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OT 16Nell'insegnamento

della teologia d
Patrologi
ogmatica, prima vengano
proposti glia stessi temi
biblici. Si illustri poi a gli
alunni il contributo dei
Padri della Chiesa
d'Oriente e d'Occidente
nella fedele trasmissione
ed enucleazione delle
singole verità rivelate,
nonché l'ulteriore storia
del dogma, considerando
anche i rapporti di questa
Patrologia

Testi per l'esame 2011

1. Athanasius, De Incarnatione Verbi Dei


Italiano: Mag 30 DP 2*
Français: S.L. 30 CB 199
Espanol: Mag 30 CS 6*
Deutsch: Mag 30 CF 5/2*
English: Mag 55 H 161*

2. Cyrillus Alexandrinus, Quod Unus Sit Christus


Italiano: Mag 30 DP 37*
Français: S.L. 30 CB 97
Espanol: Mag 30 CS 14*
Deutsch: Mag 30 CF 42*

3. Leo Magnus, In Nativitate Domini Sermones XXI - XXX


Italiano: S.L. 300 CA 8
Français: S.L. 30 CB 22bis
Espanol: S.L. 8 CD 291
Deutsch: Mag CF 26, 1*
English: Mag 30 CP 93*

INTRODUZIONE
Nell'insegnamento della teologia dogmatica, prima vengano proposti gli stessi temi biblici. Si illustri
poi agli alunni il contributo dei Padri della Chiesa d'Oriente e d'Occidente nella fedele trasmissione ed
enucleazione delle singole verità rivelate, nonché l'ulteriore storia del dogma, considerando anche i
rapporti di questa con la storia generale della Chiesa (35). (OT16).

Meditare, riflettere, comunicare: sono questi i verbi della teologia patristica che è teologia biblica e perciò
appare fondamentale tale approccio.
Quando parliamo di patrologia ci rifacciamo al discorso, alla scienza dei Padri della Chiesa. Si studia tale
letteratura o come patrologia o come patristica o come letteratura cristiana antica. Tutti si soffermano sui
primi 5 secoli di vita della Chiesa ma la prima si sofferma su storia, dottrina…; la seconda fa uno studio
dogmatico dei padri nel loro valore ecclesiale; la terza è una disciplina letteraria più che teologica così che
studia aspetti stilistici e/o filologici.
Oggi studiamo i padri della Chiesa poiché essi hanno dato vita ad una vitalità perenne che continua a
parlare in tutti i tempi; celebre è il risveglio del XIX secolo. De Lubac e von-Balzasarsono fautori poi di un
ulteriore risveglio che dà vita ad un movimento patristico che si spinge al Concilio. C’è il pericolo di un
distacco da tale tradizione che il documento del 1989 richiama a rifuggire.
1.3 Distacco dalla tradizione ecclesiastica
―All‘indomani del concilio nei confronti dei padri un clima tiepido di minore interesse....Si tratta di tendenze,
talvolta troppo spinte, che favoriscono un certo distacco dalla tradizione ecclesiastica‖ (Presentazione all‘Istruzione della
Congregazione per L’Educazione Cattolica: Lo Studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale, p. 2).
Paolo VI sottolinea come sia necessario per un rinnovamento sulla scia del Vaticano II mettersi alla scuola
dei Padri per trovare
orientamenti e luci per superare le difficoltà post-conciliari e per capire come la Chiesa ha accolto la
Bibbia, così che ritorno alla Scrittura è ritorno ai padri;
chiari criteri di discernimento morale e dottrinali per camminare più sicuri in mezzo alle attuali
trasformazioni culturali e sociali:
sorgenti di spiritualità per i diversi movimenti che sorgono dalle spinte dello Spirito.

Nel 410 l’arrivo dei barbari e il sacco di Roma nessuno pensava fossero possibili. Nel De civitate Dei
Agostino descrive ciò e sostiene che i pagani accusano i cristiani di essere responsabili della caduta di Roma
per il fatto che essi non pregavano più gli dei. Nell’attacco alle Twin Towers c’è stato un vero e proprio
cambio di mentalità, esattamente come alla caduta di Roma. Gli attacchi contro il cristianesimo seguono tale
grande immagine del mondo che cambia. Per questo oggi possiamo dire che i padri ci aiutano a rispondere alle
trasformazioni di un mondo che cambia.

“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 2


Patrologia

1. CHI SONO I PADRI DELLA CHIESA


Sezioni 1: Patrologia, patristica e letteratura cristiana antica; lo
studio dei Padri nella teologia: significato e metodo dello studio.
I padri della Chiesa sono autentici maestri della fede, ci generano alla vita di fede e hanno la vocazione di
essere voce della gioventù della Chiesa. Essi sono comunque figli della Chiesa, non creano nuove cose ma
trasmettono articolando la Rivelazione.
Fino al IV secolo “padri” erano solo vescovi, i battezzatori del gregge, maestri delle loro Chiese. Questi
padri danno vita ad un argomentum patristicum così che dal IV secolo vengono citati i padri come forieri di
ortodossia. I primi ad avere tale titolo sono i 318 padri di Nicea; dopo il V secolo anche sacerdoti e diaconi
entrano in tali elenchi (Girolamo, sacerdote; Efrem il Siro, diacono).
1.5 La definizione di Vincenzo di Lerin
I Padri sono ―coloro che santamente, saggiamente e costantemente vissero, insegnarono, rimasero stabili nella fede e
nella comunione cattolica, e morirono fedeli a Cristo o meritarono la gioia di dare la vita per lui‖ (Il Commonitorio
28.6).
Per Vincenzo di Lerino i padri sono “coloro che santamente, saggiamente e costantemente vissero,
insegnarono, rimasero stabili nella fede e nella comunione cattolica, e morirono fedeli a Cristo o meritarono la
gioia di dare la vita per lui”.
Congar mette in rilievo la necessità dell’approvazione della Chiesa romana nella cui comunione sono morti
i padri. Sono difensori della dottrina della Chiesa. In definitiva possiamo dire con Petrus Annatus che
necessariamente sono 4 i criteri per definire un padre della Chiesa:
antichità.Come principio poniamo il 96 dove si colloca la lettera di Clemente ai Corinzi; prima di questo
abbiamo le lettere del canone. Quando si conclude? Con Giovanni Damasceno (750) in Oriente e Isidoro
di Siviglia (636) in Occidente; oppure (un’altro concetto) con l’avvento di Giustiniano (527)e la morte di
Gregorio magno (604); o col Concilio di Calcedonia; o con Ratzinger diciamo che termina con il grande
cambiamento culturale dovuto nel VII secolo all’espansione dell’Islam e allo spostamento dei popoli:
1.6 Joseph Ratzinger e l’epoca patristica “We would have to say, then, that the patristic age ended with the
changed intellectual climate marked by the Migrations and by the hostile spread of Islam; as an outward sign of the
latter, we can point to the pope‘s turning to the Carolingian Empire, by which the old ecumenism was finally
destroyed and—together with the creation of the church-state—the new self-understanding of the West, the
fundamental constellation of the Middle Ages, was created” (Ratzinger, Principles of Catholic Theology: Building
Stones for a Fundamental Theology, 146.)Alle volte si dice che Bernardo è l’ultimo dei padri; ma ciò ha tono
polemico perché si intende dire che la Scolastica ha perso i caratteri patristici.
Esempi: L’immacolata concezione è stata negata da alcuni padri ma c’è una diversità tra i modi in cui i
padri parlavano: come testimoni alla tradizione apostolica (con altri padri in cui è infallibile) oppure
come un dottore privato quando spiega le sue idee, quindi al momento in cui parlavano dell’immacolata
concezione parlavano come dottori privati. Altro esempio: 10.4.1 “Ora, appunto, come coloro che subiscono
la terapia del bisturi e del cauterio se la prendono con i medici per il dolore acuto provato nell‘intervento operativo,
ma se tutto questo procura loro la guarigione e la sofferenza della cauterizzazione scompare, allora avranno
riconoscenza per chi li ha curati; allo stesso modo, una volta resa libera la natura nel lungo scorrere dei tempi dal
male che ora è in essa intruso e congiunto, quando si sarà compiuto il ritorno alla condizione originaria di coloro
che attualmente sono soggetti al male, da tutta quanta la creazione si leverà un canto unanime di ringraziamento, sia
da parte di coloro che saranno puniti con questa purificazione e sia da parte di chi non avrà alcun bisogno di
purificazione. Questi e di tal genere sono gli insegnamenti che ci offre il grande mistero dell‘incarnazione divina.
Mediante il suo congiungimento con l‘umanità, assumendo tutti i caratteri propri della natura umana, la nascita, il
nutrimento e la crescita, fino alla prova della morte, Dio ha effettuato tutti quei benefici sopra menzionati,
liberando l‘uomo dalla malvagità e procurando guarigione allo stesso padre del vizio. E salvezza da una infermità la
liberazione da una malattia, sia pur a costo di sofferenza” (Oratio catechetica magna 26.8-9).Gregorio di Nissa
parla del restaurazione universale anche del diavolo ma sta spiegando come un teologo e non con tutta la
chiesa.

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Patrologia
Quindi: I Padri non parlano in una maniera senza sbagliare ma parlano infallibile quando parlano in
comunione con tutta la chiesa.
ortodossia.Significa eccellenza e non assenza di errore. Si intende quindi sostanziale comunione con la
dottrina ortodossa. Agostino crede che i bambini morti non battezzati sono destinati all’inferno; la
Scolastica parla di limbo; Gregorio di Nissa parla di salvezza anche per il Diavolo ( apokatastasis); anche
Tertulliano.
santità. Ciò porta a vedere armonia tra fede/dottrina e vita. La santità rende possibile più esatta la grazia
di comprendere la Rivelazione. Sono i padri strumenti docili nelle mani di Dio, all’ispirazione dello
Spirito Santo. In Tommaso come la Scrittura, così la patristica è quasi un argomento aperto proprio a dire
la comunanza dell’ispirazione;
approvazione ecclesiastica.Lì dove manca una caratteristica, non può esserci approvazione ecclesiastica
(Tertulliano muore fuori della Chiesa, montanista; Origene soffrì per la Chiesa nella persecuzione di
Decio ma ci sono difficoltà e nella sua vita e nei suoi testi).

IV. Scrittori Ecclesiastici e Dottori


C’è un altro titolo di ‘Dottore della Chiesa’ ma non per la loro antichità e un titolo di ‘Scrittori
Ecclesiastici’ che gli manca una dei questi aspetti. In quanto ai quattro padri latini, abbiamo nominati da
Bonifacio VIII nel 1295 Ambrogio, Girolamo, Agostino e Gregorio Magno. Sarà Pio V ad aggiungere i padri
greci Atanasio, Basilio Magno, Gregorio di Nazanzio e Giovanni Crisostomo e sono nella basilica di San
Pietro perché tutti parlano della catedra pietrina.
Questi padri pongono le basi della Chiesa e la loro è una lettura fortemente biblica; è la purezza della fonte,
quella patristica.
Quando Ireneo ascolta il Vangelo, lo fa ascoltando Policarpo che aveva ricevuto il vangelo da Giovanni.
Ireneo lottando contro gli gnostici (che avevano la loro tradizione segreta rivelata a pochi) deve mettere in luce
come solo la Chiesa trasmette la verità che è ereditata dagli apostoli e ciò è garanzia di verità. Policarpo allora
è vero testimone, è autentico e ortodosso tradente. Tutto ciò mostra la vicinanza tra padri, apostoli e Gesù
Cristo, la purezza della fonte.
I padri sono così epoca normativa: il deposito riceve la sua forma esatta. Ciò lo possiamo dire perché da
loro vengono il canone, i dogmi trinitari e cristologici, i simboli della fede, la disciplina ecclesiastica, le prime
forme liturgiche, le prime grandi catechesi, i primi termini del dizionario teologico (900 circa sono di
Tertulliano). Va compreso che tale normatività significa che essa non è trascurabile, non che ciò che viene poi
è di poco conto.
V. Metodo Teologico Patristico
1) Sacra Scrittura 1.7 La Testimonianza di Ireneo su Policarpo:
1.7.1 ―[Policarpo] non solo fu ammaestrato dagli apostoli ed ebbe consuetudine con molti che avevano visto il
Signore, ma appunto dagli apostoli fu stabilito per l‘Asia nella chiesa di Smirne come vescovo. Anche noi l‘abbiamo visto
nella nostra prima età. Infatti visse a lungo e molto vecchio, dopo aver testimoniato gloriosamente e molto chiaramente,
uscì dalla vita. Ora egli insegnò sempre quello che aveva appreso dagli apostoli, le cose appunto che la Chiesa trasmette e
che sole sono vere‖ (Adversus Haereses 3.3.4).
1.7.2 EUSEBIO citando la lettera di IRENEO a Florino: ―”Ricordo infatti gli avvenimenti di allora meglio di
quelli accaduti di recente (perché le conoscenze acquisite da ragazzi crescono con l‘anima, dentro di essa), così che posso
dire anche i luoghi dove il beato Policarpo si sedeva a discutere e il suo modo di procedere ed entrare in argomento, il
carattere della sua vita e il suo aspetto fisico, i discorsi che faceva alla folla, come riferiva le sue relazioni con Giovanni e
con gli altri che avevano visto il Signore, come ricordava le loro parole e quali erano le cose che aveva udito da loro sul
Signore, sui suoi miracoli e sul suo insegnamento, e come Policarpo avesse ricevuto tutto questo dai testimoni oculari
della vita del Signore e lo riferisse in conformità con le Scritture” (Historia Ecclesiastica 5.20.5-6).
Questa citazione è per evidenziare che l’epoca patristica è normativa per la nostra fede. Se avessimo perso
la Bibbia, potremmo ricostrituito un grande parte soltanto dai citazioni di Agostino nelle sue opere. In quanto
al loro metodo, possiamo dire che al centro sta l’esegesi; si legge la Scrittura secondo l’analogia della fede e in
medio Ecclesiae. Al centro della loro teologia stanno Scrittura e liturgia: “I padri hanno dato in tal modo la
prima risposta consapevole e riflessa alla sacra Scrittura, formulandola non tanto come una teoria astratta, ma
come quotidiana prassi pastorale di esperienza e di insegnamento nel cuore delle assemblee liturgiche riunite

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per professare la fede e per celebrare il culto del Signore risorto” (SP20); lo stesso s. Padre oggi opera in
questo modo.
2) Inculturazione Inoltre, ai padri è da riconoscere la loro capacità di inculturazione anzitutto latina e
romana: la LXX era scritta in greco così come poi i testi del NT e di tale inculturazione ellenistica non si può
fare a meno. Non dobbiamo dimenticare che la tradizione della LXX era per gli ebrei ispirata. Nella Fides et
ratio Giovanni Paolo II sottolinea che in ogni inculturazione non si può elidere quella d’origine.Ora, per i
padri i filosofi sono i padri degli eretici: Tertulliano: “che ha a che fare Atene con Gerusalemme?” Ma saranno
poi i padri successivi a leggere nella filosofia la possibilità di agganciare il cristianesimo. Molto spesso si
accusano i padri di essere filosofi (Agostino definito neoplatonico). Non c’è un sincretismo quiperché i
filosofici non vedono Dio come un “tu” come i teologi, cioè c’è una vera relazione tra Dio e l’uomo che non è
nei filosofici.
3) Difesa della fede Ai padri interessò difendere la fede: 1.9. Come diceva s. Agostino di fronte al
moltiplicarsi degli eretici: Dio ha permesso la loro diffusione, affinché non ci nutrissimo del solo latte e non
rimanessimo in stato di rude infanzia (Io. eu. tr. 36.6), in quanto molte questioni riguardanti la fede quando,
con astuta inquietudine, vengono esaminate più diligentemente, capite più chiaramente, predicate
più insistentemente di modo che la questione mossa dall’avversario diventi l’occasione
d’imparare (SP33).
4) Il Senso del Mistero e l‘Esperienza del Divino Inoltre, i padri vivono il forte senso del Mistero e
della trascendenza e proprio per questo non si può prescindere dalla liturgia per comprendere tale periodo
normativo. Ed inoltre, l’esperienza del divino suscita l’umiltà dei padri che comprendono e professano
l’ineffabilità del mistero.
1.11 I Teologi
San Gregorio Nazianzeno: ―Non crediate, voialtri, che il parlar di Dio come vuole la nostra religione sia una cosa
che compete a chiunque. Niente affatto: tale argomento costa caro e non lo posseggono quelli che vivono terra-terra.
Aggiungerò anche che non si può parlarne chiunque: lo si può fare certe volte, e a certe persone, e in una certa misura.
Non lo possono fare tutti, perché è un compito che spetta a quelli che si sono esercitati e hanno trascorso tutta la loro
vita nella contemplazione e, soprattutto, hanno purificato l‘anima e il corpo o, almeno, la stanno purificando‖ (Orazione
27.3). Gregorio nazianzeno sottolinea nella XXVIII orazione che anche per i santi è difficile fare teologia.
Nella XXVII mette invece in luce la necessità della purificazione della persona: bisogna crescere nella virtù e
quindi si può contemplare Dio nelle cose create da cui salire a Dio; è forse qualcosa di banale? Di terreno?
Sant’Ignazio mette per questo nella I settimana di esercizi la necessità di purificarsi dal mondo per poi
accedere al mistero pasquale. Se i filosofi neo-platonici conoscono il Logos per Agostino, tuttavia essi non
sono scesi nell’umiltà e nella kenosi di Dio, per loro non accettabile.
1.12 Bisogna pregare
―Perciò, prima di tutto, ed in particolar modo prima di parlare di Dio, è necessario cominciare dalla preghiera, non
per attrarre a noi la forza che è presente in tutti i luoghi e in nessuno, ma affinché con il ricordo e le invocazioni
possiamo metterci nelle sue mani e unirci a lei,‖ (Dionigi L‘Areopagita, Nomi Divini 3.1).Allo stesso modo tocca fare
a chi vuole incontrare Dio: “Bisogna pregare”, esorta Dionigi l’areopagita; “operando il bene e pregando con il
gemito dei santi desideri”, possiamo con l’aiuto divino comprendere ed amare (De Trinitate, 13).
5) La Realtà Unitiva della TeologiaQuando Agostino è nella sua sede di Ippona, egli vive nella
minoranza (la maggioranza è donatista); egli tuttavia ha influsso sulla Chiesa universale: ha corrispondenza,
per esempio, con Girolamo a Betlemme. Ilario e Atanasio pure lavorano per la Chiesa universale oltre che per
quella locale: teologia e spiritualità camminano assieme. Farsi qualche amico tra i Padri; questo è un scopo di
amore tra i fratelli. Ignazio nella Regula pro recto sentire cum Ecclesiasottolinea che Padri e Scolastica vanno
entrambi studiati: se i Padri muovono gli affetti, gli Scolastici muovono l’intelletto; inoltre, la Scolastica ha a
disposizione concili, canoni e costituzioni che i padri non avevano.
1.14 Lo studio dei Padri e la grazia della Contemplatio degli Esercizi Spirituali
1.14.1 11.a regola. L‘undicesima. ―Lodare la dottrina positiva e scolastica; perché così come é più proprio dei
dottori positivi, come san Girolamo, Sant‘Agostino e san Gregorio, ecc., muovere gli affetti per amare e servire in tutto
Dio nostro Signore, così è più proprio degli scolastici, come san Tommaso, san Bonaventura e il Maestro delle Sentenze,
ecc., definire o chiarire per i nostri tempi le cose necessarie alla salute eterna, e per meglio impugnare e svelare tutti gli
errori e tutte le fallacie.

