo di agire di Mosca6.

Nikodim,
il metropolita
di
Leningrado
che inviò
nel 1962
gli osservatori
Russi al
Concilio
Vaticano II e
nel 1969
fece
introdurre
una parziale
intercomunione
con i
cattolici

L‟11 ottobre 1962 si apriva il concilio Vaticano II. Il giorno dopo arrivarono gli
osservatori del Patriarcato di Mosca (il 13 il card. Bea li presentava a Giovanni XXIII,
il quale nell‟allocuzione avrebbe detto: Come potrei dimenticare i dieci anni passati
a Sofia ? e i dieci altri passati ad Istanbul e ad Atene? 7. Nel 1963 c‟era uno scambio
di telegrammi fra il patriarca Alessio e Giovanni XXIII.
Poi il papa si ammalò, ed Atenagora inviava questo messaggio:

Noi siamo stati sempre uniti, con lo spirito e con la mente, con la vostra venerabile
ed amata Santità, durante i grandi momenti dei vostri sforzi benedetti per la
supremazia dello spirito di Cristo nel mondo. Particolarmente uniti nella presente
prova di vostra Santità, nostro dilettissimo fratello, eleviamo preghiere al Signore
per il ristabilimento della vostra preziosa salute, a beneficio dell’intera cristianità 8 .

Alla morte di Giovanni XXIII (3 giugno 1963) lo stesso Atenagora, parlando al Santo
Sinodo, ebbe a dire: Come capo di Chiesa, animato dall’amore di Cristo, il Papa
defunto, malgrado la brevità del suo ministero apostolico, ha tracciato al mondo

6
Confronta questa dura presa di posizione di Mosca con le conclusioni della 3ª Conferenza
Panortodossa del 1964. Il Concilio Vaticano II, p. 505-513
7
Chiese ortodosse rappresentate all‟apertura del Concilio: Patriarcato di Mosca, Chiesa Copta d‟Egitto,
Siro-ortodossa, Ortodossa d‟Etiopia, Armeno ortodossa del Catolicosato di Cilicia, Ortodossa russa
all‟Estero.
8
Il Concilio Vaticano II, Il primo periodo, 1962-1963, ed. Civiltà Cattolica, Roma 1968, p. 425
8
cattolico una nuova via verso il dialogo ecumenico. Ciò costituisce, senza dubbio, il
prologo dell’avveramento della preghiera sacerdotale di Cristo. Altamente ispirato,
ed animato da una grande energia in vista del riavvicinamento delle chiese
cristiane, il Papa defunto, con la convocazione del Concilio Vaticano II, ha mostrato
che la Chiesa cattolica, di fronte alla Chiesa ortodossa ed alle altre Chiese, è
penetrata dall’amore e dalla pace di Cristo9 .

4. Il Concilio Vaticano II: Ritorno ai Padri della Chiesa


Il Concilio Ecumenico Vaticano II è stato un concilio molto diverso dagli altri concili
generali della Chiesa cattolico-romana. I concili che seguirono al VII concilio
ecumenico (Nicea II) furono concili di corto respiro con tematiche tutt‟altro che
ecumeniche, tanto che molti storici della chiesa (come Alberigo), seguendo un modo
di dire di Paolo VI, preferiscono chiamarli “generali”.
Il Concilio Vaticano II, invece, è stato un concilio di ampio respiro, affrontando un
vasto raggio di questioni ritenute di grande attualità, sempre in uno spirito di
rinnovamento o, per usare l‟espressione di Giovanni XXIII, di aggiornamento.
Essendo stato concepito soprattutto come pastorale e non dogmatico, il mondo
occidentale lo ha accolto come il concilio dell‟adattamento della chiesa al nostro
tempo. L‟assenza in occidente di una mentalità patristica aveva fatto sì che si
perdesse il senso delle sorgenti, cioè della chiesa primitiva che più direttamente ha
vissuto il messaggio evangelico ed apostolico, equivocando il concetto di “tradizione”,
rapportandola cioè all‟epoca post-tridentina. Non si è capito cioè che la nuova
teologia, lungi dal voler essere “nuova”, intendeva scavalcare il periodo tridentino e
scolastico, per andare all‟antico, alle fonti.
Sullo sfondo di questo concetto di “tradizione” dal corto respiro, essendo stato il
Concilio impostato all‟insegna dell‟aggiornamento e del rinnovamento, è ovvio che la
speranza di un ritorno ai Padri era quasi un‟utopia. Eppure, un teologo critico come
Congar ha affermato che il ritorno ai Padri non è stato solo di parata o di coreografia,
ma si è avvertito in diverse decisioni conciliari (specialmente Liturgia, Lumen
gentium e Dei Verbum).
Anche se i problemi da affrontare erano reali e molto avvertiti nella società, la
decisione di convocarlo è venuta personalmente e spontaneamente dal papa Giovanni
XXIII, il quale (a differenza dei precedenti concili) ha lasciato un‟ampia libertà di
discussione10. Le commissioni preparatorie hanno potuto dibattere punto per punto
gli schemi 11.

9
Ivi, p. 426
10 Secondo il patriarca melkita Maximos IV il Concilio Vaticano II ha potuto fare tanto solo grazie al
fatto che i due papi hanno voluto un‟atmosfera di libertà. Cfr. Discorsi di Massimo IV al Concilio, nella
collana “Documenti per il rinnovamento della Chiesa”, Dehoniane, Bologna 1968, p. 13. Su di lui vedi
anche J. Grootaers, I protagonisti del Vaticano II, San Paolo, Cinisello B. (Mi), pp. 171-183.
11 Il concilio si è svolto in quattro fasi: la prima (11.X-8.XII 1962, la seconda (29.IX.-4.XII.63), la terza

(14.IX Ŕ 21.XI.1964), la quarta (14.IX-8.XII.1965). La cronologia degli eventi principali è stata: 28


ottobre 1958 è eletto papa Giovanni XXIII; 25 gennaio 1959: annuncio del Vaticano II; lavoro delle
commissioni preparatorie; apertura ufficiale: 11 ottobre 1962; 3 giugno 1963 morte di Giovanni XXIII;
21 giugno 1963 è eletto papa Paolo VI; 27 giugno annuncia la prosecuzione del concilio; 29 settembre
1963 ripresa dei lavori; 5-6 gennaio 1964 incontri di Paolo VI con Atenagora a Gerusalemme; chiusura:
8 dicembre 1965.
9
Un grande contributo lo diedero gli orientali cattolici, specialmente i melchiti
Maximos IV patriarca, con i suoi giovani ed intraprendenti collaboratori arabi Oreste
Keramé (che egli definisce “pioniere nella nostra comunità del ritorno alle origini”),
Neophytos Edelby, 1920-1995, Elias Zoghby e George Selim Hakim (poi patriarca col
nome di Massimo V), ma anche i maroniti, come il patriarca Paolo II Pietro Meouchi
1894-1975, e gli ukraini di rito bizantino 12 . Sia personalmente che tramite loro
rappresentanti denunciarono con forza la carenza della patristica greca e la mentalità
troppo scolastica e latina della maggior parte dei Padri conciliari.
A differenza degli altri concili cattolici, questo ha visto la partecipazione attiva anche
degli osservatori ortodossi, i quali non si sono limitati ad “osservare”, ma
ogniqualvolta sono stati interpellati dalle commissioni o dai periti hanno dato il loro
contributo (ad esempio Schmemann sulla Liturgia).
Ora, a livello editoriale, in occidente la patristica greca ha avuto un notevole sviluppo
sin da dopo il concilio di Firenze. Domenicani come Goar, Combefis e Lequien, ma
anche Gesuiti, hanno edito pregevoli opere greche. Verso il 1860 c‟è stata l‟opera
monumentale del Migne (Patrologia latina e Patrologia Graeca). A livello teologico
tuttavia quest‟opera è rimasta parallela. E‟ stata utilizzata quasi esclusivamente in
chiave apologetica per le prove “ex traditione”. A questa impostazione non sfuggono
neppure le migliori produzioni cattoliche, quali il Dictionnaire de Théologie
Catholique, il Dictionnaire d’Archéologie Chrétienne et de Liturgie, come pure il
Dictionnaire d’Histoire e de Géographie ecclésiastique).
Il richiamo eccessivo al Magistero pontificio ha alquanto mortificato la teologia e
specialmente l‟ecclesiologia. Secondo uno storico della teologia, nel periodo tra il
Vaticano I e la prima guerra mondiale l’ecclésiologie n’offre pratiquement plus aucun
intérêt 13 . Un freno per lo sviluppo della teologia cattolica è venuto dalla crisi
modernista, facendo temere alla chiesa cattolica una deriva relativista (e comunque
antiistituzionale).
Nel corso degli anni trenta Henri De Lubac (1896-1991), Marie Dominique Chenu
(1895-1990) e Yves Congar (1904-1995) imprimevano una svolta alla teologia con una
ispirazione comune: l‟uomo si costruisce nella storia e nel dialogo con le altre culture,
laddove inserendo nel discorso teologico i Padri greci si operava una rivisitazione
della cattolicità .
Gli anni quaranta sembrano anni di un braccio di ferro nell‟ecclesiologia cattolica.
Con l‟enciclica Mystici Corporis nel 1943 il papa Pio XII cercava di fermare tutti
questi fermenti stabilendo in modo inequivocabile l‟identità fra la chiesa visibile
istituzione e la chiesa invisibile mistica (redattore era stato il teologo gesuita olandese

12Sulla presenza degli orientali al concilio hanno scritto tra gli altri G. Ferrari, Le Chiese orientali al
concilio Vaticano II, in Ho Theològos, 3 (1985), 231-246; M.-D. Chenu, Diario del Vaticano II. Note
quotidiane al Concilio 1962-1963, a cura di A. Melloni, Il Mulino, Bologna 1996; Neophytos Edelby, Il
Vaticano II nel diario di un vescovo arabo, a cura di R. Cannelli, San Paolo, Cinisello B. (Mi) 1996.
Archbishop Elias Zoghby, A Voice from the Byzantine East, West Newton, MA (1992; prima ed.
francese 1970. Tous Schismatiques? , Beirut: Heidelberg Press-Lebanon, 1981; Chenu era spesso in
contatto con loro. Diversi di questi appartenevano al cosiddetto circolo del Cairo, con Zoghby
favorevole all‟intercomunione con i melkiti ortodossi, e Hakim a favore del matrimonio dei preti.

J. Frisque, L’écclésiologie au Xxe siècle, in “Bilan de la Théologie du XX siècle”, a cura di R. Vander


13

Gucht e H. Vorgrimler, Tournai Paris 1969/70, II, 412-446 (in particolare 414).
10
Sebastian Tromp). Tuttavia, un articolo di Louis Bouyer nel 1947, riprendendo i
concetti fondamentali di De Lubac e Congar, dava ancora più diffusione al termine di
ressourcement (ridissetarsi alla sorgente). Per lui la Chiesa è un corpo organico che
rinnova continuamente la sua vita interiore dissetandosi alle fonti patristiche 14.
Il 12 agosto veniva promulgata l‟enciclica Humani generis, in cui era criticato il
ritorno ai Padri quasi ci fossero ancora dei punti oscuri, che in realtà, si diceva, erano
stati già chiariti dal Magistero. Quando Giovanni XXIII convocò il concilio,
abbastanza generale era la convinzione che il tema fondamentale del concilio fosse
l‟ecclesiologia, e che quindi la base di ogni riflessione avrebbe dovuto essere la
Mystici Corporis di Pio XII. Tuttavia qualcuno faceva notare che nel Vaticano I la
dottrina dell‟Episcopato è stata alquanto trascurata, e che dovendola delineare era
opportuno rifarsi ad alcuni padri, come Ignazio per il concetto di chiesa locale, Ireneo
per la successione apostolica, Cipriano per la comunione tra i vescovi, riflettendo
anche sulla sacramentalità dell‟episcopato (negata ad esempio da Girolamo e
dall‟Ambrosiaster) 15 . L‟insensibilità verso la patristica appare ancora più evidente
nella mariologia. Su 600 proposte concernenti la Madonna, solo dieci furono i
riferimenti ai Padri 16 . Lo stesso vale per i riferimenti patristici nello schema De
Ecclesia: 35 (27 latini, 8 greci) a fronte di quelli che rinviavano al Magistero, che
erano 500, di cui 85 da Pio XII.

I papi del Concilio Vaticano II

14 Le renouveau des études patristiques, in “La vie intellectuelle”, 2 (1947), 6-25.


15 Daniele Gianotti, I Padri della Chiesa al concilio Vaticano II, EDB Bologna 2010, p. 130.
16 Ivi, p. 131.

11
Protagonista
della svolta
patristica
ed ecumenica
fu il patriarca
dei Melkiti
cattolici
Massimo IV

Ma il trionfo iniziale dei conservatori nella preparazione degli schemi non era
destinato a durare a lungo. E ciò, come si è visto nel riconoscimento del patriarca
Massimo IV, grazie al fatto che né Giovanni XXIII né Paolo VI avevano alcuna
intenzione di mettere il bavaglio ai padri conciliari. Sia pure presenti e attenti i due
papi, senza alcuna intenzione di rinunciare al Magistero, erano decisi a ridargli
vitalità con una nuova linfa.
Decisivo fu l‟intervento di mons. Edelby, che lesse un testo del patriarca melkita
Maximos IV, in cui si rigettava la tesi che Episcopi iurisdictionem suam actualem…
non ab Ecclesia, sed ab ipso successore Petri accipiunt, affermando che la
maggioranza dei Padri (eccetto qualche papa) era contro questa tesi.
L‟intervento di Maximos IV scosse la commissione, che improvvisamente riequilibrò
il peso del Magistero con quello dei Padri. Ed anche Montini si espresse a favore di un
ripensamento della dottrina dell‟episcopato che integrasse quella del primato del
Vaticano I e tenesse conto delle attese dei fratrum dissidentium 17.
Ugualmente incisivo fu l‟intervento del melkita Hakim a proposito dello schema
sulle Fonti della Rivelazione:
Gli schemi contengono senza dubbio ricchezze e valori della Teologia latina e siamo
lieti di rendere un omaggio fervente allo straordinario ―intellectus fidei‖ che questa
teologia ha procurato alla Chiesa; ma ci dispiace che, ignorando completamente la
catechesi e la teologia orientali, di un Cirillo di Gerusalemme, di un Gregorio
Nazianzeno e di un Gregorio Nisseno, di Massimo, di Giovanni Damasceno e di tanti
altri Padri orientali, i redattori, nel loro progetto, abbiano a quanto sembra
monopolizzato la fede universale a favore della loro teologia particolare, che è
un’espressione valida, ma locale e parziale, della Rivelazione divina18 .

17 Ivi, 178.
18 Ivi, p. 205.
12
Sullo schema intorno all‟unità della chiesa l‟intervento più robusto fu ancora quello
del patriarca Maximos IV:
[La Chiesa orientale ] è una chiesa pienamente apostolica nei suoi elementi
costitutivi, e nettamente distinta dalla latinità. E’ una Chiesa primogenita di Cristo e
degli Apostoli. Il suo sviluppo e la sua organizzazione storica sono opera esclusiva
dei Padri, dei nostri Padri greci e orientali. Essa deve ciò che è al collegio apostolico,
tuttora vivente nell’episcopato collegiale, con Pietro al centro, con le sue
responsabilità e i suoi diritti distintivi.19
Con tali premesse si pensava che lo schema de Ecclesia avrebbe esacerbato ancor più
gli animi. Invece, la partenza fu quasi serena. Poi, ancora una volta per l‟intervento
del card. Frings, l‟atmosfera si riaccendeva. Egli criticò la carenza di cattolicità, di
quello spirito katholon (secondo il tutto) e di una ecclesiologia eucaristica, nonché di
eccesso di giuridismo. Egli non li menzionò, ma il suo linguaggio ricordava quello dei
teologi russi Chomjakov (sulla cattolicità) e Afanas‟ev per l‟ecclesiologia eucaristica.

19 Ivi, 207.
13
5.- Paolo VI e Atenagora: l’incontro di Gerusalemme

Nel corso del Concilio Vaticano II moriva il papa Giovanni XXIII (3 giugno) e il 21
giugno 1963 veniva eletto Paolo VI20. Egli era stato fedele braccio destro di Pio XII,
ma si era subito sentito in sintonia con l‟esercizio del papato di Giovanni XXIII. E
non solo volle con forza la continuazione del Concilio, ma giunse ad aperture
ecumeniche mai raggiunte prima di lui (e forse anche dopo di lui, pur mancando
ancora il confronto con papa Francesco).

Che Paolo VI avesse sposato in pieno la causa ecumenica si vide il 20 settembre


1963, quando scriveva ad Atenagora parlando del dono dello stesso battesimo, dello
stesso sacerdozio che celebra la stessa eucarestia, l’unico sacrificio dell’unico
Signore della Chiesa 21 . Intanto, già prima della conclusione del Concilio, la 2ª
Conferenza Panortodossa di Rodi proponeva alla Chiesa Romana il dialogo, ma su
basi di eguaglianza.
Il 5 e il 6 gennaio 1964 ebbe luogo lo storico incontro di Paolo VI e Atenagora a
Gerusalemme. La grande novità era nelle loro parole: L‟unità è nel Cristo, piuttosto
che nel ritorno dell‟una all‟altra Chiesa. Il 5 gennaio 1964 Atenagora si rivolgeva a
Paolo VI dicendo:

Santità, fratello in Cristo. Con la grazia di Dio trovandoci in questa santa terra,
dove gli immacolati piedi di Cristo si sono posati, in umiltà diamo gloria al Dio trino
che ci ha raccolti dall’Occidente e dall’Oriente e ci ha fatti degni di incontrarci ed
intrattenerci tra noi nel suo santo nome.
Questo avvenimento è veramente causa di gioia piena. Di questa gioia
pregustando, con cuore esultante e fraterna disposizione, veniamo in
comunicazione con la Vostra amata Santità, che con amore lietamente salutiamo e
alla quale indirizziamo queste parole, in questo sacro luogo, in cui si è sentita la
voce del Signore predicare il Vangelo della riconciliazione e della salvezza, e dove,
poco tempo prima della passione, con sudore egli pregava per la conservazione
nella verità e nell'unità di coloro che hanno creduto in lui.
« Considerando con la divina assistenza e benevolenza, quali avvenimenti di
eccezionale significato ed importanza nella storia e nella vita della Chiesa di Cristo
tutto ciò che avviene ora intorno a noi, ci auguriamo di tutto cuore che la buona
intenzione e disposizione, manifestate in questi ultimi tempi abbondantemente da
ambo le parti e continuamente attestate da una parte, e questo benedetto incontro
di persone ed abbraccio di anime dall'altra parte, siano l'inizio di un contraccambio
e completo allineamento alla santa volontà di Dio e di una risposta alla viva
aspettazione dei secoli passati e alle esigenze dell'epoca contemporanea.

20
Giovanni Battista Montini nacque a Concesio (Brescia) nel 1897. Il padre, direttore di un quotidiano
cattolico locale, lo fece studiare privatamente. Fu ordinato sacerdote nel 1920 e giovanissimo entrò
nella segreteria di stato. Dal 1925 al 1933 fu assistente della gioventù cattolica della FUCI. Durante la
seconda Guerra mondiale ebbe da Pio XII il compito di occuparsi di prigionieri e profughi. Nel 1952 il
papa lo nominò pro-segretario di stato, e due anni dopo arcivescovo di Milano (ma non cardinale). Nei
primi mesi del Concilio funse da mediatore fra i curiali e gli innovatori. Alla morte di Giovanni XXIII,
da papa riconvocò il concilio e lo condusse a termine. Nel 1964 pubblicò l‟enciclica Ecclesiam suam.
Abolì la Commissione per l‟indice dei libri proibiti trasformando il Sant’Uffizio in Congregazione per
la dottrina della Fede (1965). A parte alcuni temi (come il celibato ecclesiastico e il controllo delle
nascite) prese quasi sempre posizioni moderate che gli attirarono l‟accusa di indecisione e
compromesso.
21
TA 33.
14
« L'umanità cristiana da secoli vive la notte della divisione. I suoi occhi sono
appesantiti per aver troppo guardato le tenebre. Sia questo nostro incontro l'alba di
un luminoso e santo giorno, in cui le future generazioni cristiane, comunicando dal
medesimo calice del prezioso corpo e sangue del Signore, in amore e pace e unità
canteranno e glorificheranno l'unico Signore e Salvatore di tutti.
« Santità, Fratello in Cristo, ecco che, riaccostandoci gli uni agli altri, insieme
incontriamo il Signore. Continuiamo, dunque, il presente cammino, per noi sacro. «
Egli, giungendo, camminerà con noi, come una volta i due discepoli che andavano
ad Emmaus, mostrandoci la strada, per la quale dobbiamo camminare e muovere
veloci i piedi verso il desiderato fine... »22.

Il 6 gennaio a Gerusalemme il papa si rivolgeva ad Atenagora con queste parole:

Profondamente ci commuove e produce a noi intima gioia la solennità di questo


giorno, che sarà ricordato in eterno, in cui la Chiesa Cattolica ed il Patriarcato di
Cpostantinopoli, per mezzo dei loro massimi rappresentanti sacri, si incontrano di
nuovo, dopo tanti secoli, che sono passati in silenzio e in attesa.
Anche con sentimenti di animo grato, profondamente e interiormente siamo
ben disposti verso di Te, che per poterti incontrare con noi avevi voluto allontanarti
per poco tempo dalla Tua Sede Patriarcale.
« Ma all'onnipotente Dio, che è il Signore della Chiesa, è cosa degna rivolgere fin
dall'inizio, in umiltà, i nostri dovuti ringraziamenti.
« Tra i cristiani c'è un'antica opinione "che centro del mondo" è quel luogo ove si
è elevata la gloriosa croce del nostro Salvatore, e dove, sollevato da terra, Egli trae
a Sé tutte le cose (Gv. 12, 32).
« Era allora conveniente — e l'ha concesso la Provvidenza Divina — che proprio
in questo luogo, in questa parte eccellente della terra intera, per sempre sacro e
venerabile, fosse permesso a noi, pii pellegrini da Roma e da Costantinopoli, di
incontrarci e offrire comuni suppliche.
« Questo odierno incontro era tanto desiderato da Te, dai giorni del nostro
predecessore Giovanni XXIII, di eterna memoria, che di tanta stima e affetto
manifesto hai circondato, e al quale, non senza spirito di acuta perspicacia, hai
applicato le parole di san Giovanni apostolo: « Vi fu un uomo mandato da Dio, il cui
nome era Giovanni » (Gv. 1, 6).
« Ma anche quel Sommo Pontefice ha aspirato l'odierno avvenimento, come
anche Tu, come anche noi, come hai visto; la sua prematura morte, però, gli ha
impedito di realizzare questo augurio, tanto desiderato nel suo cuore.
« Cosi pure le parole di Cristo "che siano una cosa sola', ripetute frequentemente
dalle labbra di quel Pontefice morente nessun dubbio lasciano su una delle sue più
care intenzioni, quella per la quale ha offerto a Dio la lunga agonia di morte e la sua
vita preziosa.
« Le vie che conducono all'unità sono lunghe e seminate di molte difficoltà.
Tuttavia, queste vie convergono tra di loro e si incontrano alle fonti del Vangelo.
Non è allora un felice augurio il nostro incontro, in questa terra ove Cristo ha
fondato la sua Chiesa e ha versato il suo sangue per essa?

Alexiou Sp., Sul Monte degli Ulivi, in Ἐκκληζιαηικὰ γεγόνοηα, 1964 e 1965 », pp. 18-20. Anche
22

Gennadios Zervos, Il contributo del patriarcato ecumenico per l’unità dei cristiani, Città Nuova,
Roma 1974, p. 173

15
« In ogni caso, questo avvenimento chiaramente testimonia la volontà che, grazie
a Dio, riempie ancora di più le anime degli uomini cristiani, degni di questo nome;
la volontà, diciamo, che mettiamo in opera per sormontare i dissensi e togliere gli
ostacoli che si trovano sempre davanti, cioè, la volontà di seguire costantemente la
via che ci hanno indicata, che porta alla concordia e alla riconciliazione.
« I dissensi riguardo alla dottrina, alla liturgia e all'ordine ecclesiastico, saranno
esaminati bene a suo tempo e nel luogo pportuno, in uno spirito che salva la verità e
stima le cose con giudizio giusto e con carità intatta. Quello che oggi è possibile, e
deve realizzarsi, è l'accrescimento dell'amore fraterno, che muove per trovare nuove
vie di attività.
« Tale amore, cioè, insegnato dall'esperienza dei tempi passati, voleva essere
pronto a donare il perdono, con sollecito riconoscimento da parte degli altri del
bene piuttosto che del male, non avendo nessun altro desiderio se non di seguire le
tracce del Divino Redentore e, attirato da lui, poter riprodurre in esso la sua
immagine.
« Di tale amore, segno e testimonianza è l'abbraccio della pace, che con la
benevolenza di Dio ci è stato permesso scambiare tra di noi in questa Santissima
Terra; ugualmente, anche la preghiera che da Gesù Cristo abbiamo ricevuto e con
una voce dobbiamo annunciare.
« Mancano a Noi le parole per esaltare convenientemente quanto intimamente ci
ha commosso la Tua azione. Questo avvenimento, indubbiamente, di grande
momento, ha riempito di profonda gioia non soltanto Noi, ma anche la Chiesa
Romana, e il Sinodo Ecumenico.
« Per quanto riguarda Noi, eleviamo all'Onnipotente Dio una preghiera di molti
ringraziamenti, supplicandolo di aiutarci a camminare nella sua strada e donare a
Te e a Noi, che abbiamo intrapreso questa strada con fede e ferma speranza,
l'abbondanza delle grazie celesti, per arrivare con successo al termine desiderato.
« Con l'anima piena di tali sentimenti, non Ti salutiamo, ma desideriamo
esprimere l'augurio di rivederTi, se questo piace a Te, con la lieta speranza che
analoghe conversazioni sarà possibile ripetere fruttuosamente in avvenire, nel
nome del Signore!».

