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Storia Antica E Medievale - Riassunto

storia antica e medievale (Università di Pisa)

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INTRODUZIONE ALLA STORIA


MEDIEVALE
CAPITOLO 1: L’età medievale: spazio, tempo e
periodizzazioni
Per “periodizzare” significa individuare nel flusso del tempo, momenti di frattura e fasi più
omogenee.

1. Una parentesi negativa


Il termine “medioevo” si diffonde a partire da alcune opere storiche composte tra il
Quattrocento e il Seicento, a indicare il periodo che separava quei secoli dall’impero romano
e dall’età classica.
Tendenzialmente questo termine viene assunto con connotazione negativa, dato che veniva
visto come un tempo in cui la cultura, il linguaggio e l’arte erano scesi a un livello inferiore
rispetto sia a quello classico, sia a quello umanistico. É quindi una periodizzazione che
nasce in negativo, come giudizio di pesante condanna per la civiltà che si frapponeva tra
l’Umanesimo e l’Antichità.

2. Pensare il tempo, pensare la storia


L’idea ciclica del tempo nasce da una visione naturalistica, basata sull’idea di un ciclo di vita
costituito da nascita, sviluppo, morte e rigenerazione. É una visione fondata
sull’osservazione della natura e riproposta come chiave di lettura per la storia umana.
Per gli umanisti del secolo XV la nozione di medioevo rimanda a un’idea di rinascita, di
ritorno agli splendori culturali del mondo classico. Gli umanisti hanno un’idea ciclica del
tempo e della storia umana.
D’altro canto invece, l’Illuminismo propone una concezione lineare del tempo, centrata
sull’idea di progresso.

3. Determinare gli spazi


La periodizzazione è un’operazione interpretativa, ovviamente essa non può proiettarsi in
modo omogeneo sulla storia universale, perché ogni spazio di civiltà ha seguito dei ritmi di
cambiamento del tutto specifici.
La nozione di medioevo nasce in riferimento all’Europa Occidentale, nella zona del
Mediterraneo. L’uso di suddetta nozione é stato previsto anche in altri spazi di civiltà in cui
sono state riscontrate delle affinità formali, come ad esempio in Giappone.

4. Inizio e fine del medioevo


La fine e l’inizio di questo periodo sono stati assoggettati a interpretazione da parte degli
storici, che hanno voluto assimilarle a date significative. Ma come si sa, nulla accade
dall’oggi al domani, soprattutto in storia, dove talvolta è difficile constatare con esattezza
date precise e certe.

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La teoria di periodizzazione più consolidata é quella che individuo l’inizio del medioevo nel
476, con la caduta dell’impero romano d’Occidente. In quell’anno infatti Odoacre depose
l’imperatore Romolo Augustolo e inviò le insegne imperiali a Costantinopoli. Molte altre date
sono state proposte come momento di inizio del medioevo, ad esempio:
● 313 - anno in cui l’imperatore Costantino concesse la libertà di culto ai cristiani
● 324 - anno un cui l’imperatore Costantino rifondò la città di Bisanzio sul Bosforo con
il nuovo nome di Costantinopoli e divenne la seconda capitale dell’impero
● 410 - anno in cui per la prima volta, dopo secoli, Roma fu violata dal saccheggio dei
Visigoti di Alarico
● 622 - anno dell’Egira

Lo stesso analogo processo é stato formulato per individuare una data indicativa per la fine
del medioevo, assimilata al 1492, con la scoperta dell’America per ora di Cristoforo
Colombo. Suddetta data é stata scelta poiché interpretata come un modo per porre al centro
dell’attenzione l’apertura dell’Europa verso l’Atlantico e le grandi rotte commerciali. Altre
date però possono essere ad esempio:
● 1453 - anno in cui si segnò la definitiva caduta dell’impero bizantino di fronte agli
ottomani
● 1348 - anno in cui la grande epidemia di peste nera uccise oltre un terzo della
popolazione europea
● 1522 - anno del concilio di Wars che condannò Lutero e sancì la grande frattura
religiosa tra cattolici e protestanti
● 1492 - anno in cui, oltre alla scoperta dell’America, vi è la fine dell’ultimo dominio
islamico in Spagna

Non esiste una data assolutamente giusta e una data assolutamente sbagliata: esiste solo
un uso sbagliato delle date, perché sarebbe fuorviante pensare che un singolo avvenimento,
per quanto importante, possa mutare le strutture complessive del vivere associato.

