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Storia del Mediterraneo moderno e contemporaneo

Storia del Mediterraneo moderno (Università degli Studi di Napoli L'Orientale)

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CAPITOLO 1. I TEMPI DEL MEDITERRANEO.


Per quanto riguarda la storia del Mediterraneo moderno dobbiamo citare l’opera di
Fernand Braudel, Il Mediterraneo e il mondo mediterraneo nell’età di Filippo II (1946). Il
libro è diviso in 3 parti, ciascuna delle quali tratta una storia diversa (teoria dei tempi della
storia). La prima è una storia quasi immobile, quella dell’uomo nei suoi rapporti con
l’ambiente: una storia di lento svolgimento e di lente trasformazioni, fatta spesso di ritorni e
di cicli. La seconda è la storia che si potrebbe definire strutturale, una storia sociale dei
gruppi e degli aggruppamenti. E infine la terza è la storia tradizionale, la storia secondo la
dimensione non dell’uomo ma dell’individuo, è la storia degli eventi politici, delle guerre e
delle rivoluzioni, una storia dalle oscillazioni brevi, rapide e nervose. Questa teoria dei tempi
storici nasce da una ricerca condotta dal giovane Braudel sul Mediterraneo della seconda metà
del 500, e serve a mettere il Mediterraneo al centro della sua ricerca e non di farne
semplicemente lo sfondo sul quale si muove l’azione del sovrano spagnolo Filippo II. Qui è lo
spazio che prevale sul tempo e non il contrario. Ma i critici dell’opera osservarono che non è
possibile fare la storia di uno spazio perché un oggetto geografico non ha una storia autonoma
ma è soltanto il teatro di vicende umane che si svolgono nel suo quadro. Braudel, dunque, per
giustificare la sua scelta ha bisogno di una teoria del tempo storico più dilatato e complesso, è
la teoria della lunga durata, ma più che di una teoria della lunga durata, tuttavia, si tratta di una
sofisticata teoria dei tempi storici: i fenomeni della storia viaggino a velocità differenti
ritrovandosi tutti nel momento in cui si vuole studiare un’epoca: la politica, l’economia, la
società, la mentalità, i dati naturali contribuiscono a farci capire come esattamente sia
quell’epoca e sta all’osservatore comprendere con quale peso siano intervenuti a determinare
la fisionomia di quell’epoca.
Quindi in virtù della teoria di Braudel il Mediterraneo non è comprensibile se non
attraverso l’utilizzazione di uno schema assai flessibile della nozione di tempo. Il Mediterraneo
è anche uno spazio all’interno del quale la presenza dell’uomo è antica e costante. La distanza
mai eccessiva delle sue coste, il clima mai particolarmente ostile, determinano condizioni
originarie di socialità umana. Di questa socialità si alimenteranno gli scambi materiali di cui
questo mare sarà sempre ricchissimo, realizzando una sorta di comunità mediterranea. Questa
socialità arriva ad esprimersi anche in civiltà, come quella egiziana o quella greca, che non
abbandoneranno mai lo spazio mediterraneo, anche quando si saranno trasformate in rovine
perché eserciteranno una forte influenza sulla memoria successiva (forme artistiche e
architettoniche, istituzioni politiche e civili, cultura – Mediterraneo: spazio di memoria). Il
Mediterraneo è anche lo spazio dove prendono origine 3 grandi religioni monoteiste,
l’ebraismo, il cristianesimo e l’islam, destinate a scolpire la fisionomia storica di questo spazio,
dialogando, ma più spesso opponendosi tra di loro. E poi ci sono i tempi della politica che nel
Mediterraneo arrivano a determinare strutture di durata significativa. È il caso della Roma
repubblicana e imperiale che realizza nel Mediterraneo un’unità politica destinata a non
ripetersi più (7-8 secoli); o il caso della civiltà araba e poi dell’impero ottomano e di quello
spagnolo nell’età moderna e, più avanti, dei grandi imperi coloniali europei: forme politiche
tra loro diversissime ma tutte chiamate a condividere lo spazio mediterraneo. I tempi della vita
economica spesso si legano a quelli della politica, ma più spesso seguono le cadenze della
innovazione tecnologica. Non c’è spazio nel Mediterraneo che sia definibile in virtù di una
cronologia, perché natura, socialità, memoria, religione, politica, economia si sono
sovrapposte in maniera inestricabile.

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1. UN INSIEME DI MARI.
1. Dall’unità alla diversità. Secondo lo studioso Henri Pirenne la fine della civiltà
classica mediterranea si determinò all’epoca delle conquiste islamiche nel 7° e nell’8° secolo.
Lo spostamento dapprima verso nord del centro del potere politico europeo con
l’incoronazione a imperatore di Carlo Magno (800) e poi verso nord est con la formazione del
Sacro Romano Impero in Germania (1157) fu causato dal fatto che gli Arabi avevano privato
gli Europei della principale via degli scambi commerciali il Mediterraneo. La conquista araba
riducendo raggio d’azione del mondo bizantino, aveva trasformato il lago romano in un lago
musulmano. Fu questa la causa (secondo la tesi di Pirenne) che determinò in occidente la crisi
dei commerci, la scomparsa delle città e la presenza di un’economia interamente agraria.
L’interpretazione di Pirenne pone in rilievo un aspetto tutt’altro che marginale. L’attacco degli
arabi all’impero bizantino se da una parte determinò una frattura tra Oriente e Occidente,
dall’altra creò nel Mediterraneo centro occidentale, sino ad allora sotto il dominio di Bisanzio,
un vuoto di potere politico. Inoltre agli albori dell’anno Mille la divisione tra un mondo
mediterraneo cristiano-bizantino sulla sponda centro-orientale e un mondo musulmano a sud-
est è ancora intatta. È solo dopo l’XI secolo che nel confronto-scontro tra Bisanzio e Islam
s’inserisce un nuovo protagonista, l’occidente latino. Quindi 3 grandi aree politico-culturali:
l’area musulmana, l’area greco-ortodossa e quella cattolica-latina, caratterizzeranno la
storia del mediterraneo dal X secolo sino alla conquista turca di Costantinopoli nel 1453.

2. Il mediterraneo bizantino. Il mondo bizantino corrispondeva a quell’insieme di


regioni di fede cristiano-ortodossa di lingua greca, soggetti all’amministrazione di Bisanzio, il
cui dominio si estendeva principalmente ai Balcani, all’Asia Minore e all’Italia meridionale
(Mediterraneo – mare interno). All’inizio dell’anno mille il mondo bizantino conobbe una
forte ripresa sia dal punto di vista economico e sia dal punto di vista diplomatico militare,
fattori che favorirono una nuova espansione territoriale e determinarono, sotto il lungo regno
di Basilio II (976-1025) una nuova rinascita bizantina nel mediterraneo centro orientale e nel
mar Nero. Costantinopoli (la più grande città dell’Impero, punto d’incontro di antiche rotte
commerciali) era la sede dei vertici dello stato e della chiesa, il centro più fiorente del
mediterraneo e la sede di un’intensa attività artistica. Ma proprio quando il prestigio politico-
culturale del mondo bizantino era al culmine una serie di cause contribuirono al suo declino.

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Il processo di feudalizzazione, avviato dopo la morte di Basilio II, portò allo


sgretolamento delle strutture economiche, militari e dell’apparato amministrativo dell’impero.
Indebolito dalle lotte interne, Bisanzio dovette fronteggiare una serie di attacchi da parte di
popolazioni che premevano sulle sue frontiere. In seguito alla vittoria dei turchi selgiuchidi
nella battaglia di Manzikert (1071, Asia minore) si verificarono migrazioni turche sino
all’Egeo; a ciò si aggiunge l’attacco alle frontiere settentrionali dei Peceneghi, una tribù di
origine turco-tatara (che arrivò fino a Costantinopoli nel 1090), e il risveglio del nazionalismo
di Bulgari e Serbi nei Balcani; inoltre sul versante occidentale, la minaccia fu portata dai
Normanni condotti da Roberto il Guiscardo che occuparono Durazzo e lanciarono spedizioni
militari contro Salonicco e Costantinopoli. L’imperatore Alessio I Comneno (1081-1118) per
difendere il territorio dall’attacco dei Normanni chiese aiuto a Venezia, la città adriatica sorta
tra il VI e il VII secolo che disponeva di una potente flotta militare. Sconfitti i normanni per
mare nel 1082, i veneziani ottennero in cambio una serie di privilegi commerciali, fiscali e
giurisdizionali. Fu loro concesso un diploma imperiale grazie al quale potevano navigare
liberamente in tutto l’impero senza restrizioni e senza pagare dazi e tasse (ascesa della
potenza commerciale veneziana nel Mediterraneo occidentale, i veneziani divennero i
difensori di Costantinopoli). Sino a quel momento i rapporti tra mondo bizantino e mondo
latino avevano riguardato problemi di natura religiosa. Da una parte la chiesa romana
pretendeva il riconoscimento del suo primato, dall’altra quella ortodossa era legata ad una
tradizione che negava la superiorità di un’autorità spirituale sulle altre. La situazione precipitò
nel 1054 quando si arrivò alla scomunica reciproca dei 2 capi spirituali (Scisma d’Oriente).
La separazione tra le 2 chiese segnata grosso modo dalla linea di demarcazione che percorre
l’Adriatico, con i cristiani ortodossi a est e i cattolici a ovest sembrava uno dei tanti episodi
scismatici ma in realtà la rivalità toccava direttamente problemi di ordine politico: entravano
in quel momento in gioco la conversione e il controllo di nuovi popoli pagani dell’Europa
centrale e orientale, per esempio la chiesa bulgara e russa o la conversione dei popoli slavi.
Furono gli avvenimenti che accaddero dopo la prima crociata che determinarono
l’inizio del declino di Bisanzio, trasformarono l’Impero di fatto in una potenza regionale.
L’aiuto richiesto all’occidente cristiano da Alessio I Comneno in seguito all’avanzata in Asia
Minore dei Selgiuchidi fu all’origine della crociata predicata da papa Urbano II nel 1095.
Lanciata e animata dalla chiesa romana, la crociata fu realizzata da oltre cento mila baroni,
cavalieri e avventurieri prevalentemente franchi, normanni e fiamminghi, e fu sostenuta dalle
marinerie delle città italiane, che avrebbero dovuto trasportare le truppe, le armi e assicurare i
rifornimenti ai crociati. Dopo aver attraversato la valle del Danubio e i Balcani, la folla di
guerrieri anziché dirigersi verso Bisanzio e unirsi alle truppe imperiali, invase l’Anatolia e la
Siria, s’impadronì di Antiochia e di altre importanti città e nel 1099 assediò e conquistò la
città di Gerusalemme. Sui territori occupati, i crociati, ormai in rotta con Bisanzio iniziarono
una feroce persecuzione contro gli ebrei e crearono una serie di piccoli stati feudali disseminati
lungo le coste egiziane e siriane, di cui il maggiore fu il regno di Gerusalemme affidato a
Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena. L’evento consentì al mondo latino di
mantenere per lungo periodo una presenza sulle coste del mediterraneo orientale, in
particolare i mercanti europei, per lo più italiani, riuscirono a stabilirsi nei maggiori porti e in
alcune città all’interno del Levante, dove impiantarono proprie colonie che godevano di
esenzioni fiscali e doganali. Veneziani, genovesi e pisani, impiantatisi nelle importanti piazze
di Alessandretta, Tiro e Giaffa, ne approfittarono per controllare il lucroso commercio dei
prodotti orientali. Dalle coste levantine i mercanti italiani ben presto si spinsero nelle regioni

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interne, dove affluivano le carovane arabe che portavano le merci indiane e cinesi, avviando
così una serie di durature relazioni tra mondo cristiano e musulmano.
3. Il Mediterraneo islamico. Il mondo islamico agli albori del Mille non costituiva uno
spazio politicamente unitario (unificato però dalla cultura religiosa espressa in lingua araba).
Possiamo dividere il mondo islamico subito dopo il mille, in 3 vaste regioni ognuna sotto la
dominazione di una o più dinastie:
- La prima si estendeva dalla Persia all’Indo e ruotava attorno a Baghdad (Iran
orientale, ampio distretto agricolo e sede di una vasta rete di commerci), quest’area fu
conquistata dai selgiuchidi, una popolazione turca convertita all’islam, la cui espansione
verso occidente minacciò le posizioni bizantine in Asia Minore.
- La seconda area comprendeva l’Egitto, la Siria, la Palestina, l’Arabia occidentale e
la Sicilia, sino a quando quest’ultima non fu conquistata dai Normanni, il suo centro era il
Cairo (cuore di un sistema commerciale che, grazie al porto di Alessandria, univa i traffici
orientali con quelli occidentali); sino al 1171 in questo spazio continuarono a regnare i
Fatimidi cui subentrò Saladino un capo militare educato alla corte dei selgiuchidi in Siria;
Saladino riconquistò la città di Gerusalemme in mano ai crociati, riducendo i domini latini
solo a qualche possedimento costiero.
- La terza area comprendeva il Maghreb e la parte musulmana della Spagna, in
quest’area non vi era un centro predominante ma diversi centri importanti: Cordova e Granada
nella penisola iberica, Fes, Tlemcen e Tunisi nel nord Africa; in seguito la parte della penisola
iberica ancora sotto il dominio musulmano fu divisa in una quantità di piccoli emirati,
governati da capi di diverse etnie. Questa frammentazione rese possibile ai regni cristiani,
confinati al nord della Spagna, di cominciare a espandersi verso sud. La loro offensiva fu
controllata dalle dinastie islamiche che estesero il loro dominio su Marocco e Algeria, sulla
regione dell’Andalusia e sulla Tunisia.
4. Il Mediterraneo latino. Il mondo latino intorno all’anno mille comprendeva
quell’insieme di territori sul mediterraneo occidentale che si identificavano con la cristianità
latina medievale. A partire dall’XI secolo grazie alla crescita demografica e alla formazione
di un surplus produttivo, determinato dall’incremento delle terre coltivate e dall’utilizzo di
nuove tecniche agricole, e ai progressi nel settore mercantile, tecnologico e militare, per
l’occidente iniziò una nuova fase di espansione politica, militare e di progressiva crescita
economica. Il “risveglio dell’occidente” fu determinato anche dalla riorganizzazione della
chiesa cattolica. La riforma gregoriana di papa Gregorio VII stabilì la superiorità assoluta
del pontefice su ogni altra autorità terrena, sancì l’obbligo di celibato per sacerdoti, proibì la
simonia cioè la vendita delle cariche ecclesiastiche e attuò una generale riforma del diritto
canonico. Per quanto riguarda la geografia politica del mondo latino agli inizi dell’XI secolo,
la situazione può essere così riassunta. La penisola iberica, alle prese con la Riconquista
cioè la lotta intrapresa dai regni cristiani per espellere i musulmani dalla Spagna, era divisa in
principati cristiani: nella parte nord occidentale si era formato il regno di Leòn, da cui si staccò
agli inizi del XII secolo la contea del Portogallo; nella parte nord-orientale quello di Navarra;
a ridosso dei Pirenei, il regno di Aragona che nel 1137 si unì alla contea di Barcellona, infine,
nella parte centrale il regno di Castiglia, che alla fine del 200 formò tutt’uno col regno di Leòn.
La Francia era sostanzialmente divisa in 2 zone il cui confine passava all’incirca all’altezza
della città di Poiters. In particolare, la parte nord-occidentale si organizzò attorno al ducato di
Aquitania, ma rivestiva una certa rilevanza anche la contea di Fiandra, + o – l’attuale Belgio
settentrionale, collocata alla foce di grandi fiumi (Loira, Senna e Reno). Accanto a queste
formazioni ebbe grande importanza anche il ducato di Normandia, dove era stata creata una

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rigida gerarchia di potere (sistema feudale). Le città italiane invece si posero all’avanguardia
di quel movimento che unì per oltre 5 secoli i porti italiani ai centri manifatturieri europei e ai
mercanti orientali. Grazie alla loro posizione geografica e all'intensificazione degli scambi tra
le due sponde, alcune città marinare italiane divennero importanti centri marittimi e
commerciali. In particolare Amalfi, Venezia, Pisa e Genova avevano una certa libertà di
movimento in tutto il levante. Fu grazie all’intraprendenza delle città marinare italiane che il
mediterraneo, a partire dall’XI secolo, si riappropriò della sua antica funzione di crocevia
tra Oriente e Occidente. Ma ciò che determinò la definitiva supremazia delle città italiane
nel Mediterraneo, in particolare di Venezia e di Genova, e allo stesso tempo decretò un
insanabile rottura tra mondo latino e bizantino furono gli avvenimenti accaduti in seguito alla
quarta crociata, che era stata bandita da Innocenzo III nel 1202 con il duplice obiettivo di
recuperare Gerusalemme ai cristiani e ricondurre la Chiesa d’Oriente sotto la sovranità
pontificia, nel 1204 Costantinopoli (con crociati e veneziani - padroni) fu completamente
saccheggiata, razziata e devastata dai conquistatori e la Chiesa greca fu assoggettata a
quella romana. Bisanzio ebbe un imperatore latino, Baldovino di Fiandra, e un veneziano
come patriarca della Chiesa ortodossa, da questo momento almeno formalmente unita a Roma
(Le cronache del tempo definirono l'avvenimento un 'cataclisma cosmico’, La chiesa di Santa
Sofia sconsacrata, le suore violentate e i monaci venduti come schiavi). Nella spartizione
dell’impero che ne seguì i veneziani si aggiudicarono gran parte delle isole dell’arcipelago
dell’Egeo, il Negroponte compresi gli importanti scali di Modone e Corone, l’isola di Creta e
diversi scali commerciali sulle coste del Mar Nero. I bizantini riconquistarono
Costantinopoli solo nel 1261, questa volta con l’aiuto dei genovesi, che godettero dei
privilegi in passato concessi a Venezia. L’autorità imperiale fu restaurata sotto la nuova
dinastia dei Paleologi, ma si estendeva su un’area geografica che abbracciava solo una piccola
parte dei territori posseduti in passato e senza l’autorevolezza e il prestigio di un tempo.
L'Impero bizantino, circondato dagli emirati turchi in Anatolia e dai regni cristiani nei Balcani,
si configurava a questo punto come un ' Impero degli Stretti'.
5. Mediterraneo e Mar Nero. La regione del Mar Nero si estende dai Balcani alle
montagne del Caucaso e dalle steppe russe all’Anatolia. L’area rivestì sin dall'antichità
un'importante funzione di collegamento tra l'Europa e l'Asia, che mantenne sino alla
conquista ottomana di Costantinopoli. Per Procopio, uno dei primi storici dell’impero
bizantino, il mar nero era un posto da evitare, non solo per le acque torbide e per l’assenza di
isole abitabili che rendevano difficile la sua navigazione, ma soprattutto per la presenza di
una moltitudine di tribù nomadi, provenienti dalla Russia e dalle steppe asiatiche. Alcune
di queste popolazioni s’insediarono stabilmente sul litorale settentrionale e premevano alle
frontiere dell’impero bizantino. I bizantini che controllavano l’accesso al Mar Nero tramite la
propria capitale, Costantinopoli, instaurarono rapporti con i georgiani e gli armeni, popoli
cristiani che abitavano nel Caucaso, che gli permisero di avere l’accesso al grano e ad altri
prodotti provenienti dal Caucaso, ma anche la riscossione dei tributi sul commercio imposti ai
popoli della steppa del nord. Dal Mar Nero, attraverso lo stretto del Dardanelli, affluivano
verso il Mediterraneo, grano, orzo, seta, spezie, pellicce, pesce e schiavi. Fu solo al tempo
di Costantino VII (913-959), quando alcuni popoli, come i russi e i bulgari, stanziati sulle
coste settentrionali e nord occidentali, erano ormai diventati delle importanti realtà politiche
organizzate, che Bisanzio, dopo averne respinto gli attacchi, cercò di intrattenere con essi
buone relazioni, non solo perché minacciavano la capitale ma anche perché, dopo essersi
convertiti al cristianesimo e accolto le influenze bizantine, si rivelarono indispensabili
partner commerciali nonché utili alleati contro i nemici di Bisanzio. Fu poi in seguito agli

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avvenimenti della quarta crociata che i bizantini persero il controllo del Mar Nero, ma grazie
alla cosiddetta “pax mongolica” i traffici marittimi conobbero una forte ripresa con le
presenze italiane che durò sino alla metà del XV secolo. Alla fine del XIII secolo, all'epoca
in cui vi arrivò Marco Polo nel viaggio di ritorno a Venezia, il Mar Nero divenuto nel
frattempo un lago italiano per la forte presenza nei principali porti, da Tiebisonda a Tana, di
empori, marinai, consoli e commercianti italiani, era al centro di un'intensa attività di scambi
dovuta alla sua favorevole posizione di incrocio delle rotte internazionali più importanti. Fu
solo dopo la conquista ottomana di Costantinopoli e di Trebisonda che i porti e le fortezze
dislocate lungo le coste e gran parte dei territori interni furono controllati da un'unica potenza.
Alla maggior parte delle flotte straniere fu impedito l'accesso agli Stretti e il commercio un
tempo in mano agli italiani cadde sotto il controllo del sultano. Il Mar Nero sino ad allora
crocevia tra l’Europa e l'Oriente divenne per oltre due secoli un lago turco.

2. EUROPA E ISLAM.
1. Rivolgimenti politici nel mondo islamico. Nel corso del 13° secolo e sino agli inizi
del 16°, il quadro politico dello spazio islamico mediterraneo subì ulteriori mutamenti. La
parte orientale fu turbata, alla metà del 13° secolo, dall'irruzione degli Ilkhani, una delle
popolazioni mongole proveniente dall'Asia orientale, che nel giro di pochi decenni invasero i
territori sia a nord che a sud del Mar Caspio e del Mar Nero e minacciarono l'Europa orientale.
Gli Ilkhani estesero il dominio su tutta la Persia mettendo fine al califfato degli Abbasidi e alla
supremazia dei Selgiuchidi. Il grande Impero mongolo con l'unificazione dell'Asia centrale,
la conquista di gran parte di quella che è oggi la Russia e l'espansione nel Vicino Oriente,
diede luogo a un periodo di pace (pax mongolica), che favorì per molti decenni le relazioni
fra Asia interna ed Europa e contribuì al decollo commerciale dell'Occidente. La formazione
di un vasto dominio mongolo, assicurando la possibilità di scambi abbastanza sicuri,
attraverso le vie carovaniere, sollecitò l'interesse dei mercanti, dei diplomatici e dei missionari
europei nei loro territori. La dominazione ebbe profonde ripercussioni sul mondo
mediterraneo, in quanto la loro invasione annientò i maggiori centri di cultura araba
(Baghdad, Aleppo e Damasco), e così la Persia, da regione più florida della civiltà islamica,
divenne una zona periferica.
L'espansione dei mongoli verso occidente fu bloccata in Siria nel 1260 da un esercito
egiziano formato da schiavi guerrieri (mamluk) di origine asiatica. I Mamelucchi, una vera e
propria oligarchia militare al servizio dei sultani ayyubidi, dopo aver rovesciato nel 1250
con un colpo di mano i loro signori si sbarazzarono degli ultimi regni crociati sulle coste della
Palestina e della Siria e assunsero il controllo dell'Egitto, dell'Arabia e di parte della Siria per
più di due secoli e mezzo (1250 -1517), diventando così la principale potenza musulmana
del mondo mediterraneo. Di fatto i Mamelucchi saranno i principali custodi della cultura
araba e saranno a capo di un impero commerciale senza precedenti nel mondo islamico,
esteso dall'Oceano Indiano alle coste dell'Africa Orientale. Nella parte occidentale dello spazio
Islamico, i territori dell'Impero almohade furono divisi in tre regni: l'Ifriqiya, l'attuale Tunisia,
il Marocco e l'Algeria occidentale. Quindi il Maghreb non subì stravolgimenti; l'attività
culturale rifiorì attorno alle capitali e si ebbe un notevole progredire dell'arabizzazione in tutte
le regioni. L'ultima roccaforte del mondo musulmano in territorio europeo fu il piccolo
emirato nasride di Granada, che per la sua felice posizione, costituì un luogo di contatti e
di scambi tra i paesi dell'Europa mediterranea occidentale e i paesi dell'Africa del nord. Il
regno la cui popolazione era formata in maggioranza da musulmani di origine araba e da
comunità berbere, cristiane ed ebree, sino alla sua disfatta nel 1492, fu famoso per il suo

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spirito di tolleranza, per la liberalità e l'agio della vita che vi si conduceva, di grande intensità
fu la vita culturale e intellettuale.
2. La cultura araba mediterranea. La disintegrazione dell'unità politica e la presenza
di gruppi non arabi, come i berberi e i mamelucchi, ai vertici del potere nel mondo
musulmano, comunque, non fu accompagnata dalla frantumazione della civiltà islamica. A
mantenere l'unità contribuì, insieme alla religione, la lingua araba. Oltre che il veicolo della
fede (il Corano non doveva essere tradotto in altre lingue), la lingua divenne lo strumento
principale per la diffusione della cultura. Un movimento di uomini, di conoscenze e di idee si
diffusero tra le due sponde del Mediterraneo. Un ruolo importante fu assunto dalle città. Civiltà
urbana islamica fu caratterizzata da una struttura sociale stratificata e dalla presenza di forme
architettoniche complesse e raffinate.
L'Islam già alla fine del 7° secolo era subentrato al vecchio Impero persiano e in parte a
quello greco, poi si era insediato stabilmente nel Maghreb ed era arrivato in Spagna. Nei secoli
successivi arrivò nel Mar Nero, s'inoltrò verso est sino al Gange e nella fascia centrale africana.
Ma fu nella sua parte occidentale che l'Islam ebbe i suoi punti di riferimento culturali e
s'intrecciò con il pensiero ellenico e la cultura persiana. Il Canone di medicina scritto dal
filosofo e scienziato di origine persiana Avicenna fu il compendio di scienza medica più
diffuso e in uso sino alle soglie dell'età moderna. La vitalità del pensiero si ritrova in importanti
centri di traduzione di testi dall'arabo al latino. Fu attraverso il mondo islamico che arrivò
in Europa una parte significativa del patrimonio culturale classico (traduzione in latino delle
opere scientifiche arabe e degli antichi filosofi greci). Il primo re di Sicilia, il normanno
Ruggero II, che parlava l'arabo, alla sua corte si circondò di intellettuali musulmani, ebrei e
cristiani, incoraggiò le traduzioni dall'arabo. Alla corte di Federico II di Svevia, re di Sicilia,
di Germania e imperatore del Sacro Romano Impero, furono tradotte in latino una serie di
opere arabe sia originali che tradotte dal greco.
3. Lo spazio mercantile islamico. Il mondo musulmano, oltre a costituire una delle
grandi civiltà mediterranee, fu un immenso spazio mercantile, che aveva sviluppato al suo
interno una vastissima rete di comunicazioni per terra e per mare. Il commercio a media e
a lunga percorrenza si sovrapponeva agli scambi locali e a un'economia rurale spesso non
autosufficiente. Attraverso i traffici marittimi e le reti commerciali terrestri venivano
ridistribuiti prodotti agricoli e materie prime da una parte all'altra del mondo islamico. In
particolare il commercio dei prodotti di lusso muoveva da una regione a un'altra la seta cinese
e, più tardi, quella prodotta nello stesso mondo islamico, lo zucchero di canna, le spezie,
soprattutto pepe e zenzero, cannella, chiodi di garofano e noce moscata, alle quali si sarebbero
aggiunti l'avorio indiano e africano, le pietre preziose, i profumi, l'incenso d'Arabia e così
via. Questi prodotti, insieme all'oro proveniente dalla regione del Sudan, costituivano l'offerta
principale ai mercanti europei. L'organizzazione mercantile araba, generalmente era formata
da compagnie di mercanti associate in reti familiari, che spesso avevano dei propri agenti
dislocati nelle diverse piazze commerciali. Esisteva una grande differenza tra i grandi mercanti
e i piccoli commercianti locali, questi ultimi erano soggetti alla vigilanza dei funzionari
preposti al controllo dei mercati e delle transazioni commerciali. Da una parte veniva stimolato
il consumo dei prodotti di lusso nelle corti e negli ambienti aristocratici, dall'altra venivano
regolati i traffici controllando, in particolare, i luoghi di stoccaggio e di vendita delle merci, e
fissando il regime fiscale da applicare. Questo insieme di procedure inf1uenzarono a loro
volta l'organizzazione mercantile e fiscale dei paesi europei dell'area latina, ma con una
sostanziale differenza: il mondo islamico non conobbe a differenza dell'Europa la nascita di
un capitalismo mercantile delle stesse dimensioni e degli stessi esiti. Inoltre vennero fatti

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trattati di commercio tra autorità islamiche e mercanti europei agli inizi del XII secolo.
Con essi si stabiliva la sicurezza delle transazioni commerciali e la risoluzione dei litigi per
via giudiziaria. Ai mercanti latini furono concesse autorizzazioni per la conservazione e la
vendita delle mercanzie in depositi, si regolamentava la possibilità di disporre di propri
rappresentanti istituzionali, i consoli, e si concedevano abbattimenti dei dazi doganali. Dal
canto loro, gli europei non potevano commerciare al dettaglio e al di fuori delle collocazioni
autorizzate, benché fosse loro consentito di scegliere i propri interlocutori commerciali e gli
interpreti per intrattenere relazioni con i mercanti musulmani. Anche da parte delle autorità
occidentali questo commercio fu sottoposto a una serie di limitazioni. I divieti riguardavano
soprattutto la possibilità di trafficare in quei prodotti che potevano concorrere ad aumentare il
potenziale bellico dei sultanati islamici, come il ferro, il legno e altri materiali utili alla
costruzione di navi o di armi.
4. Il predominio latino negli scambi. Nonostante il mondo islamico mantenesse il
controllo sulla produzione, sulle rotte commerciali e sui mercati interni, gli scambi marittimi
nel Mediterraneo rimasero nelle mani degli europei (musulmani consideravano il commercio
con l'estero un settore marginale e secondario, decisione dettata anche dal saldo positivo della
loro bilancia commerciale). Col passare del tempo, però, la rinuncia al controllo delle rotte
marittime e allo sviluppo di tecniche e mezzi dedicati al commercio con l'estero si sarebbe
rivelata controproducente per il mondo islamico. I mercanti europei così si arricchirono
progressivamente. Inizialmente le navi italiane salpavano dai porti per il Levante, spesso
semivuote, con denaro contante, per tornare dopo sei o sette mesi cariche di merci orientali.
Dal XIII secolo le cose iniziano a cambiare, lo slancio della produzione tessile occidentale,
grazie anche al trasferimento di alcune colture, di conoscenze scientifiche e di tecniche dal
mondo islamico a quello occidentale, mise a disposizione dei mercanti italiani articoli di
scambio, come i panni di lana.
Tuttavia, la prima vera affermazione del dominio mercantile degli occidentali non si
ebbe nello spazio islamico, ma in quello bizantino: furono gli avvenimenti della quarta
Crociata a rimodellare significativamente, soprattutto a favore dei veneziani, gli equilibri
mediterranei nel Levante. A poco a poco Bisanzio fu definitivamente spodestata dalla funzione
di intermediazione commerciale e le marinerie latine s'insediarono nei punti più strategici
delle vie commerciali dando vita a un vero e proprio impero coloniale. I mercanti italiani
seppero creare società mercantili articolate, introdussero nuove tecniche contabili e nuovi
strumenti finanziari, tra cui la partita doppia, la lettera di cambio e i contratti di assicurazione,
apportarono miglioramenti alle tecniche di navigazione e alla cartografia.
Dopo il dissolversi dell’Impero ilkhanide alla metà del 14° secolo, che rese più insicure
le rotte continentali asiatiche, lo scalo più importante per i mercanti occidentali fu quello di
Alessandria sotto il controllo mamelucco. I veneziani erano i principali interessati al mercato
alessandrino, compravano molti prodotti che poi ridistribuivano dalla città lagunare al resto
d'Europa, mentre al contrario, i genovesi viaggiavano direttamente da Alessandria sino alle
piazze atlantiche, come Bruges o Londra. Alla fine del 14° secolo nei traffici levantini a
veneziani e genovesi si aggiunsero mercanti catalani, fiorentini e napoletani. I principali
prodotti di esportazione degli europei sulla piazza alessandrina erano i panni e le tele di lino
prodotti in Europa, poi rame, stagno e piombo, diversi prodotti agricoli e gli schiavi; dall'area
del Mar Nero vi portavano il legno e le materie prime. Gli acquisti, invece, riguardavano le
spezie di provenienza indiana, il cotone egiziano e siriano, lo zucchero di canna e altri prodotti.
I guadagni per i commercianti italiani erano molto elevati.

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5. Venezia e Genova La potenza economica e finanziaria delle città italiane, Firenze,


Genova, Venezia, Milano, Pisa e Lucca, si fondò sul commercio mediterraneo e sulla pratica
quasi esclusiva dell'attività bancaria, attestata dalla circolazione di monete italiane nei
maggiori mercati finanziari e commerciali europei e levantini. a queste attività si aggiunsero
col tempo le ricchezze dovute allo sviluppo delle attività legate alla cantieristica, alle
manifatture, ai prodotti di lusso, come i tessuti, le vetrerie e i prodotti di oreficeria. Le maggiori
artefici di tale sviluppo, nonché le principali antagoniste per il dominio mercantile marittimo,
furono Venezia e Genova che devono tutta la loro fortuna al Mediterraneo, dal quale sino al
17° secolo continueranno a trarre l'essenza della loro potenza.
Sovrani del Mare Adriatico i veneziani avevano un impero coloniale marittimo
fondato su una potente flotta e sulla concessione delle colonie in feudo a patrizi veneziani.
Fino alla metà del 300, Venezia possedeva solo i territori lagunari e si preoccupava unicamente
della propria espansione marittima. In quel periodo aveva esteso il suo dominio, oltre che
nella penisola greca e sulle coste del Mar Nero, anche su varie città dell'Albania e della
Dalmazia. Fu solo dopo la formazione di potenti signorie nelle sue vicinanze che i veneziani
per tutelare la loro sicurezza avviarono, agli inizi del 400, una serie di conquiste sulla
terraferma, tra cui le città di Treviso, Padova, Rovigo, Vicenza e Verona e portarono i confini
fino al fiume Isonzo e alle Alpi Carniche e Giulie. La principale fonte di ricchezza per la città
lagunare fu sempre il suo commercio marittimo su scala internazionale: nel Mediterraneo
orientale, centrale e occidentale e di lì, dopo il 300, si estese anche all'Oceano Atlantico sino
a raggiungere il porto di Bruges e quello inglese di Southampton. I suoi traffici muovevano
una grande quantità e varietà di prodotti: acquistava metalli preziosi, piombo e rame, riforniva
i paesi tedeschi di prodotti orientali e quelli levantini di prodotti europei quali il legname, le
armi, l'argento e i pannilana. Alla metà del 15° secolo le flotte veneziane salpavano
regolarmente almeno 2 volte l'anno per Costantinopoli, per la Siria, l'Egitto, il Maghreb e
anche per i porti atlantici.
L'altra grande potenza marittima, Genova, seppur inizialmente non godesse di una
posizione geografica favorevole come quella di Venezia, operava nel Mediterraneo
occidentale. Nei primi decenni dell'11° secolo, Genova insieme a Pisa, riuscì a cacciare i
musulmani dalla Sardegna e dalla Corsica, e a lanciare delle incursioni sulle coste nord
africane e spagnole. Successivamente costruì una rete di scali nel Mediterraneo orientale,
grazie ai privilegi ottenuti in cambio dei servigi resi prima ai crociati franchi e poi ai bizantini
dopo la quarta crociata. Dopo la vittoria su Pisa nel 1284 le galee genovesi si assicurarono il
controllo delle rotte tirreniche, grazie agli scambi col mondo provenzale e iberico e ai numerosi
trattati conclusi con Tunisi sin dalla metà del 13° secolo, ma soprattutto in virtù delle basi in
Corsica e nel Mezzogiorno d’Italia. Genova ebbe anche il merito nel 1278 di effettuare il primo
viaggio documentato verso Southampton e Londra. Il contrasto con Venezia portò Genova a
concludere prima una serie di alleanze con Aragonesi e Castigliani in funzione
antiveneziana, e poi a stipulare una sede di accordi con Bisanzio, che aprirono nuove
prospettive: commercio con il Mar Nero e, dopo la caduta dell'impero latino, una posizione
dominante a Costantinopoli. Nel 1268 i mercanti genovesi si reinstallarono a Pera (Galata),
che sino al 15° secolo divenne la loro base commerciale e marittima nel Levante. Poi, nel 1275,
fu la volta di Caffa, uno dei principali snodi commerciali della riva settentrionale del Mar
Nero. Altre colonie sorsero a Focea in Asia Minore e nell'isola di Chio nel Mar Egeo. Dal
Levante i Genovesi sino alla fine del 15° secolo importarono seta e soprattutto il cotone che
rivendevano in Italia e nelle Fiandre. Tra Genova e Venezia per tutto il Trecento le loro
relazioni furono caratterizzate da un'accesa rivalità che, ne 1378, sfociò in una vera e propria

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guerra marittima combattuta nelle acque della laguna veneta (Guerra di Chioggia). Il conflitto
rappresentò l'ultimo grande scontro tra le due città e la successiva pace, stipulata a Torino
(1381), assicurò a Venezia il controllo della sua terraferma e dei traffici nel Levante, mentre
Genova non rappresentò più una minaccia per Venezia e col tempo si volse a rafforzare la sua
posizione nel Mediterraneo occidentale intensificando soprattutto gli scambi con la penisola
iberica.

3. IL MEDITERRANEO EUROPEO.
1. L'ambiente. L'ambiente mediterraneo caratterizzato da un genere di vegetazione
comune a tutte le regioni che si affacciano sul mare. Tipica è la cosiddetta macchia
mediterranea, frutto dell'intervento umano sulla primitiva foresta, formata in prevalenza da
olivastri e lecceti (il grano, la vite e l'ulivo: la 'triade mediterranea'). Naturalmente, il paesaggio
rurale, da una regione all'altra, può presentare notevoli variazioni che se da una parte sono
legate a fattori di ordine naturale, come il clima, le caratteristiche del suolo, la vegetazione,
dall'altra risultano il prodotto delle vicende storiche (trasformazione socio-economici, culturali
e politici). La fioritura dei centri urbani sia nel mondo islamico che in quello cristiano
occidentale, richiedeva la formazione, ai suoi margini, di un'estesa zona produttiva, dalla quale
dipendeva l'approvvigionamento dei suoi abitanti. Nel periodo in cui gli Arabi si insediarono
nella penisola iberica e in Sicilia lasciarono più di una traccia sia sul sistema di vita delle
popolazioni sia sul paesaggio, durante il loro dominio, l'allevamento degli ovini ebbe grande
impulso, infatti la terminologia relativa alla pastorizia è in gran parte di origine araba,
come le pratiche agricole e i sistemi di irrigazione dei campi. Nuove piante e diverse qualità
di ulivo e altre piante furono portate dall'Africa. Intorno al 13° secolo, lo sviluppo
dell'agricoltura intensiva e dell'allevamento estensivo costituirono il tratto caratteristico
dell'economia rurale mediterranea occidentale. Le vaste zone dell'immenso tavoliere della
Spagna centrale, dove le piogge sono scarse, erano più adatte al pascolo che alla coltivazione,
pertanto la pastorizia si sviluppò in maniera rilevante. Nella Francia mediterranea erano
coltivati la vite, l'ulivo egli alberi da frutto. Nelle lagune costiere si estraeva il sale, mentre
nella valle del Rodano, attraverso la coltivazione del gelso si gettavano le basi di quell'industria
della seta che sarebbe fiorita nel 16° e 17° secolo; mentre il riso comparve verso la fine del
15° secolo. Nel Mediterraneo orientale, solo la fascia costiera che va dalla Dalmazia alla
Grecia, aveva clima e prodotti tipicamente mediterranei.
2. La peste, crisi e carestie Se l'ampliamento delle terre messe a coltura, la fioritura di
centri urbani e la crescente commercializzazione dei prodotti agricoli e manifatturieri avvenuti
dal 10° al 13° secolo furono uno dei segni della vivacità dello spazio mediterraneo latino,
tuttavia, già alla fine del 200 si registra un rallentamento del processo espansivo, una fase di
stallo che durerà sino alla prima metà del 15° secolo. Per alcuni studiosi la stagnazione è da
addebitare alla destrutturazione dell'economia feudale, che provocò una rottura dell'equilibrio
economico. La crescita della popolazione europea, rispetto alle risorse a disposizione,
raggiunse alla fine del 13° secolo il punto di massimo sviluppo, le terre iniziarono a
scarseggiare, le rese subirono una notevole contrazione e la crescita demografica rallentò.
Soprattutto nella fascia centro-settentrionale del continente, si assiste a un restringimento delle
terre coltivate e a un calo della produzione, che provocò l'abbandono di numerosi villaggi e la
comparsa in molte regioni europee di frequenti carestie, che oltre a creare una sensibile
riduzione della popolazione, ne indebolì le difese immunitarie, rendendole così più esposte
alle epidemie. Il calo della popolazione fu drammaticamente accelerato da un evento
traumatico: la comparsa della peste nera. Il suo bacillo, insediato nel sangue dei ratti e

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trasmesso all'uomo dal morso delle pulci, si propagherà attraverso le rotte commerciali: dal
Mar Nero all'intero bacino del Mediterraneo e da qui al resto d'Europa. Venuta dall'Asia
centrale la peste nel 1346 raggiunse la colonia genovese di Caffa. Trasportato dalle navi
genovesi, il bacillo arrivò a Costantinopoli nel giugno del 1347, da qui si propagò in tutto il
Mediterraneo orientale e poi nelle città portuali del bacino occidentale, per finire il suo corso
in Russia nel 1352. Il ritmo del contagio fu velocissimo sia per la rapidità degli scambi e sia
per i bassi livelli d'igiene e per l'impotenza della medicina medievale. Dappertutto le perdite
umane furono rilevanti, sia nei centri urbani che nel e zone rurali, e da allora il morbo si
ripresentò periodicamente sino alla metà del 700. Insieme al vistoso calo della popolazione,
nelle pianure abbandonate si diffuse la malaria, che con il vaiolo divenne uno dei flagelli del
mondo mediterraneo. Alla fine del 14° secolo la popolazione europea era più che dimezzata
rispetto a cinquant'anni prima. Le conseguenze del contagio sul piano economico furono:
la perdita di manodopera che comportò una crisi delle campagne, oltre che uno spopolamento
dei villaggi. Sul piano sociale, invece, una parte della popolazione europea assunse un
comportamento spietato nei confronti degli ebrei, che furono identificati come i responsabili
della diffusione del contagio al fine di destabilizzare la società cristiana.
3. Pauperismo e rivolte sociali. Nella congiuntura Tre-Quattrocentesca si verificò la
pauperizzazione. La crisi alimentari e le carestie contribuirono a una crescente
proletarizzazione dei contadini, che nei momenti di difficoltà e soprattutto in seguito a cattivi
raccolti erano costretti a indebitarsi a favore dei prestatori. Nelle regioni montuose, la
popolazione, incapace di far fronte ai costi della produzione agricola e all'aumento
considerevole della pressione fiscale, cedeva ai centri urbani la proprietà delle terre e del
bestiame in cambio di denaro contante. Una delle conseguenze della crisi fu la migrazione
verso le città della popolazione rurale, ciò oltre a determinare un abbandono delle campagne
provocò un'eccedenza di manodopera, che nei periodi di crisi divenne una grave minaccia
per l'ordine sociale. Le autorità municipali per contenere il notevole afflusso di persone e
salvaguardare l'ordine pubblico, adottarono provvedimenti restrittivi in particolare nei
confronti di vagabondi e mendici, percepiti dalle classi agiate con orrore e timore. Allo stesso
tempo, tentarono una riorganizzazione delle loro strutture assistenziali, nella creazione dei
lazzaretti, di ospedali e di nuove istituzioni benefiche. Le lacerazioni interne della società
europea sfociarono in tutto il continente nelle frequenti agitazioni dei contadini e dei
lavoratori urbani impiegati nel settore manifatturiero, che a causa degli inasprimenti fiscali
si rifiutavano di pagare le imposte. Le sollevazioni, oltre a esprimere il malcontento delle
classi popolari e la loro ostilità contro nobili e mercanti, rivendicavano forme di
uguaglianza e di giustizia sociale. In alcune regioni le rivolte assunsero un carattere
particolarmente violento: incendi, assassini, saccheggi; estese rivolte sconvolsero la Francia.
4. La ripresa europea. Intorno alla metà del 400 le epidemie di peste si attenuarono non
tanto per le cure mediche, quanto per la migliore resistenza fisica degli uomini. Anche le
carestie furono meno frequenti, ma ben presto si diffusero nuove malattie epidemiche come la
sifilide e il tifo. In linea generale a partire da questo periodo grazie ai progressi delle tecniche
che favorirono l'incremento dei terreni messi a coltura e accrebbero le rese agricole, che
avviene una nuova espansione dell'economia europea. La maggior parte della forza lavoro
nelle campagne era ancora assorbita dall'allevamento. E ciò era legato allo sviluppo delle più
disparate forme di tessitura a base di lana. I centri più importanti dell'industria laniera erano
localizzati sin dal 12° e 13° secolo nella regione delle Fiandre e nell'Italia centrosettentrionale.
Le altre importanti produzioni industriali di tessuti, per esempio quella serica e cotoniera,
erano strettamente legate alle importazioni delle materie prime da parte delle città italiane.

