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STORIA MODERNA (LEZIONE 2)

Una delle cose che più va tenuta in considerazione è proprio l'impatto sulle scoperte geografiche
dell'introduzione della stampa e viceversa. Che cosa significa? Immaginiamo cosa accadde nel
momento in cui Colombo, i membri del suo equipaggio e gli altri viaggiatori fecero circolare i loro
scritti e la descrizione nel Nuovo Mondo nei porti europei, nelle piazze, nelle strade, nelle chiese,
negli eventi, nelle fiere, nei mercati ecc… Come potevano essere recepite quelle notizie e tutte quelle
straordinarie rappresentazioni che facevano nascere desideri, ansie, inquietudini e che portavano le
persone a prendere delle scelte concrete di cambiare le loro vite sulla base di ciò che avevano
ascoltato, letto, visto e di cui avevano ricevuto notizie? Moltissimi, che magari non avevano nulla da
aspettarsi dalle loro esistenze precedenti e che non potevano godere di condizioni economiche
agiate o non avevano famiglie capaci di proteggerli, decidono di mettersi in viaggio e di affrontare
una traversata in mare pericolosissima per andare a vivere quelle stesse esperienze. Ovviamente
tanto Colombo quanto gli altri conquistatori restituivano all'Europa un'immagine del Nuovo Mondo
totalmente filtrata, lontanissima dalla realtà. Il punto qual è? È che una notizia è tanto valida e tanto
storicamente rilevante non tanto in quanto rappresenta autenticamente ciò che vuole rappresentare
ma in quanto nella misura in cui viene creduta vera/autentica. Quindi, si potrebbe pensare che
Colombo abbia diffuso false notizie sul nuovo mondo e di fatto lo erano, ovvero erano
rappresentazioni non attendibili, ma il punto è che quelle rappresentazioni furono credute vere da
chi le lesse e da chi ne ebbe esperienza. In generale, dobbiamo trarne un'indicazione di carattere
metodologico, valida per tutto quello che leggiamo e studiamo. In antico regime così come oggi, una
notizia è storicamente rilevante non nella misura in cui rappresenta fedelmente la realtà che intende
rappresentare, ma nella misura in cui le si presta credibilità: attraverso questo processo di
riconoscimento, messo in atto dal pubblico, anche le cose false diventano effettivamente vere.
Quindi la realtà Europea cambia sulla base di notizie che vere non erano ma che vengono
riconosciute come tale. Perché queste notizie possono avere una circolazione ampia e capillare? Non
soltanto perché rappresentano una svolta epocale, ma anche perché hanno uno strumento inedito
che permette loro di essere anche quantitativamente rilevanti e presenti nello spazio pubblico o
nella sfera pubblica Europea: hanno la stampa, che era stata introdotta pochi decenni prima grazie
alla famosa invenzione di Gutenberg (non era in realtà un’invenzione, ma era semplicemente
un’introduzione all'interno del panorama europeo di una tecnologia che in Cina era già conosciuta,
ma che aveva avuto uso e destini diversi). La stampa risultò essere un’innovazione tecnologica per
l'Europa tale da poter rendere possibile la moltiplicazione veloce di alcuni testi che fino a poco prima
richiedevano un enorme lavoro da parte degli amanuensi (se prima potevi produrre un numero
limitato di copie con il lavoro di decine e decine di amanuensi grazie alla stampa riesci a produrre un
numero maggiore di copie senza il lavoro di nessuna persona). Il testo a stampa, quindi, abbassa
enormemente i costi della circolazione del testo e velocizza di molto la produzione. Un
cambiamento che diventa tuttavia di uso comune soltanto a partire dagli anni ‘80 e ‘90 del ‘400 e
soltanto in alcune aree d'Europa più che in altre, ad esempio, dal punto di vista della diffusione dei
testi a stampa e della commercializzazione di stampa, il ruolo di Venezia è preponderante: diventa
la culla del commercio dei testi a stampa, della nuova editoria, ovvero di questa nuova industria
mediatica. Tuttavia, sarebbe un errore pensare che l’introduzione del testo a stampa e la
circolazione di questi testi vada a sostituire la cultura del manoscritto o, in generale, tutte le altre
culture comunicative e mediatiche che esistevano nei decenni e nei secoli precedenti. Il manoscritto
non soltanto sopravvive alla stampa, ma in alcuni casi diventa ancora più importante/ prezioso. Fino
agli anni Settanta del Novecento la storiografia tendeva ad attribuire all'introduzione della stampa
una portata rivoluzionaria, in realtà non fu esattamente così: quando usiamo il concetto di
rivoluzione tendiamo a dire “è successo qualcosa che rompe totalmente con quello che c'era prima”.
