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i Robinson / Letture

Di Jacques Le Goff
nelle nostre edizioni:

Alla ricerca del Medioevo


La borsa e la vita. Dall’usuraio al banchiere
Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell’Europa
Il Dio del Medioevo
Eroi & meraviglie del Medioevo
L’Europa medievale e il mondo moderno
L’Europa raccontata da Jacques Le Goff
L’immaginario medievale
Immagini per un Medioevo
Il Medioevo. Alle origini dell’identità europea
Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente medievale
Il re nell’Occidente medievale
I riti, il tempo, il riso. Cinque saggi di storia medievale
San Francesco d’Assisi
Una vita per la storia. Intervista con Marc Heurgon

(in coll. con Nicolas Truong)


Il corpo nel Medioevo

Ha inoltre curato:

L’uomo medievale
(con Cesare de Seta)
La città e le mura
Il Medioevo
raccontato da
Jacques Le Goff
con la collaborazione di
Jean-Louis Schlegel

Traduzione di Renato Riccardi

Editori Laterza
Titolo dell’edizione originale
Le Moyen Âge expliqué aux enfants

© 2006, Editions du Seuil

Prima edizione 2007


Nuova edizione 2009

Proprietà letteraria riservata


Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari

Finito di stampare nell’ottobre 2009


SEDIT - Bari (Italy)
per conto della
Gius. Laterza & Figli Spa
ISBN 978-88-420-9162-2
ai miei genitori
a Hanka
a Barbara e Thomas
Per accostarsi a questo libro
da ragazzi... e anche dopo

Per capire meglio il presente è importante conoscere il pas-


sato: possiamo così sapere in che cosa ne siamo gli eredi e
in cosa ce ne differenziamo.
Gli storici si sono accorti di comprendere meglio il pas-
sato e di riuscire a spiegarlo con maggiore efficacia, in par-
ticolare ai ragazzi e ai giovani, se lo suddividevano in pe-
riodi successivi aventi ciascuno caratteristiche specifiche.
Per il periodo che chiamiamo «Medioevo» sorgono due
questioni: la sua estensione nel tempo e la valutazione com-
plessiva che se ne dà, visto che di quest’epoca esistono
un’interpretazione positiva e un’altra negativa.
Il Medioevo ha ispirato gli scrittori a comporre romanzi
storici, alcuni di grande successo, e i registi, da quando esi-
ste il cinema, a realizzare film che hanno fatto presa sugli
spettatori, in particolare sui più giovani. Una ragione di più
per tentare di spiegarvi ciò che è stato il Medioevo e quale
debba essere il suo valore per noi.

VII
Il Medioevo
raccontato da
Jacques Le Goff
Capitolo I
Il Medioevo

QUANTO È DURATO?

A scuola impariamo che il Cinquecento è il secolo del Rina-


scimento. Per il Seicento si parla spesso di età barocca. Il Set-
tecento è il secolo dei Lumi. E il Medioevo? Quando inizia
e quando finisce?

Il Medioevo è durato molto a lungo: almeno mille anni. È


vero, quando si parla del Medioevo si pensa spesso al pe-
riodo che va dall’anno 1000 al 1500, ma esso inizia almeno
cinque secoli prima, prima dell’anno 500, dunque nel corso
del V secolo dopo Cristo. Nel 476 l’ultimo imperatore ro-
mano viene cacciato da Roma e sostituito da un re barbaro,
Odoacre: è la fine dell’Impero romano, ma, al di là di que-
sto grande avvenimento politico, è la fine dell’Antichità.

Ma non si passa certo da un’epoca a un’altra ogni volta che


un re esce di scena, o una discendenza (una dinastia) di re o
di imperatori si estingue...

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Giustissimo: nel V secolo dopo Cristo si verificarono in-
fatti altri cambiamenti della massima importanza. Innanzi-
tutto, a partire dal IV secolo, erano iniziate le «grandi in-
vasioni» da parte dei popoli che i Romani chiamavano
«barbari». Provenienti dapprima dal Nord (popoli germa-
nici e dell’Europa settentrionale) e dall’Ovest (Celti), giun-
sero in seguito dall’Est (Ungheresi e popoli slavi). La pa-
rola «invasione» ci spinge ad immaginare orde barbare che
dilagavano devastando tutto ciò che incontravano. In
realtà, si trattava piuttosto di popolazioni che si spostava-
no pacificamente per insediarsi più a sud. Pensate ai Vi-
chinghi: avrete sicuramente visto delle immagini che li ri-
traggono mentre sbarcano sulle coste normanne per sac-
cheggiare e devastare l’interno del paese. Di fatto, si trat-
tava con ogni probabilità di mercanti venuti dal Nord per
scopi commerciali, alcuni dei quali hanno scelto alla fine di
insediarsi tra le genti cristiane.

E dunque hanno anche cambiato religione?

Sì, ma non per questo. A partire dal IV e V secolo, dopo la


conversione degli imperatori, l’Impero romano era dive-
nuto cristiano. Si assiste allora alla fine del paganesimo: pa-
rola, questa, utilizzata dai cristiani per indicare la religione
romana, che aveva molti dèi e dee. Dunque, il paganesimo
scompare – in alcuni luoghi prima e in altri più tardi, ma
di certo mai completamente – facendo a poco a poco spa-
zio al cristianesimo. I numerosi dèi pagani vengono sosti-
tuiti da un unico Dio, quello della Bibbia (l’Antico ed il
Nuovo Testamento), anche se il Dio dei cristiani com-

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prende tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo). Gli stes-
si barbari si fanno allora battezzare per diventare cristiani:
in Francia il convertito più famoso è un re franco di cui
avrete forse sentito parlare, Clodoveo (circa 500 dopo Cri-
sto). Leggenda vuole che sia diventato cristiano per le pres-
sioni della moglie, Clotilde.

Perché è una leggenda?

È di proposito che ho detto: «Leggenda vuole…». Cerco


in tal modo di rendervi sensibili al fatto che soprattutto per
l’inizio del Medioevo gli storici hanno pochi documenti, e
quelli disponibili – ad esempio il racconto della conversio-
ne di Clodoveo – non necessariamente raccontano le cose
come si sono svolte. Occorre dunque considerarli con oc-
chio critico, confrontarli con altri documenti, o «fonti»,
come diciamo noi. Coloro che hanno scritto questi rac-
conti avevano intendimenti diversi. In questo caso, ad
esempio, si trattava di mostrare che il paese che sarebbe in
seguito divenuto la Francia era cristiano sin dalle origini.
La realtà è molto più complicata.

Il nostro professore ci ha parlato anche di un Medioevo «lun-


go».

E giustamente, perché la discussione su quando termini il


Medioevo è ancora aperta. Ho accennato al 1500 perché
nei vostri libri di scuola è questa la data che viene citata: vi
si spiega che nel Quattrocento, dapprima in Italia e poi nel
resto d’Europa, si apre un nuovo periodo, quello del «Ri-

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nascimento»; inoltre, nei programmi scolastici, come ve-
drete presto, questa data rappresenta l’inizio dell’età detta
«moderna». Ma per alcuni storici, e io tra questi, il Me-
dioevo è durato in realtà sino alla fine del Settecento.

Perché?

Perché, sintetizzando, è soltanto in quest’epoca che tre av-


venimenti verranno a cambiare radicalmente la vita della
società (precisiamo: della società occidentale, europea; e
ancora meglio, non dell’intera Europa, ma solo di alcuni
dei suoi paesi più avanzati, come l’Inghilterra, la Francia,
il Nordeuropa). Inizialmente la scienza, grazie all’uso di
strumenti e metodi di ricerca sempre più precisi, fa regi-
strare progressi straordinari. Quindi – e si tratta di una
conseguenza dei progressi realizzati nelle diverse scienze –,
verso la fine del Seicento si costruiscono e utilizzano mac-
chine sempre più efficienti, si inventano tecniche di pro-
duzione sempre più veloci. Nel 1698 viene costruita in In-
ghilterra la prima macchina a vapore (grazie al francese
Denis Papin e all’inglese Thomas Savery). Insomma, è
l’inizio di ciò che verrà chiamata la «rivoluzione industria-
le». Infine, vi sono le rivoluzioni politiche, e in particolare
la Rivoluzione francese, vista come la vera svolta della sto-
ria di Francia, d’Europa e persino del mondo: essa mette
fine all’antico sistema politico, l’«Antico Regime» e al si-
stema chiamato «feudale», che diventa quindi il simbolo
del Medioevo «cattivo».

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IL MEDIOEVO «BUONO»
E QUELLO «CATTIVO»

Ma innanzitutto, da dove viene la parola «Medioevo»? Per-


ché «medio»?

Quest’idea compare nel corso dello stesso Medioevo, so-


prattutto verso la fine del periodo, dapprima tra gli stu-
diosi e gli artisti. Essi avvertono i secoli appena trascorsi –
che rappresentano per noi il cuore del Medioevo – come
una sorta di intermezzo, una transizione, e anche come un
periodo oscuro, un tempo di declino se confrontato con
quell’Antichità di cui avevano una immagine idealizzata.
Vorrebbero ritrovare questa antica civiltà, che ritengono
più raffinata. A nutrire un simile stato d’animo, tra la fine
del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, sono soprat-
tutto alcuni letterati italiani, chiamati «umanisti». Per loro,
l’uomo aveva maggiori qualità di quelle attribuitegli dalla
fede cristiana medievale, che insisteva sul peso dei suoi
peccati di fronte a Dio.
C’è una seconda ragione. Il Settecento in particolare – il
secolo dei Lumi, come avete giustamente ricordato prima
– ha alimentato un’ondata di disprezzo contro gli uomini e
la civiltà del Medioevo. L’immagine dominante era quella
di un periodo oscurantista, in cui la fede in Dio schiaccia-
va la ragione degli uomini. Al tempo degli umanisti, come
all’epoca dei Lumi, non si riusciva più a comprendere la
bellezza e la grandezza di questi secoli.
Per riassumere: l’età «media» è quella che intercorre tra
due periodi ritenuti più importanti, cioè l’Antichità e l’età

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moderna che inizia con il Rinascimento, parola anch’essa
particolarmente indicativa: l’Antichità «rinasce» a partire
dal XV-XVI secolo, come se il Medioevo fosse stato una
parentesi!

Abbiamo dunque l’immagine di un Medioevo «cattivo». E


tuttavia questa immagine non è riuscita a prevalere, anzi!

È vero. Chi ha ritrovato la dimensione di un Medioevo bel-


lo e grande sono stati, nell’Ottocento, gli scrittori chiamati
«romantici». Per quale motivo? Non abbiamo ancora pro-
nunziato la parola «gotico», legata alle cattedrali medievali.
Ma «gotico», termine utilizzato solo a partire dal Rinasci-
mento, significava «barbaro»! Quanti insistevano sul Me-
dioevo «cattivo» trovavano la sua arte «barbara». Al con-
trario, i romantici ammirano quest’arte raffinata, meravi-
gliosa, incarnata dallo stile gotico, in particolare quello del-
le cattedrali. Un esempio di questa ammirazione è il roman-
zo Notre-Dame de Paris di Victor Hugo: in esso l’autore ha
immortalato la cattedrale che porta questo nome e che nel
cuore di Parigi accoglie ogni anno migliaia di visitatori.
Ma occorre riconoscerlo: le due visioni – quella di un
Medioevo oscurantista e quella di un Medioevo visto co-
me un’età dell’oro – permangono ancor oggi. Capita spes-
so di sentire, anche da parte di persone istruite,
l’espressione «Non siamo mica nel Medioevo!». Attribui-
re a qualcosa o a qualcuno l’aggettivo «medievale» non è
un complimento...

Ma questo non è del tutto sbagliato!

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Io direi: il Medioevo non è quell’età dell’oro che alcuni ro-
mantici hanno voluto immaginare, ma neppure, nonostan-
te le sue manchevolezze e gli aspetti che ci ripugnano,
quell’epoca oscurantista e tetra di cui gli umanisti e gli il-
luministi hanno voluto diffondere l’immagine. Occorre
considerarlo nel suo insieme. Rispetto all’Antichità, è un
periodo che su diversi punti fa registrare progressi e svi-
luppi, e ve lo mostrerò. Certamente il Medioevo «cattivo»
esiste: i signori opprimevano i contadini, la Chiesa era in-
tollerante e sottoponeva gli spiriti indipendenti (quelli che
venivano chiamati «eretici») ai rigori dell’Inquisizione,
quest’ultima praticava la tortura e faceva morire i ribelli sui
roghi... Le carestie erano frequenti e i poveri numerosi:
inoltre si aveva paura, una paura irrazionale, ad esempio
del mare, delle foreste... e del diavolo. Ma oggi, di paure ne
abbiamo ancora di più, talune più terrificanti (ad esempio
la paura degli extraterrestri, e quella, molto concreta, del-
la bomba atomica).
Eppure c’è anche il «bel» Medioevo, tuttora presente
nello stupore provato in specie dai più giovani: di fronte ai
cavalieri, ai castelli, alle cattedrali, all’arte romanica e goti-
ca, al colore (delle vetrate ad esempio) e alla festa. Inoltre,
si dimentica troppo spesso che nel Medioevo le donne, pur
continuando ad avere una collocazione inferiore rispetto a
quella degli uomini, hanno acquisito, o conquistato, un
rango più adeguato e di maggior prestigio: un rango che in
quanto donne non avevano mai avuto prima, neppure
nell’Atene dell’Antichità. E poi, ma ne riparleremo sicura-
mente, il Medioevo è il momento in cui nasce l’Europa.

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Ha appena detto: l’Europa...

Sì, è molto importante: l’Europa ha inizio e si costituisce


con il Medioevo. La civiltà dell’Antichità romana riguar-
dava soltanto una parte dell’Europa, i territori meridiona-
li, posti essenzialmente sulle sponde del Mediterraneo. A
partire dal V secolo i paesi del Nord (Germania e poi Scan-
dinavia), dell’Ovest (Bretagna, Inghilterra, Irlanda) e
dell’Est (Ungheria, paesi dell’Europa centrale) entrano a
poco a poco in uno spazio politico e religioso comune:
quello che andrà poi a costituire l’Europa.

Si può dunque dire che la grande unità dell’Impero romano


finisce verso il 500 dopo Cristo?

Sì, perché i nuovi abitanti della futura Europa si raggrup-


pano e si stabiliscono su territori da cui nasceranno le na-
zioni, alla testa delle quali vi sarà il più delle volte un per-
sonaggio nuovo, molto importante, e di cui riparleremo:
il re.

Ed è anche la fine del latino, la lingua parlata nell’Impero


romano.

Quanto più i nuovi arrivati rimangono a settentrione, tan-


to più mantengono la loro lingua d’origine, ovviamente
con prestiti di ogni tipo dal latino. Quest’ultimo diventa la
lingua dotta, la lingua scritta, e tale rimarrà sino al Quat-
trocento. Nelle regioni meridionali, il latino parlato
nell’Impero romano conoscerà nel corso dei secoli svilup-

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pi consistenti e diversificati a seconda dei vari paesi, dan-
do origine al gruppo delle «lingue romanze»: francese, ita-
liano, spagnolo, portoghese, ma anche, lo si dimentica
spesso, il rumeno.

Tra uno o due anni dovremo scegliere quale tipo di istituto


scolastico frequentare e quindi anche se studiare o no il lati-
no: che consiglio può darci?

Credo sia importante avere accesso tramite il latino


all’eredità del passato. Se pensate di orientarvi verso atti-
vità «letterarie», sarà meglio seguire un corso in cui il lati-
no viene insegnato approfonditamente. Se volete dedicar-
vi invece a una professione scientifica, potete scegliere un
corso dove il latino venga insegnato meno accuratamente,
ma tuttavia non trascuratelo del tutto. A mio parere, anche
una semplice infarinatura di latino vi sarà utile in seguito.

Il greco, la lingua della parte orientale dell’Impero romano,


venne del tutto abbandonato in Occidente?

Sì. La parte greco-orientale dell’Impero romano divenne


in effetti un mondo a parte: l’Impero bizantino, alla cui te-
sta vi era un imperatore che risiedeva a Bisanzio (o Co-
stantinopoli). Questa città costituiva anche la sede del ca-
po della Chiesa greca, detta ortodossa, che affermava di es-
sere superiore al papa.
Dal punto di vista politico la cristianità occidentale pre-
se subito le distanze (sin dal VII secolo) dall’Impero bi-
zantino, mentre il papa ebbe maggiori difficoltà ad affer-

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mare la propria autonomia, definitiva solo a partire dall’XI
secolo.
I rapporti tra cristianesimo occidentale romano e cristia-
nesimo orientale bizantino furono improntati a freddezza,
e divennero in seguito di aperta ostilità. Nel 1204 i cristiani
romani diretti alla Crociata contro i musulmani d’Oriente
conquistarono e saccheggiarono Costantinopoli.
Capitolo II
I cavalieri, la dama
e la Madonna

I CAVALIERI

«Cavaliere», quindi «cavallo». C’è un legame tra i due?

Sì, certamente. Siamo talmente abituati a vedere il cavalie-


re da solo con la sua armatura da dimenticare talvolta
l’animale da cui trae il nome: il cavallo. Il cavaliere è l’uomo
che possiede un cavallo. Precisiamo: non un cavallo da la-
voro che tira l’aratro (è il bue che a lungo e sino a data re-
cente ha svolto questa funzione), e neppure un cavallo da
corsa, ancor meno un purosangue: no, il cavallo di cui par-
liamo è un cavallo vigoroso chiamato «destriero», un ca-
vallo da combattimento.