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Questo tipo di produzione era, dunque, prevalentemente localizzata in Italia e da lì, a partire
dal Trecento, iniziò a diffondersi in altre aree: quella cotoniera nella Germania meridionale e
quella serica nella Francia sud orientale. La fabbricazione di panni lana più economici,
prese piede nel corso del Quattrocento in Inghilterra e nelle Fiandre. Nello stesso periodo
in Italia, fu incoraggiata la fabbricazione del fustagno, un tessuto ottenuto mescolando fili
di seta e cotone oppure di lana e cotone.
L'aumento della popolazione e della produzione, la maggiore richiesta di attrezzi di
lavoro e di utensili, l'invenzione di nuove macchine e i progressi tecnologici applicati alla
produzione bellica in seguito alla scoperta della polvere da sparo, ampliarono la domanda di
legname e minerali. La ripresa dell'attività estrattiva si registra in tutte le zone minerarie
europee e la stessa produzione metallurgica aumentò notevolmente. Il commercio di minerali
e di armi divenne una delle attività più lucrose del tempo. Per quanto riguarda il mercato
bisogna aggiungere che la produzione italiana era rivolta principalmente a soddisfare la
domanda locale, mentre la produzione fiamminga e tedesca era esportata in Inghilterra e
soprattutto in Spagna e Portogallo. L'altro prodotto, il legname, principale fonte di energia
termica era uno dei beni più richiesti dal mercato in questo periodo. Il suo uso, oltre che
per il riscaldamento, era necessario per alimentare le fonderie e le fornaci di molte attività
industriali, inoltre, risultava indispensabile per la cantieristica, per l'edilizia, per la costruzione
di mobili e di svariati attrezzi e macchinari. A causa della progressiva scarsità di legno, il suo
valore aumentò di ben cinque volte. L’aumentata richiesta di legname ebbe degli effetti di
rilievo anche sul piano ambientale. In molte regioni d'Europa gli alberi a crescita lenta furono
sostituiti da pini, larici e abeti a crescita più rapida. Il disboscamento provocò disastrose
conseguenze per i contadini che non trovavano di che nutrire il bestiame, sia per a mancanza
di ghiande e sia per il fitto tappeto di aghi, che rendeva sterile il sottobosco.
5. L'Europa delle città. Alla fine del 13° secolo l'Italia contava circa 10 milioni di
abitanti, presentava un alto tasso di urbanizzazione e le città più grandi del continente. Le
città più popolose del continente erano Genova, Milano, Venezia, Napoli e Firenze.
Nonostante la caduta demografica dovuta agli effetti della peste, le città riuscirono, rispetto
alle zone rurali a colmare più in fretta i vuoti demografici. Lo sviluppo urbano non era dovuto
a un saldo positivo tra natalità e mortalità bensì all'afflusso della popolazione rurale. Fu la
diversificazione degli investimenti e delle attività, la molteplicità delle funzioni ad attirare i
flussi migratori nei centri urbani. Alla fine del 400 la metà dei cittadini europei viveva ancora
negli spazi urbani dell'area mediterranea. Ma il nuovo sviluppo economico favorì la nascita di
altri insediamenti, spesso situati nei punti nevralgici degli scambi e della produzione. Le città
divennero, nel giro di pochi decenni, grandi centri di consumo, agglomerati in cui erano
scomparsi gli spazi agricoli sostituiti dalle costruzioni. Al loro interno s'insediarono
manifatture, banche, istituzioni amministrative e organismi politici e corporativi, nonché
strutture militari e giudiziarie. Le basi dell'economia cittadina poggiavano sulla produzione
manifatturiera e sulla distribuzione dei prodotti. L'abbondanza di manodopera, più o meno
specializzata, la progressiva suddivisione del lavoro, fornì ai mercati una varietà di prodotti in
grado di soddisfare i bisogni e i gusti di una clientela a sua volta sempre più diversificata. Si
creò in questo modo sia per l'aumento dei costi di produzione e sia per il raffinarsi delle
tecniche una produzione di merci di lusso destinata alle classi agiate. Le nuove politiche
finanziarie e l'espansione dei commerci avviarono dapprima nell'area mediterranea e poi nel
resto d'Europa, lo sviluppo di strumenti finanziari più duttili e la stessa tecnica economica
in area mediterranea conobbe notevoli progressi, basti ricordare la diffusione di manuali di

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mercatura, le assicurazioni, il progresso delle tecniche contabili e infine i nuovi tipi di società
commerciali.

CAPITOLO 2. LE ORIGINI DELLA MODERNITA’.


Il 1453 è la data della caduta di Costantinopoli e della fine dell’impero bizantino. Il
1492 è la data della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, ed è proprio nel
1492 che inizia l’età moderna. Un Mondo nuovo da conoscere e da conquistare, un Mondo
vecchio di cui si sono esplorate ed esaurite le potenzialità e che è opportuno, ancor prima che
abbandonare al suo destino periferico. L’impresa di Colombo ha alle spalle un Mediterraneo
che si va inesorabilmente ripiegando su sé stesso. La caduta di Costantinopoli però
rappresenta assai più della scoperta dell'America il momento in cui la modernità assume la
prima consapevolezza di sé stessa attraverso una lacerazione con l'Antico, un antico al quale
vengono sottratti gli spazi classici del suo consistere. Se la scoperta dell’America dà conto
dell'apertura della modernità colta nelle sue dimensioni di rinnovamento materiale; il tormento
del Moderno separato per sempre da una continuità con l'Antico prende corpo nel 1453.
La caduta di Costantinopoli sorprende la parte occidentale dell'Europa in una
delicatissima congiuntura di formazione. Per un verso, le giovani nazioni che qui stanno
emergendo dai bozzoli del sistema feudale hanno ancora da costruire le proprie radici.
Dall'altro, in virtù anche della emigrazione di intellettuali provenienti dall’impero bizantino,
l’Antichità si rovescia su questa Europa con tutta la forza del proprio discorso genealogico. Si
delinea, insomma, ancor prima del 1453 e poi dopo quell'evento, una eccezionale traslatio
imperii poco politica e assai più culturale e simbolica.
l'Occidente europeo non può che prendere atto di congedo luttuoso dall'Antico (fine
dell’unità mediterranea, fine materiale del mondo classico). Si aprono le condizioni per una
relazione diversa con l'Antico, per una Rinascenza. Il Rinascimento si propone come un luogo
di accoglienza europea della crisi che si era venuta a determinare nel Mediterraneo bizantino.
Quindi l’Occidente europeo recupera il testimone da un Oriente europeo inabissatosi nel
naufragio della città di Costantino, e in questo passaggio trova la sua legittimazione lungo
il continuum antico-moderno. Il Rinascimento, almeno per realtà come la Germania, le
Fiandre, la Francia, presuppone un azzeramento di ogni precedente scenario e attori. Ma
all’Europa spetta una missione impegnativa: assicurare che la fine dello spazio antico non
comporti la fine dello spazio mentale e culturale che su di esso si era per millenni
sovrimpresso. L’Italia è il luogo principe di questa traslazione. Sono, soprattutto, le sue
città che nel corso del 400 si affollano di letterati che la conquista ottomana allontana
dalle loro terre e obbliga a cercare altrove il posto, dove conservare il proprio sapere e
proseguire i propri studi. È qui che prende corpo quella straordinaria stagione di
riscoperta di testi, di discussioni e di nuove interpretazioni della tradizione che chiamiamo
Umanesimo. L’Italia diventa così protagonista della mediazione tra un Antico che muore nei
luoghi dove più a lungo era vissuto e un Moderno che nasce, rinascendo, da una separazione
violenta da quei luoghi e si dota, quindi, di nuove sedi di nuove capitali.

4. DA COSTANTINOPOLI A ISTANBUL.
1. Nuove realtà a Occidente. La tradizione spagnola esalta la Riconquista, che non fu
un'azione militare costante nel tempo, bensì un processo dinamico in cui si alternarono tensioni

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e incomprensioni a relazioni commerciali e a reciproci arricchimenti culturali tra i due


continenti. In un primo tempo la riscossa cristiana avvenne in forma di ripopolamento,
cioè attraverso la migrazione di popolazioni cristiane nei territori sottratti agli arabi e nelle
zone disabitate. Questo portò alla costituzione di una rete di nuovi abitati rurali, la cui difesa
prevedeva l'edificazione di torri di avvistamento, castelli e città fortificate. Rallentata ma non
interrotta dall'intervento degli Almoravidi e in seguito degli Almohadi, l'avanzata dei Regni
cristiani nella penisola iberica si sviluppò in modo inarrestabile a partire dalla fine del
12° secolo. Rispetto ai secoli precedenti essa divenne un'impresa religiosa, politica e militare,
a cui contribuirono il sostegno del papato e l'appoggio fornito da cavalieri e avventurieri
franchi, per cui la lotta contro i musulmani nella penisola iberica venne ad assumere lo stesso
valore delle imprese occidentali in Oriente. In seguito alla famosa battaglia di Las Navas de
Tolosa nel 1212, alla resa di Cordova nel 1236, di Cartagena nel 1245, di Cadice e Siviglia nel
1248 che consentivano al Regno di Castiglia uno sbocco atlantico e di sorvegliare lo stretto di
Gibilterra, la Riconquista poteva essere considerata un processo completato. In mano ai
musulmani restava solo l’emirato di Granada, mentre nello spazio iberico cristiano si erano
formati tre grandi entità politico-territoriali: Aragona, Portogallo e Castiglia,
estremamente bellicose tra loro e travagliate al loro interno dai contrasti fra la monarchia, le
aristocrazie terriere e i patriziati urbani.
La Corona d'Aragona fu la prima a mostrare le sue mire espansionistiche
mediterranee. Alla base della sua forza vi era la potenza militare degli Aragonesi e
l’intraprendenza economica dei Catalani, Barcellona rivaleggiava con Genova e Pisa per il
controllo dei traffici commerciali nel Mediterraneo occidentale. Così il territorio risultava
politicamente diviso: una regione a vocazione mercantile, che era Catalogna, e la regione
aragonese a carattere feudale che occupava le aride regioni interne, che fungevano da
hinterland agricolo e pastorizia. All’anarchia nei territori aragonesi corrispondeva
l’accentuato autonomismo della Catalogna, Nonostante la grave instabilità interna ad
allentare i dissidi fra la monarchia, la nobiltà e le oligarchie cittadine fu la politica di
espansione della Corona, le cui iniziative militari e diplomatiche nel Mediterraneo furono
sostenute dai mercanti catalani nel tentativo di rompere il monopolio commerciale italiano. In
seguito alla rivolta dei vespri siciliani nel 1282 gli Aragonesi si insediarono in Sicilia,
annessa al regno d’Aragona nel 1409; poi nel 1323 iniziarono l’occupazione della Sardegna.
L’azione della corona d’Aragona proseguì sulle coste tunisine e verso il Mediterraneo
orientale. La politica d'espansione aragonese si arrestò bruscamente in seguito alle ricorrenti
epidemie di peste che sconvolsero il paese nella seconda metà del 300. Tuttavia a mettere in
crisi l’economia del paese contribuì la crisi finanziaria che indebolì la posizione delle città e
fornì l’opportunità ai banchieri italiani di sostituirsi a quelli catalani nella concessione di
prestiti alla Corona. In particolare, Genova si insediò nei principali scali della penisola iberica
e nei territori legati alla Corona d’Aragona, cosa che gli permise di controllare il mercato dei
tessuti, delle spezie e dei cereali nel Mediterraneo occidentale. A far precipitare la situazione
contribuì anche la morte di Martino I nel 1410, che lasciò il trono senza eredi. Dopo 2 anni di
guerra civile, la successione alla Corona d’Aragona fu risolta con il compromesso di Caspe
nel 1412, dove i rappresentanti delle Cortes catalane e aragonesi stabilirono di affidare il regno
a Fernando de Antequerra appartenente alla dinastia castigliana dei Trastamara. Dopo la pace
con il vicino regno di Castiglia, firmata nel 1430 da Alfonso V detto il Magnanimo, le mire
espansionistiche aragonesi ritornarono a guardare al Mediterraneo. Nel 1442 Alfonso V
d'Aragona si impadronì del regno di Napoli ai danni degli Angioini, vi fissò la residenza e
ottenne la separazione del regno di Napoli dagli altri domini aragonesi. Così alla sua morte

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i regni iberici e le isole italiane passarono al fratello Giovanni II e la corona napoletana al


figlio Ferrante. Per l’oligarchia catalana il trasferimento di Alfonso nel regno di Napoli
simboleggiò la fine della collaborazione con la monarchia. Giovanni II non solo dovette
fronteggiare l’insurrezione di Barcellona e di tutta la regione catalana, ma dovette
difendersi dalle mire espansionistiche di Luigi XI, che pacificato il paese dopo la fine della
guerra dei Cento anni, approfittando della crisi aragonese, annesse alla Francia le contee
catalane di Cerdagna e del Rossiglione. Il nuovo re, Ferdinando il Cattolico assunse un
atteggiamento filo castigliano, che, anche grazie al suo matrimonio nel 1469 con la cugina
Isabella di Castiglia, imprimerà una svolta decisiva alla storia della penisola e a quella
dell’intero Mediterraneo.
2.Le aspirazioni portoghesi e castigliane. La storia del Portogallo tra la fine del 14° e
per tutto il 15° secolo fu in gran parte legata a quella del Mediterraneo. Da una parte, grazie
alla sua posizione geografica, il Portogallo diventò il trait d'union delle relazioni tra l'Atlantico
e il Mediterraneo; dall'altra esso si affermò come il primo paese che si mosse
all'esplorazione della costa atlantica africana dando vita a un impero coloniale. Alfonso
I riuscì a estendere a danno dei musulmani i confini del paese a sud sino al fiume Tago e alla
metà del 13° secolo, la conquista dell'Algarve, la regione meridionale del Portogallo
continentale, fu definitivamente completata da Alfonso III che portò la capitale del regno
lusitano da Coimbra a Lisbona. La prosperità e la forza del regno lusitano erano basate sulla
stretta alleanza tra la monarchia e gli elementi più dinamici della società e sulla sua
politica marittima. Tuttavia, fu solo dopo la salita al trono della dinastia degli Aviz che
l'espansione portoghese progredì. Grazie all'alleanza tra la Corona, la nobiltà e i mercanti
Giovanni I assicurò l'indipendenza del regno sconfiggendo i castigliani nella battaglia di
Aljubarrota nel 1385 e avviò una politica di conquista in Africa, proseguita dal suo terzogenito
Enrico, detto il Navigatore, che fu il principale artefice della potenza marittima del paese,
delle sue conquiste e delle sue esplorazioni. Cosmografo, matematico e cartografo, introdusse
una serie di miglioramenti nell'arte della navigazione e fondò la prima scuola navale al mondo.
I Portoghesi videro arrivare nei loro porti una straordinaria mescolanza dei prodotti
provenienti da nord Europa, dal Mediterraneo e dall'Oriente, ma anche di usi e tradizioni
marittime differenti, che fecero della capitale lusitana, alla metà del 15° secolo, uno dei più
importanti scali europei del commercio delle spezie e uno dei principali centri per la
costruzione di navi, infatti la cantieristica lusitana produsse un nuovo tipo di nave, la
caravella, che sarà poi alla base dell'espansione coloniale iberica. Inizialmente, l'azione
portoghese si estese al territorio africano (a discapito dei musulmani). Nel 1415 conquistarono
Ceuta, la città africana sullo stretto di Gibilterra, principale punto di smercio dell'oro e degli
schiavi africani. Tra il 1419 e il 1431 s'impossessarono degli arcipelaghi disabitati di Madera
e delle Azzorre, dove sfruttarono le risorse agricole delle isole e vi impiantarono alcune
colture, tra cui la vite e la canna da zucchero. Nel 1445 giunsero nell'arcipelago che formano
le isole di Capo Verde, nel 1471 s'insediarono a Tangeri, nel 1482 arrivarono alla foce del
Congo e, infine nel 1499 con la spedizione di Vasco de Gama raggiunsero il continente
indiano circumnavigando l'Africa.
Il Regno di Castiglia costituiva una potenza destinata a diventare una delle grandi
monarchie della cristianità e la principale protagonista del Mediterraneo sino alla metà del
Seicento, grazie alla vitalità dello sviluppo economico e sociale. Esso si era plasmato nel
continuo esercizio della guerra, dato che la Riconquista continuò sino alla fine del 400. In
questo processo la Chiesa castigliana assunse un ruolo significativo, perché il suo sostegno
sviluppò una particolare forma di cristianesimo militante che si tradusse nella creazione di

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tre ordini militari che univano gli ideali marziali a quelli religiosi. Ma il carattere bellicoso
della popolazione castigliana fece precipitare il paese, dalla fine del 200 alla seconda metà
del 300, nell'anarchia feudale e nella guerra civile. La monarchia non fu assolutamente in
grado di disciplinare la forte aristocrazia. Nel caos generale, culminato nella sollevazione
nobiliare contro Pietro il Crudele, le autorità locali crearono autonome organizzazioni di
difesa, che avevano il compito di proteggere le città e i villaggi sia dal banditismo contadino
sia dall'usurpazione delle terre comunali da parte dei nobili. Malgrado le violente guerre civili
l'economia castigliana si sviluppò in maniera significativa. Tra il 14° e il 15° secolo Castiglia
fu il primo produttore del continente di lana. La grande quantità di lana rappresentava una
notevole risorsa economica per lo sviluppo delle città, per i mercanti e per la monarchia, visto
che l'imposta sulla lana rappresentava una delle sue entrate più sicure. Nella sua parte
settentrionale fioriva un'economia mercantile aperta ai traffici commerciali atlantici con le
Fiandre, la Francia e i paesi nordici, invece, nella parte centro meridionale i vasti spazi
sottratti ai musulmani, permettevano la transumanza e la fioritura di una grande produzione di
lana. Accanto a un'industria manifatturiera e a specifiche produzioni cittadine (spade, sapone,
ceramiche), si realizzò un articolato sistema di scali commerciali e marittimi che andavano
da Cadice al porto di Palos sino a Siviglia. Questo tipo di attività avviò la nascita di nuovi
cantieri navali e permise ai castigliani di mettersi in diretta concorrenza con i portoghesi
nelle esplorazioni marittime. Agli inizi del 15° secolo nobili e marinai castigliani iniziarono
la loro avventura marittima con la conquista delle isole Canarie nel 1402. Di lì a qualche anno,
l'alleanza con la nobiltà stretta da Giovanni II segnò la definitiva supremazia nobiliare
all'interno del paese. Già in questo periodo alcune casate aristocratiche, come i Mendoza, gli
Enriquez e i Guzmàn, avevano acquisito un prestigio e una ricchezza smisurata, tanto da
riuscire a tenere sotto scacco la monarchia. Fu proprio la fazione aristocratica avversa a
Ernico IV che nel 1468 riuscì a imporre come erede legittima al trono di Castiglia, anziché
la figlia del sovrano, Giovanna, la sua sorellastra, Isabella, la quale, dopo aver sposato
segretamente nell'ottobre del 1469 il cugino Ferdinando, erede al trono di Aragona, alla
morte di Enrico nel 1474 si proclamò regina. Ma la fazione nobiliare anti aragonese,
sostenuta dal re del Portogallo, Alfonso V, incoraggiò Giovanna a rivendicare il trono
castigliano. La guerra che ne seguì devastò tutta la Castiglia. Solo nel 1479 Isabella con il
decisivo aiuto del marito riuscì a portare sotto il suo controllo il paese rivelandosi una donna
di grande fermezza e coraggio.
3. L'avanzata turca. Nel corso del 14° e del 15° si affermò una grande potenza
musulmana nel Mediterraneo orientale: quella dei turchi ottomani. In Anatolia sorsero una
miriade di emirati, tra questi quello dei turchi ottomani, una tribù convertitasi all'Islam e
stimata per le sue capacità guerriere. Le uniche notizie riguardo a questa tribù risalgono al
luglio,1302 quando il fondatore della dinastia, Osman o Otman I sconfisse sulle rive del Mar
di Marmara una compagnia d'armi bizantina. Dopo quella vittoriosa battaglia, gli Ottomani
poco a poco avanzarono dapprima nella penisola anatolica e da lì a qualche decennio in
quella balcanica, a spese egli emirati anatolici e dei Bizantini. Nel 1326, sotto la guida di
Orhan, figlio di Otman, i turchi conquistarono Bursa che ne divenne la capitale, nel 1331
s'impossessarono di Nicea, nel 1337 entravano a Nicomedia, infine, nel 1354, erigevano una
propria piazzaforte a Gallipoli sulla riva europea dello Stretto dei Dardanelli, dando inizio
così alla loro espansione nei Balcani. Due anni dopo, Orhan, per suffragare le sue pretese
sull'Impero bizantino, sposò la principessa Teodora, figlia di Giovanni VI, coimperatore
bizantino. L'impero bizantino, minato dalle guerre civili per le contese dinastiche, era
allora in piena decadenza e non era più in grado di difendere i territori balcanici. Gli

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Ottomani approfittarono di tale anarchia per insediarsi stabilmente nella Tracia, e nel 1362
s'impadronirono di Adrianopoli, e lì vi stabilirono nel 1365 la sede del comando militare.
Animati dagli ideali della guerra santa e decisi a estendere il loro dominio sull’intera regione,
nel giro di pochi decenni ne assoggettarono la popolazione cristiana. In assenza di
qualunque reazione da parte dei Bizantini, furono le popolazioni balcaniche (Serbi, Bulgari,
Bosniaci e 'Albanesi) che tentarono di unire le loro forze per fermare l'avanzata turca verso
il Danubio e l'Adriatico. Nel 1389 la principale potenza balcanica, il Regno di Serbia, e i suoi
alleati furono sconfitti dal sultano ottomano nella feroce battaglia del Kosovo, nella quale
perirono sia il capo delle milizie cristiane, sia il vincitore, Murad I. Malgrado la morte del
sultano, grazie all'intraprendenza del suo successore Bayazed I, sopranominato 'la Folgore' per
la rapidità con la quale eseguiva le sue operazioni militari, furono avviate una serie di
operazioni militari in Rumelia (la parte europea sotto il dominio bizantino) allo scopo di
rafforzare le posizioni turche in Europa orientale. Fu conquistata la Tessaglia e invasa la Morea
e nel 1394 i turchi con 10 mila soldati tentarono un primo assedio a Costantinopoli. Per
fronteggiare il pericolo islamico il nuovo re magiaro, Sigismondo di Lussemburgo, appoggiato
da Bonifacio IX, si fece promotore di una nuova crociata con l'obiettivo di liberare
Costantinopoli. Nello scontro che ne seguì a Nicopoli nel 1396, i crociati subirono una
grave disfatta e l'occupazione ottomana della Bulgaria fu definitivamente consolidata. A
distanza di un secolo, gli Ottomani, grazie alla loro intraprendenza militare, avevano di fatto
già raggiunto l'unificazione della penisola anatolica e di buona parte di quella balcanica.
4. La presa di Costantinopoli. L'avanzata ottomana fu temporaneamente interrotta
dall'incursione in Asia Minore di un sovrano mongolo Timur lo Zoppo, conosciuto in
occidente col nome Tamerlano, che a capo di un potente esercito, dopo aver sottomesso la
Persia, l'Armenia e la Mesopotamia, nel 1402 sconfisse per la prima volta i turchi nei pressi
di Ankara, occupò e incendiò Bursa e catturò Bayazed che morì l'anno successivo durante
la prigionia. L'improvvisa scomparsa di Tamerlano nel 1405 e la sterile controffensiva
dell'imperatore bizantino, Manuele II Paleologo, che invece di approfittare della
momentanea debolezza dei turchi si accontentò di stipulare con essi un trattato di non
belligeranza di dare in sposa sua figlia a uno dei figli di Bayazed, permisero agli Ottomani di
riprendere la propria offensiva. Dopo un decennio di lotte intestine tra i quattro figli di
Bayazed, l'unità dell'impero fu restaurata nel 1413 dal suo secondogenito Maometto I. Il
nuovo sultano promosse un'azione militare tesa a ristabilire l'unità e la pacificazione del regno,
gravemente minato dalle ribellioni popolari. Alla sua morte il figlio Murad II sottomise i
regni anatolici e dopo aver trovato un’intesa con Venezia a cui assicurò la libera
circolazione di uomini e merci in tutte le terre dell'Impero ottomano, riprese l'offensiva
contro Bisanzio, a cui sottrasse la città di Salonicco, e infine ristabilì il dominio ottomano
nella penisola balcanica sconfiggendo l'esercito ungherese dapprima nel 1444 a Varna e poi
nel 1 448nel Kosovo. Con il procedere delle conquiste, le risorse economiche e la forza
dello Stato ottomano si accrescevano. Davanti a questo progressivo accerchiamento
ottomano, i Bizantini, che ormai controllavano solo Costantinopoli, provarono a ritrovare il
carattere originario della loro eredità ellenica. L'imperatore Manuele, dopo essersi recato in
Occidente, dove si faceva sempre più forte e diffuso l'interesse per le antichità greche, fondò
l'Università di Costantinopoli, il Museo universale e promosse la costruzione di edifici sacri
dentro il solco della tradizione bizantina. Inoltre, gli sforzi per realizzare l'unione tra la
chiesa cattolica e quella ortodossa, teoricamente proclamata dal concilio di Firenze nel
1439, allo scopo di unire le forze cristiane contro il nemico musulmano, s'infransero
soprattutto di fronte alla resistenza del clero e del popolo ortodosso avverso all'unione con la

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Chiesa cattolica. A capo di un'armata di circa 150 mila uomini il 29 maggio 1453 dopo quasi
2 mesi di assedio, Maometto II, noto come il Conquistatore, s'impossessò della città che
divenne, sotto il nome di Istanbul, la nuova capitale dell'impero ottomano. Durante la
battaglia finale i Bizantini e i loro alleati, veneziani e genovesi, furono massacrati e lo
stesso imperatore morì combattendo. Dopo la vittoria, la città, secondo l'uso islamico, fu
saccheggiata per tre giorni e la basilica di Santa Sofia fu convertita in moschea e divenne il
centro religioso della capitale. Con la conquista di Costantinopoli gli Ottomani si
insediarono stabilmente nel Mediterraneo ed estesero la loro egemonia sul Mar Nero. La
città, sotto il loro dominio, fu ristrutturata e arricchita di nuove opere architettoniche,
rinnovando così l'antica tradizione di città cosmopolita. Istanbul, per oltre due secoli, restò
il centro più fiorente del Mediterraneo. (Gli Ottomani riuscirono a conquistarla grazie al
quasi totale disinteresse europeo per la sua sorte, ma, paradossalmente, vi riuscirono per i
progressi tecnologici occidentali nella fabbricazione di armi.)
5. Conseguenze politiche e culturali. La notizia della caduta di Costantinopoli giunse a
Venezia esattamente mese dopo, il 29 giugno 1453, e da lì rimbalzò rapidamente in tutte le
corti europee. L’ondata di panico e l'enorme impressione che il fatto provocò in tutt'Europa
segnò profondamente la successiva storia del Mediterraneo. La conquista di Costantinopoli
non solo aveva messo fine alla civiltà bizantina e aveva consacrato la vittoria dell'Islam sul
mondo cristiano, inserendo violentemente gli Ottomani nella dinamica geopolitica europea,
ma aveva fatto affiorare per la prima volta negli animi delle popolazioni cristiane la grande
paura del turco. L'eredità della Chiesa bizantina passò nelle mani di Mosca 'la terza
Roma', e indusse il suo principe, Ivan III il Grande, sposo nel 1472 di una principessa
bizantina della dinastia dei Paleologi, a farsi carico, dopo essersi proclamato Zar, della
creazione di un grande Stato cristiano che raccogliesse l'eredità di Roma e di
Costantinopoli. Sul piano politico una delle prime conseguenze che ebbe la conquista
ottomana di Costantinopoli fu l'accelerazione del processo di pacificazione tra Francia e
Inghilterra e all'interno degli Stati territoriali italiani e, mentre su quello militare ci fu la
vigorosa ripresa della Riconquista a opera dei Castigliani, che prima con Enrico IV e poi
sotto Isabella ripresero la guerra contro Granada. Venezia, Genova, Ragusa e Firenze
stipularono trattati di pace e di amicizia col sultano, il quale in cambio di un tributo
assicurò ancora alle loro navi il diritto di commerciare. Dopo la presa di Costantinopoli,
Maometto II condusse personalmente una serie di campagne militari sulle coste del Mar Nero,
che portarono all'occupazione delle colonie veneziane e genovesi, del principato dei Comneni
di Trebisonda (1461) e alla sottomissione del Khanato dei Tatari in Crimea (1475). Allo
stesso tempo rafforzò il dominio ottomano in Anatolia centrale e orientale, infine, nel giro di
pochi decenni completò la conquista dei territori greci e balcanici. Anche Venezia, in
seguito allo scontro con i turchi per il controllo del Peloponneso, subì sensibili perdite
territoriali: nel 1470 dovette cedere agli Ottomani la regione del Negroponte e alcune basi
commerciali disseminate nel Mar Egeo e nello Ionio. Ma la Serenissima, grazie al matrimonio
di Caterina Cornaro con uno degli ultimi sovrani latini in Oriente, Giacomo II di Lusignano,
nel 1489 riuscì a imporre il proprio dominio sull'isola di Cipro, il cui prestigio, oltre che per
la sua posizione geografica, derivava dalla produzione di sale, di zucchero e di cotone.
L'offensiva ottomana continuò verso la Dalmazia e il Friuli, quasi alle porte di Venezia e
nel 1480 i turchi misero piede in Italia a Otranto. Le conquiste compiute da Maometto II
furono consolidate dal figlio Bayazed II che dovette affrontare un secondo conflitto con
Venezia (1499-1503). La successiva pace firmata con i veneziani a Istanbul permise al sultano
di concentrarsi sui problemi interni all'Impero e di allestire una potente flotta navale. Di lì a

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qualche decennio i turchi riuscirono a costruire una potente flotta capace di tenere testa
alle prestigiose marinerie occidentali.

5. L’EUROPA TRA ATLANTICO E MEDITERRANEO.


1. I mutamenti dinastici e politici. Per valutare appieno i cambiamenti avvenuti negli
assetti mediterranei, conviene soffermarsi sugli avvenimenti dinastici e politici che si vennero
a determinare in Europa dopo la caduta di Costantinopoli.
Francia e Inghilterra, nel 1453, posero fine alla Guerra dei Cento Anni, che aveva
logorato e dissestato le risorse dei due regni. L'Inghilterra ne uscì indebolita e dovette
rinunciare a tutti i possessi sul suolo francese a eccezione del porto di Calais sulla Manica.
I decenni successivi furono segnati dalla furiosa rivalità dinastica tra la casa di Lancaster e
di York, che la precipitarono in una guerra civile, la cosiddetta Guerra delle due Rose
(1453-1485), che si concluse con l'affermazione di una nuova dinastia inaugurata da Enrico
VII Tudor. La Francia invece uscì vincitrice e seppe creare premesse per la nascita di una
moderna e forte entità nazionale. L'estinzione della casa d'Angiò e la rovinosa sconfitta nel
1477 del potente duca di Borgogna, Carlo il Temerario, signore dei Paesi Bassi e principale
rivale della monarchia francese, permisero a Luigi XI di Valois di porre sotto il suo diretto
dominio gran parte dell'attuale territorio francese e avviare nel paese una serie di riforme
finanziarie, amministrative e militari. Il processo di unificazione territoriale fu concluso dal
suo successore Carlo VIII, che col matrimonio con Anna di Bretagna, ricongiungeva ai suoi
domini l'ultimo dei grandi feudi francesi. La riorganizzazione politica e amministrativa
della Francia comportò anche una riorganizzazione del sistema tributario, nessun regno
risultava così prospero e organizzato come quello francese. Alla fine del Quattrocento il paese
transalpino risultava il territorio più popolato d'Europa con Oltre sedici milioni di abitanti; la
sua prospera agricoltura soddisfaceva la domanda interna e permetteva riesportazione di
vino, di tele di canapa e di altri prodotti che compensavano le importazioni specialmente dei
prodotti tessili provenienti dall'Italia e dalle Fiandre. Inoltre stretto legame con i banchieri
fiorentini, che avevano una filiale a Lione, garantiva ai sovrani francesi di attingere a prestiti
e finanziamenti in caso di necessità. Furono le accresciute entrate demaniali e patrimoniali
e l'introduzione di una tassa ordinaria, che consentirono ai monarchi francesi di riorganizzare
in, maniera efficiente il territorio del Regno, di affrontare i pesanti costi delle guerre e di
arruolare nelle file dell'esercito le famose fanterie svizzere. Per raggiungere questo scopo i re
francesi fecero ricorso a tre strumenti: l'appalto della riscossione delle entrate regie, il
prestito pubblico e la vendita delle cariche, tanto che alla tradizionale nobiltà di spada, ben
presto si affiancò la nobiltà degli uffici. Si veniva così formando uno Stato fondato
sull'egemonia politica della monarchia sull'aristocrazia e sulla Chiesa francese, sulla
disponibilità di un esercito permanente e sulla presenza di un forte apparato amministrativo.
Nel cuore dell'Europa, invece, la frammentazione dell'impero germanico aveva
portato alla costituzione di una serie di principati territoriali, tra i quali emerse il ducato
d'Austria, i cui principi, gli Asburgo, abilissimi diplomatici e famosi per la scaltrezza con cui
sapevano trarre vantaggi dalle proprie politiche matrimoniali, sin dal 1437 avevano avuto la
corona imperiale, anche se ormai il titolo era privo d'importanza politica. Ai margini del
nascente Stato austriaco, nella parte orientale si erano formati il Regno di Boemia, quello
della Polonia, e il Regno di Ungheria, ultimo baluardo cristiano confinante con la potenza
ottomana. Con l'ascesa al trono di Massimiliano I si accentrò nelle mani della casa d'Asburgo
un enorme potere territoriale: ai domini austriaci, in seguito al matrimonio di Massimiliano
con Maria di Borgogna, la figlia di Carlo il Temerario, si aggiunsero il possesso delle

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Fiandre, della Franca Contea e dei Paesi Bassi, cosa che da parte accentuò il carattere plurale
dei domini asburgici, dall'altra fece degli Asburgo gli eredi dell'antica rivalità tra la casa
di Borgogna e la Francia. Questo nuovo scenario politico doveva far sì che per lo Stato
austriaco erano considerati potenziali alleati tutti i nemici della Francia e quindi furono cercate
intese diplomatiche e militari in primo luogo con i sovrani spagnoli.
2. L'unione delle 2 corone. Con il matrimonio tra Isabella di Castiglia e Ferdinando
d'Aragona, salì al trono Ferdinando al posto di suo padre nel 1479. I conflitti e le tensioni
sociali che avevano agitato sino a quel momento i due regni iberici, sotto i Re Cattolici furono
in gran parte risolti e cominciarono ad affermarsi i principi della monarchia assoluta.
Isabella e Ferdinando si trovarono di fronte un paese politicamente ancora da unificare: ognuna
delle due parti conservava la propria lingua, castigliano e catalano, le proprie istituzioni, i
propri costumi e un proprio ordinamento giuridico e costituzionale. Tuttavia, sebbene non vi
fu la fusione dei due Regni in un solo dominio, questo non significò che l'Aragona fosse
subordinata alla Castiglia o viceversa. Gli interessi delle due parti furono complementari. La
Castiglia si trovarono impegnati negli interessi mediterranei aragonesi, e questi ultimi
fornirono ai Castigliani la propria esperienza commerciale, politica e amministrativa in modo
tale da assicurare alla Spagna intera la conquista di un nuovo impero. Inizialmente l'azione
della Corona fu diretta principalmente al rafforzamento dell'unità religiosa del paese.
Così come avvenne in Francia, anche in Spagna 'organizzazione ecclesiastica fu posta sotto
il controllo monarchico. Ma la difesa della cristianità scaturita dalla secolare crociata contro
i musulmani, legò in maniera indissolubile la monarchia alla Chiesa, e fece maturare nel paese
una diffusa intolleranza nei confronti di ebrei e musulmani. Per preservare nel paese la purezza
della fede, i sovrani già nel 1478 ottennero il permesso di istituire un tribunale
dell'Inquisizione. Il tribunale, famoso per il macabro spettacolo degli atti di fede e per
l'intransigenza del suo primo inquisitore generale il domenicano Tomàs de Toquemada, tra i
suoi compiti principali oltre a giudicare sui delitti di varia natura (stregoneria, assassinio,
poligamia, sodomia) prevedeva la repressione di minoranze religiose e nel caso di nuovi
adepti al cristianesimo accertare la sincerità della loro conversione. L'azione inquisitoriale fino
ai primi decenni del 500 fu rivolta prevalentemente contro musulmani ed ebrei convertiti al
cristianesimo. In questo modo l'inquisizione divenne un potente sistema di repressione e si
rivelò un formidabile strumento politico in mano alla monarchia per cementare il suo legame
con la borghesia castigliana ed aragonese.
Un altro mezzo per unire la Spagna fu la vigorosa ripresa della Riconquista. Le
ambizioni della nobiltà furono abilmente dirette dai sovrani contro l’ultimo residuo della
dominazione musulmana nella penisola. Il 2 gennaio del 1492, dopo 12 anni di logoranti
operazioni militari, il regno di Granada capitolò. L’emiro e i musulmani furono esiliati in
Africa settentrionale. Era la fine della lunga Reconquista durata oltre 7 secoli. Inoltre il 31
marzo 1492 vi fu il regio decreto di espulsione dal paese di oltre 100 mila ebrei, la cui
importanza per l'economia e la società iberica era tutt'altro che marginale viste le loro
conoscenze tecniche e i mezzi finanziari di cui disponevano.
Temendo una collusione tra i mussulmani africani e quelli ancora residenti in Andalusia,
gli spagnoli avviarono la costruzione di linee di difesa lungo la costa andalusa e allo stesso
tempo adottarono verso la popolazione moresca una politica di tolleranza e di pacifica
convivenza, che prevedeva per i musulmani che non si fossero convertiti al cristianesimo di
professare liberamente la loro religione. Ma sotto la spinta di Francisco Jimenez di Cisneros,
il fanatico arcivescovo di Toledo, fu lanciata una campagna di conversioni forzate e di
battesimi di massa. Tale azione se da una parte portò alla conversione di migliaia di mori,

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dall'altra fomentò una violenta ribellione nella regione dove risiedevano la maggior parte dei
musulmani. Dopo aver soffocato la rivolta, nel 1502 fu emanato un bando che decretava
l'espulsione dal suolo spagnolo di tutti coloro che non si fossero convertiti al cattolicesimo. La
Spagna tornava a essere cristiana, ma l'esigenza di garantire la sicurezza del paese da ogni
possibile tentativo di riscossa musulmana o ebrea, rinvigorì lo spirito di conquista dei
castigliani.
3. L'Italia nella seconda metà del 400. La formazione di 3 importanti entità statali quali
Spagna, Francia e Impero Ottomano, mutò l'intero equilibrio mediterraneo ed europeo. Se i
turchi rivolgevano la propria spinta espansionistica verso l’Europa balcanica e il Vicino
Oriente, la monarchia francese e quella spagnola guardavano alla penisola italiana. Alla
fine del 400 il centro della vita culturale europea e del commercio mediterraneo rimaneva
ancora ben saldo in Italia. Ma se da un lato la penisola produsse l'Umanesimo e il
Rinascimento, dall'altro non fu possibile creare un’entità statale moderna (a causa dell’assenza
di una forza egemonica capace di imporre un processo unitario) dai caratteri e dalle dimensioni
della Francia o della Spagna. Agli inizi del XV secolo l'Italia si presentava frammentata in
una serie di Stati (caratterizzati da ricorrenti rivolgimenti politici interni e opposizioni
reciproche nel tentativo di espandere il proprio territorio), ma in seguito alla pace di Lodi nel
1454 si ebbe un assestamento della geografia politica peninsulare. Gli Stati maggiori erano
cinque: la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano nella parte settentrionale, la
Repubblica di Firenze e lo Stato della Chiesa al centro e infine il Regno di Napoli nella
parte meridionale. Pertanto il sistema di equilibrio italiana raggiunto a Lodi, si reggeva sulla
difesa della propria autonomia da parte dei singoli Stati. Questo risultato fu possibile grazie
anche all'accorta politica diplomatica attuata da Lorenzo il Magnifico che in occasione della
crisi tra Firenze e il papato (1478-1480) o nella successiva guerra di Ferrara (1482-1484) in
cui furono coinvolti tutti i maggiori Stati peninsulari e rischiò il coinvolgimento di francesi e
di turchi sollecitati a intervenire dai veneziani, seppe circoscrivere qualunque incidente che
potesse alterare il fragile equilibrio politico italiano. Tuttavia l'equilibrio della penisola si
reggeva principalmente sulla forza di due Stati, uno a nord, quello di Milano, passato nel
1450 dalla dinastia dei Visconti a quella degli Sforza, ricco di risorse agricole, dotato di
un'industria assai prospera e di una invidiabile posizione geografica da cui controllava i passi
alpini, l’altro a sud: il Regno di Napoli che si estendeva su tutto il Mezzogiorno continentale,
i cui prodotti, vino, olio e grano oltre a mantenere attive le transazioni commerciali con i
mercanti veneziani, genovesi e toscani, attirarono continue incursioni sulle sue coste da parte
delle marinerie musulmane. Alfonso V il Magnanimo, come si visto dopo la conquista del
Regno di Napoli, aveva eletto la sua residenza nella capitale e aveva disposto che la Corona
meridionale si staccasse dal ramo spagnolo, designando come suo erede al trono napoletano il
figlio naturale Ferrante. Le riforme promosse prima dal Magnanimo e poi proseguite dal figlio
portarono a un rafforzamento del governo centrale a discapito della feudalità e
provocarono il malcontento dei potenti signori che culminò nella Congiura dei baroni (1485-
1486), appoggiata dal papa Innocenzo VIII favorevole a un'estromissione degli Aragonesi da
Napoli e all'insediamento di una dinastia francese. La ribellione stroncata ferocemente da
Ferrante con l'aiuto militare e diplomatico di Ferdinando il Cattolico, che riteneva
indispensabile la presenza aragonese a Napoli per la sua politica di espansione mediterranea.
4. Spagna e Francia sul Mediterraneo. Fu il sovrano francese, Carlo VIII, a dare inizio
nella primavera del 1494 a un ciclo di lunghe e terribili guerre che iniziate in Italia si estesero
poi a tutto il continente. Sollecitato dal signore di Milano Ludovico Sforza detto il Moro,
il monarca francese nella primavera del 1494, dopo essersi assicurato la neutralità di

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Inghilterra, Spagna e degli Asburgo, oltrepassò le Alpi orientali alla testa di un esercito di circa
65.000 uomini. Accolto dalle popolazioni italiane come un liberatore dalle tirannie signorili,
nel febbraio del 1495 entrava in Napoli, mentre il nuovo re aragonese, Ferdinando II
scappava in Sicilia. A rendere la sua impresa quasi una passeggiata trionfale non fu la sua
forza militare, ma la debolezza degli Stati italiani. Accanto agli interessi dinastici del re erano
rappresentate le aspirazioni dei nuovi ceti imprenditoriali francesi che intendevano affermarsi
nei mercati del Levante. La sua, però, fu una conquista di breve durata. Ludovico il Moro,
duca di Milano, fu il primo a organizzare una coalizione antifrancese, un'alleanza alla quale
erano interessati Milano, Venezia, lo stesso Stato della Chiesa ma anche la Spagna e
l'imperatore Massimiliano di Asburgo. Il 31 marzo 1495 a Venezia veniva firmata l'intesa.
Ormai il fragile equilibrio italiano era spezzato e la situazione sfuggiva di mano ai suoi
principali protagonisti. Il ritorno in patria dei francesi fu affrettato dallo sbarco in
Calabria degli spagnoli e dalla comparsa della flotta veneziana lungo le coste pugliesi.
Lasciata una parte dell’esercito a presidiare la capitale, Carlo partì da Napoli il 20 maggio
1495 e sulla via del ritorno, nel mese di luglio, fu affrontato dalla coalizione antifrancese a
Fornovo nei pressi di Parma. La battaglia non fu risolutiva e il teatro di guerra si spostò nel
Novarese. La pace separata di Ludovico il Moro con i francesi consentì una tregua del
conflitto impegnando Milano ad appoggiare un'eventuale nuova discesa dell'esercito
francese in Italia. Solo nel gennaio dell'anno successivo il Regno di Napoli ritornò
temporaneamente nelle mani degli aragonesi. Tra i vincitori di tutta la partita giocatasi alla
fine del secolo emergeva il re aragonese, Ferdinando il Cattolico. Fu sua la proposta di una
tregua e di un condominio franco-ispano nella penisola, destinato a concretizzarsi nel 1504
con il trattato di Blois, quando sul trono di Francia sedeva Luigi XII d'Orleans. L'accordo tra
i due principali contendenti stabilì la divisione. della penisola: il Regno di Napoli era
assegnato alla Spagna, il ducato di Milano alla Francia. La tregua raggiunta in Italia
permise alle forze spagnole di fronteggiare con maggior vigore il pericolo che proveniva
dall'Africa settentrionale. La continua attività corsara proveniente dalle coste nordafricane,
dove si erano rifugiati molti musulmani esuli dalla penisola iberica, obbligò la Spagna alla
progressiva conquista di una serie di basi sulle coste del Maghreb. Una decisiva azione di
conquista del suolo africano fu intensificata solo dopo rivolta dei moriscos del 1499, che
risvegliò nei Castigliani il loro fervente spirito crociato e dopo la scomparsa di Isabella (1504).
Una prima spedizione militare occupò il porto di Mers el Kebir (1505), poi fu la volta della
città di Orano (1509), e infine della colta e ricca Bugia e di Tripoli (1510) importante capolinea
mediterraneo dei traffici transahariani. Unico insuccesso spagnolo fu quello subito davanti
l'isola di Gera nel 1511. Ferdinando ritenne il teatro africano sempre meno importante di
quello italiano sia perché considerava il Mezzogiorno d'Italia un possedimento aragonese e
sia per l'importanza economica. Le spedizioni militari in Africa furono essenzialmente
condotte per difendere la Spagna da possibili attacchi moreschi e per preservarla da intese tra
i musulmani spagnoli e quelli nord africani. Questo mancato controllo territoriale non solo
permise alle popolazioni maghrebine di riorganizzarsi e rintuzzare gli attacchi spagnoli, ma
ben presto favorì la penetrazione ottomana su tutto il litorale africano.
5. Venezia e la sua crisi. Approfittando degli impegni veneziani nelle guerre d'Italia,
Bayazed II nell'agosto del 1499 attaccava i possedimenti veneziani nel golfo di Corinto e
sulle coste del Peloponneso, spingendo di nuovo le sue armate sino in Friuli e in Carinzia. Alla
fine del conflitto terminato nel 1503, che aveva visto la partecipazione in soccorso di
Venezia di una flotta francese e spagnola, e nonostante i vantaggi commerciali rinnovati
dalla porta ai veneziani nei traffici levantini, Venezia dovette abbandonare Corone, Modone,

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Lepanto e Durazzo e, così, quasi tutta la penisola greca era in mano ottomana. La sconfitta
subita dalla Serenissima pose fine al mito dell'invincibilità delle sue galee e segnò
l'arresto dell'espansione veneziana nel Mediterraneo orientale. Per contenere la pressione
ottomana sui domini veneziani in Levante, bisognava mantenere con la Porta buoni rapporti e
assumere un atteggiamento conciliante, sia per salvaguardare i propri interessi
commerciali e sia per conservare quello che ancora restava del suo vasto impero coloniale;
ma allo stesso tempo era, altresì, chiaro che occorreva investire maggiori risorse ed energie
in Italia. Conquista della Terraferma era necessaria per rafforzare gli interessi marittimi, per
tutelare le vie dei traffici e per impedire la formazione di uno Stato potente in prossimità della
laguna. Le guerre d'Italia e il nuovo corso della politica veneziana nel Levante tesa al
mantenimento delle posizioni raggiunte, comportarono un indebolimento della Repubblica
e avviarono una lenta trasformazione delle sue strutture economiche e politiche che ebbero
profonde ripercussioni all'interno della società e dell'oligarchia lagunare. Sino a quel momento
il patriziato veneziano era composto per lo più da armatori e mercanti legati alle attività
d'oltremare, cosa che la rese immune dalle guerre interne che agitavano gli altri regni della
penisola, ma verso la fine del Quattrocento cominciò a prendere corpo un'aristocrazia
fondiaria, maggiormente interessata ai domini sulla Terraferma. La politica veneziana per
forza di cose si orientò sempre di più verso le vicende italiane, nei primi anni del lungo
conflitto solo Venezia tra gli Stati peninsulari aveva ricavato consistenti aumenti
territoriali, giungendo proprio in quel periodo alla sua massima estensione e risultando di
fatto la potenza egemone. Ma le aspirazioni veneziane di espandersi verso la Lombardia, il
centro strategico dell'Italia settentrionale, e in direzione della Romagna, tradizionale mercato
per la Serenissima di approvigionamento di grano, canapa e soldati, furono bloccate dalla
formazione di una nuova lega di Stati in funzione anti veneziana, promossa da Giulio II
desideroso di riconquistare i possedimenti romagnoli ed estendere l'egemonia papale sulla
penisola. Il piano, stipulato in segreto a Cambrai (1508) tra Luigi XII, Massimiliano
d'Asburgo e Ferdinando il Cattolico, prevedeva l'annientamento e la spartizione dei
domini veneti tra i partecipanti della lega. La disfatta per Venezia fu inevitabile e nel 1509
le sue truppe, composte anche da un corpo di soldati bosniaci e turchi inviati in soccorso di
Venezia dal sultano Bayazed II, furono sconfitte ad Agnadello, in una delle più cruente e
sanguinose battaglie combattute durante il cosiddetto periodo delle guerre d’Italia. In seguito
alla sconfitta di Venezia, i francesi occuparono i territori lombardi mentre il pontefice
riprese quelli romagnoli. Sebbene la città lagunare recuperò una parte dei propri
territori e conservò le città venete, da quel momento dovette limitare le sue ambizioni sulla
terraferma italiana. Nel frattempo i contrasti sorti tra il pontefice e il monarca francese
portarono alla frantumazione della lega di Cambrai e alla formazione nel 1511 di una nuova
coalizione (Lega Santa) questa volta in funzione antifrancese, a cui aderirono Venezia, la
Spagna, l'Inghilterra e la potenza militare della Svizzera. I francesi nel giugno 1512 furono
costretti alla ritirata dalle fanterie svizzere e 'cosi le forze della Lega Santa riuscirono ad
allontanare temporaneamente i francesi dall'Italia. Il Ducato di Milano ritornava agli
Sforza, ma sotto la protezione delle armi svizzere, la Repubblica di Firenze fu assegnata ai
Medici. Alla preminenza francese in Italia si sostituiva quella iberica. La situazione mutò
nuovamente tre anni dopo, con l'avvento sul trono di Francia di Francesco I nel 1515, nipote
di Luigi XII. Egli si adoperò a pacificarsi con la Spagna e con il nuovo papa, Leone X, figlio
di Lorenzo de Medici, dopodiché ritentò e con successo la conquista del Ducato di Milano,
il cui controllo risultava essenziale per la Francia. A capo di una impressionante armata nel
settembre dello stesso anno sbaragliò a Marignano, con il decisivo supporto veneziano, le

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truppe dell'ennesima lega antifrancese, questa volta formata dal Ducato di Milano,
dall'Imperatore e dagli Svizzeri, che nella loro ritirata occuparono l'alta valle del Ticino
(l'attuale Canton Ticino). La pace di Noyon nel 1516 se da un lato sancì una momentanea
egemonia francese in Italia, dall'altro attestò il definitivo dominio delle potenze straniere
in Italia: Milano restava alla Francia, Napoli alla Spagna, Venezia recuperava parte dei
territori perduti nel 1509; Leone X restituiva al Ducato di Milano le città di Parma e Piacenza,
ma otteneva in cambio che la sua famiglia a Firenze potesse contare sull'appoggio francese.
Allo stesso tempo fu ratificato tra il papa e il monarca transalpino un concordato che concedeva
al re ampia libertà nella scelta dei vescovi francesi e nel conferimento dei benefici ecclesiastici.
Sembrava assicurata la pace, ma all'improvviso il paesaggio politico europeo fu di nuovo
sconvolto: la morte di Ferdinando d'Aragona nel 1516, dell'imperatore Massimiliano
d'Asburgo (1519) e del sultano Selim I (1520) crearono una situazione del tutto nuova. Le
alleanze matrimoniali e gli incastri dinastici europei fecero spuntare un giovanissimo
protagonista, Carlo d'Asburgo, che fece ben presto mutare l'intero scenario del continente.