5. Negare il medioevo
L’idea di medioevo è stata in seguito plasmata per definire cronologie profondamente
diverse. Nel corso della seconda metà del 900 hanno trovato spazio crescente alcune nuove
linee di ricerca incentrate su aspetti della vita umana, le cui funzioni faticano a rientrare nella
scansione cronologica espressa nell’idea di medioevo.
Studiosi come Jacques Le Goff o Massimo Montanari hanno di fatto negato l’utilità della
nozione di medioevo come strumento di periodizzazione. Hanno rifiutato l’idea di medioevo,
suggerendo cronologie diverse scandite da ritmi di cambiamento propri. In altri termini erano
fermamente convinti che negli anni che vanno dal 400 al 1400 e nello spazio europeo e
Mediterraneo, non potessero avere origine e conclusione tutti i temi e tutti i fenomeni che
vengono associati a quello spazio-tempo.

Possiamo smentire però questa teoria sostenendo l’importanza della periodizzazione come
strumento concettuale utile interpretare la storia.

6. Periodizzare il medioevo
Si possono individuare fasi in cui si addensano mutamenti di natura diversa, fasi quindi di
alto valore periodizzante. Una di esse è indubbiamente il cosiddetto “Tardoantico”.

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Quello che fino a metà del secolo XX era considerato semplicemente un periodo di declino
del mondo classico, è emerso con forza come un tempo segnato da una specifica civiltà e al
cui interno si realizzarono mutamenti profondi.
Il medioevo ha al suo interno una suddivisione convenzionale che prevede:
➢ Alto Medioevo, dal IV secolo al X secolo
➢ Pieno Medioevo, dal XI al 1250
➢ Tardo Medioevo, dal 1250 al XV secolo
Ed eventualmente un periodo Tardo Antico.
Il Medioevo fu un processo di profonda ristrutturazione delle forme del vivere associato;
nello stesso ambito cronologico si collocano due altri mutamenti strutturali di grande
importanza:
1) la grande rottura demografica e la conseguente riorganizzazione economica che si
innesca con la crisi del Trecento (dovuta all’epidemia di peste nera del 1348
2) la rottura dell’unità religiosa dell’Europa occidentale, periodo che va dalla ribellione di
Lutero al concilio di Trento
Si delineano quindi complessivamente due lunghe fasi plurisecolari, al cui centro vediamo
convergere mutamenti strutturali di natura diversa.

7. Che cos’è il Medioevo?


Per rispondere facciamo prima a dire cosa in realtà non è…
Sicuramente, dati i fatti storici, possiamo immaginare il periodo in questione come violento e
buio, in cui la civiltà non era omogenea ma frammentata. Cosa importante soprattutto è che
non si può ridurre il medioevo al puro concetto di feudalesimo.
Possiamo concludere affermando che il medioevo fu un’età di sperimentazione e di
integrazione di modelli diversi, un lungo periodo in cui - pur con grandi variazioni - le
aristocrazie hanno avuto la possibilità di controllare direttamente il potere.

CAPITOLO 6: Le città
In questo capitolo si affrontano le trasformazioni dell’assetto urbanistico e del ruolo politico
della città dal IV al XII secolo.

1. Città di pietra, città di uomini


Il primo a dare una prima definizione di città è stato il vescovo di Siviglia, Isidoro, il quale nel
1500 scrisse la prima enciclopedia (Etimologie) relativa al mondo medievale permettendo
agli studiosi futuri di capire molto di questo periodo.Nello specifico, in questa raccolta di
volumi, il vescovo si proponeva di descrivere e di raccogliere tutti i saperi del mondo
classico, tra cui per l’appunto anche i nomi. Nella fattispecie il secondo capitolo si dedicava
interamente agli edifici pubblici e al metodo più appropriato per descrivere la città. Isidoro
spiegò allora la differenza fra le due parole latine che servivano a designarla:
- Civitas: termine utilizzato per indicare nello specifico le persone legate da un vincolo
di comunanza, residenti all’interno di una determinata città
- Urbs: termine utilizzato per indicare l’insieme degli edifici e delle infrastruttura
circoscritte dalle mura

2. La città vescovile

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Le grandi vie consolari, insieme con le rotte costiere, avevano costituito una sorta di rete
infrastrutturale di cui le città costituivano i nodi funzionali.
In questo momento si registra il fenomeno, anche a seguito della crisi economica, unita a
una pressione fiscale sempre più forte, di migrazione verso le campagne. Quei pochi rimasti,
che potremmo considerare come l’elité cittadina, furono invece protagonisti di grandi
trasformazioni di quegli spazi urbani. L’intero impianto delle città fu profondamente
ristrutturato: lo spazio del foro rimase una piazza pubblica sede del mercato alimentare
giornaliero, le terme, le arene e in genere tutte le costruzioni monumentali caratteristiche dei
municipia romani furono destrutturate e talora reimpiegate in uso abitativi o produttivi. Il
nuovo polo urbano divenne la chiesa vescovile, dando al vescovo la carica di punto di
riferimento sia politico che religioso. Le sepolture si trasferirono in città, attorno e dentro alle
chiese.
Tutte queste trasformazioni sul piano religioso portarono la religione Cristiana ad affermarsi
ancora di più, come unica comunità guidante.