Ed è una novità del Medioevo?

Sì, questo tipo di cavallo è arrivato probabilmente


dall’Asia verso il VII secolo. In ogni caso non è presente
nell’Antichità romana, non svolge alcun ruolo in battaglia.

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Il suo utilizzo all’epoca della cavalleria, per combattere, è
nuovo e unico.

«Cavaliere» fa anche pensare a «cavalleresco»...

Sì, e questa parola riflette certamente una delle immagini


più affascinanti degli uomini del Medioevo. Lo si vede be-
ne nei racconti giunti sino a noi: il cavaliere ha il ruolo
dell’eroe principale. Ci si aspetta da lui che compia atti di
coraggio che ne faranno un personaggio fuori dell’ordina-
rio. Tanti racconti del Medioevo narrano le sue avventure,
le sue imprese, il prestigio che lo circonda, e anche le sue
virtù «cavalleresche», la sua nobiltà di spirito, il suo co-
raggio.

Lei ha detto che il cavaliere montava un «cavallo da com-


battimento». Perché questa precisazione è importante?

Perché il combattimento a cavallo, nella lotta, in occasione


di manifestazioni come i tornei, comporterà l’invenzione di
oggetti e azioni in precedenza sconosciuti. La prima gran-
de novità sono le staffe, che consentono di controllare me-
glio il cavallo nel combattimento. Appare anche la sella, la
cui fattura sarà sempre più raffinata. Il cavallo stesso viene
protetto con un’armatura, viene corazzato, per così dire,
coprendone anche la testa. Per parte sua, oltre all’armatura
che serve a proteggerlo, il cavaliere può contare sulla spa-
da e la lancia...
Ma tutto questo – il cavallo, l’armatura, le armi – costa
caro, fatto che spiega le differenze esteriori tra cavalieri ric-

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chi bene equipaggiati che possono valersi di aiutanti, la cui
presenza «fa colpo», e cavalieri poveri che hanno un equi-
paggiamento più modesto e non possono contare su alcun
seguito.

Nei musei si vede talvolta un cavaliere rivestito della sua ar-


matura in groppa a un cavallo bardato, anch’esso con la sua
armatura, e il tutto fa una grande impressione.

Assolutamente, e aggiungo che questo era già vero al tem-


po della cavalleria. L’aspetto esteriore del cavaliere im-
pressionava i contemporanei, perché davvero egli era fuo-
ri dall’ordinario. A fare effetto era soprattutto l’armatura.
Con la cotta di maglia sul petto e l’elmo sul viso, la sua im-
magine era quella di un uomo che si eleva al di sopra dei
mortali. Quando si spostava, il più delle volte a cavallo, il
clangore prodotto dall’armatura, certamente avvertito da
tutti, risuonava con forza. Diversamente dal prete il quale,
tranne quando celebra le funzioni religiose, è un uomo si-
lenzioso, il cavaliere è un uomo che produce rumore, che
si fa notare.

Sappiamo cosa facevano i cavalieri, come occupavano le loro


giornate?

La loro principale funzione è il combattimento. Tuttavia,


contrariamente a quanto si è il più delle volte immaginato,
non si tratta, in generale, di un combattimento individua-
le, singolare, ma di un combattimento collettivo, di un
gruppo contro un altro gruppo.

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Anche nei tornei?

Anche nei tornei. C’è da aggiungere che i combattimenti


sono limitati nel tempo e nello spazio; ad esempio, si svol-
gono soprattutto in primavera, e le competizioni sono di
due tipi: la caccia e lo svago. I cavalieri sono grandi cac-
ciatori, ed anche la caccia si pratica in gruppo. D’altra par-
te, vi sono i tornei, la cui unica posta in gioco è il prestigio,
l’onore. E anch’essi sono collettivi, perché oppongono due
partiti o due campi.

I tornei erano solo dei giochi o avevano anche un aspetto se-


rio? Vi moriva qualcuno?

Erano certamente seri. In generale c’erano solo feriti (per-


ché l’armatura proteggeva dalle spade e dalle lance) e come
in guerra si cercava di fare, più che dei morti, dei prigionie-
ri, che venivano liberati dietro riscatto. Erano una fonte di
guadagno. Ma vi si poteva anche perdere la vita, come ac-
cadde al re di Francia Enrico II, morto in un torneo nel
1559. Del resto la Chiesa cattolica ha manifestato a lungo la
sua opposizione alla guerra e alla violenza in armi, condan-
nando anche i tornei (la qual cosa mostra chiaramente che
in essi non ci si scontrava solo per gioco). La Chiesa (quan-
do dico «Chiesa» parlo del papa e dei vescovi) a partire dal
XII secolo è persino riuscita a vietarli. Tuttavia, nel Quat-
trocento e nel Cinquecento i tornei ritornarono di moda. A
tal punto che alla metà del Quattrocento Renato, prestigio-
so conte di Angiò e di Provenza e futuro re di Sicilia, scris-
se un libro sui tornei che ebbe grande successo.

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Perché allora i tornei sono in seguito scomparsi?

Principalmente perché l’invenzione e la generalizzazione


delle armi da fuoco ha cambiato la situazione, d’altronde
non soltanto per i tornei, ma per tutti i tipi di combatti-
mento e in generale rispetto al modo di fare la guerra.

Non è raro oggi che una gita o un viaggio scolastico conduca


gli studenti a vedere un sito o uno spettacolo medievale con
rappresentazioni ispirate ai tornei. Come spiega questo suc-
cesso?

Il torneo è una delle immagini forti, e per così dire eter-


ne, che ci rimangono del Medioevo. Nella letteratura mo-
derna è stato anch’esso «resuscitato», come le cattedrali,
dagli scrittori romantici dell’Ottocento. Avete letto
Ivanhoe dello scozzese Walter Scott? In questo famoso
romanzo ambientato nel Medioevo, apparso nel 1819, vi
è un magnifico racconto di un torneo. Il Novecento ha vi-
sto numerose rappresentazioni cinematografiche di tor-
nei, grazie alla loro spettacolarità. Per me comunque, il
film più bello e più in tono dedicato al Medioevo rimane
quello di Robert Bresson, Lancillotto e Ginevra; anche lì
non manca un torneo. Benché risulti un po’ difficile, con-
siglio a tutti i ragazzi a partire dai 10 anni e a tutti i gio-
vani di andarlo a vedere.

Nell’ambito delle ricostruzioni storiche del Medioevo ci ven-


gono anche mostrati spettacoli di falconeria. I cavalieri pra-
ticavano veramente la caccia con il falco?

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Sì, questa ed altre forme di caccia facevano parte delle lo-
ro attività. Ma dedicavano il loro tempo anche a visitare le
terre di cui erano proprietari, a compiere pellegrinaggi, a
organizzare feste, ad assistere a spettacoli di trovatori o di
trovieri, di giullari, ad ascoltare musica... Tutto sommato si
dividevano tra il combattimento e la pace, ma indubbia-
mente erano più appassionati al primo, probabilmente
perché pensavano che la vita sulla terra fosse una lotta per
conquistarsi la vita eterna. Oggi si ritiene che la Chiesa ab-
bia organizzato le Crociate in Terrasanta, almeno in parte,
per tenere occupati i cavalieri.

Ci sono cavalieri molto famosi, come Riccardo Cuor di Leo-


ne, o quelli che ha appena nominato: Ivanhoe, Lancillotto,
oppure Parsifal...

Attenti, qui vi fermo! Effettivamente, tra i cavalieri presti-


giosi di cui sono raccontate le avventure e le gesta vi sono
personaggi storici, uomini veramente esistiti, come Riccar-
do Cuor di Leone, re d’Inghilterra, morto nel 1199. Ma an-
che personaggi di fantasia, e unicamente di fantasia. È il ca-
so dei famosi «cavalieri della Tavola Rotonda».

È incredibile, quasi sempre si pensa che siano realmente esi-


stiti...

È infatti la forza di questa leggenda, raccontata in una se-


rie di romanzi che appaiono in versi nella seconda metà del
XII secolo e in prosa nella prima metà del XIII (dunque tra
il 1150 e il 1250). Essi sono imperniati sulla figura di un re

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del V secolo di cui non sappiamo praticamente nulla e che
tuttavia diventa il più straordinario eroe del Medioevo:
Artù, re dei Bretoni della Gran Bretagna. Attorno a lui
l’immaginazione dei narratori ha tessuto una storia che
avrebbe conosciuto un grandissimo successo: quella dei
dodici cavalieri della Tavola Rotonda. Il fascino da essa
esercitato sugli uomini e le donne del Medioevo trova una
delle sue ragioni nella assoluta eguaglianza tra i cavalieri,
condizione espressa da un’idea molto semplice: essi pren-
dono posto ad una «tavola rotonda», dove siedono gli uni
accanto agli altri senza che esista tra loro la benché mini-
ma gerarchia. In compenso, questi cavalieri sono in com-
petizione per realizzare quella che per un cavaliere medie-
vale è l’azione più grande o l’impresa più prestigiosa:
adempiere la promessa legata al proprio impegno di fron-
te a Dio.

Era il Santo Graal, questa promessa!

Sì, perché la società cavalleresca era anche profondamen-


te cristiana. La letteratura arturiana ha inventato una sto-
ria esemplare, il cui scopo era di onorare Dio e il Cristo,
suo figlio. Forse è un po’ difficile per voi da comprendere:
nella leggenda della Tavola Rotonda i cavalieri adempiono
un servizio «mistico», vale a dire sono al servizio di Dio per
assolvere una missione divina, misteriosa; sono impegnati
in un’avventura che non è limitata a questo mondo ma vie-
ne da un altro mondo, quello celeste o divino. È Dio che li
invia promettendo loro una ricompensa. Di conseguenza
la loro storia è diventata «mitica», vale a dire qualcosa di

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incredibile ma che si desidera dal più profondo dell’animo.
Molti ancor oggi ambirebbero essere cavalieri della Tavo-
la Rotonda incaricati di ritrovare questo oggetto misterio-
so chiamato Santo Graal.

Ma cos’è il Santo Graal?

È una coppa magica, una sorta di calice nel quale l’ostia


della comunione si trasforma realmente nel corpo di Dio.
La leggenda di re Artù ha così conquistato nel Medioevo –
e non soltanto nel Medioevo – l’immaginazione degli uo-
mini e, altrettanto se non di più, quella delle donne. Va ri-
cordato infatti che le attività e le prodezze dei cavalieri del-
la Tavola Rotonda sono unicamente opera di uomini: gli
eroi sono tutti maschi perché la società dei cavalieri è in-
nanzitutto una società maschile, dominata dagli uomini.

LA DAMA E LA MADONNA

Tuttavia vi si parla anche del ruolo della «dama»!

In realtà la dama, le dame, sono personaggi da romanzo,


eroine inventate. A costo di deludere le ragazze, bisogna
dire le cose come stanno: nella vita vera, poche sono le
«dame» paragonabili a quelle di cui parlano i romanzi che
raccontano la leggenda di re Artù... Ma è vero: questi ro-
manzi hanno inventato e glorificato donne la cui bellezza
e le cui virtù rifulgono, donne ideali, e i loro lettori han-
no talvolta (ma raramente!) creduto che dietro questi rac-

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conti vi fossero donne reali, che in essi i personaggi cor-
rispondessero a dame vere. Nelle storie narrate nei ro-
manzi, ogni cavaliere ha la sua dama, che... raramente è la
sua sposa.

Nella vita di ogni giorno le donne erano dunque inferiori agli


uomini nel Medioevo?

Sì, ahimè, come in tutte le società del passato. Ma insisto


sul punto che segue: nella stessa epoca in cui si diffonde la
leggenda dei cavalieri della Tavola Rotonda, si assiste an-
che alla nascita e al generalizzarsi del matrimonio nel sen-
so moderno del termine. La Chiesa, infatti, mentre vieta
con sempre maggiore fermezza la poligamia (l’uso di a-
vere più mogli) e il divorzio, attribuisce alle donne una po-
sizione quasi altrettanto importante di quella degli uomini.
In particolare, il consenso della donna (il fatto che ella stes-
sa dica «sì» in occasione del matrimonio) diventa obbliga-
torio, mentre in precedenza la famiglia e i genitori le im-
ponevano il marito senza che ella avesse voce alcuna in ca-
pitolo. Naturalmente ciò non significa che non si facessero
anche in seguito ogni sorta di pressioni sulle figlie affinché
scegliessero un buon marito – vale a dire quello che aveva-
no scelto i genitori –, ma il principio è importante. E gra-
zie ad esso, la maggior parte delle donne avrebbe potuto in
seguito contrarre matrimoni liberi... Questo potrà forse
sembrarvi strano oggi, poiché si ha la libertà di sposarsi, di
non sposarsi e di divorziare. Tuttavia, ancora oggi, il dirit-
to per le donne di scegliere come marito l’uomo che ama-
no è, in numerose civiltà, assente.

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Quindi la «dama» delle leggende cavalleresche ha comunque
un’influenza nella vita di tutti i giorni.

Certo, ma il ruolo più importante è svolto da un’altra da-


ma, di cui indubbiamente tutti i ragazzi d’Europa, anche
quando non sono cristiani, conoscono il nome: parlo di
Maria, la Vergine Maria, madre di Gesù. Dall’XI al XII se-
colo la devozione nei confronti di Maria, o piuttosto della
«Madonna», acquista una grandissima importanza nella
religiosità medievale.

Cos’è la devozione?

La devozione a Maria si esprime nelle preghiere e nelle


suppliche che le si rivolgono, nelle immagini e nelle scul-
ture che la ritraggono, nei libri che si scrivono sulla sua per-
sona, nei luoghi di pellegrinaggio nei quali ella viene vene-
rata, nelle chiese e nelle cattedrali che le sono (e lo riman-
gono ancora oggi) dedicate e che portano il suo nome. La
«Madonna» è la grande intermediaria tra i fedeli e Dio. Per
ottenere un aiuto – ad esempio una guarigione – da Gesù,
il figlio di Dio, gli uomini del Medioevo ricorrono alla Ver-
gine, chiedendole di «intercedere», per loro conto, presso
di Lui. Maria dunque diventa in qualche modo la dama
della società medievale.

La Madonna è importante anche per i cavalieri?

Indubbiamente: anch’essi la invocano e la supplicano af-


finché li aiuti, affinché li soccorra nelle difficoltà... Al di là

22
di una simile importanza di Maria, è importante compren-
dere quanto segue: nel corso del Medioevo, la cavalleria ac-
quista sempre più distintamente qualcosa di sacro, di reli-
gioso. Si diventa cavaliere tramite una sorta di «sacramen-
to», vale a dire attraverso una cerimonia religiosa e dei se-
gni religiosi. Per diventare cavaliere è necessario l’inter-
vento della Chiesa e dei suoi rappresentanti, vescovi, sa-
cerdoti e monaci – di cui parleremo più avanti. È dunque
nel corso di una cerimonia, la «vestizione», che il cavaliere
si impegna davanti a Dio, a suo figlio Gesù, alla Madonna
e ai santi.

Tuttavia non mancano cavalieri «cattivi»...

Eccome! Anche se le immagini di cavalieri «buoni» lascia-


teci dal Medioevo abbondano. L’eccezionale prestigio di
questi ultimi deriva da due elementi: un comportamento
esteriore che suscita l’ammirazione collettiva, e la pratica
di diverse virtù, come la difesa dei poveri, dei deboli e dei
chierici (i chierici sono gli uomini istruiti del Medioevo, in-
nanzitutto sacerdoti e monaci, senza dimenticare le donne
anch’esse consacrate a Dio, che vivono soprattutto nei mo-
nasteri).
Ma certo vi sono anche i cavalieri «cattivi». Nei romanzi
di cui abbiamo parlato, ma anche nelle «chansons de ge-
ste» (quei grandi racconti poetici che narrano le imprese
dei cavalieri e di cui il più famoso è la Chanson de Roland),
compaiono traditori, bugiardi, cavalieri che perseguitano
gli altri uomini uccidendoli per puro piacere.

23
Abbiamo finora menzionato cavalieri «buoni»: Ivanhoe,
Parsifal, Lancillotto. Si sono tramandati i nomi di cavalieri
«cattivi»?

C’è il famoso traditore della Chansons de Roland, Gano.


Ma più che traditori, alcuni costituiscono una sorta di mo-
stri, come il gigante Morholt nel romanzo Tristano e Isot-
ta. Anche se l’immagine dei cavalieri è il più delle volte po-
sitiva, accattivante, non bisogna dimenticare questi cava-
lieri «cattivi», detestati e condannati dagli autori che ne
parlano e dai lettori che leggono le loro malefatte.
Il Medioevo ama descrivere un mondo in cui i buoni si
contrappongono ai cattivi, in cui si svolge un combatti-
mento tra gli angeli ed i demoni. Di conseguenza, trovere-
te cavalieri angelici e altri che sono diabolici, cattivi quan-
to il diavolo. I romanzi cavallereschi insistono molto su
questa tensione tra il Bene e il Male, l’onore e il disonore:
la trama (cioè la storia che viene raccontata) si sviluppa
grazie alla contrapposizione fra i buoni e i cattivi.
Capitolo III
Castelli e cattedrali

Chi dice «Medioevo» pensa a «cavaliere» ma anche a «ca-


stello» e a «cattedrale».