CAPITOLO 3. IL MEDITERRANEO DIVISO.


Lo scontro di Lepanto, benché debba ritenersi la più grande battaglia navale del secolo,
ebbe in realtà effetti assai minori di quanto raccontavano le testimonianze dell'epoca. L'ipotesi
di una riconquista cristiana delle terre europee, ma anche del Levante mediterraneo e del
Maghreb, era totalmente fuori di ogni possibilità. Si determina una condizione di confronto
armato all’interno del quale non è più immaginabile uno scontro generalizzato il cui esito
dovrebbe essere la distruzione della potenza nemica. Il Mediterraneo si pone, così, in una
condizione di difesa (le torri, le fortificazioni) e di attesa.
Con Lepanto si ebbe non il trionfo della Cristianità, ma l’inizio di un periodo
sufficientemente lungo, almeno 2 secoli, nei quali la storia del Mediterraneo mantiene caratteri
sufficientemente omogenei e stabili. Braudel chiama questo periodo “pace mediterranea”,
sottolineando che da Lepanto (1571) alla spedizione francese in Egitto nel 1798 non vi saranno
sostanzialmente guerre aperte. I 2 imperi, scrive Braudel, rimasti soli nel campo chiuso
mediterraneo non si urtarono più con tutta la loro cieca violenza. Il vero tratto caratteristico in
questa modernità fu l’egemonia di 2 forme imperiali: il Medio oriente, la Persia, il Mar
Nero e il Caucaso per l’impero ottomano, il Nuovo mondo americano per la Spagna), ma
entrambi gravitanti quel Mare Interno che rimane costantemente fonte e limite della propria
potenza (realizzazione di una divisione del Mare Interno tra due potenze sufficientemente forti
per garantirsi il controllo della propria area di influenza, ma non tanto forti da imporre propria
egemonia estesa all'intero spazio mediterraneo). Non si tratta in realtà di un perfetto equilibrio
perché appare evidente che l’impero turco si imponeva con assai maggiore ampiezza rispetto
all’impero spagnolo. Alla Spagna poteva attribuirsi il dominio della penisola italiana e poco
più, dal momento che l'unità del mondo cristiano, tanto invocata, non arrivava, certo, a
includere la Francia (potenza cattolica ma rivale), né gli Asburgo di Vienna e neppure Venezia.
L’impero ottomano invece si estendeva dalla penisola balcanica fin quasi all’estremità
occidentale del Maghreb, raccoglieva l’eredità della cultura araba e costituiva un’esperienza
di convivenza tra ebrei, cristiani e musulmani (Mediterraneo ottomano era la più rilevante
forma politica multietnica e multireligiosa, infatti l’Impero conosce forti e costanti tensioni
al proprio interno). I due grandi imperi di età moderna mostrano però una rilevante analogia
che deriva dalla costruzione di una dimensione imperiale e dalle esigenze di carattere
istituzionale, economico e culturale che vi si accompagnano: rafforzamento e stabilizzazione

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del potere dinastico, centralizzazione delle province, organizzazione del sistema


amministrativo, controllo della forza militare, legittimazione religiosa e legittimazione propria
del potere imperiale.

6. EUROPA E MEDITERRANEO IN ARMI.


1. L’ascesa di Carlo d’Asburgo. Alla morte dell'imperatore Massimiliano nel 1519
si aprì il problema della sua successione. I due maggiori protagonisti dell'accordo di Noyon,
Francesco I e Carlo d'Asburgo risultarono i principali candidati alla successione: da allora
cominciò quel lungo scontro franco-asburgico che caratterizzò la storia della prima metà del
’500. Alla propria potenza economica e militare, la monarchia francese aggiungeva il controllo
dell'Italia settentrionale; l'Asburgo possedeva la Castiglia, l'Aragona, i Paesi Bassi,
l’Austria e parte della Germania, ma aveva anche il possesso del Napoletano, della Sicilia
della Sardegna, della Franca Contea e delle colonie americane, una concentrazione
territoriale senza precedenti. La corona venne attribuita al monarca spagnolo che divenne
imperatore col titolo di Carlo V nel giugno del 1519, grazie ai ricchi mercanti europei come
Jacob Fugger, il grande banchiere di Augusta. Carlo d'Asburgo per comprarsi i voti dei principi
tedeschi spese di 850 mila fiorini, dei quali oltre la metà forniti dai Fugger e il resto dai Welser
di Augusta, dai Gualterotti di Firenze, da Fornari e dai Vivald di Genova, i quali furono
ricompensati con una serie di vantaggiose concessioni sulle rendite dei suoi domini e delle
colonie americane.
Carlo era nato a Gand nel 1500 dal matrimonio di Giovanna la Pazza figlia di
Ferdinando e Isabella, con Filippo d'Asburgo, l'erede dell'imperatore Massimiliano, era
cresciuto nell'ambiente della corte, di Borgogna. All'età di 16 anni, a causa della pazzia della
madre e della prematura morte del padre, divenne erede del vasto impero spagnolo. I maggiori
dignitari aragonesi e castigliani lo ricevettero con molta diffidenza (il sovrano parlava
francese e non si era curato di imparare il castigliano o il catalano) perché temevano che
avrebbe trascurato la Spagna. Una volta salito al trono fu obbligato a combattere su 3 fronti.
Innanzitutto dovette fronteggiare i francesi per il predominio in Italia, poi affrontare il
movimento protestante e, infine, tentare di arginare la potenza turca nell'Europa centro-
orientale e nel Mediterraneo (quest’ultimo impegno sancito nel testamento dei Re Cattolici).
In Italia l’imperatore inflisse una serie di sconfitte al suo rivale francese culminate
nella battaglia di Pavia nel 1525, dove lo stesso Francesco I venne catturato e per la sua
liberazione fu costretto a firmare un'umiliante pace a Madrid nel 1526. Malgrado l'aiuto fornito
dagli Stati italiani ai francesi (lega di Cognac), le truppe imperiali, costituite in maggioranza
da mercenari protestanti, potarono un nuovo successo e per punire l’intervento di Clemente
VII contro gli spagnoli, non esitarono a saccheggiare la città di Roma (1527). Prima la pace di
Cambrai nel 1529 e poi quella di Bologna nel 1530 sancivano il controllo diretto della
monarchia spagnola su gran parte dei territori italiani. Milano divenne il punto di
collegamento tra 1a Spagna e i domini asburgici, Genova dovette porre le sue flotte al servizio
della Spagna; Napoli, Sicilia e Sardegna divennero parte integrante della monarchia spagnola.
La momentanea sistemazione dell’Italia consentì all’imperatore di dedicarsi alla risoluzione
dei problemi interni.
2 L'ossessione turca. La rivalità con i francesi e il predominio in Italia non permise alla
spagna di conquistare le piazzeforti sulla costa dell'Africa settentrionale, e ciò favorì la
crescente influenza ottomana sulle coste libiche, tunisine e algerine. Inoltre i turchi, dopo
la conquista di Siria ed Egitto nel 1517, per assicurarsi i collegamenti tra Istanbul e i porti
del Levante, nel 1522 espugnarono l'isola di Rodi (dal 1309 in mano ai cavalieri di S.

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Giovanni). Per gli spagnoli il Mediterraneo diventava sempre più un mare insicuro. Le
occupazioni militari avvenute al tempo di Ferdinando delle città costiere nord africane,
indussero gli abitanti di Algeri a sollecitare l'intervento dei fratelli Barbarossa, Aruc e Khayr
al Din, che dal 1504 conducevano nel Mediterraneo occidentale un'energica guerra
contro i cristiani: nel 1515 s'impadronirono di Algeri, e dopo la morte di Aruc nel 1518, Kayr
al Din si dichiarò vassallo di Selim ricevendone protezione e aiuto. Da quel momento il porto
di Algeri divenne la base principale della corsa turca nel Mediterraneo occidentale e in città
fu costituito un sistema di governo simile a quello delle altre province ottomane. Barbarossa
si dimostrò un capo carismatico e dotato di un forte acume politico e militare, infatti organizzò
gli equipaggi barbareschi trasformandoli in reparti ben addestrati e disciplinati. Per oltre un
decennio, sino alla morte avvenuta nel 1544, Barbarossa tenne in sacco le marinerie
cristiane, con più di cento navi saccheggiò le coste dell'Italia meridionale sino alla foce del
Tevere, poi nel 1534 rivolse le sue forze contro Tunisi e le altre città costiere tunisine, snodi
vitali per i traffici spagnoli. I domini mediterranei dell'Imperatore erano ora seriamente
minacciati, non solo dai corsari, ma da tutta la forza navale del potentissimo impero rivale
che impediva la circolazione delle navi spagnole e rendeva difficili i collegamenti tra le
varie parti dell'Impero. In pratica la posta in gioco era il controllo del Mediterraneo centrale:
la vittoria degli spagnoli avrebbe protetto i domini mediterranei e interrotto i contatti fra il
Barbarossa e Istanbul, il successo dei turchi invece, avrebbe mantenuto unite le forze
musulmane. Carlo V (nonostante le divergenze con il papato, lo scisma religioso e la rivalità
con il monarca francese, rappresentava ancora il difensore della cristianità; i domini italiani
erano seriamente minacciati dall’espansione ottomana) allora allestì un imponente
spedizione (ne assunse il comando) contro Tunisi che fu conquistata nel 1535 ma l'impresa
non ebbe effetti risolutivi. Barbarossa già dopo qualche settimana rispose all'attacco spagnolo
devastando Port Mahon nell'isola di Minorca. Carlo V cercò di trovare un’intesa
diplomatica ma le trattative fallirono. I turchi dopo aver cercato di attirare Venezia
nell'orbita dell'alleanza turco-francese, nel 1537, sferrarono un attacco all'isola veneziana di
Corfù, dando inizio al terzo conflitto con la Serenissima (1537-1540). La flotta ottomana
guidata dal Barbarossa riportò un importante successo nel settembre del 1538. La sconfitta
della lega cristiana, dovuta soprattutto alla reciproca diffidenza tra veneziani e spagnoli,
spinse nel 1540 la Serenissima a siglare un trattato di pace separato con la Porta (che prevedeva
il risarcimento e la cessione di alcune fortezze veneziane). La Repubblica di Venezia da allora,
dovette affrontare contro i turchi costosissime guerre difensive appoggiandosi, spesso, ad
alleanze con la Spagna (i cui interessi divergevano però da quelli veneziani). Le vittoriose
imprese turco-barbaresche costituivano una grave minaccia per tutto l'occidente, e per
oltre un trentennio il blocco cristiano non riuscì a opporre una significativa reazione. La
spedizione contro Algeri guidata dallo stesso imperatore nell'ottobre del 1541 si era risolta in
un disastro a causa di un improvviso temporale che si abbatté sulla flotta imperiale. Dopo la
disfatta imperiale dell'impresa di Algeri, i turchi, passarono al contrattacco e cercarono di
approfittare della situazione per estendere il loro dominio sulle coste nordafricane. In pratica
in tutto il nord Africa solo il Marocco atlantico restò fuori dalla dominazione ottomana.
3. L'assetto politico dell'Europa. Mentre l'imperatore era impegnato a contrastare i
turchi nel Mediterraneo, Francesco I, decise di affrontare per la terza volta il rivale sul suolo
italiano. Dopo la morte nel 1536 di Francesco Sforza, il Ducato di Milano, così come previsto
dagli accordi di Cambrai doveva passare definitivamente alla Spagna, ma il monarca francese
d’intesa con Solimano il Magnifico riaffermò le vecchie pretese francesi sul ducato di
Molano e occupò il Piemonte. Per ridurre l'offensiva francese che dal Piemonte minacciava

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di invadere il Milanese, Carlo stipulò un'alleanza con Venezia per combattere la flotta
ottomana-barbaresca e avviò trattative con l'Inghilterra e con i nemici settentrionali dei
turchi, come la Polonia e la Russia. Dopo 3 anni di guerra e devastazioni che colpirono in
particolar modo la Provenza, si arrivò alla tregua di Nizza nel 1538. Ma le ostilità tra i 2
contendenti ripresero nuovamente nel 1541. L'ennesima pace conclusa a Crepy nel 1544 non
portò alcun risultato e le posizioni rimanevano ancora immutate. I francesi rinunciavano
ai diritti su Napoli, gli spagnoli alla Borgogna, la questione di Milano e quella del
Piemonte, occupato dai francesi, rimanevano irrisolte. Tuttavia gli accordi di Crepy
consentirono all'imperatore di concentrare i suoi sforzi sulla questione protestante. In un
primo momento Carlo pensava di avviare una generale riforma all'interno della Chiesa
cattolica, ma il fallimento della sua azione lo costrinsero a rivedere la sua posizione e a
risolvere il problema con la forza soprattutto dopo che la lega di Smalcalda, una coalizione
di città e principi protestanti formata nel 1531, dichiaratamente ostili all'imperatore, iniziò a
collegarsi con la Francia; fu organizzata una nuova campagna militare contro la lega tedesca
che si concluse con la vittoria di Muhlberg nel 1547, un successo importante che non riuscì
però a risolvere il problema religioso in Germania.
Neanche la morte di Francesco I mise fine alle guerre tra i 2 stati, che si
contendevano il primato in Italia e in Europa. Enrico II, secondogenito di Francesco, riprese
la lotta contro Carlo, riconfermò l'alleanza con Solimano, stipulò un accordo con i principi
luterani e concentrò le sue forze in direzione della Germania con l'obiettivo di estendere i
confini francesi fino al Reno. Nel 1552 in accordo con i principi luterani occupò i vescovadi
lorenesi di Mtez, Toul e Verdun, fino ad allora sotto controllo imperiale. Sembrava profilarsi
un nuovo scontro, ma all'improvviso, il vecchio Imperatore, ormai stanco di oltre un
trentennio di logoranti guerre che avevano impoverito i suoi domini e consapevole, ormai, che
il suo sogno egemonico era irrealizzabile, si ritirò a vita privata morendo nel 1558, dopo
aver stipulato una tregua con i francesi a Vaucelles e con i protestanti tedeschi la pace di
Augusta nel 1555, con la quale furono stabiliti i principi fondamentali per regolare la
convivenza tra cattolici e protestanti all'interno dell'impero. Nello stesso tempo, divise il regno
in 2 parti con l’intento di salvaguardare la pace e conservare il predominio della sua dinastia
in Europa. Al fratello Massimiliano andò la corona imperiale e i domini austriaci, mentre
al figlio Filippo toccarono gli altri domini europei e le colonie nel Nuovo Mondo della
casa di Spagna.
4. Le Reggenze barbaresche. Nei primi anni del 500, lo spazio islamico mediterraneo
presentava al pari di quello cristiano delle divisioni al suo interno. Nel bacino meridionale
sopravvivevano una serie di signorie islamiche rette da dinastie autoctone berbere e
arabe, caratterizzate dalla spiccata autonomia nei confronti del potere centrale. Nella parte
orientale, accanto all’impero ottomano, vi erano due entità politico-militari: il Sultanato
mamelucco in Egitto e quello safavide in Persia (minaccia sul piano militare ma anche su
quello religioso: sunniti contro sciiti) con a capo il giovane sceicco Ismail I. La pressione del
regno persiano divenne la principale preoccupazione del figlio di Bayazed II, il sultano Selim
I (salito al trono dopo aver ucciso i fratelli e costretto il padre all’esilio), che temendo la
formazione di una coalizione egiziano-persiana, attaccò prima i Safavidi sconfiggendoli in
Iran nel 1514 e poi sconfisse i Mamelucchi nel 1516 (l’occupazione dell’Egitto determinò il
crollo dell’Impero mamelucco). Le operazioni militari di Selim fecero dell’Impero turco la
prima potenza del mondo islamico, ciò conferì al sultano un fortissimo prestigio in tutto il
mondo musulmano. A Tunisi, dopo l’impresa di Carlo V nel 1535, la città fu definitivamente
conquistata da Sinan Pascià nel 1574, che diede alla reggenza di Tunisi una organizzazione

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simile a quella di Algeri. Stessa sorte toccò a Tripoli nel 1551, quando una potente flotta turco-
barbaresca, attaccò la città e costrinse alla resa i Cavalieri di San Giovanni. A eccezione del
regno di Marrakech, nel Marocco occidentale, appoggiato dagli inglesi per rompere il
monopolio portoghese sulla costa atlantica nordafricana, alla metà del 500 tutto il litorale
nord africano mediterraneo entrò a far parte del mondo ottomano. Ma le province di
Tripoli, Tunisi e Algeri, le reggenze barbaresche, seppur legate all'impero col tempo
divennero sempre più difficili da controllare. La relativa lontananza da Istanbul e il
disinteresse ottomano per il Mediterraneo occidentale dopo il 1580, indusse la Porta ad
assumere un atteggiamento rivolto al mantenimento dell’ordine interno e alla difesa delle
proprie frontiere.
5. La merce umana. L’importanza della guerra di corsa durante l’età moderna. Le
razzie che i turchi e i barbareschi condussero con successo sulle coste italiane e spagnole, e le
incursioni su quelle musulmane da parte dei Cavalieri di San Giovanni, di Santo Stefano e dei
corsari occidentali, ebbe tra le principali conseguenze la cattura di uomini, donne e bambini,
che intensificò l’antico e lucroso commercio di schiavi. Coloro che venivano catturati
venivano considerati la proprietà dello stato o di coloro che li avevano presi. Nel mondo
cristiano i principali mercati di schiavi si trovavano a Malta e a Messina, in quello musulmano
ad Algeri, Tunisi, Tripoli e Istanbul. L'impiego maggiore degli schiavi fu sulle navi. Gli schiavi
non provenivano solo dalle razzie, la guerra rappresentava una fonte costante di
approvvigionamento di prigionieri che venivano poi ridotti in stato di schiavitù, così
come un'altra considerevole fornitura di schiavi proveniva dalle coste settentrionali e orientali
del Mar Nero, un traffico, quest'ultimo, gestito prima da genovesi e veneziani e poi a partire
dalla fine del XV secolo dagli ottomani. La richiesta di schiavi sia nel mondo ottomano e
sia in quello cristiano era molto forte, per cui coloro che detenevano il commercio degli
esseri umani non si facevano alcuno scrupolo di piazzare a ogni costo la merce. Nel mondo
cristiano i prigionieri musulmani erano impiegati in lavori duri, come la costruzione di
fortificazioni, dei porti, come manodopera nelle miniere, nelle pulizie delle fogne, nel trasporto
dell'acqua ecc. Stessa cosa accadeva nel mondo ottomano. Altri invece erano utilizzati nei
grandi cantieri per la costruzione di moschee, come taglialegna nelle foreste, oppure erano al
servizio degli artigiani e dei negozianti di Algeri, Tunisi e di Istanbul. Gli uomini e le donne
di bell'aspetto e quelli alfabetizzati, scampavano ai lavori duri; spesso erano offerti in regalo
al sultano oppure ai nobili ottomani. In questi casi gli uomini erano impegnati come domestici,
e guardiani di harem, le donne come nutrici, serve o concubine. Le occasioni per riconquistare
la libertà erano varie. Nel mondo islamico il matrimonio con una persona libera o il
sopravvivere al proprio padrone comportava l'emancipazione dalla schiavitù, oppure anche
dagli eventi bellici che rendevano possibile la liberazione dei propri conterranei ridotti in
schiavitù. Inoltre subito dopo la cattura si poteva aprire una trattativa per il rilascio dei
prigionieri dietro un pagamento.

7. LA SUBLIME PORTA NEL 500.


1. L'espansione cinquecentesca. Con l’ascesa al trono di Solimano I il Magnifico gli
sforzi furono concentrati contro gli infedeli cristiani e il suo principale obiettivo fu proprio
l’imperatore del Sacro Romano Impero, dichiarato nemico dell'Islam. I turchi,
approfittando delle divisioni tra gli Stati europei, lanciarono una violenta campagna militare
contro i Balcani. Dopo aver occupato Belgrado nel 1521, Solimano si lanciò alla conquista
dell'Europa centrale. Nell'estate del 1526 annientò l'esercito ungherese, quindi marciò su
Buda, la capitale del regno di Ungheria che si arrese senza opporre alcuna difesa. In seguito il

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sultano progettò l'occupazione della capitale austriaca. Fu l'inizio di un lungo conflitto


asburgico-ottomano durato oltre un secolo e mezzo. Nel settembre del 1529 il suo esercito,
giungeva sotto le mura di Vienna, gli attacchi turchi per 4 settimane s'infransero contro le
possenti mura della città. Le avverse condizioni atmosferiche e il sopraggiungere della
stagione invernale consigliarono a Solimano di ritirarsi. Nel 1532 il Magnifico preparò una
nuova offensiva contro l'Ungheria (che era ora nelle mani di Ferdinando D'Asburgo, fratello
dell'imperatore) e i territori austriaci degli Asburgo. La successiva tregua conclusa a Istanbul,
con la quale Ferdinando, accettava di pagare un tributo, indusse il sultano a condurre una
campagna militare in Oriente contro i Safavidi, che si concluse con la presa di Baghdad e
dell'Iraq nel 1534: i turchi avevano acquisito così uno sbocco commerciale anche sul Golfo
Persico. Per impedire a Ferdinando di Asburgo, che con le sue truppe aveva assediato Buda,
di assumere una posizione preminente in Ungheria, Solimano nel 1541 arrivò a Buda e pose il
regno sotto la sua diretta autorità e così l'Ungheria divenne a tutti gli effetti una provincia
ottomana, dotata di una forte guarnigione militare per impedire una controffensiva imperiale.
La questione ungherese fu risolta temporaneamente con una tregua tra Solimano e Carlo V nel
1547. Così Solimano preparò una nuova campagna militare contro la Persia che si concluse
dopo 8 anni con un nulla di fatto. La sospensione del pagamento del tributo annuale da parte
del successore di Ferdinando, Massimiliano II, scatenò nel 1566 la sua quarta e ultima
campagna militare in Ungheria. Due giorni dopo la conquista della piazzaforte ungherese, il
sultano moriva nella sua tenda. Solimano fu il sultano più famoso della dinastia ottomana,
ammirato e temuto in Europa e Asia; nel giro di pochi anni riuscì ad allargare i confini
dell’impero, a pacificarlo, a debellare la pirateria dalle sue coste, a favorire il commercio e a
dotare lo Stato di una serie di strutture, politiche, economiche, sociali e amministrative, in
grado di assicurare forza e stabilità ai suoi domini e a farne prima potenza del Mediterraneo e
di mar Nero, che passò al figlio Selim II.
2. Il governo dell'impero. Una delle caratteristiche fondamentali della struttura
dell'Impero ottomano fu il potere assoluto del suo sovrano. Il sultano costituiva il vertice di
uno stato altamente centralizzato, disponeva del potere politico, militare, religioso,
sovrintendeva a tutte le attività, nominava e destituiva a suo piacimento tutti i dignitari di corte
e le più alte cariche dello Stato. Inoltre, era il solo che poteva emanare provvedimenti
legislativi, in accordo con i precetti islamici, sui diritti e i doveri di tutti i suoi sudditi. Un
personaggio quasi sacro, il rappresentante di Allah, il successore del profeta. Il suo potere
era limitato solo dalla legge islamica, e per la sua successione non vi era una legge rigida: uno
dei suoi figli prendeva il suo posto. Per l'amministrazione dei suoi domini era affiancato da
un alto dignitario: il gran visir, seconda carica dello stato e rappresentante assoluto del
sultano. Il gran visir dalla fine del XV secolo ebbe l'incarico di presiedere il Consiglio
Imperiale, un organo collegiale in cui venivano trattate tutte le maggiori questioni concernenti
l'impero: dichiarazioni di guerra, accordi di pace, condotta militare, l’amministrazione e le
finanze del regno, ma fungeva anche da corte di giustizia suprema alla quale ciascun suddito
poteva appellarsi. Al Consiglio imperiale era affiancato un complesso apparato burocratico
costituito da migliaia di funzionari che garantivano l'attuazione delle sue decisioni in tutte le
province dell'impero. L'organismo statale comprendeva anche i funzionari provinciali e le
forze armate (come reggimenti a cavallo, i giannizzeri famosi per la loro ferrea disciplina).
3. Un Impero multietnico. L’Impero ottomano fu uno stato immenso che si estendeva
su tre continenti. Alla fine del XVI secolo contava oltre 22 milioni di abitanti. L'impero
ottomano comprendeva vari credi religiosi e diverse popolazioni ed etnie: turchi, arabi,
persiani, curdi, berberi, greci, armeni, slavi, albanesi, rumeni, ungheresi ecc. La dinastia aveva

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origini turche e la lingua ufficiale era il turco ottomano, un misto di turco, arabo e persiano.
Dopo i musulmani, i greco-ortodossi rappresentavano la quota di popolazione più consistente.
Anche se giuridicamente i sudditi non musulmani erano in una condizione di svantaggio,
tuttavia al contrario di quanto accadeva in Spagna e negli altri paesi cattolici, non si
verificarono, se non raramente, conversioni forzate all'Islam. Il carattere eterogeneo dei suoi
abitanti, che presentava significative differenze culturali, religiose e linguistiche, rendeva
l'organizzazione provinciale ottomana molto complessa in virtù anche della necessità di
mantenere unito un così ampio e variegato territorio. Sin dalle prime conquiste l'impero era
stato diviso in province amministrate da un governatore (che riceveva un compenso
annuale, il mandato durava da 1 a 3 anni, essi provenivano dalle file degli schiavi del sultano;
o discendevano da dinastie sottomesse al sultano), che risultava il capo militare della provincia
ed era incaricato di controllare l'attività economica, assicurare l'ordine e il buon funzionamento
della giustizia, infine, doveva vigilare sull'amministrazione. Anche il governatore era
assistito da un consiglio e da una serie di funzionari. Ogni provincia poi era suddivisa in
circoscrizioni. Nelle province più distanti da Istanbul, soprattutto laddove il peso delle
tradizioni politiche preesistenti alla conquista era forte, la dominazione poteva alleggerirsi
notevolmente. In questi territori la sopravvivenza di un’organizzazione sociale differente da
quella ottomana era tollerata sino a quando non avesse pregiudicato gli interessi finanziari
dello Stato. In Egitto, nonostante l'introduzione dell'organizzazione amministrativa ottomana,
sopravvissero molte istituzioni mamelucche e diversi incarichi di alto rango furono affidati
all'aristocrazia locale. Altre province mantennero le proprie istituzioni politiche,
amministrative, fiscali e giuridiche, ma erano tenuti a fornire alla Porta, un tributo annuale, dei
donativi oppure aiuti militari (es. Khanato tataro di Crimea).
4. I centri urbani e la capitale. Fatta eccezione per Istanbul, agli inizi del XVI secolo
le grandi metropoli dell'impero erano rappresentate dal Cairo, da Aleppo, Damasco, e
dall'antica capitale anatolica di Bursa. Una delle caratteristiche dei centri ottomani fu il
carattere pluriconfessionale e multietnico della popolazione. In seguito ai vari decreti di
espulsione degli ebrei, che si susseguirono in tutta l’Europa, in molti centri si stabilirono
diverse comunità ebraiche. La città di Salonicco divenne la grande metropoli ebraica
dell'impero ottomano. Dal punto di vista architettonico le città non avevano mura difensive, in
esse si concentravano le attività commerciali, artigianali, vi erano edifici destinati agli organi
amministrativi, politici e giudiziari, e mercati. Le città musulmane, infine, si caratterizzavano
per la presenza di una grande moschea, di un ospedale, di un bagno e talvolta di mense per i
poveri.
Istanbul rappresentava un mondo a parte. Dopo la conquista la necessità di ridare
lustro a Bisanzio e di farne la capitale di un grande Impero islamico, fece assumere alla città
un ruolo politico e culturale predominante all'interno del mondo musulmano, testimoniato
dalla fioritura di un'intensa attività architettonica, civile e religiosa, che raggiungerà il suo
splendore nel corso del Cinquecento con la costruzione della grandiosa moschea di
Solimano. Istanbul controllava il traffico internazionale con i paesi dell'Europa occidentale e
regolava le principali relazioni commerciali. Della popolazione residente a Istanbul solo il
58% risultava di religione musulmana, circa un terzo erano cristiani, quasi tutti ortodossi, e il
resto di religione ebraica o di altre minoranze religiose. Istanbul costituiva il più grande
mercato di consumo del Mediterraneo perciò gli scambi e il commercio erano perfettamente
organizzati e controllati dal potere centrale, che ne provvedeva all'esazione delle tasse locali.
5. Un'economia mondo. Alla lunga durata e alla solidità dell'impero contribuì la
formazione al suo interno di un'economia mondo, dovuta alla 'pax ottomanica', che oltre a dare

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stabilità e sicurezza, favorì la circolazione in un così vasto spazio di uomini e merci, regolati
dalle stesse leggi e da norme e pratiche comuni. L'intervento pubblico nel settore economico
si manifestava in quasi tutte le attività produttive. Lo stato regolamentava la produzione,
determinava i prezzi delle merci e assicurava l'approvvigionamento di beni alle truppe e ai
principali mercati. Allo stato appartenevano le ricchezze del sottosuolo e quasi tutti i terreni
arabili, ai contadini le terre erano concesse in usufrutto, ma detenevano la proprietà dei mulini,
dei forni e dei beni immobili. Il paese possedeva quasi tutte le materie prime e i generi di
prima necessità di cui aveva bisogno: cereali, frutta, carni, legno e metalli, e tutta la
produzione eccedente veniva esportata. Sviluppo di attività economiche molto differenziate da
regione a regione. Nei centri urbani e rurali si concentravano molte attività artigianali e
manifatturiere, i cui prodotti erano destinati al consumo locale, anche se alcuni prodotti
raffinati venivano commercializzati (seta, velluti, maioliche). Erano soggette a tassazione tutte
le attività agricole, i raccolti, la pesca e l'allevamento, prodotti venduti nei mercati, servizi.
Inoltre, i sudditi non musulmani erano soggetti a una particolare imposta. I sudditi dell'impero
erano divisi in 2 categorie sociali: i soldati e il gregge. Nella prima categoria erano compresi
coloro che erano esenti dal pagamento delle imposte, come i militari e i funzionari, mentre alla
seconda appartenevano tutti gli altri sudditi, cristiani e musulmani, soggetti a tassazione.

CAPITOLO 4. IL MEDITERRANEO CONDIVISO.


Anche nello spazio mediterraneo la modernità comporta un accentuarsi delle reti di
relazioni politiche diplomatiche che si fanno più costanti. Il frantumarsi dei disegni egemonici
produce sistemi di relazioni; la divisione dello spazio politico produce, in Europa come nel
Mediterraneo, la condivisione. Nel mondo mediterraneo lo strumento attraverso il quale si
rende concreta la condivisione è quello delle Capitolazioni, strumento tradizionale che
riproduce la natura diseguale dei due soggetti che stipulano l'accordo — è la Porta ottomana
che le accorda alle potenze straniere — ma che consente, tuttavia, di reinterpretare un rapporto
che altrimenti sarebbe di reciproca estraneità ed esclusione. Istanbul e Venezia rimangono
per tutto l'arco dell'età moderna in radicale opposizione, ma trovano un sistema di norme
che permettono la quotidianità concreta dei rapporti. Sullo sfondo dei rapporti diplomatici gli
scambi commerciali continuano a rappresentare il senso vivo del mondo mediterraneo. Questi
scambi infatti non determinano soltanto una circolazione di merci ma anche una circolazione
di uomini e di pratiche mentali e sociali. Nel caso della schiavitù le merci sono gli stessi
esseri umani. Gli europei catturati dai corsari barbareschi conobbero spesso significative
ascese sociali, trovando spesso nel mondo barbaresco "una terra di libertà e di eguaglianza”.
Quando avviene la restituzione di coloro che erano stati ridotti in schiavitù alle loro comunità
originarie, si produce davvero una veicolazione di esperienze che arricchisce il tessuto di
conoscenze reciproche.
8. IL MEDITERRANEO NELL'ETA' DI FILIPPO II.
1. L'età di Filippo II. Dopo la pace di Augusta nel 1555 Carlo V aveva diviso, i suoi
domini ereditari in 2 parti. I territori legati al ramo asburgico, l'Austria e il Regno di Boemia
e di Ungheria furono affidati al fratello Ferdinando, eletto imperatore nel 1558. I possedimenti
legati al ramo spagnolo, il trono di Spagna, le terre del Nuovo mondo, i domini dei Paesi Bassi
e quelli italiani furono ereditati da suo figlio Filippo (che governerà per oltre quarant’anni),
eletto imperatore nel 1556. Uomo austero e fortemente devoto, incarnò la figura ideale del
principe cristiano difensore della religione cattolica, monarca severo, pedante e
sospettoso, il suo modo di governare fu nettamente in contrasto con quello del padre. Durante

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il suo lungo regno, infatti, darà vita a una monarchia fortemente centralizzata, attuerà un
rapido e deciso processo di omogeneizzazione culturale (politica assolutista, ristabilimento
dell’unità religiosa) pur restando sempre in Spagna (fissò la sua residenza a Madrid,
diversamente dal padre parlava solo il castigliano). La Spagna di Filippo II fu la prima potenza
militare europea a condurre una politica imperialistica grazie alle consistenti entrate
provenienti dall’oro americano e alla forte pressione fiscale esercitata sui propri domini.
Voleva fortemente combattere eretici e infedeli. Sostenuto nella sua azione dall'Inquisizione
e dalla Compagnia di Gesù, Filippo II costituì il pilastro della Controriforma cattolica
difendendo la Chiesa dalle dottrine giudicate eretiche e promuovendo un'azione riformatrice
all'interno della chiesa che portò alla nascita di nuovi ordini religiosi, di confraternite e
associazioni di carità. In particolare, attraverso l'Inquisizione spagnola il sovrano esercitò
un'azione di controllo sulla politica e sulla cultura, bandì il protestantesimo dai Paesi Bassi e
obbligò alla conversione gli ebrei e i mori ancora residenti in Spagna. Al contempo all'interno
della penisola iberica, fu ripresa in maniera vigorosa la persecuzione contro i moriscos, i quali
furono definitivamente espulsi dalla Spagna nel 1609, mettendo così fine a quella politica di
convivenza e tolleranza religiosa che aveva caratterizzato la penisola iberica.
Possiamo distinguere le vicende legate al regno di Filippo II in tre fasi.
1. La prima, che va dalla conclusione del trattato di Cateau-Cambresis nel 1559 fino
al 1567, vede impegnato il sovrano nella risoluzione dei problemi interni ai suoi
domini. In questo periodo il re avverte i pericoli che incombono su alcune parti
del suo Impero: dai turchi nel Mediterraneo e i corsari protestanti nell'Atlantico,
alle insidie francesi sulle frontiere spagnole, italiane e fiamminghe.
2. La seconda fase va dal 1568 al 1580, e vede da una parte la violenta repressione
attuata dal governo spagnolo contro i moriscos e dall'altra, dopo Lepanto, il
raggiungimento di una tregua con i turchi e la parziale risoluzione del conflitto
nelle Fiandre. Nei Paesi Bassi settentrionali scoppiarono una serie di rivolte
contro la dominazione asburgica, che si conclusero nel 1579 con la separazione
del paese in 2 regioni. Da una parte le province protestanti, incoraggiate da
Francia e Inghilterra, diedero vita a una nuova entità politica: la Repubblica delle
Sette Province Unite; dall'altra, le province meridionali, cattoliche, riaffermarono
la sovranità di Filippo II. Era l'inizio della Guerra degli Ottant'anni, che si
concluse nel 1648 con l'indipendenza dei Paesi Bassi (che costò alla Spagna
un'enorme perdita finanziaria, di uomini e di potere).
3. La terza e ultima fase, dal 1580, alla morte del sovrano nel 1598, caratterizzata
dai progetti espansionistici della monarchia, diretti prima verso il Portogallo e
poi verso la Francia e l'Inghilterra. Filippo approfittando della crisi dinastica
portoghese, in virtù del suo primo matrimonio con Maria Emanuela del
Portogallo, nel 1580 annesse il Regno lusitano al proprio Impero, inclusi i vasti
domini coloniali. Ma a determinare l'arresto delle sue mire espansionistiche in
Europa furono prima la disfatta nelle acque della Manica dell'Invincibile Annada
(1588) e poi l'avvento sul trono di Francia di Enrico di Borbone, principale rivale
di Enrico di Guisa, il candidato spagnolo alla corona francese.
2. Il sistema imperiale spagnolo. Il baricentro politico-amministrativo dell'impero
spagnolo era la Castiglia che se da una parte si accollò il carico fiscale necessario al
finanziamento della politica assolutistica del suo nuovo re, dall'altra fornì al sovrano le più alte
cariche dello stato. Sostanzialmente la struttura della monarchia concepita da Filippo II
proseguì il modello dei suoi predecessori, anche se l’organizzazione del potere statale fu più

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articolata. Il perno dell'intero sistema era, come nella struttura statale ottomana, la volontà del
sovrano (che traeva la sua fonte di legittimità direttamente da Dio). Filippo II nell'esercizio del
suo potere si serviva direttamente di due segretari personali e il suo potere nelle altre parti
dell'impero era delegato a una serie di viceré, i quali dovevano sottoporre al sovrano le
decisioni importanti. I viceré, i grandi burocrati e gli alti funzionari, facevano parte della
nobiltà castigliana. La struttura amministrativa era formata dai Consigli di Stato, organi
collegiali consultivi con una propria sfera di competenza che trattavano le questioni importanti
dell'impero (furono creati anche il Consiglio d'Italia (1556), quello del Portogallo (1582) e
quello delle Fiandre (1388)). Tutte le questioni trattate dai Consigli venivano trasmesse al
sovrano, il quale le esaminava scrupolosamente e decideva se approvare o meno le sue
formulazioni. Si trattava di un lavoro burocratico enorme e macchinoso, accresciuto dalla
meticolosità del sovrano. Ma il governo di un così vasto impero non sarebbe stato possibile
senza la nascita e la formazione nei diversi paesi di una classe dirigente e di una burocrazia
locale, che fu indispensabile alla tenuta del potere centrale.
3. La guerra nel Mediterraneo. Nonostante l'abdicazione di Carlo V, le ostilità franco-
asburgiche si riaccesero nel 1557 e si conclusero solo nel 1559 con la pace di Cateau-
Cambresis che regolò definitivamente l'assetto politico e territoriale dei 2 paesi. Alla
Francia con il porto di Calais restavano i vescovati di Metz, Toul e Verdun. In cambio i francesi
si ritiravano dal Piemonte e accettavano l'egemonia politica spagnola sull'Italia (una
supremazia che durerà sino ai primi del Settecento). A eccezione di Venezia, tutta la penisola
rimase da allora e per circa due secoli sotto il controllo spagnolo. Filippo poi si ritrovò a
fronteggiare il suo nemico più temibile: l'impero ottomano. Gli spagnoli alla fine degli anni
50 reagirono alle numerose incursioni barbaresche-ottomane, e dopo l'occupazione di
alcune località del Marocco, adottarono una strategia principalmente difensiva, tentando di
riconquistare Tripoli hanno fallito. La conservazione della flotta divenne il principale
obiettivo della strategia marittima dell'Asburgo, sia dopo la conquista turca di Orano nel 1563,
e sia quando nel 1565 i turchi assediarono Malta, che però fu salvata. Il nuovo pontefice Pio
V teso a creare un fronte unitario all'interno della cristianità contro gli eretici e contro i
musulmani, si era adoperato per concludere un'alleanza anti ottomana fra Spagna e Venezia,
ma i negoziati furono interrotti dalla riottosità dei Veneziani a partecipare all'allestimento
di una spedizione contro gli ottomani visto che, dopo la morte di Solimano, suo figlio Selim
aveva ratificato a Venezia il trattato di pace del 1540. Approfittando dello scoppio di una
nuova rivolta dei moriscos di Granada, appoggiata militarmente ed economicamente dal
sultano ottomano, il governatore di Algeri si era impadronito di Tunisi. Sedata tragicamente
la ribellione dei moriscos Filippo poté concentrare i suoi sforzi nel Mediterraneo occidentale.
Fu solo dopo l'assedio ottomano di Cipro, che i Veneziani abbandonarono la politica di
compromesso e accettarono d il partecipare a un’alleanza antiturca in nome della difesa
della fede: si arrivò così alla costituzione nel maggio 1571 di una Lega Santa anti-turca che
prevedeva l'intervento della flotta cristiana sia nel Mediterraneo occidentale e sia in quello
orientale.
4. Lepanto. Nelle acque del golfo di Lepanto, il 7 ottobre 1571 la flotta della Lega,
formata da Spagna, Venezia, Genova, Stato Pontificio e Malta, sotto il comando di don
Giovanni d'Austria, figlio naturale di Carlo V, distrusse quella turca. La battaglia, una delle
più cruente della storia navale, per quanto togliesse momentaneamente ai turchi l’iniziativa
che avevano avuto sul mare, va tuttavia considerata una vittoria più simbolica che reale,
visto che i cristiani non sfruttarono appieno e lasciarono il tempo ai turchi di riorganizzarsi. Il
trionfo cristiano come osserva Fernalnd Braudel segnò la fine del complesso di inferiorità della

