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della teologia d
Patrologi
ogmatica, prima vengano
proposti glia stessi temi
biblici. Si illustri poi a gli
alunni il contributo dei
Padri della Chiesa
d'Oriente e d'Occidente
nella fedele trasmissione
ed enucleazione delle
singole verità rivelate,
nonché l'ulteriore storia
del dogma, considerando
anche i rapporti di questa
Patrologia
INTRODUZIONE
Nell'insegnamento della teologia dogmatica, prima vengano proposti gli stessi temi biblici. Si illustri
poi agli alunni il contributo dei Padri della Chiesa d'Oriente e d'Occidente nella fedele trasmissione ed
enucleazione delle singole verità rivelate, nonché l'ulteriore storia del dogma, considerando anche i
rapporti di questa con la storia generale della Chiesa (35). (OT16).
Meditare, riflettere, comunicare: sono questi i verbi della teologia patristica che è teologia biblica e perciò
appare fondamentale tale approccio.
Quando parliamo di patrologia ci rifacciamo al discorso, alla scienza dei Padri della Chiesa. Si studia tale
letteratura o come patrologia o come patristica o come letteratura cristiana antica. Tutti si soffermano sui
primi 5 secoli di vita della Chiesa ma la prima si sofferma su storia, dottrina…; la seconda fa uno studio
dogmatico dei padri nel loro valore ecclesiale; la terza è una disciplina letteraria più che teologica così che
studia aspetti stilistici e/o filologici.
Oggi studiamo i padri della Chiesa poiché essi hanno dato vita ad una vitalità perenne che continua a
parlare in tutti i tempi; celebre è il risveglio del XIX secolo. De Lubac e von-Balzasarsono fautori poi di un
ulteriore risveglio che dà vita ad un movimento patristico che si spinge al Concilio. C’è il pericolo di un
distacco da tale tradizione che il documento del 1989 richiama a rifuggire.
1.3 Distacco dalla tradizione ecclesiastica
―All‘indomani del concilio nei confronti dei padri un clima tiepido di minore interesse....Si tratta di tendenze,
talvolta troppo spinte, che favoriscono un certo distacco dalla tradizione ecclesiastica‖ (Presentazione all‘Istruzione della
Congregazione per L’Educazione Cattolica: Lo Studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale, p. 2).
Paolo VI sottolinea come sia necessario per un rinnovamento sulla scia del Vaticano II mettersi alla scuola
dei Padri per trovare
orientamenti e luci per superare le difficoltà post-conciliari e per capire come la Chiesa ha accolto la
Bibbia, così che ritorno alla Scrittura è ritorno ai padri;
chiari criteri di discernimento morale e dottrinali per camminare più sicuri in mezzo alle attuali
trasformazioni culturali e sociali:
sorgenti di spiritualità per i diversi movimenti che sorgono dalle spinte dello Spirito.
Nel 410 l’arrivo dei barbari e il sacco di Roma nessuno pensava fossero possibili. Nel De civitate Dei
Agostino descrive ciò e sostiene che i pagani accusano i cristiani di essere responsabili della caduta di Roma
per il fatto che essi non pregavano più gli dei. Nell’attacco alle Twin Towers c’è stato un vero e proprio
cambio di mentalità, esattamente come alla caduta di Roma. Gli attacchi contro il cristianesimo seguono tale
grande immagine del mondo che cambia. Per questo oggi possiamo dire che i padri ci aiutano a rispondere alle
trasformazioni di un mondo che cambia.
2. LA FORMAZIONE DEL NT
Sezione 2: Gli Apocrifi Biblici: canonizzazione del Nuovo
Testamento, gli apocrifi ed il Protovangelo di Giacomo
2.1. CANONIZZAZIONE DEL NT
Ritorniamo al principio della letteratura cristiana: la 1Ts è il testo più antico del NT. Ben presto nel II
secolo si forma una letteratura che moltiplica i testi e ne propone di eterodossi: lo gnosticismo anzitutto che
redige e venera tali testi. Un’altra parte della letteratura è quella dei padri apostolici che veniva ritenuta
canonica: la lettera di Clemente ai Corinzi ne è un esempio.
Attorno al 144 si provoca il primo moto di canonizzazione degli scritti cristiani: e ciò a causa di Marcione che
propone il suo canone radicale (Lc e 10 lettere paoline, rifiutandone ogni elemento giudaico). Si comincia così
a comprendere la necessità di sancire quali testi devono essere ritenuti propri della Chiesa.
4. I tre criteri operativi nella canonizzazione del NT
(1) Origine apostolica
(2) Il ruolo delle chiese locali nell‘accoglienza del libro
(3) Regula Fide= la norma che delimita l‘ambito della ricerca cristiana della verità
Criteri sono: origine apostolica, anzitutto. Vi erano testi che facevano fatica ad essere accettati:
esemplificativa è la lettera agli Ebrei, di dubbia origine paolina (al tempo). L’atteggiamento occidentale viene
dal contrasto con il Pastore di Erma poiché in esso si parla per la prima volta di una possibile penitenza anche
dopo il Battesimo, mentre Eb 6,4-6 non accetta tale visione. Si capisce la tradizione di misericordia propria
dell’Occidente.
Se le Chiese apostoliche leggono un libro, allora questo riceve autorità. Sarà Ireneo a dare un criterio, un
canone sostenendo come se si legge a Roma, allora è canonico. Se la comunità ricorda la tradizione orale degli
apostoli e se arriva un documento dal contenuto differente, come può accettarlo? Per questo Ireneo sottolinea
che Policarpo era fedele agli apostoli.
Ultimo criterio era la regula fidei: doveva avere contenuto ortodosso; ma come definire ortodosso un testo
ai primordi della Chiesa? Con Kelly sosteniamo che vi era un chiaro contenuto di tale regola, pur non avendo
una o più formule fisse; bisogna rimanere guardinghi da apparenti cenni del simbolo negli scritti dei padri. I
punti centrali sono: vi è un unico Dio e il suo Figlio si è incarnato essendo davvero Dio e davvero uomo. E ciò
soprattutto era necessario per difendersi dagli gnostici.
Fortemente importante è il canone muratoriano ove sono assenti Eb, 1Pt, 2Pt, Gc e una lettera di Gv. Le
liste complete le abbiamo in Oriente nel 367 nella lettera pasquale di Atanasio e in Occidente nel 382 ad
opera di papa Damaso: nel Decretum gelasianum de libris recipiendis et non recipiendis (cap. 1-3) troviamo
l’elenco accanto ai padri e ai concili definiti ortodossi e ai testi ritenuti apocrifi.
2.2. APOCRIFI
Con apocrifo si intende segreto: sono scritti per un gruppo di iniziati da una dottrina; nel cattolicesimo,
sono apocrifi i testi falsi, eretici e tendenziosi. Nascono per riempire i vuoti della vita nascosta di Gesù, di
Maria e dei ministeri degli apostoli. Di solito, gli autori per dare credibilità si danno il nome o uno o più
personaggi fondamentali del NT. Di per sé, eretico e apocrifo non sono sinonimi: vi sono apocrifi che
riportano dottrine importanti per la Chiesa, particolarmente per Maria. Accanto a ciò, vi è puntualmente la
fantasia di miracoli ed eventi strani che rendono impossibile l’inserimento nel canone. Origene sostiene che nei
testi canonici vi è materiale degli apocrifi: forse sono esclusi perché vi sono verità che la mente umana non può
e non sa comprendere.
Per lo scrittore ecclesiastico allora forse vi sono verità accettabili: ciò fu possibile ad apostoli ed evangelisti,
non a noi. Così, Gd 14-15 parla di Enoch 1,9. Così farà la Chiesa col testo di Giacomo. Così nei vangeli
apocrifi vi è materiale proveniente da testimoni oculari o dedotti dall’ambiente dove vissero Gesù e apostoli e
famiglia o sono cose inventate.
IL PROTOVANGELO DI GIACOMO
3. I PADRI APOSTOLICI
Sezione 3: La letteratura dei Padri Apostolici: 1 Lettera di Clemente ai
Corinzi, la Didaché, la Lettera di Barnaba, la Lettera a Diogneto ed il
Pastore di Erma.
Il periodo che trascorre tra il 90 e il 160 dà vita alla letteratura sub-apostolica. È lo stesso ambiente degli
scritti del NT. Jean-Baptiste Cotelier pubblicò a Parigi nel 1672 la prima edizione di questi Padri: Patres aevi
apostolici e include gli autori dei testi in questione. Solo nel XIX secolo abbiamo per la prima volta uno degli
scritti centrali di questo periodo, la Didachè. Abbiamo ancora il Pastore di Ermae la Lettera di Barnaba che
definiamo apocrifi e la Lettera a Diogneto che è apologetica greca. Non è un gruppo omogeneo di scritti.
Sono scritti apocrifi, come greco apologetico. Per valore, vengono immediatamente dopo gli scritti den NT,
tanto che il Pastore di Erma è da principio letto nella liturgia. Alcuni prendevano uno status canonico e
vengono utilizzato nella liturgia in parecchi luoghi ma non per noi.
È forte il respiro apostolico in queste opere; anche teologia, lingua, espressioni legate alla vita quotidiana
richiamano gli apostoli perché sono stati scritti dai discepoli degli apostoli. Possiamo quindi affermare che
forte è il legame tra Rivelazione e Tradizione.
In sintesi, le caratteristiche di questa letteratura sono:
(1) obbedienza Ecclesiastica;
(2) posizione forte contro eresie e scismi;
(3) profondo senso escatologico;
(4) ricordo vivido della persona di Cristo;
(5) cristologia più o meno uniforme;
(6) esposizione della fede, ma non scientifica.Perché è intercomunitaria e non per gli altri.