Assolutamente. Intanto, però, è necessario precisare che il


castello e la cattedrale costituiscono dimore piuttosto ec-
cezionali. Nel Medioevo, infatti, le abitazioni erano spesso
modeste o mediocri. Le case dei contadini, in particolare,
erano povere, talvolta miserabili. Anche nelle città, l’uso
della pietra per la costruzione delle case si affermerà solo
lentamente; in precedenza erano di legno, cosa che spiega
gli incendi così frequenti nel Medioevo. Oltre alle abita-
zioni, alle chiese e ai villaggi, non mancano, addirittura, in-
tere città distrutte dal fuoco!
Ma i due tipi di edifici che si sono imposti all’immagina-
rio e che fanno tuttora parte dei simboli più rilevanti del
Medioevo sono il castello e la cattedrale, la dimora dei ca-
valieri e quella di Dio, o più precisamente dei rappresen-
tanti di Dio, ossia i vescovi. Da una parte il castello pro-
clama la potenza ed il prestigio dei cavalieri; dall’altra, la

25
cattedrale accresce il prestigio di Dio per il tramite del suo
principale rappresentante, il vescovo. Quest’ultimo è a ca-
po di un territorio religioso chiamato «diocesi», la cui su-
perficie corrisponde più o meno a quella di una provincia
odierna; nella città dove abita, la sua chiesa, la «casa di
Dio» dove si reca per pregare, predicare e celebrare le di-
verse funzioni religiose, prende il nome di «cattedrale».

Per quale motivo il castello e la cattedrale vengono associati?

Perché questi due tipi di edifici indicano, per le persone


colte come per il popolo, la dimensione o la direzione
dell’altezza. Nel Medioevo, la contrapposizione tra l’alto e
il basso viene «proiettata nello spazio»: ciò significa che si
costruiscono torri e mura molto alte, ben visibili, per mo-
strare che si vuole sfuggire al «basso». In altri termini,
l’alto, l’altezza, designa ciò che è grande e bello. Questa
contrapposizione, che si esprime nella costruzione dei ca-
stelli e delle cattedrali – intendo dire che risulta ben visibi-
le, la si ha davanti agli occhi – è molto importante nel Me-
dioevo. Essa corrisponde ovviamente a quella tra il cielo e
la terra, tra «lassù» e «quaggiù», una contrapposizione da
cui deriva l’importanza attribuita a strutture quali le mura
e la torre. Le chiese medievali hanno spesso torri notevoli.
Esse abbellivano anche le case dei ricchi abitanti delle città,
anche se dopo il Medioevo la grande maggioranza di que-
ste torri sono state distrutte.
Ma saprete probabilmente che pure le moschee musul-
mane hanno una torre, chiamata minareto, spesso molto
sottile, che si slancia verso il cielo: ciò significa che le due

26
religioni si facevano concorrenza anche attraverso l’archi-
tettura della loro «casa di Dio». Ricordo che l’islam, la re-
ligione musulmana, è stata fondata all’inizio del VII seco-
lo (nel 622) dal profeta Maometto (oggi si preferisce spes-
so chiamarlo Muhammad), e dunque la sua origine è qua-
si contemporanea a quella del Medioevo. Ma ne riparlere-
mo in seguito.

I CASTELLI

Quando facciamo i castelli di sabbia costruiamo le torri e i


bastioni merlati, il fossato, i camminamenti interni a spirale
che salgono e scendono, le scale strette e scure, gli anditi...

Avete ragione: tanto per i piccoli quanto per i grandi, il ca-


stello fa anch’esso parte del «bel» Medioevo.

Ma a che serviva esattamente il castello?

Per il cavaliere aveva due funzioni, entrambe molto im-


portanti. Innanzitutto un ruolo di difesa, dunque una fun-
zione militare, di fortezza; d’altra parte serviva da abita-
zione. La dimensione dei castelli dipende dal numero del-
le persone che devono ospitare, perché essi alloggiano e di-
fendono al contempo la numerosa famiglia del signore, i
suoi servitori (e le loro famiglie) e persino i suoi contadini
che vivevano nelle vicinanze. Alcuni castelli costituiscono
gli antenati della città, la quale comprende anch’essa indi-
vidui di ogni strato sociale, età e mestiere.

27
Eppure si ha l’impressione che la maggior parte dei castelli,
tanto in buono stato che in rovina, si trovino in campagna.

È giusto: i cavalieri si sono spesso tenuti lontani dal popo-


lo delle città, in particolare dai «borghesi», preferendo la
vicinanza con i terreni di caccia e i campi coltivati dai con-
tadini. Ma ci sono castelli anche nelle città, ad esempio a
Parigi, nell’Île de la Cité. Il Palais-Royal, antico castello
medievale, e il Louvre, sono anch’essi situati nel centro
della città. In Italia, la maggior parte dei castelli si trova
nelle città.

Vi sono castelli in tutta Europa?

Sì, tra l’altro perché l’Europa ha conosciuto durante tutto


il Medioevo guerre e lotte molto dure e frequenti e perché
in tutta Europa si viveva più o meno nello stesso modo. Se
volete vedere castelli di particolare bellezza potete andare,
ad esempio, in Spagna, grande terra di castelli. O ancora
nell’Europa orientale, ad esempio in Polonia: l’Ordine mi-
litare teutonico (o Ordine dei cavalieri teutonici) vi ha co-
struito castelli spettacolari (in particolare a Malbork).

Ma i castelli non rimangono simili per tutto il Medioevo?

Certo che no, essi evolvono, e anche parecchio. Due gli


aspetti che intervengono in tale cambiamento. Innanzitut-
to il materiale. Intorno all’XI secolo la pietra sostituisce il
legno, mutando per ciò stesso il ruolo del castello. Dal X al
XII secolo, si tratta principalmente di costruire un luogo

28
di rifugio per il signore e i suoi numerosi familiari ma che
serva anche quale deposito per le armi e le provviste: da qui
la comparsa del torrione. In seguito, quando il castello vie-
ne costruito in pietra, abitazioni e provviste sono difese tra-
mite mura spesse, fossati, ponti levatoi, caditoie, cioè aper-
ture attraverso le quali era possibile gettare proiettili, pie-
tre e altri materiali sugli assalitori per impedir loro di fare
brecce nelle mura o di scalarle. Il castello è diventato una
vera fortezza, molto difficile da conquistare.

Già: come si riesce a prendere un castello?

Soprattutto col tradimento. Occorre che un abitante o una


parte dei suoi abitanti aiuti gli assedianti, in modo che que-
sti riescano, in un modo o nell’altro, a entrare.

Talvolta, nei film e nei fumetti, si vede l’assedio di un ca-


stello. Gli assalitori tentano di salire su scale innalzate con-
tro le mura, mentre gli assediati tentano di ributtarli a terra
quando arrivano in alto, o magari versano sugli assalitori
olio bollente. Tutto questo corrisponde grosso modo alla
realtà?

Sì, ma, ancora una volta, l’assedio poteva durare molto a


lungo, e il numero dei castelli che hanno resistito con suc-
cesso supera sicuramente quelli che sono stati conquistati.
I castelli sono costruiti in modo tale e in luoghi siffatti da
dissuadere i nemici dal tentare di impadronirsene (per ren-
dervene conto vi consiglio di visitare, in Francia, le rovine
di Château-Gaillard, nell’Eure, e di Coucy, nell’Aisne).

29
Ma allora, a che si deve il fatto che da un certo momento in
poi non si sono più costruiti castelli, e perché per molti di es-
si non vediamo altro che rovine?

Innanzitutto, a partire dalla fine del Trecento e dall’inizio


del Quattrocento, a causa del cannone. Il cannone, che co-
stituisce una grande novità tecnica, riesce a distruggere le
mura, anche le più spesse. In seguito i castelli diventano
sempre più luoghi di residenza, e nel Rinascimento sarà
questa la loro esclusiva funzione, fatto che cambia total-
mente, com’è ovvio, la loro architettura e il modo di co-
struirli. Inoltre, dopo il Medioevo, il re di Francia, allo sco-
po di consolidare il suo dominio sui signori, faceva di-
struggere il loro castello se esso poteva costituire una mi-
naccia.

I castelli erano comodi?

No. È proprio nel periodo che segue la comparsa del can-


none, quando diventa soprattutto luogo di abitazione, che
il castello guadagna in comodità. In precedenza, e a lungo,
la vita vi è rimasta piuttosto rude: il signore e i suoi fami-
liari si riservano infatti l’uso dei cuscini; i mobili sono rari;
per riporre gli abiti si utilizzano soprattutto bauli; i tavoli
rimangono amovibili, le sedie rudimentali. Nei castelli più
ricchi le pareti sono decorate con arazzi. L’elemento di
prestigio è rappresentato dal camino, sia perché può esse-
re realizzato da un artista e dunque rappresentare un’«ope-
ra d’arte», sia perché fornisce quel bene, tanto ricercato in
edifici molto freddi come i castelli, che è il calore. Il cami-

30
no, e la sala del camino, sono il simbolo della famiglia, luo-
go di incontri, di parole scambiate, di giochi. Poiché
l’alimentazione ha grande importanza, la cucina è spesso
una stanza molto grande (per capirlo, a Parigi, visitate le
cucine del Louvre, sotto la Conciergerie). Nel Medioevo,
le persone tenevano per quanto possibile a vivere decente-
mente, e dunque nei castelli vi erano autentiche latrine
(toilette).

LE CATTEDRALI

Lei ha detto che ciò che accomuna il castello e la cattedrale è


la ricerca dell’altezza.

Sì, le cattedrali sono immense, ma soprattutto sono alte, per


impressionare chi le vede e le visita facendogli percepire
una cosa molto importante: l’altezza di questo luogo riman-
da all’altezza di Dio nel cielo. Le cattedrali sono dedicate a
lui, sono la sua casa. E il suo prestigio si lega a quello del suo
rappresentante sulla terra: il vescovo. Va considerato anche
un altro aspetto, più banale: le cattedrali sono situate quasi
sempre nelle città, che si facevano concorrenza per vantare
la cattedrale più grande, più alta e più bella.

A cosa servivano le cattedrali?

Erano innanzitutto, come è uso dire, «luoghi di culto», os-


sia in esse ci si riuniva per pregare e celebrare la messa, e
partecipare alle funzioni e alle cerimonie religiose. Nella

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cattedrale, che è la casa del vescovo, rappresentante di Dio,
operano stabilmente dignitari religiosi chiamati «canoni-
ci», i quali costituiscono il collegio episcopale, il consiglio
del vescovo: al mattino, al mezzogiorno e alla sera essi can-
tano l’«officio» – in termini semplici lodano Dio, il vero
proprietario dei luoghi. Adempiono questo «officio» – è
una parola che viene dal latino e che significa «occupazio-
ne», «lavoro» – nel coro della cattedrale. Se visitate una
cattedrale, quasi sempre non potrà sfuggirvi la grandezza
del coro e anche gli scanni (sedili in legno dotati di schie-
nale, talvolta riccamente intagliati) dove sedevano i cano-
nici per cantare l’officio.

Ma in che modo, in cattedrali così grandi, era possibile udi-


re le parole del sacerdote o il canto dei canonici?

La cattedrale diventa un luogo in cui si predica soprattut-


to a partire dal XIII secolo, dunque a partire dal 1200: un
predicatore si rivolge ai fedeli spiegando loro la vita e
l’insegnamento del Cristo, parlando della Vergine e dei
profeti dell’Antico Testamento e commentando il Vange-
lo, il libro sacro dei cristiani il cui personaggio centrale è il
Cristo. Parla anche dei santi, incoraggia l’assemblea, la ri-
prende, la esorta... I fedeli in piedi lo sentivano senza dub-
bio molto male, ma egli si esprimeva, oltre che con la voce,
anche a gesti. Il Medioevo è un’epoca in cui parole ed
espressione corporea acquistano grande risalto.

Nelle cattedrali ci si riuniva anche per attività diverse da


quelle religiose?

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Sì, esse servivano anche quale luogo di riunione, vi si tene-
vano assemblee, venivano utilizzate per le feste... Ma ricor-
do che nel Medioevo esistevano già sale di riunione comu-
nali: per riunirsi non si era obbligati ad andare in chiesa.

Come si costruivano le cattedrali?

Le cattedrali che ci sono rimaste sono quasi tutte in pietra.


Ma all’inizio, nelle regioni povere, ricche di foreste, le chie-
se venivano costruite in legno: ne restano d’altronde di ma-
gnifiche in Scandinavia e nella Polonia meridionale.
Nel Medioevo le cattedrali sono i monumenti più decora-
ti. In particolare, va segnalato un aspetto che è scomparso o
che oggi non vediamo più: le cattedrali erano dipinte, dun-
que ricche di colore. L’arredo comprendeva arazzi, affre-
schi (dipinti direttamente sull’intonaco delle pareti) e scul-
ture. I luoghi più decorati con sculture erano, all’interno
della cattedrale, i capitelli (la parte superiore) delle colon-
ne, e, all’esterno, il portale, il grande ingresso. La forma e lo
stile di queste sculture hanno subito una forte evoluzione.
Ancora una parola sull’interno delle cattedrali: sul fondo,
dunque vicino l’ingresso, si trova spesso un «fonte battesi-
male», cioè una vasca in pietra posta in un piccolo spazio se-
parato; la si riempiva di acqua benedetta al momento del
battesimo. Il fonte battesimale è spesso riccamente decora-
to. Quale il motivo? Perché il battesimo è il «sacramento»,
il segno più importante della religione cristiana. Si è ebrei o
musulmani per nascita, ma non si «nasce» cristiani: lo si «di-
venta» tramite l’acqua del battesimo che viene versata sulla
testa del nuovo entrante, sia esso neonato o adulto.

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Lei ha detto che la scultura di cui vediamo esempi nelle cat-
tedrali ha subìto una forte evoluzione...

Sì, certo, cosa che vale anche per l’insieme dell’edificio, e


ciò è dovuto alla scoperta di nuove tecniche di costruzio-
ne. Distinguiamo in particolare tra due epoche. A partire
dal X secolo (dunque dall’anno 900 circa), le cattedrali uti-
lizzano spesso «soffitti a volta», vale a dire che non c’è un
soffitto ma una volta in cui le mura si congiungono. Sino al
XII secolo le chiese rimangono relativamente buie, poiché
non si sente la necessità di illuminarle: si tratta dell’arte o
dello stile chiamato «romanico». In seguito si cerca la lu-
ce, finendo persino per identificare Dio innanzitutto con la
luce. Successivamente, dall’XI al XIII secolo, i progressi
tecnici, la ricerca di grandi spazi, l’utilizzo sempre più dif-
fuso del ferro e di altri metalli favoriscono invece la nasci-
ta delle grandi cattedrali «gotiche». Ma – credo di averne
già parlato – «gotico» significa «barbaro»: i Goti erano
l’esemplificazione di quei barbari di stirpe germanica che
avevano invaso l’Impero romano a partire dal V secolo.
Nel Rinascimento, e soprattutto nel Seicento, si è dunque
chiamata «gotica» quest’arte barbara. Ma, come abbiamo
già visto, i romantici, all’inizio dell’Ottocento, riporteran-
no il gotico in auge.

Talvolta si sente dire che vi sono dei «segreti» nelle catte-


drali o nella costruzione delle cattedrali...

No. Le cattedrali sono magnifiche, e al contempo di co-


struzione estremamente problematica, complessa. Da qui

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l’idea che la loro realizzazione implicasse dei segreti. Ma
questa idea è nata molto più tardi, nel Settecento, all’in-
terno di corporazioni (o associazioni) più o meno segrete
chiamate «massoneria», che facevano risalire la loro origi-
ne ai costruttori delle cattedrali. È invece vero che un cer-
to numero di cattedrali contiene un disegno che raffigura
un percorso segreto, alla maniera di un «labirinto», e che
all’inizio esso disorienta il visitatore (ad esempio è così a
Chartres).

Sono costate molto le cattedrali?

Sì. Si è sostenuto che probabilmente sono state costruite da


operai che i signori «concedevano gratuitamente» per il
cantiere. Ma le cose non andavano in questo modo: i lavo-
ri delle cattedrali sono stati realmente pagati a coloro che
prestavano la propria opera nei cantieri: architetti, mura-
tori, artigiani di vario tipo. Questi cantieri duravano a lun-
go, spostandosi in seguito altrove.

E chi pagava?

Soprattutto il clero, ma anche i borghesi e le persone be-


nestanti della città; raramente i re ed i signori. Ma una cat-
tedrale costava molto cara e la sua costruzione poteva du-
rare a lungo – tanto più a lungo in quanto i lavori si fer-
mavano, per l’appunto, per mancanza di denaro. Bastava
che la situazione economica fosse cattiva, scoppiasse una
guerra o si propagasse una epidemia, e la costruzione s’in-
terrompeva per mancanza di denaro con cui pagare gli

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operai. È questo il motivo per cui molte cattedrali sono ri-
maste incompiute. Quella di Narbonne, ad esempio, o
quella di Colonia, in Germania (terminata solo
nell’Ottocento). Ma l’esempio più celebre è quello di Sie-
na.

Non abbiamo parlato delle vetrate. Quando entriamo in una


cattedrale, ad esempio quella di Chartres, ci dicono che nel
Medioevo le persone semplici imparavano a conoscere la Bib-
bia e il Vangelo grazie alle scene rappresentate nelle vetrate.

