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1. UN INSIEME DI MARI.
1. Dall’unità alla diversità. Secondo lo studioso Henri Pirenne la fine della civiltà
classica mediterranea si determinò all’epoca delle conquiste islamiche nel 7° e nell’8° secolo.
Lo spostamento dapprima verso nord del centro del potere politico europeo con
l’incoronazione a imperatore di Carlo Magno (800) e poi verso nord est con la formazione del
Sacro Romano Impero in Germania (1157) fu causato dal fatto che gli Arabi avevano privato
gli Europei della principale via degli scambi commerciali il Mediterraneo. La conquista araba
riducendo raggio d’azione del mondo bizantino, aveva trasformato il lago romano in un lago
musulmano. Fu questa la causa (secondo la tesi di Pirenne) che determinò in occidente la crisi
dei commerci, la scomparsa delle città e la presenza di un’economia interamente agraria.
L’interpretazione di Pirenne pone in rilievo un aspetto tutt’altro che marginale. L’attacco degli
arabi all’impero bizantino se da una parte determinò una frattura tra Oriente e Occidente,
dall’altra creò nel Mediterraneo centro occidentale, sino ad allora sotto il dominio di Bisanzio,
un vuoto di potere politico. Inoltre agli albori dell’anno Mille la divisione tra un mondo
mediterraneo cristiano-bizantino sulla sponda centro-orientale e un mondo musulmano a sud-
est è ancora intatta. È solo dopo l’XI secolo che nel confronto-scontro tra Bisanzio e Islam
s’inserisce un nuovo protagonista, l’occidente latino. Quindi 3 grandi aree politico-culturali:
l’area musulmana, l’area greco-ortodossa e quella cattolica-latina, caratterizzeranno la
storia del mediterraneo dal X secolo sino alla conquista turca di Costantinopoli nel 1453.
interne, dove affluivano le carovane arabe che portavano le merci indiane e cinesi, avviando
così una serie di durature relazioni tra mondo cristiano e musulmano.
3. Il Mediterraneo islamico. Il mondo islamico agli albori del Mille non costituiva uno
spazio politicamente unitario (unificato però dalla cultura religiosa espressa in lingua araba).
Possiamo dividere il mondo islamico subito dopo il mille, in 3 vaste regioni ognuna sotto la
dominazione di una o più dinastie:
- La prima si estendeva dalla Persia all’Indo e ruotava attorno a Baghdad (Iran
orientale, ampio distretto agricolo e sede di una vasta rete di commerci), quest’area fu
conquistata dai selgiuchidi, una popolazione turca convertita all’islam, la cui espansione
verso occidente minacciò le posizioni bizantine in Asia Minore.
- La seconda area comprendeva l’Egitto, la Siria, la Palestina, l’Arabia occidentale e
la Sicilia, sino a quando quest’ultima non fu conquistata dai Normanni, il suo centro era il
Cairo (cuore di un sistema commerciale che, grazie al porto di Alessandria, univa i traffici
orientali con quelli occidentali); sino al 1171 in questo spazio continuarono a regnare i
Fatimidi cui subentrò Saladino un capo militare educato alla corte dei selgiuchidi in Siria;
Saladino riconquistò la città di Gerusalemme in mano ai crociati, riducendo i domini latini
solo a qualche possedimento costiero.
- La terza area comprendeva il Maghreb e la parte musulmana della Spagna, in
quest’area non vi era un centro predominante ma diversi centri importanti: Cordova e Granada
nella penisola iberica, Fes, Tlemcen e Tunisi nel nord Africa; in seguito la parte della penisola
iberica ancora sotto il dominio musulmano fu divisa in una quantità di piccoli emirati,
governati da capi di diverse etnie. Questa frammentazione rese possibile ai regni cristiani,
confinati al nord della Spagna, di cominciare a espandersi verso sud. La loro offensiva fu
controllata dalle dinastie islamiche che estesero il loro dominio su Marocco e Algeria, sulla
regione dell’Andalusia e sulla Tunisia.
4. Il Mediterraneo latino. Il mondo latino intorno all’anno mille comprendeva
quell’insieme di territori sul mediterraneo occidentale che si identificavano con la cristianità
latina medievale. A partire dall’XI secolo grazie alla crescita demografica e alla formazione
di un surplus produttivo, determinato dall’incremento delle terre coltivate e dall’utilizzo di
nuove tecniche agricole, e ai progressi nel settore mercantile, tecnologico e militare, per
l’occidente iniziò una nuova fase di espansione politica, militare e di progressiva crescita
economica. Il “risveglio dell’occidente” fu determinato anche dalla riorganizzazione della
chiesa cattolica. La riforma gregoriana di papa Gregorio VII stabilì la superiorità assoluta
del pontefice su ogni altra autorità terrena, sancì l’obbligo di celibato per sacerdoti, proibì la
simonia cioè la vendita delle cariche ecclesiastiche e attuò una generale riforma del diritto
canonico. Per quanto riguarda la geografia politica del mondo latino agli inizi dell’XI secolo,
la situazione può essere così riassunta. La penisola iberica, alle prese con la Riconquista
cioè la lotta intrapresa dai regni cristiani per espellere i musulmani dalla Spagna, era divisa in
principati cristiani: nella parte nord occidentale si era formato il regno di Leòn, da cui si staccò
agli inizi del XII secolo la contea del Portogallo; nella parte nord-orientale quello di Navarra;
a ridosso dei Pirenei, il regno di Aragona che nel 1137 si unì alla contea di Barcellona, infine,
nella parte centrale il regno di Castiglia, che alla fine del 200 formò tutt’uno col regno di Leòn.
La Francia era sostanzialmente divisa in 2 zone il cui confine passava all’incirca all’altezza
della città di Poiters. In particolare, la parte nord-occidentale si organizzò attorno al ducato di
Aquitania, ma rivestiva una certa rilevanza anche la contea di Fiandra, + o – l’attuale Belgio
settentrionale, collocata alla foce di grandi fiumi (Loira, Senna e Reno). Accanto a queste
formazioni ebbe grande importanza anche il ducato di Normandia, dove era stata creata una
rigida gerarchia di potere (sistema feudale). Le città italiane invece si posero all’avanguardia
di quel movimento che unì per oltre 5 secoli i porti italiani ai centri manifatturieri europei e ai
mercanti orientali. Grazie alla loro posizione geografica e all'intensificazione degli scambi tra
le due sponde, alcune città marinare italiane divennero importanti centri marittimi e
commerciali. In particolare Amalfi, Venezia, Pisa e Genova avevano una certa libertà di
movimento in tutto il levante. Fu grazie all’intraprendenza delle città marinare italiane che il
mediterraneo, a partire dall’XI secolo, si riappropriò della sua antica funzione di crocevia
tra Oriente e Occidente. Ma ciò che determinò la definitiva supremazia delle città italiane
nel Mediterraneo, in particolare di Venezia e di Genova, e allo stesso tempo decretò un
insanabile rottura tra mondo latino e bizantino furono gli avvenimenti accaduti in seguito alla
quarta crociata, che era stata bandita da Innocenzo III nel 1202 con il duplice obiettivo di
recuperare Gerusalemme ai cristiani e ricondurre la Chiesa d’Oriente sotto la sovranità
pontificia, nel 1204 Costantinopoli (con crociati e veneziani - padroni) fu completamente
saccheggiata, razziata e devastata dai conquistatori e la Chiesa greca fu assoggettata a
quella romana. Bisanzio ebbe un imperatore latino, Baldovino di Fiandra, e un veneziano
come patriarca della Chiesa ortodossa, da questo momento almeno formalmente unita a Roma
(Le cronache del tempo definirono l'avvenimento un 'cataclisma cosmico’, La chiesa di Santa
Sofia sconsacrata, le suore violentate e i monaci venduti come schiavi). Nella spartizione
dell’impero che ne seguì i veneziani si aggiudicarono gran parte delle isole dell’arcipelago
dell’Egeo, il Negroponte compresi gli importanti scali di Modone e Corone, l’isola di Creta e
diversi scali commerciali sulle coste del Mar Nero. I bizantini riconquistarono
Costantinopoli solo nel 1261, questa volta con l’aiuto dei genovesi, che godettero dei
privilegi in passato concessi a Venezia. L’autorità imperiale fu restaurata sotto la nuova
dinastia dei Paleologi, ma si estendeva su un’area geografica che abbracciava solo una piccola
parte dei territori posseduti in passato e senza l’autorevolezza e il prestigio di un tempo.
L'Impero bizantino, circondato dagli emirati turchi in Anatolia e dai regni cristiani nei Balcani,
si configurava a questo punto come un ' Impero degli Stretti'.
5. Mediterraneo e Mar Nero. La regione del Mar Nero si estende dai Balcani alle
montagne del Caucaso e dalle steppe russe all’Anatolia. L’area rivestì sin dall'antichità
un'importante funzione di collegamento tra l'Europa e l'Asia, che mantenne sino alla
conquista ottomana di Costantinopoli. Per Procopio, uno dei primi storici dell’impero
bizantino, il mar nero era un posto da evitare, non solo per le acque torbide e per l’assenza di
isole abitabili che rendevano difficile la sua navigazione, ma soprattutto per la presenza di
una moltitudine di tribù nomadi, provenienti dalla Russia e dalle steppe asiatiche. Alcune
di queste popolazioni s’insediarono stabilmente sul litorale settentrionale e premevano alle
frontiere dell’impero bizantino. I bizantini che controllavano l’accesso al Mar Nero tramite la
propria capitale, Costantinopoli, instaurarono rapporti con i georgiani e gli armeni, popoli
cristiani che abitavano nel Caucaso, che gli permisero di avere l’accesso al grano e ad altri
prodotti provenienti dal Caucaso, ma anche la riscossione dei tributi sul commercio imposti ai
popoli della steppa del nord. Dal Mar Nero, attraverso lo stretto del Dardanelli, affluivano
verso il Mediterraneo, grano, orzo, seta, spezie, pellicce, pesce e schiavi. Fu solo al tempo
di Costantino VII (913-959), quando alcuni popoli, come i russi e i bulgari, stanziati sulle
coste settentrionali e nord occidentali, erano ormai diventati delle importanti realtà politiche
organizzate, che Bisanzio, dopo averne respinto gli attacchi, cercò di intrattenere con essi
buone relazioni, non solo perché minacciavano la capitale ma anche perché, dopo essersi
convertiti al cristianesimo e accolto le influenze bizantine, si rivelarono indispensabili
partner commerciali nonché utili alleati contro i nemici di Bisanzio. Fu poi in seguito agli
avvenimenti della quarta crociata che i bizantini persero il controllo del Mar Nero, ma grazie
alla cosiddetta “pax mongolica” i traffici marittimi conobbero una forte ripresa con le
presenze italiane che durò sino alla metà del XV secolo. Alla fine del XIII secolo, all'epoca
in cui vi arrivò Marco Polo nel viaggio di ritorno a Venezia, il Mar Nero divenuto nel
frattempo un lago italiano per la forte presenza nei principali porti, da Tiebisonda a Tana, di
empori, marinai, consoli e commercianti italiani, era al centro di un'intensa attività di scambi
dovuta alla sua favorevole posizione di incrocio delle rotte internazionali più importanti. Fu
solo dopo la conquista ottomana di Costantinopoli e di Trebisonda che i porti e le fortezze
dislocate lungo le coste e gran parte dei territori interni furono controllati da un'unica potenza.
Alla maggior parte delle flotte straniere fu impedito l'accesso agli Stretti e il commercio un
tempo in mano agli italiani cadde sotto il controllo del sultano. Il Mar Nero sino ad allora
crocevia tra l’Europa e l'Oriente divenne per oltre due secoli un lago turco.
2. EUROPA E ISLAM.
1. Rivolgimenti politici nel mondo islamico. Nel corso del 13° secolo e sino agli inizi
del 16°, il quadro politico dello spazio islamico mediterraneo subì ulteriori mutamenti. La
parte orientale fu turbata, alla metà del 13° secolo, dall'irruzione degli Ilkhani, una delle
popolazioni mongole proveniente dall'Asia orientale, che nel giro di pochi decenni invasero i
territori sia a nord che a sud del Mar Caspio e del Mar Nero e minacciarono l'Europa orientale.
Gli Ilkhani estesero il dominio su tutta la Persia mettendo fine al califfato degli Abbasidi e alla
supremazia dei Selgiuchidi. Il grande Impero mongolo con l'unificazione dell'Asia centrale,
la conquista di gran parte di quella che è oggi la Russia e l'espansione nel Vicino Oriente,
diede luogo a un periodo di pace (pax mongolica), che favorì per molti decenni le relazioni
fra Asia interna ed Europa e contribuì al decollo commerciale dell'Occidente. La formazione
di un vasto dominio mongolo, assicurando la possibilità di scambi abbastanza sicuri,
attraverso le vie carovaniere, sollecitò l'interesse dei mercanti, dei diplomatici e dei missionari
europei nei loro territori. La dominazione ebbe profonde ripercussioni sul mondo
mediterraneo, in quanto la loro invasione annientò i maggiori centri di cultura araba
(Baghdad, Aleppo e Damasco), e così la Persia, da regione più florida della civiltà islamica,
divenne una zona periferica.
L'espansione dei mongoli verso occidente fu bloccata in Siria nel 1260 da un esercito
egiziano formato da schiavi guerrieri (mamluk) di origine asiatica. I Mamelucchi, una vera e
propria oligarchia militare al servizio dei sultani ayyubidi, dopo aver rovesciato nel 1250
con un colpo di mano i loro signori si sbarazzarono degli ultimi regni crociati sulle coste della
Palestina e della Siria e assunsero il controllo dell'Egitto, dell'Arabia e di parte della Siria per
più di due secoli e mezzo (1250 -1517), diventando così la principale potenza musulmana
del mondo mediterraneo. Di fatto i Mamelucchi saranno i principali custodi della cultura
araba e saranno a capo di un impero commerciale senza precedenti nel mondo islamico,
esteso dall'Oceano Indiano alle coste dell'Africa Orientale. Nella parte occidentale dello spazio
Islamico, i territori dell'Impero almohade furono divisi in tre regni: l'Ifriqiya, l'attuale Tunisia,
il Marocco e l'Algeria occidentale. Quindi il Maghreb non subì stravolgimenti; l'attività
culturale rifiorì attorno alle capitali e si ebbe un notevole progredire dell'arabizzazione in tutte
le regioni. L'ultima roccaforte del mondo musulmano in territorio europeo fu il piccolo
emirato nasride di Granada, che per la sua felice posizione, costituì un luogo di contatti e
di scambi tra i paesi dell'Europa mediterranea occidentale e i paesi dell'Africa del nord. Il
regno la cui popolazione era formata in maggioranza da musulmani di origine araba e da
comunità berbere, cristiane ed ebree, sino alla sua disfatta nel 1492, fu famoso per il suo
spirito di tolleranza, per la liberalità e l'agio della vita che vi si conduceva, di grande intensità
fu la vita culturale e intellettuale.
2. La cultura araba mediterranea. La disintegrazione dell'unità politica e la presenza
di gruppi non arabi, come i berberi e i mamelucchi, ai vertici del potere nel mondo
musulmano, comunque, non fu accompagnata dalla frantumazione della civiltà islamica. A
mantenere l'unità contribuì, insieme alla religione, la lingua araba. Oltre che il veicolo della
fede (il Corano non doveva essere tradotto in altre lingue), la lingua divenne lo strumento
principale per la diffusione della cultura. Un movimento di uomini, di conoscenze e di idee si
diffusero tra le due sponde del Mediterraneo. Un ruolo importante fu assunto dalle città. Civiltà
urbana islamica fu caratterizzata da una struttura sociale stratificata e dalla presenza di forme
architettoniche complesse e raffinate.
L'Islam già alla fine del 7° secolo era subentrato al vecchio Impero persiano e in parte a
quello greco, poi si era insediato stabilmente nel Maghreb ed era arrivato in Spagna. Nei secoli
successivi arrivò nel Mar Nero, s'inoltrò verso est sino al Gange e nella fascia centrale africana.
Ma fu nella sua parte occidentale che l'Islam ebbe i suoi punti di riferimento culturali e
s'intrecciò con il pensiero ellenico e la cultura persiana. Il Canone di medicina scritto dal
filosofo e scienziato di origine persiana Avicenna fu il compendio di scienza medica più
diffuso e in uso sino alle soglie dell'età moderna. La vitalità del pensiero si ritrova in importanti
centri di traduzione di testi dall'arabo al latino. Fu attraverso il mondo islamico che arrivò
in Europa una parte significativa del patrimonio culturale classico (traduzione in latino delle
opere scientifiche arabe e degli antichi filosofi greci). Il primo re di Sicilia, il normanno
Ruggero II, che parlava l'arabo, alla sua corte si circondò di intellettuali musulmani, ebrei e
cristiani, incoraggiò le traduzioni dall'arabo. Alla corte di Federico II di Svevia, re di Sicilia,
di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero, furono tradotte in latino una serie di
opere arabe sia originali che tradotte dal greco.
3. Lo spazio mercantile islamico. Il mondo musulmano, oltre a costituire una delle
grandi civiltà mediterranee, fu un immenso spazio mercantile, che aveva sviluppato al suo
interno una vastissima rete di comunicazioni per terra e per mare. Il commercio a media e
a lunga percorrenza si sovrapponeva agli scambi locali e a un'economia rurale spesso non
autosufficiente. Attraverso i traffici marittimi e le reti commerciali terrestri venivano
ridistribuiti prodotti agricoli e materie prime da una parte all'altra del mondo islamico. In
particolare il commercio dei prodotti di lusso muoveva da una regione a un'altra la seta cinese
e, più tardi, quella prodotta nello stesso mondo islamico, lo zucchero di canna, le spezie,
soprattutto pepe e zenzero, cannella, chiodi di garofano e noce moscata, alle quali si sarebbero
aggiunti l'avorio indiano e africano, le pietre preziose, i profumi, l'incenso d'Arabia e così
via. Questi prodotti, insieme all'oro proveniente dalla regione del Sudan, costituivano l'offerta
principale ai mercanti europei. L'organizzazione mercantile araba, generalmente era formata
da compagnie di mercanti associate in reti familiari, che spesso avevano dei propri agenti
dislocati nelle diverse piazze commerciali. Esisteva una grande differenza tra i grandi mercanti
e i piccoli commercianti locali, questi ultimi erano soggetti alla vigilanza dei funzionari
preposti al controllo dei mercati e delle transazioni commerciali. Da una parte veniva stimolato
il consumo dei prodotti di lusso nelle corti e negli ambienti aristocratici, dall'altra venivano
regolati i traffici controllando, in particolare, i luoghi di stoccaggio e di vendita delle merci, e
fissando il regime fiscale da applicare. Questo insieme di procedure inf1uenzarono a loro
volta l'organizzazione mercantile e fiscale dei paesi europei dell'area latina, ma con una
sostanziale differenza: il mondo islamico non conobbe a differenza dell'Europa la nascita di
un capitalismo mercantile delle stesse dimensioni e degli stessi esiti. Inoltre vennero fatti
trattati di commercio tra autorità islamiche e mercanti europei agli inizi del XII secolo.
Con essi si stabiliva la sicurezza delle transazioni commerciali e la risoluzione dei litigi per
via giudiziaria. Ai mercanti latini furono concesse autorizzazioni per la conservazione e la
vendita delle mercanzie in depositi, si regolamentava la possibilità di disporre di propri
rappresentanti istituzionali, i consoli, e si concedevano abbattimenti dei dazi doganali. Dal
canto loro, gli europei non potevano commerciare al dettaglio e al di fuori delle collocazioni
autorizzate, benché fosse loro consentito di scegliere i propri interlocutori commerciali e gli
interpreti per intrattenere relazioni con i mercanti musulmani. Anche da parte delle autorità
occidentali questo commercio fu sottoposto a una serie di limitazioni. I divieti riguardavano
soprattutto la possibilità di trafficare in quei prodotti che potevano concorrere ad aumentare il
potenziale bellico dei sultanati islamici, come il ferro, il legno e altri materiali utili alla
costruzione di navi o di armi.
4. Il predominio latino negli scambi. Nonostante il mondo islamico mantenesse il
controllo sulla produzione, sulle rotte commerciali e sui mercati interni, gli scambi marittimi
nel Mediterraneo rimasero nelle mani degli europei (musulmani consideravano il commercio
con l'estero un settore marginale e secondario, decisione dettata anche dal saldo positivo della
loro bilancia commerciale). Col passare del tempo, però, la rinuncia al controllo delle rotte
marittime e allo sviluppo di tecniche e mezzi dedicati al commercio con l'estero si sarebbe
rivelata controproducente per il mondo islamico. I mercanti europei così si arricchirono
progressivamente. Inizialmente le navi italiane salpavano dai porti per il Levante, spesso
semivuote, con denaro contante, per tornare dopo sei o sette mesi cariche di merci orientali.
Dal XIII secolo le cose iniziano a cambiare, lo slancio della produzione tessile occidentale,
grazie anche al trasferimento di alcune colture, di conoscenze scientifiche e di tecniche dal
mondo islamico a quello occidentale, mise a disposizione dei mercanti italiani articoli di
scambio, come i panni di lana.
Tuttavia, la prima vera affermazione del dominio mercantile degli occidentali non si
ebbe nello spazio islamico, ma in quello bizantino: furono gli avvenimenti della quarta
Crociata a rimodellare significativamente, soprattutto a favore dei veneziani, gli equilibri
mediterranei nel Levante. A poco a poco Bisanzio fu definitivamente spodestata dalla funzione
di intermediazione commerciale e le marinerie latine s'insediarono nei punti più strategici
delle vie commerciali dando vita a un vero e proprio impero coloniale. I mercanti italiani
seppero creare società mercantili articolate, introdussero nuove tecniche contabili e nuovi
strumenti finanziari, tra cui la partita doppia, la lettera di cambio e i contratti di assicurazione,
apportarono miglioramenti alle tecniche di navigazione e alla cartografia.
Dopo il dissolversi dell’Impero ilkhanide alla metà del 14° secolo, che rese più insicure
le rotte continentali asiatiche, lo scalo più importante per i mercanti occidentali fu quello di
Alessandria sotto il controllo mamelucco. I veneziani erano i principali interessati al mercato
alessandrino, compravano molti prodotti che poi ridistribuivano dalla città lagunare al resto
d'Europa, mentre al contrario, i genovesi viaggiavano direttamente da Alessandria sino alle
piazze atlantiche, come Bruges o Londra. Alla fine del 14° secolo nei traffici levantini a
veneziani e genovesi si aggiunsero mercanti catalani, fiorentini e napoletani. I principali
prodotti di esportazione degli europei sulla piazza alessandrina erano i panni e le tele di lino
prodotti in Europa, poi rame, stagno e piombo, diversi prodotti agricoli e gli schiavi; dall'area
del Mar Nero vi portavano il legno e le materie prime. Gli acquisti, invece, riguardavano le
spezie di provenienza indiana, il cotone egiziano e siriano, lo zucchero di canna e altri prodotti.
I guadagni per i commercianti italiani erano molto elevati.
guerra marittima combattuta nelle acque della laguna veneta (Guerra di Chioggia). Il conflitto
rappresentò l'ultimo grande scontro tra le due città e la successiva pace, stipulata a Torino
(1381), assicurò a Venezia il controllo della sua terraferma e dei traffici nel Levante, mentre
Genova non rappresentò più una minaccia per Venezia e col tempo si volse a rafforzare la sua
posizione nel Mediterraneo occidentale intensificando soprattutto gli scambi con la penisola
iberica.
3. IL MEDITERRANEO EUROPEO.
1. L'ambiente. L'ambiente mediterraneo caratterizzato da un genere di vegetazione
comune a tutte le regioni che si affacciano sul mare. Tipica è la cosiddetta macchia
mediterranea, frutto dell'intervento umano sulla primitiva foresta, formata in prevalenza da
olivastri e lecceti (il grano, la vite e l'ulivo: la 'triade mediterranea'). Naturalmente, il paesaggio
rurale, da una regione all'altra, può presentare notevoli variazioni che se da una parte sono
legate a fattori di ordine naturale, come il clima, le caratteristiche del suolo, la vegetazione,
dall'altra risultano il prodotto delle vicende storiche (trasformazione socio-economici, culturali
e politici). La fioritura dei centri urbani sia nel mondo islamico che in quello cristiano
occidentale, richiedeva la formazione, ai suoi margini, di un'estesa zona produttiva, dalla quale
dipendeva l'approvvigionamento dei suoi abitanti. Nel periodo in cui gli Arabi si insediarono
nella penisola iberica e in Sicilia lasciarono più di una traccia sia sul sistema di vita delle
popolazioni sia sul paesaggio, durante il loro dominio, l'allevamento degli ovini ebbe grande
impulso, infatti la terminologia relativa alla pastorizia è in gran parte di origine araba,
come le pratiche agricole e i sistemi di irrigazione dei campi. Nuove piante e diverse qualità
di ulivo e altre piante furono portate dall'Africa. Intorno al 13° secolo, lo sviluppo
dell'agricoltura intensiva e dell'allevamento estensivo costituirono il tratto caratteristico
dell'economia rurale mediterranea occidentale. Le vaste zone dell'immenso tavoliere della
Spagna centrale, dove le piogge sono scarse, erano più adatte al pascolo che alla coltivazione,
pertanto la pastorizia si sviluppò in maniera rilevante. Nella Francia mediterranea erano
coltivati la vite, l'ulivo egli alberi da frutto. Nelle lagune costiere si estraeva il sale, mentre
nella valle del Rodano, attraverso la coltivazione del gelso si gettavano le basi di quell'industria
della seta che sarebbe fiorita nel 16° e 17° secolo; mentre il riso comparve verso la fine del
15° secolo. Nel Mediterraneo orientale, solo la fascia costiera che va dalla Dalmazia alla
Grecia, aveva clima e prodotti tipicamente mediterranei.
2. La peste, crisi e carestie Se l'ampliamento delle terre messe a coltura, la fioritura di
centri urbani e la crescente commercializzazione dei prodotti agricoli e manifatturieri avvenuti
dal 10° al 13° secolo furono uno dei segni della vivacità dello spazio mediterraneo latino,
tuttavia, già alla fine del 200 si registra un rallentamento del processo espansivo, una fase di
stallo che durerà sino alla prima metà del 15° secolo. Per alcuni studiosi la stagnazione è da
addebitare alla destrutturazione dell'economia feudale, che provocò una rottura dell'equilibrio
economico. La crescita della popolazione europea, rispetto alle risorse a disposizione,
raggiunse alla fine del 13° secolo il punto di massimo sviluppo, le terre iniziarono a
scarseggiare, le rese subirono una notevole contrazione e la crescita demografica rallentò.
Soprattutto nella fascia centro-settentrionale del continente, si assiste a un restringimento delle
terre coltivate e a un calo della produzione, che provocò l'abbandono di numerosi villaggi e la
comparsa in molte regioni europee di frequenti carestie, che oltre a creare una sensibile
riduzione della popolazione, ne indebolì le difese immunitarie, rendendole così più esposte
alle epidemie. Il calo della popolazione fu drammaticamente accelerato da un evento
traumatico: la comparsa della peste nera. Il suo bacillo, insediato nel sangue dei ratti e
trasmesso all'uomo dal morso delle pulci, si propagherà attraverso le rotte commerciali: dal
Mar Nero all'intero bacino del Mediterraneo e da qui al resto d'Europa. Venuta dall'Asia
centrale la peste nel 1346 raggiunse la colonia genovese di Caffa. Trasportato dalle navi
genovesi, il bacillo arrivò a Costantinopoli nel giugno del 1347, da qui si propagò in tutto il
Mediterraneo orientale e poi nelle città portuali del bacino occidentale, per finire il suo corso
in Russia nel 1352. Il ritmo del contagio fu velocissimo sia per la rapidità degli scambi e sia
per i bassi livelli d'igiene e per l'impotenza della medicina medievale. Dappertutto le perdite
umane furono rilevanti, sia nei centri urbani che nel e zone rurali, e da allora il morbo si
ripresentò periodicamente sino alla metà del 700. Insieme al vistoso calo della popolazione,
nelle pianure abbandonate si diffuse la malaria, che con il vaiolo divenne uno dei flagelli del
mondo mediterraneo. Alla fine del 14° secolo la popolazione europea era più che dimezzata
rispetto a cinquant'anni prima. Le conseguenze del contagio sul piano economico furono:
la perdita di manodopera che comportò una crisi delle campagne, oltre che uno spopolamento
dei villaggi. Sul piano sociale, invece, una parte della popolazione europea assunse un
comportamento spietato nei confronti degli ebrei, che furono identificati come i responsabili
della diffusione del contagio al fine di destabilizzare la società cristiana.
3. Pauperismo e rivolte sociali. Nella congiuntura Tre-Quattrocentesca si verificò la
pauperizzazione. La crisi alimentari e le carestie contribuirono a una crescente
proletarizzazione dei contadini, che nei momenti di difficoltà e soprattutto in seguito a cattivi
raccolti erano costretti a indebitarsi a favore dei prestatori. Nelle regioni montuose, la
popolazione, incapace di far fronte ai costi della produzione agricola e all'aumento
considerevole della pressione fiscale, cedeva ai centri urbani la proprietà delle terre e del
bestiame in cambio di denaro contante. Una delle conseguenze della crisi fu la migrazione
verso le città della popolazione rurale, ciò oltre a determinare un abbandono delle campagne
provocò un'eccedenza di manodopera, che nei periodi di crisi divenne una grave minaccia
per l'ordine sociale. Le autorità municipali per contenere il notevole afflusso di persone e
salvaguardare l'ordine pubblico, adottarono provvedimenti restrittivi in particolare nei
confronti di vagabondi e mendici, percepiti dalle classi agiate con orrore e timore. Allo stesso
tempo, tentarono una riorganizzazione delle loro strutture assistenziali, nella creazione dei
lazzaretti, di ospedali e di nuove istituzioni benefiche. Le lacerazioni interne della società
europea sfociarono in tutto il continente nelle frequenti agitazioni dei contadini e dei
lavoratori urbani impiegati nel settore manifatturiero, che a causa degli inasprimenti fiscali
si rifiutavano di pagare le imposte. Le sollevazioni, oltre a esprimere il malcontento delle
classi popolari e la loro ostilità contro nobili e mercanti, rivendicavano forme di
uguaglianza e di giustizia sociale. In alcune regioni le rivolte assunsero un carattere
particolarmente violento: incendi, assassini, saccheggi; estese rivolte sconvolsero la Francia.
4. La ripresa europea. Intorno alla metà del 400 le epidemie di peste si attenuarono non
tanto per le cure mediche, quanto per la migliore resistenza fisica degli uomini. Anche le
carestie furono meno frequenti, ma ben presto si diffusero nuove malattie epidemiche come la
sifilide e il tifo. In linea generale a partire da questo periodo grazie ai progressi delle tecniche
che favorirono l'incremento dei terreni messi a coltura e accrebbero le rese agricole, che
avviene una nuova espansione dell'economia europea. La maggior parte della forza lavoro
nelle campagne era ancora assorbita dall'allevamento. E ciò era legato allo sviluppo delle più
disparate forme di tessitura a base di lana. I centri più importanti dell'industria laniera erano
localizzati sin dal 12° e 13° secolo nella regione delle Fiandre e nell'Italia centrosettentrionale.
Le altre importanti produzioni industriali di tessuti, per esempio quella serica e cotoniera,
erano strettamente legate alle importazioni delle materie prime da parte delle città italiane.
Questo tipo di produzione era, dunque, prevalentemente localizzata in Italia e da lì, a partire
dal Trecento, iniziò a diffondersi in altre aree: quella cotoniera nella Germania meridionale e
quella serica nella Francia sud orientale. La fabbricazione di panni lana più economici,
prese piede nel corso del Quattrocento in Inghilterra e nelle Fiandre. Nello stesso periodo
in Italia, fu incoraggiata la fabbricazione del fustagno, un tessuto ottenuto mescolando fili
di seta e cotone oppure di lana e cotone.
L'aumento della popolazione e della produzione, la maggiore richiesta di attrezzi di
lavoro e di utensili, l'invenzione di nuove macchine e i progressi tecnologici applicati alla
produzione bellica in seguito alla scoperta della polvere da sparo, ampliarono la domanda di
legname e minerali. La ripresa dell'attività estrattiva si registra in tutte le zone minerarie
europee e la stessa produzione metallurgica aumentò notevolmente. Il commercio di minerali
e di armi divenne una delle attività più lucrose del tempo. Per quanto riguarda il mercato
bisogna aggiungere che la produzione italiana era rivolta principalmente a soddisfare la
domanda locale, mentre la produzione fiamminga e tedesca era esportata in Inghilterra e
soprattutto in Spagna e Portogallo. L'altro prodotto, il legname, principale fonte di energia
termica era uno dei beni più richiesti dal mercato in questo periodo. Il suo uso, oltre che
per il riscaldamento, era necessario per alimentare le fonderie e le fornaci di molte attività
industriali, inoltre, risultava indispensabile per la cantieristica, per l'edilizia, per la costruzione
di mobili e di svariati attrezzi e macchinari. A causa della progressiva scarsità di legno, il suo
valore aumentò di ben cinque volte. L’aumentata richiesta di legname ebbe degli effetti di
rilievo anche sul piano ambientale. In molte regioni d'Europa gli alberi a crescita lenta furono
sostituiti da pini, larici e abeti a crescita più rapida. Il disboscamento provocò disastrose
conseguenze per i contadini che non trovavano di che nutrire il bestiame, sia per a mancanza
di ghiande e sia per il fitto tappeto di aghi, che rendeva sterile il sottobosco.
5. L'Europa delle città. Alla fine del 13° secolo l'Italia contava circa 10 milioni di
abitanti, presentava un alto tasso di urbanizzazione e le città più grandi del continente. Le
città più popolose del continente erano Genova, Milano, Venezia, Napoli e Firenze.
Nonostante la caduta demografica dovuta agli effetti della peste, le città riuscirono, rispetto
alle zone rurali a colmare più in fretta i vuoti demografici. Lo sviluppo urbano non era dovuto
a un saldo positivo tra natalità e mortalità bensì all'afflusso della popolazione rurale. Fu la
diversificazione degli investimenti e delle attività, la molteplicità delle funzioni ad attirare i
flussi migratori nei centri urbani. Alla fine del 400 la metà dei cittadini europei viveva ancora
negli spazi urbani dell'area mediterranea. Ma il nuovo sviluppo economico favorì la nascita di
altri insediamenti, spesso situati nei punti nevralgici degli scambi e della produzione. Le città
divennero, nel giro di pochi decenni, grandi centri di consumo, agglomerati in cui erano
scomparsi gli spazi agricoli sostituiti dalle costruzioni. Al loro interno s'insediarono
manifatture, banche, istituzioni amministrative e organismi politici e corporativi, nonché
strutture militari e giudiziarie. Le basi dell'economia cittadina poggiavano sulla produzione
manifatturiera e sulla distribuzione dei prodotti. L'abbondanza di manodopera, più o meno
specializzata, la progressiva suddivisione del lavoro, fornì ai mercati una varietà di prodotti in
grado di soddisfare i bisogni e i gusti di una clientela a sua volta sempre più diversificata. Si
creò in questo modo sia per l'aumento dei costi di produzione e sia per il raffinarsi delle
tecniche una produzione di merci di lusso destinata alle classi agiate. Le nuove politiche
finanziarie e l'espansione dei commerci avviarono dapprima nell'area mediterranea e poi nel
resto d'Europa, lo sviluppo di strumenti finanziari più duttili e la stessa tecnica economica
in area mediterranea conobbe notevoli progressi, basti ricordare la diffusione di manuali di
mercatura, le assicurazioni, il progresso delle tecniche contabili e infine i nuovi tipi di società
commerciali.
4. DA COSTANTINOPOLI A ISTANBUL.
1. Nuove realtà a Occidente. La tradizione spagnola esalta la Riconquista, che non fu
un'azione militare costante nel tempo, bensì un processo dinamico in cui si alternarono tensioni
tre ordini militari che univano gli ideali marziali a quelli religiosi. Ma il carattere bellicoso
della popolazione castigliana fece precipitare il paese, dalla fine del 200 alla seconda metà
del 300, nell'anarchia feudale e nella guerra civile. La monarchia non fu assolutamente in
grado di disciplinare la forte aristocrazia. Nel caos generale, culminato nella sollevazione
nobiliare contro Pietro il Crudele, le autorità locali crearono autonome organizzazioni di
difesa, che avevano il compito di proteggere le città e i villaggi sia dal banditismo contadino
sia dall'usurpazione delle terre comunali da parte dei nobili. Malgrado le violente guerre civili
l'economia castigliana si sviluppò in maniera significativa. Tra il 14° e il 15° secolo Castiglia
fu il primo produttore del continente di lana. La grande quantità di lana rappresentava una
notevole risorsa economica per lo sviluppo delle città, per i mercanti e per la monarchia, visto
che l'imposta sulla lana rappresentava una delle sue entrate più sicure. Nella sua parte
settentrionale fioriva un'economia mercantile aperta ai traffici commerciali atlantici con le
Fiandre, la Francia e i paesi nordici, invece, nella parte centro meridionale i vasti spazi
sottratti ai musulmani, permettevano la transumanza e la fioritura di una grande produzione di
lana. Accanto a un'industria manifatturiera e a specifiche produzioni cittadine (spade, sapone,
ceramiche), si realizzò un articolato sistema di scali commerciali e marittimi che andavano
da Cadice al porto di Palos sino a Siviglia. Questo tipo di attività avviò la nascita di nuovi
cantieri navali e permise ai castigliani di mettersi in diretta concorrenza con i portoghesi
nelle esplorazioni marittime. Agli inizi del 15° secolo nobili e marinai castigliani iniziarono
la loro avventura marittima con la conquista delle isole Canarie nel 1402. Di lì a qualche anno,
l'alleanza con la nobiltà stretta da Giovanni II segnò la definitiva supremazia nobiliare
all'interno del paese. Già in questo periodo alcune casate aristocratiche, come i Mendoza, gli
Enriquez e i Guzmàn, avevano acquisito un prestigio e una ricchezza smisurata, tanto da
riuscire a tenere sotto scacco la monarchia. Fu proprio la fazione aristocratica avversa a
Ernico IV che nel 1468 riuscì a imporre come erede legittima al trono di Castiglia, anziché
la figlia del sovrano, Giovanna, la sua sorellastra, Isabella, la quale, dopo aver sposato
segretamente nell'ottobre del 1469 il cugino Ferdinando, erede al trono di Aragona, alla
morte di Enrico nel 1474 si proclamò regina. Ma la fazione nobiliare anti aragonese,
sostenuta dal re del Portogallo, Alfonso V, incoraggiò Giovanna a rivendicare il trono
castigliano. La guerra che ne seguì devastò tutta la Castiglia. Solo nel 1479 Isabella con il
decisivo aiuto del marito riuscì a portare sotto il suo controllo il paese rivelandosi una donna
di grande fermezza e coraggio.