3.1. LETTERA DI SAN CLEMENTE AI CORINTI
È la più antica subito dopo in NT ed è contemporanea alla II lettera di Pietro (qualcuno ipotizza che
questa sia stata scritta nel 125, ma è troppo troppo tardi). Dopo Nerone e dopo la persecuzione di
Domiziano, si redige tale lettera. Apostoli e successori immediati di questi sono ormai morti. Nella lettera a
papa Sotero di Dionigi di Corinto si legge che tale epistolaè proclamata nella liturgia.
Vi è uno scisma a Corinto: i giovani hanno tolto gli anziani dalla direzione della Chiesa locale; era
un’esigua minoranza. La comunità romana si rende conto di tale situazione grazie ad alcuni cristiani di Roma
che, di ritorno da Corinto, riferirono che l’accoglienza fredda ricevuta li aveva portati a “scoprire” le difficoltà
in seno alla comunità. Così senza alcuna sollecitazione Roma interviene. Si parla di disgrazia improvvisa – la
persecuzione di Domiziano – che non aveva concesso un più immediato intervento. Al centro il richiamo: c’era
una giusta gerarchia a Corinto e voi avete escluso i capi e li ignorate.
L’autore è di discendenza giudaica; cista spesso l’AT e solo due volte i vangeli; parla a nome della comunità
romana.
3.1 Indirizzo e saluto della Lettera (di San Clemente Romano) ai Corinti
―La Chiesa di Dio che dimora in Roma, alla Chiesa di Dio che dimora in Corinto, ai chiamati e santificati nella
volontà di Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo. Grazia a voi e pace in abbondanza dall‘onnipotente Dio per
mezzo di Gesù Cristo‖ (I Clemente).
Il nome Clemente non si trova nella lettera ma sin dall’antichità c’è comune accordo nell’attribuirgliela.
Secondo Ireneo, Clemente è terzo successoredi Pietro (90/92-101); nelle Adversus haereses dice che egli “ha
ancora nelle orecchie la predicazione e davanti agli occhi la loro Tradizione” e gli attribuisce la lettera inviata
per confermare la regula fidei.
3.2 La Successione Apostolica a Roma secondo Sant‟Ireneo
―Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell‘episcopato; di
questo Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo. A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire
dagli apostoli, riceve in sorte l‘episcopato Clemente, ... Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non
piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi una importantissima lettera per riconciliarli nella
4. IGNAZIO
Ignazio è un pagano convertito al cristianesimo, secondo successore di San Pietro (Pietro, Evodio, Ignazio)
sulla sede di Antiochia in Siria. Famoso come vescovo carismatico martire. Mentre viene portato a Roma per
subire il martirio scrive 7 lettere (Efesi, Magnesiaci, Trallesi, Romani, Filadelfiesi, Smirnesi, e a Policarpo da
Smirna). Subì il martirio tra il 107-110. 13 o 14 anni dopo la lettera di Clemente. Nella lettera romana è
l’unica in cui non viene nominato un vescovo.
4.1. LE LETTERE
Ci sono tre temi principali in queste lettere:
mette in guardia contro le dottrine eretiche. C’erano alcune sette giudaiche cristiane che negavano la
divinità di Cristo (non è antigiudaica ma contro il principio giudaizzante della cristianità). Inoltre mette in
guardia contro il docetismo: dokein significa sembrare. Se Dio è immutabile, impassibile, come sarebbe
che Dio soffra sulla terra e sia crocifisso? La risposta è che l’umanità di Cristo sia solo un’apparenza. Ci
sono eretici tra i cristiani che negano la vera incarnazione e così si può salvaguardare l’immutabilità e
l’impassibilità di Dio. Ignazio insisterà su Incarnazione, Eucarestia in cui è presente la vera carne di Cristo,
cioè corpo e sangue di Gesù. È molto importante per Ignazio che sta andando al martirio, perché si chiede:
se Cristo non avesse sofferto, perché dovrei soffrir io? Ignazio scrive il suo martirio in termini eucaristici.
Se uno nega lì Incarnazione dovrebbe negare l0eucarestia e il valore del martirio;
l’unità della teologia. Quando parla di quest’unione, è il modello fondamentale di ogni unità e in questo
senso dell’unità ecclesiale. Perché dovremmo vivere in accordo col vescovo e coi preti in questa gerarchia
ecclesiastica? Perché Dio in Gesù si sottomette al Padre. Siamo all’inizio e nei suoi testi vediamo già l’idea
del mono-episcopato. Quando queste lettere sono state studiate nel XIX sec., i protestanti negavano
l’autenticità di queste lettere, appunto perché mettevano in evidenza una gerarchia ben definita. Ignazio è
un gran difensore del ruolo del vescovo, che sta al posto di Dio nel senso giuridico (presiedere). Non è
una difesa della chiesa davanti ai pagani ma piuttosto siamo davanti ad una preoccupazione
dell’organizzazione della chiesa stessa. Tocca al vescovo organizzazione l’amministrazione del battesimo
nella sua diocesi, l’organizzazione dell’eucarestia, i matrimoni, essere garante dell’ortodossia. Come Cristo
è alla Chiesa, il vescovo alla sua comunità. Per la prima volta, in queste lettre, la Chiesa viene chiamata
cattolica, cioè universale;
la teologia e la brama del martirio. Ignazio vuole essere martire per raggiungere Dio. Abbiamo l’allusione
all’eucarestia: il martire diventa l’eucarestia. Questo non è l’unico riferimento del genere: quando Policarpo
è stato martirizzato, in mezzo alle fiamme, viene descritto da un testimone oculare, come pane nel forno.
Ignazio dice qui di non impedire il suo martirio. Perché lui deve insistere su questo punto? Ha paura che i
cristiani romani impediranno il suo martirio? Gli studiosi pensano proprio a causa della sua figura
carismatica. Lui, così forte nella predicazione viene preso dalle autorità e portate a Roma in cui si viveva
un certo stallo nella fede.
Ignazio, chiamato anche Teofòro, alla Chiesa che è oggetto della misericordia nella munificenza del
Padre altissimo e di Gesù Cristo, suo unico Figlio; amata e illuminata per volontà di Colui che ha
voluto tutte le cose che sono, secondo la carità di Gesù Cristo, nostro Dio; che in Roma presiede, degno
di Dio, venerabile, degna d’essere chiamata beata, degna di lode e di felice successo; adorna di
candore, che presiede alla carità, che ha la legge di Cristo e porta il nome del Padre. Questa Chiesa io
saluto nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Padre. A quelli poi, uniti nella carne e nello spirito ad ogni
suo precetto, ripieni inseparabilmente della grazia di Dio, e lontani da ogni estranea macchia, molti
saluti e l’augurio della gioia pura in Gesù Cristo, nostro Dio (Lettera ai Romani praef.).
Satana non riconosceva Gesù come Figlio di Dio. L’agonia nell’orto degli Ulivi, nel film di Mel Gibson,
The Passion, rispecchia questa soteriologia. Quando Satana non prende Gesù nella morte, non segue il patto
che ha fatto con Dio e ha perso il suo dominio sulla morte, così la morte di Cristo risulta come vittoria sopra
la morte. Nel film c’è il Signore nel giardino e c’è Satana che lo tenta. Ogni tentazione non è una tentazione
propria al male, ma di abbandonare la sua missione nella maniera in cui lui ha scelto di vivere la missione. La
maniera di svolgere la missione è di grande umiltà e il Diavolo lo tenta su questo punto. Resiste alla tentazione
di fare quello che lui potrebbe fare. Quando arriviamo nel giardino, Gesù viene tentato di nuovo di
abbandonare la missione. Satana dice: «Chi pensi di essere tu per fare questo? Tu sei un vero uomo». Satana
non sa che è Figlio di Dio. Quando Gesù comincia a pregare il Padre, Satana chiede: «Ma chi è tuo padre?»
Solo alla morte e risurrezio di Gesù Satana grida all’inferno perché si è reso conto di quello che ha fatto, che
ha preso il solo uomo giusto. E questo a causa della sua ignoranza. Nel CCC leggiamo:
“Il silenzio del Vangelo secondo san Marco e delle lettere del Nuovo Testamento sul concepimento
verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si è potuto anche chiedere se non si trattasse
di leggende o di elaborazioni teologiche senza pretese di storicità. A ciò si deve rispondere: la fede nel
concepimento verginale di Gesù ha incontrato vivace opposizione, sarcasmi o incomprensione da parte
dei non-credenti, giudei e pagani: Essa non proveniva dalla mitologia pagana né da qualche
adattamento alle idee del tempo. Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la
quale lo vede in quel ‘nesso che lega tra loro i vari misteri’, nell’insieme dei misteri di Cristo, dalla sua
incarnazione alla sua pasqua. Sant’Ignazio di Antiochia già testimonia tale legame: ‘Rimase nascosta
al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre
misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio’” (Catechismo della Chiesa Cattolica § 498).
Soltanto alla fede; e non è che Satana non avesse fede;egli credeva in Dio, ma credeva con paura e non con
amore. Efrem il diacono afferma che“la morte si avvicinasse a lui per divorarlo con la sua abituale sicurezza e
ineluttabilità. Non si accorse, però, che nel frutto mortale, che mangiava, era nascosta la Vita. Fu questa che
causò la fine della inconsapevole e incauta divoratrice. La morte lo inghiottì senza alcun timore ed egli liberò
la vita e con essa la moltitudine degli uomini” (Efrem, Discorso sul Signore 3-4, 9).Gregorio di Nissa parla di
un amo (velvet hook): Satana è preso all’amo e l’esca è Gesù.