Le vetrate decorano soprattutto le cattedrali gotiche: per


fabbricare le finestre si imparò a utilizzare pezzi di vetro
colorati assemblati con del ferro. Sono soprattutto le ve-
trate a dare oggi un’idea di quegli edifici colorati che sono
state le cattedrali e talune chiese. Per ammirare questi co-
lori andate ad esempio alla Sainte-Chapelle di Parigi, co-
struita da san Luigi alla metà del Duecento.
Capitolo IV
Gli uomini del Medioevo

Finora abbiamo parlato soprattutto del «bel» Medioevo, ma


ci sono anche cose meno belle. Ad esempio, quando si dice
«società feudale», è sempre per condannare il Medioevo...

D’accordo, ma come tutte le società anche quella del Me-


dioevo è complessa. Perché la si è chiamata «feudale»? In-
nanzitutto perché è dominata da «signori», a cui sono su-
bordinati altri individui chiamati «vassalli», ai quali essi
concedono («prestano», se si vuole) terre che danno loro
dei redditi e che sono chiamate «feudi», da cui i termini
«feudalesimo» e «feudalità». Questa parola designa un si-
stema sociale che i filosofi del Settecento, l’epoca dei Lu-
mi, e gli uomini della Rivoluzione francese considerano ne-
gativamente e combattono, perché il popolo, i contadini e
gli «umili» sono oppressi dai potenti e dai ricchi. E questa
immagine è rimasta legata al Medioevo.

37
I CHIERICI: «SECOLARI» E «REGOLARI»

Era dunque una società per definizione diseguale, dove i si-


gnori opprimevano i servi?

Ne parleremo. Ma prima occorre avere chiara un’altra di-


stinzione, per le persone di quell’epoca ancora più impor-
tante. Nel Medioevo, infatti, esiste innanzitutto un grande
spartiacque tra due tipi d’uomini: da una parte quelli che
hanno votato la loro vita a Dio e alla religione, e che ven-
gono chiamati «chierici»; dall’altra quelli che, pur essendo
buoni cristiani e onorando Dio, hanno una famiglia e un
mestiere, motivo per il quale rimangono più indipendenti
rispetto alla Chiesa: i «laici».

I chierici sono unicamente maschi o ci sono anche donne?

Per l’essenziale sono uomini – vescovi, sacerdoti e anche re-


ligiosi chiamati «monaci». Tuttavia esistono anche donne
religiose, che vivono in comunità nei monasteri (monache di
clausura). I chierici erano celibi, ma durante i primi secoli
del Medioevo vescovi e sacerdoti vivevano talvolta con una
donna da cui avevano dei figli. A partire dal XII secolo la
Chiesa vieta definitivamente queste coppie, un divieto che è
divenuto in seguito estremamente rigoroso. Analogamente,
a partire da questa data, i monaci che vivevano nei monaste-
ri accogliendo talvolta comunità femminili furono obbliga-
ti a escluderle o a mantenere una separazione molto rigida.

Come si diventa chierico?

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Chi ha questa «vocazione» chiede al vescovo di essere ac-
cettato come chierico. In seguito, apprende le pratiche re-
ligiose e devozionali. Coloro che sono destinati a divenire
sacerdoti passano attraverso una serie di «investiture»
sempre più elevate. L’ultima è un sacramento, l’ordine (il
sacerdozio), che fa del religioso un chierico di rango supe-
riore, autorizzato a somministrare i sacramenti (ossia a bat-
tezzare, a confessare e a celebrare la messa) e a predicare.
Al di sopra del sacerdote vi è il vescovo.

I chierici erano numerosi?

Sì, soprattutto se si fa un confronto con la situazione


odierna. Ma nel clero medievale è necessario distinguere
tra due tipi di personalità religiose, distinzione che d’al-
tronde rimane valida ancora oggi. Da una parte vi sono i
chierici che hanno un rapporto con i fedeli, dunque in
primo luogo i sacerdoti, che in genere sono a capo di una
«parrocchia» compresa in una diocesi guidata da un ve-
scovo. Essi costituiscono quello che viene chiamato il
«clero secolare», perché vive «nel secolo», vale a dire nel
mondo. Dall’altra abbiamo il clero che conduce una vita
solitaria e ritirata dal mondo, anche se i contatti con
l’esterno sono più numerosi di quanto comunemente si
creda: sono i monaci, i «regolari», coloro che vivono da
soli (la parola «monaco» viene dal greco monos, che si-
gnifica «solo») e che obbediscono a una «regola». Il no-
me di «monaci» («solitari») è loro rimasto, anche se vive-
vano per la maggior parte in comunità, peraltro assai iso-
late dal resto del mondo.

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Ma ci sono vari tipi di monaci...

A partire dal V e VI secolo il loro numero fu considerevole.


I monaci irlandesi, in particolare, si distinsero per la fonda-
zione di monasteri nei Vosgi e nelle Alpi. Nel VI secolo un
monaco, Benedetto da Norcia, emanò una regola moderata
(vale a dire non troppo severa), in cui il lavoro manuale e gli
uffici religiosi erano ben equilibrati. All’inizio del IX seco-
lo, il figlio di Carlo Magno, Ludovico il Pio, impose questa
regola all’insieme dei monaci: nacquero così i benedettini.
Ma non si trattò di un caso isolato. A partire dal X secolo
vennero creati numerosi ordini religiosi, che presero a mo-
dello la regola di san Benedetto adattandola all’evoluzione
della società. Uno di questi ordini, fondato a Cluny, si dif-
fuse capillarmente in tutta Europa, a un punto tale che i mo-
naci di Cluny divennero una grande potenza e il loro capo,
l’abate di Cluny, considerato una personalità di spicco. Al-
cuni papi di quest’epoca erano ex monaci di Cluny. Nel XII
secolo si assisté a una nuova ondata di monaci riformati, va-
le a dire di monaci preoccupati di ritornare a uno stile di vi-
ta più severo, più vicino alla lettera e allo spirito della rego-
la di san Benedetto. I più noti sono i cistercensi, nome che
deriva loro dalla «casa madre» di Cîteaux (in latino, Cister-
cium), in Borgogna. Il più famoso tra loro è san Bernardo,
vissuto nella prima metà del XII secolo.

Ma i templari non erano anch’essi un ordine religioso?

Ci arrivo subito. Le Crociate contro i musulmani (la prima


Crociata ebbe luogo alla fine dell’XI secolo, ne parlerò più

40
avanti) e il desiderio di convertire con la forza i pagani sti-
molarono la nascita di ordini militari, di cui i principali fu-
rono, a sud e a ovest i templari e gli ospitalieri, e a est i ca-
valieri teutonici. Se ne ebbero anche in Spagna.

Francesco d’Assisi era un monaco?

No, non proprio. All’inizio del Duecento furono fondati gli


ordini chiamati «mendicanti»: i francescani, da san France-
sco d’Assisi, e i domenicani, da san Domenico. Non sono
monaci, ma frati. La loro vita non si svolge in solitudine, ma
in conventi situati in città. Li si chiama «mendicanti» per-
ché, invece di vivere dei redditi delle terre e dei possedi-
menti loro propri – gestiti per loro conto da «amici» laici –
vivono di offerte e donazioni. In breve tempo il loro succes-
so fu straordinario. I frati mendicanti si occupavano princi-
palmente degli individui e delle famiglie delle città, ma ta-
luni laici li accusavano di mescolarsi troppo ai loro affari, di
essere «invadenti». A partire dal Trecento, monaci e reli-
giosi decrebbero notevolmente di numero e d’importanza.

I LAICI: SIGNORI E SERVI,


ABITANTI DELLE CITTÀ E BORGHESI

I laici sono tutti coloro che non sono chierici?

Sì, ma è necessario distinguere fra tre specie di laici: i si-


gnori, cioè i nobili; i contadini, ossia i servi; gli abitanti del-
le città, ovverosia i cittadini.

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Vi sono innanzitutto coloro che occupano la posizione
più elevata, e di cui abbiamo già parlato: i cavalieri. Ad es-
si possono essere attribuiti due nomi o titoli. Da una parte
li si può chiamare «signori», perché le terre che possiedo-
no, da cui ricavano redditi dalla produzione agricola e ca-
noni (vale a dire somme di denaro) dai contadini, sono de-
nominate «signorie». Dall’altra ricevono il titolo di «nobi-
li», derivato dall’Antichità, cosa che li pone all’interno di
un corpo sociale superiore, la nobiltà, la quale domina su
tutti coloro che non ne fanno parte, i plebei.
Al di sotto dei signori trovate tutto il popolo dei non no-
bili, in generale contadini. Sino al XII secolo i contadini non
erano veramente liberi, e li si indicava col nome di «servi»,
parola che viene dal latino servus, «schiavo». I servi, tutta-
via, non sono paragonabili agli schiavi dell’Antichità: il ser-
vaggio era meno duro della schiavitù alla quale era sottopo-
sta la maggior parte dei contadini dell’Antichità, e i servi po-
tevano sposarsi e costituire una famiglia legale, cosa che non
accadeva in alcun modo all’antico schiavo. A partire dall’XI
secolo i signori accordarono sempre più spesso la libertà ai
servi: da un lato, infatti, questi ultimi la pretendevano in
cambio del loro lavoro; dall’altro, i signori, che avevano bi-
sogno di nuovi proventi a causa delle accresciute esigenze
economiche, non avrebbero potuto ottenerli se avessero
mantenuto i servi nella loro condizione di «servitù». Per
parte loro, i contadini desideravano anche avere una mag-
giore indipendenza per spostarsi e svolgere occupazioni
che richiedevano la loro presenza altrove (ad esempio per
rendere coltivabili dei terreni, in particolare quelli ricoper-
ti di foreste, o vendere i loro prodotti nelle fiere).

42
Ricordo infine che si è signori o servi per nascita. Ma un
signore può «affrancare», rendere libero, un servo.

Rimane una terza categoria, gli abitanti delle città...

Effettivamente, dall’XI al XIII secolo, si videro sorgere nu-


merose città, e la maggior parte dei loro abitanti non do-
veva più la propria condizione alla nascita – contrariamen-
te ai signori o ai servi – ma al lavoro ed al risultato della
propria attività. Nelle città certuni si arricchirono, sia tra-
mite l’artigianato (fabbricazione di tessuti e di abiti, di
utensili grazie al sempre maggiore utilizzo del ferro), sia
tramite il commercio, ottenendo, pacificamente o con la
forza, il diritto di fabbricare e di vendere senza dover più
pagare canoni a un signore: sono le «franchigie» (franco si-
gnifica «libero»). Durante la prima fase di sviluppo (dal IX
al XII secolo), le città erano in genere chiamate «borghi»
ed i loro abitanti «borghesi». In seguito, la parola «bor-
ghese» finì per indicare i cittadini di più antica origine e in-
sieme i più ricchi.
Quando i borghi si estendevano al di là del territorio lo-
ro proprio si formavano i «sobborghi». Questi ultimi, ad
un certo momento, sono stati spesso circondati da mura di
cinta con bastioni: è il caso, dal 1190 al 1210, di Parigi sot-
to Filippo Augusto; in Francia avete anche lo spettacolare
esempio di Carcassonne, costruita ad imitazione delle città
medievali... ma solo nell’Ottocento. I borghesi vantavano
spesso diritti speciali sui sobborghi: in particolare percepi-
vano delle entrate da coloro che ne attraversavano il terri-
torio, vi costruivano una casa o vi aprivano un negozio.

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COMMERCIANTI, FIERE E VIAGGIATORI

Lei ha accennato al commercio e ai commercianti. Come era


organizzato nel Medioevo? In che modo si acquistavano e
vendevano i cibi, gli abiti e tutti gli altri prodotti necessari
per vivere?

Vi ho detto in precedenza che nell’XI e XII secolo, i seco-


li in cui si compie la grande svolta del Medioevo, si è avu-
to un aumento della produzione agricola (grazie ai disbo-
scamenti e quindi all’estensione della superficie coltivabi-
le); contemporaneamente, nelle città si sviluppava l’arti-
gianato. La quantità di prodotti che potevano essere ven-
duti e scambiati si è dunque di molto accresciuta. Di con-
seguenza, i luoghi d’incontro per la vendita e lo scambio si
sono concentrati e moltiplicati, ed è così che sono nate le
«fiere».
Ve ne erano in tutta Europa. Ma nel XII e XIII secolo le
più frequentate e famose erano quelle della Champagne,
regione nella quale si succedeva, estendendosi per tutto
l’anno, una serie di fiere: a Provins, a Lagny, a Troyes, a
Bar-sur-Aube. A un livello minore, locale o regionale,
c’erano anche i «mercati», grandi luoghi d’incontro.

Erano fiere «internazionali»?

Sì, certamente. Come sicuramente saprete, quando andate


in un altro paese dovete avere con voi, per acquistare qual-
che cosa, denaro che abbia corso legale in quel determina-
to paese: potrete dunque trovarvi nella necessità di «cam-

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biare» il vostro denaro. (Ancora qualche anno fa, prima
dell’introduzione dell’euro – la nostra moneta europea –
era così ogni volta che si attraversava un confine di Stato.)
Nel Medioevo, in uno stesso paese, a seconda dei luoghi,
circolavano monete molto diverse, e per questo motivo una
delle attività delle fiere era il cambio delle monete, con per-
sone specializzate e particolarmente abili nel commercio
del denaro. Ebbene, alla fine del Medioevo, certuni di que-
sti cambiavalute, più fortunati o furbi degli altri, divente-
ranno «banchieri». E perché li si è chiamati così? Perché
commerciavano le monete su banchi di legno! Almeno
all’inizio, perché ovviamente avrebbero ben presto trasfe-
rito la loro attività in edifici che costituiranno le future
banche.
Il numero molto grande di monete presenti nel Medioe-
vo ha contribuito a frenare, con ogni probabilità, lo svi-
luppo economico.

Ma questo significa anche che nel Medioevo si viaggiava


molto?

Certo. Contrariamente a una vecchia idea assai diffusa, che


occorre assolutamente abbandonare, i servi raramente era-
no legati alla terra («gleba»). Nelle signorie, in particolare,
i canoni riscossi dai signori sui contadini – vale a dire per
l’appunto i diritti «feudali» – erano onerosi. I servi erano
dunque spinti a cercare altrove migliori condizioni di vita.
Ma al di là di queste ragioni economiche – l’avrete già ca-
pito, dopo quanto abbiamo detto – nel Medioevo gli uo-
mini e le donne, anche di condizione modesta, erano spes-

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so in cammino, sia per cambiare di signoria o di città (per-
ché pensavano di avvantaggiarsene, di vivere meglio, ecc.),
sia per raggiungere le fiere, sia per recarsi nei luoghi di pel-
legrinaggio.
Uomini e donne sono «itineranti», si spostano. E questo
è vero tanto per i chierici quanto per i laici, anche se i mo-
naci e le suore restano maggiormente confinati nei loro
monasteri. Dirò di più: tanto più si spostano in quanto la
religione cristiana insegnava ai fedeli che l’uomo sulla ter-
ra è un viaggiatore (in latino: homo viator), un uomo in
cammino. E mai questa idea è stata più vera che nel Me-
dioevo.

I POVERI. CARESTIE, MALATTIE ED EPIDEMIE

Lei ha parlato più volte dei «progressi» realizzatisi nell’XI,


XII e XIII secolo. Ma una delle immagini più persistenti è
quella, malgrado tutto, di un Medioevo povero. È
un’immagine sbagliata?

Purtroppo no: le città del Medioevo sono popolate anche


da molti poveri, e questa povertà rappresenta certamente
uno degli elementi di quello che abbiamo chiamato il Me-
dioevo «cattivo».

Si poteva morire di fame nel Medioevo?

Sì. Nonostante il forte sviluppo dell’agricoltura e delle atti-


vità legate all’alimentazione, quest’ultima rimaneva infatti

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estremamente diversa per ricchi e poveri, signori e servi. Le
carestie, che spesso colpivano le città, non erano rare nem-
meno nelle campagne, anch’esse non estranee alla povertà.
Le carestie diminuirono nel XIII secolo, per riprendere
però in quello successivo. Nutrire gli affamati e i poveri di-
venne d’altronde uno dei comandamenti della Chiesa: era
un dovere innanzitutto per i chierici, ma anche per i signo-
ri ed i ricchi e, non dimentichiamolo, per i re. È soprattutto
nel campo dell’alimentazione, in risposta alla fame, che il
Medioevo si è impegnato a estendere la carità e la solida-
rietà. Quanto alla parola latina caritas, i chierici ne hanno
sottolineato il significato tradizionale, che è «amore».

C’erano molti mendicanti?

Molti, sì. E tanto più numerosi in quanto la mendicità non


sempre era disprezzata. Nel Medioevo, l’immagine di Ge-
sù mendicante era ancora fortemente presente, e nel XII
secolo, quando comparvero nelle città dei religiosi di tipo
nuovo, i domenicani e i francescani (ne abbiamo parlato
poco fa, ricordate?) si diede loro il nome di «ordini men-
dicanti», cosa che, all’epoca, era il più delle volte avvertita
come un elogio.

E i malati? Come li si curava?