Tuttavia, il cambiamento fu graduale e, in alcuni casi, ci furono dei paradossali ritorni allo strumento
passato; in particolar modo era stata una studiosa negli anni ’70, Elizabeth Eisenstein, ad attribuire
alla stampa una portata rivoluzionaria, successivamente altri studiosi come Roger Chartier,
Armando Petrucci e Daniel Ross hanno smentito ciò. Il punto qual è? Il punto è che la stampa,
quando si diffuse, arrivò a veicolare al pubblico non soltanto i contenuti dei testi ma anche un certo
tipo di messaggio, secondo il quale quello che c'era all'interno dei testi a stampa era controllato dai
poteri costituiti. Man mano che questa novità tecnologica si affacciò nel panorama degli stati
europei che cosa successe? Successe che tanto i poteri secolari, ovvero gli stati, quanto i poteri
ecclesiastici, quindi le chiese, si resero conto del fatto che questi testi a stampa erano dei potenti
amplificatori del contenuto del testo e che, in quanto tali, potevano essere tanto una risorsa quanto
un pericolo perché diffondere attraverso la stampa dei messaggi che non erano graditi ai poteri
costituiti poteva essere pericoloso, ad esempio, poteva minare la stabilità dello Stato, dei re, delle
nobiltà e, allo stesso tempo, poteva minare la sacralità della chiesa. Allora si posero l’obiettivo, fin da
subito, di controllare la stampa ed era abbastanza semplice: per censurare la stampa bisognava
avere un quadro preciso di quali erano gli stampatori e quali erano i luoghi dove si vendevano dei
testi a stampa. Molto più difficile era controllare il manoscritto perché viene riprodotto dal singolo
amanuense, che invece si pone l'obiettivo di venderlo personalmente. Quindi era un lavoro immane
quello di entrare nei laboratori di ciascun amanuense per capire cosa stessero ricopiando e se il
testo fosse proibito o meno. Dunque, cosa succede? Questa percezione arriva molto spesso anche ai
lettori, i quali si rendono conto che un testo a stampa può essere sì un qualcosa che veicola
informazioni rilevanti, ma è anche qualcosa che è stato filtrato dai poteri costituiti; mentre, il
manoscritto non è stato sottoposto allo stesso percorso censorio, quindi è, per certi versi, più
attendibile e ricercato sul mercato. Come ci siamo arrivati alla descrizione di questo scenario così
complesso? Ci siamo arrivati perché, guardando al passato, abbiamo notato che, nel ‘600, il
manoscritto, anziché scomparire, prolifera. Ci siamo arrivati anche attraverso una visione più ampia,
guardando il lungo periodo della storia dei media e dei mezzi di comunicazione che arriva fino ai
giorni nostri. Perché? Perché studiosi di fama mondiale, come Peter Burke e Asa Briggs, si sono
dedicati allo studio della storia della comunicazione, producendo dei veri e propri capolavori della
storiografia, cioè la storia sociale dei media da Gutenberg ad internet: se veramente vogliamo
capire quello che era successo in Europa, tra ‘400 e ‘500, dobbiamo guardare a quello che è successo
anche in tempi più recenti, fino ai giorni nostri. E questo ci riporta ad un problema metodologico
fondamentale: la storia è sempre condizionata dal nostro modo di osservare il presente e le
domande che noi poniamo al passato sono tanto cruciali e tanto originali in quanto originali sono le
domande che noi poniamo al nostro passato. Quindi, Peter Burke, come tanti altri studiosi della
storia sociale dei media, ha capito che la stessa dinamica che il manoscritto e la stampa hanno
vissuto tra Quattro e Cinquecento è stata vissuta da mezzi di comunicazione che si sono affacciati
nel nostro mondo in tempi molto più recenti, in particolare la radio, la televisione e internet. Per
questo parlano di storia dei media da Gutenberg a internet. Una domanda però sorge spontanea:
perché per capire l'Europa del Cinquecento dobbiamo capire per forza anche internet? Lo dobbiamo
capire perché la nostra visione storiografica dell'Europa del Cinquecento è condizionata dal modo in
cui osserviamo oggi la televisione e internet. Con l’avvento di Internet, prima ancora che diventasse
un mezzo di comunicazione comune come lo è oggi, mostrava all'opinione pubblica la prospettiva di
una novità assoluta e tanti, soprattutto grandi intellettuali, pensavano che avrebbe sostituito
completamente la televisione e che quest’ultima sarebbe scomparsa, così come i libri. Molti
profetizzavano anche che l'arrivo di questo nuovo medium ci avrebbe alienati, ci saremo chiusi nelle
nostre case senza interazioni sociali (invece per questo è servito il covid), in realtà la profezia non si è
avverata con internet, bensì con la televisione, per quanto oggi sia meno vista/utilizzata, soprattutto
dalle nuove generazioni, perché quello che vuoi vedere in TV lo ritrovi in tempo zero già che circola
sui social (questo è importante perché neanche il tempo di accendere la tv e sintonizzarti su un cale
che già i social te lo mostrano). Tuttavia, la televisione è ancora centrale all'interno dell’ecosistema
mediatico odierno, infatti è usata soprattutto dalle vecchie generazioni (cinquantenni, sessantenni
ecc…). Pensiamo, ad esempio, all’inizio della pandemia: tutti coloro che fruiscono della televisione
avranno visto, almeno una volta, il video di Barbara D'Urso che spiega come lavarsi le mani. Anche
coloro che non hanno mai acceso la televisione nella loro vita lo avranno comunque visto. Questo
cosa ci dimostra? Ci dimostra che, indipendentemente dal fatto che il medium possa stare o no al
centro del sistema mediatico, quello che avviene all'interno di quel particolare medium, è ancora
centrale per tutta la nostra cultura e per tutto quello che percepiamo della realtà. Ciò accadeva
anche in antico regime, soprattutto nei luoghi in cui si parlava delle scoperte/conquiste di Colombo
e di coloro che l'avevano seguito. Nella società del ‘400 e del ‘500 il numero di alfabetizzati (persone
capaci di leggere un testo scritto, che sia esso a stampa o manoscritto) era bassissimo in tutta
Europa; inoltre tra alfabetizzati e analfabeti ci sono persone che non sanno completamente leggere
o completamente scrivere ma non sono nemmeno completamente incapaci e quindi hanno una
capacità limitata di approccio al testo scritto e alla scrittura. Alcuni di questi diventeranno sempre di
più nel corso del Cinquecento e del Seicento, ovvero persone capaci di leggere, ad esempio, i testi a
stampa ma non di leggere i testi manoscritti. Un esempio lampante di questo tipo di fenomenologia
ce lo dà Alessandro Manzoni ne “i Promessi Sposi”, quando spiega che Renzo è uno di quelli che sa
leggere la stampa ma non sa leggere il manoscritto; ciò viene spiegato quando Azzeccagarbugli
propone a Renzo l'immagine delle gride (la grida era una vera e propria forma di una comunicazione
ufficiale che veniva decisa dall'autorità e che veniva anche “gridata” sulle pubblica piazza da un
banditore specifico) che dovrebbero aiutarlo, ma che, in realtà, lo stanno condannando, quindi lui
riesce a seguire con l'orecchio perché quelle cose che l’Azzeccagarbugli gli sta mostrando sono a
stampa.
