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CRISTOLOGIA POSTCALCEDONENSE

Carlo dell’Osso

Definizione di Calcedonia

Il testo non è un simbolo di fede (professione di fede), ma una definizione dogmatica


relativa al secondo articolo di fede: quello relativo a Gesù Cristo, di questa si fa una definizione:
una unica persona in due persone.

La profetio fidei: riassunto della fede.

Che cosa succede dopo Calcedonia?

Henotikon emanato l’anno 492.

Punti non chiariti in Calcedonia


Modo della unione, ccome le due nature concorrono nella unità, non si parla del soggetto
dell’incarnzione. Sono punti lasciati aperti.

Da un punto di vista storico. Era stato condannato Dioscoro, rappresentante della teologia
Ciriliana, tutti i vescovi provenienti dell’Egitto e dalla Palestina, dopo questa condanna ci sono state
rivolte dai monaci contro Giovennale di Gerusalemme (vescovo di), che aveva appoggiato
Calcedonia. A G. viveva Eudosia la vedova dell’imperato Teodozio chi fomentava la impresa
monofisita contro Pulcheria. Giovennale viene deposto. In Egitto era stato deposto Dioscoro e al
suo posto fu posto Proterio, che non si controponeva al suo predecessore, ma il popolo si oppose,
tutto perché non volevano essere sottoposti all’imperatore di Costantinopoli.

Nel 457 muore Marciano, l’imperatore che aveva favorito Calcedonia, viene Leone primo
che più o meno favorì Calcedonia, Ariane sua figlia aveva sposato Zenone, suo figlio Leone II va al
trono, por morì, viene un usurpatore Basilisco e poi viene Zenone nel 421, con lui sarà la svolta
anti-calcedoniense, fino al 476 in Oriente.
In occidente viene deposto Augustulo da parte di Odoacre.
Nell’ano 476 quando Zenone va al trono decide di risolvere la questione monofisita.
Consigliato da Acaccio il patriarca di Cost. e con il consiglio del Patriarca di Alessandria Pietro
Mongo decide di Emanare un editto che attenuasse la tensione nell’impero e con i monofisiti, si
giunge così al HENOTIKON.

Un testo che non soddisfò né i monofisiti ne i calcedonesi, provocò la irritazione della Sede
Apostolica e diede origine al Scisma di Acacio, e poi nel 484-518 tra Costantinopoli e la Sede
Apostolica.

Per questo noi ci siamo sforzati di farvi conoscere che noi e le Chiese dovunque non
abbiamo avuto ne avremo ne sapiamo che lo hanno un altro simbolo o insegnamento o o fede ad
eccezione dal
Dei 318 Padri che i mensaionati o ricordati 150 santi padri hanno ricordato1.

1
Abbiamo un riconoscimento dei due Concili: 318 Nicea, 150 Costantinopoli I, l’editto di Zenone si mette in sintonia
con Nicea e Costantinopoli I. Il problema è che non c’è un altro simbolo tranne questi. Credo Nicenocostantinopolitano,
richiamo alla tradizione eclesiale della
6. Se qualcuno l’avesse (un altro simbolo) noi lo riteniamo eretico (alotrion) infatti questo
soltanto come abbiamo detto abbiamo fiducia che ha tenuto salvo il nostro regno e tutti i popoli
degni del battesimo salvifico sono battezzati accogliendo questo soltanto si sono conformati a
questo i santi Padri riunitisi ad Efeso che hanno condannato l’empio Nestorio e coloro che la
pensano come lui2

13. Che anche noi insieme con Eutiche abbiamo scomunicato dal momento che pensano
cose contrarie ai predetti acogliendo anche i dodici anatematismi pronunciati da parte di Cirilo di
venerata memomoria, che è stato arcivesco della Chiesa d’Alessandria3.

SECONDA PARTE

Confessiamo l’’unigenito Figlio di Dio e che è diventato uomo veramente il Signore nostro
Gesù Cristo consustanziale al Padre secondo la divinità, consustanziale a noi secondo l’umanità,
disceso dal cielo e incarnatosi dello Spirito Santo e di Maria e Madre di Dio, che si trova ad essere
uno e non due4.

Infatti noi diciamo ce sono di uno solo i miracoli e i patimenti5 che volentieri ha sopportato
nella carne, non accogliamo affatto (non siamo in comunione) coloro che dividono (nestoriani) o
coloro che mescolano (monofisiti) o coloro che introducono l’apparenza (fantasiasti: monofisisti
estremisti) dal momento che l’incarnazione vera irreprensibile non ha generato l’aggiunta di un
Figlio da parte della Madre di Dio6.

Infatti la trinità è rimasta Trinità essendosi incarnato uno della Trinità7 il Figlio di Dio.

Sapendo dunque che né le sante Chiese cattoliche ortodosse 8 dovunque né gli amatissimi di
Dio sacerdoti preposti a queste, né il nostro regno ha avuto o possiede un altro simbolo o
definizione di fede oltre il predetto santo insegnamento noi ci siamo riuniti senza alcuna esitazione.

Abbiamo scritto queste cose non volendo innovare la fede, ma volendo rassicurarvi.
Scomunichiamo chiunque abbia pensato o pensi ora o qualche volta o in Calcedonia o in qualsiasi
altro sinodo qualcosa di diverso.

Questo editto formalmente non è eretico, si può accogliere. Problemi


1. I dodici anatematismi9
2. Il silenzio su due temi:
a. La formula di Calcedonia e
b. Il Tomus ad Flavianus di Papa Leone (aclamato a Calcedonia)

2
Efeso 431, i primi tre grande concili ecumenici che vengono chiamati da questo documento. C’è un forte legame tra
impero, fede e simbolo, è quello che poi verrà detto come il Cesaropapismo dell’impero di Oriente, come in un certo
senso il trono e l’altare sono collegati, chi fa la politica religiosa è l’imperatore. Condanna di Nestorio e dei suoi
seguaci.
3
Si accolgono questi 12 anatematismi, non accolti in Calcedonia. C’è il ricupero della teologia di tipo unitivo.
4
Si vuole condannare la posizione Nestoriana dei due Cristo. Queste due nature non generano due figli se non uno.
Unicità della persona e duplicità delle nature.
5
unicità del soggetto
6
Quando Maria ha generato il Figlio non ha generato altro rispetto ad altro, ma lo stesso che è stato generato dal seno
del Padre. Questo è il mistero di Cristo, come è possibile che Cristo sia perfettamente uomo e Dio. Monofisismo:
umanità apparente, teologia contemporanea: non esiste la divinità.
7
Questa formula darà problema futuri. Formula così detta: Unus de Trinitate. Riapparirà con i monaci sciti.
8
Nota lessicale Ortodosoi e catolique, in questo tempo sono equivalenti, indicavano il cristianesimo. I termini ancora
non separano i cristiani.
9
Si sottolinea la unità e si trascura l’umanità.
Nell’anno 484 Papa Felice III riunisce un sinodo romano e rifiuta il Henotikon e rompe la
comunione con Acacio di Costantinopoli. L’imperatori favoriranno il regime del Henotikon e non
daranno aliti a Roma di influire negli affari teologi di oriente.

Viene riconfermata la duplice consustanzialità di Cristo e ancora viene sottolineata l’unità e


unicità del soggetto.

Il soggetto dell’incarnazione è il Verbo? Dire Gesù Cristo non vuol dire il Verbo e alla
rovescia, quando si dice Gesù Cristo si dice il concreto uomo Dio (l’uomo Dio), non semplicemente
la 2ª Persona della Trinità, il Verbo. Il soggetto della Incarnazione è il Verbo.

Sembra che a Calcedonia prima di tutto non si era parlato del soggetto dell’incarnazione,
sembra che l’i fosse il concreto Gesù Cristo, non il Logos, perché c’era puzza di monofisismo
alessandrino. Il problema del monofisiti nel accogliere Calcedonia era che poteva nascere una
quaternità nella Trinità. I monofisiti dicevano che si tu accoglie le due nature in Cristo, nella
Trinità, oltre a le tre persone c’è anche la natura umana di Cristo, volevano salvare la Trinità.

Succederà che gli editti teologici avevano valore civile, quando l’imperatore emanava un
editto aveva valore civile e penale, p. es. se si scriveva qualcosa in contro si poteva essere
incarcerato. L’eretico era perseguito dal punto di vista penale.

Gli esiti del Henotikon


Dopo questi editti tutti erano insoddisfatti. Gli egiziani vedevano questo editto troppo
leggero. 484 Scima acaciano fino all’anno 518
Acemeti (insomni) monaci in Bizanzio che avevano nella biblioteca del loro monasterio gli
atti del concilio di Calcedonia, loro erano in piena comunione con Roma, erano “ultraconservatori”.
Il problema era come il Papa Felice III, che aveva scomunicato Acacio, e doveva comunicare questa
scomunione, e siccome c’erano le guardi imperiale che controllavano la corrispondenza, ma c’erano
anche gli acemeti, tramite loro arriva a Costantinopoli.
Dopo la morte di Zenone (imperatore) 491 la moglie Ariadne si risposa con Anastasio I
(generale filomonofisita) regnerà fino al 518 e poi arriverà Giustiniano.
Ad Antiochia nasceva un problema: Severo monaco era asceso al seggio episcopale di
Antiochia ed era di tendenza monofisita, oggi si discute sul monofisismo di Severo, perché alcuni
sostengono che era un monofisismo verbale e non reale.

Bisognava tradurre i testi greci in latino, e talvolta non erano ben tradotti o non venivano
capiti.

TEOLOGI CALCEDONESI DEL VI SECOLO (553 COSTANTINOPOLI II)

IL SOGGETTO DELL’INCARNAZIONE È IL VERBO DI DIO.

TRE CORRENTI TEOLOGICHE:


1. Severiani o monofisiti
Coloro che seguivano l’Henotikon.

2. Calcedonesi di stretta osservanza


Esistono due nature, una sola persona e questa persona è il concreto Gesù Cristo.
3. Neocalcedonesi. Vincono nell’ano 553.
Coloro che identificano l’unica ipostasi con il Verbo. Questa è la nostra fede.

Opinione del professore, un unico gruppo che va contestualizzato, perché fino all’ano 518
era vietato scrivere su Calcedonia, allora p. es. questi autori scrivono con titoli “Apologia a favore
del concilio di Calcedonia”, professavano la formula in due nature e da due nature. Questa era
scamodage (talvolta) per far passare una formula calcedonesi in una monofisita.

In questo periodo, siccome la formula in due nature rievocava Calcedonia e quindi non
poteva essere professata, veniva propagandata altra formula, da due nature. Si diceva:
- In due nature: calcedonesi.
- Da due nature “Ex duo fusesin”: il Cristo proviene da due nature, ma non è due nature.
Severiani.