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Cristianità, la fine della supremazia turca. La vittoria di Lepanto dimostrò che nel momento di
estrema necessità poteva formarsi un’ampia coalizione contro i turchi, malgrado le divisioni e
le rivalità nel campo cristiano. (sul fronte ottomani non si attribuì una significativa importanza
alla sconfitta subita). Ma subito dopo la battaglia riemersero le divergenze tra gli alleati
occidentali, e così la Lega Santa si sfasciò. Sulla scia della vittoria di Lepanto il fratellastro
di Filippo, don Giovanni d'Austria, nell'ottobre 1573 tentò la riconquista di Tunisi per farne il
suo regno, ma la flotta musulmana la riconquistò definitivamente.
Non fu tanto Lepanto a segnare un punto di svolta nelle relazioni tra i due grandi imperi
mediterranei, bensì la successiva tregua stipulata nel 1578 tra Filippo e Murad III, un
accordo, rinnovato nel tempo, che stabilizzava la frontiera – religiosa, politica e culturale –
tra le due aree. Filippo II aveva la necessità di fronteggiare la rivolta nei Paesi Bassi, doveva
intervenire militarmente per conservare la Corona del Portogallo, per contrastare le
marinerie olandesi e i corsari inglesi nell'Atlantico, e per garantire la sicurezza dei
collegamenti tra la Spagna e i territori americani. Murad III invece doveva affrontare il nemico
persiano per il controllo della regione caucasica e non poteva più contare sull'alleanza con la
Francia. Il conflitto tra le due grandi potenze mediterranee assunse la forma di una
guerriglia (non si avventurarono più in guerre di lunga durata); iniziò una logorante guerra
di corsa che durerà sino al 1830. Quando terminò il lungo regno di Filippo II, gli obiettivi
della sua politica mediterranea erano stati in gran parte raggiunti. Il sovrano aveva conquistato
la Corona del Portogallo, arginato i turchi e consolidato definitivamente il proprio controllo
sulla penisola italiana, invece fallì sul versante atlantico: i ribelli olandesi non erano stati
sconfitti e le sue iniziative per rompere l'alleanza anglo-olandese si erano risolte in ripetuti
disastri.
5. Il Mediterraneo e gli Oceani. Tra i paesi continentali che avevano uno sbocco
sull’Oceano Atlantico si accese un altro conflitto, destinato a modificare le sorti del mondo.
La guerra fu combattuta sul mare e riguardava la conquista della cosiddetta via delle Indie,
cioè la scoperta di un passaggio marittimo per raggiungere l'Oriente. Strappare dalle mani dei
veneziani il monopolio delle spezie e aggirare il controllo ottomano del Mediterraneo orientale
e del Mar Nero, divenne una costante preoccupazione di tutti i paesi avevano sbocco sull'
Atlantico. Il viaggio di Cristoforo Colombo segnò l'inizio dell'espansione coloniale
spagnola, aprendo la strada alle flotte europee verso un nuovo continente ricco di metalli
preziosi e di prodotti sino ad allora sconosciuti. I portoghesi invece pensavano che l'Asia
potesse essere raggiunta anche aggirando il continente africano, infatti, Vasco da Gama per
conto del re portoghese nell'estate del 1498, dopo aver doppiato il Capo di Buona Speranza
sbarcò a Calicut sulle coste dell'India, riuscendo così ad aprire una nuova rotta verso i ricchi
mercati orientali. I portoghesi così ebbero accesso direttamente ai prodotti e alle spezie
asiatiche senza passare per l'intermediazione islamica o veneziana, iniziò così l'alterazione
dei flussi commerciali tra l'Europa e il Vicino oriente. Un'altra conseguenza delle
esplorazioni europee fu la diffusione di specie animali e vegetali da un continente all'altro. Tra
gli animali in Europa si diffuse il tacchino, mentre nel Nuovo Mondo furono portati bovini,
cavalli, maiali e altri animali domestici. Dalle terre americane furono importati i pomodori, i
fagiolini, il mais e la patata (Un insieme di prodotti che col tempo favorì la risoluzione del
problema alimentare delle popolazioni europee e attenuò le ricorrenti carestie); si diffusero in
Europa anche il cacao e il tabacco, destinati a conoscere una grande fortuna anche nel mondo
ottomano e in Persia. Dal Mediterraneo venne trapiantata in America la canna da zucchero, e
lo sviluppo delle grandi piantagioni di zucchero determinò una forte domanda di schiavi, che
furono prelevati dalle coste dell'Africa occidentale. Il caffè come bevanda fu un'invenzione

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araba. Tra la fine del 500 e la metà del 600 nella cultura, nella politica e nell'economia
europea, l'Atlantico settentrionale e i paesi che su di esso si affacciavano si sostituirono
al Mediterraneo e alla sua civiltà. Il continente americano divenne una facile preda per i
conquistadores i quali vi imposero la propria lingua, la religione e il loro modo di vivere: gli
spagnoli in breve tempo assoggettarono le, popolazioni indigene e avviarono una sanguinosa
conquista dei territori, accompagnata dallo sfruttamento sistematico delle miniere di oro e
d'argento. In Asia, invece, l'obiettivo dei portoghesi mirava alla creazione di un monopolio sui
manufatti e sulle spezie orientali. Essi impiantarono una fitta rete di scali commerciali
attraverso i quali riuscirono a commercializzare oro, avorio, ebano, grano, pesce e schiavi
provenienti dalla costa occidentale africana, le spezie indiane e una vasta gamma di beni che
andava dalla seta al salnitro. L'espansione portoghese costituì una grave minaccia per i
traffici marittimi della Repubblica di Venezia. La vasta rete commerciale lusitana
nell’Oceano Indiano favorì un commercio interasiatico che sopravanzò per importanza quello
con l’Europa e fece dei lusitani principali intermediari negli scambi asiatici.

9. LA PERDITA DELLA CENTRALITA'.


1. La crisi degli Imperi mediterranei: la Spagna. Negli anni a cavallo tra la fine del
500 e gli inizi del 600, la disastrosa situazione finanziaria della Spagna, in conseguenza
dell'enormità del suo sforzo bellico, si aggravò ed ebbe significative ricadute sulla storia del
Mediterraneo, la bancarotta non toccò solo Filippo II, ma anche il suo successore, il figlio,
Filippo III. Alla crisi finanziaria si aggiunse una grave crisi economica che colpì in particolar
modo la Castiglia. I cattivi raccolti, le epidemie di peste e la decadenza di gran parte dei settori
produttivi provocarono l'abbandono dei villaggi e l'esodo delle zone rurali verso le città e le
colonie d'oltremare. Il calo demografico (dovuto anche al trasferimento negli altri domini
imperiali di forti contingenti di militari spagnoli) comportò un'inevitabile riduzione della
manodopera che danneggiò la produzione e ridusse l'esportazione delle materie prime e dei
manufatti soprattutto in America. Un’altra conseguenza fu la riduzione dell'afflusso di oro e
di argento americano. La politica fiscale della monarchia sottopose i sudditi a un'insostenibile
pressione tributaria che penalizzava la produttività e scoraggiava qualsiasi attività
imprenditoriale. A peggiorare ulteriormente la situazione economica, nonostante fossero stati
raggiunti degli accordi di pace con la Francia (1598), l’Inghilterra (1604) e l’Olanda (1607),
fu la decisione presa nel1609 dal Consiglio di Stato di espellere per ragioni di sicurezza tutta
la popolazione moresca residente in Spagna. L'espulsione dei moriscos comportò
l'abbandono di molte colture e di diverse attività produttive. Il risultato fu che alla fine degli
anni 20 del 600 si venne a creare nel paese un notevole contrasto fra la miseria della maggior
parte della popolazione e la ricchezza di una ristretta cerchia di aristocratici. Il regno di Filippo
III e quello del suo successore Filippo IV furono caratterizzati dall'incapacità del governo di
adottare i necessari rimedi per fronteggiare la crisi. La stessa occupazione del Portogallo e
l'annessione de suoi domini coloniali alla Spagna, anziché tradursi in un vantaggio economico,
risultò invece, un problema in più, da risolvere in considerazione del fatto che la monarchia fu
più vulnerabile agli attacchi dei suoi nemici che estesero le ostilità anche al Portogallo e ai
suoi domini coloniali. Durante la monarchia di Filippo III, inoltre, mutò sensibilmente anche
il sistema di potere del governo spagnolo, il cui centro non era più rappresentato dal monarca,
ma dalla figura del valido, ossia il favorito del sovrano, una personalità politica a metà tra un
primo ministro e un segretario di Stato. Le due più importanti personalità che rivestirono
questo incarico nella prima metà del 6oo furono il duca di Lerma e il conte duca d’Olivares,
che fecero regredire il regno al rango di una potenza secondaria. Aggressiva politica

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militare: guerre contro l’Olanda, che minacciava il controllo del commercio nel mediterraneo,
in Oriente, in Brasile; Guerra dei trent’anni, combattuta sul suolo dell’Europa centro
settentrionale, rivolte interne, causate dal malcontento popolare per l’esagerata pressione
fiscale. Dapprima nel 1640 la sollevazione della Catalogna, che durò sino al 1652, poi quella
del Portogallo, che proclamò la sua indipendenza e ristabilì sul trono la dinastia nazionale di
Braganza riconosciuta dagli spagnoli solo nel 1668, e, infine, nel 1647 la rivolta della Sicilia
e del Regno di Napoli, misero a repentaglio il sistema spagnolo. Secondo gli intellettuali
iberici del Seicento la decadenza della Spagna dipendeva dall'intollerante politica religiosa che
aveva cacciato dalla penisola gli operosi moriscos e dalla conseguente soppressione della
libertà di pensiero perseguita dall'Inquisizione che aveva portato il paese all'isolamento
culturale. Per altri invece furono le sconfitte subite a opera dei francesi nel corso della guerra
dei Trent'Anni e le insurrezioni armate contro il dominio spagnolo della Catalogna, del
Portogallo e del Regno di Napoli; per altri ancora furono l'arretratezza e la debolezza delle
strutture economiche del paese e l'assenza di un ceto imprenditoriale. L’afflusso di oro e di
argento delle Americhe finì col sollecitare lo sviluppo della Francia, dell’Olanda,
dell’Inghilterra, le quali esportavano in Spagna tutta una serie di prodotti.
2. L'impero ottomano. Negli anni successivi al regno di Solimano e sino alla metà del
17° secolo, anche l’impero ottomano conobbe un progressivo indebolimento a causa della
progressiva decentralizzazione del potere nelle regioni periferiche e degli intrighi all'interno
della corte ottomana. Tuttavia dalla battaglia di Lepanto e sino all'assedio di Vienna (1683),
nonostante l'avvicendarsi di sultani spesso privi di una personalità di rilievo, la potenza
turca non fu seriamente intaccata, anzi sembrava ancora in grado di espandersi e di controllare
il suo vasto territorio. Un po’ di debolezza si percepì solo dopo la metà del 600, con l'arrivo
negli scali turchi di navi francesi, olandesi e inglesi e con la pressione politica e militare
di Polonia, Austria e Russia. In particolare, quest'ultima sotto Ivan IV il Terribile,
proclamatosi zar di tutte le Russie, cercava di estendere la sua egemonia anche in direzione
del Caspio e di stringere alleanze con i Cosacchi, i temibili cavalieri armati che
spadroneggiavano nella steppa a nord del 'Mar Nero. Il primo conflitto turco con la Russia
nel 1568-1570, la ripresa della guerra contro la Persia (1576-1590) e contro l'Austria
(1593-1606) mostravano che l'asse di interesse ottomano si era spostato dal Mediterraneo alla
parte continentale dell'Impero. Dopo la conquista della Georgia il sultano Murad III avviò una
nuova guerra contro gli Asburgo per il controllo dell'Ungheria, della Moldavia e della
Transilvania che si concluse con un accordo di pace firmato nel 1606 tra Ahmed I e
l'imperatore Rodolfo II. Intanto ai confini orientali, lo scià Abbas I il Grande aveva
riconquistato per la Persia parte dei territori ceduti ai turchi nel 1590. Ma un nuovo conflitto
con i Safavidi si riaccese solo nel 1623, dopo l'occupazione persiana di Bagdad con l'ascesa al
trono del sultano Murad IV. Questa volta il principale teatro degli scontri fu l'Iraq. Il conflitto
terminò nel 1639 e concluse una lunga contesa tra persiani e ottomani; la pace fissava il
definitivo possesso dell'Iraq e di Bagdad agli Ottomani e stabiliva i confini tra l'Impero
safavide e quello turco. Le campagne militari diventavano più costose a causa di lunghi
conflitti e di innovazioni tecnologiche nel campo militare (questo provocò la riscossione delle
tasse straordinarie e l’inflazione, e poi le ribellioni dei militari per le basse paghe). Essendo
il sultano l’unica forma di autorità in uno stato altamente centralizzato e gerarchizzato, l’ascesa
al trono dei sultani incapaci aveva le ripercussioni negative su tutta la struttura sociale e
politica dell’impero, si creava un vuoto di potere e lo spazio per la formazione dei clan
capeggiati da alti dignitari e funzionari, che traevano vantaggi dalla debolezza del governo
centrale.

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Nel 1618 divenne sultano Osman II, promotore di un vasto programma di riforme (tra
cui la turchizzazione dell’esercito e dell’amministrazione), che provocò un’insurrezione
dei giannizzeri che si concluse con l’assassinio del sultano. Il periodo che seguì l'uccisione di
Osman II e quello di Ibrahim I il Pazzo' può definirsi un periodo di anarchia e di degrado,
caratterizzato dall'assenza di una continuità politica e dal sopravvento nell'esercizio del
potere di cortigiani e funzionari, e dalla crescente influenza assunta dai comandanti
giannizzeri e dalle donne dell’harem. Senz'altro, la lunga guerra turco-persiana e la
depressione economica che colpì l'impero nella prima metà del Seicento favorirono quel clima
di efferate violenze che si consumarono all'interno della corte ottomana. Ma a destabilizzare
l’impero contribuì anche il cambiamento nella prassi dell’ereditarietà della carica (l’ascesa
al sultanato del figlio più abile fu sostituita dall’ascesa del parente maschio più anziano) e
l’abolizione della raccolta dei giovani per formare il corpo dei giannizzeri (che aprì la strada
al consolidarsi di dinastie e creò uno slittamento del potere nelle mani di funzionari e alti
dignitari).
3. La Francia. Dopo quasi quarant'anni di guerra civile e dopo aver ristabilito all'interno
del paese la pace religiosa con l'Editto di Nantes che definiva nel 1598 la pacifica coesistenza
in Francia tra cattolici e ugonotti (i protestanti francesi) Enrico IV di Borbone, seppe
attenuare le tensioni interne e promuovere un programma di risanamento economico. La
vendita delle cariche da parte dello Stato non solo consentì di reperire le risorse finanziarie
necessarie ma attirò nella sua orbita nuovi gruppi sociali di origine borghese desiderosi di fare
carriera. Grazie anche al contributo del suo primo ministro, l'ugonotto duca di Sully, il sovrano
cercò di realizzare una politica economica protezionistica attraverso lo sviluppo
dell’agricoltura e delle attività manifatturiere e il potenziamento delle infrastrutture (ponti,
strade, reti fluviali). Furono impiantate nel paese industrie di lusso come le vetrerie e le
fabbriche di arazzi e maioliche e allo stesso tempo fu avviata una politica coloniale con
l'insediamento di comunità francesi nelle Antille e in Canada. A Parigi il re avviò un progetto
di riqualificazione urbana. Sul piano politico Enrico IV, dopo aver trovato intese con i principi
luterani e con l’Olanda si apprestò a trovare alleati anche in Italia. L'uccisione del sovrano
nel 1610 per mano di un fanatico cattolico, a quanto pare istigato dalla Spagna, e il conseguente
vuoto di potere che si venne a creare fecero ripiombare il paese in una nuova crisi interna.
Governato da un principe di appena nove anni, il futuro Luigi XIII, il regno fu sottoposto sino
al 1617 alla reggenza della madre Maria de' Medici, la quale allontanò dal governo il duca
di Sully e, al contrario del marito, adottò una politica filo-spagnola, facendo sposare i figli
con membri della famiglia reale iberica. Per trovare una soluzione ai problemi interni nel 1614
la regina convocò gli Stati Generali, ma tale provvedimento si rivelò inefficace, anzi i
contrasti che emersero tra la nobiltà e la borghesia contribuirono a non farli più convocare
sino alla vigilia della Rivoluzione francese. A creare ulteriori tensioni nel regno, inoltre,
contribuirono l'ostilità della nobiltà verso la vendita delle cariche pubbliche e le agitazioni
degli ugonotti preoccupati di perdere i diritti stabiliti. Fu solo nel 1624, con la nomina a primo
ministro del cardinale Armando Duplessis di Richelieu, che fu modificata la linea del governo
sia in politica interna che estera. Durante il suo lungo ministero, il potente cardinale,
considerato il restauratore dell'assolutismo regio in Francia, riuscì a restituire al paese
l'antico prestigio. Non solo seppe contenere le ambizioni delle grandi famiglie nobiliari e
reprimere le ambizioni degli ugonotti, ma fece della Francia una grande potenza
commerciale, ricostruì l'esercito, favorì lo sviluppo della flotta mercantile e incoraggiò la
nascita di numerose compagnie commerciali. Dopo aver risolto a proprio favore la questione
ugonotta con la presa di La Rochelle nel 1628, in politica estera per limitare l'espansione

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asburgica strinse dapprima accordi con l'Inghilterra e l'Olanda e quindi riprese con
vigore l'azione offensiva contro l'Austria e la Spagna sui due teatri di guerra: l'Italia e la
Germania. La successione al ducato di Mantova divenne l'occasione per infliggere una
sconfitta agli Asburgo di Spagna e in qualche modo fu indebolito il predominio spagnolo
nella parte settentrionale della penisola. Sul versante tedesco, il fatto che la Guerra dei
Trent'anni da uno scontro di religione interno alla Germania si stava rapidamente
trasformando in un conflitto continentale, fornì la possibilità alla diplomazia francese di
contrapporre nuovi avversari agli Asburgo d'Austria e così fu incoraggiata con aiuti finanziari
la partecipazione alla guerra prima del re danese e poi di quello svedese in soccorso delle forze
protestanti. Fu solo in seguito alla vittoria spagnola di Nordlingen nel 1634 contro gli Svedesi,
che la Francia, dopo aver siglato nel 1635 un accordo con i principali nemici degli Asburgo,
entrò direttamente in guerra avviando così l'ultima fase delle ostilità nella Guerra dei
Trent'anni. Il successore di Richelieu, il cardinale italiano Giulio Mazzarino non mutò le linee
fondamentali di tale politica neanche dopo la morte di Luigi XIII e la reggenza della regina
Anna d'Austria, madre di Luigi XIV. Gli anni del suo governo furono decisivi per condurre le
trattative diplomatiche che nel 1648 portarono alla pace di Vestfalia, con la quale fu sancita
la fine della terribile Guerra dei Trent'anni, e per la definitiva vittoria francese nel conflitto
contro la Spagna, che si concluse solo nel 1659 con la pace dei Pirenei, con la quale fu sancita
l'indiscussa egemonia francese in Europa. In coincidenza con la guerra franco-spagnola, per
far fronte alle necessità militari, anche in Francia il governo impose una serie di nuove tasse
che provocarono in molte zone del paese violenti tumulti. Fu in questo clima che nel 1648 a
Parigi scoppiò la rivolta della Fronda: una ribellione contro la monarchia animata dapprima
dalla borghesia parlamentare e poi dalla nobiltà per il controllo delle cariche pubbliche, che
dalla capitale si estese ad altre zone del paese trasformandosi in una guerra civile conclusasi
solo nel 1653 con il rafforzamento dell'assolutismo regio.
4. Nuovi protagonisti: Inghilterra e Olanda. A determinare nella prima metà del 600 il
declino economico dell'Italia, oltre alle cause interne e alle nuove direttrici dei commerci, fu
la devastante epidemia di peste che colpì l'Italia centro-settentrionale tra il 1630 e il 1631, e,
soprattutto, la concorrenza dei tessuti inglesi e olandesi immessi direttamente sui mercati
mediterranei. Sino alla fine del Cinquecento la scoperta e lo sfruttamento delle rotte atlantiche
da parte dei portoghesi non aveva costituito una seria minaccia per i traffici mediterranei. Fu
solo con l'arrivo nell'Oceano Indiano di navi inglesi e olandesi che l'equilibrio si spostò
decisamente a vantaggio della rotta che giungeva in Europa attraverso il Capo di Buona
Speranza. La stessa Venezia, sino ad allora, ancora una delle maggiori potenze commerciali e
una delle più raffinate città europee, agli inizi del 600 deteneva ancora il monopolio del
commercio nell'Adriatico, e riusciva a esportare nei mercati levantini pannilana, vetro di
Murano, sete di Bergarno, armi di Brescia. Le sue fiorenti attività produttive le consentirono
di ampliare i rapporti commerciali con le regioni che si estendevano oltre la sponda orientale
dell'Adriatico. La duttile politica della Serenissima in materia di pedaggi, di dazi e di
imposte, attirò nel suo porto numerose navi olandesi e inglesi che se da una parte
accrebbero le sue entrate finanziarie, dall'altra decretarono la sua marginalità nei nuovi traffici
mediterranei.
Appena sorta, la piccola Repubblica delle Sette Province Unite divenne una grande
potenza commerciale e riuscì a mettere insieme una poderosa flotta mercantile e da
guerra. Nel 1595 gli olandesi si spinsero a doppiare per la prima volta il Capo di Buona
Speranza. L'accaparramento olandese dei prodotti orientali per la via atlantica, che
raggiungevano Amsterdam bloccò il transito delle spezie verso i porti del Levante, isolando

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così il Mediterraneo dall'Oceano Indiano. Un'analoga vicenda si era verificata per


l'Inghilterra, la cui flotta mercantile già sotto il prospero regno di Elisabetta costituì la più
temibile concorrente per la marineria olandese. Gli inglesi si erano spinti alla ricerca dei
prodotti coloniali e delle merci orientali. Essi portavano stagno, tessuti e armi, comprandovi
seta, vini dolci, tappeti e uva passa. Lo sviluppo mercantile inglese e olandese era sostenuto
dall'incremento dell'attività manifatturiera e armatoriale. Le grandi navi inglesi e olandesi
riuscirono ad acquisire supremazia negli scambi tra il Mediterraneo e l'Europa nord-
occidentale, ma anche all'interno del Mediterraneo. In particolare le marinerie nordiche
introdussero nel Mediterraneo un nuovo tipo di nave, il bertone, che, rispetto alle galee,
richiedeva costi più ridotti per equipaggiarla, era più veloce e portava più cannoni. Inglesi e
olandesi navigavano non solo come commercianti, ma anche come pirati. Iniziava così
una nuova fase per i corsari, ma col tempo le compagnie commerciali riuscirono a imporre ai
pirati il rispetto delle proprie bandiere. Verso la metà del 17° secolo, infatti, olandesi e inglesi,
dislocarono delle squadre navali nel Mediterraneo a difesa delle loro flotte, mentre le galee
italiane e le navi spagnole e ottomane, erano, ormai, inadeguate al nuovo scenario
marittimo mediterraneo. In particolare, Venezia, che sino alla fine del Cinquecento
rappresentava la maggiore potenza marittima d'Europa, agli inizi del Seicento, dovette
difendere il proprio naviglio nell'Adriatico dagli Uscocchi, pirati cattolici di origine serbo-
croata sostenuti dagli Asburgo d'Austria, e, addirittura, nel 1616 dovette ricorrere all'intervento
di navi olandesi per difendersi da un attacco marittimo spagnolo.
La navigazione e il commercio erano ancora essenziali in tutto il bacino del
Mediterraneo. Nessun traffico raggiungeva il volume di Istanbul, ma la diversità dei bisogni e
il gran numero dei centri di attrazione, assicurarono al Mediterraneo ancora per tutto il
Seicento un'intensa attività commerciale. Il grano fu la derrata più consumata: le regioni con
produzione eccedente, Sicilia, Puglia, Africa del nord e Provenza rifornivano di grano le zone
deficitarie soprattutto Genova, Venezia e la Catalogna. La Sicilia risultava la maggiore
esportatrice di grano; dal 600 si avvia un grande commercio internazionale che unirà il Baltico
al Mediterraneo e vedrà impegnate le marinerie nordiche. Durante il Seicento Amsterdam
divenne il più grande mercato cerealicolo di tutta l'Europa.

CAPITOLO 5. EUROPA E MEDITERRANEO.


Il termine Europa come termine geografico lo usa già Erodoto per definire i confini di
un continente che va dalla Scizia (la Russia) a est e le isole Ebridi a nord, avendo poi a suoi
limiti ulteriori il Mare Interno a sud e l’Oceano a occidente. E gli abitanti di questo continente
vennero chiamati europei/europeenses. Queste genti non erano più i Latini o i barbari temibili
del passato o i Franchi. L’Europa nasceva dalla rottura dell'universo romano-mediterraneo.
Solo ora, con l’avvento dell’Islam nel Mediterraneo poteva dirsi davvero conclusa l’età
classica e veniva abbandonata ogni illusione di un possibile recupero della latinità imperiale.
Nasce l’Europa e si potrebbe dire muore il Mediterraneo, anzi Isidoro vescovo di Siviglia
intorno al 630 è il primo scrittore a usare il termine mediterraneo non come aggettivo ma come
sostantivo (la definizione del luogo nasce quando la cosa che nomina ormai si dissolve), infatti
scrive “Questo è il Mediterraneo che con le sue acque si stende in mezzo alle terre fino a
Oriente, separando l’Europa, l’Africa e l’Asia”. L’Europa si mostra pregna di domini e
regni, non può essere definita unita neanche religiosamente, perché le versioni del
cristianesimo si presentano da regione a regione differenti tra loro (come anche islam ed
ebraismo nel Mediterraneo), la percezione di un irrimediabile frammentazione, diversità si fa

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più cosciente e diffusa. “L'immagine del mondo mediterraneo come patria delle arti e delle
scienze, delle religioni e delle filosofie, delle forme politiche e dei sistemi giuridici da cui
l'Europa aveva derivato la sua personalità storica e morale si trasferì nel passato, divenne
l'immagine di un qualcosa che era stato e che non era più. Ora le religioni, le scienze, le arti,
il progresso abitavano altrove. Il Mediterraneo appariva come l'area di una grande stasi
culturale".

10. EQUILIBRI ED EGEMONIE.


1.Mediterraneo e modernità: un difficile rapporto. Nel 17° secolo si verificò il declino
del Mediterraneo e l’asse dei traffici commerciali e il baricentro dello sviluppo economico si
spostò verso l’Atlantico e verso il Mare del Nord; ma questo è vero solo in parte perché lo
sfruttamento delle rotte atlantiche non misero in seria difficoltà il commercio del Mediterraneo
ma contribuirono a sostituire i suoi protagonisti, in quanto le navi inglesi e olandesi stavano
penetrando in quel mare cariche di tutta la loro forza commerciale. Agli inizi del 600 si verificò
quindi la rivoluzione del commercio: le spezie iniziarono a giungere con navi inglesi e
olandesi direttamente dall’Asia o dai magazzini commerciali di Londra e Amsterdam e così
l’Italia, la Turchia e quindi il Mediterraneo si ritrovarono a comprare il pepe dai paesi atlantici,
piuttosto che a venderlo agli stessi. In questi anni i protagonisti furono Inghilterra, Francia
e Olanda. L’Olanda la cui prosperità era strettamente legata all’aumento della popolazione
era presente con la sua Compagnia di navigazione (Compagnia unita delle Indie orientali) un
po’ ovunque, dal Baltico, ai mari dell’Estremo Oriente, all’Atlantico Meridionale, ai mari
dell’Africa e nel mare interno, dove sulle coste italiane commerciava cuoi di Russia, catrame,
spezie, grani ricevendo in cambio vino, olio e pezzi d’argento. Il mezzo di tale espansione fu
il fluit, un’imbarcazione snella utilizzata dapprima nella navigazione baltica e poi nella
navigazione mediterranea. La forza olandese, tuttavia, diminuì per via del
ridimensionamento delle Province Unite sul piano dei rapporti internazionali e grazie
all’adozione di un’intransigente politica mercantilista da parte di Francia e Inghilterra.
L’Inghilterra stanca dello strapotere olandese, con gli Atti di navigazione portò avanti
strategie che non solo impressero una svolta decisiva alla politica economica inglese,
mettendone in rilievo le caratteristiche protezionistiche, ma le conferirono anche in modo
graduale un potere sempre più ampio come grande potenza europea e mondiale. La
presenza inglese nel Mediterraneo passò così in modo deciso da un piano quasi esclusivamente
commerciale a un piano politico e militare. La zona euromediterranea era caratterizzata dalla
pluralità di assetti politici-territoriali. Dall’altra parte, l’impero ottomano spingeva sul fronte
sud orientale dell’Europa, occupando i Balcani e arrivando a minacciare l’Austria. Nel 17°
secolo e in quello successivo la carta politica dell’Africa fu ridisegnata: la presenza turca a
nord e i fattori ambientali a sud frenarono la penetrazione europea nell’entroterra del
continente; alla metà del 600, i portoghesi si ritrovarono lungo le coste dell’Angola e del
Mozambico, gli olandesi nella regione del Capo, i francesi alla foce del Senegal, assicurandosi
tutti una serie di scali da utilizzare anche per il commercio degli schiavi. Quello della
modernità è il periodo più complesso per comprendere il Mediterraneo. In Europa, lo Scisma
prima e la Riforma poi ne avevano disarticolato le appartenenze religiose, le grandi città
marinare italiane si erano indebolite dalla espansione ottomana e già si annunciava il
declino della Spagna. Lo spazio europeo e lo spazio mediterraneo cominciarono, così, a
procedere a velocità differenti, vissero di una profonda tessitura di relazioni, fondata su radici
culturali e religiose, interessi mercantili, istituzioni pubbliche, a cui la Spagna e la Francia

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fecero da cerniera (ponte). Ma ormai lo spazio di riferimento fu quello atlantico dove


dominavano l’Inghilterra, l’Olanda e la Francia che non a caso da questa duplice condizione
di spazio ponte tra il Mediterraneo da un lato e l’Atlantico dall’altro trarrà uno dei motivi
della sua forza egemonica nell’Europa della seconda metà del 17° secolo.
2.La Francia e la politica mediterranea. L’ascesa al trono di Francia di Luigi XIV nel
1643 e l’inizio del suo regno risolsero la gravissima crisi interna del paese. Con il trattato dei
Pirenei nel 1659 egli riuscì a ridimensionare il disegno di egemonia continentale della
Spagna; si dedicò alla ripresa di una politica mediterranea, che la Francia aveva trascurato
dopo la pace di Cateau-Cambresis (1559) e da questo momento in poi stroncare l’Olanda
divenne l’obiettivo primario perché la potenza commerciale olandese rappresentava un
ostacolo per gli interessi economici francesi. Colbert, controllore generale delle finanze,
ministro della marina e responsabile della politica economica e finanziaria, su esempio
dell’Inghilterra e dell’Olanda diede vita nel 1664 alla Compagnia francese delle Indie
Orientali, che ottenne il monopolio del commercio con l’Oriente e furono istituite altre società
per il commercio con l’America, con l’Africa, con il Levante e con l’Europa del Nord. In
seguito il monopolio della Compagnia delle Indie Orientali fu abolito e il commercio con le
Indie restò aperto a tutti i mercanti ma, nonostante ciò il lavoro di Colobert non fu inutile, dal
momento che molti dei suoi obiettivi di rafforzamento della Francia si sarebbero realizzati nel
700. Nel quadro della politica mediterranea francese molto importante fu nel 1663 la
costruzione del Canal de Deux Mers tra la città di Tolosa e Sète per collegare l’Atlantico
con il Mediterraneo, evitando così la circumnavigazione della Spagna e il rischio di incorrere
in azioni di pirateria. La costruzione del canale venne considerata il più grande progetto della
sua epoca. L’importanza della costruzione spronò notevolmente le costruzioni navali e ciò
diede vita ad una flotta che fece della Francia la terza potenza marittima dell’Atlantico e
la prima del Mediterraneo, con un ruolo predominante non solo in campo politico e militare,
ma anche commerciale, soprattutto in direzione del Levante mediterraneo permettendo al
paese di sostenere il confronto con le altre grandi potenze commerciali del momento. Per
affermare le forze francesi in oriente Luigi XIV intervenne nell’ultima fase della lotta tra
Venezia e l’Impero ottomano per il possesso di Creta nel 1669, veneziana dal 13° secolo,
attaccata nel 1645 dai turchi. La Francia inoltre raggiunse un’alleanza con l’Inghilterra
(1672) per avviare una guerra contro l’Olanda, attaccata per mare dagli inglesi e per terra
dall’esercito francese. Gli olandesi per rispondere agli attacchi riuscirono a stringere una
coalizione con una serie di paesi che si sentivano minacciati dall’espansionismo francese
come la Spagna, l’Impero, la Danimarca, e i vari principi tedeschi. Il risultato fu un grande
conflitto i cui la Francia ottenne decisivi successi. La flotta francese venuta in soccorso di
Messina insorta contro il dominio spagnolo, prima alle Lipari e poi ad Augusta e infine a
Palermo, prevalse sulla flotta spagnola e olandese, garantendosi così il dominio nel
Mediterraneo centro-occidentale. La guerra si concluse con la pace di Nimega nel 1678, che
consacrò la Francia come maggiore potenza militare del continente e decretò la evidente
decadenza della Spagna. Frequenti furono anche le azioni militari francesi contro i corsari
nelle acque mediterranee. Nel 1665 e nel 1666 erano stati firmati accordi di pace sia con Tunisi
che con Algeri, ma già qualche anno dopo scoppiò una nuova guerra dichiarata da Algeri alla
Francia nel 1681, che si concluse con la pace nel 1688; nel frattempo si erano guastati i rapporti
anche con Tripoli che, dopo essere stata bombardata, era stata costretta ad accettare dure
condizioni di pace nel 1693. Le difficoltà finanziarie, sentite allo stesso modo da tutti, spinsero
al congresso generale di pace a Rijswijk nel 1697, in Olanda. Essa si rivelò, tuttavia, una
sistemazione alquanto provvisoria degli equilibri europei e mediterranei come si vide di lì a

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poco all’aprirsi del problema della successione spagnola. Luigi XIV voleva creare
un’egemonia borbonica nel Mediterraneo occidentale quando, nel 1700, dopo la morte di
Carlo II di Spagna e l’estinzione quindi del ramo spagnolo degli Asburgo, si presentò la
possibilità di far attribuire il trono spagnolo e anche i domini italiani a un principe
francese, suo nipote. Sarà l’Inghilterra a contrastare il tentativo egemonico francese
entrando con tutta la sua potenza nel Mediterraneo.
3.Gli inglesi nel Mediterraneo. Per l’Inghilterra l’area mediterranea non fu mai solo
semplice spazio riservato alle attività mercantili, ma un vero e proprio disegno politico. Nel
corso del 600 gli inglesi erano riusciti a conquistare non solo il privilegio del commercio
diretto fra gli stati della penisola italiana e l’Europa del Nord, ma anche uno spazio importante
del commercio nel bacino mediterraneo, che prima era stato in mani veneziane. L’espansione
del commercio con l’Europa Meridionale e con la sponda orientale del Mediterraneo (la
Turchia e il Levante) era iniziata prima del 600: gli inglesi vi portavano le loro stoffe e pesce
fresco e salato, e, dopo il 1650, le riesportazioni coloniali (pepe, zucchero, tabacco e sete e
cotonine dell’India orientale). In cambio cercavano lana a pelo corto spagnola, vino italiano,
cuoi e cavalli di razza in Marocco, fichi, arance e olive. Nei porti di Cadice e Alicante, le stive
delle navi inglesi venivano riempite oltre che di seta, di vino e di olio di oliva. Su tutte le rotte
che procedevano dal Mediterraneo al Mare del Nord viaggiava uva passa di Corinto, uva passa
di Smirne, uva passa di Lipari, uva passa di Malaga, considerata diversa per qualità e prezzo,
che in quanto prodotto di lusso ebbe un ruolo abbastanza importante nell’organizzazione
commerciale delle importazioni inglesi. Infatti fino alla metà del 17° secolo era una merce che
assicurava forti guadagni, che permetteva di accumulare grandi fortune e di procurare
influenza politica. Nella penisola italiana le navi inglesi cariche di pesce conservato, dopo aver
lasciato la maggior parte del carico a Livorno, proseguivano verso sud est a Gallipoli in Puglia
e nelle isole Ionie quasi vuote per potersi caricare con le “merci di ritorno”. Nei porti pugliesi,
infatti, riempivano le stive di olio di oliva utilizzato per la manifattura delle lane e del sapone
in Inghilterra. Nelle isole Ionie veniva caricato il currant, una qualità di uva passa. Nel viaggio
di ritorno in patria, facendo tappa di nuovo a Livorno, il carico veniva completato con merci
fini italiane. In questa nuova rotta Inghilterra-Levante gli inglesi usufruirono di vantaggi
doganali e attrezzature portuali moderne proprio a Livorno e nel loro schema commerciale
prese forma un modello di scambi triangolare fra Londra, centro finanziario e strategico,
il Levante fornitore di materie prime e Livorno, piazza di scambio e canale di
trasformazione per merci e capitali. Il porto toscano divenne scalo e magazzino, punto di
riferimento per rifornimenti e riparazioni navali. Non solo ma i mercanti inglesi si insediarono
stabilmente nelle città, formando una vera e propria comunità, un primo gruppo di Factory,
istituzione tipicamente britannica con funzioni mercantili, sociali e assistenziali, presente
nei diversi porti stranieri in cui c’erano comunità inglesi, e la cui ascesa e affermazione fu
sostenuta anche dalla presenza della Royal Navy. Livorno rappresentava un mercato per le
merci nord europee, italiane, levantine e asiatiche, attraente sia per la facilità con cui esse
potevano essere riesportate sia per la mancanza di tasse doganali, e a consolidare la posizione
degli inglesi fu anche la politica medicea di Cosimo III, che nel 1676 fece della città un porto
franco, una condizione che permetteva di commerciare senza pagare le imposte d’entrata e di
uscita. Nel giro di poco tempo il commercio inglese nell’area mediterranea era decollato: i
prodotti tessili inglesi avevano avuto un grande successo nei territori dell’impero ottomano e
anche in Asia centrale. Per gettare le basi della supremazia inglese nei traffici del Mediterraneo
elemento importante fu la convergenza degli interessi commerciali e politici inglesi con quelli
della Porta. Grazie alla comune ostilità nei confronti degli spagnoli, gli inglesi erano

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riusciti a ottenere condizioni convenienti nelle Capitolazioni con gli Ottomani, molto
interessati alle forniture di materiali strategici, stagno, piombo, acciaio, polvere da sparo e
armi di ogni genere, indispensabili nello sforzo bellico contro la Spagna. Gli stati barbareschi,
a loro volta, grazie alla presenza inglese, avevano ottenuto naviglio di qualità migliore, che fu
loro di grande aiuto nelle attività corsare. Nel 1651 il governo repubblicano di Cromwell
emanò il Navigation Act, un regolamento commerciale che subordinava le colonie al
Parlamento, rendendo possibile una politica imperiale coerente, il monopolio della marina
inglese sui traffici coloniali e una concezione dell’economia politica in un’accezione
nazionale. Il Navigation Acts lo ritroviamo anche dopo la restaurazione di Carlo II Stuart
(1660-1685) fino al 1663, e ciò segnò il passaggio da un’organizzazione fondata sulle
compagnie di monopolio a una completa integrazione del commercio inglese basata su un
monopolio nazionale, in cui lo stato svolgeva un ruolo dominante: il commercio nazionale
vinceva sui privilegi delle compagnie e sugli interessi particolari. Le guerre olandesi del 1652-
1674, combattute per rafforzare l’indipendenza inglese dal sistema di trasporti olandese, per
conquistare il commercio degli schiavi e quello dell’estremo oriente, resero Londra il centro
commerciale europeo della produzione coloniale. Fra il 1638 e il 1688 le esportazioni e le
riesportazioni inglesi si triplicarono. Il monopolio imperiale consentì ai mercanti di
comprare a basso costo e rivendere a prezzo elevato i prodotti inglesi e coloniali da
esportare nei mercati esteri. Ciò fece aumentare i profitti dei mercanti e trasferì l’utilizzo del
reddito nazionale dal consumo all’accumulazione di capitale, soprattutto nell’industria delle
costruzioni navali che registrò un boom, diventando una delle 3 o 4 più grandi industrie
dell’Inghilterra. Il ritiro dell’Inghilterra dalla terza guerra contro l’Olanda nel 1674 offrì la
possibilità ai commercianti inglesi di impossessarsi di diversi mercati olandesi. Se l’Inghilterra
non aveva ancora un ruolo egemonico in Europa, possedeva già tutte le caratteristiche che
l’avrebbero resa una futura potenza: risorse naturali, manodopera altamente specializzata e
una città, Londra, che si avviava a diventare il principale centro finanziario e mercantile
in Europa. Nel 1700 la città con 400 mila abitanti, diventò la prima in Europa per popolazione.
La politica e la potenza inglesi ruotavano, dunque, attorno alle attività marittime. La ricchezza
del paese era in costante aumento e questo la poneva in oggettivo contrasto con l’altra
potenza emergente allora, che era la Francia di Luigi XIV.
4. Il declino di Spagna e Portogallo. Una volta conclusi i conflitti con l'Olanda e con la
Francia, la Spagna si trovò davanti alla guerra con il Portogallo, dove era stata restaurata una
dinastia nazionale. Filippo IV, dopo il fallimento del tentativo del suo ministro favorito di
istituire un sistema politico accentrato, rinunciò a eliminare i privilegi fiscali della Catalogna,
dell’Aragona, e di Valencia, facendo così ricadere il costo della guerra con il Portogallo sulla
Castiglia, che in quegli anni viveva una crisi agricola e demografica, oltre che il pieno caos
monetario. Nel 1665 le città di Toledo, Valencia, Siviglia, Cordova e Granada furono costrette
a richiamare l'attenzione del re circa le loro difficoltà a causa del declino delle industrie della
lana e della sete che entrarono in crisi. Alla crisi economica si unì la crisi agricola. In quel
periodo erano presenti molti stranieri che con i loro commerci monopolizzavano la maggior
parte degli scambi con l'America, questo ebbe conseguenze disastrose perché essi mettevano
a profitto la parte migliore delle risorse del paese, dominavano le finanze pubbliche e private
ed erano entrati in possesso di molte cariche e benefici. Madrid divenne sempre più il centro
di una nobiltà assenteista e di una burocrazia parassitaria, e il peso della crisi finì col gravare,
soprattutto, sui contadini sfruttati nei latifondi. In un quadro così negativo un'eccezione era
rappresentata dalla Catalogna: la borghesia mercantile di Barcellona prese coscienza della
fine del proprio ruolo mediterraneo e cercò di impadronirsi di una parte del commercio