3. Le città che nascono nel Mille


Nelle aree europee più settentrionali (nord Europa), la vicenda urbana apparve molto
diversa. Le città nacquero solo a partire dal secolo XI, in coincidenza con un lungo periodo
di espansione demografica ed economica. Nacquero seguendo ciascuna un percorso
peculiare, ma tali percorsi si possono descrivere sulla base di due diverse modalità:
(1) associazione di più poli insediativi sorti spontaneamente in prossimità reciproca
(2) Una precisa iniziativa di fondazione da parte di principi o regnanti (fondazione ex
novo)

Nel primo caso, la crescita demografica e l’aumento della produzione agricola, avevano
aperto gli individui a svolgere attività diverse dall’agricoltura, spostandosi vicino alle mura.
Qui, andarono via via a insediarsi contadini, cavalieri e artigiani, creando dei veri e propri
borghi. Tra la fine del secolo XI e i primi decenni del secolo successivo, le élite locali presero
l’iniziativa di innalzare circuiti murari che includevano in una stessa cinta abitanti vecchi e
nuovi. Ovviamente, nell’Italia centro settentrionale, questa nuova costruzione non fu ben
vista dall’allora re Federico I Barbarossa, il quale, con ben sei spedizioni, fece radere al
suolo le mura costruite intono alle città di suo dominio. Solo successivamente, scendendo a
compromessi con i propri sudditi, concederà loro le carte di franchigia, ovvero dei
documenti che permettevano una gestione autonoma di attività commerciali e produttive da
parte dei cittadini.
É forse in questo aspetto che possiamo riscontrare, oltre alla conformazione urbanistica
totalmente diversa, una prima differenza rimarcata tra le città del nord Europa e quelle
centro-settentrionali dell’Italia. Le prime infatti erano riuscite ad accaparrarsi molti diritti
senza combattere, poiché concessi direttamente dal sovrano, le seconde invece sì erano
battute e opposte più e più volte, ricostruendo continuamente le mura che avevano una
funzione protettiva.
Le città sorte spontaneamente sono assai diverse da quelle fondate, poiché quest’ultime si
organizzano su assi viari ortogonali e sono racchiuse da un perimetro murario che si apre in
corrispondenza delle strade.

4. La crescita delle città di origine romana


A partire dal secolo XII, l’espansione delle città e l’incremento della loro popolazione
colpirono tutte le città d’Europa, indipendentemente dalla loro origine. Fu una crescita

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spontanea, anche se gestita razionalmente dai monasteri urbani che riconvertivano in tal
modo le loro terre a uso residenziale. Molti soggetti cominciarono a trasferirsi in prossimità
delle vecchie mura, in cerca di lavoro e di più favorevoli condizioni di vita. Nella seconda
metà del secolo XII, anche i nuovi Borghi furono inglobati nelle mura. Questo fenomeno
prende il nome di urbanesimo.
I numero patti che nel corso del secolo XII le città strinsero fra loro e con le comunità rurali
mostravano una precisa gerarchia giurisdizionale. Tale gerarchia si esprimeva attraverso
diritti e obblighi differenziati e regolati dai patti, in un primo tempo, e poi dagli statuti cittadini.
Questi obblighi riguardavano ad esempio: gli oneri fiscali, militari e l’accesso al giudizio
arbitrale. Includere nuovi abitanti nel corpo urbano significava allora richiamare a nuove
responsabilità i residenti nei borghi, anche se la loro piena partecipazione politica non
avvenne che nei primi decenni del secolo XIII.

5. La forza motrice entra in città


Le città europee nate fra i secoli XI e XII erano state, fin dalla loro costituzione, polifunzionali
e policentriche. Furono eseguiti importanti opere di canalizzazione per irrigare le acque da
condurre all’interno delle mura e nei fossati. L’acqua irrigata serviva anche a lavorare il
grano nei mulini che furono costruiti sempre più frequentemente. Queste importanti opere
infrastrutturali cambiarono profondamente le città, che da centri di commercio e consumo si
trasformarono in centri di produzione artigianale.