NEFALIO
482 Henotikon. Coloro che avevano favorito Henotikon erano il patriarca di Costantinopoli Acacio
e il patriarca di Alessandria Pietro Mongo, aveva firmato e poi aveva ritornato ad Alessandria
Monaci monofisiti: abdicare alle proprie posizioni teologiche contro il proprio patriarca di
Alessandria.
Tra questi era questo Nefalio
Il patriarca era stato severo contro di loro
e questi monaci si rovolgo verso gli imperatore di Costantinopoli
forte reazione in Egitto alla formula delle due nature, e al TOMUS AD FLAVIANUS.
Agli inizi del 500 ritroaviamo Nefalio in Palestina, nel clero di Gerusalemme. Qui Nefalio è un
grande difensore di Calcedonia, ha cambiato propriamente bandiera. Aveva cominciato una serie di
dibatti pubblici contro i monofisiti. Arriva verso Gaza dove c’era il monasterio di Maiuma e qui si
annidavano i monofisiti, qui si trovava Severo (di antiochia)10, monaco intelligentissimo. Con lui
ha una enorme disputa, Severo con alcuni monaci va a Costantinopoli nel anno 508-511 in questi tre
anni Severo predica a Costantinopoli con il favore dell’imperatore Anastasio, giunge anche Nefalio
a Costantinopoli, a lui lo proteggevano gli Acemeti e poi i patriarca Macedonio di Costantinopoli
che favoriva i calcedonesi. Gli Acemeti erano sotto la giurisdizione di Roma, questi verranno
scomunicati. Fino al 511 non sappiamo niente di Nefalio.
Non c’è giunto niente scritto di lui, tranne che alcune notizie di Severo, che scrive due
Orationes ad Nefalio11. Lo stolto Nefalio e i suoi amici, difensori del calcedonismo. Nefalio era il
fuori legge, e Severo quello ortodosso.
La disputa si poteva tenere sull’uso e interpretazione dei testimonia patristici, delle citazioni
dei padri, si portava un dossier patristico dove si appoggiava o condannava. La disputa non aveva
un andamento teologico, era piuttosto una disputa materiale, chi aveva più testimonia. Nefalio
doveva portare testimonia Gregorio Nazianzeno, Atanasio e Cirillo, i Calcedonesi di stretta
osservanza non accoglievano i 12 anatematisti di Cirillo. Il problema è sempre relativo alla formula
da due nature sostenuta da Severo e in due nature sostenuta dai Calcedonesi (la nostra fede). Se
esiste un'unica ipostasi, necessariamente ci sarà una unica natura, quella divina, due nature solo
prima dell’unione, se le due nature permangono non avviene l’unione (Severo) invece nella formula
calcedonense, nell’ipostasi permangono le due nature.
Preesiste all’unione solo la natura divina (sì).
IN DUE NATURE:

10
Miafisiti = monofisiti = Severiani. Mia fusis tou Logou sesarcomene.
11
CSCO, traduzioni latine.
In Cristo contemplo (in teoria12) le due nature, tutte le qualità esenziali delle due nature13.
Le due nature non preesistono all’unione, perché l’uomo non preesiste prima
dell’incarnazione, l’uomo di Cristo nasce nel seno della vergine e nel concepimento viene l’unione.
Contemplando Cristo intesso come un’ipostasi 14 concreta si individuano le qualità esenziali
delle due nature, dunque in Cristo coesistono le perfettamente le due nature, tutta l’umanità nella
sua perfezione e tutta la divinità nella sua perfezione (sì).
Nefalio deve rispondere alla critica di Severo e afferma che le due nature unite secondo
l’ipostasi (unione ipostatica- enosis cat’upostasin – unione secondo l’ipostasi), ha un grande valore
unitivo, proviene dalla tradizione alessandrina, per sottolineare15.
Nefalio attesta l’uso dell’opera Il florilegium cirilianum, che era una raccolta di testi di
Cirillo in cui lui affermava la formula delle due nature
Nefalio va considerato come un caldedonese non un neocalcedonese. I suoi difensori erano il
patriarca Elia di Gerusalemme e il patriarca Macedonio di Costantinopoli. Anastasio favoriva il
monofisismo. Nefalio fu l’espressione combattiva del calcedonismo e anche di un suo eventuale
discorso in difesa di Calcedonia non c’è rimasto nulla.

GIOVANI DI SCITOPOLI, DETTO ANCHE L’OSCOLASTICO

Le sue opere sono state confuse con quelle di Massimo il Confessoe. “Quello sciagurato di
Scitopoli” (Severo).
Vita: probabilmente fu uno “scolastico”16. I giudizi nei suoi confronti sono negativi. Un tale
Basilio di Silicia dice che era di tendenze manichei, partecipava ai misteri pagani e non rispettava il
digiuno quaresimale.
Nell’opera di Leonzio di Gerusalemme, una citazione di Giovani, titolato come vescovo di
Scitopoli nella Pentapoli, all’interno della Palestina. Anche nelle fonti del VII secolo, fu vescovo tra
l’anno 53617 e prima del 548. La sua attività letteraria fu molto ampia.
Nell’anno 518 va al trono Giustino con l’aiuto di un generale trace Vitaliano che minacciava
l’impero e l’imperatare Anastasio, se non riconosceva Calcedonia aveva invaso l’impero.
Riconoscono il concilio di Calcedonia e fanno la pace con il papa, il Papa riconosce il
patriarca e così termina lo scisma Acaciano.
Lo stesso farà Giustiniano (527-565).
Giovani era l’unico che poteva tenere a testa a Severo. Secondo Severo Giovani aveva
scritto un libro a favore del concilio di Calcedonia. Questo libro circola di nascosto affermava
Severo, così si era messo a confutare un’altra apologia di Calcedonia quella di Giovani il
grammatico. Quando Severo riuscì a trovare il libro aveva trovato una sotanziale corrispondenza
con le altre apologie, soprattutto nell’uso dei testimonia, del florilegium cirilianum.
Basilio di Cilicia18 scrisse un tratatto contro Giovani di Scitopoli, perché sembra che lui
abbia disputtato contro i nestoriani.
Opere di Giovanni:
- Apologia del Concilio di Calcedonia
- Contro i nestoriani. Si difendeva dell’accusa di Nestorianismo, perché era calcedonense.
12
Teorien: significa l’aspetto logico e l’aspetto di fede, d’adessione a Cristo.
13
Per gli antichi non c’era la distinzione tra il Gesù della storia e il Cristo della fede.
14
In questo tempo è un termino tecnico già un questa epoca: ousia, esenzia.
15
Miscelanea (1950), tre volumi. Moeller. Il calcedonismo e il neocalcedonismo. Nefalio è il primo neocaldenonese, ma
questo non è corretto, perché non aggiunge nulla di nuovo alla teologia calcedonese, in realtà per noi è imposibile
definirlo un neocalcedonese, perché il fatto che egli invochi Cirillo come testimone delle due nature, non è nuovo, già
era stato fatto a Calcedonia, è inverosimile che lui abbia utilizzato simultamenamente le due formule antagoniste (in due
nature- una sola natura del Verbo incarnato).
16
Dialettico, filosofo.
17
Ci fu un sínodo dove risultava un altro come vescovo della città. E lo stesso per l’anno in cui finisce.
18
Lampadio (Basilio), Marino (Giovanni di Scitopoli), Tarasio che poneva le domande a entrambi, opera in dialogo che
scrisse questo autore. La lotta e sull’uso della Scrittura e sull’uso dei Padri.
Noi ricaviamo che aveva fatto uso delle testimonia scritturistica, la scrittura era troppo utilizzata
dagli eretici.
I temi teologici affronti da lui (Basilio)
- La sofferenza del Verbo nella carne, limitazione a questo aspetto, il Verbo può soffrire solo
nella carne, non il Verbo in quanto tale.
- “Dire che Cristo vuol dire Dio”. Qui c’è una evoluzione, perché quando si trattava
dell’unica ipostasi si intendeva dire Gesù Cristo in due nature. Quando si diceva Gesù Cristo
si intendeva la concreta ipostasi, perché la natura si concretizza in una ipostasi. Spostare il
concetto di ipostasi dal concreto all’ipostasi della 2ª persona della santissima Trinità 19.
- Unità della persona di Cristo
- Communicatio idiommatum, comunicazione delle proprietà. Idiommata: le proprietà delle
nature,
 Natura umana: raziocinio, affetti, passioni, mangiare, dormire,
 Natura divina: onniscienza, onnipotenza, onnipresenza, capacità di fare i
miracoli, e così infinitamente.
o In Cristo la natura umana si predica degli attributi divini e viceversa.
o Il figlio di Dio è morto sulla croce in virtù dell’unica ipostasi e della natura umana
che si gli attribuisce alla ipostasi. Dio è morto secondo la natura umana.
- Uno della Trinità, Unus de Trinitate passus est carne, ha patito nella carne. Proviene dai
monaci sciti e provenivano di una zona soggetta all’impero di Costantinopoli, ma dal punto
di vista religiosa di Roma, greci di lingua, ma latini di testa. Questi danno la soluzione al
problema cristologico.
o Vitaliano aveva un cognato che era un monaco scita.

Basilio accusa di Giovanni di essere Cirilianista


Tra i difensori della formula di Calcedonia vedevano questa formula con sospetto e altri
l’accoglievano, aprendosi ad essa.
Giovanni doveva aver presso le distanze dal difisimo estremo, quelli che dividevano troppo
l’uomo in Cristo. Aveva sottolineato l’unità della persona di Cristo20

Le opere di Giovanni21:
- contro apostisti: contro i monofisiti radicali, i seguaci di Dioscoro.

Le opere perdenteci (resti)


- Un frammento dell’opera contro Severo. Questo confluisce nei florilegi antimonoenergiti
del VII secolo. “Noi contempliamo due energie…, senza separazione e senza confusione”.
Non si può parlare nel VII s. di due energie intesse, qui energie è inteso come Providenza
del Verbo rispetto all’universo e nella storia, ma invece (qui o poi?) le energie vanno
collegate alle due nature, la energie aderisce alla natura, non alla natura.
 Quando il Verbo si incarna assume la natura umana come noi, quello che lui
faceva stando con la Trinità continua a farlo, sì continua, cioè la sua
Providenza per il mondo, continua la sua opera quando il Verbo si incarna.

19
La natura divina aveva già una ipostasi prima dell’unione, questa ipostasi preesistente, come si trova ad essere
nell’incarnato, sembra che i padri di Calcedonia quando hanno parlato di ipostasi non intendessero il Logos, ma il
concreto uomo-Dio. C’è una evoluzione del concetto di ipostasi, dove si comprende che l’ipostasi è il Verbo, così si
parla di una assunzione della natura umana del Verbo.
Calcedonia: una sola ipostasi.
Costantinopoli II: Una unica ipostasi ovvero il Verbo di Dio.
20
Abbiamo notizia in Fozio.
21
Paul Rorem, Università di Prieston.
Cristo ha allo stesso modo un’energia (principio di attività e la attività
propria della natura).
- Gli scholia allo Pseudo Dionigi. Prima di pensava che fosse di Massimo il confessore23.
22

o Scritti durante l 537-543


o Giovanni riconosce l’autenticità degli scritti dello Pseudo Dionigi:
 La gerarchia celeste
 La gerarchia terrestre
 I nomi di Dio
 Appaiono per la prima volta nel 532 con i monofisiti. I severiani
avevano portato questi scritti.
 Questi scritti si fanno strada tra gli autori calcedonesi e Giovanni li accoglie
come autentici.
o Dionigi non aveva fatto altro che anticipare la formula di Calcedonia. Giovanni
afferma che Dionigi fa parte della tradizione della Chiesa e viene presso come un
testimone della fede ortodossa. Giovanni esprime la sua teologia commentando a
Dionigi.

PG 4 , 68
Guarda dunque poiché il beato Basilio il capadoce dice chiamo la carne (teoloforon)
deifera, bisogna indagare, guardare come lo dica, ma la carne dello stesso Signore secondo la
essenza e secondo l’ipostasi si è unità allo stesso Dio. Perciò anche egli stesso è detto da parte dei
padri che ha presso la carne e si è rivestito della carne (ha indossato la carne), che c’è di strano
(dia) se anche la sua carne viene detta deifera dal momento che porta il Verbo di Dio secondo
un’unione indissolubile essendo detta propriamente e secondo verità la sua carne.
Guarda anche che l’ordine dei santi troni è anche teoforoi.

Giovanni sta spiegando come una delle gerarchia angeliche (i troni) vengono detti teoforoi
(portatori di Dio).
Anche la carne di Cristo è teoforio, scholio alla gerarchia celeste.
La differenza tra la carne di Cristo (deifera) e i troni (categoria angelica), che la carne di
Cristo è deifora per essenza o per natura, mentre gli angeli (troni) sono deifori per grazia. Così
viene fuori una espressione riguardo alla unità: Kata ousia kai kata ipostasi, un duplice modo di
dire l’unione della carne, che indica la natura umana e di Cristo al Dio Verbo. La espressione
corretta più vicina al dogma calcedonense kata ipostasi, invece kata ousia va meglio con i
monofisiti.

Monofisiti – kat’ousia (unione forte, )


Nestoriani –  (unione debole, secondo la grazia)

I calcedonesi utilizzano sia Kata ousia kai kata ipostasi


L’unione tra il Verbo e la carne è una unione forte, una unione che non confonde e non
divide, vera e reale.

La sua carne è detta correttamente (essendo detta dal momento che è corretta e secondo
verità).
È impossibile dividere la carne del Verbo e impossibile che dei due diventi uno.