È una questione complessa. A lungo (di fatto per tutto il


Medioevo e anche dopo), vengono curati soprattutto con
rimedi popolari (vale a dire il più delle volte con riti magici:
gesti, formule, pozioni, «filtri», balsami ai quali si attribui-

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sce un potere di guarigione). Diciamolo pure: nelle regioni
non cristiane, gli uomini e le donne che forniscono questi
trattamenti sono considerati stregoni e streghe. In terra cri-
stiana la stregoneria era vietata (ne diremo ancora qualcosa
più avanti), ma c’erano dei «guaritori» cristiani i quali ave-
vano ricevuto da Dio non un potere – in ogni caso non uffi-
cialmente –, ma un sapere. Le persone più ricche – signori e
borghesi – venivano curate il più delle volte da medici ebrei,
perché tra questo popolo si era tramandata una medicina
più scientifica, che derivava dall’Antichità.
Anche in questo caso, è sempre a partire dal Duecento
che la medicina fece grandi progressi, mentre all’università
si iniziò a impartirne l’insegnamento. Si ebbe una facoltà
di medicina anche a Parigi, ma la più importante università
medievale, per quanto riguarda l’insegnamento della me-
dicina, fu Montpellier.

E gli ospedali?

Sempre in quest’epoca, nel Decento, la Chiesa e in parti-


colare alcuni ordini religiosi iniziano a costruire i primi
ospedali. Si può vedere ciò che ne rimane in particolare in
due città: a Beaune, in Borgogna (la struttura risale al
Quattrocento), e a Siena. A Parigi esiste ancora, nell’Île de
la Cité, un ospedale perfettamente attivo sorto nel Me-
dioevo e che porta il nome di «Hôtel-Dieu», però i suoi
edifici attuali risalgono all’Ottocento.

Quali erano le malattie più temute e frequenti del Medioe-


vo?

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Sino al Trecento una malattia molto diffusa e particolar-
mente temuta era la lebbra. Per i lebbrosi, nelle città, si
costruiscono ospedali specializzati, i «lebbrosari», posti
sotto la protezione di Maria Maddalena, da cui il nome di
«quartier de la Madeleine» (a Parigi e a Lille, per esem-
pio). Ma poiché si riteneva che la lebbra fosse contagiosa,
i lebbrosi che si recavano all’esterno dovevano agitare uno
strumento dal suono particolare, la raganella. A seguito
dei miglioramenti introdotti nell’alimentazione e nella cu-
ra della pelle, la lebbra nel Trecento scomparve quasi del
tutto.
Invece si propagò una terribile epidemia di una malattia
fortemente contagiosa, la «peste nera». Venuta dall’Orien-
te, dalla Crimea (a settentrione del Mar Nero), essa fu por-
tata da alcuni marinai genovesi e si diffuse in quasi tutta la
cristianità, con ritorni irregolari ma assai frequenti. La pri-
ma grande epidemia, nel 1348-1349, sorprese i cristiani,
costando la vita a intere famiglie e conventi. Poi si cerca-
rono dei rimedi, facendo soprattutto ricorso alla messa in
quarantena dei contagiati e all’isolamento di quanti erano
venuti in contatto con i malati. Nelle città, la popolazione
dovette sottostare a particolari regolamenti emanati per
impedire il contagio.
La cattiva alimentazione comportava frequenti epidemie
di dissenteria, spesso mortali, soprattutto per i neonati e i
bambini molto piccoli. Avrete forse sentito dire che san
Luigi è morto di peste di fronte a Tunisi nel 1270. È falso:
è morto di dissenteria (o di tifo).
Capitolo V
I potenti

I RE

C’è un personaggio di cui non ha ancora parlato: il re...

È vero. Nel sistema feudale, come abbiamo visto, il potere


appartiene soprattutto ai signori, ma al di sopra di essi vi
erano personaggi più potenti i quali, a partire soprattutto
dal Duecento, se ne accaparrarono gran parte. Questi per-
sonaggi sono i re. La comparsa dei re è una grande novità
in Occidente (che è, come sapete, la parte «ovest» del mon-
do rispetto a Roma, mentre l’Oriente, o «Levante», si tro-
va ad est). Le origini della regalità in Europa risalgono al V
e al VI secolo. I Franchi infatti ebbero dei re, il più famo-
so dei quali rimane Clodoveo; i Goti ne ebbero anch’essi,
ed il più famoso è Teodorico, che s’insediò a Ravenna... I
re si circondavano di servitori che si occupavano degli af-
fari del regno: formavano quello che chiameremmo oggi il
corpo degli «alti funzionari».

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Come si diventava re?

In due modi: per elezione o per nascita. Ugo Capeto ad


esempio, il primo dei re «capetingi», venne eletto dai suoi
pari (cioè dagli altri signori, uguali a lui per rango) nel 987.
Ma la tendenza più diffusa fu quella di garantire la succes-
sione dei re tramite la nascita, vale a dire di creare delle di-
nastie (delle famiglie reali, se preferite). In genere, il suc-
cessore del re era il maggiore dei suoi figli. Ad esempio, la
Francia conobbe la dinastia dei Capetingi a partire dal X
secolo, poi quella dei Valois con Filippo VI all’inizio del
Trecento. In certi regni, le donne non potevano diventare
«re»: la regina godeva solo di una posizione di prestigio e
talvolta di una qualche influenza in quanto madre o sposa
del re.

Ma non occorreva anche essere «consacrato» re?

Sì, ma considerate la differenza con l’imperatore romano:


a Roma l’imperatore era oggetto di culto, vale a dire che
lo si venerava come una sorta di dio o di semidio; al re,
invece non si tributa alcun culto. Tuttavia, la «funzione
regale» ha anch’essa un carattere sacro, che taluni re riu-
scirono a imporre a seguito della cerimonia religiosa di in-
tronizzazione che aveva luogo all’inizio del loro regno. I
re di Francia si facevano consacrare, o ricevevano la con-
sacrazione, nella cattedrale di Reims, in memoria del bat-
tesimo di Clodoveo avvenuto in quello stesso luogo; i re
d’Inghilterra venivano consacrati a Londra, nella catte-
drale di Westminster.

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Qual è la differenza tra gli imperatori e i re?

Il fatto che una molteplicità di re, ciascuno alla testa di un


regno, sostituisce l’unico imperatore romano. Ricordo che
questi guidava l’Impero romano quale unico capo, e che
era designato come imperatore sia per nascita sia per ac-
clamazione da parte dei soldati. E la sua immagine nel Me-
dioevo rimaneva forte.

Infatti! L’imperatore Carlo Magno non voleva forse essere


un nuovo imperatore romano?

Il re dei Franchi, Carlo, chiamato in seguito Carlo Magno,


Carlo il Grande, in latino Carolus Magnus, era diventato il
più potente dei re cristiani, e pensava in effetti di ripristi-
nare a suo vantaggio il prestigio e il territorio degli impe-
ratori romani. Solo i re anglosassoni rimasero fuori dalla
sua influenza diretta. Poteva contare sull’aiuto della Chie-
sa, diventata una specie di monarchia con alla testa il ve-
scovo di Roma, che aveva ricevuto il nome di «papa», vale
a dire «padre». Con l’accordo di quest’ultimo, Carlo fu in-
coronato imperatore a Roma nel Natale dell’800. Ma non
bisogna sopravvalutare, come invece si è fatto, l’importan-
za di questo avvenimento. Certo, Carlo Magno nel corso
del Medioevo divenne un personaggio da leggenda, ma i
suoi successori non si sono imposti come imperatori. Per
quale motivo? Probabilmente perché l’ideale che ispirava
Carlo Magno guardava più al passato, all’Antichità, che
all’avvenire. Nel lasciare gli Anglosassoni al di fuori del ter-
ritorio che immaginava per l’impero, dimostrava di non

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possedere una visione veramente europea: Carlo Magno fu
soprattutto un patriota franco, le cui prospettive non an-
davano molto al di là del «paese dei Franchi» e delle sue
conquiste. Ma siamo giusti: fu un grande protettore delle
arti e delle lettere, seppe circondarsi di studiosi prove-
nienti da ogni angolo della cristianità favorendo inoltre la
formazione degli alti funzionari che lo servivano... Sapete
che alla fine dell’Ottocento, quando venne istituita la scuo-
la pubblica e obbligatoria, se ne fece risalire l’origine a Car-
lo Magno? Ovviamente è soltanto una leggenda.

In che modo i re si distinguevano dai signori?

Prima di tutto tramite degli oggetti che erano simbolo di


regalità: il più delle volte si trattava di un trono, una coro-
na, una bacchetta chiamata scettro, e in taluni casi una
«mano di giustizia» (una mano aperta fissata alla estremità
di una manica), perché la giustizia era una delle loro gran-
di prerogative, una delle funzioni riservate in particolare
alla regalità, oltre che alla Chiesa. In generale i re governa-
vano direttamente un territorio molto piccolo, il «demanio
reale», nel quale erano sovrani; indirettamente, regnavano
sui territori dei signori che essi dominavano in quanto «al-
ti sovrani». Un’altra delle loro prerogative era l’impegno al
mantenimento della pace.

I re avevano già una corte?

No, ma a partire dal XIII e soprattutto dal XIV secolo, i re,


soprattutto in Francia, si circondarono di uomini che po-

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tessero aiutarli a costruire lo Stato regio, monarchico, che
è all’origine di quel supremo potere pubblico che ancor
oggi chiamiamo «Stato». Nel Medioevo, nello Stato anco-
ra in fase di gestazione, i re erano prima di tutto delle «per-
sonalità» prestigiose circondate da consiglieri: è il caso di
Ferdinando IV il Grande di Castiglia (1035-1065), Luigi
VII in Francia (1137-1180), Enrico II in Inghilterra (1154-
1189). A partire dal Duecento si ebbero anche diverse as-
semblee che i re consultavano, ad esempio per le questio-
ni relative alle finanze e alla giustizia. Ma un governo con
dei ministri e un’«amministrazione» estesa a tutto il regno
è un’immagine che non corrisponde alla realtà dell’epoca.

Governavano realmente?

Dai re ci si aspettava che si occupassero degli affari del re-


gno, il quale divenne solo lentamente uno Stato dotato di
istituzioni stabili (leggi, imposte, assemblee deliberative,
funzionari). Nell’VIII secolo si ritenne che i re non svol-
gessero il loro lavoro, e li si chiamò «re fannulloni». Fu
questo, in ogni caso, il pretesto utilizzato in Francia dai
membri di una nuova dinastia, il cui capo era Pipino il Bre-
ve, padre di Carlo Magno, per cacciare dal trono la dina-
stia precedente, quella dei Merovingi (la cui origine risali-
va cioè a un capo franco di nome Meroveo) e sostituirla
con quella che si chiamò dei Carolingi.

I re del Medioevo avevano un esercito?

Sì, tra le loro funzioni c’era anche quella di guidare l’eserci-


to. Il più delle volte l’esercito regio veniva ricostituito per

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ogni guerra, in primavera. L’esercito comprendeva da un
lato soldati dipendenti dal re e provenienti dal demanio
reale, dall’altro mercenari, vale a dire stranieri ai quali il re
pagava il «soldo». Ma nelle grandi occasioni i re comanda-
vano un esercito che possiamo chiamare «nazionale», com-
posto di soldati arruolati in tutto il regno. È quanto fece
all’inizio del Duecento il re di Francia Filippo Augusto, in
occasione della battaglia di Bouvines, nel 1214. È soltanto
nel Quattrocento che i re di Francia organizzarono un
esercito permanente.

Ancora una domanda: in che modo la città di Parigi è diven-


tata la sede del re e la capitale dei Franchi?

In alcuni paesi i re scelsero di vivere in una particolare città


che da allora venne considerata come la «testa» del regno,
vale a dire come la capitale (dal latino caput, «testa»). In
Francia, Clodoveo stabilì la sua capitale a Parigi, ma la città
non mantenne a lungo questa prerogativa. Carlo Magno
stabilì la sua capitale ad Aquisgrana, una città dell’odierna
Germania (in tedesco si chiama Aachen, in francese Aix-
la-Chapelle), ma dopo di lui anch’essa cessò di essere ca-
pitale. In compenso, si può dire che Londra fu la capitale
dell’Inghilterra sin da Guglielmo il Conquistatore, quindi
fin dall’XI secolo. In Francia, dopo un lungo esitare tra Pa-
rigi ed Orléans, Parigi rimase la capitale dal XII al XV se-
colo, ridivenendolo solo nel Cinquecento, ma per breve
tempo: infatti, durante la seconda metà del Seicento, Lui-
gi XIV stabilì la propria residenza a Versailles.
In Spagna, i re di Castiglia cambiarono parecchie volte

56
capitale: alla fine dell’XI secolo scelsero Toledo, riconqui-
stata sui musulmani. È solamente nel Cinquecento che la
capitale venne fissata a Madrid.
In Italia non si può parlare di una capitale unica fino
all’Ottocento, perché lo Stato italiano è nato molto tardi.
Non si ebbe una capitale neppure in Germania, ma a par-
tire dal XII secolo i principi tedeschi eleggevano l’impera-
tore a Francoforte sul Meno.

IL PAPA E L’IMPERATORE

Abbiamo tuttavia l’impressione che al di sopra dei re vi fosse-


ro due personaggi più importanti, spesso in contrasto fra loro.

Sì, al vertice della società si trovavano il papa e l’imperato-


re, due personaggi in teoria più potenti degli altri. Il papa
guidava la Chiesa, e ne era veramente il capo, alla stregua
di un monarca. L’imperatore, più che essere dotato di ve-
ra autorità, era piuttosto una «personalità» di prestigio. In
teoria era al di sopra dei re, dei principi e delle città, ma
nella realtà i suoi ordini erano spesso disattesi. A partire
dal X secolo, la sua autorità non andava molto al di là del
Sacro Romano Impero di nazione germanica, vale a dire
della Germania e dell’Italia.

Ma perché erano in contrasto?

Le «cronache» (i racconti degli avvenimenti storici in or-


dine cronologico) sono piene di dispute tra i papi e gli im-

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peratori, in particolare riguardo alla nomina dei vescovi.
Ma questi conflitti hanno spesso costituito nient’altro che
ordinate rappresentazioni teatrali sul palcoscenico della
storia. La vera storia, quella che influiva realmente
sull’evoluzione della società, si svolgeva piuttosto dietro la
scena e nel profondo: nelle monarchie, nelle signorie, nel-
le città. Dopo la morte dell’imperatore Enrico VII a Pisa,
nel 1313, l’influenza dell’imperatore non si estese oltre la
Germania. I papi erano eletti da un collegio di cardinali (in
occasione del «conclave»), nominati dai loro predecessori.
Gli imperatori, per parte loro, erano eletti da particolari
principi tedeschi, i «principi elettori».
Capitolo VI
La religione
e l’unità dell’Europa

LA CRISTIANITÀ

Nel Medioevo tutti i paesi europei sono cristiani, e il capo dei


cristiani è il papa, che sta a Roma. La gente aveva coscienza
di questa unità?

All’incirca a partire dall’XI secolo i cristiani organizzarono


spedizioni militari contro i musulmani di Palestina per ri-
conquistare i «Luoghi Santi» dove il Cristo era morto e re-
suscitato. Sono le Crociate, svoltesi tra il 1095, data della
prima Crociata, e il 1291, data della caduta dell’ultimo ba-
stione cristiano in Palestina, San Giovanni d’Acri. Gli uo-
mini e le donne del Medioevo sentirono allora di apparte-
nere a uno stesso insieme di istituzioni, credenze e con-
suetudini: la cristianità. È molto importante comprendere
quanto segue: contrariamente agli altri due «monoteismi»,
quello ebreo e quello musulmano (i monoteismi sono le re-
ligioni che credono in un solo Dio, un Dio onnipotente), i
cristiani dividevano il potere esercitato sulla terra tra la

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Chiesa (il potere detto «spirituale») e i capi laici (il potere
detto «temporale»), dunque tra il papa da una parte, e gli
imperatori e i re dall’altra.

Perché i cristiani facevano questa distinzione?

Essa deriva dal Vangelo, libro sacro dei cristiani, nel qua-
le Gesù prescrive di dare a Dio ciò che gli spetta e a Cesa-
re, vale a dire ai capi laici, ciò che invece spetta loro (il go-
verno del paese, l’esercito, le tasse, ecc.). Questa distinzio-
ne impedirà ai cristiani d’Europa di accordare tutti i pote-
ri a Dio e di vivere in quella che si chiama una «teocrazia»
(i paesi nei quali comanda Dio), e permetterà loro, a parti-
re dall’Ottocento, d’istituire le democrazie (nelle quali il
potere deriva dal popolo).

Ma quali erano allora i poteri della Chiesa nel Medioevo?

Erano notevoli. Riscuoteva, ad esempio, canoni rilevanti


da tutti i cristiani. Alcuni casi giudiziari, in particolare per
quanto riguardava il matrimonio, erano affidati ai tribuna-
li ecclesiastici (i cui giudici erano chierici designati dai ve-
scovi). Di più: quando un re o un potente cristiano sem-
brava disobbedire alla Chiesa, vale a dire a Dio, il papa po-
teva «scomunicarlo», espellerlo dalla Chiesa e persino vie-
tare ai suoi sudditi di accostarsi ai sacramenti. Quindi,
niente più battesimi, comunioni, confessioni, matrimoni,
estreme unzioni (il sacramento che si somministra ai mori-
bondi); si trattava di una misura che aveva un fortissimo
impatto sugli scomunicati perché, lo ricordo, nel Medioe-
vo quasi tutte le persone erano assai credenti.