6. Piazze e palazzi pubblici


Durante tutto il secolo XII le magistrature comunali avevano trovato sede presso chiese
urbane. Molto spesso la chiesa prescelta non era la cattedrale, poiché il comune cercava di
allontanarsi dalle sedi del potere vescovile.
Fu solo dopo la pace di Costanza del 1183 e con la trasformazione podestarile degli istituti
comunali che si cominciarono a progettare e a realizzare sedi proprie delle magistrature
urbane. Queste sedi erano la piazza del comune, sede del mercato, e la torre campanaria,
che veniva costruita dal comune e con il suono della propria campana scandiva i ritmi della
giornata e i momenti in cui prendevano forma le riunioni del consiglio.

7. Castelli urbani: le città soggette


La presenza di strutture fortificate all'interno degli impianti urbani era piuttosto comune nelle
città europee nate dalla fusione, appunto, di un castrum (campo militare) con altri centri
insediativi. Nel momento in cui si affermarono i comuni, a partire dal secolo XII, e con la
costruzione delle nuove cinte murarie queste fortificazioni scomparvero e nella città dell'Italia
settentrionale nella prima metà del Duecento, non vi erano castelli.
Diversa era la situazione nei centri urbani del sud Italia, a partire dal secolo XI, dove i
Normanni detenevano il potere. Potere che dimostravano costruendo castelli e grandi
fortificazioni al di fuori dell'impianto urbano, dal quale lo assoggettavano al proprio potere.
Questo modello fu adattato da Federico II anche ai suoi territorio dell'Italia del centro-nord.

CAPITOLO 31: 1183, i comuni italiani nel secolo XII


Nel giugno 1183 Federico I e la Lega lombarda, un’alleanza di comuni dell’italia del nord
guidata da Milano, fecero pace sottoscrivendo un atto che aveva la forma di una
concessione, dove i comuni venivano legittimati e si permetteva loro di allearsi e di eleggersi

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dei governanti (consoli). Detto in altri termini, in questo momento della sorta, l’imperatore
Federico I Barbarossa, concede il diritto di signoria/feudo alle città in cambio della loro
fedeltà vassallatica e il continuo pagamento dei tributi. Questo accordo è passato alla storia
come la Pace di Costanza, e tutt’oggi è riconosciuto come il trionfo degli italiani sugli
stranieri, l’origine delle “libertà italiane” o la vittoria delle autonomie locali sul centralismo.

1. Prima del comune


Prima ancora di parlare di comune dovremmo cercare di darne una spiegazione/definizione,
ovvero una sorta di associazione giurata, tramite la “coniuratio”, di natura privats a carattere
pubblico.
La città è una delle tante eredità di Roma giunte al medioevo. Esse crebbero rapidamente
dopo il Mille. Nel regno italico la rete urbana era fitta e formata da centri più grandi che
altrove. Tra i secoli IX e XI le città erano la principale arena politica: spesso residenza
dell’aristocrazia. Al di sotto di chi governava le città - conti e marchesi, vescovi, messi
imperiali - agivano il clero locale, medi e piccoli possessori, mercanti e artigiani.
Parallelamente a questa situazione, nei secoli X e XI nel regno italico crebbero di
importanza anche le figure dei cavalieri (milites) che con quelle guerre si erano arricchiti di
beni e terreni collocati nell’area periurbana. Verso il 1050 le città dell’Italia centrale erano
rette da ufficiali di matrice carolingia, conti e marchesi, spesso a capo di più centri urbani, a
loro delegati mentre nel nord, i vescovi detenevano a titolo proprietario i diritti regi.
L’equilibrio fu scosso dalla “lotta per le investiture” divampata intorno al 1080, e dal
conseguente scontro fra Enrico IV e Papa Gregorio VII. Al suddetto scontro parteciparono
attivamente anche milites e aristocratici, guidati da interessi materiali, come ad esempio
l’accesso ai beni ecclesiastici e regi.