Rispondendo con brevi parole, anche il Patriarca ha offerto al Papa un «Encolpion»


d'oro gemmato con la dedica: «A Sua Santità il Papa di Roma Paolo VI. Atenagora
di Costantinopoli. 6 Gennaio 1964»23.

Poco dopo, Paolo VI riprendeva il dialogo anche con la Chiesa russa. A Pasqua
infatti inviava un messaggio al patriarca Alessio (con l’intenzione di proseguire nei
nostri sforzi per riannodare contatti fraterni con questa parte del gregge di Cristo
di cui siete il Pastore...). Il 13 maggio Alessio rispondeva al papa. E nuovamente a
giugno nell‟anniversario della morte di Giovanni XXIII, magnificando colui che
promosse il riavvicinamento cristiano e fu grande artefice ed apostolo di pace fra
tutti gli uomini). Esortava quindi Paolo VI a continuarne l‟opera. Calorosa la risposta
di Paolo VI24 .

Intanto la 3ª Conferenza Panortodossa di Rodi constatava e legittimava il dialogo


globale dell‟Ortodossia con la Chiesa Romana, aggiungendo che le singole chiese
potevano intrattenere rapporti amichevoli con la stessa Chiesa a nome proprio.

23 Alexiou Sp., Nella Galilea Minore, pp. 22-24; Zervos, Il contributo, 175
24 La Docum. Catholique, 20 sett. 64
16
Nel settembre del 1964 il Patriarcato di Costantinopoli inviava suoi osservatori al
Concilio. Il 29 i delegati del patriarca ecumenico, guidati dall‟archimandrita
Panteleimon Rodopoulos, furono ricevuti in udienza. Gli altri osservatori
provenivano dalle seguenti chiese: Patriarcato di Mosca, Patriarcato di Georgia,
Copti d‟Egitto, Ortodossi di Siria, Chiesa siriana ortodossa dell‟India, Chiesa
apostolica armena (Catolicosato di Cilicia), Chiesa apostolica armena (catolicosato di
Echmjadzin), Catolicosato patriarcale d‟Oriente, Chiesa russa della diaspora.

6. - Paolo VI e Atenagora: l’abrogazione delle scomuniche (7.XII.1965)

Nel mese di giugno del 1965 Atenagora mandava un telegramma a Paolo VI in


occasione del secondo anniversario della sua salita al pontificato, che possa
continuare ad onorare l’antica sede di Roma e possa far progredire l’opera accetta
a Dio di realizzare l’unità cristiana. Il papa rispondeva che avrebbe continuato a
lavorare per la grande causa dell’unità cristiana.
Il 7 dicembre di quell‟anno aveva luogo la cerimonia (parallela a Roma e
Costantinopoli) dell‟abrogazione delle scomuniche del 1054 durante la quale si
ribadiva la sincera volontà reciproca di riconciliazione 25 . Introduceva Gabriele,
segretario del Santo Sinodo di Costantinopoli, che durante la santa messa leggeva
questo testo:

[Dichiariamo] di comune accordo: di deplorare le parole offensive, i rimproveri


senza fondamento e i gesti condannabili che, da una parte e dall'altra, hanno
contrassegnato o accompagnato i tristi avvenimenti di quell'epoca; di deplorare
anche, e di cancellare dalla memoria e dal seno della Chiesa, le sentenze di
scomunica che vi hanno fatto seguito, e il cui ricordo è stato fino ai nostri giorni
come un ostacolo al riavvicinamento nella carità, e di condannarle all'oblio; di
deplorare, infine, i dolorosi precedenti e gli avvenimenti ulteriori che, sotto l'influsso
di svariati fattori, tra i quali l'incomprensione e la reciproca diffidenza, hanno alla
fine condotto alla rottura definitiva della comunione ecclesiastica»26.

25 TA 127.
26 Zervos 187. Bea A., op. cit., p. 235.
17
Nella sua dichiarazione ufficiale il patriarca Atenagora, nel riandare alla storia della
divisione del 1054, la vedeva come una ferita della carità. Riferendosi alle Chiese di
Roma e di Costantinopoli affermava: la carità che le teneva unite è stata ferita a tal
punto che l'anatema è comparso nel seno delle Chiese di Dio. Ora con la grazia di Dio
i tempi sono cambiati ed è possibile far prevalere nuovamente la carità; onde con
l‟accordo del Santo Sinodo e considerando gli stessi sentimenti della Chiesa di Roma,
la Nuova Roma ha deciso di riconsiderare gli avvenimenti del 1054 e di abolire la
scomunica comminata da Michele Cerulario ai legati papali. La speranza è che il
Signore, insieme alla santa Vergine agli Apostoli e a tutti i Santi, concedano
nuovamente “la pace alla Chiesa”27.
Anche il papa Paolo VI, con il relativo Breve, introduce con il vincolo della carità
che deve ispirare le azioni dei seguaci di Cristo, cosa che è mancata nel 1054 ai legati
papali nei confronti del patriarca di Costantinopoli. Onde, affermiamo dinanzi ai
vescovi riuniti nel Concilio Ecumenico Vaticano di sentire vivo rincrescimento per le
parole dette ed i gesti compiuti in quel tempo, e che non possono essere approvati.
Pertanto, quella sentenza di scomunica venga “sepolta nell‟oblio” e che riemerga la
fratellanza cristiana.
In un importante commento del teologo Basilio Stavridis 28 viene giustamente reso
merito al papa Giovanni XXIII di questo clima radicalmente cambiato nei rapporti fra
le due Chiese. Tutto è cominciato infatti grazie allo scambio di messaggi fra questo
papa, col suo appello alla pace fra le Chiese cristiane, ed il patriarca Atenagora (natale
1958 e Natale 1959), con la sua speranza in gesti concreti e nell‟atteggiamento
fraterno della Chiesa di Roma verso l‟Oriente 29.
Grazie poi a Paolo VI la corrispondenza fra le due Chiese è divenuta regolare. Tra i
gesti, secondo il noto teologo greco, grande importanza va annessa all‟abbraccio tra
Paolo VI e Atenagora in Terra Santa: Dopo un silenzio di tanti secoli, essi si sono
incontrati con il desiderio di realizzare la volontà del Signore e di proclamare la
verità antica del Vangelo affidata alla Chiesa. 30
Commentando l‟atto dell‟abrogazione delle scomuniche, Stavridis riprende le parole
di un altro teologo, Kallinikos, che scriveva in quell‟occasione: [Il Papa ed il Patriarca]
sanno bene che questo gesto di giustizia e di mutuo perdono non basta a mettere
termine alle antiche e nuove differenze che ancora sussistono tra la Chiesa cattolica
e la Chiesa ortodossa. Ma si può sperare che questo gesto sia apprezzato come
espressione di una reciproca sincera volontà di riconciliazione e come un invito alla
ricerca del dialogo… che le condurrà a ridare vita… alla piena comunione della fede,
della fraterna concordia e della vita sacramentale che esisteva nel corso del primo
millennio di vita della Chiesa 31.

L‟anno dopo (1966) si teneva a Chambesy (Svizzera) la 4ª Conferenza


panortodossa, che confermava il cammino intrapreso. Nel luglio del 1967 altro gesto
ecumenico: Paolo VI rendeva visita ad Atenagora al Fanar e per l‟occasione gli
consegnava il breve Anno Ineunte in cui è scritto: Questa vita delle Chiese sorelle è
stata da noi vissuta per secoli, celebrando insieme i concili ecumenici che hanno

27
Vedi Appendice II.
28 Histoire pp. 233-234.

29 Orthodoxia, 34 (1959), pp. 112-113.


30 La rencontre à Jérusalem..., 5 et 6 janvier 1964 (Istanbul, 1964).
31 K. KALLINIKOS, « La levée simultanée de l'anathème entre l'Eglise orthodoxe et l'Eglise catholique »,

dans Grégorios Palamas, 48 (1965), pp. 386-393. Procès-verbaux, supra, note 2.


18
difeso il deposito della fede contro qualsiasi alterazione. Ora, dopo un lungo periodo
di divisione, il Signore ci ha concesso che le nostre Chiese si riscoprano sorelle,
nonostante gli ostacoli che erano sorti fra noi nel passato32 . Nell‟ottobre Atenagora
ricambiava la visita a Roma. Colpito dall‟accoglienza fraterna a Roma al di fuori di
ogni protocollo, Atenagora commentava: Quest’atto fa di lui (Paolo VI) un grande
esegeta del suo primato così come lo aveva nella chiesa primitiva 33 . Nella
dichiarazione comune di ottobre si esprimeva una totale fedeltà all’unico Signore
Gesù Cristo, in un mutuo rispetto delle tradizioni proprie di ciascuno.

Encolpion
donato da
Atenagora
a Nicodemo
Arcivescovo
di Bari
in occasione
della
rimozione
delle scomuniche
(Museo
Nicolaiano
di Bari)

7.- Nuove tensioni Mosca-Costantinopoli: intercomunione e autocefalia

Il miglioramento dei rapporti fra Roma e Mosca, oltre alle convinzioni personali
del metropolita Nikodim, portò il 16 dicembre 1969 il Santo Sinodo della Chiesa russa
a decretare una parziale intercomunione con la chiesa cattolica: E’ stato deciso che
nei casi in cui i vecchio-credenti e i cattolici si rivolgono alla Chiesa ortodossa
perché vengano loro amministrati i santi sacramenti non sono da respingere34.

Mentre Episkepsis (bollettino del Centro ortodosso del Patriarcato ecumenico di


Ginevra) in data 16 febbraio 1970 osservava che la decisione si riferiva a “tutti” i
cattolici, e che era la prima volta che una chiesa ortodossa decideva da sola su una
questione così importante, i giornali greci andavano giù duro contro Mosca. Il 25
febbraio la Chiesa greca dichiarava che con questo atto Mosca fomentava la divisione
fra gli ortodossi e che i presupposti dogmatici, canonici e storici in materia, sono in
assoluta ed evidente contraddizione con la suddetta decisione. Dato che in alcune
interviste Atenagora si mostrava favorevole all‟intercomunione, alcuni vescovi greci
minacciavano di non commemorare più il patriarca nelle celebrazioni 35 .

32 TA 176
33 Panotis, p. 61
34
Cfr. Žurnal Moskovskoj Patriarchii 1970, n. 1, p. 5. Имели суждение о различных случаях, когда
старообрядцы и католики обращаются в Православную Церковь за совершением над ними
святых таинств. Постановили: В порядке разъяснения уточнить, что в тех случаях, когда
старообрядцы и католики обращаются в Православную Церковь за совершением над ними
Святых Таинств, это не возбраняется].
35
Episkepsis, del 14 aprile 1970
19
Atenagora, che era favorevole all‟intercomunione con i cattolici, era comunque
contrariato per il fatto che Mosca avesse preso una iniziativa così importante
autonomamente. I rapporti peggiorarono quando Mosca prese un‟altra autonoma
iniziativa, e questa volta il patriarcato di Costantinopoli era in disaccordo anche nella
sostanza. L‟8 gennaio del 1970, avendo appreso di trattative tra il Patriarcato di
Mosca e la Chiesa russo americana per dichiarare quest‟ultima “autocefala”,
Atenagora scrisse una dura lettera ad Alessio, in cui dice che questa Chiesa non sarà
riconosciuta dal patriarcato e che sarebbe ricorso a provvedimenti canonici.

Nonostante l‟avvertimento del patriarca ecumenico, il 10 aprile 1979 il patriarcato di


Mosca riconosceva l‟autocefalia della Chiesa Russo-Ortodossa d‟America. Di
conseguenza i rapporti con Costantinopoli divennero ancor più tesi.

La posizione del Patriarcato ecumenico è così espressa da Stilianos Bouris: Il concilio


di Calcedonia (451) riserva al vescovo di Costantinopoli due casi di responsabilità
internazionale, il potere giudiziario sui chierici o ékkliton (canone 9 e 17) e la
giurisdizione sulle terre sconosciute (canone 28), “unica giurisdizione, rispetto agli
altri quattro antichi patriarcati, Roma, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e la
Chiesa autocefala di Cipro”. Nel 533 Giustiniano gli dà il titolo di patriarca
ecumenico. I sultani gli riconosceranno il titolo di “etnarca dei Romani”. Una serie di
trattati dal 1699 al 1923 costringono la Porta a rispettare il ruolo internazionale del
Patriarcato. Importante sotto questo aspetto il trattato del 1774 che dà alla Russia il
protettorato sugli ortodossi come la Francia l‟aveva dei cattolici. In omaggio al
trattato di Parigi del 1856, la Porta sottoscrive nel 1860 un concordato col
Patriarcato. Come madre delle Chiese ortodosse, tra i compiti del patriarcato c‟è il
rinsaldamento dei rapporti inter-ortodossi e “la somministrazione dell‟Autocefalia
nelle Chiese locali” 36.

La posizione della Chiesa russa è invece così espressa dal metropolita Ilarion Alfeev:
Chiesa “madre” è la Chiesa evangelizzatrice. I Russi evangelizzarono l‟Alaska nel
XVIII secolo, fondando poi la sede episcopale di Sitka (1840). La sede principale
passa quindi a San Francisco e nel 1905 a New York. L‟arcivescovo Tikhon (lo stesso
che poi diviene patriarca di Mosca) inoltra domanda di autocefalia alla commissione
presinodale di Mosca. Nel 1924, mentre in Europa si costituisce la Chiesa russa oltre
frontiera, la metropolia d‟America proclama la sua autonomia temporanea. Nel VII
Sobor di questa chiesa (1946) si dichiara la disponibilità a riconoscere il patriarca di
Mosca come capo spirituale, ma non come capo amministrativo. Le trattative a
Ginevra nel 1969 sfociano nella dichiarazione di autocefalia: La Chiesa russa non può
rinunciare ai suoi diritti canonici che derivano dalla fondazione dell’Ortodossia in
America, e per questo solo essa, in quanto Chiesa Madre, può fondare questa
autocefalia. Il 31 marzo il Santo Sinodo dichiara anche l‟autonomia della chiesa
ortodossa giapponese (nelle trattative vi sono anche Schmemann e Meyendorff), sulle
stesse basi canoniche. Si noti che diventa autonoma la chiesa giapponese “russo
americana”, mentre rimane direttamente sotto Mosca l‟altra chiesa russo giapponese.

36Il Patriarcato ecumenico, pp. 17-23. Da notare che è proprio il ruolo internazionale del Patriarca
che viene negato da tutta una serie di iniziative del governo turco a partire dal 1924 (con l‟introduzione
dello stato laico). Per la Turchia il Patriarcato è “una istituzione di diritto nazionale”. L‟ostilità si
acuisce nel 1955 con atti di violenza e negli anni successivi al 1964 con la chiusura anche delle riviste
“Apostolo Andrea “ e “Ortodossia”. A favore delle prerogative (non solo di onore) del patriarcato di
Costantinopoli si esprime anche il cattolico Enrico Morini nel citato volume a cura del Bouris.

20
Il 17 aprile moriva il patriarca Alessio di Mosca, col quale Atenagora aveva avuto un
franco scambio di lettere. Il 22 gennaio 1971, con un atto che irritava la Chiesa di
Mosca, Atenagora concedeva lo statuto di autonomia interna all‟esarcato russo
costantinopolitano di Parigi:

Questo statuto ha permesso all’Arcivescovado di preservare la sua specificità


liturgica e amministrativa ereditata dalla secolare e santa tradizione ortodossa
russa, nell’obbedienza del patriarcato di Costantinopoli. Gli ha garantito la libertà
dalle influenze estranee alla Chiesa e contribuisce alla testimonianza e al
radicamento della santa Fede ortodossa nei paesi dell’Europa occidentale, dove
l’Arcivescovado è stato fondato dalla Provvidenza divina.

Con “libertà dalle influenze estranee alla Chiesa” Atenagora si riferiva certamente al
regime comunista dell‟Unione Sovietica, ma l‟atmosfera e la vicinanza dei due eventi
creava l‟impressione di una “rappresaglia” di Costantinopoli nei confronti di Mosca.
I teologi greci considerano la fondazione dell‟esarcato russo costantinopolitano (17
febbraio 1931 tra il metropolita Evlogij Georgievskij ed il Patriarca Fozio II) non come
un fatto dovuto alla particolare situazione politica seguita alla rivoluzione d‟Ottobre,
ma come un fatto di libertà ecclesiale inserita in un contesto della responsabilità
cattolica ed ecumenica del patriarca. In questo contesto si rigetta la concezione di
chiesa locale come Chiesa nazionale per identificarla con la diocesi del vescovo (da
notare al riguardo il recente conferimento della laurea honoris causa all‟Istituto S.
Sergio al teologo greco John Zizioulas, paladino appunto della Chiesa locale).
L‟atteggiamento assunto dai russi di Parigi è dunque uno degli elementi di forza
dell‟ecclesiologia costantinopolitana. Curiosamente, proprio la Chiesa russa oltre
frontiera, la più violenta contro Mosca, nel 2007 ha scelto la direzione opposta,
preferendo ricongiungersi alla Chiesa madre.

8.- Paolo VI bacia il piede di Melitone. Anche per Dimitrios il dialogo


progredisce

Intanto l‟8 febbraio 1971 Paolo VI scriveva ad Atenagora: Lo Spirito mette nei nostri
cuori di fare tutto ciò che è possibile per affrettare il giorno tanto desiderato in cui,
al termine di una concelebrazione noi potremo comunicare insieme allo stesso calice
del Signore.
Il tema dell‟intercomunione toccava un tasto delicato, ma Atenagora si muoveva nella
stessa lunghezza d‟onda di papa Paolo VI, anche se non aveva la stessa autorità nella
sua Chiesa. Nella risposta il 21 marzo Atenagora diceva:

Noi vi scriviamo dall’Oriente poco prima della Passione del Signore. La tavola è
pronta nel cenacolo e nostro Signore desidera mangiare la Pasqua con noi. Ci
rifiutiamo ? Certamente gli ostacoli ereditati dal passato e da altri fattori sussistono
ancora e il nemico del Regno di Dio li sostiene. Ma noi non abbiamo creduto in colui
il quale ha detto che quanto è impossibile agli uomini è possibile a Dio ? E che tutto è
possibile a colui che crede ? 37

Un anno dopo, il 6 luglio 1972 moriva Atenagora, il più ecumenico dei patriarchi di
Costantinopoli, ed il 16 veniva eletto Dimitrios I38.

37
TA 284.
38
Tre giorni dopo, il 9 luglio il governo turco chiudeva la scuola di Halki, operante dal 1844.
21
Il 20.XI.1973 Paolo VI scriveva a Dimitrios in occasione della imminente festa di S.
Andrea, ricordando il lavoro svolto con Atenagora per l‟unione dei cristiani. Dimitrios
rispondeva il 6 dicembre promettendo di continuare su questa via, coinvolgendo tutta
l‟ortodossia. Il nuovo patriarca si augurava tra l‟altro che tutti gli incontri delle varie
chiese ortodosse con la Romana sfociassero ad accordi a livello di tutta la Chiesa
Cattolica e dell‟Ortodossia nel suo insieme39.
Nel dicembre del 1975 Paolo VI fece un gesto che colpì moltissimo sia negli ambienti
ortodossi che nei cattolici: baciò il piede del metropolita Melitone di Calcedonia,
giunto a Roma come rappresentante del patriarca alle celebrazioni per il X
anniversario dell‟abrogazione delle scomuniche. Il patriarca commentò:

Con questa manifestazione il venerato e a noi carissimo fratello, il papa di Roma


Paolo VI ha superato sé stesso e ha mostrato alla Chiesa e al mondo ciò che è e può
essere il vescovo cristiano e soprattutto il primo vescovo della cristianità: una forza
di riconciliazione e di unificazione delle Chiese e del mondo 40 .

Intanto prendeva piede una vecchia idea cara ad Atenagora, e che non aveva avuto la
possibilità di concretizzarsi. Riunire un concilio panortodosso. Nel 1976 a Chambesy
(Ginevra) si riuniva la Conferenza panortodossa preconciliare, sotto la presidenza
proprio di Melitone di Calcedonia. Il papa mandava un suo messaggio: Noi
chiediamo al Signore che questa conferenza contribuisca a preparare il
ristabilimento della piena comunione tra le nostre chiese e che essa affretti il giorno
in cui tutti gli ostacoli saranno superati e potremo finalmente celebrare insieme la
sua unica Eucarestia. Risposta gentile di Melitone.

Tra l‟11 e il 15.X.1976 si riuniva la Commissione cattolica preparatoria al dialogo con


l‟ortodossia. L‟anno dopo, nel mese di giugno e nuovamente tra il 14 e il 18.XI. 1977 si
riuniva la Commissione teologica interortodossa per il dialogo con la Chiesa Romana.
Il cammino verso un più intenso dialogo sembrava avviato. A giugno Melitone era
nuovamente a Roma per i festeggiamenti dei Santi Pietro e Paolo. A novembre era
Willebrands a rappresentare il papa a Costantinopoli per la festa di S. Andrea.
L‟usanza diveniva ormai consolidata e si ripete ancora oggi tutti gli anni.

Il 29.III-1.IV.1978 si riuniva il Comitato misto di coordinamento (5 cattolici e 5


ortodossi), concordando il Plan pour la mise en route du dialogue théologique entre
l’Eglise catholique romaine et l’Eglise orthodoxe. Lo scopo di questo dialogo era così
delineato : Lo scopo del dialogo tra la Chiesa cattolica romana e la Chiesa ortodossa è
il ristabilimento della piena comunione tra le due Chiese. Questa comunione, fondata
sull‟unità di fede nella linea dell‟esperienza e della tradizione comune della Chiesa
antica, troverà la sua espressione nella celebrazione comune della santa Eucarestia.
Nel trattare i problemi accumulatisi dopo la separazione bisogna essere animati dalla
presenza degli elementi che ci uniscono, distinguendo fra diversità compatibili per la
comunione nell‟Eucarestia e divergenze incompatibili 41.

Nell‟agosto del 1978 moriva Paolo VI ed il giorno 26 agosto veniva eletto Giovanni
Paolo I, che moriva già il 28 settembre. Il 16.X. 1978 veniva eletto il polacco Karol
Woytila, che prendeva il nome di Giovanni Paolo II.

39
Episkepsis, 1973, nn.11-12, p. 19.
40
L‟Oss. Rom. 6 genn. 1976.
41
Orthodoxos Typos, 19 sett 1980].
22
9.- Giovanni Paolo II e Dimitrios: la Commissione mista del dialogo
cattolico ortodosso

Con Giovanni Paolo II 42i rapporti Roma Costantinopoli prendono la forma del
dialogo teologico istituzionalizzato. Anche le sue iniziative tendono a continuare sulla
via ecumenica, anche se gli manca l‟afflato carismatico di Paolo VI e Atenagora.

Il 19.III.1979 Giovanni Paolo II in un messaggio al card. Slipyj confermava la validità


del concilio di Brest (1596), il che provocava la reazione sfavorevole del patriarcato di
Mosca. Il problema dell‟uniatismo come ostacolo al cammino ecumenico diveniva
sempre più sentito, ed almeno in questo la chiesa greca si affiancava a quella russa.
Il 30.XI.1979 Giovanni Paolo II rendeva visita al patriarca Dimitrios I. Per
l‟occasione il papa e il patriarca annunciavano ufficialmente l‟inizio del dialogo
teologico a mezzo di una Commissione mista cattolico-ortodossa composta di 60
membri (30 cattolici e 30 ortodossi, rappresentanti di tutte le chiese autocefale).
Distinguendo fra teologia e fede, entrambi avvertono la necessità di superare le
incomprensioni derivanti dalle formulazioni teologiche43.
Schematicamente, le principali tappe di queste Commissioni miste sono state:

1980. Dal 29.V al 4.VI: Iª Assemblea Plenaria a Patmos e Rodi.


Tema: Il mistero della Chiesa e dell’Eucarestia alla luce del mistero della santissima
Trinità, con particolare attenzione alla natura sacramentale della Chiesa e
dell‟Eucaristia, al ruolo del vescovo nella chiesa locale e al rapporto fra chiesa locale e
l‟insieme delle chiese locali. Il Comunicato congiunto diceva: Cambiamenti di
comportamento di entrambe le parti, inauguratisi con le Conferenze Panortodosse e
con il Concilio Vaticano II, hanno permesso un processo di avvicinamento tra le due
Chiese – il cosiddetto dialogo della Carità. Frutto di tale dialogo è il dialogo
teologico ufficiale per il cui tramite, speriamo, si faranno dei passi verso la
restaurazione della piena comunione ecclesiale tra le Chiese Ortodossa e Cattolica
romana.

1981. Dal 1° al 9.X: Sinodo della Chiesa di Grecia. Nella sessione plenaria
l‟arcivescovo Crisostomo di Atene parlò sul tema: Ortodossia e Cattolicesimo
romano: il dialogo teologico iniziato. Fatti e pensieri. Si precisava che la Chiesa
greca partecipava al dialogo con forti riserve sulla sua utilità; Roma rimaneva
inaffidabile a motivo dell‟uniatismo e delle relazioni diplomatiche: la Chiesa greca
non riconosce il nunzio ad Atene; è contraria a che gli uniati partecipino al dialogo, e
non riconosce i documenti comuni in quanto basati sull‟equivoco, essendo le

42
Karol Woytila nacque nel 1920 a Wadowice in una famiglia di modeste condizioni. Sacerdote nel
1946 a Cracovia, frequentò gli studi presso l‟Angelicum conseguendo la laurea in filosofia. In patria
all‟università di Lublino ottenne la laurea in teologia. Dopo un‟intensa attività letteraria, appena
nominato vescovo di Ombi e vescovo ausiliare di Cracovia (1958), si dedicò decisamente alla pastorale.
Paolo VI lo nominò arcivescovo di Cracovia nel 1964, quindi cardinale nel 1967. La sua produzione
magisteriale è molto ampia. In campo ecumenico fondamentale è la sua Ut unum sint (1995), i cui
esorta i teologi cattolici a ripensare la teologia del primato in modo tale che possa essere accetta anche
ai fratelli separati. Molto forte la sua testimonianza nella sofferenza che lo ha portato alla morte.
43
Il rappresentante del patriarcato di Alessandria sottolinea l‟importanza dell‟iniziativa ma anche la
necessità di coinvolgere il popolo di Dio. Mentre Boris Bobrinskoj e il metropolita Giorgio del Monte
Libano lamentano l‟assenza di S. Sergio e St Vladimir, essendosi preferito da parte ortodossa la
rappresentanza di ogni singola chiesa piuttosto che la preparazione teologica.
23
rispettive teologie profondamente diverse. Questa micidiale presa di posizione
raggelava il cammino verso l‟intercomunione44.