3. L'avanzata turca. Nel corso del 14° e del 15° si affermò una grande potenza
musulmana nel Mediterraneo orientale: quella dei turchi ottomani. In Anatolia sorsero una
miriade di emirati, tra questi quello dei turchi ottomani, una tribù convertitasi all'Islam e
stimata per le sue capacità guerriere. Le uniche notizie riguardo a questa tribù risalgono al
luglio,1302 quando il fondatore della dinastia, Osman o Otman I sconfisse sulle rive del Mar
di Marmara una compagnia d'armi bizantina. Dopo quella vittoriosa battaglia, gli Ottomani
poco a poco avanzarono dapprima nella penisola anatolica e da lì a qualche decennio in
quella balcanica, a spese egli emirati anatolici e dei Bizantini. Nel 1326, sotto la guida di
Orhan, figlio di Otman, i turchi conquistarono Bursa che ne divenne la capitale, nel 1331
s'impossessarono di Nicea, nel 1337 entravano a Nicomedia, infine, nel 1354, erigevano una
propria piazzaforte a Gallipoli sulla riva europea dello Stretto dei Dardanelli, dando inizio
così alla loro espansione nei Balcani. Due anni dopo, Orhan, per suffragare le sue pretese
sull'Impero bizantino, sposò la principessa Teodora, figlia di Giovanni VI, coimperatore
bizantino. L'impero bizantino, minato dalle guerre civili per le contese dinastiche, era
allora in piena decadenza e non era più in grado di difendere i territori balcanici. Gli
Ottomani approfittarono di tale anarchia per insediarsi stabilmente nella Tracia, e nel 1362
s'impadronirono di Adrianopoli, e lì vi stabilirono nel 1365 la sede del comando militare.
Animati dagli ideali della guerra santa e decisi a estendere il loro dominio sull’intera regione,
nel giro di pochi decenni ne assoggettarono la popolazione cristiana. In assenza di
qualunque reazione da parte dei Bizantini, furono le popolazioni balcaniche (Serbi, Bulgari,
Bosniaci e 'Albanesi) che tentarono di unire le loro forze per fermare l'avanzata turca verso
il Danubio e l'Adriatico. Nel 1389 la principale potenza balcanica, il Regno di Serbia, e i suoi
alleati furono sconfitti dal sultano ottomano nella feroce battaglia del Kosovo, nella quale
perirono sia il capo delle milizie cristiane, sia il vincitore, Murad I. Malgrado la morte del
sultano, grazie all'intraprendenza del suo successore Bayazed I, sopranominato 'la Folgore' per
la rapidità con la quale eseguiva le sue operazioni militari, furono avviate una serie di
operazioni militari in Rumelia (la parte europea sotto il dominio bizantino) allo scopo di
rafforzare le posizioni turche in Europa orientale. Fu conquistata la Tessaglia e invasa la Morea
e nel 1394 i turchi con 10 mila soldati tentarono un primo assedio a Costantinopoli. Per
fronteggiare il pericolo islamico il nuovo re magiaro, Sigismondo di Lussemburgo, appoggiato
da Bonifacio IX, si fece promotore di una nuova crociata con l'obiettivo di liberare
Costantinopoli. Nello scontro che ne seguì a Nicopoli nel 1396, i crociati subirono una
grave disfatta e l'occupazione ottomana della Bulgaria fu definitivamente consolidata. A
distanza di un secolo, gli Ottomani, grazie alla loro intraprendenza militare, avevano di fatto
già raggiunto l'unificazione della penisola anatolica e di buona parte di quella balcanica.
4. La presa di Costantinopoli. L'avanzata ottomana fu temporaneamente interrotta
dall'incursione in Asia Minore di un sovrano mongolo Timur lo Zoppo, conosciuto in
occidente col nome Tamerlano, che a capo di un potente esercito, dopo aver sottomesso la
Persia, l'Armenia e la Mesopotamia, nel 1402 sconfisse per la prima volta i turchi nei pressi
di Ankara, occupò e incendiò Bursa e catturò Bayazed che morì l'anno successivo durante
la prigionia. L'improvvisa scomparsa di Tamerlano nel 1405 e la sterile controffensiva
dell'imperatore bizantino, Manuele II Paleologo, che invece di approfittare della
momentanea debolezza dei turchi si accontentò di stipulare con essi un trattato di non
belligeranza di dare in sposa sua figlia a uno dei figli di Bayazed, permisero agli Ottomani di
riprendere la propria offensiva. Dopo un decennio di lotte intestine tra i quattro figli di
Bayazed, l'unità dell'impero fu restaurata nel 1413 dal suo secondogenito Maometto I. Il
nuovo sultano promosse un'azione militare tesa a ristabilire l'unità e la pacificazione del regno,
gravemente minato dalle ribellioni popolari. Alla sua morte il figlio Murad II sottomise i
regni anatolici e dopo aver trovato un’intesa con Venezia a cui assicurò la libera
circolazione di uomini e merci in tutte le terre dell'Impero ottomano, riprese l'offensiva
contro Bisanzio, a cui sottrasse la città di Salonicco, e infine ristabilì il dominio ottomano
nella penisola balcanica sconfiggendo l'esercito ungherese dapprima nel 1444 a Varna e poi
nel 1 448nel Kosovo. Con il procedere delle conquiste, le risorse economiche e la forza
dello Stato ottomano si accrescevano. Davanti a questo progressivo accerchiamento
ottomano, i Bizantini, che ormai controllavano solo Costantinopoli, provarono a ritrovare il
carattere originario della loro eredità ellenica. L'imperatore Manuele, dopo essersi recato in
Occidente, dove si faceva sempre più forte e diffuso l'interesse per le antichità greche, fondò
l'Università di Costantinopoli, il Museo universale e promosse la costruzione di edifici sacri
dentro il solco della tradizione bizantina. Inoltre, gli sforzi per realizzare l'unione tra la
chiesa cattolica e quella ortodossa, teoricamente proclamata dal concilio di Firenze nel
1439, allo scopo di unire le forze cristiane contro il nemico musulmano, s'infransero
soprattutto di fronte alla resistenza del clero e del popolo ortodosso avverso all'unione con la
Chiesa cattolica. A capo di un'armata di circa 150 mila uomini il 29 maggio 1453 dopo quasi
2 mesi di assedio, Maometto II, noto come il Conquistatore, s'impossessò della città che
divenne, sotto il nome di Istanbul, la nuova capitale dell'impero ottomano. Durante la
battaglia finale i Bizantini e i loro alleati, veneziani e genovesi, furono massacrati e lo
stesso imperatore morì combattendo. Dopo la vittoria, la città, secondo l'uso islamico, fu
saccheggiata per tre giorni e la basilica di Santa Sofia fu convertita in moschea e divenne il
centro religioso della capitale. Con la conquista di Costantinopoli gli Ottomani si
insediarono stabilmente nel Mediterraneo ed estesero la loro egemonia sul Mar Nero. La
città, sotto il loro dominio, fu ristrutturata e arricchita di nuove opere architettoniche,
rinnovando così l'antica tradizione di città cosmopolita. Istanbul, per oltre due secoli, restò
il centro più fiorente del Mediterraneo. (Gli Ottomani riuscirono a conquistarla grazie al
quasi totale disinteresse europeo per la sua sorte, ma, paradossalmente, vi riuscirono per i
progressi tecnologici occidentali nella fabbricazione di armi.)
5. Conseguenze politiche e culturali. La notizia della caduta di Costantinopoli giunse a
Venezia esattamente mese dopo, il 29 giugno 1453, e da lì rimbalzò rapidamente in tutte le
corti europee. L’ondata di panico e l'enorme impressione che il fatto provocò in tutt'Europa
segnò profondamente la successiva storia del Mediterraneo. La conquista di Costantinopoli
non solo aveva messo fine alla civiltà bizantina e aveva consacrato la vittoria dell'Islam sul
mondo cristiano, inserendo violentemente gli Ottomani nella dinamica geopolitica europea,
ma aveva fatto affiorare per la prima volta negli animi delle popolazioni cristiane la grande
paura del turco. L'eredità della Chiesa bizantina passò nelle mani di Mosca 'la terza
Roma', e indusse il suo principe, Ivan III il Grande, sposo nel 1472 di una principessa
bizantina della dinastia dei Paleologi, a farsi carico, dopo essersi proclamato Zar, della
creazione di un grande Stato cristiano che raccogliesse l'eredità di Roma e di
Costantinopoli. Sul piano politico una delle prime conseguenze che ebbe la conquista
ottomana di Costantinopoli fu l'accelerazione del processo di pacificazione tra Francia e
Inghilterra e all'interno degli Stati territoriali italiani e, mentre su quello militare ci fu la
vigorosa ripresa della Riconquista a opera dei Castigliani, che prima con Enrico IV e poi
sotto Isabella ripresero la guerra contro Granada. Venezia, Genova, Ragusa e Firenze
stipularono trattati di pace e di amicizia col sultano, il quale in cambio di un tributo
assicurò ancora alle loro navi il diritto di commerciare. Dopo la presa di Costantinopoli,
Maometto II condusse personalmente una serie di campagne militari sulle coste del Mar Nero,
che portarono all'occupazione delle colonie veneziane e genovesi, del principato dei Comneni
di Trebisonda (1461) e alla sottomissione del Khanato dei Tatari in Crimea (1475). Allo
stesso tempo rafforzò il dominio ottomano in Anatolia centrale e orientale, infine, nel giro di
pochi decenni completò la conquista dei territori greci e balcanici. Anche Venezia, in
seguito allo scontro con i turchi per il controllo del Peloponneso, subì sensibili perdite
territoriali: nel 1470 dovette cedere agli Ottomani la regione del Negroponte e alcune basi
commerciali disseminate nel Mar Egeo e nello Ionio. Ma la Serenissima, grazie al matrimonio
di Caterina Cornaro con uno degli ultimi sovrani latini in Oriente, Giacomo II di Lusignano,
nel 1489 riuscì a imporre il proprio dominio sull'isola di Cipro, il cui prestigio, oltre che per
la sua posizione geografica, derivava dalla produzione di sale, di zucchero e di cotone.
L'offensiva ottomana continuò verso la Dalmazia e il Friuli, quasi alle porte di Venezia e
nel 1480 i turchi misero piede in Italia a Otranto. Le conquiste compiute da Maometto II
furono consolidate dal figlio Bayazed II che dovette affrontare un secondo conflitto con
Venezia (1499-1503). La successiva pace firmata con i veneziani a Istanbul permise al sultano
di concentrarsi sui problemi interni all'Impero e di allestire una potente flotta navale. Di lì a
qualche decennio i turchi riuscirono a costruire una potente flotta capace di tenere testa
alle prestigiose marinerie occidentali.
Fiandre, della Franca Contea e dei Paesi Bassi, cosa che da parte accentuò il carattere plurale
dei domini asburgici, dall'altra fece degli Asburgo gli eredi dell'antica rivalità tra la casa
di Borgogna e la Francia. Questo nuovo scenario politico doveva far sì che per lo Stato
austriaco erano considerati potenziali alleati tutti i nemici della Francia e quindi furono cercate
intese diplomatiche e militari in primo luogo con i sovrani spagnoli.
2. L'unione delle 2 corone. Con il matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando
d'Aragona, salì al trono Ferdinando al posto di suo padre nel 1479. I conflitti e le tensioni
sociali che avevano agitato sino a quel momento i due regni iberici, sotto i Re Cattolici furono
in gran parte risolti e cominciarono ad affermarsi i principi della monarchia assoluta.
Isabella e Ferdinando si trovarono di fronte un paese politicamente ancora da unificare: ognuna
delle due parti conservava la propria lingua, castigliano e catalano, le proprie istituzioni, i
propri costumi e un proprio ordinamento giuridico e costituzionale. Tuttavia, sebbene non vi
fu la fusione dei due Regni in un solo dominio, questo non significò che l'Aragona fosse
subordinata alla Castiglia o viceversa. Gli interessi delle due parti furono complementari. La
Castiglia si trovarono impegnati negli interessi mediterranei aragonesi, e questi ultimi
fornirono ai Castigliani la propria esperienza commerciale, politica e amministrativa in modo
tale da assicurare alla Spagna intera la conquista di un nuovo impero. Inizialmente l'azione
della Corona fu diretta principalmente al rafforzamento dell'unità religiosa del paese.
Così come avvenne in Francia, anche in Spagna 'organizzazione ecclesiastica fu posta sotto
il controllo monarchico. Ma la difesa della cristianità scaturita dalla secolare crociata contro
i musulmani, legò in maniera indissolubile la monarchia alla Chiesa, e fece maturare nel paese
una diffusa intolleranza nei confronti di ebrei e musulmani. Per preservare nel paese la purezza
della fede, i sovrani già nel 1478 ottennero il permesso di istituire un tribunale
dell'Inquisizione. Il tribunale, famoso per il macabro spettacolo degli atti di fede e per
l'intransigenza del suo primo inquisitore generale il domenicano Tomàs de Toquemada, tra i
suoi compiti principali oltre a giudicare sui delitti di varia natura (stregoneria, assassinio,
poligamia, sodomia) prevedeva la repressione di minoranze religiose e nel caso di nuovi
adepti al cristianesimo accertare la sincerità della loro conversione. L'azione inquisitoriale fino
ai primi decenni del 500 fu rivolta prevalentemente contro musulmani ed ebrei convertiti al
cristianesimo. In questo modo l'inquisizione divenne un potente sistema di repressione e si
rivelò un formidabile strumento politico in mano alla monarchia per cementare il suo legame
con la borghesia castigliana ed aragonese.
Un altro mezzo per unire la Spagna fu la vigorosa ripresa della Riconquista. Le
ambizioni della nobiltà furono abilmente dirette dai sovrani contro l’ultimo residuo della
dominazione musulmana nella penisola. Il 2 gennaio del 1492, dopo 12 anni di logoranti
operazioni militari, il regno di Granada capitolò. L’emiro e i musulmani furono esiliati in
Africa settentrionale. Era la fine della lunga Reconquista durata oltre 7 secoli. Inoltre il 31
marzo 1492 vi fu il regio decreto di espulsione dal paese di oltre 100 mila ebrei, la cui
importanza per l'economia e la società iberica era tutt'altro che marginale viste le loro
conoscenze tecniche e i mezzi finanziari di cui disponevano.
Temendo una collusione tra i mussulmani africani e quelli ancora residenti in Andalusia,
gli spagnoli avviarono la costruzione di linee di difesa lungo la costa andalusa e allo stesso
tempo adottarono verso la popolazione moresca una politica di tolleranza e di pacifica
convivenza, che prevedeva per i musulmani che non si fossero convertiti al cristianesimo di
professare liberamente la loro religione. Ma sotto la spinta di Francisco Jimenez di Cisneros,
il fanatico arcivescovo di Toledo, fu lanciata una campagna di conversioni forzate e di
battesimi di massa. Tale azione se da una parte portò alla conversione di migliaia di mori,
dall'altra fomentò una violenta ribellione nella regione dove risiedevano la maggior parte dei
musulmani. Dopo aver soffocato la rivolta, nel 1502 fu emanato un bando che decretava
l'espulsione dal suolo spagnolo di tutti coloro che non si fossero convertiti al cattolicesimo. La
Spagna tornava a essere cristiana, ma l'esigenza di garantire la sicurezza del paese da ogni
possibile tentativo di riscossa musulmana o ebrea, rinvigorì lo spirito di conquista dei
castigliani.
3. L'Italia nella seconda metà del 400. La formazione di 3 importanti entità statali quali
Spagna, Francia e Impero Ottomano, mutò l'intero equilibrio mediterraneo ed europeo. Se i
turchi rivolgevano la propria spinta espansionistica verso l’Europa balcanica e il Vicino
Oriente, la monarchia francese e quella spagnola guardavano alla penisola italiana. Alla
fine del 400 il centro della vita culturale europea e del commercio mediterraneo rimaneva
ancora ben saldo in Italia. Ma se da un lato la penisola produsse l'Umanesimo e il
Rinascimento, dall'altro non fu possibile creare un’entità statale moderna (a causa dell’assenza
di una forza egemonica capace di imporre un processo unitario) dai caratteri e dalle dimensioni
della Francia o della Spagna. Agli inizi del XV secolo l'Italia si presentava frammentata in
una serie di Stati (caratterizzati da ricorrenti rivolgimenti politici interni e opposizioni
reciproche nel tentativo di espandere il proprio territorio), ma in seguito alla pace di Lodi nel
1454 si ebbe un assestamento della geografia politica peninsulare. Gli Stati maggiori erano
cinque: la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano nella parte settentrionale, la
Repubblica di Firenze e lo Stato della Chiesa al centro e infine il Regno di Napoli nella
parte meridionale. Pertanto il sistema di equilibrio italiana raggiunto a Lodi, si reggeva sulla
difesa della propria autonomia da parte dei singoli Stati. Questo risultato fu possibile grazie
anche all'accorta politica diplomatica attuata da Lorenzo il Magnifico che in occasione della
crisi tra Firenze e il papato (1478-1480) o nella successiva guerra di Ferrara (1482-1484) in
cui furono coinvolti tutti i maggiori Stati peninsulari e rischiò il coinvolgimento di francesi e
di turchi sollecitati a intervenire dai veneziani, seppe circoscrivere qualunque incidente che
potesse alterare il fragile equilibrio politico italiano. Tuttavia l'equilibrio della penisola si
reggeva principalmente sulla forza di due Stati, uno a nord, quello di Milano, passato nel
1450 dalla dinastia dei Visconti a quella degli Sforza, ricco di risorse agricole, dotato di
un'industria assai prospera e di una invidiabile posizione geografica da cui controllava i passi
alpini, l’altro a sud: il Regno di Napoli che si estendeva su tutto il Mezzogiorno continentale,
i cui prodotti, vino, olio e grano oltre a mantenere attive le transazioni commerciali con i
mercanti veneziani, genovesi e toscani, attirarono continue incursioni sulle sue coste da parte
delle marinerie musulmane. Alfonso V il Magnanimo, come si visto dopo la conquista del
Regno di Napoli, aveva eletto la sua residenza nella capitale e aveva disposto che la Corona
meridionale si staccasse dal ramo spagnolo, designando come suo erede al trono napoletano il
figlio naturale Ferrante. Le riforme promosse prima dal Magnanimo e poi proseguite dal figlio
portarono a un rafforzamento del governo centrale a discapito della feudalità e
provocarono il malcontento dei potenti signori che culminò nella Congiura dei baroni (1485-
1486), appoggiata dal papa Innocenzo VIII favorevole a un'estromissione degli Aragonesi da
Napoli e all'insediamento di una dinastia francese. La ribellione stroncata ferocemente da
Ferrante con l'aiuto militare e diplomatico di Ferdinando il Cattolico, che riteneva
indispensabile la presenza aragonese a Napoli per la sua politica di espansione mediterranea.
4. Spagna e Francia sul Mediterraneo. Fu il sovrano francese, Carlo VIII, a dare inizio
nella primavera del 1494 a un ciclo di lunghe e terribili guerre che iniziate in Italia si estesero
poi a tutto il continente. Sollecitato dal signore di Milano Ludovico Sforza detto il Moro,
il monarca francese nella primavera del 1494, dopo essersi assicurato la neutralità di
Inghilterra, Spagna e degli Asburgo, oltrepassò le Alpi orientali alla testa di un esercito di circa
65.000 uomini. Accolto dalle popolazioni italiane come un liberatore dalle tirannie signorili,
nel febbraio del 1495 entrava in Napoli, mentre il nuovo re aragonese, Ferdinando II
scappava in Sicilia. A rendere la sua impresa quasi una passeggiata trionfale non fu la sua
forza militare, ma la debolezza degli Stati italiani. Accanto agli interessi dinastici del re erano
rappresentate le aspirazioni dei nuovi ceti imprenditoriali francesi che intendevano affermarsi
nei mercati del Levante. La sua, però, fu una conquista di breve durata. Ludovico il Moro,
duca di Milano, fu il primo a organizzare una coalizione antifrancese, un'alleanza alla quale
erano interessati Milano, Venezia, lo stesso Stato della Chiesa ma anche la Spagna e
l'imperatore Massimiliano di Asburgo. Il 31 marzo 1495 a Venezia veniva firmata l'intesa.
Ormai il fragile equilibrio italiano era spezzato e la situazione sfuggiva di mano ai suoi
principali protagonisti. Il ritorno in patria dei francesi fu affrettato dallo sbarco in
Calabria degli spagnoli e dalla comparsa della flotta veneziana lungo le coste pugliesi.
Lasciata una parte dell’esercito a presidiare la capitale, Carlo partì da Napoli il 20 maggio
1495 e sulla via del ritorno, nel mese di luglio, fu affrontato dalla coalizione antifrancese a
Fornovo nei pressi di Parma. La battaglia non fu risolutiva e il teatro di guerra si spostò nel
Novarese. La pace separata di Ludovico il Moro con i francesi consentì una tregua del
conflitto impegnando Milano ad appoggiare un'eventuale nuova discesa dell'esercito
francese in Italia. Solo nel gennaio dell'anno successivo il Regno di Napoli ritornò
temporaneamente nelle mani degli aragonesi. Tra i vincitori di tutta la partita giocatasi alla
fine del secolo emergeva il re aragonese, Ferdinando il Cattolico. Fu sua la proposta di una
tregua e di un condominio franco-ispano nella penisola, destinato a concretizzarsi nel 1504
con il trattato di Blois, quando sul trono di Francia sedeva Luigi XII d'Orleans. L'accordo tra
i due principali contendenti stabilì la divisione. della penisola: il Regno di Napoli era
assegnato alla Spagna, il ducato di Milano alla Francia. La tregua raggiunta in Italia
permise alle forze spagnole di fronteggiare con maggior vigore il pericolo che proveniva
dall'Africa settentrionale. La continua attività corsara proveniente dalle coste nordafricane,
dove si erano rifugiati molti musulmani esuli dalla penisola iberica, obbligò la Spagna alla
progressiva conquista di una serie di basi sulle coste del Maghreb. Una decisiva azione di
conquista del suolo africano fu intensificata solo dopo rivolta dei moriscos del 1499, che
risvegliò nei Castigliani il loro fervente spirito crociato e dopo la scomparsa di Isabella (1504).
Una prima spedizione militare occupò il porto di Mers el Kebir (1505), poi fu la volta della
città di Orano (1509), e infine della colta e ricca Bugia e di Tripoli (1510) importante capolinea
mediterraneo dei traffici transahariani. Unico insuccesso spagnolo fu quello subito davanti
l'isola di Gera nel 1511. Ferdinando ritenne il teatro africano sempre meno importante di
quello italiano sia perché considerava il Mezzogiorno d'Italia un possedimento aragonese e
sia per l'importanza economica. Le spedizioni militari in Africa furono essenzialmente
condotte per difendere la Spagna da possibili attacchi moreschi e per preservarla da intese tra
i musulmani spagnoli e quelli nord africani. Questo mancato controllo territoriale non solo
permise alle popolazioni maghrebine di riorganizzarsi e rintuzzare gli attacchi spagnoli, ma
ben presto favorì la penetrazione ottomana su tutto il litorale africano.
5. Venezia e la sua crisi. Approfittando degli impegni veneziani nelle guerre d'Italia,
Bayazed II nell'agosto del 1499 attaccava i possedimenti veneziani nel golfo di Corinto e
sulle coste del Peloponneso, spingendo di nuovo le sue armate sino in Friuli e in Carinzia. Alla
fine del conflitto terminato nel 1503, che aveva visto la partecipazione in soccorso di
Venezia di una flotta francese e spagnola, e nonostante i vantaggi commerciali rinnovati
dalla porta ai veneziani nei traffici levantini, Venezia dovette abbandonare Corone, Modone,
Lepanto e Durazzo e, così, quasi tutta la penisola greca era in mano ottomana. La sconfitta
subita dalla Serenissima pose fine al mito dell'invincibilità delle sue galee e segnò
l'arresto dell'espansione veneziana nel Mediterraneo orientale. Per contenere la pressione
ottomana sui domini veneziani in Levante, bisognava mantenere con la Porta buoni rapporti e
assumere un atteggiamento conciliante, sia per salvaguardare i propri interessi
commerciali e sia per conservare quello che ancora restava del suo vasto impero coloniale;
ma allo stesso tempo era, altresì, chiaro che occorreva investire maggiori risorse ed energie
in Italia. Conquista della Terraferma era necessaria per rafforzare gli interessi marittimi, per
tutelare le vie dei traffici e per impedire la formazione di uno Stato potente in prossimità della
laguna. Le guerre d'Italia e il nuovo corso della politica veneziana nel Levante tesa al
mantenimento delle posizioni raggiunte, comportarono un indebolimento della Repubblica
e avviarono una lenta trasformazione delle sue strutture economiche e politiche che ebbero
profonde ripercussioni all'interno della società e dell'oligarchia lagunare. Sino a quel momento
il patriziato veneziano era composto per lo più da armatori e mercanti legati alle attività
d'oltremare, cosa che la rese immune dalle guerre interne che agitavano gli altri regni della
penisola, ma verso la fine del Quattrocento cominciò a prendere corpo un'aristocrazia
fondiaria, maggiormente interessata ai domini sulla Terraferma. La politica veneziana per
forza di cose si orientò sempre di più verso le vicende italiane, nei primi anni del lungo
conflitto solo Venezia tra gli Stati peninsulari aveva ricavato consistenti aumenti
territoriali, giungendo proprio in quel periodo alla sua massima estensione e risultando di
fatto la potenza egemone. Ma le aspirazioni veneziane di espandersi verso la Lombardia, il
centro strategico dell'Italia settentrionale, e in direzione della Romagna, tradizionale mercato
per la Serenissima di approvigionamento di grano, canapa e soldati, furono bloccate dalla
formazione di una nuova lega di Stati in funzione anti veneziana, promossa da Giulio II
desideroso di riconquistare i possedimenti romagnoli ed estendere l'egemonia papale sulla
penisola. Il piano, stipulato in segreto a Cambrai (1508) tra Luigi XII, Massimiliano
d'Asburgo e Ferdinando il Cattolico, prevedeva l'annientamento e la spartizione dei
domini veneti tra i partecipanti della lega. La disfatta per Venezia fu inevitabile e nel 1509
le sue truppe, composte anche da un corpo di soldati bosniaci e turchi inviati in soccorso di
Venezia dal sultano Bayazed II, furono sconfitte ad Agnadello, in una delle più cruente e
sanguinose battaglie combattute durante il cosiddetto periodo delle guerre d’Italia. In seguito
alla sconfitta di Venezia, i francesi occuparono i territori lombardi mentre il pontefice
riprese quelli romagnoli. Sebbene la città lagunare recuperò una parte dei propri
territori e conservò le città venete, da quel momento dovette limitare le sue ambizioni sulla
terraferma italiana. Nel frattempo i contrasti sorti tra il pontefice e il monarca francese
portarono alla frantumazione della lega di Cambrai e alla formazione nel 1511 di una nuova
coalizione (Lega Santa) questa volta in funzione antifrancese, a cui aderirono Venezia, la
Spagna, l'Inghilterra e la potenza militare della Svizzera. I francesi nel giugno 1512 furono
costretti alla ritirata dalle fanterie svizzere e 'cosi le forze della Lega Santa riuscirono ad
allontanare temporaneamente i francesi dall'Italia. Il Ducato di Milano ritornava agli
Sforza, ma sotto la protezione delle armi svizzere, la Repubblica di Firenze fu assegnata ai
Medici. Alla preminenza francese in Italia si sostituiva quella iberica. La situazione mutò
nuovamente tre anni dopo, con l'avvento sul trono di Francia di Francesco I nel 1515, nipote
di Luigi XII. Egli si adoperò a pacificarsi con la Spagna e con il nuovo papa, Leone X, figlio
di Lorenzo de Medici, dopodiché ritentò e con successo la conquista del Ducato di Milano,
il cui controllo risultava essenziale per la Francia. A capo di una impressionante armata nel
settembre dello stesso anno sbaragliò a Marignano, con il decisivo supporto veneziano, le
truppe dell'ennesima lega antifrancese, questa volta formata dal Ducato di Milano,
dall'Imperatore e dagli Svizzeri, che nella loro ritirata occuparono l'alta valle del Ticino
(l'attuale Canton Ticino). La pace di Noyon nel 1516 se da un lato sancì una momentanea
egemonia francese in Italia, dall'altro attestò il definitivo dominio delle potenze straniere
in Italia: Milano restava alla Francia, Napoli alla Spagna, Venezia recuperava parte dei
territori perduti nel 1509; Leone X restituiva al Ducato di Milano le città di Parma e Piacenza,
ma otteneva in cambio che la sua famiglia a Firenze potesse contare sull'appoggio francese.
Allo stesso tempo fu ratificato tra il papa e il monarca transalpino un concordato che concedeva
al re ampia libertà nella scelta dei vescovi francesi e nel conferimento dei benefici ecclesiastici.
Sembrava assicurata la pace, ma all'improvviso il paesaggio politico europeo fu di nuovo
sconvolto: la morte di Ferdinando d'Aragona nel 1516, dell'imperatore Massimiliano
d'Asburgo (1519) e del sultano Selim I (1520) crearono una situazione del tutto nuova. Le
alleanze matrimoniali e gli incastri dinastici europei fecero spuntare un giovanissimo
protagonista, Carlo d'Asburgo, che fece ben presto mutare l'intero scenario del continente.
Giovanni). Per gli spagnoli il Mediterraneo diventava sempre più un mare insicuro. Le
occupazioni militari avvenute al tempo di Ferdinando delle città costiere nord africane,
indussero gli abitanti di Algeri a sollecitare l'intervento dei fratelli Barbarossa, Aruc e Khayr
al Din, che dal 1504 conducevano nel Mediterraneo occidentale un'energica guerra
contro i cristiani: nel 1515 s'impadronirono di Algeri, e dopo la morte di Aruc nel 1518, Kayr
al Din si dichiarò vassallo di Selim ricevendone protezione e aiuto. Da quel momento il porto
di Algeri divenne la base principale della corsa turca nel Mediterraneo occidentale e in città
fu costituito un sistema di governo simile a quello delle altre province ottomane. Barbarossa
si dimostrò un capo carismatico e dotato di un forte acume politico e militare, infatti organizzò
gli equipaggi barbareschi trasformandoli in reparti ben addestrati e disciplinati. Per oltre un
decennio, sino alla morte avvenuta nel 1544, Barbarossa tenne in sacco le marinerie
cristiane, con più di cento navi saccheggiò le coste dell'Italia meridionale sino alla foce del
Tevere, poi nel 1534 rivolse le sue forze contro Tunisi e le altre città costiere tunisine, snodi
vitali per i traffici spagnoli. I domini mediterranei dell'Imperatore erano ora seriamente
minacciati, non solo dai corsari, ma da tutta la forza navale del potentissimo impero rivale
che impediva la circolazione delle navi spagnole e rendeva difficili i collegamenti tra le
varie parti dell'Impero. In pratica la posta in gioco era il controllo del Mediterraneo centrale:
la vittoria degli spagnoli avrebbe protetto i domini mediterranei e interrotto i contatti fra il
Barbarossa e Istanbul, il successo dei turchi invece, avrebbe mantenuto unite le forze
musulmane. Carlo V (nonostante le divergenze con il papato, lo scisma religioso e la rivalità
con il monarca francese, rappresentava ancora il difensore della cristianità; i domini italiani
erano seriamente minacciati dall’espansione ottomana) allora allestì un imponente
spedizione (ne assunse il comando) contro Tunisi che fu conquistata nel 1535 ma l'impresa
non ebbe effetti risolutivi. Barbarossa già dopo qualche settimana rispose all'attacco spagnolo
devastando Port Mahon nell'isola di Minorca. Carlo V cercò di trovare un’intesa
diplomatica ma le trattative fallirono. I turchi dopo aver cercato di attirare Venezia
nell'orbita dell'alleanza turco-francese, nel 1537, sferrarono un attacco all'isola veneziana di
Corfù, dando inizio al terzo conflitto con la Serenissima (1537-1540). La flotta ottomana
guidata dal Barbarossa riportò un importante successo nel settembre del 1538. La sconfitta
della lega cristiana, dovuta soprattutto alla reciproca diffidenza tra veneziani e spagnoli,
spinse nel 1540 la Serenissima a siglare un trattato di pace separato con la Porta (che prevedeva
il risarcimento e la cessione di alcune fortezze veneziane). La Repubblica di Venezia da allora,
dovette affrontare contro i turchi costosissime guerre difensive appoggiandosi, spesso, ad
alleanze con la Spagna (i cui interessi divergevano però da quelli veneziani). Le vittoriose
imprese turco-barbaresche costituivano una grave minaccia per tutto l'occidente, e per
oltre un trentennio il blocco cristiano non riuscì a opporre una significativa reazione. La
spedizione contro Algeri guidata dallo stesso imperatore nell'ottobre del 1541 si era risolta in
un disastro a causa di un improvviso temporale che si abbatté sulla flotta imperiale. Dopo la
disfatta imperiale dell'impresa di Algeri, i turchi, passarono al contrattacco e cercarono di
approfittare della situazione per estendere il loro dominio sulle coste nordafricane. In pratica
in tutto il nord Africa solo il Marocco atlantico restò fuori dalla dominazione ottomana.
3. L'assetto politico dell'Europa. Mentre l'imperatore era impegnato a contrastare i
turchi nel Mediterraneo, Francesco I, decise di affrontare per la terza volta il rivale sul suolo
italiano. Dopo la morte nel 1536 di Francesco Sforza, il Ducato di Milano, così come previsto
dagli accordi di Cambrai doveva passare definitivamente alla Spagna, ma il monarca francese
d’intesa con Solimano il Magnifico riaffermò le vecchie pretese francesi sul ducato di
Molano e occupò il Piemonte. Per ridurre l'offensiva francese che dal Piemonte minacciava
di invadere il Milanese, Carlo stipulò un'alleanza con Venezia per combattere la flotta
ottomana-barbaresca e avviò trattative con l'Inghilterra e con i nemici settentrionali dei
turchi, come la Polonia e la Russia. Dopo 3 anni di guerra e devastazioni che colpirono in
particolar modo la Provenza, si arrivò alla tregua di Nizza nel 1538. Ma le ostilità tra i 2
contendenti ripresero nuovamente nel 1541. L'ennesima pace conclusa a Crepy nel 1544 non
portò alcun risultato e le posizioni rimanevano ancora immutate. I francesi rinunciavano
ai diritti su Napoli, gli spagnoli alla Borgogna, la questione di Milano e quella del
Piemonte, occupato dai francesi, rimanevano irrisolte. Tuttavia gli accordi di Crepy
consentirono all'imperatore di concentrare i suoi sforzi sulla questione protestante. In un
primo momento Carlo pensava di avviare una generale riforma all'interno della Chiesa
cattolica, ma il fallimento della sua azione lo costrinsero a rivedere la sua posizione e a
risolvere il problema con la forza soprattutto dopo che la lega di Smalcalda, una coalizione
di città e principi protestanti formata nel 1531, dichiaratamente ostili all'imperatore, iniziò a
collegarsi con la Francia; fu organizzata una nuova campagna militare contro la lega tedesca
che si concluse con la vittoria di Muhlberg nel 1547, un successo importante che non riuscì
però a risolvere il problema religioso in Germania.
Neanche la morte di Francesco I mise fine alle guerre tra i 2 stati, che si
contendevano il primato in Italia e in Europa. Enrico II, secondogenito di Francesco, riprese
la lotta contro Carlo, riconfermò l'alleanza con Solimano, stipulò un accordo con i principi
luterani e concentrò le sue forze in direzione della Germania con l'obiettivo di estendere i
confini francesi fino al Reno. Nel 1552 in accordo con i principi luterani occupò i vescovadi
lorenesi di Mtez, Toul e Verdun, fino ad allora sotto controllo imperiale. Sembrava profilarsi
un nuovo scontro, ma all'improvviso, il vecchio Imperatore, ormai stanco di oltre un
trentennio di logoranti guerre che avevano impoverito i suoi domini e consapevole, ormai, che
il suo sogno egemonico era irrealizzabile, si ritirò a vita privata morendo nel 1558, dopo
aver stipulato una tregua con i francesi a Vaucelles e con i protestanti tedeschi la pace di
Augusta nel 1555, con la quale furono stabiliti i principi fondamentali per regolare la
convivenza tra cattolici e protestanti all'interno dell'impero. Nello stesso tempo, divise il regno
in 2 parti con l’intento di salvaguardare la pace e conservare il predominio della sua dinastia
in Europa. Al fratello Massimiliano andò la corona imperiale e i domini austriaci, mentre
al figlio Filippo toccarono gli altri domini europei e le colonie nel Nuovo Mondo della
casa di Spagna.
4. Le Reggenze barbaresche. Nei primi anni del 500, lo spazio islamico mediterraneo
presentava al pari di quello cristiano delle divisioni al suo interno. Nel bacino meridionale
sopravvivevano una serie di signorie islamiche rette da dinastie autoctone berbere e
arabe, caratterizzate dalla spiccata autonomia nei confronti del potere centrale. Nella parte
orientale, accanto all’impero ottomano, vi erano due entità politico-militari: il Sultanato
mamelucco in Egitto e quello safavide in Persia (minaccia sul piano militare ma anche su
quello religioso: sunniti contro sciiti) con a capo il giovane sceicco Ismail I. La pressione del
regno persiano divenne la principale preoccupazione del figlio di Bayazed II, il sultano Selim
I (salito al trono dopo aver ucciso i fratelli e costretto il padre all’esilio), che temendo la
formazione di una coalizione egiziano-persiana, attaccò prima i Safavidi sconfiggendoli in
Iran nel 1514 e poi sconfisse i Mamelucchi nel 1516 (l’occupazione dell’Egitto determinò il
crollo dell’Impero mamelucco). Le operazioni militari di Selim fecero dell’Impero turco la
prima potenza del mondo islamico, ciò conferì al sultano un fortissimo prestigio in tutto il
mondo musulmano. A Tunisi, dopo l’impresa di Carlo V nel 1535, la città fu definitivamente
conquistata da Sinan Pascià nel 1574, che diede alla reggenza di Tunisi una organizzazione
simile a quella di Algeri. Stessa sorte toccò a Tripoli nel 1551, quando una potente flotta turco-
barbaresca, attaccò la città e costrinse alla resa i Cavalieri di San Giovanni. A eccezione del
regno di Marrakech, nel Marocco occidentale, appoggiato dagli inglesi per rompere il
monopolio portoghese sulla costa atlantica nordafricana, alla metà del 500 tutto il litorale
nord africano mediterraneo entrò a far parte del mondo ottomano. Ma le province di
Tripoli, Tunisi e Algeri, le reggenze barbaresche, seppur legate all'impero col tempo
divennero sempre più difficili da controllare. La relativa lontananza da Istanbul e il
disinteresse ottomano per il Mediterraneo occidentale dopo il 1580, indusse la Porta ad
assumere un atteggiamento rivolto al mantenimento dell’ordine interno e alla difesa delle
proprie frontiere.