60
COME ESSERE UN «BUON» CRISTIANO?

Dio, il Cristo, la Vergine... Si tratta di diverse figure. Può dir-


ci qualcosa sul Dio in cui si credeva nel Medioevo?

Si credeva in un solo Dio, comprendente tre persone, tre


figure diverse se volete, chiamate la «santa Trinità».
C’erano Dio Padre, Dio Figlio (Gesù Cristo) e lo Spirito
Santo. I cristiani li invocavano volta per volta in funzione
delle loro richieste. Dio Padre era in qualche modo il co-
mandante in capo, un po’ lontano, e anche giudice severo;
Gesù, al contrario, era il supremo confidente di tutti; lo
Spirito Santo infine, concedeva agli individui e alle asso-
ciazioni religiose chiamate «confraternite» la devozione, la
pietà, lo spirito che permetteva loro di ottenere la salvezza,
vale a dire la vita eterna nell’aldilà.
Vi ho già parlato dei «sacramenti», che per i cristiani rap-
presentano i segni dell’appartenenza alla Chiesa. Il più im-
portante era il battesimo, perché faceva di colui o di colei
che lo riceveva un cristiano o una cristiana, rendendolo in
tal modo capace di ottenere la salvezza.

Cosa serviva per essere un «buon» cristiano?

Il buon cristiano doveva adempiere a un certo numero di


doveri: pregare Dio tutti i giorni, comunicarsi, ossia rice-
vere il corpo di Cristo sotto forma di ostia (l’ostia è un pa-
ne consacrato dal sacerdote durante la messa) almeno una
volta l’anno, e in genere astenersi dal commettere colpe
o «peccati», definiti dalla Chiesa e insegnati nel corso

61
dell’istruzione religiosa impartita ai ragazzi in occasione
del «catechismo». Riguardo in particolare alle colpe o ai
peccati, vorrei sottolineare che a partire dal Duecento un
sacramento acquistò un’importanza del tutto particolare:
la confessione dei propri peccati. Almeno una volta l’anno
il cristiano li confessava a un sacerdote, rappresentante di
Dio e, salvo casi eccezionali (vale a dire se il peccato sem-
brava troppo grande), il penitente riceveva alla fine della
confessione l’assoluzione, vale a dire la remissione dei pec-
cati commessi. Il fine proposto ai cristiani dalla Chiesa era
la salvezza, ovvero la vita eterna in paradiso dischiusa dal-
la remissione dei peccati.
Tuttavia, le persone che morivano senza essersi confes-
sate o che avevano commesso peccati abominevoli e im-
perdonabili, in occasione del Giudizio Universale sareb-
bero state respinte da Dio nell’inferno, e lì torturate da Sa-
tana e dai demoni.

Abbiamo visto raffigurazioni del Giudizio Universale in cui


si notano anche chierici, in particolare vescovi e monaci, get-
tati all’inferno.

Certo: il diavolo poteva rendere ogni uomo preda dei pec-


cati mortali. Durante la loro vita, chierici o laici che fos-
sero, tutti i cristiani dovevano diffidare del demonio e
combattere il diavolo (il demonio o il diavolo sono la stes-
sa cosa), perché quest’ultimo tentava di farli cadere nel
peccato e farli condannare all’inferno, facendone dei
«dannati». Agli occhi degli uomini e delle donne del Me-
dioevo, il diavolo era il grande nemico, e a questo riguar-

62
do va detto anche che egli è una delle figure dominanti di
questo periodo.

E dopo la morte, inferno o paradiso? Non c’è altra possibi-


lità?

Sì, c’è. A partire dalla fine del XII secolo la Chiesa istituì un
luogo di attesa, relativamente al periodo che intercorre tra
la morte individuale ed il Giudizio Universale, per i cristia-
ni che prima di morire non si erano del tutto «purgati» dei
loro peccati. In questo spazio venivano definitivamente
«mondati» tramite pene particolari, simili per qualche ver-
so a quelle dell’inferno, mentre la loro liberazione poteva
essere anticipata grazie alle preghiere, alle elemosine e alle
messe offerte dai loro parenti e amici rimasti sulla terra e
grazie alla Chiesa. Questo luogo fu chiamato «purgatorio».

Ci ha appena detto che Gesù era il «confidente» delle perso-


ne del Medioevo. Ci ha anche parlato prima dell’importanza
della Vergine.

Infatti. A partire all’incirca dall’XI secolo, due forme di de-


vozione acquistarono in tutta la cristianità un’importanza
particolare. La devozione a Gesù, il Cristo, si espresse so-
prattutto nel culto tributato alle sofferenze da lui subite
durante l’esistenza terrena, in particolare a quelle patite
sulla croce. La pietà verso il Cristo Gesù, il figlio di Dio,
divenne soprattutto devozione nei confronti della sua pas-
sione, con preghiere di pentimento di fronte alle rappre-
sentazioni di Gesù sulla croce, del Crocifisso.

63
L’altra grande forma di devozione, di cui abbiamo già
parlato, è il culto tributato alla madre di Dio, la Vergine Ma-
ria, che la fede cristiana si è rappresentata come nata senza
essere macchiata dal peccato originale – diversamente dun-
que da tutte le donne e tutti gli uomini – e direttamente
ascesa al cielo dopo la morte. Maria era oggetto di preghie-
re frequenti e appassionate. I fedeli erano convinti che se el-
la fosse intervenuta a favore di un peccatore o di un malato
sarebbe stata molto ascoltata dal suo figliolo Gesù. È que-
sto il motivo per il quale si può persino affermare che venne
promossa dal popolo cristiano a una sorta di rango divino.
Ufficialmente, tuttavia, la Chiesa non approvava l’idea che
Maria potesse essere una «quarta persona» della Trinità
(senza offesa per nessuno, questo ricorda un po’ i «tre mo-
schettieri» che in realtà erano quattro...).

Lei ha appena detto: «La Chiesa non approvava...»: la Chie-


sa cercava dunque di intervenire nella vita delle persone?

Sì. Quando parliamo di «Chiesa» comprendiamo certa-


mente in essa tutti i cristiani, ma questa parola ha spesso un
significato più ristretto che si applica alla «gerarchia»: il pa-
pa, i cardinali – che erano in qualche modo la corte del pa-
pa –, i vescovi e i sacerdoti, soprattutto quelli che dirigeva-
no una parrocchia e che vengono chiamati «parroci». Per ri-
spondere alla vostra domanda, questa gerarchia, dal papa al
curato, dirigeva e controllava la vita religiosa degli uomini e
delle donne del Medioevo. Essa li esortava a pregare Dio
stabilmente e con costanza, a ricevere i sacramenti e a par-
tecipare alle feste religiose di cui organizzava il calendario.

64
Le tre feste più importanti erano Natale, Pasqua e la Pen-
tecoste. Ma riguardo all’insieme delle manifestazioni reli-
giose la Chiesa era particolarmente esigente. C’era l’obbli-
go di andare a messa almeno la domenica, come pure oc-
correva rispettare il riposo domenicale. (Per gli ebrei il
giorno di riposo è il sabato, perché la Bibbia dice che quel
giorno, il settimo giorno, Dio si è riposato dopo aver crea-
to il mondo e l’uomo. Per i musulmani è il venerdì, ma ce
n’erano molto pochi al di fuori della Spagna e del Porto-
gallo. I cristiani, in ricordo della resurrezione del Cristo av-
venuta di domenica, hanno spostato questo «riposo del
settimo giorno» alla domenica; e la domenica, dunque, è in
realtà il primo giorno della settimana.)
Altro obbligo imposto ai cristiani era, in certuni periodi,
il digiuno (o almeno il mangiar poco) e l’astinenza (ci si
astiene dal mangiare la carne): il venerdì, in ricordo della
morte terrena del Cristo sulla croce, nel periodo di qua-
ranta giorni che precede la Pasqua e che si chiama tempo
di «quaresima», come anche in alcuni altri giorni. Diciamo
che, nell’insieme, la celebrazione delle feste religiose, con
partecipazione alla liturgia (vale a dire alle funzioni, ceri-
monie e preghiere organizzate dalla Chiesa) era più o me-
no obbligatoria.

ERETICI ED EBREI

E se si disobbediva?

Occorre distinguere tra disobbedienze specifiche da un la-


to e disaccordi profondi e rifiuti ostentati dall’altro. Le pri-

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me, che andavano confessate, e per le quali poteva darsi la
scomunica – di cui abbiamo già parlato – potevano essere
tolte se ci si pentiva di averle commesse. Le altre disobbe-
dienze venivano severamente condannate e represse dalla
Chiesa, spesso con l’aiuto del potere laico.
Questi disobbedienti venivano chiamati «eretici», e nel
Medioevo furono i grandi avversari interni della cristianità.
Nel Duecento la Chiesa, per perseguirli e giudicarli, istituì
degli speciali tribunali, dando vita all’«Inquisizione». Co-
loro i quali venivano condannati da questi tribunali erano
rimessi al «braccio secolare», vale a dire alla «polizia» del
potere laico, che eseguiva la sentenza: la prigione a vita o
la morte sul rogo.

Si ebbero eretici dappertutto in Europa?

Sì, ma nel XIII e XIV secolo essi furono particolarmente nu-


merosi in Germania, nel Sud della Francia e nell’Italia set-
tentrionale. In queste regioni l’Inquisizione ne condannò al
rogo parecchi. Gli eretici più famosi furono tuttavia i «cata-
ri», di cui avrete forse sentito già parlare. È una parola che si-
gnifica «puri». I catari avevano creato delle comunità nel
Sud-ovest della Francia, nella regione di Tolosa, di Albi...
Questi eretici non soltanto si consideravano i soli privi di
peccato, ma ritenevano inoltre che la Chiesa fosse incapace
di purificare dai loro peccati i normali cristiani «non puri».
All’inizio del Duecento la Chiesa condusse una crociata con-
tro questi eretici del Sud della Francia, la cosiddetta «crocia-
ta contro gli albigesi» (la presa del castello cataro di Montsé-
gur, i cui difensori morirono sul rogo, rimane famosa).

66
Nel Medioevo anche gli ebrei erano perseguitati?

Sì, ma il loro caso è diverso da quello degli eretici. Sin dal


loro apparire, la Chiesa manifestò una assoluta ostilità nei
riguardi di questi ultimi, mentre nei confronti degli ebrei
mantenne a lungo un atteggiamento più sfumato. All’in-
terno della cristianità il loro numero era alto perché, vinti
e scacciati dai Romani, avevano dovuto lasciare la Palesti-
na sin dall’Antichità, a partire dal II secolo della nostra era.
Gli ebrei non obbedivano alla Chiesa e non si professava-
no cristiani, in quanto rifiutavano di considerare Gesù, il
Cristo, come il Figlio di Dio. Tuttavia non costituivano un
corpo totalmente estraneo alla cristianità, poiché il Cristo
aveva la sua origine nel giudaismo: Gesù era ebreo. E dun-
que gli ebrei erano considerati, piuttosto che nemici, gen-
ti legate al passato.

In ogni caso, nel Medioevo, i cristiani non ebbero per loro


grande considerazione!

Effettivamente, con il progressivo radicarsi della cristianità


gli ebrei ne furono sempre più esclusi e l’antigiudaismo,
prima tappa dell’antisemitismo – così si chiama l’odio con-
tro gli ebrei – prese a guadagnare terreno. Ciononostante,
la Chiesa e i cristiani combatterono gli ebrei solo a partire
dalle Crociate; è in quel momento, infatti, che si mise in
campo contro di essi, resi colpevoli della crocifissione di
Gesù, l’imputazione di essere dei «deicidi», degli «assassi-
ni di Dio». A partire dal XII secolo si attribuirono agli
ebrei crimini del tutto falsi, come quello di profanare

67
l’ostia (vale a dire di insudiciare un’ostia consacrata, dive-
nuta il corpo di Cristo) o di uccidere i bambini cristiani
(crimine di infanticidio). Ne derivarono massacri colletti-
vi, «pogrom», dovuti soprattutto alla gente del popolo,
perché i re e anche i papi, pur limitandone la libertà e
il potere, tesero piuttosto a proteggere gli ebrei. Erano lo-
ro vietati la coltivazione della terra e l’esercizio di diversi
mestieri, e ciò li spinse a diventare prestatori di denaro e
banchieri, la qual cosa non fece che accrescere l’ostilità nu-
trita dai cristiani nei loro riguardi.

Gli ebrei furono espulsi da vari paesi, non è vero?

Nei loro confronti si ebbero, nei diversi periodi, atteggia-


menti diversi. Ma in effetti, oltre ai pogrom, alcuni regni ri-
corsero all’espulsione. È il caso dell’Inghilterra nel Due-
cento, della Francia nel Trecento e della Spagna alla fine
del Quattrocento.
Insieme all’Inquisizione e alla repressione contro gli ere-
tici, l’antigiudaismo rappresenta la grande colpa del Me-
dioevo.

LE CROCIATE

Non c’è forse un’altra colpa, in ogni caso un episodio poco


glorioso e condannabile: le Crociate?

Sì, è questa oggi la mia opinione, come quella di molti altri.


Il cristianesimo quale è stato insegnato da Gesù e dal Van-

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gelo era una religione pacifica. Tra i primi cristiani, molti fu-
rono perseguitati dai Romani perché rifiutavano di andare
in guerra. Ma divenendo cristiani, i barbari introdussero nel
cristianesimo i loro costumi guerrieri. Si ritenne che la fede
potesse, e dovesse talvolta, essere imposta non con la mis-
sione o la predicazione, ma con la forza. Vi fu anche l’esem-
pio dei musulmani, conquistatori della Spagna nel IX seco-
lo, ai quali il Corano insegnava, in alcuni versetti, che la con-
versione poteva far ricorso alla guerra: era il principio del
jihad («guerra santa») militare. A partire dall’XI secolo
l’Europa cristiana si convertì anch’essa alla guerra religiosa.

Era per riprendere i luoghi santi in cui aveva vissuto Gesù?

Sì, ma già in precedenza l’Europa cristiana aveva voluto ri-


prendere con la forza la Spagna ai musulmani, che l’aveva-
no essi stessi presa con la forza: si trattò della Reconquista.
In seguito, effettivamente, volle strappare loro la Palestina,
e Gerusalemme, dove si trovava la tomba di Cristo (certi
capi musulmani, in alcuni periodi, avevano vietato ai cri-
stiani di recarsi in pellegrinaggio ai luoghi santi cristiani, a
quello che essi chiamavano il «Santo Sepolcro», alla sepol-
tura del Cristo).
Alla fine dell’XI secolo il papato iniziò dunque a predi-
care una grande spedizione cristiana, sperando che questa
avrebbe posto la Chiesa, in modo definitivo, alla testa del-
la cristianità e che tale soluzione avrebbe impedito ai cri-
stiani di battersi e uccidersi tra loro. Fu la prima «Crocia-
ta». Essa condusse in Palestina numerosi cristiani guidati
da due obiettivi, la fede, ma anche il desiderio di saccheg-

69
gio e conquista, i quali tuttavia, per molti crociati, finirono
per fondersi.

In ogni caso le Crociate riuscirono nel loro intento: prende-


re Gerusalemme...

Infatti. Una prima Crociata, predicata dal papato nel 1095


e caratterizzata, lungo il suo percorso, da numerosi sac-
cheggi ed uccisioni, sfociò nel 1099 nella presa di Gerusa-
lemme in un bagno di sangue... In seguito, i musulmani
lanciarono diversi contrattacchi contro i cristiani, che ave-
vano fondato Stati cristiani in Terrasanta. Si ebbero altre
sette Crociate, ad alcune delle quali parteciparono dei re:
Filippo Augusto di Francia e Riccardo Cuor di Leone
d’Inghilterra ad esempio, o gli imperatori germanici Fede-
rico Barbarossa e Federico II. Luigi IX (san Luigi) fu, nel
XII secolo, alla guida di due Crociate, una in Egitto e l’altra
in Tunisia, dove morì di dissenteria (o di tifo) di fronte a
Tunisi nel 1270.
Nel XII secolo i cristiani subirono numerosi rovesci, in
particolare ad opera del capo musulmano curdo Saladino.
Infine, nel 1291, dovettero abbandonare l’ultimo possedi-
mento cristiano, San Giovanni d’Acri. Per i cristiani la
Crociata non divenne altro che un sogno.

Il bilancio delle Crociate è dunque estremamente negativo...

In ogni caso non hanno lasciato nulla di positivo. Costate


una enormità in mezzi ed uomini, hanno lasciato nei mu-
sulmani un vivissimo risentimento, che dura ancor oggi.

70
Capitolo VII
L’immaginario religioso
del Medioevo

Ascoltandola, si ricava l’impressione che nel Medioevo le


persone vivessero costantemente immerse nella religione e
tra le immagini religiose.

È così. Nella cristianità medievale la credenza nell’aldilà


era qualcosa di profondamente radicato. Dio e i perso-
naggi soprannaturali erano estremamente presenti nella
vita quotidiana. La religione cristiana stimolava con forza
l’immaginazione degli uomini e delle donne, e ha dato vi-
ta a un «immaginario» – vale a dire a un mondo di im-
magini e di simboli – propriamente cristiano destinato a
segnare a lungo l’Europa. Si pensava in particolare che il
cielo fosse abitato non soltanto da Dio e dalla Vergine
Maria, ma da altri esseri soprannaturali, alcuni buoni, al-
tri malvagi.