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con le Indie, provando a ricostruire la industria tessile. I mercanti principali artefici della
ripresa economica della Catalogna, cominciarono a guardare verso l'Europa settentrionale e
l'America.
L'ultimo ventennio del regno di Filippo IV segnò il definitivo congedo della Spagna
dal proprio ruolo di grande potenza sulla scena europea. Alla sua morte salì al trono Carlo
II (privo di eredi diretti), che di fronte alla minaccia dell'imperialismo francese, fu costretto
a condurre una continua guerra, mentre le potenze europee aspettavano la scomparsa degli
Asburgo spagnoli e già firmavano trattati segreti per la divisione dei territori. Nonostante
tutto, la Spagna rappresentava ancora un immenso impero che si estendeva dalle Americhe, ai
Paesi Bassi meridionali, ai domini italiani, alle Filippine, all'arcipelago delle Caroline e le
ambizioni alla successione su quel trono si riveleranno numerose.
In Portogallo, dopo la restaurazione sul trono della dinastia legittima nel 1640, il
duca di Braganza divenne re con il nome di Giovanni IV. L’unione con la Spagna aveva
causato ai portoghesi la perdita del commercio nell’Oceano indiano, mentre gli olandesi
li stavano allontanando anche dal Brasile. Il fulcro dell'economia imperiale in Portogallo era
rappresentato dalla coltura di cereali, vigneti, frutteti, oliveti e orti; si occupava
dell'esportazione di vino. Dopo la restaurazione le costruzioni navali furono in ripresa e
nacquero cantieri a Lisbona e Oporto. Le esportazioni per il Brasile, l'Africa e le isole erano
costituite da alcolici, vino, olio, farina, sale, tessuti di lana, lino di produzione nazionale, carta
e utensili importanti da altri paesi. Per l'Europa partivano le esportazioni di vino, olio, frutta,
sale, lana della Spagna, diamanti e spezie dell'Oriente, zucchero, tabacco, legname del Brasile
e pelli provenienti da diverse colonie.
Dopo la restaurazione il paese riuscì a costruire una vasta rete di fortificazioni e
organizzare un esercito. L'ideologia assolutista del governo portoghese condusse a una lotta
contro Cromwell nel 1650, il quale costrinse il Portogallo ad aprire l'impero al
commercio inglese. Gli inglesi, così si fecero strada, nel monopolio coloniale portoghese e in
cambio offrirono al Portogallo la protezione della propria potenza navale. Anche gli olandesi
per ottenere gli stessi vantaggi dell'Inghilterra, attaccarono il paese nel 1657 e nel 1661,
lo obbligarono a un trattato di pace con effetti disastrosi per l'economia portoghese. Dopo
la morte di Giovanni IV nel 1656 il potere era passato sotto il controllo dei fidalgos, i membri
della bassa nobiltà. Il matrimonio di Caterina di Braganza, figlia di Giovanni IV con Carlo II,
re d’Inghilterra nel 1662 da un lato, assicurò il sostegno inglese al paese, che nel 1668 ebbe
il riconoscimento dell'indipendenza con il trattato di Lisbona, dall’altro riconfermò i privilegi
commerciali dell’Inghilterra. Verso la fine del 17° secolo, oltre al dominio coloniale in
Brasile, il Portogallo conservava solo alcune località in India, parte dell'isola di Timor
nell'arcipelago della Sonda, Macao in Cina; sulla fascia costiera dell'Africa occidentale i
portoghesi persero il controllo delle precedenti posizioni, restringendosi nella regione
dell'Angola. Quella zona dell’Africa si era trasformata in un grande serbatoio a cui gli europei
attingevano per alimentare il traffico di sciavi verso le Americhe.
5. Gli stati italiani nel contesto euromediterraneo. Nel quadro della 'crisi generale'
del 17° secolo particolare rilievo assume il caso dell'Italia dove la guerra dei Trent'anni aveva
cmq inciso (nonostante la posizione periferica rispetto all’epicentro). La guerra aveva
devastato molte zone della penisola, decimando la popolazione con pestilenze e carestie e
piegando in modo grave commerci e industrie. La fine della guerra e la pace di Vestfalia non
determinarono, per l'Italia, l'avvio di quella intensa fase di rinnovamento (che riguardò larga
parte dell’Europa), oltre agli effetti delle guerre, anche la situazione politica, creatasi in seguito
al declino della Spagna e all'ascesa della Francia, contribuì alla generale decadenza

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economica italiana. La Spagna, che aveva dominato sulla penisola militarmente e


politicamente, sul piano economico era stata un'ottima cliente di manufatti tessili e di servizi
nel campo finanziario, commerciale e dei trasporti marittimi e la sua decadenza significò
anche l'impoverimento degli imprenditori italiani. Al contrario la Francia fu una
pericolosa concorrente: le manifatture di seta di Lione facevano concorrenza a quelle italiane
e il porto di Marsiglia cercò di scavalcare quello di Genova; il commercio francese si estese
nel Levante a danno di Venezia (grazie ai buoni rapporti politici tra la Francia e la Porta).
Genova, dopo essere stata bombardata dai francesi nel 1685 per non aver interrotto la sua
relazione preferenziale con la Spagna, fu costretta a un atto di sottomissione diplomatica
nei confronti della Francia, riuscendo solo così a salvaguardare la sua indipendenza. Intanto
nelle acque del Mediterraneo navigli inglesi, olandesi e francesi andavano direttamente in
Sicilia, a Napoli, in Sardegna e in Catalogna carichi di merci che un tempo venivano distribuite
dai mercanti genovesi. Più efficace di quella francese fu la concorrenza inglese e olandese,
il naviglio italiano non era più in grado di competere con il loro non solo nel Levante ottomano,
ma anche nello stesso Mediterraneo occidentale. Livorno subentrò a Venezia come snodo
dei traffici fra il Mediterraneo e il resto dell'Europa (grazie alla neutralità mantenuta nel 600
dai granduchi di Toscana), essendo la città tirrenica agevolata sia dal regime di porto franco,
sia dalla posizione geografica. La città fu non solo la principale base commerciale inglese nel
Mediterraneo, ma anche un utilissimo accesso al mercato italiano. Nella città toscana non
giungevano solo le tipiche merci inglesi (i tessuti inglesi avevano estromesso quelli italiani sia
dal mercato levantino sia dal mercato interno) ma anche prodotti provenienti da altri paesi
europei ed extraeuropei. La frantumazione politica, la subordinazione alla potenza
spagnola di gran parte della penisola, gli effetti della guerra dei Trent'anni nell'Italia
settentrionale, la contrazione delle attività commerciali, assicurative e bancarie, insieme
alla Controriforma rafforzarono la crisi. Le manifatture di Venezia, Milano, Firenze e
Genova rimasero vittime della concorrenza dei produttori dell’Europa nordoccidentale;
l'industria tessile italiana non era più in grado di reggere la concorrenza con quella
straniera a causa dell'elevato costo della manodopera, causato soprattutto dallo spopolamento
provocato dalla peste nel 1657 e dallo scarso incremento demografico degli anni successivi.
La tessitura della seta sparì da Napoli e dalla Sicilia, e diminuì drasticamente a Venezia,
Firenze, Milano e Como. Messina era l'unica città dell'isola che ancora conservava una
certa prosperità economica, grazie al suo porto e alle esportazioni di seta. All'indomani
della rivolta del 1674 alimentata dall'oligarchia patrizia dell'isola contro il presidio spagnolo,
iniziò un periodo molto difficile per l'economia messinese, per le sue finanze, per le sue
manifatture e i suoi commerci. Verso la fine del 600 l'affermazione dei nuovi tessuti prodotti
a Lione sconfisse la concorrenza inglese, olandese e delle città italiane e i tessuti siciliani di
qualità, in cui proprio Messina primeggiava, i velluti e i preziosi damaschi restarono in qualche
modo tagliati fuori a causa dei vecchi metodi produttivi, dei prezzi alti e della fattura antiquata.
La rivolta e la sua repressione (molti mercanti furono esiliati) accelerarono la crisi, infatti nei
primi decenni del 18° secolo e con l’inizio della guerra di successione spagnola la sericoltura
siciliana e le sue esportazioni furono colpite da una lunga e complessa crisi. Nel frattempo
Napoli restava un enorme aggregato urbano, socialmente degradato ed economicamente
misero (al di fuori della capitale non c’erano centri di grandi dimensioni). La pestilenza che
nel 1656 colpì il Regno di Napoli dimezzandone la popolazione, comportò una grave battuta
d'arresto in termini di crescita economica e demografica. Per le autorità centrali spagnole
restava per l'esigenza di riacquistare il controllo dell'intero territorio (le periferie, dominate da
forti poteri locali, mirarono ad auto-amministrarsi) e la strada intrapresa fu quella del

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censimento e dell'accertamento dei danni demografici e fiscali. Nel 1664 le difese furono
rafforzate con castelli e nuove milizie, fu rinnovato l’armamento delle galee, fu costruito un
altro molo nel porto di Napoli, le coste vennero rafforzate con costruzioni di fortini; alla
carestia e alla miseria si aggiunse il banditismo, il brigantaggio e la delinquenza. Alla fine del
600 si cercò di risollevare la vita culturale e civile del regno. Per la nuova guerra tra la
Spagna e la Francia per l'esigenza di soccorsi finanziari, furono venduti feudi, soppressi vecchi
istituti inutili e passivi, tassati i grandi baroni. Tuttavia, sul finire del 600, il Regno era
talmente impoverito che gli stessi viceré erano costretti a respingere le richieste continue di
denaro del governo madrileno. In questo quadro, con la Spagna in rapido declino e la Francia
in decisa ascesa, ben modesto fu il ruolo degli Stati italiani indipendenti: il ducato sabaudo era
sotto il controllo francese e la Santa Sede non godeva più del suo solido prestigio
internazionale. In tale contesto spiccava la repubblica di Venezia, la cui classe dirigente fu
indotta a perseguire una politica di cauta neutralità e di conservazione dell'esistente. Nel corso
del Seicento la sua partecipazione al grande commercio internazionale subì un forte
ridimensionamento, poiché i mercanti dell'Europa settentrionale potevano ora contare
sull'appoggio fondamentale dello Stato a sostegno delle loro attività; disponevano di una
tecnologia navale e godevano della forza di strutture monetarie e finanziarie che proprio la
formazione di grandi stati moderni rendeva più solide e stabili. Inoltre, la ripresa del conflitto
contro i turchi rese ancora più gravi le difficoltà del commercio veneziano. I nuovi conflitti
nella penisola balcanica e nei mari della Grecia, zone vitali per gli scambi veneziani, si
rivelarono fatali per la Serenissima, ora i suoi traffici e il suo naviglio erano in declino in tutto
il Mediterraneo orientale, sia per l'ostilità con i turchi sia per la concorrenza dell'Olanda,
della Francia e dell'Inghilterra. La lunga e costosa guerra di Creta, fu necessaria per
difendere uno degli ultimi avamposti del commercio della Serenissima nel Mediterraneo
orientale e i veneziani mobilitarono una formidabile flotta a cui si unirono navi di Malta, degli
Stati pontifici, di Napoli e della Toscana. Nei 24 anni di guerra che seguirono, i veneziani
ottennero vittorie, danneggiando fortemente le flotte turche. La difficoltà di conservare
l'integrità della flotta e la riorganizzazione ottomana indussero il Capitano generale veneziano
Francesco Morosini a concludere nel 1669 un accordo per la resa di Creta, che permise ai
veneziani di uscire dal conflitto, e di conservare sull'isola piccole basi navali importanti,
2 isole dell'Egeo e il territorio conquistato precedentemente su terra in Dalmazia. Pur avendo
smesso di essere uno dei maggiori centri del commercio mondiale, Venezia rappresentava
ancora il mercato metropolitano di una zona ricca e molto popolata. Il ridimensionamento
della Serenissima rappresentò un aspetto molto importante della crisi economica generale
dell'Italia del secondo Seicento.

11. ASCESE E DECADENZE.


1. La crisi ottomana. A differenza di Francia, Spagna, Portogallo, Olanda e , Inghilterra,
l'Impero ottomano non era condizionato direttamente dalla sua potenza sul mare. Esso
costituiva un blocco sostanzialmente unitario e omogeneo, tenuto insieme da un robusto
apparato burocratico e da una forte struttura militare. Istanbul era la sede delle istituzioni
amministrative e militari, centro culturale e commerciale, abitato da più di mezzo milione di
persone di religione diversa. Tra il 16° e il 17° secolo si verificarono lunghe campagne contro
la Persia e contro gli Asburgo d'Austria per il dominio dell'Ungheria 1593-1606. Le spese
militari provocate dai conflitti avevano generato grosse conseguenze fiscali e finanziarie (tasse
supplementari e straordinarie, svalutazione, stipendi non pagati, monete di scarso valore).
Conquiste, Bottini e rendite erano diminuiti, mentre il numero dei militari aumentava. Nel

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1660 scoppiò anche il più grande incendio di Istanbul che provocò la morte di4 mila persone
e la distruzione di 28 mila case e 300 palazzi. Inoltre, pressati dalle esigenze finanziarie anche
artigiani, piccoli commercianti e contadini, insorsero di frequente contro il governo. L'impero
ottomano era un paese fondamentalmente agricolo, ricco di zone molto fertili e l'agricoltura e
l'artigianato erano le più importanti fonti di sostentamento, ma anche il commercio era una
componente essenziale della sua prosperità dal momento che si può dire che esso aveva il
controllo delle principali rotte che dal Mediterraneo portavano in Oriente. L'agricoltura e
l'allevamento erano destinati soprattutto al fabbisogno personale e solo una parte della
produzione veniva commercializzata. Alcuni prodotti dell'Impero come cuoio, lane, pelli, seta,
spezie e allume erano molto ricercati all'estero, mentre l'Impero richiedeva a sua volta stagno,
stoffe di lusso, carta, spezie, vetro e moneta. Nel traffico internazionale, durante la seconda
metà del 17° secolo, gli ottomani non ebbero più un ruolo di primaria importanza dal momento
che svariate merci di cui gli europei avevano bisogno erano reperibili altrove.
Dal punto di vista territoriale il sultano Maometto IV aveva ereditato dai suoi antenati
un vasto Impero che si estendeva su tre continenti: in Europa la frontiera arrivava a otto miglia
da Vienna; nell'Africa del Nord solo il Marocco rimaneva fuori dai confini, che invece
comprendevano l'Egitto; il Mar Nero e il Mar Rosso erano sotto il controllo turco e a Oriente
la frontiera si estendeva fino alle coste del mar Caspio e del golfo persico. Nonostante tutto,
l'impero ottomano non aveva ancora sufficienti risorse per portare avanti una politica militare
aggressiva. Il gran visir Mehmed Koprulu aprì la strada all'attacco contro l'Austria e fu il figlio,
suo successore, a puntare su Vienna: nel 1663 i turchi dichiararono guerra all'Impero e
avanzarono nell'Europa centrale, ma l'anno seguente furono cacciati al di là del Danubio. Negli
anni successivi lo sforzo militare non si interruppe, ma cambiò direzione: fu Faz Ahmed Pascià
a occuparsi della conquista di Creta nel 1669 che si rivelò più difficile del previsto. Dopo il
1670 le relazioni in veneto-ottomane rimasero pacifiche per circa 15 anni, così come restano
abbastanza buone le relazioni con gli occidentali: gran parte delle nazioni europee ottennero
dai sultani sia Capitolazioni, che consentivano ai mercanti di viaggiare liberamente in tutto
l'Impero, sia il permesso di insediare Consolati. Dopo Creta l'impero nel 1672 si mosse contro
la Polonia e nel 1676 riuscì a ottenere l'Ucraina e la Podolia. Con il gran visir Kara Mustafa
Pascià ripresero i contrasti con le potenze europee e nello stesso tempo venne ripreso il
conflitto in Ucraina contro i russi (1676). A lui si deve, soprattutto l'ultima grande offensiva
condotta dall’impero ottomano contro Vienna. Molta parte dell’Europa cristiana (tranne
Olanda Francia e Inghilterra) accorse in aiuto degli Asburgo, dal re polacco Sobieski alla Lega
Santa, promossa dal Papa Innocenzo XI; nel luglio 1683 i discendenti di Maometto II
portavano nuovamente l'Islam alle porte dell'Europa cristiana. Il primo mese di assedio mostrò
che le fortificazioni della città erano molto buone e che l'artiglieria ottomana era stata
tecnicamente superata da quelle europee. Alla fine del secondo mese i turchi sconfitti si
ritirarono in Ungheria. Tale vittoria risvegliò in Europa il desiderio di rivincita e dopo la presa
di Belgrado nel 1688, il governo ottomano tentò inutilmente negoziati di pace con l'Austria e
con Venezia. Sotto il sultano Mustafa II primogenito di Maometto IV, la difficile situazione
economica e politica interna dell'impero sembrò migliorare: vennero ridotte le spese, diminuiti
gli stipendi dei funzionari, reclutati nuovi soldati, ricostruita la flotta, aumentate le tasse su
caffè e tabacco. Chio venne riconquistata nel 1695 e i veneziani furono sconfitti in Grecia nel
1696, ma gli ottomani subirono una dura sconfitta ai confini con la Serbia e con l'Ungheria per
opera degli Austriaci nel 1697. Le trattative per la pace furono volute sia dai turchi che dagli
austriaci. Il sultano rinunciò ai territori già perduti e gli Asburgo si trovarono a possedere uno
spazio completamente nuovo nell'Europa centrale e danubiana. Il trattato firmato nel 1699 nel

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villaggio semidistrutto di Karlowitz fu un evento importante Mediterraneo, perché segnò


l'inizio dell'assottigliamento dell'impero ottomano in Europa, così la carta dei domini ottomani
in Europa cambiò in modo sensibile: Il mito della invincibilità ottomana andò man mano
affievolendosi. Nella storia dello stato ottomano il 17° secolo rappresenta un momento di
passaggio dall'apogeo al declino dell'impero (Sempre meno capace di resistere alle pressioni
europee).
2. Le province ottomane. All'inizio del 600 le province arabe dell’impero ottomano
comprendevano la totalità delle zone dell'Africa del Nord e l'essenziale delle zone asiatiche,
tranne l'Anatolia. Il dominio arabo era molto vasto e popolato e la sua organizzazione risultava
molto complessa. Fatta eccezione per l'Algeria e l'Iraq nessun pericolo minacciò le province
arabe prima della spedizione napoleonica in Egitto nel 1798. le vaste dimensioni dell'impero
diedero vita a un grande mercato interno in cui venivano scambiate le merci delle diverse
regioni e i prodotti che vi transitavano erano spezie, caffè e tessuti, olio, legno, tabacco,
gomma, avorio ecc. L'artigianato maghrebino produceva merci di lana, coperte bianche e
scialli. In tale attività commerciale le correnti interne, incoraggiate dalla grandezza del
mercato, della produzione e del consumo costituito dall'impero, furono più rilevanti delle
correnti esterne con l'Europa. È proprio questo movimentato scambio commerciale interno a
spiegare la crescita delle grandi città arabe, molte delle quali si trovavano nei punti strategici
del grande commercio internazionale, al limite dell'Europa, dell'Asia e dell'Africa o nei punti
di contatto tra l'Africa interna e il Mediterraneo. Il rapporto dei paesi maghrebini (Marocco
Algeria Tunisia) con l'Impero ottomano cambiò nel corso del tempo, infatti sotto forma della
guerra corsara, che li rese più autonomi, questi Stati si mostrarono capaci di fronteggiare con
successo gli Stati europei, di dare vita a società dinamiche e aperte, ritagliandosi così un ruolo
importante nella storia del Mediterraneo moderno. Nel corso dei secoli 17-18, i corsari con le
loro basi sulle coste del Nord Africa furono un elemento che accompagnò la vita delle
popolazioni mediterranee per oltre tre secoli (pirateria, riduzione in schiavitù dei prigionieri).
Per tutto il Seicento e ancora nel Settecento la guerra di corsa fu continua e rappresentò un
grande momento di rimescolamento di uomini e un efficace motore di interessi economici che
si esaurì solo negli anni della Rivoluzione Francese e della Restaurazione. Nel XVII secolo le
diverse influenze delle aree mediterranee e il relativo cosmopolitismo delle città del Maghreb
portarono a processi di contaminazione tra comunità di diverse fedi ed etnie. Spesso le potenze
marittime europee privilegiarono forme di convivenza individuale con le Reggenze, che
prevedevano contratti ma anche blocchi navali per dirottare la corsa contro la presenza non
gradita di potenze antagoniste all’interno dell’area mediterranea. Nella seconda metà del 600
olandesi, inglesi e francesi utilizzarono le maniere forti con gli stati barbareschi. Vi fu un
continuo passaggio dalla guerra alla diplomazia e viceversa.
3. La Russia dalla steppa al mare. Il 17° secolo si aprì in Russia con Michele
Fedorovich primo zar della dinastia dei Romanov. Michele governò il paese con l'aiuto del
padre Filarete, il patriarca della Chiesa ortodossa russa. In politica interna furono effettuati
interventi sul fisco e sulla struttura dell'esercito che aumentarono la distanza sociale tra la corte
e gli artigiani e i commercianti, pressati dalle imposte e dalla concorrenza straniera, e i
contadini ridotti in uno stato di servitù sempre più forte; venne ripristinato e consolidato
l'apparato amministrativo centrale e periferico dello Stato. La Russia nonostante il tentativo di
allargare le proprie relazioni diplomatiche e i propri orizzonti politici, svolgeva ancora un
ruolo modesto nelle vicende europee (Mentre Svezia, Danimarca, Polonia e Olanda avevano
rappresentanti diplomatici in Russia, questa aveva ambasciatore solo in Polonia e non
conosceva bene la situazione politica nel versante mediterraneo occidentale). Per quanto il

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commercio con la Russia avesse la sua importanza soprattutto per i paesi dell'Europa
settentrionale, Mosca era ancora fuori dal sistema politico europeo e dalle sue precarie
alleanze, sia per la sua posizione geografica sia per i contrasti religiosi e ideologici, che
facevano considerare come eretica la religione ortodossa e dispotico il suo governo. I mercanti
e gli imprenditori russi delle classi inferiori subivano la concorrenza dei mercanti stranieri e
dei rappresentanti della nobiltà (che erano esenti dal pagamento dei tributi). Per tutta la
seconda metà del 600 lo stato esercitò un ruolo predominante (o addirittura il monopolio) sia
nella produzione sia nella distribuzione di molte merci. Un diverso trattamento era riservato,
invece, ai grandi mercanti-imprenditori che erano esenti da tasse e dazi. Questa mancanza di
coesione del mondo dei mercanti russi freno l'ascesa della classe borghese. In politica estera,
nel 1617 fu firmata la pace con la Svezia e nel 1634 anche quella con la Polonia. Il successore
di Michele, Alessio I Romanov fu impegnato con la ribellione dei cosacchi del Don (che
volevano unificare la regione compresa tra la Russia moscovita, la Polonia e la Crimea tatara)
e nuovamente con la Polonia nel 1654, con cui nel 1666 si arrivò all'armistizio di Andrusovo,
con cui ottenne la conquista della frontiera del Dnepr e il possesso di Kiev, l'antica capitale
russa, con il patto, che non fu mantenuto, di restituirla dopo due anni. La Polonia non fu in
grado di far valere i propri diritti perché impegnata nuovamente contro i turchi che
minacciarono anche i russi, soprattutto durante il regno del successore di Alessio, Fedor III
Romanov e, pur di ottenere l'adesione russa alla coalizione antiturca formata con l'impero
asburgico, Venezia e la curia pontificia, decise di rinunciare definitivamente a Kiev e
all'Ucraina a oriente del Dnepr nel 1686. La Russia dal canto suo si impegnò ad aiutarla nella
guerra contro i turchi e con l'acquisizione dell'Ucraina orientale la sua influenza si estese sulla
maggior parte dell'antico territorio dell'orda d'oro che dalle rive del Caspio, attraversando la
steppa giungeva fino al Dnepr. I confini dello Stato Russo non arrivavano ancora al Mar Nero
ma controllavano i fiumi Don e Dnepr (le due più importanti strade di accesso dal nord).
L'avanzata verso est era proseguita sempre più rapidamente, stava venendo il più grande
cambiamento sul mare dopo la caduta di Costantinopoli: la comparsa di una marina da guerra
costruita e organizzata da uno stato che poteva sfidare l’egemonia dell’Impero Ottomano.
4. L'Austria antemurale della cristianità. A conclusione della guerra dei Trent'anni
(1618-1648) la pace di Vestfalia determinò le condizioni di una duratura stabilizzazione
dell'area tedesca, che sarebbe durata fino al 1806 cioè, fino alla dissoluzione del Sacro Romano
Impero. Ma i problemi da risolvere furono molti, primo tra tutti quello della restaurazione
dell'ordine e della legalità; la mancanza di unità politica provocò conseguenze gravi
sull'economia del paese, già notevolmente ostacolata. Le potenze straniere controllavano le
foci dei principali fiumi dell'Impero, le attività commerciali cercavano sbocchi alternativi, i
principi decisero intervenire più sistematicamente e attivamente nell'economia per garantire
l'accrescimento della propria ricchezza, e perciò alzarono le barriere al commercio e alle
iniziative private e imposero tasse che danneggiarono i traffici. La guerra aveva portato allo
spopolamento di molte città, il consumo dei cereali subì una drastica riduzione, il commercio
cerealicolo si contrasse e il prezzo della terra calò vertiginosamente. Alle conseguenze e ai
danni della guerra in vaste aree dell'Impero si unì anche un'elevata mortalità provocata dalle
epidemie e dalla peste. Nonostante la sua frammentazione politica e i problemi che ne
conseguirono, l'Impero divenne una realtà complessa in cui si assisteva alla convivenza di
lingue, religioni e tradizioni politiche diverse. Gli Asburgo posero le basi di un sistema
monarchico solido, richiamandosi a una nuova uniformità religiosa e comunanza culturale, e
mantenendo forti legami con le élites locali. Dopo Ferdinando III nel 1658 sul trono imperiale
salì il figlio Leopoldo I, già re di Ungheria, Boemia e Croazia, impegnato per tutta la durata

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del suo lungo regno a contrastare le mire espansionistiche di Luigi XIV, re di Francia. Egli
ereditò una situazione difficile, ma portò avanti la politica di ricostruzione iniziata dal padre:
si dedicò alla ricostruzione economica e i risultati abbastanza positivi gli consentirono di
pensare al 'rafforzamento dell’esercito (riorganizzazione aumento del numero dei soldati,
innovazioni tecniche, costruzione della “marina danubiana”: il Danubio rappresentava una via
di comunicazione indispensabile) come a una necessità vitale, dal momento che si ritrovò a
battersi su tre fronti, quello del pericolo ottomano, dell'imperialismo francese e della difesa
della monarchia spagnola molto indebolita dopo la morte di Filippo IV (1665). L'inizio del
decennio 1680-1690 fu per Leopoldo il momento più complesso perché i suoi nemici francesi,
ungheresi e ottomani si coalizzarono contro di lui: nel 1682 gli ungheresi accettarono la tutela
degli ottomani e la politica europea e antifrancese che l'Austria stava conducendo subì un
brusco arresto quando si trovò di fronte alle mire espansionistiche dell'Impero ottomano che
con il suo esercito puntò su Vienna. L'assedio fu una dura prova per la popolazione, ma la
successiva pace di Karlowitz, riconoscendo agli Asburgo il dominio di tutta l'Ungheria, ne
fece la potenza dominante dell'Europa centro-orientale. Vienna divenne molto presto una
grande metropoli barocca, Crocevia di influenze tedesche, francesi e italiane. Da quel
momento in poi, obiettivo della politica estera asburgica fu l'espansione verso i Balcani,
l'Adriatico e il Mar Nero. L'allargamento dei confini dell'Impero austriaco verso sud-est, con
la conquista dell'Ungheria, della Slavonia e della Croazia nell'ultimo quarto del Seicento fu il
segno dell'ingresso dell'Austria nel commercio mediterraneo.
5. Venezia e la nuova situazione mediterranea. Le incursioni musulmane e i pirati
cristiani barbareschi continuarono a nuocere ai trasporti veneziani per secoli, nonostante i
tentativi veneziani di indurre il sultano ottomano a imporre ad Algeri, Tunisi e Tripoli
l'osservanza dei trattati di pace con i quali egli si impegnava a proteggere il commercio
veneziano. Dal canto loro i governanti degli Stati barbareschi trovavano sempre qualche
pretesto per non obbedire agli ordini del sultano, risparmiando solo le navi dei paesi che
stipulavano trattati direttamente con loro e considerandosi in guerra con gli altri. I viaggi
veneziani nel Mediterraneo occidentale erano poco consigliabili per via dei corsari
barbareschi, ma la Serenissima navigava con qualche successo l'Adriatico e i mari levantini.
Dopo la perdita di Creta (1669) Venezia si trovò, a dover riparare i danni economici provocati
dal lungo conflitto, a cercare di ripristinare il commercio con il Levante e a superare le
difficoltà provocate dalla spietata concorrenza di porti come Marsiglia, Livorno e Genova.
L’attività mercantile della Serenissima fu rivolta soprattutto verso il Levante attraverso scambi
commerciali con gli ottomani regolati dalle Capitolazioni. I periodi di pace e di diplomazia tra
la città lagunare e gli ottomani furono molto più lunghi di quelli di guerra, infatti Venezia fu
il primo stato ad avere suoi rappresentanti fissi nell'Impero ottomano in qualità di funzionari
politici e diplomatici.
Il mondo musulmano oltre che di spezie e bei tessuti da vendere era ricco di un pensiero
e di un'arte che Venezia assorbì fortemente, diventando il crocevia del rapporto tra Oriente e
Occidente. I veneziani tornavano dall'Oriente carichi di merci ma anche di incontri umani ed
esperienze culturali. Il periodo della guerra di Creta generò un sostanziale cambiamento nelle
relazioni commerciali tra l’Impero ottomano e Venezia, ma in seguito gli scambi ripresero
lentamente dal momento che sia per la Repubblica veneta sia per gli ottomani costituivano una
fonte necessaria alla loro sopravvivenza. Per questa ragione, quando nel 1683 austriaci e
polacchi, insieme al pontefice, invitarono Venezia a unirsi a loro contro l'Impero ottomano, il
nemico comune, essa aderì non senza indugio, nella speranza di recuperare domini perduti e
per non essere lasciata sola contro probabili vendette turche. Dopo l'assedio di Vienna, la

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Repubblica veneta si riarmò in grande stile per entrare in guerra contro i turchi. In quattro anni
Francesco Morosini riconquistò quanto Venezia aveva perso nello Ionio e in Morea. Ai turchi
restò solo il possesso della rocca di Malvasia, che cadde nel 1690. Dopo l'espandersi di
un'epidemia nella flotta, Morosini decise di ritirarsi in Morea. Dopo la sua morte (1694), i
suoi successori non aggiunsero nulla alle sue conquiste che furono ratificate nel trattato di
Karlovitz (1699) in cui si riconosceva alla Repubblica veneta il possesso della Morea fino
all'istmo di Corinto; comprese le isole Ionie e la Dalmazia, ma le si toglieva la speranza di
recuperare le isole di Creta e Cipro. Gli accordi di Karlovitz avevano stabilito nei fatti la
fuoriuscita di Venezia dallo scacchiere orientale, destinato essere sempre più dominato da
Russia e Austria. Nel 1715 l'Impero ottomano riconquistò la Morea, immaginando poi di
affrontare gli austriaci con l'intento di riprendere a essi l’Ungheria. La reazione austriaca fu,
tuttavia, assai forte e Belgrado cadde nelle mani degli imperiali asburgici, mentre i veneziani
tentarono invano di rioccupare la Morea. Con la pace di Passarowitz (1718) Venezia, pur
conservando le isole Ionie e consolidando i possedimenti in Dalmazia e Albania, lasciò
definitivamente anche le ultime basi dell'Egeo agli ottomani che conservarono, quindi, la
Morea, accordando agli austriaci gli stessi vantaggi economici delle altre potenze occidentali
e garantendosi la pace fino al 1730. Questo fu il segno più evidente della irrimediabile
decadenza della Serenissima, oramai interessata a una politica continentale di neutralità, visto
come unico sistema per sopravvivere ai nuovi conflitti che le grandi potenze europee avrebbero
provocato agli inizi del Settecento.

12. POLITICHE E STRATEGIE.


1. La Spagna e i nuovi equilibri. L’indebolimento della potenza spagnola si era
protratto per tutto il Seicento e con la morte senza eredi di Carlo II di Spagna nel 1700 si aprì
la questione della successione al suo trono. Il testamento di Carlo II designò come proprio
erede Filippo d'Angiò, nipote di Luigi XIV e, anche se prevedeva la clausola della
impossibilità di unire la corona di Spagna e quella di Francia, era evidente che si profilava la
possibilità di una egemonia dei Borbone di Francia sull'Europa proprio quando, con la
conclusione della pace di Rijswijk del 1697, era stata arrestata la politica espansionista di Luigi
XIV verso i Paesi Bassi e il mondo tedesco. Austria, Inghilterra e Olanda si coalizzarono,
dunque, contro la Francia (che a sua volta poteva contare sull'appoggio del Portogallo e del
duca di Savoia) e iniziarono una nuova guerra. Il conflitto mostro subito un evidente squilibrio
di forze a vantaggio della coalizione anglo-austro-olandese. La Spagna subì attacchi sia dalla
parte del Portogallo sia dalla parte del Mediterraneo e Filippo d'Angiò nel frattempo si era
insediato a Madrid con il titolo di Filippo V. L'occupazione inglese della rocca di Gibilterra, a
ridosso degli stretti che separarono il Mediterraneo dall'atlantico, diede modo ai coalizzati di
assicurarsi un accesso facile al Mare Interno. Mentre gli inglesi occupavano le Baleari e la
Sardegna e gli austriaci si insediavano a Napoli, la Francia, piegata dalla drammatica carestia
del 1709-10 si dispose a trattative di pace che prevedessero la rinuncia alla corona spagnola,
ma Filippo V era riuscito nel frattempo a farsi accettare dalla maggior parte dei suoi sudditi e
a sottomettere le province ribelli. Nella coalizione antifrancese iniziavano, intanto, ad apparire
le prime divisioni: le rivalità commerciali tra inglesi e olandesi. Il governo inglese, che aveva
continuato ad appoggiare le rivendicazioni dell'Austria sulla totalità dell'eredità spagnola,
cominciò a non vedere più di buon occhio l'eventualità della concentrazione di un potere così
vasto nelle mani di una sola persona e accettò l'ipotesi di una divisione che lasciasse a Filippo
V la corona spagnola con la rinuncia sulla corona di Francia. Nel 1714 la guerra si concluse
con il trattato tra Francia e Austria, firmato a Rastadt, con cui a Filippo V furono riconosciuti

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i suoi diritti sulla Spagna e sul suo impero coloniale. Il Borbone aveva trovato una Spagna
fortemente demoralizzata con una flotta in condizioni pessime, un'industria colpita
dall'inflazione, il commercio interno inesistente e quello estero gravato dalle imposte e dal
pessimo stato delle comunicazioni (Le uniche vere strane erano quelle che collegavano Madrid
ai vari palazzi reali, mentre un porto ottimo come quello di Vigo non aveva vere vie di
comunicazione che lo collegassero con l'interno del paese). Lo spopolamento, le imposte e il
cattivo stato delle vie di comunicazione impoverirono ancora di più l'agricoltura di un paese
già poco fertile. Anche la struttura sociale della Spagna non facilitava la rinascita economica:
nel 700 la parte più importante della società era la chiesa con un elevato numero di preti, frati
e monache, chiese, conventi e confraternite religiose e una religione dominante; poi c'erano
nobili e hidalgos, spesso ricchi soltanto dei loro titoli e l'apparato poliziesco dell'Inquisizione
ancora vigile. Filippo V riuscì a guadagnare la fiducia del popolo conducendo un severo
riordinamento delle finanze: ristrutturando il sistema fiscale, riequilibrando le tasse e
riducendo quelle dei ceti bassi, abolendo diversi privilegi della nobiltà e del clero e i dazi
doganali interni e istituendo finanziamenti per risollevare la produzione agricola e
manifatturiera. Egli riorganizzò l'esercito, curandone di persona la riorganizzazione, istituendo
scuole militari, riarmando la marina. Tutto ciò che nessuno dei sovrani asburgici era riuscito a
fare in passato fu fatto da Filippo V con il tentativo della prima vera unificazione del Paese
secondo il modello assolutistico. Ci fu una forte ripresa anche del protagonismo internazionale
spagnolo, soprattutto sotto la spinta della seconda moglie di Filippo V, Elisabetta Farnese, che
mirava alla riaffermazione della presenza spagnola nella penisola italiana e alla sistemazione
su troni italiani dei suoi due figli, Carlo e Filippo di Borbone. Questa politica avviò una crisi
mediterranea che minacciò di coinvolgere l'Europa in un'altra guerra generale: la Spagna inviò
due squadre navali in Sardegna (1717), riconquistando l'isola, passata nel corso della guerra
di successione in mano agli Asburgo. Successivamente fu spedita una potente flotta spagnola
ad attaccare la Sicilia, ma l'iniziativa si risolse in un insuccesso. Nel giugno 1718 le truppe
spagnole invasero la Sicilia, ma la quadruplice alleanza stretta tra Inghilterra, Francia, Olanda
e Impero asburgico impedì alla Spagna di perfezionare la propria conquista e impose anche a
Vittorio Amedeo di Savoia di consegnare la Sicilia (che egli aveva ottenuto con la pace del
1713) all'Austria in cambio della Sardegna. Nel 1724 Filippo V abdicò in favore del figlio
maggiore Luigi, ma fu costretto a tornare sul trono dopo la sua morte per vaiolo. Negli anni
che seguirono impegnandosi di riconquistare Napoli e la Sicilia dall'Austria e Gibilterra dagli
inglesi mise in atto una rivoluzione diplomatica alleandosi con l'Austria e scatenò la guerra
anglo-spagnola nel 1727. Alla sua morte nel 1746, nonostante l'opposizione di Elisabetta, gli
successe il figlio Ferdinando VI, avuto dalla prima moglie, disinteressato sia alla politica
interna che a quella estera. Questi, si accontentò di attuare il sistema elaborato dal suo ministro
Carvajal, la cui politica andava nella direzione dello sviluppo delle ricchezze dell'America del
sud, da sfruttare per mettere in pratica il suo piano di rinascita industriale del Paese. Nel gioco
delle alleanze, il ministro tenne a quella con il Portogallo e a quella con l'Inghilterra (unica
potenza secondo lui in grado di farsi temere in Europa e nel Mediterraneo). Questo
atteggiamento amichevole nei confronti della potenza inglese sarà mantenuto fino al 1759,
anno in cui salirà sul trono spagnolo il fratellastro, Carlo III nel frattempo impegnato nel Regno
di Napoli.
2. L'Austria: un Impero di terra. Agli inizi del 18° secolo, dopo lunghe e difficili
trattative diplomatiche tra Vienna, Costantinopoli e gli Stati barbareschi, gli austriaci
istituirono consolati commerciali a Tunisi, Tripoli e Algeri. Durante il regno di Carlo VI
furono avviati molti progetti ambiziosi per espandere il commercio internazionale austriaco e

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nel 1717 fu promulgata una Patente di Commercio Libera per la navigazione nell'Adriatico,
con protezione ai vascelli che battevano bandiera imperiale. Questa patente limitò molto il
potere di Venezia. Nel 1718 Carlo VI e il sultano ottomano siglarono un trattato che stabiliva
la reciproca libertà di commercio e di navigazione. Alla Serenissima fu estorto il consenso alla
libertà di commercio nell'Adriatico e i porti di Trieste e di Fiume furono dichiarati franchi
(1719), vennero ampliate le strutture portuali e furono costruite strade, che collegavano i
rispettivi porti con Buda e con Vienna. Carlo VI era convinto che la vera ricchezza per
l’Impero non sarebbe arrivata da guerre di espansione, ma da un commercio ben organizzato.
Così a Trieste furono costruite una flotta mercantile e una piccola marina da guerra. Venne
istituito un deposito franco che favorì l'insediamento nella città di numerosi mercanti stranieri.
Entrare in possesso della Sicilia e Napoli da parte degli Asburgo dal 1720 al l734
significò rafforzare la stretta alleanza con l'Inghilterra che, con il suo predominio nelle acque
mediterranee era l'unica potenza capace di garantire il dominio contro qualunque
controffensiva della Spagna. Nel 1737 l'Impero si fece coinvolgere dalla Russia in un nuovo
conflitto con gli ottomani nel fallimentare tentativo di conquista della Crimea, ma con la pace
di Belgrado nel 1739 l'Austria fu sconfitta e dovette cedere proprio Belgrado e i territori serbi
già ottenuti con la pace di Passarowitz (1718), tranne la regione di Tem svara, mentre i turchi
occuparono la Serbia e la Valacchia.
Quando Carlo VI morì (1740) senza lasciare eredi maschi si aprì la questione della
successione al trono austriaco. Contro la figlia Maria Teresa, unica erede al trono, si formò
una coalizione costituita da Spagna, Francia, Prussia, Sassonia e Baviera e la guerra che ne
seguì non terminò in una catastrofe per Maria Teresa solo perché l'Ungheria le restò fedele in
cambio di concessioni politiche importanti per la sua autonomia. L’Inghilterra, intanto
affiancava l'Austria. Alla fine del 1743 Francia e Inghilterra entrarono in guerra: Francia e
Spagna combattevano contro Austria e Inghilterra, l'Europa divenne un campo di battaglia.
Con la pace di Aquisgrana nel 1748 In cui venne ristabilito l'assetto coloniale Atlantico
precedente Allo scoppio della guerra. Maria Teresa fu riconosciuta come imperatrice
d'Austria, diede nuovamente rigore al commercio, attuò riordinamento della monarchia e
stipulò accordi con la Porta per la sicurezza nelle acque Mediterranee. Nel 1769 Trieste fu
dichiarata 'libera città marittima' (furono effettuati lavori di potenziamento delle strutture
portuali), divenne politicamente autonoma, con governatore, statuti e leggi speciali emanate
dal governo austriaco. Le mura furono demolite e il porto franco favorì molto il commercio
con l'Italia, la Germania, l'Europa del Nord e le Indie. Questo vivace sviluppo economico
renderà la città un importante centro finanziario e commerciale, una delle capitali culturali
d'Europa. Vienna, intanto, nel corso del Settecento aveva iniziato ad assumere l'aspetto di
grande capitale, di centro guida di una civiltà, di un modello politico ed economico; ebbe un
ruolo fondamentale nella riorganizzazione dell'impero asburgico e diventò un polo politico
competitivo con quello di Parigi.
3. Le molteplici Italie. Fino alla guerra di successione polacca (1733-1738) scoppiata
per motivi dinastici, l'Italia si trovò al centro del sistema dell'equilibrio europeo e fu teatro
di spartizioni tra Austria e Spagna con arbitro l’Inghilterra. Dopo il 1733 furono coinvolte
anche la Francia e i Savoia che, prima con Vittorio Amedeo II poi con Carlo Emanuele III,
seppero inserirsi nel sistema dell'equilibrio europeo ricavandone vantaggi territoriali. La
politica italiana veniva decisa fuori dall'Italia, nelle grandi capitali europee, mentre gli stati
della penisola ne subivano le regole. Dopo il 1748 l'Italia conobbe una nuova sistemazione
politico-territoriale che vide il regno di Sardegna (comprendente Sardegna, Savoia, Nizza,
Piemonte) ai Savoia, il ducato di Milano agli Asburgo d'Austria, la repubblica di Venezia (che

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aveva perso tutti i domini del Levante) indipendente, la repubblica di Genova (sempre in
possesso della Corsica) indipendente. I ducati di Parma, Piacenza e Guastalla andarono a
Filippo di Borbone-Farnese, il granducato di Toscana alla dinastia dei Lorena, come stato
indipendente, lo Stato Pontificio; il Regno di Napoli e di Sicilia indipendente, sotto il governo
dei Borbone di Spagna. Questa sistemazione italiana restò stabile fino alla discesa di
Napoleone Bonaparte nel 1796. Diminuita la diretta influenza dell'Austria, l’equilibrio fra gli
Stati fu migliore sia perché nessuno di essi era in grado di prevalere sugli altri sia perché la
Francia e la Spagna rinunciarono ai vecchi progetti di egemonia sulla penisola. Tra le maggiori
novità italiane del secolo ci fu il ritorno all'indipendenza del regno meridionale con l'avvento
di Carlo Borbone. Nel 18° secolo l'Italia si presentava come un paese di forti contrasti, di
grandi ricchezze da una parte e grandi miserie dall'altra. L'economia del regno di Napoli era
essenzialmente agricola, le piccole città come Brindisi e Lecce erano povere, la terra
infeconda, il clima torrido, l'acqua scarsa, poca la vegetazione e la malaria endemica. I
contadini erano in condizioni miserabili, soggetti ancora il più delle volte alla giurisdizione
del feudatario e qui la Chiesa possedeva un terzo di tutte le terre e i grandi prelati vivevano
in lusso ostentato ed erano esenti dalle tasse. Napoli, una delle più grandi metropoli europee,
definita testa mostruosa di un corpo rachitico, dalle province e da tutta la penisola attirava
moltissimi immigrati. La situazione politico-diplomatica del nuovo regno non era affatto
semplice, poiché da un lato dipendeva dal diretto sostegno spagnolo, dall'altro era legato
dall'atteggiamento benevolo della Francia. Una delle novità più importanti della nuova
monarchia consisteva nell'unione del Regno di Napoli con quello di Sicilia. La nuova crisi
europea, messa in moto dalla guerra di successione austriaca, riaprì le porte del regno al
pericoloso gioco della grande politica internazionale. Alla corte madrilena era chiara
l'importanza di mantenere la neutralità del Mezzogiorno, e il governo napoletano pur di essere
riconosciuto come nazione neutrale era disposto a essere prudente nei confronti
dell'Inghilterra, tenendo conto delle sue richieste di transito per i porti del Regno. Ma il
Parlamento britannico, che aveva duramente criticato la posizione assunta dal governo
Walpole, che aveva consentito ai Borbone di insediarsi a Napoli e soprattutto in Sicilia decise
di appoggiare con la sua potenza navale la riconquista austriaca del Mezzogiorno. Il piano
organizzato dall'Ammiragliato britannico prevedeva che la comparsa di una flotta inglese nel
golfo avrebbe dovuto coincidere con l'inizio di una rivolta popolare e con l'avvicinamento
dell’esercito austriaco ai confini del Regno, in modo da provocare il collasso della monarchia
e il facile sbarco degli inglesi. Tuttavia inglesi e austriaci non agirono in modo coordinato.
Il trattato di Worms (1743) patrocinato dall'Inghilterra, che si rifiutò di garantire l'inviolabilità
del regno dagli austriaci, spinse Carlo alla guerra. Tutto veniva affidato alle armi, anche se la
Gran Bretagna aveva deciso di non sostenere con la sua flotta l'avanzata austriaca nel
Mezzogiorno. La battaglia di Velletri nel 1744 salvò Regno e dinastia, assicurando
l'indipendenza e una rinnovata credibilità. La morte di Filippo V affrettò il termine della
guerra, ma le preoccupazioni per la corte napoletana non terminarono. Nel 1748 la Spagna
accettò l'esclusione della discendenza di Carlo dal trono delle Sicilie e l'obiettivo del sovrano
era quello di rivendicare l'indipendenza del Regno, visto dalle potenze europee solo come
un'appendice della monarchia spagnola, e di assicurarne la successione alla sua linea cadetta.
Questo avrebbe stabilizzato l'equilibrio in Italia e avrebbe rafforzato la posizione della Spagna
in Europa e nel Mare Interno. L'instaurazione del regno indipendente avviò una politica di
sviluppo economico procedendo sia sul piano della politica interna sia su quello della politica
internazionale. I tre obiettivi fondamentali erano la riforma dell'apparato giuridico-
istituzionale dello Stato, con la riduzione del potere e dei privilegi degli ecclesiastici e dei