5. La merce umana. L’importanza della guerra di corsa durante l’età moderna. Le
razzie che i turchi e i barbareschi condussero con successo sulle coste italiane e spagnole, e le
incursioni su quelle musulmane da parte dei Cavalieri di San Giovanni, di Santo Stefano e dei
corsari occidentali, ebbe tra le principali conseguenze la cattura di uomini, donne e bambini,
che intensificò l’antico e lucroso commercio di schiavi. Coloro che venivano catturati
venivano considerati la proprietà dello stato o di coloro che li avevano presi. Nel mondo
cristiano i principali mercati di schiavi si trovavano a Malta e a Messina, in quello musulmano
ad Algeri, Tunisi, Tripoli e Istanbul. L'impiego maggiore degli schiavi fu sulle navi. Gli schiavi
non provenivano solo dalle razzie, la guerra rappresentava una fonte costante di
approvvigionamento di prigionieri che venivano poi ridotti in stato di schiavitù, così
come un'altra considerevole fornitura di schiavi proveniva dalle coste settentrionali e orientali
del Mar Nero, un traffico, quest'ultimo, gestito prima da genovesi e veneziani e poi a partire
dalla fine del XV secolo dagli ottomani. La richiesta di schiavi sia nel mondo ottomano e
sia in quello cristiano era molto forte, per cui coloro che detenevano il commercio degli
esseri umani non si facevano alcuno scrupolo di piazzare a ogni costo la merce. Nel mondo
cristiano i prigionieri musulmani erano impiegati in lavori duri, come la costruzione di
fortificazioni, dei porti, come manodopera nelle miniere, nelle pulizie delle fogne, nel trasporto
dell'acqua ecc. Stessa cosa accadeva nel mondo ottomano. Altri invece erano utilizzati nei
grandi cantieri per la costruzione di moschee, come taglialegna nelle foreste, oppure erano al
servizio degli artigiani e dei negozianti di Algeri, Tunisi e di Istanbul. Gli uomini e le donne
di bell'aspetto e quelli alfabetizzati, scampavano ai lavori duri; spesso erano offerti in regalo
al sultano oppure ai nobili ottomani. In questi casi gli uomini erano impegnati come domestici,
e guardiani di harem, le donne come nutrici, serve o concubine. Le occasioni per riconquistare
la libertà erano varie. Nel mondo islamico il matrimonio con una persona libera o il
sopravvivere al proprio padrone comportava l'emancipazione dalla schiavitù, oppure anche
dagli eventi bellici che rendevano possibile la liberazione dei propri conterranei ridotti in
schiavitù. Inoltre subito dopo la cattura si poteva aprire una trattativa per il rilascio dei
prigionieri dietro un pagamento.
origini turche e la lingua ufficiale era il turco ottomano, un misto di turco, arabo e persiano.
Dopo i musulmani, i greco-ortodossi rappresentavano la quota di popolazione più consistente.
Anche se giuridicamente i sudditi non musulmani erano in una condizione di svantaggio,
tuttavia al contrario di quanto accadeva in Spagna e negli altri paesi cattolici, non si
verificarono, se non raramente, conversioni forzate all'Islam. Il carattere eterogeneo dei suoi
abitanti, che presentava significative differenze culturali, religiose e linguistiche, rendeva
l'organizzazione provinciale ottomana molto complessa in virtù anche della necessità di
mantenere unito un così ampio e variegato territorio. Sin dalle prime conquiste l'impero era
stato diviso in province amministrate da un governatore (che riceveva un compenso
annuale, il mandato durava da 1 a 3 anni, essi provenivano dalle file degli schiavi del sultano;
o discendevano da dinastie sottomesse al sultano), che risultava il capo militare della provincia
ed era incaricato di controllare l'attività economica, assicurare l'ordine e il buon funzionamento
della giustizia, infine, doveva vigilare sull'amministrazione. Anche il governatore era
assistito da un consiglio e da una serie di funzionari. Ogni provincia poi era suddivisa in
circoscrizioni. Nelle province più distanti da Istanbul, soprattutto laddove il peso delle
tradizioni politiche preesistenti alla conquista era forte, la dominazione poteva alleggerirsi
notevolmente. In questi territori la sopravvivenza di un’organizzazione sociale differente da
quella ottomana era tollerata sino a quando non avesse pregiudicato gli interessi finanziari
dello Stato. In Egitto, nonostante l'introduzione dell'organizzazione amministrativa ottomana,
sopravvissero molte istituzioni mamelucche e diversi incarichi di alto rango furono affidati
all'aristocrazia locale. Altre province mantennero le proprie istituzioni politiche,
amministrative, fiscali e giuridiche, ma erano tenuti a fornire alla Porta, un tributo annuale, dei
donativi oppure aiuti militari (es. Khanato tataro di Crimea).
4. I centri urbani e la capitale. Fatta eccezione per Istanbul, agli inizi del XVI secolo
le grandi metropoli dell'impero erano rappresentate dal Cairo, da Aleppo, Damasco, e
dall'antica capitale anatolica di Bursa. Una delle caratteristiche dei centri ottomani fu il
carattere pluriconfessionale e multietnico della popolazione. In seguito ai vari decreti di
espulsione degli ebrei, che si susseguirono in tutta l’Europa, in molti centri si stabilirono
diverse comunità ebraiche. La città di Salonicco divenne la grande metropoli ebraica
dell'impero ottomano. Dal punto di vista architettonico le città non avevano mura difensive, in
esse si concentravano le attività commerciali, artigianali, vi erano edifici destinati agli organi
amministrativi, politici e giudiziari, e mercati. Le città musulmane, infine, si caratterizzavano
per la presenza di una grande moschea, di un ospedale, di un bagno e talvolta di mense per i
poveri.
Istanbul rappresentava un mondo a parte. Dopo la conquista la necessità di ridare
lustro a Bisanzio e di farne la capitale di un grande Impero islamico, fece assumere alla città
un ruolo politico e culturale predominante all'interno del mondo musulmano, testimoniato
dalla fioritura di un'intensa attività architettonica, civile e religiosa, che raggiungerà il suo
splendore nel corso del Cinquecento con la costruzione della grandiosa moschea di
Solimano. Istanbul controllava il traffico internazionale con i paesi dell'Europa occidentale e
regolava le principali relazioni commerciali. Della popolazione residente a Istanbul solo il
58% risultava di religione musulmana, circa un terzo erano cristiani, quasi tutti ortodossi, e il
resto di religione ebraica o di altre minoranze religiose. Istanbul costituiva il più grande
mercato di consumo del Mediterraneo perciò gli scambi e il commercio erano perfettamente
organizzati e controllati dal potere centrale, che ne provvedeva all'esazione delle tasse locali.
5. Un'economia mondo. Alla lunga durata e alla solidità dell'impero contribuì la
formazione al suo interno di un'economia mondo, dovuta alla 'pax ottomanica', che oltre a dare
stabilità e sicurezza, favorì la circolazione in un così vasto spazio di uomini e merci, regolati
dalle stesse leggi e da norme e pratiche comuni. L'intervento pubblico nel settore economico
si manifestava in quasi tutte le attività produttive. Lo stato regolamentava la produzione,
determinava i prezzi delle merci e assicurava l'approvvigionamento di beni alle truppe e ai
principali mercati. Allo stato appartenevano le ricchezze del sottosuolo e quasi tutti i terreni
arabili, ai contadini le terre erano concesse in usufrutto, ma detenevano la proprietà dei mulini,
dei forni e dei beni immobili. Il paese possedeva quasi tutte le materie prime e i generi di
prima necessità di cui aveva bisogno: cereali, frutta, carni, legno e metalli, e tutta la
produzione eccedente veniva esportata. Sviluppo di attività economiche molto differenziate da
regione a regione. Nei centri urbani e rurali si concentravano molte attività artigianali e
manifatturiere, i cui prodotti erano destinati al consumo locale, anche se alcuni prodotti
raffinati venivano commercializzati (seta, velluti, maioliche). Erano soggette a tassazione tutte
le attività agricole, i raccolti, la pesca e l'allevamento, prodotti venduti nei mercati, servizi.
Inoltre, i sudditi non musulmani erano soggetti a una particolare imposta. I sudditi dell'impero
erano divisi in 2 categorie sociali: i soldati e il gregge. Nella prima categoria erano compresi
coloro che erano esenti dal pagamento delle imposte, come i militari e i funzionari, mentre alla
seconda appartenevano tutti gli altri sudditi, cristiani e musulmani, soggetti a tassazione.
il suo lungo regno, infatti, darà vita a una monarchia fortemente centralizzata, attuerà un
rapido e deciso processo di omogeneizzazione culturale (politica assolutista, ristabilimento
dell’unità religiosa) pur restando sempre in Spagna (fissò la sua residenza a Madrid,
diversamente dal padre parlava solo il castigliano). La Spagna di Filippo II fu la prima potenza
militare europea a condurre una politica imperialistica grazie alle consistenti entrate
provenienti dall’oro americano e alla forte pressione fiscale esercitata sui propri domini.
Voleva fortemente combattere eretici e infedeli. Sostenuto nella sua azione dall'Inquisizione
e dalla Compagnia di Gesù, Filippo II costituì il pilastro della Controriforma cattolica
difendendo la Chiesa dalle dottrine giudicate eretiche e promuovendo un'azione riformatrice
all'interno della chiesa che portò alla nascita di nuovi ordini religiosi, di confraternite e
associazioni di carità. In particolare, attraverso l'Inquisizione spagnola il sovrano esercitò
un'azione di controllo sulla politica e sulla cultura, bandì il protestantesimo dai Paesi Bassi e
obbligò alla conversione gli ebrei e i mori ancora residenti in Spagna. Al contempo all'interno
della penisola iberica, fu ripresa in maniera vigorosa la persecuzione contro i moriscos, i quali
furono definitivamente espulsi dalla Spagna nel 1609, mettendo così fine a quella politica di
convivenza e tolleranza religiosa che aveva caratterizzato la penisola iberica.
Possiamo distinguere le vicende legate al regno di Filippo II in tre fasi.
1. La prima, che va dalla conclusione del trattato di Cateau-Cambresis nel 1559 fino
al 1567, vede impegnato il sovrano nella risoluzione dei problemi interni ai suoi
domini. In questo periodo il re avverte i pericoli che incombono su alcune parti
del suo Impero: dai turchi nel Mediterraneo e i corsari protestanti nell'Atlantico,
alle insidie francesi sulle frontiere spagnole, italiane e fiamminghe.
2. La seconda fase va dal 1568 al 1580, e vede da una parte la violenta repressione
attuata dal governo spagnolo contro i moriscos e dall'altra, dopo Lepanto, il
raggiungimento di una tregua con i turchi e la parziale risoluzione del conflitto
nelle Fiandre. Nei Paesi Bassi settentrionali scoppiarono una serie di rivolte
contro la dominazione asburgica, che si conclusero nel 1579 con la separazione
del paese in 2 regioni. Da una parte le province protestanti, incoraggiate da
Francia e Inghilterra, diedero vita a una nuova entità politica: la Repubblica delle
Sette Province Unite; dall'altra, le province meridionali, cattoliche, riaffermarono
la sovranità di Filippo II. Era l'inizio della Guerra degli Ottant'anni, che si
concluse nel 1648 con l'indipendenza dei Paesi Bassi (che costò alla Spagna
un'enorme perdita finanziaria, di uomini e di potere).
3. La terza e ultima fase, dal 1580, alla morte del sovrano nel 1598, caratterizzata
dai progetti espansionistici della monarchia, diretti prima verso il Portogallo e
poi verso la Francia e l'Inghilterra. Filippo approfittando della crisi dinastica
portoghese, in virtù del suo primo matrimonio con Maria Emanuela del
Portogallo, nel 1580 annesse il Regno lusitano al proprio Impero, inclusi i vasti
domini coloniali. Ma a determinare l'arresto delle sue mire espansionistiche in
Europa furono prima la disfatta nelle acque della Manica dell'Invincibile Annada
(1588) e poi l'avvento sul trono di Francia di Enrico di Borbone, principale rivale
di Enrico di Guisa, il candidato spagnolo alla corona francese.
2. Il sistema imperiale spagnolo. Il baricentro politico-amministrativo dell'impero
spagnolo era la Castiglia che se da una parte si accollò il carico fiscale necessario al
finanziamento della politica assolutistica del suo nuovo re, dall'altra fornì al sovrano le più alte
cariche dello stato. Sostanzialmente la struttura della monarchia concepita da Filippo II
proseguì il modello dei suoi predecessori, anche se l’organizzazione del potere statale fu più
articolata. Il perno dell'intero sistema era, come nella struttura statale ottomana, la volontà del
sovrano (che traeva la sua fonte di legittimità direttamente da Dio). Filippo II nell'esercizio del
suo potere si serviva direttamente di due segretari personali e il suo potere nelle altre parti
dell'impero era delegato a una serie di viceré, i quali dovevano sottoporre al sovrano le
decisioni importanti. I viceré, i grandi burocrati e gli alti funzionari, facevano parte della
nobiltà castigliana. La struttura amministrativa era formata dai Consigli di Stato, organi
collegiali consultivi con una propria sfera di competenza che trattavano le questioni importanti
dell'impero (furono creati anche il Consiglio d'Italia (1556), quello del Portogallo (1582) e
quello delle Fiandre (1388)). Tutte le questioni trattate dai Consigli venivano trasmesse al
sovrano, il quale le esaminava scrupolosamente e decideva se approvare o meno le sue
formulazioni. Si trattava di un lavoro burocratico enorme e macchinoso, accresciuto dalla
meticolosità del sovrano. Ma il governo di un così vasto impero non sarebbe stato possibile
senza la nascita e la formazione nei diversi paesi di una classe dirigente e di una burocrazia
locale, che fu indispensabile alla tenuta del potere centrale.
3. La guerra nel Mediterraneo. Nonostante l'abdicazione di Carlo V, le ostilità franco-
asburgiche si riaccesero nel 1557 e si conclusero solo nel 1559 con la pace di Cateau-
Cambresis che regolò definitivamente l'assetto politico e territoriale dei 2 paesi. Alla
Francia con il porto di Calais restavano i vescovati di Metz, Toul e Verdun. In cambio i francesi
si ritiravano dal Piemonte e accettavano l'egemonia politica spagnola sull'Italia (una
supremazia che durerà sino ai primi del Settecento). A eccezione di Venezia, tutta la penisola
rimase da allora e per circa due secoli sotto il controllo spagnolo. Filippo poi si ritrovò a
fronteggiare il suo nemico più temibile: l'impero ottomano. Gli spagnoli alla fine degli anni
50 reagirono alle numerose incursioni barbaresche-ottomane, e dopo l'occupazione di
alcune località del Marocco, adottarono una strategia principalmente difensiva, tentando di
riconquistare Tripoli hanno fallito. La conservazione della flotta divenne il principale
obiettivo della strategia marittima dell'Asburgo, sia dopo la conquista turca di Orano nel 1563,
e sia quando nel 1565 i turchi assediarono Malta, che però fu salvata. Il nuovo pontefice Pio
V teso a creare un fronte unitario all'interno della cristianità contro gli eretici e contro i
musulmani, si era adoperato per concludere un'alleanza anti ottomana fra Spagna e Venezia,
ma i negoziati furono interrotti dalla riottosità dei Veneziani a partecipare all'allestimento
di una spedizione contro gli ottomani visto che, dopo la morte di Solimano, suo figlio Selim
aveva ratificato a Venezia il trattato di pace del 1540. Approfittando dello scoppio di una
nuova rivolta dei moriscos di Granada, appoggiata militarmente ed economicamente dal
sultano ottomano, il governatore di Algeri si era impadronito di Tunisi. Sedata tragicamente
la ribellione dei moriscos Filippo poté concentrare i suoi sforzi nel Mediterraneo occidentale.
Fu solo dopo l'assedio ottomano di Cipro, che i Veneziani abbandonarono la politica di
compromesso e accettarono d il partecipare a un’alleanza antiturca in nome della difesa
della fede: si arrivò così alla costituzione nel maggio 1571 di una Lega Santa anti-turca che
prevedeva l'intervento della flotta cristiana sia nel Mediterraneo occidentale e sia in quello
orientale.
4. Lepanto. Nelle acque del golfo di Lepanto, il 7 ottobre 1571 la flotta della Lega,
formata da Spagna, Venezia, Genova, Stato Pontificio e Malta, sotto il comando di don
Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V, distrusse quella turca. La battaglia, una delle
più cruente della storia navale, per quanto togliesse momentaneamente ai turchi l’iniziativa
che avevano avuto sul mare, va tuttavia considerata una vittoria più simbolica che reale,
visto che i cristiani non sfruttarono appieno e lasciarono il tempo ai turchi di riorganizzarsi. Il
trionfo cristiano come osserva Fernalnd Braudel segnò la fine del complesso di inferiorità della
Cristianità, la fine della supremazia turca. La vittoria di Lepanto dimostrò che nel momento di
estrema necessità poteva formarsi un’ampia coalizione contro i turchi, malgrado le divisioni e
le rivalità nel campo cristiano. (sul fronte ottomani non si attribuì una significativa importanza
alla sconfitta subita). Ma subito dopo la battaglia riemersero le divergenze tra gli alleati
occidentali, e così la Lega Santa si sfasciò. Sulla scia della vittoria di Lepanto il fratellastro
di Filippo, don Giovanni d'Austria, nell'ottobre 1573 tentò la riconquista di Tunisi per farne il
suo regno, ma la flotta musulmana la riconquistò definitivamente.
Non fu tanto Lepanto a segnare un punto di svolta nelle relazioni tra i due grandi imperi
mediterranei, bensì la successiva tregua stipulata nel 1578 tra Filippo e Murad III, un
accordo, rinnovato nel tempo, che stabilizzava la frontiera – religiosa, politica e culturale –
tra le due aree. Filippo II aveva la necessità di fronteggiare la rivolta nei Paesi Bassi, doveva
intervenire militarmente per conservare la Corona del Portogallo, per contrastare le
marinerie olandesi e i corsari inglesi nell'Atlantico, e per garantire la sicurezza dei
collegamenti tra la Spagna e i territori americani. Murad III invece doveva affrontare il nemico
persiano per il controllo della regione caucasica e non poteva più contare sull'alleanza con la
Francia. Il conflitto tra le due grandi potenze mediterranee assunse la forma di una
guerriglia (non si avventurarono più in guerre di lunga durata); iniziò una logorante guerra
di corsa che durerà sino al 1830. Quando terminò il lungo regno di Filippo II, gli obiettivi
della sua politica mediterranea erano stati in gran parte raggiunti. Il sovrano aveva conquistato
la Corona del Portogallo, arginato i turchi e consolidato definitivamente il proprio controllo
sulla penisola italiana, invece fallì sul versante atlantico: i ribelli olandesi non erano stati
sconfitti e le sue iniziative per rompere l'alleanza anglo-olandese si erano risolte in ripetuti
disastri.
5. Il Mediterraneo e gli Oceani. Tra i paesi continentali che avevano uno sbocco
sull’Oceano Atlantico si accese un altro conflitto, destinato a modificare le sorti del mondo.
La guerra fu combattuta sul mare e riguardava la conquista della cosiddetta via delle Indie,
cioè la scoperta di un passaggio marittimo per raggiungere l'Oriente. Strappare dalle mani dei
veneziani il monopolio delle spezie e aggirare il controllo ottomano del Mediterraneo orientale
e del Mar Nero, divenne una costante preoccupazione di tutti i paesi avevano sbocco sull'
Atlantico. Il viaggio di Cristoforo Colombo segnò l'inizio dell'espansione coloniale
spagnola, aprendo la strada alle flotte europee verso un nuovo continente ricco di metalli
preziosi e di prodotti sino ad allora sconosciuti. I portoghesi invece pensavano che l'Asia
potesse essere raggiunta anche aggirando il continente africano, infatti, Vasco da Gama per
conto del re portoghese nell'estate del 1498, dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza
sbarcò a Calicut sulle coste dell'India, riuscendo così ad aprire una nuova rotta verso i ricchi
mercati orientali. I portoghesi così ebbero accesso direttamente ai prodotti e alle spezie
asiatiche senza passare per l'intermediazione islamica o veneziana, iniziò così l'alterazione
dei flussi commerciali tra l'Europa e il Vicino oriente. Un'altra conseguenza delle
esplorazioni europee fu la diffusione di specie animali e vegetali da un continente all'altro. Tra
gli animali in Europa si diffuse il tacchino, mentre nel Nuovo Mondo furono portati bovini,
cavalli, maiali e altri animali domestici. Dalle terre americane furono importati i pomodori, i
fagiolini, il mais e la patata (Un insieme di prodotti che col tempo favorì la risoluzione del
problema alimentare delle popolazioni europee e attenuò le ricorrenti carestie); si diffusero in
Europa anche il cacao e il tabacco, destinati a conoscere una grande fortuna anche nel mondo
ottomano e in Persia. Dal Mediterraneo venne trapiantata in America la canna da zucchero, e
lo sviluppo delle grandi piantagioni di zucchero determinò una forte domanda di schiavi, che
furono prelevati dalle coste dell'Africa occidentale. Il caffè come bevanda fu un'invenzione
araba. Tra la fine del 500 e la metà del 600 nella cultura, nella politica e nell'economia
europea, l'Atlantico settentrionale e i paesi che su di esso si affacciavano si sostituirono
al Mediterraneo e alla sua civiltà. Il continente americano divenne una facile preda per i
conquistadores i quali vi imposero la propria lingua, la religione e il loro modo di vivere: gli
spagnoli in breve tempo assoggettarono le, popolazioni indigene e avviarono una sanguinosa
conquista dei territori, accompagnata dallo sfruttamento sistematico delle miniere di oro e
d'argento. In Asia, invece, l'obiettivo dei portoghesi mirava alla creazione di un monopolio sui
manufatti e sulle spezie orientali. Essi impiantarono una fitta rete di scali commerciali
attraverso i quali riuscirono a commercializzare oro, avorio, ebano, grano, pesce e schiavi
provenienti dalla costa occidentale africana, le spezie indiane e una vasta gamma di beni che
andava dalla seta al salnitro. L'espansione portoghese costituì una grave minaccia per i
traffici marittimi della Repubblica di Venezia. La vasta rete commerciale lusitana
nell’Oceano Indiano favorì un commercio interasiatico che sopravanzò per importanza quello
con l’Europa e fece dei lusitani principali intermediari negli scambi asiatici.
militare: guerre contro l’Olanda, che minacciava il controllo del commercio nel mediterraneo,
in Oriente, in Brasile; Guerra dei trent’anni, combattuta sul suolo dell’Europa centro
settentrionale, rivolte interne, causate dal malcontento popolare per l’esagerata pressione
fiscale. Dapprima nel 1640 la sollevazione della Catalogna, che durò sino al 1652, poi quella
del Portogallo, che proclamò la sua indipendenza e ristabilì sul trono la dinastia nazionale di
Braganza riconosciuta dagli spagnoli solo nel 1668, e, infine, nel 1647 la rivolta della Sicilia
e del Regno di Napoli, misero a repentaglio il sistema spagnolo. Secondo gli intellettuali
iberici del Seicento la decadenza della Spagna dipendeva dall'intollerante politica religiosa che
aveva cacciato dalla penisola gli operosi moriscos e dalla conseguente soppressione della
libertà di pensiero perseguita dall'Inquisizione che aveva portato il paese all'isolamento
culturale. Per altri invece furono le sconfitte subite a opera dei francesi nel corso della guerra
dei Trent'Anni e le insurrezioni armate contro il dominio spagnolo della Catalogna, del
Portogallo e del Regno di Napoli; per altri ancora furono l'arretratezza e la debolezza delle
strutture economiche del paese e l'assenza di un ceto imprenditoriale. L’afflusso di oro e di
argento delle Americhe finì col sollecitare lo sviluppo della Francia, dell’Olanda,
dell’Inghilterra, le quali esportavano in Spagna tutta una serie di prodotti.
2. L'impero ottomano. Negli anni successivi al regno di Solimano e sino alla metà del
17° secolo, anche l’impero ottomano conobbe un progressivo indebolimento a causa della
progressiva decentralizzazione del potere nelle regioni periferiche e degli intrighi all'interno
della corte ottomana. Tuttavia dalla battaglia di Lepanto e sino all'assedio di Vienna (1683),
nonostante l'avvicendarsi di sultani spesso privi di una personalità di rilievo, la potenza
turca non fu seriamente intaccata, anzi sembrava ancora in grado di espandersi e di controllare
il suo vasto territorio. Un po’ di debolezza si percepì solo dopo la metà del 600, con l'arrivo
negli scali turchi di navi francesi, olandesi e inglesi e con la pressione politica e militare
di Polonia, Austria e Russia. In particolare, quest'ultima sotto Ivan IV il Terribile,
proclamatosi zar di tutte le Russie, cercava di estendere la sua egemonia anche in direzione
del Caspio e di stringere alleanze con i Cosacchi, i temibili cavalieri armati che
spadroneggiavano nella steppa a nord del 'Mar Nero. Il primo conflitto turco con la Russia
nel 1568-1570, la ripresa della guerra contro la Persia (1576-1590) e contro l'Austria
(1593-1606) mostravano che l'asse di interesse ottomano si era spostato dal Mediterraneo alla
parte continentale dell'Impero. Dopo la conquista della Georgia il sultano Murad III avviò una
nuova guerra contro gli Asburgo per il controllo dell'Ungheria, della Moldavia e della
Transilvania che si concluse con un accordo di pace firmato nel 1606 tra Ahmed I e
l'imperatore Rodolfo II. Intanto ai confini orientali, lo scià Abbas I il Grande aveva
riconquistato per la Persia parte dei territori ceduti ai turchi nel 1590. Ma un nuovo conflitto
con i Safavidi si riaccese solo nel 1623, dopo l'occupazione persiana di Bagdad con l'ascesa al
trono del sultano Murad IV. Questa volta il principale teatro degli scontri fu l'Iraq. Il conflitto
terminò nel 1639 e concluse una lunga contesa tra persiani e ottomani; la pace fissava il
definitivo possesso dell'Iraq e di Bagdad agli Ottomani e stabiliva i confini tra l'Impero
safavide e quello turco. Le campagne militari diventavano più costose a causa di lunghi
conflitti e di innovazioni tecnologiche nel campo militare (questo provocò la riscossione delle
tasse straordinarie e l’inflazione, e poi le ribellioni dei militari per le basse paghe). Essendo
il sultano l’unica forma di autorità in uno stato altamente centralizzato e gerarchizzato, l’ascesa
al trono dei sultani incapaci aveva le ripercussioni negative su tutta la struttura sociale e
politica dell’impero, si creava un vuoto di potere e lo spazio per la formazione dei clan
capeggiati da alti dignitari e funzionari, che traevano vantaggi dalla debolezza del governo
centrale.
Nel 1618 divenne sultano Osman II, promotore di un vasto programma di riforme (tra
cui la turchizzazione dell’esercito e dell’amministrazione), che provocò un’insurrezione
dei giannizzeri che si concluse con l’assassinio del sultano. Il periodo che seguì l'uccisione di
Osman II e quello di Ibrahim I il Pazzo' può definirsi un periodo di anarchia e di degrado,
caratterizzato dall'assenza di una continuità politica e dal sopravvento nell'esercizio del
potere di cortigiani e funzionari, e dalla crescente influenza assunta dai comandanti
giannizzeri e dalle donne dell’harem. Senz'altro, la lunga guerra turco-persiana e la
depressione economica che colpì l'impero nella prima metà del Seicento favorirono quel clima
di efferate violenze che si consumarono all'interno della corte ottomana. Ma a destabilizzare
l’impero contribuì anche il cambiamento nella prassi dell’ereditarietà della carica (l’ascesa
al sultanato del figlio più abile fu sostituita dall’ascesa del parente maschio più anziano) e
l’abolizione della raccolta dei giovani per formare il corpo dei giannizzeri (che aprì la strada
al consolidarsi di dinastie e creò uno slittamento del potere nelle mani di funzionari e alti
dignitari).
3. La Francia. Dopo quasi quarant'anni di guerra civile e dopo aver ristabilito all'interno
del paese la pace religiosa con l'Editto di Nantes che definiva nel 1598 la pacifica coesistenza
in Francia tra cattolici e ugonotti (i protestanti francesi) Enrico IV di Borbone, seppe
attenuare le tensioni interne e promuovere un programma di risanamento economico. La
vendita delle cariche da parte dello Stato non solo consentì di reperire le risorse finanziarie
necessarie ma attirò nella sua orbita nuovi gruppi sociali di origine borghese desiderosi di fare
carriera. Grazie anche al contributo del suo primo ministro, l'ugonotto duca di Sully, il sovrano
cercò di realizzare una politica economica protezionistica attraverso lo sviluppo
dell’agricoltura e delle attività manifatturiere e il potenziamento delle infrastrutture (ponti,
strade, reti fluviali). Furono impiantate nel paese industrie di lusso come le vetrerie e le
fabbriche di arazzi e maioliche e allo stesso tempo fu avviata una politica coloniale con
l'insediamento di comunità francesi nelle Antille e in Canada. A Parigi il re avviò un progetto
di riqualificazione urbana. Sul piano politico Enrico IV, dopo aver trovato intese con i principi
luterani e con l’Olanda si apprestò a trovare alleati anche in Italia. L'uccisione del sovrano
nel 1610 per mano di un fanatico cattolico, a quanto pare istigato dalla Spagna, e il conseguente
vuoto di potere che si venne a creare fecero ripiombare il paese in una nuova crisi interna.
Governato da un principe di appena nove anni, il futuro Luigi XIII, il regno fu sottoposto sino
al 1617 alla reggenza della madre Maria de' Medici, la quale allontanò dal governo il duca
di Sully e, al contrario del marito, adottò una politica filo-spagnola, facendo sposare i figli
con membri della famiglia reale iberica. Per trovare una soluzione ai problemi interni nel 1614
la regina convocò gli Stati Generali, ma tale provvedimento si rivelò inefficace, anzi i
contrasti che emersero tra la nobiltà e la borghesia contribuirono a non farli più convocare
sino alla vigilia della Rivoluzione francese. A creare ulteriori tensioni nel regno, inoltre,
contribuirono l'ostilità della nobiltà verso la vendita delle cariche pubbliche e le agitazioni
degli ugonotti preoccupati di perdere i diritti stabiliti. Fu solo nel 1624, con la nomina a primo
ministro del cardinale Armando Duplessis di Richelieu, che fu modificata la linea del governo
sia in politica interna che estera. Durante il suo lungo ministero, il potente cardinale,
considerato il restauratore dell'assolutismo regio in Francia, riuscì a restituire al paese
l'antico prestigio. Non solo seppe contenere le ambizioni delle grandi famiglie nobiliari e
reprimere le ambizioni degli ugonotti, ma fece della Francia una grande potenza
commerciale, ricostruì l'esercito, favorì lo sviluppo della flotta mercantile e incoraggiò la
nascita di numerose compagnie commerciali. Dopo aver risolto a proprio favore la questione
ugonotta con la presa di La Rochelle nel 1628, in politica estera per limitare l'espansione
asburgica strinse dapprima accordi con l'Inghilterra e l'Olanda e quindi riprese con
vigore l'azione offensiva contro l'Austria e la Spagna sui due teatri di guerra: l'Italia e la
Germania. La successione al ducato di Mantova divenne l'occasione per infliggere una
sconfitta agli Asburgo di Spagna e in qualche modo fu indebolito il predominio spagnolo
nella parte settentrionale della penisola. Sul versante tedesco, il fatto che la Guerra dei
Trent'anni da uno scontro di religione interno alla Germania si stava rapidamente
trasformando in un conflitto continentale, fornì la possibilità alla diplomazia francese di
contrapporre nuovi avversari agli Asburgo d'Austria e così fu incoraggiata con aiuti finanziari
la partecipazione alla guerra prima del re danese e poi di quello svedese in soccorso delle forze
protestanti. Fu solo in seguito alla vittoria spagnola di Nordlingen nel 1634 contro gli Svedesi,
che la Francia, dopo aver siglato nel 1635 un accordo con i principali nemici degli Asburgo,
entrò direttamente in guerra avviando così l'ultima fase delle ostilità nella Guerra dei
Trent'anni. Il successore di Richelieu, il cardinale italiano Giulio Mazzarino non mutò le linee
fondamentali di tale politica neanche dopo la morte di Luigi XIII e la reggenza della regina
Anna d'Austria, madre di Luigi XIV. Gli anni del suo governo furono decisivi per condurre le
trattative diplomatiche che nel 1648 portarono alla pace di Vestfalia, con la quale fu sancita
la fine della terribile Guerra dei Trent'anni, e per la definitiva vittoria francese nel conflitto
contro la Spagna, che si concluse solo nel 1659 con la pace dei Pirenei, con la quale fu sancita
l'indiscussa egemonia francese in Europa. In coincidenza con la guerra franco-spagnola, per
far fronte alle necessità militari, anche in Francia il governo impose una serie di nuove tasse
che provocarono in molte zone del paese violenti tumulti. Fu in questo clima che nel 1648 a
Parigi scoppiò la rivolta della Fronda: una ribellione contro la monarchia animata dapprima
dalla borghesia parlamentare e poi dalla nobiltà per il controllo delle cariche pubbliche, che
dalla capitale si estese ad altre zone del paese trasformandosi in una guerra civile conclusasi
solo nel 1653 con il rafforzamento dell'assolutismo regio.
4. Nuovi protagonisti: Inghilterra e Olanda. A determinare nella prima metà del 600 il
declino economico dell'Italia, oltre alle cause interne e alle nuove direttrici dei commerci, fu
la devastante epidemia di peste che colpì l'Italia centro-settentrionale tra il 1630 e il 1631, e,
soprattutto, la concorrenza dei tessuti inglesi e olandesi immessi direttamente sui mercati
mediterranei. Sino alla fine del Cinquecento la scoperta e lo sfruttamento delle rotte atlantiche
da parte dei portoghesi non aveva costituito una seria minaccia per i traffici mediterranei. Fu
solo con l'arrivo nell'Oceano Indiano di navi inglesi e olandesi che l'equilibrio si spostò
decisamente a vantaggio della rotta che giungeva in Europa attraverso il Capo di Buona
Speranza. La stessa Venezia, sino ad allora, ancora una delle maggiori potenze commerciali e
una delle più raffinate città europee, agli inizi del 600 deteneva ancora il monopolio del
commercio nell'Adriatico, e riusciva a esportare nei mercati levantini pannilana, vetro di
Murano, sete di Bergarno, armi di Brescia. Le sue fiorenti attività produttive le consentirono
di ampliare i rapporti commerciali con le regioni che si estendevano oltre la sponda orientale
dell'Adriatico. La duttile politica della Serenissima in materia di pedaggi, di dazi e di
imposte, attirò nel suo porto numerose navi olandesi e inglesi che se da una parte
accrebbero le sue entrate finanziarie, dall'altra decretarono la sua marginalità nei nuovi traffici
mediterranei.
Appena sorta, la piccola Repubblica delle Sette Province Unite divenne una grande
potenza commerciale e riuscì a mettere insieme una poderosa flotta mercantile e da
guerra. Nel 1595 gli olandesi si spinsero a doppiare per la prima volta il Capo di Buona
Speranza. L'accaparramento olandese dei prodotti orientali per la via atlantica, che
raggiungevano Amsterdam bloccò il transito delle spezie verso i porti del Levante, isolando
più cosciente e diffusa. “L'immagine del mondo mediterraneo come patria delle arti e delle
scienze, delle religioni e delle filosofie, delle forme politiche e dei sistemi giuridici da cui
l'Europa aveva derivato la sua personalità storica e morale si trasferì nel passato, divenne
l'immagine di un qualcosa che era stato e che non era più. Ora le religioni, le scienze, le arti,
il progresso abitavano altrove. Il Mediterraneo appariva come l'area di una grande stasi
culturale".
poco all’aprirsi del problema della successione spagnola. Luigi XIV voleva creare
un’egemonia borbonica nel Mediterraneo occidentale quando, nel 1700, dopo la morte di
Carlo II di Spagna e l’estinzione quindi del ramo spagnolo degli Asburgo, si presentò la
possibilità di far attribuire il trono spagnolo e anche i domini italiani a un principe
francese, suo nipote. Sarà l’Inghilterra a contrastare il tentativo egemonico francese
entrando con tutta la sua potenza nel Mediterraneo.
