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CAPITOLO IV

Il punto di vista dei pagani sui cristiani fra I secolo e inizio del IV.

Editto di Serdica/Nicomedia (311 d.C): pone fine alla persecuzione anticristiana di


Diocleziano (fase estrema del suo regno) in cui il programma di governo coincide col
ristabilimento dei valori tradizionali.
Si possono riconoscere due fasi della persecuzione anticristiana:
• Provvedimenti dioclezianei per colpire il clero e indebolire la struttura del
cristianesimo
• Politica anticristiana di Galerio, fallimentare, ma con valide motivazioni: abbandono
delle leggi della romanità da parte dei cristiani significa una volontà di creare uno
stato estraneo dentro l’impero.
L’ostinata resistenza dei cristiani produce una doppia empietà:
• Verso gli dei che continuano a non essere venerati.
• Verso il Dio cristiano che, a causa delle persecuzioni, non riceve l’onore dovuto.
Quindi Galerio non nega l’esistenza del Dio dei cristiani, ma ciò che non tollera è il
rifiuto dei cristiani di convivere con l’ordinamento religioso romano. Infine, Galerio
avanza una richiesta ai cristiani, per il bene dell’anima dell’imperatore ma anche dei
cristiani e dei romani, di non costituire l’ostacolo alla ricomposizione della comunità.

Tre testimonianze (Plinio, Tacito e Svetonio) nelle prime decadi del II secolo
definiscono il cristianesimo una superstitio, una contraffazione della religio.
• La religio implica una dimensione civica e pubblica del culto, come una garanzi
dell’ordinamento della comunità ed assicura la stabilità della res pubblica
• La superstitio mina le basi della convivenza umana ed è una modalità fanatica, falsa
di onorare la divinità.

Due testimonianze fanno riferimento alla repressione anticristiana sotto il regno di


Nerone:
• Tacito: la religione cristiana è una exitiabilis superstitio e ai cristiani è attribuito
l’odio del genere umano.
• Svetonio: la religione cristiana è una nuova e malefica superstitio
La terza testimonianza, di poco precedente alle altre due, si riferisce al tempo
presente
• Plinio: in qualità di legato in Bitinia, riceve molte accuse ai cristiani ma si chiede
se sia da punire “il nome, anche se esente da delitti” oppure “i delitti connessi
al nome”.
Chiede a Traiano consiglio su come comportarsi
➢ Traiano fornisce a Plinio una risposta equilibrata tra severità e moderazione: i
cristiani possono essere puniti solo se vengono denunciati in modo non
anonima e se confessano. Indica “il recupero tramite perdono” come soluzione
in seguito all’abiura dell’accusato.

• Epitetto: stoico contemporaneo a Plinio-Tacito-Svetonio. (50-130 d.C.) in un


solo passo parla dei galilei (i cristiani?) come di coloro che non hanno paura
della morte,
come i bambini e come i pazzi, per abitudine (in termini stoici, disposizione
dell’anima).
➢ Marco Aurelio: (121-180 d.C., imperatore 117-138) anche per l’imperatore essi
non raggiungono l’indifferenza nei confronti della morte attraverso un percorso
intellettuale e la loro morte avviene senza ragione e in modo indecoroso.
• Galeno: (130-200 d.C.) si affidano a miracoli e parabole perché non sono capaci
di formulare un discorso dimostrativo e convincente, ma apprezza il loro stile
di vita simile in alcune cose a quello dei filosofi.

Le accuse di Celso
Fu il primo a dedicare un’opera monografica alla confutazione della dottrina cristiana:
Alethes Logos (= discorso vero). Già il titolo indica due cose:
• Richiamo al Logos.
• Definendo il suo discorso in quanto “vero”, Celso implica che la posizione opposta
alla sua sia una menzogna.

Se da un lato Celso riprende le accuse precedentemente mosse dagli intellettuali e


filosofi, come il fatto che la dottrina cristiana sfruttava la credulità dei fedeli e facesse
troppo leva sui miracoli e parabole; dall’altro lato l’autore individua nuovi punti da
mettere in discussione.
Già il fatto che egli si presenti come un ramo distaccato dell’ebraismo, religione
secolare e rispettata dai romani, aggiungendo però nuovi caratteri; la mette in cattiva
luce: troppo universalista ed innovativa.
In più, l’elemento che rendeva più di tutti difficile l’accettazione, era che il
cristianesimo si presentava come una religione fortemente monoteista ma al
contempo sostituiva la venerazione al Dio con quella verso un uomo divinizzato
(Cristo).
CAPITOLO V:
Il rapporto fra mito protologico e destino escatologico nel
cristianesimo antico