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feudatari e il rafforzamento della finanza pubblica; il consolidamento dell'autorità


monarchica e del suo prestigio (creazione di un esercito e di una Marina, incentivazione e
produzione delle capacità produttive del regno, diffusione della cultura). Uno degli
investimenti pubblici più efficaci dei primi anni di Carlo III fu la veloce ricostruzione della
flotta militare, dell'esercito e delle fortificazioni e lo sviluppo delle strutture portuali a
partire da Napoli. Un obiettivo più complesso da perseguire fu assicurare almeno la sussistenza
sul mercato interno delle manifatture nazionali, dal momento che il Regno consumava in
servizi e merci più di quanto produceva, perché non era un trasformatore né delle materie
prime prodotte né di quelle importate. In quanto al commercio estero, il traffico più vivace nel
1742 era quello degli oli, imbarcati a Gallipoli su bastimenti inglesi e olandesi; il grano si
commerciava con la Spagna, Genova e Malta; a Venezia si mandavano pasta, vino, olio, aceto,
agrumi, sapone e cotone in cambio di specchi, cera, cristalli, tavole, rame, stagno, piombo,
legname da costruzione; con Genova, la Francia, l'Inghilterra e l’Olanda si commerciava di
tutto dando in cambio olio, lana, mandorle, prugne, fichi, zibibbo, cotone, manna, cavalli e
seta; a Istanbul si mandavano seta, pasta, occhiali, cannocchiali, specchi e oggetti di tartaruga
in cambio di grossi rubini, pietre preziose e stoffe persiane. Carlo III inoltre tra il 1739 e il
1753 stipulò trattati commerciali con l'impero asburgico, la porta ottomana, Tripoli,
l'Olanda, la Svezia e la Danimarca, proponendo alle potenze una nuova immagine del regno.
Tuttavia la fatica compiuta dal sovrano nel tentativo di riorganizzare la produzione industriale
preoccupò molto gli inglesi i quali iniziarono una forte battaglia sul piano dei prezzi che
danneggiò molto il settore manifatturiero meridionale. La Francia, dal canto suo, vide
nell'instaurazione della dinastia borbonica una possibilità per chiedere un nuovo trattato
commerciale, ma il governo decise di privilegiare il commercio con gli inglesi, che
compravano nel Regno grandi quantità, di olio e di lana, pagando in contanti piuttosto che con
i francesi che producevano più danni che profitti. Una delle questioni più gravi per il
mezzogiorno costiero fu il pericolo costante delle azioni di pirateria da parte delle
Reggenze nordafricane di Algeri, Tunisi e Tripoli, aggravato dai legami esistenti tra queste
ultime e le flotte francesi, inglesi e olandesi, che le rifornivano di armi, munizioni e artiglierie
in cambio del loro libero traffico mercantile. Il pensiero che concludere un trattato di pace con
la Porta significasse avviare un processo di pacificazione anche con le Reggenze portò al
trattato del 1740 con l'impero Ottomano. In realtà, l'autorità del sultano sugli stati Barbareschi
andava diminuendo sempre più e la pirateria andò avanti come sempre.
4. Il mare inglese. Nel 1703 con il trattato di Methuen tra il Portogallo e l'Inghilterra
quest'ultima acquisì il privilegio di acquistare i vini portoghesi a prezzi preferenziali e di
esportare liberamente in Portogallo tessili e lana inglesi e così, l'Impero portoghese passò
sotto la protezione inglese. Tale alleanza da un lato garantì al Portogallo l'aiuto militare e
politico per la difesa dei suoi domini coloniali, ma dall'altro finì col nuocere allo sviluppo
dell'industria manifatturiera locale, rallentando così la crescita dell'economia portoghese. Tra
il 1700 e il 1780 il commercio dell'Inghilterra con l'estero raddoppiò quasi il suo volume,
insieme anche ai traffici marittimi. Robert Walpole, Primo Lord del Tesoro nel 1721 durante
il regno di Giorgio I poi Giorgio II di Hannover, condusse una politica estera di pace per
poter mantenere basse le tasse all'interno del paese, e portò avanti una politica fiscale che
favorì gli industriali, eliminando quasi tutti i dazi d'esportazione sui manufatti inglesi e anche
quelli d'importazione su alcune materie prime richieste dall'industria. Questa politica
incoraggiò l'espansione commerciale, alla quale contribuì anche la supremazia sui mari.
Dopo l'occupazione di Gibilterra 1704 nel e quella di Minorca, ormai l'Inghilterra aveva
messo piede nel Mediterraneo e cercò di costruire un sistema strategico fondato sulle grandi

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isole, talvolta assicurandosene in via indiretta il controllo, altre volte insediandovi potenze
alleate come in Sicilia e in Sardegna, facendo leva infine, sugli elementi locali come in
Corsica. Possedimenti diretti o indiretti dovevano tutti servire a dominare il mare
interno. Dunque alla penetrazione commerciale del 17° secolo si accompagnò un progetto di
affermazione della potenza politico-militare dell'Inghilterra, che nel secolo successivo prese
piena forma. Nella strategia inglese un ruolo importante spettava alla penisola italiana,
considerata un riferimento logistico indispensabile per la lotta nel Levante contro Marsiglia e
contro Venezia; qui Londra era intenzionata a proteggere i propri interessi strategici e ad
assicurare l'equilibrio europeo attraverso vere barriere; di qui l'appoggio dato ai Savoia e ai
loro disegni di allargamento territoriale, considerati il più efficace mezzo per contenere la
Francia al di qua delle Alpi e l'imperatore asburgico entro la linea Ticino-Po. La Sicilia, la
baia di Cagliari, lo stretto di Messina e il golfo di Napoli erano luoghi chiave senza i quali
l’Inghilterra non avrebbe potuto continuare i suoi traffici col Levante e con tutto il
Mediterraneo. In questo panorama si confermò il ruolo di Livorno come centro commerciale
e logistico importante, verso cui si concentravano ancora le rotte della maggior parte delle navi
inglesi, che entravano nelle acque Mediterranee (il porto toscano continuò a svolgere un ruolo
centrale sia per il commercio anglo-italiana sia per quello angolo-mediterraneo). In questo
scacchiere l'Inghilterra, con Gibilterra da un lato e Minorca dall'altro, minacciava la Spagna,
con cui nel 1750 stipulò un trattato commerciale, la Francia e i traffici di Marsiglia. La
penetrazione navale e commerciale inglese scosse e mise in discussione quello che era il
tradizionale predominio francese, esercitato nel commercio del Levante, che si era
sviluppato in virtù dei buoni rapporti mantenuti con la Porta. Nel corso del Settecento i prodotti
tessili francesi superano quelli inglesi nell’Impero Ottomano, in cui i francesi avranno un ruolo
fondamentale per tutto il 18° secolo. Nella promozione dello sviluppo economico
settecentesco della Francia importanti e attivi furono i porti di Bordeaux e di Marsiglia (porto
d'approdo e cantiere navale, vera e propria città nella città, Che però nella seconda metà del
700 entrò in una fase di decadenza, come anche il mercantilismo, a causa di nuove condizioni
dell'attività economica: l'incremento delle industrie e della tecnologia avviò il processo
rivoluzionario industriale e un sistema libero di scambio, fondato sull’iniziativa privata, sulla
divisione del lavoro e sul mercato).

CAPITOLO 6. RIFORME E RIVOLUZIONI.


Nel 700 il Mediterraneo subì una rapida trasformazione. Sul suo limite occidentale le
guerre producono subito una rilevante conseguenza nel Mare Interno: l’Inghilterra,
strappandola alla Spagna, si impadronisce della rocca di Gibilterra, luogo chiave di
controllo del passaggio tra l’Atlantico e il Mediterraneo. A oriente, dove altri passaggi
separano il Mediterraneo e il Mar Nero, abbiamo una potenza nascente, la Russia di Pietro
il Grande che nei primi decenni del secolo spinge sul Mar Nero le sue truppe vittoriose.
L’indebolimento dei due grandi imperi che nell’età moderna avevano governato il
Mediterraneo è ormai evidente. Dietro le truppe di Pietro il Grande si avverte l'energia
ambiziosa di una autocrazia che si apre a un destino di grande potenza; l’Inghilterra era ormai
uno stato uscito dalla sua rivoluzione con solide strutture sociali e politiche, caratterizzate dai
telai della prima rivoluzione industriale, che chiedono nuovi mercati per i suoi manufatti. A
segnare una nuova pagina nella storia del Mediterraneo sono chiamati i trattati commerciali
fra Inghilterra e Portogallo che sono conclusi all’inizio del secolo, nel 1703. Quegli accordi,
che aprivano il mercato portoghese alle industrie tessili inglesi, in cambio del monopolio nel

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commercio dei prodotti agricoli portoghesi, ci dicono almeno 3 cose: la Gran Bretagna è pronta
a imporre la propria forza per ottenere l’apertura dei mercati; l’ideologia che accompagna
questo processo politico ed economico si chiama liberoscambismo e inevitabilmente crea un
vantaggio per l’esportatore di prodotti industriali rispetto all’esportatore di prodotti agricoli;
questo processo nasce nel Portogallo che è collocato tra Vecchio e Nuovo mondo.
La prima metà del 700 conosce una grande circolazione di esperienze, idee e modelli
nel mondo mediterraneo grazie ad un indebolimento politico e militare dell’impero turco
all’indomani della sconfitta nel 1683 sotto le mura di Vienna e grazie alla “crisi della coscienza
europea”, che determina nella cultura europea tra XVII e XVIII secolo un profondo
ripensamento dei suoi presupposti fondamentali e un conseguente desiderio di confronto con
culture diverse. Inoltre appare evidente il processo attraverso il quale il riformismo
settecentesco costruisce la propria identità anche dialogando con una presunta alterità
“orientale”, ma non è altrettanto facile valutare l’impatto che ha nel Mediterraneo ottomano la
rinnovata circolazione settecentesca di opere, autori, idee, esperienze. Il Mediterraneo
Ottomano si colloca comunque in posizioni difensive anche sotto il profilo delle dinamiche
culturali, mentre l'Europa agisce con la forza di energie nuove, che sono energie economiche,
tecnologiche, militari ma anche energie intellettuali e paradigmi morali. Per capire le origini
del mediterraneo dobbiamo tenere in considerazione 3 elementi: l’esegesi biblica (per ricercare
alternative alle cronologie consolidate non più capaci di reggere l'evidenza della ricerca
scientifica), il recupero del mondo classico (a partire dalla fine degli anni 30 del 700 dopo la
scoperta delle città sepolte di Pompei e di Ercolano, si studia sviluppo della vita sociale e non
solo storia dell'arte), la scoperta dell’Egitto (al impero dei faraoni viene riconosciuta la
primazia di una organizzazione politica, di una conoscenza tecnologica, di una sapienza
religiosa). Si tratta di linee interpretative confliggenti per numerosissimi aspetti ma
convergenti nel Mediterraneo dove ha preso origine l’Europa di oggi, anche se si potrebbe dire
che il Mediterraneo è lo spazio del passato, l’Europa è lo spazio del presente. Ed ecco allora
che il Mediterraneo si offre alla fine del 700 come il luogo di una sottile ambiguità: da una
parte esso è il terreno di una decadenza storica, dalle responsabilità precise, che solo le idee
nuove del secolo potranno eliminare; dall’altra questa decadenza ci parla di un destino
irrimediabile degli uomini e delle loro opere che nessuna idea nuova potrà mai evitare.

13. IL MEDITERRANEO ORIENTALE.


1. Venezia tra Europa e Islam. Non più sostenuta da un potere marittimo adeguato,
l’antica aspirazione veneziana al controllo assoluto della navigazione dell'Adriatico
comincia ad apparire anacronistica all'inizio del 700. La perdita di Creta nel 1669 aveva
sconvolto l’equilibrio interno dello stato veneziano, restavano la Dalmazia e le isole Ionie con
l’imprendibile piazzaforte di Corfù. La riscossione dei dazi doganali entrò in crisi insieme al
dominio marittimo e Vienna con la proclamazione della libertà di navigazione
nell’Adriatico nel 1717 aveva inflitto un durissimo colpo alla Serenissima, il cui dominio
era destinato a decadere sempre di più nei decenni successivi. Pur avendo perso il ruolo di uno
dei più importanti crocevia del commercio mondiale, Venezia rappresentava ancora la
piazza metropolitana di una zona ricca e densamente popolata. Nel 1736 ci fu una forte
espansione del commercio e delle costruzioni navali. Le tasse su importazioni ed
esportazioni per le merci in transito furono molto ridotte e si affrontò il problema della
sicurezza dei trasporti con regole più flessibili. Nel commercio con l'Occidente, che nel 700
fu più importante di quello con il Levante, le navi battenti bandiera veneziana aumentarono
nelle acque del Mediterraneo Occidentale (Maggior parte di queste navi avevano a bordo

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una bandiera inglese o francese da alzare in caso di incontro con i pirati Barbareschi). Intorno
alla metà del 700 il senato veneziano consentì ai mercanti di negoziare con la Barberia e così
nel 1763-65 furono stipulati trattati dai quali Venezia guadagnò bene. Ci fu un forte sviluppo
delle costruzioni navali e la politica di neutralità lo favorì ulteriormente. Ci fu anche una
ripresa della marina militare quando nel 1760, per costringere gli stati Barbareschi al rispetto
dei trattati, le flotte di guerra veneziane attuarono azioni dimostrative al largo di Tripoli
e di Algeri e nel 1780 attaccarono Tunisi. Fino a quando la flotta da guerra, la marina
mercantile e la stessa repubblica veneziana non furono distrutte nelle guerre napoleoniche,
Venezia continuò a essere il principale porto e il centro più attivo delle costruzioni e dei
trasporti marittimi dell’Adriatico e nella seconda metà del 700 occupò ancora un posto di
rilievo nel traffico con il Levante, nonostante fosse lontana dalle grandi competizioni
internazionali, stretta nella morsa austriaca e nella concorrenza dei porti franchi di Trieste e
di Fiume. La sua crisi era più politica che economica: le 42 famiglie che esercitavano il potere
difesero con forza il loro monopolio non permettendo alcun cambiamento alla costituzione del
1297. Dal punto di vista economico, lo stato veneziano del XVIII secolo fu caratterizzata
più da una crescita che da un declino. Crescita demografica e dei possedimenti di terraferma
nel 1770 fu dovuta ai miglioramenti dell’agricoltura e alla coltivazione del granoturco,
alimento principale dei contadini; I mercati levantini furono man mano recuperati dai
prodotti veneziani. Vi fu il declino dell’industria tessile che cambiò la distribuzione
professionale della popolazione veneziana, provocando così nel rapporto tra marinai e artigiani
uno slittamento a favore dei primi. Sia a Trieste che a Venezia il settore di affari che sviluppò
le forme di organizzazione più moderne fu quello delle assicurazioni marittime e negli ultimi
decenni del 700 si costituirono diverse società azionarie e ricche imprese assicurative. Questo
era solo un esempio di come Venezia espandeva in questo periodo i suoi servizi commerciali
e di trasporto in veste di porto e capitale di un fecondo entroterra.
2. Balcani e Mediterraneo. All’inizio del 700 gli scambi nel Mediterraneo orientale
ebbero una spinta decisiva, che permise la ripresa del commercio tra i Balcani, la
monarchia asburgica e Venezia. Il trattato di commercio e navigazione, inserito nel trattato
di Passarowitz (1718) generò condizioni abbastanza favorevoli ai traffici commerciali tra i
sudditi austriaci e i sudditi ottomani, riducendo i rispettivi diritti e dogana e stabilendo la libera
circolazione di entrambe le parti sul Danubio. Questo diede vita allo sviluppo di una rete di
strade longitudinali e trasversali. Le prime univano l’Europa centrale a Salonicco e a Istanbul,
le seconde partivano dai porti dell’Adriatico o del Mar Ionio per raggiungere Novi Pazar,
Belgrado, Salonicco, Serres, Varna e Istanbul. La via del mare collegava Salonicco a Trieste
attraverso l’Egeo, il Mar Ionio e l’Adriatico. Da Trieste si proseguiva via terra per l’Austria e
la Germania e Salonicco fungeva da centro di smistamento per questi diversi percorsi. Le
esportazioni dei Balcani interessavano prodotti come il vino, l’olio d’oliva, l’uva passa, i
coloranti, le pelli, la lana, il mais e il cotone. In cambio dai commercianti europei ricevevano
tessuti, vetrerie, orologi, armi, zucchero e spezie. Anche la produzione artigianale si
sviluppò pienamente soprattutto in Grecia e in Bulgaria, in centri di attività al riparo dalle
intromissioni del governo ottomano. Inoltre, in tutti i centri di produzione andavano
sviluppandosi nuovi settori, come quello del tabacco, teoricamente illegali. Gli sviluppi
economici di quest’area mediterranea nel corso del XVIII secolo aumenteranno
fortemente incoraggiati anche dall’apertura del Mar Nero al commercio russo e dalle
guerre e dalle scosse politiche dell’Europa occidentale tra la fine del 700 e l’inizio dell’800.
3. La Russia e il “sogno mediterraneo”. Sulla scena eurasiatica, accanto ai 3 grandi
imperi, i 2 musulmani di Istanbul e Isfahan e quello cristiano di Vienna, se ne stava

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aggiungendo un quarto che non nascondeva le sue ambizioni, quello moscovita dei Romanov,
interessato all’area tra Mar Nero, Caucaso e Caspio, ma anche all’Asia centrale e a quel
mediterraneo cui sperava di avere accesso attraverso due vie, quella marittima dei Dardanelli
e quella terrestre dei Balcani. Lo zar Pietro il Grande elevò il paese al rango di grande
potenza militare, facendolo entrare nei giochi delle alleanze e nei calcoli delle diplomazie
europee. La sua figura dà inizio all’epoca delle trasformazioni. Prima di salire sul trono
Pietro si dedicò agli studi di tecnica militare e, una volta divenuto zar, si concentrò sulla marina
e sull’esercito. Era sua convinzione che la grandezza della Russia dipendesse
dall’assicurarsi l’accesso al Mar Nero, in mano turca. Gli iniziali tentativi di Pietro di
ottenere uno sbocco sicuro sulla costa furono fallimentari (finirono con la disfatta delle forze
russe e cosacche). L’impero ottomano era in grado di sostenere il proprio esercito e di
approvvigionare le proprie guarnigioni, Pietro comprese che per raggiungere degli obiettivi
bisognava essere in grado di affrontare gli ottomani sul mare. Azov rappresentava un
obiettivo militare determinante dal momento che la fortezza sovrastava l'ultimo tratto del
Don, sbarrando il passaggio russo al Mare di Azov e di conseguenza il Mar Nero. Dopo il
tentativo fallito nel 1695, nel 1696 l’intera armata russa dopo un mese di assedio costrinse
i turchi ad arrendersi, ottenendo accesso al Mar Nero. Dopo il successo della campagna,
lo zar intraprese un lungo viaggio per andare a conoscere da vicino la civiltà occidentale,
rivolgendo le sue attenzioni e soprattutto le tecniche industriali. Pietro il Grande diede inizio
a una serie di riforme di stampo occidentale, cominciando dai costumi e mostrando piena
libertà di atteggiamenti riguardo alla chiesa ortodossa. Nel 1698 in Inghilterra ebbe opportunità
di fare esperienze nel settore navale per comprendere meglio il ruolo della marina in uno Stato
moderno e per accrescere l'esperienza nella costruzione di navi. I motivi che indussero gli
inglesi ad accogliere bene l’ospite russo erano di carattere commerciale e per quel che
riguardava le alleanze politiche, essi ritenevano il ruolo della Russia ancora secondario
nell’assetto mondiale. Dopo la conclusione di una tregua con l’impero ottomano nel 1698, i
russi fabbricarono navi molto velocemente: le vecchie galee furono sostituite da navi a vela
con cannoni. Nel 1700, un anno dopo Karlowitz, in un trattato a parte firmato a Istanbul con
gli ottomani, allo zar fu concesso di conservare le conquiste sul Mar di Azov e lungo il Dnestr.
Mettendo in pratica le competenze acquisite in Europa, Pietro avviò anche l’ambizioso disegno
di scavare un canale tra i fiumi Don e Volga nel tentativo di collegare il Mar Nero al Mar
Caspio, che tuttavia fu abbandonato per problemi finanziari. Le navi dello zar avevano
raggiunto la fama di essere ben costruite e i marinai russi andavano migliorando sempre di più
e questo cominciò a suscitare preoccupazione nelle autorità britanniche tanto che fu emessa
una legge che vietava ai carpentieri inglesi di lavorare in paesi stranieri. La principale fonte
di ricchezza della Russia era costituita dalle foreste, mentre il prodotto più importante della
zona centrale era la segale, nella regione a nord di Pietroburgo gli abitanti erano per la maggior
parte boscaioli, cacciatori e pescatori e si producevano legname, sale e animali da pelliccia.
La produzione del ferro crebbe notevolmente sotto Pietro, e così pure le imprese
industriali. Il commercio privato era ostacolato dall’elevato costo dei trasporti e dai diritti
doganali; inoltre i mercanti, che furono mandati all'estero a spese dello Stato per imparare la
tecnica commerciale, erano costretti a pagare una tassa, mentre i nobili, gli agricoltori e il clero
potevano esercitare il commercio senza dover pagare imposte. Dallo sbocco sul Baltico il
volume delle esportazioni russe nei paesi occidentali aumentò sempre di più. Nei primi 2
decenni del 700 Pietro fu impegnato in un lungo conflitto con la Svezia, il cui teatro di
battaglia si spinse molto vicino alla nuova capitale dell’impero, San Pietroburgo, situata alle
foci paludose della Neva, fiume navigabile, ampio e profondo sul Baltico, dove si sarebbe

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concentrata la potenza navale russa (Il progetto di costruire una Marina meridionale fu
abbandonato perché le acque del mare di azov erano troppo basse e l'ingresso al Mar Nero era
controllato dalle fortezze ottomane). Lo zar fece costruire questa città sia come simbolo di
occidentalizzazione sia come roccaforte contro gli svedesi. La nuova capitale trasferì
nell’impero russo lo stile architettonico delle città olandesi e della Germania del nord
diventando il simbolo più evidente della volontà dello zar di condurre il paese all’interno
della vita politica e della cultura europea. Nel 1710 lo zar strinse un’alleanza con il principe
della Moldavia, Dimitrie Cantemir, formalmente vassallo degli ottomani, per intraprendere
una nuova guerra contro il sultano con l’obiettivo di avere libero accesso al fiume Danubio.
Il conflitto fu breve, le forze russe e moldave vennero subito annientate dall’esercito
ottomano e le conseguenze della pace di Prut del 1711 furono di grande rilievo per entrambi
gli alleati. I principi della Moldavia persero lo storico diritto di controllare i propri affari e
Istanbul inviò amministratori, mentre la Russia perse tutti i possedimenti lungo il mare,
compresa la flotta nel Mare di Azov e dovette restituire la fortezza di Azov al sultano.
Nonostante il fallimento della campagna, alla Russia fu evidente che la vulnerabilità ottomana
sul mare avrebbe permesso di portare avanti i suoi progetti, agendo in modo strategico e
modernizzando le forze militari e navali russe. Lo zar pose le fondamenta di quella politica
che prevedeva la partecipazione a pieno titolo alla diplomazia mondiale e alla politica dinastica
europea, il mantenimento della debolezza della Polonia, l’espansione verso i confini naturali
delle zone costiere e verso le sorelle popolazioni ortodosse e, non ultima, una politica di
esplorazione, di commercio in territori sconosciuti e di intervento a favore dei sudditi
ortodossi dell’impero ottomano. I successori di Pietro non ebbero l’impegno e le risorse
per mantenere la flotta in funzione e, negli anni 30, la Russia mancò di una flotta
efficiente. Tuttavia, l’ulteriore tentativo del 1736 contro gli ottomani e i tatari di Crimea, per
assicurarsi ancora una volta il controllo di Azov e di fortezze strategiche alla foce del Dnepr,
ebbe esito positivo anche se con la pace di Belgrado nel 1739 la Russia dovette restituire le
sue conquiste, smantellare le difese, rimuovere le navi da guerra dal mare, pur mantenendo il
possesso di Azov con il divieto di navigare nel Mar Nero con qualsiasi tipo di flotta, sia di
guerra sia di commercio.
4. L’impero ottomano: un periodo di transizione. Per l’impero ottomano il 700 fu un
secolo caratterizzato da 2 elementi importanti da un lato i periodici conflitti con la Russia e
con l’Austria (che provocarono agli ottomani una perdita territoriale ma anche di immagine),
dall’altro alcuni uomini di cultura ottomani presero consapevolezza dell’esigenza di avviare
un sistema di riforma dello stato, a partire dall’esercito e dalla marina, incapaci di
impedire l’avanzata della Russia verso il Mar Nero. Dopo Passarowitz (1718) per qualche
decennio sul versante occidentale e settentrionale furono condotte solo guerre brevi e da parte
del governo ottomano ci fu il tentativo di rendere di nuovo sicure le strade commerciali. Molto
probabilmente questo determinò, tra il 1720 e il 1760-65, un’espansione del commercio e
dell’artigianato in diversi centri. Nei Balcani i commercianti trasportarono in primavera i
prodotti del lavoro domestico invernale su mercati molto lontani per venderli, tanto da arrivare
a visitare anche la fiera di Lipsia. Così, i commercianti locali aumentarono il loro volume di
affari nell’attuale Bulgaria meridionale, nella regione del Plovdiv, dove si sviluppò la
fabbricazione di tessuti di lana grezzi e resistenti. Segnali di espansione economica si ebbero
anche in altre zone dell’impero ottomano. Mentre le province europee dell’impero ottomano
divennero oggetto delle aspirazioni austriache e russe, con la Francia e l’Inghilterra
occupate in altre zone del globo, le province arabe, come la Siria e l’Egitto, così come le
province dell’Africa del Nord, nel 700 cominciarono a orientarsi verso forme sempre più

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determinate di autonomia. Uomo colto, desideroso di governare pacificamente, Ahmed III,


fratello di Mustafa II, cercò di gestire l’impero all’insegna della continuità e della stabilità. Il
suo desiderio di pace permise di mantenere lo stato ottomano fuori dai conflitti europei di non
aumentare il numero dei militari e di avviare il riordino delle finanze. Da un lato tentò di
migliorare le relazioni diplomatiche con le potenze europee, attraverso regolari rapporti
con i loro ambasciatori a Istanbul e inviando i propri rappresentanti nelle grandi capitali
europee di Vienna, Parigi, Mosca e Varsavia; dall’altro il sultano si preoccupò della
magnificenza del suo regno. Sul versante orientale, intanto, l’Iran Safavide stava vivendo
gravi difficoltà interne ed esterne a causa dell’invasione dei russi al nord e degli afgani a
est e poi al centro, e proprio l’afgano Asraf Sah ne approfittò per salire al potere, mentre gli
ottomani, per difendere i confini occidentali, avanzavano in Georgia e nell’Iran occidentale.
Nel 1736 sul trono iraniano fu ristabilito un sovrano safavide e gli ottomani firmarono una
pace con la quale abbandonarono le loro conquiste in Iran. Nel 1743 si scatenò un nuovo
conflitto con l’Iran dopo una dichiarazione di guerra agli ottomani da parte di Nadir Sah, per
questioni religiose e politiche; dopo vittorie e sconfitte su entrambi i fronti in Georgia, Anatolia
orientale, Kurdistan e Iraq, si arrivò alla pace nel 1746. Durante i negoziati di pace a Belgrado
nel 1739 che avevano consacrato la ripresa militare e diplomatica degli ottomani e un periodo
di pace che con i russi si protrasse fino al 1768, mentre con gli austriaci durò fino al 1788, il
sultano Mahmud I ebbe l’aiuto costante del governo francese e del diplomatico Villeneuve.
Mahmud I e suoi gran visir cercarono di mantenere calma la situazione interna dell'impero,
versando regolarmente lo stipendio e giannizzeri chi si impegnarono a fare il loro dovere con
disciplina e si preoccuparono di rafforzare le frontiere con la costruzione di fortezze. Il regno
di Osman III salito al trono nel 1754, fratello e successore di Mahmud I, e gli inizi di quello
di Mustafa III nel 1757 furono caratterizzati da un lungo periodo di pace. I dirigenti ottomani
fecero riforme interne e miglioramenti dell’esercito, in vista anche della crescente
minaccia russa.

14. LUMI EUROPEI E MEDITERRANEI.


1. Un Mediterraneo illuminato. La fine della guerra di successione austriaca e la
successiva pace di Aquisgrana, nel 1748, rappresentano l'epilogo di un lungo periodo di
conflitti che, alla metà del 700, aveva visibilmente rivoluzionato l'Europa e il Mediterraneo. È
nel periodo che va dal 1680 al 1715 che si verificarono le grandi metamorfosi che costituirono
il presupposto per far maturare una coscienza illuministica che gettava le basi di una visione
della realtà davvero nuova: la possibilità di un rinnovamento totale, che riguardasse
l’intera struttura sociale. Intorno alla metà del 700 l'Europa conobbe un lungo periodo di
generale sviluppo economico e di crescita demografica. Lo squilibrio esistente fra la
vivacità delle strutture economiche e sociali e l'arretratezza delle istituzioni fu visibile
ovunque: le monarchie assolute erano diventate costose macchine amministrative, i
sovrani avevano interesse a favorire il progresso economico al fine di vedere aumentare la loro
capacità di imposizione fiscale, di far diventare gli eserciti più numerosi e potenti e di avere
una struttura amministrativa più forte ed efficiente. Questo periodo fu anche un'epoca di
interventi legislativi e riformatori volti tutti nella direzione dello sviluppo economico. I
maggiori protagonisti dell'età delle riforme furono: Maria Teresa e poi Giuseppe II, suo
figlio, nei domini imperiali della dinastia asburgica, Federico II nel regno di Prussia, Caterina
II in Russia, Pietro Leopoldo nel granducato di Toscana, Carlo di Borbone prima nel Regno
di Napoli e poi come re di Spagna, su di essi agì l'influenza degli illuministi francesi, da
Voltaire a Diderot: lo spirito illuminista ed enciclopedico aveva gettato le basi di una visione

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della realtà davvero nuova: la possibilità di rinnovamento totale riguardava l'intera struttura
sociale, progresso materiale e culturale potevano andare nella stessa direzione e il
concetto illuminista di civilisation coinvolgeva la scienza, la tecnica, la filosofia, la morale e
le regole della vita sociale. Al tempo stesso gli economisti avevano iniziato a indicare le strade
della modernizzazione e dello sviluppo economico, dirigendo la loro attenzione alle
potenzialità dell'agricoltura capitalistica. Così, l'azione dei governi fin dagli anni 50 si
mosse nella direzione indicata dai filosofi e dagli economisti.
Contemporaneamente con la generazione del dispotismo illuminato l'Inghilterra aveva
continuato a crescere economicamente anche negli anni 70, e questa crescita aveva generato
una trasformazione dell'apparato produttivo che rappresentò davvero una rivoluzione
industriale. Nell'illuminismo accanto al richiamo alla libertà ci fu il richiamo
all'uguaglianza e alla fraternità tra gli uomini. Si trattò in ogni caso, di una promessa di
felicità, sulla terra contro le promesse di felicità in un altro mondo: l'Illuminismo, religione
dell'uomo, dichiarava guerra alle religioni storiche. La filosofia, illuministica opponeva i
lumi alle tenebre dei secoli precedenti, la conoscenza all'ignoranza, la civiltà alla barbarie,
indispensabili per far uscire l'uomo dallo 'stato di minorità’ e per farlo diventare storicamente
adulto.
In Francia i Lumi (movimento filosofico-politico) furono una filosofia di critica
contro l’ordine stabilito, che si trovò a dover fare i conti con le rigorose barriere alzate dai
tradizionalisti. Nel 1774 l'economista Robert Turgot divenne controllore generale delle
finanze; la liberalizzazione del commercio interno di cereali coincise con un raccolto scarso e
la paura della carestia provocò tumulti popolari a Parigi e nella regione parigina nel 1775.
Clero e aristocrazia, sentendosi minacciati dalle soluzioni di Turgot nel campo della riforma
fiscale, lo accusarono di essere un irresponsabile che avrebbe affamato la Francia e, dopo un
anno di polemiche e di scontri, il ministro venne licenziato nel 1776. La borghesia francese
del XVIII secolo, costituita da alti funzionari e da finanzieri, desiderava un cambiamento di
stato giuridico. Con la rivoluzione essa cercherà di distruggere gli ordini privilegiati e di
sostituirsi ad essi come classe dirigente dello stato. La monarchia di Luigi XVI era, dunque,
incapace di dare inizio a un processo di riforme e ciò ne avrebbe provocato il crollo.
In Spagna e in Italia i Lumi rappresentarono l'espressione di un gruppo di uomini i quali
persuasi del ritardo storico dei rispettivi paesi, cercarono seriamente delle soluzioni idonee.
L'instaurazione della dinastia borbonica, la guerra di successione e la perdita dei possedimenti
europei furono alla base di cambiamenti nella politica della Spagna. Si accentuò il processo
di differenziazione regionale e mentre la Catalogna si trovò al primo posto nella classifica
dello sviluppo, la Castiglia rimase in uno degli ultimi. C'era una crescita limitata,
l'aristocrazia terriera deteneva il primato e la borghesia nascente era legata allo sviluppo
dell'amministrazione statale più che alle attività imprenditoriali. Inoltre sia in Spagna sia nel
Portogallo la forza della Chiesa di Roma era enorme e trovava espressione nei privilegi
e nelle esenzioni fiscali del clero. I gesuiti monopolizzavano l'istituzione scolastica.
L'intervento più significativo di Calo III di Borbone, succeduto a Ferdinando IV,
riguardava i rapporti tra Stato e Chiesa: il sovrano limitò le immunità ecclesiastiche e i
poteri dell'Inquisizione, accusò i Gesuiti di cospirazione contro lo Stato e nel 1767 li bandì dal
regno, costrinse Papa Clemente XIV a decretare nel l773 lo scioglimento della Compagnia di
Gesù. L'assolutismo illuminato di Carlo III si orientò anche verso la ristrutturazione
amministrativa, la liberalizzazione del commercio e dell'artigianato, la promozione di
accademie e società economiche e il rinnovamento della cultura.

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In Portogallo i cambiamenti più significativi si ebbero nella seconda metà del


Settecento, in virtù dell'attività riformatrice del ministro marchese di Pombal, che alla morte
di inetto Giovanni V trovò in qualità di ministro degli Esteri e della Guerra, il paese in
condizioni disastrose. Se dal Brasile continuavano a giungere oro e diamanti, e se Lisbona
restava un grande centro commerciale, al contrario l'agricoltura era arretrata, le
manifatture quasi inesistenti, il governo senza autorità, la Chiesa e l'Inquisizione,
potentissime, la grande nobiltà chiusa in sé stessa e strettamente legata la Chiesa. A
peggiorare le cose fu nel 1755 il terribile terremoto di Lisbona. Pombal con forza e
determinazione si preoccupò della ricostruzione: il centro di Lisbona fu ricostruito
velocemente. Nel 1759 la Compagnia di Gesù venne espulsa dal Portogallo. Pombal
intervenne in ogni campo dall'istruzione al commercio ma i problemi erano troppo grandi e la
sua azione riuscì a incidere solo limitatamente. Alla morte del sovrano Giuseppe I, i nemici
del ministro lo accusarono di atteggiamento tirannico e così fu allontanato e il suo successore
Pina si dedicò con forza alla repressione di ogni più piccola manifestazione di pensiero
novatore.
In Italia dopo la fine della guerra di successione spagnola vi fu una forte ripresa della
vita intellettuale; negli anni Sessanta del 700 ci fu un intensificarsi dell'attività
riformatrice, che tuttavia non diede risultati ovunque. Fu soprattutto il ducato di Parma,
Piacenza e Guastalla, governato da Guillaume du Tillot, a spingere il contrasto con Roma: i
Gesuiti furono espulsi da Parma, fu abolita l'Inquisizione e i beni confiscati alla Chiesa
servirono a finanziare un vasto progetto assistenziale. Nel Piemonte sabaudo venne confermata
la volontà assolutistica di Vittorio Amedeo II di ridimensionare gli abusi della feudalità con
una serie di provvedimenti amministrativi e fiscali. Vittorio Amedeo III portò a termine la
riforma delle amministrazioni locali, un nuovo sistema fiscale e nuovi ordinamenti
amministrativi e attuò nel 1778 l'abolizione della feudalità in Savoia. L'azione riformatrice
dei sovrani illuminati fu particolarmente incisiva in tre Stati italiani: la Lombardia
austriaca, la Toscana dei Lorena e il Regno di Napoli dei Borbone. In Lombardia gli anni
Sessanta furono decisivi per la trasformazione dello Stato e l'opera modernizzatrice di
Giuseppe II proseguì sulla strada segnata da Maria Teresa, sua madre. Durante il suo regno
furono promosse riforme come la centralizzazione dell'amministrazione e il reclutamento
del personale in base al merito e alla preparazione tecnica; ci fu un aumento del controllo
statale a livello locale e un contenimento delle istanze oligarchiche. Furono emanati i primi
provvedimenti in campo ecclesiastico ed economico, furono abolite le corporazioni
(complesso di persone che, svolgendo una comune attività economica, si univano per la tutela
degli interessi e per il conseguimento di fini comuni: corporazioni di arti e mestieri; la c. dei
mercanti) e diminuiti i privilegi nobiliari. Nel settore religioso venne stabilita la tassazione
del clero e abolita l'immunità personale; ci furono interventi nel campo dell'educazione
scolastica primaria, secondaria e universitaria. Vennero anche promosse istituzioni culturali
come le Accademie, l'osservatorio astronomico, il Teatro della Scala. Giuseppe II collocò
inoltre, la Lombardia in un sistema economico inserito nel sistema di scambi europei. Anche
la Toscana dei Lorena comprese che per modernizzare il paese bisognava eliminare i
privilegi, controlli, restrizioni, che facevano persistere i particolarismi. Il liberismo applicato
in Toscana, portò alla liberalizzazione del commercio interno ed estero dei grani; si verificò
il totale scioglimento delle corporazioni e l'eliminazione dei molteplici dazi interni, sostituiti
da una sola tassa. Il governo granducale si preoccupò assiduamente dello sviluppo
dell'agricoltura, anche se non sempre i risultati furono all'altezza delle aspettative. Si lavorò
anche nel settore della giustizia e fu promulgato il codice penale, evento di eccezionale

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importanza, poiché si trattava del primo codice penale moderno in Italia. Nel Regno di Napoli
Carlo di Borbone affidò la segreteria degli Esteri al giurista toscano Bernardo Tanucci
nel 1755, e questo fu considerato una scelta di avere accanto una personalità giuridica e politica
pienamente affidabile e assolutamente capace di muoversi nel campo della politica
internazionale. Quando Carlo fu chiamato sul trono di Spagna e gli succedette a Napoli il figlio
Ferdinando di soli otto anni, Tanucci fu nominato membro del consiglio di reggenza e in
seguito ministro, esercitando così il potere per più di quindici anni. Egli impiegò tutte le sue
energie al servizio della trasformazione del regno, ma la sua forte volontà riformatrice
incontrò molti ostacoli. La carestia che scoppiò nel 1764 aggravò vecchi problemi come la
debolezza dell'economia, la piaga dei pregiudizi e dell'ignoranza. Nel1765 riuscì a riformare
l’amministrazione della capitale. Ma il provvedimento più importante fu l'espulsione dei
Gesuiti nel 1767, che avrebbe dovuto segnare il punto di partenza per un grande progetto di
rinnovamento. I beni confiscati ai Gesuiti furono utilizzati per fondare scuole, convitti,
ospizi, ma non si riuscì a ottenere un vero cambiamento del sistema scolastico e assistenziale.
Un successo vero e proprio Tanucci lo riportò nel settore giudiziario, ma quando nel 1768 il
re Ferdinando sposò Maria Carolina d'Austria, la sua influenza diminuì e nel 1776 fu
licenziato. La regina si dedicò soprattutto a liberare il regno dalla tutela spagnola ma non
mancarono riforme come la riorganizzazione della marina e dell'esercito. Napoli fu un
centro culturale dell’Europa illuministica, ma il 18° secolo si sarebbe chiuso con il
fallimento del riformismo assolutistico illuminato, accelerato dalla Rivoluzione francese.
Nell'Austria asburgica i Lumi furono un movimento intellettuale che collaborò con
la monarchia assoluta nella realizzazione dei suoi progetti di modernizzazione dal
momento che tra i vari esponenti vi furono gli stessi sovrani o i loro più stretti collaboratori.
Quando Giuseppe II salì al trono nel 1780 iniziarono le operazioni di censimento e di catasto
anche in Austria, Ungheria e Boemia, con l'obiettivo di mettere fine ai privilegi del clero e
dell'aristocrazia, ma anche per stimolare la modernizzazione dell'agricoltura, oltre che
per aumentare il potere economico dello stato. Nella politica ecclesiastica la pratica di
Giuseppe II era quella di controllo statale sulla Chiesa che prese il nome di 'giuseppinismo':
oltre alla soppressione di conventi e di ordini ritenuti inutili e alla secolarizzazione dei
beni ecclesiastici si attuò il controllo della pubblicazione degli atti pontifici e delle stesse
nomine dei vescovi. I rapporti con la Santa Sede divennero tesi fin dal 1781, quando
l'Imperatore emanò la patente generale di tolleranza, che consentiva finalmente a
calvinisti, luterani e greco-ortodossi di integrarsi a pieno titolo nella vita della monarchia
asburgica. Dopo alcuni provvedimenti che miravano a proteggere i contadini dalle
giurisdizioni signorili, fu promulgata la patente che aboliva la servitù: i contadini potevano
sposarsi senza autorizzazione, muoversi come volevano, scegliere il mestiere da esercitare.
Inoltre potenziò i tre livelli di istruzione scolastica, modificò l'assetto del pubblico impiego,
concesse la libertà di stampa. Importante fu l'attività in ambito giudiziario, con il codice
penale del 1787 definito un 'monumento dell'Illuminismo'. Sul piano politico e militare
negative furono le ripercussioni della guerra contro l'Impero ottomano, condotta nel 1788 per
onorare l'alleanza con Caterina II di Russia.
Per i paesi dell'Impero germanico il discorso è più complesso. In genere, gli intellettuali
tedeschi vissero in una situazione di isolamento, la frammentazione politica del paese agì in
senso negativo, perché impedì loro di organizzarsi in circoli, il loro sostanziale mezzo di
comunicazione restò il libro.
Anche nel Mediterraneo orientale e islamico si ebbero processi di diffusione della
cultura illuminista, e uno dei suoi vettori principali fu la politica espansionista russa dell'età