Quando pensiamo a quello che avveniva nell’esplosioni mediatiche, che seguirono la scoperta di
Nuovi Mondi, dobbiamo pensare a dei testi a stampa che arrivano a chi sa leggere, ma anche a chi
non sa leggere. E come ci arrivano? Ci arrivano attraverso la voce, lo sguardo, attraverso le
immagini, attraverso esperienze che sono a tutti gli effetti aspetti multimediali. Dunque, viene da
chiedersi: a serviva il testo a stampa, non bastava la voce da sola? Il testo a stampa è così
importante all'interno di quell’ecosistema mediatico? Mettiamoci nei panni di un illetterato, quindi
di una persona che non sa leggere, che in un porto europeo del primo Cinquecento sente raccontare
storie del Nuovo Mondo e, sulla base di quelle storie che sente raccontare, vere o false che siano,
decide di cambiare la sua vita e di mettersi in viaggio. Pensiamo: un conto è sentire una persona che
parla e che ci racconta qualcosa, un altro è sentire una persona che parla, ma che, nel frattempo, fa
dei gesti o ci mostra qualcosa, ad esempio un libro, e continua a parlare. Perché? Perché se sto
parlando di qualcosa e alludo al fatto che ciò sia scritto nel libro che mostro, il mio ascoltatore,
inconsciamente, attribuisce maggiore credito a quello che sto dicendo, anche se magari sto
mentendo, per il semplice fatto che faccio questo gesto e nella sua mente scatta qualcosa e, quindi,
attribuisce all'oggetto a stampa un significato intrinseco, che cambia la sua percezione dell'atto
mediatico. Ciò vale per tutto l'Antico regime!
Un esempio di capolavoro della letteratura inglese del ‘700 fu la Pamela di Richardson: fu un
romanzo molto fortunato, perché non fu soltanto letto ma anche raccontato a voce a persone che
non sapevano leggere e che seguivano la storia, però un conto è raccontarlo perché il grado di
attendibilità che viene attribuito anche al narratore è più alto per la sola presenza di un oggetto nelle
sue mani, ancor di più se quell’oggetto è manoscritto perché è più raro/attendibile; se quell'oggetto
è un'immagine stampata o disegnata che mostra, ad esempio il paradiso terrestre, i cannibali o le
popolazioni selvagge che non sanno usare le armi e scambiano oggetti con gli europei di cui parla
Colombo, l'esperienza diventa multisensoriale: chi parla può anche fare dei gesti, può anche mettere
in scena una performance, una recita però questo funziona sempre? Funziona sulla base dei codici
culturali di chi sta nel pubblico e di chi riceve quel qualcosa, quindi, il fatto che quei predicatori o
quei cantori di strada, tra la fine del ‘400 e l'inizio del ‘500, raccontassero le storie contenute
all'interno dei resoconti di Colombo e di altri viaggiatori con dei fogli o con degli oggetti mano, che
rimandavano alla cultura scritta, produceva un effetto totalmente diverso e mille volte più potente
su chi ascoltava. Ad esempio: se spiego storia e faccio riferimento alle scoperte del Nuovo Mondo o
all’impero di Carlo V, gli studenti mi danno credito perché tra le mani ho un libro carrocci, che si
intitola “storia moderna” (il prestigio dell'editore è fondamentale: se ci fosse scritto Caserta
publishing, forse non verrebbe attribuita la stessa importanza a questo libro). Se la stessa lezione
fosse fatta con un altro manuale, quindi sempre un oggetto a stampa, gli studenti non mi darebbero
lo stesso credito perché la differenza di immagine provoca una reazione diversa, cioè stride con il
codice culturale degli studenti, ovvero l'esperienza multimediale che fanno non è più coerente con
le loro aspettative. Dunque, quello che dobbiamo pensare, quando osserviamo un universo
comunicativo e si osservano fenomeni come l'introduzione della stampa e l’impatto che
l'invenzione di Gutenberg ha sulla cultura europea e sulla diffusione di notizie legate alla scoperta
del Nuovo Mondo, alla riforma protestante, a tutti i grandi eventi della prima età moderna, si deve
sempre porre attenzione a tutti i mezzi di comunicazione che stanno all'interno di un sistema e lo si
deve fare anche quando si studia la letteratura perché non è mai solo testo scritto, è sempre un
anello di una catena complessa nella quale ci sono tanti atti comunicativi che si combinano tra di
loro e fanno in modo che il romanzo, il componimento poetico, il poema, il libro, svolgano una certa
funzione all'interno della società, ancor di più l'opera teatrale è un qualcosa di multisensoriale.