Protologia ed escatologia sono concetti preliminari per la riflessione sulla costruzione


e la comprensione dell’antropologia cristiana.
Protologia: dottrina della creazione.
Escatologia: dottrina relativa all’aldilà e alla resurrezione dei morti.
Questi due concetti marcatori evidenziano quanto il pensiero cristiano dipenda da
quello giudaico, mantenendo però elementi della sua eredità ellenistico-romana.
L’elemento esclusivamente cristiano deriva dalla cristologia e si identifica con la
dottrina dell’incarnazione, che rompe con la tradizione giudaica (trascendenza di Dio).
Nella concezione filosofica greca il punto di svolta nell’ambito della riflessione
antropologica è segnata dal contributo socratico-platonico:
Socrate: l’anima è il centro della coscienza e dell’individualità (e non l’eco di una vita
passata).
Platone: preminenza dell’anima sulla metafisica, dualità tra intellegibile e sensibile.
L’uomo autentico è l’anima, che è immortale.
Giudaismo: prevale la concezione unitiva dell’essere umano. Importante è il
problema del male e della sua origine: viene identificato con la contaminazione tra
divino e umano in conseguenza all’unione sessuale tra angeli e figlie di uomini. Lo
stato angelico è immortale e spirituale quindi non soggetto alla necessità delle nozze,
al contrario di quello umano. Anche se le nozze vengono considerate caratteristica
distintiva dell’umano, quindi non sono condannate, intorno a queste si tematizza la
contrapposizione tra i due stati, identificando con lo stato angelico la verginità e con
lo stato umano la contaminazione del peccato di natura sessuale e la conseguente
visione negativa del sesso.
La creazione dell’uomo: è narrata in Gn 1,26-27 e Gn 2,7 ss., in due racconti di diversa
origine e cronologia.
Costituiscono il complesso scritturistico, insieme ad alcuni versetti paolini,
dell’antropologia cristiana. In entrambi i racconti l’uomo è un’entità unitaria, non
distingue corpo e anima, il soffio di vita trasmetto da Dio in Gn 2 non è l’anima ma
l’animazione di tutto l’essere. Gli interpreti si dividono in due filoni, chi vede i due
racconti come un’unità e chi li considera due momenti diversi della creazione umana.
L’origine del male: nella predicazione di Gesù presentata nelle fonti sinottiche non
troviamo nessun coinvolgimento riguardo il problema dell’origine del male, anzi
l’accento è sulla libertà e responsabilità dell’uomo. Gesù considera il male un dato di
fatto nel mondo.
Paolo considera il peccato come una potenza entrata nel mondo che schiavizza
l’uomo dominandone la volontà senza che l’uomo possa considerarsi meno
responsabile del male operato. Il corpo viene valorizzato in legame con la continenza
che inizia ad apparire uno dei tratti distintivi della nuova identità cristiana; affine alla
posizione di Gesù, Paolo pensa che l’unione uomo-donna risponde al progetto di Dio
per l’essere umano. Paolo accentua la preferenza verso la continenza come segno di
libertà dalle strutture del mondo presente; il matrimonio per lui è relativizzato
rispetto alla salvezza operata da Cristo, non giustifica le nozze in vista della
procreazione in quanto la sua ottica è orientata più verso l’escatologia, causando una
considerazione particolarmente severa del peccato sessuale. Nei tre sinottici c’è una
progressione che da Marco, Matteo fino a Luca fa registrare una progressiva
valorizzazione della continenza in prospettiva escatologica: lo stato verginale nel
presente garantisce la salvezza nell’aldilà. L’aspetto escatologico e la prospettiva
salvifica della continenza vengono accentuati dalla corrente facente capo
all’encratismo che proietta la condizione continente indietro verso la dimensione
protologica: la verginità può garantire la salvezza in quanto si configura come
recupero della purezza edenica, cioè della dimensione casta dei protoplasti (Adamo
ed Eva).
1. Versante ortodosso: afferma l’assenza di rapporti sessuali tra Adamo ed Eva nello
stato edenico e considera le nozze e la generazione come un rimedio alla mortalità
conseguente al peccato; (la verginità è una dimensione edenica, parte del progetto
originario di Dio. Questo comporta il disprezzo delle nozze e della generazione, che
tuttavia sono necessarie perché considerate un rimedio alla mortalità)