3.Gli inglesi nel Mediterraneo. Per l’Inghilterra l’area mediterranea non fu mai solo
semplice spazio riservato alle attività mercantili, ma un vero e proprio disegno politico. Nel
corso del 600 gli inglesi erano riusciti a conquistare non solo il privilegio del commercio
diretto fra gli stati della penisola italiana e l’Europa del Nord, ma anche uno spazio importante
del commercio nel bacino mediterraneo, che prima era stato in mani veneziane. L’espansione
del commercio con l’Europa Meridionale e con la sponda orientale del Mediterraneo (la
Turchia e il Levante) era iniziata prima del 600: gli inglesi vi portavano le loro stoffe e pesce
fresco e salato, e, dopo il 1650, le riesportazioni coloniali (pepe, zucchero, tabacco e sete e
cotonine dell’India orientale). In cambio cercavano lana a pelo corto spagnola, vino italiano,
cuoi e cavalli di razza in Marocco, fichi, arance e olive. Nei porti di Cadice e Alicante, le stive
delle navi inglesi venivano riempite oltre che di seta, di vino e di olio di oliva. Su tutte le rotte
che procedevano dal Mediterraneo al Mare del Nord viaggiava uva passa di Corinto, uva passa
di Smirne, uva passa di Lipari, uva passa di Malaga, considerata diversa per qualità e prezzo,
che in quanto prodotto di lusso ebbe un ruolo abbastanza importante nell’organizzazione
commerciale delle importazioni inglesi. Infatti fino alla metà del 17° secolo era una merce che
assicurava forti guadagni, che permetteva di accumulare grandi fortune e di procurare
influenza politica. Nella penisola italiana le navi inglesi cariche di pesce conservato, dopo aver
lasciato la maggior parte del carico a Livorno, proseguivano verso sud est a Gallipoli in Puglia
e nelle isole Ionie quasi vuote per potersi caricare con le “merci di ritorno”. Nei porti pugliesi,
infatti, riempivano le stive di olio di oliva utilizzato per la manifattura delle lane e del sapone
in Inghilterra. Nelle isole Ionie veniva caricato il currant, una qualità di uva passa. Nel viaggio
di ritorno in patria, facendo tappa di nuovo a Livorno, il carico veniva completato con merci
fini italiane. In questa nuova rotta Inghilterra-Levante gli inglesi usufruirono di vantaggi
doganali e attrezzature portuali moderne proprio a Livorno e nel loro schema commerciale
prese forma un modello di scambi triangolare fra Londra, centro finanziario e strategico,
il Levante fornitore di materie prime e Livorno, piazza di scambio e canale di
trasformazione per merci e capitali. Il porto toscano divenne scalo e magazzino, punto di
riferimento per rifornimenti e riparazioni navali. Non solo ma i mercanti inglesi si insediarono
stabilmente nelle città, formando una vera e propria comunità, un primo gruppo di Factory,
istituzione tipicamente britannica con funzioni mercantili, sociali e assistenziali, presente
nei diversi porti stranieri in cui c’erano comunità inglesi, e la cui ascesa e affermazione fu
sostenuta anche dalla presenza della Royal Navy. Livorno rappresentava un mercato per le
merci nord europee, italiane, levantine e asiatiche, attraente sia per la facilità con cui esse
potevano essere riesportate sia per la mancanza di tasse doganali, e a consolidare la posizione
degli inglesi fu anche la politica medicea di Cosimo III, che nel 1676 fece della città un porto
franco, una condizione che permetteva di commerciare senza pagare le imposte d’entrata e di
uscita. Nel giro di poco tempo il commercio inglese nell’area mediterranea era decollato: i
prodotti tessili inglesi avevano avuto un grande successo nei territori dell’impero ottomano e
anche in Asia centrale. Per gettare le basi della supremazia inglese nei traffici del Mediterraneo
elemento importante fu la convergenza degli interessi commerciali e politici inglesi con quelli
della Porta. Grazie alla comune ostilità nei confronti degli spagnoli, gli inglesi erano
riusciti a ottenere condizioni convenienti nelle Capitolazioni con gli Ottomani, molto
interessati alle forniture di materiali strategici, stagno, piombo, acciaio, polvere da sparo e
armi di ogni genere, indispensabili nello sforzo bellico contro la Spagna. Gli stati barbareschi,
a loro volta, grazie alla presenza inglese, avevano ottenuto naviglio di qualità migliore, che fu
loro di grande aiuto nelle attività corsare. Nel 1651 il governo repubblicano di Cromwell
emanò il Navigation Act, un regolamento commerciale che subordinava le colonie al
Parlamento, rendendo possibile una politica imperiale coerente, il monopolio della marina
inglese sui traffici coloniali e una concezione dell’economia politica in un’accezione
nazionale. Il Navigation Acts lo ritroviamo anche dopo la restaurazione di Carlo II Stuart
(1660-1685) fino al 1663, e ciò segnò il passaggio da un’organizzazione fondata sulle
compagnie di monopolio a una completa integrazione del commercio inglese basata su un
monopolio nazionale, in cui lo stato svolgeva un ruolo dominante: il commercio nazionale
vinceva sui privilegi delle compagnie e sugli interessi particolari. Le guerre olandesi del 1652-
1674, combattute per rafforzare l’indipendenza inglese dal sistema di trasporti olandese, per
conquistare il commercio degli schiavi e quello dell’estremo oriente, resero Londra il centro
commerciale europeo della produzione coloniale. Fra il 1638 e il 1688 le esportazioni e le
riesportazioni inglesi si triplicarono. Il monopolio imperiale consentì ai mercanti di
comprare a basso costo e rivendere a prezzo elevato i prodotti inglesi e coloniali da
esportare nei mercati esteri. Ciò fece aumentare i profitti dei mercanti e trasferì l’utilizzo del
reddito nazionale dal consumo all’accumulazione di capitale, soprattutto nell’industria delle
costruzioni navali che registrò un boom, diventando una delle 3 o 4 più grandi industrie
dell’Inghilterra. Il ritiro dell’Inghilterra dalla terza guerra contro l’Olanda nel 1674 offrì la
possibilità ai commercianti inglesi di impossessarsi di diversi mercati olandesi. Se l’Inghilterra
non aveva ancora un ruolo egemonico in Europa, possedeva già tutte le caratteristiche che
l’avrebbero resa una futura potenza: risorse naturali, manodopera altamente specializzata e
una città, Londra, che si avviava a diventare il principale centro finanziario e mercantile
in Europa. Nel 1700 la città con 400 mila abitanti, diventò la prima in Europa per popolazione.
La politica e la potenza inglesi ruotavano, dunque, attorno alle attività marittime. La ricchezza
del paese era in costante aumento e questo la poneva in oggettivo contrasto con l’altra
potenza emergente allora, che era la Francia di Luigi XIV.
4. Il declino di Spagna e Portogallo. Una volta conclusi i conflitti con l'Olanda e con la
Francia, la Spagna si trovò davanti alla guerra con il Portogallo, dove era stata restaurata una
dinastia nazionale. Filippo IV, dopo il fallimento del tentativo del suo ministro favorito di
istituire un sistema politico accentrato, rinunciò a eliminare i privilegi fiscali della Catalogna,
dell’Aragona, e di Valencia, facendo così ricadere il costo della guerra con il Portogallo sulla
Castiglia, che in quegli anni viveva una crisi agricola e demografica, oltre che il pieno caos
monetario. Nel 1665 le città di Toledo, Valencia, Siviglia, Cordova e Granada furono costrette
a richiamare l'attenzione del re circa le loro difficoltà a causa del declino delle industrie della
lana e della sete che entrarono in crisi. Alla crisi economica si unì la crisi agricola. In quel
periodo erano presenti molti stranieri che con i loro commerci monopolizzavano la maggior
parte degli scambi con l'America, questo ebbe conseguenze disastrose perché essi mettevano
a profitto la parte migliore delle risorse del paese, dominavano le finanze pubbliche e private
ed erano entrati in possesso di molte cariche e benefici. Madrid divenne sempre più il centro
di una nobiltà assenteista e di una burocrazia parassitaria, e il peso della crisi finì col gravare,
soprattutto, sui contadini sfruttati nei latifondi. In un quadro così negativo un'eccezione era
rappresentata dalla Catalogna: la borghesia mercantile di Barcellona prese coscienza della
fine del proprio ruolo mediterraneo e cercò di impadronirsi di una parte del commercio
con le Indie, provando a ricostruire la industria tessile. I mercanti principali artefici della
ripresa economica della Catalogna, cominciarono a guardare verso l'Europa settentrionale e
l'America.
L'ultimo ventennio del regno di Filippo IV segnò il definitivo congedo della Spagna
dal proprio ruolo di grande potenza sulla scena europea. Alla sua morte salì al trono Carlo
II (privo di eredi diretti), che di fronte alla minaccia dell'imperialismo francese, fu costretto
a condurre una continua guerra, mentre le potenze europee aspettavano la scomparsa degli
Asburgo spagnoli e già firmavano trattati segreti per la divisione dei territori. Nonostante
tutto, la Spagna rappresentava ancora un immenso impero che si estendeva dalle Americhe, ai
Paesi Bassi meridionali, ai domini italiani, alle Filippine, all'arcipelago delle Caroline e le
ambizioni alla successione su quel trono si riveleranno numerose.
In Portogallo, dopo la restaurazione sul trono della dinastia legittima nel 1640, il
duca di Braganza divenne re con il nome di Giovanni IV. L’unione con la Spagna aveva
causato ai portoghesi la perdita del commercio nell’Oceano indiano, mentre gli olandesi
li stavano allontanando anche dal Brasile. Il fulcro dell'economia imperiale in Portogallo era
rappresentato dalla coltura di cereali, vigneti, frutteti, oliveti e orti; si occupava
dell'esportazione di vino. Dopo la restaurazione le costruzioni navali furono in ripresa e
nacquero cantieri a Lisbona e Oporto. Le esportazioni per il Brasile, l'Africa e le isole erano
costituite da alcolici, vino, olio, farina, sale, tessuti di lana, lino di produzione nazionale, carta
e utensili importanti da altri paesi. Per l'Europa partivano le esportazioni di vino, olio, frutta,
sale, lana della Spagna, diamanti e spezie dell'Oriente, zucchero, tabacco, legname del Brasile
e pelli provenienti da diverse colonie.
Dopo la restaurazione il paese riuscì a costruire una vasta rete di fortificazioni e
organizzare un esercito. L'ideologia assolutista del governo portoghese condusse a una lotta
contro Cromwell nel 1650, il quale costrinse il Portogallo ad aprire l'impero al
commercio inglese. Gli inglesi, così si fecero strada, nel monopolio coloniale portoghese e in
cambio offrirono al Portogallo la protezione della propria potenza navale. Anche gli olandesi
per ottenere gli stessi vantaggi dell'Inghilterra, attaccarono il paese nel 1657 e nel 1661,
lo obbligarono a un trattato di pace con effetti disastrosi per l'economia portoghese. Dopo
la morte di Giovanni IV nel 1656 il potere era passato sotto il controllo dei fidalgos, i membri
della bassa nobiltà. Il matrimonio di Caterina di Braganza, figlia di Giovanni IV con Carlo II,
re d’Inghilterra nel 1662 da un lato, assicurò il sostegno inglese al paese, che nel 1668 ebbe
il riconoscimento dell'indipendenza con il trattato di Lisbona, dall’altro riconfermò i privilegi
commerciali dell’Inghilterra. Verso la fine del 17° secolo, oltre al dominio coloniale in
Brasile, il Portogallo conservava solo alcune località in India, parte dell'isola di Timor
nell'arcipelago della Sonda, Macao in Cina; sulla fascia costiera dell'Africa occidentale i
portoghesi persero il controllo delle precedenti posizioni, restringendosi nella regione
dell'Angola. Quella zona dell’Africa si era trasformata in un grande serbatoio a cui gli europei
attingevano per alimentare il traffico di sciavi verso le Americhe.
5. Gli stati italiani nel contesto euromediterraneo. Nel quadro della 'crisi generale'
del 17° secolo particolare rilievo assume il caso dell'Italia dove la guerra dei Trent'anni aveva
cmq inciso (nonostante la posizione periferica rispetto all’epicentro). La guerra aveva
devastato molte zone della penisola, decimando la popolazione con pestilenze e carestie e
piegando in modo grave commerci e industrie. La fine della guerra e la pace di Vestfalia non
determinarono, per l'Italia, l'avvio di quella intensa fase di rinnovamento (che riguardò larga
parte dell’Europa), oltre agli effetti delle guerre, anche la situazione politica, creatasi in seguito
al declino della Spagna e all'ascesa della Francia, contribuì alla generale decadenza
censimento e dell'accertamento dei danni demografici e fiscali. Nel 1664 le difese furono
rafforzate con castelli e nuove milizie, fu rinnovato l’armamento delle galee, fu costruito un
altro molo nel porto di Napoli, le coste vennero rafforzate con costruzioni di fortini; alla
carestia e alla miseria si aggiunse il banditismo, il brigantaggio e la delinquenza. Alla fine del
600 si cercò di risollevare la vita culturale e civile del regno. Per la nuova guerra tra la
Spagna e la Francia per l'esigenza di soccorsi finanziari, furono venduti feudi, soppressi vecchi
istituti inutili e passivi, tassati i grandi baroni. Tuttavia, sul finire del 600, il Regno era
talmente impoverito che gli stessi viceré erano costretti a respingere le richieste continue di
denaro del governo madrileno. In questo quadro, con la Spagna in rapido declino e la Francia
in decisa ascesa, ben modesto fu il ruolo degli Stati italiani indipendenti: il ducato sabaudo era
sotto il controllo francese e la Santa Sede non godeva più del suo solido prestigio
internazionale. In tale contesto spiccava la repubblica di Venezia, la cui classe dirigente fu
indotta a perseguire una politica di cauta neutralità e di conservazione dell'esistente. Nel corso
del Seicento la sua partecipazione al grande commercio internazionale subì un forte
ridimensionamento, poiché i mercanti dell'Europa settentrionale potevano ora contare
sull'appoggio fondamentale dello Stato a sostegno delle loro attività; disponevano di una
tecnologia navale e godevano della forza di strutture monetarie e finanziarie che proprio la
formazione di grandi stati moderni rendeva più solide e stabili. Inoltre, la ripresa del conflitto
contro i turchi rese ancora più gravi le difficoltà del commercio veneziano. I nuovi conflitti
nella penisola balcanica e nei mari della Grecia, zone vitali per gli scambi veneziani, si
rivelarono fatali per la Serenissima, ora i suoi traffici e il suo naviglio erano in declino in tutto
il Mediterraneo orientale, sia per l'ostilità con i turchi sia per la concorrenza dell'Olanda,
della Francia e dell'Inghilterra. La lunga e costosa guerra di Creta, fu necessaria per
difendere uno degli ultimi avamposti del commercio della Serenissima nel Mediterraneo
orientale e i veneziani mobilitarono una formidabile flotta a cui si unirono navi di Malta, degli
Stati pontifici, di Napoli e della Toscana. Nei 24 anni di guerra che seguirono, i veneziani
ottennero vittorie, danneggiando fortemente le flotte turche. La difficoltà di conservare
l'integrità della flotta e la riorganizzazione ottomana indussero il Capitano generale veneziano
Francesco Morosini a concludere nel 1669 un accordo per la resa di Creta, che permise ai
veneziani di uscire dal conflitto, e di conservare sull'isola piccole basi navali importanti,
2 isole dell'Egeo e il territorio conquistato precedentemente su terra in Dalmazia. Pur avendo
smesso di essere uno dei maggiori centri del commercio mondiale, Venezia rappresentava
ancora il mercato metropolitano di una zona ricca e molto popolata. Il ridimensionamento
della Serenissima rappresentò un aspetto molto importante della crisi economica generale
dell'Italia del secondo Seicento.
1660 scoppiò anche il più grande incendio di Istanbul che provocò la morte di4 mila persone
e la distruzione di 28 mila case e 300 palazzi. Inoltre, pressati dalle esigenze finanziarie anche
artigiani, piccoli commercianti e contadini, insorsero di frequente contro il governo. L'impero
ottomano era un paese fondamentalmente agricolo, ricco di zone molto fertili e l'agricoltura e
l'artigianato erano le più importanti fonti di sostentamento, ma anche il commercio era una
componente essenziale della sua prosperità dal momento che si può dire che esso aveva il
controllo delle principali rotte che dal Mediterraneo portavano in Oriente. L'agricoltura e
l'allevamento erano destinati soprattutto al fabbisogno personale e solo una parte della
produzione veniva commercializzata. Alcuni prodotti dell'Impero come cuoio, lane, pelli, seta,
spezie e allume erano molto ricercati all'estero, mentre l'Impero richiedeva a sua volta stagno,
stoffe di lusso, carta, spezie, vetro e moneta. Nel traffico internazionale, durante la seconda
metà del 17° secolo, gli ottomani non ebbero più un ruolo di primaria importanza dal momento
che svariate merci di cui gli europei avevano bisogno erano reperibili altrove.
Dal punto di vista territoriale il sultano Maometto IV aveva ereditato dai suoi antenati
un vasto Impero che si estendeva su tre continenti: in Europa la frontiera arrivava a otto miglia
da Vienna; nell'Africa del Nord solo il Marocco rimaneva fuori dai confini, che invece
comprendevano l'Egitto; il Mar Nero e il Mar Rosso erano sotto il controllo turco e a Oriente
la frontiera si estendeva fino alle coste del mar Caspio e del golfo persico. Nonostante tutto,
l'impero ottomano non aveva ancora sufficienti risorse per portare avanti una politica militare
aggressiva. Il gran visir Mehmed Koprulu aprì la strada all'attacco contro l'Austria e fu il figlio,
suo successore, a puntare su Vienna: nel 1663 i turchi dichiararono guerra all'Impero e
avanzarono nell'Europa centrale, ma l'anno seguente furono cacciati al di là del Danubio. Negli
anni successivi lo sforzo militare non si interruppe, ma cambiò direzione: fu Faz Ahmed Pascià
a occuparsi della conquista di Creta nel 1669 che si rivelò più difficile del previsto. Dopo il
1670 le relazioni in veneto-ottomane rimasero pacifiche per circa 15 anni, così come restano
abbastanza buone le relazioni con gli occidentali: gran parte delle nazioni europee ottennero
dai sultani sia Capitolazioni, che consentivano ai mercanti di viaggiare liberamente in tutto
l'Impero, sia il permesso di insediare Consolati. Dopo Creta l'impero nel 1672 si mosse contro
la Polonia e nel 1676 riuscì a ottenere l'Ucraina e la Podolia. Con il gran visir Kara Mustafa
Pascià ripresero i contrasti con le potenze europee e nello stesso tempo venne ripreso il
conflitto in Ucraina contro i russi (1676). A lui si deve, soprattutto l'ultima grande offensiva
condotta dall’impero ottomano contro Vienna. Molta parte dell’Europa cristiana (tranne
Olanda Francia e Inghilterra) accorse in aiuto degli Asburgo, dal re polacco Sobieski alla Lega
Santa, promossa dal Papa Innocenzo XI; nel luglio 1683 i discendenti di Maometto II
portavano nuovamente l'Islam alle porte dell'Europa cristiana. Il primo mese di assedio mostrò
che le fortificazioni della città erano molto buone e che l'artiglieria ottomana era stata
tecnicamente superata da quelle europee. Alla fine del secondo mese i turchi sconfitti si
ritirarono in Ungheria. Tale vittoria risvegliò in Europa il desiderio di rivincita e dopo la presa
di Belgrado nel 1688, il governo ottomano tentò inutilmente negoziati di pace con l'Austria e
con Venezia. Sotto il sultano Mustafa II primogenito di Maometto IV, la difficile situazione
economica e politica interna dell'impero sembrò migliorare: vennero ridotte le spese, diminuiti
gli stipendi dei funzionari, reclutati nuovi soldati, ricostruita la flotta, aumentate le tasse su
caffè e tabacco. Chio venne riconquistata nel 1695 e i veneziani furono sconfitti in Grecia nel
1696, ma gli ottomani subirono una dura sconfitta ai confini con la Serbia e con l'Ungheria per
opera degli Austriaci nel 1697. Le trattative per la pace furono volute sia dai turchi che dagli
austriaci. Il sultano rinunciò ai territori già perduti e gli Asburgo si trovarono a possedere uno
spazio completamente nuovo nell'Europa centrale e danubiana. Il trattato firmato nel 1699 nel
commercio con la Russia avesse la sua importanza soprattutto per i paesi dell'Europa
settentrionale, Mosca era ancora fuori dal sistema politico europeo e dalle sue precarie
alleanze, sia per la sua posizione geografica sia per i contrasti religiosi e ideologici, che
facevano considerare come eretica la religione ortodossa e dispotico il suo governo. I mercanti
e gli imprenditori russi delle classi inferiori subivano la concorrenza dei mercanti stranieri e
dei rappresentanti della nobiltà (che erano esenti dal pagamento dei tributi). Per tutta la
seconda metà del 600 lo stato esercitò un ruolo predominante (o addirittura il monopolio) sia
nella produzione sia nella distribuzione di molte merci. Un diverso trattamento era riservato,
invece, ai grandi mercanti-imprenditori che erano esenti da tasse e dazi. Questa mancanza di
coesione del mondo dei mercanti russi freno l'ascesa della classe borghese. In politica estera,
nel 1617 fu firmata la pace con la Svezia e nel 1634 anche quella con la Polonia. Il successore
di Michele, Alessio I Romanov fu impegnato con la ribellione dei cosacchi del Don (che
volevano unificare la regione compresa tra la Russia moscovita, la Polonia e la Crimea tatara)
e nuovamente con la Polonia nel 1654, con cui nel 1666 si arrivò all'armistizio di Andrusovo,
con cui ottenne la conquista della frontiera del Dnepr e il possesso di Kiev, l'antica capitale
russa, con il patto, che non fu mantenuto, di restituirla dopo due anni. La Polonia non fu in
grado di far valere i propri diritti perché impegnata nuovamente contro i turchi che
minacciarono anche i russi, soprattutto durante il regno del successore di Alessio, Fedor III
Romanov e, pur di ottenere l'adesione russa alla coalizione antiturca formata con l'impero
asburgico, Venezia e la curia pontificia, decise di rinunciare definitivamente a Kiev e
all'Ucraina a oriente del Dnepr nel 1686. La Russia dal canto suo si impegnò ad aiutarla nella
guerra contro i turchi e con l'acquisizione dell'Ucraina orientale la sua influenza si estese sulla
maggior parte dell'antico territorio dell'orda d'oro che dalle rive del Caspio, attraversando la
steppa giungeva fino al Dnepr. I confini dello Stato Russo non arrivavano ancora al Mar Nero
ma controllavano i fiumi Don e Dnepr (le due più importanti strade di accesso dal nord).
L'avanzata verso est era proseguita sempre più rapidamente, stava venendo il più grande
cambiamento sul mare dopo la caduta di Costantinopoli: la comparsa di una marina da guerra
costruita e organizzata da uno stato che poteva sfidare l’egemonia dell’Impero Ottomano.
4. L'Austria antemurale della cristianità. A conclusione della guerra dei Trent'anni
(1618-1648) la pace di Vestfalia determinò le condizioni di una duratura stabilizzazione
dell'area tedesca, che sarebbe durata fino al 1806 cioè, fino alla dissoluzione del Sacro Romano
Impero. Ma i problemi da risolvere furono molti, primo tra tutti quello della restaurazione
dell'ordine e della legalità; la mancanza di unità politica provocò conseguenze gravi
sull'economia del paese, già notevolmente ostacolata. Le potenze straniere controllavano le
foci dei principali fiumi dell'Impero, le attività commerciali cercavano sbocchi alternativi, i
principi decisero intervenire più sistematicamente e attivamente nell'economia per garantire
l'accrescimento della propria ricchezza, e perciò alzarono le barriere al commercio e alle
iniziative private e imposero tasse che danneggiarono i traffici. La guerra aveva portato allo
spopolamento di molte città, il consumo dei cereali subì una drastica riduzione, il commercio
cerealicolo si contrasse e il prezzo della terra calò vertiginosamente. Alle conseguenze e ai
danni della guerra in vaste aree dell'Impero si unì anche un'elevata mortalità provocata dalle
epidemie e dalla peste. Nonostante la sua frammentazione politica e i problemi che ne
conseguirono, l'Impero divenne una realtà complessa in cui si assisteva alla convivenza di
lingue, religioni e tradizioni politiche diverse. Gli Asburgo posero le basi di un sistema
monarchico solido, richiamandosi a una nuova uniformità religiosa e comunanza culturale, e
mantenendo forti legami con le élites locali. Dopo Ferdinando III nel 1658 sul trono imperiale
salì il figlio Leopoldo I, già re di Ungheria, Boemia e Croazia, impegnato per tutta la durata
del suo lungo regno a contrastare le mire espansionistiche di Luigi XIV, re di Francia. Egli
ereditò una situazione difficile, ma portò avanti la politica di ricostruzione iniziata dal padre:
si dedicò alla ricostruzione economica e i risultati abbastanza positivi gli consentirono di
pensare al 'rafforzamento dell’esercito (riorganizzazione aumento del numero dei soldati,
innovazioni tecniche, costruzione della “marina danubiana”: il Danubio rappresentava una via
di comunicazione indispensabile) come a una necessità vitale, dal momento che si ritrovò a
battersi su tre fronti, quello del pericolo ottomano, dell'imperialismo francese e della difesa
della monarchia spagnola molto indebolita dopo la morte di Filippo IV (1665). L'inizio del
decennio 1680-1690 fu per Leopoldo il momento più complesso perché i suoi nemici francesi,
ungheresi e ottomani si coalizzarono contro di lui: nel 1682 gli ungheresi accettarono la tutela
degli ottomani e la politica europea e antifrancese che l'Austria stava conducendo subì un
brusco arresto quando si trovò di fronte alle mire espansionistiche dell'Impero ottomano che
con il suo esercito puntò su Vienna. L'assedio fu una dura prova per la popolazione, ma la
successiva pace di Karlowitz, riconoscendo agli Asburgo il dominio di tutta l'Ungheria, ne
fece la potenza dominante dell'Europa centro-orientale. Vienna divenne molto presto una
grande metropoli barocca, Crocevia di influenze tedesche, francesi e italiane. Da quel
momento in poi, obiettivo della politica estera asburgica fu l'espansione verso i Balcani,
l'Adriatico e il Mar Nero. L'allargamento dei confini dell'Impero austriaco verso sud-est, con
la conquista dell'Ungheria, della Slavonia e della Croazia nell'ultimo quarto del Seicento fu il
segno dell'ingresso dell'Austria nel commercio mediterraneo.
5. Venezia e la nuova situazione mediterranea. Le incursioni musulmane e i pirati
cristiani barbareschi continuarono a nuocere ai trasporti veneziani per secoli, nonostante i
tentativi veneziani di indurre il sultano ottomano a imporre ad Algeri, Tunisi e Tripoli
l'osservanza dei trattati di pace con i quali egli si impegnava a proteggere il commercio
veneziano. Dal canto loro i governanti degli Stati barbareschi trovavano sempre qualche
pretesto per non obbedire agli ordini del sultano, risparmiando solo le navi dei paesi che
stipulavano trattati direttamente con loro e considerandosi in guerra con gli altri. I viaggi
veneziani nel Mediterraneo occidentale erano poco consigliabili per via dei corsari
barbareschi, ma la Serenissima navigava con qualche successo l'Adriatico e i mari levantini.
Dopo la perdita di Creta (1669) Venezia si trovò, a dover riparare i danni economici provocati
dal lungo conflitto, a cercare di ripristinare il commercio con il Levante e a superare le
difficoltà provocate dalla spietata concorrenza di porti come Marsiglia, Livorno e Genova.
L’attività mercantile della Serenissima fu rivolta soprattutto verso il Levante attraverso scambi
commerciali con gli ottomani regolati dalle Capitolazioni. I periodi di pace e di diplomazia tra
la città lagunare e gli ottomani furono molto più lunghi di quelli di guerra, infatti Venezia fu
il primo stato ad avere suoi rappresentanti fissi nell'Impero ottomano in qualità di funzionari
politici e diplomatici.
Il mondo musulmano oltre che di spezie e bei tessuti da vendere era ricco di un pensiero
e di un'arte che Venezia assorbì fortemente, diventando il crocevia del rapporto tra Oriente e
Occidente. I veneziani tornavano dall'Oriente carichi di merci ma anche di incontri umani ed
esperienze culturali. Il periodo della guerra di Creta generò un sostanziale cambiamento nelle
relazioni commerciali tra l’Impero ottomano e Venezia, ma in seguito gli scambi ripresero
lentamente dal momento che sia per la Repubblica veneta sia per gli ottomani costituivano una
fonte necessaria alla loro sopravvivenza. Per questa ragione, quando nel 1683 austriaci e
polacchi, insieme al pontefice, invitarono Venezia a unirsi a loro contro l'Impero ottomano, il
nemico comune, essa aderì non senza indugio, nella speranza di recuperare domini perduti e
per non essere lasciata sola contro probabili vendette turche. Dopo l'assedio di Vienna, la
Repubblica veneta si riarmò in grande stile per entrare in guerra contro i turchi. In quattro anni
Francesco Morosini riconquistò quanto Venezia aveva perso nello Ionio e in Morea. Ai turchi
restò solo il possesso della rocca di Malvasia, che cadde nel 1690. Dopo l'espandersi di
un'epidemia nella flotta, Morosini decise di ritirarsi in Morea. Dopo la sua morte (1694), i
suoi successori non aggiunsero nulla alle sue conquiste che furono ratificate nel trattato di
Karlovitz (1699) in cui si riconosceva alla Repubblica veneta il possesso della Morea fino
all'istmo di Corinto; comprese le isole Ionie e la Dalmazia, ma le si toglieva la speranza di
recuperare le isole di Creta e Cipro. Gli accordi di Karlovitz avevano stabilito nei fatti la
fuoriuscita di Venezia dallo scacchiere orientale, destinato essere sempre più dominato da
Russia e Austria. Nel 1715 l'Impero ottomano riconquistò la Morea, immaginando poi di
affrontare gli austriaci con l'intento di riprendere a essi l’Ungheria. La reazione austriaca fu,
tuttavia, assai forte e Belgrado cadde nelle mani degli imperiali asburgici, mentre i veneziani
tentarono invano di rioccupare la Morea. Con la pace di Passarowitz (1718) Venezia, pur
conservando le isole Ionie e consolidando i possedimenti in Dalmazia e Albania, lasciò
definitivamente anche le ultime basi dell'Egeo agli ottomani che conservarono, quindi, la
Morea, accordando agli austriaci gli stessi vantaggi economici delle altre potenze occidentali
e garantendosi la pace fino al 1730. Questo fu il segno più evidente della irrimediabile
decadenza della Serenissima, oramai interessata a una politica continentale di neutralità, visto
come unico sistema per sopravvivere ai nuovi conflitti che le grandi potenze europee avrebbero
provocato agli inizi del Settecento.
i suoi diritti sulla Spagna e sul suo impero coloniale. Il Borbone aveva trovato una Spagna
fortemente demoralizzata con una flotta in condizioni pessime, un'industria colpita
dall'inflazione, il commercio interno inesistente e quello estero gravato dalle imposte e dal
pessimo stato delle comunicazioni (Le uniche vere strane erano quelle che collegavano Madrid
ai vari palazzi reali, mentre un porto ottimo come quello di Vigo non aveva vere vie di
comunicazione che lo collegassero con l'interno del paese). Lo spopolamento, le imposte e il
cattivo stato delle vie di comunicazione impoverirono ancora di più l'agricoltura di un paese
già poco fertile. Anche la struttura sociale della Spagna non facilitava la rinascita economica:
nel 700 la parte più importante della società era la chiesa con un elevato numero di preti, frati
e monache, chiese, conventi e confraternite religiose e una religione dominante; poi c'erano
nobili e hidalgos, spesso ricchi soltanto dei loro titoli e l'apparato poliziesco dell'Inquisizione
ancora vigile. Filippo V riuscì a guadagnare la fiducia del popolo conducendo un severo
riordinamento delle finanze: ristrutturando il sistema fiscale, riequilibrando le tasse e
riducendo quelle dei ceti bassi, abolendo diversi privilegi della nobiltà e del clero e i dazi
doganali interni e istituendo finanziamenti per risollevare la produzione agricola e
manifatturiera. Egli riorganizzò l'esercito, curandone di persona la riorganizzazione, istituendo
scuole militari, riarmando la marina. Tutto ciò che nessuno dei sovrani asburgici era riuscito a
fare in passato fu fatto da Filippo V con il tentativo della prima vera unificazione del Paese
secondo il modello assolutistico. Ci fu una forte ripresa anche del protagonismo internazionale
spagnolo, soprattutto sotto la spinta della seconda moglie di Filippo V, Elisabetta Farnese, che
mirava alla riaffermazione della presenza spagnola nella penisola italiana e alla sistemazione
su troni italiani dei suoi due figli, Carlo e Filippo di Borbone. Questa politica avviò una crisi
mediterranea che minacciò di coinvolgere l'Europa in un'altra guerra generale: la Spagna inviò
due squadre navali in Sardegna (1717), riconquistando l'isola, passata nel corso della guerra
di successione in mano agli Asburgo. Successivamente fu spedita una potente flotta spagnola
ad attaccare la Sicilia, ma l'iniziativa si risolse in un insuccesso. Nel giugno 1718 le truppe
spagnole invasero la Sicilia, ma la quadruplice alleanza stretta tra Inghilterra, Francia, Olanda
e Impero asburgico impedì alla Spagna di perfezionare la propria conquista e impose anche a
Vittorio Amedeo di Savoia di consegnare la Sicilia (che egli aveva ottenuto con la pace del
1713) all'Austria in cambio della Sardegna. Nel 1724 Filippo V abdicò in favore del figlio
maggiore Luigi, ma fu costretto a tornare sul trono dopo la sua morte per vaiolo. Negli anni
che seguirono impegnandosi di riconquistare Napoli e la Sicilia dall'Austria e Gibilterra dagli
inglesi mise in atto una rivoluzione diplomatica alleandosi con l'Austria e scatenò la guerra
anglo-spagnola nel 1727. Alla sua morte nel 1746, nonostante l'opposizione di Elisabetta, gli
successe il figlio Ferdinando VI, avuto dalla prima moglie, disinteressato sia alla politica
interna che a quella estera. Questi, si accontentò di attuare il sistema elaborato dal suo ministro
Carvajal, la cui politica andava nella direzione dello sviluppo delle ricchezze dell'America del
sud, da sfruttare per mettere in pratica il suo piano di rinascita industriale del Paese. Nel gioco
delle alleanze, il ministro tenne a quella con il Portogallo e a quella con l'Inghilterra (unica
potenza secondo lui in grado di farsi temere in Europa e nel Mediterraneo). Questo
atteggiamento amichevole nei confronti della potenza inglese sarà mantenuto fino al 1759,
anno in cui salirà sul trono spagnolo il fratellastro, Carlo III nel frattempo impegnato nel Regno
di Napoli.
2. L'Austria: un Impero di terra. Agli inizi del 18° secolo, dopo lunghe e difficili
trattative diplomatiche tra Vienna, Costantinopoli e gli Stati barbareschi, gli austriaci
istituirono consolati commerciali a Tunisi, Tripoli e Algeri. Durante il regno di Carlo VI
furono avviati molti progetti ambiziosi per espandere il commercio internazionale austriaco e
nel 1717 fu promulgata una Patente di Commercio Libera per la navigazione nell'Adriatico,
con protezione ai vascelli che battevano bandiera imperiale. Questa patente limitò molto il
potere di Venezia. Nel 1718 Carlo VI e il sultano ottomano siglarono un trattato che stabiliva
la reciproca libertà di commercio e di navigazione. Alla Serenissima fu estorto il consenso alla
libertà di commercio nell'Adriatico e i porti di Trieste e di Fiume furono dichiarati franchi
(1719), vennero ampliate le strutture portuali e furono costruite strade, che collegavano i
rispettivi porti con Buda e con Vienna. Carlo VI era convinto che la vera ricchezza per
l’Impero non sarebbe arrivata da guerre di espansione, ma da un commercio ben organizzato.
Così a Trieste furono costruite una flotta mercantile e una piccola marina da guerra. Venne
istituito un deposito franco che favorì l'insediamento nella città di numerosi mercanti stranieri.
Entrare in possesso della Sicilia e Napoli da parte degli Asburgo dal 1720 al l734
significò rafforzare la stretta alleanza con l'Inghilterra che, con il suo predominio nelle acque
mediterranee era l'unica potenza capace di garantire il dominio contro qualunque
controffensiva della Spagna. Nel 1737 l'Impero si fece coinvolgere dalla Russia in un nuovo
conflitto con gli ottomani nel fallimentare tentativo di conquista della Crimea, ma con la pace
di Belgrado nel 1739 l'Austria fu sconfitta e dovette cedere proprio Belgrado e i territori serbi
già ottenuti con la pace di Passarowitz (1718), tranne la regione di Tem svara, mentre i turchi
occuparono la Serbia e la Valacchia.
Quando Carlo VI morì (1740) senza lasciare eredi maschi si aprì la questione della
successione al trono austriaco. Contro la figlia Maria Teresa, unica erede al trono, si formò
una coalizione costituita da Spagna, Francia, Prussia, Sassonia e Baviera e la guerra che ne
seguì non terminò in una catastrofe per Maria Teresa solo perché l'Ungheria le restò fedele in
cambio di concessioni politiche importanti per la sua autonomia. L’Inghilterra, intanto
affiancava l'Austria. Alla fine del 1743 Francia e Inghilterra entrarono in guerra: Francia e
Spagna combattevano contro Austria e Inghilterra, l'Europa divenne un campo di battaglia.
Con la pace di Aquisgrana nel 1748 In cui venne ristabilito l'assetto coloniale Atlantico
precedente Allo scoppio della guerra. Maria Teresa fu riconosciuta come imperatrice
d'Austria, diede nuovamente rigore al commercio, attuò riordinamento della monarchia e
stipulò accordi con la Porta per la sicurezza nelle acque Mediterranee. Nel 1769 Trieste fu
dichiarata 'libera città marittima' (furono effettuati lavori di potenziamento delle strutture
portuali), divenne politicamente autonoma, con governatore, statuti e leggi speciali emanate
dal governo austriaco. Le mura furono demolite e il porto franco favorì molto il commercio
con l'Italia, la Germania, l'Europa del Nord e le Indie. Questo vivace sviluppo economico
renderà la città un importante centro finanziario e commerciale, una delle capitali culturali
d'Europa. Vienna, intanto, nel corso del Settecento aveva iniziato ad assumere l'aspetto di
grande capitale, di centro guida di una civiltà, di un modello politico ed economico; ebbe un
ruolo fondamentale nella riorganizzazione dell'impero asburgico e diventò un polo politico
competitivo con quello di Parigi.