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b. Perché i dottori scolastici, essendo più moderni, non solo si giovano della vera intelligenza della sacra Scrittura e
dei positivi e santi dottori, ma essendo anche illuminati e rischiarati dalla virtù divina, si giovano dei concili, canoni e
costituzioni di nostra santa madre Chiesa‖ (Regola 11 dalle Regole per il retto sentire nella Chiesa, Es. Sp. §363).
1.14.2 La grazia della Contemplatio: ―...perché io...possa in tutto amare e servire sua divina maestà‖ (Es.
Sp. §233).La grazia finale degli Esercizi è la contemplazione: servire e amare Dio in tutte le cose; tale grazia
sembra essere anche la finalità della patrologia.
In definitiva: non bisogna fare un’opposizione con gli Scolastici né pensare che la Patristica o la Scolastica
siano tutta la teologia ecclesiale. Tuttavia, non si può omettere uno studio e una conoscenza di questo passato
finalizzato non ad un archeologia teologica, bensì che esso è “non come un inutile archeologismo, ma come
uno studio creativo che ci aiuta a conoscere meglio i nostri tempi e a preparare il futuro”(SP60). Non ha un
fine in sé stesso ma c’è uno sviluppo: non vogliamo canonizzare l’epoca patristica ma vogliamo crescere nella
teologia radicati nel loro contenuto.

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Patrologia

2. LA FORMAZIONE DEL NT
Sezione 2: Gli Apocrifi Biblici: canonizzazione del Nuovo
Testamento, gli apocrifi ed il Protovangelo di Giacomo
2.1. CANONIZZAZIONE DEL NT
Ritorniamo al principio della letteratura cristiana: la 1Ts è il testo più antico del NT. Ben presto nel II
secolo si forma una letteratura che moltiplica i testi e ne propone di eterodossi: lo gnosticismo anzitutto che
redige e venera tali testi. Un’altra parte della letteratura è quella dei padri apostolici che veniva ritenuta
canonica: la lettera di Clemente ai Corinzi ne è un esempio.
Attorno al 144 si provoca il primo moto di canonizzazione degli scritti cristiani: e ciò a causa di Marcione che
propone il suo canone radicale (Lc e 10 lettere paoline, rifiutandone ogni elemento giudaico). Si comincia così
a comprendere la necessità di sancire quali testi devono essere ritenuti propri della Chiesa.
4. I tre criteri operativi nella canonizzazione del NT
(1) Origine apostolica
(2) Il ruolo delle chiese locali nell‘accoglienza del libro
(3) Regula Fide= la norma che delimita l‘ambito della ricerca cristiana della verità
Criteri sono: origine apostolica, anzitutto. Vi erano testi che facevano fatica ad essere accettati:
esemplificativa è la lettera agli Ebrei, di dubbia origine paolina (al tempo). L’atteggiamento occidentale viene
dal contrasto con il Pastore di Erma poiché in esso si parla per la prima volta di una possibile penitenza anche
dopo il Battesimo, mentre Eb 6,4-6 non accetta tale visione. Si capisce la tradizione di misericordia propria
dell’Occidente.
Se le Chiese apostoliche leggono un libro, allora questo riceve autorità. Sarà Ireneo a dare un criterio, un
canone sostenendo come se si legge a Roma, allora è canonico. Se la comunità ricorda la tradizione orale degli
apostoli e se arriva un documento dal contenuto differente, come può accettarlo? Per questo Ireneo sottolinea
che Policarpo era fedele agli apostoli.
Ultimo criterio era la regula fidei: doveva avere contenuto ortodosso; ma come definire ortodosso un testo
ai primordi della Chiesa? Con Kelly sosteniamo che vi era un chiaro contenuto di tale regola, pur non avendo
una o più formule fisse; bisogna rimanere guardinghi da apparenti cenni del simbolo negli scritti dei padri. I
punti centrali sono: vi è un unico Dio e il suo Figlio si è incarnato essendo davvero Dio e davvero uomo. E ciò
soprattutto era necessario per difendersi dagli gnostici.
Fortemente importante è il canone muratoriano ove sono assenti Eb, 1Pt, 2Pt, Gc e una lettera di Gv. Le
liste complete le abbiamo in Oriente nel 367 nella lettera pasquale di Atanasio e in Occidente nel 382 ad
opera di papa Damaso: nel Decretum gelasianum de libris recipiendis et non recipiendis (cap. 1-3) troviamo
l’elenco accanto ai padri e ai concili definiti ortodossi e ai testi ritenuti apocrifi.

2.2. APOCRIFI
Con apocrifo si intende segreto: sono scritti per un gruppo di iniziati da una dottrina; nel cattolicesimo,
sono apocrifi i testi falsi, eretici e tendenziosi. Nascono per riempire i vuoti della vita nascosta di Gesù, di
Maria e dei ministeri degli apostoli. Di solito, gli autori per dare credibilità si danno il nome o uno o più
personaggi fondamentali del NT. Di per sé, eretico e apocrifo non sono sinonimi: vi sono apocrifi che
riportano dottrine importanti per la Chiesa, particolarmente per Maria. Accanto a ciò, vi è puntualmente la
fantasia di miracoli ed eventi strani che rendono impossibile l’inserimento nel canone. Origene sostiene che nei
testi canonici vi è materiale degli apocrifi: forse sono esclusi perché vi sono verità che la mente umana non può
e non sa comprendere.
Per lo scrittore ecclesiastico allora forse vi sono verità accettabili: ciò fu possibile ad apostoli ed evangelisti,
non a noi. Così, Gd 14-15 parla di Enoch 1,9. Così farà la Chiesa col testo di Giacomo. Così nei vangeli
apocrifi vi è materiale proveniente da testimoni oculari o dedotti dall’ambiente dove vissero Gesù e apostoli e
famiglia o sono cose inventate.
IL PROTOVANGELO DI GIACOMO

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Patrologia
P. Guillaume Postel, S.J. nel 1549-1550
La Natività di Maria e Apocalisse di Giacomo
Forte è l’influsso soprattutto sulla liturgia particolarmente del protovangelo di Giacomo: i nomi dei
genitori di Maria, la presentazione di Maria al tempio, la grotta di Betlemme, il bue e l’asino, i nomi dei magi.
Al mattutino – prima della riforma del breviario – vi erano letture di questi testi. Il protovangelo vuole
completare i testi canonici; risale al 150/200 e fu scritto in Egitto e poi ampliato. È tardivo e l’autore mostra
la sua ignoranza sulla Palestina; ha forti influssi veterotestamentarii.
2.7.1 La presentazione di Maria al tempio: VII. “Intanto per la bambina i mesi andavano aumentando; quando ebbe
due anni, Gioacchino disse: ―Portiamola nel tempio al Signore per compiere la promessa da noi fatta, per paura che il
Signore non ce la richiami e non risulti sgradito il nostro dono.‖ Ma Anna rispose: ―Aspettiamo il terzo anno, affinché
non cerchi suo padre o sua madre.‖ E Gioacchino disse: ― “Aspettiamo.”
Quando la bimba ebbe tre anni, Gioacchino disse: ― “Invitiamo le figlie degli Ebrei, quelle senza macchia; prendano
in mano, ciascuna, una lucerna, e siano (le lucerne) accese, affinché ella non si volga indietro e il suo cuore non sia
trattenuto fuori del tempio del Signore.” E così fecero fino a quando non furono saliti al tempio del Signore. Il
sacerdote l‘accolse, l‘abbracciò, la benedisse ed esclamò: ― “Il Signore Iddio ha magnificato il tuo nome in tutte le
generazioni (cf. Lc 1, 48). In te, negli ultimi giorni, il Signore manifesterà la sua salvezza ai figli d‘Israele.” Ed egli la fece
sedere sul terzo grado dell‘altare e il Signore Iddio effuse su di lei la sua grazia, ed ella si mise a danzare e così fu presa a
benvolere da tutta la casa di Israele.”
Nell’Occidente fu inserito tra i testi non recepiendis e non viene letto tranne nel oriente. Nel 1549/1550
fu portato in Occidente da un gesuita ed era conosciuto come Natività di Maria nome originario (da cui Sisto
V, francescano, propone la festa e la estende a tutta la latinità) e Apocalisse di Giacomocon questo gesuita. Il
testo della nascita di Cristo è importante per il dogma di Maria vergine in partu; Giuseppe era vedovo e aveva
altri figli (ecco chi sono i fratelli di Gesù). Però Giovanni Paulo II rifiuta fortamente quest’idea perché non ci
aiuta a capire la castità di Giuseppe. La fantasiosità allora è un motivo contro la canonicità. Lei è rimasta una
vergine per natura e in modo fisica per tutta la vita.
2.7.2 La natività miracolosa di Gesù: XIX. E [Giuseppe e la levatrice] si fermarono nel luogo della grotta e vi era una
nube oscura che adombrava la grotta. La levatrice disse: ―Oggi la mia anima è stata esaltata (cf. Lc 1.46), perché oggi i
miei occhi hanno visto cose mirabili (cf. Lc 2, 30): è nata la salvezza di Israele.‖ All‘improvisso la nube si ritrasse dalla
grotta, e apparve nella grotta una grande luce, tale che gli occhi non potevano sopportarla. E, a poco a poco, quella luce
andava dileguandosi, finché apparve un bambino. Egli venne e prese il seno della madre. La levatrice allora esclamò:
―Quanto è grande questo giorno per me, perché mi è stato dato di vedere questo nuovo spettacolo!‖ E la levatrice uscì
dalla grotta imbattendosi in Salome, alla quale disse: ―Salome, Salome, ho da riferirti del nuovo: una vergine ha messo
al mondo, cosa che la sua natura non permette.‖ Salome replicò: ―Vive il Signore, mio Dio: se non metto il dito e non
esamino la sua natura, non crederò mai che una vergine abbia partorito.‖E lei mette la dito per cercare...è facile capire
perché non viene letto il 25 dicembre!
Vi sono altri molti testi che sono gnostici (17 circa): tra questi spicca il vangelo dell’Infanzia di Tommaso.
Abbiamo in definitiva i canonici (pienamente ispirati), gli scritti apocrifi (mescolano verità e fantasia), quelli
patristici (con una certa ispirazione) e quelli gnostici.
2.8.1 Questo bambino Gesù, all‘età di cinque anni, giocava nel guado di un ruscello, e traeva le acque correnti nei
fossati, e le rendeva subito pure, e le comandava con una sempilce parola. E bagnata dell‘argilla, ne foggiò dodici passeri,
e quando fece questo era un giorno di sabato. E c‘erano anche molti altri fanciulli che giocavano con lui. Allora un ebreo,
avendo osservato quello che Gesù stava facendo, che giocava in giorno di sabato, se ne andò subito ad annunciarlo al
padre suo Giuseppe: ‗Ecco, disse, che tuo figlio è presso il ruscello, e, presa dell‘argilla, ne ha foggiato dodici uccelletti,
ed ha profanato il sabato.‖ E Giuseppe, venuto in quel posto, lo vide e gli gridò: ―Perché fai di sabato ciò che non è
permesso fare:‖ Ma Gesù, battendo le mani e rivolgendosi ai passerotti, gridò loro: ―Volate via.‖ E i passeri, aperte le
ali, volarono mandando strida. Gli Ebrei rimasero molto stupiti a questo spettacolo e andarono a raccontare ai loro capi
ciò che avevano visto fare a Gesù (c.2).
2.8.2 Un‘altra volta, Gesù attraversava il villaggio, e un bambino correndo lo urtò ad una spalla. E Gesù irritato gli
disse: ―Non continuerai la tua strada.‖ E tosto il bambino cadde morto. E alcune persone, che avevano visto ciò ch‘era
accaduto, dissero: ―Donde verrà mai questo bambino, che ciascuna sua parola si realizza subito?‖ E i genitori del
bambino morto vennero a trovare Giuseppe e si lamentarono dicendo: ―Con un bambino simile, non puoi abitare con
noi nel villaggio, oppure insegnagli a benedire e non a maledire; giacchè egli fa morire i nostri figli.‖

“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 8


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E Giuseppe, preso a parte il bambino, lo rimproverava, dicendo: ―Perché fai così? Queste persone soffrono, e ci
odiano, e ci perseguitano.‖ Gesù rispose: ―So che le parole che pronunci non sono tue; tuttavia, tacerò per amor tuo; ma
loro, subiranno il castigo.‖E subito, quelli che l‘accusavano divennero ciechi (4,1-5,2).
4 categorie di scritti del questo periodo: 1° scritti canonici, 2° scritti apocrifi (ok di leggere ma non fanno
parte della Bibbia), 3° opere gnostici (non accettabili), 4° scritti dei padri (godano una certa ispirazione ma in
senso generico, non come i vangeli)

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3. I PADRI APOSTOLICI
Sezione 3: La letteratura dei Padri Apostolici: 1 Lettera di Clemente ai
Corinzi, la Didaché, la Lettera di Barnaba, la Lettera a Diogneto ed il
Pastore di Erma.
Il periodo che trascorre tra il 90 e il 160 dà vita alla letteratura sub-apostolica. È lo stesso ambiente degli
scritti del NT. Jean-Baptiste Cotelier pubblicò a Parigi nel 1672 la prima edizione di questi Padri: Patres aevi
apostolici e include gli autori dei testi in questione. Solo nel XIX secolo abbiamo per la prima volta uno degli
scritti centrali di questo periodo, la Didachè. Abbiamo ancora il Pastore di Ermae la Lettera di Barnaba che
definiamo apocrifi e la Lettera a Diogneto che è apologetica greca. Non è un gruppo omogeneo di scritti.
Sono scritti apocrifi, come greco apologetico. Per valore, vengono immediatamente dopo gli scritti den NT,
tanto che il Pastore di Erma è da principio letto nella liturgia. Alcuni prendevano uno status canonico e
vengono utilizzato nella liturgia in parecchi luoghi ma non per noi.
È forte il respiro apostolico in queste opere; anche teologia, lingua, espressioni legate alla vita quotidiana
richiamano gli apostoli perché sono stati scritti dai discepoli degli apostoli. Possiamo quindi affermare che
forte è il legame tra Rivelazione e Tradizione.
In sintesi, le caratteristiche di questa letteratura sono:
(1) obbedienza Ecclesiastica;
(2) posizione forte contro eresie e scismi;
(3) profondo senso escatologico;
(4) ricordo vivido della persona di Cristo;
(5) cristologia più o meno uniforme;
(6) esposizione della fede, ma non scientifica.Perché è intercomunitaria e non per gli altri.
3.1. LETTERA DI SAN CLEMENTE AI CORINTI
È la più antica subito dopo in NT ed è contemporanea alla II lettera di Pietro (qualcuno ipotizza che
questa sia stata scritta nel 125, ma è troppo troppo tardi). Dopo Nerone e dopo la persecuzione di
Domiziano, si redige tale lettera. Apostoli e successori immediati di questi sono ormai morti. Nella lettera a
papa Sotero di Dionigi di Corinto si legge che tale epistolaè proclamata nella liturgia.
Vi è uno scisma a Corinto: i giovani hanno tolto gli anziani dalla direzione della Chiesa locale; era
un’esigua minoranza. La comunità romana si rende conto di tale situazione grazie ad alcuni cristiani di Roma
che, di ritorno da Corinto, riferirono che l’accoglienza fredda ricevuta li aveva portati a “scoprire” le difficoltà
in seno alla comunità. Così senza alcuna sollecitazione Roma interviene. Si parla di disgrazia improvvisa – la
persecuzione di Domiziano – che non aveva concesso un più immediato intervento. Al centro il richiamo: c’era
una giusta gerarchia a Corinto e voi avete escluso i capi e li ignorate.
L’autore è di discendenza giudaica; cista spesso l’AT e solo due volte i vangeli; parla a nome della comunità
romana.
3.1 Indirizzo e saluto della Lettera (di San Clemente Romano) ai Corinti
―La Chiesa di Dio che dimora in Roma, alla Chiesa di Dio che dimora in Corinto, ai chiamati e santificati nella
volontà di Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo. Grazia a voi e pace in abbondanza dall‘onnipotente Dio per
mezzo di Gesù Cristo‖ (I Clemente).
Il nome Clemente non si trova nella lettera ma sin dall’antichità c’è comune accordo nell’attribuirgliela.
Secondo Ireneo, Clemente è terzo successoredi Pietro (90/92-101); nelle Adversus haereses dice che egli “ha
ancora nelle orecchie la predicazione e davanti agli occhi la loro Tradizione” e gli attribuisce la lettera inviata
per confermare la regula fidei.
3.2 La Successione Apostolica a Roma secondo Sant‟Ireneo
―Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell‘episcopato; di
questo Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo. A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire
dagli apostoli, riceve in sorte l‘episcopato Clemente, ... Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non
piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi una importantissima lettera per riconciliarli nella