2. Versante eterodosso: identifica lo stato verginale con l’originario volontà di Dio
sull’uomo, tradita dal peccato sessuale di Adamo ed Eva e quindi considera un male
le nozze e la generazione. (implica una progressiva svalutazione del corpo con tutte
le funzioni e pulsioni.
L’esito di questa estremizzazione è il rigetto totale del matrimonio)
In entrambe, la verginità è il recupero di un originario stato paradisiaco: la
giustificazione della verginità e della continenza è individuata a livello protologico
invece che escatologico.
Nel II secolo il cristianesimo assume un’identità autonoma rispetto al giudaismo e
inizia ad avere dei conflitti ideologici interni. Il più importante è lo gnosticismo.
Ireneo di Lione:
- Valorizza una frase di Paolo in cui prega per gli interlocutori nell’intero essere
“spirito, anima, corpo”, lasciando agli interpreti la difficoltà di capire cosa intenda con
questa tripartizione.
Ireneo considera lo spirito dell’uomo derivante dallo spirito di Dio che gli permette di
diventare spirituale e perfetto, a sua immagine e somiglianza. In assenza di spirito
l’uomo ha solo “l’immagine nell’opera plasmata” ma non ha la somiglianza. “la carne
non è in sé l’uomo perfetto, ma corpo dell’uomo e parte dell’uomo, né l’anima è il sé
l’uomo, ma anima dell’uomo e parte dell’uomo, né lo Spirito è l’uomo. La mescolanza
delle tre costituisce l’uomo perfetto”.
- Per quanto riguarda l’encratismo, Ireneo minimizza il peccato di Adamo
concependolo immaturo e quindi perfettibile. Contro ogni encratismo anti-cosmico,
riscatta la generazione.
Origene:
- Non c’è solo la distinzione tra intellegibile e sensibile, la distinzione si complica a
causa dell’idea ulteriore che ciò che si produce nella realtà terrena sia conseguenza
di un peccato della realtà celeste primordiale, in cui una parte del mondo intellegibile
è decaduta e dotata di corpi.
- Contro gli gnostici afferma: l’unicità di Dio, giusto e buono il rapporto di creazione e
non derivazione genetica tra Dio e gli esseri intelligibili l’iniziale uguaglianza e libertà
degli esseri creato da Dio la reintegrazione finale (apocatastasi) di tutte le creature
nell’unione con Dio.
- L’apocatastasi è il perno del pensiero origeniano
- Il racconto genesiaco viene interpretato in veste letterale, di mito: a volte
giustappone i due racconti come creazione rispettivamente della parte intelligibile e
di quella terrena.
Agostino: la critica dell’interpretazione protologica dualista e la soluzione unitaria.
L’eredità di Agostino segna il pensiero occidentale.
- Valorizza l’unità dell’essere umano
- Nei racconti genesiaci si afferma che tutto l’uomo fu creato a immagine di Dio. I due
racconti descrivono la creazione di un unico soggetto, l’uomo nella sua unità e nella
differenziazione sessuale; la creazione è descritta in modo completo.
Per rispondere alle contraddizioni tra i due racconti distingue una duplice modalità di
creazione:
una prospettiva atemporale di Dio (la creazione è istantanea, è rappresentata nel
racconto dei sei giorni, creati simultaneamente, in cui crea gli esseri intelligibili e
immortali ma anche la materia e l’uomo) e una prospettiva temporale delle creature
(Dio svolge nel tempo lo sviluppo delle creature che culmina nell’uomo e nella
formazione da lui della donna). L’uomo sessuato è iscritto nella creazione simultanea
e primordiale, è il disegno di Dio sull’uomo.
- Trasforma in trinitaria l’impostazione cristologica dell’uomo fatto a immagine di Dio
in quanto immagine del Figlio: l’uomo è a immagine del Dio trinitario in quanto mente
(capace di autocomprensione e autoconsapevolezza di sé, a immagine del Padre), in
quanto intelletto (tende alla conoscenza di Dio, a immagine del Figlio) e in quanto
amore (desidera il bene, è a immagine dello Spirito santo).
- L’atto sessuale e la procreazione sono parte del progetto originario di Dio, previsti
nella situazione edenica; generare serve a ottemperare al comando di Dio di riempire
la terra. Resta la diffidenza verso la sessualità, Agostino immagina l’atto procreativo
privo di appetito carnale e dominato dalla ragione, per non cadere nella
concupiscenza, l’incapacità di dominarsi. Il matrimonio è l’unico modo per legittimare
la sessualità.
Capitolo 7.
La costruzione della teologia episcopale nei primi tre secoli.