71
ANGELI E DEMONI

Si riferisce ai santi?

No, perché i santi che stanno in cielo sono tutti dei giusti e
rimangono uomini o donne. Sto parlando invece degli an-
geli buoni e cattivi. Come racconta la Bibbia, all’inizio dei
tempi, quando Dio creò il cielo e la terra e i primi esseri
umani, Adamo ed Eva, era attorniato da servitori assoluta-
mente puri, gli angeli, la cui purezza era simboleggiata dal-
la veste di un bianco sfolgorante. In seguito, così come gli
uomini caddero nel peccato (peccato che viene chiamato
«originale»), una parte degli angeli, guidata dal più lumino-
so di essi, Lucifero («che reca la luce») si ribellò a Dio. Da
quel momento, il cielo fu abitato da angeli buoni e da de-
moni cattivi. Si riteneva che angeli e demoni (chiamati an-
che diavoli) scendessero spesso sulla terra. I primi venivano
ad aiutare gli uomini a combattere il peccato, e Dio aveva as-
segnato a ogni cristiano un angelo specificamente preposto
alla sua protezione: l’angelo custode. C’è da dire che tra gli
angeli buoni rimasti in cielo alcuni, come i «Troni», le «Do-
minazioni» e le «Potestà», erano superiori agli altri; vi era-
no anche «arcangeli», come Michele, Gabriele e Raffaele. I
teologi, ossia gli studiosi specialisti della religione cristiana
e delle cose divine, stabilirono una classificazione gerarchi-
ca tra gli angeli, la quale a sua volta divenne un modello per
le gerarchie e il rango tra gli uomini sulla terra. Il capo dei
demoni, chiamato Satana, viene mostrato nel Vangelo men-
tre tenta lo stesso Gesù per farlo cadere nel peccato. Nel
Medioevo, Satana viene chiamato il «Diavolo».

72
Qual era il ruolo dei demoni?

Scendevano sulla terra per sedurre gli uomini e trascinarli


nel peccato. Secondo l’immaginario medievale, la loro in-
fluenza era particolarmente forte sulle donne. È questo il
motivo per cui le donne trovavano nel mondo soprannatu-
rale allo stesso tempo degli alleati che favorivano la loro
uguaglianza con gli uomini (le ragazze avevano un angelo
custode esattamente come i ragazzi) e dei nemici che giu-
stificavano la condizione più o meno inferiore nella quale
erano spesso confinate.

Non comprendiamo bene in che modo angeli e demoni riu-


scissero ad avere una tale importanza nella vita quotidiana...

Ebbene, dovete immaginare gli uomini e le donne del Me-


dioevo come presi nel vortice delle coorti celesti, mentre si
dibattono tra angeli caritatevoli e demoni ostili. Perché co-
sì dovete immaginarli, un po’ come nei film e nei fumetti
di fantascienza di oggi, dove vedete esseri umani oggetto
del favore e soprattutto delle aggressioni di personaggi fa-
volosi, extraterrestri.

Questo dipende forse dal fatto che nel Medioevo la gente


aveva paura?

La paura del diavolo e dei demoni era grande, ma ancora


più forte era la paura dell’inferno. Ciò nonostante, le per-
sone del Medioevo conoscevano la gioia e la felicità, in par-
ticolare grazie alla preghiera. E non ignoravano il piacere

73
più terreno. Anche la natura poteva far paura, in partico-
lare le foreste ed i mari.

SANTE E SANTI

E cosa portavano i santi e le sante in questo mondo popola-


to di angeli e demoni?

Sante e santi costituiscono una specificità cristiana. Come


sono nati? Si è immaginato che certe donne e certi uomini,
a causa della loro eccezionale devozione e del loro com-
portamento ispirato a carità, potessero accedere a una sor-
ta di rango intermedio tra gli angeli e gli uomini. Per esal-
tare la loro devozione e ricompensare la loro virtù, Dio ne
fece i suoi messaggeri presso gli uomini. Essi divennero
realizzatori di miracoli, in specie guaritori straordinari per
casi di malattie giudicate impossibili da curare, o agenti in
grado di intervenire in situazioni disperate: naufragi, in-
cendi, disgrazie di ogni tipo. I santi erano considerati in-
tercessori benevoli e benefici presso Dio. Ed è questo il
motivo per cui furono anche oggetto di culto, vale a dire
che li si venerava, che si rivolgevano loro delle preghiere...
Ma la loro virtù, il loro potere, non trovava in essi la pro-
pria fonte: erano soltanto i delegati di Dio. Egli solamente
compiva i miracoli, e i cristiani non dovevano divinizzare i
santi. Il culto, la venerazione che si tributava loro, era dun-
que inferiore a quello reso a Dio.

Ma per la gente erano comunque i santi a fare i miracoli!

74
Sì, ma i loro miracoli manifestavano innanzitutto la poten-
za di Dio, capace anche di andare contro le leggi della na-
tura. Ricordo che per i cristiani del Medioevo (e ancora og-
gi), è Dio stesso che ha creato la natura e istituito le sue leg-
gi: per tale ragione, si pensava, egli limitava numero e fre-
quenza dei miracoli. Ma avete ragione: si poteva facilmen-
te dimenticare Dio e vedere soprattutto la potenza dei san-
ti. Per affermare risolutamente che è Dio a fare i miracoli
e a fissarne il numero, la Chiesa decise dunque, nel Due-
cento, che santi e sante potevano compiere miracoli solo
dopo la morte, cosa che li differenziava dagli stregoni pa-
gani. All’inizio localizzò i miracoli nei pressi della loro tom-
ba, ma in seguito, li «delocalizzò»: i santi, se Dio accoglie-
va le preghiere di coloro che li invocavano, erano capaci di
compiere miracoli ovunque.

Tuttavia alcuni santi sono più famosi di altri...

Infatti. Questo modo di intercedere presso Dio affinché


compisse miracoli produsse anch’esso una qualche gerar-
chia tra i santi: i grandi santi erano capaci di compiere ogni
sorta di miracoli, altri ne compivano soltanto in luoghi de-
terminati e in specie presso la loro tomba. Al di fuori di Ge-
sù, solo la Vergine poteva compiere ogni sorta di miraco-
lo, e questo rafforzava il suo carattere divino.

75
IL MERAVIGLIOSO CRISTIANO

Ma con tutti questi angeli e demoni, questi santi, questi es-


seri soprannaturali che popolano l’immaginario dei cristiani,
cos’è che differenzia i cristiani dai pagani?

È una buona domanda. Quale fu l’atteggiamento della


Chiesa di fronte ai pagani? Essa combatté il «paganesimo»
innanzitutto in due modi: sia distruggendo gli oggetti di
culto pagani (statue, altari...), sia «cristianizzandoli». Ad
esempio, i pagani veneravano spesso alberi o sorgenti. La
Chiesa fece abbattere i primi, e la maggior parte degli al-
beri adorati dai pagani scomparve. Era un’epoca intolle-
rante (ne abbiamo già parlato) nella quale non si facevano
sconti all’avversario. Da parte cristiana, tra i più tenaci di-
struttori di alberi sacri pagani va annoverato uno dei più
grandi santi degli inizi del Medioevo, san Martino di
Tours, il quale fu anche un modello di carità: tagliò il suo
mantello in due dandone la metà ad un povero seminudo.
Non avrebbe potuto darglielo tutto? La condivisione è uno
stadio della carità, oltre la quale c’è il dono!

E come andò con le sorgenti?

Furono «cristianizzate». Si ritenne che la loro acqua fosse


non un’acqua sacra ma, a partire dal momento in cui un
santo l’aveva benedetta, un’acqua capace di produrre ef-
fetti benefici. È questo il motivo per cui molte cappelle cri-
stiane dedicate a santi furono costruite nelle vicinanze di
una sorgente cristianizzata. Tuttavia, per ritornare alla vo-

76
stra domanda, per molti aspetti l’immaginario pagano so-
pravvisse, in particolare quando assumeva forme capaci di
affascinare. In questo senso, ad esempio, l’universo medie-
vale rimase popolato di mostri, in particolare di mostri ala-
ti, i draghi. D’altra parte, accanto ai santi, il popolo cri-
stiano del Medioevo continuò a venerare donne dotate di
speciali poteri soprannaturali e spesso notevoli per la loro
bellezza: sono le fate, come Melusina o Viviana. I nani e i
giganti facevano anch’essi una forte impressione, e poteva-
no essere buoni (il nano Oberon, il gigante san Cristoforo)
o cattivi.

Ma come reagiva la Chiesa di fronte a queste credenze?

Per designare l’immaginario pagano e questi esseri un po’


«a metà», quando non francamente malvagi, coniò una pa-
rola particolare: il «meraviglioso». Certo, il meraviglioso è
inferiore al miracolo: pur mancando del suo carattere sa-
cro, religioso, conserva però l’idea di una realtà sopranna-
turale, il più delle volte invisibile ma che può anche dar
luogo a delle apparizioni, come quelle degli angeli e dei de-
moni.

Può farci un esempio?

Sì, c’è un essere meraviglioso in cui si manifesta chiara-


mente la tendenza a fondere immaginario pagano ed im-
maginario cristiano: è il liocorno, un essere favoloso in-
ventato dai sapienti dell’Antichità, che ne facevano un ani-
male dotato di un unico lungo corno. Ebbene, i cristiani at-

77
tribuirono al liocorno dei poteri posti in relazione con il
Cristo: divenne il simbolo di una donna che sfuggiva ai cac-
ciatori, una specie di vergine mezza pagana e mezza cri-
stiana. Nel museo di Cluny a Parigi si vede un arazzo del
Quattrocento in cui una bellissima donna accoglie un lio-
corno. Lo si chiama, appropriatamente, l’arazzo della «da-
ma col liocorno».
Capitolo VIII
La cultura

La cultura, lo studio ed il sapere erano importanti nel Me-


dioevo?

Per la religione cristiana, gli uomini – e le donne! – del Me-


dioevo dovevano onorare Dio attraverso il sapere e la bel-
lezza. Tuttavia erano principalmente i chierici a farsi cari-
co di questo ideale, ed era soprattutto nei monasteri e nel-
le chiese che vi era, e innanzitutto per loro, la possibilità di
seguire un insegnamento e di realizzare opere d’arte. Nei
monasteri infatti, sino al Duecento, vi era una stanza par-
ticolare, chiamata scriptorium (dal latino scribere, «scrive-
re»), nella quale i monaci redigevano i libri di devozione
decorandoli essi stessi o facendoli decorare da disegnatori
e pittori. I monaci ricopiavano anche i manoscritti dell’An-
tichità, avevano dunque un ruolo di «copisti» e di «tra-
smettitori».

79
LE ARTI E LE LETTERE

Sta parlando delle miniature che si vedono nella parte supe-


riore delle pagine?

Sì, ma non solo: al margine dei manoscritti si vedono pure


esseri di fantasia. Nel Medioevo, infatti, l’attività artistica
viveva una condizione intermedia tra un’arte dove era an-
cora forte la manualità, un’arte frutto del lavoro artigiana-
le, e una creazione di sapere e bellezza che alla fine del Me-
dioevo sarebbe diventata l’arte propriamente detta. In ge-
nerale, si ritiene che il pittore Giotto, il quale nel Trecen-
to operò ad Assisi, la città di san Francesco, a Firenze, a Pa-
dova e a Roma, sia stato il primo ad essere considerato un
artista. Ed era un laico. In effetti, si può dire che nel Me-
dioevo la scienza e l’arte si «laicizzano», vale a dire pren-
dono sempre più le distanze dall’influenza della religione.
A partire all’incirca dal Duecento, i più importanti centri
del sapere e dell’attività artistica passeranno dai conventi e
dalle chiese nelle città, in luoghi e spazi che non sono più
nelle mani dei chierici.

Tuttavia quando si parla di arte del Medioevo si mostrano


soprattutto monumenti religiosi.

Sì, perché le chiese rimangono i luoghi in cui, a parte l’ar-


chitettura, si sviluppano le due grandi arti del Medioevo,
la scultura e la musica, senza contare gli affreschi. La pit-
tura a olio di quadri dipinti su cavalletto comparirà solo nel
Quattrocento.

80
La musica?

Sì, il Medioevo è stato una grande epoca per la musica: ad


esso dobbiamo, ad esempio, la creazione e lo sviluppo del
liuto, di una sorta di violino, e dell’organo. Quest’ultimo
finì per acquistare dimensioni tali da rendere necessarie
nelle chiese apposite tribune per ospitarlo, con mostre d’or-
gano sempre più grandi. Ma il più importante strumento
musicale rimase nel Medioevo la voce umana. Vennero in-
fatti inventate nuove notazioni musicali e nuovi modi di
cantare, in particolare a più voci: è la «polifonia» (parola
che viene dal greco e significa «molte voci»). Aggiungo che
nel Trecento la musica si andò modernizzando con partico-
lari forme che ricevettero il nome di ars nova, «arte nuova».

Parlando dei cavalieri della Tavola Rotonda, abbiamo già vi-


sto che si scrivevano anche dei romanzi.

Sì, la letteratura ebbe grande considerazione nel Medioe-


vo, e ad essa dobbiamo una «creazione letteraria» di parti-
colare valore. Nel XII e XIII secolo furono composti, spes-
so in modo anonimo (non si conosce il nome degli autori),
diversi cicli di storie e leggende: le «chansons de geste», os-
sia componimenti che raccontavano imprese guerresche
come quella di Carlo Magno (narrate ad esempio nella
Chanson de Roland). Vanno ricordati anche i «romanzi
cortesi», nei quali l’amore aveva un posto di tutto rilievo,
ed un grande autore del XII secolo originario della Cham-
pagne: Chrétien de Troyes. Abbiamo già parlato dei ro-
manzi che raccontavano la leggenda arturiana. Ma si ritie-

81
ne che il più grande scrittore e poeta del Medioevo sia sta-
to Dante Alighieri, che all’inizio del Trecento scrisse un
grande poema epico, la Divina Commedia, tutto in volga-
re, cioè direttamente in italiano. Esso racconta il viaggio
dell’autore guidato da un grande poeta dell’Antichità ro-
mana, Virgilio, attraverso l’aldilà: inferno, purgatorio, pa-
radiso, dove l’amante defunta del poeta, Beatrice, suben-
tra a Virgilio come guida.

E il teatro?

Nei primi secoli del Medioevo il teatro era scomparso, per-


ché i cristiani lo consideravano un’arte pagana. Ma nel XII
secolo ricomparve nei conventi e soprattutto, nel Duecen-
to, nelle città. In Francia, una città particolarmente famo-
sa per l’attività letteraria e teatrale era Arras. Nei paesi del
Meridione della Francia, dove si parlava la «lingua d’oc»
(da questo nome deriva anche quello di una regione della
Francia, la Linguadoca), Tolosa costituì il centro di una so-
cietà di poeti e artisti che organizzava i Jeaux Floraux, un
concorso poetico.

IL SAPERE E L’INSEGNAMENTO

E... cosa si sapeva nel Medioevo? Cosa si insegnava e cosa si


imparava?

I chierici avevano adottato la classificazione delle scienze


in uso presso i Romani. Si insegnavano innanzitutto tre sa-

82
peri di base, le tre arti dette «liberali» (chiamate anche tri-
vium, le «tre vie»): grammatica, retorica e dialettica; se-
guivano poi le quattro scienze superiori (quadrivium, le
«quattro vie»): aritmetica, geometria, musica e astrono-
mia.

Ma questo sapere non è religioso!

Infatti si tratta di materie «profane», non religiose, come


nei moderni programmi scolastici. Detto questo, la religio-
ne occupa sempre un posto di tutto rilievo nel Medioevo.
Comunque, anche in questo campo si ebbero delle evolu-
zioni. Oltre alle opere la cui destinazione serviva essenzial-
mente a fini di culto, i chierici coltivarono una conoscenza
di Dio e delle sue opere sempre più approfondita: la «teo-
logia» (termine che viene dal greco e significa «studio di
Dio»).

Esistevano, come oggi, delle «scuole»?

No, non proprio come oggi, ma l’insegnamento che chia-


meremmo oggi «primario» e «secondario» iniziò a radi-
carsi nelle città a partire dal XII secolo. Tuttavia, non era
ancora né generale né obbligatorio. In particolare, pure se
si ebbero scuole femminili e maestre di scuola, l’istruzione
delle donne era molto limitata. In queste scuole i bambini
apprendevano innanzitutto a leggere, e il libro sul quale
imparavano a farlo era il Salterio, vale a dire il libro bibli-
co dei Salmi (o «preghiere») che fa parte dell’Antico Te-
stamento. Imparavano anche a far di conto: nel XII secolo

83
gli europei ripresero dagli arabi l’uso del numero zero, la
cui introduzione si deve all’India, cosa che cambiò, facili-
tandole di molto, le procedure di calcolo.

Come si diventava uno studioso o un professore?

Sempre nel XII secolo – secolo di grande dottrina, nel qua-


le la Chiesa ricorda con forza che Dio ha creato l’uomo,
compresa la sua intelligenza, a propria immagine – si svi-
luppò ciò che oggi chiamiamo l’«insegnamento universita-
rio». Dapprima venne impartito nelle chiese e nei conven-
ti (ad esempio, a Parigi, nella cattedrale e nella chiesa
dell’abbazia di Saint-Victor), quindi in scuole particolari
che ricevettero in seguito il nome di «università». Questa
parola deriva dal fatto che nell’università (universitas, in la-
tino) si insegnano tutte le branche del sapere.