5. LA LETTERATURA APOLOGETICA
5.1. UNO SGUARDO GENERALE
Gli apologisti greci si interessano dell’incontro del cristianesimo con il mondo pagano e il giudaismo e
dell’incontro nel dialogo tra scienza e cultura. Gli avversari sono i pagani e i Giudei. Convertire i Giudei, visto
che si è più o meno in famiglia. Questa letteratura aveva lo scopo di rispondere alle accuse infamanti fatte
contro i cristiani: ateismo, incesto, cannibalismo, infanticidio. In che senso? I cristiani si rifiutavano di onorare
gli dèi dello Stato. Per questo erano considerati atei; ed anche diincesto: si sposavano tra fratelli e sorelle… ma
in realtà sono fratelli e sorelle in Cristo. Altre accuse erano cannibalismo e infanticidio: mangiano carne e
bevono sangue all’Eucarestia. Si pensava che la carne e il sangue fosse quello dei loro figli. I dotti pagani
cercavano di mettere in ridicolo le credenze dei cristiani, le dottrine. Il più efficace per l’abilità e l’acutezza fu
Celso con Il discorso vero (178AD). Si sono voluti 75 anni per un rifiuto giusto di questo libro, con Origene.
Il triplice compito degli apologisti:
1. confrutare le accuse (atesimo, incesto, carnibalismo e infantismo)
2. contrattaccare la religione e la filosofia pagana
3. esporre la dottrina cristiana.
Tra i pagani c’era una spaccatura/dicotomia tra il bene dello stato e la loro fede personale, cioè in pubblica
adorano l’emperatore e gli altri dei per il bene dello stato ma non credono in questi dei nella loro fede
personale. I cristiani non potevano fare questa spaccature nella loro vita e hanno sofferto per quello. Siamo
davanti ai primi teologi cristiani e anche ai primi missionari. I loro avversari sono sia giudei che pagani. Sono
essi ad aprire ad una inculturazione così che vi è una cristianizzazione dell’ellenismo. Possiamo definirli così:
“gli apologisti sono pagani, generalmente colti, i quali, paragonando i diversi sistemi filosofici con la dottrina
dei cristiani, hanno rilevato la superiorità di questa, si sono convertiti al cristianesimo ed ora sentono il
bisogno di partecipare ad altri la loro esperienza religiosa, di chiarire le idee delle autorità e del popolo a
riguardo dei cristiani, di comunicare quella luce smagliante che è brillata ai loro occhi e difendere una società
d’uomini, tanto ammirevoli e tanto mal conosciuti. I loro scritti sono pieni di vita e di entusiasmo, sovente
sono scritti di battaglia” (Bosio-Dal Covolo-Maritano, Introduzione, vol. I, p. 157).
Proviamo a vedere il rapporto tra filosofia e religione cristiana. C’è chi come Tertulliano si chiederà cosa
mai hanno in comune Atene e Gerusalemme e chi segue quello che oggi è il pensiero della Chiesa: filosofia e
teologia hanno un rapporto complementare. Clemente di Alessandria e Giustino sono alcuni di quest’ultimo
gruppo che trovano valore nei pensieri filosofici.
5.2. GIUSTINO
Stoici, peripatetici, pitagorici e neoplatonici: questi sono i passi del suo percorso filosofico. Si è convertito
verso il 130 ad Efeso dopo un colloquio con un saggio sui profeti dell’AT. Rimane colpito e convinto
dall’eroismo dei martiri che è frutto di una vita vissuta non nella malvagità né nei piaceri ma nella verità e
moralità (5.2 & 5.3). Nel 140 giunge a Roma quando era imperatore Antonino Pio; fonda una scuola di
teologia, molto simile a quelle filosofiche, e giunge ad un dibattito con Crescenzo (potrebbe stata la gelosia),
che aveva la sua scuola: viene denunciato e condannato alla decapitazione sotto Marco Aurelio.
Ne abbiamo tre opere di lui: Centrali sono le due Apologie e il Dialogo con Trifone. La Prima apologia è
indirizzata all’imperatore e ai suoi figli: è come una lettera aperta, secondo una pratica in uso al tempo per cui
rivolgersi in tale maniera all’imperatore era rivolgersi al popolo. La Seconda apologia è in un certo senso un
appendice della prima. Il Dialogo è un confronto con gli Ebrei. Temi importanti sono prima di tutto il
rapporto Eva-Maria, quest’ultima per la prima volta chiamata nuova Eva: entrambe sono vergini, l’una
disobbediente l’altra perfettamente obbediente, l’una genera la morte e l’altra la vita. Come Cristo è il nuovo
Adamo, così allora Maria è la nuova Eva, subordinata a Cristo. Centrale è anche il discorso sul Battesimo che è
rigenerazione e illuminazione. I peccati vengono rimessi e lui stesso viene rigenerato: ecco quindi che i non
battezzati non possono prendere parte all’Eucaristia. Questa Eucaristia è presenza reale del Corpo e Sangue di
I profeti sono ispirati da Cristo: hanno visto e udito direttamente, mentre i filosofi procedono in maniera
indiretta. Per Giustino le teofanie dell’AT sono cristofanie perché è la Parola di Dio a rivelarsi. Se allora l’AT
è profezia ispirata da Dio, la filosofia greca viene dalla ragione. Vi è differenza di grado tra AT e NT e
differenza di genere tra filosofia e religione. Ciò che qui ci interessa è che Giustino non spiega la vicinanza
della saggezza divina a quella filosofica attraverso la dottrina metafisica, ma attraverso quella storica. Questo è
significativo: oggi si applica la dottrina del Logos spermatikos per dire che anche in altre religioni si può
arrivare alla divina rivelazione pur senza Cristo. Ebbene, questa è un’applicazione non giusta di Giustino. Va
chiarito anche che se Logos spermatikos è colui che dissemina, gli sperma tou Logou sono donati per
illuminare moralmente e religiosamente gli uomini in maniera naturale. Non sono il Logos, ma una sua
imitazione, un suo riflesso. Come immagine biblica, Giustino usa la parabola del seminatore (Mt 13,3-23).
Giustino differisce tra capacità naturale e grazia: è un incontro spirituale col Verbo incarnato. Quando si
parla di dynamis/capacità naturale, va chiarito che pochi hanno davvero la capacità di arrivare a Dio; la
rivelazione-aggiungerebbe anche Tommaso-sfonda l’elite e diviene universale e possibile a tutti. In questo
quadro, Giustino sostiene che coloro che vissero secondo tale capacità sono anch’essi cristiani, non secondo il
rahneriano cristianesimo anonimo, bensì ben manifesto e scambiato per ateismo.
6. IRENEO DI LIONE
È il teologo più importante del II secolo: è quello più positivo perché applica largamente Scrittura e
Tradizione, evitando la speculazione filosofica poiché si pone contro gli gnostici. Viene chiamato come ultimo
uomo apostolico poiché inserito nel contesto apostolico. Per primo formula in termini dogmatici la dottrina.
Nasce tra il 135 e il 140 in Asia minore; segue Policarpo ed è in Gallia; poi mandato a Roma per portare
una lettera dei confessori a Papa Eleuterio per chiedere al papa di mantenere rapporti coi montanisti. Nel testo
Ireneo viene descritto in maniera assolutamente positiva. Al ritorno, è eletto vescovo dopo il martirio del suo
predecessore Pontino. È veramente operatore di pace: scrive una lettera al papa Vittore per non scomunicare
l’Oriente contro i quartadecimani (che erano in lotta per la data della Pasqua). Muore nel 200ca.
Opere centrali sono De detectione et eversione falso cognominatae agnitionis (smascheramento e
confutazione della falsa gnosi) – chiamato anche Adversus haereses– ela Demonstratio apostolicae
praedicationis.
I primi due libri dell’Adversus haereses sono contro lo gnosticismo: vi è l’unico riferimento al testo
apocrifo di Giuda (di cui oggi abbiamo un’unica copia). Gli altri tre sono argomenti meno polemici. Ireneo si
presenta come il primo vero grande teologo della Chiesa.
Nell’altra opera, conferma il NT con testi dell’AT contro l’intento di Marcione e l’idea gnostica della
differenza tra Dio degli Ebrei e Dio cristiano.
Ci sono tre momenti in questa teologia della tradizione:la testimonianza apostolica, la trasmissione
apostolica e la successione apostolica (per assicurare la veracità di quello che viene trasmesso). Ma c’è un'altra
componente: lo sviluppo della dottrina. Certo, Gesù ha rivelato tutto ma la Chiesa ha bisogno di tempo per
capire quello che è stato rivelato in forma seminale che si svolge e si sviluppa attraverso i secoli nella
comprensione degli uomini. Umanamente uno deve imparare le cose piano piano e così la Chiesa capisce
sempre meglio quello che il Signore ha rivelato. Spesso la sfida per capire meglio viene dalle sfide interiori o
esteriori alla Chiesa.Al Concilio di Nicea, per esempio, la Chiesa già crede che Gesù era Dio, ma lì lo ha
spiegato, ci ha riflettuto. Scrive Ireneo:
“Non attraverso altri noi abbiamo conosciuto l’economia della nostra salvezza, ma attraverso coloro i
quali il Vangelo è giunto fino a noi. Quel Vangelo essi allora lo predicarono, poi per la volontà di Dio
ce lo trasmisero in alcune scritture perché fosse fondamento e colonna della nostra fede. Non si può
dire che lo predicarono prima di aver ricevuto la conoscenza perfetta, come alcuni osano dire,
vantandosi di essere correttori degli Apostoli. Infatti, dopo che il Signore fu risuscitato dai morti ed
essi furono rivestiti della potenza proveniente dall’alto grazie alla discesa dello Spirito Santo, allora
furono pieni di certezza su tutte le cose ed ebbero la conoscenza perfetta; andarono allora fino alle
estremità della terra a predicare il Vangelo dei beni che ci vengono da Dio e ad annunciare agli uomini
la pace celeste: essi avevano tutti insieme e ciascuno singolarmente il Vangelo di Dio” (Adversus
haereses 3.1.1)
Questa conoscenza viene dal mistero pasquale e rivela Gesù Cristo nella sua pienezza. Gli apostoli hanno
ricevuto un unico vangelo e lo predicano ugualmente dappertutto nel mondo; ed è di pubblica accessione, non
è esoterico.