La figura di Cipriano e la conseguente elaborazione dottrinale del mondo episcopato,


o meglio dell'Episcopato monarchico, termine con cui intendiamo il governo delle
chiese da parte di un vescovo posto al vertice della triade gerarchica comprendente
sotto di lui presbiteri e diaconi.
La fase del mondo episcopato, grossomodo, corrisponde al secondo secolo.
La fase successiva chiamata episcopato monarchico, in cui la posizione preminente
del vescovo si istituzionalizza. Quindi con Cipriano dobbiamo parlare di episcopato,
monarchico.
In un primo momento vediamo la costituzione di comunità locali di credenti in Gesù
Cristo da parte di apostoli itineranti, non funzioni sedentarizzate e funzioni
missionarie.
In un secondo momento si evidenzia la dialettica tra carismatici e incipiente della
struttura gerarchica.
Paolo, un testimone della prima generazione missionaria, egli si auto comprende
come apostolo e come diacono, cioè come colui che si sente inviato a compiere il
servizio di comunicare la parola di salvezza, il messaggio.
Paolo contempla nella comunità grande diversità di servizio ministeri, segno della
grazia di Dio che si è fonde senza nessuna opposizione fra quello che può apparire un
dono carismatico e quello che in un futuro potrebbe essere vista come una funzione
puramente istituzionale: Paolo nomina gli apostoli, i profeti e i dottori (anche se nella
prassi queste tre funzioni possono coesistere nella stessa persona).