1982.Dal 30.VI al 6.VII: IIª Assemblea Plenaria: Monaco.


Documento: Il mistero della Chiesa e dell’Eucarestia alla luce del mistero della
santissima Trinità. In esso si rileva come la chiesa cattolica si manifesta nella sinassi
della chiesa locale. Dato il collegamento fra la comunità degli apostoli ed il collegio
dei vescovi, la cura della chiesa universale è affidata all‟insieme dei vescovi in
comunione, il tutto espresso nella vita conciliare.
Da notare gli interventi di Ratzinger e Konstantinidis. Il card. Ratzinger rilevava che
questa era l‟ecclesiologia eucaristica di N. Afanas‟ev, e che il documento insisteva
eccessivamente su ciò che ci accomuna, sorvolando un po‟ troppo sulle differenze.
Per il Konstantinidis si trattava di un documento soddisfacente, che andava però
spiegato ai fedeli. Poco dopo a Chambésy (Svizzera) si teneva la Seconda Conferenza
panortodossa preconciliare.

1984.Dal 30.V all‟8.VI: IIIª Assemblea Plenaria: Creta.


Tema: Fede, sacramenti e unità della Chiesa. Nessun accordo. Secondo Parthenios di
Alessandria a motivo del fatto che alcuni ortodossi considerano “dogmatiche” alcune
differenze di tradizioni sacramentali (la chiesa ortodossa celebra insieme battesimo,
cresima, eucarestia, mentre la chiesa cattolica le scandisce nel tempo ponendo prima
l‟eucarestia e poi la cresima), che invece vi erano anche prima della divisione. Dal
29.V al 7.VI.1986: Terza Conferenza panortodossa preconciliare, sempre a
Chambésy.

1987. Dal 9 al 16.VI: IV Assemblea Plenaria: Bari – Cassano Murge


Tema (nuovamente): Fede, sacramenti e unità della Chiesa. Il documento comune,
pur facendo qualche progresso rispetto a Creta, rimane insoddisfacente, in quanto
mentre la Chiesa cattolica afferma senza riserve la validità dei sacramenti della chiesa
ortodossa, la Chiesa ortodossa non ha raggiunto un accordo per una dichiarazione
ufficiale e senza riserve del valore dei sacramenti della Chiesa cattolica. Il documento
è dunque ambiguo: da un lato riconosce la legittimità di prassi diverse, dall‟altro
mantiene le riserve ortodosse alla dottrina che sottende questa diversità di tradizioni.
A seconda di quale aspetto si prende in considerazione ne deriva una valutazione
positiva o negativa45.

1988. Dal 19 al 27.VI: Vª Assemblea Plenaria: Uusi Valamo (Finlandia)


Documento: Il sacramento dell’Ordine nella struttura sacramentale della Chiesa, in
particolare l’importanza della successione apostolica per la santificazione e l’unità
della Chiesa. Stessa ambiguità del Documento di Bari: Sono sottolineati molti punti
di convergenza fra le due chiese, ma manca da parte ortodossa un riconoscimento
esplicito del sacramento dell‟Ordine della Chiesa cattolica.

1990. Dal 5 al 15.VI: VI ª Assemblea Plenaria: Freising (Germania)

44
Cfr. Boumi P., La priorità dell’accordo dogmatico prima della comunione eucaristica, in Annuario
Facoltà di Teologia di Atene, 1981.
45L‟atmosfera dell‟incontro fu avvelenata dalla mostra delle icone macedoni in Vaticano, che
provocò una vibrata protesta della Chiesa greca. Si è accennato anche al proselitismo.

24
Atmosfera: crollo del comunismo nei paesi dell‟Est. Riflessioni e accordi: rigetto del
proselitismo; necessità di affrontare il problema dell‟uniatismo. Ma gli ortodossi sono
assenti da alcune riunioni su questo argomento.

10. Balamand (1993): lo spartiacque ecclesiologico

Se le precedenti sessioni della Commissione mista sembravano aver segnato dei progressi
teologici (almeno a giudicare dalle dichiarazioni comuni), quella di Balamand rappresenta
il vero spartiacque che fece dissolvere tanti equivoci sul concetto di Chiesa riferito alle altre
confessioni religiose rispetto alla propria. Il chiarimento questa volta non venne tanto dagli
ambienti teologici quanto dalle Chiese stesse.

1993. Dal 17-24.VI: VIIª Assemblea Plenaria: Balamand (Libano):

Documento: L’uniatismo metodo di unione del passato e la ricerca attuale della piena
comunione. La Chiesa cattolica rigetta il metodo, ma afferma il diritto delle chiese orientali
cattoliche all‟esistenza. Tale cambiamento è dovuto al fatto che la conseguenza del dialogo
è stata la riscoperta di essere chiese sorelle. La nuova ecclesiologia spinge ad un
cambiamento di metodo: La Chiesa cattolica e la Chiesa Ortodossa si riconoscono
reciprocamente Chiese sorelle, responsabili insieme della salvaguardia della Chiesa di
Dio nella fedeltà al disegno divino, in modo del tutto speciale per quanto riguarda l’unità.
Parlando dell‟impegno di educare i futuri sacerdoti a questo spirito, è detto: Tutti debbono
in primo luogo essere informati della successione apostolica dell’altra chiesa e
dell’autenticità della sua vita sacramentale.
A differenza delle altre sessioni plenarie, questa di Balamand rappresenta il vero
spartiacque del dialogo ecumenico con le chiese ortodosse. La divisione nell‟ortodossia
appare in tutta la sua evidenza. In altri termini, il dialogo ecumenico avviato da Giovanni
XXIII e Atenagora con Balamand mette a nudo secoli di disinteresse reciproco fra le chiese
locali ortodosse. Si ripete con Balamand ciò che era accaduto con la dichiarazione della
Chiesa russa sull‟intercomunione nel 1970. La Chiesa greca, che era vissuta in beata
sicurezza di sé ignorando l‟ecclesiologia russa, reagiva come se fosse stato detto qualcosa di
nuovo. Non sapeva o faceva finta di non sapere che quella era la normativa dei libri
liturgici e dei rituali russi che hanno sempre messo la chiesa romana sullo stesso livello dei
vecchioritualisti: scismatica sì, ma non eretica. In questo la Chiesa russa era in linea col
patriarcato di Costantinopoli, ma non con la Chiesa greca.

Il patriarcato di Costantinopoli, avendo da tempo intrapreso la via ecumenica (anche per


il tramite di Crisostomo Konstantinidis) espresse soddisfazione per le conclusioni di
Balamand.
Con Mosca e Costantinopoli altre sette chiese ortodosse dichiararono di approvare
l‟ecclesiologia sottesa al discorso sull‟uniatismo. Con la Chiesa greca altre quattro
(Gerusalemme, Serbia, Bulgaria, Cecoslovacchia, sostituita poi quest‟ultima dalla Georgia)
la rigettarono, perché ritenevano (e ritengono) che le differenze dogmatiche non
permettono di parlare di Chiese sorelle.

Il Sinodo di Grecia l‟8 dicembre 1994 dichiarò che Balamand era inaccettabile dal punto
di vista ortodosso e contraddice la tradizione ortodossa, e che il riconoscimento di Roma
come chiesa sorella non era neppure pensabile.
La sacra Sinassi del Monte Athos definì anti-ortodossa la dichiarazione di Balamand.
Secondo i monaci dell‟Athos i rappresentanti ortodossi erano addivenuti ad un
inaccettabile compromesso, senza che ci fosse una buona ragione (nulla era cambiato
25
infatti, a loro avviso, nell‟atteggiamento di Roma) per riconoscere Roma chiesa sorella,
essendo questa rimasta scismatica ed eretica. Altrettanto negativa la risposta di Pavel
Nikitaras, protoigumeno del monastero di S. Giovanni Evangelista a Patmos. Di amara
delusione per gli ortodossi parlò anche padre Zissis. Per Ioannis Romanidis a Balamand si
era avuta la sottomissione degli ortodossi bizantini ai franchi latini. Intuendo la portata
dell‟affermazione delle Chiese sorelle, il metropolita Dimitriaski Christodulos ricordava
che la chiesa ortodossa rigettava la branch theory, che cioè la chiesa ortodossa e la
cattolica romana siano rami dell‟unica chiesa.

Con Balamand aveva fine l‟atmosfera idilliaca degli incontri delle Commissioni
miste teologiche e si prendeva consapevolezza che altro era il dialogo ufficiale, altro
l‟accettazione di esso da parte delle rispettive Chiese.
Nel giugno 1995 ad Istanbul la Commissione ortodossa per il dialogo con la Chiesa
cattolica invitava tutte le chiese a mandare partecipanti per rendere la partecipazione
ortodossa più dinamica. Invitava anche ad evitare commenti duri a posteriori. Si
riconosceva Balamand come un passo nella giusta direzione e si invitava Roma a non
festeggiare i 400 anni di Brest. Ma Brest poi passò in secondo piano sia per il diverso
approccio al documento di Balamand e sia per la crisi fra Mosca e Costantinopoli per
l‟Estonia.

Quanto a Balamand, la Commissione sinodale teologica russa, impegnata nel dialogo fra
le Chiese ortodossa e romano cattolica, commentando su Internet le tappe del dialogo, ne
approvava il documento, apprezzando il rifiuto cattolico dell‟Uniatismo come metodo e
accogliendo l‟ecclesiologia delle chiese sorelle.

Il Vaticano II ha chiamato la Chiesa ortodossa ―chiesa sorella‖, riconoscendo


così la natura benedetta della Chiesa ortodossa e la natura salvifica dei suoi
sacramenti. La Chiesa ortodossa, a sua volta, ha sempre riconosciuto la validità
dei sacramenti della Chiesa Cattolica. A comprova di ciò sta il fatto che i cristiani
cattolici sono accolti nella Chiesa Ortodossa mediante il cosiddetto ―terzo ordine‖
per divenire membro dell’Ortodossia, non mediante il Battesimo, come i non
cristiani o le sette, non mediante la cresima, come i protestanti, bensì attraverso
il pentimento, come gli scismatici. I sacerdoti Romano Cattolici sono accolti
secondo gli stessi ordini sacri ai quali erano stati ordinati nella Chiesa cattolica.
Non è una coincidenza che i Vecchio-ritualisti, che sono in condizione di scisma
dalla Chiesa ortodossa, sono accolti allo stesso modo dei cristiani romano
cattolici. Questo fatto dimostra che, nonostante le gravi fondamentali differenze
su un certo numero di questioni dottrinali e spirituali fra le due Chiese, il
Cattolicesimo romano nella mentalità e nella tradizione ortodossa è visto come
una comunità cristiana in condizione di scisma con la Chiesa ortodossa,
conservando però la successione apostolica.
Il Documento di Balamand non aggiunge alcunché di fondamentalmente nuovo,
ma prosegue nell’atteggiamento tradizionale ortodosso verso il Cattolicesimo.
(…) La Commissione teologica propone inoltre di aprire una discussione sul
documento di Balamand e solo successivamente considerare la possibilità che sia
ratificato dalle chiese o approvato dalla Conferenza panortodossa.

Anche nella Chiesa cattolica ci furono forti resistenze a Balamand, specialmente fra
le chiese greco cattoliche. Queste, col crollo del comunismo, già vedevano la
possibilità concreta di rientrare in possesso degli edifici ecclesiastici e proprietà di cui
erano state espropriate da Stalin e governi comunisti. Ora, con l‟accordo

26
sull‟uniatismo, vedevano il rischio che sfumassero gran parte delle loro speranze. Di
conseguenza, le esortazioni della Santa Sede all‟armonia con gli ortodossi furono
disattese e molte chiese furono rioccupate con la forza.

11.- Bolla Ut unum sint di Giovanni Paolo II (1995).

Nonostante la sua formazione piuttosto conservatrice, Giovanni Paolo II aveva


assimilato lo spirito di Paolo VI e del Concilio Vaticano II, come si evince dal suo
invito ai teologi cattolici a ripensare l‟esercizio del primato petrino per renderlo
accettabile agli ortodossi.
La via per una soluzione cattolica (accettabile forse anche dagli ortodossi) la
indicò egli stesso nell‟enciclica Ut unum sint del 1995.

Questa enciclica segnò un grande passo avanti della Chiesa cattolica che, senza
negare la giurisdizione universale e riprendendo un‟espressione del Concilio Vaticano
II, prospettava un modo nuovo del servizio petrino, decisamente più rispettoso
dell‟autorità delle chiese locali. Nel menzionare il primato come esercitato nel I°
millennio cita un passo in cui Roma interviene per la pace fra le chiese “qualora‖ ci
fosse discordia. Si lascia cioè intendere che non si tratta di una giurisdizione diretta e
ordinaria, ma solo nei casi di rottura della pace.
Richiamando il tema della quinta assemblea mondiale di Fede e Costituzione
tenuta a Compostella (de universali ministerio unitatis christianae) il papa si
proponeva come soggetto di questo immane officium. Egli era consapevole che il
compito affidato a Pietro da Gesù si accompagnava al tradimento: Ricollegandosi
alla triplice professione d’amore di Pietro che corrisponde al triplice tradimento, il
suo successore sa di dover essere segno di misericordia [n. 93].

1984. Giovanni Paolo II e il metropolita Crisostomo Konstantinidis nella Basilica di


San Nicola accendono la lampada uniflamma, simbolo dell’unica fede nelle due
tradizioni (orientale e occidentale).

27
Rompendo con un passato autoreferenziale Giovanni Paolo II, con grande onestà
intellettuale, accostava al grande munus affidato da Cristo a Pietro il tradimento
dello stesso Pietro. L‟immane officium è cioè in mani fragili. In altri termini il diritto
divino del primato deve essere coniugato con la realtà umana del potere, nonché con
la tradizione della Chiesa antica:

Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare,


soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle
comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma
di esercizio del primato (formam primatus exercitii) che, pur non rinunciando in
nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Per
un millennio i cristiani erano uniti ―dalla fraterna comunione della fede e della vita
sacramentale, intervenendo per comune consenso la sede romana, qualora fossero
sorti fra loro dissensi circa la fede o la disciplina. ... Lo Spirito Santo ci doni la sua
luce, e illuminati tutti i Pastori e i teologi delle nostre chiese, affinché possiamo
cercare, evidentemente insieme, le forme nelle quali questo ministero possa
realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri (n. 95).

12. Per l’Estonia: scontro Mosca-Costantinopoli sul “Protos”

La bolla Ut unum sint, che sembrava aver posto le premesse per un balzo in avanti
del dialogo cattolico ortodosso, cadeva in un momento delle relazioni tra Mosca e
Costantinopoli al limite della rottura. Anzi la rottura, sia pure per soli quattro mesi, si
verificò effettivamente.

Il 22 febbraio 1996 il patriarca Alessio II, concelebrando il giorno del suo


onomastico con 50 vescovi, omise la commemorazione del patriarca di
Costantinopoli. La motivazione che poi addusse era che il patriarcato ecumenico
aveva sottratto la chiesa estone alla giurisdizione moscovita. Il fatto ha significato la
rottura dell’unità ortodossa, dice il relativo Atto sinodale, che aggiunge: tali azioni
sono considerate come una grave violazione del diritto canonico ortodosso,
un’invasione sul territorio di un’altra chiesa ortodossa locale.

Il 29 un memorandum del Patriarcato di Mosca insisteva che si trattava di rozza


violazione di tutte le fondamentali norme canoniche, e metteva in guardia il
patriarcato ecumenico a non peggiorare la rottura accogliendo i sacerdoti sospesi. 46

Rispondendo alla reazione di Alessio II (che nella cattedrale della Teofania a


Mosca non aveva fatto il nome del patriarca Bartolomeo durante la liturgia), il
patriarca di Costantinopoli faceva notare che come regolarmente avviene
nell’ortodossia, tutte le chiese ortodosse autocefale e autonome sono state sempre
dichiarate tali in accordo alle richieste presentate dai governi nazionali. Né gli
ortodossi estoni possono essere accusati di insubordinazione all‟arcivescovo Cornelio,
dal momento che questi rappresenta la continuazione dell’azione di forza con cui
l’esercito stalinista ha rovesciato l’ordine canonico nel 1944. Del resto i canoni 9 e 17
di Calcedonia assegnano a Costantinopoli la responsabilità estremamente onerosa di

46 La chiesa estone aveva ricevuto l‟autonomia dal patriarca Tichon nel 1920, quindi nel 1923 dal
patriarca Meletios IV di Costantinopoli. Nel 1944 l‟Estonia tornava sotto la giurisdizione di Mosca. Con
la caduta del comunismo il governo estone chiese al patriarca ecumenico di riconoscere l‟autonomia
della Chiesa dell‟Estonia e di prenderla sotto la sua giurisdizione.
28
giudicare le cause di altre chiese locali se invitata a farlo. I documenti prodotti da
entrambe le parti manifestano il punto centrale della discordanza canonico-ecclesiale
fra Costantinopoli e Mosca47. L‟atto del patriarcato ecumenico apre infatti con una
citazione di Fozio:

«E consuetudine cambiare i confini delle chiese al mutare delle entità e delle


amministrazioni politiche», dichiarava Fozio il grande, saggio tra i patriarchi.
Poiché i cristiani ortodossi residenti in Estonia, che rappresentano una
componente ragguardevole della nazione estone, hanno chiesto la protezione
spirituale e la composizione delle loro questioni ecclesiastiche da parte della
santissima chiesa di Costantinopoli, la chiesa madre storica di tutti i popoli
ortodossi presenti in Europa orientale e centrale, tale chiesa, come una
tenera madre, accogliendo la libera e unanime richiesta dei suoi figli, ha
riconosciuto e benedetto l’autonomia della Chiesa ortodossa in Estonia sotto
la guida spirituale del Patriarcato Ecumenico, istituita nel luglio dei 1923
tramite il Tomo patriarcale e sinodale che porta il sigillo del nostro
memorabile predecessore, il patriarca ecumenico Meletios IV.
Tuttavia, vent’anni dopo la distruzione violenta della libert à e
dell’indipendenza dello stato estone, anche l’autonomia ecclesiastica dei
cristiani ortodossi in Estonia e stata annientata violentemente. Da quando
il loro legittimo metropolita Alessandro insieme a molti chierici e a
migliaia di laici fuggì in Svezia nel marzo del 1944, la Chiesa autonoma di
Estonia e stata subordinata alla chiesa di Russia, in conseguenza dei
cambiamenti politici in atto, ma non secondo l’ordine canonico.
II santissimo trono apostolico patriarcale ed ecumenico, nella sua q ualità
di custode dell’esatta conformità ai canoni, rifiutandosi di accettare eventi
causati da forze non canoniche come la tirannia, ha continuato per lungo
tempo a considerare effettiva l’autonomia della Chiesa ortodossa estone
rappresentata canonicamente da quegli ortodossi estoni che erano fuggiti e
che vivevano in esilio fuori dall’Unione Sovietica. In questo spirito, la
chiesa madre di Costantinopoli nel 1978, spinta da ragioni di economia
ecclesiastica e nell’intento di rispondere con amore fraterno alla richiesta
della chiesa di Russia, di fronte alle circostanze di quel momento, proclamò
inoperativo il Tomo del 1923 mediante un atto patriarcale e sinodale. Ciò
significa che il Tomo non poteva essere applicato in Estonia, che allora
faceva parte dell’Unione Sovietica; il Tomo, tuttavia, non era stato
dichiarato nullo, non valido o revocato.
Ma già dal 1991 l’Estonia, essendo divenuta uno stato libero e
indipendente, chiede, in accordo con la pratica di tutte le nazioni
ortodosse, che sia restaurato il precedente status autonomo della Chiesa
ortodossa in Estonia attraverso il ripristino del Tomo patriarcale e
sinodale del 1923, auspicando il ritorno in patria, ecc. ,

Due giorni dopo la Chiesa russa, prima con un comunicato stampa del
Santo Sinodo, poi con una dichiarazione del presidente del dipartimento
delle relazioni esterne, Cirillo (oggi patriarca), not ificò la sua opposizione al
tomo costantinopolitano, iniziando dall‟atto del 1923 del patriarca Meletios
IV il quale,

47
Il Regno Documenti, 1996, n. 7, 245-249
29
approfittando dell’incapacità di governo della Chiesa russa, che si
trovava in condizioni di genocidio ecclesiastico, per influenzare la
situazione, senza il consenso del patriarca di Mosca assoggettò alla
propria giurisdizione la Chiesa ortodossa in Estonia. Diciassette anni dopo,
quando vennero ristabilite le relazioni tra la chiesa estone e i vertici della
chiesa madre, la chiesa estone tornò nel grembo della Chiesa ortodossa
russa, avendo riconosciuto che la nominale separazione da essa aveva un
carattere temporaneo ed era avvenuta sotto la pressione dei governo
estone incline al nazionalismo.
Nel 1978 il patriarca di Costantinopoli Dimitrios confermò ufficialmente
la rinuncia alle pretese giurisdizionali sulla Chiesa ortodossa in Estonia,
dichiarando che nella giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli sotto
l’amministrazione del metropolita di Stoccolma stanno solo le parrocchie
estoni che si trovano al di fuori dei confini dell’Estonia.
In seguito, quando nel 1990 l’Estonia divenne di nuovo uno stato
indipendente e con la maggioranza dei voti nel concilio locale della Chiesa
apostolica ortodossa estone venne riconosciuta la necessità del ripristino
del suo status indipendente e la conservazione della giurisdizione canonica
del Patriarcato di Mosca, con il Tomo del patriarca di Mosca e di tutte le
Russie Alessio II e del santo sinodo della Chiesa ortodossa russa fu
riaffermato lo status autonomo della Chiesa apostolica ortodossa estone
con i diritti di indipendenza concessi dal Patriarcato di Mosca nel 1920.
Nella riunione che si è tenuta il 3 gennaio a Istanbul, la delegazione del
Patriarcato di Mosca ha espresso chiaramente e senza ambiguità una
posizione secondo la quale:
1) L’attualmente esistente Chiesa apostolica ortodossa estone, con a
capo l’arcivescovo di Tallinn e di tutta l’Estonia Cornelio, deve essere
registrata negli organi statali come la sola chiesa con convalida del
proprio diritto di successione secondo lo Statuto della Chiesa apostolica
ortodossa estone del 1923;
2) dopo la registrazione, a ogni parrocchia sarà offerta la possibilita
della volontaria autodeterminazione nella scelta della propria
appartenenza giurisdizionale;
3) giacché le norme canoniche non permettono l’esistenza in un solo
territorio di due chiese autonome, si puo parlare di un cambiamento nello
status canonico di alcune parrocchie che si trovano nel territorio canonico
della Chiesa apostolica ortodossa estone, che desiderano sottomettersi alla
giurisdizione della chiesa di Costantinopoli;
4) il problema del passaggio di queste parrocchie sotto la giu-
risdizione della chiesa di Costantinopoli si può risolvere solo in conformità
con le norme canoniche dei rapporti interecclesiastici, come risultato
dell’accordo bilaterale del Patriarcato di Mosca con quello di
Costantinopoli.
Tenendo conto della complessità del problema dibattuto, il Patriarcato di
Mosca valuta i propri dissensi con il Patriarcato di Costan tinopoli nel
contesto del fraterno dibattito che sta avendo luogo, ma nello stesso tempo
ammonisce che le azioni che escono al di fuori dell’ambito delle discussioni
bilaterali, similmente a quello che è stato fatto con l’invio del messaggio
indirizzato dal Patriarcato di Costantinopoli alle parrocchie ortodosse in
Estonia, costituiscono una seria minaccia alla pace tra gli ortodossi e
all’unità canonica.

30
Il 16. Maggio 1996 si raggiungeva un fragile compromesso. Mosca permetteva che
le parrocchie che volessero stare con Costantinopoli potessero farlo, la seconda
sospendeva la sua giurisdizione su tutta la chiesa estone. Tuttavia la registrazione
statale di entrambe le chiese restava una spina nel fianco ed impediva la concordia
(non potendo esserci nella stessa nazione due chiese autonome).

13. Crisi Mosca Costantinopoli: crisi del dialogo cattolico-ortodosso

Il fatto che ormai il patriarcato di Costantinopoli e quello di Mosca fossero ai ferri


corti nella concezione ecclesiologica creava una profonda incertezza e instabilità nel
dialogo cattolico ortodosso. E ciò non soltanto perché l‟attenzione era rivolta ormai ai
problemi interni all‟ortodossia, ma anche perché qualsiasi passo della Chiesa di Roma
veniva interpretato come un‟interferenza. La crisi si rifletteva anche nella
partecipazione alle assemblee.

2000. Dal 9 al 19.VII: VIIIª Sessione Plenaria, Baltimora (USA).

Tema: Implicazioni ecclesiologiche e canoniche dell’uniatismo. Chiese ortodosse


partecipanti: patriarcati di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Mosca e Romania.
Assenti o con partecipazione precaria le chiese di Cipro, Grecia, Albania, Polonia,
Finlandia. Ormai il dialogo è in piena crisi.

Molti i problemi interni all‟ortodossia. Uno di questi era il patriarcato di


Gerusalemme. Nel 2005 il patriarca ecumenico Bartolomeo col suo sinodo decideva,
deponendo Ireneo, ed elevando alla sede patriarcale di Gerusalemme Teofilo III.

Il 15. XII 2005, dopo tanti sforzi, sembrò che la Commissione mista potesse
riprendere i lavori interrotti, ed ai suoi membri il papa Benedetto XVI tenne un
discorso.