Quindi, giudicare solo l'impatto della stampa porterebbe totalmente fuori strada, perché bisogna
giudicarlo in un universo in cui continua ad esistere la voce, il manoscritto, in cui continuano ad
esistere i gesti, in cui continua ad esistere la figura del cantore di strada, del predicatore, che utilizza
altri strumenti per arrivare al pubblico e, nel momento in cui si pensa alla stampa, non si deve
pensare soltanto all'impatto che ha su chi legge o su chi sa leggere, bensì all'impatto che ha, con la
sua sola presenza evanescente, in un mondo in cui tantissime persone non sanno leggere, allo stesso
modo in cui oggi la televisione riesce ad affermare la sua presenza anche in altri mezzi di
comunicazione, in virtù di un processo che i più grandi studiosi di comunicazione, uno su tutti è
l'americano Henry Jenkins, chiamano “convergenza” (fenomeno per il quale tutti abbiamo visto
Barbara D'Urso spiegare al mondo come si lavano le mani e il fenomeno per il quale tutto il mondo
del tempo i letterati, lettori e non lettori, i poveri e ricchi, riescono a sentire quello che di cui parlava
Colombo). Le profezie false degli anni ’90, riguardanti l’avvento di internet, ci aiutano a capire una
cosa fondamentale: riusciamo a comprendere la complessità del passato perché complesso è il
nostro presente, senza la complessità del nostro presente rimarremo aggrappati all'idea della
stampa come rivoluzione, la stessa che Elisabetta Einstein aveva sviluppato negli anni ’70. La
stampa non è stata una rivoluzione, ma è stata un'introduzione che ha cambiato l'ecosistema
mediatico (dal cambiare al rivoluzionare c’è una grande differenza). Poi, le stesse profezie si erano
palesate nel momento in cui, anche in epoche precedenti, durante gli anni ’40 e ’50 del Novecento,
era arrivato nell’ecosistema mediatico un nuovo mezzo di comunicazione, la televisione. Si pensava
che avrebbe sostituito definitivamente la radio e il libro (la scomparsa di quest’ultimo accompagna
ogni profezia legata all’avvento di un nuovo mezzo di comunicazione); tuttavia ciò non è mai
accaduto, anzi sono ancora oggi utilizzati anche se non con la stessa frequenza, ad esempio la radio
la ascoltiamo, solitamente, in macchina. Ciò è un esempio di convergenza e significa che la radio ha
mutato la sua funzione: gli attuali programmi radiofonici partono dal presupposto che la maggior
parte dei loro ascoltatori sono persone che sono sedute in macchina, parlano, dunque, agli
automobilisti prima ancora che parlare a delle persone. Inoltre, spesso parla di quello che è andato
in televisione la sera prima (ad esempio aggiorna sulla cronaca o sui programmi televisivi). Per
questo, per parlare di media e di informazione, non usiamo il semplice concetto di sistema ma
quello di ecosistema: l'ambiente è caratterizzato da un funzionamento a catena per il quale se un
qualcosa di estraneo viene introdotto all'interno di un ecosistema, quel qualcosa di estraneo finirà
per cambiare il funzionamento di tutti gli altri elementi dell’ecosistema. Ad esempio: se una specie
animale è in via di estinzione, dobbiamo fare in modo che non si estingue perché la sua estinzione
genererà degli effetti a catena su un intero ecosistema; lo stesso accade nella comunicazione e nei
media odierni e dell'età moderna.
Partiamo da una questione di carattere metodologico: dinastie, rapporti di parentela e matrimoni
non sono umanamente memorizzabili. Bisogna però capire quali sono le dinamiche che portano al
potere una persona anziché un’altra. Osserviamo il caso di Carlo V, personaggio chiave della prima
metà dell’età moderna. Durante i primi anni del ‘500 si trova a raccogliere un'eredità importante e
complessa: è il nipote di Massimiliano d'Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero (molto più
antico del regno di Spagna), ed è l'erede diretto di Isabella di Castiglia e Ferdinando D'Aragona,
quindi potrebbe diventare il sovrano di spagna (il trono di Spagna era stato recentemente unificato
dall’unione dei suoi genitori) e l'imperatore del Sacro Romano Impero, il che significherebbe avere
sotto il proprio controllo e dominio buona parte dell'Europa centro-occidentale In Spagna la guida
dell’impero si acquisisce per via solo ereditaria, dall’altro lato invece per via anche elettiva, ovvero
esistevano, all’interno del mondo germanico, tanti piccoli poteri territoriali (principati, diocesi...), la
cosiddetta “dieta imperiale”, che avevano diritto di voto e conferivano ad una persona specifica la
carica imperiale per via elettiva: essere nipote di Massimiliano d'Asburgo non è una ragione
sufficiente per diventare automaticamente imperatore; Carlo V sa che il titolo di imperatore lo deve
conquistare ed è consapevole della sfida che va ad affrontare, quindi sa che per ottenere questi voti
deve offrire della merce di scambio, ovvero dei beni materiali/ricchezze. Quindi Carlo V si fa
prestare ingenti somme di denaro (indebitamento della Corona) dai più potenti e influenti banchieri
dell'epoca, alcuni dei quali sono abitanti della penisola italiana (l’Italia come la conosciamo oggi
ancora non esisteva), che vivevano a Genova e Firenze, altri sono olandesi e altri provengono da
diverse parti d’Europa. Inoltre, la Spagna ha dei domini ampi e ramificati in altre aree dell'Europa,
tra cui i Paesi Bassi e ampie zone della penisola italiana e, dopo la scoperta di Nuovi Mondi e la
conquista delle Americhe, la Spagna ha anche due vicereami, soprattutto nella parte meridionale del
continente americano, in quello che oggi chiamiamo il Sudamerica: nel corso dei secoli questi due
vicereami si allargheranno sempre di più, arrivando a comprendere buona parte del sud America
(Perù) e tutto il golfo del Messico fino al sud degli attuali Stati Uniti quindi in California, Texas,
Nevada, Arizona (Nuova Spagna). Come controllare questi territori? Attraverso un istituto chiamato
encomienda: essa è una delega ad un signore territoriale dei poteri regi in un territorio stabilito. Ma
non basta: serve una struttura ecclesiastica ed ordini religiosi missionari che diventano stanziali e si
occupano della conversione degli indios. La California, almeno fino a Santa Barbara, è piena di
missioni (luoghi all’interno dei quali c’erano gli ordini religiosi che controllavano il territorio sia dal
punto di vista economico e politico). Sembra quasi che Carlo sia riuscito a mettere a punto un
sistema di controllo che agisce su un enorme territorio, riempiendolo di una pletora di poteri
particolari, che fanno riferimento solo a lui; il suo è, quindi, un dominio potenzialmente infinito, al
punto che si parlava di “un impero dove non tramonta mai il sole”.
Carlo V è un uomo educato e segue dei valori che, in quel periodo, stavano tramontando, ovvero era
un sovrano legato ad un‘idea universalistica e medievale del potere, vista anche l'estensione
enorme del territorio sotto il suo controllo: “io sono l'imperatore e sono l’imperatore del mondo”.