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pace, rinnovare la loro fede e annunciare la Tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli : un solo Dio
onnipotente, creatore del cielo e della terra e plasmatore dell‘uomo, il quale ha fatto venire il diluvio, ha chiamato
Abramo,
Eusebio lo dichiara collaboratore di Paolo (Gal 4,3): ma siamo nel IV secolo e perciò è un’informazione
difficile da provare.
3.3 L‟Identità di Clemente secondo Eusebio
―Il dodicesimo anno dello stesso principato [cioè, di Domiziano], ad Anacleto, vescovo della Chiesa di Roma per
dodici anni, succedette Clemente, che l‘apostolo Paolo, nella lettera ai Filippesi, dichiara di aver avuto come
collaboratore, dicendo: ―Insieme con Clemente e gli altri miei collaboratori, i cui nomi sono nel libro della vita‘‖
(Storia Ecclesiastica 3.15).
Altra ipotesi: forse è cugino di Domiziano, condannato a morte per il suo ateismo; ciò è un segno per noi: atei
erano i cristiani perché non adorano gli dei del Pantheon romano. Secondo gli studiosi, però, ancora non si
sviluppa il monoepiscopato a Roma (però era più sviluppato nell’Oriente) e a Roma nei primi tempi si ha un
consiglio episcopale e quindi egli forse ha comunque l’incarico di scrivere lettere fuori Roma (una sorta di
segretario di stato), come afferma il Pastore di Erma “Scriverai pertanto due libretti e ne manderai uno a Clemente e
uno a Grapte. Clemente poi lo manderà alle città straniere, poichè ciò è commesso a lui.” Al minimo possiamo allora
dire che è portavoce della Chiesa romana e suoi presbiteri. È ovvio che lui è più importante degli altri
presbiteri a Roma, ma non si può dire di più basato sui testi e sulla storia.
Tra i punti centrali della lettera abbiamo:
la testimonianza della presenza di Pietro e Paolo a Roma: sono le due colonne della Chiesa romana. Di
Paolo si dice di esser stato ai confini dell’Occidente (che si sia recato davvero in Spagna, come lui
desiderava fare?);
l’ordine e l’armonia del cosmo deve rispecchiarsi nella Chiesa e particolarmente nella liturgia (già vi era una
gerarchia liturgica – gran sacerdote, sacerdoti, laici per la prima volta citati); 3.7 I tempi stabiliti
―1. Sono per noi evidenti queste cose e siamo scesi nelle profondità della conoscenza divina. Dobbiamo fare con ordine
tutto quello che il Signore ci comanda di compiere nei tempi fissati. 2. Egli ci prescrisse di fare le offerte e le liturgie, e
non a caso o senz'ordine, ma in circostanze ed ore stabilite. 3. Egli stesso con la sua sovrana volontà determina dove e da
chi vuole siano compiute, perché ogni cosa fatta santamente con la sua santa approvazione sia gradita alla sua volontà. 4.
Coloro che fanno le loro offerte nei tempi fissati sono graditi e amati. Seguono le leggi del Signore e non errano. 5. A1
gran sacerdote sono conferiti particolari uffici liturgici, ai sacerdoti è stato assegnato un incarico specifico e ai leviti
incombono propri servizi. I1 laico è legato ai precetti laici‖ (I Clemente 40.1-5) Prima volta vengono menzionato come
diverse dal clero!
si sofferma sulla successione apostolica che viene da Dio (il Padre manda Cristo, Cristo gli apostoli) e
quindi dagli apostoli; per dar forza, inserisce Is 60,7(“Così infatti dice la Scrittura in un luogo: Stabilirò i
loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede” dove “i loro diaconi” è un’aggiunta); 3.9.1 ―Gli
apostoli furono mandati a predicare il Vangelo dal Signore Gesù Cristo. Gesù Cristo fu mandato da Dio. Il Cristo
dunque viene da Dio e gli Apostoli da Cristo: ambedue le cose procedettero ordinatamente dalla volontà di Dio.
Ricevuto quindi il mandato e resi sicuri dalla risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, fiduciosi nella parola di
Dio, con l‘assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare la buona novella che il regno di Dio stava per
venire. Predicando per la campagna e per le città, essi costituivano le loro primizie, provandole per mezzo dello
spirito, per farne vescovi e diaconi dei futuri credenti. E questo non era una novità, poiché da gran tempo la
Scrittura parlava dei vescovi e dei diaconi. Così infatti dice la Scrittura in un luogo: Stabilirò i loro vescovi nella
giustizia e i loro diaconi nella fede (Isa. 60,7)‖ (I Clemente 42.1-5).
L‘intervento di Roma: testimonianza al primato? Situazione: Roma = informata della situazione a
Corinto; si sente coinvolta. Si vede la solicitudine di Roma per gli altri chiese: senso del caritas: due
estremi: Solo espressione di solidarietà fraterna (punta di vista protestante e non più di quello, cioé danno
soldi), o il primato romano nel senso giuridico?
Cioé, sulla discordia richiama i testi di Paolo e redarguisce i cristiani perché la loro discordia dà
scandalo anche ai non cristiani.
Tale letteratura è centrale per la questione del primato. Roma fu informata ma a causa della persecuzione
non può rispondere immediatamente. Tale risposta non è sollecitata ma ci si sente coinvolti così che da ciò è
palese la sollecitudine dell’Urbe per le altre chiese. Un autore protestante parla di una sollecitudine fraterna e
di nient’altro; altri parlano di epifania del primato giuridico romano.

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3.12 Pietro a Roma: Roma era evangelizzata tra 43 -49 A.D. In At 12,17 leggiamo:“Egli [Pietro], allora,
fatto segno con la mano di tacere, narrò come il Signore lo aveva tratto fuori del carcere, e aggiunse: Riferite
questo a Giacomo e ai fratelli. Poi uscì e s’incamminò verso un’altro luogo”. Pietro, recandosi dagli apostoli
dopo esser stato scarcerato miracolosamente, chiede che a Giacomo sia riferito il tutto (quindi l’apostolo è
ancora vivo); quindi si recò verso un altro luogo: per sei anni (43-49) i testi canonici non ci danno notizie di
Pietro. Nel 4° secolo: Eusebio riferisce che all’inizio dell’impero di Claudio (41-54), Pietro è a Roma;
sembra essere il 44 l’anno esatto.
3.12.3 Eusebio di Cesarea, Storia della Chiesa Capitolo Quattordicesimo: Predicazione dell’apostolo Pietro a Roma
[1] Di questi malanni Simone era il padre e l‘autore; e il potere malvagio, che odia ciò che è buono e congiura contro la
salvezza degli uomini, lo innalzò in quel tempo come un grande antagonista dei grandi e ispirati apostoli del nostro
Salvatore. [2] Tuttavia, la grazie di Dio che viene dal cielo aiutò i suoi ministri e subito estinse le fiamme del male con il
loro arrivo e la loro presenza, e per mezzo loro umiliò e abbassò ―ogni altezza che s‘innalza sopra la conoscenza di
Dio‖ (2 Cor 10, 5). [3] Perciò nessuna congiura, sia di Simone, che di ogni altro di coloro che erano sorti in quel
tempo, riuscì in quei tempi apostolici, perché la luce della verità e il Verbo divino stesso, che aveva brillato da Dio sopra
gli uomini, crescendo sulla terra e abitando fra gli stessi apostoli, aveva stravinto e superato ogni cosa.
[4] Il suddetto mago, come se gli occhi della sua mente fossero stati colpiti dal meraviglioso fulgore di Dio quando era
stato scoperto nei suoi crimini in Giudea dall‘apostolo Pietro (cf At 8, 18-23), subito aveva intrapreso un grande viaggio
sul mare, ed era andato in fuga da oriente a occidente, perché solo in questo modo poteva vivere come voleva. [5]
Finalmente arrivato alla città di Roma, e là tanto avendo lavorato con lui il potere che lo dominava, in poco tempo
ottenne tale successo, che gli uomini di quella città lo onorarono come un dio con l‘erezione di una statua. [6] Ma egli
non prosperò a lungo. Subito infatti nello stesso periodo dell‘impero di Claudio, la provvidenza di Dio benignissima e
clementissima verso tutti condusse Pietro, il più forte e il più grande tra gli apostoli, contro quella iattura e peste della
vita. Pietro, come un valoroso capo della milizia di Dio, munito di armi divine (cf Ef 6, 14-17; 1 Ts 5, 8), portò quella
preziosa mercanzia di luce spirituale dall‘oriente a coloro che abitavano in occidente, la luce stessa e la Parola che salva le
anime (cf Gv 1, 9), proclamando l‘annuncio del regno dei cieli. Claudio morirà per mano di Agrippina (madre di
Nerone). Svetonio testimonia che in questo momento Roma è evangelizzata tanto che Claudio espulse ebrei
seguaci di Cresto (non si dice Cristo perché non si comprendeva la nozione di uomo unto da Dio; meglio
Cresto come nome proprio) e ciò a causa del dibattito tra ebrei divenuti cristiani e non. I non giudei si
accorgono di tale situazione. La difficoltà rimane il fatto che la testimonianza di Eusebio è troppo tardiva. Nel
51 Paolo a Corinto conobbe giudei espulsi da Roma (Aquila e Priscilla) e nel 57 redige la lettera ai Romani
pur non essendo mai stato nell’Urbe.
A Nicea si stabilizzeranno poi i tre grandi patriarcati: Roma perché legata a Pietro, Alessandria legata a
Pietro poiché fondato da Marco e Antiochia, dove sembra che Pietro abbia svolto il suo ministero pre-
romano.
3.2. LA DIDACHÈ
È l’insegnamento del Signore tramite i 12 apostoli alle nazioni.
È l’ordinamento di una comunità (forse Antiochia), redatto tra il 50 e il 150; gli studiosi alle volte la
pongono negli ultimi decenni del I secolo. L’autore è un cristiano giudaico e il testo godeva di grande
prestigio, tanto che stando ad Atanasio era utilizzato per l’istruzione dei catecumeni. Grazie a Philoteos
Bryennios il fu ritrovato nel 1873 a Costantinopoli. I temi sono diversi: morale, liturgia, rapporto tra profeti
itineranti e gerarchia locale, vita comunitaria e escatologia.
I primi 6 capitoli si soffermano sulla morale e si parla delle due vie: sembra risuonare il testo della Guerra
di Qumran, dove si parla della lotta tra i figli delle tenebre e i figli della luce. Quando si usa allora tale
immagine, non si dice nulla di nuovo. La via della luce richiama il discorso della montagna (sono redatte
parole forti contro l’aborto e l’infanticidio). II. 1. Secondo precetto della dottrina: 2. Non ucciderai, non
commetterai adulterio, non corromperai fanciulli, non fornicherai, non ruberai, non praticherai la magia, non userai
veleni, non farai morire il figlio per aborto né lo ucciderai appena nato; non desidererai le cose del tuo prossimo.
Importante è anche l’accenno alla possibilità del battesimo per infusione, unico riferimento dei primi 2 secoli.
Due possibilità: in acqua corrente oppure per infusione con acqua sopra la testa.
3.14 La Gerarchia Stabile: ―Eleggetevi dunque [cioè per la celebrazione eucaristica, della quale ha parlato nel capitolo
precedente] vescovi e diaconi degni del Signore, uomini mansueti, non bramosi di denaro, veritieri e provati; poiché
anch‘essi esercitano per voi il ministero dei profeti e dei dottori. Perciò non disprezzateli; essi infatti, insieme ai profeti e
ai dottori, sono gli uomini onorati tra voi‖ (Didaché 15.1-2). In quanto al vero apostolo, egli è colui che non si

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ferma oltre due notti in un luogo e per il suo ministero deve essere sostenuto dalla comunità che lo accoglie.
Perentoria è l’affermazione per cui sono falsi apostoli coloro che si fermano per 3 notti o più. Vi era una forte
tensione tra tali uomini e la gerarchia locale, che andava sempre più componendosi: vescovi e diaconi erano
eletti localmente ed esercitano il medesimo ministero degli apostoli itineranti e vanno rispettati. Manca
differenziazione precisa tra vescovo e sacerdote e il fatto che si parla al plurale di “vescovi” ci lascia pensare
che non si ha ancora il monoepiscopato. Si vede che i profeti veri erano figuri carismatici che dovevano essere
accolto ma se rimanevano più di 2 giorni sono profeti falsi. Qui si vede che la chiesa sta passando da un modo
itineraria a un modo fondato sulla comunità fissata.
Infine, il testo è importante per l’accenno all’ecclesiologia eucaristica: riprendendo l’immagine dei chicchi di
grano da cui è prodotta la farina, anche la Chiesa è unità di più membri che prima erano dispersi.
3.3. LA LETTERA DI BARNABA
È un apocrifo; l’autore non si chiama mai per nome e, contrariamente a quanto dicono gli studiosi, dice di
essere un cristiano gentile. La lettera è scritta tra il 130 e il 132, prima della rivolta di Bar-Kochba.
Alessandria, Asia minore, Siria o Palestina sono le possibili località di redazione. Spesso il testo fu incluso nei
testi canonici.
Anche questa lettera parla di due vie: una della luce e una del nero; anche qui ritorna la condanna forte
dell’aborto.
Abbiamo qui ancora la prima volta in cui si trova la visione dell’At come profezia del NT. L’autore opera
secondo un’ermeneutica di continuità e discontinuità. Si deve leggerlo come un dibattito tra cugini. Si nota la
distanza fra ebrei e cristiani: l’AT va letto ma solo i cristiani lo capiscono e possono arrivare ad
un’interpretazione totale. Si sostiene quindi come l’Alleanza coi giudei è finita (l’hanno persa) per la loro
idolatria e il rompere le tavole della legge da parte di Mosè sceso dal monte è immagine di ciò, mentre il
riscrivere la legge è immagine della seconda alleanza. Pertanto, noi non condividiamo la stessa alleanza. I
cristiani così sono i reali destinatari di Alleanza e Scrittura. Barnaba note che sempre dai figli di Rebecca così
come per i figli di Giacobbe sono scelti sempre i più giovani: ecco la scelta della Chiesa il figlio più giovane. La
colpa allora del giudaismo è la lettura letterale dell’AT. La perfetta conoscenza dà unità alla Scrittura e tale
visione (che ha un’idea positiva della gnosi) è solo cristocentrica. Va cercato in Cristo la pienezza e il
compimento della Legge.
3.16 La perfetta conoscenza: ―”Avendo pensato dunque che, se avrò cura di farvi parte di ciò che ho ricevuto, l‘aver
prestato il servizio a tali spiriti mi sarà di ricompensa, mi sono fatto premura di mandarvi questo breve scritto, affinché
oltre alla vostra fede abbiate anche perfetta la conoscenza” (Epistola di Barnaba 1.5). I giudei, invece, sono rimasti
alla carne della Scrittura: non comprendono che il capro del perdono è immagine di Cristo, suo simbolo; non
comprendono che quei sacrifici del tempio (quasi pagani) sono solo immagine del sacrificio di Cristo. Per
questo i cristiani nella distruzione del tempio vedono la prova del fatto che il nostro cuore è tempio di Dio e
l’unico sacrificio è quello di Gesù. Per annientare questa prova l’imperatore Giuliano l’apostata provò – senza
riuscirci – a ricostruire il Tempio.
La lettera allora è antigiudaica a livello di fede (non antisemita!).

3.4. IL PASTORE DI ERMA


È un apocalisse apocrifa ed è il testo più apprezzato fra i non canonici. Fu scritta fra il 130 e il 140 da uno
schiavo liberato commerciante di nome “Erma.”. è possibile che una certa parte è stato scritto nei ultimi anni
del primo secolo. Vi è il riferimento a Clemente come incaricato di scrivere lettere; sembra che l’autore sia
fratello di papa Pio I, descritto come fedele e imperterrito nella fede.
A Roma c’era apostasia, carrierismo clericale, fede tiepida anche per il fatto di essere nati cristiani, senza
averlo direttamente scelto. Per questo l’opera è un vasto esame di coscienza per la chiesa romana. Abbiamo due
figure celesti: una donna anziana (che è la Chiesa) che esorta alla penitenza, e un angelo nelle vesti di un
pastore che è direttore della missione penitenziale. È allora un primo cenno alla penitenza post-battesimale:
c’era la forte convinzione che il Battesimo era penitenza definitiva per i peccati (cfr Eb). Il Signore, allora,
prevedendo la debolezza umana e la tentazione demoniaca, dispose la penitenza come unica e ultima
possibilità di riconciliazione (una sola volta). Dopo di ciò, se si pecca ancora non ci si può riconciliare con la
Chiesa. Se non c’è pentimento, non si può ottenere perdono e sono per sempre separati da Dio.

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Il testo, in definitiva, appare ricco di comprensione e misericordia, soprattutto da parte delle istituzioni
romane.

3.5. LA LETTERA A DIOGNETO


È un’apologia greca elaborata in forma di lettera, scritta e inviata al pagano Diogneto. Non sappiamo chi
sia l’autore. Ha molte vicinanze con Aristide, apologeta, ma non vi sono dipendenze dirette. L’autore utilizza
le opere di Ireneo e Ippolito e scrive o intorno al 200 o attorno al 140, durante la disputa con Marcione.
Esteriormente, i cristiani sono uguali agli altri e quindi si può parlare di inculturazione; ma essi si
distinguono perché vivono da buoni cittadini, conducendo una vita colorita da una morale superiore a quella
solita.

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4. IGNAZIO
Ignazio è un pagano convertito al cristianesimo, secondo successore di San Pietro (Pietro, Evodio, Ignazio)
sulla sede di Antiochia in Siria. Famoso come vescovo carismatico martire. Mentre viene portato a Roma per
subire il martirio scrive 7 lettere (Efesi, Magnesiaci, Trallesi, Romani, Filadelfiesi, Smirnesi, e a Policarpo da
Smirna). Subì il martirio tra il 107-110. 13 o 14 anni dopo la lettera di Clemente. Nella lettera romana è
l’unica in cui non viene nominato un vescovo.

4.1. LE LETTERE
Ci sono tre temi principali in queste lettere:
mette in guardia contro le dottrine eretiche. C’erano alcune sette giudaiche cristiane che negavano la
divinità di Cristo (non è antigiudaica ma contro il principio giudaizzante della cristianità). Inoltre mette in
guardia contro il docetismo: dokein significa sembrare. Se Dio è immutabile, impassibile, come sarebbe
che Dio soffra sulla terra e sia crocifisso? La risposta è che l’umanità di Cristo sia solo un’apparenza. Ci
sono eretici tra i cristiani che negano la vera incarnazione e così si può salvaguardare l’immutabilità e
l’impassibilità di Dio. Ignazio insisterà su Incarnazione, Eucarestia in cui è presente la vera carne di Cristo,
cioè corpo e sangue di Gesù. È molto importante per Ignazio che sta andando al martirio, perché si chiede:
se Cristo non avesse sofferto, perché dovrei soffrir io? Ignazio scrive il suo martirio in termini eucaristici.
Se uno nega lì Incarnazione dovrebbe negare l0eucarestia e il valore del martirio;
l’unità della teologia. Quando parla di quest’unione, è il modello fondamentale di ogni unità e in questo
senso dell’unità ecclesiale. Perché dovremmo vivere in accordo col vescovo e coi preti in questa gerarchia
ecclesiastica? Perché Dio in Gesù si sottomette al Padre. Siamo all’inizio e nei suoi testi vediamo già l’idea
del mono-episcopato. Quando queste lettere sono state studiate nel XIX sec., i protestanti negavano
l’autenticità di queste lettere, appunto perché mettevano in evidenza una gerarchia ben definita. Ignazio è
un gran difensore del ruolo del vescovo, che sta al posto di Dio nel senso giuridico (presiedere). Non è
una difesa della chiesa davanti ai pagani ma piuttosto siamo davanti ad una preoccupazione
dell’organizzazione della chiesa stessa. Tocca al vescovo organizzazione l’amministrazione del battesimo
nella sua diocesi, l’organizzazione dell’eucarestia, i matrimoni, essere garante dell’ortodossia. Come Cristo
è alla Chiesa, il vescovo alla sua comunità. Per la prima volta, in queste lettre, la Chiesa viene chiamata
cattolica, cioè universale;
la teologia e la brama del martirio. Ignazio vuole essere martire per raggiungere Dio. Abbiamo l’allusione
all’eucarestia: il martire diventa l’eucarestia. Questo non è l’unico riferimento del genere: quando Policarpo
è stato martirizzato, in mezzo alle fiamme, viene descritto da un testimone oculare, come pane nel forno.
Ignazio dice qui di non impedire il suo martirio. Perché lui deve insistere su questo punto? Ha paura che i
cristiani romani impediranno il suo martirio? Gli studiosi pensano proprio a causa della sua figura
carismatica. Lui, così forte nella predicazione viene preso dalle autorità e portate a Roma in cui si viveva
un certo stallo nella fede.