Papa
Benedetto XVI
e il
Patriarca
ecumenico
Bartolomeo I

31
2006. Dal 18 al 25.IX: IXª sessione Plenaria. Belgrado (Serbia).

Tema: Conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale della


Chiesa: conciliarità e autorità nella Chiesa. Questa volta le chiese ortodosse sono
rappresentate al completo (compresa Gerusalemme, ma non Estonia). A parte però il
calore, la discussione del tema è rinviata alla prossima Sessione da tenere nel 2007.
Intanto, dal 28 novembre di quell‟anno al primo dicembre il papa Benedetto XVI
faceva il suo viaggio apostolico in Turchia, rendendo visita al patriarca Bartolomeo
I. La festosa accoglienza fu immortalata da una foto dal balcone in cui il papa ed il
patriarca alzavano in alto il braccio congiunto a quello dell‟altro. Ma come spesso
stava accadendo, ad ogni momento esaltante ne seguiva uno scoraggiante. Infatti il 26
giugno 2007 il governo turco vietava al patriarca di fare uso dell‟aggettivo
“ecumenico” negli atti ufficiali.

2007. Dall‟8 al 15.X: Xª Sessione Plenaria: Ravenna

Documento: Conseguenze ecclesiologiche e canoniche della natura sacramentale


della Chiesa: comunione ecclesiale, conciliarità e autorità.

RAVENNA 2007. La sessione


della Commissione mista per il
dialogo cattolico ortodosso mise a
nudo le difficoltà del dialogo. Il
rappresentante della Chiesa russa,
metropolita Ilarion Alfeev (foto
sopra), minacciò di abbandonare i
lavori se i rappresentanti della
Chiesa estone della giurisdizione del
Patriarcato ecumenico non
lasciavano l‟aula. John Zizioulas,
rappresentante del Patriarca
ecumenico (foto a sinistra), rispose
che l‟assenza di una Chiesa non
cambiava nulla. La Chiesa russa
abbandonò i lavori.

32
Il testo è molto bello ed estremamente equilibrato. Ma le conseguenze pratiche sono
nulle, sia perché in calce viene apposta una micidiale annotazione sia perché alla
tanto decantata unanimità mancava la presenza della più grande delle chiese
ortodosse, quella Russa.

L‟annotazione è la seguente: Dei partecipanti ortodossi hanno ritenuto importante


che venga sottolineato che l’uso dei termini Chiesa, Chiesa universale, Chiesa
indivisibile e Corpo di Cristo in questo come negli altri documenti prodotti dalla
Commissione mista, non diminuisce in alcun modo l’autocomprensione della Chiesa
ortodossa di essere la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica di cui parla il Credo
di Nicea. Dal punto di vista cattolico la stessa coscienza di sé si applica allo stesso
modo: la Chiesa una, santa cattolica e apostolica ―sussiste nella Chiesa cattolica‖
(Lumen Gentium, 8). Il che non esclude il riconoscimento della presenza di elementi
della vera Chiesa al di fuori della comunione cattolica.

Ma Ravenna è importante anche per un altro motivo: si prende ormai


coscienza che il braccio di ferro fra Mosca e Costantinopoli continua. E la Chiesa di
Roma impacciata sul modo di comportarsi.
A Ravenna, infatti, si ripresentò in tutta la sua asprezza il problema sorto nel 1996,
che aveva portato alla rottura canonica fra Mosca e Costantinopoli a motivo della
Chiesa dell‟Estonia. A Ravenna venne violato, almeno dal punto di vista di Mosca, il
compromesso canonico che aveva permesso di restaurare la comunione fra Mosca e
Costantinopoli: la prima aveva ripreso le relazioni concedendo che tutte le parrocchie
che lo avessero voluto potevano mettersi sotto la giurisdizione di Costantinopoli,
fermo però restando che la Chiesa ortodossa autonoma d’Estonia in quanto tale
restava sotto la giurisdizione moscovita (restava fuori del riconoscimento canonico la
giurisdizione creata dal patriarcato di Costantinopoli, vale a dire la Chiesa Apostolica
autonoma d’Estonia).
Secondo Mosca vigeva il tacito accordo secondo il quale Mosca, da parte sua,
non avrebbe invitato nella Commissione mista né la Chiesa autocefala d‟America né
quella autonoma del Giappone (non riconosciute da Costantinopoli), ed in cambio
Costantinopoli avrebbe rinunciato a fare partecipare la “Chiesa Apostolica autonoma
d’Estonia”, non riconosciuta da Mosca.
Il rappresentante del patriarcato di Mosca Ilariòn Alfeev comunicò a John Zizioulas,
copresidente ortodosso della Commissione mista, che se gli estoni non avessero
lasciato la conferenza, i Russi sarebbero stati costretti ad abbandonare i lavori.
Zizioulas rispose che se una chiesa locale si assentava, il dialogo sarebbe
regolarmente continuato dalle altre. Ilarion, intuendo che la cosa era stata già
calcolata dal patriarca ecumenico, abbandonò i lavori e rientrò a Mosca. Il Sinodo
russo approvò l‟abbandono, perché se Ilarion fosse rimasto avrebbe significato un
implicito riconoscimento della Chiesa estone “costantinopolitana”48.
In altri termini, il problema dell‟autorità del patriarca ecumenico, dell‟autocefalia e
del territorio canonico, rimaneva e rimane il vero macigno sulle relazioni fra Mosca e
Costantinopoli.

2009: 7-13.VI: Quarta Conferenza panortodossa preconciliare. La conferenza è stata


promossa dal patriarca Bartolomeo, già iniziatore di un‟altra forma di incontri o
“sinassi”. Trattasi di incontri tra i capi delle chiese ortodosse autocefale ed autonome

48
In una mia conferenza anteriore a Ravenna il prof. Sotirios Varnalidis mi accusò di esagerare le differenze fra
Mosca e Costantinopoli. Io gli risposi che se l’incontro di Ravenna si fosse svolto pacificamente avrebbe avuto
ragione lui, viceversa avrei avuto ragione io. E’ noto a tutti come la sessione di Ravenna andò a finire.
33
(Costantinopoli 1992, Patmos 1995, Costantinopoli 2008). Viene stabilito per
incrementare l‟unità ortodossa che in ogni nazione vengano istituite delle conferenze
episcopali ortodosse al fine di superare le tensioni fra le varie etnie. Presidente
dev‟essere il vescovo più anziano in comunione col patriarcato di Costantinopoli.

14.- Mosca e Costantinopoli, due ecclesiologie che intralciano il dialogo

La sessione plenaria di Ravenna ebbe un‟appendice. A qualche anno di distanza


sia il Patriarcato di Mosca (2013) sia quello di Costantinopoli (2014) promulgarono
uno scritto esprimente la propria concezione del primato nella Chiesa ortodossa. Pur
essendo un problema interno all‟Ortodossia il tema è talmente centrale e con pesanti
ripercussioni sul dialogo che è necessario soffermarsi un momento.
Nel 2013 il Santo Sinodo della Chiesa russa pubblicava un testo breve ma denso
sulla “Posizione del Patriarcato di Mosca sul problema del primato nella Chiesa
universale” 49 . Riprendendo lo schema del documento di Ravenna (tre livelli di
primato: diocesi, chiesa autocefala, Chiesa universale), il Sinodo della Chiesa russa
chiarisce la propria diversa concezione in questi termini.
Capo della Chiesa è Cristo. Tutte le forme terrene di governo e amministrazione
sono secondarie rispetto a questo principio eterno. Nella diocesi il primus è il
vescovo, e la fonte del suo primato è la successione apostolica. Nella Chiesa locale
autocefala il primus è il Primate eletto dal sinodo dei vescovi. Il suo non è un potere
assoluto (one-man power), ma è esercitato sinodalmente. Nella Chiesa universale il
primus è il vescovo la cui sede è quella fissata nei dittici secondo la tradizione
canonica riconosciuta da tutte le Chiese autocefale. Esso ha dunque un carattere
mutevole nella storia (come insegnano i canoni 3 del Concilio costantinopolitano del
381, 28 di Calcedonia e 36 in Trullo). A Roma, dopo il 1054, successe Costantinopoli,
ma senza alcun potere sulla Chiesa universale, che sarebbe la distorsione
ecclesiologica nota appunto sotto il nome di “papismo”.
Questa forma del primus non è trasferibile da quella diocesana e autocefalica a
quella della Chiesa universale, altrimenti verrebbe annullato il ruolo amministrativo-
governativo del primate della Chiesa autocefala, oltre all‟uguaglianza sacramentale
dei vescovi. La Chiesa ortodossa già nel primo millennio rigettava la dottrina romana
dell‟origine divina del potere ecclesiale e quindi del potere sulla Chiesa universale.
Vale a dire che nell‟Ortodossia non esiste un centro universale. L‟autorità suprema è
quella del capo della Chiesa autocefala col suo sinodo, il quale deve mantenersi in
comunione con le altre Chiese autocefale.
A questa ecclesiologia “moscovita” rispose poco dopo il metropolita di Bursa,
Elpidophoros Lambriniadis, con un articolo che esprimeva il punto di vista ufficiale
del Patriarcato ecumenico: Primo senza uguali. Una risposta al testo sul Primato del
Patriarcato di Mosca 50.
Il testo pubblicato dal Santo Sinodo della Chiesa russa, secondo il metropolita
Elpidophoros, sembra una sfida alla concezione del primato come sottoscritta a
Ravenna dai rappresentanti del Patriarcato ecumenico e da tutte le altre chiese, ad
eccezione appunto di Mosca, assentatasi per altri motivi (il riferimento è alla disputa
sulla Chiesa autonoma estone).
Il richiamarsi allo schema di Ravenna (primato a livello di chiesa locale, regionale e
universale) è puramente esteriore, in quanto la relativa trattazione è in netta
contraddizione con la tradizione ortodossa. Non è lecito infatti separare il primato

49
Vedi più avanti, Appendice III.
50
Vedi più avanti, Appendice IV.
34
ecclesiologico da quello teologico. Quando la Chiesa russa distingue il primato di
Cristo da quello nella Chiesa, dimentica che lo stesso Cristo è capo della Chiesa (che è
il suo corpo). Non ci può essere quindi un primato “primario” (di Cristo) ed un
primato secondario (dei vescovi). Si tratta di una distinzione artificiale che viola il
principio teologico trinitario, dove il primato non viene dall‟uguaglianza della natura,
bensì dal Padre, unica fonte della divinità. E‟ dunque un primato essenzialmente
personale e non istituzionale.
Se si istituzionalizza il primato spersonalizzandolo si perviene alla posizione teologica
russa di un discorso errato sulle fonti del primato (successione apostolica per il
vescovo, elezione sinodale per il primate della chiesa autocefala e dittici per il
Patriarca ecumenico). Tutte queste fonti sono cose esteriori che andrebbero a
riempire il recipiente spersonalizzato. Al contrario, è il primus la fonte del primato
sia nei sinodi (i canoni infatti parlano sempre del primus col “suo” sinodo; un sinodo
che sarebbe incompleto senza il primus) che nella Chiesa universale.
I dittici non sono la fonte del primato ma soltanto una delle espressioni di esso. Nella
Chiesa universale si realizza quello che avviene nella santissima Trinità: come il
Padre e fonte della divinità, il Patriarca ecumenico è garanzia dell‟unità di molti.
Come il Padre è primo (monarchia) nell‟ordine trinitario, così il Patriarca ecumenico
è il primus nella gerarchia ecclesiale.
Il richiamare in questo caso l‟uguaglianza sacramentale dei vescovi nella Chiesa
ortodossa non è che un sofisma Infatti il vescovo non è un vescovo generico, bensì il
vescovo di una specifica città. E le città non sono uguali, come facevano notare gli
antichi canoni (gli stessi citati da Mosca: 3° del Costantinopolitano 381, 28° di
Calcedonia e 36° in Trullo), precisando l‟ordine gerarchico di città con vescovi,
arcivescovi, metropoliti e patriarchi.
All‟interno di tale gerarchia fissata dalla tradizione canonica c‟è anche il primus della
Chiesa universale, e non come vorrebbe la Chiesa russa ubi russicus ibi ecclesia
russicae (sic), cioè “ovunque c‟è un russo lì si estende anche la giurisdizione della
Chiesa russa”.E‟ vero il contrario: dopo la rottura della comunione eucaristica con
Roma, primus è divenuto il Patriarca di Costantinopoli, che impersona tutti e tre i
ministeri, vescovile (arcivescovo di Costantinopoli), regionale (come Patriarca) e
universale (come Patriarca ecumenico). Tale triplice primato gli dà alcuni privilegi,
come appunto quello di dare o togliere l‟autocefalia. Cosa che del resto fece con la
stessa Chiesa russa nel XVI secolo. Il che significa che come vescovo egli è uguale agli
altri vescovi, ma come Patriarca ecumenico egli è il “primo senza uguali”.

15. Un dialogo a singhiozzo (2009-2016).

Nonostante la fermezza dimostrata dal teologo Zizioulas a Ravenna, l‟abbandono


della Chiesa russa condizionò il seguito del dialogo. Infatti, le assemblee plenarie che
si tennero a Cipro (2009), a Vienna (2010) e ad Amman (2014) si conclusero senza
che alcun “documento” comune venisse promulgato.

Al termine della 14ª Assemblea plenaria della Commissione Mista Internazionale di


Chieti (15-22 settembre 2016) venne pubblicato il documento Sinodalità e primato
nel primo millennio: verso una comprensione comune al servizio dell’unità della
Chiesa. Fu sottoscritto da tutte le Chiese, ad eccezione della georgiana.
A presiedere ai lavori da parte cattolica era il card. Kurt Koch, presidente del
Pontificio Consiglio per la promozione dell‟unità dei cristiani, mentre a capo della

35
delegazione ortodossa (composta da due membri di ognuna delle 14 Chiese) non era
più John Zizioulas, bensì l‟arcivescovo di Telmessos Iob Getcha.
La riflessione si è incentrata sulla teologia della chiesa locale presieduta dal vescovo
in comunione col popolo nella sinassi eucaristica. Una chiesa locale che non vive in
autonomia ma in comunione con le altre chiese locali, onde la sinodalità come
struttura portante dell‟unità della Chiesa universale. E‟ stato quindi naturale portare
la riflessione sul senso del primato della Chiesa di Roma e del suo vescovo.
Tutti hanno riconosciuto che nel primo millennio il vescovo di Roma era il primo
nell‟ordine (taxis) dei patriarchi, con la differenza che gli orientali interpretavano tale
primato come d‟onore (perché legato all‟onore della Chiesa di Roma sia come capitale
che come luogo di sepoltura dei due apostoli Pietro e Paolo), mentre gli occidentali lo
legavano alle parole di Cristo rivolte a Pietro (Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò
la mia chiesa), vale a dire al papa di Roma come successore di Pietro.
Molti hanno visto l‟incontro di Chieti come un significativo passo avanti. In realtà
sono state ribadite antiche posizioni dottrinali. L‟unico dato positivo era il fatto che si
raggiunse l‟accordo su un documento comune.

Il problema oggi di maggiore attualità è dunque quello del senso da dare al “protos”
all‟interno dell‟Ortodossia, che ha molti punti in comune con l‟atteggiamento verso il
primato di Roma. Tradizionalmente, primato sì, ma solo d‟onore. Invece, il
Patriarcato ecumenico, anche perché pressato dalla situazione derivante dai rapporti
col governo turco, tende ad assumere alcuni atteggiamenti analoghi a quelli del papa
di Roma.
Il discorso sul “protos”, che sembra aver raggiunto un accordo quasi unanime a
Chieti, è in realtà abbastanza ambiguo. Ecco perché è stato votato da quasi tutti.
Perché ognuno lo ha inteso a suo modo. Mentre per i Russi è stata una riflessione sul
vescovo di Roma, senza implicanze per l‟attualità, per i Greci è una riflessione che
apre nuove prospettive all‟esercizio del primato di Costantinopoli all‟interno della
comunione ortodossa.

La controversia più attuale è quella sulla diaspora, laddove mentre la chiesa greca è
incline a riconoscere al patriarca una certa giurisdizione su tutti gli ortodossi al di
fuori della loro patria51, le altre chiese (e soprattutto la Russia) non intendono affatto
riconoscergliela. Tra l‟altro, la diaspora ha creato delle situazioni chiaramente
contrarie ai canoni, come ad esempio il canone 8 di Nicea sull‟unicità del vescovo in
una città.
Il problema della diaspora non è però il solo. Le chiese concordi su questo tema non
lo sono su altri, in particolare sull‟ecumenismo. Varie chiese, quella greca in prima
linea, sono aspramente critiche verso le aperture ecumeniche del patriarcato di
Costantinopoli. Sulla stessa linea la chiesa russa dell‟emigrazione (Zarubežnaja
Cerkov’, dal 2007 riunitasi al patriarcato di Mosca), arrivava a chiamare “massoni” i
patriarchi che si erano impegnati nell‟ecumenismo.
Nel 2009 un‟assemblea di monaci e preti greci pubblicava una dichiarazione
fortemente anti-ecumenica, che fu sottoscritta da tre metropoliti. Alle rimostranze del
patriarca Bartolomeo, che chiedeva al sinodo della chiesa greca di condannare la
dichiarazione o almeno prenderne le distanze, l‟episcopato greco, sotto la presidenza
di Girolamo di Atene, mantenne la sua posizione fortemente antiecumenica e critica
verso il patriarca, che perciò giunse a minacciare la scomunica. Su questo sfondo non
si è ancora sanata la ferita fra Atene e Costantinopoli, al punto che Girolamo di Atene

51
Tuttavia anche la Chiesa greca ha un contenzioso col Patriarcato Ecumenico sui territori settentrionali, come la
Tracia.
36
non ha voluto essere presente a Chambésy con tutti gli altri primati ortodossi per la
preparazione del concilio di Creta del 2016.
Si è così venuta a creare una strana situazione. Cirillo e Bartolomeo, entrambi in
prima linea nel dialogo cattolico ortodosso, al punto da essere pesantemente
bersagliati come rei dell‟eresia dell‟ecumenismo, non riescono a far progredire il
dialogo perché da tempo in lotta su varie questioni di natura canonica e alla fin fine di
natura ecclesiologica. Mentre la Chiesa russa si sente Chiesa madre di tutti i territori
a suo tempo da essa convertiti oppure da secoli sotto la sua giurisdizione (come ad
esempio l‟Ukraina), il Patriarcato ecumenico si sente responsabile e quindi dotato di
autorità sulle Chiese dei nuovi stati indipendenti e le comunità ecclesiali al di fuori
della loro nazione.

16. Il concilio panortodosso di Creta (19-26 giugno 2016).

Già il patriarca Atenagora nel 1961 aveva proposto un concilio ecumenico


ortodosso, ed erano stati avviati lavori preparatori. Ma l‟iniziativa non ebbe seguito.
Solo dopo il 2000 le conferenze panortodosse si trasformarono in conferenze
preconciliari (la IV si tenne a Chambésy nel 2009, la V nel 2015). Furono intensificati
gli incontri tra i capi delle chiese autocefale. Nel marzo 2014 ci fu anche una sinassi
dei metropoliti primati al Fanar, ed un‟altra a Chambésy nel 2016.
Nei mesi di ottobre 2014 e febbraio-aprile 2015 furono approntati documenti che
avrebbero dovuto fare da riferimento nelle discussioni nel futuro concilio, come ad
esempio: «Relazioni della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano»,
«L‟importanza del digiuno e la sua osservanza oggi» e «La missione della Chiesa
ortodossa nel mondo contemporaneo». Tuttavia, anche su questi documenti varie
chiese hanno avuto da ridire, tanto che, ad esempio, la Chiesa russa e la Georgiana
rifiutarono di firmare quest‟ultimo documento.

37
Vi sono poi problemi che coinvolgono il patriarcato indirettamente, come la rottura
di comunione fra Antiochia e Gerusalemme sulla giurisdizione sul Qatar.
In questa fase preparatoria sembrava che ci fosse l‟accordo di tutti, nonostante
qualche divergenza sui documenti e sui metodi. E invece a pochi giorni dall‟apertura
del Concilio quattro chiese comunicarono la loro assenza:
Il sinodo di Mosca del 13 giugno 2016, considerando il mancato consenso di tutte le
chiese autocefale (ne mancavano tre: Georgia, Bulgaria e Antiochia, mentre la Serbia
vi andava con molte riserve), i molti punti di dissenso sui documenti preparati, la non
partecipazione di “tutti” i vescovi, invitava il patriarca Bartolomeo a rinviare il
concilio. In caso contrario la Chiesa russa non sarebbe stata presente.
Il sinodo della Chiesa Bulgara del 21 aprile 2016 prendeva le distanze
dall‟ecclesiologia espressa nei documenti, e affermava che oltre la santa Chiesa
ortodossa non esistono altre chiese, ma unicamente eresie e scismi; chiamare queste
―Chiese‖ è teologicamente, dogmaticamente e canonicamente sbagliato. Nella
comunicazione al patriarca Bartolomeo del 1 giugno che non avrebbe partecipato al
Concilio, le motivazioni erano diverse. Si chiedeva di rinviare il concilio perché molti
problemi erano ancora irrisolti, e divergenze vi erano anche sui documenti
preparatori, né sembrava corretta la disposizione dei metropoliti primati nella loro
uguale dignità, come pure quella degli osservatori. Senza dire che la Chiesa bulgara
non si poteva permettere spese così onerose.
Il sinodo della Chiesa antiochena sotto la presidenza del patriarca Giovanni X il 6
giugno rigettava la proposta del patriarca Bartolomeo di istituire una Commissione
per risolvere il contenzioso con il patriarcato di Gerusalemme che aveva eretto una
diocesi nel Qatar. I problemi non possono essere rinviati a dopo il concilio. Questo sì
che poteva essere rinviato, per appianare le divergenze sui documenti e
particolarmente i problemi della diaspora (discussi nella IV Conferenza di Chambésy,
6-12 giugno 2009). In conclusione: rinvio o non partecipazione del patriarcato di
Antiochia.
Il sinodo della Chiesa georgiana del 25 maggio 2016 comunicava al patriarca le sue
divergenze sul documento del matrimonio (e omosessualità). Non condivideva le
aperture ecumeniche, tanto è vero che dal 1997 aveva lasciato il WCC (la Bulgaria dal
1988). Conclusione: rinvio o non partecipazione della chiesa georgiana.
Come è noto, il patriarca Bartolomeo, benché molto amareggiato, volle che il
concilio si tenesse comunque a Creta (anche per evitare eccessive interferenze del
governo turco). A parte l‟assenza di queste quattro Chiese, tutte le altre dieci
(Costantinopoli, Alessandria, Gerusalemme, Serbia, Romania, Cipro, Grecia, Polonia,
Albania, Cekia e Slovacchia) mandarono numerosi rappresentanti. Le discussioni si
svolsero in un‟atmosfera molto franca e molti si rifiutarono di firmare questo o quel
documento. Ad esempio, Hierotheos Vlachos di Nafpaktos e Agios Vlasios ebbe
un‟accesa discussione sulla teologia della persona con il metropolita John Zizioulas.
Due documenti furono presi più di mira e non furono firmati da vari vescovi, quello
sul matrimonio e i suoi impedimenti e soprattutto quello sulle “Relazioni della Chiesa
ortodossa col resto del mondo”. Si rifiutarono di firmare specialmente quest‟ultimo
(sia pure, come si vedrà, con argomentazioni diverse) i seguenti metropoliti: Atanasio
di Limassol. Neophitos di Morphou, Nikolaos di Amathus, Epiphanios di Ledra,
Porphyrios di Neapolis e Irinej di Bačka.

38
Il rappresentante del Patriarcato Ecumenico presso le istituzioni europee,
l‟arcivescovo Giobbe Getcha, dichiarò che le conclusioni conciliari erano vincolanti
per tutte le chiese ortodosse, ma a distanza di pochi giorni le quattro assenti, pur
riconoscendo l‟importanza del Concilio, si dicevano non vincolate dalle sue decisioni,
ma che continuavano a considerarlo come un concilio preparatorio.

I documenti ufficiali del Santo e Grande Concilio ortodosso di Creta furono i


seguenti:
1. Enciclica (universale)
2. Messaggio (agli ortodossi)
3. L‟importanza del Digiuno
4. Le relazioni col mondo cristiano
5. L‟autonomia
6. La Diaspora
7. Missione nel mondo
L’Enciclica del Patriarca Bartolomeo è il primo documento approvato dal Concilio.
In esso si ringrazia Dio, adorato nella Trinità, per aver concesso questo incontro
nell‟isola di Creta in occasione della Pentecoste. Il Concilio, convocato dal Patriarca
Bartolomeo, è una testimonianza della fede nel Cristo Dio-uomo.
La Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica è la comunione divino-umana ad
immagine della Santa Trinità. Ma essa è anche il “Corpo di Cristo” nel grande mistero
dell‟Incarnazione del Verbo, al quale si riallaccia in mirabile continuità attraverso i
concili che hanno seguito quello di Gerusalemme. Un lavoro conciliare che non ha
avuto interruzioni, prima con i concili ecumenici poi con gli altri che hanno valore
universale, vale a dire il grande concilio dell‟879-880 convocato da Fozio, quelli
convocati al tempo di Palamas (1341, 1351 e 1368) sulle energie divine e la
processione dello Spirito Santo; Costantinopoli 1484 contro il concilio fiorentino;
quelli antiprotestantici del 1638, 1642, 1672, 1691 e quello del 1872 contro il
Filetismo.