LA DIDACHÈ
E un testo di area Siro antiochena, forse posteriore di una ventina di anni alle lettere
di Paolo. Questo testo ci propone una tensione fra carisma e ruoli istituzionali
all'interno della comunità: l'autore sorta a eleggere episcopi e diaconi degni del
Signore, essi svolgono per voi lo stesso ministero dei profeti e dei maestri. Dove
scarseggia il carisma della parola che entusiasma ci si deve accontentare delle virtù
etiche per amministrare il quotidiano.
PRESBITERO E EPISCOPO
In Paolo non c'è traccia dei presbiteri, mentre nel giudaismo indicavano i dirigenti
delle sinagoghe ho individui dotati dell'autorevolezza dell'anzianità.
La questione dell'origine dei presbiteri è una delle più incerte dell'attuale storiografia.
Si discute se si identifichino inizialmente con un'organizzazione di matrice giudaica in
quanto gli anziani nelle sinagoghe assolvono a funzioni civili e religiose. Si discute
anche se le comunità paoline prevedesse inizialmente i presbiteri visto che Paolo nelle
lettere autentiche non li menziona mai forse per sua avversione un sistema giudaico
dunque la amalgama fra presbiteri ed episcopi è un fatto successivo come sembra
documentare l'antico testamento.
La dottrina dell'episcopato è un passo degli atti degli apostoli scritto da Luca, il passo
è significativo perché identifica i presbiteri con gli episcopi e perché qualifica tale
ruolo con la metafora dei pastori di greggi.
tutto ciò e in consonanza con un testo di origine romana: la prima lettera di Clemente
ai corinzi.
qui si parla dei presbiteri come istituzione apostolica e come investiti dall'episcopè ,
indicando con ciò la sovraintendenza della comunità. Ai nostri fini interessa
sottolineare che sia negli atti degli apostoli sia nella prima lettera di Clemente ai
corinzi i presbiteri sono episcopi o esercitano l'episcopè il che è la stessa cosa.
Ignazio di Antiochia costituisce la prima evidenza del mondo episcopato per quanto
riguarda le chiese d'asia e nel contempo presenta per la prima volta l'elaborazione di
una dottrina episcopale. quando egli scrive a Roma durante il secondo secolo, il mono
episcopato non è stato ancora introdotto giacché egli si rivolge ai romani senza mai
fare cenno al vescovo della comunità a differenza delle altre sei lettere autentiche.
Bisogna però tenere a mente di evitare una netta contrapposizione fra episcopato
monarchico e collegio dei presbiteri, argomentando che difficilmente in un collegio
può evitarsi una Presidenza, Possiamo constatare che è i tre testi, Clemente le
pastorali e le lettere di Ignazio, sono ampiamente impegnate a risolvere dissidi interni
alla comunità e negli ultimi due emerge la figura del vescovo; Ignazio presenta una
precisa e argomentata concezione del vescovo: Il vescovo sia garante dell'unità in
quanto l'unione al vescovo e condizione dell'unione di Dio con i fedeli.
l'unità della Chiesa è ordinata per gradi: Gesù Cristo è unito al padre, il vescovo a
Cristo, il collegio presbiteriale al vescovo e giù sino ai fedeli, il vertice è rappresentato
dal padre, supremo garante.
Il vescovo è typos del padre, Il diacono rappresenta Cristo e il collegio dei presbiteri
rappresenta il collegio degli apostoli; il vescovo si esempla sul padre, i presbiteri sugli
apostoli, e i diaconi che hanno un rapporto diretto con il vescovo, su Cristo, in quanto
messo il servitore di Dio. Il ministero episcopale per Ignazio si fonda su Dio padre di
cui è l'immagine.
la figura del vescovo quale garante dell'unità implica compiti di maestro di dottrina.
Non essendo ancora compiuta, nella prima metà del secondo secolo, la completa
istituzionalizzazione del ruolo del vescovo, il dono della profezia, fortemente onorato
nelle comunità, viene a rafforzare l'autorità.
Successivamente a processo compiuto, la funzione didattica rimarrà stabile
prerogativa vescovile, mentre quella profetica sarà guardata con sempre maggior
diffidenza.
Egesippo e Ireneo approfondiscono la concezione del vescovo come successore degli
apostoli, però in Ireneo la terminologia resta incerta perchè egli usa i termini
presbiterio e episcopo per indicare la stessa funzione.
CANONE MURATORIANO
Simbolo della cattedra episcopale quale espressione dell'ufficio del vescovo.
la cattedra trono fa convergere sul vescovo l'autorità regale di Cristo e degli apostoli,
secondo il procedimento dell'imitazione del Regno dei cieli, e in esse l'idea di
sovranità si sovrappone a quella di autorità magisteriale, cioè il ruolo sovrano e
unificante del vescovo espressione dell'unità della sua chiesa.
180-260 periodo di mutazione del cristianesimo.
ciascuna chiesa locale ormai diretta da un vescovo e ha una sua identità di fede, etica
e di culto è una sua organizzazione.
e nel terzo secolo che si introduce l'idea del sacerdozio cristiano come punto focale
della triade di ministeri (vescovo, presbiteri e diaconi) ormai fissata a formare il clero,
separato dai laici. Tertulliano testimonia l'applicazione della categoria sacerdotale al
vescovo in quanto egli presiede la celebrazione eucaristica, si passa dall'eucarestia
celebrata da Cristo a quella celebrata dal vescovo, sacerdote sommo.
con Cipriano la dottrina episcopale giunge a una elevata e argomentata definizione.
egli riformula la dottrina ignaziana dell'identificazione della Chiesa con il suo vescovo,
combinandola con una limpida definizione della successione apostolica, che manca in
Ignazio.
inoltre, la competenza giuridica di Cipriano lo porta a precisare la natura indivisa del
potere episcopale, l'origine di tale potere e da Dio, trasmesso da Cristo a Pietro.
(passaggio e l'interpretazione di Matteo 16 la consegna delle chiavi a Pietro)
Tertulliano identifica la pietra con la persona Di Pietro, in senso metaforico, essendo
segno della forza della sua fede; dunque, la consegna delle chiavi a Pietro è un'app
riferito esclusivamente a lui. Egli sostiene la posizione opposta a quella di ogni
trasmissibilità del potere di Pietro.
Cipriano di Cartagine apre la strada alla trasmissione per successione: il fatto che su
Pietro significhi la chiesa significa per Cipriano che, attraverso la successione, essa si
fonda sui vescovi e il legame dei vescovi fra loro costituisce l'unità della Chiesa
universale. dunque, il fondamento e che la chiesa rimanga unita e universale, Gli
sposto a riconoscere a Roma una certa preminenza, in generale intende tale
espressione i riferimenti a ogni vescovo e afferma che alla sede romana detta anche
chiesa principale romana l'unità dei vescovi.
La patristica orientale, Origene e la prima metà del terzo secolo
identifica la pietra con Cristo, ogni cristiano diventa Pietro in quanto riconosce Cristo
e lo imita. Origene conosce un'interpretazione episcopale simile a quella di Cipriano
in quanto la pretesa di coloro che rivendicano l'episcopato vale solo se essi si trovano
nella stessa condizione spirituale di Pietro.
A metà del terzo secolo ormai l'episcopato monarchico è stabilito e nella chiesa si
struttura la distinzione tra clero e laici.
per Origene la gerarchia ecclesiastica esiste e va rispettata anche quando sbaglia, ecco
perché ogni cristiano deve cercare di ottenere la condizione spirituale Di Pietro e il
vescovo esercita davvero, conforme al giudizio di Dio, il potere di legare e sciogliere
solo se si trova in questa condizione.

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