3. Le molteplici Italie. Fino alla guerra di successione polacca (1733-1738) scoppiata
per motivi dinastici, l'Italia si trovò al centro del sistema dell'equilibrio europeo e fu teatro
di spartizioni tra Austria e Spagna con arbitro l’Inghilterra. Dopo il 1733 furono coinvolte
anche la Francia e i Savoia che, prima con Vittorio Amedeo II poi con Carlo Emanuele III,
seppero inserirsi nel sistema dell'equilibrio europeo ricavandone vantaggi territoriali. La
politica italiana veniva decisa fuori dall'Italia, nelle grandi capitali europee, mentre gli stati
della penisola ne subivano le regole. Dopo il 1748 l'Italia conobbe una nuova sistemazione
politico-territoriale che vide il regno di Sardegna (comprendente Sardegna, Savoia, Nizza,
Piemonte) ai Savoia, il ducato di Milano agli Asburgo d'Austria, la repubblica di Venezia (che
aveva perso tutti i domini del Levante) indipendente, la repubblica di Genova (sempre in
possesso della Corsica) indipendente. I ducati di Parma, Piacenza e Guastalla andarono a
Filippo di Borbone-Farnese, il granducato di Toscana alla dinastia dei Lorena, come stato
indipendente, lo Stato Pontificio; il Regno di Napoli e di Sicilia indipendente, sotto il governo
dei Borbone di Spagna. Questa sistemazione italiana restò stabile fino alla discesa di
Napoleone Bonaparte nel 1796. Diminuita la diretta influenza dell'Austria, l’equilibrio fra gli
Stati fu migliore sia perché nessuno di essi era in grado di prevalere sugli altri sia perché la
Francia e la Spagna rinunciarono ai vecchi progetti di egemonia sulla penisola. Tra le maggiori
novità italiane del secolo ci fu il ritorno all'indipendenza del regno meridionale con l'avvento
di Carlo Borbone. Nel 18° secolo l'Italia si presentava come un paese di forti contrasti, di
grandi ricchezze da una parte e grandi miserie dall'altra. L'economia del regno di Napoli era
essenzialmente agricola, le piccole città come Brindisi e Lecce erano povere, la terra
infeconda, il clima torrido, l'acqua scarsa, poca la vegetazione e la malaria endemica. I
contadini erano in condizioni miserabili, soggetti ancora il più delle volte alla giurisdizione
del feudatario e qui la Chiesa possedeva un terzo di tutte le terre e i grandi prelati vivevano
in lusso ostentato ed erano esenti dalle tasse. Napoli, una delle più grandi metropoli europee,
definita testa mostruosa di un corpo rachitico, dalle province e da tutta la penisola attirava
moltissimi immigrati. La situazione politico-diplomatica del nuovo regno non era affatto
semplice, poiché da un lato dipendeva dal diretto sostegno spagnolo, dall'altro era legato
dall'atteggiamento benevolo della Francia. Una delle novità più importanti della nuova
monarchia consisteva nell'unione del Regno di Napoli con quello di Sicilia. La nuova crisi
europea, messa in moto dalla guerra di successione austriaca, riaprì le porte del regno al
pericoloso gioco della grande politica internazionale. Alla corte madrilena era chiara
l'importanza di mantenere la neutralità del Mezzogiorno, e il governo napoletano pur di essere
riconosciuto come nazione neutrale era disposto a essere prudente nei confronti
dell'Inghilterra, tenendo conto delle sue richieste di transito per i porti del Regno. Ma il
Parlamento britannico, che aveva duramente criticato la posizione assunta dal governo
Walpole, che aveva consentito ai Borbone di insediarsi a Napoli e soprattutto in Sicilia decise
di appoggiare con la sua potenza navale la riconquista austriaca del Mezzogiorno. Il piano
organizzato dall'Ammiragliato britannico prevedeva che la comparsa di una flotta inglese nel
golfo avrebbe dovuto coincidere con l'inizio di una rivolta popolare e con l'avvicinamento
dell’esercito austriaco ai confini del Regno, in modo da provocare il collasso della monarchia
e il facile sbarco degli inglesi. Tuttavia inglesi e austriaci non agirono in modo coordinato.
Il trattato di Worms (1743) patrocinato dall'Inghilterra, che si rifiutò di garantire l'inviolabilità
del regno dagli austriaci, spinse Carlo alla guerra. Tutto veniva affidato alle armi, anche se la
Gran Bretagna aveva deciso di non sostenere con la sua flotta l'avanzata austriaca nel
Mezzogiorno. La battaglia di Velletri nel 1744 salvò Regno e dinastia, assicurando
l'indipendenza e una rinnovata credibilità. La morte di Filippo V affrettò il termine della
guerra, ma le preoccupazioni per la corte napoletana non terminarono. Nel 1748 la Spagna
accettò l'esclusione della discendenza di Carlo dal trono delle Sicilie e l'obiettivo del sovrano
era quello di rivendicare l'indipendenza del Regno, visto dalle potenze europee solo come
un'appendice della monarchia spagnola, e di assicurarne la successione alla sua linea cadetta.
Questo avrebbe stabilizzato l'equilibrio in Italia e avrebbe rafforzato la posizione della Spagna
in Europa e nel Mare Interno. L'instaurazione del regno indipendente avviò una politica di
sviluppo economico procedendo sia sul piano della politica interna sia su quello della politica
internazionale. I tre obiettivi fondamentali erano la riforma dell'apparato giuridico-
istituzionale dello Stato, con la riduzione del potere e dei privilegi degli ecclesiastici e dei
isole, talvolta assicurandosene in via indiretta il controllo, altre volte insediandovi potenze
alleate come in Sicilia e in Sardegna, facendo leva infine, sugli elementi locali come in
Corsica. Possedimenti diretti o indiretti dovevano tutti servire a dominare il mare
interno. Dunque alla penetrazione commerciale del 17° secolo si accompagnò un progetto di
affermazione della potenza politico-militare dell'Inghilterra, che nel secolo successivo prese
piena forma. Nella strategia inglese un ruolo importante spettava alla penisola italiana,
considerata un riferimento logistico indispensabile per la lotta nel Levante contro Marsiglia e
contro Venezia; qui Londra era intenzionata a proteggere i propri interessi strategici e ad
assicurare l'equilibrio europeo attraverso vere barriere; di qui l'appoggio dato ai Savoia e ai
loro disegni di allargamento territoriale, considerati il più efficace mezzo per contenere la
Francia al di qua delle Alpi e l'imperatore asburgico entro la linea Ticino-Po. La Sicilia, la
baia di Cagliari, lo stretto di Messina e il golfo di Napoli erano luoghi chiave senza i quali
l’Inghilterra non avrebbe potuto continuare i suoi traffici col Levante e con tutto il
Mediterraneo. In questo panorama si confermò il ruolo di Livorno come centro commerciale
e logistico importante, verso cui si concentravano ancora le rotte della maggior parte delle navi
inglesi, che entravano nelle acque Mediterranee (il porto toscano continuò a svolgere un ruolo
centrale sia per il commercio anglo-italiana sia per quello angolo-mediterraneo). In questo
scacchiere l'Inghilterra, con Gibilterra da un lato e Minorca dall'altro, minacciava la Spagna,
con cui nel 1750 stipulò un trattato commerciale, la Francia e i traffici di Marsiglia. La
penetrazione navale e commerciale inglese scosse e mise in discussione quello che era il
tradizionale predominio francese, esercitato nel commercio del Levante, che si era
sviluppato in virtù dei buoni rapporti mantenuti con la Porta. Nel corso del Settecento i prodotti
tessili francesi superano quelli inglesi nell’Impero Ottomano, in cui i francesi avranno un ruolo
fondamentale per tutto il 18° secolo. Nella promozione dello sviluppo economico
settecentesco della Francia importanti e attivi furono i porti di Bordeaux e di Marsiglia (porto
d'approdo e cantiere navale, vera e propria città nella città, Che però nella seconda metà del
700 entrò in una fase di decadenza, come anche il mercantilismo, a causa di nuove condizioni
dell'attività economica: l'incremento delle industrie e della tecnologia avviò il processo
rivoluzionario industriale e un sistema libero di scambio, fondato sull’iniziativa privata, sulla
divisione del lavoro e sul mercato).
commercio dei prodotti agricoli portoghesi, ci dicono almeno 3 cose: la Gran Bretagna è pronta
a imporre la propria forza per ottenere l’apertura dei mercati; l’ideologia che accompagna
questo processo politico ed economico si chiama liberoscambismo e inevitabilmente crea un
vantaggio per l’esportatore di prodotti industriali rispetto all’esportatore di prodotti agricoli;
questo processo nasce nel Portogallo che è collocato tra Vecchio e Nuovo mondo.
La prima metà del 700 conosce una grande circolazione di esperienze, idee e modelli
nel mondo mediterraneo grazie ad un indebolimento politico e militare dell’impero turco
all’indomani della sconfitta nel 1683 sotto le mura di Vienna e grazie alla “crisi della coscienza
europea”, che determina nella cultura europea tra XVII e XVIII secolo un profondo
ripensamento dei suoi presupposti fondamentali e un conseguente desiderio di confronto con
culture diverse. Inoltre appare evidente il processo attraverso il quale il riformismo
settecentesco costruisce la propria identità anche dialogando con una presunta alterità
“orientale”, ma non è altrettanto facile valutare l’impatto che ha nel Mediterraneo ottomano la
rinnovata circolazione settecentesca di opere, autori, idee, esperienze. Il Mediterraneo
Ottomano si colloca comunque in posizioni difensive anche sotto il profilo delle dinamiche
culturali, mentre l'Europa agisce con la forza di energie nuove, che sono energie economiche,
tecnologiche, militari ma anche energie intellettuali e paradigmi morali. Per capire le origini
del mediterraneo dobbiamo tenere in considerazione 3 elementi: l’esegesi biblica (per ricercare
alternative alle cronologie consolidate non più capaci di reggere l'evidenza della ricerca
scientifica), il recupero del mondo classico (a partire dalla fine degli anni 30 del 700 dopo la
scoperta delle città sepolte di Pompei e di Ercolano, si studia sviluppo della vita sociale e non
solo storia dell'arte), la scoperta dell’Egitto (al impero dei faraoni viene riconosciuta la
primazia di una organizzazione politica, di una conoscenza tecnologica, di una sapienza
religiosa). Si tratta di linee interpretative confliggenti per numerosissimi aspetti ma
convergenti nel Mediterraneo dove ha preso origine l’Europa di oggi, anche se si potrebbe dire
che il Mediterraneo è lo spazio del passato, l’Europa è lo spazio del presente. Ed ecco allora
che il Mediterraneo si offre alla fine del 700 come il luogo di una sottile ambiguità: da una
parte esso è il terreno di una decadenza storica, dalle responsabilità precise, che solo le idee
nuove del secolo potranno eliminare; dall’altra questa decadenza ci parla di un destino
irrimediabile degli uomini e delle loro opere che nessuna idea nuova potrà mai evitare.
una bandiera inglese o francese da alzare in caso di incontro con i pirati Barbareschi). Intorno
alla metà del 700 il senato veneziano consentì ai mercanti di negoziare con la Barberia e così
nel 1763-65 furono stipulati trattati dai quali Venezia guadagnò bene. Ci fu un forte sviluppo
delle costruzioni navali e la politica di neutralità lo favorì ulteriormente. Ci fu anche una
ripresa della marina militare quando nel 1760, per costringere gli stati Barbareschi al rispetto
dei trattati, le flotte di guerra veneziane attuarono azioni dimostrative al largo di Tripoli
e di Algeri e nel 1780 attaccarono Tunisi. Fino a quando la flotta da guerra, la marina
mercantile e la stessa repubblica veneziana non furono distrutte nelle guerre napoleoniche,
Venezia continuò a essere il principale porto e il centro più attivo delle costruzioni e dei
trasporti marittimi dell’Adriatico e nella seconda metà del 700 occupò ancora un posto di
rilievo nel traffico con il Levante, nonostante fosse lontana dalle grandi competizioni
internazionali, stretta nella morsa austriaca e nella concorrenza dei porti franchi di Trieste e
di Fiume. La sua crisi era più politica che economica: le 42 famiglie che esercitavano il potere
difesero con forza il loro monopolio non permettendo alcun cambiamento alla costituzione del
1297. Dal punto di vista economico, lo stato veneziano del XVIII secolo fu caratterizzata
più da una crescita che da un declino. Crescita demografica e dei possedimenti di terraferma
nel 1770 fu dovuta ai miglioramenti dell’agricoltura e alla coltivazione del granoturco,
alimento principale dei contadini; I mercati levantini furono man mano recuperati dai
prodotti veneziani. Vi fu il declino dell’industria tessile che cambiò la distribuzione
professionale della popolazione veneziana, provocando così nel rapporto tra marinai e artigiani
uno slittamento a favore dei primi. Sia a Trieste che a Venezia il settore di affari che sviluppò
le forme di organizzazione più moderne fu quello delle assicurazioni marittime e negli ultimi
decenni del 700 si costituirono diverse società azionarie e ricche imprese assicurative. Questo
era solo un esempio di come Venezia espandeva in questo periodo i suoi servizi commerciali
e di trasporto in veste di porto e capitale di un fecondo entroterra.
2. Balcani e Mediterraneo. All’inizio del 700 gli scambi nel Mediterraneo orientale
ebbero una spinta decisiva, che permise la ripresa del commercio tra i Balcani, la
monarchia asburgica e Venezia. Il trattato di commercio e navigazione, inserito nel trattato
di Passarowitz (1718) generò condizioni abbastanza favorevoli ai traffici commerciali tra i
sudditi austriaci e i sudditi ottomani, riducendo i rispettivi diritti e dogana e stabilendo la libera
circolazione di entrambe le parti sul Danubio. Questo diede vita allo sviluppo di una rete di
strade longitudinali e trasversali. Le prime univano l’Europa centrale a Salonicco e a Istanbul,
le seconde partivano dai porti dell’Adriatico o del Mar Ionio per raggiungere Novi Pazar,
Belgrado, Salonicco, Serres, Varna e Istanbul. La via del mare collegava Salonicco a Trieste
attraverso l’Egeo, il Mar Ionio e l’Adriatico. Da Trieste si proseguiva via terra per l’Austria e
la Germania e Salonicco fungeva da centro di smistamento per questi diversi percorsi. Le
esportazioni dei Balcani interessavano prodotti come il vino, l’olio d’oliva, l’uva passa, i
coloranti, le pelli, la lana, il mais e il cotone. In cambio dai commercianti europei ricevevano
tessuti, vetrerie, orologi, armi, zucchero e spezie. Anche la produzione artigianale si
sviluppò pienamente soprattutto in Grecia e in Bulgaria, in centri di attività al riparo dalle
intromissioni del governo ottomano. Inoltre, in tutti i centri di produzione andavano
sviluppandosi nuovi settori, come quello del tabacco, teoricamente illegali. Gli sviluppi
economici di quest’area mediterranea nel corso del XVIII secolo aumenteranno
fortemente incoraggiati anche dall’apertura del Mar Nero al commercio russo e dalle
guerre e dalle scosse politiche dell’Europa occidentale tra la fine del 700 e l’inizio dell’800.
3. La Russia e il “sogno mediterraneo”. Sulla scena eurasiatica, accanto ai 3 grandi
imperi, i 2 musulmani di Istanbul e Isfahan e quello cristiano di Vienna, se ne stava
aggiungendo un quarto che non nascondeva le sue ambizioni, quello moscovita dei Romanov,
interessato all’area tra Mar Nero, Caucaso e Caspio, ma anche all’Asia centrale e a quel
mediterraneo cui sperava di avere accesso attraverso due vie, quella marittima dei Dardanelli
e quella terrestre dei Balcani. Lo zar Pietro il Grande elevò il paese al rango di grande
potenza militare, facendolo entrare nei giochi delle alleanze e nei calcoli delle diplomazie
europee. La sua figura dà inizio all’epoca delle trasformazioni. Prima di salire sul trono
Pietro si dedicò agli studi di tecnica militare e, una volta divenuto zar, si concentrò sulla marina
e sull’esercito. Era sua convinzione che la grandezza della Russia dipendesse
dall’assicurarsi l’accesso al Mar Nero, in mano turca. Gli iniziali tentativi di Pietro di
ottenere uno sbocco sicuro sulla costa furono fallimentari (finirono con la disfatta delle forze
russe e cosacche). L’impero ottomano era in grado di sostenere il proprio esercito e di
approvvigionare le proprie guarnigioni, Pietro comprese che per raggiungere degli obiettivi
bisognava essere in grado di affrontare gli ottomani sul mare. Azov rappresentava un
obiettivo militare determinante dal momento che la fortezza sovrastava l'ultimo tratto del
Don, sbarrando il passaggio russo al Mare di Azov e di conseguenza il Mar Nero. Dopo il
tentativo fallito nel 1695, nel 1696 l’intera armata russa dopo un mese di assedio costrinse
i turchi ad arrendersi, ottenendo accesso al Mar Nero. Dopo il successo della campagna,
lo zar intraprese un lungo viaggio per andare a conoscere da vicino la civiltà occidentale,
rivolgendo le sue attenzioni e soprattutto le tecniche industriali. Pietro il Grande diede inizio
a una serie di riforme di stampo occidentale, cominciando dai costumi e mostrando piena
libertà di atteggiamenti riguardo alla chiesa ortodossa. Nel 1698 in Inghilterra ebbe opportunità
di fare esperienze nel settore navale per comprendere meglio il ruolo della marina in uno Stato
moderno e per accrescere l'esperienza nella costruzione di navi. I motivi che indussero gli
inglesi ad accogliere bene l’ospite russo erano di carattere commerciale e per quel che
riguardava le alleanze politiche, essi ritenevano il ruolo della Russia ancora secondario
nell’assetto mondiale. Dopo la conclusione di una tregua con l’impero ottomano nel 1698, i
russi fabbricarono navi molto velocemente: le vecchie galee furono sostituite da navi a vela
con cannoni. Nel 1700, un anno dopo Karlowitz, in un trattato a parte firmato a Istanbul con
gli ottomani, allo zar fu concesso di conservare le conquiste sul Mar di Azov e lungo il Dnestr.
Mettendo in pratica le competenze acquisite in Europa, Pietro avviò anche l’ambizioso disegno
di scavare un canale tra i fiumi Don e Volga nel tentativo di collegare il Mar Nero al Mar
Caspio, che tuttavia fu abbandonato per problemi finanziari. Le navi dello zar avevano
raggiunto la fama di essere ben costruite e i marinai russi andavano migliorando sempre di più
e questo cominciò a suscitare preoccupazione nelle autorità britanniche tanto che fu emessa
una legge che vietava ai carpentieri inglesi di lavorare in paesi stranieri. La principale fonte
di ricchezza della Russia era costituita dalle foreste, mentre il prodotto più importante della
zona centrale era la segale, nella regione a nord di Pietroburgo gli abitanti erano per la maggior
parte boscaioli, cacciatori e pescatori e si producevano legname, sale e animali da pelliccia.
La produzione del ferro crebbe notevolmente sotto Pietro, e così pure le imprese
industriali. Il commercio privato era ostacolato dall’elevato costo dei trasporti e dai diritti
doganali; inoltre i mercanti, che furono mandati all'estero a spese dello Stato per imparare la
tecnica commerciale, erano costretti a pagare una tassa, mentre i nobili, gli agricoltori e il clero
potevano esercitare il commercio senza dover pagare imposte. Dallo sbocco sul Baltico il
volume delle esportazioni russe nei paesi occidentali aumentò sempre di più. Nei primi 2
decenni del 700 Pietro fu impegnato in un lungo conflitto con la Svezia, il cui teatro di
battaglia si spinse molto vicino alla nuova capitale dell’impero, San Pietroburgo, situata alle
foci paludose della Neva, fiume navigabile, ampio e profondo sul Baltico, dove si sarebbe
concentrata la potenza navale russa (Il progetto di costruire una Marina meridionale fu
abbandonato perché le acque del mare di azov erano troppo basse e l'ingresso al Mar Nero era
controllato dalle fortezze ottomane). Lo zar fece costruire questa città sia come simbolo di
occidentalizzazione sia come roccaforte contro gli svedesi. La nuova capitale trasferì
nell’impero russo lo stile architettonico delle città olandesi e della Germania del nord
diventando il simbolo più evidente della volontà dello zar di condurre il paese all’interno
della vita politica e della cultura europea. Nel 1710 lo zar strinse un’alleanza con il principe
della Moldavia, Dimitrie Cantemir, formalmente vassallo degli ottomani, per intraprendere
una nuova guerra contro il sultano con l’obiettivo di avere libero accesso al fiume Danubio.
Il conflitto fu breve, le forze russe e moldave vennero subito annientate dall’esercito
ottomano e le conseguenze della pace di Prut del 1711 furono di grande rilievo per entrambi
gli alleati. I principi della Moldavia persero lo storico diritto di controllare i propri affari e
Istanbul inviò amministratori, mentre la Russia perse tutti i possedimenti lungo il mare,
compresa la flotta nel Mare di Azov e dovette restituire la fortezza di Azov al sultano.
Nonostante il fallimento della campagna, alla Russia fu evidente che la vulnerabilità ottomana
sul mare avrebbe permesso di portare avanti i suoi progetti, agendo in modo strategico e
modernizzando le forze militari e navali russe. Lo zar pose le fondamenta di quella politica
che prevedeva la partecipazione a pieno titolo alla diplomazia mondiale e alla politica dinastica
europea, il mantenimento della debolezza della Polonia, l’espansione verso i confini naturali
delle zone costiere e verso le sorelle popolazioni ortodosse e, non ultima, una politica di
esplorazione, di commercio in territori sconosciuti e di intervento a favore dei sudditi
ortodossi dell’impero ottomano. I successori di Pietro non ebbero l’impegno e le risorse
per mantenere la flotta in funzione e, negli anni 30, la Russia mancò di una flotta
efficiente. Tuttavia, l’ulteriore tentativo del 1736 contro gli ottomani e i tatari di Crimea, per
assicurarsi ancora una volta il controllo di Azov e di fortezze strategiche alla foce del Dnepr,
ebbe esito positivo anche se con la pace di Belgrado nel 1739 la Russia dovette restituire le
sue conquiste, smantellare le difese, rimuovere le navi da guerra dal mare, pur mantenendo il
possesso di Azov con il divieto di navigare nel Mar Nero con qualsiasi tipo di flotta, sia di
guerra sia di commercio.
4. L’impero ottomano: un periodo di transizione. Per l’impero ottomano il 700 fu un
secolo caratterizzato da 2 elementi importanti da un lato i periodici conflitti con la Russia e
con l’Austria (che provocarono agli ottomani una perdita territoriale ma anche di immagine),
dall’altro alcuni uomini di cultura ottomani presero consapevolezza dell’esigenza di avviare
un sistema di riforma dello stato, a partire dall’esercito e dalla marina, incapaci di
impedire l’avanzata della Russia verso il Mar Nero. Dopo Passarowitz (1718) per qualche
decennio sul versante occidentale e settentrionale furono condotte solo guerre brevi e da parte
del governo ottomano ci fu il tentativo di rendere di nuovo sicure le strade commerciali. Molto
probabilmente questo determinò, tra il 1720 e il 1760-65, un’espansione del commercio e
dell’artigianato in diversi centri. Nei Balcani i commercianti trasportarono in primavera i
prodotti del lavoro domestico invernale su mercati molto lontani per venderli, tanto da arrivare
a visitare anche la fiera di Lipsia. Così, i commercianti locali aumentarono il loro volume di
affari nell’attuale Bulgaria meridionale, nella regione del Plovdiv, dove si sviluppò la
fabbricazione di tessuti di lana grezzi e resistenti. Segnali di espansione economica si ebbero
anche in altre zone dell’impero ottomano. Mentre le province europee dell’impero ottomano
divennero oggetto delle aspirazioni austriache e russe, con la Francia e l’Inghilterra
occupate in altre zone del globo, le province arabe, come la Siria e l’Egitto, così come le
province dell’Africa del Nord, nel 700 cominciarono a orientarsi verso forme sempre più
della realtà davvero nuova: la possibilità di rinnovamento totale riguardava l'intera struttura
sociale, progresso materiale e culturale potevano andare nella stessa direzione e il
concetto illuminista di civilisation coinvolgeva la scienza, la tecnica, la filosofia, la morale e
le regole della vita sociale. Al tempo stesso gli economisti avevano iniziato a indicare le strade
della modernizzazione e dello sviluppo economico, dirigendo la loro attenzione alle
potenzialità dell'agricoltura capitalistica. Così, l'azione dei governi fin dagli anni 50 si
mosse nella direzione indicata dai filosofi e dagli economisti.
Contemporaneamente con la generazione del dispotismo illuminato l'Inghilterra aveva
continuato a crescere economicamente anche negli anni 70, e questa crescita aveva generato
una trasformazione dell'apparato produttivo che rappresentò davvero una rivoluzione
industriale. Nell'illuminismo accanto al richiamo alla libertà ci fu il richiamo
all'uguaglianza e alla fraternità tra gli uomini. Si trattò in ogni caso, di una promessa di
felicità, sulla terra contro le promesse di felicità in un altro mondo: l'Illuminismo, religione
dell'uomo, dichiarava guerra alle religioni storiche. La filosofia, illuministica opponeva i
lumi alle tenebre dei secoli precedenti, la conoscenza all'ignoranza, la civiltà alla barbarie,
indispensabili per far uscire l'uomo dallo 'stato di minorità’ e per farlo diventare storicamente
adulto.
In Francia i Lumi (movimento filosofico-politico) furono una filosofia di critica
contro l’ordine stabilito, che si trovò a dover fare i conti con le rigorose barriere alzate dai
tradizionalisti. Nel 1774 l'economista Robert Turgot divenne controllore generale delle
finanze; la liberalizzazione del commercio interno di cereali coincise con un raccolto scarso e
la paura della carestia provocò tumulti popolari a Parigi e nella regione parigina nel 1775.
Clero e aristocrazia, sentendosi minacciati dalle soluzioni di Turgot nel campo della riforma
fiscale, lo accusarono di essere un irresponsabile che avrebbe affamato la Francia e, dopo un
anno di polemiche e di scontri, il ministro venne licenziato nel 1776. La borghesia francese
del XVIII secolo, costituita da alti funzionari e da finanzieri, desiderava un cambiamento di
stato giuridico. Con la rivoluzione essa cercherà di distruggere gli ordini privilegiati e di
sostituirsi ad essi come classe dirigente dello stato. La monarchia di Luigi XVI era, dunque,
incapace di dare inizio a un processo di riforme e ciò ne avrebbe provocato il crollo.
In Spagna e in Italia i Lumi rappresentarono l'espressione di un gruppo di uomini i quali
persuasi del ritardo storico dei rispettivi paesi, cercarono seriamente delle soluzioni idonee.
L'instaurazione della dinastia borbonica, la guerra di successione e la perdita dei possedimenti
europei furono alla base di cambiamenti nella politica della Spagna. Si accentuò il processo
di differenziazione regionale e mentre la Catalogna si trovò al primo posto nella classifica
dello sviluppo, la Castiglia rimase in uno degli ultimi. C'era una crescita limitata,
l'aristocrazia terriera deteneva il primato e la borghesia nascente era legata allo sviluppo
dell'amministrazione statale più che alle attività imprenditoriali. Inoltre sia in Spagna sia nel
Portogallo la forza della Chiesa di Roma era enorme e trovava espressione nei privilegi
e nelle esenzioni fiscali del clero. I gesuiti monopolizzavano l'istituzione scolastica.
L'intervento più significativo di Calo III di Borbone, succeduto a Ferdinando IV,
riguardava i rapporti tra Stato e Chiesa: il sovrano limitò le immunità ecclesiastiche e i
poteri dell'Inquisizione, accusò i Gesuiti di cospirazione contro lo Stato e nel 1767 li bandì dal
regno, costrinse Papa Clemente XIV a decretare nel l773 lo scioglimento della Compagnia di
Gesù. L'assolutismo illuminato di Carlo III si orientò anche verso la ristrutturazione
amministrativa, la liberalizzazione del commercio e dell'artigianato, la promozione di
accademie e società economiche e il rinnovamento della cultura.
importanza, poiché si trattava del primo codice penale moderno in Italia. Nel Regno di Napoli
Carlo di Borbone affidò la segreteria degli Esteri al giurista toscano Bernardo Tanucci
nel 1755, e questo fu considerato una scelta di avere accanto una personalità giuridica e politica
pienamente affidabile e assolutamente capace di muoversi nel campo della politica
internazionale. Quando Carlo fu chiamato sul trono di Spagna e gli succedette a Napoli il figlio
Ferdinando di soli otto anni, Tanucci fu nominato membro del consiglio di reggenza e in
seguito ministro, esercitando così il potere per più di quindici anni. Egli impiegò tutte le sue
energie al servizio della trasformazione del regno, ma la sua forte volontà riformatrice
incontrò molti ostacoli. La carestia che scoppiò nel 1764 aggravò vecchi problemi come la
debolezza dell'economia, la piaga dei pregiudizi e dell'ignoranza. Nel1765 riuscì a riformare
l’amministrazione della capitale. Ma il provvedimento più importante fu l'espulsione dei
Gesuiti nel 1767, che avrebbe dovuto segnare il punto di partenza per un grande progetto di
rinnovamento. I beni confiscati ai Gesuiti furono utilizzati per fondare scuole, convitti,
ospizi, ma non si riuscì a ottenere un vero cambiamento del sistema scolastico e assistenziale.
Un successo vero e proprio Tanucci lo riportò nel settore giudiziario, ma quando nel 1768 il
re Ferdinando sposò Maria Carolina d'Austria, la sua influenza diminuì e nel 1776 fu
licenziato. La regina si dedicò soprattutto a liberare il regno dalla tutela spagnola ma non
mancarono riforme come la riorganizzazione della marina e dell'esercito. Napoli fu un
centro culturale dell’Europa illuministica, ma il 18° secolo si sarebbe chiuso con il
fallimento del riformismo assolutistico illuminato, accelerato dalla Rivoluzione francese.
Nell'Austria asburgica i Lumi furono un movimento intellettuale che collaborò con
la monarchia assoluta nella realizzazione dei suoi progetti di modernizzazione dal
momento che tra i vari esponenti vi furono gli stessi sovrani o i loro più stretti collaboratori.
Quando Giuseppe II salì al trono nel 1780 iniziarono le operazioni di censimento e di catasto
anche in Austria, Ungheria e Boemia, con l'obiettivo di mettere fine ai privilegi del clero e
dell'aristocrazia, ma anche per stimolare la modernizzazione dell'agricoltura, oltre che
per aumentare il potere economico dello stato. Nella politica ecclesiastica la pratica di
Giuseppe II era quella di controllo statale sulla Chiesa che prese il nome di 'giuseppinismo':
oltre alla soppressione di conventi e di ordini ritenuti inutili e alla secolarizzazione dei
beni ecclesiastici si attuò il controllo della pubblicazione degli atti pontifici e delle stesse
nomine dei vescovi. I rapporti con la Santa Sede divennero tesi fin dal 1781, quando
l'Imperatore emanò la patente generale di tolleranza, che consentiva finalmente a
calvinisti, luterani e greco-ortodossi di integrarsi a pieno titolo nella vita della monarchia
asburgica. Dopo alcuni provvedimenti che miravano a proteggere i contadini dalle
giurisdizioni signorili, fu promulgata la patente che aboliva la servitù: i contadini potevano
sposarsi senza autorizzazione, muoversi come volevano, scegliere il mestiere da esercitare.
Inoltre potenziò i tre livelli di istruzione scolastica, modificò l'assetto del pubblico impiego,
concesse la libertà di stampa. Importante fu l'attività in ambito giudiziario, con il codice
penale del 1787 definito un 'monumento dell'Illuminismo'. Sul piano politico e militare
negative furono le ripercussioni della guerra contro l'Impero ottomano, condotta nel 1788 per
onorare l'alleanza con Caterina II di Russia.
Per i paesi dell'Impero germanico il discorso è più complesso. In genere, gli intellettuali
tedeschi vissero in una situazione di isolamento, la frammentazione politica del paese agì in
senso negativo, perché impedì loro di organizzarsi in circoli, il loro sostanziale mezzo di
comunicazione restò il libro.
Anche nel Mediterraneo orientale e islamico si ebbero processi di diffusione della
cultura illuminista, e uno dei suoi vettori principali fu la politica espansionista russa dell'età
di Caterina II, la quale alimentò nella cultura ellenica forti speranze di rinnovamento che
finirono, inevitabilmente, con l'allargarsi anche alla cultura e alla società dell'impero
ottomano, dove si facevano sempre più numerosi i sostenitori dell'europeizzazione, che
riuscirono a introdurre, a partire dalla seconda metà del Settecento, tecnologie, idee politiche
e comportamenti sociali importati dalla Francia e dall'Inghilterra.
2. La Russia e il Mar Nero. Nel corso del 18° secolo si era consolidato un programma
di espansione prima con Pietro e poi con Caterina, moglie di Pietro III (che fu zar per soli sei
mesi nel 1762). L’Impero doveva farsi portatore di civiltà nei confronti di un Oriente
islamizzato arretrato, raggiungendo il Mediterraneo attraverso il Mar Nero e gli Stretti.
Si attivò una complessa rete di alleanze: austriaci, russi e turchi nei Balcani; turchi, russi e
persiani nella zona caucasica, francesi, russi e turchi a Istanbul e a Gerusalemme; la Francia,
la Spagna e l'Inghilterra cominciarono a temere gli effetti dell'espansione russa non solo,
sul versante baltico, ma anche su quello mediterraneo. Il regno di Caterina II fu aperto alle
influenze culturali francesi e molte delle riforme da lei promosse, come il nuovo sistema
educativo, la politica economica, la secolarizzazione delle terre della Chiesa, la
soppressione di oltre la metà dei conventi, avevano alla base i principi dell'assolutismo
illuminato. Nel 1762 le finanze russe erano esauste per cui le proprietà della Chiesa furono
confiscate; il programma ufficiale dell'assolutismo illuminato di Caterina II esaltava la
tolleranza, la libertà di stampa, la diffusione dell'istruzione, condannando la tortura e la
crudeltà delle pene. Vi furono le leggi che abolirono i monopoli e aprirono a tutti, compresi i
contadini, le attività manifatturiere e commerciali, incoraggiando così lo sviluppo economico.
Nel 1753 vennero abolite tutte le dogane interne e nel 1766 venne concessa la libertà
all'esportazione dei cereali; la maggiore produzione si ottenne con la messa a coltura di nuove
terre, divenuta necessaria grazie all'aumento demografico avvenuto nel corso del
Settecento. Nonostante i progressi, le condizioni dell'agricoltura erano ancora molto
arretrate. Più evidenti furono, invece, i progressi nel campo industriale dovuti all'incremento
della produzione e del numero degli opifici. Il numero di stabilimenti industriali
incrementò: l'aumento della produzione interessò i 2 settori più importanti: quello
metallurgico e quello tessile. L'industria pesante, al contrario, durante il regno di Caterina
II, attraversò una fase di relativa decadenza. La tessitura e la stampa dei tessuti di cotone per
tutto il Settecento, si servì del lavoro a domicilio esercitato da contadini liberi e affiancato
anche dalla lavorazione della lana, del lino, della seta, della carta, del legno, del cuoio e anche
del ferro e dei metalli in genere. Cronstadt, avamposto di Pietroburgo, era lo scalo russo più
importante; il secondo porto dell'impero era Riga. Il commercio era quasi tutto ancora nelle
mani degli inglesi, ma il governo russo di Caterina II cercò di far aumentare il commercio
estero. Solo tra il 1786 e il 1793 il mancato rinnovo del trattato tra l'Impero e l’Inghilterra
mise in crisi il commercio inglese in Russia e consentì ai russi di gestire fino al 70% dei traffici.
Nel 1775 lo stato della marina mercantile era ancora molto misero. La flotta navale russa,
invece, sotto Caterina II rinacque. La zarina era salita sul trono con grandi ambizioni
riformatrici all’interno del paese, ma le sue preoccupazioni più importanti furono rivolte alla
politica estera Nel 1768, una violenta rivolta contro le ingerenze russe in Polonia aveva spinto
l'esercito di Caterina a invadere il paese confinante e questo fu il casus belli che condusse il
sultano, irritato per lo sconfinamento delle truppe russe, ad aprire le ostilità. Scoppiò così
una guerra. Nonostante un esercito formidabile, i turchi ottomani furono umiliati dai russi,
che sferrarono un violento attacco piegando i principati danubiani di Moldava a e Valacchia e
inviando una flotta nel Mediterraneo con lo scopo di sollevare le popolazioni balcaniche sotto
dominio turco. Anche in Grecia gli agenti della zarina incitarono le genti cristiane alla
rivolta. Il trattato di Kuҫuk-Kaynarca nel 1774 sancì la vittoria russa: Caterina ottenne
definitivamente Azov e il diritto di navigazione nel Mar Nero e nel Mediterraneo. Il
trattato permise ai russi non solo di accrescere i propri domini, ma anche di ingerirsi negli
affari interni dell'Impero ottomano, insediando un proprio ambasciatore permanente a
Istanbul e costruendo una chiesa con diritto di protezione degli ortodossi nella capitale (e
strappando al sultano la promessa di attuare alcune riforme modernizzatrici e
occidentalizzatrici). Il sogno di Caterina II, cioè un impero dal Baltico al Mediterraneo e dalla
Grecia al Caspio, stava prendendo corpo. Il suo obiettivo, ossia il rafforzamento della
potenza internazionale della Russia basato sull'estensione e sull'unificazione del suo
territorio, si realizzò con l'annessione della Crimea nel 1783, che prima non solo ostacolava
la Russia nello sbocco sul Mar Nero, ma rappresentava anche una minaccia per l'Ucraina,
sottoposta a continue incursioni da parte dei turchi. I turchi si riorganizzarono per distruggere
l'armata russa sul Mar Nero e nel 1791 firmarono una tregua con il nuovo imperatore asburgico
Leopoldo II. I russi, lasciati soli, siglarono la pace di Jassy nel 1792 che consentiva di annettere
almeno la Bessarabia, cioè l'area della Moldavia a est del Dniestr. Le diplomazie europee
furono allarmate dall’espansione dell’impero russo, agli occhi di Inghilterra e Francia non
appariva auspicabile la sostituzione dell’impero ottomano, ormai debole, con la potenza russa.
Ad allontanare momentaneamente questo pericolo sopraggiunse la morte di Caterina II (1796).