39
Fuori del corpo di Cristo che è la Chiesa la santità non è concepibile. La Chiesa
ortodossa universale è composta di 14 Chiese autocefale locali riconosciute a livello
pan ortodosso. Nella diaspora ortodossa ci sono poi le assemblee episcopali.
La Chiesa ha nel mondo una missione da compiere, e la partecipazione alla divina
eucarestia è fonte di ardore apostolico, che però dev‟essere esercitato non in modo
aggressivo ma liberamente. “Al posto dell‟uomo-dio contemporaneo, la Chiesa
ortodossa afferma il Dio-uomo”. Per cui denuncia la manipolazione della libertà
umana, la perdita delle pie tradizioni, la degradazione e la distruzione dell‟ambiente
naturale. Si sta procedendo a sperimentazioni estreme e pericolose: “L‟uso
incontrollato della biotecnologia che interviene sin dall‟inizio, sulla durata e la fine
della vita, compromette la vera pienezza della vita stessa”. La vita è sacra sin dalla sua
concezione.
Infine, il dialogo. L‟ortodossia annette una grande importanza al dialogo con i
cristiani eterodossi, fermo restando che il dialogo per l‟Ortodossia è testimonianza: I
dialoghi avviati della Chiesa ortodossa non hanno mai significato e non
significheranno mai fare dei compromessi di sorta in materia di fede. Questi
dialoghi sono una testimonianza dell’Ortodossia modellata sul messaggio
evangelico: Vieni e vedi (Gv 1.46).
Il Messaggio al popolo ortodosso è il secondo documento promulgato dal patriarca
Bartolomeo che ha convocato il Concilio con l‟accordo dei Primati delle Chiese
autocefale ortodosse locali. Esso è diretto anche a tutti gli uomini di buona volontà, e
fa una sintesi di tutte le problematiche affrontate nel concilio.
La priorità del Concilio è testimoniare l‟unità della Chiesa ortodossa fondata sulla
comune Eucarestia e la successione apostolica dei vescovi. La sua unità e cattolicità è
espressa visivamente proprio nel concilio. E la conciliarità è la caratteristica della sua
struttura che rende le chiese autocefale non una confederazione, ma una comunione
per la quale ogni chiesa locale è la manifestazione della Chiesa una, santa, cattolica e
apostolica. Il principio di conciliarità regola anche le assemblee episcopali nella
diaspora. Di particolare importanza è anche la sinassi dei primati che ha deciso la
convocazione di un concilio pan ortodosso ogni 7 o 10 anni.
La Chiesa annette grande importanza al dialogo che è anche il proseguimento
liturgico dell‟eucarestia nella testimonianza della fede. Dialogo infatti non implica un
compromesso in materia di fede, bensì un contributo ad accrescere la fiducia tra i
popoli, la pace e la riconciliazione. Il santo e grande Concilio è aperto verso il mondo
intero nelle sue diversità, ma sempre nella prospettiva dell‟eternità. E‟ sensibile al
dolore, all‟angoscia di tanti e alle grida contro le ingiustizie e a favore della pace.
Il terzo documento riguarda il Digiuno, che ha un posto di rilievo nella pratica
liturgica ed è connesso alle principali festività. Il significato sottende tutta la vita del
cristiano, proteso verso l‟alto, verso il cielo.
Le Relazioni della Chiesa ortodossa con il resto del mondo cristiano‖ è il quarto
documento ed è dedicato all‟ecumenismo. Il concilio evita di fare un discorso
specifico sullo stato del dialogo con la Chiesa cattolica romana, ma parla della
necessità che l‟Ortodossia, pregando per l‟unità di tutti, si faccia carico di avvicinare e
parlare con tutte le confessioni cristiane, secondo la preghiera del Signore: Ut unum
sint. Come già detto, è stato questo il documento più contestato e diversi metropoliti
e vescovi si sono rifiutati di firmarlo. Per molti di questi l‟uso del termine “Chiesa”

40
per le altre confessioni cristiane è un errore se non proprio un‟eresia, essendo Chiesa
unicamente quella ortodossa.

Gli altri documenti appaiono a prima vista non particolarmente importanti. In


realtà toccano aspetti della vita ecclesiale molto delicati, che negli ultimi tempi
condizionano un po‟ tutto mettendo a repentaglio l‟unità dell‟Ortodossia.
Nel quinto documento, sull‟Autonomia, si afferma che questa viene concessa dalla
chiesa autocefala nel suo territorio. Quando invece si tratta della diaspora le chiese
autonome non sono istituite se non a seguito di un consenso panortodosso, ottenuto
dal Patriarcato ecumenico secondo la pratica panortodossa in vigore. Il che vale
anche in caso di contestazione di una chiesa autocefala nei confronti di un‟altra chiesa
autocefala: Le parti implicate si rivolgono congiuntamente o separatamente al
Patriarca ecumenico affinché questi trovi la soluzione canonica alla questione
secondo la pratica ortodossa in vigore.
Il sesto documento è sulla diaspora ortodossa, ed è sicuramente il più complesso
dei problemi interortodossi. Il tema era stato affrontato nella IV conferenza
panortodossa preconciliare (Chambésy 2009) e nell‟Assemblea dei Primati delle
chiese ortodosse autocefale (21-28 gennaio 2016) con queste intestazioni: La
diaspora ortodossa e il Regolamento sul funzionamento delle assemblee episcopali.

Tutti si sono dichiarati d‟accordo di risolvere i problemi dal punto di vista


dell‟ecclesiologia e del diritto canonico ortodosso. Non potendo mettere in pratica il
principio “una città un vescovo”, si è deciso di mantenere l‟ordine canonico attuale
delle conferenze episcopali (composte da tutti i vescovi di ogni regione). Queste sono
presiedute dal prelato di maggior grado del Patriarcato di Costantinopoli ed avranno
la responsabilità di vegliare a manifestare l’unità dell’Ortodossia ed a sviluppare
un’azione comune di tutti gli ortodossi di ogni regione per ovviare ai bisogni
pastorali degli ortodossi ivi residenti. Le regioni aventi tali conferenze episcopali
sono: Canada, Stati Uniti, America Latina, Australia con Nuova Zelanda e Oceania,
41
Gran Bretagna e Irlanda, Francia, Belgio con Olanda e Lussemburgo, Austria, Italia e
Malta, Svizzera e Liechtenstein, Germania, Paesi scandinavi esclusa la Finlandia,
Spagna e Portogallo.
L‟articolo 5 afferma: Le assemblee episcopali non privano i vescovi membri delle
competenze di carattere amministrativo e canonico, né limitano i diritti di questi
nella diaspora. Le assemblee episcopali intendono fare emergere la posizione
comune della chiesa ortodossa su varie questioni. Ciò non impedisce affatto che i
vescovi membri, che continuano a rendere conto alle proprie chiese, di esprimere le
opinioni delle loro chiese dinanzi al mondo esterno.
Sul piano teorico questi principi sono sostenuti da tutti, ma sul piano pratico è
molto difficile attuarli, essendo ogni chiesa ortodossa abituata a decidere per conto
proprio.
Meno controverso è il settimo documento sulla missione evangelizzatrice della
Chiesa ortodossa nel mondo contemporaneo.

17. La difficile recezione del Concilio di Creta


Il concilio panortodosso di Creta non ha avuto nel mondo ortodosso un‟accoglienza
unanime. I “tradizionalisti” si sono mossi con decisione sia prima che dopo il grande
evento. Tra i maggiori oppositori va annoverato certamente il metropolita del Pireo
Seraphim. Per lui il Concilio ha rasentato dottrine eretiche nel momento in cui ha
usato il termine “Chiesa” riferendosi ai Cattolici e ai Protestanti. Così facendo è come
se avesse legittimato i loro errori dogmatici e avesse messo in dubbio il fatto che la
Chiesa ortodossa è “Una, Santa, Cattolica ed Apostolica”.

Altro oppositore è stato il metropolita di Nafpaktos Hierotheos Vlachos, autore di vari


studi sulla spiritualità ortodossa. In una lettera aperta ha sottolineato la
contraddizione in cui il Concilio cade allorché prima afferma che “l‟unità della Chiesa
non può essere frantumata”, e poi dice che questa unità si è perduta a motivo dei
cristiani che si sono allontanati dopo i concili ecumenici.

Serafim,

metropolita

del Pireo

e maggiore

oppositore

del Concilio

panortodosso

di Creta

42
Poco chiaro è stato il concilio sul modo di accogliere i convertiti all‟Ortodossia,
riferendosi ai canoni 7 del primo concilio costantinopolitano e 95 del Quinisexto.
Bisognava specificare che i convertiti all’Ortodossia che non erano stati battezzati
mediante le tre immersioni ed emersioni secondo la forma apostolica e patristica
devono essere ribattezzati. Così, anche se i Romano cattolici professano la giusta
dottrina trinitaria nel battesimo, il loro modo di fare il battesimo viola la tradizione
patristica.

Hierotheos giustificava la sua posizione richiamando l‟atteggiamento dei padri verso


gli Eunomiani, i quali venivano ribattezzati non soltanto per la loro erronea teologia
ariana, bensì per il fatto che battezzavano con una sola immersione (nel nome del
Padre soltanto). E qui ovviamente Hierotheos faceva un richiamo a Cirillo V e al
ribattesimo dei latini, dimenticando che nessun canonista bizantino e neppure Marco
di Efeso contemplavano il ribattesimo per i Latini convertiti all‟Ortodossia.

Naturalmente una simile eccessiva presa di posizione antiecumenica ha suscitato


varie reazioni opposte. Interessante quella di George Demacopoulos, che (in uno
studio edito da “Orthodox Christian Studies Center of Fordham University)
contestava questi aspetti dei tradizionalisti. A suo avviso tali ortodossi tradizionalisti
altererebbero la tradizione canonica al riguardo. Infatti, Cirillo V fu deposto da un
sinodo, ed il ribattesimo degli Eunomiani non derivava dall‟unica immersione, ma dal
fatto che l‟unica immersione era fatta nel nome del solo Padre, negando di
conseguenza la divinità del Figlio e dello Spirito Santo (cosa che non si può dire dei
Cattolici).

Una posizione più personale ed interessante, viste le precedenti chiusure della


Chiesa serba verso il Cattolicesimo, è stata quella del teologo serbo Irinej Bačskij
(Bulović), spiegata poi ai media nell‟articolo intervista: Perché non ho firmato il testo
del Concilio di Creta ―Relazioni della Chiesa ortodossa con il resto del mondo
cristiano‖:

Il motivo principale per cui non ho firmato è legato al contenuto ecclesiologico,


all’ambiguità ecclesiologica e al dubbio contenuto, in alcuni punti al limite della
dottrina eretica. La frase che la Chiesa ortodossa constata l’esistenza nella storia di
―altre chiese e confessioni cristiane che non si trovano in comunione con essa‖, a
seguito della critica della chiesa greca è stata cambiata in “La Chiesa ortodossa
riconosce la denominazione storica di altre chiese e confessioni cristiane non
ortodosse e che non si trovano in comunione con essa”.
Ma non è tanto questa o quella frase, quanto lo spirito ecumenico dell’intero
documento. Secondo me si sarebbe dovuto usare il termine Chiesa solo per il
cattolicesimo romano (che curiosamente non è menzionato nel testo, mentre
speciale attenzione è riservata al Consiglio Mondiale delle Chiese), a motivo del
fatto che il dibattito millenario fra noi e loro (ortodossi e cattolici) non ha avuto
alcuna soluzione a livello di Concilio ecumenico, ma solo nei concili pseudo
ecumenici di Lione e Ferrara Firenze. Per cui, in linea di principio, anche se parlo
teoricamente, abbiamo il diritto di nutrire la speranza che il futuro Concilio
ecumenico si occuperà del problema della differenza nelle opinioni e rimuovere le
pietre di inciampo, cioè il Filioque e l’ipertrofizzato primato apparso
successivamente e la famigerata infallibilità del vescovo di Roma. Solo alla luce di
una simile prospettiva si può parlare della Chiesa di Roma, senza diminuire o tacere
le sue particolarità dogmatiche, cioè le alterazioni nel dogma triadologico e delle

43
innovazioni ecclesiologiche. Bisogna notare che le comunità ecclesiali staccatesi da
Roma durante la Riforma si sono troppo allontanate e, ohimé, continuano ad
allontanarsi sia dalla Chiesa di Roma che dalla nostra Chiesa‖ 52.
La maggior parte dei contestatori però tendeva a negare questo termine anche per
la Chiesa romana. Seraphim e Hierotheos non erano che la punta dell‟iceberg nel
mondo ecclesiastico greco, sostenuti da diversi professori dell‟università di
Tessalonica, come Demetrios Tselengidis e Teodoro Zisis. Il loro rigetto del Concilio
di Creta, definito vago se non proprio eretico, ha spinto il patriarca Bartolomeo a
scrivere una lettera al primate di Grecia, arcivescovo di Atene Hieronymos:

A sua eminenza l’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia, nostro amatissimo


fratello in Cristo e concelebrante Hieronymos, presidente del Santo Sinodo della
Chiesa di Grecia. Nell’abbracciare fraternamente nel Signore la vostra venerabile
eminenza, noi ti salutiamo caldamente.
Tutti professano che la nostra santa Chiesa ortodossa – Una, santa, cattolica
apostolica – definisce e dichiara il suo dogma e il suo governo nei santi concili,
locali, allargati, maggiori o Grandi e Santi, fino ai Concili Ecumenici. Le decisioni
sinodali vengono così determinate e rappresentano nello Spirito Santo una sola
voce come San Giovanni Crisostomo dichiara: ―Nella Chiesa deve esserci sempre
una sola voce‖ (1ª Cor, 36, 9).
Noi richiamiamo questo principio ecclesiologico e canonico – che le questioni vanno
esaminate e definite conciliarmente, che rappresenta il pilastro della vita, della
missione salvifica e della testimonianza della nostra Chiesa ortodossa nel mondo, -
sia alla sua amata e diligente Eminenza che alla santissima Chiesa di Grecia. E, alla
luce della nostra responsabilità come Patriarca Ecumenico e Presidente del santo e
grande Concilio riunitosi a Creta, e come custode dell’ordine dogmatico e canonico
della Chiesa d’Oriente, richiamiamo la tua attenzione sul seguente problema che ci
preoccupa personalmente insieme al Sinodo della Chiesa Madre.
Da varie fonti è giunta notizia al Patriarcato Ecumenico e alla nostra modesta
persona che quotidianamente attraverso internet e altri mezzi di comunicazione e
nel visitare altre chiese ortodosse sorelle che l’arciprete Theodoros Zisis insieme a
chierici e laici con le stesse convinzioni spingono fratelli Primati e pastori e
specialmente i fedeli ortodossi a ribellarsi e a contestare le decisioni del Santo e
Grande Concilio della nostra chiesa ortodossa riunitosi con la benedizione divina e
con successo a Creta, dove il contributo della sua carissima eminenza e della
delegazione della santissima Chiesa di Grecia fu strumento decisivo al suo successo.
Come se questo empio lavoro - di questi pochi chierici e laici, di ingiuria alle
coscienze e fomentatore di scandali, nella santissima chiesa di Grecia - non
bastasse, abbiamo saputo (ed al momento non è stata smentita la notizia) che una
delegazione guidata dal suddetto uomo di Chiesa ha fatto visita alle santissime
Chiese ortodosse di Bulgaria e Georgia, come alle diocesi ecclesiastiche della
Moldova, creando scompiglio tra i fedeli ed essendo anche ricevuto dai fratelli
Primati e vescovi di quelle chiese. Secondo queste stesse informazioni questo gruppo
si è presentato alla Chiesa di Georgia affermando che erano portatori della
coscienza comune della Chiesa di Grecia.
Certamente sua eminenza ed il Santo Sinodo della santissima Chiesa di Grecia
converranno che queste cose deliberatamente e irreverentemente diffuse da questi
chierici e laici sono, per usare un’espressione di San Basilio, droghe velenose per le
anime... e come cervelli ebbri ... pronunciando queste parole... dicono enormità

52
Portale greco Romfeja 8 luglio 2016.
44
considerando la loro condizione (Lettera 210, ai cittadini di Neocesarea). Inoltre,
costoro ―che non smettono di scuotere la Chiesa, sempre pronti alla contestazione, a
creare dissenso, a privarsi dei benefici religiosi che provengono dalle assemblee
ecclesiali, sono davvero imperdonabili, ed è necessario che rendano conto, e
meritano di essere puniti (S. Giovanni Crisostomo, ―Contro gli Ebrei‖, 3).
Sfortunatamente, a causa dell’atteggiamento da loro adottato, persino dei vescovi
della santissima Chiesa di Grecia – ad esempio il santissimo metropolita del Pireo
Serafim, ed Ambrogio di Kalavryta e Agialeas – diffondendo inopportunamente
degli scritti come attraverso la loro parola sia prima che dopo il concilio, hanno
cospirato insieme al suddetto noto gruppo contro la chiesa canonica e le decisioni
del Santo e Grande Concilio tenutosi a Creta. Quelli che agiscono in tal modo
dimenticano sicuramente che ―le questioni che sono state considerate e definite
conciliarmente sono migliori e più sicure di quelle dedotte per conto proprio
(Giovanni di Kritos, ―Risposte a Costantino Kavasalis, arcivescovo di Durazzo‖).
Noi quindi esortiamo sua eminenza e il santo sinodo della Chiesa di Grecia che ha
partecipato al Santo e Grande concilio di Creta, e che ha collaborato nelle sue
decisioni ed ha sottoscritto tutti i testi conciliari, di fare osservare le decisioni di
questo Concilio che dichiarò che questi testi devono essere rispettati dai fedeli
ortodossi, sia del clero che dei laici (vedi ―L’organizzazione canonica e la gestione
canonica del santo e grande Concilio della Chiesa ortodossa‖, n. 13). Noi le
chiediamo di prendere appropriati provvedimenti e di dare le necessarie
ammonizioni al suddetto clero e agli animatori del gruppo affinché cessino le loro
attività anti-ecclesiastiche che violano i canoni, cessino dallo scandalizzare le anime
―per le quali Cristo è morto‖ e cessino dal provocare problemi all’interno della
Chiesa ortodossa.
Tutti sanno bene che ―Nulla provoca tanto l’ira di Dio come la divisione nella
Chiesa‖ ( S. Giovanni Crisostomo, ―Omelie sulla Lettera agli Efesini‖, 11), come
fanno coloro che seguono le suddette persone. Noi non dubitiamo che sua eminenza
e il Santo Sinodo della Chiesa di Grecia desiderino fare ciò che è giusto, ciò che è in
armonia con la canonica akribeia, e fare le appropriate ecclesiastiche esortazioni e
ammonimenti al suddetto clero e laicato, minacciando di deporre coloro che non si
adeguano come previsto dai sacri e santi canoni per la cura delle ferite causate al
corpo della Chiesa da una simile condotta, per non dare adito agli scandali.
Allo stesso modo, noi esortiamo sua eminenza a rivolgere la sua attenzione in
particolare a quei fratelli gerarchi della santissima Chiesa di Grecia che hanno
creato confusione e turbamento tra il popolo di Dio attraverso le loro azioni e
encicliche, come i suddetti metropoliti di Kalavryta, Agialeias e Pireo, dicendo loro
che se non si comportano correttamente e non rientrano in sé, il Patriarcato
Ecumenico risponderà al problema sollevato interrompendo la comunione
ecclesiastica e sacramentale con loro, richiamando la responsabilità e l’obbligo di
tutti i pastori ortodossi di salvaguardarel’unità, la pace e la testimonianza comune
della Chiesa ortodossa.
Noi denunciamo ciò con il dolore dell’anima e rammarico nel nostro cuore, dinanzi
al fatto che i confini di una giusta libertà di espressione e costruttiva critica siano
stati superati e prima che queste empie azioni diventino peggiori e più difficili da
curare. Noi affidiamo quanto abbiamo detto alla coscienza del suo Amore e a quella
della Gerarchia della Chiesa di Grecia, e chiudiamo con profondo amore nel Signore
ed eccezionale rispetto. 18 novembre 2016. L’amato fratello nel Signore di sua
reverenda eminenza, Bartolomeo di Costantinopoli.

45
Se l‟arcivescovo di Atene, Girolamo II (foto a sinistra), è reticente ad
intervenire contro i denigratori del Santo e Grande Concilio panortodosso di
Creta, non così il metropolita di Tessalonica Antimo (foto sopra a destra), che
ha sospeso a divinis il sacerdote Teodoro Zisis.

Non sembra che l‟arcivescovo Girolamo II o il santo Sinodo di Grecia abbiano preso
provvedimenti contro l‟arciprete Zisis. Ma un drastico provvedimento l‟ha preso il
metropolita Anthimos di Tessalonica a motivo del fatto che nelle celebrazioni Zisis
non commemorava più la sua persona (proprio perché aveva sottoscritto il
documento sull‟ecumenismo a Creta). Zisis ha motivato l‟omissione col canone 15 del
concilio foziano dell‟861 che prevede di non commemorare più il vescovo caduto
nell‟eresia, come appunto Anthimos e il Concilio di Creta caduti nell‟eresia
dell‟ecumenismo. Anthimos ha reagito nel marzo 2017 togliendogli il titolo di
arciprete nonché la facoltà di celebrare nella sua metropolia. Curiosamente (il che
però è anche una spia dell‟equilibrio mentale dei tradizionalisti), senza smettere di
criticare il suo metropolita ed il Concilio, Zisis ha chiesto ad Anthimos di permettergli
di celebrare nella parrocchia di S. Antonio abate senza commemorarlo, perché così gli
detta la coscienza.

18. L’ecumenismo di papa Francesco

L‟attuale papa Francesco fece comprendere la sua concezione del papato sin
dall‟inizio del suo pontificato con l‟esortazione apostolica Evangelii gaudium. In
questo documento programmatico egli dimostrava di volersi mantenere fedele al
concilio Vaticano II e ai passi ulteriori fatti sia da Paolo VI che da Giovanni Paolo II.

46
Anche se le sue parole sono dirette soprattutto al mondo cattolico, l‟impatto
ecumenico si evidenzia sin dalle prime battute:
Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche
pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma,
rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo
renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali
dell’evangelizzazione. Il Papa Giovanni Paolo II chiese di essere aiutato a trovare
«una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo
all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova». 53 Siamo avan-
zati poco in questo senso. Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa
universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. Il
Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriar-
cali, le Conferenze episcopali possono «portare un molteplice e fecondo contributo,
acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente».54

Anche se qui il papa si riferisce piuttosto ad una conversione pastorale, non è chi
non veda come parlare di una “conversione del papato” non abbia una grande forza di
autocritica, impensabile sino a pochi decenni orsono. Il carattere ecumenico è dato
dall‟esplicito richiamo alla Ut unum sint di Giovanni Paolo II e alla necessità di un
ripensamento dell‟esercizio del papato.

53Enciclica Ut unum sint (25 maggio 1995), 95: Acta Ap. Sedis 87 (1005), 977-978.
54Cfr. Evangelii gaudium, esortazione apostolica del 24.XI.2013, § 32. Per la citazione finale, vedi
Conc. Ecum. Vat. II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, 23.
47
Ma l‟ecumenismo di papa Francesco è diverso da quello di tutti coloro che lo hanno
preceduto. Per lui l‟unità ecclesiale difficilmente può essere raggiunta mediante il pur
necessario dialogo teologico. Il che vale sia per i rapporti col mondo protestante che,
e soprattutto, col mondo ortodosso.
Quando il papa parla della teologia usa termini che ne limitano di molto il peso
rispetto al fine che si vuol raggiungere. Il 28 giugno 2014 accogliendo la delegazione
del Patriarcato Ecumenico la vigilia dei santi Pietro e Paolo faceva notare come
partendo da prospettive diverse, tramite una “teologia fatta in ginocchio” si può fare
un cammino di unità. Tale cammino, avviato da quel gesto profetico che fu
l‟abbraccio tra Paolo VI e Atenagora, egli intende svilupparlo con “l‟amato fratello
Bartolomeo” Patriarca ecumenico della “Chiesa sorella di Costantinopoli”: Il Signore
ci ha donato queste occasioni di incontro fraterno, nelle quali abbiamo avuto la
possibilità di manifestare l’uno all’altro l’amore in Cristo che ci lega e di rinnovare
la volontà condivisa di continuare a camminare insieme sulla strada verso la piena
unità‖. Per il papa, cattolici e ortodossi devono guardarsi l‟un l‟altro con gli occhi
della fede tenendo presente il piano di Dio e non ciò che “le conseguenze storiche dei
nostri peccati ci hanno portato ad essere”.
Riferendosi al dialogo teologico il papa ha detto:
"Confido pertanto, e prego, affinché il lavoro della Commissione mista
internazionale possa essere espressione di questa comprensione profonda, di questa
teologia 'fatta in ginocchio'. La riflessione sui concetti di primato e di sinodalità,
sulla comunione nella Chiesa universale, sul ministero del Vescovo di Roma, non
sarà allora un esercizio accademico né una semplice disputa tra posizioni
inconciliabili.
Una teologia fatta in ginocchio. Uno sguardo al dialogo che chiude completamente
al passato allorché grandi eruditi approfondivano episodi storici e termini teologici
all‟unico scopo di dimostrare l‟errore dell‟altro e non per incontrarsi e camminare
insieme spinti dall‟azione dello Spirito.

48
L‟ecumenismo di papa Francesco è l‟ecumenismo dei gesti concreti che si ispirano
al Vangelo. E‟ l‟ecumenismo dell‟incontro di Lesbo col patriarca e con l‟arcivescovo di
Atene Girolamo II in visita al campo di Morias (16 aprile 2016), conclusosi con una
dichiarazione congiunta tendente a sensibilizzare gli stati al drammatico problema
dei profughi. E‟ l‟ecumenismo dell‟incontro all‟Havana (Cuba) col patriarca di Mosca
Cirillo al fine di aiutare i cristiani del Medio Oriente (specialmente in Siria e Iraq)
abbandonati alla loro tragedia dall‟indifferenza degli europei. E dall‟Havana partì
anche l‟iniziativa realizzatasi più tardi del trasferimento di una costola di san Nicola
da Bari a Mosca, che per gli ortodossi russi ha avuto un impatto al di sopra di ogni
immaginazione, al punto da far dire al patriarca di Mosca: Penso che la traslazione
delle reliquie di san Nicola abbia fatto per la riconciliazione tra Oriente e Occidente
quanto non ha mai fatto nessuna diplomazia — sia secolare sia ecclesiastica55.
L‟ecumenismo di papa Francesco è a tutto campo, verso tutti i cristiani e, se
vogliamo, cattolicamente verso tutta l‟umanità. In Egitto non ha solo abbracciato il
capo spirituale dei copti non-calcedonesi, ma ha riconosciuto vicendevolmente la
validità del battesimo. In Svezia ha fatto un discorso in cui ha evidenziato i grandi
meriti della riforma di Lutero, anche in questo rovesciando l‟ottica cattolica
tradizionale della contrapposizione. Ma ovviamente, un occhio particolare è rivolto
all‟Ortodossia e soprattutto al patriarca Bartolomeo, col quale condivide una grande
passione: la lotta per la preservazione e la salvezza della natura e del creato.