PG 4, 57 c
22
Commenti nelle margini di un’opera.
23
PG sotto le opere di Massimo il Confessore. Liturgia cosmica di von Balthasar si rende conto di questo.
en duo fusesi: formula classica calcedonese
Ed è lo stesso il legislatore e colui che è sotto la legge, è lo stesso colui che come uomo era
servito dagli angeli che fuggì in Egitto che tornò nel suo ritorno e lo stesso è il creatore degli
angeli. Così che uno solo è lo stesso Cristo in due nature24 che ha realizzato il grande mistero
dell’economia25 (della salvezza).

PG 4, 196 c-d2
Qui espone correttamente l’incarnazione o sia che uno della Trinità ha patito 26, nota
(semeion) che una delle ipostasi (il Verbo) ha comunicato integralmente con noi e che disse (eipen)
lo stesso signore nostro Gesù Cristo semplice dopo composto27 in riferimento all’estremità della
natura umana (alla sua estremità umana)28, bene dunque diciamo che uno della santa Trinità era
sulla croce questo contro i nestoriani e gli accefali (monofisiti). Ecco infatti disse una delle ipostasi
ha comunicato con noi integralmente come dice l’apostolo in cui abita ogni pienezza della divinità
corporalmente. Dire integralmente è contro Apolinare, infatti indica che egli ha assunto un uomo
perfetto29.

PG 4, 149 d- 152 a
Dal momento che ha assunto un anima razionale e un corpo terreno, bene ha detto che l’ ha
assunti [corpo e anima] con una inconfusa incarnazione.
Infatti è rimasto Dio pur essendo visto come un uomo e salvando le proprietà di entrambe le
nature30 e nota questo contro gli apolinaristi.

Giovanni di Scitopoli era un calcedonese, e ci rendiamo conto dal linguaggio.

Integrità della natura umana. Contro gli apollinaristi (Apollinare di Laodicea), esistevano
tanti falsi apollinaristi, scrivevano cose e gli mettevano sotto nomi di autori celebri (papa Giuglio II
e sant’Atanasio), per i calcedonesi i monofisiti discendevano degli apollinaristi.
Il monofisismo era difusso tra i monaci perché è una forte venerazione di Cristo. L’umanità
veniva in qualche modo nascosta. Il monaco è abituato alla mortificazione del corpo, perciò a un
monaco resultava più attraente una cristologia che risaltava la divinità.

Conclusione
Giovanni sostene e difesse la formula di Calcedonia dai due estremi oposti (monofisismo e
dal nestorianesimo), affermando con chiarezza lintegrità della natura umana e dall’altra parte
salvaguardando l’ortodossia della formulla di Calcedonia di ogni deriva nestoriana, sotoglineando il
soggetto della incarnazione nel Verbo, così utilizza la formula uno della Trinità ha sofferto nella
carne.

24
Qui si sente la teologia ciriliana. Cirillo era un padre atestato che doveva essere riacquistato dai calcedonesi, non
poteva essere solo proprietà dei severiani.
25
: cristologia, l’opera di Cristo, storia (opera) della salvezza, incarnzaione. : Trinitaria, discorso su Dio,
sul Dio Trino.
26
Formula teopastita: indica anche il soggetto dell’Incarnazione, che era uno, Cristo. Riconoscimento di una capacità
compositiva nella divina ipostasi del Verbo.
27
Qui c’è l’idea della ipostasi composta, ed è Massimo il confessore che indica questo. La sintesi avviene in Cristo al
livello dell’ipostasi, il Verbo prima era semplice e poi con l’incarnazione viene definito come composto.
28
Alla estremità umana (scatián). Quando lui assume la natura umana da semplice diventa composto.
29
Emerge la formula “uno della Trinità” all’inizio, alla metà. Tutte collegano uno della trinità alla sofferenza, con la
croce. La perfezione di Cristo uomo contro Apollinare “Olikos” integralmente, vuol dire che comunica con l’uomo
fatto di anima e corpo, non come Apolinare fatto solo corpo. Mia ton ipostasion (contro i nestoriani), perché i nestoriani
inducevano due ipostasi, ma la cosa più importante è una certa continuità con la dottrina di Massimo il confessore, per
questo si confondeva con le sue opere.
30
Utilizza Tomus Leonis.
Le istanze della teologia calcedonense della prima metta del VI sec. sono configurate nelle
riflessioni dello scitopolitano, lui era un calcedonese.
Il calcedonismo si è evoluto.
Mentre il giudizio degli studiosi vede in Giovanni uno sponente del neocalcedonismo,
secondo noi è un calcedonese alla stessa stregua di Nefalio, di Leonzio di Bisanzio e di Giovanni il
Grammatico, ma questo Giovanni di Scitopoli avendo scritto in una epoca molto basta e lunga ha
visuto da una parte la persecuzione dei calcedonesi e poi scrive gli scholia. L’imperatore
Giustiniano nell’anno 533 a marzo aveva emanato una lege in cui proclamava la formula uno della
Trinità come legge dell’impero con un avalo del Papa Giovanni II.
518-520 il Papa Ormisda non acoglie la formula; ma poi con l’evoluzione del calcedonismo
Papa Giovanni II manda una lettera all’imperatore Giustiniano in cui lui dice che si può utilizzare.

L’imperatore chiede al Papa di toglierli gli ascemeti, così il Papa scomunica gli ascemeti
accusandoli.

Le figure degli arcivescovi costantinopolitani non avevano grande libertà di fronte


all’imperatore teologo.

GIOVANNI IL GRAMMATICO DI CESAREA

Giovanni viene ritenuto il più notevole esponente del neocalcedonismo. Un suo


contemporaneo Severo di Antiochia ci dà le notizie su di lui nell’opera Contra impium
grammaticum (contro l’empio grammatico31). In questa opera Severo lo rimprovera di essere un
maestro per giovanni che deve desistere di occuparsi di teologia: forse ritiene che tu parli a quei
giovanotti che presso di te sono educati?
Giovanni di scrisse Apologia del concilio di Calcedonia. Questa apologia dice Severo era
più breve e semplice di quella che aveva scritto Giovanni di Scitopoli, e su questa apologia Severo
fa la confutazione, siamo prima dell’anno 518. Questa apologia era fuori legge, perché se si trovava
o veniva distrutta o l’autore poteva essere incarcerato. Per questo Severo non riusciva a trovare
queste opere, perché le tenevano nascoste.
La notizia secondo cui Giovanni il Grammatico sia stato vescovo di Cesarea di Palestina non
sembra attendibile perché le fonti sono tardive (le prime notizie le abbiamo dagli atti del concilio di
Lateranense del 649 e da Leonzio di Gerusalemme, finali del sec. VI-VII). Severo non parla mai di
Giovanni come vescovo, probabilmente divenne presbitero, questa notizia si trova nell’incipit delle
sue opere. Anche l’ipotesi che afferma che Giovanni sia di Cesarea di Capadocia, sembra
improbabile perché lui era della Palestina. Giovanni visse nella prima meta del VI sec. ed evolse la
sua attività letteraria nel II e III decennio dello stesso secolo. Contemporaneo di Giovanni di
Scitopoli e di Severo di Antiochia. Il suo luogo di origine va identificato con Cesarea di Palestina e
probabilmente in età avanzata fu ordinato presbitero.

OPERE DI GIOVANNI DI CESAREA


Si trovano nel I Vol del CCSG. Sono le Excerpta graeca.
1. L’Apologia del concilio di Calcedonia. Scritta prima dell’anno 518.
2. 17 capitoli contro gli acefali.
3. Contro gli Aftartodoceti.
4. Due omelie contro i manichei.
5. Una disputa di Giovanni l’ortodosso con un manicheo.
6. Sillogismi dei santi padri contro i manichei. Di origine incerta.
31
Qui troviamo anche la notizia su Nefalio: stultus Nefalius et sodarius eius: lo stolto Nefalio e i suoi compagni.
1. DISTINZIONE TRA OUSIA E IPOSTASI

A noi c’interessa la sua teologia, cioè come la disputa cristologica procede in questo
periodo. Giovanni era probabilmente “un maestro”, insegnante (grammaticus) a lui si deve la
ripresa della distinzione tra ousia (essenza) e ipostasi. Giovanni parte dalla distinzione di natura
capadoce di questi due termini (si trova nell’epistola 214 di Basilio di Cesarea, in cui c’è la
distinzione di ousia, ipostasi e prosopon32). Basilio diceva che ousia indica è ciò che è comune tra
esseri della stessa specie, mentre l’ipostasi ciò che è proprio di ognuno, ma Giovanni dice che la
distinzione è dovuta al fatto che l’ipostasi è una natura provvista delle sue proprietà e qualità
caratteristiche, quando la natura si concretizza diventa un’ipostasi.
Giovanni si era accorto che il termine fusis era un termine ambiguo, perché con natura si
poteva intendere talvolta l’essenza (ousia, carattere generale), talvolta l’ipostasi (carattere
particolare, individuale).
Quando Severo diceva la sua formula anticalcedonese: mia fusis tou Logou sesarcomene -
una sola natura del Verbo incarnata (formula dei monofisiti o miafisiti). Severo in che senso
interpretava fusis (natura)? In senso generico di ousia33 oppure nel senso concreto d’ipostasi34?
Severo intende mia fusis come mia ipostasis, perché lui accentua l’unità sintetica o idiomatica nel
Verbo.
Giovanni dice che fusis deve essere intessa come ousia35, questo suggerimento diviene
bagaglio comune di tutti i calcedonesi, bisogna dare un valore generico al termino fusis. Mentre
Severo e i Severiani davano un valore concreto al termine fusis, perché se si da un valore concreto a
fusis, si accentua la capacità unitiva del Logos, però si toglie la natura umana.
Questa espressione è corretta si la interpretiamo in modo difisita, cioè il Verbo con la sua
natura divina perfetta che prende una umanità perfetta. L’ipostasi è quella che si incarna, perché ha
la capacità di questo.
Una natura non esiste mai senza un’ipostasi. Il problema è: quando avviene l’incarnazione
(unione) le due nature permangono nella loro perfezione oppure non?, il punto neuralgico della
questione è se la natura umana assunta dal Verbo è perfetta o meno; che tipo di natura umana il
Verbo prende o assume, prende solo un involucro (rivestimento) umano? I monofisiti risentono
dell’Apolinarismo, o sia il Verbo ha preso solo un involucro umano, non una natura perfetta.

Testo solo in italiano. Distinzione tra ousia e ipostasi:


La sostanza significa ciò che è comune per esempio l’unica divinità della santa Trinità
oppure l’umanità che è comune e tutti noi uomini, l’ipostasi invece significa l’unica persona del
Padre, o del Figlio o dello Spirito Santo oppure anche di Pietro o di Giovanni o di qualsivoglia
uomo. Il termine natura (fusis) si dice talvolta al posto della sostanza, talvolta al posto
dell’ipostasi.

Il problema è risolvere questa ambiguità di fusis dando a questo termine un senso astratto,
contraddicendo di fatto Severo per cui in Cristo, solo al Logos si poteva riferire in senso pieno il
termine fusis. Secondo Severo l’unica fusis è quella del Verbo, non quella dell’umanità, perché fusis
ha per Severo un significato concreto. L’unica fusis veramente esistente nell’incarnato è quella del
Logos. Invece Giovanni dice che anche l’umanità è una fusis, una natura in senso generale.

32
Quando la ousia generale si concretizza diventa ipostasi.
33
Significa la sua natura divina che ha in comune con il Padre e con lo Spirito Santo. In questo caso se indica la natura
divina e sesarcomene indica la natura umana, si intenderebbe con intende Giovanni.
34
Oppure indica l’unica ipostasi o sia la seconda Persona della Santissima Trinità o piuttosto intessa come una unica
natura ma già nel Logos incarnato, non c’è posto per la natura umana, posizione monofisita.
35
Dire la natura o essenza d’un uomo ha lo stesso valore.
Giovanni doveva prendere la formula monofisita e intenderla in senso difisita, perché lui
voleva sotto questa formula far emergere le due ousiai, le due essenze, le due sostanze.

Severo dice che l’unico Logos a cui si può attribuire il termine fusis prende l’umanità, che
non è fusis.

Altro testo (dalle notizie di Severo, che riporta quello che diceva l’empio grammatico):
…che egli afferma e confessa un solo Cristo in due nature unite, intendendo le nature non
come ipostasi ma come sostanze, così che Cristo si riconosce in due sostanze ovvero in senso
generico di sostanza nelle divinità collettiva e nella come essenza dell’umanità, così infatti Cristo è
proclamato consustanziale al Padre secondo la divinità, consustanziale a noi secondo l’umanità.