4.2. LETTERA AI ROMANI


Ignazio saluta la chiesa romana in una maniera che non usa con le altre chiese.

Ignazio, chiamato anche Teofòro, alla Chiesa che è oggetto della misericordia nella munificenza del
Padre altissimo e di Gesù Cristo, suo unico Figlio; amata e illuminata per volontà di Colui che ha
voluto tutte le cose che sono, secondo la carità di Gesù Cristo, nostro Dio; che in Roma presiede, degno
di Dio, venerabile, degna d’essere chiamata beata, degna di lode e di felice successo; adorna di
candore, che presiede alla carità, che ha la legge di Cristo e porta il nome del Padre. Questa Chiesa io
saluto nel nome di Gesù Cristo, Figlio del Padre. A quelli poi, uniti nella carne e nello spirito ad ogni
suo precetto, ripieni inseparabilmente della grazia di Dio, e lontani da ogni estranea macchia, molti
saluti e l’augurio della gioia pura in Gesù Cristo, nostro Dio (Lettera ai Romani praef.).

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Patrologia
Le altre lettere non hanno un saluto così. C’è quest’espressione di “presiedere” (prokaghmenai), che
potrebbe volere dire che è situata nel luogo dei romani (i limiti della giurisdizione) o il luogo dal quale esercita
la giurisdizione. “Presiedere” lo troviamo già in Platone, Leggi, VI , 758d. Per Platone significa governare.
Troviamo la stessa cosa in Aristotele, Politca, VI 1322b e la intende nel senso giuridico. Ignazio diceva che la
presiede in carità. Un’interpretazione protestante suggeriva che era dovuto al fatto che Roma era molto
generosa in carità e dava molte elemosine. Ma Ignazio intende che Roma presiede la comunione universale. La
Chiesa di Roma, con grande premura, sorveglia sulla comunione ecclesiale che unisce tutti i cristiani. Abbiamo
qui un’evidenza per il primato della chiesa di Roma. La Chiesa di Roma è stata istruita dagli apostoli. La
Chiesa romana insegna agli altri e non il contrario, perché appunto essa è stata istruita dagli apostoli.

4.2. LETTERA AGLI EFESINI


“Al principe di questo mondo rimase celata la verginità di Maria e il suo parto, similmente la morte del
Signore, i tre misteri clamorosi che furono compiuti nel silenzio di Dio. Come furono manifestati ai
secoli? Un astro brillò nel cielo sopra tutti gli astri, la sua luce era indicibile, e la sua novità stupì. Le
altre stelle con il sole e la luna fecero un coro all'astro ed esso più di tutti illuminò. Ci fu stupore.
Donde quella novità strana per loro? Apparso Dio in forma umana per una novità di vita eterna si
sciolse ogni magia, si ruppe ogni legame di malvagità. Scomparve l'ignoranza, l'antico impero cadde.
Aveva inizio ciò che era stato deciso da Dio. Di qui fu sconvolta ogni cosa per preparare l'abolizione
della morte.” (Lettera agli Efesini 19).

Satana non riconosceva Gesù come Figlio di Dio. L’agonia nell’orto degli Ulivi, nel film di Mel Gibson,
The Passion, rispecchia questa soteriologia. Quando Satana non prende Gesù nella morte, non segue il patto
che ha fatto con Dio e ha perso il suo dominio sulla morte, così la morte di Cristo risulta come vittoria sopra
la morte. Nel film c’è il Signore nel giardino e c’è Satana che lo tenta. Ogni tentazione non è una tentazione
propria al male, ma di abbandonare la sua missione nella maniera in cui lui ha scelto di vivere la missione. La
maniera di svolgere la missione è di grande umiltà e il Diavolo lo tenta su questo punto. Resiste alla tentazione
di fare quello che lui potrebbe fare. Quando arriviamo nel giardino, Gesù viene tentato di nuovo di
abbandonare la missione. Satana dice: «Chi pensi di essere tu per fare questo? Tu sei un vero uomo». Satana
non sa che è Figlio di Dio. Quando Gesù comincia a pregare il Padre, Satana chiede: «Ma chi è tuo padre?»
Solo alla morte e risurrezio di Gesù Satana grida all’inferno perché si è reso conto di quello che ha fatto, che
ha preso il solo uomo giusto. E questo a causa della sua ignoranza. Nel CCC leggiamo:
“Il silenzio del Vangelo secondo san Marco e delle lettere del Nuovo Testamento sul concepimento
verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si è potuto anche chiedere se non si trattasse
di leggende o di elaborazioni teologiche senza pretese di storicità. A ciò si deve rispondere: la fede nel
concepimento verginale di Gesù ha incontrato vivace opposizione, sarcasmi o incomprensione da parte
dei non-credenti, giudei e pagani: Essa non proveniva dalla mitologia pagana né da qualche
adattamento alle idee del tempo. Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla fede, la
quale lo vede in quel ‘nesso che lega tra loro i vari misteri’, nell’insieme dei misteri di Cristo, dalla sua
incarnazione alla sua pasqua. Sant’Ignazio di Antiochia già testimonia tale legame: ‘Rimase nascosta
al principe di questo mondo la verginità di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre
misteri sublimi che si compirono nel silenzio di Dio’” (Catechismo della Chiesa Cattolica § 498).

Soltanto alla fede; e non è che Satana non avesse fede;egli credeva in Dio, ma credeva con paura e non con
amore. Efrem il diacono afferma che“la morte si avvicinasse a lui per divorarlo con la sua abituale sicurezza e
ineluttabilità. Non si accorse, però, che nel frutto mortale, che mangiava, era nascosta la Vita. Fu questa che
causò la fine della inconsapevole e incauta divoratrice. La morte lo inghiottì senza alcun timore ed egli liberò
la vita e con essa la moltitudine degli uomini” (Efrem, Discorso sul Signore 3-4, 9).Gregorio di Nissa parla di
un amo (velvet hook): Satana è preso all’amo e l’esca è Gesù.

4.3. LETTERA AGLI SMIRNESI


Ignazio, chiamato anche Teofòro, alla Chiesa di Dio Padre e del diletto Figlio Gesù Cristo, per la divina
misericordia adorna d’ogni grazia, ripiena di fede e di carità, ricca d’ogni dono, carissima a Dio e
feconda di santità, che è a Smirne dell’Asia, invia molti saluti, augurando ogni gioia nello spirito
irreprensibile e nella parola di Dio.Rendo gloria a Gesù Cristo il Dio, che v’ha ispirato una tale

“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 16


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saggezza. Io infatti ho potuto constatare che voi siete perfetti in una fede incrollabile, inchiodati, per
così dire, nella carne e nello spirito alla croce del Signore Gesù Cristo e confermati nella carità del
sangue di Lui. Voi credete pienamente nel Signore nostro che discende realmente dalla stirpe di
Davide secondo la carne, è Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza divina, nato realmente da una
vergine, battezzato da Giovanni, affinché da Lui fosse compiuta ogni giustizia, 2. che Egli realmente,
sotto Ponzio Pilato e il tetrarca Erode, fu per noi trafitto dai chiodi nella carne, da quel frutto, dalla sua
beata e divina passione noi siamo, per innalzare, con la sua risurrezione, uno stendardo sui secoli e
radunare nel corpo uno della sua Chiesa i suoi santi e i suoi credenti, sia giudei sia pagani.
È disceso realmente da Davide nella carne. Nato realmente dalla Vergine, realmente trafitto dai chiodi. Ciò
per sottolineare che Cristo patì realmente, non solo in apparenza, come dicono i doceti, poiché egli “fu nella
carne”; ed anche dopo la risurrezione Gesù ha la carne. Questi eretici negano l’Eucarestia e che cosa risulta in
questa negazione? Loro non vengono alla celebrazione dell’Eucarestia, si allontanano dalla preghiera e dalla
comunità. Non vivono la giustizia sociale (caritas). Se uno vuole vivere la carità, deve restare unito a Cristo
(Teresa di Calcutta davanti all’Eucarestia). Questi eretici negavano Incarnazione, Eucarestia, si allontanavano
dalla comunità, non praticavano la caritas.
Ancora, Ignazio insiste sull’importanza del vescovo, senza il quale nullla va fatto; egli va onorato.

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5. LA LETTERATURA APOLOGETICA
5.1. UNO SGUARDO GENERALE
Gli apologisti greci si interessano dell’incontro del cristianesimo con il mondo pagano e il giudaismo e
dell’incontro nel dialogo tra scienza e cultura. Gli avversari sono i pagani e i Giudei. Convertire i Giudei, visto
che si è più o meno in famiglia. Questa letteratura aveva lo scopo di rispondere alle accuse infamanti fatte
contro i cristiani: ateismo, incesto, cannibalismo, infanticidio. In che senso? I cristiani si rifiutavano di onorare
gli dèi dello Stato. Per questo erano considerati atei; ed anche diincesto: si sposavano tra fratelli e sorelle… ma
in realtà sono fratelli e sorelle in Cristo. Altre accuse erano cannibalismo e infanticidio: mangiano carne e
bevono sangue all’Eucarestia. Si pensava che la carne e il sangue fosse quello dei loro figli. I dotti pagani
cercavano di mettere in ridicolo le credenze dei cristiani, le dottrine. Il più efficace per l’abilità e l’acutezza fu
Celso con Il discorso vero (178AD). Si sono voluti 75 anni per un rifiuto giusto di questo libro, con Origene.
Il triplice compito degli apologisti:
1. confrutare le accuse (atesimo, incesto, carnibalismo e infantismo)
2. contrattaccare la religione e la filosofia pagana
3. esporre la dottrina cristiana.

Tra i pagani c’era una spaccatura/dicotomia tra il bene dello stato e la loro fede personale, cioè in pubblica
adorano l’emperatore e gli altri dei per il bene dello stato ma non credono in questi dei nella loro fede
personale. I cristiani non potevano fare questa spaccature nella loro vita e hanno sofferto per quello. Siamo
davanti ai primi teologi cristiani e anche ai primi missionari. I loro avversari sono sia giudei che pagani. Sono
essi ad aprire ad una inculturazione così che vi è una cristianizzazione dell’ellenismo. Possiamo definirli così:
“gli apologisti sono pagani, generalmente colti, i quali, paragonando i diversi sistemi filosofici con la dottrina
dei cristiani, hanno rilevato la superiorità di questa, si sono convertiti al cristianesimo ed ora sentono il
bisogno di partecipare ad altri la loro esperienza religiosa, di chiarire le idee delle autorità e del popolo a
riguardo dei cristiani, di comunicare quella luce smagliante che è brillata ai loro occhi e difendere una società
d’uomini, tanto ammirevoli e tanto mal conosciuti. I loro scritti sono pieni di vita e di entusiasmo, sovente
sono scritti di battaglia” (Bosio-Dal Covolo-Maritano, Introduzione, vol. I, p. 157).
Proviamo a vedere il rapporto tra filosofia e religione cristiana. C’è chi come Tertulliano si chiederà cosa
mai hanno in comune Atene e Gerusalemme e chi segue quello che oggi è il pensiero della Chiesa: filosofia e
teologia hanno un rapporto complementare. Clemente di Alessandria e Giustino sono alcuni di quest’ultimo
gruppo che trovano valore nei pensieri filosofici.

5.2. GIUSTINO
Stoici, peripatetici, pitagorici e neoplatonici: questi sono i passi del suo percorso filosofico. Si è convertito
verso il 130 ad Efeso dopo un colloquio con un saggio sui profeti dell’AT. Rimane colpito e convinto
dall’eroismo dei martiri che è frutto di una vita vissuta non nella malvagità né nei piaceri ma nella verità e
moralità (5.2 & 5.3). Nel 140 giunge a Roma quando era imperatore Antonino Pio; fonda una scuola di
teologia, molto simile a quelle filosofiche, e giunge ad un dibattito con Crescenzo (potrebbe stata la gelosia),
che aveva la sua scuola: viene denunciato e condannato alla decapitazione sotto Marco Aurelio.
Ne abbiamo tre opere di lui: Centrali sono le due Apologie e il Dialogo con Trifone. La Prima apologia è
indirizzata all’imperatore e ai suoi figli: è come una lettera aperta, secondo una pratica in uso al tempo per cui
rivolgersi in tale maniera all’imperatore era rivolgersi al popolo. La Seconda apologia è in un certo senso un
appendice della prima. Il Dialogo è un confronto con gli Ebrei. Temi importanti sono prima di tutto il
rapporto Eva-Maria, quest’ultima per la prima volta chiamata nuova Eva: entrambe sono vergini, l’una
disobbediente l’altra perfettamente obbediente, l’una genera la morte e l’altra la vita. Come Cristo è il nuovo
Adamo, così allora Maria è la nuova Eva, subordinata a Cristo. Centrale è anche il discorso sul Battesimo che è
rigenerazione e illuminazione. I peccati vengono rimessi e lui stesso viene rigenerato: ecco quindi che i non
battezzati non possono prendere parte all’Eucaristia. Questa Eucaristia è presenza reale del Corpo e Sangue di

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Cristo (è il concetto; non sono le parole usate dall’apologeta). L’eucaristia è così logikè thysia (sacrificio
spirituale).
In quanto al rapporto filosofia greca-cristianesimo, Giustino è qui un eccellente rappresentante di tale
dialogo (anche se non va travisato o forzato il suo pensiero). Anzitutto, vede la filosofia greca come avente
punti di contatto con la religiosità cristiana e con il paganesimo.

Mette come risposta tre teorie:


quella diabolica, per cui vede somiglianze con i miti pagani e greci in particolare come operato del
demonio in vista dell’incarnazione del Figlio di Dio, così da confondere gli uomini;
quella metafisica del Logos spermatikos, per cui il Verbo seminava i suoi sperma/semi del logos, presenti
in ogni uomo dalla creazione ed è seme di verità che poté aiutare i filosofi pre-cristiani a ricercare la
verità. Tali sperma tou Logou sono la ragione umana, la conoscenza dell’esistenza di Dio e la legge
naturale. La domanda era cosa è accaduto a quelli che non hanno conosciuto Cristo: sono colpevoli se
non hanno fatto discernimento tra bene e male poiché questo era nelle loro possibilità. A causa dei limiti
umani, ecco venire in soccorso la divina rivelazione. Se i semi del Verbo rivelano ciò che la ragione può
comprendere, vi è un ulteriore livello di conoscenza che è la saggezza celeste che è già nella sapienza
greca. Tale saggezza si esplica nella storia.
Ultima teoria è quella del plagio per cui i filosofi greci hanno letto i testi giudaici ed hanno appresso
dell’immortalità dell’anima, della punizione dopo la morte e della contemplazione delle cose celesti.

I profeti sono ispirati da Cristo: hanno visto e udito direttamente, mentre i filosofi procedono in maniera
indiretta. Per Giustino le teofanie dell’AT sono cristofanie perché è la Parola di Dio a rivelarsi. Se allora l’AT
è profezia ispirata da Dio, la filosofia greca viene dalla ragione. Vi è differenza di grado tra AT e NT e
differenza di genere tra filosofia e religione. Ciò che qui ci interessa è che Giustino non spiega la vicinanza
della saggezza divina a quella filosofica attraverso la dottrina metafisica, ma attraverso quella storica. Questo è
significativo: oggi si applica la dottrina del Logos spermatikos per dire che anche in altre religioni si può
arrivare alla divina rivelazione pur senza Cristo. Ebbene, questa è un’applicazione non giusta di Giustino. Va
chiarito anche che se Logos spermatikos è colui che dissemina, gli sperma tou Logou sono donati per
illuminare moralmente e religiosamente gli uomini in maniera naturale. Non sono il Logos, ma una sua
imitazione, un suo riflesso. Come immagine biblica, Giustino usa la parabola del seminatore (Mt 13,3-23).
Giustino differisce tra capacità naturale e grazia: è un incontro spirituale col Verbo incarnato. Quando si
parla di dynamis/capacità naturale, va chiarito che pochi hanno davvero la capacità di arrivare a Dio; la
rivelazione-aggiungerebbe anche Tommaso-sfonda l’elite e diviene universale e possibile a tutti. In questo
quadro, Giustino sostiene che coloro che vissero secondo tale capacità sono anch’essi cristiani, non secondo il
rahneriano cristianesimo anonimo, bensì ben manifesto e scambiato per ateismo.

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6. IRENEO DI LIONE
È il teologo più importante del II secolo: è quello più positivo perché applica largamente Scrittura e
Tradizione, evitando la speculazione filosofica poiché si pone contro gli gnostici. Viene chiamato come ultimo
uomo apostolico poiché inserito nel contesto apostolico. Per primo formula in termini dogmatici la dottrina.
Nasce tra il 135 e il 140 in Asia minore; segue Policarpo ed è in Gallia; poi mandato a Roma per portare
una lettera dei confessori a Papa Eleuterio per chiedere al papa di mantenere rapporti coi montanisti. Nel testo
Ireneo viene descritto in maniera assolutamente positiva. Al ritorno, è eletto vescovo dopo il martirio del suo
predecessore Pontino. È veramente operatore di pace: scrive una lettera al papa Vittore per non scomunicare
l’Oriente contro i quartadecimani (che erano in lotta per la data della Pasqua). Muore nel 200ca.
Opere centrali sono De detectione et eversione falso cognominatae agnitionis (smascheramento e
confutazione della falsa gnosi) – chiamato anche Adversus haereses– ela Demonstratio apostolicae
praedicationis.
I primi due libri dell’Adversus haereses sono contro lo gnosticismo: vi è l’unico riferimento al testo
apocrifo di Giuda (di cui oggi abbiamo un’unica copia). Gli altri tre sono argomenti meno polemici. Ireneo si
presenta come il primo vero grande teologo della Chiesa.
Nell’altra opera, conferma il NT con testi dell’AT contro l’intento di Marcione e l’idea gnostica della
differenza tra Dio degli Ebrei e Dio cristiano.