55
Discorso del Patriarca a San Pietroburgo il 28 luglio 2017.
49
APPENDICI

I. Decreto conciliare Unitatis Redintegratio


II. Rimozione delle scomuniche
III. Il Protos secondo i Russi
IV. Il Protos secondo i Greci
V. Decreto di Creta sulle relazioni ortodosse col resto del mondo cristiano
VI. Lettera di Papa Francesco a Bartolomeo

50
I
Concilio Ecumenico Vaticano II
Il Decreto conciliare: Unitatis Redintegratio (cap. III)

Il frutto di tanti coraggiosi interventi al Concilio (sia sul ritorno ai padri sia sulla
dignità dell‟episcopato orientale) fu il decreto conciliare “Unitatis Redintegratio” del
21 novembre 1964, che sancì la definitiva svolta della Chiesa Cattolica romana nei
confronti delle Chiese orientali dissidenti. Ecco il testo nella parte che interessa il
nostro tema:

13.- Noi rivolgiamo ora il nostro pensiero alle due principali categorie di scissioni
che hanno intaccato l’inconsutile tunica di Cristo.
Le prime di esse avvennero in Oriente, sia per la contestazione delle forme
dogmatiche dei Concili di Efeso e di Calcedonia, sia, più tardi, per la rottura della
comunione ecclesiastica tra i patriarchi orientali e la sede romana.
Le altre sono sorte, dopo più di quattro secoli, in Occidente, a causa di quegli eventi
che comunemente sono conosciuti con il nome di Riforma. Da allora parecchie
Comunioni sia nazionali che confessionali, si separarono dalla Sede romana. Tra di
quelle nelle quali continuano a sussistere in parte le tradizioni e le strutture
cattoliche, occupa un posto speciale la Comunione anglicana.
Tuttavia queste varie divisioni differiscono molto tra di loro non solo per ragione
dell’origine, del luogo e del tempo, ma soprattutto per la natura e gravità delle
questioni spettanti la fede e la struttura ecclesiastica.
Perciò questo santo Concilio, il quale né misconosce le diverse condizioni delle
diverse Comunioni cristiane, né trascura i legami ancora esistenti tra loro
nonostante la divisione, per una prudente azione ecumenica decide di proporre le
seguenti considerazioni.

14.- Le Chiese d’Oriente e d’Occidente hanno seguito per molti secoli una propria
via, unite però dalla fraterna comunione nella fede e nella vita sacramentale, sotto
la direzione della Sede romana di comune consenso accettata, qualora fra loro
fossero sorti dissensi circa la fede o la disciplina. È cosa gradita per il sacro Concilio
richiamare alla mente di tutti, tra le altre cose di grande importanza, che in Oriente
prosperano molte Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le
Chiese patriarcali, e che non poche di queste si gloriano d’essere state fondate dagli
stessi apostoli. Perciò presso gli Orientali grande fu ed è ancora la preoccupazione e
la cura di conservare, in una comunione di fede e di carità, quelle fraterne relazioni
che, come tra sorelle, devono esistere tra le Chiese locali.
Non si deve parimenti dimenticare che le Chiese d’Oriente hanno fin dall’origine un
tesoro dal quale la Chiesa d’Occidente ha attinto molti elementi nel campo della
liturgia, della tradizione spirituale e dell’ordine giuridico. Né si deve sottovalutare il
fatto che i dogmi fondamentali della fede cristiana sulla Trinità e sul Verbo di Dio
incarnato da Maria Vergine, sono stati definiti in Concili ecumenici celebrati in
Oriente e come, per conservare questa fede, quelle Chiese hanno molto sofferto e
soffrono ancora.
L’eredità tramandata dagli apostoli è stata accettata in forme e modi diversi e, fin
dai primordi stessi della Chiesa, qua e là variamente sviluppata, anche per le
diversità di carattere e di condizioni di vita. Tutte queste cose, oltre alle cause

51
esterne e anche per mancanza di mutua comprensione e carità, diedero adito alle
separazioni.
Perciò il santo Concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare
al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le Chiese orientali e la Chiesa
cattolica, a tenere in debita considerazione questa speciale condizione della nascita
e della crescita delle Chiese d’Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la
Sede di Roma prima della separazione, e a formarsi un equo giudizio su tutte queste
cose. Questa regola, ben osservata, contribuirà moltissimo al dialogo che si vuole
stabilire.

15.- È pure noto a tutti con quanto amore i cristiani d’Oriente celebrino la sacra
liturgia, specialmente, quella eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della
gloria futura; in essa i fedeli, uniti al vescovo, hanno accesso a Dio Padre per mezzo
del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell’effusione dello Spirito Santo, ed
entrano in comunione con la santissima Trinità, fatti « partecipi della natura divina
» (2 Pt 1, 4). Perciò con la celebrazione dell’eucaristia del Signore in queste singole
Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce, e con la concelebrazione si manifesta la
comunione tra di esse.
In questo culto liturgico gli Orientali magnificano con splendidi inni Maria sempre
Vergine, solennemente proclamata santissima Madre di Dio dal Concilio ecumenico
Efesino, perché Cristo conforme alla sacra Scrittura fosse riconosciuto, in senso
vero e proprio, Figlio di Dio e figlio dell’uomo; similmente tributano grandi omaggi
a molti santi, fra i quali vi sono Padri della Chiesa universale.
Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti — e
soprattutto, in virtù della successione apostolica, il sacerdozio e l’eucaristia — che li
uniscono ancora a noi con strettissimi vincoli, una certa « communicatio in sacris
», presentandosi opportune circostanze e con l’approvazione dell’autorità
ecclesiastica, non solo è possibile, ma anche consigliabile.
In Oriente si trovano pure le ricchezze di quelle tradizioni spirituali che sono
espresse specialmente dal monachesimo. Ivi infatti, fin dai gloriosi tempi dei santi
Padri, fiorì quella spiritualità monastica che si estese poi all’Occidente, e dalla
quale, come da sua fonte, trasse origine la regola monastica dei latini e in seguito
ricevette di tanto in tanto nuovo vigore. Perciò caldamente si raccomanda che i
cattolici con maggior frequenza accedano a queste ricchezze dei Padri orientali, che
elevano tutto l’uomo alla contemplazione delle cose divine.
Tutti sappiano che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo
patrimonio liturgico e spirituale degli Orientali è di somma importanza per la fedele
custodia dell’integra tradizione cristiana e per la riconciliazione dei cristiani
d’Oriente e d’Occidente.

16.- Inoltre fin dai primi tempi le Chiese d’Oriente seguivano discipline proprie,
sancite dai santi Padri e dai Concili, anche ecumenici. Una certa diversità di usi e
consuetudini, come abbiamo sopra ricordato, non si oppone minimamente all’unità
della Chiesa, anzi ne accresce la bellezza e costituisce un aiuto prezioso al
compimento della sua missione; perciò il sacro Concilio, onde togliere ogni dubbio,
dichiara che le Chiese d’Oriente, memori della necessaria unità di tutta la Chiesa,
hanno potestà di regolarsi secondo le proprie discipline, come più consone al
carattere dei loro fedeli e più adatte a promuovere il bene delle anime. La perfetta
osservanza di questo principio tradizionale, invero non sempre rispettata,
appartiene a quelle cose che sono assolutamente richieste come previa condizione al
ristabilimento dell’unità.

52
17.- Ciò che sopra è stato detto circa la legittima diversità deve essere applicato
anche alla diversa enunziazione delle dottrine teologiche. Effettivamente
nell’indagare la verità rivelata in Oriente e in Occidente furono usati metodi e cam-
mini diversi per giungere alla conoscenza e alla confessione delle cose divine. Non fa
quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in
modo più adatto e posti in miglior luce dall’uno che non dall’altro, cosicché si può
dire che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che
opporsi. Per ciò che riguarda le tradizioni teologiche autentiche degli Orientali, bi-
sogna riconoscere che esse sono eccellentemente radicate nella sacra Scrittura, sono
coltivate ed espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva tradizione
apostolica, dagli scritti dei Padri e dagli scrittori ascetici Orientali, e tendono a una
retta impostazione della vita, anzi alla piena contemplazione della verità cristiana.
Questo sacro Concilio, ringraziando Dio che molti Orientali figli della Chiesa
cattolica, i quali custodiscono questo patrimonio e desiderano viverlo con maggior
purezza e pienezza, vivano già in piena comunione con i fratelli che seguono la
tradizione occidentale, dichiara che tutto questo patrimonio spirituale e liturgico,
disciplinare e teologico, nelle diverse sue tradizioni, appartiene alla piena cattolicità
e apostolicità della Chiesa.

18. Considerate bene tutte queste cose, questo sacro Concilio inculca di nuovo ciò che
è stato dichiarato dai precedenti sacri Concili e dai romani Pontefici, che cioè, per
ristabilire o conservare la comunione e l’unità bisogna «non imporre altro peso
fuorché le cose necessarie» (At 15, 28). Desidera pure ardentemente che d’ora in poi,
nelle varie istituzioni e forme della vita della Chiesa, tutti gli sforzi tendano passo
passo al conseguimento di essa, specialmente con la preghiera e il dialogo fraterno
circa la dottrina e le più urgenti necessità pastorali del nostro tempo. Raccomanda
parimenti ai pastori e ai fedeli della Chiesa cattolica di stabilire delle relazioni con
quelli che non vivono più in Oriente, ma lontani dalla patria. Così crescerà la
fraterna collaborazione con loro in spirito di carità, bandendo ogni sentimento di
litigiosa rivalità. Se questa opera sarà promossa con tutto l’animo, il sacro Concilio
spera che, tolta la parete che divide la Chiesa occidentale dall’orientale, si avrà
finalmente una sola dimora solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù,
il quale di entrambe farà una cosa sola.

53
II
Tomo dell’abolizione delle scomuniche del 1054
7 dic 1965

Il Patriarca Ecumenico Atenagora nella sua sede del Phanar (Costantinopoli)


leggeva in pubblico il Tomo dell'Abolizione delle scomuniche:

« Atenagora, per misericordia di Dio Arcivescovo di Costantinopoli, Nuova


Roma, e Patriarca Ecumenico.
« Nel nome della santa, consustanziale, vivificante e indivisibile Trinità!
« "Dio è amore" (Gv. 4, 9); l'amore è il segno dei discepoli di Cristo, dato da Dio,
la forza unificatrice della sua Chiesa, e in essa il principio di pace, di concordia e di
ordine, come perpetua e splendida manifestazione dello Spirito Santo. Occorre
dunque che coloro a cui Dio ha confidato l'economia delle sue Chiese prendano cura
del "vincolo di perfezione" (Col. 3, 14) e se ne servano con ogni attenzione,
sollecitudine e protezione. E se mai capiti che la carità si raffreddi e si spezzi l'unità
nel Signore, con ogni premura bisogna accertarsi del male e cercarne il rimedio.
« Ora, per una misteriosa disposizione di Dio, nell'anno 1054 sopravvenne alla
Chiesa una triste tempesta: i rapporti tra le Chiese di Roma e di Costantinopoli sono
stati messi alla prova, e la carità che le teneva unite è stata ferita a tal punto che
l'anatema è comparso nel seno delle Chiese di Dio; i legati di Roma, il cardinale
Umberto e quelli che erano con lui, hanno anatematizzato il Patriarca Michele
Cerulario e due suoi collaboratori; a sua volta il Patriarca Michele Cerulario col suo
Sinodo anatematizzava lo scritto dei legati di Roma, chi l'aveva concepito e i
collaboratori. Bisognava dunque che le Chiese di Roma e di Costantinopoli,
imitando la bontà e l'amore di Dio per gli uomini, riconsiderassero insieme questi
fatti e ristabilissero la pace.
« Ma poiché in questi tempi si è manifestata la benevolenza di Dio verso di noi,
mostrandoci la via della riconciliazione e della pace, tra le altre maniere, anche con
quanto è stato disposto da Dio, nella reciproca sollecitudine, benedetta e fruttuosa,
tanto dell'Antica quanto della nostra Nuova Roma, per lo sviluppo delle loro
fraterne relazioni, è stato giudicato opportuno procedere alle rettifiche del giudizio
degli avvenimenti passati e togliere nella misura possibile, a ciascuna di esse, gli
ostacoli accumulati che possono essere eliminati; e questo per il progresso, la
crescita, l'edificazione e la consumazione della carità.
« Così, dunque, la nostra Umiltà con i venerabili e stimatissimi metropoliti, nostri
amati fratelli e concelebranti in Cristo, avendo giudicato il momento propizio nel
Signore, riuniti in Sinodo e avendone discusso, essendo inoltre a conoscenza delle
medesime disposizioni dell'Antica Roma, abbiamo deciso di togliere dalla memoria
e dal mezzo della Chiesa il suddetto anatèma lanciato dal Patriarca di
Costantinopoli Michele Cerulario col Suo Sinodo.
« Noi proclamiamo dunque per iscritto che l'anatèma lanciato nella grande
Cancelleria della nostra Grande Chiesa nell'anno della salvezza 1054 nel mese di
luglio della VII Indizione è, da questo momento e a conoscenza di tutti, tolto dalla
memoria e dal mezzo della Chiesa per la misericordia del Dio delle misericordie, il
quale, per le preghiere della beatissima nostra sovrana, la Madre di Dio e sempre
54
Vergine Maria, dei santi gloriosi Apostoli Pietro il Protocorifeo e Andrea il
Protoclito e di tutti i santi, voglia accordare la pace alla Chiesa, custodendola nei
secoli dei secoli.
« Per questo, e in segno di perpetua memoria e costante testimonianza è stato
redatto il presente Atto Patriarcale e Sinodale, trascritto e firmato nel Sacro
Registro della nostra Santa Chiesa, e inviato in copia autentica e conforme alla
Santa Chiesa della Maggiore Roma, affinché essa ne prenda conoscenza e lo
deponga nei suoi archivi.
Nell'anno della salvezza 1965, 7 dicembre della IV Indizione.
Atenagora di Costantinopoli - Tommaso di Calcedonia - Doroteo delle Isole dei
Principi - Cirillo di Caldia - Crisostomo di Neocesarea - Massimo di Laodicea -
Melitone di Eliopoli e Theira - Girolamo di Rodopoli - Crisostomo di Mira - Emiliano
di Mileto - Simeone di Irenopoli » 56.

Questo da Roma il « Breve » di Paolo VI:

« Ad imperituro ricordo dell'avvenimento. "Camminate nell'amore, come Cristo


ci ha amato": questa esortazione dell'Apostolo delle genti (Ef. 5, 2) ci viene in mente,
ed è stimolo a noi che dal nome del Salvatore ci chiamiamo cristiani, specialmente
nel nostro tempo in cui più urgente si avverte la spinta a dilatare gli spazi della
carità. In altre parole, per grazia di Dio, gli animi nostri si sentono infiammati dal
desiderio di compiere ogni sforzo per ricomporre nell'unità coloro che, per
vocazione, in quanto incorporati a Cristo sono tenuti a conservarla: Noi stessi, che
per disposizione della divina Provvidenza occupiamo la cattedra di San Pietro,
consapevoli di questo comando del Signore, più volte abbiamo manifestato il
fermissimo proposito di approfittare di ogni occasione utile ed opportuna per
attuare questa volontà del Redentore.
« Ripensiamo ai tristi avvenimenti che, dopo non pochi dissensi, nel 1054 furono
causa di grave ostilità tra la Chiesa Roma e quella di Costantinopoli. A ragione, il
nostro predecessore Gregorio VII ebbe poi a scrivere: "quanto per l’innanzi fu
proficua la concordia tanto nocque, in seguito, la mutua freddezza nella carità" (Ep.
ad Michael. Constantinopol. imp., Reg I, 18, ed. E. Caspar, p. 30). Si giunse, anzi,
fino al punto che da una parte i legati pontifici pronunciarono la sentenza di
scomunica contro Michele Cerulario, Patriarca di Costantinopoli e altri due
ecclesiastici, e questi, insieme col suo Sinodo, fece a sua volta lo stesso contro di
quelli.
« Ma ora, cambiati i tempi e le disposizioni d'animo, siamo ripieni di gioia, per il
fatto che il nostro venerabile fratello Atenagora I, Patriarca di Costantinopoli, e il
suo Sinodo, condividono il nostro desiderio di essere scambievolmente uniti nella
carità, "dolce e salutare vincolo dei cuori" (Cf. S. August., Serm, 350, 3; P.L. 39,
1534). Perciò, desiderosi di progredire ancor più nella via dell'amore fraterno, che
conduce alla perfetta unità e di rimuovere tutti gli ostacoli ed impedimenti,
affermiamo dinanzi ai vescovi riuniti nel Concilio Ecumenico Vaticano di sentire
vivo rincrescimento per le parole dette ed i gesti compiuti in quel tempo, e che non
possono essere approvati.
« Desideriamo, inoltre, rimuovere e cancellare dalla memoria della Chiesa e
considerare del tutto sepolta nell'oblio la sentenza di scomunica pronunciata in
quell'epoca.

56 Atto Patriarcale e Sinodico, in « Stachis », 1-2, 1965, pp. 46-47; cf. Panotis A., L'Abolizione delle
Scomuniche tra la Vecchia e la Nuova Roma, Atene 1966, pp. 42-43; Documenti - Il Concilio Vaticano
II, Edizioni Dehoniane, pp. 1096-1099; Kizeridis P., op. cit., pp. 103-105.
55
« Ci rallegriamo che sia stato dato a noi di compiere questo dovere di fraterna
carità qui in Roma, presso il sepolcro dell'Apostolo Pietro, e nello stesso giorno in
cui a Costantinopoli, che è chiamata la Nuova Roma, vien fatto lo stesso, ed in cui
Chiesa d'Occidente e d'Oriente venerano con pio ricordo il comune dottore e vescovo
sant'Ambrogio.
« Il clementissimo Iddio, autore della pace, renda efficace questa mutua buona
volontà, e conceda che questa pubblica testimonianza di fratellanza cristiana torni
felicemente a gloria sua e a bene delle anime.
Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l'anello del Pescatore, il 7 dicembre, festa
di Sant'Ambrogio, vescovo, confessore e dottore della Chiesa, dell'anno 1965, terzo
del Nostro Pontificato. Paolo PP. VI » 57.

57Bea A., op. cit., p. 235. Al termine, il Papa consegnava al metropolita di Eliopoli e Theira Melitone il
«Breve» pontificio dell'Abolizione. La sera dello stesso giorno, il Patriarca ha indirizzato un
telegramma al Papa, che ha immediatamente risposto.
56
III

Il punto di vista del Patriarcato di Mosca sul Primato


nella Chiesa universale

26.12.2013

The problem of primacy in the Universal Church has been repeatedly raised during
the work of the Joint International Commission on Theological Dialogue Between
the Orthodox Church and the Roman Catholic Church. On March 27, 2007, the Holy
Synod of the Russian Orthodox Church instructed the Synodal Theological
Commission to study this problem and draft an official position of the Moscow
Patriarchate on the problem (Minutes, No. 26). Meanwhile, the Joint Commission at
its meeting on October 13, 2007, in Ravenna, working in the absence of a delegation
of the Russian Church and without consideration for her opinion, adopted a
document on the Ecclesiological and Canonical Consequences of the Sacramental
Nature of the Church. Having studied the Ravenna document, the Russian Orthodox
Church disagreed with it in the part that refers to synodality and primacy on the
level of the Universal Church. Since the Ravenna document makes a distinction
between three levels of church administration, namely, local, regional and
universal, the following position taken by the Moscow Patriarchate on the problem
of primacy in the Universal Church deals with this problem on the three levels as
well.

1. In the Holy Church of Christ, primacy belongs to her Head Ŕ our Lord and Saviour
Jesus Christ, the Son of God and the Son of Man. According to St. Paul, the Lord
Jesus Christ is the head of the body, the church: who is the beginning, the firstborn
from the dead; that in all things he might have the pre-eminence (Col. 1:18).

According to the apostolic teaching, the God of our Lord Jesus Christ, the Father of
glory, raised him from the dead, and set him at his own right hand in the heavenly
places, far above all principality, and power, and might, and dominion, and every
name that is named, not only in this world, but also in that which is to come. And
hath put all things under his feet, and gave him to be the head over all things to the
church, which is his body (Eph. 1:17-23).
The Church, which is on the earth, represents not only a community of those who
believe in Christ but also a divine-human organism: Now ye are the body of Christ,
and members in particular (1 Cor. 12:27).
Accordingly, various forms of primacy in the Church in her historical journey in this
world are secondary versus the eternal primacy of Christ as Head of the Church by
whom God the Father reconciles all things unto himself, whether they be things in
earth, or things in heaven (Col. 1:20). Primacy in the Church should be in the first
place a ministry of reconciliation with the aim to build harmony, according to the
apostle who calls to keep the unity of the Spirit in the bond of peace (Eph. 4:3).

57
2.- In the life of the Church of Christ, which lives in this age, primacy, along with
synodality, is one of the fundamental principles of her order. On various levels of
church life, the historically established primacy has a different nature and different
sources. These levels are 1) the diocese (eparchy), 2) the autocephalous Local Church,
and 3) Universal Church.

On the level of diocese, primacy belongs to the bishop. The bishop‟s primacy in
his diocese has solid theological and canonical foundations tracing back to the early
Christian Church. According to the teaching of St. Paul, the Holy Ghost hath made
[bishops] overseers, to feed the church of God, which he hath purchased with his
own blood (Acts 20:28). The source of the bishop‟s primacy in his diocese is the
apostolic succession handed down through episcopal consecration. [1]
The ministry of the bishop is an essential foundation of the Church: „The bishop is in
the church and the church is in the bishop and that if somebody is not with the
bishop, he is not in the church‟ (St. Cyprian of Carthage[2]). St. Ignatius the God-
Bearer compares the bishop‟s primacy in his diocese to the supremacy of God: „Study
to do all things with a divine harmony, while your bishop presides in the place of God,
and your presbyters in the place of the assembly of the apostles, along with your
deacons, who are most dear to me, and are entrusted with the ministry of Jesus
Christ, who was with the Father before the beginning of time, and in the end was
revealed‟ (Letter to the Magnesians, 6).
In his church domain, the bishop has full power, sacramental, administrative and
magisterial. St. Ignatius the God-Bearer teaches us: „Let no one, apart from the
bishop, do any of the things that appertain unto the church. Let that Eucharist alone
be considered valid which is celebrated in the presence of the bishop, or of him to
whom he shall have entrusted it… It is not lawful either to baptize, or to hold a love-
feast without the consent of the bishop; but whatsoever he shall approve of, that also
is well pleasing unto God, to the end that whatever is done may be safe and sure‟
(Letter to the Smyrnaeans, 7).
The bishop‟s sacramental power is most fully expressed in the Eucharist. In
celebrating it, the bishop represents the image of Christ, presenting the Church of the
faithful in the face of God the Father, on one hand, and giving the faithful God‟s
blessing and nourishing them with the truly spiritual food and drink of the
Eucharistic sacrament, on the other. As head of his diocese, the bishop leads the
congregation‟s divine worship, ordains clergy and assigns them to church parishes,
authorizing them to celebrate the Eucharist and other sacraments and religious rites.
The bishop‟s administrative power is expressed in that the clergy, monastics and laity
of his diocese as well as parishes and monasteries, except for stauropegial ones, and
various diocesan institutions (educational, charitable, etc.) obey him. The bishop
administers justice in cases of ecclesial offences. The Apostolic Canons state: „Let not
the presbyters or deacons do anything without the sanction of the bishop; for he it is
who is entrusted with the people of the Lord and of whom will be required the
account of their souls‟ (Canon 39).
3.- On the level of the autocephalous Local Church, primacy belongs to the
bishop elected as Primate of the Local Church by a Council of her bishops.[3]
Accordingly, the source of primacy on the level of the autocephalous Church is the
election of the pre-eminent bishop by a Council (or a Synod) that enjoys the fullness
of ecclesiastical power. This primacy is based on solid canonical foundations tracing
back to the era of Ecumenical Councils.
58
The power of the Primate in an autocephalous Local Church is different from that of a
bishop in his church domain: it is the power of the first among equal bishops. He
fulfils his ministry of primacy in conformity with the church-wide canonical tradition
expressed in Apostolic Canon 34: „It behoves the Bishops of every nation to know the
one among them who is the premier or chief, and to recognise him as their head, and
to refrain from doing anything superfluous without his advice and approval: but,
instead, each of them should do only whatever is necessitated by his own parish and
by his territories under him. But let not even such a one do anything without the
advice and consent and approval of all. For thus will there be concord, and God will
be glorified through the Lord in Holy Spirit, the Father, and the Son, and the Holy
Spirit‟.
The powers of the Primate of an autocephalous Local Church are defined by a Council
(Synod) and fixed in a statute. The Primate of an autocephalous Local Church acts as
chairman of her Council (or Synod). Thus, the Primate does not have one-man power
in an autocephalous Local Church but governs her in council, that is, in cooperation
with other bishops.[4]

4. On the level of the Universal Church as a community of autocephalous Local


Churches united in one family by a common confession of faith and living in
sacramental communion with one another, primacy is determined in conformity with
the tradition of sacred diptychs and represents primacy in honour. This tradition can
be traced back to the canons of Ecumenical Councils (Canon 3 of the Second
Ecumenical Council, Canon 28 of the Fourth Ecumenical Council and Canon 36 of the
Sixth Ecumenical Council) and has been reconfirmed throughout church history in
the actions of Councils of individual Local Churches and in the practice of liturgical
commemoration whereby the Primate of each Autocephalous Church mentions the
names of those of other Local Churches in the order prescribed by the sacred
diptychs.
The order in diptychs has been changing in history. In the first millennium of church
history, the primacy of honour used to belong to the chair of Rome.[5] After the
Eucharistic community between Rome and Constantinople was broken in the mid-
11th century, primacy in the Orthodox Church went to the next chair in the diptych
order, namely, to that of Constantinople. Since that time up to the present, the
primacy of honour in the Orthodox Church on the universal level has belonged to the
Patriarch of Constantinople as the first among equal Primates of Local Orthodox
Churches.
The source of primacy in honour on the level of the Universal Church lies in the
canonical tradition of the Church fixed in the sacred diptychs and recognized by all
the autocephalous Local Churches. The primacy of honour on the universal level is
not informed by canons of Ecumenical or Local Councils. The canons on which the
sacred diptychs are based do not vest the primus (such as the bishop of Rome used to
be at the time of Ecumenical Councils) with any powers on the church-wide scale.[6]
The ecclesiological distortions ascribing to the primus on the universal level the
functions of governance inherent in primates on other levels of church order are
named in the polemical literature of the second millennium as “papism”.
5.- Due to the fact that the nature of primacy, which exists at various levels of
church order (diocesan, local and universal) vary, the functions of the primus on
various levels are not identical and cannot be transferred from one level to another.