Tema centrale è il primato di Roma. Essa è fondata su Pietro e Paolo. Necessariamente con essa tutte le
chiese locali devono essere concordi.La purezza della fede romana è stata stabilita su questa successione
petrona. La Chiesa di Roma diventa quindi un criterio di verità.
“Se ci fosse qualche controversia su una questione di poca importanza, non si dovrebbe ricorrere alle
Chiese più antiche, nelle quali vissero gli apostoli, e prendere la dottrina esatta sulla questione
presente? Anche se gli apostoli non ci avessero lasciato le Scritture, non si dovrebbe seguire l’ordine
della Tradizione, che hanno trasmesso a coloro a cui affidavano le Chiese?” (Adversus haereses 3.4.1)
Gli apostoli stessi avevano fondato varie chiese e in queste chiese c’è ancora l’eco della predicazione degli
apostoli. Per ogni domanda bisogna rivolgersi alle chiese in cui questo eco si può ancora udire.
Tocca infine alla Chiesa custodire ciò che ha ricevuto“come se abitasse una sola casa […] come se avesse
una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse
una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa”. La
cattolicità della fede potrebbe essere una minaccia all’unità della fede, ma nonostante il fatto che la Chiesa sia
dappertutto, crediamo come se abitassimo in unasola casa. La Chiesa è già universale dal giorno della
Pentecoste.
7. LO GNOSTICISMO
7.1. UNO SGUARDO GENERALE
Nello gnosticismo confluiscono schemi di pensiero ebraico e cristiano. È un prodotto di sincretismo
ellenistico, di idee greco-orientali. Ciò alla luce e in forza delle stesse conquiste di Alessandro magno. Utilizza
antiche immagini religiose in maniera parassitica; di tali immagini vive e si alimenta. Ha la propria mitologia
ma creata sempre in forza di altre religioni. Tale facile apprensione fa sì che lo gnosticismo metta in luce una
conferma di una comune rivelazione primordiale(per es.: i mormoni ritengono che Gesù risorto sia apparso
anche agli indios d’America, così che sono identiche al cristianesimo parole e immagini, ma diverse sono le
accezioni e i miti).
Fonti dello gnosticismo sono gli scritti anti-eretici dei Pari e la biblioteca Nag-Hammadi del 400 d.C.
riscoperta in Egitto solo nel 1945, con codici copti scritti dagli stessi gnostici.
Gnosi significa conoscenza: averla è una salvezza, la cui rivelazione è per pochi che hanno capacitò di
riceverla. Tale conoscenza unisce l’oggetto divino della conoscenza, il mezzo (la gnosi) e colui che conosce.
Tale conoscenza redime e porta ad un modo sovra materiale.
Alla base delle diverse forme di gnosticismo, abbiamo il dualismo cosmico nella lotta fra divinità buone e
cattive; l’anima è principio umano buono nel corpo umano imprigionato. Vi è così una scintilla divina che è
provento del mondo divino; essa cade nel mondo materiale e va risvegliata per mezzo della gnosi tramite la sua
sosia che è Sophia; per mezzo di ciò può ritornare, risalire. Vi è allora un movimento verso l’alto ed uno verso
il basso per mezzo di Sophia che è tra mondo umano e quello divino che ha compito di recuperare la scintilla
divina. Il Demiurgo di questo mondo è malvagio e dio inferiore che si contrappone a Dio che è – per lo
gnosticismo cristiano – Padre di Gesù. Sophia – per un incidente – rientra in tale creazione. L’uomo è così
microcosmo poiché in lui si muovono le due forte cosmicamente contrapposte. Ecco allora che nel vangelo di
Giuda, questi è colui che aiuta Gesù a liberare e donare lo spirito; ciò contro gli altri apostoli che adorano il
Dio creatore, inferiore e malvagio. Ecco che Gesù si sarebbe allora preso gioco degli Undici. “La verità vi farà
liberi” (Gv 8,32): questo, assieme ad altri logion, è uno dei più usato dagli gnostici a loro favore.“Quando
uomo conoscerà sé stesso e Dio chi è sopra la verità, lui sarà salvato, e lui sarà coronato con la corona
immarcescibile” (Nag Hammadi IX, 3: La Testimonianza di Verità 45).
Redentori, messaggeri, emissari e figure storiche ritornano negli scritti. Essi danno al mondo la possibilità
della rivelazione gnostica e ciò somiglia alla missione cristologica. E si trova anche qualcosa di proprio. Cristo
è una delle figure piene di luce; è Figlio del Padre supremo, primo rivelatore e primo salvatore. Nella pleroma
(emanazioni divine) Cristo è centrale e primo. Gesù viene totalmente storicizzato per poi esser calato nella
mitologia gnostica. I teologi gnostici in Gesù guardano allora ad un essere terrestre ed uno celeste come
proprio della tendenza gnostica. Cristo rivela i segreti soprattutto dopo la Pasqua e prima dell’Ascensione. Per
la loro cristologia, sono innestati nel docetismo: come può Cristo assumere un corpo? Basilide e Cerinto sono
esponenti di tale docetismo: se il primo afferma che Gesù sopravvive alla Croce ed è Simone di Cirene a salire
sulla Croce, l’altro invece ritiene che sulla Croce è Gesù, non Cristo a morire. Così, a partire dalla Genesi, si
legge che il Dio dell’AT è nostro nemico, quasi il demonio, e le figure di Satana invece sono il Dio gnostico.
Cristo allora è il serpente dell’Eden che invita a mangiare dell’albero della conoscenza; è Cristo che mangia i
serpenti dei maghi del faraone; è Cristo che, scendendo nell’Ade, salva i condannati di Adonai (Caino, i
sodomiti…).
7.2. MARCIONE
Si muove tra gnosticismo e dottrina paolina.
Vi è il Dio della Creazione che è malvagio contro quello della Redenzione che manda Gesù suo Figlio in
questo mondo di disperazione e rivela un Dio di misericordia che è sconosciuto ed è nel suo cielo. Gesù è un
fantasma che soffre sulla Croce e la sua morte è ordinata dal Creatore. Scendendo agli inferi, salva i condannati
di Adonai. La redenzione allora viene dal rifiuto della legge e da una vita asceticamente condotta.
7.3. VALENTINO
Probabilmente si converte ad un cristianesimo gnostico. Giungeva a Roma quando vi giunge Marcione e,
seppure rifiutata la sua teoria, insegna per ben 20 anni. La sua autorità verrebbe da una (presunta) rivelazione
diretta di Dio.
Per lui, abbiamo un padre supremo che realizza diverse emanazioni fino ad arrivare al pleroma (30
emanazioni). Sophia è l’emanazione più bassa e vuole conoscere Dio: le è impossibile. È lei a realizzare la
materia e Cristo (diverso da Gesù) le dà forma realizzando l’anima. Sophia dà vita al Demiurgo (Dio dell’AT)
e – quasi per errore – in alcuni uomini entra anche lo Spirito (pneuma) che anela a Dio e concede un ritorno a
lui per mezzo di Gesù. Vi sono così uomini carnali a cui è impossibile il ritorno a Dio; uomini psichici che
devono faticare per tornare a Lui; uomini pneumatici che nell’insegnamento di Gesù trovano facile salvezza.
Prima dell’incarnazione, la filosofia era necessaria per una vita virtuosa; ciò decade con l’incarnazione e la
filosofia è utile ma né necessaria né sufficiente. Si realizza così una gerarchia: vi è prima la Scrittura, poi la
filosofia, pur rimanendo possibile che essa sia stata data come via Christi. La filosofia “aiuta [sì, ma] solo da
lontano” rispetto al vangelo “strettamente congiunto alla verità”. La superiorità sta nella diretta rivelazione
divina in Cristo che la Scrittura ha in sé; la filosofia apre ad una verità parziale (e per questo alle volte è
contraddittoria). La filosofia certo purifica l’anima, ma la verità viene da Cristo.“Noi [Cristiani] siamo
divenuti discepoli di Dio, che abbiamo acquistato la sapienza realmente vera, quella alla quale i sommi filosofi
fecero solamente allusione, ma che i discepoli di Cristo ricevettero e annunziarono”. Da tutto ciò viene fuori
questo: la filosofia è in un certo senso divinamente ispirata.
Gnostico è colui che giunge all’imperturbabilità/apatheia così che ogni passo è ordinato a Dio: senza ciò,
non si può contemplare Dio in tutte le cose. Procedendo, si conosce Dio che è apice della gnosi e tale
traguardo è essere la gnosi. Sembra essere questa una certa anticipazione dello Pseudo-areopagita che propone
le vie purgativa, illuminativa e unitiva.
Concludiamo la riflessione, sottolineando come nel Protrettico ribadisce che i filosofi greci, “anche se non
hanno conosciuto la verità, almeno hanno sospettato l’errore e ciò è non piccola scintilla di saggezza che
cresce, come seme, verso la verità”(II.24.2). Loro errore è così adorare dei mitici o le creature; passo successivo
nella credenza religiosa è l’adorazione dell’infinito fino a giungere con Platone alla pienezza filosofica:
“Io aspiro al Signore dei venti, al Signore del fuoco, al Creatore del mondo, al Datore della luce al sole.
Dio cerco, non le opere di Dio. Chi dunque potrò prendere da te come compagno nella mia ricerca?
Noi infatti non ti respingiamo del tutto. Se vuoi, prendiamo Platone. Come dunque si deve cercare
Dio, o Platone? Il padre e creatore di questo mondo è una grande impresa trovarlo e, per chi lo trova,
annunciarlo a tutti è impossibile. Ma, in nome di Lui stesso, perché? Perché non è assolutamente
possibile esprimerlo per mezzo di formule. Bene, Platone, sfiori la verità, ma non stancarti; insieme
con me intraprendi la ricerca intorno al bene. Infatti in tutti gli uomini generalmente, e
massimamente in quelli che passano il tempo a ragionare, si trova istillato un certo divino efflusso.