3. 'Tentativi di rinnovamento nell’Impero ottomano. I Lumi in Turchia significarono
soprattutto occidentalizzazione e adozione di tecniche e scienze occidentali, ma anche un
atteggiamento più critico nei confronti dell’ortodossia islamica (concessione della libertà
di culto alle minoranze religiose). Il 18° secolo vide rivolgere l'attenzione dei gran visir alle
relazioni diplomatiche con le potenze occidentali, per poter cogliere i loro progressi, i loro
modi di vita, le loro realizzazioni tecniche. Le vicende militari, le continue mediazioni
diplomatiche delle potenze europee dimostrarono che i turchi non erano più gli unici padroni
dello spazio economico e politico dominato fino ad allora. Così in alcuni intellettuali ottomani
nacque il desiderio di conoscere meglio il mondo occidentale e ambasciatori partirono per le
grandi capitali, tornando con osservazioni, riflessioni, informazioni e innovazioni: cominciò
così una certa apertura sul mondo esterno (es. sulla cultura, civiltà, tecniche francesi; nella
corte ottomana venne adottato un nuovo genere di vita piacevole e dispendioso: nuovi
palazzi, giardini, organizzazione di divertimenti e feste; la creazione della tipografia) oltre che
miglioramenti in campo militare e civile. Il gran visir di Mustafa III, Ragib Pascià
condividendo le idee del sultano che considerava la pace con le potenze straniere necessaria al
buon andamento dello stato, mantenne buoni rapporti con esse, Austria e Russia comprese.
vennero firmati trattati commerciali con i regni di Napoli, Danimarca e Persia, vennero
mantenute ottime relazioni con Francia e Inghilterra. Ragib Pascià rivolse la sua attenzione
al miglioramento dei servizi dello stato, rafforzando la giustizia, promulgando regolamenti che
miravano a proteggere meglio la popolazione contro gli abusi dei notabili e della
amministrazione locale, inviando truppe contro gli oppositori per attestare che fossero messi
in pratica i regolamenti e le leggi statali. La seconda guerra (1768-1774) contro la Russia e
l'Austria fece sì che il trattato di Kucuk-Kaynarca del 1774 fosse il più svantaggioso siglato
dagli ottomani fino ad allora, perchè portò il primo grave attacco al meccanismo ottomano a
nord del Mar Nero. Il sultano, costretto a pagare una forte indennità di guerra, ottenne però di
nuovo le sue posizioni secolari tra il basso Danubio e il basso Dnestr. Da questo momento in
poi il prestigio ottomano cominciò a diminuire sempre di più e l'Impero divenne
un'allettante preda per i vicini. Debolezza interna, mediocrità dell'esercito, instabilità di
alcune province ne furono la causa, insieme all'espansione politica, economica e territoriale
delle grandi potenze europee, come la Francia, la Russia e l'Austria. Nel 1789 salì al trono
Selim III che testimoniò una volontà di rinnovamento dello stato ottomano. Egli riprese
l'opera di riforme avviata dal suo predecessore, si preoccupò di rinnovare l'esercito attraverso
l'istituzione, nel 1794, di un particolare corpo militare denominato 'la nuova organizzazione',
il cui addestramento fu affidato a istruttori europei, e i cui soldati ricevettero un migliore
equipaggiamento. Le riforme militati riguardarono anche la marina, con miglioramenti nel
reclutamento e nella formazione dei marinai, ammodernamento della Scuola navale. Per
coprire il costo delle riforme Selim III procedette a una svalutazione della moneta,
all’aumento delle imposte e alla confisca dei beni di ricchi mercanti. Le riforme civili
riguardarono la riorganizzazione dei servizi delle finanze e l'approvvigionamento delle città
di prodotti essenziali, mentre il settore in cui il sultano introdusse effettive innovazioni fu il
campo della diplomazia, con un'apertura verso l'Occidente. Le riforme di Selim III
attirarono l’ostilità degli ulema e dei giannizzeri, che lo costrinsero di farsi da parte,
interrompendo il suo progetto riformatore. Suo successore fu Mahmud II, il reale iniziatore
dei mutamenti nell'Impero ottomano.
4. Grandi potenze e minoranze nel Mediterraneo orientale e maghrebino. Nel 18°
secolo si sviluppò una forte presenza occidentale nel commercio internazionale
dell’Impero ottomano: fu la Francia ad avere il molo principale nel traffico commerciale
con il Levante, lasciando gli inglesi interessati all'India e all'America. Nel 1754 l'Austria
creò una propria Compagnia del Levante. Strette relazioni si stabilirono tra i negozianti di
Livorno, porto di scalo e di passaggio molto frequentato, e Salonicco, Istanbul, Smirne e
Alessandria e si svilupparono ancora di più quando il sultano concesse la libertà di
commercio nell'Impero ai sudditi del granduca di Toscana. Rilevante nel contesto euro-
mediterraneo fu anche l'apertura del Mar Nero agli occidentali. Il Regno d Napoli condusse
trattative per la stipulazione di un accordo commerciale con la Russia, soprattutto dopo un
provvedimento del 1784 che estese ai vini italiani sbarcati nel Mar Nero le agevolazioni
concesse ai-vini greci, spagnoli e portoghesi, purché trasportati su navi russe o italiane e che
mise in risalto la predisposizione favorevole della Russia verso gli Stati italiani. Gli stati
europei firmavano i contratti con gli stati magrebini per garantire alle proprie navi
l’immunità dagli assalti dei corsari e per avere le condizioni vantaggiose per lo sviluppo dei
commerci. Tra l’Europa e Magreb si ebbero molte prove di forza, in generale favorevoli agli
stati europei, vi furono accordi e trattati di pace e di commercio, stipulati con un numero
sempre più grande di paesi. La concorrenza tra la Francia e l’Inghilterra si fece sempre
più vivace ed entrambe cercarono di approfittare dei momenti di tensione nei rapporti
dell’altra con i barbareschi per avvantaggiare la propria posizione politico-diplomatica. Nel
1716 l’Inghilterra stipulò un trattato con Tunisi. Tra il 1725 e il 1731 si ebbe una serie di
trattati, a cominciare da quello sottoscritto con Tunisi dall'Impero asburgico (1725). L'Olanda
firmò un trattato con Algeri (1726), rinnovato poi nel 1731 e un altro con Tripoli (1728), con
Tunisi solo nel 1713. Nel 1729 il Regno di Svezia firmò un primo trattato con la reggenza
algerina, affacciandosi così sulla scena politica internazionale del Maghreb; nel 1736
sottoscrisse un accordo con Tunisi e nel 1741 con Tripoli. Anche la Danimarca, per esempio,
firmò un trattato con Algeri (1746) e un altro con Tripoli (1752). Nel 1748 l'Impero asburgico
rinnovò gli accordi con Algeri e con Tunisi e l'anno dopo anche con Tripoli mentre l'Inghilterra
riconfermò il trattato con Algeri (1751) e lo stesso fece l'Olanda (1757). Nel corso del 18°
secolo e fino al 1775, la Spagna rimase abbastanza lontana dalle vicende mediterranee,
ma nell'ultimo quarto del secolo la flotta spagnola attaccò duramente Algeri, senza riuscire
però a infliggerle il colpo mortale. La prima spedizione prese il via nel 1775. La pace vi fu
nel 1786. Accanto alla Spagna fu Venezia a condurre con più successo la sua flotta sulle
coste del Maghreb nell'ultimo ventennio del 700.
fiscale, né dell'abolizione del regime feudale. Le tensioni nel frattempo crescevano. L'11
luglio Necker fu licenziato e al licenziamento del ministro reagì il popolo parigino che,
stremato dalle tasse sul pane che non accennavano a diminuire, il 14 luglio si sollevò
assaltando i depositi di armi e impadronendosi della Bastiglia, arsenale e prigione di Stato,
ma soprattutto simbolo dell'arbitrio del re. I parigini in rivolta costituirono una
municipalità insurrezionale, una guardia nazionale e adottarono una coccarda tricolore che
recava, tra i colori di Parigi azzurro e rosso, il bianco dei Borboni. Luigi XVI fu costretto a
richiamare Necker e il 17 luglio si recò a Parigi per sanzionare i fatti compiuti. I contadini
armati si mossero ovunque all'assalto dei castelli dei signori, ma soprattutto degli archivi
signorili, per dare alle fiamme quegli antichi incartamenti. Dopo l'insurrezione rurale, i
deputati del Terzo stato difesero le rivendicazioni contadine in una tacita alleanza tra la
borghesia e i contadini, che consentì alla rivoluzione di ottenere i risultati più definitivi e
radicali. L'assemblea riprese in mano la situazione e cominciò a comportarsi come un vero
organismo costituente approvando il 26 agosto una Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino, che il re non riconobbe. Il 5 ottobre una folla di molte migliaia di parigini mosse
in direzione di Versailles e il giorno dopo Luigi XVI fu costretto a trasferirsi a Parigi
insieme alla famiglia reale, seguito presto dall'Assemblea costituente: la battaglia politica
sarebbe andata avanti sotto lo sguardo del popolo parigino e della borghesia cittadina armata.
Nei mesi che passarono, tra l'ottobre del 1789 e il giugno1791, la rivoluzione sembrò aver
trovato un suo equilibrio, ma in realtà tutte le forze presenti nell' Assemblea costituente
sapevano che la tregua era provvisoria e fragile e che bisognava al più presto arrivare a un
compromesso sul futuro assetto costituzionale.
2. La Rivoluzione e la guerra. Nella sua prima fase la rivoluzione francese non ebbe
un carattere repubblicano. Al contrario i protagonisti della rivoluzione ebbero come
obiettivo il mantenimento della autorità del sovrano Luigi XVI, nel quadro, però di una
Costituzione che assicurasse la rappresentanza politica della nazione in Parlamento, la
divisione dei poteri e le libertà fondamentali del cittadino. Questo obiettivo sembrò
realizzarsi con la adozione, nel settembre 1791, di una Costituzione alla quale Luigi XVI
aveva dato il suo consenso (in realtà la monarchia francese faticava a costituzionalizzarsi:
tentennamenti del re e degli ambienti di corte -> progressivo radicalizzarsi del ceto politico
rivoluzionario). Il regime costituzionale in Francia apparve presto una minaccia per la
stabilità dell'intero sistema politico dell'Europa continentale. La Rivoluzione stava
diventando un tema cruciale della storia dell’Europa (la condizione di Luigi XVI venne
considerata oggetto di comune interesse per tutti i sovrani d’Europa). Stretti tra gli intrighi
della corte con le potenze straniere e le istanze rivoluzionarie dei club politici più radicali
(cordiglieri e giacobini), i deputati cosiddetti 'girondini' (dal nome del dipartimento della
Gironda da cui provenivano gli esponenti più prestigiosi), che detenevano in quel momento la
maggioranza all’interno della Assemblea legislativa, pensarono di risolvere la crisi finanziaria
e politica facendo appello all'unità nazionale in una guerra contro le monarchie assolute
europee. Intanto, i movimenti rivoluzionari, tra cui il giacobinismo, stavano diventando
fenomeni internazionali che andavano propagandosi in Europa e nel Mediterraneo: in
Inghilterra, nell'Impero asburgico, nei Paesi Bassi, in Polonia, in Spagna, in Italia, in Grecia e
perfino in America, i giacobini esportarono le novità rivoluzionarie. Nell'aprile del 1792 la
Francia dichiarò guerra agli Asburgo, alleati della Prussia. Da questo momento iniziò una
fase nuova della Rivoluzione francese. La guerra alle grandi potenze europee era
considerata con allarme da Luigi XVI e ancor più da Maria Antonietta, sorella dell'Imperatore
austriaco. La guerra europea, soprattutto nella prima fase quando sembrò che le truppe
austriache e prussiane fossero destinate ad avere la meglio determinò la fase più acuta e
drammatica del processo rivoluzionario, quella del Terrore, e legata alle figure di Danton e
di Robespierre. La caduta della monarchia e la proclamazione della Repubblica nel
settembre 1792, la fine della Assemblea Legislativa e la nascita della Convenzione, si
accompagnarono allo sforzo gigantesco che la Francia rivoluzionaria compì per evitare
l’invasione e salvare la Rivoluzione. Le sorti della guerra cominciarono ad apparire meno
drammatiche solo nel corso del 1793 ed è allora che il conflitto apertosi in Europa si mostrò
non solo come una guerra tra la Rivoluzione e i suoi nemici, ma anche come un nuovo episodio
delle lotte per l'egemonia europea. L'occupazione da parte delle truppe rivoluzionarie dei Paesi
Bassi austriaci, della maggior parte della riva sinistra del Reno, del Regno Sardo, della Savoia
e della Contea di Nizza, sembrò alle grandi potenze continentali il segnale di una politica che
andava anche al di là della difesa della rivoluzione. Per altro verso occorre ricordare che in
seguito alla rivoluzione, la condizione della marina francese era diventata disastrosa. Di questa
situazione approfittò la Gran Bretagna per proseguire con maggiore efficacia la sua
tradizionale politica di guerra al commercio francese, con il blocco delle coste e l'attacco a
ciò che restava delle colonie francesi. Una fase chiaramente nuova si aprì solo con la fine del
Terrore, lo scioglimento della Convenzione e la formazione di un nuovo regime
repubblicano, il Direttorio, sostenuto dalle forze moderate e borghesi della rivoluzione.
Caratterizzato sul piano interno da una forte instabilità istituzionale, sul piano internazionale
il Direttorio seppe, almeno nella prima fase della sua non lunghissima vita, cogliere
significativi successi. Esso proseguì con efficacia la politica delle cosiddette 'frontiere
naturali' tese ad assicurare alla Francia il controllo delle rive del Reno e la nascita di una serie
di 'repubbliche sorelle' che in Belgio, in Olanda e in Italia avrebbero garantito la sicurezza
della giovane repubblica francese. Fu in questo quadro che nella primavera del 1796 il
ventisettenne generale Napoleone Buonaparte iniziò la sua campagna in Italia (con intento
di indebolire le posizioni degli austriaci sul Reno; con le rapide vittorie). Bonaparte guardava
alla penisola italiana nella chiave di un paese il cui controllo avrebbe aperto alla Francia la via
dell'egemonia mediterranea. Questa visione si ricollegava ad alcuni disegni coltivati da quello
che sarebbe diventato il principale attore della politica estera napoleonica, il principe di
Talleyrand. Il primo segno concreto di questa visione si ebbe al momento in cui, senza tener
conto del parere del Direttorio, vennero firmati (settembre 1797) i preliminari di pace di
Campoformio con i quali si concludeva la vittoriosa prima campagna d'Italia. Qui l'Austria
rinunciò al Belgio e si impegnò a cedere alla Francia la Lombardia e a riconoscere la
Repubblica cisalpina, ma soprattutto venne sancita la definitiva scomparsa della Repubblica
di Venezia, che Bonaparte aveva occupato già nella primavera precedente e che ora veniva
divisa tra la Francia, che mantenne il controllo delle isole Ionie, e gli Asburgo che ebbero
Venezia, la terraferma, l'Istria e la Dalmazia.
3. Una svolta: la spedizione francese in Egitto. L'occupazione francese di Corfù e delle
altre isole Ionie, dopo Campoformio mostrò l'interesse della Francia rivoluzionaria per il
Mediterraneo che si sarebbe reso palese anche con la spedizione in Egitto organizzata da
Bonaparte nella primavera del 1798. Così, il Mediterraneo rientrava nella grande storia,
dopo esserne uscito ala fine dello scontro ispano-ottomano (XVI secolo). L'Egitto, in virtù
della sua particolare collocazione geografica, delle sue condizioni politiche e delle sue
caratteristiche economiche, si presentava come uno dei principali obiettivi della politica estera
francese per assicurarsi le chiavi del commercio asiatico. La spedizione partì da Tolone ed
ebbe come primo obiettivo la conquista dell'isola di Malta: il controllo di Malta diventava
essenziale nelle strategie di egemonia sul Mare Interno e di rilancio degli interessi verso
l'Oceano Indiano. La vittoriosa battaglia delle Piramidi e la conquista del Cairo sembrarono
assicurare rapidamente il successo. Pochi giorni dopo, però, il l agosto 1798, la flotta francese
fu completamente distrutta nella rada di Abukr dalle navi inglesi di Nelson. L'Inghilterra
ribadiva, così la propria forza nel Mediterraneo e metteva repentinamente fine
all'ambizioso ed egemonico disegno mediterraneo di Napoleone. Bonaparte si trovò allo stesso
tempo padrone e prigioniero dell'Egitto. Dopo la sanguinosa rivolta del Cairo nell'ottobre
1798, Napoleone decise di occupare Siria e Palestina, per minacciare sia la via del
commercio verso l'India sia la capitale dell'Impero ottomano. I risultati furono
insoddisfacenti soprattutto dopo il fallimento dell'assedio posto alla città di San Giovanni
d'Acri, che costrinse Bonaparte a ritornare sui suoi passi. Nell'agosto del 1799, dopo aver
valutato la situazione in Egitto e incalzato dalle notizie che dalla Francia raccontavano di un
Direttorio sempre più in difficoltà per la crisi interna e le sconfitte militari, Napoleone
abbandonò l'Egitto, sottraendosi al blocco navale degli inglesi. Sbarcato in Francia venne
accolto, nonostante tutto come l'unico in grado di far uscire il paese dalle contraddizioni nelle
qual era caduto. Pochi mesi dopo il suo ritorno, infatti, con il colpo di Stato del 9 novembre
1799 Bonaparte pose fine al governo direttoriale e inaugurò l'epoca del suo dominio
personale.
4. Napoleone, l'Europa e il Mediterraneo. Nell'epoca del cosiddetto Grande Consolato
tra il 1799 e il 1804 la profonda azione di riforme istituzionali voluta da Bonaparte si
accompagnò all'attività non meno significativa di politica estera. Importanti restarono i
rapporti della Francia con le Reggenze barbaresche di Algeri, Tunisi e Tripoli con cui, tra
il 1791 e il 1793 erano stati rinnovati i trattati (l’attività corsara raggiunse una maggiore
intensità, grazie anche all’espulsione a opera della Francia napoleonica dei Cavalieri dell’isola
di Malta) Un'ulteriore conferma degli interessi mediterranei napoleonici fu la riconquista del
controllo della penisola italiana, dopo la vittoriosa campagna del 1800. Non a caso da essa
scaturì quasi immediatamente una pace con l'Austria (Luneville 1801) che disegnava gli
equilibri sul continente, mentre assai più laboriosa e precaria si rivelò la possibilità di un
accordo con l'Inghilterra. La pace finalmente sottoscritta ad Amiens nell'aprile l802
riguardava soprattutto il quadro internazionale, con la restituzione alla Francia delle colonie
perdute nel corso della Rivoluzione e con il ritorno dell'Egitto alla sovranità ottomana.
La sistemazione dell'Italia e quella di Malta, dove la pace di Amiens prevedeva il ritiro degli
inglesi e il ritorno dei Cavalieri di San Giovanni, rappresentarono i punti sui quali l'intesa si
ruppe pochi mesi dopo essere stata conclusa. La presenza commerciale francese nel
Mediterraneo orientale e nell'Impero ottomano minacciava sempre di più gli inglesi, gli
interessi colpiti dalla politica doganale decisamente protezionistica adottata da Napoleone
per escludere le merci straniere dalla Francia e dagli stati satelliti. La ripresa della guerra nel
1804, anno nel quale Bonaparte assunse il titolo di Imperatore, confermò
l'incompatibilità fra le aspirazioni francesi e gli interessi economici inglesi. L'apogeo della
potenza napoleonica si ebbe, alla fine de 1805, con la vittoria di Austerlitz e la imposizione
di una pace all'Austria che decretava praticamente l'egemonia francese sull'Europa
continentale e trasferiva alla Francia le recenti acquisizioni austriache nell'Adriatico: Venezia
e le coste dalmate. Pochi mesi prima, però, la flotta francese e quella spagnola erano state
annientate al largo di Trafalgar, ancora dalle navi di Nelson, lo straordinario ammiraglio
inglese che in quel combattimento perse la vita. Napoleone nel 1806 adottò il blocco
continentale con il quale si vietava alle navi che provenivano dalla Gran Bretagna e dalle sue
colonie di entrare nei porti dei territori che erano sotto il controllo francese, nel tentativo di
piegare l'economia inglese e di promuovere lo sviluppo dell'industria francese. Ma la vastità
stessa del territorio da controllare fece diventare il fine irrealizzabile. L'Inghilterra, dal canto
suo, fu costretta a cercare mercati alternativi e uno di questi divenne proprio il
Mediterraneo: tra il 1807 e il 1808, il centro del commercio europeo inglese si spostò, infatti,
nel sud del Mare Interno, dove la Sicilia rappresentò senza dubbio un luogo strategico.
Importanti conseguenze politiche si ebbero con la pace di Tilsit, alla fine dello scontro tra la
Francia e la Russia. Con il titolo di re d'Italia, Bonaparte aveva dato alla Francia una
dimensione imperiale, nata proprio ponendo sotto il controllo francese l'Italia e la
Germania. Nello stesso anno Liguria, Toscana, Lazio, Umbria e Marche erano entrate a far
parte dei dipartimenti francesi ed era stata così decretata la fine dello stato della Chiesa.
Napoleone si era incoronato re con grande solennità e poi aveva lasciato il governo del paese
con il titolo di viceré a Eugenio di Beauharnais, figlio di sua moglie Giuseppina. Nel 1806
Luigi Bonaparte era diventato re d’Olanda e nello stesso anno Giuseppe aveva avuto il
trono di Napoli, mentre il re Borbone aveva conservato la Sicilia sotto la protezione della
flotta inglese; un terzo regno era stato costituito per Gerolamo Bonaparte in Germania,
mentre nel l808, dopo l'invasione della Spagna, a Giuseppe sarebbe stata attribuita la
corona spagnola, appartenuta al deposto Ferdinando VII di Borbone e Gioacchino Murat
avrebbe preso il suo posto sul trono di Napoli. Due paesi che risentirono particolarmente del
blocco continentale furono Spagna e Portogallo. Bonaparte, con l'invasione del Portogallo
nel 1807 aveva messo a segno un'ulteriore annessione che tendeva a minare il sistema politico-
diplomatico inglese, dal momento che si colpiva un tradizionale alleato dell'Inghilterra.
Tuttavia, lo sbarco delle truppe inglesi di Wellington aveva indotto il generale Junot a lasciare
il Paese l'anno seguente. Napoleone intervenne anche in Spagna, approfittando dei contrasti
tra il re Carlo IV e suo figlio erede al trono, Ferdinando, scaturiti tra l'altro dall'atteggiamento
della Spagna verso l'impresa napoleonica in Europa: Carlo IV e il suo potente ministro Godoy
si erano apertamente schierati con la Francia, mentre più prudente e distaccata era stata la linea
seguita da Ferdinando. Bonaparte spodestò entrambi e nel l808 fece proclamare suo fratello
Giuseppe re di Spagna, ma la reazione spagnola non si fece attendere, perché Ferdinando
iniziò contro Napoleone un'estenuante guerriglia, alimentata e organizzata dal ceto
nobiliare e dal clero. Essa puntava sul patriottismo e sul sentimento religioso degli spagnoli,
che si erano sentiti profondamente offesi dall'occupazione francese dello Stato pontificio. La
fine della lunga contesa vide la sconfitta dell'esercito napoleonico e il ritorno al trono di
Ferdinando VII, che dovette fare i conti con una realtà completamente trasformata.
Conseguenza importante della stagione francese in Spagna fu il successivo scatenarsi dei
movimenti d'indipendenza nelle colonie che comportò la perdita delle colonie americane:
nel 1810 a Buenos Aires scoppiò la rivoluzione e 15 anni dopo, in quasi tutti i paesi
dell'America Latina, sarebbe stato ultimato il processo di indipendenza dalla Spagna. Il
risveglio dei sentimenti nazionali in Germania e in Spagna, dopo un tentativo austriaco di
ribellione all'egemonia continentale francese finito male, cominciò ad aprire le prime crepe
nella costruzione napoleonica. Una svolta significativa si ebbe quando Napoleone ripudiò
Giuseppina e sposò Maria Luisa d'Asburgo, figlia di Francesco I imperatore d'Austria,
combinando così un matrimonio politico che doveva essere capace di rinforzare il sistema
continentale della Francia, consacrandola non solo militarmente ma anche sul piano del
sangue, grazie al suo mescolarsi con quello della più antica monarchia d'Europa. Nel 1811 i
rapporti con la Russia si incrinarono e Bonaparte, convinto che la sconfitta dello zar
Alessandro avrebbe chiuso l'ultimo sbocco commerciale e politico all'Inghilterra, decise di
invaderla nello stesso anno occupando Mosca alla testa della grande armata, che fu costretta
tuttavia ad una disastrosa ritirata, rivelando tutto il fallimento dell'impresa. Un'altra sconfitta
la subì a Lipsia nel 1813, nella battaglia delle nazioni, da parte delle forze coalizzate di
Russia, Prussia e Austria. La Francia fu invasa e Napoleone fu costretto ad abdicare nel
1814 e a ritirarsi nell'isola d'Elba, mentre il congresso di Vienna smantellava il Grande
impero. Sfuggendo alla sorveglianza inglese, tornò in Francia (1 marzo 1815) e inaugurò i
100 giorni, ma battuto definitivamente a Waterloo dalla VII coalizione il 18 giugno 1815
abdicò di nuovo.
5. Gli inglesi e la Foreign Policy mediterranea in età napoleonica. Dopo l'importante
conquista territoriale di Gibilterra, possedere le principali isole del Mare Interno, come la
Corsica, Minorca, l'Elba, la Sicilia (sotto il protettorato britannico dal 1806 al 1815), le Isole
Ionie e Malta, soprattutto nel periodo napoleonico, era diventato uno dei principali obiettivi
della Gran Bretagna, sulla base di una spinta economica, ideologica e politica. Lo scopo era
quello di indebolire la Francia economicamente e militarmente anche per evitare la
propaganda di idee rivoluzionarie. Gli inglesi avevano elaborato una strategia
'talassocratica' che nel tempo avrebbe fatto veicolare nelle più importanti isole rimaste fuori
dall'occupazione francese i principi del costituzionalismo britannico, in netta opposizione alla
supremazia Napoleonica. Dunque, alla fine del XVIII secolo, la Foreign Policy del governo
londinese si era orientata verso l'invio della flotta inglese nel Mediterraneo per tutelare i propri
interessi. La Gran Bretagna con il primo ministro Pitt il Giovane controllò il mare con la
marina militare, accrebbe le basi navali, aiutò e finanziò gli alleati sul continente, mirando
soprattutto a isolare la Francia. Dopo qualche difficoltà dovuta a una crisi strutturale, la marina
inglese, formatasi nei decenni precedenti alla Rivoluzione francese sotto ammiragli famosi
come Rodney e Howe, ricreò le condizioni necessarie per costruire velocemente un personale
giovane e motivato. La spedizione francese in Egitto riportò il Mare Interno a essere
protagonista della storia e da quel momento la presenza della British Navy nelle sue acque
assunse un significato ancora più importante rispetto al passato. L’equilibrio sempre più
instabile dell'Impero ottomano, la paura di un espansionismo francese in Asia Minore, la
minaccia napoleonica sui possedimenti inglesi in India e l'eventualità di uno scontro tra la
Russia e l'Inghilterra (a causa dei tentativi della prima di accrescere la propria presenza nel
Mar Nero e nel Mediterraneo) resero sempre più necessaria la pianificazione di una strategia
insulare. Nella catena delle isole mediterranee uno degli anelli principali per gli inglesi fu
rappresentato dalla Sicilia, che costituiva una grande e inesauribile base da utilizzare per
controllare Malta e l'Egitto. La Sicilia (non è mai stata sotto il controllo diretto della Gran
Bretagna) durante il dominio borbonico visse il 'decennio inglese', in contrapposizione a quel
decennio francese che invece si affermò nel Regno di Napoli (1806-1815), una fase che
influenzò notevolmente l'assetto economico, politico e sociale dell’isola impiantando le basi
di un rapporto che si sarebbe protratto anche durante il periodo della Restaurazione, quando
soldati inglesi si sarebbero stabiliti nelle fortezze dell'isola e, in particolare, a Messina. La
Sicilia divenne un punto importante sia per la guerra sia per il commercio, soprattutto nel
periodo del Blocco, quando i porti europei furono interdetti ai traffici britannici. Nel 1806 i
primi soldati inglesi sbarcarono sull'isola sia per difenderla da possibili incursioni francesi sia
per provare a riprendere le zone continentali e di Napoli per i Borbone. Intanto, nel Regno di
Napoli, prima sotto la guida di Giuseppe Bonaparte e poi sotto quella di Murat, si ebbe una
ripresa e un rafforzamento del lavoro di riorganizzazione della marina borbonica. Nel
frattempo, in Sicilia, insieme agli uomini della British Army e della Royal Navy sbarcarono
anche numerosi mercanti inglesi che, a causa del Blocco, non avevano potuto più commerciare
nei porti europei occupati dai francesi e l'isola rappresentò un mercato alternativo. Con l'arrivo
nel 1811 di Lord William Cavendish Bentinck, comandante in capo delle forze britanniche e
plenipotenziario alla corte dei Borbone a Palermo, iniziò una nuova fase nelle relazioni tra la
Gran Bretagna e la Sicilia, che nel 1812 ebbe come risultato una Costituzione elaborata sul
modello inglese, espressione di una rivoluzione politica che si attuò in un ambito molto
particolare che era quello della tradizionale egemonia baronale. Il sogno di una Sicilia 'inglese'
si infranse con il ritorno alla pace e con l'ordine che fu ristabilito al Congresso di Vienna nel
1815, quando la politica estera di Castlereagh prese la direzione di un graduale distacco
rispetto ai problemi continentali. Il rapporto anglo-siciliano rafforzato dal 'decennio inglese',
tuttavia, divenne ancora più intenso nel corso del XIX secolo, in chiave commerciale e
culturale. Alla caduta di Napoleone, quando la Francia sul terreno marittimo verrà molto
ridimensionata, la forza navale britannica era schiacciante.
Le nazioni romantiche
16. Restaurazione e Rivoluzione
La parte più importante dei lavori che dall’ottobre 1814 al giugno 1815 si svolsero a
Vienna, nel Congresso, fu portata avanti da Lord Castlereagh, dal principe di Metternich, dal
conte Nessel’rode
(Russia) e dal principe Von Hardenberg (Prussia). La Francia, va detto, non subì gravi
perdite territoriali, ma i suoi movimenti furono limitati dalla creazione di una serie di stati
cuscinetto. Il congresso riconobbe tanto l’indiscussa egemonia sul mare, quanto il prestigio
politico e morale della Gran Bretagna, che si fece garante degli equilibri europei, dal momento
che il suo principale bisogno consisteva nella necessità che il continente vivesse tranquillo e
senza creare nuovi problemi. La penisola italiana cadde quasi completamente sotto il controllo
austriaco (tutti i territori della Serenissima, fatta eccezione per le isole dello Ionio, più il
Trentino, Trieste, parte dell’Istria, Milano e la Lombardia). In Spagna tornò Ferdinando VII di
Borbone. La Russia ottenne gran parte del ducato di Varsavia e conservò quello di Finlandia,
oltre alla Bessarabia. Scontento dei compensi ottenuti e ritenendo Metternich responsabile, lo
zar Alessandro I armò una grande quantità di truppe mettendo in crisi le malridotte finanze.
Dopo i trattati, per preservare l’equilibrio, si stipulò la Quadruplice Alleanza tra Inghilterra,
Russia, Austria e Prussia(1815). Gli anni successivi furono caratterizzati dalla repressione
condotta dai regimi restaurati per far dimenticare le idee della rivoluzione. L’organizzazione
di società segrete diventò così uno degli strumenti principali attraverso i quali gli oppositori,
molti provenienti dal mondo militare, si prepararono ad un’insurrezione armata. Il processo di
emancipazione delle colonie americane accelerò la crisi di un paese come la Spagna. Se le
forze progressiste utilizzarono il sentimento nazionale esaltato dalla guerra antinapoleonica
per imporre al sovrano una coraggiosa politica riformatrice nel solco della Costituzione di
Cadice, l’abrogazione della stessa dimostrò che la monarchia intendeva riprendere i
tradizionali legami col clero e la proprietà terriera. Il malcontento si diffuse rapidamente. Il 1°
gennaio 1820 a Cadice le truppe del colonnello Riego, della setta dei Comuneros, si
sollevarono e la rivolta si allargò alle regioni circostanti. Ferdinando VII promise di ristabilire
sia la costituzione che la convocazione delle cortes (il Parlamento). I fatti di Spagna trovarono
un’eco immediata: a Oporto il pronunciamento militare guidato dalla società o Sinedrio lo
testimoniò palesemente.
Nel Regno delle Due Sicilie la diversità di orientamenti tra carbonari, risolutamente
democratici, e murattiani, più inclini all’applicazione più moderata del parlamentarismo,
indeboliva il movimento costituzionale, già scosso dalla questione dell’autonomia in seguito
alla rivolta scoppiata il 15 luglio 1820 (costituzione 9 mesi).
tecnologica era allarmante. Non è un caso se, come ha scritto Hobsbawm, la parola chiave di
questa epoca è “il dramma del progresso”. Il periodo 1780-1830 fu caratterizzato più dallo
sviluppo demografico e commerciale che da quello industriale. Liberismo economico.
Nascente coscienza politica ed economica della classe lavoratrice.
Quando il governo francese passò a Guizot nel 1847, Luigi Filippo fu visto sempre più
di malocchio (illiberale) e si arrivò alla crisi economica e a una nuova rivoluzione che
abbattendo la monarchia francese nel 1848 proclamò la Repubblica. La rivoluzione si allargò
in tutto il centro Europa ma non arrivò nelle periferie e nei paesi mediterranei o in Gran
Bretagna, paese industrializzato, moderno ed equilibrato. Comunque, fu posto in rilievo il
valore sociale dell’insurrezione: i cartisti, rappresentanti della working class erano solidali con
la repubblica e chiesero più insistentemente riforme alla Camera dei Comuni (suffragio
universale maschile, elezioni annuali a scrutinio segreto…).
Nei paesi coinvolti dalla rivoluzione (Francia, Confederazione germanica, Impero
asburgico, Italia) era in gioco non solo il contenuto sociale e politico dello stato, ma l’esistenza
stessa dello Stato; ma i fattori costituzionale, sociale e nazionale interagirono in modo diverso
nelle varie parti:
• In Francia fu l’aspetto sociale a prevalere
• In Italia, Polonia, Ungheria e Germania fattori costituzionali si combinarono a
quelli nazionali
• Nei domini asburgici, il governo non aveva ascoltato i bisogni della borghesia
liberale, malcontento dei contadini e proletariato industriale di Vienna e della
Boemia. Nel 1848 Metternich si dimise e i movimenti nazionali montarono in una
rivoluzione per smantellare l’Assolutismo. L’imperatore Francesco I sotto
insistenti pressioni convocò un’assemblea costituente e portò riforme in Ungheria,
Praga, Galizia, Zagabria (che non mettevano a rischio l’unità dell’Impero), ma per
quanto riguarda l’Italia, non poteva mettere a rischio una parte di dominio così
grande e importante.
In Italia quindi, si arrivò alla guerra. Dopo il 1846 vi furono una serie di riforme in nome
della libertà e della democrazia, dapprima nello Stato pontificio e via via negli altri stati.
Ferdinando II invece nel Regno delle due Sicilie, restìo a concedere delle riforme dovette
concedere una Costituzione 1848, imitato da Carlo Alberto con lo Statuto Albertino, da
Leopoldo II e dal Papa. In poco tempo tutta l’Italia fu attraversata dai moti rivoluzionari: a
Venezia fu istituito un governo democratico, a Milano dopo le cinque giornate vi fu la cacciata
degli austriaci, che però a Custoza sconfissero l’esercito sabaudo di Carlo Alberto che
sosteneva i liberali. Nonostante la firma dell’armistizio quest’ultimo ruppe la tregua (per paura
che governi democratici come quelli di Mazzini a Roma) e venne nuovamente battuto a
Novara, quando fu costretto ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Egli riuscì
a salvare lo Statuto Albertino ma parte del Piemonte fu ceduta agli austriaci. Ciò portò alla
resa di Venezia e del triumvirato (unione di Mazzini, Saffi, Armrllini) di Roma. Nel 1849
l’Austria aveva recuperato gran parte dei suoi possedimenti.
Eccezion fatta per la Francia, tutti i vecchi sovrani tornarono al potere. La primavera dei
popoli non durò a lungo, l’Europa fu quasi interamente restaurata. Le cause del generale
fallimento delle rivoluzioni possono essere fatte risalire al carattere fortemente differenziato
della struttura sociale europea; uomini, ideologie e modelli di rivoluzione appartenevano al
passato ma si innestavano su una struttura sociale dinamica, con ceti emergenti. Ma l’ondata
rivoluzionaria aveva dato vita a un fenomeno che era stato percepito come unitario anche per
i ceti sociali “giovani” coinvolti: piccola borghesia, operai, contadini, artigiani. Si iniziò a
parlare di “classe lavoratrice” e di “proletariato”, fu l’anno della fine della politica della
tradizione, fondata su potenti dinastie, della consapevolezza da parte dei difensori dell’ordine
sociale, di dover imparare la politica del popolo, perché da questo momento in poi la borghesia,
2.L’Egitto moderno
La breve esperienza francese durante l’epoca napoleonica scosse il vecchio sistema dei
mamelucchi.
Con Mehmet Alì (ufficiale albanese arrivato con le forze turche) si diede avvio all’Egitto
moderno. Nel 1805 la Sublime Porta lo nomina governatore, nel 1811 fece trucidare i capi
mamelucchi distruggendo loro ordine e avviando il cambiamento del destino d’Egitto.
Divenne monarca autonomo e nel 1841 ottenne il diritto alla successione ereditaria, la sua
azione fu sistematica: sviluppo di una burocrazia relativamente moderna e ramificata, riempì
le casse statali per riformare l’esercito (indispensabile per attuare una vera politica di potenza),
sviluppò l’agricoltura e l’industria (anche se le riforme ec. non furono molto efficaci), in
politica estera aiutò il sovrano ottomano in 2 occasioni contro i Wahhabiti e sauditi e nel 1821
nella questione dell’indipendenza greca (momento in cui si rese conto di dover deporre ogni
pretesa di intervenire negli affari delle grandi potenze). Tra il 1820-21 occupò il Sudan. Nel
1830 tentò di occupare la Siria, ma l’intervento dei francesi e degli inglesi lo costrinse a
ritirarsi.
I successori:
- Abbas Hilmi I realizzazione della ferrovia Cairo-Alessandria, la prima in Africa
- Said, ultimo dei figli di Mehmet, era decisamente esterofilo. Ampliò la
canalizzazione e promosse l’opera del Canale di Suez persuaso dal francese
Ferdinand Lesseps della bontà dell’impresa. Firmò un accordo penalizzante per
l’Egitto, concedendo i lavori alla Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez
creata per l’occasione. L’Egitto fornì manodopera (lavoro forzato) e rinunciò ai
diritti territoriali su entrambe le sponde del Nilo. Napoleone III appoggiò
apertamente il progetto, l’Inghilterra invece si oppose per anni, poi cambiò idea
dal momento che il controllo del canale e dell’Egitto sarebbe diventato uno dei
perni della sua politica estera, poiché agevolava e proteggeva i collegamenti con
l’India -> possesso dell’Egitto indispensabile
- Said morì durante i lavori e gli successe Ismail. Nel tentativo di accrescere il
proprio potere e accelerare la modernizzazione e essere indipendente dall’Impero
Ottomano continuò i lavori rovinando l’Egitto, divenne debitore delle Banche
europee. Il crac finanziario lo indusse a chiedere aiuto agli inglesi, che in forzoso
accordo con i francesi si avviarono alla gestione duale dell’Egitto. Ismail, che nel
1867 ottenne il titolo ereditario di viceré d’Egitto, cercò di ampliare i domini verso
Sud ma fallì. In politica interna migliorò le infrastrutture economiche con risultati
duraturi (incrementò produzione di cotone per l’export, migliaia di km di nuovi
canali, raddoppiò rete ferroviaria, aumentò entrate fiscali, aumentò investimenti
esteri tramite banche). S’inserì nell’economia internazionale ma dovette chiedere
prestiti. Gb e FRA penetrarono sempre più in profondità nell’economia, nei servizi,
nella società e nella cultura egiziana, divennero circa 100.000 rendendo necessaria
l’istituzione di tribunali misti (1876) con giudici egiziani e europei. Nel 1869 con
l’inaugurazione con una sfarzosa cerimonia (a carico del tesoro egiziano) del
Canale di Suez venne segnato il successo dell’imprenditoria europea. Lo stato
egiziano andò in bancarotta. Il viceré chiese aiuto all’Inghilterra la quale dovette
sottoscrivere un accordo con la Francia. Venne costituita una cassa del debito
pubblico, formato un governo dove gli Inglesi avevano il portafoglio delle finanze
e i Francesi quello dei lavori pubblici. Ismail sempre più insofferente venne
costretto ad abdicare.