Come erano organizzate le università?

C’erano in generale tre grandi complessi. La facoltà delle


arti si occupava delle scienze di base; alle due facoltà di di-
ritto venivano insegnati il diritto civile da un lato e il dirit-
to religioso (o diritto «canonico») dall’altro, e quest’ultimo
conobbe un forte sviluppo; c’era infine la facoltà di teolo-
gia. Ogni università era famosa per il tale o talaltro ambito
di insegnamento. Così, la grande università per gli studi di
diritto fu quella di Bologna (in Francia, la più nota per il
diritto era Orléans). L’università più importante per
l’insegnamento della teologia era Parigi. E abbiamo già vi-
sto che la più importante facoltà di medicina si trovava a

84
Montpellier (che non faceva ancora parte del regno di
Francia). Nel Duecento verrà elaborato un nuovo metodo
dottrinario e di studio che riuscirà a ottenere risultati com-
parabili a quelli della filosofia greca: la «Scolastica», i cui
grandissimi maestri furono il tedesco Alberto Magno e gli
italiani Bonaventura e Tommaso d’Aquino.

In che lingua si insegnava?

In latino ovviamente, cosa che spiega come la maggior par-


te dei maestri potesse insegnare al di fuori del proprio pae-
se d’origine in tutta Europa. Alberto insegnò a Colonia, ma
Bonaventura e Tommaso d’Aquino furono professori di
teologia a Parigi. Vi furono anche altri grandi centri intel-
lettuali: Oxford e Cambridge in Inghilterra, Salamanca in
Spagna... In seguito, dal XIII al XV secolo, le università
sorsero un po’ dovunque nell’Europa cristiana, da Uppsa-
la in Svezia a Coimbra in Portogallo, da Napoli a Heidel-
berg in Germania, a Cracovia in Polonia. Anche gli stu-
denti si spostavano da una università all’altra.

LA FESTA

Nel Medioevo si amava far festa (al di fuori delle occasioni


religiose)?

Sì, molto. Tanto per gli uomini che per le donne la festa co-
stituiva un avvenimento importante. E questo era dovuto
sia alle antiche tradizioni pagane (essenzialmente contadi-

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ne) che erano sopravvissute o si erano rinnovate, sia alla li-
turgia cristiana. Il Medioevo ha visto così la comparsa di
una festa contadina destinata in seguito ad un grande suc-
cesso, anche se più o meno combattuta dalla Chiesa: il car-
nevale. Nelle descrizioni della vita quotidiana che sono
giunte sino a noi compare allora l’idea di un forte contra-
sto tra le feste considerate pagane, particolarmente vivaci,
e quelle della liturgia cristiana, che spesso evocano la pas-
sione del Cristo. Se ne ha un esempio, tra gli altri, nel Com-
battimento tra Carnevale e Quaresima, titolo di un famoso
quadro del Cinquecento del pittore fiammingo Bruegel.
Ma grandi feste cristiane come il Natale o la Pasqua erano
egualmente molto gioiose.

Chi vinceva? Il fascino del carnevale in cui ci si divertiva


molto, o la serietà della quaresima, imposta dalla Chiesa?

Per combattere o temperare i canti e le danze laiche (chia-


mate «carole»), la Chiesa sviluppò, soprattutto in am-
biente urbano, nuove feste, destinate ad appagare il biso-
gno delle persone di ritrovarsi e a rafforzare il loro desi-
derio di formare delle comunità solidali (che erano anche,
lo abbiamo sottolineato, ben «gerarchizzate»). Organizza-
va dunque numerosissime processioni, soprattutto nelle
città, nelle quali i diversi gruppi della popolazione sfila-
vano secondo il rango sociale: in testa il clero, in coda i
laici poveri. Anche se non hanno più la stessa importanza
che nel Medioevo, processioni simili continuano ad esi-
stere in molte città europee nei diversi momenti dell’an-
no, costituendo spesso importanti occasioni di festa, del-

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la durata di parecchi giorni: ad esempio la Settimana San-
ta a Siviglia, in Spagna, o, in Francia, i pardons della Bre-
tagna.
Conclusione
La nascita dell’Europa

Il Medioevo costituisce dunque un lungo periodo: se non


si ritiene si possa farlo durare, come io credo, sino alla fine
del Settecento, con la nascita dell’industria moderna e la
Rivoluzione francese, nondimeno è opinione condivisa che
esso sia durato dieci secoli, dal V al XV secolo: mille anni!
Questo lungo periodo ha conservato il nome che gli è sta-
to dato nel Rinascimento e che aveva all’inizio un significa-
to peggiorativo: abbiamo visto come qualcuno, ancora oggi,
consideri il Medioevo come un’epoca negativa o spregevo-
le, allo stesso tempo violenta, oscura ed ignorante. Sappia-
mo adesso che questa immagine è falsa, anche se vi è stato
certamente un Medioevo di violenza: non soltanto di con-
flitti e guerre tra gruppi e paesi, ma di violenze contro gli
ebrei, con gli inizi dell’antisemitismo, e di repressione con-
tro i ribelli all’insegnamento della Chiesa – coloro che veni-
vano chiamati «eretici» – per mezzo dell’Inquisizione. Le
Crociate, ovviamente, rientrano in questo bilancio negativo.
Ma il Medioevo è stato anche, e ritengo persino innanzi-
tutto, una grande epoca creatrice. Lo si vede nel campo

89
delle arti, delle istituzioni (ad esempio le università), so-
prattutto nelle città, o ancora per quanto riguarda le con-
quiste del pensiero. La filosofia chiamata «Scolastica» ha
raggiunto vette altissime di sapere. Abbiamo anche visto si-
no a qual punto il Medioevo abbia creato «luoghi
d’incontro» commerciali e festivi (fiere, mercati, feste) che
contribuiscono ancor oggi ad organizzare la nostra vita.

LA NASCITA DELL’EUROPA

Peraltro, il Medioevo ha saputo realizzare una specifica


combinazione tra diversità ed unità. La diversità è rappre-
sentata dalla nascita di quelle che iniziano ad essere le na-
zioni: la Francia e la Germania dal IX secolo, l’Inghilterra
alla fine dell’XI secolo, la Spagna dalla fine del XV secolo,
quando Castiglia ed Aragona verranno riunite con il ma-
trimonio di Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona.
L’unità, o una certa unità, deriva dalla religione cristiana,
che si impone dappertutto. L’abbiamo già sottolineato:
questa religione riconosceva la distinzione tra chierici e lai-
ci, tanto che si può dire che il Medioevo ha in generale se-
gnato la nascita di una società laica. Va inoltre considerata
la diffusione di uno stesso tipo di insegnamento: del resto,
le università, anche se non vi si insegna più in latino, sono
ancora oggi, dappertutto, il luogo dell’insegnamento post-
scolastico. Occorre infine aggiungere una grande eredità
artistica comune.
Ciò equivale a dire che il Medioevo è stato il periodo in
cui è apparsa, o si è costituita, l’Europa. Se le varie epoche

90
della civiltà hanno un ruolo, una missione nell’insieme del-
lo sviluppo storico, si può affermare che la missione del
Medioevo è stata quella di far nascere, di «generare» l’Eu-
ropa. È nostro compito, oggi, il consolidarla e completar-
la; il Medioevo ha trasmesso all’Europa un movimento di
unità e di diversità insieme, un movimento dal quale pos-
siamo ancora trarre ispirazione.
Non è un caso se il termine «Europa», che appare di ra-
do negli scritti del Medioevo, compaia alla metà del Quat-
trocento nel titolo di un trattato scritto da papa Pio II. A
questo riguardo il Quattrocento può essere considerato
come l’epoca di un primo compiersi del Medioevo.

IL MEDIOEVO:
INCONTRARE NELLO STESSO TEMPO
L’ALTRO E SE STESSI

Se studiate il Medioevo, se riconsiderate l’eredità che ci ha


lasciato, in particolare quella artistica, vi accorgerete che è
diverso da ciò che siamo, da ciò che l’Europa è oggi di-
ventata. Avrete come l’impressione di fare un viaggio
all’estero, in Egitto, India, Cina o America Centrale... Cer-
to, non si tratta di rifare il Medioevo, ma di non dimenti-
care che gli uomini e le donne di questo periodo sono i no-
stri antenati, che il Medioevo è stato un momento essen-
ziale del nostro passato, e che quindi un viaggio nel Me-
dioevo potrà darvi il duplice piacere di incontrare insieme
l’altro e voi stessi.

91
Cronologia essenziale
del Medioevo

410: i Visigoti di Alarico conquistano e saccheggiano Roma.


451: il generale romano Ezio ferma Attila ai Campi Catalaunici,
presso Troyes.
476: il capo barbaro Odoacre depone l’imperatore d’Occidente
Romolo Augustolo e rimanda le insegne imperiali a Costan-
tinopoli.
500 ca.: battesimo a Reims di Clodoveo, nipote di Meroveo, re
dei Franchi.
529: san Benedetto da Norcia, fondatore dell’ordine benedetti-
no, è attivo a Montecassino.
590: Colombano ed i monaci irlandesi fondano dei monasteri in
Gallia.
632: morte del profeta Muhammad (Maometto), fondatore
dell’islam.
700 ca.: «re fannulloni» della dinastia merovingia.
711: i «mori» del Marocco iniziano la conquista della Spagna.
732: Carlo Martello ferma i musulmani a Poitiers.
754: inizio della dinastia carolingia (Pipino il Breve).
787: secondo Concilio di Nicea: Carlo Magno autorizza le im-
magini nell’arte cristiana.

93
800: Carlo Magno incoronato imperatore a Roma.
842-843: il trattato di Verdun divide l’impero di Carlo Magno: è
«l’atto di nascita» della Francia e della Germania. Nell’842 il
giuramento di Strasburgo utilizza per la prima volta le lingue
«volgari» (francese e tedesco al posto del latino).
850 ca.: avvio dei grandi disboscamenti. Utilizzo dell’aratro a
settentrione della Loira.
910: fondazione dell’abbazia di Cluny (monaci cluniacensi).
962: Ottone il Grande di Sassonia è incoronato imperatore. Fon-
dazione del Sacro Romano Impero di nazione germanica.
966: battesimo del duca polacco Mieszko.
972: fondazione del vescovado di Praga.
985: battesimo del capo ungherese Vajk (santo Stefano). Batte-
simo del principe Vladimiro di Kiev ad opera di cristiani or-
todossi bizantini.
987: inizio della dinastia capetingia (Ugo Capeto).
1016-1035: Knud (Canuto) il Grande, re di Danimarca ed In-
ghilterra.
1023: ad Orléans vengono bruciati i primi eretici (il re Roberto
il Pio lo dispone su richiesta della Chiesa).
1032-1033: grande carestia in Occidente.
1035 ca.: costruzione di un ponte in pietra ad Albi.
1054: rottura tra Roma (Chiesa d’Occidente) e Costantinopoli
(Chiesa d’Oriente).
1066: Guglielmo il Conquistatore re d’Inghilterra.
1081: comparsa di «consigli» borghesi a Pisa.
1085: presa di Toledo da parte di Alfonso VI di Castiglia.
1086: prima menzione di un mulino a pestelli in Normandia
(Saint-Wandrille).
1095: prima Crociata; ondata antisemita.
1098: fondazione dell’abbazia di Cîteaux (monaci cistercensi).

94
1100 ca.; avvio del prosciugamento delle paludi delle Fiandre
(polder).
Fine dell’XI secolo: il diritto inizia ad attirare studenti a Bolo-
gna. Riforma detta «gregoriana», varata da papa Gregorio
VII (impone, tra l’altro, il celibato dei chierici).
XII secolo: nell’architettura delle chiese si passa dallo stile ro-
manico allo stile chiamato (molto più tardi) «gotico».
1122: Suger, abate di Saint-Denis (arte della vetrata, arte gotica).
1141: Pietro il Venerabile, abate di Cluny, fa tradurre il Corano
in latino.
1153: morte di san Bernardo, il più famoso dei monaci di Cî-
teaux.
1209-1229: la Chiesa e i francesi del Settentrione contro gli ere-
tici del Meridione: crociata contro gli albigesi (catari).
1210 e 1215: fondazione degli ordini mendicanti, francescano e
domenicano, da parte di san Francesco e san Domenico.
1214: battaglia di Bouvines (Filippo Augusto).
1215: la Chiesa regolamenta il matrimonio e la confessione e pre-
dispone misure contro gli ebrei e gli eretici.
1216: morte del papa Innocenzo III, che rivendicava la superio-
rità del papa sui re e gli imperatori.
1229-1231: sciopero all’Università di Parigi.
1231: il papa vara l’Inquisizione.
1242: prima descrizione di un timone di poppa (mobile e a pop-
pavia della barca).
1248: presa di Siviglia ad opera dei castigliani.
1253: fondazione di un collegio per studenti di teologia indigenti
ad opera del canonico Roberto di Sorbon, all’Università di
Parigi (la futura Sorbona).
Secoli XII-XIV: costruzione delle cattedrali (Notre-Dame di Pa-
rigi, Chartres, Reims, Amiens, poi Strasburgo, Colonia...).
Metà del XIII secolo: la filosofia e la teologia scolastiche al loro

95
apice (Alberto Magno, Bonaventura, Tommaso d’Aquino).
Prestigio del diritto all’Università di Bologna e della teologia
all’Università di Parigi.
1268: primo mulino per fabbricare la carta a Fabriano.
1270: morte di san Luigi; fine dell’ottava ed ultima Crociata.
1284: crollo delle volte della cattedrale di Beauvais (48 metri di
altezza).
1291: caduta di San Giovanni d’Acri, ultimo bastione cristiano
in Palestina.
1300: prima menzione certa degli occhiali (in precedenza gli stu-
diosi si servivano di un pezzetto di quarzo).
1307-1321: Dante Alighieri scrive in italiano la Divina Comme-
dia.
1309-1377: i papi ad Avignone.
1321: massacro dei lebbrosi e degli ebrei accusati di avvelenare
i pozzi.
1347-1348: inizio delle grandi epidemie di peste nera (sino al
1720).
1374 e 1375: morte dei primi «umanisti» italiani, Petrarca e Boc-
caccio. Inizio del giudizio negativo sul «Medioevo», sulla
Scolastica e sull’arte medievale.
1378: inizio del Grande Scisma.
1394: gli ebrei vengono espulsi definitivamente dalla Francia.
1397: Danimarca, Norvegia e Svezia formano l’unione di Kal-
mar.
1415: Jan Hus viene bruciato come eretico al concilio di Co-
stanza.
1420-1436: Brunelleschi costruisce la cupola del Duomo di Fi-
renze, prima grande opera architettonica del Rinascimento.
1431: Giovanna d’Arco viene arsa sul rogo per eresia a Rouen.
1450: invenzione della stampa da parte di Gutenberg a Magon-
za.

96
1453: fine della Guerra dei Cent’anni tra Francia ed Inghilterra.
Presa di Costantinopoli ad opera dei turchi.
1455: comparsa della prima Bibbia a stampa.
1458-1464: pontificato di papa Pio II, propugnatore
dell’Europa.
1469: matrimonio dei «Re Cattolici» Isabella di Castiglia e Fer-
dinando d’Aragona.
1472: Botticelli dipinge la Primavera, opera del Rinascimento, a
Firenze.
1492: scoperta del «Nuovo Mondo» ad opera di Cristoforo Co-
lombo, espulsione degli ebrei dalla Spagna e fine della pre-
senza musulmana in Andalusia (conquista di Granada e uni-
ficazione della Spagna).
1494: con il trattato di Tordesillas, la Spagna ed il Portogallo si
dividono il mondo sotto l’egida del papa Alessandro VI Bor-
gia.
L’autore

Jacques Le Goff è tra i massimi storici del Medioevo. Per i


nostri tipi dirige la collana “Fare l’Europa” e ha pubblica-
to la maggior parte delle sue opere. Tra queste: Alla ricer-
ca del Medioevo; La borsa e la vita. Dall’usuraio al banchie-
re; Il cielo sceso in terra. Le radici medievali dell’Europa; Il
Dio del Medioevo; Eroi & meraviglie del Medioevo;
L’Europa medievale e il mondo moderno; L’Europa raccon-
tata da Jacques Le Goff; L’immaginario medievale; Immagi-
ni per un Medioevo; Il Medioevo. Alle origini dell’identità
europea; Il meraviglioso e il quotidiano nell’Occidente me-
dievale; Il re nell’Occidente medievale; I riti, il tempo, il ri-
so. Cinque saggi di storia medievale; San Francesco d’Assisi;
Una vita per la storia. Intervista con Marc Heurgon e, in col-
laborazione con Nicolas Truong, Il corpo nel Medioevo. Ha
inoltre curato: L’uomo medievale e, con Cesare de Seta, La
città e le mura.
Indice
Per accostarsi a questo libro da ragazzi...
e anche dopo VII

I. Il Medioevo 3

II. I cavalieri, la dama e la Madonna 13

III. Castelli e cattedrali 25

IV. Gli uomini del Medioevo 37

V. I potenti 51

VI. La religione e l’unità dell’Europa 59

VII. L’immaginario religioso del Medioevo 71

VIII. La cultura 79

Conclusione. La nascita dell’Europa 89

Cronologia essenziale del Medioevo 93

L’autore 99

103

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