Grazie ad esso, pur malvolentieri, essi riconoscono che c’è un solo Dio, senza principio e senza fine il
quale in alto, nelle più lontane regioni del cielo in un suo proprio e particolare luogo, esiste veramente
e per sempre” (VI.67.2-68.3).
8.3. ORIGENE
Nasce in una famiglia cristiana e già da infante riceve dal padre una sana formazione sulla letteratura
pagana e cristiana (le Scritture, anzitutto); il padre fu ucciso per la persecuzione di Settimio Severo. Per la sua
ardente passione cristiana, voleva farsi uccidere col padre, ma la mamma glielo impedì nascondendogli i vestiti.
Cominciò ad insegnare per provvedere alla famiglia. Il vescovo lo chiamò a dirigere i catecumeni; sotto il
prefetto Aquila e successori, ci fu una nuova persecuzione e lui stesso accompagnava i discepoli al martirio. Fu
per un certo periodo discepolo di Sacca, fondatore del neoplatonismo e fu compagno di Plotino. Conduce una
vita di grande ascetismo: la sua lotta con le passioni e le parole di Gesù (“Vi sono alcuni che si sono resi
eunuchi per il Regno dei cieli”) lo portarono ad evirarsi. Ciò gli creò problemi ecclesiali. In un certo momento
dovrà dividere in due la sua scuola per il gran numero dei discepoli. numerosi sono i viaggi che lo rendono
famoso, soprattutto in Egitto. Venne a Roma, dal Papa, e conobbe Ippolito. Si recò in Giordania e a Cesarea
di Palestina fu invitato a predicare alla presenza del vescovo: un laico predicò alla presenza del vescovo! C’è
grande stima dei vescovi siro-palestinesi; fino a che la madre dell’Imperatore invitò Origene a tenere un
discorso ad Antiochia e nel 231, a 46 anni, fu ordinato sacerdote a Cesarea senza l’accordo con Demetrio,
vescovo di Alessandria. Ecco allora che da questi fu scomunicato e deposto dal sacerdozio; ovviamente non
poté più insegnare. Allora, Origene si diresse a Cesarea dove la censura alessandrina fu ignorata: fondò una
nuova scuola a mo’ di quella alessandrina. Tra i discepoli, il più importante fu san Gregorio Taumaturgo.
“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 25
Patrologia
Morto Demetrio, un ex-alunno di Origene diviene patriarca: ma questi rifiutò il maestro. Durante la
persecuzione di Decio viene messo in prigione e torturato, non ucciso: non vogliono trasformarlo in martire
perché sarebbe davvero stato un martire universale. Ecco che, tuttavia, Origene ne uscirà con la salute minata e
morirà a Cesarea come confessore della fede nel 243.
Già nell’800 c’è una forte ripresa di Origene, fino a che nel XX secolo fu riabilitato, riconoscendo che non
si può andare in alcun luogo della Chiesa antica senza notare il suo influsso perfino in coloro che lo
accusavano.
Immensa è l’opera di Origene e la sua produzione è forse quella più ingente di tutta l’antichità anche non
cristiana. A causa di molte controversie, molti testi furono bruciati e noi alle volte possediamo frammenti o
tutt’al più traduzioni.
Va compreso questo: egli è centrale per il metodo allegorico, ma non tralasciava l’analisi letteraria; difatti
dedica un’opera enorme allo studio su quale dovesse essere il testo critico da usare: è l’Expala dove riporta sei
testi su sei colonne: testo ebraico; traslitterazione in greco; traduzione di Aquila; traduzione di Simmaco,
LXX, versione di Teodozione. La sfida sta nel capire che è la LXX il testo della diaspora e che solo poi si
passò ad un canone organizzato ebraico; gli stessi cristiani usano la LXX naturalmente.
Altro testo centrale è il De Principiis, che è una sorta di summa teologica dell’antichità che ha come scopo
quella di metter su spiegazioni approfondite partendo dalla Scrittura (è teologia biblica) e rispondere alle
eresie. Non è certo l’opera di Ireneo: quella era polemica, questa sistematica. Suo desiderio è rimanere fedele
alla tradizione della Chiesa:
“Molti tuttavia di coloro che professano di credere in Cristo discordano non soltanto su questioni di
poco conto, ma anche della massima importanza: cioè, su Dio, sul signore Gesù Cristo, sullo Spirito
santo; e non soltanto su questi, ma anche su altre creature: cioè, sulle dominazioni e le beate potestà:
sembra perciò necessario stabilire prima su questi singoli punti precisa distinzione e chiara regola, poi
ricercare anche sugli altri punti. Come infatti sono tanti, presso i Greci e i barbari, che promettono
verità, ma noi abbiamo smesso di cercarla presso coloro che l’affermavano con falsi insegnamenti dopo
che abbiamo creduto che Cristo è il figlio di Dio e ci siamo convinti che da lui l’avremmo dovuta
apprendere: così son molti che credono di comprendere la verità di Cristo e alcuni di loro sono in
contrasto con gli altri, ma è in vigore l’insegnamento della chiesa tramandato dagli apostoli per ordine
di successione e tuttora nelle chiese conservato: pertanto quella sola bisogna tenere per verità, che in
nessun punto si discosti dalla tradizione ecclesiastica ed apostolica” (prefazione, 2).
È verità ciò che non si discosta dalla tradizione ecclesiastica e apostolica: ma ciò appare in netto contrasto
con alcune idee di Origene. I teologi moderni parlano di lui come il primo ad intentare una sorta di teologia
speculativa e il fatto di essere appunto il primo lo porta a non avere punti di riferimento. A ciò si aggiunge il
fatto che abbiamo oggi traduzioni di Origene proposteci in latino da Rufino, il quale non tradusse alla lettera
ma cercò di rendere ortodosso – per quanto possibile – l’opera di Origene. Per sapere allora la verità sul
pensiero, ci tocca confrontare Rufino coi frammenti originali.
L’opera apologetica più importante scritta in greco è il Contra Celsum di Origene: è un’opera confutata 75
anni dopo la sua stesura proprio perché è un testo, quello di Celso, molto erudito. Difatti, Celso usava i testi
biblici per accusare i cristiani. Come si apre l’opera di Origene? Con una prefazione dove si esplica che al
cristianesimo forse tocca fare come Gesù: non rispondere a chi lo accusa, soprattutto perché il vero credente
non verrà turbato da tali argomenti. Origene allora scrive per il bene di coloro che sono più deboli.
Se il fine redentivo è il ritorno al canto divino, chi assicura che ciò non porti ad una seconda-ciclica
caduta? E se dicessimo che l’apokatastasis è dottrina vera, allora qual è il fine della morale? Se così
Origene è strenuo difensore del libero arbitrio tale arbitrio è offeso e vilipeso con l’apokatastasis;
TRINITARIA. Padre è essere in genere, Figlio è razionalità mentre Spirito Santo è santificazione.
Sottolinea nel De Principiis che la questione sullo Spirito è completamente aperta;
CRISTOLOGIA. L’anima di Cristo è argomento prima trascurato e poi dimenticato ad Alessandria.
Leggiamo nel De Principiis:
“La sostanza dell’anima servendo d’intermediario tra Dio e la carne-è infatti impossibile alla natura
divina mescolarsi ad un corpo senza un intermediario - l’Uomo-Dio () è nato, come
abbiamo detto, attraverso la mediazione di una sostanza alla cui natura non ripugnava il prendere un
corpo. E neppure era contrario alla natura di quest’anima, in quanto sostanza ragionevole, ricevere
Dio, in cui essa era già entrata completamente, come abbiamo detto sopra, come nel Verbo, la
Sapienza e la Verità. Anch’essa merita dunque, con la carne che ha assunto, i titoli di Figlio di Dio,
Potenza di Dio, Cristo e Sapienza di Dio, in quanto essa era interamente nel Figlio di Dio o l’accoglieva
intero in lei” (De principiis 2.6.3).
VERGINITÀ DI MARIA;
EUCARISTIA
PREGHIERA. Non è lecito pregare Cristo; solo Dio va pregato. Si può pregare per Cristo ma non a
Cristo. Gesù è quindi Dio ma in maniera secondaria. La preghiera, inoltre, va fatta verso oriente,
qualunque cosa ci sia (muro o cielo): ciò ci inserisce nell’armonia cosmica propria della preghiera e della
liturgia cristiana.
Canone 11: “Chi non scomunica Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Nestorio, Eutiche, e Origene,
insieme ai loro empi scritti e tutti gli altri eretici, condannati e scomunicati dalla santa chiesa cattolica
Troviamo inoltre anatemi proclamati tuttavia non dalla Chiesa adunata in Concilio ma da un sinodo:
1. Se qualcuno dice o ritiene che le anime degli uomini preesistono, nel senso di essere
antecedentemente menti e forze sante, che hanno preso però disgusto della visione divina e si sono
volte al peggio e si sono per questo raffreddate dall’amore di Dio, predendo di qui il nome di anime, e
che sono state per punizione mandate giù nei corpi, sia anatema.
2. Se qualcuno dice o ritiene che l’anima del Signore sia preesistita o che fu unita a Dio, il Verbo, prima
dell’incarnazione e della nascita dalla Vergine, sia anatema.
3. Se qualcuno dice o ritiene che il corpo del Signore nostro Gesù Cristo prima fu formato nel seno
della santa Vergine e dopo furono uniti ad esso Dio, il Verbo, e l’anima come preesistente, sia anatema.
4. Se qualcuno dice o ritiene che il Verbo di Dio divenne simile agli ordini celesti, [sia] divenuto
cherubino ai cherubini, serafino ai serafini, in breve, essendo diventato simile alle potenze superiori,
sia anatema.
5. Se qualcuno dice o ritiene che nella risurrezione i corpi degli uomini risuscitano in forma di sfere e
non professa che saremo risuscitati ritti, sia anatema.