- Formazione di un embrionale movimento nazionalista e costituzionalista vs
europei
insurrezione nel 1871 fu il segnale dell’insofferenza verso i coloni. In Tunisia i rapporti con il
Sultano precipitarono quando la prima annetté la Tripolitana, al che il Sultano ristabilì
l’amministrazione diretta (il sultano non voleva perdere un altro possedimento). Il Marocco
indipendente era conteso tra Francia e Spagna, la Francia aveva strappato vantaggiosi accordi
commerciali e nel corso del secolo il paese vide una crisi per la successione, l’interruzione
della politica marittima e il rallentamento del commercio con l’Europa. Con il trattato di
Tangeri grazie al sostegno dell’emiro algerino i francesi si ritirarono dal Marocco che nel
1859-60 fu invaso dalla Spagna e con l’accordo di Tetuàn venne ufficializzata la sconfitta del
Marocco.
Nel quarantennio fino alla 1GM (1871-1914) si verificò un rapido e vasto processo di
conquiste coloniali, che portò numerosi paesi europei a controllare, in maniera diretta o
indiretta, gran parte del pianeta; l’Africa mediterranea rappresentava un grande obbiettivo di
conquista anche perché si presentava come la porta d’ingresso verso lo sconosciuto continente
africano -> scramble for Africa coinvolse tutte le nazioni europee anche in virtù del fascino
delle terrae incognitae. Il nuovo tratto caratteristico di questo tipo di colonialismo fu appunto
la distorsione dello spirito d’avventura e di esplorazione, l’Europa iniziò allo stesso tempo la
conoscenza e la presa di possesso del mondo (movimento di conoscenza-conquista
dell’Europa). Il massimo momento di sviluppo del colonialismo europeo fu rappresentato dal
passaggio dal colonialismo formale alla sistematica spartizione dell’Africa (1880), che segnò
il passaggio dalla dipendenza economico-finanziaria, spesso informale, all’occupazione
militare.
Nel Nord Africa le truppe coloniali europee si installarono rapidamente, anche con
inevitabili scontri d’interesse tra le potenze:
- Francia occupa la Tunisia nel 1881, poi Congo, Dahomey e Madagascar
- Parallelamente GB occupa l’Egitto, poi Sudan (tentativo fallito a causa della
resistenza della popolazione locale)
A ciò si aggiunsero dei nuovi protagonisti:
- Germania occupa Togo, Camerun e sud ovest africano
- Italia zona del Mar Rosso dove fondò la colonia di Eritrea (1890)
Si rese così necessario un accordo unanime sulle procedure e sulla accettazione delle
conquiste così caoticamente ottenute. -> Conferenza di Berlino del 1884-85 teoricamente
indetta per la sistemazione del Congo, ma di fatto si arrivò a una spartizione preventiva dei
territori interni del continente africano (accordo su varie forme di occupazione e protettorato).
-> si allarga il divario nel bacino mediterraneo tra la sponda nord, industrializzata e
militarmente potente, e la sponda sud, obbligata definitivamente alla dipendenza economica,
politica e militare.
3.Lo scramble for Africa sulla costa maghrebina
Passaggio ai francesi della costa maghrebina. La Terza repubblica francese (nata dalla
rovinosa sconfitta del secondo impero napoleonico nella guerra contro la Prussia) per
riaffermare il proprio status di grande potenza e per consolidare il consenso interno della classe
ricca, aveva puntato moltissimo sulla politica coloniale.
Nel 1881 il protettorato di Tunisi e la penetrazione progressiva nelle zone interne, ma a
fine 800 decisa impresa espansionistica della Francia rischia di entrare in collisione con le
intenzioni inglesi. Nel 1894-95 il tentativo francese di congiungere i territori dell’asse est-
ovest con le coste di mar Rosso vs stesso tentativo degli inglesi ma sull’asse nord-sud (Egitto
– capo di Buona Speranza) -> scontro nel basso Sudan nel 1898, poi per evitare ripercussioni
positive per la Germania (in costante crescita economica e militare, largamente presente nel
continente africano) la Francia si ritira lasciando all’Inghilterra il controllo dell’alto Nilo,
gettando le basi della entente cordiale (1904) tra le due.
L’intesa fra le 2 potenze minava però lo status del Congresso di Berlino in quanto mirava
chiaramente all’isolamento politico della Germania, incrinando gli equilibri degli anni
precedenti. A ciò contribuì l’Italia che, seppur legata dalla Triplice Alleanza (Germania e
Austria), nel 1902 stipula accordo con la Francia, la quale avrebbe visto con benevolenza
un’eventuale conquista della Libia, alla Francia veniva assicurato il consenso italiano in caso
di occupazione del Marocco. Guglielmo II si proclama allora garante dell’indipendenza del
Marocco vs Francia scatenando la prima crisi marocchina. Per porre rimedio alla questione:
Conferenza di Algesiras (1906) dove grazie all’entente cordiale la Francia si vide riconosciute
le pretese d’influenza sul Marocco con accordo di Inghilterra, Russia, Italia e Spagna.
A inizio Novecento, sia Tunisia che Marocco avevano perso la propria indipendenza a
causa di fragilità militare ed economica (indebitamento crescente con potenze europee e
debolezza movimenti riformatori). Diversamente dall’Algeria, le due però avevano lo status
di protettorato francese, con una formale sovranità legittima, priva però di potere effettivo. La
dominazione francese non ebbe ovunque gli stessi caratteri: in Tunisia veniva attuata una
politica flessibile con una rispettosa assimilazione culturale, in Marocco ci fu un trattamento
differenziato, i berberi vennero assoggettati al sistema giuridico francese mentre gli arabi a
quello islamico per ostacolare la coesione sociale.
L’Egitto è un caso a parte, si proponeva come stato forte (Canale di Suez). D’importanza
strategica sia per la Francia che per l’Inghilterra, la proprietà del Canale, finanziato per la
maggior parte dall’Egitto, rimaneva nelle mani franco-inglesi. Ismail diventò viceré
dell’impero ottomano, e ciò comportava oneri gravosi dal punto di vista finanziario tra cui
raddoppio del tributo da dare all’Impero + indebitamento per la costruzione del canale
portarono alla bancarotta, così chiese aiuto a GB e FRA che portò a subalternità non solo
economica ma anche politica -> nel 1882 rivolta nazionalista porta l’Inghilterra con il
benestare francese a instaurare un protettorato (dunque ancora formalmente parte dell’impero
ottomano, l’Egitto di fatto era controllato dalla GB).
4.Oriente e Occidente: culture a confronto
Il mondo, nel passaggio tra ottocento e novecento, era diventato più stretto grazie anche
allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni. Il confronto economico politico e culturale
con l’altro (il diverso) portò alla missione civilizzatrice, al “fardello dell’uomo bianco”.
Nel Novecento queste idee trovarono legittimità nelle teorie della razza, con le quali
l’Europa sostituiva alla sua tradizione positivista, che aveva sorretto lo sviluppo della
democrazia, un generale principio d’ineguaglianza (superiorità dell’uomo bianco). Queste idee
si diffusero velocemente alimentando un nazionalismo aggressivo ed egoista.
Anche il mondo arabo islamico però doveva fare i conti con l’altro, l’Europa egemone
che voleva esportare la propria cultura. Le reazioni furono due:
- Da una parte ciò aveva dato nascita al risorgimento culturale arabo e islamico
nahda, ammodernamento e laicizzazione della società, dal punto di vista religioso
la nahda voleva adeguare la dottrina religiosa alla nuova società (il tentativo di
reinterpretazione dell’Islam).
- Soprattutto il tentativo di marginalizzare la religione diede luogo al secondo
atteggiamento, di chiusura verso le influenze delle culture esterne (si auspicava un
ritorno alle origini, valorizzazione delle proprie radici culturali) -> movimento
salafista predicava un approdo alla modernità raggiunto per vie indipendenti ed
endogene.
degli interessi francesi in Marocco doveva corrispondere quello degli italiani in Libia. Ne seguì
una guerra italo-turca (1911-12), che provocò enormi conseguenze sul piano internazionale
e interno in Italia. L’opposizione della larga fetta dell’opinione pubblica vedeva nella
spedizione un rischio inutile quando c’erano problemi gravi soprattutto nel Mezzogiorno
(sovrappopolazione e disoccupazione). Ma poi, una volta intrapresa, la spedizione entusiasmò
molti, persino una parte dei socialisti critici. Da qui la scissione del Partito socialista italiano
(PSI 1912) che portò alla guida del partito gli intransigenti rivoluzionari tra cui Benito
Mussolini. A novembre fu dichiarata la sovranità italiana sulla Libia, l’occupazione però si
limitava alle zone costiere e veniva duramente ostacolata dalle popolazioni locali, allora i
generali decisero di attaccare direttamente la Porta, forzando lo Stretto dei Dardanelli. Questo
costrinse l’Impero ad accettare la Pace di Losanna nel 1912 dove si sanciva la sovranità
italiana in Libia.
• 1 guerra balcanica: Ciò riaccese la questione balcanica. La Russia appoggiava la
Serbia e la Bulgaria. iniziò un dialogo tra i diversi paesi balcanici in funzione
antiottomana che portò alla Lega Balcanica (Serbia, Bulgaria, Grecia,
Montenegro), preoccupata la Francia propose agli inglesi un piano di
stabilizzazione dell’area ma Inghilterra e Russia non erano favorevoli a intervenire
nell’area.
Nel 1912 la Bulgaria dichiarò allora guerra all’Impero trascinando con sé la Lega. La
guerra fu breve ma cruenta (sorprese i suoi stessi protagonisti e lasciò interdetti gli osservatori
europei), con la pace di Londra (1913):
- La Macedonia venne smembrata, divisa tra Serbia, Grecia e Bulgaria
- La Bulgaria otteneva anche la Tracia sul Mar Egeo
- Alla Grecia andava Creta
- Nacque il Principato di Albania (per impedire alla Serbia, contro cui si accanì
l’Austria, di avere uno sbocco sul mare)
-
Queste perdite insieme alle isole del Dodecaneso, rimaste all’Italia con il pretesto dello
scoppio di rivolte locali, rappresentavano la quasi totale rinuncia alla Turchia europea.
• 2 guerra balcanica: qualche settimana dopo disaccordo tra Serbia e Bulgaria per
la spartizione della Macedonia. La Bulgaria si trovò presto isolata contro tutti ex
alleati, ma anche contro Turchia (desiderosa di rivincita) e Romania (nella
speranza di ingrandirsi). Con la pace di Bucarest la Turchia recuperò la Tracia, la
Serbia e la Grecia si allargarono e la Romania accrebbe il suo territorio, a spese
della Bulgaria.
Nel complesso si ingrandirono quegli stati che si erano alleate negli ultimi anni con
l’Intesa (GB, FRA, RU).
3.La Grande Guerra nel Mediterraneo
1914 Sarajevo, Bosnia: l’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando viene ucciso
insieme alla moglie da uno studente serbo. Un mese dopo l’Austria lancia un ultimatum alla
Serbia ritenuta responsabile dell’accaduto, ma in realtà sembravano essere altre le motivazioni
dietro a questa: rottura del sistema multipolare, corsa agli armamenti e aumento delle spese
militari nel bilancio, abbandono del principio politico della mediazione diplomatica, prevalere
di un clima culturale sempre più orientato alla logica del conflitto come la risoluzione dei
problemi.
Ogni potenza era più o meno legata al destino di uno stato balcanico, per questo la
Russia dichiarò la mobilitazione generale ancor prima che fosse avvenuta l’aggressione alla
Serbia, con effetto domino tutte le potenze europee tranne Italia e Romania erano in stato di
belligeranza.
Era un nuovo tipo di guerra senza precedenti: la mobilitazione di masse, l’imponenza
delle forze in campo, la vastità dei territori teatro di battaglie, l’impiego dei materiali bellici
tecnologicamente avanzati e distruttivi. La prima fase del conflitto, sotto il profilo strategico
militare, si caratterizza come una guerra di movimento, quando i francesi sconfiggono i
tedeschi nella battaglia della Marna (1914) viene abbandonata la speranza di una guerra lampo.
L’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 dà una svolta; legata a Germania e Austria
dalla Triplice Alleanza, in realtà si schiera contro, poiché il trattato aveva un valore difensivo,
mentre i due imperi centrali agirono da attaccanti. Con il patto segreto di Londra tra Italia,
Francia, Inghilterra e Russia si stabilì che in caso di vittoria le sarebbero andati Trento, il
Trentino, il Tirolo meridionale, Trieste, l’Istria e la Dalmazia, protettorato sull’Albania (cioè
le terre irredente). Il governo Salandra, dopo un lungo e acceso confronto tra neutralisti e
intervenisti, forzando il Parlamento dichiarò guerra all’Austria.
Intanto la Bulgaria si era schierata con gli Imperi centrali, e la posizione della Russa e
Serba si andava via via aggravando.
L’area mediterranea non rimase a lungo esclusa dalla guerra nata nel continente. Le
colonie furono pesantemente coinvolte, mettendo a disposizione soldati e materie prime.
Coscrizione obbligatoria nelle colonie francesi.
A livello politico l’inclusione di tutto il Mediterraneo nel conflitto rafforzava la
prospettiva del crollo dell’Impero ottomano (alleatosi con gli imperi centrali). Già durante la
guerra le potenze dell’Intesa avevano iniziato a profilare ipotesi di spartizione, basate su
identificazioni delle zone d’influenza -> con accordo di Costantinopoli (1915) alla Russia
veniva promessa l’annessione di Istanbul e il controllo degli Stretti; ma soprattutto si rivelava
ostinato rifiuto di considerare le aspirazioni delle popolazioni locali, il che inasprì
l’opposizione all’occidente del mondo arabo (soprattutto il Medio Oriente).
4.Le ricadute del conflitto in area meridionale
L’Impero ottomano si era schierato accanto agli Imperi centrali, ma l’entrata in guerra
di Italia e Usa (1917) accanto alla Triplice Intesa rendeva sempre più probabile la caduta della
Sublime Porta.
In base agli accordi di Costantinopoli, nel 1916 furono stipulati gli accordi (segreti) di
Sykes-Picot:
- La GB si assicurava il controllo dei territori tra Iraq e Transgiordania
- Alla Francia riconosciuta l’influenza esclusiva su Siria e Libano fino ad alto Iraq
- La Palestina, disputata tra GB e FRA, fu divisa temporaneamente in una zona
influenzata dalla GB e in un’amministrazione internazionale della Terra Santa
Approfittando dell’entrata in guerra della Sublime Porta gli Inglesi stabilirono in Egitto
un loro protettorato (1914). Tale mossa segnò il crollo del sogno di uno stato arabo
indipendente, fatto credere possibile da un doppio gioco della GB. Hussein, sceriffo della
mecca e dei luoghi santi era ritenuto pericoloso perché in grado di preparare una rivolta delle
popolazioni arabe, portando, contemporaneamente a Sykes-Picot, l’alto commissario inglese
in Egitto Mac Mahon iniziò a intavolare delle trattative per una definizione della nuova carta
politica del Medio Oriente nella quale si prevedeva la costituzione di un grande regno arabo
(gli inglesi alimentavano attese e illusioni di indipendenza), ma l’ambiguità e l’evanescenza
di questi negoziati non furono percepite dalle popolazioni arabe, tanto che nel maggio 1916 la
rivolta contro impero ottomano scoppiò, e durò fino alla sua dissoluzione.
La convergenza anglo araba indebolì la resistenza dell’Impero, a vantaggio dell’Intesa.
Nel 1917 con la Dichiarazione di Balfour (il ministro degli esteri britannico) si
favorisce la nascita di un focolare ebreo in Palestina, gli ebrei erano forti e attivi all’interno
delle comunità europee e così gli inglesi speravano di attirarsi i favori di quelle comunità che
fino ad allora guardavano con maggior simpatia gli imperi centrali. Questo venne interpretato
come l’autorizzazione per poter emigrare legalmente in Palestina. Il problema della
convivenza di due popoli di etnia e religione diversi non tardò a manifestarsi, a regolari
transazioni commerciali si alternarono atti di soprusi e violenza da parte dei nuovi arrivati, che
provocarono l’aspra resistenza degli arabi.
Nel 1917 il fallimento delle offensive militari, la durata inaspettata della guerra e la
scarsità di viveri, avevano dato luogo a prime proteste sfociate nella Rivoluzione Russa di
Ottobre e nella nascita dell’URSS Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, con la
conseguente immediata uscita della Russia dalla guerra attraverso una pace separata (pace di
Brest-Litovsk). Quasi parallelamente, l’entrata in guerra degli Usa dava nuova linfa vitale allo
sforzo bellico dell’Intesa. Novembre 1918 conclusione della Grande guerra, a cui seguì un
complesso sistema di paci.
IX LO SPAZIO VUOTO
Merita attenzione la questione dello sgretolamento dei grandi sistemi imperiali
costruitisi nell’età moderna i quali erano riusciti ad assicurare una stabilità al quadrante centro-
orientale europeo e Mediterraneo.
I Balcani e il Medio Oriente si ritrovano alla fine della 1GM prive del contesto
fondamentale in cui avevano agito per cinque secoli. Per i Balcani si dà riconoscimento della
libertà di scelta politica, per il Medio Oriente la fictio dei Mandati prolunga le forme del
dominio coloniale.
Gli spazi che vengono a disegnarsi nel primo dopoguerra sono il risultato degli interessi
e delle preoccupazioni delle potenze vincitrici. Le nazioni figlie della 1GM sono il risultato
rapido, improvvisato della guerra (mentre le nazioni romantiche del XIX secolo si sono
formate nel lungo periodo, come il risultato di grande trasformazione consapevole) con il quale
si apre un secolo breve. Nel Medio Oriente si avvia il ritorno ebraico da un esodo bimillenario.
All’opposto tra gli anni 20 e 30 prende corpo un progetto di Grande Siria in risposta ai ritagli
impossibili dei trattati di pace.
1.Gli incerti equilibri della pace
Dopo più di quattro anni di sanguinoso conflitto che aveva coinvolto 60 milioni di
uomini la metà dei quali erano morti, dispersi, feriti o invalidi, l’unico obiettivo sembrava la
costruzione di una pace duratura, ETERNA.
Nella Grande Guerra erano scomparsi 4 imperi: asburgico, tedesco, ottomano e russo,
tre dei quali fortemente multietnici. Tale sovvertimento dell’ordine internazionale rappresentò
assoluta novità della situazione postbellica.
La Conferenza di pace che si aprì a Parigi nel 1919 aveva un elenco sconfinato di
questioni da risolvere; fondamentale era imporre la pace alla Germania ritenuta responsabile,
si doveva poi discutere delle sorti della Russia comunista e della questione d’Oriente legata al
destino dell’Impero ottomano. Nel caos degli interessi divergenti il quadro di riferimento
ideologico nuovo era stato dettato dal presidente degli Usa, Wilson (“l’epoca della conquista
e dell’espansione è finita” alludendo alla fine di un’epoca caratterizzata dalla dominazione
europea tanto politica che culturale), che aveva tracciato i principi ispiratori in 14 punti in cui
grande attenzione veniva posta sui diritti delle giovani nazioni, sull’autodeterminazione e sul
principio di nazionalità, per questo si doveva costituire un’organizzazione internazionale per
la salvaguardia della pace e dei diritti -> Società delle Nazioni.
- Nei Balcani: venivano riaffermate l’indipendenza della Romania, della Serbia
(+attribuzione di uno sbocco sul mare), del Montenegro; Dardanelli dichiarati zona
franca sotto controllo internazionale
- Wilson fu contrario alle pretese territoriali italiane su Istria e Dalmazia, garantite
dal Patto di Londra (1915), che dovevano andare alla Jugoslavia, nuovo stato che
si stava organizzando attorno alla Serbia
L’Impero coloniale tedesco non venne diviso tra le potenze vincitrici, ma posto sotto
il controllo della Società delle Nazioni in vista di una futura indipendenza.
Si inaugurava così la politica dei mandati, che sostituendo alla dominazione coloniale
diretta una sorta di gestione dei grandi stati europei in funzione di un’emancipazione. Si
applicò anche ai territori dell’ex Impero ottomano. (GB: il controllo di Iraq, Palestina, Arabia;
Francia: Siria e Libano). In realtà era un compromesso che veniva incontro alle esigenze dei
tempi nuovi senza mettere in discussione il principio coloniale. Nonostante il duro lavoro e
buoni propositi, la pace lasciava largo margine a delusioni e insoddisfazioni; nel breve l’area
balcanica e del mediterraneo orientale fu di nuovo al centro di tensioni e conflitti.
2.La fine di un Impero
Tra 1915 e 17 Francia e Inghilterra avevano intavolato accordi segreti per smembrare
l’Impero ottomano e cacciare gli ottomani dall’Europa poiché estranei alla cultura occidentale
-> nel 1920 con il Trattato di Sèvres viene concordato l’assetto dei territori ottomani:
- Come gli Imperi centrali, anche la Turchia dovette pagare ingenti riparazioni e suo
esercito fu fortemente ridimensionato
- Internazionalizzazione degli stretti
- Cessione alla Grecia della Tracia, delle isole egee e Smirne
- Cessione all’Italia di Rodi e del Dodecaneso
- Francia e GB ottenevano mandati sul Medio Oriente
- Armenia otteneva l’indipendenza
La situazione locale non ne consentiva però una tranquilla applicazione. Il generale
Mustafà Kemal guidò la reazione del movimento nazionalista turco per la creazione di uno
stato turco approvato dal Parlamento ma contro disegno delle potenze europee e acquisizioni
di Grecia e Italia. La Grecia in particolare voleva formare una Grande Grecia (sognando un
nuovo impero bizantino) riunendo tutte le aree a popolazione ellenica, e aveva lavorato per
ottenere il consenso delle grandi potenze, infatti poté occupare Smirne e territori limitrofi
(1919) -> ciò scatenò la reazione turca di Kemal, che aveva il controllo della Turchia a
eccezione degli stretti e Costantinopoli, mettendo seriamente a rischio il potere del sultano e
il disegno di spartizione. Era il preludio della nascita della nazione turca, per evitare questo ci
si sbrigò a firmare i trattati di Sèvres con il Sultano, formalmente ancora rappresentante del
potere ottomano. Ciò acuì i contrasti e il malessere interni fino a trasformarli in rivolta contro
il vecchio potere e in convivenza non pacifica di due poteri: quello del sultano e quello del
movimento di Kemal.
Negli anni 20 era stato affidato alla Grecia il compito di tenere sotto controllo gli
eventuali tentativi insurrezionali dei nazionalisti turchi, ma con la morte improvvisa del re
Alessandro le elezioni generali videro il ritorno al trono di Costantino, detronizzato grazie agli
inglesi e francesi. Costantino rese evidenti i suoi disegni espansionistici quando nel 1921
lanciò un’offensiva ai turchi, che dopo una prima difficoltà ebbero la meglio liberando anche
Smirne -> la fine della guerra greco-turca in Grecia comportò l’abdicazione di Costantino e la
caduta delle speranze della Grande Idea. Per la Turchia e i Kemalisti invece inizio di una nuova
epoca.
Nel 1921 la Turchia di Kemal era stata riconosciuta dalla Russia, sebbene ciò attirasse i
sospetti inglesi, era una base di partenza per il riconoscimento dello stato nazionale. Ora Kemal
mirava a Costantinopoli, difesa solo dagli inglesi, dopo la conclusione degli accordi tra turchi,
francesi e italiani. Fu abolito il sultanato, all’erede di Maometto V fu concesso il titolo di
califfo (capo spirituale dei musulmani), nel 1923 fu proclamata la repubblica e Kemal
(Ataturk) divenne il primo presidente, poi fu abolito il califfato. L’impulso modernizzatore
in senso laico, le riforme culturali, politiche e di costume, fecero della Turchia un’esperienza
unica tra gli stati degli ex territori ottomani.
Trattato di Losanna (1923) fu una revisione del trattato di Sèvres alla luce della nuova
situazione creatasi, fu una vittoria a livello internazionale per la giovane Turchia (che vide le
ambizioni delle potenze europee frustrate), le vennero restituiti la parte europea dell’ex impero
ottomano (Tracia, Asia minore) e gli stretti, azzerate le riparazioni da pagare, scomparve la
separazione delle due nazionalità, curda e armena -> un milione di greci residenti in Asia
minore andò in esodo. forte connotazione asiatica della nuova repubblica turca, con nuova
capitale dello stato, Ankara.
3.L’Europa nei Balcani
Il crollo degli imperi provocò il collasso del vecchio ordine in Europa Orientale, per la
riorganizzazione geopolitica vennero presi come ispirazione i 14 punti Wilsoniani, e come
voleva Wilson venne istituita la Società delle Nazioni per vigilare sulla stesura dei trattati.
Dalla conferenza di Parigi scaturirono 5 trattati:
- Sèvres con l’Impero ottomano
- Versailles con la Germania
- Saint-Germain con l’Austria
- Neuilly con la Bulgaria
- Trianon con l’Ungheria
Essi prediligevano la creazione di stati indipendenti piuttosto che accorpamento a
nazioni già esistenti ed erano contro il dominio diretto o indiretto delle potenze europee.
Tra 800 e 900 serbi, croati, sloveni e in parte montenegrini avevano pensato a una
confederazione di stati, ma la presenza di stati forti come la Serbia aveva portato a 2 idee:
1. Grande Serbia ossia aggregazione intorno a uno stato forte
2. Federazione jugoslava ovvero nascita di federazione di stati di pari livello
Nel 1918 fu creato il Regno di serbi, croati e sloveni, ma la soluzione lasciò visibilmente
insoddisfatti croati e sloveni, la cui frustrazione crebbe quando con il trattato di Trianon
Croazia e Slovenia passarono dall’Ungheria alla Jugoslavia che aveva accorpato Serbia e
alcuni territori dell’ex impero austro ungarico. A questo punto, la speranza riposta negli ideali
wilsoniani sembrava ormai delusa. Nessuna autonomia alle minoranze o autodeterminazione,
evidente nella costituzione del Regno nel 1921 che optava per un livellamento identitario a
egemonia serba ->contrasti interni tra serbi e croati. La reazione a tale malessere fu sospendere
Gli anni tra la 1GM e la 2GM una sorta di guerra civile europea con una condizione di
instabilità permanente, inquietudini sociali, stagnazione economica, conflittualità politiche,
crisi dei rapporti internazionali a causa delle questioni irrisolte dai Trattati.
Francia e Inghilterra (vs ideali Wilsoniani) avevano imposto condizioni pesantissime
alla Germania, che si trovava nell’impossibilità di colmare i debiti. Gli Stati Uniti erano passati
da stato debitore a creditore. La rivoluzione bolscevica poi faceva dilagare la paura
dell’esportazione del comunismo proprio ora che le democrazie europee mostravano segni di
crisi. Drammatica crisi tedesca per i debiti, crollo economia americana nel 1929 (Grande
depressione) che aprì stagnazione anche in Europa, inquietudini e rivolte nelle colonie: tutto
ciò rischiava di minare la pace.
Per mantenere la pace fu indispensabile mitigare la rivalità franco-tedesca attraverso la
sistemazione delle frontiere; nel 1925 fu stipulato Accordo di Locarno che impegnò gli stati a
non violare le frontiere occidentali tedesche, corredato da trattati di mutua assistenza
Francia/Polonia e Francia/Cecoslovacchia in caso di aggressione tedesca.
1926 Germania ammessa alla Società delle Nazioni (segno di riabilitazione sul piano
internazionale)
Nei Balcani si forma la Piccola Intesa (Cecoslovacchia, Romania, Jugoslavia, Italia di
Mussolini) per contrastare spirito di “revisione” dell’Ungheria, insoddisfatta dai Trattati di
pace. L’Italia aveva un patto con Romania e Albania, ma appoggiò il revisionismo ungherese
che si era diretto in Jugoslavia.
Nel mondo coloniale nei dominions britannici si temeva che un’altra guerra li avrebbe
obbligati a combattere e ne chiesero l’esclusione formale -> nascita di Commonwealth (1931)
federazione su base volontaria di stati autonomi uniti nella sovranità simbolica della corona
d’Inghilterra, con il riconoscimento di della completa indipendenza formale dei domini.
Gli Usa continuavano a manifestare il proprio interesse per il mantenimento della pace
nel continente, infatti, nel 1928 Kellog segretario di Stato degli Usa e Briand ministro degli
esteri francese mettono al bando la guerra come strumento di politica internazionale.
Gli anni 20 furono coronati dallo spiritò di pace, ma intorno al 1930 il clima politico
cambiò repentinamente annunciando la crisi definitiva dell’equilibrio raggiunto così
faticosamente.
2.Fascismi in area mediterranea
All’alba degli anni 30 la diffusione dei regimi autoritari (a causa della crisi della
democrazia liberale) in Europa e nel mondo mediterraneo era tale da essere la norma.
In Jugoslavia, stato plurinazionale di recente formazione, il fenomeno era in parte
dovuto al fatto che una maggioranza etnica dominante opprimeva le minoranze soggette.
Dittatura della monarchia di re Alessandro I, poi del primo ministro Stojadinovic dal 1935 al
39.
Grecia esigenza di curare le ferite in nome di uno straordinario passato. Ritorno di
Venizelos che aprì la strada a Metaxas il quale una volta primo ministro instaurò un regime
autoritario senza Parlamento.
Italia fascismo come portavoce di protagonismo politico della piccola e media
borghesia. All’inizio non esprimeva alcuna ideologia, “nacque da un bisogno di azione e fu
azione”. In politica estera si fece garante dello spirito di Locarno. Contemporaneamente però,
riprese un interesse di espansione coloniale nel Mediterraneo che lo allontanò da Francia e
Inghilterra e avvicinò alla Germania di Hitler desiderosa di rivincita. Il riorientamento della
politica estera dell’Italia si fa palese nel 1934 con la firma dei protocolli di Roma con Austria
e Ungheria con rapporto preferenziale.
Nel 1923 in Bulgaria e Spagna si ebbe la svolta autoritaria. Nel primo caso la dittatura
militare sorse a causa del malcontento generato dal trattato di Neuilly ed ebbe come
conseguenza l’allontanamento dalla politica degli altri stati balcanici. In Spagna, data la sua
neutralità negli anni di conflitto, la dittatura di Primo de Rivera (1923-30) aveva radici nella
debolezza della monarchia costituzionale, nelle rivolte contro la madrepatria delle colonie e
nelle aspirazioni autonomiste delle regioni. Dalla Catalogna partì il tentativo di governatore
militare de Rivera con il consenso del re di istituire un direttorio militare sospendendo la
Costituzione, il tutto favorito dalla Chiesa cattolica.
1926 Portogallo rivolta del generale Gomes da Costa che sciolse il parlamento e revocò
la Costituzione, dando vita al governo con primo ministro Antonio de Oliveira Salazar, che
nel 1933 assunse il pieno potere.
Negli stessi anni in Turchia anche il governo di Kemal prese una piega autoritaria.
La Romania dittatura di re Carol II
3.La guerra civile in Spagna
Il 1936 avviò una svolta decisiva delle relazioni politiche internazionali.
L’Italia ruppe gli equilibri aggredendo l’Etiopia (riconosciuta indipendente nel 1923)
nel 1935, e nel 1936 la conquistò proclamandosi come l’Impero Italiano. Il gesto fu
condannato dalla Soc. delle Nazioni e Francia e Inghilterra si schierarono a favore di sanzioni
ma in modo cauto, per non far avvicinare Italia alla Germania. L’opinione pubblica italiana
era però persuasa dalla propaganda fascista contro le nazioni ricche che ostacolavano legittime
aspirazioni internazionali italiane. Diventava così inevitabile un ravvicinamento alla Germania
nazista.
Quanto questa nuova intesa rendesse instabile l’equilibrio internazionale fu evidente
quando nel 1939 scoppiò la Guerra civile in Spagna. Alla morte di de Rivera, dalle elezioni
risultarono vincitori il partito repubblicano e socialista nel 1931 e il re scappò. Fu proclamata
la Repubblica e avviate delle riforme per combattere l’arretratezza economica e sociale: quella
agraria per colpire la proprietà aristocratica e della Chiesa. Nel 1933 vinsero le destre e iniziò
il biennio nero dove venne distrutto l’ordine democratico. Le forze democratiche si riunirono
nel Fronte popolare contro l’evidente pericolo della dittatura militare e vinsero le elezioni nel
1936 ma fu subito evidente la spaccatura interna. Il generale Francisco Franco (protagonista
della repressione delle Asturie dove vennero uccisi 3000 scioperanti) preparò l’insurrezione
delle truppe di stanza in Marocco, già nel settembre 36 il generalissimo occupava il nord ovest,
scoppiò la guerra civile. Il suo esercito di Franco si rifaceva alle ideologie fasciste e naziste, e
riceveva aiuti da Italia e Germania. Per fermare questi aiuti e non indispettire Mussolini e
Hitler le potenze europee decisero di non intervenire. Questa linea era la politica antinazista
dell’appeasement, secondo la quale minimizzare avrebbe evitato le estreme conseguenze. Ma
ciò fece mancare ai repubblicani l’appoggio a parte quello dell’Urss e dei volontari. La
Resistenza della Repubblica durò moltissimo e terminò solo nel 1939, nei festeggiamenti della
vittoria di Franco la parata fu iniziata dalle camicie nere.
L’Italia, durante il fallimento della politica dell’appeasement, aveva firmato nel 1939 il
Patto d’acciaio con la Germania, dove si impegnavano a intervenire in aiuto dell’altro in caso
di conflitto.
4. La spina nel fianco: la questione ebraica in Palestina
Negli anni 20, il delicato compito affidato alla GB dalla Soc delle Nazioni di garantire
in Palestina condizioni politiche, amministrative ed economiche tali da assicurare la
costituzione di un focolare ebraico, lo sviluppo di istituzioni di autogoverno e la salvaguardia
dei diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina. Il compito si rivelò ancor più
difficile a causa della grande immigrazione ebrea che generava problemi di coabitazione con
gli arabi. Essa raddoppiò in sette anni, e gli ebrei si dotarono di organizzazioni come l’Agenzia
ebraica per la Palestina che divennero sempre più simili a un governo. Ma era un paese ancora
a maggioranza araba, le operazioni di guerriglia erano all’ordine del giorno. Nel 1929 dopo il
massacro della comunità ebraica di Hebron, il governo britannico si mise al lavoro,
pubblicando un Libro bianco per il blocco dell’emigrazione ebrea, che però fu ritirato poco
dopo a causa del malcontento nelle comunità ebree europee.
Nel 1933 con la presa di potere di Hitler, ci fu una violenta ondata antisemita in
Germania e poi in Polonia, Romania e in tutti quegli stati con un’alta percentuale di comunità
ebraiche -> l’immigrazione ebrea aumentò tantissimo anche perché alcune nazioni avevano
chiuso le loro frontiere. Tra arabi e ebrei la lotta armata assunse caratteri di terrorismo.
Sul piano politico si arrivò alla conclusione che fosse inevitabile una spartizione
territoriale e la creazione di due stati distinti con una zona sotto il mandato britannico
comprendente Gerusalemme, gli arabi rifiutarono, volevano un unico grande stato palestinese
alleato degli inglesi con tutela degli ebrei, ai quali però fosse vietata l’immigrazione.
Negli anni 30 il sentimento panarabo si andava mescolando con aspirazioni
anticolonialiste e con l’antisionismo, poiché c’era la tendenza a radicalizzare la fede
musulmana, il panislamismo si sforzava di recuperare la via dell’Islam originario.
Questo movimento politico trovò la sua massima espressione in Egitto con la Società
dei Fratelli Musulmani nel 1928, che proponeva un modello di società opposto a quello
occidentale (basato sull’assenza dei partiti, la conservazione del califfato, la prevalenza della
sharia (legge canonica fissata dal corano)) anche se il clima culturale nel paese non consentiva
un ritorno al passato -> il movimento nazionalista laico, il Wafd di Zaghlul, aveva un solido
seguito. La dottrina dei fratelli musulmani anche al di fuori dell’Egitto era avversata
dall’islamismo moderato, ma col tempo la Fratellanza nata in Egitto trovò terreno fertile nel
Maghreb, nella Penisola araba, in India e Indonesia. Panarabismo fu l’estremo opposto del
nazionalismo nato in Europa.
Nel settembre 1939 le truppe tedesche varcano il confine della Polonia, Francia e
Inghilterra le dichiarano guerra ponendo fine all’acquiescenza. La firma nel 1937 di un
gentleman agreement tra Germania, Italia e Inghilterra al fine di garantire lo status quo
mediterraneo non evitò la guerra. Il conflitto presentava 3 caratteri nuovi:
- Guerra di movimento con campi di battaglia in tutto il mondo
- Guerra ideologica con due sistemi politici contrapposti inconciliabili
(liberaldemocrazia e comunismo vs nazifascismo)
- Coinvolse anche i civili e aveva come obiettivo l’annientamento del nemico.
rimase un conflitto europeo fino al 1941, quando gli Stati Uniti entrarono in guerra dopo
essere stati attaccati a Pearl Harbor dai giapponesi. Coinvolse tutto il mediterraneo non solo
nel senso di partecipazione al combattimento ma anche come cruento terreno di battaglia.
Quando l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania nel 1940 lo scacchiere
mediterraneo assunse un ruolo più rilevante. Fino a quel momento Hitler aveva mosso le sue
carte nel teatro europeo puntando su una guerra lampo, ma dopo i primi successi si era fermato
presso la linea Maginot con i Francesi in posizione difensiva, metafora dell’attesa delle grandi
potenze in una risoluzione diplomatica. Solo il 10 maggio 1940 i tedeschi aggirarono la linea
invadendo Belgio e Olanda per poi entrare a Parigi ->armistizio che divise la Francia in due
parti: la parte settentrionale e atlantica sotto il controllo tedesco, la parte meridionale con
capitale Vichy affidata al comando filonazista di Petain. Charles De Gaulles esortò i francesi
a lottare contro il nazismo, e la base della resistenza sarebbero stati i territori dell’Africa
francese non ancora passati a Petain (tipo l’Algeria). Mussolini, temendo che il crollo della
Francia non avrebbe fatto guadagnare nulla all’Italia, si convinse a entrare combattendo una
guerra parallela nei Balcani e nel bacino mediterraneo. Ciò significava un confronto diretto
con la GB, uno degli obiettivi italiani era infatti conquistare l’Egitto muovendo dalla Libia,
ma gli inglesi gli inflissero una dura sconfitta costringendo i tedeschi a inviare rinforzi
nell’aprile del 41, inutilmente, poiché gli inglesi occuparono Addis Abeba. Nell’ottobre del 42
lanciarono una controffensiva.