Tuttavia, per garantire unità ad un territorio tanto frammentato e diverso internamente, anche
difficile da gestire, è necessario uno sforzo enorme ed è necessario soprattutto un'unità che sia non
soltanto politica ma anche religiosa. In Spagna, la necessità da parte della corona di avere
quest’unità si era già espressa all'epoca della Reconquista di Isabella di Castiglia e Ferdinando
D'Aragona, servendosi della religione cattolica e andando contro le minoranze islamiche e le
minoranze ebraiche. Carlo V seguì il loro esempio per suscitare l’obbedienza religiosa, che si
traduce in obbedienza politica, usando l’inquisizione. Ciononostante la Spagna resta un territorio
frammentato e con una serie di poteri locali molto forti, esercitati sia da proprietari terrieri e sia
dalle città che pretendono un grosso grado di autonomia. All'interno del mondo tedesco, invece, la
molteplicità di poteri territoriali era ancora più esasperata ed esasperante perché i principi
territoriali, che avevano consentito a Carlo V, attraverso il loro voto nella dieta imperiale, di essere
riconosciuto come imperatore, continuano ad esercitare il controllo dei propri territori (un conto è
essere a capo di tutto formalmente e un altro è riuscirci realmente). In questo periodo c’è stata una
tendenza ad accentrare i poteri nelle mani di una sola persona superando i particolarismi. Nel
momento in cui si parla di età moderna non si può parlare di stato se non in maniera anacronistica:
chi costruisce lo stato non sta difendendo i diritti di un’entità astratta (per esempio la Spagna) ma di
una dinastia, lo stato non è fatto di altro se non di possedimenti dinastici. Dovremmo parlare del
potere delle singole famiglie: Tudor, Valois, Asburgo non del potere degli stati. Le guerre non
coinvolgono gli stati ma le dinastie, dunque, quest’ultime si sforzano per fare in modo che tutte le
popolazioni che abitano nei confini dei loro possedimenti si sentano parte dello stesso tutto, sudditi
dello stesso re. Tuttavia questo passaggio è davvero lento, non si può parlare di “trionfo
dell’assolutismo” perché nessun assolutismo è mai stato raggiunto. I sovrani pretendevano,
sognavano, avevano l’ambizione di raggiungere veramente quell’assolutismo, ma esistevano ancora
i particolarismi che, talvolta, competono con i possedimenti della dinastia al potere. Come anche
Enrico VIII lo prova, lui difende gli interessi della sua famiglia, non dell'Inghilterra, per questo mette
il suo bisogno di un erede davanti alla stabilità della corona. Carlo V, prendendo il controllo della
Spagna e dell'impero, inizia un compito estremamente difficile. La Spagna è molto giovane, l’impero
è diviso, deve quindi cercare di far convergere tutti questi particolarismi nella fedeltà alla sua
persona. Essendo lui fiammingo veniva considerato estraneo sia in Spagna sia nell’impero. Su cosa si
fonda la sua strategia? Oggi diremmo “un sovrano deve trovare un posto all’interno dell’orizzonte
mentale dei sudditi”, che significa? Fare in modo che i sudditi ti percepiscano come loro legittimo re,
fare in modo che capiscano che tu conti qualcosa, che hai autorità. Cerchiamo di metterci nei panni
di un contadino spagnolo, inglese o francese del primo ‘500, poco dopo la scoperta del Nuovo
Mondo: se questo contadino si trova coinvolto in una contesa, una faida, se viene accusato di furto o
lo subisce, potrebbe, in ordine di prossimità, fare i conti:
 Con il vescovo
 Con l’abate del più importante monastero delle vicinanze
 Con un signore feudale il quale esercita la giustizia in un determinato territorio
 Con una comunità e i suoi rappresentanti (rurale o cittadina)
 Con un tribunale di suoi pari e soltanto in ultima istanza dovrà fare i conti con questo re,
ammesso che ci sia.
E’ possibile che nemmeno sappia, questa persona, che c’è un re, perché deve provvedere a tutti i
bisogni che fanno parte della quotidianità come portare il pane a tavola, lavorare il campo…
insomma “arrivare a fine mese”. Questo lo troviamo, in particolare, nei romanzi di Defoe e Fielding
(quest’ultimo era un giudice, dal momento che la letteratura non aveva lo stesso significato che gli
affidiamo noi oggi, prima dell’illuminismo veniva chiamata “le belle lettere”, quindi tutte le persone
alfabetizzate, qualunque fosse il loro mestiere potevano dedicarsi alla scrittura). Questa rete di
poteri minori sono davvero percepiti dal contadino, l’autorità regia no, né nelle sue possibilità né
nelle sue limitazioni perché questi poteri sono più forti, ramificati, strutturati rispetto all’autorità
regia.
C’è un altro elemento che va considerato: Carlo V viene educato nei Paesi Bassi (tra l'attuale Belgio
e l’attuale Olanda), ed è lì che cresce. Quando diventa re di Spagna e si trasferisce lì, non si stabilisce
in un luogo preciso, che si può identificare come il luogo della Corona (il potere regio non aveva una
sede: non c’era una capitale, una regia, un palazzo, non c’erano i luoghi del potere), tuttavia escogita
il metodo della corte itinerante, cioè gira per la Spagna per fare in modo che il maggior numero
possibile di spagnoli possa vederlo, posso percepire la sua presenza, posso guardarlo in faccia, possa
capire chi è che comanda. All’interno del mondo tedesco è ancora più complicato questo discorso, lo
stesso vale per la penisola italiana perché, a partire dalla fine del ‘400 e soprattutto agli inizi del
‘500, diventa terra di conquista e diventa ostaggio delle mire delle più importanti monarchie
straniere, in particolar modo la Francia e la stessa Spagna. La penisola italiana attraversa un periodo
quindi di sconvolgimento, in cui gli equilibri che si erano creati a metà ‘400 con la pace di Lodi
vengono totalmente sconvolti, e in cui gli eserciti stranieri cominciano a far sentire la loro presenza e
la loro forza che è nettamente superiore se paragonata invece all’inconsistenza e alla debolezza dei
piccoli eserciti dei piccoli stati territoriali italiani. L’Italia è frammentata: c’è Firenze, Venezia, Napoli,
lo Stato pontificio, Genova e tutti questi piccoli stati territoriali fanno sempre fatica a trovare un
coordinamento, ad avere la forza militare necessaria per poter competere con le grandi monarchie
europee. Quindi è abbastanza prevedibile che questo territorio diventi terra di conquista e diventi
oggetto delle mire tanto di Carlo V quanto della Francia.