Punti centrali della sua teologia sono:


TRINITÀ: parla del Creatore come Padre del Logos, mentre Figlio e Spirito Santo sono le mani del
Creatore;
CRISTOLOGIA: Cristo è il nuovo corpo dell’umanità e per sanare questa egli dovette entrare in tutta
l’esperienza umana per redimerla: è l’anakefalaiosis/ricapitolazionecosì che abbiamo una nuova creazione;
MARIOLOGIA: Maria contribuisce alla ricapitolazione così che la donna caduta (Eva) necessita di una
nuova Eva che è Maria. La sua azione riparatrice è collaborazione alla nostra salvezza: se Eva complica la
vita umana realizzando molti nodi, Maria, Advocata Evae, snoda tali difficoltà. Così Maria è causa salutis,
dato il legame così stretto e poiché lei ci dà la salvezza. Se Eva è madre di tutti i morenti o morti per il
peccato, Maria è grembo di una nuova umanità. si parla di una nascita pura di Gesù e di virginitas in
partu;
EUCARISTIA: partecipare al Corpo e al Sangue di Cristo è pegno della vite eterna. C’è qui già il
contenuto del concetto di transustanziazione; e ciò è un approccio anche per rispondere alle idee gnostiche
contro la corporalità;
ANTROPOLOGIA: il corpo verrà salvato anche per la partecipazione all’Eucaristia. Uomo non è solo
anima o solo corpo bensì l’uomo totale che è perfetto in quanto corpo-anima-spirito (1Ts 5,23) così che
siamo creati alla luce del Cristo Risorto così che siamo creati ad immagine di Dio ma ci tocca crescere
nella somiglianza. Se tutto ciò è vero, allora per Ireneo l’incarnazione è da sempre prevista e solo in un
secondo momento è fonte di salvezza. Gloria enim Dei vivens homo, vita autem homini visio Dei: al di là
di ogni visione secolare, non basta che l’uomo giunga all’apice delle sue possibilità naturali, bensì è
necessario vivere ed essere nella visione di Dio, goderne e amarla;
SOTERIOLOGIA: l’uomo è chiamato a partecipare alla gloria di Dio così che gli tocca la divinizzazione
come punto di arrivo nel progetto divino. Ecco allora la pienezza della similitudine. È divinizzazione
cristologica così che Dio si da uomo per farci dei per adozione nel Figlio, che lo è per natura;
REGULA FIDEI: è il senso ortodosso della fede; per Ireneo è anche il magistero autentico della Chiesa.
Canon veritatis, regula fidei. Essa è contenuta nella Scrittura, nella fede battesimale e nella professione di
fede in comunione con Roma. Ireneo lavora qui con un canone della Scrittura, così che il NT è
fondamento esclusivo della fede ed è già graphè/Scrittura al pari dell’AT. La Chiesa per conservare tale
verità, ha ricevuto il carisma sicuro della verità, espresso nel Magistero ereditato in virtù della successione
apostolica. Fuori da ciò, ecco l’eresia e la vanagloria personale.

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Sant’Ireneo sviluppa una teologia della tradizione. Lavora nel contesto anti-gnostico e anche gli gnostici
hanno la loro tradizione che dicono essere pervenuta loro segretamente. La risposta di Ireneo è che la
rivelazione di Gesù, il suo parlare non era mai segreto, come lui stesso dice di sè: “Io ho sempre predicato nel
tempio…”. Il suo insegnamento è sempre una cosa pubblica. Non c’è una novità, non c’è niente da scoprire
300 anni dopo.

Ci sono tre momenti in questa teologia della tradizione:la testimonianza apostolica, la trasmissione
apostolica e la successione apostolica (per assicurare la veracità di quello che viene trasmesso). Ma c’è un'altra
componente: lo sviluppo della dottrina. Certo, Gesù ha rivelato tutto ma la Chiesa ha bisogno di tempo per
capire quello che è stato rivelato in forma seminale che si svolge e si sviluppa attraverso i secoli nella
comprensione degli uomini. Umanamente uno deve imparare le cose piano piano e così la Chiesa capisce
sempre meglio quello che il Signore ha rivelato. Spesso la sfida per capire meglio viene dalle sfide interiori o
esteriori alla Chiesa.Al Concilio di Nicea, per esempio, la Chiesa già crede che Gesù era Dio, ma lì lo ha
spiegato, ci ha riflettuto. Scrive Ireneo:
“Non attraverso altri noi abbiamo conosciuto l’economia della nostra salvezza, ma attraverso coloro i
quali il Vangelo è giunto fino a noi. Quel Vangelo essi allora lo predicarono, poi per la volontà di Dio
ce lo trasmisero in alcune scritture perché fosse fondamento e colonna della nostra fede. Non si può
dire che lo predicarono prima di aver ricevuto la conoscenza perfetta, come alcuni osano dire,
vantandosi di essere correttori degli Apostoli. Infatti, dopo che il Signore fu risuscitato dai morti ed
essi furono rivestiti della potenza proveniente dall’alto grazie alla discesa dello Spirito Santo, allora
furono pieni di certezza su tutte le cose ed ebbero la conoscenza perfetta; andarono allora fino alle
estremità della terra a predicare il Vangelo dei beni che ci vengono da Dio e ad annunciare agli uomini
la pace celeste: essi avevano tutti insieme e ciascuno singolarmente il Vangelo di Dio” (Adversus
haereses 3.1.1)

Questa conoscenza viene dal mistero pasquale e rivela Gesù Cristo nella sua pienezza. Gli apostoli hanno
ricevuto un unico vangelo e lo predicano ugualmente dappertutto nel mondo; ed è di pubblica accessione, non
è esoterico.

Tema centrale è il primato di Roma. Essa è fondata su Pietro e Paolo. Necessariamente con essa tutte le
chiese locali devono essere concordi.La purezza della fede romana è stata stabilita su questa successione
petrona. La Chiesa di Roma diventa quindi un criterio di verità.
“Se ci fosse qualche controversia su una questione di poca importanza, non si dovrebbe ricorrere alle
Chiese più antiche, nelle quali vissero gli apostoli, e prendere la dottrina esatta sulla questione
presente? Anche se gli apostoli non ci avessero lasciato le Scritture, non si dovrebbe seguire l’ordine
della Tradizione, che hanno trasmesso a coloro a cui affidavano le Chiese?” (Adversus haereses 3.4.1)

Gli apostoli stessi avevano fondato varie chiese e in queste chiese c’è ancora l’eco della predicazione degli
apostoli. Per ogni domanda bisogna rivolgersi alle chiese in cui questo eco si può ancora udire.
Tocca infine alla Chiesa custodire ciò che ha ricevuto“come se abitasse una sola casa […] come se avesse
una sola anima e lo stesso cuore; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse
una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa”. La
cattolicità della fede potrebbe essere una minaccia all’unità della fede, ma nonostante il fatto che la Chiesa sia
dappertutto, crediamo come se abitassimo in unasola casa. La Chiesa è già universale dal giorno della
Pentecoste.

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7. LO GNOSTICISMO
7.1. UNO SGUARDO GENERALE
Nello gnosticismo confluiscono schemi di pensiero ebraico e cristiano. È un prodotto di sincretismo
ellenistico, di idee greco-orientali. Ciò alla luce e in forza delle stesse conquiste di Alessandro magno. Utilizza
antiche immagini religiose in maniera parassitica; di tali immagini vive e si alimenta. Ha la propria mitologia
ma creata sempre in forza di altre religioni. Tale facile apprensione fa sì che lo gnosticismo metta in luce una
conferma di una comune rivelazione primordiale(per es.: i mormoni ritengono che Gesù risorto sia apparso
anche agli indios d’America, così che sono identiche al cristianesimo parole e immagini, ma diverse sono le
accezioni e i miti).
Fonti dello gnosticismo sono gli scritti anti-eretici dei Pari e la biblioteca Nag-Hammadi del 400 d.C.
riscoperta in Egitto solo nel 1945, con codici copti scritti dagli stessi gnostici.

Gnosi significa conoscenza: averla è una salvezza, la cui rivelazione è per pochi che hanno capacitò di
riceverla. Tale conoscenza unisce l’oggetto divino della conoscenza, il mezzo (la gnosi) e colui che conosce.
Tale conoscenza redime e porta ad un modo sovra materiale.
Alla base delle diverse forme di gnosticismo, abbiamo il dualismo cosmico nella lotta fra divinità buone e
cattive; l’anima è principio umano buono nel corpo umano imprigionato. Vi è così una scintilla divina che è
provento del mondo divino; essa cade nel mondo materiale e va risvegliata per mezzo della gnosi tramite la sua
sosia che è Sophia; per mezzo di ciò può ritornare, risalire. Vi è allora un movimento verso l’alto ed uno verso
il basso per mezzo di Sophia che è tra mondo umano e quello divino che ha compito di recuperare la scintilla
divina. Il Demiurgo di questo mondo è malvagio e dio inferiore che si contrappone a Dio che è – per lo
gnosticismo cristiano – Padre di Gesù. Sophia – per un incidente – rientra in tale creazione. L’uomo è così
microcosmo poiché in lui si muovono le due forte cosmicamente contrapposte. Ecco allora che nel vangelo di
Giuda, questi è colui che aiuta Gesù a liberare e donare lo spirito; ciò contro gli altri apostoli che adorano il
Dio creatore, inferiore e malvagio. Ecco che Gesù si sarebbe allora preso gioco degli Undici. “La verità vi farà
liberi” (Gv 8,32): questo, assieme ad altri logion, è uno dei più usato dagli gnostici a loro favore.“Quando
uomo conoscerà sé stesso e Dio chi è sopra la verità, lui sarà salvato, e lui sarà coronato con la corona
immarcescibile” (Nag Hammadi IX, 3: La Testimonianza di Verità 45).
Redentori, messaggeri, emissari e figure storiche ritornano negli scritti. Essi danno al mondo la possibilità
della rivelazione gnostica e ciò somiglia alla missione cristologica. E si trova anche qualcosa di proprio. Cristo
è una delle figure piene di luce; è Figlio del Padre supremo, primo rivelatore e primo salvatore. Nella pleroma
(emanazioni divine) Cristo è centrale e primo. Gesù viene totalmente storicizzato per poi esser calato nella
mitologia gnostica. I teologi gnostici in Gesù guardano allora ad un essere terrestre ed uno celeste come
proprio della tendenza gnostica. Cristo rivela i segreti soprattutto dopo la Pasqua e prima dell’Ascensione. Per
la loro cristologia, sono innestati nel docetismo: come può Cristo assumere un corpo? Basilide e Cerinto sono
esponenti di tale docetismo: se il primo afferma che Gesù sopravvive alla Croce ed è Simone di Cirene a salire
sulla Croce, l’altro invece ritiene che sulla Croce è Gesù, non Cristo a morire. Così, a partire dalla Genesi, si
legge che il Dio dell’AT è nostro nemico, quasi il demonio, e le figure di Satana invece sono il Dio gnostico.
Cristo allora è il serpente dell’Eden che invita a mangiare dell’albero della conoscenza; è Cristo che mangia i
serpenti dei maghi del faraone; è Cristo che, scendendo nell’Ade, salva i condannati di Adonai (Caino, i
sodomiti…).

7.2. MARCIONE
Si muove tra gnosticismo e dottrina paolina.
Vi è il Dio della Creazione che è malvagio contro quello della Redenzione che manda Gesù suo Figlio in
questo mondo di disperazione e rivela un Dio di misericordia che è sconosciuto ed è nel suo cielo. Gesù è un
fantasma che soffre sulla Croce e la sua morte è ordinata dal Creatore. Scendendo agli inferi, salva i condannati
di Adonai. La redenzione allora viene dal rifiuto della legge e da una vita asceticamente condotta.

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È il primo realizzatore del canone, dove salva solo Luca e 10 lettere paoline elementi giudaici esclusi. È
gnostico nel suo atteggiamento anticosmico ma non nell’idea dell’anima come scintilla divina: l’anima è
macchiata. Nella sua speculazione è totalmente fuori il mito: è davvero un biblista.
Di lui Balthasar sottolinea come egli pone una netta divisione fra due divinità dove il Demiurgo malvagio è
il Dio dell’AT. Sfortunatamente il messaggio di Gesù è stato mescolato con quello del giudaismo dove questo
è pura esteriorità mentre quello di Gesù (o forse è meglio dire di Marcione) è interiore. Questa di Marcione è
la prima forma di antisemitismo.

7.3. VALENTINO
Probabilmente si converte ad un cristianesimo gnostico. Giungeva a Roma quando vi giunge Marcione e,
seppure rifiutata la sua teoria, insegna per ben 20 anni. La sua autorità verrebbe da una (presunta) rivelazione
diretta di Dio.
Per lui, abbiamo un padre supremo che realizza diverse emanazioni fino ad arrivare al pleroma (30
emanazioni). Sophia è l’emanazione più bassa e vuole conoscere Dio: le è impossibile. È lei a realizzare la
materia e Cristo (diverso da Gesù) le dà forma realizzando l’anima. Sophia dà vita al Demiurgo (Dio dell’AT)
e – quasi per errore – in alcuni uomini entra anche lo Spirito (pneuma) che anela a Dio e concede un ritorno a
lui per mezzo di Gesù. Vi sono così uomini carnali a cui è impossibile il ritorno a Dio; uomini psichici che
devono faticare per tornare a Lui; uomini pneumatici che nell’insegnamento di Gesù trovano facile salvezza.

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8. ALESSANDRIA FRA II E III SECOLO


8.1. UNO SGUARDO GENERALE
Alessandria è fondata nel 331 a.C. ed era un punto di convergenza delle città antiche. Era città
cosmopolita. Ad Alessandria vi era una grande tradizione giudaica da Filone ben rappresentata. Qui è stata
tradotta la LXX per l’ellenizzazione degli ebrei e per un certo proselitismo. Al centro della tradizione della
scuola sta il metodo allegorico, proveniente dai greci e adottato dai cristiani. Per la tradizione, Marco
evangelista è fondatore della comunità cristiana: è allora sede petrina.
È il più antico centro di scuola teologica cristiana così che vi era un’istruzione più alta del normale, dal
momento che molti eruditi si interessavano del cristianesimo.
È forte la tendenza al medio-platonismo: le cose sensibili ci fanno giungere a realtà sovra-sensibili.
Cosiddetto fondatore della scuola alessandrina è Panteno; Clemente proporrà iniziative culturali per far
conoscere il cristianesimo; Origene sarà quello che darà vita davvero ad una scuola per istruire i catecumeni e
per un livello superiore (220 ca.).

8.2. CLEMENTE D’ALESSANDRIA


Tito Flavio Clemente nasce ad Atene (o Alessandria) tra il 140 e il 150. Si converte al cristianesimo ed ha
come stile personale quello del filosofo itinerante. Spostandosi in Magna Grecia, Medio Oriente, Egitto e
Alessandria, in quest’ultima città incontra Panteno. Rimane per 20 anni ad Alessandria, mentre sono
imperatori Comodo e Settimio Severo; probabilmente rimase laico. Durante la persecuzione di Severo, si
spostò in Palestina (o Cappadocia) dove morì tra il 215 e il 216.
Egli è pioniere di erudizione cristiana: per lui vi è una profonda armonia tra fede e ragione; il vero gnostico
è il cristiano perfetto, così che gnosticismo è ricerca intellettuale della verità. Opere centrali sono il
Protrepticos, dove entra in dissidio con la mitologia; il Pedagogo, che è Cristo; gli Stromati (pezzi di tappeto),
dove ritroviamo differenti tematiche.
Clemente apprezza molto il ruolo della filosofia. Siamo negli Stromati e leggiamo:
“Orbene, prima della venuta del Signore la filosofia era ai Greci necessaria per giungere alla giustizia;
ora diviene utile per giungere alla religione: essa è in certo modo una propedeutica per coloro che
intendono conquistarsi la fede per via di dimostrazione razionale. ‘Il tuo piede’ dice la Scrittura ‘non
c’è rischio che inciampi’: purché riconduca alla provvidenza ciò che è bene, greco o nostro che sia. Di
tutte le cose che sono buone è causa Dio: di alcune in modo diretto, come per esempio dell’Antico e del
Nuovo Testamento, di altre mediatamente, come della filosofia. Potrebbe anche darsi che la filosofia
fosse stata data ai Greci quale bene primario, avanti che il Signore li chiamasse, poiché anche essa
educava la grecità a Cristo, come la legge gli Ebrei. Perciò la filosofia serva a preparare, aprendo la
strada a colui che sarà reso perfetto da Cristo.” (Gli Stromati I.5.28.1-3.)

Prima dell’incarnazione, la filosofia era necessaria per una vita virtuosa; ciò decade con l’incarnazione e la
filosofia è utile ma né necessaria né sufficiente. Si realizza così una gerarchia: vi è prima la Scrittura, poi la
filosofia, pur rimanendo possibile che essa sia stata data come via Christi. La filosofia “aiuta [sì, ma] solo da
lontano” rispetto al vangelo “strettamente congiunto alla verità”. La superiorità sta nella diretta rivelazione
divina in Cristo che la Scrittura ha in sé; la filosofia apre ad una verità parziale (e per questo alle volte è
contraddittoria). La filosofia certo purifica l’anima, ma la verità viene da Cristo.“Noi [Cristiani] siamo
divenuti discepoli di Dio, che abbiamo acquistato la sapienza realmente vera, quella alla quale i sommi filosofi
fecero solamente allusione, ma che i discepoli di Cristo ricevettero e annunziarono”. Da tutto ciò viene fuori
questo: la filosofia è in un certo senso divinamente ispirata.

Gnostico è colui che giunge all’imperturbabilità/apatheia così che ogni passo è ordinato a Dio: senza ciò,
non si può contemplare Dio in tutte le cose. Procedendo, si conosce Dio che è apice della gnosi e tale
traguardo è essere la gnosi. Sembra essere questa una certa anticipazione dello Pseudo-areopagita che propone
le vie purgativa, illuminativa e unitiva.