Severo non condivise questa concezione, per lui ogni natura ha un’ipostasi, quindi se si
dicono due nature si dicono due nature, due Cristi e due Figli, pertanto si diventa un nestoriano. Il
problema è salvare l’unità o salvare la duplicità delle nature? Il mistero di Cristo permane anche
nei nostri giorni.

Severo non accolse questa proposta di Giovanni, perché questo chiarimento terminologico
depotenziava il concetto di natura (fusis) nel suo valore e nel suo senso unitivo. Severo aveva capito
la proposta di Giovanni, cioè che doveva intendere fusis non nel senso d’ipostasi, ma nel senso
generico di ousia o essenza, ma Severo non accetta, perché la interpretazione di fusis depotenzia il
concetto della sua forza unitivita che ha, inerendo fusis qualcosa di generico e non una natura
concerta questa non può fare l’unità, perde la sua capacità unitiva; l’unica ipostasi e l’unica fusis
opera con l’unità in Cristo.

2. L’UNIONE ENHYPOSTATICA

La maggioranza degli studiosi di Giovanni ritengono che lui sia stato l’inventore della
cosiddetta dottrina della enhypostasia. La dottrina secondo cui il Verbo di Dio ha assunto la natura
umana priva della sua ipostasi, perché la sua ipostasi ha nel Verbo. La natura umana non ha
un’ipostasi propria, ma è enhypostizzata nel Verbo.
Dalle notizie di Severo noi sappiamo che Giovanni affermava che Cristo è in due nature, e
voleva dire che Cristo non è della stessa ipostasi del Padre, né della stessa ipostasi degli altri
uomini, perché la sua ipostasi non è un’ipostasi umana. In due nature non significa la sussistenza di
due ipostasi come i nestoriani, nemmeno però l’annullamento delle due nature come i monofisiti.
Testo, Apologia concilii Chalcedonensis (Excerpta greca IV)
Il processo di unione che il Verbo fa con la natura umana è un processo di appropriazione:

p. 57, 251.

Noi infatti adoriamo l’unico Cristo Figlio di Dio apparso nella carne sulla terra.

Infatti riconosciamo la distinzione della divinità rispetto alla carne36.




Infatti il Dio Verbo è eterno e increato, impassibile e tutto quanto conviene alla divina
grandezza, la sua carne invece essendo un tutto uno con lui a causa dell’intima e enhypostatica
unione per cui il profeta Giovanni proclama Il Verbo divenne carne ed è abitato in mezzo a noi.


È soggetta al tempo, creata e impassibile.




Confessiamo che tutte le proprietà della carne sono del Verbo di Dio se infatti è la sua
propria carne è chiaro che anche le proprietà della carne saranno di lui. Egli infatti si appropria di
esse anche se la sua divina natura non è sottomessa a queste.

268.

Dunque in questi passi della Scrittura noi apprendiamo che le proprietà divine e quelle
umane erano proprie del Verbo di Dio incarnato.



Ma quando (in ciò che) si dice che ebbe fame, ebbe sete, era toccato o era visto, penso che
egli abbia subito queste cose non nella natura divina, ma nella carne assunta secondo cui è vissuto
come uomo.

Come intendere questa unione enhypostatica? Vuol dire che il Verbo nell’Incarnazione si
appropria delle proprietà umane della natura umana, quindi avviene nell’unione che il Verbo fa
sue le proprietà della natura umana, per cui dice Giovanni, quella carne è propria del Verbo, solo di
lui. Non dice che ha presso l’umanità, ma dice sempre ciò che è proprio di questa natura.
Non si parla di una assunzione della natura, ma di una appropriazione di tutto ciò che è
proprio della natura. Quando ci sono tutte le proprietà è perfetta la natura.
L’assunzione, nel senso della dottrina dell’enhypostasia, vuol dire richiamare il concetto
della cosiddetta in-sussistenza. La natura umana non ha una sussistenza propria, ma sussiste nel
Verbo, ma Giovanni solo dice che il Verbo fa proprie quelle proprietà della carne.
Questo processo di appropriazione ci autorizza a pensare a una carne del Verbo è l’idioma
principale (idioma princeps) è quella di essere la carne propria e unica del Verbo. La carne che
36
Atteggiamento diffisita.
aveva Cristo aveva una unicità che era la carne (umanità) del Verbo, in questo senso quella carne
era diversa a quella di tutte, in quanto era propria del Verbo.

La natura umana non è enhypostatizzata nel Verbo, ma ha tutte le sue caratteristiche proprie
nel Verbo. Non si può parlare ad un’insussistenza, a una sussistenza della natura umana
nell’ipostasi del Verbo, si tratta invece di un rapporto di appartenenza, appropriazione, non di
sussistenza ontologica.
Allora Giovanni il Grammatico per noi non è l’autore della teoria dell’enhypostasia37.

3. GIOVANNI RICUPERA L’USO SIMULTANEO DELLE DUE FORMULE CRISTOLOGICHE

Doveva ricuperare in ambito calcedonese la teologia di Cirillo, soprattutto voleva affermare


che anche Cirillo aveva utilizza la formula in due nature (en duo fusisesin), quindi si era servito di
un florilegio di Cirillo in cui si tratta delle due nature. Secondo Giovanni la formula in due nature è
utile per controbattere l’apollinarismo, mentre quella dell’unica natura (mia fusis) va contro il
nestorianesimo. Dice che per proclamare la piena ortodossia è neccesario utilizzare tutte e due le
formule insieme, cioè mia ipostasis en duo fusesin: un’ipostasi in due nature e mia fusis tou Logou
sesarcomene. Anche questa proposta da Giovanni viene scartata da Severo, perché dice che questo
era solo un escamotage (trucco) per fare emergere la formula di Calcedonia, in quanto Severo si era
accorto che Giovanni dava un senso difisita alla formula della mia fusis. Severo afferma che
Giovanni finge di adoperare le due formule, ma in realtà la formula della mia fusis, la intendi in
senso difisita, calcedonense.

Testo: Contra monophysitas, p. 63, riga 68. Sull’ipostasi




Ogni ipostasi si vede in ciò che è comune cioè nell’essenza 38 e se l’ipostasi fosse semplice
anche ciò che è comune [essenza] sarebbe semplice, se invece l’ipostasi fosse composta anche ciò
che è comune [essenza] sarebbe composto o l’ipostasi composta sarebbe in differenti realtà comuni.

Qui si parla di un’ipostasi composta, in altri termini se la natura è semplice l’ipostasi è


semplice, se la natura è composta l’ipostasi è composta.




Come la semplice ipostasi del Verbo così anche è semplice ciò che ha in comune con il
Padre e lo Spirito Santo come anche l’ipostasi di un qualche uomo è sintetica così sarà sintetico
anche ciò che è comune, ovvero ciò che si vede comunemente in tutti gli uomini.





37
Anche Grilmaier è sospettoso anche di questo; altri Müller, Helmer.
38
Ogni ipostasi è nella essenza
Ogni uomo è infatti un animale razionale mortale, se anche noi volessimo pensare la realtà
comune sintetica assolutamente si dovrà riconoscere l’uomo in due realtà comuni, l’anima in
comune con gli altre anime e il corpo in comune con gli altri corpi.


In Cristo essendo l’ipostasi sintetica non si vede in ciò che è comune sintetico.



Infatti nessun altro essendo Cristo veramente Dio e uomo è sintetico sennò colui che è stato
generato dalla Vergine, Madre di Dio.

È importante il concetto di una capacità sintetica riconosciuta all’ipostasi. Questa ipostasi


che in Cristo può sintetizzare sia le proprietà della natura divina che già possiede sia quelle della
natura che lui ha assunto.

Conclusione
Quasi tutti gli interpreti di Giovanni ritengono che lui sia un calcedonese, ma noi riteniamo
che questa posizione vada ridimensionata, perché quelle motivazioni di questi studiosi che portano
per affermare il neocalcedonismo di Giovanni non sembravano sufficienti per questi motivi:
1. La concordia di Cirillo con Calcedonia non è una novità portata da Giovanni il grammatico
in quanto già prima era stato fatto un tentativo di ricondurre Cirillo nell’alveo caldedonese.
2. Lo stesso florilegio ciriliano che circolava è un florilegio scritto dai calcedonesi nella
seconda metà de V secolo. Piuttosto Giovanni è nel solco della tradizione calcedonese.
3. La professione simultanea delle due formule che viene invocata dagli studiosi come novità
nella teologia di Giovanni ci sembra invece soltanto un escamotage, in realtà Giovanni non
accoglieva la formula della mia fusis. Lui scrive in un periodo dove la formula calcedonese
era fuori leggi.
4. Non è di Giovanni la dottrina della enhypostasia così come noi siamo abituati ad intenderla
sia come la dottrina dell’insussistenza della natura umana nella divina ipostasi del Verbo,
perché l’unione enhypostatica di Giovanni è un processo di appropriazione.

Secondo noi Giovanni era un vero calcedonese, la sua novità ce la dice Severo, suo
contemporaneo, che lo definisce nuovo riconciliatore di parole opposte [novus reconciliator
opositorum verborum], dunque Severo riconosce in Giovanni una gran capacità dialettica. Giovanni
dà alla teologia un apporto di tipo terminologico:
- Enhypostatos (agg.): è nuovo utilizzato in cristologia
- L’ipostasi sintetica.
- Il paradigma antropologico: unione anima e corpo in un unico uomo per significare l’unione
delle due nature in Cristo è una novità che Giovanni apporta al linguaggio cristologico.

LEONZIO DI BISANZIO

1. La questione prosopografica (Chi è questo personaggio)39

Nel Migne ci sono centinaia di collone che riguardano questi autori.


Opere che riguardano questo autore (Tomo 86 Migne, Vol 1/2):
a) Contro Nestorianos et Eutichianos (in tre libri)
b) Apilysis (Solutio argomentorum a Severo obietorum)
39
Augustianum 2006, vol 1. 231-259 Carlo dell’Osso.
c) Triginta capita contra Severum

d) Ad versus monofisitas.
e) Contra Nestorianos

Testimonianza più abbondante della patristica di questa epoca, prima di san Massimo il
confessore.
Ê stato uno solo quello che a scritto queste opere o sono due.
Abbiamo le opinioni più antiche, p. es. il patrologo tedesco Losfs diceva che queste opere
appartengono ad un unico autore di nome Leonzio che avrebbe scritto attorno agli anni 520-540 le
tre prime opere e le altre due durante il 580 e inizi del VII secolo. Messa in discussione da un
patrologo francese Marcel Richard a lui si deve la distinzione dei due Leonzio nel 1944. I primi tre
attribuiti a Leonzio di Bizansio e gli altri due a Leonzio di Gerusalemme. Erano due autori coebi ,
vissuti nella stessa
Leonzio di Bizansio un calcedonismo stretto
Leonzio di Gerusalemme del neocalcedonismo, che si affermerà nel concilio
costantinopolitano dell’anno 553.
Questa è l’opinioni comune (opinio comunis), anche nel Grillmeier.

Questi due autori non sono coebi, ma sono veramente distanti. Il primo scrive nel 520 e
l’altro molto dopo.
KRAUS MÜLLER, nel giornale di studi teologici, Leonzio di Bisanzio un teologo del VII
secolo. Propone una datazione tardiva.
CARLO DELL’OSSO. Leonzio di Bisanzio e Leonzio di Gerusalemme una chiara distinzione.
GRAY, traduzione del Adversus ad Monofisitas, ripete l’opinio comunis 2007, anche se
leggendo Müller. WICKHAM fa la recensione dell’Adversus ad Monofisitas.