2. il comune cavalleresco
Il vuoto di potere dovuto alla guerra civile costrinse le élite urbane ad affrontare alcuni
specifici problemi: il dilagare della violenza, l’uso dei beni comuni, la protezione dei propri
interessi economici. Nacque così il comune. Non tutto fu inizialmente ideato e progettato,
ma fu un susseguirsi di eventi e riforme che portarono via via questa entità a formarsi
sempre di più. Si sperimentò dapprima un organo di governo che aveva forse dei precedenti,
l’assemblea generale dei cives (cittadini) uniti da un giuramento (arengo). A questa
assemblea fu affiancato il consolato, una magistratura collettiva e a termine: i consoli
(consoles) erano almeno due e restavano in carica un anno. Questa carica, ripresa dalla
cultura romana, fu usata molto all’interno del contesto medievale.
Ideologicamente il comune s’identificò fin dall’inizio con la città e la cittadinanza, ma molte
famiglie ne rimasero ai margini. L’eclissi dei poteri tradizionali ridusse la centralità politica
urbana. Salvo rare eccezioni, all’inizio del secolo XII gli aristocratici urbani emigrarono in
campagna o rimasero ai margini del comune. Questa scelta favorì l’egemonia dei milites.
Tutti potevano diventare militari, sebbene dovessero essere in grado di acquistarsi in
autonomia il cavallo e inserirsi nelle reti di relazione urbane.
I compiti che oggi noi reputiamo fondamentali nell’operato del governo, quali ad esempio la
riscossione e l’imposizione delle tasse, la giustizia e la scrittura delle leggi, si affermò solo in
seguito, nel XII secolo.Fin dal principio non mancarono però da parte dei comuni, le
spedizioni militari di conquista, portate a termine dai milites.
Verso il 1150 i comuni divennero istituzioni sempre più stabili ed affermate.

3. Il ritorno del potere imperiale: Federico I

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Con l’ascesa al trono di Federico I, avvenuta nel 1152, si riaffacciò in Italia l’impero. Egli
voleva accrescere il proprio prestigio (honor) e ampliare le proprie basi signorili, e per farlo,
servivano un maggior controllo dei poteri locali e una rete di ufficiali che ne prorogasse
l’autorità. In Italia Federico si confrontò con un mondo nuovo: le città erano numerose e
dominate da un gruppo sociale complesso, mentre le campagne erano divise in piccole
signorie. Barbarossa voleva egemonizzare signori e città, eliminando il regno normanno per
agire da protagonista sulla scena europea e mediterranea. Federico tienne alcune diete,
come ad esempio quella di Roncaglia, per affermare la propria centralità politica e la natura
regia di certi diritti e proventi (regalie). Le regalie consistono in diritti di natura regia come ad
esempio:
● imporre le tasse
● battere moneta
● costituire i magistrati
● dichiarare guerra
● erigere le mura
La sua intenzione non era cancellare i poteri locali, ma affermare la derivazione dell’impero.
Per farlo ricorse al “feudo di signoria”, una finzione giuridica: chi deteneva i regalia
riconosceva di averli ricevuti in feudo dall'impero e di dover perciò fedeltà vassallatica
all’imperatore. A questa scelta però i comuni non reagirono molto felicemente, forse
influenzati da un’ideologia ostile al controllo dello straniero. Molti comuni, di fronte a questa
situazione, decisero di allearsi tra di loro creando delle vere e proprie alleanze. Sebbene
l’ostilità molti comuni decisero di sottostare al volere dell’imperatore anche se furono
immediatamente intimoriti dall’arrivo al trono del successore di Federico I, Enrico VI.
Quest’ultimo aveva mire espansionistiche, che soddisfò con la conquista del regno di Sicilia
e un’idea ben chiara dei poteri che spettavano all’imperatore. Solo la sua morte improvvisa e
l’approdo sulla scena politica del Papa Innocenzo III, permisero ai comuni di prendere fiato e
di vedere finalmente rispettate le clausole sancite all'interno della Pace di Costanza.

4. I primi movimenti popolari e il “comune podestarile”


L’affermarsi del comune podestarile trova ampio spazio tra il 1190 e il 1250.
A partire dal XII secolo molti aristocratici cominciarono a partecipare attivamente alla vita
politica del comune, entrando a ricoprire cariche pubbliche e a combattere nella milizia, che
ne uscì sempre più corrotta e alla stregua di inimicizie e complotti.
Alcune città, all'inizio del XIII secolo, furono investite dalla rivoluzione commerciale, che
causò un boom di scambi e manifatture, il tutto aggravato da un’importante crescita
demografica.
In più, tra i contendenti che contestavano l’operato delle milizie, si crearono nuove forme di
associazione basate sulla solidarietà sociale. Nacque allora il popolo (popolus), un gruppo di
pressione politica che voleva recuperare quella che si riteneva l’originaria vocazione del
comune. Il popolo contestava i tradizionali privilegi dei milites, quali ad esempio: l’esenzione
delle tasse in cambio del servizio a cavallo, il monopolio sui beni comuni, il diritto al
risarcimento dei danni subiti in guerra. Erano privilegi strategici, ai quali i comuni si volevano
opporre, perseguendo una giustizia meno favorevole ai potenti.
In questo clima di tensione politica e sociale avvenne quel che si suole riassumere con la
formula “passaggio dal comune consolare al comune podestarile”. I consoli furono sostituiti
da una nuova magistratura: il podestà, un magistrato unico dal breve mandato (di solito 6
mesi), estraneo dagli interessi locali. Con l’arrivo di questa nuova figura, crebbero anche le
dimensioni del comune: crebbe il personale, nacquero uffici finanziari, fu riorganizzata la