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Patrologia
L’uomo è imago Dei: tale immagine non è nel corpo, bensì nello spirito e nella ragione (ma ciò non è
negare l’importanza del corpo!). Ireneo, invece, sottolineava l’importanza del copro. In qualche senso, l’uomo è
centauro (anima e corpo) e vero uomo è anzitutto il Verbo (vera immagine di Dio) e noi siamo immagini
dell’immagine di Dio. L’uomo è creato per avere intimità con Dio, per contemplare il cielo (per questo
cammina su due piedi e non su quattro zampe, come i quadrupedi).
Vero cristiano allora è chi si abbandona a Cristo totalmente: si crea allora una divisione tra chi ha “solo” il
centuplo di ciò che ha lasciato della terra e i veri cristiani (gnostici) che hanno lasciato “anche” tutto loro
stessi.“Per lo ‘gnostico’ [il Signore] ha preparato ciò che né occhio vide mai, né orecchio udì, né si manifestò in
cuore d’uomo, mentre al semplice credente Egli promette il centuplo di ciò che ha lasciato: promessa che può
essere intesa da intelligenza umana.” (Gli Stromati IV.18.114.1.)
Per comprendere la Parola, è necessario lo Spirito Santo. A livello morale, lo gnostico è colui che si astiene
dal male ma non solo: è colui che fa il bene perché ama Dio e non per un premio.
Nel mondo antico, fino a poco tempo fa, i cristiani pregavano verso Oriente: “Comunque, poiché l’oriente
è immagine del giorno natale e da qual punto si diffonde la luce ‘che dalle tenebre risplendé’ la prima volta, e
anche per quelli che si avvoltolando nell’ignoranza spuntò il giorno della vera ‘gnosi’, come il sole, le preghiere
si facciano rivolti verso oriente all’aurora” (Gli Stromati VII.7.43.6.). Orientarsi ad est nel Battesimo è morire
a Satana per entrare nella vita: si entra nella chiesa con la spada verso l’occidente. Innanzi a ciò, i pagani
credevano che il sole è la divinità dei cristiani.
Ancora, Clemente si sofferma sull’unità di Dio, della Chiesa e della Scrittura.

Concludiamo la riflessione, sottolineando come nel Protrettico ribadisce che i filosofi greci, “anche se non
hanno conosciuto la verità, almeno hanno sospettato l’errore e ciò è non piccola scintilla di saggezza che
cresce, come seme, verso la verità”(II.24.2). Loro errore è così adorare dei mitici o le creature; passo successivo
nella credenza religiosa è l’adorazione dell’infinito fino a giungere con Platone alla pienezza filosofica:
“Io aspiro al Signore dei venti, al Signore del fuoco, al Creatore del mondo, al Datore della luce al sole.
Dio cerco, non le opere di Dio. Chi dunque potrò prendere da te come compagno nella mia ricerca?
Noi infatti non ti respingiamo del tutto. Se vuoi, prendiamo Platone. Come dunque si deve cercare
Dio, o Platone? Il padre e creatore di questo mondo è una grande impresa trovarlo e, per chi lo trova,
annunciarlo a tutti è impossibile. Ma, in nome di Lui stesso, perché? Perché non è assolutamente
possibile esprimerlo per mezzo di formule. Bene, Platone, sfiori la verità, ma non stancarti; insieme
con me intraprendi la ricerca intorno al bene. Infatti in tutti gli uomini generalmente, e
massimamente in quelli che passano il tempo a ragionare, si trova istillato un certo divino efflusso.
Grazie ad esso, pur malvolentieri, essi riconoscono che c’è un solo Dio, senza principio e senza fine il
quale in alto, nelle più lontane regioni del cielo in un suo proprio e particolare luogo, esiste veramente
e per sempre” (VI.67.2-68.3).

8.3. ORIGENE
Nasce in una famiglia cristiana e già da infante riceve dal padre una sana formazione sulla letteratura
pagana e cristiana (le Scritture, anzitutto); il padre fu ucciso per la persecuzione di Settimio Severo. Per la sua
ardente passione cristiana, voleva farsi uccidere col padre, ma la mamma glielo impedì nascondendogli i vestiti.
Cominciò ad insegnare per provvedere alla famiglia. Il vescovo lo chiamò a dirigere i catecumeni; sotto il
prefetto Aquila e successori, ci fu una nuova persecuzione e lui stesso accompagnava i discepoli al martirio. Fu
per un certo periodo discepolo di Sacca, fondatore del neoplatonismo e fu compagno di Plotino. Conduce una
vita di grande ascetismo: la sua lotta con le passioni e le parole di Gesù (“Vi sono alcuni che si sono resi
eunuchi per il Regno dei cieli”) lo portarono ad evirarsi. Ciò gli creò problemi ecclesiali. In un certo momento
dovrà dividere in due la sua scuola per il gran numero dei discepoli. numerosi sono i viaggi che lo rendono
famoso, soprattutto in Egitto. Venne a Roma, dal Papa, e conobbe Ippolito. Si recò in Giordania e a Cesarea
di Palestina fu invitato a predicare alla presenza del vescovo: un laico predicò alla presenza del vescovo! C’è
grande stima dei vescovi siro-palestinesi; fino a che la madre dell’Imperatore invitò Origene a tenere un
discorso ad Antiochia e nel 231, a 46 anni, fu ordinato sacerdote a Cesarea senza l’accordo con Demetrio,
vescovo di Alessandria. Ecco allora che da questi fu scomunicato e deposto dal sacerdozio; ovviamente non
poté più insegnare. Allora, Origene si diresse a Cesarea dove la censura alessandrina fu ignorata: fondò una
nuova scuola a mo’ di quella alessandrina. Tra i discepoli, il più importante fu san Gregorio Taumaturgo.
“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 25
Patrologia
Morto Demetrio, un ex-alunno di Origene diviene patriarca: ma questi rifiutò il maestro. Durante la
persecuzione di Decio viene messo in prigione e torturato, non ucciso: non vogliono trasformarlo in martire
perché sarebbe davvero stato un martire universale. Ecco che, tuttavia, Origene ne uscirà con la salute minata e
morirà a Cesarea come confessore della fede nel 243.
Già nell’800 c’è una forte ripresa di Origene, fino a che nel XX secolo fu riabilitato, riconoscendo che non
si può andare in alcun luogo della Chiesa antica senza notare il suo influsso perfino in coloro che lo
accusavano.
Immensa è l’opera di Origene e la sua produzione è forse quella più ingente di tutta l’antichità anche non
cristiana. A causa di molte controversie, molti testi furono bruciati e noi alle volte possediamo frammenti o
tutt’al più traduzioni.
Va compreso questo: egli è centrale per il metodo allegorico, ma non tralasciava l’analisi letteraria; difatti
dedica un’opera enorme allo studio su quale dovesse essere il testo critico da usare: è l’Expala dove riporta sei
testi su sei colonne: testo ebraico; traslitterazione in greco; traduzione di Aquila; traduzione di Simmaco,
LXX, versione di Teodozione. La sfida sta nel capire che è la LXX il testo della diaspora e che solo poi si
passò ad un canone organizzato ebraico; gli stessi cristiani usano la LXX naturalmente.
Altro testo centrale è il De Principiis, che è una sorta di summa teologica dell’antichità che ha come scopo
quella di metter su spiegazioni approfondite partendo dalla Scrittura (è teologia biblica) e rispondere alle
eresie. Non è certo l’opera di Ireneo: quella era polemica, questa sistematica. Suo desiderio è rimanere fedele
alla tradizione della Chiesa:
“Molti tuttavia di coloro che professano di credere in Cristo discordano non soltanto su questioni di
poco conto, ma anche della massima importanza: cioè, su Dio, sul signore Gesù Cristo, sullo Spirito
santo; e non soltanto su questi, ma anche su altre creature: cioè, sulle dominazioni e le beate potestà:
sembra perciò necessario stabilire prima su questi singoli punti precisa distinzione e chiara regola, poi
ricercare anche sugli altri punti. Come infatti sono tanti, presso i Greci e i barbari, che promettono
verità, ma noi abbiamo smesso di cercarla presso coloro che l’affermavano con falsi insegnamenti dopo
che abbiamo creduto che Cristo è il figlio di Dio e ci siamo convinti che da lui l’avremmo dovuta
apprendere: così son molti che credono di comprendere la verità di Cristo e alcuni di loro sono in
contrasto con gli altri, ma è in vigore l’insegnamento della chiesa tramandato dagli apostoli per ordine
di successione e tuttora nelle chiese conservato: pertanto quella sola bisogna tenere per verità, che in
nessun punto si discosti dalla tradizione ecclesiastica ed apostolica” (prefazione, 2).

È verità ciò che non si discosta dalla tradizione ecclesiastica e apostolica: ma ciò appare in netto contrasto
con alcune idee di Origene. I teologi moderni parlano di lui come il primo ad intentare una sorta di teologia
speculativa e il fatto di essere appunto il primo lo porta a non avere punti di riferimento. A ciò si aggiunge il
fatto che abbiamo oggi traduzioni di Origene proposteci in latino da Rufino, il quale non tradusse alla lettera
ma cercò di rendere ortodosso – per quanto possibile – l’opera di Origene. Per sapere allora la verità sul
pensiero, ci tocca confrontare Rufino coi frammenti originali.
L’opera apologetica più importante scritta in greco è il Contra Celsum di Origene: è un’opera confutata 75
anni dopo la sua stesura proprio perché è un testo, quello di Celso, molto erudito. Difatti, Celso usava i testi
biblici per accusare i cristiani. Come si apre l’opera di Origene? Con una prefazione dove si esplica che al
cristianesimo forse tocca fare come Gesù: non rispondere a chi lo accusa, soprattutto perché il vero credente
non verrà turbato da tali argomenti. Origene allora scrive per il bene di coloro che sono più deboli.

Se volessimo così riassumere la teologia di Origene:


ANTROPOLOGIA. Parte da 1Ts 5,23 dove si dice che l’uomo è spirito, anima e corpo. Lo spirito è
dono di Dio, dato agli uomini; l’anima è formata da una prima parte superiore, che è il nous/intelletto,
creato ad immagine di Dio ed è la facoltà di accogliere la grazia, e da una inferiore, la sarx/carne che è
quella inferiore e principio di passioni e istinti; il corpo è soma e riveste l’uomo, immagine del suo essere
creatura (Dio è l’unico che non ha corpo; anche gli angeli e la stessa anima hanno un certo corpo);
ESEGESI. È per Origene letterale, morale e spirituale. Sono i tre sensi di lettura e la lettera è corpo della
Scrittura, a cui accedono anzitutto gli incipienti; quella morale che è l’anima ed ha valore pratico, a cui
accedono i progrediti; quello spirituale, che è valore vero/mistico ed è per i perfetti nella fede;

“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 26


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IPOTESI PARTICOLARI. Vediamo anzitutto che Origene si sofferma sulla teoria della pre-esistenza
delle anime, che deduce dalla lettura del duplice racconto della Creazione, che Origene legge come due
momenti differenti dove vengono create prima le anime e quindi i corpi. All’inizio vi erano molte anime in
cielo attorno al Logos, tra cui la più vicina a Questi era l’anima di Gesù. La sazietà di contemplare Dio
portò ad un raffreddamento nell’amore: ecco la caduta che segue; maggiore raffreddamento, maggiore è la
distanza (demoni, uomini, angeli). Dio nella sua bontà per concedere il ritorno a lui crea il mondo
materiale come possibilità di redditus. Il mondo pertanto non è in sé buono. La caduta nel mondo è quella
dell’anima e la differenza tra gli uomini (anche) dal punto di vista fisico è frutto della caduta coi suoi
gradi. I livelli sono frutto di merito o de-merito nella caduta. Il fine è non accusare Dio di ingiustizia.
Infine abbiamo l’apokatastasis: tutti torneremo a Dio, così che Egli sarà tutto in tutti; tuttavia si sostiene
che il diavolo non potrà tornare a Dio per la forza del suo allontanarsi, così grande da essergli diventato
naturale. Precisa Origene:
“Va tuttavia osservato che Paolo una volta dice ‘inciampare’ e ‘sbagliare’, una volta ‘cadere’: e pone
un rimedio per l’inciampo o lo sbaglio, non recupera invece la situazione di quelli che sono caduti,
quasi non ci sia in essa alcuna speranza. Dice infatti: ‘Hanno forse inciampato in modo da cadere?
Certo no! Ma per il loro sbaglio ci fu la salvezza per i gentili’….l’apostolo nel passo presente, come
sapendo che se fossero caduti non potrebbero assolutamente rialzarsi, nega per questo che siano
caduti e li giustifica con forza dicendo: ‘Hanno forse inciampato in modo da cadere? No certo!’ A
meno che l’apostolo in questo caso non giustifichi Israele e neghi che sia caduto riferendosi ad un
altro tipo di caduta, quella probabilmente a propostio della quale il Signore e Salvatore nostro
diceva: ‘Vedevo Satana cadere dal cielo come folgore’, ma anche quella di cui Isaia dice: ‘In che
modo è caduto dal cielo Lucifero che sorgeva al mattino?’ Qui dunque Paolo nega che Israele sia
caduto con una caduta di questo tipo. Di esso, infatti, almeno alla fine del mondo vi sarà il ritorno,
allorquando sarà subentrata la pienezza delle nazioni e tutto Israele sarà salvato; di costui invece, di
cui si dice che è caduto dal cielo, neppure alla fine del mondo vi sarà alcun ritorno.” (Commento ai
Romani, VIII.9)

Se il fine redentivo è il ritorno al canto divino, chi assicura che ciò non porti ad una seconda-ciclica
caduta? E se dicessimo che l’apokatastasis è dottrina vera, allora qual è il fine della morale? Se così
Origene è strenuo difensore del libero arbitrio tale arbitrio è offeso e vilipeso con l’apokatastasis;
TRINITARIA. Padre è essere in genere, Figlio è razionalità mentre Spirito Santo è santificazione.
Sottolinea nel De Principiis che la questione sullo Spirito è completamente aperta;
CRISTOLOGIA. L’anima di Cristo è argomento prima trascurato e poi dimenticato ad Alessandria.
Leggiamo nel De Principiis:

“La sostanza dell’anima servendo d’intermediario tra Dio e la carne-è infatti impossibile alla natura
divina mescolarsi ad un corpo senza un intermediario - l’Uomo-Dio () è nato, come
abbiamo detto, attraverso la mediazione di una sostanza alla cui natura non ripugnava il prendere un
corpo. E neppure era contrario alla natura di quest’anima, in quanto sostanza ragionevole, ricevere
Dio, in cui essa era già entrata completamente, come abbiamo detto sopra, come nel Verbo, la
Sapienza e la Verità. Anch’essa merita dunque, con la carne che ha assunto, i titoli di Figlio di Dio,
Potenza di Dio, Cristo e Sapienza di Dio, in quanto essa era interamente nel Figlio di Dio o l’accoglieva
intero in lei” (De principiis 2.6.3).

VERGINITÀ DI MARIA;
EUCARISTIA
PREGHIERA. Non è lecito pregare Cristo; solo Dio va pregato. Si può pregare per Cristo ma non a
Cristo. Gesù è quindi Dio ma in maniera secondaria. La preghiera, inoltre, va fatta verso oriente,
qualunque cosa ci sia (muro o cielo): ciò ci inserisce nell’armonia cosmica propria della preghiera e della
liturgia cristiana.

Nel Concilio di Costantinopoli II troviamo le tre condanne capitali:

Canone 11: “Chi non scomunica Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Nestorio, Eutiche, e Origene,
insieme ai loro empi scritti e tutti gli altri eretici, condannati e scomunicati dalla santa chiesa cattolica

“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 27


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e apostolica e dai quattro predetti concili, e chi ha professato o professa dottrine simili a quelle degli
eretici che abbiamo nominato e persiste nella propria empietà fino alla morte, sia anatema” (DS 433).

Troviamo inoltre anatemi proclamati tuttavia non dalla Chiesa adunata in Concilio ma da un sinodo:

1. Se qualcuno dice o ritiene che le anime degli uomini preesistono, nel senso di essere
antecedentemente menti e forze sante, che hanno preso però disgusto della visione divina e si sono
volte al peggio e si sono per questo raffreddate dall’amore di Dio, predendo di qui il nome di anime, e
che sono state per punizione mandate giù nei corpi, sia anatema.
2. Se qualcuno dice o ritiene che l’anima del Signore sia preesistita o che fu unita a Dio, il Verbo, prima
dell’incarnazione e della nascita dalla Vergine, sia anatema.
3. Se qualcuno dice o ritiene che il corpo del Signore nostro Gesù Cristo prima fu formato nel seno
della santa Vergine e dopo furono uniti ad esso Dio, il Verbo, e l’anima come preesistente, sia anatema.
4. Se qualcuno dice o ritiene che il Verbo di Dio divenne simile agli ordini celesti, [sia] divenuto
cherubino ai cherubini, serafino ai serafini, in breve, essendo diventato simile alle potenze superiori,
sia anatema.
5. Se qualcuno dice o ritiene che nella risurrezione i corpi degli uomini risuscitano in forma di sfere e
non professa che saremo risuscitati ritti, sia anatema.
6. Se qualcuno dice o ritiene che il cielo e il sole e la luna e le stelle e le acque al di sopra dei cieli sono
potenze animate e intelligenti, sia anatema.
7. Se qualcuno dice o ritiene che il Signore Cristo nel secolo futuro sarà crocifisso per i demoni come
[lo fu] per gli uomini, sia anatema.
8. Se qualcuno dice o ritiene o che la potenza di Dio sia limitata e tanto egli abbia prodotto quanto
poteva stringere con la mano e pensare o che le creature siano coeterne a Dio [-!], sia anatema.
9. Se qualcuno dice o ritiene che il castigo dei demoni e degli uomini empi è temporaneo e che esso
avrà fine dopo un certo tempo, cioè ci sarà un ristabilimento (apocatastasi) dei demoni o degli uomini
empi, sia anatema.

Evagrio Pontico fu discepolo di Origene. Va chiarito questo: che la condanna del sinodo è verso i discepoli
di Origene, gli esocristi, che trasformarono in dottrina la teologia in ricerca di Origene. Pertanto: gli anatemi
del sinodo non sono direttamente contro Origene, bensì contro i suoi discepoli.