Nell’ultima parte del Adversus ad Monofisitas si parla dei longobardi. Nel 568 i longobardi
scesero in Italia, provenendo dall’Ungheria. Non è verosimile che un monaco che viveva in oriente
conoscesse i longobardi prima di questa data, dell’invasione. Questo fa che l’opera sia datata verso
il 570-580.
Un riferimento a una invasione di Gerusalemme nell’ultima parte del Adversus ad
Monofisitas, avvenuta in modo cruento. Gerusalemme fu invasa due volte in questo periodo, quella
persiana nel 614 dal re persiano Cosroe, questa in modo cruento e nel 638 l’invasione araba, ai
tempi del patriarca Sofronio, invece questa non. L’autore era stato presente alla pressa di
Gerusalemme avvenuta con un’immensa perdita di uomini, testimonia che l’autore scrive
conoscendo l’invasione persiana del 614, perciò è un autore di inizio del VII secolo.
Loro dicono che l’ultima parte dell’opera è un’aggiunta posteriore, così smontano tutto, ma
di questa opera esiste un unico scritto e questo riporta la sessione. L’opera viene datata all’anno
620. Il margine di oscillazione va dal 568 fino all’anno 620. L’imperatore Eraclio governa dopo
l’anno 610-640, in cui ci sono state incoronazioni nel seno dell’imperatrice, ciò conferma che
queste opere siano opere degli inizi del VII secolo, tra i due autori sia la distanza di cento anni.
Il neocalcedonismo viene solo dopo il 553 è la teologia che segue il concilio
Costantinopolitano II
Prima del 553 abbiamo tre posizioni: veterocalcedonismo, neocalcedonismo e severianismo,
e una di queste posizioni vince al concilio, ma questa soluzione non spiega perché il
veterocalcedonismo scompare completamente, invece noi crediamo che il neocalcedonismo è
l’evoluzione del veterocalcedonismo, perché prima del concilio c’era un unico calcedonismo che si
opponeva ai severiani, è che vince al concilio.
Anche Grillmeier contiene questa idee che tutti e due autori siano contemporanei c’erano
due correnti, se non lo sono esisteva un’unica corrente che poi si sviluppa.
Tra questi due autori ci sono differenze teologiche e di contenuto che vanno nel senso della
separazione, p. es. in Leonzio di Gerusalemme abbiamo la dottrina dell’enhypostasia ben espressa,
nel Contro Nestorianos.

Il nome neocalcedonismo sorge con i monaci monofisiti.

Testo: Leonzio di Bisanzio, Contra Nestorianos et Eutichianos.

La questione terminologica (Migne 86, 128040)

Non ci potrebbe mai esserci una fusis ovvero un’essenza senza ipostasi 41 [anhypostatica]42.
Non certamente la fusis (natura) è ipostasi, dal momento che non si può dire il contrario infatti
l’ipostasi è anche una natura, la natura non è sempre anche una ipostasi 43. Infatti la natura
accoglie la ragione (senso) dell’essere accoglie il senso di essere per se stesso 44. L’una ha (indica)
la ragione della specie45, l’altra è significativa (indica) di qualcuno. L’una indica i caratteri di una
realtà universale l’altra divide ciò che è proprio dal comune, sono dette realtà consustanziali
correttamente quelle che appartengono ad una sola natura e di cui la ragion d’essere è comune. La
definizione d’ipostasi invece: o le realtà simili secondo la natura ma differenti per numero 46 oppure
le realtà consistenti di nature differenti che possiedono tra di loro e allo stesso tempo la comunione
dell’essere47. Così dunque intendo che hanno la comunione dell’essere non come se completassero
l’essenza l’una dell’altra48 come è possibile vedere riguardo alle essenze e alle categorie esenziali e
questi sono chiamati qualità, ma poiché essendo di natura e essenza diversa49 non essendo
contemplate per se stesse ma nella misura in cui sussistono insieme e giacciono insieme 50. Questo
uno potrebbe trovare anche riguardo alle altre realtà non di meno anche riguardo all’anima e al
corpo51 la cui ipostasi e comune invece la natura propria è la ragione di essere differente.

Con questo testo ha voluta dare una definizione di natura è di ipostasi.

19-11-07
La questione dell’enhypostasia (enupostaton)

Non è la stessa cosa, carissimi, l’ipostasi e l’enypostatizzato come è diversa l’ousia e ciò
che è nella essenza infatti l’ipostasi indica un qualcuno l’enhipostatizzato indica l’essenza.
L’ipostasi definisce una persona con le proprietà caratteristiche, l’enhipostatizzato indica che non
è un accidente quello che ha in un altro l’essere e non si contempla in se stesso. Di fatto sono tutte
le qualità che sono dette essenziali e epiesenziali, delle quali nessuna è l’essenza, cioè una realtà
sussistente ma ciò che si contempla sempre attorno all’essenza come il colore nel corpo e la
conoscenza nell’anima. Dunque colui che dice non c’è una natura anipostatica dice il vero ma non
conclude correttamente congiungendo il non essere anypostatico con l’essere una ipostasi. Come se
40
CTP 161
41
Equivalenza di fusis con ousia, ha ricevuto gli insegnamento di Giovanni il grammatico.
42
Ad ogni natura corrisponde un’ipostasi. p. es. non si trova mai la natura umana, ma sempre in una ipostasi.
43
Quando si guarda un uomo, sotto l’ipostasi c’è sempre una natura. L’ipostasi è anche una natura, ma la natura non
sempre si enhypostatizza.
44
Una doppia consistenza e sussistenza.
45
In un’aula essiste una sola natura umana, in sessanta modi per se stesse, in 60 ipostasi.
46
Siamo simili, però siamo 60 dovuta all’ipostasi, distinzione per numero.
47
Qui c’è la questione cristologica. La comunione dell’essere.
48
Si vede il monifisismo.
49
Le due nature
50
Le due nature giacciono insieme nell’unica ipostasi. Qui parla del Verbo incarnato, non del Verbo in se stesso. Qui
non si arriva ancora alla soluzione che verrà fino al concilio di Costantinopoli.
51
Modello antropologico: anima e corpo, che sussitono nella misura in cui essiste il concreto uomo.
uno dicesse che non esiste un corpo senza figura dicendo il vero ma poi concludesse non
correttamente che la figura è un corpo, ma non si contempla nel corpo.

Si istituisce una differenza tra l’ipostasi (indica un soggetto particolare, p. es. Pietro) e
l’enhypostatizzato (ciò che c’è dentro dell’ipostasi- ousia) e tra la essenza (essenza) con ciò che è
nell’assenza.
L’Enhypostaton non è un accidente, perché ciò che ha l’essere in un altro non è
necessariamente un accidente. E non si contempla in sé stesso.
Enhypostaton: sono le qualità essenziali delle nature, come p. es. il colore in un corpo. Non
indica la natura umana.
Il non essere anypostatico: non vuol dire essere un’ipostasi. Qui pensa alla natura umana
che è enhypostatica.
Quando contempliamo l’unica ipostasi in Gesù Cristo si vede che questa ipostasi è provvista
di tutte le qualità della natura divina e della natura umana. Queste qualità denotano le esistenza
della natura. Così collega enhypostaton non con l’ipostasi ma con la natura. La conpresenza di tutte
le qualità esenziali delle due nature indicano le due nature e una persona52.
Gli altri studiosi interpretano l’enhypostaton come la natura umana, che non ha la sua
ipostasi propria ma è enhypostatizzata nel Verbo. Questa idea è tipica del neocalcedonismo e anche
di Leonzio di Gerusalemme, non di questo autore. Questa dottrina dell’enhypostasia. Anche
Grillmeier, Dellei.
Per Grillmeier l’enhypostaton a piena realtà della divina ipostasi del Logos: sarebbe un
rafforzativo (non per il professore).

Anhypostaton: ciò che non ha una ipostasi. La natura umana di Cristo.


Enhypostaton: ciò che è nell’ipostasi? La natura umana di Cristo.
La natura umana di Cristo è anhypostatica ed enhypostatica (anche con la natura divina).

Tutto questo assicura l’esistenza delle due nature (difisismo). L’unica ipostasi non è una
unica natura, ma due nature con tutte le sue qualità essenziali.

Sguardo generale alla teologia e cristologia di Leonzio:


1. Il difisismo: Dire due non vuol dire dividere. Il numero è indicativo di una realtà, ma non la
divide. I severiani rimproverano i difisiti, dicendo che due nature dividevano Cristo in due
Cristi, due ipostasi. Il piano teorico delle definizioni è diverso di quello concreto della realtà.
a. Si può parlare di due nature solo prima dell’unione non dopo l’unione (severiani). Da
due nature e quindi una sola natura.
b. Prima dell’unione non esisteva la natura umana, non c’era nessun rapporto tra le
nature (Leonzio). Permanenza delle due nature nell’unione.
2. Il modo dell’unione.
a. L’enosis, viene definita in duplice modo:
’’L'unione secondo l’essenza o unione di essenze.
Le due essenze si incontrano e si permeano l’una con l’altra nell’ipostasi, ma senza
confondersi.
b. L’uso delle due formule era alternato, perché i calcedonesi non volevano essere
intesi come Nestoriani. Rigettavano l’enosis kata exian: secondo la dignità o secondo
la grazia, formule nestoriane, che indicano l’unione di grazia che ognuno di noi può
avere con Dio.
c. Enosis enhypostaton; unione enhypostatica: sarebbe quel tipo di unione in cui
entrano in relazione due nature nelle quali sono realmente esistenti le qualità
essenziali. Unione diretta senza mediazioni, permeazione dell’umanità e della
52
L’autore si serve di alcune categorie filosofiche per fare teologia.
divinità, per cui l’enhypostaton fa sì che l’unione si realizzi in una unica ipostasi.
Questa unione fa che le due nature non si mescolino o confondano. Permette il
contatto delle due nature nell’ipostasi. Il contatto delle nature avviene nell’ipostasi
(Gesù Cristo). Questo rapporto viene dato dall’enhypostaton, dalle qualità essenziali
e queste proprietà sono scambiabili.
3. L’effetto dell’unione (apotelesma).
a. Quando parla di ipostasi la definisce come effetto o compimento. L’ipostasi viene
anche chiamata atomon: l’indivisibile, individuale. L’uomo in cui era perfettamente
presente l’umanità. Solo in Cristo è presente il Verbo, in nessun altro uomo, ma dove
va a finire il Verbo di Dio? Nel neocalcedonismo c’è uno sbilanciamento
sull’ipostasi divina.
4. La communicatio idiomatum
a. È una dottrina alessandrina, che vuol dire affermare l’unità di Cristo. Leonzio dice
che non è possibile lo scambio delle proprietà se le fonti delle proprietà non restano
integre. La divinità non distrugge l’umanità.
5. Il soggetto dell’Incarnazione
a. C’è un tentativo di spiegare dove va a finire il Verbo? Il Verbo soggetto
dell’Incarnazione permane nella misura in cui permette l’unione.

La soluzione verrà data da Massimo il confessore: nell’azione creatrice del Verbo, tutto è
stato creato per mezzo di lui e opera anche nell’incarnazione. L’unione delle due nature è possibile
in virtù della forza creatrice che il Verbo ha.

CONCILIO COSTANTINOPOLITANO 553.

Giustiniano oltre ad essere imperatore (527-565 di imperatore 53) era teologo. Aveva favorito
ai tempi di Giustino il ritorno al calcedonismo, dopo la morte dell’imperatore Anastasio
(monofisita).
527 per tutto il periodo che regnerà Giustiniano ci sono state due operazioni teologiche,
tentativi di unione con i monofisiti54:
 Colatio cum severianis (532)
 Il sinodo del patriarca Mena (536)

Severo, vescovo di Antiochia, favorito dall’imperatore Anastasio, per diffondere la sua


cristologia di tipo ciriliano55, che propagandava la formula della mia fusis tou Logous
sesarcomene56. Una sola è la natura, che in Severo significa una natura concreta57 (= ipostasi), qui
sta il problema. Mentre per i calcedonesi: due fusei = due ousiai. Dicevano i severiani che il
concilio di calcedonia era nestoriano.
Il fronte Severiano era variegato58, c’erano soprattutto degli orientamenti più monofisiti,
come ps i seguaci di Giugliano Alicarnaso che vengo detti gli Aftartodoceti: monofisiti che
ritenevano che la carne di Cristo in virtù dell’Incarnazione era diventata incorruttibile,
indistruttibile, invulnerabile (), monofisismo radicale perché riteneva che la divinità
incontrando la divinità la rendesse indistruttibile, dunque Cristo non avrebbe sofferto, questo porta
53
Suo zio Giustino.
54
I monofisiti attuali sono dei severiani, non sono eutichiani.
55
Ricordare la polemica Cirillo-Nestorio.
56
Sesarcomene riferita a fusis non a Logos.
57
Ad ogni natura corresponde una ipostasi.
58
P. Allem. Severo di Antiochia; Frend, i monofisiti.
ad un docetismo (), in quanto l’umanità sembra tale ma non lo è. Il mistero dell’incarnazione
si ridurrebe a un attimo, perché assumendo la natura umana la trasforma e la aboglie.
L’aftartodocismo tirava fuori il problema della sofferenza di Cristo, noi possiamo dire che in
Cristo Dio ha sofferto in virtù della comunicazione delle proprietà, anche se di per sé stesso non lo
potrebbe fare.