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di Caterina II, la quale alimentò nella cultura ellenica forti speranze di rinnovamento che
finirono, inevitabilmente, con l'allargarsi anche alla cultura e alla società dell'impero
ottomano, dove si facevano sempre più numerosi i sostenitori dell'europeizzazione, che
riuscirono a introdurre, a partire dalla seconda metà del Settecento, tecnologie, idee politiche
e comportamenti sociali importati dalla Francia e dall'Inghilterra.
2. La Russia e il Mar Nero. Nel corso del 18° secolo si era consolidato un programma
di espansione prima con Pietro e poi con Caterina, moglie di Pietro III (che fu zar per soli sei
mesi nel 1762). L’Impero doveva farsi portatore di civiltà nei confronti di un Oriente
islamizzato arretrato, raggiungendo il Mediterraneo attraverso il Mar Nero e gli Stretti.
Si attivò una complessa rete di alleanze: austriaci, russi e turchi nei Balcani; turchi, russi e
persiani nella zona caucasica, francesi, russi e turchi a Istanbul e a Gerusalemme; la Francia,
la Spagna e l'Inghilterra cominciarono a temere gli effetti dell'espansione russa non solo,
sul versante baltico, ma anche su quello mediterraneo. Il regno di Caterina II fu aperto alle
influenze culturali francesi e molte delle riforme da lei promosse, come il nuovo sistema
educativo, la politica economica, la secolarizzazione delle terre della Chiesa, la
soppressione di oltre la metà dei conventi, avevano alla base i principi dell'assolutismo
illuminato. Nel 1762 le finanze russe erano esauste per cui le proprietà della Chiesa furono
confiscate; il programma ufficiale dell'assolutismo illuminato di Caterina II esaltava la
tolleranza, la libertà di stampa, la diffusione dell'istruzione, condannando la tortura e la
crudeltà delle pene. Vi furono le leggi che abolirono i monopoli e aprirono a tutti, compresi i
contadini, le attività manifatturiere e commerciali, incoraggiando così lo sviluppo economico.
Nel 1753 vennero abolite tutte le dogane interne e nel 1766 venne concessa la libertà
all'esportazione dei cereali; la maggiore produzione si ottenne con la messa a coltura di nuove
terre, divenuta necessaria grazie all'aumento demografico avvenuto nel corso del
Settecento. Nonostante i progressi, le condizioni dell'agricoltura erano ancora molto
arretrate. Più evidenti furono, invece, i progressi nel campo industriale dovuti all'incremento
della produzione e del numero degli opifici. Il numero di stabilimenti industriali
incrementò: l'aumento della produzione interessò i 2 settori più importanti: quello
metallurgico e quello tessile. L'industria pesante, al contrario, durante il regno di Caterina
II, attraversò una fase di relativa decadenza. La tessitura e la stampa dei tessuti di cotone per
tutto il Settecento, si servì del lavoro a domicilio esercitato da contadini liberi e affiancato
anche dalla lavorazione della lana, del lino, della seta, della carta, del legno, del cuoio e anche
del ferro e dei metalli in genere. Cronstadt, avamposto di Pietroburgo, era lo scalo russo più
importante; il secondo porto dell'impero era Riga. Il commercio era quasi tutto ancora nelle
mani degli inglesi, ma il governo russo di Caterina II cercò di far aumentare il commercio
estero. Solo tra il 1786 e il 1793 il mancato rinnovo del trattato tra l'Impero e l’Inghilterra
mise in crisi il commercio inglese in Russia e consentì ai russi di gestire fino al 70% dei traffici.
Nel 1775 lo stato della marina mercantile era ancora molto misero. La flotta navale russa,
invece, sotto Caterina II rinacque. La zarina era salita sul trono con grandi ambizioni
riformatrici all’interno del paese, ma le sue preoccupazioni più importanti furono rivolte alla
politica estera Nel 1768, una violenta rivolta contro le ingerenze russe in Polonia aveva spinto
l'esercito di Caterina a invadere il paese confinante e questo fu il casus belli che condusse il
sultano, irritato per lo sconfinamento delle truppe russe, ad aprire le ostilità. Scoppiò così
una guerra. Nonostante un esercito formidabile, i turchi ottomani furono umiliati dai russi,
che sferrarono un violento attacco piegando i principati danubiani di Moldava a e Valacchia e
inviando una flotta nel Mediterraneo con lo scopo di sollevare le popolazioni balcaniche sotto
dominio turco. Anche in Grecia gli agenti della zarina incitarono le genti cristiane alla

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rivolta. Il trattato di Kuҫuk-Kaynarca nel 1774 sancì la vittoria russa: Caterina ottenne
definitivamente Azov e il diritto di navigazione nel Mar Nero e nel Mediterraneo. Il
trattato permise ai russi non solo di accrescere i propri domini, ma anche di ingerirsi negli
affari interni dell'Impero ottomano, insediando un proprio ambasciatore permanente a
Istanbul e costruendo una chiesa con diritto di protezione degli ortodossi nella capitale (e
strappando al sultano la promessa di attuare alcune riforme modernizzatrici e
occidentalizzatrici). Il sogno di Caterina II, cioè un impero dal Baltico al Mediterraneo e dalla
Grecia al Caspio, stava prendendo corpo. Il suo obiettivo, ossia il rafforzamento della
potenza internazionale della Russia basato sull'estensione e sull'unificazione del suo
territorio, si realizzò con l'annessione della Crimea nel 1783, che prima non solo ostacolava
la Russia nello sbocco sul Mar Nero, ma rappresentava anche una minaccia per l'Ucraina,
sottoposta a continue incursioni da parte dei turchi. I turchi si riorganizzarono per distruggere
l'armata russa sul Mar Nero e nel 1791 firmarono una tregua con il nuovo imperatore asburgico
Leopoldo II. I russi, lasciati soli, siglarono la pace di Jassy nel 1792 che consentiva di annettere
almeno la Bessarabia, cioè l'area della Moldavia a est del Dniestr. Le diplomazie europee
furono allarmate dall’espansione dell’impero russo, agli occhi di Inghilterra e Francia non
appariva auspicabile la sostituzione dell’impero ottomano, ormai debole, con la potenza russa.
Ad allontanare momentaneamente questo pericolo sopraggiunse la morte di Caterina II (1796).
3. 'Tentativi di rinnovamento nell’Impero ottomano. I Lumi in Turchia significarono
soprattutto occidentalizzazione e adozione di tecniche e scienze occidentali, ma anche un
atteggiamento più critico nei confronti dell’ortodossia islamica (concessione della libertà
di culto alle minoranze religiose). Il 18° secolo vide rivolgere l'attenzione dei gran visir alle
relazioni diplomatiche con le potenze occidentali, per poter cogliere i loro progressi, i loro
modi di vita, le loro realizzazioni tecniche. Le vicende militari, le continue mediazioni
diplomatiche delle potenze europee dimostrarono che i turchi non erano più gli unici padroni
dello spazio economico e politico dominato fino ad allora. Così in alcuni intellettuali ottomani
nacque il desiderio di conoscere meglio il mondo occidentale e ambasciatori partirono per le
grandi capitali, tornando con osservazioni, riflessioni, informazioni e innovazioni: cominciò
così una certa apertura sul mondo esterno (es. sulla cultura, civiltà, tecniche francesi; nella
corte ottomana venne adottato un nuovo genere di vita piacevole e dispendioso: nuovi
palazzi, giardini, organizzazione di divertimenti e feste; la creazione della tipografia) oltre che
miglioramenti in campo militare e civile. Il gran visir di Mustafa III, Ragib Pascià
condividendo le idee del sultano che considerava la pace con le potenze straniere necessaria al
buon andamento dello stato, mantenne buoni rapporti con esse, Austria e Russia comprese.
vennero firmati trattati commerciali con i regni di Napoli, Danimarca e Persia, vennero
mantenute ottime relazioni con Francia e Inghilterra. Ragib Pascià rivolse la sua attenzione
al miglioramento dei servizi dello stato, rafforzando la giustizia, promulgando regolamenti che
miravano a proteggere meglio la popolazione contro gli abusi dei notabili e della
amministrazione locale, inviando truppe contro gli oppositori per attestare che fossero messi
in pratica i regolamenti e le leggi statali. La seconda guerra (1768-1774) contro la Russia e
l'Austria fece sì che il trattato di Kucuk-Kaynarca del 1774 fosse il più svantaggioso siglato
dagli ottomani fino ad allora, perchè portò il primo grave attacco al meccanismo ottomano a
nord del Mar Nero. Il sultano, costretto a pagare una forte indennità di guerra, ottenne però di
nuovo le sue posizioni secolari tra il basso Danubio e il basso Dnestr. Da questo momento in
poi il prestigio ottomano cominciò a diminuire sempre di più e l'Impero divenne
un'allettante preda per i vicini. Debolezza interna, mediocrità dell'esercito, instabilità di
alcune province ne furono la causa, insieme all'espansione politica, economica e territoriale

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delle grandi potenze europee, come la Francia, la Russia e l'Austria. Nel 1789 salì al trono
Selim III che testimoniò una volontà di rinnovamento dello stato ottomano. Egli riprese
l'opera di riforme avviata dal suo predecessore, si preoccupò di rinnovare l'esercito attraverso
l'istituzione, nel 1794, di un particolare corpo militare denominato 'la nuova organizzazione',
il cui addestramento fu affidato a istruttori europei, e i cui soldati ricevettero un migliore
equipaggiamento. Le riforme militati riguardarono anche la marina, con miglioramenti nel
reclutamento e nella formazione dei marinai, ammodernamento della Scuola navale. Per
coprire il costo delle riforme Selim III procedette a una svalutazione della moneta,
all’aumento delle imposte e alla confisca dei beni di ricchi mercanti. Le riforme civili
riguardarono la riorganizzazione dei servizi delle finanze e l'approvvigionamento delle città
di prodotti essenziali, mentre il settore in cui il sultano introdusse effettive innovazioni fu il
campo della diplomazia, con un'apertura verso l'Occidente. Le riforme di Selim III
attirarono l’ostilità degli ulema e dei giannizzeri, che lo costrinsero di farsi da parte,
interrompendo il suo progetto riformatore. Suo successore fu Mahmud II, il reale iniziatore
dei mutamenti nell'Impero ottomano.
4. Grandi potenze e minoranze nel Mediterraneo orientale e maghrebino. Nel 18°
secolo si sviluppò una forte presenza occidentale nel commercio internazionale
dell’Impero ottomano: fu la Francia ad avere il molo principale nel traffico commerciale
con il Levante, lasciando gli inglesi interessati all'India e all'America. Nel 1754 l'Austria
creò una propria Compagnia del Levante. Strette relazioni si stabilirono tra i negozianti di
Livorno, porto di scalo e di passaggio molto frequentato, e Salonicco, Istanbul, Smirne e
Alessandria e si svilupparono ancora di più quando il sultano concesse la libertà di
commercio nell'Impero ai sudditi del granduca di Toscana. Rilevante nel contesto euro-
mediterraneo fu anche l'apertura del Mar Nero agli occidentali. Il Regno d Napoli condusse
trattative per la stipulazione di un accordo commerciale con la Russia, soprattutto dopo un
provvedimento del 1784 che estese ai vini italiani sbarcati nel Mar Nero le agevolazioni
concesse ai-vini greci, spagnoli e portoghesi, purché trasportati su navi russe o italiane e che
mise in risalto la predisposizione favorevole della Russia verso gli Stati italiani. Gli stati
europei firmavano i contratti con gli stati magrebini per garantire alle proprie navi
l’immunità dagli assalti dei corsari e per avere le condizioni vantaggiose per lo sviluppo dei
commerci. Tra l’Europa e Magreb si ebbero molte prove di forza, in generale favorevoli agli
stati europei, vi furono accordi e trattati di pace e di commercio, stipulati con un numero
sempre più grande di paesi. La concorrenza tra la Francia e l’Inghilterra si fece sempre
più vivace ed entrambe cercarono di approfittare dei momenti di tensione nei rapporti
dell’altra con i barbareschi per avvantaggiare la propria posizione politico-diplomatica. Nel
1716 l’Inghilterra stipulò un trattato con Tunisi. Tra il 1725 e il 1731 si ebbe una serie di
trattati, a cominciare da quello sottoscritto con Tunisi dall'Impero asburgico (1725). L'Olanda
firmò un trattato con Algeri (1726), rinnovato poi nel 1731 e un altro con Tripoli (1728), con
Tunisi solo nel 1713. Nel 1729 il Regno di Svezia firmò un primo trattato con la reggenza
algerina, affacciandosi così sulla scena politica internazionale del Maghreb; nel 1736
sottoscrisse un accordo con Tunisi e nel 1741 con Tripoli. Anche la Danimarca, per esempio,
firmò un trattato con Algeri (1746) e un altro con Tripoli (1752). Nel 1748 l'Impero asburgico
rinnovò gli accordi con Algeri e con Tunisi e l'anno dopo anche con Tripoli mentre l'Inghilterra
riconfermò il trattato con Algeri (1751) e lo stesso fece l'Olanda (1757). Nel corso del 18°
secolo e fino al 1775, la Spagna rimase abbastanza lontana dalle vicende mediterranee,
ma nell'ultimo quarto del secolo la flotta spagnola attaccò duramente Algeri, senza riuscire
però a infliggerle il colpo mortale. La prima spedizione prese il via nel 1775. La pace vi fu

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nel 1786. Accanto alla Spagna fu Venezia a condurre con più successo la sua flotta sulle
coste del Maghreb nell'ultimo ventennio del 700.

15. IL MEDITERRANEO TRA FRANCIA E INGHILTERRA.


1. Preludi rivoluzionari. Gli anni dal 1756 al 1789 che precedettero la rivoluzione
francese appaiono uno dei periodi più significativi della storia moderna. nel corso della prima
metà del 18° secolo ai 2 imperi coloniali formatisi all'inizio dell'età moderna, quello spagnolo
e quello portoghese, si aggiunsero nuove potenze coloniali come Olanda, Francia e Inghilterra.
La guerra dei sette anni fu nel 1756 il primo conflitto scoppiato per una contesa non europea:
la rivalità tra Francia e Inghilterra per il dominio del Canada. Essa ebbe anche un fronte
asiatico, giacché anche nel subcontinente indiano si misurarono le forze francesi e inglesi, e
un fronte europeo, nel quale, per il controllo della Slesia, si opposero l'Inghilterra e la Prussia
da un lato e dall'altro la Francia e l'Austria. La conclusione del conflitto fu rovinosa, in
particolare per la Francia che rivelò nei territori coloniali una sorprendente debolezza
militare. La perdita del Canada si accompagnò a un drastico ridimensionamento delle
ambizioni in India, mentre in Europa, grazie anche ai successi conseguiti dal re Federico II,
la Prussia si vide riconosciuto il controllo della Slesia e la continuità territoriale dei
possedimenti degli Hohenzollern. La conclusione della guerra dei Sette anni aveva, perciò per
la Francia due conseguenze: per un verso nella corsa alla formazione dei nuovi imperi coloniali
l'Inghilterra si poneva in una condizione maggiore, che avrebbe obbligato la Francia nel corso
dell'Ottocento, a una faticosa rimonta delle posizioni perdute; per altro verso, si profilava nel
cuore dello spazio tedesco una nuova potenza statale. Entrambi questi elementi
convergevano in un rafforzamento dei tradizionali interessi francesi nel Mediterraneo; tuttavia,
la sconfitta nella guerra dei Sette anni accelerò una crisi economica, sociale e politica dentro
la quale si consumò la fine dell'Antico Regime in Francia e lo scoppio della Rivoluzione. A
scongiurare questa crisi non servì l'appoggio dato da Luigi XVI alla causa dei coloni americani
che nel1776 insorsero contro la madrepatria inglese proclamando propria indipendenza. La
nascita degli Stati Uniti d'America rappresentò una ferita importante per il nascituro Impero
britannico che si vedeva sottratto uno dei suoi possedimenti più antichi e civilizzati. Ma
l'impegno economico profuso dalla Francia nel sostenere la guerra d'indipendenza
americana aggravò il dissesto finanziario del paese e preparò il tracollo del debito pubblico
da cui originò la Rivoluzione. In Francia, dopo il licenziamento di Turgot, controllore generale
delle finanze fu Jacques Necker che (la sua nomina venne imposta dalla necessità di finanziare
la guerra in America, costosa perché al tempo stesso marittima e terrestre), che cominciò ad
attuare le sue prime riforme amministrative, creando delle assemblee provinciali che
rappresentavano anche il Terzo stato, cioè l'ordine non privilegiato della borghesia che
veniva dopo il clero e la nobiltà, con l'obiettivo di dividere in modo più razionale le tasse.
Questo gli costò le dimissioni nel 1781, ma trascorsi otto anni, mentre iniziavano i preparativi
per gli Stati Generali chiesti dalla nobiltà dopo atteggiamenti assolutistici di Luigi XVI e
fissati nella primavera del 1789, Necker fu richiamato alla sua vecchia carica. Dopo la seduta
inaugurale del 5 maggio 1789, l'attività degli Stati Generali si bloccò subito, dal momento che
il Terzo stato avrebbe voluto imporre un criterio di votazione a maggioranza, basato sul
numero dei deputati e non sulla volontà dei tre ordini separati. Rompendo gli indugi, il 17
giugno il Terzo stato fece il primo atto rivoluzionario proclamandosi 'Assemblea
nazionale' e prestando giuramento qualche giorno dopo. Luigi XVI, influenzato dalla corte,
ne annullò con la forza le decisioni, nel tentativo di bloccarlo e in una 'seduta reale' annunciò
il suo programma di riforme, in cui non parlò né del 'voto per testa', né dell'uguaglianza

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fiscale, né dell'abolizione del regime feudale. Le tensioni nel frattempo crescevano. L'11
luglio Necker fu licenziato e al licenziamento del ministro reagì il popolo parigino che,
stremato dalle tasse sul pane che non accennavano a diminuire, il 14 luglio si sollevò
assaltando i depositi di armi e impadronendosi della Bastiglia, arsenale e prigione di Stato,
ma soprattutto simbolo dell'arbitrio del re. I parigini in rivolta costituirono una
municipalità insurrezionale, una guardia nazionale e adottarono una coccarda tricolore che
recava, tra i colori di Parigi azzurro e rosso, il bianco dei Borboni. Luigi XVI fu costretto a
richiamare Necker e il 17 luglio si recò a Parigi per sanzionare i fatti compiuti. I contadini
armati si mossero ovunque all'assalto dei castelli dei signori, ma soprattutto degli archivi
signorili, per dare alle fiamme quegli antichi incartamenti. Dopo l'insurrezione rurale, i
deputati del Terzo stato difesero le rivendicazioni contadine in una tacita alleanza tra la
borghesia e i contadini, che consentì alla rivoluzione di ottenere i risultati più definitivi e
radicali. L'assemblea riprese in mano la situazione e cominciò a comportarsi come un vero
organismo costituente approvando il 26 agosto una Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del
cittadino, che il re non riconobbe. Il 5 ottobre una folla di molte migliaia di parigini mosse
in direzione di Versailles e il giorno dopo Luigi XVI fu costretto a trasferirsi a Parigi
insieme alla famiglia reale, seguito presto dall'Assemblea costituente: la battaglia politica
sarebbe andata avanti sotto lo sguardo del popolo parigino e della borghesia cittadina armata.
Nei mesi che passarono, tra l'ottobre del 1789 e il giugno1791, la rivoluzione sembrò aver
trovato un suo equilibrio, ma in realtà tutte le forze presenti nell' Assemblea costituente
sapevano che la tregua era provvisoria e fragile e che bisognava al più presto arrivare a un
compromesso sul futuro assetto costituzionale.
2. La Rivoluzione e la guerra. Nella sua prima fase la rivoluzione francese non ebbe
un carattere repubblicano. Al contrario i protagonisti della rivoluzione ebbero come
obiettivo il mantenimento della autorità del sovrano Luigi XVI, nel quadro, però di una
Costituzione che assicurasse la rappresentanza politica della nazione in Parlamento, la
divisione dei poteri e le libertà fondamentali del cittadino. Questo obiettivo sembrò
realizzarsi con la adozione, nel settembre 1791, di una Costituzione alla quale Luigi XVI
aveva dato il suo consenso (in realtà la monarchia francese faticava a costituzionalizzarsi:
tentennamenti del re e degli ambienti di corte -> progressivo radicalizzarsi del ceto politico
rivoluzionario). Il regime costituzionale in Francia apparve presto una minaccia per la
stabilità dell'intero sistema politico dell'Europa continentale. La Rivoluzione stava
diventando un tema cruciale della storia dell’Europa (la condizione di Luigi XVI venne
considerata oggetto di comune interesse per tutti i sovrani d’Europa). Stretti tra gli intrighi
della corte con le potenze straniere e le istanze rivoluzionarie dei club politici più radicali
(cordiglieri e giacobini), i deputati cosiddetti 'girondini' (dal nome del dipartimento della
Gironda da cui provenivano gli esponenti più prestigiosi), che detenevano in quel momento la
maggioranza all’interno della Assemblea legislativa, pensarono di risolvere la crisi finanziaria
e politica facendo appello all'unità nazionale in una guerra contro le monarchie assolute
europee. Intanto, i movimenti rivoluzionari, tra cui il giacobinismo, stavano diventando
fenomeni internazionali che andavano propagandosi in Europa e nel Mediterraneo: in
Inghilterra, nell'Impero asburgico, nei Paesi Bassi, in Polonia, in Spagna, in Italia, in Grecia e
perfino in America, i giacobini esportarono le novità rivoluzionarie. Nell'aprile del 1792 la
Francia dichiarò guerra agli Asburgo, alleati della Prussia. Da questo momento iniziò una
fase nuova della Rivoluzione francese. La guerra alle grandi potenze europee era
considerata con allarme da Luigi XVI e ancor più da Maria Antonietta, sorella dell'Imperatore
austriaco. La guerra europea, soprattutto nella prima fase quando sembrò che le truppe

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austriache e prussiane fossero destinate ad avere la meglio determinò la fase più acuta e
drammatica del processo rivoluzionario, quella del Terrore, e legata alle figure di Danton e
di Robespierre. La caduta della monarchia e la proclamazione della Repubblica nel
settembre 1792, la fine della Assemblea Legislativa e la nascita della Convenzione, si
accompagnarono allo sforzo gigantesco che la Francia rivoluzionaria compì per evitare
l’invasione e salvare la Rivoluzione. Le sorti della guerra cominciarono ad apparire meno
drammatiche solo nel corso del 1793 ed è allora che il conflitto apertosi in Europa si mostrò
non solo come una guerra tra la Rivoluzione e i suoi nemici, ma anche come un nuovo episodio
delle lotte per l'egemonia europea. L'occupazione da parte delle truppe rivoluzionarie dei Paesi
Bassi austriaci, della maggior parte della riva sinistra del Reno, del Regno Sardo, della Savoia
e della Contea di Nizza, sembrò alle grandi potenze continentali il segnale di una politica che
andava anche al di là della difesa della rivoluzione. Per altro verso occorre ricordare che in
seguito alla rivoluzione, la condizione della marina francese era diventata disastrosa. Di questa
situazione approfittò la Gran Bretagna per proseguire con maggiore efficacia la sua
tradizionale politica di guerra al commercio francese, con il blocco delle coste e l'attacco a
ciò che restava delle colonie francesi. Una fase chiaramente nuova si aprì solo con la fine del
Terrore, lo scioglimento della Convenzione e la formazione di un nuovo regime
repubblicano, il Direttorio, sostenuto dalle forze moderate e borghesi della rivoluzione.
Caratterizzato sul piano interno da una forte instabilità istituzionale, sul piano internazionale
il Direttorio seppe, almeno nella prima fase della sua non lunghissima vita, cogliere
significativi successi. Esso proseguì con efficacia la politica delle cosiddette 'frontiere
naturali' tese ad assicurare alla Francia il controllo delle rive del Reno e la nascita di una serie
di 'repubbliche sorelle' che in Belgio, in Olanda e in Italia avrebbero garantito la sicurezza
della giovane repubblica francese. Fu in questo quadro che nella primavera del 1796 il
ventisettenne generale Napoleone Buonaparte iniziò la sua campagna in Italia (con intento
di indebolire le posizioni degli austriaci sul Reno; con le rapide vittorie). Bonaparte guardava
alla penisola italiana nella chiave di un paese il cui controllo avrebbe aperto alla Francia la via
dell'egemonia mediterranea. Questa visione si ricollegava ad alcuni disegni coltivati da quello
che sarebbe diventato il principale attore della politica estera napoleonica, il principe di
Talleyrand. Il primo segno concreto di questa visione si ebbe al momento in cui, senza tener
conto del parere del Direttorio, vennero firmati (settembre 1797) i preliminari di pace di
Campoformio con i quali si concludeva la vittoriosa prima campagna d'Italia. Qui l'Austria
rinunciò al Belgio e si impegnò a cedere alla Francia la Lombardia e a riconoscere la
Repubblica cisalpina, ma soprattutto venne sancita la definitiva scomparsa della Repubblica
di Venezia, che Bonaparte aveva occupato già nella primavera precedente e che ora veniva
divisa tra la Francia, che mantenne il controllo delle isole Ionie, e gli Asburgo che ebbero
Venezia, la terraferma, l'Istria e la Dalmazia.
3. Una svolta: la spedizione francese in Egitto. L'occupazione francese di Corfù e delle
altre isole Ionie, dopo Campoformio mostrò l'interesse della Francia rivoluzionaria per il
Mediterraneo che si sarebbe reso palese anche con la spedizione in Egitto organizzata da
Bonaparte nella primavera del 1798. Così, il Mediterraneo rientrava nella grande storia,
dopo esserne uscito ala fine dello scontro ispano-ottomano (XVI secolo). L'Egitto, in virtù
della sua particolare collocazione geografica, delle sue condizioni politiche e delle sue
caratteristiche economiche, si presentava come uno dei principali obiettivi della politica estera
francese per assicurarsi le chiavi del commercio asiatico. La spedizione partì da Tolone ed
ebbe come primo obiettivo la conquista dell'isola di Malta: il controllo di Malta diventava
essenziale nelle strategie di egemonia sul Mare Interno e di rilancio degli interessi verso

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l'Oceano Indiano. La vittoriosa battaglia delle Piramidi e la conquista del Cairo sembrarono
assicurare rapidamente il successo. Pochi giorni dopo, però, il l agosto 1798, la flotta francese
fu completamente distrutta nella rada di Abukr dalle navi inglesi di Nelson. L'Inghilterra
ribadiva, così la propria forza nel Mediterraneo e metteva repentinamente fine
all'ambizioso ed egemonico disegno mediterraneo di Napoleone. Bonaparte si trovò allo stesso
tempo padrone e prigioniero dell'Egitto. Dopo la sanguinosa rivolta del Cairo nell'ottobre
1798, Napoleone decise di occupare Siria e Palestina, per minacciare sia la via del
commercio verso l'India sia la capitale dell'Impero ottomano. I risultati furono
insoddisfacenti soprattutto dopo il fallimento dell'assedio posto alla città di San Giovanni
d'Acri, che costrinse Bonaparte a ritornare sui suoi passi. Nell'agosto del 1799, dopo aver
valutato la situazione in Egitto e incalzato dalle notizie che dalla Francia raccontavano di un
Direttorio sempre più in difficoltà per la crisi interna e le sconfitte militari, Napoleone
abbandonò l'Egitto, sottraendosi al blocco navale degli inglesi. Sbarcato in Francia venne
accolto, nonostante tutto come l'unico in grado di far uscire il paese dalle contraddizioni nelle
qual era caduto. Pochi mesi dopo il suo ritorno, infatti, con il colpo di Stato del 9 novembre
1799 Bonaparte pose fine al governo direttoriale e inaugurò l'epoca del suo dominio
personale.
4. Napoleone, l'Europa e il Mediterraneo. Nell'epoca del cosiddetto Grande Consolato
tra il 1799 e il 1804 la profonda azione di riforme istituzionali voluta da Bonaparte si
accompagnò all'attività non meno significativa di politica estera. Importanti restarono i
rapporti della Francia con le Reggenze barbaresche di Algeri, Tunisi e Tripoli con cui, tra
il 1791 e il 1793 erano stati rinnovati i trattati (l’attività corsara raggiunse una maggiore
intensità, grazie anche all’espulsione a opera della Francia napoleonica dei Cavalieri dell’isola
di Malta) Un'ulteriore conferma degli interessi mediterranei napoleonici fu la riconquista del
controllo della penisola italiana, dopo la vittoriosa campagna del 1800. Non a caso da essa
scaturì quasi immediatamente una pace con l'Austria (Luneville 1801) che disegnava gli
equilibri sul continente, mentre assai più laboriosa e precaria si rivelò la possibilità di un
accordo con l'Inghilterra. La pace finalmente sottoscritta ad Amiens nell'aprile l802
riguardava soprattutto il quadro internazionale, con la restituzione alla Francia delle colonie
perdute nel corso della Rivoluzione e con il ritorno dell'Egitto alla sovranità ottomana.
La sistemazione dell'Italia e quella di Malta, dove la pace di Amiens prevedeva il ritiro degli
inglesi e il ritorno dei Cavalieri di San Giovanni, rappresentarono i punti sui quali l'intesa si
ruppe pochi mesi dopo essere stata conclusa. La presenza commerciale francese nel
Mediterraneo orientale e nell'Impero ottomano minacciava sempre di più gli inglesi, gli
interessi colpiti dalla politica doganale decisamente protezionistica adottata da Napoleone
per escludere le merci straniere dalla Francia e dagli stati satelliti. La ripresa della guerra nel
1804, anno nel quale Bonaparte assunse il titolo di Imperatore, confermò
l'incompatibilità fra le aspirazioni francesi e gli interessi economici inglesi. L'apogeo della
potenza napoleonica si ebbe, alla fine de 1805, con la vittoria di Austerlitz e la imposizione
di una pace all'Austria che decretava praticamente l'egemonia francese sull'Europa
continentale e trasferiva alla Francia le recenti acquisizioni austriache nell'Adriatico: Venezia
e le coste dalmate. Pochi mesi prima, però, la flotta francese e quella spagnola erano state
annientate al largo di Trafalgar, ancora dalle navi di Nelson, lo straordinario ammiraglio
inglese che in quel combattimento perse la vita. Napoleone nel 1806 adottò il blocco
continentale con il quale si vietava alle navi che provenivano dalla Gran Bretagna e dalle sue
colonie di entrare nei porti dei territori che erano sotto il controllo francese, nel tentativo di
piegare l'economia inglese e di promuovere lo sviluppo dell'industria francese. Ma la vastità

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stessa del territorio da controllare fece diventare il fine irrealizzabile. L'Inghilterra, dal canto
suo, fu costretta a cercare mercati alternativi e uno di questi divenne proprio il
Mediterraneo: tra il 1807 e il 1808, il centro del commercio europeo inglese si spostò, infatti,
nel sud del Mare Interno, dove la Sicilia rappresentò senza dubbio un luogo strategico.
Importanti conseguenze politiche si ebbero con la pace di Tilsit, alla fine dello scontro tra la
Francia e la Russia. Con il titolo di re d'Italia, Bonaparte aveva dato alla Francia una
dimensione imperiale, nata proprio ponendo sotto il controllo francese l'Italia e la
Germania. Nello stesso anno Liguria, Toscana, Lazio, Umbria e Marche erano entrate a far
parte dei dipartimenti francesi ed era stata così decretata la fine dello stato della Chiesa.
Napoleone si era incoronato re con grande solennità e poi aveva lasciato il governo del paese
con il titolo di viceré a Eugenio di Beauharnais, figlio di sua moglie Giuseppina. Nel 1806
Luigi Bonaparte era diventato re d’Olanda e nello stesso anno Giuseppe aveva avuto il
trono di Napoli, mentre il re Borbone aveva conservato la Sicilia sotto la protezione della
flotta inglese; un terzo regno era stato costituito per Gerolamo Bonaparte in Germania,
mentre nel l808, dopo l'invasione della Spagna, a Giuseppe sarebbe stata attribuita la
corona spagnola, appartenuta al deposto Ferdinando VII di Borbone e Gioacchino Murat
avrebbe preso il suo posto sul trono di Napoli. Due paesi che risentirono particolarmente del
blocco continentale furono Spagna e Portogallo. Bonaparte, con l'invasione del Portogallo
nel 1807 aveva messo a segno un'ulteriore annessione che tendeva a minare il sistema politico-
diplomatico inglese, dal momento che si colpiva un tradizionale alleato dell'Inghilterra.
Tuttavia, lo sbarco delle truppe inglesi di Wellington aveva indotto il generale Junot a lasciare
il Paese l'anno seguente. Napoleone intervenne anche in Spagna, approfittando dei contrasti
tra il re Carlo IV e suo figlio erede al trono, Ferdinando, scaturiti tra l'altro dall'atteggiamento
della Spagna verso l'impresa napoleonica in Europa: Carlo IV e il suo potente ministro Godoy
si erano apertamente schierati con la Francia, mentre più prudente e distaccata era stata la linea
seguita da Ferdinando. Bonaparte spodestò entrambi e nel l808 fece proclamare suo fratello
Giuseppe re di Spagna, ma la reazione spagnola non si fece attendere, perché Ferdinando
iniziò contro Napoleone un'estenuante guerriglia, alimentata e organizzata dal ceto
nobiliare e dal clero. Essa puntava sul patriottismo e sul sentimento religioso degli spagnoli,
che si erano sentiti profondamente offesi dall'occupazione francese dello Stato pontificio. La
fine della lunga contesa vide la sconfitta dell'esercito napoleonico e il ritorno al trono di
Ferdinando VII, che dovette fare i conti con una realtà completamente trasformata.
Conseguenza importante della stagione francese in Spagna fu il successivo scatenarsi dei
movimenti d'indipendenza nelle colonie che comportò la perdita delle colonie americane:
nel 1810 a Buenos Aires scoppiò la rivoluzione e 15 anni dopo, in quasi tutti i paesi
dell'America Latina, sarebbe stato ultimato il processo di indipendenza dalla Spagna. Il
risveglio dei sentimenti nazionali in Germania e in Spagna, dopo un tentativo austriaco di
ribellione all'egemonia continentale francese finito male, cominciò ad aprire le prime crepe
nella costruzione napoleonica. Una svolta significativa si ebbe quando Napoleone ripudiò
Giuseppina e sposò Maria Luisa d'Asburgo, figlia di Francesco I imperatore d'Austria,
combinando così un matrimonio politico che doveva essere capace di rinforzare il sistema
continentale della Francia, consacrandola non solo militarmente ma anche sul piano del
sangue, grazie al suo mescolarsi con quello della più antica monarchia d'Europa. Nel 1811 i
rapporti con la Russia si incrinarono e Bonaparte, convinto che la sconfitta dello zar
Alessandro avrebbe chiuso l'ultimo sbocco commerciale e politico all'Inghilterra, decise di
invaderla nello stesso anno occupando Mosca alla testa della grande armata, che fu costretta
tuttavia ad una disastrosa ritirata, rivelando tutto il fallimento dell'impresa. Un'altra sconfitta

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la subì a Lipsia nel 1813, nella battaglia delle nazioni, da parte delle forze coalizzate di
Russia, Prussia e Austria. La Francia fu invasa e Napoleone fu costretto ad abdicare nel
1814 e a ritirarsi nell'isola d'Elba, mentre il congresso di Vienna smantellava il Grande
impero. Sfuggendo alla sorveglianza inglese, tornò in Francia (1 marzo 1815) e inaugurò i
100 giorni, ma battuto definitivamente a Waterloo dalla VII coalizione il 18 giugno 1815
abdicò di nuovo.
5. Gli inglesi e la Foreign Policy mediterranea in età napoleonica. Dopo l'importante
conquista territoriale di Gibilterra, possedere le principali isole del Mare Interno, come la
Corsica, Minorca, l'Elba, la Sicilia (sotto il protettorato britannico dal 1806 al 1815), le Isole
Ionie e Malta, soprattutto nel periodo napoleonico, era diventato uno dei principali obiettivi
della Gran Bretagna, sulla base di una spinta economica, ideologica e politica. Lo scopo era
quello di indebolire la Francia economicamente e militarmente anche per evitare la
propaganda di idee rivoluzionarie. Gli inglesi avevano elaborato una strategia
'talassocratica' che nel tempo avrebbe fatto veicolare nelle più importanti isole rimaste fuori
dall'occupazione francese i principi del costituzionalismo britannico, in netta opposizione alla
supremazia Napoleonica. Dunque, alla fine del XVIII secolo, la Foreign Policy del governo
londinese si era orientata verso l'invio della flotta inglese nel Mediterraneo per tutelare i propri
interessi. La Gran Bretagna con il primo ministro Pitt il Giovane controllò il mare con la
marina militare, accrebbe le basi navali, aiutò e finanziò gli alleati sul continente, mirando
soprattutto a isolare la Francia. Dopo qualche difficoltà dovuta a una crisi strutturale, la marina
inglese, formatasi nei decenni precedenti alla Rivoluzione francese sotto ammiragli famosi
come Rodney e Howe, ricreò le condizioni necessarie per costruire velocemente un personale
giovane e motivato. La spedizione francese in Egitto riportò il Mare Interno a essere
protagonista della storia e da quel momento la presenza della British Navy nelle sue acque
assunse un significato ancora più importante rispetto al passato. L’equilibrio sempre più
instabile dell'Impero ottomano, la paura di un espansionismo francese in Asia Minore, la
minaccia napoleonica sui possedimenti inglesi in India e l'eventualità di uno scontro tra la
Russia e l'Inghilterra (a causa dei tentativi della prima di accrescere la propria presenza nel
Mar Nero e nel Mediterraneo) resero sempre più necessaria la pianificazione di una strategia
insulare. Nella catena delle isole mediterranee uno degli anelli principali per gli inglesi fu
rappresentato dalla Sicilia, che costituiva una grande e inesauribile base da utilizzare per
controllare Malta e l'Egitto. La Sicilia (non è mai stata sotto il controllo diretto della Gran
Bretagna) durante il dominio borbonico visse il 'decennio inglese', in contrapposizione a quel
decennio francese che invece si affermò nel Regno di Napoli (1806-1815), una fase che
influenzò notevolmente l'assetto economico, politico e sociale dell’isola impiantando le basi
di un rapporto che si sarebbe protratto anche durante il periodo della Restaurazione, quando
soldati inglesi si sarebbero stabiliti nelle fortezze dell'isola e, in particolare, a Messina. La
Sicilia divenne un punto importante sia per la guerra sia per il commercio, soprattutto nel
periodo del Blocco, quando i porti europei furono interdetti ai traffici britannici. Nel 1806 i
primi soldati inglesi sbarcarono sull'isola sia per difenderla da possibili incursioni francesi sia
per provare a riprendere le zone continentali e di Napoli per i Borbone. Intanto, nel Regno di
Napoli, prima sotto la guida di Giuseppe Bonaparte e poi sotto quella di Murat, si ebbe una
ripresa e un rafforzamento del lavoro di riorganizzazione della marina borbonica. Nel
frattempo, in Sicilia, insieme agli uomini della British Army e della Royal Navy sbarcarono
anche numerosi mercanti inglesi che, a causa del Blocco, non avevano potuto più commerciare
nei porti europei occupati dai francesi e l'isola rappresentò un mercato alternativo. Con l'arrivo
nel 1811 di Lord William Cavendish Bentinck, comandante in capo delle forze britanniche e

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plenipotenziario alla corte dei Borbone a Palermo, iniziò una nuova fase nelle relazioni tra la
Gran Bretagna e la Sicilia, che nel 1812 ebbe come risultato una Costituzione elaborata sul
modello inglese, espressione di una rivoluzione politica che si attuò in un ambito molto
particolare che era quello della tradizionale egemonia baronale. Il sogno di una Sicilia 'inglese'
si infranse con il ritorno alla pace e con l'ordine che fu ristabilito al Congresso di Vienna nel
1815, quando la politica estera di Castlereagh prese la direzione di un graduale distacco
rispetto ai problemi continentali. Il rapporto anglo-siciliano rafforzato dal 'decennio inglese',
tuttavia, divenne ancora più intenso nel corso del XIX secolo, in chiave commerciale e
culturale. Alla caduta di Napoleone, quando la Francia sul terreno marittimo verrà molto
ridimensionata, la forza navale britannica era schiacciante.

Le nazioni romantiche
16. Restaurazione e Rivoluzione
La parte più importante dei lavori che dall’ottobre 1814 al giugno 1815 si svolsero a
Vienna, nel Congresso, fu portata avanti da Lord Castlereagh, dal principe di Metternich, dal
conte Nessel’rode
(Russia) e dal principe Von Hardenberg (Prussia). La Francia, va detto, non subì gravi
perdite territoriali, ma i suoi movimenti furono limitati dalla creazione di una serie di stati
cuscinetto. Il congresso riconobbe tanto l’indiscussa egemonia sul mare, quanto il prestigio
politico e morale della Gran Bretagna, che si fece garante degli equilibri europei, dal momento
che il suo principale bisogno consisteva nella necessità che il continente vivesse tranquillo e
senza creare nuovi problemi. La penisola italiana cadde quasi completamente sotto il controllo
austriaco (tutti i territori della Serenissima, fatta eccezione per le isole dello Ionio, più il
Trentino, Trieste, parte dell’Istria, Milano e la Lombardia). In Spagna tornò Ferdinando VII di
Borbone. La Russia ottenne gran parte del ducato di Varsavia e conservò quello di Finlandia,
oltre alla Bessarabia. Scontento dei compensi ottenuti e ritenendo Metternich responsabile, lo
zar Alessandro I armò una grande quantità di truppe mettendo in crisi le malridotte finanze.
Dopo i trattati, per preservare l’equilibrio, si stipulò la Quadruplice Alleanza tra Inghilterra,
Russia, Austria e Prussia(1815). Gli anni successivi furono caratterizzati dalla repressione
condotta dai regimi restaurati per far dimenticare le idee della rivoluzione. L’organizzazione
di società segrete diventò così uno degli strumenti principali attraverso i quali gli oppositori,
molti provenienti dal mondo militare, si prepararono ad un’insurrezione armata. Il processo di
emancipazione delle colonie americane accelerò la crisi di un paese come la Spagna. Se le
forze progressiste utilizzarono il sentimento nazionale esaltato dalla guerra antinapoleonica
per imporre al sovrano una coraggiosa politica riformatrice nel solco della Costituzione di
Cadice, l’abrogazione della stessa dimostrò che la monarchia intendeva riprendere i
tradizionali legami col clero e la proprietà terriera. Il malcontento si diffuse rapidamente. Il 1°
gennaio 1820 a Cadice le truppe del colonnello Riego, della setta dei Comuneros, si
sollevarono e la rivolta si allargò alle regioni circostanti. Ferdinando VII promise di ristabilire
sia la costituzione che la convocazione delle cortes (il Parlamento). I fatti di Spagna trovarono
un’eco immediata: a Oporto il pronunciamento militare guidato dalla società o Sinedrio lo
testimoniò palesemente.
Nel Regno delle Due Sicilie la diversità di orientamenti tra carbonari, risolutamente
democratici, e murattiani, più inclini all’applicazione più moderata del parlamentarismo,
indeboliva il movimento costituzionale, già scosso dalla questione dell’autonomia in seguito
alla rivolta scoppiata il 15 luglio 1820 (costituzione 9 mesi).

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Le grandi potenze ritennero necessario ribadire il diritto delle grandi potenze ad


intervenire negli altri Stati in caso di disordini (1820, Inghilterra contraria). Sul fronte
orientale, l’opera russa di convincimento nei confronti del sultano Mahmud II per la
concessione di un vassallaggio alla Serbia apparve non soltanto la premessa per l’autonomia
di tale terra, ma la prima tappa nel processo di smembramento ottomano. Sotto la dominazione
dell’Impero, i greci avevano preservato la loro identità. Il ruolo politico svolto dalle grandi
famiglie li aveva persuasi di rappresentare una forza capace di ottenere l’indipendenza. Il clima
del 1789 entusiasmò gli intellettuali e soprattutto il poeta Costantino Rhigas, fondatore
dell’Eteria, la prima associazione patriottica. Nonostante la sua condanna a morte per mano
turca, il patriarca di Patrasso, Germano, nel 1821 proclamò la guerra di liberazione, ma il
movimento non fu condotto in modo coordinato. Egli fu così catturato ed impiccato insieme
ad altri tre vescovi, mentre la popolazione di Chio subiva un massacro. Gli insorti però avevano
ottenuto il controllo di buona parte del Peloponneso, di diverse isole dell’Egeo, più Tebe ed
Atene. Alla fine dell’anno, un’assemblea generale di rappresentanti riunitasi ad Epidauro
proclamò l’indipendenza, scegliendo Mavrocordato come presidente. Il sostegno economico
dell’Inghilterra, l’aiuto dei volontari, quello della Russia ortodossa, quello della Francia (in
chiave antirussa) non servirono ai patrioti greci per evitare gravi sconfitte. Specie ad opera del
pascià egiziano Mehmet ‘Alì, che accetto di offrire aiuto ai turchi in cambio del titolo di
governatore di Creta e di Morea. Le grandi potenze, preoccupate per lo stallo commerciale,
tentarono di intervenire diplomaticamente, ma i turchi rifiutarono compromessi.
L’organizzazione di una flotta anglo-franco-russa portò così alla distruzione di quella turco-
egiziana nel porto di Navarino, restituendo speranza ai greci. Con il Trattato di Adrianopoli,
non solo la Grecia ottenne l’indipendenza (sotto la sovranità di Ottone di Baviera), ma anche
la Serbia, la Moldavia e la Valacchia ottennero l’autonomia.
Si era aperta la questione d’Oriente, giacché l’Impero era inadatto alle mutate condizioni
politiche ed economiche. Mahmud II riunì a Istanbul i più importanti notabili delle province
con l’obiettivo di presentare un piano di riforme, ma il tentativo andò a vuoto. I giannizzeri
erano più adatti alla rivolta che a difendere l’Impero e ciò spinse il sultano a sopprimere
l’ordine, sostituito con una moderna armata di cavalleria e artiglieria.

17. FERMENTI MEDITERRANEI NEL 19 SECOLO


Colonialismo anticipato: la conquista francese dell’Algeria
Intorno al 1830, l’Inghilterra trasmise nuovi metodi di produzione all’Europa.
L’economia continentale, in prevalenza agricola, era rivoluzionata dall’esempio insulare di
una realtà piena di città grandi che assorbivano quote di popolazione. Londra vantava ormai
un milione e mezzo di cittadini. Ciò che più contò fu l’utilizzo di innovazioni ed invenzioni,
come l’aratro di Rotherham. Nel mezzogiorno europeo ed in Oriente il grado di miseria era
ancora molto elevato, dal momento che i contadini ed i braccianti che lavoravano nei latifondi
riuscivano a malapena a sopravvivere.
L’Inghilterra, invece, si rivelava la maestra dell’industria europea, esportava
imprenditori, ingegneri, operai qualificati, dominando su tutti i settori rispetto ai potenziali
concorrenti immobili. Un dato su tutti: i telai meccanici in Francia erano circa cinquemila
contro i cinquantamila inglesi. In Spagna perseveravano mali antichi di cattiva gestione dei
processi; in Italia solo Lombardia e Piemonte dimostravano una certa attività con la nascita di
alcuni opifici industriali; l’Austria viveva una crisi strutturale di natura economica, coi nobili
che impedivano lo sviluppo di un’agricoltura su basi commerciali; in Russia la
quintuplicazione della popolazione influì positivamente, ma ad un’attenta analisi l’arretratezza

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tecnologica era allarmante. Non è un caso se, come ha scritto Hobsbawm, la parola chiave di
questa epoca è “il dramma del progresso”. Il periodo 1780-1830 fu caratterizzato più dallo
sviluppo demografico e commerciale che da quello industriale. Liberismo economico.
Nascente coscienza politica ed economica della classe lavoratrice.