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documentazione che tutelava le giurisdizioni dei comuni (libri iurium), furono messe per
iscritto le leggi che regolavano la vita della città (statuti) e soprattutto si affermarono consigli
di varia taglia che affiancassero l’arengo.
I podestà divennero abbastanza rapidamente dei professionisti.

CAPITOLO 36: 1256, i comuni di popolo


Il 25 agosto 1256 rimane una data importante per la storia della schiavitù, poichè a Bologna
furono liberati ben 5855 servi, appartenenti a 403 signori diversi. Durante il 1257 furono
redatte quattro liste, una per ogni quartiere, che elencava i nomi dei proprietari e dei servi,
così da poterli riscattare. Questi registri prendevano il nome di Liber Paradisus, e
rappresentavano un primo passo verso la creazione di una comunità originaria, priva della
sopraffazione dei più forti sui più deboli.

1. Cavalieri e cittadini
A cavallo fra i secoli XII e XIII, le società cittadine dei comuni italiani vissero una profonda
trasformazione politica. In quella fase erano i milites a esercitare un predominio completo
nelle città. Essi esprimevano un modello di preminenza sociale basato, oltre che
sull'esercizio della violenza, sull'ostentazione del lusso e su una preminenza anche di tipo
culturale. In questa fase della storia i comuni sono detti consolari, poiché sono governati dai
cavalieri. Dalla fine del XII secolo, le cariche ricoperte dai militari furono messe in
discussione da una parte cospicua della popolazione costituita dai mercanti e dagli artigiani.
Questo processo fu chiamato “ rivoluzione commerciale”. Infatti, verso i primi anni del 200,
vi furono numerose rivolte urbane che andarono a colpire la supremazia dei milites. Da
questo momento compare sulla scena un nuovo soggetto: il popolo.
Il popolo era la forma politicamente organizzata di tutti coloro che non appartenevano al
gruppo dei militari e che intendevano rappresentare istanze e interessi spesso contrapposti
a quelli dei loro antagonisti. Proprio nel tutelare i propri interessi, il popolo era stato in grado
di organizzarsi in vivaci e diverse forme di associazionismo.Le più note potevano essere
quelle che riunivano chi praticava lo stesso mestiere o la stessa professione, dette anche
Arti. Le associazioni avevano originariamente finalità di mutuo soccorso, ovvero assistere i
membri delle vittime di infortunio o di malattie, aiuto per gli orfani e alle vedove. Ma non solo,
regolamentavano anche la concorrenza: fissando i prezzi minimi dei prodotti e dei salari per
i dipendenti e definendo le caratteristiche minime di qualità della produzione. altri diversi tipi
di societàs potevano essere ad esempio le vicinìe, Associazioni che organizzavano Le
Contrade o Cappelle.
Tutte queste spontanee forme di aggregazione cominciarono ben presto a coordinarsi tra di
loro, tramite giuramenti che diedero vita da associazioni più ampie e che trovarono infine
un'espressione unitaria nel popolo.

2. Popolo, istituzioni, consigli


Le rivolte urbane dei primi anni del XIII secolo costrinsero i milites ha concedere le prime
forme di partecipazione politica al popolo, ma fu solo tra la fine degli anni Venti e gli anni
quaranta del 200, quando una ricostituita Lega Lombarda dovette sostenere una lunga
guerra contro l'imperatore Federico II, che esponenti del Popolo ottennero un ingresso
formale nelle istituzioni del comune. Nella prima metà del Duecento , nella gran parte dei
comuni, il consiglio divenne così l'organo di un governo condiviso da milites e populares, le

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due principali componenti sociopolitiche delle città. Il popolo esprimeva rivendicazioni di


diverso genere:
● In primo luogo il popolo chiedeva la pace, interna ed esterna alla città
● In secondo luogo il popolo chiedeva un'effettiva partecipazione politica
● In terzo luogo il popolo chiedeva una diversa ripartizione delle collette, ovvero la
prima forma di esenzione fiscale. Il popolo chiedeva che le collette fossero calcolate
sulla capacità contributiva di ciascuno, senza esenzioni, sulla base del patrimonio
personale.
● Infine il popolo chiedeva delle procedure amministrative e giudiziarie trasparenti,
basate su regole certe e registrate in forma scritta in modo che potessero essere
sempre verificabili e non basate sull’arbitrio o sui legami clientelari.