8.4. ATANASIO
Vescovo eminente di Alessandria. Era il grande difensore della fede di Nicea, un “pilastro della Chiesa”. I
suoi genitori non erano cristiani e lui si è convertito al cristianesimo da giovane. Alessandria era una città
cosmopolita con pagani, Ebrei e cristiani, Atanasio era lettore e segretario del suo vescovo Alessandro. È stato
poi diacono. Era con Alessandro al Concilio di Nicea. Aveva tendenze ascetico-monastiche. Fu consacrato
vescovo l’8 giugno del 328 a l’età di 33 anni. Atanasio era un deciso oppositore degli ariani. A causa del
termineomoousios viene mandato in esilio (17 anni, 5 volte). In particolare, fu mandato la seconda volta in
esilio con Marcello D’Agira (sabellianista) a Roma e questi gli creò problemi. Dopo l’esilio torna ad
Alessandria sotto l’imperatore Costanzo (Ariano). Arriviamo così al terzo esilio in cui viene associato con
Marcello. Atanasio fugge e si esilia dai monaci egiziani e conoscerà Antonio del deserto. Giuliano l’apostata lo
farà tornare ad Alessandria. Giuliano era cristiano, ma ad un certo momento ha rinnegato la sua fede cristiana
tornando al paganesimo imperiale. Proibiva la presenza dei cristiani nelle scuole, perché se uno non credeva
nella mitologia (che si doveva insegnare) non avrebbe potuto insegnarla bene. Giuliano voleva ricostruire il
tempio a Gerusalemme per ricominciare i sacrifici degli animali, ecc. Non ci è riuscito perché è morto dopo 3
anni. Volva distruggere il cristianesimo da dentro. Ha richiamato per questo dall’esilio tutti i vescovi cristiani
esiliati (Basilio, Atanasio, ecc.)

“Sebbene poi Giuliano fin dalla puerizia fosse inclinato all’idolatria, e col crescere dell’età se ne fosse
sempre più acceso, nondimeno, da molte cagioni infrenato, avea sempre tenuto occultassimo quanto
egli in questo proposito meditava. Ma quando, tolto di mezzo tutto ciò che gli dava timore, vide ch’era
venuto il tempo da poter compiere a suo senno quanto eragli in grado, fece palesi gli arcani del proprio
petto, e con chiari ed assoluti decreti ordinò che si aprissero i templi, e si guidassero all’are le vittime
pel culto dei Numi. E per invigorire l’effetto di queste sue disposizioni, chiamando nel proprio palazzo
i capi dei Cristiani discordi fra loro a la plebe divisa con essi in fazioni, ammonivali tutti, che, lascite le
civili discordie, ciascheduno sicuramente servisse alla proprio religione, né altri potesse impedirlo.

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Nel che si portava tanto più fermamente, affinchè moltiplicandosi colla licenza le dissensioni, non
avesse egli poi più da temere la conordia della plebe: conoscendo per esperienza non esservi belve
tanto infeste agli uomini, quanto i più de’ Cristiani sono esiziali a sé stessi” (Res Gestae XXII.5.1-4).

A Giuliano interessava distruggere il cristianesimo e pertanto il ritorno dei rivali avrebbe agevolato il suo
fine: ad Atanasio fu concesso tornare; ed aveva successo nel riconciliare i semi-ariani. Quando Giuliano lo
vedeva riunire la Chiesa anziché dividerla, l’ha rimandato di nuovo in esilio.Il quinto esilio lo subì sotto
l’imperatore Valente, ariano. Dopo è stato reintegrato dallo stesso Imperatore. È morto all’età di 78 anni.
La maggior parte dei suoi scritti sono dedicati alla difesa di Nicea.
Nella lettera 39, abbiamo per la prima volta tutto l’elenco dei 27 libri del NT. Ha scritto la biografia di
Sant’Antonio, libro più letto dopo le Confessioni di Sant’Agostino.
Il monaco in questo periodo in cui la Chiesa può predicare è considerato successore dei martiri.

“Lo aiutava il Signore che si rivestì di carne per noi, e che concesse al corpo la vittoria contro il diavolo;
sicché ciascuno di quelli che sostennero una simile lotta poteva dire con l’Apostolo: ‘Non io, ma la
grazia di Dio che è con me.” (La Vita di Antonio 5.7).“Questa fu la prima lotta di Antonio contro il
diavolo; o per meglio dire, la lotta del Salvatore, che compì ciò in Antonio.” (La Vita di Antonio 7.1).

Il Signore stesso sta lottando.

“Passò in tal maniera circa vent’anni, conducendo da solo questa vita ascetica, senza allontanarsi di là
e senza essere veduto da alcuno se non raramente. Poi, molti, tormentati da malattie, venivano a farsi
curare, altri desideravano di imitare la vita ascetica di Antonio, altri suoi conoscenti si recarono al
castello, e forzato l’ingresso, entrarono. Si fece loro innanzi Antonio, come un iniziato ai misteri che
esce dal sacro recesso, ispirato da Dio. Allora per la prima volta lo videro fuori dal castello quelli che
erano andati da lui. Si meravigliarono al vedere che le sue condizioni fisiche erano sempre le stesse,
non impinguato per la mancanza di moto, né dimagrito dai digiuni e dalle lotte con i demoni: era come
l’avevano visto prima che si chiudesse nel suo ritiro.” (La Vita di Antonio 14.1-3).

La novità della vita di Sant’Antonio è che è partito nel deserto da solo, che è il luogo del Diavolo, la terra
del Diavolo. Altre persone si sono legate a lui venendo a condividere la sua vita. Ha voluto lasciare anche
questi discepoli perché lui voleva vivere da solo. Si è allora allontanato anche da questi discepoli per inoltrarsi
ancora di più nel deserto.

‘Sono astuti’ e pronti a trasfigurarsi. Talvolta, infatti, salmodiano cantando. Fingono di cantare senza
essere visibili e citano i detti delle Scritture. Accade che quando noi leggiamo essi producono quasi un
suono, come se leggessero ciò che noi stiamo leggendo; e mentre dormiamo ci spingono a pregare, e
fanno ciò continuamente senza quasi permetterci di dormire. Spesso si trasformano in eremiti, e
sembrano parlare come persone devote e timorate, per sedurre con un aspetto simile al nostro e
trascinare dove vogliono coloro che hanno sedotto. Ma non bisogna prestar loro attenzione, neanche
se tentano di persuadervi a non mangiare o se vi rimproverano per cose delle quali furono una volta,
con noi, unici testimoni. Non fanno questo per amore della religione e della verità, ma piuttosto
mirano a far cadere i semplici e a rendere senza profitto l’ascesi. Essi vogliono produrre negli uomini
una nausea, affinché reputino troppo grave la vita solitaria e vengano impediti di vivere combattendo i
demoni. (La Vita di Antonio 25.1-5)

Questa è una tentazione ad un bene apparente. Sant’Ignazio di Loyola ha portato avanti questi pensieri
sull’insegnamento. Come Antonio, allora, è importante allenarsi al discernimento degli spiriti, che va fatto in
unione a Dio. Per la sua unione con Dio, il ministero di Antonio divenne presto ministero della consolazione
per tutti quelli che da lui si recavano a chiedere consiglio.

In quanto alla teologia trinitaria, Atanasio riteneva che se Cristo ci salva deve essere Dio; e se lo Spirito
Sando deve essere coinvolto nella divinizzazione dell’uomo, anche lui allora deve essere Dio. È molto vicino a
Ireneo. La sua cristologia si muove tralogos/sarx elogos/anthropos;l’idea dell’anima di Cristo viene trascurata
da sant’Atanasio. Questa lettura viene anche dalla lettura spirituale che faceva la scuola alessandrina della
Scrittura.Nella sua mariologia lui parla di Maria come Theotokos.

“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 29


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9. L’ESEGESI PATRISTICA
9.1. ALESSANDRIA E ANTIOCHIA
La teologia patristica si basa sulla Scrittura. È una teologia biblica. I testi dei padri della chiesa sono pieni
di citazioni della Scrittura. La Scrittura è l’anima della loro teologia. Così lo studio della Sacra Scrittura fonda
la fondazione della cultura cristiana.
Ci sono due scuole: anzitutto quella alessandrina, con approccio allegorico, esigenze spirituali einflusso
della filosofia platonica.Vari sono i suoi rappresentanti, tra cui Cirillo di Alessandria che afferma che tutte le
Scritture sono un libro e sono annunciate dallo Spirito Santo e che l’esegesi biblica è un’arte in cui si scopre il
senso sotto la lettera. Inoltre, Cirillo sottolinea come il NT è velato e dobbiamo ricorrere all’allegoria(che è
parlare di una cosa in termine di un’altra): tutta l’interpretazione cristiana dell’AT è allegorica, quasi che
troviamo Cristo ovunque.
La scuola antiochena ha invece un approccio più storico, filologico e grammaticale. Si vede qui l’influsso
dei Giudei, col metodo esegetico ebraico. Anche ad Antiochia c’è un approccio spirituale. Non si usa la parola
“allegoria” ma piuttosto “teoria”. Si contempla la Scrittura. Il grande rappresentante sarebbe Teodoro di
Mopsuestia. Quest’ultimo evitava l’ampia varietà dell’allegorismo. È troppo facile saltare subito all’allegorismo.
Per Teodoro non c’è Cristo dappertutto ma solo in alcuni passaggi. Suo classico esempio è riferirsi a “Dio
mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” non come attribuito a Cristo, ma evincendo come è il Cristo che ha
fatto suo il salmo. Vediamo qui le affinità col metodo storico-critico. Teodoro nota profonda discontinuità
tra AT e NT, una rigida rottura soprattutto nelle diverse visioni del Messia, umano nelle Scritture ebraiche e
divino per il NT. La storia di Israele è preistoria del cristianesimo e l’AT è fortemente morale. Quello che
propone è una rivelazione in sé chiusa che realizza uno strettissimo monoteismo. Di questa scuola è anche
Giovanni Crisostomo.
Se De Lubac invita a vedere unitarietà fra le due scuole, Newmanne afferma la profonda divisione.

9.2. ALLEGORIA E TIPOLOGIA


È dalla lettura di Omero che sorge l’uso dell’allegoria; si preferì non leggere storicamente ma
allegoricamente i miti. È questo un modo per salvaguardare la letteratura classica, non sempre molto accettata:
emblematica è l’esclusione dei poeti dalla Repubblica di Platone.
Filone applica l’allegoria per superare gli antropomorfismi divini. Accetta il significato letterario, ma come
secondario. Egli sostiene che quegli uomini più spirituali possono accedervi. Filone fa un’allegoria su Abramo-
Sara-Agar (l’anima che impara attraverso l’istruzione, la filosofia e chi prepara la via alla filosofia con
matematica, astronomia e altre discipline). Paolo in Gal riprende ciò e fa entrare allegoria nel NT. Per Filone,
la sua allegoria vuole sostenere che senza una buona preparazione non ci può essere una buona filosofia.
Quando i cristiani adottano tale metodo, applicano Cristo come criterio per leggere l’AT: in esso già vediamo
Cristo e Chiesa.
Tale uso dei padri è adottare il metodo degli apostoli: Filippo e l’eunuco o Emmaus ne sono immagine.
Spesso i cristiani applicavano all’AT e non al NT l’allegoria perché altrimenti avrebbero fatto ciò che facevano
gli gnostici.
Origene è il grande utilizzatore dell’allegoria.

In quanto alla tipologia, è una tecnica che vede figure nell’AT che prefigurano realtà del NT. Adamo e
nuovo Adamo, Mar Rosso e Battesimo, manna ed eucaristia… Questa è quindi una lettura particolarmente
cristiana. Ma ciò lo ritroviamo già in Isaia quando fa riferimento figurativo all’esodo: ciò manifesta l’uso
ebraico di tale metodo.

In definitiva, possiamo parlare di quattro sensi delle Scritture: storico, tropologico/morale, allegorico e
anagogico/escatologico. Nicola di Lira sintetizzerà in quel “littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis
quid agas, qui tendas allegoria”.

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Senza la fede è impossibile una vera esegesi così che è da salvaguardare una lettura del senso spirituale.

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10. I PADRI CAPPADOCI


10.1. UN QUADRO GENERALE
Basilio e Gregorio di Nissa sono fratelli; loro amico stretto è Gregorio di Nazianzo. È questo trio il grande
frutto del lavoro di Atanasio e sono tradizionalmente la vittoria di Nicea sull’arianesimo.
La loro nonna è santa Macrina la Vecchia, discepola di san Gregorio Taumaturgo(tanto cheil nome del
nisseno viene da questi), discepolo di Origene. La famiglia di Basilio e Gregorio è molto santa, mentre quella
del Nazianzeno è di origini molto cristiane (il padre è vescovo).
Tutti e tre volevano condurre una vita ascetica, ma tutti e tre furono chiamati al ministero episcopale.
Basilio è ricordato come grande organizzatore, suo fratello come filosofo e il Nazianzeno come il teologo
dell’Oriente.

10.2. BASILIO MAGNO


Conobbe Giuliano l’apostata. Visitò molti centri monastici per conoscere le realtà ecclesiali; decise di
ritirarsi in vita monastica a Iris e fu uno dei fondatori del cenobitismo alla ricerca di un equilibrio tra povertà
estrema e ricchezza. Redice con l’aiuto del Nazianzeno le regole bade del cenobitismo e la Filocalia.
Anni dopo divenne sacerdote, abbandonando il cenobitismo; difende Nicea e riconcilia le chiese divise tra
loro e con Roma. Fu ordinato vescovo e trovò grande difficoltà con l’imperatore Valente: non riuscendo a
deporre il vescovo nemico, questi divise in due la provincia ecclesiastica col fine di diminuire la giurisdizione
dell’avversario. Basilio reagì ordinando molti vescovi. Con tutto il suo lavoro, non riuscì a vederne i frutti ma
presto, dopo la sua morte, grazie all’imperatore Teodosioavrà compimento la sua arringa pro-Nicea.
Grande fu il lavoro teologico dei cappadoci per chiarire le terminologie trinitarie: ousia per unità e
upostasis per la diversità. Grande “problema” era lo Spirito Santo: pur credendo nella sua divinità, riteneva
opportuno che nel Simbolo non si parlasse di Lui come Dio e come omoousios; e la sua riflessione a
Costantinopoli fu ritenuta giusta così che il Crediamo usa parole diverse per dire lo stesso concetto.
Di lui, il Nazianzeno afferma:

Che poi egli conoscesse meglio d’ogni altro la divinità dello Spirito, risulta chiaro dalle frequenti
dichiarazioni ch’egli fece in pubblico al riguardo, quando lo consentiva l’opportunità, e dall’esplicito
riconoscimento che ne faceva in privato a coloro che lo interrogavano; più chiaro ancora l’ha reso nei
suoi colloqui con me, col quale non aveva segreti nelle conversazioni sull’argomento, senza limitarsi ad
una dichiarazione pura e semplice, ma—ciò che prima non gli era accaduto di fare frequentemente—
imprecando su di sé la cosa più tremenda, d’essere, cioè, respinto dallo Spirito, s’egli non venerava lo
Spirito insieme col Padre e col Figlio, come dotati della stessa sostanza e dello stesso onore.

Qui per la prima volta troviamo l’argomentum patristicum: era necessario, per Basilio, raccogliere le
testimonianze dei padri anche non scritte, soprattutto dalla liturgia:

A coloro che dicono che la dossologia con lo Spirito non è attestata nella Scrittura, diciamo questo: se
non si accetta nessun’altra cosa non attestata nella Scrittura, non si accetti neppure questa: se però la
maggior parte delle celebrazioni dei misteri hanno per noi diritto di cittadinanza insieme a molte altre
cose che pur non sono nella Scrittura, allora ammettiamo anche questa. Io credo che sia un criterio
apostolico attenersi anche alle tradizioni non scritte: ‘Vi lodo—dice infatti l’Apostolo—perché in ogni
cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse’; e ancora: ‘Mantenete le
tradizioni che avete apprese sia dalla nostra parola sia dalla nostra lettera’.

10.3. GREGORIO DI NISSA


Sua sorella, santa Macrina, ebbe un grande influsso sulla sua vita. Basilio chiama Gregorio padre poiché i
fratelli rimasero orfani quando Basilio era bambino e Gregorio era il primo dei fratelli. Non viaggiò come il
fratello, ma rimase essenzialmente presso la casa paterna; solo successivamente, anch’egli si ritirò ad Iris; si sa
che era sposato e nel momento della divisione delle province fu ordinato vescovo e poi mandato in esilio. Alla
morte di Valente, rientrò e fu vescovo di Sebaste, partecipò al concilio di Costantinopoli e morì nel 394.
“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 32
Patrologia
Gregorio è essenzialmente origeniano; redige l’Oratio catechetica magna, primo testo sistematico di
teologia dopo il De Principiis. Si sofferma in De vita Moysisa parlare della vita del cielo che non vede pre-
esistenza delle anime, che è seguire Dio come Mosè, che vede solo le spalle di Dio e si incammina con lui verso
l’infinito. In quanto all’escatologia, è convinto dell’apokatastasis. Fu prima condannato dai vescovi ariani e
perciò mandato in esilio per poi essere protagonista del concilio di Costantinopoli.

10.1. GREOGORIO NAZIANZENO


Suo padre era vescovo; secondo le usanze del tempo, viene battezzato a tren’anni, dopo aver studiato, nella
convinzione generale che è meglio battezzare dopo la giovinezza per evitare il peso dei peccati. Era solito
rifuggire la vita attiva; trascorreva periodi diversi nei monasteri e poi tornava alla quotidianità. Così fece anche
all’elezione sacerdotale. Nominato vescovo di Sasima, non vi si recò mai perché era un villaggio piccolo e
insignificante; trascorse quindi la sua vita presso la casa paterna.
Per cinque discorsi è chiamato il teologo; per mano di Teodosio, Gregorio è vescovo di Costantinopoli e
alla morte del preside del concilio ne è chiamato a prendere la guida. La sua battaglia per l’omoousios dello
Spirito Santo lo vide molto osteggiato così che presto si ritirò prima al suo paese e quindi nella solitudine di
un monastero dove morì nel 390.

In quanto alla sua teologia, è lui che differenzia dalla generazione del Figlio la processione dello Spirito
Santo. Da subito grida la consustanzialità dello Spirito Santo.

“Cosa manca, dunque, allo Spirito---tu obietti---perché sia Figlio? Ché, se non ci fosse qualcosa che gli
manca, sarebbe il Figlio. Ma noi non diciamo che gli manchi qualcosa, perché Dio non è manchevole;
ci riferiamo alla differenza della manifestazione, per così dire, o del rapporto reciproco, che produce
anche la differenza del loro nome. Del resto, nemmeno al Figlio manca qualcosa per essere il Padre---
ché la condizione di figlio non implica una mancanza---e non per questo è il Padre; altrimenti,
mancherebbe qualcosa anche al Padre per essere il Figlio---ché il padre non è il figlio. Ma queste
parole non indicano una mancanza di alcun genere, né una diminuzione secondo la sostanza, mentre i
termini di non essere stato generato e di essere stato generato e di procedere indicano l'uno il Padre,
l'altro il Figlio, il terzo quello che si chiama, appunto, Spirito Santo, in modo che si conservi non
confusa la distinzione delle tre ipostasi nell'unica natura e nell'unica dignità dell'essenza divina. Il
Figlio non è il Padre, ché il Padre è uno solo, ma è la stessa cosa che è il Padre; né lo Spirito è il Figlio
per il fatto che proviene da Dio, perché uno solo è l’Unigenito, ma è la stessa cosa del Figlio. I Tre sono
un solo essere quanto alla natura divina, e il solo essere è tre quanto alle proprietà: l’uno non deve
essere inteso alla maniera di Sabellio, né i Tre sono quelli della sciagurata divisione che è in voga
oggidì. Ebbene? Lo Spirito è Dio? Certamente! E allora? E’ homousion? Sì, se è vero che è Dio,”
(Oratio 31.9-10).