Nel lungo periodo delle cosiddette guerre d'Italia ad avere la meglio è la Spagna e la penisola
italiana diventa un territorio che finisce nell'orbita spagnola, in particolare, la Campania è proprio
sotto il diretto controllo spagnolo tant'è che, per gran parte dell'Antico regime, quindi tutto ‘500 e
‘600, si parla di controllo aragonese o Napoli Aragonese. Tuttavia, questi territori tendono alla
ribellione, sono difficili da amministrare e controllare, in particolare Napoli: era una città con una
popolazione tendente alla disobbedienza, una città in cui già al tempo dominava il caos e in cui si
percepiva lo squilibrio tra l'universo urbano e tutto il territorio circostante, che era prevalentemente
rurale e, ogniqualvolta c’erano delle crisi di approvvigionamento nelle campagne del regno, i
contadini si avvicinavano come delle orde alla città di Napoli, in cerca di assistenza e di soccorso.
A Napoli, Carlo V volle imporre l’inquisizione sul modello di quella spagnola, ovvero con lui a capo. Il
Papa si piegò per la scarsa convenienza di un conflitto contro un uomo così potente. Invece, ad
opporsi a Carlo V furono proprio i napoletani: gli offrono obbedienza ma rifiutano l’inquisizione,
come segno di scarso rispetto nei loro confronti e come manifestazione di scarsissima fiducia. Carlo
V si rende così conto che il popolo è riottoso e le persone che controllano il territorio devono essere
trattate con grande rispetto perché, pur non consegnando tutta l’obbedienza dei sudditi al re,
riuscivano a tenere a bada un popolo litigioso, pronto a seguire i loro potentati contro il re.
L'universo in cui domina Carlo V è un universo estremamente complesso e difficile da gestire: basti
pensare alla situazione che Carlo V doveva affrontare in Spagna, dovendo far fronte alle rivolte dei
“comuneros”, ovvero gli abitanti delle città (insurrezione armata che interessò diversi centri urbani
del Regno di Castiglia e León, nel periodo compreso tra il 1520 e il 1522, nella fase iniziale del regno
di Carlo V d'Asburgo). Dunque, il suo sogno universalistico, ovvero di potere assoluto, non è del
tutto facile da realizzare, inoltre è un sogno che si dovrebbe aggrappare a un'unità religiosa: era
necessario i sudditi fosse tutti cristiani e che obbedissero ad un unico Papa e ad un'unica autorità
ecclesiastica, quella di Roma.
- Concetto di campanilismo: le rivolte, in antico regime, erano dirottate dalle élites. Il
campanilismo deriva dal campanile, simbolo della parrocchia, una comunità in cui non
esiste democrazia, ma le scelte sono prese dal prete, che è colui che dirige la comunità.
Spesso, i vescovi decidono di disciplinare le feste patronali: infatti, uno dei punti principali
del disciplinamento delle feste patronali da parte del vescovo è la gestione dei denari
(offerte). I vescovi spesso dicono ciò che non è giusto perché le processioni non sono
occasione di mercimonio; il prete però tenta di ribellarsi. Allo stesso modo le rivolte di
antico regime, ad esempio quella dei comuneros, quella a Napoli e quella del 1525 erano
spinte dalle élites, dalle classi dirigenti, che si ribellavano al tentativo di accentramento del
potere da parte di Carlo V per conservare il loro potere (usavano la rabbia per riaffermare il
loro potere in chiave antimonarchica). Questi meccanismi di rivolta di carattere verticistico
sono propri dell’antico regime e ci aiutano a descrivere una società di ceti e fazioni, non una
società di classi.
Adriano Prosperi, autore della monografie Granada 1492, in alcune sue opere spiega che, sul
territorio spagnolo, uno dei principali strumenti di governo è un tribunale religioso, vale a dire la
cosiddetta inquisizione. Perché questo tribunale è uno strumento importante per il controllo del
territorio? Perché, attraverso l’inquisizione, la corona spagnola riesce a controllare tanti aspetti della
vita quotidiana dei sudditi, ad esempio le loro abitudini, il loro modo di pensare, riesce persino a
misurare il loro grado di fedeltà tanto alla religione quanto al potere secolare. L'inquisizione
spagnola, controllata direttamente dal re di Spagna, non deve essere confusa con l'inquisizione
romana, che risponde delle sue azioni direttamente al potere Pontificio (al Papa). L’inquisizione ha il
compito di reprimere l’eresia, ovvero qualsiasi forma di devianza rispetto all’ortodossia (dottrina
ecclesiastica definita attraverso i secoli, che ha trasformato la parola della Bibbia in norma).
L’inquisizione ha carattere repressivo ed è legata agli interessi del re, il quale ritiene che l’essere
cristiano sia un presupposto fondamentale per essere un buon suddito: se sei fedele alla tua fede e
al tuo Dio rispettando una serie di norme, sarai in grado di essere fedele al tuo imperatore e alle
regole che egli ti impone. Tuttavia, che cosa accade? Accade che, nel 1517, la complessa situazione
dell’impero, che di lì a poco sarà completamente controllo di Carlo V, si arricchisce di un ulteriore
elemento di complicazione, ovvero Martin Lutero.
Chi è Martin Lutero? È un agostiniano, ovvero un membro di un ordine religioso, e formalmente
obbedisce al Papa. Ha una cultura estremamente ampia, è un conoscitore della Sacra scrittura, è un
conoscitore della patristica (pensiero cristiano dei primi secoli, in quanto frutto della meditazione e
della predicazione dei Padri della Chiesa). Tuttavia, è un personaggio che ha un'idea molto
particolare di salvezza e mette proprio quest’ultima al centro della sua riflessione teologica. Quando
si parla di Martin Lutero, spesso si fa riferimento ad un’aneddotica molto vasta, fatta di racconti ed
episodi che avrebbero fatto parte della sua vita. Uno di questi, probabilmente il più famoso, riguarda
il fulmine e l'albero: in un certo momento della sua vita, Lutero fu sfiorato da un fulmine, quindi
aveva sfiorato la morte. Ciò, indipendentemente che sia vero o appartenga alla mitografia, è
indicativo del perché Lutero metta la salvezza e l'aldilà al centro della sua riflessione teologica.