3. Lo scontro con Federico II e i governi di popolo


Il lungo conflitto fra le città Padana e Federico II si aprì con la dieta di Cremona, nel 1226,
dove i rappresentanti di Milano e degli altri comuni della nuova Lega furono messi al bando
perché non si erano presentati al cospetto dell'imperatore, e si concluse quando l'esercito
Imperiale fu sconfitto a Fossalta e il figlio di Federico, Enzo ( Re di Sardegna), fu catturato
dai bolognesi e mai più liberato. La presenza attiva del potere Imperiale condizionò in modo
significativo lo sviluppo dei regimi politici delle città comunali. I comuni si divisero in due
coalizioni: una antimperiale e l'altra filoImperiale.Nel 1226 fu dato l'ordine di sciogliere tutte
le società popolari di Pavia e furono emanate disposizioni simili anche in altre città padane.
Quando Federico II morì, nel 1250 in numerose città si affermarono regimi popolari.
Comparvero le magistrature caratteristiche dei regimi popolari, cioè il capitano del popolo ed
il collegio degli anziani o priori. Il capitano del Popolo era come il Podestà, un professionista
forestiero a cui veniva attribuito l'incarico, in genere per un anno, di svolgere funzioni
giudiziarie, militari e di ordine pubblico. Gli anziani invece erano eletti dal Consiglio del
Popolo fra gli uomini ai vertici delle diverse società ed erano un consiglio ristretto che
costituiva l'autentico vertice dell’autorità cittadina. Si creò dunque un doppio sistema di
potere che conviveva con equilibri diversi da città a città.
In questa volontà politica di controllo va inquadrato l'episodio della Liberazione dei Servi, di
cui ho parlato a inizio capitolo. Da quel giorno infatti i servi furono sottratti alla dipendenza
dei signori rurali e divennero “comitatini”, cioè uomini soggetti alla giurisdizione urbana, che
imponeva loro le imposte e il giudizio dei propri tribunali.

4. Signorie e governi di popolo


Durante la fase di conflitto con Federico II, in alcune città la parte filoimperiale aveva
promosso alcuni signori rurali ad assumere un ruolo dominante all'interno di quei comuni
urbani, ruolo che mantennero anche dopo la morte dell'imperatore. Il caso più noto è quello
di Ezzelino da Romano. Si instaurarono precoci regimi signorili, nella fattispecie nelle aree in
cui vi era una forte tradizione signorile come il Veneto, la Romagna e il Lazio meridionale. In
questa fase della storia ricordiamo alcune famiglie signorili molto importanti come: gli Este a
Ferrara, i Gonzaga a Mantova, i San Bonifacio a Verona e i Da Camino a Treviso.
La signoria cittadina fu una forma di governo originale, una scelta possibile quando si voleva
far prevalere l'autorità personale autocratica su quella dialettica delle istituzioni consiliari. Il
sistema prevedeva che al signore fosse attribuito a vita un incarico istituzionale, capitano del
Popolo o Podestà, con i poteri connessi.
Si deduce dunque come, negli ultimi decenni del Duecento, l'azione del Popolo aveva
cambiato per sempre il modo di fare e, soprattutto, di pensare la politica.

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5. Guelfi e Ghibellini
I conflitti violenti caratteristici della società cittadina di fine 200 sono stati interpretati a lungo
dalla storiografia come degenerazione di un pacifico sistema democratico che in realtà non
era mai esistito. Durante le lotte contro Federico II , aveva visto formarsi nelle città due partiti
(partes):
➢ GHIBELLINI: A favore della politica Imperiale
➢ GUELFI: contrario alla politica Imperiale
In alcune città questo ordinamento popolare si radicalizzò per disciplinare innanzitutto i
conflitti; in altre invece alcuni protagonisti degli scontri riuscirono a imporre un dominio
personale sulle istituzioni urbane, dando vita alle prime forme di signoria urbana (Milano,
Padova e Verona).
In un estremo tentativo di disciplinare le forme della lotta politica, alcuni regimi popolari
emanarono provvedimenti detti antimagnatizi, perché si rivolgevano contro i Magnati, una
nuova categoria sociale non ben definita, con stili di vita simili a quelli dei milites. In
quest'ottica molte famiglie appartenenti al popolo furono bandite come magnatizie e membri
della milizia furono resi attivi nei regimi di popolo. Le norme contro i Magnati condannavano
la violenza come strumento di lotta politica e vietavano le fedeltà di parte che prevalessero
sulla lealtà dovuta alle istituzioni cittadine.