Parallelamente, Mussolini invase la Grecia ma quest’ultima grazie all’appoggio inglese
conquistò un terzo dell’Albania. Anche qui arrivarono i tedeschi a dar man forte visto che in
Jugoslavia si era insediato Pietro II amico dell’URSS (vs precedente regime filofascista che
avrebbe dovuto aiutare gli italiani), così per punirla i tedeschi mossero dalla Bulgaria al Mar
Egeo, bombardando la Jugoslavia e annientandola, dopodichè prese la Grecia.
Tale esperienza aveva mostrato l’incapacità italiana di portare avanti una guerra
parallela senza l’aiuto dei tedeschi, a livello strategico aveva portato a un nuovo ordine
nell’area balcanica: in Grecia amministrazione tedesca e italiana, in Jugoslavia fuga del re, in
Serbia governo militare tedesco, Croazia divenuta anonima governo filonazista come
Romania, Bulgaria, Slovacchia che aderirono al Patto Tripartito di Germania Italia e
Giappone. Solo la Turchia era neutrale.
2.La guerra totale
Il patto tripartito aveva riacceso la dimensione ideologica del conflitto tra nazismo e
comunismo. Hitler decise di attaccare l’Urss con l’aiuto italiano alla fine del giugno 1941, ma
il ritardo divenne fatale. Nel frattempo gli Usa entrarono in guerra, facendo fede alla Carta
Atlantica stipulata con l’Inghilterra contro la tirannia nazista. Agli inizi del 1941 tutta l’Europa
a eccezione della GB era sotto controllo diretto o indiretto di Hitler, ma ciò voleva dire
combattere su troppi fronti. L’Africa mediterranea divenne la base logistica delle forze
combattenti impegnate a riprendere l’Europa Hitleriana, fu qui che a novembre del 1942 le
truppe americane sbarcarono, fu qui che ebbe luogo la vittoria inglese a El Alamein.
Preoccupati dallo sbarco in Marocco degli Usa, i tedeschi occuparono la Francia “libera”
prendendo il porto di Tolone, nel frattempo l’esercito italo-tedesco si era ritirato in Libia ma
aveva occupato la Tunisia, all’opposto Marocco e Algeria erano degli Usa. Nel 1943 il
controllo Alleato poteva infine dirsi completo.
Dal 1943 le Conferenze interalleate iniziarono a discutere sull’assetto postbellico
dell’Europa:
- Conferenza di Casablanca: per porre fine alla guerra gli Usa volevano sbarcare
nella Francia del nord per fronteggiare i nazisti, i russi volevano rafforzati i confini
orientali e gli inglesi volevano logorare il nemico in più punti anche per prevenire
i Russi dall’invadere i Balcani.
Allora prese piede l’ipotesi di uno sbarco in Italia che avvenne in Sicilia nel 1943 per
mettere d’accordo tutti (lentezza nel risalire a nord). Nel frattempo ci fu la caduta di Mussolini
sostituito da re Vittorio Emanuele II e Pietro Badoglio che firmarono un armistizio con gli
alleati, dando ai tedeschi il pretesto per occupare zone dell’Italia centro-settentrionale. L’Italia
era divisa in due, gli Alleati a Sud (anche il re era scappato a Brindisi) e i Tedeschi a Nord,
con Mussolini che aveva fondato la Repubblica di Salò, governo vassallo della Germania. I
combattimenti coinvolgevano a pieno la vita delle persone, e in questo clima iniziò ad
organizzarsi la Resistenza delle popolazioni civili, come in Francia, Grecia, Polonia e
Jugoslavia. Essa faceva della popolazione un soggetto attivo della guerra che lottava anche per
l’affermazione di nuove istituzioni politiche e sociali.
Il 28 novembre 1943 alla conferenza di Teheran venne decisa l’apertura del secondo
fronte, ovvero lo sbarco in Normandia che avvenne il 6 giugno 1944 con più di mezzo milione
di uomini. Alla liberazione di Parigi nell’agosto dello stesso anno si accompagnò l’avanzata
sovietica in Europa orientale e nei Balcani. La resa dei tedeschi in Italia in seguito alla
liberazione di Milano (25 aprile 1945) condusse alla resa generale.
3.I problemi del dopoguerra
Conferenza di Potsdam evidenza che i 2 vincitori non erano europei: Usa e URSS e
questo comportava la contrapposizione diretta di due visioni del mondo radicalmente diverse-
> comunista e democratico capitalista. I rapporti deteriorarono fino a quando nel 1948 si arrivò
alla Guerra Fredda, ideologica e fatta di minacce con lo spettro della bomba atomica. In
Europa assistiamo a Spagna e Portogallo (neutrali nel conflitto) alle prese con gli autoritarismi
di Franco e Salazar, l’Italia uscita dal referendum del 2 giugno 1946 come Repubblica, la
Francia con la IV Repubblica instabile a causa delle lotte partitiche che si schierano con gli
Stati Uniti.
La Penisola Balcanica invece entrava nell’area d’influenza sovietica (partito unico e
sistemi economici fortemente collettivizzati).
Nel 1947 Dottrina Truman il presidente dichiara il sostegno ai popoli liberi che
resistono ai tentativi di coercizione da parte di minoranze o pressioni esterne. Conseguenza
immediata fu pressione per evoluzione in senso occidentale di Grecia e Turchia, in Italia e
Francia governi spinti a tagliare i ponti con i partiti comunisti del proprio paese. Sul piano
economico la dottrina economica si concretizzò nel Piano Marshall (prestiti e contributi a
fondo perduto) rivolto inizialmente anche ai Balcani e Europa orientale, poi scoraggiati
dall’URSS a usufruire degli aiuti.
1949 nasce il Patto Atlantico che comprendeva anche la Nato a cui rispose il Comecon
(dal 1955 Patto di Varsavia) delle zone a influenza sovietica.
Il Mediterraneo rischiava di diventare l’epicentro o uno dei luoghi nodali del confronto
militare e politico. La guerra aveva comunque messo in guardia sugli effetti devastanti, per
questo già nel 1945 i rappresentanti di 50 stati firmarono la Carta delle Nazioni Unite per
salvaguardare la pace, migliorare la tutela super partes dei diritti umani-> nasce l’ONU .
Contemporaneamente si assisteva alla dissoluzione dei grandi Imperi coloniali che
produsse dei nuovi stati indipendenti, che alla ricerca del loro equilibrio passarono sotto la
sfera d’influenza delle due superpotenze.
4.Il Mediterraneo nella Guerra Fredda e l’emergere del Medio Oriente
Mediterraneo zona di tensioni e forti conflitti anche durante la Guerra Fredda
Nei Balcani la Jugoslavia di Tito era una spina nel fianco dell’URSS che con la sua
autorità congelò le diversità etnico-religiose da sempre causa di conflitti. La nuova Repubblica
socialista federativa jugoslava si ribellò ben presto rompendo nel 48 con Mosca e ricorrendo
a una propria via socialista, aprendosi al commercio con l’occidente, entrando a far parte dei
non allineati.
1955 Conferenza di Bandung Tito promuove insieme a Egitto di Nasser e India di
Nehru una politica di equidistanza dai blocchi, i quali penalizzavano i paesi usciti dalla
colonizzazione.
Elementi di destabilizzazione nel Mediterraneo furono portati dal conflitto arabo-
israeliano. In Medio Oriente era sorta la Lega Araba fondata in Egitto per coordinare tra di
loro la politica estera. Il suo primo successo fu l’indipendenza di Siria e Libano ma la questione
arabo-israeliana era una sfida. Con le persecuzioni naziste i profughi verso la Palestina erano
aumentati esponenzialmente, le dimensioni dell’Olocausto (6 milioni di vittime) e il senso di
colpa degli europei portò le potenze a accettare tale flusso di immigrazione. Dato
l’inasprimento dei tafferugli e la nascita di un’organizzazione armata ebrea, la GB (che aveva
il mandato) chiede una soluzione all’ONU, che decide per una spartizione territoriale:
- Stato arabo
- Stato ebreo
- Gerusalemme città libera sotto il controllo internazionale
Ma il problema delle minoranze non era stato adeguatamente valutato, e il malcontento
si espresse nella forma del terrorismo.
Maggio 1948 prima guerra arabo-israeliana quando il leader ebraico Ben Gurion
proclama la nascita dello stato d’Israele. A questo punto gli stati arabi confinanti entrarono in
guerra con i Palestinesi che furono però sconfitti.
Nel 1949 Israele occupava un territorio più vasto di quello deciso dall’Onu e
Gerusalemme era divisa in Est araba e Ovest israeliana. L’Egitto aveva annesso la Striscia di
Gaza e la Giordania aveva incorporato i territori Cisgiordani. Lo stato arabo di Palestina in
realtà non esisteva, con milioni di profughi palestinesi che ripararono in Giordania, dove i
campi profughi ponevano problemi di ordine sociale.
A fine 49 Ben Gurion si oppone al ritorno dei profughi e approva la Legge del ritorno,
ogni ebreo era ben accetto.
prestiti a Usa e Gb che rifiutarono, così Nasser si rivolse all’Urss che accettò e nazionalizzò il
Canale di Suez. Per la prima volta una colonia riacquistava l’indipendenza economica. Il
presidente era visto dalla Francia come sostenitore della rivolta algerina e dalla GB come causa
del fallimento di Baghdad → intervento armato con Israele che voleva occupare i pozzi
petroliferi del Sinai e applicare il principio della guerra preventiva agli arabi. Usa e Urss
desiderose di sostituirsi alle potenze europee spinsero le Nazioni Unite a condannare
l’intervento e a ritirare le truppe per trovare un compromesso e lasciare l’amministrazione del
Canale all’Egitto. Le due potenze coloniali dovettero rinunciare a causa delle due nuove
superpotenze nucleari.
Nel 1957 in Giordania una maggioranza nasseriana aveva vinto le elezioni costringendo
gli inglesi a intervenire pro il vecchio governo, lo stesso accadde in Libano e in Iraq, la Siria
propose una fusione con l’Egitto e nel 1958 venne creata la RAU Repubblica Araba Unita
(di ispirazione panaraba) che in realtà era un’assimilazione della Siria all’Egitto. Dopo 3 anni
un colpo di stato restituiva l’indipendenza alla Siria che ora gravitava intorno all’Urss.
Negli anni 60 gli ex stati coloniali provarono a sperimentare forme di organizzazione
politica diverse, e le critiche sul perdurare di forme di dominio economico occidentale portò
all’avvicinamento dei “non allineati” a Urss e Cina.
Alla fine del decennio la terza guerra arabo-palestinese fece sì che Nasser nel 67
chiudesse il golfo di Aqaba al traffico marittimo israeliano per ridiscutere
l’internazionalizzazione dello stesso, un mese dopo l’aviazione israeliana distrusse quasi tutte
le forze aeree egiziane e poi assalì vittoriosamente tutti i fronti nemici. La “guerra dei sei
giorni” fu per Israele una vittoria schiacciante, quadruplicò il suo territorio. Tale vittoria portò
alla crisi del nasserismo e al ridimensionamento del ruolo egiziano. Gli Usa divennero
decisamente filoisraeliani, mentre l’Urss se ne disinteressò dando agli arabi solo un blando
appoggio.
3.Il Mediterraneo nella formazione della nuova Europa
Per superare le divisioni e trovare un nuovo equilibrio nel 1949 nacque il Consiglio
d’Europa per discutere delle questioni d’interesse comune. Il vero ostacolo fu la gelosa difesa
della sovranità nazionale dei singoli stati.
1951 CECA Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, caro ai padri dell’idea
europea (Schuman, Monnet, De Gasperi, Adenauer) che poneva i 2 settori sotto la gestione
collettiva facendo cadere uno degli storici motivi di conflittualità tra Ger e Fra.
1957 CEE Comunità Economica Europea per l’abbassamento dei dazi doganali tra i 6
paesi della ceca e libera circolazione merci che poi si estese anche al commercio con gli Usa i
quali vivevano benessere economico. Ma la CEE non poteva disciplinare i rapporti con i paesi
coloniali o di nuova indipendenza su cui emergeva la consapevolezza della Comunità di avere
interessi comuni localizzati nell’area.
Tra il 1957 e 1972 diversi accordi commerciali per ancorare i paesi mediterranei alla
sfera d’influenza occidentale. La Francia fu quella che cercò maggiormente di regolarizzare
gli scambi nella zona del Maghreb, insomma le relazioni economiche non assumevano la
forma di cooperazione ma rispondevano alle singole relazioni tra nazioni.
4.Il Mediterraneo europeo negli anni 60
In seguito alla crisi algerina, De Gaulle era tornato al potere con la nascita della V
Repubblica nel 1958, e mirava a donare nuova grandezza alla Francia → veto d’ingresso alla
GB nella CEE nel 63 e 67 e uscita dalla NATO nel 67. De Gaulle si concentrò sull’immagine
di paese forte in Europa con un asse franco-tedesco piuttosto che sulla politica mediterranea.
L’Italia era prostrata dalla guerra, il nuovo partito della Democrazia Cristiana aveva
aperto l’età del centrismo. Gli anni della ricostruzione come in Francia furono vissuti per lo
più dal punto di vista interno, affrontando la questione agraria e quella meridionale (divario
nord-sud). L’unico interesse esterno fu Trieste che nel 54 generò una pericolosa tensione con
la Jugoslavia, che non riconosceva la zona d’influenza italiana nell’area. Diplomaticamente
venne riconosciuta all’Italia il diritto sulla zona di Trieste rinunciando alla zona B in favore
della rivale. Il miracolo economico poggiava anche su una congiuntura economica favorevole,
tanto che pure il Paese ne beneficiò nonostante le condizioni di partenza fortemente arretrate.
Notevole importanza la ebbe anche l’intervento statale nel favorire i poli siderurgici e nella
ricerca di fonti d’energia a prezzi vantaggiosi → Enrico Mattei presidente dell’Eni tentò di
aggirare i cartelli imposti da Usa e GB contrattando direttamente con i produttori di petrolio e
metano Iran e Algeria.
Comunque il Mediterraneo europeo non era omogeneo, diversa era la condizione dei
paesi del blocco sovietico o con dittature di destra.
- Jugoslavia, Albania, Bulgaria, Macedonia dalla morte di Stalin avvio del processo di
destalinizzazione con allontanamento dal potere centrale e tentativi di autonoma
elaborazione del comunismo.
- Dittatura di Spagna, Portogallo e dal 67 della Grecia → gli Usa preoccupati da
un’eventuale vittoria della sinistra di Papandreu appoggiarono la presa di potere
dei colonnelli, i quali attuarono una feroce repressione simile a una dittatura
fascista.
Ciò tocco profondamente l’opinione pubblica che si mobilitò (premessa del 68)
giorno della festività ebraica del Kippur, l’esercito egiziano congiunto a quello
siriano lanciò un attacco a Israele, messo in difficoltà nel Sinai e nel Golan. Dopo
poche settimane però si arrivò a firmare un accordo e gli israeliani rioccuparono
le zone. Questa volta i paesi arabi che nel 1960 avevano creato l’OPEC (paesi
esportatori di petrolio) per creare uno strumento di pressione economica e
diplomatica. Bloccarono quindi le esportazioni petrolifere → questione
petrolifera che generò difficoltà alle potenze occidentali.
2.L’Europa mediterranea ripensa sé stessa
L’Europa era vulnerabile di fronte a tale decisione dell’OPEC, e fino alla seconda
crisi petrolifera del 79 sperimentò una costante crescita dell’inflazione.
Ciò portò l’Europa a immaginare una politica di maggiore autonomia rispetto a
quella americana anche grazie all’adesione alla CEE di Irlanda, Danimarca e Inghilterra.
Fine delle dittature:
Nel 1974 il regime greco voleva distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni
con un’operazione che avrebbe dovuto portare all’annessione di Cipro. In realtà si arrivò
all’occupazione turca del nord dell’isola che portò alla crisi della dittatura greca e alla
costituzione del governo civile di Karamanlis (uscita Grecia dalla NATO).
In seguito alla Rivoluzione dei garofani del 74, il governo socialista di Soares (76)
si assume il compito di guidare il Portogallo nella fase di transizione verso una dimensione
europea.
In Spagna il re Juan Carlos garantì il passaggio a una moderna democrazia alla morte
di Franco (1975). Nel 1977 si tennero le prime elezioni libere che videro vittorioso il
moderato Gonzales.
Spagna e Portogallo fecero domanda di adesione alla CEE nel 1977, segno dei tempi
maturi per l’integrazione europea, proponendo al tempo stesso nuove sfide a causa
dell’eterogeneità dei paesi, ma proprio questo carattere mediterraneo riconquistato permise
all’Europa di ripensare al proprio ruolo negli equilibri internazionali.
3.Il dialogo euroarabo: un tentativo di confronto mediterraneo ante litteram
Fino alla crisi petrolifera del 1973 la cooperazione tra Europa e sponda sud si era limitata
ad accordi bilaterali. La crisi favorì l’apertura di un dialogo politico euroarabo spinto dalla
Francia di Pompidou che nel 73 s’incontrò con il leader tunisino Burghiba. Nella prima fase
del dialogo fu evidente la voglia araba di garantirsi l’appoggio europeo in merito alla questione
israeliana, gli europei avevano invece interessi economici, specialmente riguardo a prezzi
ragionevoli sul petrolio. Comunque c’era la volontà di tenere presente il dialogo politico.
La risoluzione del conflitto israelo-palestinese appariva di primaria importanza per
l’area. Nel 1974 si pose la questione del riconoscimento dell’OLP come soggetto politico,
tema spinoso perché sarebbe andato contro gli Usa che appoggiavano Israele. L’Europa che
voleva affermarsi come autonoma rispetto agli Usa trovò comunque un compromesso:
acconsentire che l’OLP partecipare ai negoziati euroarabi, giustificata dal fatto che era un
confronto tra due gruppi e non stati.
Il dialogo euroarabo toccò il suo apice tra il 1975 e il 1981. 1975 riunione a Il Cairo
definisce i principi delle relazioni privilegiate di buon vicinato e alla condivisione dell’eredità
culturale. Tale cooperazione mirava a ridurre il gap tecnologico e allo sviluppo di Maghreb e
Mashrek senza però specificare i modi. Seguirono altri incontri su infrastrutture, sviluppo
agricolo, dialogo sul piano economico e commerciale e quello politico (OLP). Il percorso non
fu sempre agevole, ad esempio la CEE stipulò accordi anche con Israele, mettendo sull’attenti
gli arabi. Il dialogo finì negli anni 80 a causa della frammentazione politica nel mondo arabo.
Tuttavia con il processo d’integrazione europea venne presa una posizione più solida con
l’adozione del regolamento tariffario dei prodotti provenienti dai territori occupati dagli ebrei,
avvicinando l’Europa ai palestinesi. Era chiaro che la sicurezza nel Mediterraneo diventava
una nuova preoccupazione e che l’Europa stava diventando sempre più autonoma.
4.Il 1979:una nuova svolta nella storia mediterranea
1978/79 rivoluzione iraniana: l’ayatollah Khomeini esiliato a Parigi polarizzava
l’opposizione allo scià spingendo per la caduta del governo corrotto e miscredente. Lo scià
cercava l’aiuto americano, ma Carter rifiutò, costringendolo alla fuga → prima rivoluzione
islamica. Con il 98% dei voti nacque la Repubblica islamica di Khomeini, improntata sul
radicalismo islamico assoluto e posizione antioccidentale. Veniva introdotto il concetto di
guerra santa (jihad).
Altro elemento chiave fu nel 1979 l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Urss con
la scusa di appoggiare il governo filosovietico, si scatenò una guerriglia filoislamica.
Gli Usa avevano compiuto una mossa politica importante per gli equilibri mediterranei:
l’avvicinamento tra Egitto e Israele (Camp David 1978): Israele restituiva il Sinai all’Egitto e
autonomia a Gaza e Cisgiordania, l’Egitto riconosceva lo stato d’Israele. L’Egitto di Sadat
adottò una politica filoamericana ma fu espulso dalla Lega Araba e dalla Conferenza islamica
pro difesa palestinese.
1979 Saddam Hussein prende il potere in Iraq instaurando un regime dittatoriale che
ridiscuteva gli equilibri della regione, visibile dalla guerra di 8 anni vs Iran per il controllo dei
pozzi petroliferi del paese e in ultimo, per sovvertire il potere Khomeinista. Il laico Saddam
combattè i fondamentalisti islamici aiutato dagli Usa di Reagan che volevano un riassetto degli
equilibri.
La crisi delle relazioni mediterranee scosse anche il “tranquillo” Maghreb:
- Algeria: alla morte del presidente pessimo andamento dell’economia e il crollo dei
prezzi del petrolio costrinse il governo a ridurre il welfare scaturendo una crisi
sociale che nel 1988 assunse i caratteri di una guerra civile. Il FLN tentò
d’introdurre una costituzione modernizzatrice ma la nascita del FIS Fronte
Islamico di Salvezza catalizzò il malcontento in senso islamista terroristico.
- Alcuni stati sembravano aver raggiunto una stabilità come il Marocco (continuità
potere islamico) o la Tunisia e il Libano (potere repubblicano autoritario).
- Dalla svolta del 1979 la riscoperta dell’islamismo sembra attraversare il mondo
arabo-islamico, inteso come opposto ai modelli importati dall’occidente. Esso è un
fenomeno delle società moderne, che parte dalle megalopoli e arriva solo più tardi
nelle campagne.
erano emersi contrasti tra le 6 repubbliche che la componevano, diversissime per condizioni
economiche, etniche e religiose. Vi erano popolazioni di fede cattolica (Slovenia e Croazia),
musulmana (Bosnia) e ortodossa (Serbia e Montenegro). Dal punto di vista politico vi era la
Serbia più legata alla Jugoslavia e con una posizione egemonica, strutture amministrative e
militari e Slovenia e Croazia regioni tradizionaliste che però mettevano in discussione il
comunismo. Le ultime due avevano poi un’economia avanzata, industrializzata e con turismo
vs Serbia e Montenegro prettamente agricole. Nel giugno 1991 le due dichiararono la
secessione dalla Repubblica Federativa Jugoslava seguite dalla Macedonia. In Croazia vi era
una minoranza serba, così tra le 2 scoppiò una violenta guerra con massacri e bombardamenti.
Alla fine la CE riconobbe insieme alla comunità internazionale i 2 stati, sperando in un accordo
di pace, invece il conflitto si allargò alla Bosnia-Erzegovina, repubblica federata multietnica
anch’essa riconosciuta. La componente serba aveva osteggiato questa soluzione ed era
sostenuta all’esterno da Milosevic leader socialista della Serbia. La situazione precipitò nel
1992 in Bosnia-Erzegovina, specialmente a Sarajevo dove avvenne una vera e propria pulizia
etnica da parte dei serbi vs i musulmani, cattolici e ortodossi. Le sanzioni Onu (che comunque
non vietarono la fornitura di armi) né una zona d’interdizione spensero il conflitto che tra il 93
e il 95 impressionò enormemente l’opinione pubblica europea. L’ex-Jugoslavia era distrutta,
compresa la popolazione, ma il governo serbo puntava ad uno stato serbo-bosniaco.
Nel settembre 1995 grazie alla mediazione diplomatica di Bill Clinton venne creato uno
stato bosniaco per il 51%amministrato ai croato musulmani, la restante parte ai serbo-bosniaci.
Emergeva la debolezza dell’Europa e la necessità di una politica estera europea.
3.Le nuove fasi del conflitto arabo-israeliano
Negli anni 80 in Israele si susseguirono governi di destra che coltivavano il sogno di
una “grande Israele” con i territori palestinesi, continuarono le occupazioni indiscriminate di
terre caldeggiate dai fondamentalisti ebraici come i Likud, nazionalisti e intolleranti ai
palestinesi. Era un ritorno al sionismo delle origini che si manifestò anche in politica estera
quando il ministro degli esteri di Sharon portò in primo piano la questione della sicurezza
facilitato dagli attentati dell’OLP.
1982 quinta guerra arabo-israeliana senza un vero coinvolgimento degli altri paesi
arabi. L’operazione “pace in Galilea” significò un attacco preventivo vs Libano per evitare
attacchi dell’OLP, nello specifico prevedeva una zona di sicurezza nel Libano del Sud
liberandola dai campi profughi di palestinesi. Si tradusse in un lungo massacro perpetrato dalle
milizie cristiane libanesi appoggiate dagli israeliani. Si rese necessaria la mediazione degli Usa
di Reagan, tuttavia la pace non risolse i problemi, poiché Israele mantenne fino al 2000 il
controllo di una fascia di sicurezza in Libano. Nella parte araba invece si rafforzarono la
guerriglia e la resistenza, nacquero gli Hizballah vs occupazione israeliana in Libano e in
Palestina una minoranza metteva in dubbio la linea possibilista e quasi diplomatica di Arafat.
1987 prima Intifada delle pietre dove specialmente i giovani palestinesi nati nei campi
profughi senza futuro diedero vita ad una rivolta per far presente alla comunità internazionale
che un processo di pace non era più rinviabile.
Nel 1988 ad Algeri il Consiglio nazionale palestinese riconobbe Israele. La prima guerra
del Golfo consolidò l’idea che la questione era di primaria importanza.
1993 Bill Clinton mediò i colloqui di Oslo→reciproco riconoscimento Israele/OLP e
pace tra Israele e Giordania.
Ci furono reazioni dei fondamentalisti ebraici che sembrarono minare tutto ma nel 95
con la mediazione di Clinton e Mubarak fissando il ritiro israeliano dai territori occupati dal
67. L’escalation toccò l’apice nel 1995 quando il premier israeliano Rabin (che firmò, insieme
al leader dell'OLP, gli accordi di Oslo e aveva una visione di pace con i palestinesi) fu
assassinato da un estremista ebreo. Tramonto della più autentica stagione di dialogo. Stagioni
di attentati reciprochi, il nuovo leader Netanyahu volle il congelamento del dialogo con
l’autorità palestinese.
1998 seconda intifada palestinese più politica che giustificò in Israele il ritorno di
Sharon.
4.Il sistema maghrebino: uno e unico
Alla fine degli anni 80 i 5 stati maghrebini conclusero di dover rafforzare i legami
regionali. Algeria, Marocco, Tunisia, Libia e Mauritania davano vita all’UMA Unione del
Maghreb arabo allo scopo di rendere la regione una zona di pace e sicurezza. Ideali ambiziosi
se consideriamo che all’omogeneità della cultura musulmana e arabo-berbera si
contrapponevano diversi regimi, contenziosi di frontiera e scelte economiche. La Mauritania
aveva rapporti privilegiati con la Francia, il Marocco faceva attenzione al rapporto con gli Usa
mantenendo le relazioni con la Francia e la Tunisia si ritagliò un buon margine di manovra
anche con l’URSS. L’Algeria tra i non allineati criticava l’Occidente ma ne criticava
l’atteggiamento imperialista, la Libia di Gheddafi coltivava il sogno panarabo con un
antiamericanismo (1986 Usa bombardano Libia e 1992 embargo Onu).
L’UMA fu la risposta all’omogeneizzazione delle politiche economiche in seguito alla
fine della guerra fredda, poiché il Maghreb era tendenzialmente estraneo allo stato di guerra
endemico altrove. Ma c’erano dei problemi nella realizzazione:
- Irrequietezza interna ad alcuni stati in particolare l’Algeria dove il FIS movimento
fondamentalista islamico aveva vinto alle elezioni del 91, bloccando la
democratizzazione e mantenendo il paese in una guerra civile con un forte
terrorismo. Questo fino al 1999 quando la vittoria di Bouteflika portò una certa
stabilità.
- Contese frontaliere: Algeria e Marocco per il possesso del Sahara occidentale
A causa del problema dei “fratelli nemici” la premessa per la sicurezza generale fu la
pacificazione interna a ogni paese posta nell’Art.15 del trattato.
- La collocazione internazionale dei paesi membri.
Comunque l’UMA ha sottolineato l’importanza delle relazioni Sud-Sud e la conferma
viene dal campo economico, in quanto l’integrazione ha favorito molto gli scambi intra-
maghrebini. L’UMA è altresì importante per impostare gli scambi Sud-Nord.
embargo su investimenti esteri nel paese, l’OSCE nel 98 manda degli osservatori a vigilare
sul processo di pace, ma vari avvenimenti tra cui il rifiuto serbo alla presenza di militari
della NATO in Kosovo portarono la Nato a bombardare Serbia e Kosovo. Il coinvolgimento
diretto della NATO in qualità di forza militare combattente e il ruolo defilato dell’ONU
trovavano giustificazione nell’opinione pubblica nonostante il fatto che mancasse una
procedura standardizzata di legittimazione degli interventi internazionali. La guerra
terminò solo nel 2000 con la caduta di Milosevic, il Kosovo passò sotto l’amministrazione
dell’ONU. Il conflitto aveva generato ondate di profughi, come in Macedonia dove nel 99
si riversarono 140.000 albanesi che alimentarono lo scontento della zona occidentale che
doveva già fare i conti con la minoranza albanese desiderosa di far parte della Grande
Albania. Gli scontri finirono nel 2000 con l’arrivo della NATO.
L’Albania stessa aveva aperto le porte a centinaia di migliaia di profughi nel bel
mezzo di una violenta crisi finanziaria 1997 con conseguente rivolta. La dura repressione
aveva spinto molti profughi ad andare in Italia. La Grecia temendo un’ondata di profughi
si schierò vs intervento Nato.
La ferocia delle guerre dell’ex-jugoslavia portarono nel 1996 all’insediamento di un
Tribunale internazionale per i crimini di guerra all’Aja.
Questione arabo-palestinese: Barak si era mostrato interessato a dei colloqui
informali per la pace che portarono a Camp David dove, con la mediazione di Clinton,
Barak si dichiarò disponibile a concessioni pur non riconoscendo la Palestina. Come però
Arafat fece notare rimaneva irrisolto il problema dei profughi palestinesi→ fallimento
accordi e ascesa di Ariel Sharon esponente di destra. I Palestinesi ripresero le proteste →
Intifada al Aqsà che aveva ora un forte carattere politico simile a lotta armata, dietro cui
c’era il cambiamento politico (OLP sempre più corrotta di Arafat, la popolazione di
avvicina a Hamas nuova organizzazione politica intransigente islamista). La politica
discutibile di Sharon, ad esempio i muri che isolavano le città arabe tra loro, portò ad
attentati reciproci aggravando la situazione sempre più. La morte di Arafat e la decisione
di Sharon di sgomberare le colonie illegittime sulla straiscia di Gaza aprirono uno spiraglio,
subito chiuso dal nuovo premier Olmert che metteva in primo piano la sicurezza d’Israele.
4.La Turchia moderna
Nata dagli sforzi di Kemal. Ponte tra Europa e Medio Oriente che necessita di
narrazione specifica. Nella seconda guerra mondiale era rimasta neutrale dichiarando
guerra alla Germania solo nel 1945.
Durante la Guerra fredda assunse una posizione filo-occidentale, entrò nella NATO
e nel Patto di Baghdad, fu in grado di sviluppare una politica internazionale protetta. La
politica estera è caratterizzata dal nazionalismo turco, fortificatosi sempre di più, e dalla
rivalità con la Grecia. La questione più spinosa è stata quella di Cipro, stato autonomo a
minoranza turca. Nel 74 il tentativo di annessione della Grecia le diede la scusa per formare
una piccola Repubblica turca nel Nord dell’isola, riconosciuta solo dalla Turchia. I rapporti
tra le due si distesero solo nel 1999 quando la Grecia le inviò aiuti in seguito al terremoto.
Il nazionalismo turco cambiò allora indirizzo politico con l’arresto di Ocalan, capo
della resistenza curda. Partiva il tentativo di assimilazione e turchizzazione del Kurdistan
spartito nella 1GM tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. La lotta contro i curdi aveva visto azioni
simili a quelle di Hussein in Iraq ma gli alleati non diedero sanzioni. In epoca più recente
l’attenzione si è concentrata all’interno del proprio paese, per permettere l’ingresso nell’Ue.
I negoziati si sono aperti nel 2005, e ciò ha riaperto diversi temi:
- Ritorno all’islamizzazione della politica turca. Dopo Kemal erano state riaperte le
scuole coraniche. Nel 1997 i militari, custodi della laicità fanno finire l’avventura
di Erbakan leader del fronte islamico, ma nel 2002 gli islamici del partito “giustizia
e sviluppo”, più moderati, vanno al potere.
- Instabilità finanziaria del paese
- Politicamente la Turchia non è ancora democratica
Per questo le frontiere europee sono oggi considerati luoghi di passaggio che devono essere
sempre aperti, ma ciò implica che non devo considerare il mio vicino come un nemico.
Nel 2005 molti paesi ex sovietici entrarono a far parte dell’Unione, come anche Cipro e
Malta. Nel 2007 si passava all’Europa a 27 con Bulgaria e Romania.
Per aderire all’Ue un paese deve soddisfare i criteri di Copenaghen, adeguandosi
economicamente, politicamente e culturalmente. Quindi il problema attuale della politica di
allargamento è rappresentato dal Mediterraneo, inteso come i Balcani e i Paesi Terzi.
L’adesione dei Balcani e della Turchia pone però problemi di natura culturale. La Turchia è
un paese complesso e l’adeguamento ai criteri europei richiederà tempo, inoltre in Europa non
tutti sono d’accordo all’ingresso, sia per il caso cipriota e curdo, sia per l’instabilità delle
istituzioni. In 50 anni i militari sono intervenuti almeno 3 volte come difensori della laicità
turca.
La regione balcanica è per ragioni storiche un naturale alleato dell’Europa, e si mira alla
sua pacificazione accogliendola in Europa, incentivandola ad attivare politiche di riforma. Ci
sono anche dei problemi naturalmente, come la lotta alla criminalità organizzata e il
contenimento dei flussi migratori. Tuttavia l’esclusione dall’Europa significherebbe un
pericoloso buco nero nella cooperazione di tutta l’area mediterranea.
Evoluzione dei paesi mediterranei già da tempo comunitari: l’unione monetaria del 1999
fu molto importante poiché, sebbene alcuni paesi come l’Italia ne pagarono le conseguenze,
mostrò una comunione d’interessi tra paesi continentali e rivieraschi, interpretando il problema
del mediterraneo in chiave comunitaria. Questo avviene oggi a 2 livelli: interno cioè il
Mediterraneo europeo e esterno cioè i rapporti con i paesi Terzi. La politica unitaria europea
è infatti andata nella direzione di pacificazione delle conflittualità. Alcuni ironicamente
dicono che l’Ue è così interessata ai suoi vicini solo perché appunto sono dietro l’angolo.
3.Verso il 2010:una valutazione del dialogo euromediterraneo
3 conferenze euromediterranee tra il 1995 e il 2001 per definire i processi del
Partenariato ma non ci sono stati risultati apprezzabili.
Nel 2002 quinta conferenza a Valencia ha come uno dei focus la sicurezza, e si risentì
della tensione dell’area mediterranea minata dalla lotta al terrorismo con gli Usa.
2003 anno di presidenza di Grecia e Italia (rivieraschi) sesta conferenza a
Napoli→importanti risultati: Assemblea parlamentare euromediterranea e Fondazione
Euromediterranea per il dialogo interculturale.
Nuova fase di stallo: crescente diffidenza tra le due sponde per inconciliabilità sul tema
del terrorismo. Molti vedono un’eurocentricità del progetto, scettici nei confronti
dell’assistenza e credono che i media portano a sognare l’Occidente.
La sicurezza ha primaria importanza e ha ruolo primario negli interessi europei per il
Mediterraneo, ma è anche il terreno dove sono più visibili le rivendicazioni terroristiche.
Questo pregiudica il dialogo politico. 2005 vertice a Barcellona più di un capo di stato arabo
non aderì perché si doveva parlare di sicurezza, poiché c’era divergenza nella definizione di
terrorismo. Per i paesi arabi si doveva distinguere tra terroristi e partigiani, coloro che per
liberare la nazione dall’occupante compiono stragi e si avvalgono solo strumentalmente del
terrorismo→ non accettata dagli europei a cui richiamava l’idea dei partigiani.
Il più antico dei problemi legati alla sicurezza è il conflitto arabo-israeliano. Dopo la
seconda Intifada Siria e Libano boicottarono la Conferenza Euromediterranea di Marsiglia
come protesta ai bombardamenti israeliani in Libano del sud→saltò adozione di una strategia
comune per il Mediterraneo. Nella Dichiarazione di Siviglia del 2002 viene chiarita a parole
la posizione europea: fine occupazione israeliana e creazione stato palestinese sovrano libero.
Nel 2003 l’azione di UE, Usa, Russia e Nazioni Unite diedero vita al progetto di pace Road
map articolato in 3 fasi con accanto una task force con aiuti europei per accompagnare la
Palestina nella transizione democratica.
Ma tali progetti fallirono.
2004 viene creata la PEV Politica Europea di Vicinato: pace e stabilità attraverso
intesa e cooperazione. Rapporto privilegiato con coinvolgimento reciproco nella difesa,
realizzazione e promozione di valori comuni. Elemento chiave sono gli accordi bilaterali.
2006 ottava conferenza euromediterranea provava a rilanciare il dialogo.
2007 UPM Unione per il Mediterraneo progetto per rilanciare il dialogo voluto da
Sarkozy nel momento di particolare difficoltà con il Maghreb. Critiche di opportunismo
riguardo alla posizione francese, ma anche ottimismo per l’alto numero di adesioni cioè 43
paesi europei e non più la Libia di Gheddafi come osservatore.
L’UPM è stato poi un tentativo di rilancio in vista di uno degli obiettivi di Barcellona,
entro il 2010 si sarebbe dovuto realizzare il primo obiettivo del Partenariato: zona di libero
scambio nel mediterraneo.
Fine 2008 gli stessi elementi che avevano arrestato il processo di Barcellona a fine anni
90 si ripresentano: conflitto arabo-israeliano con attacco di Israele a Gaza spinse Mubarak
(presidente insieme a Sarkozy dell’Unione) a chiedere la sospensione degli incontri
dell’Unione per il Mediterraneo.