Lutero è uno che, soprattutto in virtù delle sue letture (in particolare Sant’Agostino e San Paolo),
della sua cultura e del suo approccio al testo sacro, ritiene che Dio sia troppo grande e onnipotente
per essere tangibile o sfiorabile da lui e che, quindi, la dimensione della vita umana sia totalmente
irrilevante se rapportata alla grandezza di Dio. Ritiene che l'uomo, essendo così piccolo e così
irrilevante, non possa fare niente di concreto per salvarsi e lo ritiene, a maggior ragione, in un'epoca
in cui la chiesa di Roma, invece, insisteva molto su ciò che l'uomo poteva fare per salvarsi, non tanto
per delle ragioni di carattere teologico o per generare obbedienza, ma anche per delle ragioni di
carattere economico. Ronald Bayton, uno dei più grandi studiosi della riforma protestante, dice che
per capirla davvero bisogna capire l’impatto delle parole di Lutero sulle persone comuni. Inoltre,
bisogna tenere a mente che la chiesa era immancabilmente corrotta: il Papa Alessandro VI Borgia
aveva figli, li riconosce come tali, ha dichiaratamente una relazione, cerca per uno di questi figli la
successione diretta al potere… Le tendenze di Borgia fanno parte di una corruzione diffusa in ogni
parte della Santa Sede, presente sia prima che dopo i Borgia. Giulio II, invece, era detto Papa
guerriero, impegnato più nella vita militare che spirituale, si diceva poi fosse omosessuale. Anche
Dante parla della corruzione della chiesa, della Simonia, della vendita delle indulgenze, del
considerare i possedimenti della chiesa come enti economici e non spirituali. Un nobile poteva
essere nominato arcivescovo di Valencia senza aver mai messo piede a Valencia, solo per nobilitare
il nome di famiglia. La cura delle anime non era nel loro orizzonte mentale: la corte di Roma cercava
di rendersi popolare con i sudditi e far sentire il loro potere curando l’involucro, per esempio la sede
del potere. In questo modo, Alessandro VI si convince che bisogna costruire la sede del loro potere
per avere obbedienza e rispetto, dando il via al cantiere del “trono di Pietro”. I soldi per la
costruzione della basilica vengono raccolti tramite la vendita delle indulgenze. Cos'è la vendita delle
indulgenze? È la possibilità, offerta al fedele, di comprarsi uno “sconto” delle pene da pagare
nell'aldilà, ovvero delle pene purgatoriali, attraverso la trasmissione di beni materiali all'istituzione
ecclesiastica. Quando parliamo di indulgenze, quindi, mettiamo al centro la possibilità di poter
scontare i peccati e quindi guadagnarci la salvezza pagando; in generale, la vendita dell'indulgenze si
pone all'interno di una più generale concezione dell'umanità e del suo rapporto con l’aldilà, che
assegna un'importanza focale alle opere: “io sono premiato da Dio per ciò che faccio e sono punito
da Dio per ciò che commetto”, quindi se compio tanti peccati, Dio mi manda all'Inferno o in
Purgatorio, dipende da quanto tempo ho impiegato per pentirmi o no. La vendita delle indulgenze
fu anche propagandata anche negli anni immediatamente precedenti all'esplosione del messaggio
luterano, quindi anche prima del 1517, come una vendita finalizzata all'edificazione della fabbrica di
San Pietro. Tuttavia, la vendita delle indulgenze era un concetto astratto, com’è possibile che le
persone ci credevano? In primo luogo, la mentalità era diversa e il rapporto con l’aldilà era centrale
nella vita delle persone; in secondo luogo, la vendita delle indulgenze si fonda su un'idea
consolidata nei cristiani, prima ancora che nelle istituzioni ecclesiastiche. Le indulgenze chi è che le
ha guadagnate? Le ha guadagnate Cristo con i suoi sacrifici, la Madonna e la Vergine Maria e tutti i
Santi che lo hanno seguito con le loro opere e con i loro sacrifici; in questo modo la Chiesa è riuscita
ad accumulare una grandissima quantità di indulgenza: quindi, i fedeli non comprano qualcosa che è
direttamente della Chiesa, ma qualcosa che è stato guadagnato dalla Chiesa grazie ai sacrifici di
Cristo, della Vergine Maria e dei Santi. Quindi i fedeli vedono queste indulgenze, le vedono nelle
ferite sui corpi dei martiri e nei sacrifici enormi compiuti dai Santi, che hanno dato la loro vita per
una causa superiore; questa è la radice della dottrina cattolica. Lutero, invece, capovolge tutto ciò e
afferma che era tutto un imbroglio e che Dio è troppo grande e onnipotente, quindi non possiamo
essere così superbi da pensare che una nostra buona azione, ovvero un’opera materiale, possa
cambiare le decisioni di Dio. E allora come ci si salva? Ci si salva perché si è predestinati, perché Dio
lo ha già deciso e tutto questo Lutero comincia ad affermarlo all'interno delle famose 95 tesi,
pubblicate nel 1517 (molti manuali riportano che, secondo la tradizione, le affisse sulla porta della
Cattedrale di Wittenberg, perché era proprio di tutti gli studiosi del tempo pubblicare l'oggetto delle
loro riflessioni e dei loro studi affiggendoli. Quindi questa questione della affissione è un po' un
mito). In queste tesi il tema della salvezza va rimesso in discussione e così come la possibilità della
Chiesa di giudicare le opere dei fedeli; in altre parole, Lutero che cosa fa? Afferma che “ci si salva
perché si è predestinati e perché Dio lo ha deciso, ci si salva per sola fede, grazia e sola scrittura”. È
questa la triplice formula intorno alla quale costruisce il suo rapporto con questo universo e con
questo mondo.