6. Se qualcuno dice o ritiene che il cielo e il sole e la luna e le stelle e le acque al di sopra dei cieli sono
potenze animate e intelligenti, sia anatema.
7. Se qualcuno dice o ritiene che il Signore Cristo nel secolo futuro sarà crocifisso per i demoni come
[lo fu] per gli uomini, sia anatema.
8. Se qualcuno dice o ritiene o che la potenza di Dio sia limitata e tanto egli abbia prodotto quanto
poteva stringere con la mano e pensare o che le creature siano coeterne a Dio [-!], sia anatema.
9. Se qualcuno dice o ritiene che il castigo dei demoni e degli uomini empi è temporaneo e che esso
avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento (apocatastasi) dei demoni o degli uomini
empi, sia anatema.
Evagrio Pontico fu discepolo di Origene. Va chiarito questo: che la condanna del sinodo è verso i discepoli
di Origene, gli esocristi, che trasformarono in dottrina la teologia in ricerca di Origene. Pertanto: gli anatemi
del sinodo non sono direttamente contro Origene, bensì contro i suoi discepoli.
8.4. ATANASIO
Vescovo eminente di Alessandria. Era il grande difensore della fede di Nicea, un “pilastro della Chiesa”. I
suoi genitori non erano cristiani e lui si è convertito al cristianesimo da giovane. Alessandria era una città
cosmopolita con pagani, Ebrei e cristiani, Atanasio era lettore e segretario del suo vescovo Alessandro. È stato
poi diacono. Era con Alessandro al Concilio di Nicea. Aveva tendenze ascetico-monastiche. Fu consacrato
vescovo l’8 giugno del 328 a l’età di 33 anni. Atanasio era un deciso oppositore degli ariani. A causa del
termineomoousios viene mandato in esilio (17 anni, 5 volte). In particolare, fu mandato la seconda volta in
esilio con Marcello D’Agira (sabellianista) a Roma e questi gli creò problemi. Dopo l’esilio torna ad
Alessandria sotto l’imperatore Costanzo (Ariano). Arriviamo così al terzo esilio in cui viene associato con
Marcello. Atanasio fugge e si esilia dai monaci egiziani e conoscerà Antonio del deserto. Giuliano l’apostata lo
farà tornare ad Alessandria. Giuliano era cristiano, ma ad un certo momento ha rinnegato la sua fede cristiana
tornando al paganesimo imperiale. Proibiva la presenza dei cristiani nelle scuole, perché se uno non credeva
nella mitologia (che si doveva insegnare) non avrebbe potuto insegnarla bene. Giuliano voleva ricostruire il
tempio a Gerusalemme per ricominciare i sacrifici degli animali, ecc. Non ci è riuscito perché è morto dopo 3
anni. Volva distruggere il cristianesimo da dentro. Ha richiamato per questo dall’esilio tutti i vescovi cristiani
esiliati (Basilio, Atanasio, ecc.)
“Sebbene poi Giuliano fin dalla puerizia fosse inclinato all’idolatria, e col crescere dell’età se ne fosse
sempre più acceso, nondimeno, da molte cagioni infrenato, avea sempre tenuto occultassimo quanto
egli in questo proposito meditava. Ma quando, tolto di mezzo tutto ciò che gli dava timore, vide ch’era
venuto il tempo da poter compiere a suo senno quanto eragli in grado, fece palesi gli arcani del proprio
petto, e con chiari ed assoluti decreti ordinò che si aprissero i templi, e si guidassero all’are le vittime
pel culto dei Numi. E per invigorire l’effetto di queste sue disposizioni, chiamando nel proprio palazzo
i capi dei Cristiani discordi fra loro a la plebe divisa con essi in fazioni, ammonivali tutti, che, lascite le
civili discordie, ciascheduno sicuramente servisse alla proprio religione, né altri potesse impedirlo.
A Giuliano interessava distruggere il cristianesimo e pertanto il ritorno dei rivali avrebbe agevolato il suo
fine: ad Atanasio fu concesso tornare; ed aveva successo nel riconciliare i semi-ariani. Quando Giuliano lo
vedeva riunire la Chiesa anziché dividerla, l’ha rimandato di nuovo in esilio.Il quinto esilio lo subì sotto
l’imperatore Valente, ariano. Dopo è stato reintegrato dallo stesso Imperatore. È morto all’età di 78 anni.
La maggior parte dei suoi scritti sono dedicati alla difesa di Nicea.
Nella lettera 39, abbiamo per la prima volta tutto l’elenco dei 27 libri del NT. Ha scritto la biografia di
Sant’Antonio, libro più letto dopo le Confessioni di Sant’Agostino.
Il monaco in questo periodo in cui la Chiesa può predicare è considerato successore dei martiri.
“Lo aiutava il Signore che si rivestì di carne per noi, e che concesse al corpo la vittoria contro il diavolo;
sicché ciascuno di quelli che sostennero una simile lotta poteva dire con l’Apostolo: ‘Non io, ma la
grazia di Dio che è con me.” (La Vita di Antonio 5.7).“Questa fu la prima lotta di Antonio contro il
diavolo; o per meglio dire, la lotta del Salvatore, che compì ciò in Antonio.” (La Vita di Antonio 7.1).
“Passò in tal maniera circa vent’anni, conducendo da solo questa vita ascetica, senza allontanarsi di là
e senza essere veduto da alcuno se non raramente. Poi, molti, tormentati da malattie, venivano a farsi
curare, altri desideravano di imitare la vita ascetica di Antonio, altri suoi conoscenti si recarono al
castello, e forzato l’ingresso, entrarono. Si fece loro innanzi Antonio, come un iniziato ai misteri che
esce dal sacro recesso, ispirato da Dio. Allora per la prima volta lo videro fuori dal castello quelli che
erano andati da lui. Si meravigliarono al vedere che le sue condizioni fisiche erano sempre le stesse,
non impinguato per la mancanza di moto, né dimagrito dai digiuni e dalle lotte con i demoni: era come
l’avevano visto prima che si chiudesse nel suo ritiro.” (La Vita di Antonio 14.1-3).
La novità della vita di Sant’Antonio è che è partito nel deserto da solo, che è il luogo del Diavolo, la terra
del Diavolo. Altre persone si sono legate a lui venendo a condividere la sua vita. Ha voluto lasciare anche
questi discepoli perché lui voleva vivere da solo. Si è allora allontanato anche da questi discepoli per inoltrarsi
ancora di più nel deserto.
‘Sono astuti’ e pronti a trasfigurarsi. Talvolta, infatti, salmodiano cantando. Fingono di cantare senza
essere visibili e citano i detti delle Scritture. Accade che quando noi leggiamo essi producono quasi un
suono, come se leggessero ciò che noi stiamo leggendo; e mentre dormiamo ci spingono a pregare, e
fanno ciò continuamente senza quasi permetterci di dormire. Spesso si trasformano in eremiti, e
sembrano parlare come persone devote e timorate, per sedurre con un aspetto simile al nostro e
trascinare dove vogliono coloro che hanno sedotto. Ma non bisogna prestar loro attenzione, neanche
se tentano di persuadervi a non mangiare o se vi rimproverano per cose delle quali furono una volta,
con noi, unici testimoni. Non fanno questo per amore della religione e della verità, ma piuttosto
mirano a far cadere i semplici e a rendere senza profitto l’ascesi. Essi vogliono produrre negli uomini
una nausea, affinché reputino troppo grave la vita solitaria e vengano impediti di vivere combattendo i
demoni. (La Vita di Antonio 25.1-5)
Questa è una tentazione ad un bene apparente. Sant’Ignazio di Loyola ha portato avanti questi pensieri
sull’insegnamento. Come Antonio, allora, è importante allenarsi al discernimento degli spiriti, che va fatto in
unione a Dio. Per la sua unione con Dio, il ministero di Antonio divenne presto ministero della consolazione
per tutti quelli che da lui si recavano a chiedere consiglio.
In quanto alla teologia trinitaria, Atanasio riteneva che se Cristo ci salva deve essere Dio; e se lo Spirito
Sando deve essere coinvolto nella divinizzazione dell’uomo, anche lui allora deve essere Dio. È molto vicino a
Ireneo. La sua cristologia si muove tralogos/sarx elogos/anthropos;l’idea dell’anima di Cristo viene trascurata
da sant’Atanasio. Questa lettura viene anche dalla lettura spirituale che faceva la scuola alessandrina della
Scrittura.Nella sua mariologia lui parla di Maria come Theotokos.
9. L’ESEGESI PATRISTICA
9.1. ALESSANDRIA E ANTIOCHIA
La teologia patristica si basa sulla Scrittura. È una teologia biblica. I testi dei padri della chiesa sono pieni
di citazioni della Scrittura. La Scrittura è l’anima della loro teologia. Così lo studio della Sacra Scrittura fonda
la fondazione della cultura cristiana.
Ci sono due scuole: anzitutto quella alessandrina, con approccio allegorico, esigenze spirituali einflusso
della filosofia platonica.Vari sono i suoi rappresentanti, tra cui Cirillo di Alessandria che afferma che tutte le
Scritture sono un libro e sono annunciate dallo Spirito Santo e che l’esegesi biblica è un’arte in cui si scopre il
senso sotto la lettera. Inoltre, Cirillo sottolinea come il NT è velato e dobbiamo ricorrere all’allegoria(che è
parlare di una cosa in termine di un’altra): tutta l’interpretazione cristiana dell’AT è allegorica, quasi che
troviamo Cristo ovunque.
La scuola antiochena ha invece un approccio più storico, filologico e grammaticale. Si vede qui l’influsso
dei Giudei, col metodo esegetico ebraico. Anche ad Antiochia c’è un approccio spirituale. Non si usa la parola
“allegoria” ma piuttosto “teoria”. Si contempla la Scrittura. Il grande rappresentante sarebbe Teodoro di
Mopsuestia. Quest’ultimo evitava l’ampia varietà dell’allegorismo. È troppo facile saltare subito all’allegorismo.