59
To transfer the functions of the ministry of primacy from the level of an eparchy to
the universal level means to recognize a special form of ministry, notably, that of a
„universal hierarch‟ possessing the magisterial and administrative power in the whole
Universal Church. By eliminating the sacramental equality of bishops, such
recognition leads to the emergence of a jurisdiction of a universal first hierarch never
mentioned either in holy canons or patristic tradition and resulting in the derogation
or even elimination of the autocephaly of Local Churches.
In its turn, the extension of the primacy inherent in the primate of an autocephalous
Local Church (according to Apostolic Canon 34) to the universal level[7] would give
the primus in the Universal Church special powers regardless of whether Local
Orthodox Churches agree to it or not. Such a transfer in the understanding of the
nature of primacy from local to universal level would also require that the primus
election procedure be accordingly moved up to the universal level, which would as
much as violate the right of the pre-eminent autocephalous Local Church to elect her
Primate on her own.
6.- The Lord and Saviour Jesus Christ warned his disciples against the love of
rulers (cf. Mt. 20:25-28). The Church has always opposed distorted ideas of primacy,
which have begun to creep into church life from old times.[8] In Councils’ decisions
and works of holy fathers, such abuses of power were condemned.[9]
The bishops of Rome, who enjoy the primacy of honour in the Universal Church,
from the point of view of Eastern Churches, have always been patriarchs of the West,
that is, primates of the Western Local Church. However, already in the first
millennium of church history, a doctrine on a special divinely-originated magisterial
and administrative power of the bishop of Roman as extending to the whole
Universal Church began to be formed in the West.
The Orthodox Church rejected the doctrine of the Roman Church on papal primacy
and the divine origin of the power of the first bishop in the Universal Church.
Orthodox theologians have always insisted that the Church of Rome is one of the
autocephalous Local Churches with no right to extend her jurisdiction to the territory
of other Local Churches. They also believed that primacy in honour accorded to the
bishops of Rome is instituted not by God but men.[10]
Throughout the second millennium up to today, the Orthodox Church has preserved
the administrative structure characteristic of the Eastern Church of the first
millennium. Within this structure, each autocephalous Local Church, being in
dogmatic, canonical and Eucharistic unity with other Local Churches, is independent
in governance. In the Orthodox Church, there was no and has never been a single
administrative center on the universal level.
In the West, on the contrary, the development of a doctrine on the special power of
the bishop of Rome whereby the supreme power in the Universal Church belongs to
the bishop of Rome as successor to St. Peter and vicar of Christ on the earth has led to
the formation of a completely different administrative model of church order with a
single universal center in Rome.[11]
In accordance with the two different models of church order, different ways, in which
the conditions for canonicity of a church community were seen, were presented. In
the Catholic tradition, the necessary condition for canonicity is the Eucharistic unity
of a particular church community with the chair of Rome. In the Orthodox tradition,
canonical is a community which is part of an autocephalous Local Church, and
through this it is in the Eucharistic unity with other canonical Local Churches.

60
As is known, attempts to impose the Western model of administrative order upon the
Eastern Church were invariably met with resistance in the Orthodox East. This is
reflected in church documents[12] and polemical literature aimed against papism,
which comprise a part of the Tradition of the Orthodox Church.
7.- Primacy in the Universal Orthodox Church, which is the primacy of honour
by its very nature, rather than that of power, is very important for the Orthodox
witness in the modern world.
The patriarchal chair of Constantinople enjoys the primacy of honour on the basis of
the sacred diptychs recognized by all the Local Orthodox Churches. The content of
this primacy is defined by a consensus of Local Orthodox Churches expressed in
particular at pan-Orthodox conferences for preparation of a Holy and Great Council
of the Orthodox Church[13].
In exercising his primacy in this way, the Primate of the Church of Constantinople
can offer initiatives of general Christian scale and address the external world on
behalf of the Orthodox plenitude provided he has been empowered to do so by all the
Local Orthodox Churches.
8.- Primacy in the Church of Christ is called to serve the spiritual unity of her
members and to keep her life in good order, for God is not the author of confusion,
but of peace (1 Cor. 14:33).
The ministry of the primus in the Church, alien to temporal love of power, has as its
goal the edifying of the body of Christ…that we…by speaking the truth in love, may
grow up into him in all things, which is the head, even Christ, from whom the whole
body…according to the effectual working in the measure of every part, maketh
increase of the body unto the edifying of itself in love (Eph. 4:12-16).

[1] It includes election, consecration and reception by the Church.


[2] Ep. 69.8, PL 4, 406A (Letter 54 in the Russian version)
[3] As a rule, the pre-eminent bishop heads the main (pre-eminent) chair in the canonical territory of
his Church.
[4] The autocephalous Local Church can include complex church entities. For instance, in the Russian
Orthodox Church, there are autonomous and self-governed Churches, metropolitan regions,
exarchates and metropolises. Each of them has its own form of primacy defined by a Local Council and
reflected in the church statute.
[5] A reference to the primacy of honour of the chair of Rome and the second place of the chair of
Constantinople is made in Canon 3 of the Second Ecumenical Council: „The Bishop of Constantinople,
however, shall have the prerogative of honour after the Bishop of Rome; because Constantinople is
New Rome‟. Canon 28 of the Fourth Ecumenical Council clarifies this rule and points to the canonical
reason for the primacy of honour of Rome and Constantinople: „The Fathers in fact have correctly
attributed the prerogatives (which belong) to the see of the most ancient Rome because it was the
imperial city. And thus moved by the same reasoning, the one hundred and fifty bishops beloved of
God have accorded equal prerogatives to the very holy see of New Rome, justly considering that the
city that is honored by the imperial power and the senate and enjoying (within the civil order) the
prerogatives equal to those of Rome, the most ancient imperial city, ought to be as elevated as Old
Rome in the affairs of the Church, being in the second place after it‟.
[6] There are canons used in polemical literature to give a canonical justification to the judicial powers
of the first chair of Rome. These are Canons 4 and 5 of the Council of Sardica (343). These canons,
however, do not state that the rights of the chair of Rome to accept appeals are extended to the whole
Universal Church. It is known from the canonical codex that these rights were not limitless even in the
West. Thus, already the 256 Council of Carthage chaired by St. Cyprian responded to the claims of

61
Rome to primacy expressed the following opinion about relations between bishops: „neither does any
one of us set himself up as a bishop of bishops, nor by tyrannical terror does any compel his colleague
to the necessity of obedience; since every bishop, according to the allowance of his liberty and power,
has his own proper right of judgment, and can no more be judged by another than he himself can
judge another. But let all of us wait for the judgment of our Lord Jesus Christ, who is the only one that
has the power both of preferring us in the government of His Church, and of judging us in our conduct
there‟ (Sententiae episcoporum, PL 3, 1085C; 1053A-1054A). The same is stated in the Letter of the
Council of Africa to Celestine, the pope of Rome (424), which is included in all the authoritative
editions of the code of canons, particularly, Book of Canons as a canon of the Council of Carthage. In
this letter the Council rejects the right of the pope of Rome to accept appeals against judgements made
by the Council of African Bishops: „We earnestly conjure you, that for the future you do not readily
admit to a hearing persons coming hence, nor choose to receive to your communion those who have
been excommunicated by us…‟. Canon 118 of the Council of Carthage forbids to make appeals to
Churches in overseas countries Ŕ which is anyway implied by Rome as well: Clerics who have been
condemned, if they take exception to the judgment, shall not appeal beyond seas, but to the
neighbouring bishops, and to their own; if they do otherwise let them be excommunicated in Africa‟.
[7] As is known, there is not a single canon that would allow of such practice.
[8] As far back as the apostolic times, St. John the Theologian in his Epistle condemned Diotrephes
„who loves to be the first‟ (3 Jn. 1:9).
[9] Thus, the Third Ecumenical Council, seeking to protect the right of the Church of Cyprus to have
her own head, stated in its Canon 8: „the Rulers of the holy churches in Cyprus shall enjoy, without
dispute or injury, according to the Canons of the blessed Fathers and ancient custom, the right of
performing for themselves the ordination of their excellent Bishops. The same rule shall be observed in
the other dioceses and provinces everywhere, so that none of the God beloved Bishops shall assume
control of any province which has not heretofore, from the very beginning, been under his own hand or
that of his predecessors. But if any one has violently taken and subjected [a Province], he shall give it
up; lest the Canons of the Fathers be transgressed; or the vanities of worldly honour be brought in
under pretext of sacred office; or we lose, without knowing it, little by little, the liberty which Our Lord
Jesus Christ, the Deliverer of all men, hath given us by his own Blood‟.
[10] Thus, in the 13th century St. Herman of Constantinople wrote, „There are five patriarchates with
certain boundaries for each. However, in the recent time a schism has arisen among them, initiated by
a daring hand which seeks to dominate and prevail in the Church. The Head of the Church is Christ,
and every attempt to obtain domination is contrary to His teaching‟ (cit. in Соколов И.И. Лекции по
истории Греко-Восточной Церкви. Ŕ СПб., 2005. С.129).
In the 14th century, Nilus Cabasilas, Archbishop of Thessaloniki, wrote on the primacy of the bishop of
Rome, „the pope indeed has two privileges: he is the bishop of Rome… and he is the first among the
bishops. From Peter he has received the Roman episcopacy; as to the primacy, he received it much
later from the blessed Fathers and the pious Emperors, for its was just that ecclesiastical affairs be
accomplished in order‟ (De primatu papae, PG 149, 701 CD).
His Holiness Patriarch Bartholomew states, „We all, the Orthodox… are convinced that in the first
millennium of the existence of the Church, in the times of the undivided Church, the primacy of the
bishop of Rome, the pope, was recognized. However, it was honorary primacy, in love, without
being legal dominion over the whole Christian Church. In other words, according to our theology, this
primacy is of human order; it was established because of the need for the Church to have a head and a
coordinating center‟ (from the address to the Bulgarian mass media, November 2007).
[11] Differences in the church order of the Roman Catholic Church and the Orthodox Church can be
seen not only on universal but also local and diocesan levels.
[12] In the 1848 Encyclical, the Eastern Patriarchs condemn the fact that bishops of Rome turned the
primacy of honour into lordship over the whole Universal Church: “We see very primacy transformed
from a brotherly character and hierarchical privilege into a lordly superiority.” (Par. 13). The dignity of
the Church of Rome, the Encyclical states, “is not that of a lordship, to which St. Peter himself was
never ordained, but is a brotherly privilege in the Catholic Church, and an honor assigned the Popes on
account of the greatness and privilege of the City” (Par. 13).
[13] See in particular, the Decision of the Fourth Pan-Orthodox Conference (1968), Par. 6, 7; the
Procedure of Pan-Orthodox Pre-Council Conferences (1986), Par. 2, 13.

62
IV

Il punto di vista del Patriarcato ecumenico sul Protos


nella Chiesa universale

7 gennaio 2014

First without equals:


A response to the text on primacy of the Moscow Patriarchate.

By His Eminence Elpidophoros Lambriniadis, Metropolitan of Bursa, Professor of


Theology, University of Thessaloniki

In a recent synodal decision,[1] the Church of Russia seems once again[2] to choose
its isolation from both the theological dialogue with the Roman Catholic Church and
the communion of the Orthodox Churches. Two points are worth noting from the
outset, which are indicative of the intent of the Church of Russia's Synod:
First, its desire to undermine the text of Ravenna,[3] by invoking seemingly
theological reasons in order to justify the absence of its delegation from the plenary
meeting of the joint commission (an absence dictated, as everyone knows, by other
reasons[4]); and
Second, to challenge in the most open and formal manner (namely, by synodal
decree) the primacy of the Ecumenical Patriarchate within the Orthodox world,
observing that the text of Ravenna, on which all the Orthodox Churches agreed (with
the exception, of course, of the Church of Russia), determines the primacy of the
bishop on the three levels of ecclesiological structure in the Church (local, provincial,
universal) in a way that supports and ensures the primacy and first-throne Orthodox
Church.
The text of the position of the Moscow Patriarchate on the "problem" (as they call it)
of Primacy in the universal Church does not deny either the sense or the significance
of primacy; and up to this point, it is correct. In addition, however, it endeavors to
achieve (indeed, as we shall see, in an indirect way) the introduction of two
distinctions related to the concept of primacy.

1. Separation between ecclesiological and theological primacy

The first differentiation contrasts primacy as it applies to the life of the Church
(ecclesiology) and as understood in theology. Thus the text of the Moscow
Patriarchate is forced to adopt the unprecedented distinction between, on the one
hand, the 'primary' primacy of the Lord and, on the other hand, the 'secondary'
primacies of bishops ("various forms of primacy ... are secondary"), although later in
the same document it will be suggested that the bishop is the image of Christ (cf 2:1),
which seems to imply that the two primacies are univocal or at least analogous and
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not merely equivocal. Even the scholastic formulation of such distinctions between
'primary' and 'secondary' primacies demonstrates the stealthy contradiction.
Moreover, the intended separation of ecclesiology from theology (or Christology)
would have adverse consequences for both. If the Church is indeed the Body of Christ
and the revelation of the Trinitarian life, then we cannot talk about differences and
artificial distinctions that shatter the unity of the mystery of the Church, which
encapsulates the theological (in the narrow sense of the word) and Christological
formulations alike. Otherwise, church life is severed from theology and is reduced to
a dry administrative institution, while on the other hand a theology without
correspondence in the life and structure of the Church becomes a sterile academic
preoccupation. According to Metropolitan John of Pergamon: "The separation of the
administrative institutions of the Church from dogma is not simply unfortunate; it is
even dangerous."[5]

2. The separation of the different ecclesiological levels

The second differentiation which in our opinion is attempted by the text of the
Moscow Patriarchate pertains to the three ecclesiological levels in the structure of the
Church. It is here, it seems, that the entire weight of that text hangs. The text states
that the primacy of the local diocese is understood and institutionalized in one way,
while on the regional level of an "autocephalous archdiocese" (autocephalous
eparchial synod) it is understood in another, and on the level of the universal church
in yet another way (cf. 3: "Due to the fact that the nature of primacy, which exists at
various levels of church order [diocesan, local and universal] vary, the functions of
the primus on various levels are not identical and cannot be transferred from one
level to another").
As the Synodal decision claims, not only do these three primacies differ, but even
their sources are different: the primacy of the local bishop stems from the apostolic
succession (2:1), the primacy of the head of an autocephalous Church from his
election by the synod (2:2), and the primacy of the head of the universal church from
the rank attributed to him by the diptychs (3:3). Thus, as the text of the Moscow
Patriarchate concludes, these three levels and their corresponding primacies are not
commensurate, as the text of Ravenna takes them to be on the basis of the
34th Apostolic canon.
What is clearly apparent here is the agonizing effort in the present Synodal decision
to render primacy as something external and therefore foreign to the person of the
primate. This is what we consider to be the reason why the position of the Moscow
Patriarchate insists so greatly on determining the sources of primacy, which always
differ from the person of the primus, in such a way that the primate becomes
the recipient, rather than the source of his primacy. Does perhaps this dependence
also imply the autonomy of primacy? For the Church, an institution is always
hypostasized in a person. We can never encounter an impersonal institution, as it
would be if primacy were to be conceived independently of a primate. It should be
clarified here that the primacy of the primus is also hypostasized by the specific place,
the local Church, the geographical region over which the primate presides.[6] It is
important at this point to observe the following logical and theological
contradictions:
i) If the primus is a recipient of (his) primacy, then primacy exists without and
regardless of him, which is impossible. This appears very clearly in the reasons
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proffered for the primacy on the regional and ecumenical levels. For the regional
level, the source of the primacy is considered to be the eparchial synod; but can there
be a synod without a primus? The dialectical relationship between the primate
and his synod, as formulated by the 34th canon of the Apostles (as well as the 9th and
16th canons of Antioch, according to which a synod without a presiding hierarch is
considered incomplete), is abrogated for the sake of a unilateral relationship where
the many constitute the one, contradicting all reason that recognizes the one
presiding hierarch both as the constitutive factor and guarantor of the unity of the
many.[7] A second example of logical contradiction is presented by the appeal to the
Diptychs. Here the symptom is taken to be the cause and the signified mistaken for
the signifier. The Diptychs are not the source of primacy on the interprovincial level
but rather its expression Ŕ indeed, only one of its expressions. Of themselves, the
Diptychs are an expression of the order and hierarchy of the autocephalous churches,
but such a hierarchy requires the presiding primus (and then a second, a third, and
so on); they cannot in some retrospective way constitute the primacy on which they
themselves are based.
In order to understand this innovations more clearly, let us look for a moment at
what all this would mean if we related and applied them to the life of the Holy Trinity,
the true source of all primacy ("Thus says God, the king of Israel, the God of Sabaoth
who delivered him; I am the first" Is. 44:6).[8]
The Church has always and consistently understood the person of the Father as the
first in the communion of persons of the Holy Trinity ("the monarchy of the
Father")[9]. If we were to follow the logic of the text of the Synod of Russia, we would
also have to claim that God the Father is not Himself the anarchic cause of the
divinity and fatherhood ("For this reason I bow my knees before the Father, after
whom all paternity in heaven and on earth is named." Eph. 3.14-15), but becomes a
recipient of his own "primacy." Whence? From the other Persons of the Holy Trinity?
Yet how can we suppose this without invalidating the order of theology, as St.
Gregory the Theologian writes, or, even worse, without overturning Ŕ perhaps we
should say "confusing" Ŕ the relations of the Persons of the Holy Trinity? Is it
possible for the Son or the Holy Spirit to "precede" the Father?
ii) When the text of the Synod of Russia refuses to accept a "universal hierarch" under
the pretext that the universality of such a hierarch "eliminates the sacramental
equality of bishops" (3:3) it is merely formulating a sophism. As to their priesthood,
of course, all bishops are equal, but they neither are nor can be equal as bishops of
specific cities. The sacred canons (like the 3rdcanon of the Second Ecumenical
Council, the 28th of the Fourth Ecumenical Council, and the 36thof the Quinisext
Council) rank the cities, attributing to some the status of a Metropolitanate and to
others the status of a Patriarchate. Among the latter, the further attribute to one
primatial responsibility, to another secondary responsibility, and so on. Not all local
Churches are equal, whether in order or in rank. Moreover, to the extent that a bishop
is never a bishop without specific assignment but rather the presiding bishop of a
local Church Ŕ that is to say, he is always the bishop of a specific city (which is an
inseparable feature and condition of the episcopal ordination) Ŕ then bishops too are
accordingly ranked (that is to say, the dignity of a Metropolis is different from that of
a Patriarchate; and again, a different dignity is attributed to the ancient Patriarchates,
as being endorsed by the Ecumenical Councils, and another is attributed to the
modern Patriarchates). Thus, within such an order of rank, it is inconceivable that
there should be no primus.[10] On the contrary, in recent times, we observe the
application of a novel "primacy", namely a "primacy of numbers", which those who
today find fault with the canonical universal primacy of the Mother Church
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dogmatize about a rank that is untestified in the tradition of the Church, but rather
based on the principle ubi russicus ibi ecclesia russicae, that is to say "wherever there
is a Russian, there too the jurisdiction of the Russian Church extends."
In the long history of the Church, the presiding hierarch of the universal Church was
the bishop of Rome. After Eucharistic communion with Rome was broken,
canonically the presiding hierarch of the Orthodox Church is the archbishop of
Constantinople. In the case of the archbishop of Constantinople, we observe the
unique concomitance of all three levels of primacy, namely the local (as Archbishop of
Constantinople-New Rome), the regional (as Patriarch), and the universal or
worldwide (as Ecumenical Patriarch). This threefold primacy translates into specific
privileges, such as the right of appeal and the right to grant or remove autocephaly
(examples of the latter are the Archdioceses-Patriarchates of Ochrid, Pec and
Turnavo, etc.), a privilege that the Ecumenical Patriarch exercised even in cases of
some modern Patriarchates, not yet validated by decisions of the Ecumenical
Councils, the first of which is that of Moscow.
The primacy of the archbishop of Constantinople has nothing to do with the diptychs,
which, as we have already said, merely express this hierarchical ranking (which, again
in contradictory terms the text of the Moscow Patriarchate concedes implicitly but
denies explicitly). If we are going to talk about the source of a primacy, then the
source of such primacy is the very person of the Archbishop of Constantinople, who
precisely as bishop is one "among equals," but as Archbishop of Constantinople, and
thus as Ecumenical Patriarch is the first without equals (primus sine paribus).

[1] Reading and citing from the English text, "Position of the Moscow Patriarchate on the problem of
primacy in the Universal Church," as published on the official website of the Patriarchate of Moscow:
https://mospat.ru/en/2013/12/26/news96344/
[2] Characteristic examples of other instances of such isolation include the absence of the Patriarchate
of Moscow from the Conference of European Churches, as well as the now established practice of the
representatives of this Church to celebrate the Divine Liturgy separately from the other representatives
of Orthodox Churches by enclosing themselves within the local Embassies of the Russian Federation
whenever there is an opportunity for a Panorthodox Liturgy in various contexts.
[3] His Eminence Metropolitan Chrysostomos of Messinia has dealt with this matter in a recent article
published on December 30, 2013, on the website: http://www.romfea.gr/diafora-ekklisiastika/21337-
2013-12-30-03-52-35.
[4] As for what exactly occurred in Ravenna in 2007, and the painful impressions recorded by Roman
Catholic observers, see the analysis of Fr. Aidan Nichols in his book Rome and the Eastern Churches,
San Francisco: Ignatius Press, 2nd edition, 2010, pp. 368-9: In October 2006 [sic], the commission
resumed its discussions at Ravenna, though the event was marred by a „walkout' on the part of the
Moscow patriarchate's representative. Bishop Hilarion's protest was caused not for once by the
wrongdoings, real or imagined, of the Catholic Church but by the presence of a delegation from the
Estonian Orthodox church, whose autocephaly (sic), underwritten by Constantinople, is still denied in
Russia. His action demonstrated, of course, the need precisely for a strong universal primacy so as to
balance synodality in the Church." And he continues: "[t]he decision of the Moscow patriarchate in
October 2007 to withdraw its representatives from the Ravenna meeting… was not only an irritating
impediment to that dialogue; it was precisely the sort of happening that makes Catholics think the
orthodox need the pope as much as the pope needs them." (p. 369).
[5] "The Synodal Institution: Historical, Ecclesiological and Canonical Issues," in Theologia 80
(2009), pp. 5-6. [In Greek]

66
[6] Thus, while the Patriarch of Antioch has for a long time resided in Damascus, he remains the
Patriarch of Antioch since Damascus lies within the geographical jurisdiction of that church.
[7] Metropolitan John of Pergamon, "Recent Discussions on Primacy in Orthodox Theology," in the
volume edited by Walter Cardinal Kasper, The Petrine Ministry: Catholics and Orthodox in Dialogue,
New York: The Newman Press, 2006, pp. 231-248. Also see Metropolitan John of Pergamon,
"Eucharistic Ecclesiology in the Orthodox Tradition," Theologia 80 (2009), p. 23. [In Greek]
[8] I have personally dealt with this subject during a lecture at the Holy Cross School of Theology in
Boston: "Indeed, in the level of the Holy Trinity the principle of unity is not the divine essence but the
Person of the Father („Monarchy' of the Father), at the ecclesiological level of the local Church the
principle of unity is not the presbyterium or the common worship of the Christians but the person of
the Bishop, so to in the Pan-Orthodox level the principle of unity cannot be an idea nor an institution
but it needs to be, if we are to be consistent with our theology, a person."
(http://www.ecclesia.gr/englishnews/default.asp?id=3986)
[9] In his 3rd Theological Oration, St. Gregory the Theologian writes: "As for us, we honor Him as the
monarchy" (PG 36, 76). The concept of monarchy corresponds to "the order of theology" (5th
Theological Oration, PG 36, 164). The All-Holy Trinity does not comprise a federation of persons; So
we should not be scandalized when the Theologian himself of the Fathers speaks of the monarchy and
primacy of the divine Father.
[10] This argument has been clearly articulated in the article by Fr. John Panteleimon Manoussakis,
entitled "Primacy and Ecclesiology: The State of the Question," in the collective work
entitled Orthodox Constructions of the West, edited by Aristotle Papanikolaou and George
Demacopoulos, New York: Fordham University Press, 2013, p. 233.

67
V

Concilio Panortodosso di Creta (2016)


Documento ufficiale sulle relazioni della Chiesa ortodossa
con il resto del mondo cristiano.