Sergio il Grammatico:
Riteneva che in Cristo quando avviene l’incarnazione non esistono più le due serie di
proprietà, ma esiste un'unica proprietà mista, forma di monofisismo estremo, perché contiene il
problema del tertium quid, una natura mista, mescolata, un mostruo.

Il concilio del 553

Questione di Papa Vigilio, la disputa dei tre capitoli.


Papa Vigilio che si trovava alla corte di Costantinopoli (536 già con Papa Agapito).
L’imperatore voleva avere non solo il patriarca ma anche il Papa nelle sue mani.
Il 5 maggio del 553 si riunisce il concilio nei pressi di Santa Sofia e il Papa si rifiuta perché
bisognava condannare i tre capitoli perciò non voleva, perché non si era mai verificata mai una
condanna post-mortem e perché questi tre erano morti in comunione con la Chiesa, solo poteva
condannare alcune loro posizioni teologiche.
Invece presiede il concilio Eutiche, patriarca di Costantinopoli. Erano presente anche 145
vescovi, più i cinque patriarchi. Giustiniano voleva condannare anche le persone.
Se vengono i vescovi occidentali il Papa veniva al concilio. Il Papa non interviene e si
oppone drasticamente. Non ostante il 8 maggio vengono condannati Teodoro di Mopsuestia,
Teodoreto di Ciro ed Ibas di Edesa, capi della cristologia antiochena, i padri del Nestorianesimo.
Il Papa ha permesso il concilio, lui solo voleva dare la approvazione o meno. Il concilio dice
che i tre capitoli venivano condannati anche post-mortem perché erano caduti in errore.
2 giugno 553, ultima sessione dove vengono emanati 14 anatematismi, sintesi della
cristologia in questo periodo.
La novità del concilio sarà: l’equivalenza tra l’ipostasi e il Verbo di Dio, il Logos, la
seconda persona della santissima Trinità.
Due nature e una persona (Calcedonia).
In questo concilio vede un sbilanciamento verso la divinità.
Così il neocalcedonismo esiste solo dopo il concilio del 553, tesi del professore59.
Dopo il concilio aderirà alla condanna dei tre capitoli. Il Papa non cambia d’idea, ma si
adegua60.

TESTO: ANATEMATISMI DEL CONCILIO DI COSTANTINOPOLI II

2. Se qualcuno non confessa che ci sono due nascite (generazioni)61 o Verbo la prima dai
tempi del Padre, … l’altra alla fine dei giorni essendo egli disceso dai cieli ed
incarnatosi dalla santa gloriosa Madre di Dio, ed essendo stato generato da lei, costui
sia anatema.
3. Se qualcuno dice che uno è il Verbo di Dio che ha fatto i miracoli e un altro il Cristo che
ha patito, o dice il Dio Verbo si è unito al Cristo nato da una donna o che è in lui come
uno nell’altro e non lo stesso Signore nostro Gesù Cristo il Verbo di Dio incarnato e

59
536 condannato definitivamente Severo.
60
La seconda disputa origenista avviene in questo periodo (543) editto di condanna di Origene. San Saba si era accorto
che tra i suoi seguiaci c'era un origenista.
61
Verbo e uomo.
divenuto uomo, e che sono suoi sia i miracoli o i patimenti che volentieri ha sopportato
nella carne, costui sia anatema.

Colui che è nato da Maria è il Verbo, non il Verbo nel Cristo.

Il problema del duplice soggetto. Oppongono : l’uno e l’altro. Questo


anatematismi è contro i Nestoriani. Ricupero dell’unità del Verbo, dell’incarnato.
Il soggetto di attribuzione dei patimenti e dei miracoli è unico.

4. Se qualcuno dice secondo la grazia o secondo l’energia (operazione), oppure secondo lo


stesso onore, oppure secondo l’autorità o la elevazione o la convenienza o la potenza
l’unione del Dio Verbo è avuta con l’uomo o secondo la benevolenza come se il Verbo di
Dio avesse gradito l’uomo per aver avuto di lui stimma e piacere come il folle Teodoro
dice.

Vari tipi di unione nestoriane, che indicano una unione debole, cioè che tra il Verbo e Dio
esiste una unione debole, p. es. per grazia, che possiamo avere anche noi. L’unione deve essere
forte, il concilio sta ricuperando l’unione del soggetto. I padri capiscono che una posizione
veterocalcedonese può condurre al Nestorianesimo.

Oppure per omonimia secondo cui i nestoriani chiamando il Dio Verbo Gesù e
Cristo e ritenendo l’uomo separato da Cristo e dal Figlio e dicendo apertamente due
persone secondo una sola denominazione e onore e dignità e adorazione e fanno finta di
dire una sola persona e un solo Cristo.

Ma non confessa che l’unione del Dio verbo alla carne animata da…secondo la
62
sintesi ovvero l’ipostasi è avvenuta come i santi padri hanno insegnato.

E per questo una solo sua ipostasi che è il Signore Gesù Cristo uno della santa
Trinità questo sia anatema63.

8. Se uno confessando che l’unione dell’umanità e della divinità e avvenuta da due


nature oppure una sola natura del Dio Verbo incarnata non intende in questo modo come
hanno insegnato anche i santi padri che l’unione della natura divina e umana essendo
avvenuta secondo l’ipostasi a portato a compimento un solo Cristo, ma da tali espressioni
intende dire una sola natura ovvero essenza della divinità e della carne di Cristo, costui sia
anatema.

L’unione ipostatica è un’unione che né divide né confonde le nature, una unione che
mantiene unite le due nature, senza far perdere alle due nature la propria distinzione.

9. Se uno dice di adorare il Cristo in due nature di cui provengono due adorazioni, una
propria del Dio Verbo e altra dell’uomo, opperae se qualcuno per la divisione della carne o per la
divisione della divinità e dell’umanità o una sola natura ovvero essenza degli uniti ipotizzare così
adora il Cristo ma non con un'unica adorazione adora il Verbo incarnato con la sua propria carne
come anche la santa Chiesa di Dio ha tramandato dall’inizio sia anatema.

62
Idea non esclusiva di Severo, ma anche della teologia calcedonense di questo tempo.
63
Gesù Cristo è uno della Trinità. Caratteristica del neocalcedonismo. Assume la natura umana, ma non un soggetto
diverso di lui. Questo era già detto dai monaci sciti.
10. Se uno non confessa che colui che è stato crocifisso nella carne il Signore nostro Gesù
Cristo è Dio vero e Signore della gloria ed è uno della santa Trinità costui sia anatema.
La crocifissione è attribuita al Verbo.

3.12.07

LEONZIO DI GERUSALEMME

Fine del VI secolo e inizi del VI sec (Dell’Osso). Autore che è per lo più coevo di Massimo
il Confessore.

La questione prosopografica.
Opere (PG 86):
- Contro Monofisitas (esiste l’edizione critica, PTP Gray), opera breve.
- Contro Nestorianos. Opera in 8 libri, di cui abbiamo 7.

Edizione critica di Gray64

Secondo lui il unico manoscritto avrebbe due opere: una che sarebbe l’opera vera e propria il
Contro Monofisitas (Aporiae, anno 537, epoca di Giustiano) e Testimonia (antologia di testi dei
Padri: raccolta dei testi risalente agli anni 533-536, che allega a questa opera). La PG porta tutto di
seguito. Lui colloca l’autore attorno all’anno 532-534. Gray individua una differenza di stile
nell’ultima parte dove si parla dei giacobini. Una recensione dell’opera di Gray fatta da Wickham
espone l’opera di Gray e dice che la questione della datazione rimane incerta, il problema
dell’aggiunta rimane aperto. L’opera va collocata dopo l’anno 580.

Contro Nestorianos. C’è la questione relativa all’incoronazione dei figli nel seno della
madre e la prova relativa all’invasione e pressa cruenta di Gerusalemme, perché qui dice: “quante
anime furono uccise nella pressa di Gerusalemme” e presse di Gerusalemme sono state solo due
durante il secolo VII (614 e 6) quella degli arabi e quella dei persiani. Il testo andrebbe collocato
dopo l’anno 614, durante il 620 e 64065, prove esterne non interne e perciò forti.

La questione relativa alla teologia di Leonzio di Gerusalemme, che ci sembra più matura e
moderna rispetto agli autori che vivono prima dell’anno 553, del concilio. è una teologia in cui è
evidente che l’acquisizione del Concilio, sia l’unità idiomatica e ipostatica nel Logos è evidente:
Testo: Contro Nestorianos 5, L. 29:
Non si parla più dell’ipostasi come l’efetto dell’unione delle due nature.

Il problema teologico che nasce in questo periodo dopo il Costantinopolitano II,


nell’incarnzaione avviene nell’unica ipostasi niente oppure qualcosa? lui sembra dirci che in verità
non avviene nessun cambiamento né nella divina ipostasi, né nel suo prosopon, l’unione avviene
attraverso l’azione creatrice che soltanto appartiene a Dio. Il Logos è colui che crea, e anche
nell’incarnazione lui mantenga le sue prerogative creatrice, perciò l’incarnazione è una nuova
creazione.

64
Conosce l’articolo di Kraus Müller, Giornale di studi teologici e dice che la presenza del termino giacobini nel Contra
Monofisiti riferito ai siri nel 578 che muore Giaccomo Baradeo. Questo ci porta a datare l’opera a dopo il 580, invece
Gray dice che questa è una aggiunta o interpolazione.
65
Articolo Dell’Osso.
Di recente è stato anche detto che il Logos ha già in sé la possibilità di incarnarsi, faceva
parte della sua persona, rispondono a questa soluzione che se fosse così l’incarnazione avesse stato
necessaria.
Il problema è sull’immutabilità di Dio, dunque se è immutabile, non muta nell’incarnazione
oppure Dio è mutabile? Rimane valida la soluzione neocalcedonese o sia che la divina ipostasi
permanendo immutabile in virtù delle sue prerogative creatrici assume la natura umana. P.
Grillmeiller dice che la nostra fede è il nostro calcedonesimo.

Il modo dell’unione delle due nature

La divina ipostasi non subisce nessuna composizione, ma avviene un “arricchimento” dei


suoi divini idiomi o proprietà con quelli della natura umana. Nell’unione delle due nature il Verbo
ha anche gli idiomi umani. Si esclude così che Cristo abbia due ipostasi o che sia la sintesi di due.
L’unione si può concepire al livello delle idiomata, le proprietà, la presenza delle proprietà rivela
che nell’unica persona sono le due nature.

Una differenza nelle concezioni di Leonzio di Gerusalemme:


Tra anhypostatico (inesistente) e idiopostatico (colui che ha una esistenza propria). La natura
umana non è idiopostatico, ma questo non vuol dire che sia anhypostatica e dunque inesistente.
L’enhypostaton è la natura umana.

Bizantini 1556
Se l’uomo da noi sussiste non ha l’ipostasi come non insegni il contrario dicendo che colui
che sussiste è anhypostatico né infatti vi ricordate quello che ditte, né conservate ciò che noi
diciamo non vogliamo mostrarvi l’uomo del Signore anhypostatico, non sia mai, ma non
idiohypostatico o sia separato dal Verbo, perché non è la stessa cosa dire anhypostati e
idihypostatico, chi infatti dubiterebbe se l’essere in questo modo rispetto alle altre cose da una
parte l’essere assolutamente non fosse, sarebbe una cosa ridicola, oh sapientissimi.