Per Teodoro non c’è Cristo dappertutto ma solo in alcuni passaggi. Suo classico esempio è riferirsi a “Dio
mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” non come attribuito a Cristo, ma evincendo come è il Cristo che ha
fatto suo il salmo. Vediamo qui le affinità col metodo storico-critico. Teodoro nota profonda discontinuità
tra AT e NT, una rigida rottura soprattutto nelle diverse visioni del Messia, umano nelle Scritture ebraiche e
divino per il NT. La storia di Israele è preistoria del cristianesimo e l’AT è fortemente morale. Quello che
propone è una rivelazione in sé chiusa che realizza uno strettissimo monoteismo. Di questa scuola è anche
Giovanni Crisostomo.
Se De Lubac invita a vedere unitarietà fra le due scuole, Newmanne afferma la profonda divisione.
In quanto alla tipologia, è una tecnica che vede figure nell’AT che prefigurano realtà del NT. Adamo e
nuovo Adamo, Mar Rosso e Battesimo, manna ed eucaristia… Questa è quindi una lettura particolarmente
cristiana. Ma ciò lo ritroviamo già in Isaia quando fa riferimento figurativo all’esodo: ciò manifesta l’uso
ebraico di tale metodo.
In definitiva, possiamo parlare di quattro sensi delle Scritture: storico, tropologico/morale, allegorico e
anagogico/escatologico. Nicola di Lira sintetizzerà in quel “littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis
quid agas, qui tendas allegoria”.
Che poi egli conoscesse meglio d’ogni altro la divinità dello Spirito, risulta chiaro dalle frequenti
dichiarazioni ch’egli fece in pubblico al riguardo, quando lo consentiva l’opportunità, e dall’esplicito
riconoscimento che ne faceva in privato a coloro che lo interrogavano; più chiaro ancora l’ha reso nei
suoi colloqui con me, col quale non aveva segreti nelle conversazioni sull’argomento, senza limitarsi ad
una dichiarazione pura e semplice, ma—ciò che prima non gli era accaduto di fare frequentemente—
imprecando su di sé la cosa più tremenda, d’essere, cioè, respinto dallo Spirito, s’egli non venerava lo
Spirito insieme col Padre e col Figlio, come dotati della stessa sostanza e dello stesso onore.
Qui per la prima volta troviamo l’argomentum patristicum: era necessario, per Basilio, raccogliere le
testimonianze dei padri anche non scritte, soprattutto dalla liturgia:
A coloro che dicono che la dossologia con lo Spirito non è attestata nella Scrittura, diciamo questo: se
non si accetta nessun’altra cosa non attestata nella Scrittura, non si accetti neppure questa: se però la
maggior parte delle celebrazioni dei misteri hanno per noi diritto di cittadinanza insieme a molte altre
cose che pur non sono nella Scrittura, allora ammettiamo anche questa. Io credo che sia un criterio
apostolico attenersi anche alle tradizioni non scritte: ‘Vi lodo—dice infatti l’Apostolo—perché in ogni
cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse’; e ancora: ‘Mantenete le
tradizioni che avete apprese sia dalla nostra parola sia dalla nostra lettera’.
In quanto alla sua teologia, è lui che differenzia dalla generazione del Figlio la processione dello Spirito
Santo. Da subito grida la consustanzialità dello Spirito Santo.
“Cosa manca, dunque, allo Spirito---tu obietti---perché sia Figlio? Ché, se non ci fosse qualcosa che gli
manca, sarebbe il Figlio. Ma noi non diciamo che gli manchi qualcosa, perché Dio non è manchevole;
ci riferiamo alla differenza della manifestazione, per così dire, o del rapporto reciproco, che produce
anche la differenza del loro nome. Del resto, nemmeno al Figlio manca qualcosa per essere il Padre---
ché la condizione di figlio non implica una mancanza---e non per questo è il Padre; altrimenti,
mancherebbe qualcosa anche al Padre per essere il Figlio---ché il padre non è il figlio. Ma queste
parole non indicano una mancanza di alcun genere, né una diminuzione secondo la sostanza, mentre i
termini di non essere stato generato e di essere stato generato e di procedere indicano l'uno il Padre,
l'altro il Figlio, il terzo quello che si chiama, appunto, Spirito Santo, in modo che si conservi non
confusa la distinzione delle tre ipostasi nell'unica natura e nell'unica dignità dell'essenza divina. Il
Figlio non è il Padre, ché il Padre è uno solo, ma è la stessa cosa che è il Padre; né lo Spirito è il Figlio
per il fatto che proviene da Dio, perché uno solo è l’Unigenito, ma è la stessa cosa del Figlio. I Tre sono
un solo essere quanto alla natura divina, e il solo essere è tre quanto alle proprietà: l’uno non deve
essere inteso alla maniera di Sabellio, né i Tre sono quelli della sciagurata divisione che è in voga
oggidì. Ebbene? Lo Spirito è Dio? Certamente! E allora? E’ homousion? Sì, se è vero che è Dio,”
(Oratio 31.9-10).
Nella sua cristologia, segue l’antiocheno logos-antropos: è lui che ci lascia l’importante detto per cui ciò che
Cristo assume, redime. Gesù è un uomo totale, così che tutto l’uomo – nous soprattutto – è stato redento. È
lui ad applicare il linguaggio trinitario a Cristo: se la Trinità è “1 what and 3 whos” (ma non 3 egos), Cristo è
“2 whats and 1 who”.
Due sostanze sì (al neutro, allo kai allo), ma non due persone (al maschile, ouk allos de kai allos), mentre
per la Trinità è al contrario.
“Se dunque, tu che vuoi esercitare meglio la tua curiosità, vale a dire, la vuoi esercitare per
metterla al servizio della tua salvezza, percorri le chiese apostoliche, nelle quali i seggi stessi
degli apostoli presiedono ancora, al loro posto, nelle quali le stesse loro lettere, lettere
autentiche, vengono recitate facendo risuonare la voce e rappresentando il volto di ciascuno
apostolo. Vicino a te è l’Acaia: tu trovi Corinto. Se non sei lontano dalla Macedonia, hai
Filippi; se puoi recarti in Asia, hai Efeso; se poi sei ai confini dell’Italia, hai Roma, donde
giunge anche fino a noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella chiesa, alla quale gli
apostoli profusero tutta la dottrina con il loro sangue, dove Pietro è pari al Signore nella
passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo
Giovanni, alcuni anni più tardi, viene gettato in un olio di fuoco: niente patì, viene relegato in
un’isola. Guardiamo che cosa ha appreso, che cosa ha insegnato, quella chiesa: insieme alle
chiese africane che sono unite a lei, essa conosce un solo Dio Signore, creatore dell’universo,
e Gesù Cristo…” (De praescritione haereticorum 36.1-3).
L’eco della predicazione degli apostoli è garanzia, unita al loro sangue. Tertulliano riporta, fra l’altro, la
leggenda sull’apostolo Giovanni.
Uomo intelligente e capace, ci dà 982 neologismi per il vocabolario latino del cristianesimo. Ritiene che
non necessitiamo della filosofia: “che ha a che fare Atene con Gerusalemme?”.
Si oppone con forza contro la persecuzione dei cristiani:
“Per contro a quelli si deve attribuire il nome di fazione, i quali, per suscitare l'odio contro
persone buone e oneste cospirano, che contro il sangue d'innocenti gridano, a giustificazione
del loro odio pretestando, invero, anche quella futile opinione, per cui stimano che per ogni
publica calamità, per ogni disgrazia popolare siano in causa i Cristiani. Se il Tevere fino alle
mura sale, se il Nilo fino ai campi non cresce, se il cielo si arresta, se la terra si scuote, se c'è la
fame, la peste, subito 'I Cristiani al leone!' - si grida. Tanta gente a un solo leone?”
(Apologeticum 40.1-2).
Nella sua teologia, inoltre, come gli altri autori cristiani di ogni tempo, condanna l’aborto come omicidio
gravissimo, poiché “nel seme, già vi è il frutto”. Quindi è palese che i cristiani si distinguono per la loro difesa
della vita.
Nel 207 si avvicinò al rigorismo dei montanisti: fondati da Montano, profeta della Frigia, questi era – a
sua detta – l’incarnazione dello Spirito Santo con tendenza all’estasi. Negava l’autorità della Chiesa; accanto a
lui ritroviamo Priscilla e Massimilla. All’inizio i montanisti sono nella Chiesa, tanto che Ireneo stesso chiede al
papa di accettarli. Ma questi realizzano la scissione e alcuni tra loro seguono direttamente Tertulliano.
Così, il nostro scrittore ecclesiastico rifiuta la società e la cultura romana, è contro la filosofia e dà grande
contributo al latino cristiano. È lui che già prima di Agostino arriva a parlare di una persona e due nature in
Cristo. In quanto alla seconda penitenza, egli è da cristiano a favore di essa seppur esigendo con grande
penitenza; chi vuole riconciliarsi, deve chiedere perdono a tutta la Chiesa che è Cristo e come Cristo intercede
presso il Padre, nessun membro escluso. Divenuto montanista, comincia col negare l’autorità della Chiesa,
11.2. CIPRIANO
Nasce nel 210 a Cartagine da pagani e a 35 anni è battezzato e diviene sacerdote; solo quattro anni dopo è
eletto vescovo. Subisce l’invidia per la sua breve ascesa e quando Decio promulga l’obbligo di offrire incenso
alla sua statua, lui fugge seguendo l’invito del Vangelo di Matteo; ma per ciò è messo all’indice dal suo
presbiterio.