Les relations de l’Église orthodoxe avec l’ensemble du monde chrétien


1. L‟Église orthodoxe, étant l‟Église une, sainte, catholique et apostolique, croit
fermement, dans sa conscience ecclésiale profonde, qu‟elle occupe une place
prépondérante pour la promotion de l‟unité chrétienne dans le monde d‟aujourd‟hui.
2. L‟Église orthodoxe assoit l‟unité de l‟Église sur le fait qu‟elle a été fondée par notre
Seigneur Jésus-Christ, ainsi que sur la communion dans la Sainte Trinité et dans les
sacrements. Cette unité s‟exprime à travers la succession apostolique et la tradition
patristique, et elle a été vécue jusqu‟à ce jour en son sein. L‟Église orthodoxe a la
mission et le devoir de transmettre et prêcher toute la vérité, contenue dans la sainte
Écriture et la sainte Tradition, ce qui donne à l‟Église son caractère universel.
3. La responsabilité de l‟Église orthodoxe ainsi que sa mission œcuménique quant à
l‟unité de l‟Église ont été exprimées par les Conciles œcuméniques. Ceux-ci ont
souligné tout particulièrement le lien indissoluble qui existe entre la vraie foi et la
communion sacramentelle.
4. Priant sans cesse « pour l’union de tous », l‟Église orthodoxe a toujours cultivé le
dialogue avec ceux qui sont partis, lointains et proches. Elle a joué un rôle de premier
plan dans la quête contemporaine des voies et des moyens, afin de rétablir l‟unité des
croyants en Christ. Elle a participé au Mouvement Œcuménique dès sa naissance,
contribuant à sa formation et à son développement ultérieur. D‟ailleurs, grâce à
l‟esprit œcuménique et philanthropique qui la distingue et selon le commandement
de Dieu « qui veut que tous les hommes soient sauvés et parviennent à la
connaissance de la vérité » (I Ti 2, 4), l‟Église orthodoxe a toujours combattu pour le
rétablissement de l‟unité chrétienne. Ainsi donc, la participation orthodoxe au
Mouvement pour le rétablissement de l‟unité avec les autres chrétiens dans l‟Église
une, sainte, catholique et apostolique ne va aucunement à l‟encontre de la nature et
de l‟histoire de l‟Église orthodoxe, mais constitue l‟expression conséquente de la foi et
tradition apostolique dans des conditions historiques nouvelles.
5. Les dialogues théologiques bilatéraux actuels de l‟Église orthodoxe, ainsi que sa
participation au Mouvement œcuménique, s‟appuient sur la conscience même de
l‟Orthodoxie et sur son esprit œcuménique dans le but de rechercher, sur la base de la
vérité de la foi et de la tradition de l‟Église ancienne des sept Conciles œcuméniques,
l‟unité de tous les chrétiens.
6. D‟après la nature ontologique de l‟Église, son unité ne saurait être perturbée.
Cependant, l‟Église orthodoxe accepte l‟appellation historique des autres Églises et
Confessions chrétiennes hétérodoxes qui ne se trouvent pas en communion avec elle,
mais elle croit aussi que ses relations avec ces dernières doivent se fonder sur une

68
clarification aussi rapide et objective que possible, de la question ecclésiologique dans
son ensemble et, plus particulièrement de l‟enseignement général que celles-ci
professent sur les sacrements, la grâce, le sacerdoce et la succession apostolique.
Ainsi, pour des raisons tant théologiques que pastorales, elle est favorablement
disposée à prendre part au dialogue théologique avec les autres chrétiens au niveau
bilatéral et multilatéral, et, plus généralement, à participer au Mouvement
œcuménique des temps modernes, dans la conviction que par le dialogue, elle
apporte un témoignage dynamique de la plénitude de la vérité en Christ et de ses
trésors spirituels à tous ceux qui sont à l‟extérieur de celle-ci, ayant pour objectif
d‟aplanir la voie menant vers l‟unité.
7. Dans cet esprit, toutes les saintes Églises orthodoxes locales participent activement
aujourd‟hui à des dialogues théologiques officiels, et la majorité d‟entre elles à
différents organismes inter-chrétiens bilatéraux et multilatéraux. De plus, elles
prennent part à différents organismes nationaux, régionaux ou internationaux ; cela
malgré la crise profonde que connaît le Mouvement œcuménique. Cette activité
œcuménique pluridimensionnelle émane du sentiment de responsabilité et de la
conviction que la compréhension mutuelle et la collaboration sont essentiels « pour
ne pas créer d’obstacle à l’Évangile du Christ (I Co 9, 12).
8. Il est évident que l‟Église orthodoxe, tout en dialoguant avec les autres chrétiens,
n‟ignore pas les difficultés liées à une telle entreprise. Cependant, elle les considère
comme des obstacles qui se dressent sur la route d‟une compréhension commune de
la tradition de l‟ancienne Église, et elle espère que le Saint-Esprit, qui « tout entière
affermit l’Église rassemblée » (stichère des vêpres de la Pentecôte) « pourvoira aux
insuffisances » (prière de l‟ordination). En ce sens, dans ses relations avec les autres
chrétiens, elle ne s‟appuie pas uniquement sur les forces humaines de ceux qui
mènent les dialogues, mais elle compte avant tout sur la protection du Saint-Esprit et
la grâce du Seigneur qui a prié « pour que tous soient un » (Jn 17, 21).
9. Les dialogues théologiques bilatéraux actuels, annoncés par des Conférences
panorthodoxes, sont l‟expression de la décision unanime de toutes les très saintes
Églises orthodoxes locales qui sont appelées à participer activement et
continuellement à leur déroulement ; ceci afin de ne pas mettre d‟obstacle au
témoignage unanime de l‟Orthodoxie à la gloire du Dieu Trinitaire. Au cas où une
Église locale déciderait de ne pas désigner de délégués pour l‟un des dialogues ou
pour une assemblée précise, si cette décision n‟est pas prise à l‟échelon panorthodoxe,
le dialogue se poursuit. L‟absence d‟une Église locale doit, quoi qu‟il en soit Ŕ avant
l‟ouverture du dialogue ou de l‟assemblée en question Ŕ faire l‟objet d‟une discussion
au sein de la Commission orthodoxe engagée dans le dialogue ; cela pour exprimer la
solidarité et l‟unité de l‟Église orthodoxe. Il importe que les dialogues théologiques
bilatéraux et multilatéraux fassent l‟objet d‟une évaluation panorthodoxe périodique.
10. Les problèmes qui surgissent au cours des discussions théologiques des
Commissions théologiques mixtes ne justifient pas toujours, à eux seuls, le rappel
unilatéral des délégués, voire le retrait définitif d‟une Église orthodoxe locale. Il
importe, en règle générale, d‟éviter qu‟une Église ne se retire d‟un dialogue et que
tous les efforts nécessaires soient déployés à l‟échelon interorthodoxe pour rétablir la
représentativité complète au sein de la Commission théologique orthodoxe engagée
dans ce dialogue. Si une ou plusieurs Églises orthodoxes refusent de participer aux
réunions de la Commission théologique mixte d‟un dialogue donné, invoquant des
raisons graves ecclésiologiques, canoniques, pastorales ou de nature éthique, cette ou
ces Églises doivent communiquer par écrit leur refus au Patriarche oecuménique et à
69
toutes les Églises orthodoxes, conformément à l‟ordre panorthodoxe établi. Pendant
la consultation panorthodoxe, le Patriarche oecuménique cherche à obtenir le
consensus des autres Églises orthodoxes pour la suite à donner, y compris la
réévaluation du progrès du dialogue théologique en question, si cela est
unanimement considéré comme nécessaire.
11. La méthodologie qui est suivie dans le déroulement des dialogues théologiques
vise à trouver une solution aux divergences théologiques héritées du passé ou à celles
qui ont pu apparaître récemment et à rechercher les éléments communs de la foi
chrétienne. Elle présuppose aussi la mise au courant du plérome de l‟Église sur
l‟évolution des différents dialogues. Au cas où on ne parviendrait pas à surmonter une
divergence théologique précise, le dialogue théologique peut se poursuivre après
qu‟on ait enregistré le désaccord constaté sur cette question théologique précise et
qu‟on ait informé de ce désaccord toutes les Églises orthodoxes locales, cela en vue
des mesures à prendre pour la suite.
12. Il est évident qu‟au cours des dialogues théologiques, le but poursuivi par tous est
le même : le rétablissement de l‟unité dans la vraie foi et dans l‟amour. Il reste
néanmoins que les divergences théologiques et ecclésiologiques existantes permettent
en quelque sorte une hiérarchisation quant aux difficultés qui se présentent sur la
voie de la réalisation de ce but fixé à l‟échelon panorthodoxe. La spécificité des
problèmes liés à chaque dialogue bilatéral présuppose une différenciation dans la
méthodologie à suivre dans chaque cas ; mais pas une différenciation dans le but, car
le but est le même pour tous les dialogues.
13. Malgré cela, un effort de coordination de la tâche des différentes Commissions
théologiques interorthodoxes s‟impose, en cas de nécessité, d‟autant plus que l‟unité
existant au sein de l‟Église orthodoxe doit être révélée et se manifester également
dans le cadre de ces dialogues.
14. La conclusion de tout dialogue théologique officiellement proclamé correspond à
l‟achèvement de la tâche de la Commission théologique mixte désignée à cet effet.
Alors, le Président de la Commission interorthodoxe soumet un rapport au Patriarche
œcuménique et en accord avec les Primats des Églises orthodoxes locales, proclame la
clôture du dialogue. Aucun dialogue n‟est considéré comme achevé avant que sa fin
ne soit proclamée par une telle décision panorthodoxe
15. Au cas où un dialogue théologique s‟achèverait avec succès, la décision
panorthodoxe de rétablir la communion ecclésiale doit pouvoir se fonder sur
l‟unanimité de toutes les Églises orthodoxes locales.
16. Un des principaux organes du Mouvement œcuménique contemporain est le
Conseil œcuménique des Églises (COE). Certaines Églises orthodoxes ont été
membres fondateurs de ce Conseil, et par la suite, toutes les Églises orthodoxes
locales en sont devenues membres. Le COE, en tant qu‟organe interchrétien
structuré, malgré le fait qu‟il ne regroupe pas toutes les Églises et Confessions
chrétiennes, ainsi que d‟autres organismes interchrétiens et organismes régionaux,
tels la Conférence des Églises européennes (KEK), le Conseil d‟Églises du Moyen
Orient (CEME) et le Conseil Panafricain des Églises, remplissent une mission
fondamentale dans la promotion de l‟unité du monde chrétien. Les Églises
orthodoxes de Géorgie et de Bulgarie se sont retirées du Conseil Œcuménique des
Églises, la première en 1997 et la seconde en 1998, car elles avaient un avis différent
quant à l‟œuvre du Conseil Œcuménique des Églises et, de ce fait, elles ne participent

70
plus aux activités interchrétiennes menées par le Conseil Œcuménique des Églises et
d‟autres organismes interchrétiens.
17. Les Églises orthodoxes locales Ŕ membres du COE participent à part entière et à
part égale aux instances du Conseil Œcuménique des Églises et contribuent par tous
les moyens dont elles disposent à la promotion de la coexistence pacifique et de la
coopération portant sur les principaux enjeux socio-politiques. L'Église orthodoxe a
favorablement accueilli la décision du COE de répondre à sa demande concernant la
création d‟une Commission spéciale pour la participation orthodoxe au COE
conformément au mandat de la Conférence interorthodoxe de Thessalonique (1998).
Les critères fixés par la Commission spéciale, qui ont été proposés par les orthodoxes
et acceptés par le COE, ont amené à la création d‟un Comité permanent de
collaboration et de consensus, et ils ont été ratifiés et incorporés aux Statuts et au
Règlement intérieur de COE.
18. Tout en participant au COE, l‟Église orthodoxe, fidèle à son ecclésiologie, à
l‟identité de sa structure interne et à l‟enseignement de l‟Église ancienne, n‟accepte
absolument pas l‟idée de l‟égalité des confessions et elle ne peut concevoir l‟unité de
l‟Église comme un rajustement interconfessionnel. Dans cet esprit, l‟unité recherchée
dans le COE ne peut être simplement le produit d‟accords théologiques, mais aussi de
l'unité de la foi de l‟Église orthodoxe telle que vécue et préservée dans les sacrements
de l‟Église.
19. Les Églises orthodoxes membres du COE considèrent comme une condition sine
qua non de la participation au COE le respect de l‟article-base de sa Constitution,
conformément auquel seules les Églises et Confessions qui reconnaissent le Seigneur
Jésus Christ en tant que Dieu et Sauveur selon l‟Écriture et qui croient au Dieu
Trinitaire, Père, Fils et Saint-Esprit selon le Crédo de Nicée-Constantinople, peuvent
en être membres. Elles sont intimement convaincues que les présupposés
ecclésiologiques contenus dans la Déclaration de Toronto (1950), intitulée L’Église,
les Églises et le Conseil œcuménique des Églises, sont d‟une importance capitale pour
la participation orthodoxe audit Conseil. Il va de soi, dès lors, que le COE n‟a rien
d‟une super-Église et ne doit en aucun cas le devenir. « Le but poursuivi par le
Conseil œcuménique des Églises n’est pas de négocier l’union des Églises, ce qui ne
peut être le fait que des Églises elles-mêmes, sur leur propre initiative ; il s’agit
plutôt de créer un contact vivant entre les Églises et de stimuler l’étude et la
discussion des problèmes touchant à l’unité chrétienne (...) Néanmoins, le fait
d’appartenir au Conseil n’implique pas que chaque Église doive considérer les autres
comme des Églises dans le vrai et plein sens du terme » (Déclaration de Toronto, §
2 ; 3.3 ; 4.4).
20 Les perspectives des dialogues théologiques engagés par l‟Église orthodoxe avec
les autres chrétiens sont toujours déterminés sur la base des principes de
l‟ecclésiologie orthodoxe et des critères canoniques de la tradition ecclésiastique déjà
constituée.
21. L‟Église orthodoxe souhaite renforcer le travail de la commission « Foi et
Constitution » et suit avec un vif intérêt l‟apport théologique que celle-ci a réalisé à ce
jour. Elle évalue positivement les textes théologiques publiés par celle-ci, avec
l‟appréciable contribution de théologiens orthodoxes, ce qui représente une étape
importante dans le Mouvement œcuménique vers le rapprochement des Églises.
Toutefois, l‟Église orthodoxe garde des réserves en ce qui concerne des points

71
capitaux liés à la foi et à la discipline, car les Églises et confessions non-orthodoxes se
sont éloignées de la vraie foi de l‟Eglise une, sainte, catholique et apostolique.
22. L‟Église orthodoxe juge condamnable toute tentative de rompre l‟unité de
l‟Église, de la part de personnes ou de groupes, sous prétexte d‟une présumée défense
de la pureté de l‟Orthodoxie. Comme en témoigne toute la vie de l‟Église orthodoxe, la
préservation de la foi orthodoxe pure n‟est sauvegardée que par le système conciliaire
qui, depuis toujours au sein de l‟Église, constitue l‟autorité suprême en matière de foi
et des règles canoniques (canon 6 du IIe Concile œcuménique).
23. L‟Église orthodoxe a une conscience commune de la nécessité du dialogue
théologique interchrétien ; c‟est pourquoi, elle indispensable que le dialogue aille de
pair avec le témoignage dans le monde et des actions qui expriment « la joie
ineffable » de l‟Évangile (I P 1, 8), excluant tout acte de prosélytisme, d‟uniatisme ou
autre action provocante d‟antagonisme confessionnel. Dans cet esprit, l‟Église
orthodoxe considère qu‟il est important que nous les chrétiens, inspirés par les
principes fondamentaux communs de l‟Évangile, essayons de donner une réponse
empressée et solidaire, basée sur le modèle idéal par excellence du nouvel homme en
Christ, aux problèmes épineux que nous pose le monde d‟aujourd‟hui.
24. L‟Église orthodoxe est consciente du fait que le mouvement visant à rétablir
l‟unité des chrétiens prend des formes nouvelles pour répondre à des situations
nouvelles et faire face aux nouveaux défis du monde. Il est indispensable que l‟Église
orthodoxe continue à apporter son témoignage au monde chrétien divisé sur la base
de la tradition apostolique et de sa foi.

72
VI

Lettera di papa Francesco al Patriarca ecumenico Bartolomeo

2017

To His Holiness Bartholomew


Archbishop of Constantinople
Ecumenical Patriarch

Though away from Rome on my Pastoral Visit to Myanmar and Bangladesh, I wish to
extend my fraternal best wishes to Your Holiness and to the members of the Holy
Synod, the clergy, the monks, and all the faithful gathered for the Divine Liturgy in
the Patriarchal Church of Saint George for the liturgical commemoration of Saint
Andrew the Apostle, brother of Simon Peter and first-called of the Apostles, the
patron saint of the Church of Constantinople and of the Ecumenical Patriarchate.
When the deacon invites those gathered during the Divine Liturgy to pray “for those
who travel by land, sea, and air”, I ask you, please, to pray also for me.
The Delegation I have sent is a sign of my spiritual solidarity with your prayer of
thanksgiving and praise for all that our Almighty and Merciful God has accomplished
through the witness of the Apostle Andrew. In like manner, the Delegation of the
Ecumenical Patriarchate welcomed in Rome last June demonstrated its spiritual
closeness to us as we celebrated the wonderful deeds that God, the source of all good,
accomplished through the Apostles Peter and Paul, patron saints of the Church of
Rome.
The Apostles proclaimed to the ends of the earth, through their words and the
sacrifice of their lives, what they themselves had seen, heard and experienced - the
Word of Life, our Lord Jesus Christ, who died and rose for our salvation. Making our
own this proclamation enables us to enter into communion with the Father, through
the Son, in the Holy Spirit, which is the very foundation of the communion that
already unites those baptized in the name of the Most Holy Trinity (cf. 1Jn 1:1-3).
Catholics and Orthodox, by professing together the dogmas of the first seven
Ecumenical Councils, by believing in the efficacy of the Eucharist and the other
sacraments, and by preserving the apostolic succession of the ministry of bishops,
experience already a profound closeness with one another (cf. Unitatis Redintegratio,
15). Today, in thanksgiving to the God of love, in obedience to the will of our Lord
Jesus Christ and in fidelity to the teaching of the Apostles, we recognize how urgent it
is to grow towards full and visible communion.
It is a source of joy to learn that on the eve of the feast of Saint Andrew, during a
meeting attended by Your Holiness, the fiftieth anniversary of the visit of Pope Paul
VI to the Phanar on 25 July 1967 was commemorated. That historic moment of
communion between the Pastors of the Church of Rome and the Church of
Constantinople brings to mind the words of Patriarch Athenagoras in welcoming

73
Pope Paul VI to the Patriarchal Church of Saint George, where you are gathered
today. I believe that these words can continue to inspire the dialogue between our
Churches: “Let us join together what was divided, wherever this is possible, by deeds
in which both Churches are involved, giving added strength to the matters of faith
and canonical discipline which we have in common. Let us conduct the theological
dialogue according to the principle [of] full community in the fundamentals of the
faith, liberty both in theological thought, where this is pious and edifying and
inspired by the main body of the Fathers, and in variety of local customs, as was
favoured by the Church from the beginning” (Tomos Agapis, Vatican-Phanar (1958-
1970), pp. 382-383).
I offer my heartfelt gratitude to Your Holiness for the generous and warm hospitality
extended by the Metropolis of Leros of the Ecumenical Patriarchate, under the
pastoral care of His Eminence Paisios, to the members of the Coordinating
Committee of the Joint International Commission for Theological Dialogue between
the Catholic Church and the Orthodox Church. I wish to encourage anew this
theological dialogue. The consensus reached by Catholics and Orthodox on certain
fundamental theological principles regulating the relationship between primacy and
synodality in the life of the Church in the first millennium can serve to evaluate, even
critically, some theological categories and practices which evolved during the second
millennium in conformity with those principles. Such consensus may enable us to
envisage a common way of understanding the exercise of the ministry of the Bishop
of Rome, in the context of synodality and at the service of the communion of the
Church in the present context. This sensitive task needs to be pursued in an
atmosphere of mutual openness and, above all, in obedience to the demands that the
Holy Spirit makes of the Church.
Your Holiness, beloved brother in Christ, in recent months I have followed with great
interest your participation in significant international events held throughout the
world regarding the care of creation, peaceful coexistence among peoples of different
cultures and religious traditions, and the presence of Christians in the Middle East.
Your Holiness‟s commitment is a source of inspiration, support and encouragement
for me personally for, as you well know, we share these same concerns. It is my
fervent hope that Catholics and Orthodox may promote joint initiatives at the local
level with regard to these issues, for there are many contexts in which Orthodox and
Catholics can already work together without waiting for the day of full and visible
communion.
With the assurance of my continued remembrance in prayer, it is with sentiments of
warm affection that I exchange with Your Holiness a fraternal embrace of peace. (30
nov 2017).

74
Cronologia principale dei rapporti Roma Costantinopoli
dal 1453 ad oggi

1. 1453 (29 maggio). Maometto II conquista Costantinopoli.


2. 1484. Concilio di Costantinopoli anti-unionista. Per i cattolici convertiti: solo cresima, non
ribattessimo.
3. 1521 (18 maggio). Bolla di Leone X: Accepimus nuper (I vescovi latini devono lasciare piena
libertà alle tradizioni ecclesiali greche).
4. 1564 (16 febbraio). Breve di papa Pio IV. I greci sono sottoposti ai vescovi latini.
5. 1579. Ultima delle tre risposte di Geremia II ai teologi luterani di Tübingen.
6. 1583. Nasce il Collegio greco di S. Atanasio a Roma.
7. 1589. 26 gennaio. Geremia II consacra Giobbe patriarca diMosca.
8. 1596. 6 ottobre. A Brest nasce la chiesa ortodossa unita a Roma.
9. 1622. Nasce la Congregazione De propaganda fide.
10. 1630. Confessione ortodossa protestantizzante di Cirillo Lukaris.
11. 1643. Catechismo di Pietro Moghila corretto da Melezio Syrigos.
12. 1672. Confessione ortodossa di Dositeo di Gerusalemme.
13. 1709. Venezia richiede ai rettori greci l‟accettazione di Firenze.
14. 1717. Elias Meniates scrive “Pietra dello scandalo”.
15. 1724. Parte del patriarcato antiocheno con Roma (Melchiti).
16. 1752. Il monaco Aussenzio predica la necessità del ribattesimo dei Latini.
17. 1754. Controversia dei Kollyvades (colibe) sul Monte Athos.
18. 1755. Gennaio. Decreto del patriarca Cirillo V: ribattesimo dei Latini.
19. 1755. 26 luglio. Bolla di Benedetto XIV Allatae sunt (eliminare gli errori contrari alla fede, ma
rispettare il “venerabile rito orientale).
20. 1756. Bolla di B XIV Ex quo primum (Nuovo Euchologion)
21. 1848. 6 gennaio. Enciclica di Pio IX In suprema Petri Apostoli sede (ai cristiani, non ai
Patriarchi).
22. 1848. Maggio. Risposta dei Patriarchi orientali a Pio IX (è il popolo il garante della fede).
23. Invitate, le chiese ortodosse greca, russa, romena partecipano alle conferenze vetero-
cattoliche di Bonn.
24. 1894. 20 giugno. Bolla Praeclara gratulationis di Leone XIII.
25. 1895. Agosto. Enciclica del patriarca Antimo VII (il diavolo ha ispirato ai papi la superbia).
26. 1902. Il patriarca Gioacchino III apre alle confessioni occidentali.
27. 1928. 6 gennaio. Bolla di Papa Pio XI Mortalium animos.
28. 1958. 28 ottobre. Angelo Roncalli è eletto papa Giovanni XXIII.
29. 1964. 5 gennaio. Paolo VI incontra Atenagora a Gerusalemme.
30. 1965. 7 dicembre. Paolo VI e Atenagora abrogano le scomuniche del 1054.
31. 1969. Mosca concede l‟intercomunione ai cattolici nei casi di mancanza di sacerdoti.
Atenagora è d‟accordo ma critica la decisione unilaterale.
32. Mosca concede l‟autocefalia alla chiesa russo-americana. Scontro (irrisolto) con
Costantinopoli, che ritiene che l‟autocefalia la può concedere solo Costantinopoli.
33. Atenagora concede l‟autonomia alla chiesa russo-parigina. Reazione di Mosca.
34. 1976. A Chambésy si tiunisce la Conferenza panortodossa per la preparazione del concilio
panortodosso.
35. 1979. Il papa ribadisce la validità dell‟unione (greco cattolici o uniati) di Brest del 1596.
Contemporaneamente viene costituita una Commissione Cattolico-ortodossa per il dialogo
ecumenico.
36. 1987. A Bari questa commissione registra il riconoscimento ufficiale da parte dei cattolici dei
sacramenti ortodossi. Gli ortodossi invece non raggiungono un‟intesa al riguardo.
37. 1993. A Balamand si considera superato il metodo delle unioni parziali (uniatismo). Dissensi
fra gli ortodossi sul concetto di chiesa sorella (riconoscimento dei cattolici come Chiesa).
38. 1995. Ut unum sint, enciclica di Giovanni Paolo II. Diritto d‟intervento del papa “qualora” c‟è
discordia fra chiese ortodosse locali.
75
39. 1996. Rottura di comunione fra Mosca e Costantinopoli perché Costantinopoli accoglie
l‟Estonia sotto la sua giurisdizione.
40. 2000. Baltimora. Interruzione dei dialoghi cattolico-ortodossi. Riprenderà a Belgrado nel
2006.
41. Ravenna. La Chiesa russa abbandona la sessione sul Protos a motivo della presenza della
Chiesa estone.
42. 2016. Concilio panortodosso di Creta. Problema che divide l‟Ortodossia: la Chiesa romana è
veramente Chiesa con veri sacramenti a partire dal battesimo ?

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παῖδερ ἐζμὲν ζσιζμαηικοὶ παπὰ ηῆρ ἁγίαρ καὶ καθόλος Ἐκκληζίαρ (Trattato contro
coloro che per ignoranza dicono e illegittimamente insegnano che noi, che siamo figli
legittimi e ortodossi della Chiesa orientale, siamo scismatici rispetto alla Chiesa santa
e cattolica), menzionato da Lambros 1885, nei codici 1616, 2137 e 2791 del M. Athos.
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