Nella sua cristologia, segue l’antiocheno logos-antropos: è lui che ci lascia l’importante detto per cui ciò che
Cristo assume, redime. Gesù è un uomo totale, così che tutto l’uomo – nous soprattutto – è stato redento. È
lui ad applicare il linguaggio trinitario a Cristo: se la Trinità è “1 what and 3 whos” (ma non 3 egos), Cristo è
“2 whats and 1 who”.

“E se bisogna esprimersi concisamente, le sostanze da cui è composto il Salvatore sono una e


un’altra(;..;), dal momento che l’invisibile non è la stessa cosa del
visibile e ciò che è al di fuori del tempo non si identifica con quello che è soggetto al tempo,
ma non vi sono uno e un altro(v;. . ;): non sia mai! Ché le due
sostanze diventano un essere solo per mezzo della loro mescolanza
(..v,]/,), dato che Dio si incarna e l’uomo diventa
divino---o comunque lo si voglia definire. Io dico una sostanza e un’altra(;.
;) nel significato opposto a quello che si applica alla Trinità. Nell’ambito della Trinità,
infatti, vi è uno e un altro, perché noi non dobbiamo confondere le ipostasi, ma non una e
un’altra sostanza: una cosa sola, infatti, sono i Tre, e la medesima, quanto alla natura divina
(’..;.;[..`,,v;

“Nei padri, qualcosa di singolare, di irripetibile e di perennemente valido” Pagina 33


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..;;..,.v./,),” (Ep. a Cledonio
101.20-21.)

Due sostanze sì (al neutro, allo kai allo), ma non due persone (al maschile, ouk allos de kai allos), mentre
per la Trinità è al contrario.

Di Maria, ribadisce il titolo di Theotokos.

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11. L’AFRICA DEL NORD FRA II E III SECOLO


11.1. TERTULLIANO
Nato nel 160 (al martirio di Giustino), è il primo autore latino che conosciamo. A 27 anni si battezza. Da
lui abbiamo la famosa frase per cui il sangue dei martiri è semente di cristiani. Il suo è lavoro apologetico per
chi è fuori dalla Chiesa e lavoro dogmatico per i cristiani. Si sofferma molto su morale, preghiera… Morì da
montanista, quindi fuori dalla Chiesa.

Importante è per lui la primazia delle chiese apostoliche, Roma in primis.

“Se dunque, tu che vuoi esercitare meglio la tua curiosità, vale a dire, la vuoi esercitare per
metterla al servizio della tua salvezza, percorri le chiese apostoliche, nelle quali i seggi stessi
degli apostoli presiedono ancora, al loro posto, nelle quali le stesse loro lettere, lettere
autentiche, vengono recitate facendo risuonare la voce e rappresentando il volto di ciascuno
apostolo. Vicino a te è l’Acaia: tu trovi Corinto. Se non sei lontano dalla Macedonia, hai
Filippi; se puoi recarti in Asia, hai Efeso; se poi sei ai confini dell’Italia, hai Roma, donde
giunge anche fino a noi l’autorità degli apostoli. Quanto è felice quella chiesa, alla quale gli
apostoli profusero tutta la dottrina con il loro sangue, dove Pietro è pari al Signore nella
passione, dove Paolo è incoronato della stessa morte di Giovanni il Battista, dove l’apostolo
Giovanni, alcuni anni più tardi, viene gettato in un olio di fuoco: niente patì, viene relegato in
un’isola. Guardiamo che cosa ha appreso, che cosa ha insegnato, quella chiesa: insieme alle
chiese africane che sono unite a lei, essa conosce un solo Dio Signore, creatore dell’universo,
e Gesù Cristo…” (De praescritione haereticorum 36.1-3).

L’eco della predicazione degli apostoli è garanzia, unita al loro sangue. Tertulliano riporta, fra l’altro, la
leggenda sull’apostolo Giovanni.
Uomo intelligente e capace, ci dà 982 neologismi per il vocabolario latino del cristianesimo. Ritiene che
non necessitiamo della filosofia: “che ha a che fare Atene con Gerusalemme?”.
Si oppone con forza contro la persecuzione dei cristiani:

“Per contro a quelli si deve attribuire il nome di fazione, i quali, per suscitare l'odio contro
persone buone e oneste cospirano, che contro il sangue d'innocenti gridano, a giustificazione
del loro odio pretestando, invero, anche quella futile opinione, per cui stimano che per ogni
publica calamità, per ogni disgrazia popolare siano in causa i Cristiani. Se il Tevere fino alle
mura sale, se il Nilo fino ai campi non cresce, se il cielo si arresta, se la terra si scuote, se c'è la
fame, la peste, subito 'I Cristiani al leone!' - si grida. Tanta gente a un solo leone?”
(Apologeticum 40.1-2).

Nella sua teologia, inoltre, come gli altri autori cristiani di ogni tempo, condanna l’aborto come omicidio
gravissimo, poiché “nel seme, già vi è il frutto”. Quindi è palese che i cristiani si distinguono per la loro difesa
della vita.

Nel 207 si avvicinò al rigorismo dei montanisti: fondati da Montano, profeta della Frigia, questi era – a
sua detta – l’incarnazione dello Spirito Santo con tendenza all’estasi. Negava l’autorità della Chiesa; accanto a
lui ritroviamo Priscilla e Massimilla. All’inizio i montanisti sono nella Chiesa, tanto che Ireneo stesso chiede al
papa di accettarli. Ma questi realizzano la scissione e alcuni tra loro seguono direttamente Tertulliano.
Così, il nostro scrittore ecclesiastico rifiuta la società e la cultura romana, è contro la filosofia e dà grande
contributo al latino cristiano. È lui che già prima di Agostino arriva a parlare di una persona e due nature in
Cristo. In quanto alla seconda penitenza, egli è da cristiano a favore di essa seppur esigendo con grande
penitenza; chi vuole riconciliarsi, deve chiedere perdono a tutta la Chiesa che è Cristo e come Cristo intercede
presso il Padre, nessun membro escluso. Divenuto montanista, comincia col negare l’autorità della Chiesa,

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quindi lapossibilità di perdono; piuttosto – al massimo! – tale possibilità è riservata ad un uomo spirituale; ma
in sostanza, in virtù del rigorismo, si nega la penitenza.

11.2. CIPRIANO
Nasce nel 210 a Cartagine da pagani e a 35 anni è battezzato e diviene sacerdote; solo quattro anni dopo è
eletto vescovo. Subisce l’invidia per la sua breve ascesa e quando Decio promulga l’obbligo di offrire incenso
alla sua statua, lui fugge seguendo l’invito del Vangelo di Matteo; ma per ciò è messo all’indice dal suo
presbiterio.
Si creano intanto differenti situazioni: vi erano i lapsi, quelli che avevano sacrificato; i libellatici, che si
erano procurati un falso attestato di offerta; gli stantes, che erano rimasti saldi nella fede; i confessores, che
furono perfino incarcerati; quindi i martiri. Da qui nasce la pratica per cui coloro che erano lapsi o libellatici
chiedevano ai confessores di offrire la loro pena per la loro salvezza; i confessores redigevano allora una lettera
per il vescovo, ove si affermava tale “offerta pro” e il vescovo doveva perdonare necessariamente il
“rinnegatore” (da qui la pratica delle indulgenze). Cipriano non era assolutamente concorde con tale modo di
fare: era per lui necessario un concilio così da risolvere comunitariamente tale situazione.
Allo scoppiare di un nuovo momento di persecuzione, Cipriano optò per una nuova riconciliazione
generale perché anche i penitenti potessero essere fortificati dall’eucaristia; ecco allora che, assieme a lui martire
(14 settembre 258), morirono anche altri che erano stati apostati.

Cipriano ebbe una forte tensione con Papa Stefano sul battesimo al di fuori della Chiesa, nei circoli eretici.
Se Agostino differisce res e sacramentum, sostenendo che vi è il sacramento ma non l’efficacia (è necessaria
l’imposizione delle mani per il perdono dei peccati) e quindi sostenendo che lo Spirito Santo agisce anche
fuori dalla Chiesa, Cipriano riteneva esattamente l’opposto: vanno ribattezzati. Ecco così che extra ecclesia,
salus non est poiché habere non potest Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem.
“Allo stesso [Pietro], dopo la risurrezione, [Gesù] dice: Pasci le mie pecore. Sopra di lui edifica la
Chiesa e a lui affida le pecore da pascere. E quantunque a tutti gli Apostoli attribuisca eguale potere,
tuttavia egli istituì un’unica cattedra, stabilendo in essa, con l’autorità della sua parola, l’origine e il
motivo dell’unità. Certamente anche gli altri Apostoli erano nella stessa dignità di Pietro, ma a Pietro è
conferito il primato, perché una apparisse la Chiesa e una la cattedra. Tutti certamente sono pastori,
ma il gregge è presentato come uno solo, per essere pasciuto da tutti gli Apostoli stretti da unanime
consenso. E chi non conserva questa unità della Chiesa, si illude di conservare la fede? Chi abbandona
la cattedra di Pietro, su cui è stata fondata la chiesa, si illude di restare nella Chiesa?” (De catholicae
ecclesiae unitate 4: Testo del primato)

Infine, per Cipriano vi è omologia tra comunione con la Chiesa universale e comunione con il vescovo
locale: poiché “il Vescovo è nella Chiesa e la Chiesa è nel vescovo” . Ciò contribuisce anche al concetto di
collegialità.

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12. AGOSTINO
È il più importante e influente padre della Chiesa occidentale.
Nato in Numidia, in Africa del nord, il 13 novembre del 354, è romano di lingua e cultura. Il padre è
Patrizio e la madre s. Monica. Aveva un fratello ed una sorella. Fu iscritto da bambino nel catecumenato; da
giovane si formò per divenire retore, avvocato e politico. A 19 anni legge l’Hortensius, che dà l’input filosofico
ad Agostino. Per nove anni è manicheo (gnostici organizzati in una chiesa; per loro vi è razionalità che esclude
la fede, un cristianesimo puro che deve esclude Antico Testamento e vede la soluzione radicale al problema del
male in un dualismo materialistico).
Attendeva una grande manifestazione di un grande manicheo, Festo, ma questi lo lascia deluso così
fortemente da abbandonare intellettualmente il manicheismo. Si reca prima a Roma e vi rimane fino a che
Simmaco lo manda a Milano come retore di coorte. In tutte queste vicissitudini, ha da una concubina (che non
può sposare perché di una categoria sociale troppo bassa rispetto a lui) un figlio, Adeodato; e a Milano questa
donna lo lascia perché Agostino potesse sposarsi, realizzando così in Agostino solo un grande vuoto e
afflizione interiore.
Conosce Ambrogio e questi lo apre all’intelligenza delle Scritture, particolarmente dell’Antico Testamento.
In un momento poco felice, mentre è in un giardino, una voce lo invita: tolle, lege! Prende il testo: è la Bibbia;
vi ritrova un passo paolino: è la definitiva conversione. Fu battezzato il 24 aprile 387. Da Agostino
conosciamo questo: egli si era accostato al platonismo, ma ciò che lo spinge fortemente al cristianesimo è la
kenosi del Logosa cui la filosofia non sa arrivare.
Si dirige allora verso l’Africa: nel viaggio muore ad Ostia Monica. Ripartito e giunto in Africa, vuole vivere
il laicato monastico; ma viene presto ordinato sacerdote e, dopo un anno di ritiro e tre di servizio pastorale, è
acclamato a vescovo coadiutore e poi a titolare di Ippona (397).Tra le attività ordinarie devono annoverarsi: il
ministero della parola (predicò ininterrottamente due volte alla settimana-sabato e domenica--spesso per più
giorni consecutivi o anche due volte al giorno); l’audientia episcopi per ascoltare e giudicare le cause, che gli
occupavano non raramente tutta la giornata; la cura dei poveri e degli orfani; la formazione del clero, con il
quale fu paterno, ma anche rigoroso; l’organizzazione dei monasteri maschili e femminili; la visita agli infermi;
l’intervento a favore dei fedeli presso le autorità civili (apud saeculi potestates), che non amava fare, ma,
quando lo riteneva opportuno, faceva; l’amministrazione dei beni ecclesiastici, della quale avrebbe fatto
volentieri a meno, ma non trovò nessun laico che se ne volesse occupare. Ancor maggiore l’attività
straordinaria: i molti e lunghi viaggi per esser presente ai frequenti concili africani o per venire incontro alle
richieste dei colleghi; la dettatura delle lettere per rispondere a quanti, da ogni parte e di ogni ceto, si
rivolgevano a lui; la illustrazione e la difesa della fede. Quest’ultima esigenza lo indusse ad intervenire senza
posa contro i manichei, i donatisti, i pelagiani, gli ariani, i pagani. Aveva anche grandi corrispondenze, come
quella con Girolamo, che era a Betlemme.
Muore nel III mese di assedio dei vandali ariani (28 agosto 430). Il suo primo biografo ci dà l’elenco delle
sue opere che vennero salvate. Muore pregando i salmi penitenziali, che si fa scrivere e apporre sulle mura della
stanza per leggerli. Fu sepolto nella Basilica pacis ma, all’espulsione dei vescovi cattolici dall’Africa del Nord, il
suo corpo è temporaneamente in Sardegna. Si decise, infine, di dargli sepoltura accanto ad Ambrogio; ma, nel
viaggio verso Milano, i reali che risiedevano a Pavia decisero di collocare il suo corpo nella medesima città in
san Pietro in ciel d’oro, ove è sepolto anche Boezio.
Un carattere nobile, generoso e forte; una ricerca insaziabile della sapienza; un bisogno profondo
dell’amicizia; un amore vibrante a Cristo, alla Chiesa, ai fedeli; un’applicazione e una resistenza sorprendenti al
lavoro; un ascetismo moderato e pur austero; una sincera umiltà che non teme di riconoscere i propri errori;
una dedizione assidua allo studio della Scrittura, alla preghiera, alle ascensioni interiori, alla contemplazione.

Due sono i testi centrali del suo parlare di sé:

“Sei grande, Signore, e degno di somma lode: grande è la tua potenza, e la tua sapienza non ha
numero.’ E l’uomo, minia particella del tuo creato, vuole lodarti: l’uomo, che porta in giro con sé la sua

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Patrologia
nature di morte, che porta in giro con sé la prova del suo peccato e la prova che ‘resisti ai superbi.’
Eppure l’uomo, minima particella del tuo creato, vuole lodarti, Tu, tu lo spingi a trovar gioia nelle tue
lodi, poiché ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore finché non s’acquieta in te” (conf. 1.1.1 trad.
Gioacchino Chiarini).

“Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco, tu eri dentro e io
fuori, e lì ti cercavo e, brutto com’ero, mi gettavo sulle bellezze da te create. Eri con me, ma io non ero
con te. Da te mi tenevano lontano cose che, se non fossero in te, non sarebbero. Gridasti e chiamasti e
spezzasti la mia sordità, balenasti, splendesti e scacciasti la mia cecità, schiudesti il tuo profumo, ne
respirai e a te anelo, ne gustai e di te ho fame e sete, mi toccasti, e m’infiammai della tua pace” (conf.
10.27.38 trad. Gioacchino Chiarini).

Vogliamo soffermarci sulla sua cristologia e mariologia.


Gesù è mediatore solo perché è Dio e uomo; se fosse solo Dio o solo uomo, non lo sarebbe. Condividendo
l’umanità di Cristo, per il Battesimo e l’Eucaristia siamo spiritualmente incorporati in Cristo e diveniamo sue
membra per mezzo della grazia.
Umanità e divinità sono inseparabili, seppur distinte: ecco allora che ontologicamente se siamo incorporati
nell’umanità, lo siamo nella divinità.
Parlare così di Maria mediatrice è possibilissimo: Maria intercede per ottenere la grazia nell’intercessione di
preghiera, ma è solo Cristo a donarci salvezza.

“Dio non avrebbe potuto elargire agli uomini dono più grande di quello di costituire loro capo lo stesso
suo Verbo per cui mezzo aveva creato l’universo, unendoli a lui come membra, in modo che egli fosse
figlio di Dio e figlio dell’uomo, unico Dio insieme con il Padre, unico uomo insieme con gli uomini. Ne
segue che, quando parliamo a Dio e preghiamo, non dobbiamo separare da lui il Figlio, e quando prega
il corpo del Figlio, esso non ha da considerarsi staccato del suo capo; per cui la stessa persona, l’unico
salvatore del corpo mistico, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è colui che prega per noi, che
prega in noi e che è pregato da noi. Prega per noi come nostro sacerdote; prega in noi come nostro
capo; è pregato da noi come nostro Dio. Riconosciamo dunque in lui la nostra voce, e in noi la sua
voce” (en. Ps. 85.1).

In conclusione:
“Nessuno dev’essere così contemplativo da dimenticare nel corso delle sue contemplazioni che deve
rendersi utile al prossimo, e nessuno deve essere così attivo da non ricercare la contemplazione di Dio.
Nella contemplazione, non si deve ricercare un riposo inerte, ma la scoperta della verità, al fine di
progredire in essa senza ricusare di far parte agli altri di ciò che si è scoperto. Nell’azione, poi, non si
deve ricercare né l’onore né il potere di questa vita, poiché tutto è vanità sotto il sole, ma la bontà
dell’opera stessa.” Perciò “l’amore della verità ricerca la quiete della contemplazione (otium sanctum),
la necessità dell’amore accetta l’attività dell’apostolato (negotium iustum). Se nessuno c’impone
questo fardello, applichiamoci allo studio e alla contemplazione della verità; ma se ci viene imposto
dobbiamo accettarlo per la necessità della carità. Tuttavia, anche in questo caso, non dobbiamo
rinunciare completamente alle gioie della verità, affinché non accada che, privati di quella dolcezza,
restiamo oppressi da questa necessità” (De civitate Dei 19.19).

-Fine semestre -

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