Le azioni/opere compiute dai fedeli vengono giudicate dalla Chiesa, che ha un metodo consolidato
per farlo, ovvero attraverso la rete dei sacramenti: tra i più importanti vi sono, la cresima, il
battesimo e la comunione, ma in particolare la confessione, quest’ultima rappresenta il presupposto
fondamentale per avere accesso a molti altri sacramenti. Che succede durante la confessione? Affidi
il tuo giudizio di essere umano ad un alto essere umano, nello specifico un membro del clero, che
mette sulla bilancia le tue azioni. Quindi la confessione è effettivamente il sacramento che stabilisce
quali opere ti danno la salvezza e quali ti mandano all’inferno, oppure quali opere cattive meritano
l’assoluzione. Quindi, il sacramento che mette al centro il ruolo dell’ecclesiastico e della mediazione
ecclesiastica nei confronti della salvezza è proprio la confessione. Lutero, con l’idea secondo cui si è
predestinati alla salvezza, mette in discussione la confessione e tutti gli altri sacramenti che da essa
derivano, salva quelli che, secondo lui, sono stati istituiti direttamente da Cristo e non fanno parte
della tradizione ecclesiastica, vale a dire solo il battesimo e l’eucarestia. Con l’idea di salvezza
affermata da Lutero, quindi, l’esistenza stessa della Chiesa viene messa in discussione perché, nel
momento in cui è Dio a decidere se mi salvo e la fede e la grazia sono centrali, il rapporto tra fedele
e ultraterreno, diventa diretto e la mediazione ecclesiastica perde di senso. L'unico sacerdozio
possibile è il sacerdozio universale: ognuno è sacerdote di sé stesso. L’altra funzione fondamentale
che ha il clero è quella di leggere, interpretare e spiegare la sacra scrittura, invece Lutero afferma
che “tutti i fedeli devono avere accesso alla sacra scrittura” e che non deve essere diffusa soltanto
nelle lingue antiche, che sono conosciute da pochi e quindi preservano il primato interpretativo,
ovvero soltanto dal ceto ecclesiastico, ma devono essere tradotte in lingua volgare per essere
comprensibile da tutti e quindi ciascuno può diventare interprete e fruitore del testo sacro. Tuttavia,
il messaggio di Lutero potrebbe portare i fedeli dell’epoca: se Dio ha già deciso il nostro destino e
che non possono essere altri esseri umani a giudicare le mie opere ma solo Dio, perché comportarsi
bene? Cosa dovrebbe spingerli a farlo? In realtà, questa questione, nella visione che ha Lutero,
soprattutto del rapporto tra il terreno e l’ultraterreno, non si deve proprio porre perché, in realtà, il
comportamento umano non è il presupposto o la causa della decisione di Dio, ma è la conseguenza
di ciò che Dio ha già deciso: se sei una cattiva persona è perché Dio ti ha messo sulla cattiva strada e
viceversa. Se Dio davvero ci ha già predestinati, allora tanto vale non privarsi più di nessun bene
terreno e peccaminoso in nome di Dio. La forma mentis diffusa e che giace sotto questo
ragionamento è quella di tipo remunerativo: se un fedele fa opere buone è per essere salvati. Per
Lutero il comportamento che abbiamo in terra è la conseguenza di quello che lui ha già scelto per
noi: se una persona sceglie di fare il ladro e non si pente, lo fa non perché ha rifiutato Dio, ma
perché Dio ha deciso questo per lui. La presenza del bene e del male è già all’interno dell’uomo: non
puoi fare il male se già sei destinato al bene. Non esiste il libero arbitrio, la grazia è una cosa che
viene distribuita alla nascita, non puoi né perderla né conquistarla. Quindi, il comportamento umano
non può essere in alcun modo capace di cambiare la decisione di Dio, ma è la manifestazione della
volontà di Dio sulla terra. E tutto questo rappresenta, rispetto alla concezione e alla propaganda
della Chiesa di Roma, un capovolgimento totale, cambia l’etica, cambia il modo di porsi nei confronti
dell’aldilà, del presente della storia e cambia la lettura stessa della storia umana, ovvero che le
indulgenze non si possono più vendere. Lo stesso clero non ha più ragione di esistere; esistono i
pastori per Lutero, che sono semplicemente delle guide per la comunità, le chiese protestanti in
Italia sono molte. Lutero scrive anche che la differenza tra l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso
sembra risiedere nella differenza esistente tra la “quasi” disperazione e la sicurezza. Di conseguenza,
molti vescovi, preti, predicatori e profeti che si comportavano come amplificatori che portavano il
messaggio di Lutero, lo piegavano come poteva essere più utile a loro in un determinato territorio,
in determinate circostanze. Questo avviene in Germania dove un predicatore e profeta, Thomas
Muntzer, aizzò i contadini contro la corruzione dei nobili, dei signori e degli ecclesiastici
convincendoli che questi ultimi si stessero mettendo fra loro e la grazia. Così nel 1525 scoppia la
rivolta dei contadini. È importante riflettere sul termine: rivolta, non rivoluzione. La differenza fra
una rivolta e una rivoluzione sono gli obiettivi. La rivolta guarda al passato, a qualcosa che c’era e si
rivuole indietro, non mette in discussione l’ordine costituito ma eventuali abusi o corruzione. La
rivoluzione guarda al futuro e mette in discussione l’ordine costituito . Lutero invita le autorità
secolari dell’impero tedesco a reprimere le rivolte nel sangue, dissociando il suo messaggio da quelle
azioni.
Il messaggio di Lutero ha delle conseguenze politiche importanti perché si diffonde nell’impero di
Carlo V ed è qualcosa che quest’ultimo non potrebbe mai accettare di buon grado perché preme per
reprimere quello che nasce intorno a Lutero, preme perché questa frattura che si sta man mano
rendendo sempre più evidente all'interno della cristianità sia sanata e affinché il suo sogno
universalistico possa sopravvivere, ma nonostante gli sforzi non ci riesce.

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