Si creano intanto differenti situazioni: vi erano i lapsi, quelli che avevano sacrificato; i libellatici, che si
erano procurati un falso attestato di offerta; gli stantes, che erano rimasti saldi nella fede; i confessores, che
furono perfino incarcerati; quindi i martiri. Da qui nasce la pratica per cui coloro che erano lapsi o libellatici
chiedevano ai confessores di offrire la loro pena per la loro salvezza; i confessores redigevano allora una lettera
per il vescovo, ove si affermava tale “offerta pro” e il vescovo doveva perdonare necessariamente il
“rinnegatore” (da qui la pratica delle indulgenze). Cipriano non era assolutamente concorde con tale modo di
fare: era per lui necessario un concilio così da risolvere comunitariamente tale situazione.
Allo scoppiare di un nuovo momento di persecuzione, Cipriano optò per una nuova riconciliazione
generale perché anche i penitenti potessero essere fortificati dall’eucaristia; ecco allora che, assieme a lui martire
(14 settembre 258), morirono anche altri che erano stati apostati.
Cipriano ebbe una forte tensione con Papa Stefano sul battesimo al di fuori della Chiesa, nei circoli eretici.
Se Agostino differisce res e sacramentum, sostenendo che vi è il sacramento ma non l’efficacia (è necessaria
l’imposizione delle mani per il perdono dei peccati) e quindi sostenendo che lo Spirito Santo agisce anche
fuori dalla Chiesa, Cipriano riteneva esattamente l’opposto: vanno ribattezzati. Ecco così che extra ecclesia,
salus non est poiché habere non potest Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem.
“Allo stesso [Pietro], dopo la risurrezione, [Gesù] dice: Pasci le mie pecore. Sopra di lui edifica la
Chiesa e a lui affida le pecore da pascere. E quantunque a tutti gli Apostoli attribuisca eguale potere,
tuttavia egli istituì un’unica cattedra, stabilendo in essa, con l’autorità della sua parola, l’origine e il
motivo dell’unità. Certamente anche gli altri Apostoli erano nella stessa dignità di Pietro, ma a Pietro è
conferito il primato, perché una apparisse la Chiesa e una la cattedra. Tutti certamente sono pastori,
ma il gregge è presentato come uno solo, per essere pasciuto da tutti gli Apostoli stretti da unanime
consenso. E chi non conserva questa unità della Chiesa, si illude di conservare la fede? Chi abbandona
la cattedra di Pietro, su cui è stata fondata la chiesa, si illude di restare nella Chiesa?” (De catholicae
ecclesiae unitate 4: Testo del primato)
Infine, per Cipriano vi è omologia tra comunione con la Chiesa universale e comunione con il vescovo
locale: poiché “il Vescovo è nella Chiesa e la Chiesa è nel vescovo” . Ciò contribuisce anche al concetto di
collegialità.
12. AGOSTINO
È il più importante e influente padre della Chiesa occidentale.
Nato in Numidia, in Africa del nord, il 13 novembre del 354, è romano di lingua e cultura. Il padre è
Patrizio e la madre s. Monica. Aveva un fratello ed una sorella. Fu iscritto da bambino nel catecumenato; da
giovane si formò per divenire retore, avvocato e politico. A 19 anni legge l’Hortensius, che dà l’input filosofico
ad Agostino. Per nove anni è manicheo (gnostici organizzati in una chiesa; per loro vi è razionalità che esclude
la fede, un cristianesimo puro che deve esclude Antico Testamento e vede la soluzione radicale al problema del
male in un dualismo materialistico).
Attendeva una grande manifestazione di un grande manicheo, Festo, ma questi lo lascia deluso così
fortemente da abbandonare intellettualmente il manicheismo. Si reca prima a Roma e vi rimane fino a che
Simmaco lo manda a Milano come retore di coorte. In tutte queste vicissitudini, ha da una concubina (che non
può sposare perché di una categoria sociale troppo bassa rispetto a lui) un figlio, Adeodato; e a Milano questa
donna lo lascia perché Agostino potesse sposarsi, realizzando così in Agostino solo un grande vuoto e
afflizione interiore.
Conosce Ambrogio e questi lo apre all’intelligenza delle Scritture, particolarmente dell’Antico Testamento.
In un momento poco felice, mentre è in un giardino, una voce lo invita: tolle, lege! Prende il testo: è la Bibbia;
vi ritrova un passo paolino: è la definitiva conversione. Fu battezzato il 24 aprile 387. Da Agostino
conosciamo questo: egli si era accostato al platonismo, ma ciò che lo spinge fortemente al cristianesimo è la
kenosi del Logosa cui la filosofia non sa arrivare.
Si dirige allora verso l’Africa: nel viaggio muore ad Ostia Monica. Ripartito e giunto in Africa, vuole vivere
il laicato monastico; ma viene presto ordinato sacerdote e, dopo un anno di ritiro e tre di servizio pastorale, è
acclamato a vescovo coadiutore e poi a titolare di Ippona (397).Tra le attività ordinarie devono annoverarsi: il
ministero della parola (predicò ininterrottamente due volte alla settimana-sabato e domenica--spesso per più
giorni consecutivi o anche due volte al giorno); l’audientia episcopi per ascoltare e giudicare le cause, che gli
occupavano non raramente tutta la giornata; la cura dei poveri e degli orfani; la formazione del clero, con il
quale fu paterno, ma anche rigoroso; l’organizzazione dei monasteri maschili e femminili; la visita agli infermi;
l’intervento a favore dei fedeli presso le autorità civili (apud saeculi potestates), che non amava fare, ma,
quando lo riteneva opportuno, faceva; l’amministrazione dei beni ecclesiastici, della quale avrebbe fatto
volentieri a meno, ma non trovò nessun laico che se ne volesse occupare. Ancor maggiore l’attività
straordinaria: i molti e lunghi viaggi per esser presente ai frequenti concili africani o per venire incontro alle
richieste dei colleghi; la dettatura delle lettere per rispondere a quanti, da ogni parte e di ogni ceto, si
rivolgevano a lui; la illustrazione e la difesa della fede. Quest’ultima esigenza lo indusse ad intervenire senza
posa contro i manichei, i donatisti, i pelagiani, gli ariani, i pagani. Aveva anche grandi corrispondenze, come
quella con Girolamo, che era a Betlemme.
Muore nel III mese di assedio dei vandali ariani (28 agosto 430). Il suo primo biografo ci dà l’elenco delle
sue opere che vennero salvate. Muore pregando i salmi penitenziali, che si fa scrivere e apporre sulle mura della
stanza per leggerli. Fu sepolto nella Basilica pacis ma, all’espulsione dei vescovi cattolici dall’Africa del Nord, il
suo corpo è temporaneamente in Sardegna. Si decise, infine, di dargli sepoltura accanto ad Ambrogio; ma, nel
viaggio verso Milano, i reali che risiedevano a Pavia decisero di collocare il suo corpo nella medesima città in
san Pietro in ciel d’oro, ove è sepolto anche Boezio.
Un carattere nobile, generoso e forte; una ricerca insaziabile della sapienza; un bisogno profondo
dell’amicizia; un amore vibrante a Cristo, alla Chiesa, ai fedeli; un’applicazione e una resistenza sorprendenti al
lavoro; un ascetismo moderato e pur austero; una sincera umiltà che non teme di riconoscere i propri errori;
una dedizione assidua allo studio della Scrittura, alla preghiera, alle ascensioni interiori, alla contemplazione.
“Sei grande, Signore, e degno di somma lode: grande è la tua potenza, e la tua sapienza non ha
numero.’ E l’uomo, minia particella del tuo creato, vuole lodarti: l’uomo, che porta in giro con sé la sua
“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco, tu eri dentro e io
fuori, e lì ti cercavo e, brutto com’ero, mi gettavo sulle bellezze da te create. Eri con me, ma io non ero
con te. Da te mi tenevano lontano cose che, se non fossero in te, non sarebbero. Gridasti e chiamasti e
spezzasti la mia sordità, balenasti, splendesti e scacciasti la mia cecità, schiudesti il tuo profumo, ne
respirai e a te anelo, ne gustai e di te ho fame e sete, mi toccasti, e m’infiammai della tua pace” (conf.
10.27.38 trad. Gioacchino Chiarini).
“Dio non avrebbe potuto elargire agli uomini dono più grande di quello di costituire loro capo lo stesso
suo Verbo per cui mezzo aveva creato l’universo, unendoli a lui come membra, in modo che egli fosse
figlio di Dio e figlio dell’uomo, unico Dio insieme con il Padre, unico uomo insieme con gli uomini. Ne
segue che, quando parliamo a Dio e preghiamo, non dobbiamo separare da lui il Figlio, e quando prega
il corpo del Figlio, esso non ha da considerarsi staccato del suo capo; per cui la stessa persona, l’unico
salvatore del corpo mistico, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è colui che prega per noi, che
prega in noi e che è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote; prega in noi come nostro
capo; è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo dunque in lui la nostra voce, e in noi la sua
voce” (en. Ps. 85.1).
In conclusione:
“Nessuno dev’essere così contemplativo da dimenticare nel corso delle sue contemplazioni che deve
rendersi utile al prossimo, e nessuno deve essere così attivo da non ricercare la contemplazione di Dio.
Nella contemplazione, non si deve ricercare un riposo inerte, ma la scoperta della verità, al fine di
progredire in essa senza ricusare di far parte agli altri di ciò che si è scoperto. Nell’azione, poi, non si
deve ricercare né l’onore né il potere di questa vita, poiché tutto è vanità sotto il sole, ma la bontà
dell’opera stessa.” Perciò “l’amore della verità ricerca la quiete della contemplazione (otium sanctum),
la necessità dell’amore accetta l’attività dell’apostolato (negotium iustum). Se nessuno c’impone
questo fardello, applichiamoci allo studio e alla contemplazione della verità; ma se ci viene imposto
dobbiamo accettarlo per la necessità della carità. Tuttavia, anche in questo caso, non dobbiamo
rinunciare completamente alle gioie della verità, affinché non accada che, privati di quella dolcezza,
restiamo oppressi da questa necessità” (De civitate Dei 19.19).
-Fine semestre -