L’opposizione tra to men.. e to de…

Distinzione tra anipostatico e idioipostatico (l’idiopostasi ci porta a una divisione del


Verbo). Qualora dovessimo parlare di una ipostasi di Cristo, facciamo una divisione del Verbo,
avendo due Cristi o due Figli.

kefal. le’ (b)

Il Logos divenne uomo per l’assunzione della natura umana, anche se la stessa ipostasi del
Verbo non assunse un prosopon,
avesse assunto anche l’ipostasi della carne, il Verbo non sarebbe diventato carne, ma il
Verbo avrebbe acquisito una carne.
La carne del Verbo non ha acquisito una carne come se fosse acquisito qualcosa altro da sé.
Se anche la sua natura è diventata natura della carne come l’ipostasi non avrebbe posto la
sua tenda in mezzo a noi carnali o sia nella carne, ma il Verbo si sarebbe mutato in essa. Non c’è
un mutamento della natura, non assume una ipostasi, non c’è nemmeno un cambiamento di natura.
Se uno dicesse che non può portare un’altra natura in se stesso non forse potrebbe
accogliere nella futura risurrezione la natura spirituale della nostra natura carnale?...
Il problema è sempre il rapporto con la natura umana trasformata dalla risurrezione. Qui
s’inserisce il discorso della soteriologia, con l’opera salvifica di Cristo. In virtù dell’incarnazione.
terza parte:

Infatti non diciamo che esiste una differenza di ipostasi nell’unica ipostasi del Verbo
se sappiamo la differenza degli idiomi particolari ipostatici, non diciamo l’unione del
Signore, l’unioni di differenti ipostasi, questo sarebbe del tutto impossibile.
Nemmeno la sintesi di differenti nature nell’unica originaria che è del Verbo e neppure
ammettiamo una seconda ipostasi.

Esempio
infatti non è necessario che deva essere qualcosa sia assolutamente e propriamente (non
necessariamente ciò che deve essere qualcosa, deve essere assolutamente propriamente). Infatti
nessuna delle case di una città è senza padrone. Non necessariamente ogni casa che ha un padrone
ha un solo padrone. Infatti sono tante e alcune hanno padroni comuni, così anche sono le nature. È
necessario che esse sussistano e che siano enipostatiche.

Esiste una città, una casa, un padrone, ma non tutte le case hanno un unico padrone, p. es.
uno che ha due case. Due nature che hanno un unico padrone.

IL MONDO LATINO

Italia, l’Africa del nord romana, Gallia, Hispania.

Tre grandi autori che ci dicono la situazione teologica in occidente: il diacono Liberato di
Cartagine, il diacono Rustico (nipote del Papa Vigilio) e Facondo di Ermiane. Qui permaneva la
teologia, perché a Roma ai tempi di Giustiniano era troppo sottomessa all’imperatore.
Il problema per gli occidentali era la condanna dei tre capitoli da Giustiniano: Teodoro di
Mopsuestia, Teodoreto di Ciro, e Ibas di Edesa. Secondo i condannatori i continuatori di Nestorio.
Gli occidentali vedevano un rifiuto del concilio di Calcedonia. Rustico che stava a Costantinopoli
insieme al Papa, come il primo non accetta la condanna, il Papa lo scomunica, va al nord d’Africa
fino alla morte di Giustiniano.

Liberato di Cartagine
Liberato dà un contributo alla questione cristologica.
Vive nella metà del VI sec. fa viaggi in oriente per comprendere la questione teologica.
Scrisse tra il 560 e il 565 che si intitola il breviarium causae nestorianorum et
eutichianorum. Resoconto della controversia cristologica a partire dal 428 elezione di Nestorio
come patriarca fino all’edito di condanna dei tre capitoli (543-44). La sua posizione è di difesa dei
cristiani che erano contrari a l’editto di condanna dei tre capitoli che sembrava contrario a
Calcedonia.

Facondo di Ermiane
Si trovava a Costantinopoli nel 544. La condanna consisteva nel ritenere questi tre autori
ispiratori e sostenitori di Nestorio. Facondo era contrario a questa condanna e si mette in
opposizione all’imperatore e sfugge ad Africa. Scrive Pro difentione trium capitolorum. Qui
troviamo il problema della condanna post mortem di personaggi morti in comunione con la Chiesa.
Mantiene la equidistanza tra la cristologia unitaria e divisiva.

Rustico (figlio del fratello di Papa Vigilio)


Nel 547 aveva accompagnato il Papa a Costantinopoli. Rustico non aveva accettato la
condanna, viene nel 550 scomunicato. Scrisse Disputatio contra acefalos (monofisiti, sulla
cristologia, in forma dialogica), In difesa dei tre capitoli, Contro i nestoriani.
Cita una serie di autori che verranno utilizzati da altri autori latini o greci. Gregorio
Nazianzeno, Cirillo. Si sofferma sul dogma di Maria Madre di Dio. Tentativo di rendere in latino i
termini di ipostasi: subsistentia, natura: substantia. Qui inizia la traduzione e il tentativo di rendere
in latino questioni che non erano latini.

Nel 565 il diacono Rustico torno a Costantinopoli e va al monasterio degli acemeti, per
consultare la biblioteca, dove c’erano gli atti del concilio di Calcedonia e le opere difisite. Qui
scrive Sinodicon in difesa di Efeso e Calcedonia, difende l’ortodossia di Teodoreto di Ciro.

Liberato visitò anche questo monastero degli acemeti. Non c’era qui un centro teologico.

Disputatio contra Acefalos


Eretico. E che centra questo con la questione proposta in precedenza, ho chiesto perché un
uomo perfetto abbia una persona non perfetta e questo desidero assolutamente ascoltare.
Rustico. In fatti anche questo è stato detto ma poiché non hai prestato affatto attenzione
ascolta perché l0’umanità perfetta del Signore sia una natura non avendo pero per se stessa una
persona. E perché non ci siano due persone di Cristo, ma un a soltanto, infatti la causa, come
anche tu hai detto agli inizio del discorso se pur riferendoti ad altro è il Dio Verbo, la causa della
carne assunta. In cui come su un fondamento quella natura assunta che è forma del servo su cui si
fonda come su un fondamento quella natura assunta.
Assunta affinché il Verbo di Dio che è Figlio eterno divenisse negli ultimi tempi uomo per la
nostra salvezza.
Infatti né l’uomo avrebbe potuto avere origine da una vergine se non fosse piaciuto a Dio,
redimere noi attraverso di lui in modo ineffabile secondo l’ipostasi a sé unita,… in una sola
persona e una sola ipostasi, probabilmente ciò che è unito da cui qualsivoglia cosa di lui cominciò
a sussistere in una persona e ipostasi come abbiamo detto spesso.

La natura umana ha il suo fondamento nel Verbo. Si vede il Verbo Dio come fondamento
della natura umana66.

Igitur. Dunque anche se nel percorso intellettuale ovvero nella speculazione acutissima,
l’umanità del Signore Cristo sembra essere intessa come sostanza e persona infatti non ha niente di
meno rispetto alle altre ipostasi razionali ed individuali.

Ma tuttavia intelletta per se stessa sembra essere questo ma non già come unita al Verbo,
quando in verità la mente avrà ricondotto ciò che è umano, non per così dire ciò che è in se stesso
ma fatto …l’ipostasi del Dio verbo non può questo essere intesso come una persona, poiché infatti
non è detto propriamente ipostasi ciò la cui causa di sussistenza è un’altra, cioè il Verbo, ciò che è
eterno.
Ipostasi non si intende più nel senso capadoce (epistola 214, Basilio), come il propium
rispetto al comune. Qui vuol dire una cosa che permane in sé stessa e diviene idiom a causa
dell’unione.
Non possiamo accogliere una natura umana priva di individualità (principio di
individualità). Bisogna superare il modo come lo intendevano i capadoci. Si da al concetto di
ipostasi quello di sussistenza. La natura umana ha il suo fondamento nel Verbo, ma non è del tutto
privo della sua individualità. I latini chiariscono il concilio.

66
Schmaus. Per capire la teologia preconciliare. Una natura e tre sussistenze.
Se una natura non permane in se stessa, non si può chiamare persona, perché la ragione
della sua sussistenza è il Verbo.
La natura umana fondandosi sul Verbo, ha qualcosa di proprio, ha una sua
individualità (non individuo), per non far svanire la natura umana (“ha una consistenza
ontologica”, interpretazione)
Id quod umanus est. fondandosi sul Verbo, ha qualcosa di proprio (idion).

Questo propium (non indica un’altra ipostasi o persona, perché non permane in sé stesso) va
riferito a proprium…

Nam si
Infatti se l’uomo fosse una ipostasi non occorreva che il solo Dio Verbo lo accogliesse in sé
stesso e potesse fondare in sé stesso ciò che è nostro. Ma piuttosto o l’uomo preesistente avrebbe
fatto proprio il Dio Verbo o piuttosto entrambi preesistenti sarebbero uniti vicendevolmente e
l’unico…non si sarebbe verificata e persistendo ognuno presso di sé in modo puro.
Persona è ciò che fonda, non è più solo individuo.

La natura umana non permane in sé, ma si fonda nel Verbo.


Persona vuol dire rimanere in sé stesso (nella propria sussistenza), essere per sé o in sé.
Questo è comunicato alla natura umana di Cristo dal Verbo. Quindi la natura umana è
perfetta, ha l’essere perfetto, ma non il essere in sé e per sé, perché questo va intesso nel
Verbo, nel Logos. L’individualità piena della natura umana è possibile nella misura in cui è
rapportata al unico soggetto ovvero al Logos, questa soluzione fa usciere da piccolo ceco
dovuto alla identificazione di persona e individuo.67

07.01.2008

Continuiamo con la lettura di Facondo.

Pressa di posizione rispetto al nestorianesimo. Gli occidentali sapevano di essere accusati di


Nestorianesimo dagli orientali.
Il pericolo del monofisismo. Sembra che il monofisismo abbia aiutato alla caduta
dell’impero.

Ad iustinianum I, III, Facondo (testo in latino)

14. Devono prendere in considerazione coloro che si impegnano superficialmente in parole


caziose (giri di parole) che non diciamo allo stesso tempo e insieme un solo Figlio della trinità
crocifisso come se intendessimo introdurre tre o due figli, ma noi dicendo prima cosa che il grande
sinodo ha confermato, che uno dalla trinità si è incarnato, è patito e crocifisso, poi quando
saremmo interrogati in che senso diciamo questo uno della trinità? Rettamente rispondiamo
inseguito il Figlio.

Non si può utilizzare insieme l’espressione uno e Figlio (unus et Filius), ma si deve dire
uno della Trinità è stato crocifisso e quando si chiede chi è si deve rispondere il Figlio68. Se
diciamo un figli intendiamo che nella Trinità ci sono altri.

67
421, Greilmeiller, 2,2. Nuevo concetto della inssussistenza.
68
Lettere tra Cirillo e Nestorio, Lettere di Gregorio di Nazianzo.
15. Non si dice poi correttamente allo stesso tempo un Figlio della trinità si è incarnato è
patito o è stato crocifisso, ma non è conseguente che le cose che si dicono correttamente insieme
anche non si dicano rettamente singolarmente. E non facciano finta di non capire, siano convinti e
ammoniti dalle sue stesse parole.
Se è vero che on si può dire un Figlio della Trinità, non è sbagliato dirlo singolarmente,
insieme sono sbagliate, separate sono corrette.
16. Infatti anche loro mentre dicono correttamente che una persona della trinità è stata
crocifissa, quel famoso santo e ammirabile nella dottrina Agostino nell’opera che scrisse sulla
predestinazione, la perseveranza dei santi disse: è fedele (=ortodosso) chi crede e confessa che in
lui c’è una vera natura umana, cioè la nostra, benché il Dio verbo l’abbia pressa singolarmente e
l’abbia elevata nell’unico Figlio di Dio, così che colui che prende è ciò che prende fosse una sola
persona nella Trinità.

17. Quando essi stessi dicono rettamente secondo che una persona della trinità è stata
crocifissa e poi interrogati di chi dicano che sia questa medesima persona correttamente
rispondono del Figlio, non tuttavia ciò che singolarmente dicono correttamente anche potranno
dire rettamente allo stesso tempo congiuntamente, cioè, non possono dire una persona del Figlio
crocifissa della trinità come se fossero due le persone del Figlio.

è necessario dire una persona della Trinità.

“Unus de Trinitate passus est”


- Proviene dell’ambiente dei monaci sciti.
- Può essere in senso patripassiano, può indicare il Padre.
- Indicherebbe anche un altro figlio (Nestoriana). Da questo Facondo prende le distanze.
Tutte le formule antiche si prestano a una duplice interpretazione.

18. Si può dire singolarmente unus ex trinita…


Non va bene unus filius ex Trinitate…

Sa che gli occidentali erano accusati di nestorianesimo, il Papa aveva preso le distanza della
condanna dei tre capitoli e poi aderito.