CAPITOLO 38: 1311, Le signorie


Nel 1311 l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, alla ricerca di sostegno militare e risorse
economiche, nominò vicari imperiali alcuni suoi sostenitori, concedendo loro la supremazia.
Il vicariato era un rappresentante dell’imperatore o del pontefice, dai quali riceveva la
giurisdizione sulla città, e ai quali, almeno formalmente, era tenuto a rispondere. Il vicariato
conferiva al signore una legittimazione prestigiosa, esterna e indipendente dalla istituzioni
comunali. La prassi delle concessioni vicariali contribuì alla “mutazione signorile” e al
cambiamento della struttura dei comuni.

1. Esperienze signorili duecentesche


Le “signorie cittadine” sono esperienze politiche molto diverse tra loro, caratterizzate dalla
capacità di una persona o di una famiglia, di condizionare in maniera determinante la vita
politica di una città. Nei primi decenni del Duecento, con l’inasprirsi delle lotte di fazione, il
prevalere di una parte era a volte accompagnato dall’imposizione al vertice delle istituzioni
cittadine del suo leader più carismatico, che occupava la carica di podestà. In quest’ottica il
vicariato comincia ad essere sempre più accomodante nei confronti di alcune
casate/famiglie che piano piano si affermano come signorie.
La prima ondata di signorie monocittadine, almeno in origine, si impose negli anni cinquanta
e sessanta del Duecento in stretta connessione con l’ascesa del popolo. In alcune città
infatti, l’affermazione dei movimenti popolari coincise e i sovrappose con l’imposizione di
forme di potere personale.

2. L’esplosione del fenomeno signorile tra Due e Trecento


I decenni a cavallo tra Due e Trecento videro un proliferare di signorie. La stessa Firenze,
che nella seconda metà del Trecento si sarebbe proposta come baluardo delle libertà
comunali in opposizione ai tiranni del Nord Italia, conobbe in questi decenni ripetute
esperienze signorili: Carlo I d’Angiò, seguito poi da Roberto d’Angiò.

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Nei decenni tra Due e Trecento, gli esperimenti signorili, in molti casi di breve durata, si
alternarono a fasi più o meno lunghe di ritorno a governi collegiali di stampo comunale.
La discesa in Italia di Enrico VII cambiò le carte in tavola, ponendo fine all’egemonia.
In quel tempo, si affermò sempre di più la figura del signore del popolo, al quale si
attribuivano per lo più magistrature straordinarie che esibivano la matrice popolare della loro
leadership. I signori condizionavano pesantemente la vita politica cittadina, esercitando un
effettivo potere decisionale, grazie soprattutto alle vaste reti di alleanza e clientele che
possedevano.

3. La mutazione signorile trecentesca


I segni di cambiamento diventarono più visibili dagli anni venti-trenta del Trecento. La
concessione dei vicariati imperiali e apostolici, come si è detto, fu solo uno degli ingredienti
della mutazione signorile. Un numero crescente di signori si fece formalmente trasmettere
dai consigli l’arbitrium, e cioè il potere di governare la città a loro piacimento, di modificare
senza alcun limite gli statuti, di deliberare e di legiferare in assoluta autonomia. I consigli
furono in genere tenuti in vita, ma sottoposti a un crescente controllo da parte del signore. I
signori si dotarono di strumenti di repressione più efficaci: si circondarono di guardie. Si
andò così strutturando intorno alla famiglia del signore una vera e propria vita di corte,
spesso sfarzosa. Molti signori intrapreso ambiziose politiche urbanistiche e architettoniche,
volte a costruire ex novo un consenso fondato non più, come qualche decennio prima, sul
formale rispetto degli equilibri politici, ma sulla celebrazione della grandezza, della potenza,
della generosità del signore, capace di garantire pace e prosperità ai cittadini/sudditi.
I poteri signorili tendevano a dinastizzarsi.
Nel pieno Quattrocento, alla fine di questo lungo percorso, tra le forme politiche che si erano
accavallate tra Due e Trecento,ovvero: la signoria monocittadina, la signoria pluricittadina, i
regimi collegiali-repubblicani… Si affermò la signoria monocittadina.

La condizione più comune delle città dell’Italia centro-settentrionale alla fine del medioevo,
era quella di città soggette, che fosse a un potere di natura principesca, come quello dei
Visconti-Sforza, o di natura repubblicana, come quello di Venezia o di Firenze.

LODO DELLE TORRI

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