Prende le distanze dal nestorianesimo:


19. ma dire una sola persona non esclude un nuovo superfugio dei nestoriani che avendo
porodotto innumerboli testimonianze…secondo cui il Verbo …una sola persona o ritengono che
èstatot detto da loro
in questo modo si dica che l’uomo Gesù Cristo [non si può dire] è detto aver gestito (gero)
una persona, la persona del Verbo, così anche … l’apostolo gestì la persona del Verbo che
scrivendo ai corinzi dice…anche io ciò che ho donato.. nella persona del Cristo ve lo donata,
affinché non siamo ingannati da satana. Non come se fosse lo stesso…
La persona umana di Cristo non può gestire il Verbo come Paolo dice.
Non è una unione morale (spirituale), ma di tipo ipostatico.

20. Quando in verità si dice correttamente uno della Trinità…questa espressione utile
devono capire e approvare coloro che non volevano che si dicesse che perché la frode dei
nestoriani è già stata scussa sufficente
Conclusione: Questa espressione si rivela utile per gli occidentali al fine di evitare la accusa
di Nestorianesimo, che ritenevano di credere in due Cristi e due Figli.
565 muore Giustiniano dopo 38 anni di regno. Alla morte di G. i monofisiti non erano stati
sconfitti, né si erano adattato ala fede ortodossa. Tutti i succesori di G. fecero una politica
ambivalente: imponevano e dialogavano fino che si giunge all’imperatore Eraclio nel 611-639/640,
della prima metà del VI sec.
Nel 614 l’invasione persiana dovuta al Gerusalemme Cosroe. I persiani si erano alleati con i
monofisiti che erano anti-imperiali. I calcedonesi erano imperiali e venivano chiamati Melchiti.
Eraclio manderà via i persiani nell’anno 629. Politica di compromesso con questi monofisiti, così
nasce il monoenergismo.
Il patriarca di Costantipoli Sergio per arginare la questione esiste tra monofisiti e
calcedonesi, utilizza il concetto di “energeia", che significa “operazione” “attività” “fonte delle
attività”, i monofisiti da Apolinare in poi dicevano che in Cristo c’è una sola fonte delle operazioni.
Il monotelismo è una attenuazione del monoenergismo.
In Cristo (due nature) c’è una sola (energia, perché una è la persona). Secondo loro l’energia
è collegata alla persona. Questo è eretico, non si può togliere la energia della natura.
L’attaccano Sofronio, patriarca di Gerusalemme e Massimo il Confessore.
634 fu interpellato anche il papa Onorio che era informato di questi contrasti. Il Papa dice
che si deve parlare di una sola volontà (monotelismo), Sergio accoglie questa proposta del Papa.
Nell’anno 638 Eraclio emana una professione di fede.

EKTHESIS DI ERACLIO

Per ciò noi sappiamo un solo Figlio il Signore nostro Gesù Cristo dal Padre ingenerato e
dalla madre senza macchia, lo stesso eterno e terreno (alla fine dei tempi) impassibile, invisibile…
annunciamo i miracoli e i patimenti di uno solo e dello stesso e attribuiamo ogni energia (attività)
divinia e umana all’unico è stesso Verbo incarnato e facciamo una sola adorazione allo stesso, a
lui che è stato crocifisso nella carne volentieri e veramente per noi…
In questa definizione si prenda le distanze dalla duplice energia. Ogni energia divina e
umana è attribuita allo stesso Verbo incarnato, si vuole evitare la duplice energia. Quindi sotto c’è
un monoenergismo. Si dice ogni, non si dice né una né due.

A nessuno permettendo di dire o di insegnare una o due energie nella divina incarnazione
del Signore
Non dobbiamo dire una né due.
Ma piuttosto come i santi ed…uno e lo stesso…confessiamo che ha operato le cose divine e
quelle umane.
Ogni energia che conviene a Dio e che conviene all’uomo procede dall’uno e lo stesso Dio
il Verbo incarnato, senza divisione e senza confusione e che si riferisce all’uno e allo stesso.
Da una parte nega: non permettiamo a nessuno di insegnare uno o due energie, ma da altra
dice che ogni energie discende dell’unico Signore. Qua il problema è il collegamento della energia
alla persona, ma invece noi con Massimo collegammo la energia alle nature.

dia to
poiché la voce dell’unica energia anche se ê stata detta da alcuni padri; tuttavia ê strana e
turba le orecchie di alcuni che ipotizzano che questa conduce alla negazione delle due nature unite
in Cristo Dio nostro; cosî anche scandalizza a molti la espressione delle due energie perché non é
stata detta dai santi é illustri maestri della Chiesa.
Ma infatti seguirebbe a questa espressione che ci sono anche due volontà che si oppongono
l’una all’altra cose il Dio Verbo volesse compiere la sofferenza salvifica mentre la sua umanità si
opponesse alla sua volontà e la contrastasse e dunque si introdurrebbero due soggetti che voglio
realtà contrastanti il che è empio ed è straneo alla dottrina cristiana.
Se fossero due energie dovrebbero essere due volontà.
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per cui seguendo i santi Padri in tutto ed anche in questo confessiamo una sola volontà del
Signore nostro Gesù Cristo Dio vero dal momento che in nessun momento, così che il naturale
movimento (naturale attività) della carne animata razionalmente non ha mai agito separatamente e
di proprio impulso contro la disposizione del Dio Verbo unito alla carne secondo l’ipostasi ma
quando e come e quanto il Dio stesso ha voluto.

Diventa fede dell’impero il monotelismo

MASSIMO IL CONFESSORE

Reazione a questa posizione da M. Ultimo grande teologo dell’epoca patristica. P. 134ss 69.
Due redazioni della sua vita: greca (più solita) e siriaca ().
Oltre a 100 anni di distanza da quella che era la teologia calcedonense e postcalcedonense.
Siamo nel VII sec.
I concetti di essenza, natura, ipostasi e ousia riecheggiano quella teologia. Concettualmente
M. dipende di questi teologi del VI sec. soprattutto da Leonzio. Vengono utilizzati in chiave
antimonoenergita e antimonotelita.
I termini interessanti sono gli “Opuscula Theologica": una serie di scritti con vari titoli: De
duabus Christi naturae, De substantia, Epistola 15.
Solo ripete Basilio di Basilea: riferisce la natura a quello comune e ipostasi a quello proprio.
P. 136
Un elemento interessante è quello dell’enhypostaton: sono le proprietà esenziali delle due
nature.
L’unione può essere secondo la essenza, l’ipostasia, la forma, per approssimazione, per
armonia, per crasi, ecc. Quelli più unitivi e quelli più divisivi. Dice solo quello detto in precedenza.
Troviamo l’utilizzo della teologia Trinitaria dei padri capadoci: Gregorio Nazianzeno
(Epistola).
Il suo apporto nuovo è in chiave monotelita.
Secondo m l’ipostasi è sintetos: sintetica o composta. O meglio una complessità dell’ipostasi
del Verbo.

Caratteristiche del Enhypostaton:


- Non è sussistente per sé, quindi non è una ipostasi.
- Si contempla negli altri, ma non è accidente.
- È in composizione con un altro per generare un tutto.

Ipostasis sintetos: la sintassi delle nature avviene nel Verbo. L’assunzione della natura
umana. Il Verbo opera la sintesi. Non va confusa con l’effetto dell’unione, cioè con Gesù Cristo,
non è il concreto Gesù Cristo questa ipostasi. Significa che il Logos nell’assumere la natura umana
in un certo senso recepisce una composizione nella sua ipostasi. Tale composizione è grazie alla
enhypostasia della natura umana.

La cosiddetta formula tripartita (questa è la vera novità, p. 142) è la soluzione cristologia


che Massimo propone tra la formula da due nature (severiana) e in due nature (calcedonense).
Cristo non è solo da queste due nature, ma anche in queste e Cristo è queste due nature. Questa è la
formula più completa dalla cristologia di questa epoca.
Cristo è:
- Da due nature (Ciriliana-Severo)
69
Testo Dell’Osso.
- In due nature (Antiochena)
- È in due nature (Massimo)

Quando diciamo Cristo evochiamo le due nature. Questo è il senso della formula tripartita.

Conclusione: Massimo si nutre dalla tradizione patristica antiseveriana del VI sec. Il


monoenergismo e monotelismo attingeva alla tradizione Severiana.

Per alcuni è un monofisismo verbale per la matrice Severiana, ma sicuramente i severiani


non venivano considerati ortodossi nell’antichità.

Questo testo si oppone all’ektesis di Eraclio.

Non è possibile dire una sola volontà in Cristo. Titolo

Il nome Cristo non è indicativo della natura, ma dela natura sintetica [non indica il concreto
Gesù Cristo, ma Cristo è l’ipostasi sintetica, il Logos che assunto la natura umana perfetta].

O sia tutto il Cristo è Signore e Dio avendo in sé stesso la carne che ha assunto per noi e
per la nostra salvezza in modo indiviso e inconfuso. Una carne passibile e non onnipiontete,
visibile, circonscritta, non onnipotente per natura ma che ha una volontà onnipotente in Cristo.
Abbiamo un collegamento della volontà alla natura. Il problema è come collocare la volontà in
Cristo. Quali sono le facoltà dell’anima: intelligenza e volontà. L’anima risiede in una natura
umana. Se l’umanità è perfetta in Cristo, è provvisto di una natura e volontà umana perfetta. Se si
toglie la volontà si agisce sull’anima (fatto già da Apollinare).

Infatti non per l’ipostasi il Cristo è mortale e immortale…ma alcune cose per nature,
qualche altra per ipostasi, e per dirla in breve non per la oposizione della volontà ma nella
proprietà della natura, uno è infatti Cristo.
In Cristo ci sono delle cose che si oppongono ma non in virtù di volontà ma in virtù della
diversità delle nature.

In fatti consolo come ho già detto il Cristo, le une e le altre cose per natura infatti quando
dice non come io voglio, ma come voi tu …indica che si è rivestito veramente della carne che ha
timore della morte.

….

Vuv
La natura umana è perfetta.

Disprezzando di dire o confessare due volontà nell’unico e solo Cristo, colui che rifiuta di
dire e confessare due volontà…
Questa unica volontà che afferma di lui, senza principio e coeterna al Padre e allo Spirito
Santo, in quantità e tutta divina semplice e asintetica come la natura divina o ti sembra essere
qualcosa di straneo a causa dell’incarnazione.

Questa unica volontà che tu riconosci è tutta divina? Oppure è qualcosa di estraneo a causa
dell’incarnazione? La volontà umana sta in perfetta sintonia con la volontà divina.

Dici qual è il nome di questa volontà.


Io indico quella prima dell’incarnazione, la volontà divina.

Come nella realtà divina triipostatica esiste una unica volontà.


Nella trinità c’è una sola volontà.

Tutti concorderanno
E anche se tu voi o non

Seconda parte:
Dici dunque il nome dopo l’incarnazione, qual è nome abbia.
Ricerchiamo tutto l’Antico e Nuovo Testamento, di il nome di questa sola volontà che hai
trovato in Cristo.

Ricerca e non indugiare

Ma poiché la volontà divina è detta divina e la v.umana è detta umana, di il Cristo ha una
volontà
Con l’incarnazione e dopo l’incarnazione la sua volontà è teandrica? Non si può attribuire
questa volontà a Cristo.

Dal momento che il Padre e lo Spirito Santo non hanno una volontà teandrica.

Ma forse osserai dire che è composta, sintetica similmente a sua volta questo è nuovo per la
divinità, ma forse la dici naturale, confonderai anche tu come Severo, due nature
È imposibile due nature che diventino una natura o una sola volontà natura senza
confusione.
Ma la riterrai una unica volontà ipostatica rendereai straneo il Figlio al Padre e
introducendo tre volontà apparirai, sembrerai introdurre delle volontà che non concordano tra di
loro come le tre ipostasi.

Il rischio di riconoscere una volontà mista e quella di opporre anche la volontà all’interno
della Trinità.
p. 134-142. La teologia del

Esame: 3 giorni, 10 al matino e 10 al pomeriggio, 1 settimana, Venerdì 1 febraio, Giovedì 7,


Venerdì 8.
Si parte dai testi. Leggere, tradurre e commentare.

II Simonetti:

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