La Francia borbonica era desiderosa di ritrovare una collocazione nel concerto


internazionale in seguito all’avventura napoleonica.
Fino a tutto il 700 la pirateria era stata una delle risorse principali del dey di Algeri, ma
le grandi potenze avevano ridotto quest’attività normalizzando gli scambi tra stati europei e
quelli barbareschi con veri e propri trattati, grazie ai quali la Francia aveva ricevuto grano non
pagandolo e accumulando i debiti per tutto il periodo del Direttorio, facendo deteriorare i
rapporti con Algeri. Nonostante un accordo rinnovato nel 1820 le tensioni aumentarono, allo
stesso tempo gli Inglesi si sostituirono ai francesi nel commercio del grano, ma quando
l’accordo non fu rinnovato e i debiti non furono pagati, una flotta anglo-olandese bombardò
Algeri (1816). Nel 1827 nella battaglia di Navarino (guerra d’indipendenza greca) la flotta del
dey di Algeri venne distrutta. Nel giugno dello stesso anno le relazioni diplomatiche furono
rotte, fino a quando il 14 giugno 1830 le truppe francesi sbarcarono sulla spiaggia di Sidi
Ferruch per un intervento armato.
Gli Algerini opposero fin da subito una fiera resistenza, chiesero aiuto al sultano
ottomano (troppo impegnato però nei Balcani e in Egitto), così capitolarono i bey di Algeri,
Titteri e Orano. Il bey di Costantina Haci Hahmad invece bloccò l’occupazione fino al 1837.
Tra il 1841-47 la resistenza si tradusse in una lotta armata con a capo l’emiro Abd- Al Qadir,
che divenne l’esponente del nazionalismo Algerino. Quando i francesi ebbero la meglio
decisero di trasformare l’Algeria in una vera e propria colonia di sfruttamento.
L’invasione dell’Algeria mostra la superiorità europea nel Mare Interno attraverso il
diritto di far valere la forza della propria potenza, aprendo la strada a quella che sarebbe stata
la “spartizione del Mediterraneo”, mostra anche la scarsa considerazione che le potenze
europee avevano per l’Impero Ottomano, sempre più pedina nelle mani Russe, Francesi e
Inglesi.
Percorsi rivoluzionari
Carlo X di Francia intanto sempre nel 1830 emana 4 ordinanze che limitano le libertà
fondamentali, provocando a Parigi violente insurrezioni che in 3 giorni occuparono la città,
provocando la fuga del re e l’arrivo di Filippo di Borbone d’Orleans simpatizzante per il
movimento liberale, che accettò la corona con il nome di Luigi Filippo. Le tre giornate
accesero i fermenti: in Italia mancavano le grandi masse urbane medi-borghesi e proletarie,
ma si formarono delle correnti politiche con precise identità e programmi (impegnate a cercare
la strada migliore per conquistare l’unità e l’indipendenza, ma fortemente divise su mezzi e su
ideologie da applicare)-> la crisi di società segrete portò Mazzini a progettare la Giovane
Italia (unità, indipendenza, uguaglianza e comunione tra popoli come obiettivi). Il primo
tentativo d’insurrezione (1833) fu fallimentare, e ancor di più il seguente a Genova, guidato
da Garibaldi, costretto a fuggire e a ripararsi in Sudamerica. Mazzini fondò la Giovane Europa
(principio solidarietà tra le Nazioni). Le correnti risorgimentali prendevano piede
nell’ambiente intellettuale ma nei vari stati italiani regnava il conservatorismo: Ferdinando II
del Regno delle 2 Sicilie si opponeva a ogni innovazione liberale con un atteggiamento che
impediva la formazione della classe media a esclusivo vantaggio dei grandi proprietari terrieri,
Regno delle 2 Sicilie intratteneva rapporti diplomatici con le grandi potenze europee, ma
Inghilterra e Austria guardavano con preoccupazione alla situazione interna del regno.

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Quando il governo francese passò a Guizot nel 1847, Luigi Filippo fu visto sempre più
di malocchio (illiberale) e si arrivò alla crisi economica e a una nuova rivoluzione che
abbattendo la monarchia francese nel 1848 proclamò la Repubblica. La rivoluzione si allargò
in tutto il centro Europa ma non arrivò nelle periferie e nei paesi mediterranei o in Gran
Bretagna, paese industrializzato, moderno ed equilibrato. Comunque, fu posto in rilievo il
valore sociale dell’insurrezione: i cartisti, rappresentanti della working class erano solidali con
la repubblica e chiesero più insistentemente riforme alla Camera dei Comuni (suffragio
universale maschile, elezioni annuali a scrutinio segreto…).
Nei paesi coinvolti dalla rivoluzione (Francia, Confederazione germanica, Impero
asburgico, Italia) era in gioco non solo il contenuto sociale e politico dello stato, ma l’esistenza
stessa dello Stato; ma i fattori costituzionale, sociale e nazionale interagirono in modo diverso
nelle varie parti:
• In Francia fu l’aspetto sociale a prevalere
• In Italia, Polonia, Ungheria e Germania fattori costituzionali si combinarono a
quelli nazionali
• Nei domini asburgici, il governo non aveva ascoltato i bisogni della borghesia
liberale, malcontento dei contadini e proletariato industriale di Vienna e della
Boemia. Nel 1848 Metternich si dimise e i movimenti nazionali montarono in una
rivoluzione per smantellare l’Assolutismo. L’imperatore Francesco I sotto
insistenti pressioni convocò un’assemblea costituente e portò riforme in Ungheria,
Praga, Galizia, Zagabria (che non mettevano a rischio l’unità dell’Impero), ma per
quanto riguarda l’Italia, non poteva mettere a rischio una parte di dominio così
grande e importante.
In Italia quindi, si arrivò alla guerra. Dopo il 1846 vi furono una serie di riforme in nome
della libertà e della democrazia, dapprima nello Stato pontificio e via via negli altri stati.
Ferdinando II invece nel Regno delle due Sicilie, restìo a concedere delle riforme dovette
concedere una Costituzione 1848, imitato da Carlo Alberto con lo Statuto Albertino, da
Leopoldo II e dal Papa. In poco tempo tutta l’Italia fu attraversata dai moti rivoluzionari: a
Venezia fu istituito un governo democratico, a Milano dopo le cinque giornate vi fu la cacciata
degli austriaci, che però a Custoza sconfissero l’esercito sabaudo di Carlo Alberto che
sosteneva i liberali. Nonostante la firma dell’armistizio quest’ultimo ruppe la tregua (per paura
che governi democratici come quelli di Mazzini a Roma) e venne nuovamente battuto a
Novara, quando fu costretto ad abdicare in favore del figlio Vittorio Emanuele II. Egli riuscì
a salvare lo Statuto Albertino ma parte del Piemonte fu ceduta agli austriaci. Ciò portò alla
resa di Venezia e del triumvirato (unione di Mazzini, Saffi, Armrllini) di Roma. Nel 1849
l’Austria aveva recuperato gran parte dei suoi possedimenti.
Eccezion fatta per la Francia, tutti i vecchi sovrani tornarono al potere. La primavera dei
popoli non durò a lungo, l’Europa fu quasi interamente restaurata. Le cause del generale
fallimento delle rivoluzioni possono essere fatte risalire al carattere fortemente differenziato
della struttura sociale europea; uomini, ideologie e modelli di rivoluzione appartenevano al
passato ma si innestavano su una struttura sociale dinamica, con ceti emergenti. Ma l’ondata
rivoluzionaria aveva dato vita a un fenomeno che era stato percepito come unitario anche per
i ceti sociali “giovani” coinvolti: piccola borghesia, operai, contadini, artigiani. Si iniziò a
parlare di “classe lavoratrice” e di “proletariato”, fu l’anno della fine della politica della
tradizione, fondata su potenti dinastie, della consapevolezza da parte dei difensori dell’ordine
sociale, di dover imparare la politica del popolo, perché da questo momento in poi la borghesia,

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il liberalismo, la democrazia politica, il nazionalismo e la classe operaia avrebbero fatto parte


della scena politica.
Riguardo il percorso Mazziniano è interessante il suo orientamento nei confronti
dell’espansione italiana nel Mediterraneo (rivendicava l’appartenenza dell’Africa del Nord
all’Italia). Negli anni 40 Gioberti rivendicava la centralità italiana nel mare interno e Cesare
Balbo sosteneva la prospettiva di una forte presenza italiana nel Grande Mare. Nel pensiero di
Mazzini si ritrova il programma politico più concreto per la nascita di una nazione italiana; le
sue lettere slave sostengono una estensione del principio di nazionalità nel mondo balcanico
Vs Balbo Le speranze d’Italia che vedeva nei Balcani la possibilità di spostare l’interesse
asburgico via dall’Italia.
Nel 1830 le potenze europee ottennero che si formasse uno stato greco, indipendente
sulla carta, ma di fatto posto sotto il loro protettorato, governato da un ceto ristretto di
commercianti, con cui gli inglesi instaurarono buone relazioni commerciali, mentre per lo Zar
il nazionalismo greco era una buona occasione per estendere il dominio nei Balcani.
Nel 1830 il Principato di Serbia, con una società prettamente rurale fu riconosciuto come
una formazione autonoma appartenente alla federazione ottomana. Anche l’autonomia di
Moldavia e Valacchia crebbe, mentre le aspirazioni di autonomia Bulgare crebbero più
lentamente. Qui la nascita di un movimento nazionalista fu preceduta da un periodo di sviluppo
economico, dopo il 1826 grazie alle manifatture di lana di Plovdiv, e vi furono anche dei
fermenti culturali. I mercanti bulgari si opposero alla predominanza della lingua greca
costituendo un’organizzazione ecclesiastica indipendente dal patriarcato ecumenico di
Istanbul.
In Russia lo zar Nicola I mantenne una linea di governo rigidamente conservatrice. Gli
intellettuali avevano assunto una posizione critica nei confronti del regime e discutevano
sull’organizzazione della Russia qualora fosse caduto il governo, si divisero in slavofili,
contrari alle influenze occidentali (favorevoli alle Comuni di contadini) e occidentalisti che
volevano il liberalismo occidentale.
Nel 1830 lo zar Nicola I era pronto ad un intervento controrivoluzionario in Francia ma
si concentrò su un’insurrezione a Varsavia, dove Russia, Prussia e Austria presero accordi per
la reciproca garanzia dei rispettivi possedimenti polacchi in caso di un’altra rivolta. Nel 1848-
49 egli fu paladino della reazione europea, fu avverso alla politica di riforme in Italia, minacciò
di guerra Carlo Alberto in caso di attacco all’Austria e intervenne in Ungheria (a favore
dell’Austria). Con la convenzione di Balta-Liman confermò la sua ingerenza nei principati
danubiani (dove si verificarono movimenti contro il protettorato russo), poi avanzò la pretesa
di un protettorato sui patriarcati ortodossi turchi, fino ad arrivare alla guerra (1853).
4.La sublime porta e le riforme
1839 fu l’anno di morte di Mahmud II e di prima tappa fondamentale delle Tanzimat
(riforme o riorganizzazione), vasto programma di riforme che fu avviato dai sultani e da
un’élite di dirigenti ottomani per modernizzare le strutture in campo amministrativo, politico,
economico, sociale e culturale.
• Istituzioni governative: creazione di un’amministrazione centrale tentacolare
composta da ministeri (affari esteri, finanze, commercio, giustizia..), sorsero anche
diversi corpi deliberativi per emanare leggi e regolamenti utili alla società
• Nel 1840 fu adottato un Codice penale ispirato dal principio dell’uguaglianza
davanti alla legge che limitava l’applicazione della sharia

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• Negli anni 50 fu emanato un nuovo Codice penale di origine francese, un Codice


commerciale e si lavorò al Mecelle (Codice civile) compromesso tra legge islamica
e laica
• Fu attivata una rete di tribunali che gestivano tutte le problematiche che si
sottraevano all’autorità religiosa
• 1858 fu elaborato Codice agrario che codificò la situazione immutata nelle
campagne ottomane
L’agricoltura ottomana continuò a progredire, soprattutto nei settori d’esportazione:
cotone, tabacco, cereali, frutta secca, seta, oppio e le vendite a Inghilterra e Francia
raddoppiarono. Comunque il mondo rurale cominciò ad aprirsi solo con il sultano Abdul-
Hamid II (1876-1909), gli scambi commerciali quintuplicarono. Inghilterra, Francia e Austria,
in cambio dei prodotti agricoli fornivano vestiti, tessuti, armi, macchine, farmaci, articoli
coloniali e materie prime.
Intorno agli anni 50 furono impiantate alcune fabbriche (fabbricarono attrezzature
destinate all’esercito, articoli di lusso: tappeti, sete), nacquero delle piccole filande dove si
produceva la seta, il settore minerario conobbe un rapido sviluppo (grazie ai giacimenti di
carbone, rame, ferro, argento).
Negli anni 60 furono attivati i tribunali(nizami) che si occupavano di tutte le questioni
che sfuggivano a quelle religiose, e le nuove leggi e strutture furono condotte dai giuristi
appartenenti al corpo degli ulema, quindi dall’interno. Nell’amministrazione delle città si
procedette verso la modernizzazione: furono ampliate le strade, eliminati i vicoli ciechi e
introdotte le carrozze. La riforma del settore scolastico progredì lentamente, non vi erano
università ma scuole superiori nei settori più vari. Negli anni 30 nacquero scuole per formare
ufficiali, ingegneri, medici, veterinari e musicisti; negli anni 50-60 vennero create nuove
scuole militari e diverse suole civili (di amministrazione, di medicina), nel 1870 la Scuola
normale femminile.
Nel 1843 creazione di 5 eserciti per difendere la capitale, la Tracia orientale, la Rumelia,
l’Anatolia, le province arabe e un sesto nel 1848 con base a Baghdad. Particolar cura venne
dedicata alla marina (che divenne terza la marina mondiale).
Nel 1858 con un’ordinanza venne proclamata l’uguaglianza di tutti i cittadini maschi di
fronte alla legge (pur confermando l’Islam come religione di stato) e fu riorganizzata la
proprietà terriera per ridurre la pluralità di diritti che in precedenza potevano essere esercitati
da diverse persone sullo stesso pezzo di terra. Nel 1869 fu creata la Società imperiale delle
ferrovie della Turchia europeacon una linea che doveva collegare l’Impero alle principali città
europee.
Il processo di ammodernamento mise a rischio il sistema dei millet cioè delle comunità
religiose (musulmani, ebrei, cristiani ortodossi) la cui autonomia era stata ben tollerata, ma ora
con la crescita dei nazionalismi tutto ciò non quadrava con lo sforzo fatto dalla Sublime Porta
per la coabitazione pacifica delle etnie e delle religioni, il governo dando spazio
all’autoamministrazione delle questioni interne, autorizzò le comunità a rinchiudersi nei
particolarismi.
Le riforme poi richiedevano molto denaro, perciò si procedette all’emissione di moneta
di carta e ai prestiti (sull’esempio delle potenze occidentali), ciò porto alla circolazione di
biglietti falsi e al crollo della fiducia dei cittadini nello stato. Dal 1854 si ricorse ai prestiti
esterni ->indebitamento. Negli anni 60 nacquero gruppi finanziari e grandi banche. La Francia
e l’Inghilterra entravano sempre più negli affari egiziani.

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Nel 1876 fu promulgata la prima Costituzione ottomana (che proponeva


centralizzazione amministrativa, la modernizzazione dell’apparato statale,
l’occidentalizzazione della società, la secolarizzazione del diritto e dell’insegnamento).
Guardando all’Europa, lo stato ottomano stava cercando la sua salvezza, ricalcando i modelli
che si erano dimostrati validi. La Sublime porta però divenne vittima tanto dell’imperialismo
occidentale quanto del nazionalismo dei popoli suoi sudditi. Le riforme non riuscirono a porre
fine alla disgregazione dell’Impero, che continuò a passare di crisi in crisi.

18. NAZIONALISMO E COLONIALISMO MEDITERRANEO


1.Il Risorgimento italiano e il Mediterraneo
Il Risorgimento italiano appartiene a quel generale sforzo di rinnovamento in senso
costituzionale, liberale e democratico. Nel processo di formazione di uno stato nazionale nella
penisola italiana è da vedere un aspetto significativo della Questione d’Oriente intesa come
sistemazione complessiva dello spazio mediterraneo nell’epoca dei grandi imperi continentali
e dei nuovi imperi coloniali. Si manifestarono le aspirazioni di indipendenza nel mondo
balcanico (dall’influenza dell’Impero asburgico e quello russo). Lo scoppio della Guerra di
Crimea (tappa decisiva della questione d’oriente) fece sì che il legame tra il problema della
penisola italica e i problemi del Mediterraneo centro orientale diventassero tema centrale delle
diplomazie europee, grazie al primo ministro del Regno di Sardegna Camillo Benso Conte di
Cavour che fece entrare il piccolo regno sardo nella coalizione anti russa e ottenendo di
intervenire dalla parte dei vincitori alla Conferenza di Parigi (1856) nella quale si discusse
dell’assetto dell’Impero Ottomano. In quella sede si parlò della questione italiana (auspicando
l’autonomia dalle potenze straniere), dove nacque una convergenza tra il Piemonte cavouriano
e la Francia di Napoleone III, che voleva sostituire l’Austria come potenza influente nella
penisola. Da qui nacquero gli accordi segreti di Plombieres (1858, con i quali si disegnava un
Regno dell’Alta Italia unificato sotto la monarchia dei Savoia) e nel 1859 la Guerra
d’Indipendenza con Napoleone III al comando delle operazioni. La vittoria degli alleati franco-
piemontesi fu rapida e nei territori centrali si sviluppò un’ondata di annessionismo al
Piemonte. Napoleone tuttavia anche per paura di ripercussioni firmò l’armistizio di
Villafranca, con cui girò la Lombardia, ceduta dall’Austria, al Piemonte, libero di annettere
Toscana e Emilia. Dall’iniziativa dei democratici si aprì la strada per annettere il Sud. Dopo
l’insurrezione della Sicilia, Garibaldi accettò di guidare la spedizione dei mille volontari
dall’isola risalendo la penisola per liberarla. Nel Regno delle due Sicilie il re Francesco II non
seppe gestire la difficile situazione ereditata dal padre. Tra lo sbarco a Marsala nel maggio
1860 e l’ingresso a Napoli nel settembre la spedizione conquistò il regno borbonico, grazie
anche all’atteggiamento favorevole della GB e della Francia. Anche per evitare che Napoli
diventasse l’epicentro di una pericolosa rivincita della democrazia mazziniana, Vittorio
Emanuele II, con l’esercito piemontese, si diresse verso il sud per imporre la sua volontà sui
territori conquistati. Garibaldi passò l’amministrazione dei territori annessi alle autorità di
Vittorio Emanuele II e dei Piemontesi. Nei mesi successivi fu sancita l’annessione al Piemonte
del Regno delle due Sicilie, delle Marche e dell’Umbria, dopo la 3° guerra d’indipendenza
(combattuta da Italia e Prussia vs Austria, 1866) fu annesso anche il Veneto. La presa di Roma,
nota anche come breccia di Porta Pia, avvenuta il 20 settembre 1870, sancì l'annessione di
Roma al Regno d'Italia, proclamata nel 1871 capitale.
Per il nuovo Stato italiano l’attenzione al Mediterraneo si rivelò essere di primaria
importanza, dopo l’avvento della Sinistra al potere (1876) l’attenzione della politica fu rivolta
al mondo Mediterraneo.

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2.L’Egitto moderno
La breve esperienza francese durante l’epoca napoleonica scosse il vecchio sistema dei
mamelucchi.
Con Mehmet Alì (ufficiale albanese arrivato con le forze turche) si diede avvio all’Egitto
moderno. Nel 1805 la Sublime Porta lo nomina governatore, nel 1811 fece trucidare i capi
mamelucchi distruggendo loro ordine e avviando il cambiamento del destino d’Egitto.
Divenne monarca autonomo e nel 1841 ottenne il diritto alla successione ereditaria, la sua
azione fu sistematica: sviluppo di una burocrazia relativamente moderna e ramificata, riempì
le casse statali per riformare l’esercito (indispensabile per attuare una vera politica di potenza),
sviluppò l’agricoltura e l’industria (anche se le riforme ec. non furono molto efficaci), in
politica estera aiutò il sovrano ottomano in 2 occasioni contro i Wahhabiti e sauditi e nel 1821
nella questione dell’indipendenza greca (momento in cui si rese conto di dover deporre ogni
pretesa di intervenire negli affari delle grandi potenze). Tra il 1820-21 occupò il Sudan. Nel
1830 tentò di occupare la Siria, ma l’intervento dei francesi e degli inglesi lo costrinse a
ritirarsi.
I successori:
- Abbas Hilmi I realizzazione della ferrovia Cairo-Alessandria, la prima in Africa
- Said, ultimo dei figli di Mehmet, era decisamente esterofilo. Ampliò la
canalizzazione e promosse l’opera del Canale di Suez persuaso dal francese
Ferdinand Lesseps della bontà dell’impresa. Firmò un accordo penalizzante per
l’Egitto, concedendo i lavori alla Compagnie Universelle du Canal Maritime de Suez
creata per l’occasione. L’Egitto fornì manodopera (lavoro forzato) e rinunciò ai
diritti territoriali su entrambe le sponde del Nilo. Napoleone III appoggiò
apertamente il progetto, l’Inghilterra invece si oppose per anni, poi cambiò idea
dal momento che il controllo del canale e dell’Egitto sarebbe diventato uno dei
perni della sua politica estera, poiché agevolava e proteggeva i collegamenti con
l’India -> possesso dell’Egitto indispensabile
- Said morì durante i lavori e gli successe Ismail. Nel tentativo di accrescere il
proprio potere e accelerare la modernizzazione e essere indipendente dall’Impero
Ottomano continuò i lavori rovinando l’Egitto, divenne debitore delle Banche
europee. Il crac finanziario lo indusse a chiedere aiuto agli inglesi, che in forzoso
accordo con i francesi si avviarono alla gestione duale dell’Egitto. Ismail, che nel
1867 ottenne il titolo ereditario di viceré d’Egitto, cercò di ampliare i domini verso
Sud ma fallì. In politica interna migliorò le infrastrutture economiche con risultati
duraturi (incrementò produzione di cotone per l’export, migliaia di km di nuovi
canali, raddoppiò rete ferroviaria, aumentò entrate fiscali, aumentò investimenti
esteri tramite banche). S’inserì nell’economia internazionale ma dovette chiedere
prestiti. Gb e FRA penetrarono sempre più in profondità nell’economia, nei servizi,
nella società e nella cultura egiziana, divennero circa 100.000 rendendo necessaria
l’istituzione di tribunali misti (1876) con giudici egiziani e europei. Nel 1869 con
l’inaugurazione con una sfarzosa cerimonia (a carico del tesoro egiziano) del
Canale di Suez venne segnato il successo dell’imprenditoria europea. Lo stato
egiziano andò in bancarotta. Il viceré chiese aiuto all’Inghilterra la quale dovette
sottoscrivere un accordo con la Francia. Venne costituita una cassa del debito

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pubblico, formato un governo dove gli Inglesi avevano il portafoglio delle finanze
e i Francesi quello dei lavori pubblici. Ismail sempre più insofferente venne
costretto ad abdicare.
- Formazione di un embrionale movimento nazionalista e costituzionalista vs
europei

3.La “Nuova Russia”


Il disegno di Caterina e dei suoi successori di arrivare a conquistare Istanbul si era quasi
realizzato con i trattati di Kucuk (1774) e di Adrianopoli (1829), e così la costa settentrionale
e l’entroterra vennero chiamati Nuova Russia, il cui cuore amministrativo era Odessa, il più
grande dei porti del Mar Nero, microcosmo della realtà multietnica e multireligiosa
dell’Impero zarista, cuore amministrativo, commerciale e culturale del Mar Nero russo.
Quando fu conquistata Odessa era una cittadina di 2000 abitanti, ma era fortificata e in una
posizione strategica. Il centro militare era a Sebastopoli (costa meridionale), fulcro della
potenza navale russa. Il permesso degli ottomani al libero passaggio di navi con bandiere
straniere fece dell’area un luogo di scambi commerciali da e per Mediterraneo. I trasporti via
terra da Odessa erano difficoltosi, il mare era il collegamento favorito verso il resto del mondo.
Nel porto della città costruito in modo da proteggere dai venti potevano sistemarci 150 navi a
vela, e non essendoci i dazi le bandiere contavano molti inglesi e austriaci. Fu favorita dai
governi russi la colonizzazione dall’estero, dall’Europa centrale con agevolazioni fiscali,
esenzione dal servizio militare, tolleranza religiosa, concessione di terre e prestiti. In Crimea
giunsero anche greci e armeni, gli ebrei, che altrove avevano restrizioni, qui godevano di una
parziale libertà. I coloni stranieri, seppur sudditi dello zar, avevano vita separata dai contadini
slavi, tartari e cosacchi. Le eccedenze della produzione agricola aumentarono in fretta e
coincisero con la diminuzione della produzione europea.
Nel 1853 oltre un terzo dell’export russo transitava per il Mar Nero. Il governo zarista,
visto che nei suoi porti gli affari europei crescevano sempre di più, emanò delle leggi che
limitavano le attività di mediazione ai sudditi russi, rafforzando così la posizione di greci, ebrei
e armeni. Verso la metà del XIX secolo la Nuova Russia stava diventando una parte ben
integrata dell’Impero Russo, e se i cambiamenti che interessarono la regione furono visti dagli
europei dapprima come il progresso della civiltà sulla barbaria, le ambizioni russe furono poi
viste come avidità di un impero troppo attivo e sfrontato, che minacciava gli interessi degli
stati europei.
A inizio 800 la Russia prese sotto la sua protezione il regno cristiano della Georgia
orientale, i cristiani di lingua rumena dei territori danubiani, esercitando un’influenza sempre
maggiore nell’area balcanica e nel Vicino Oriente. Ciò urtò gli interessi dell’Inghilterra,
infastidita dalle manovre russe sempre più a est verso l’India, specialmente quando nel 1828
lo zar conquistò il diritto esclusivo di navigazione sul Mar Caspio. Se la Russia avesse
sconfitto gli ottomani avrebbe potuto fare lo stesso nel Mar Nero, con il conseguente controllo
dell’accesso ai porti ottomani, dove l’Inghilterra portava avanti un considerevole volume
commerciale. Ulteriore punto di frizione era Trebisonda, posizionata sulla rotta di terra verso
la Persia. La crescita delle tensioni con la Russia spinse gli inglesi a cercare una rotta verso est
che evitasse un viaggio verso il Caucaso, controllato dai russi, per cui Trebisonda diventò un
punto di grande interesse per gli inglesi, che vollero ottenere il diritto di interferire negli affari
della città e di mantenere una rotta aperta per la navigazione sicura per Istanbul. Nel 1830 fu
aperto un Consolato britannico permanente a Trebisonda, poi venne inaugurata una rotta

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inglese regolare Trebisonda-Istanbul e poi una austriaca Trebisonda-Vienna. La rotta divenne


fondamentale per il commercio con la Persia, ma restò poi vittima dell’apertura del Canale di
Suez e dei collegamenti ferroviari con i porti del Caucaso.
Trebisonda e il Mar Nero furono inglobati nel “Grande gioco” (disputa tra l’Impero
britannico e l’Impero russo) per il controllo dell’Asia centrale.
4.Il “grande malato” e la crisi orientale
L’impero ottomano diede i primi segni di crisi in politica estera -> disastroso esito della
guerra per l’indipendenza greca, poi Egitto, Libano (conseguenza del conflitto turco-egiziano),
Creta, Balcani.
Lo Zar Nicola I di Russia, preoccupato che i tentativi delle potenze europee di trarre
beneficio dalla fine dell’Impero ottomano agissero anche a suo discapito, mise in moto un
processò che avviò la guerra di Crimea. Scoppiò per un motivo futile, la pretesa della comunità
latina al possesso di una delle chiavi di accesso al santuario di Betlemme, contro il diritto
vantato dalla chiesa ortodossa della custodia esclusiva dell’edificio sacro. La Francia si elevò
a paladina degli interessi cattolici, la Russia difendeva la Chiesa greco-ortodossa. Nel 1853 si
determinò un’alleanza inedita:
- Ottomani, Francia, Austria, Inghilterra vs
- Russia
Guerra lunga e sanguinosa, fu la prima guerra moderna seguita regolarmente dalla
stampa. Epicentro fu la città di Sebastopoli, sotto assedio per due anni. Le rivolte dei domini
ottomani, i difficili rapporti russo-turchi e la guerra di Crimea avevano fornito un assist per
l’intervento delle potenze europee.
Il trattato di Parigi del 1856 non mutilò i possedimenti del Sultano, ma dovette
accettare una sorta di “tutela” (per lo più di Gb e Fra) su alcuni territori ovvero Serbia e
possedimenti Danubiani. Le spinte indipendentiste di Serbia, Bosnia-Erzegovina e
Montenegro e le dure repressioni ottomane portarono a una nuova fase di crisi, che vedrà
protagonista nel 1872 la Lega dei tre Imperatori (all’indomani dell’unificazione tedesca),
l’alleanza tra Austria, Germania e Russia, che chiese delle riforme per le province in rivolta.
L’Impero accettò la richiesta emanando delle riforme (Tanzimat), nonostante ciò Russia e
Austria decidono di spartirsi l’Impero ottomano nonostante il parere contrario di Uk e Fra. La
rivolta indipendentista Bulgara incoraggiata dai Russi provocò altri massacri, ciò condusse i
costituzionalisti ottomani a incolpare l’assolutismo della Sublime Porta chiedendo un altro
sultano. Nel 1876 salì al trono Murad V che impazzito poco dopo venne seguito da Midhat
Pascià che fece promulgare la Costituzione. Lo stato ottomano era ormai paragonabile alle
potenze occidentali. Nel frattempo però la Russia aveva convinto le potenze europee della
necessità di un intervento contro l’impero ottomano, esse gli avevano dato il loro sostegno in
caso di necessità.
Nel 1877 la Russia dichiara guerra alla Sublime Porta, che sciolse il parlamento, ciò
avrebbe portato a tre decenni di autocrazia. Nel 1878 gli ottomani firmarono le trattative di
pace a Santo Stefano dove accettavano le richieste russe (indipendenza della Romania,
Montenegro e Serbia, principato bulgaro autonomo, riforme in Bosnia, Erzegovina, Epiro e
Tessaglia, misure a favore di armeni, cessione di alcuni possedimenti e di una forte somma di
rubli.
Gb e Austria e i Balcani erano scontenti, perciò la Russia accettò la proposta di Bismarck
di riunire un’assemblea della pace a Berlino per riesaminare la Questione d’Oriente. Il
Sultano cedette Cipro (strategico possesso) all’Inghilterra per avere il suo appoggio. I disegni
e le mire delle grandi potenze si scontravano le une contro le altre. Ad Algeri una nuova

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insurrezione nel 1871 fu il segnale dell’insofferenza verso i coloni. In Tunisia i rapporti con il
Sultano precipitarono quando la prima annetté la Tripolitana, al che il Sultano ristabilì
l’amministrazione diretta (il sultano non voleva perdere un altro possedimento). Il Marocco
indipendente era conteso tra Francia e Spagna, la Francia aveva strappato vantaggiosi accordi
commerciali e nel corso del secolo il paese vide una crisi per la successione, l’interruzione
della politica marittima e il rallentamento del commercio con l’Europa. Con il trattato di
Tangeri grazie al sostegno dell’emiro algerino i francesi si ritirarono dal Marocco che nel
1859-60 fu invaso dalla Spagna e con l’accordo di Tetuàn venne ufficializzata la sconfitta del
Marocco.

VIII IMPERI VECCHI E NUOVI


1867 Egitto partecipa con enfasi all’Esposizione Universale di Parigi e nel 69
l’inaugurazione del Canale sembra consacrare il suo ruolo, ma in realtà mostrano i segni
dell’orientalismo. Come osservato dal ministro degli esteri egiziano Suez riportava il
Mediterraneo nel vivo del sistema degli scambi internazionali, senza però restituirgli il ruolo
che aveva avuto in passato, le navi non avrebbero avuto più bisogno della mediazione
dell’Egitto. All’intero del morente impero ottomano stanno prendendo corpo gli stati
nazionali.
Gb e FRA sono l’esempio di nazionalità che si trasformano in Imperi, costruendo
domini di influenza diretta e indiretta. Per la Spagna è ormai impossibile la tenuta della sua
antica dimensione imperiale. La Porta ottomana fa uno sforzo di modernizzazione politica
sicuramente incompleto, che però getta le basi per la nazione turca. Poi ci sono l’Austria-
Ungheria, la Russia e la Germania, imperi le cui antiche radici si traducono in un indubbio
protagonismo, spinti in una direzione mediterranea.
Poi c’è la relazione Imperi-nazioni: il Mediterraneo delle nazioni è reso possibile dalle
logiche espansive delle nuove e vecchie imperialità. Queste logiche quando incrociate con il
piano economico finiscono con diventare anche la cornice non valicabile del loro sviluppo ->
democrazie latine (Spagna, Italia, Grecia) rappresentano la difficoltà di tradurre il modello
francese e inglese ai contesti mediterranei.
L’affermarsi progressivo del costituzionalismo liberale e democratico nelle nazioni
mediterranee ha dei limiti non solo nei paesi che lo accoglie, ma anche e soprattutto nei paesi
esportatori di tale modello.

19.IL MEDITERRANEO DOPO IL TRATTATO DI BERLINO


1.Il congresso di Berlino e la nuova politica mediterranea
Dopo la guerra di Crimea la regione dei Balcani era relativamente pacificata, ma con il
decadimento delle strutture politico-amministrative (difficoltà a controllare i territori slavi)
dell’impero ottomano tornò a vivere una serie di conflitti. Di questo provarono ad approfittare
l’Austria e la Russia desiderosi di avere uno sbocco sul Mediterraneo. Quando nel 1875-76 i
turchi tentarono condure repressioni di sedare le insurrezioni inneggianti ai principi di libertà
e autodeterminazione, l’Inghilterra temporeggiò a prendere posizione per non favorire il
disegno russo di avere gli Stretti, mentre lo zar Alessandro II si elevò a paladino delle
nazionalità slave e ortodosse oppresse.
Il conflitto russo-turco si protrasse fino al 78, con la vittoria russa e la pace di Santo
Stefano che rifletteva a pieno le aspirazioni della Russia (occupazione di Bessarabia,
indipendenza alla Bulgaria, Serbia, Montenegro e Romania rafforzavano l’egemonia della
Russia e il suo protagonismo nel mediterraneo). Ciò provocò le reazioni delle altre potenze:

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l’Austria (aveva un disegno concorrente) e l’Inghilterra (contraria all’espansione russa in Asia


centrale).
Di fronte a una situazione che minacciava di degenerare, cancelliere tedesco Bismarck
si propose come mediatore e invitò le potenze al Congresso di Berlino nel 1878 (che rovescio
gli accordi di pace successivi alla guerra russo-turca):
- Vennero restituiti all’impero ottomano gran parte dei territori concessi alla Russia
che conservava solo la Bessarabia
- Confermato il protettorato Austro-ungarico sulla Bosnia-Erzegovina
- Cipro passava agli inglesi (nodo importante per le rotte sull’India)
Si definì un nuovo assetto politico per il sud-est europeo destinato a durare fino
al 1912:
- Riconosciuta indipendenza di Romania, Serbia e Montenegro
- La Bulgaria fu invece smembrata in 3 parti: Bulgaria vera e propria divenne
principato tributario ottomano, la Rumelia provincia semiautonoma dell’Impero,
la Macedonia dominio ottomano.
A livello europeo questo assetto conservava l’equilibrio che avrebbe retto fino al 1914
(1GM). La Germania cominciò ad acquisire una posizione internazionalmente sempre più forte
e si avvicinò a Russia e Francia. La sistemazione balcanica che derivò da Berlino non ebbe gli
effetti sperati (non risolse la controversia egemonica tra Austria e Russia), tant’è che è da lì
che scoppiò la 1GM. Questo periodo (1875-78) segnava comunque l’inizio del processo di
modernizzazione e emancipazione dall’Impero ottomano. Furono i conflitti di assestamento
tra i nuovi stati nazionali (dovuti a una continua ridefinizione delle sfere d’influenza delle
potenze europee) a fare della penisola balcanica l’unica regione dove continuarono i conflitti
in un’epoca di pace generale:
- 1885-86 guerra tra Bulgaria e Serbia per il possesso di Rumelia orientale
- 1897 guerra greco-turca. Ci fu un clima di insofferenza nei territori della Turchia
europea, soprattutto in Macedonia, contesa da molti (Grecia, Bulgaria, Serbia). La
Grecia insoddisfatta dal trattato di Berlino (per il negato possesso di Creta a
maggioranza greca), provò ad attaccare l’Impero ottomano, vi fu guerra lampo
rovinosa per i greci, vissuta come un dramma nazionale che mostrò l’immaturità
greca.
2.Dal colonialismo all’Imperialismo
Il liberalismo, la democrazia politica, lo straordinario sviluppo economico e sociale, la
relativa stabilità tra gli stati avevano contribuito a creare tutti i presupposti per un’epoca di
particolare prosperità. La seconda rivoluzione industriale (che aveva coinvolto quasi tutto il
continente) basata su un inedito sviluppo tecnologico e utilizzazione di nuove forme di energia
(il petrolio e l’elettricità) segnò il passaggio da un “capitalismo imprenditoriale” al
“capitalismo finanziario” dove assumeva molta importanza il possesso di grandi capitali
finanziari. Ciò mutò sostanzialmente il rapporto tra l’Europa e le aree economicamente non
sviluppate del pianeta, generando un nuovo tipo di espansione coloniale, motivato dalla
necessità di creare nuovi mercati dove collocare prodotti delle industrie europee (gli
investimenti finanziari e industriali impegnati nei paesi extraeuropei erano tutelati con la
presenza militare e politica), mentre prima il colonialismo scaturiva dalla necessità di tutelare
i luoghi di produzione delle materie prime.

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Nel quarantennio fino alla 1GM (1871-1914) si verificò un rapido e vasto processo di
conquiste coloniali, che portò numerosi paesi europei a controllare, in maniera diretta o
indiretta, gran parte del pianeta; l’Africa mediterranea rappresentava un grande obbiettivo di
conquista anche perché si presentava come la porta d’ingresso verso lo sconosciuto continente
africano -> scramble for Africa coinvolse tutte le nazioni europee anche in virtù del fascino
delle terrae incognitae. Il nuovo tratto caratteristico di questo tipo di colonialismo fu appunto
la distorsione dello spirito d’avventura e di esplorazione, l’Europa iniziò allo stesso tempo la
conoscenza e la presa di possesso del mondo (movimento di conoscenza-conquista
dell’Europa). Il massimo momento di sviluppo del colonialismo europeo fu rappresentato dal
passaggio dal colonialismo formale alla sistematica spartizione dell’Africa (1880), che segnò
il passaggio dalla dipendenza economico-finanziaria, spesso informale, all’occupazione
militare.
Nel Nord Africa le truppe coloniali europee si installarono rapidamente, anche con
inevitabili scontri d’interesse tra le potenze:
- Francia occupa la Tunisia nel 1881, poi Congo, Dahomey e Madagascar
- Parallelamente GB occupa l’Egitto, poi Sudan (tentativo fallito a causa della
resistenza della popolazione locale)
A ciò si aggiunsero dei nuovi protagonisti:
- Germania occupa Togo, Camerun e sud ovest africano
- Italia zona del Mar Rosso dove fondò la colonia di Eritrea (1890)
Si rese così necessario un accordo unanime sulle procedure e sulla accettazione delle
conquiste così caoticamente ottenute. -> Conferenza di Berlino del 1884-85 teoricamente
indetta per la sistemazione del Congo, ma di fatto si arrivò a una spartizione preventiva dei
territori interni del continente africano (accordo su varie forme di occupazione e protettorato).
-> si allarga il divario nel bacino mediterraneo tra la sponda nord, industrializzata e
militarmente potente, e la sponda sud, obbligata definitivamente alla dipendenza economica,
politica e militare.
3.Lo scramble for Africa sulla costa maghrebina
Passaggio ai francesi della costa maghrebina. La Terza repubblica francese (nata dalla
rovinosa sconfitta del secondo impero napoleonico nella guerra contro la Prussia) per
riaffermare il proprio status di grande potenza e per consolidare il consenso interno della classe
ricca, aveva puntato moltissimo sulla politica coloniale.
Nel 1881 il protettorato di Tunisi e la penetrazione progressiva nelle zone interne, ma a
fine 800 decisa impresa espansionistica della Francia rischia di entrare in collisione con le
intenzioni inglesi. Nel 1894-95 il tentativo francese di congiungere i territori dell’asse est-
ovest con le coste di mar Rosso vs stesso tentativo degli inglesi ma sull’asse nord-sud (Egitto
– capo di Buona Speranza) -> scontro nel basso Sudan nel 1898, poi per evitare ripercussioni
positive per la Germania (in costante crescita economica e militare, largamente presente nel
continente africano) la Francia si ritira lasciando all’Inghilterra il controllo dell’alto Nilo,
gettando le basi della entente cordiale (1904) tra le due.
L’intesa fra le 2 potenze minava però lo status del Congresso di Berlino in quanto mirava
chiaramente all’isolamento politico della Germania, incrinando gli equilibri degli anni
precedenti. A ciò contribuì l’Italia che, seppur legata dalla Triplice Alleanza (Germania e
Austria), nel 1902 stipula accordo con la Francia, la quale avrebbe visto con benevolenza
un’eventuale conquista della Libia, alla Francia veniva assicurato il consenso italiano in caso
di occupazione del Marocco. Guglielmo II si proclama allora garante dell’indipendenza del

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Marocco vs Francia scatenando la prima crisi marocchina. Per porre rimedio alla questione:
Conferenza di Algesiras (1906) dove grazie all’entente cordiale la Francia si vide riconosciute
le pretese d’influenza sul Marocco con accordo di Inghilterra, Russia, Italia e Spagna.
A inizio Novecento, sia Tunisia che Marocco avevano perso la propria indipendenza a
causa di fragilità militare ed economica (indebitamento crescente con potenze europee e
debolezza movimenti riformatori). Diversamente dall’Algeria, le due però avevano lo status
di protettorato francese, con una formale sovranità legittima, priva però di potere effettivo. La
dominazione francese non ebbe ovunque gli stessi caratteri: in Tunisia veniva attuata una
politica flessibile con una rispettosa assimilazione culturale, in Marocco ci fu un trattamento
differenziato, i berberi vennero assoggettati al sistema giuridico francese mentre gli arabi a
quello islamico per ostacolare la coesione sociale.
L’Egitto è un caso a parte, si proponeva come stato forte (Canale di Suez). D’importanza
strategica sia per la Francia che per l’Inghilterra, la proprietà del Canale, finanziato per la
maggior parte dall’Egitto, rimaneva nelle mani franco-inglesi. Ismail diventò viceré
dell’impero ottomano, e ciò comportava oneri gravosi dal punto di vista finanziario tra cui
raddoppio del tributo da dare all’Impero + indebitamento per la costruzione del canale
portarono alla bancarotta, così chiese aiuto a GB e FRA che portò a subalternità non solo
economica ma anche politica -> nel 1882 rivolta nazionalista porta l’Inghilterra con il
benestare francese a instaurare un protettorato (dunque ancora formalmente parte dell’impero
ottomano, l’Egitto di fatto era controllato dalla GB).
4.Oriente e Occidente: culture a confronto
Il mondo, nel passaggio tra ottocento e novecento, era diventato più stretto grazie anche
allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni. Il confronto economico politico e culturale
con l’altro (il diverso) portò alla missione civilizzatrice, al “fardello dell’uomo bianco”.
Nel Novecento queste idee trovarono legittimità nelle teorie della razza, con le quali
l’Europa sostituiva alla sua tradizione positivista, che aveva sorretto lo sviluppo della
democrazia, un generale principio d’ineguaglianza (superiorità dell’uomo bianco). Queste idee
si diffusero velocemente alimentando un nazionalismo aggressivo ed egoista.
Anche il mondo arabo islamico però doveva fare i conti con l’altro, l’Europa egemone
che voleva esportare la propria cultura. Le reazioni furono due:
- Da una parte ciò aveva dato nascita al risorgimento culturale arabo e islamico
nahda, ammodernamento e laicizzazione della società, dal punto di vista religioso
la nahda voleva adeguare la dottrina religiosa alla nuova società (il tentativo di
reinterpretazione dell’Islam).
- Soprattutto il tentativo di marginalizzare la religione diede luogo al secondo
atteggiamento, di chiusura verso le influenze delle culture esterne (si auspicava un
ritorno alle origini, valorizzazione delle proprie radici culturali) -> movimento
salafista predicava un approdo alla modernità raggiunto per vie indipendenti ed
endogene.

20.VENTI DI GUERRA. IL MEDITERRANEO TRA IL 1908 E IL 1914


1.L’evoluzione dell’Impero ottomano
Gli avvenimenti dei primi anni del 900 avevano cambiato gli equilibri, creando in
Europa due gruppi contrapposti di potenze:

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- Dal 1882 Triplice Alleanza che legava Germania, Austria-Ungheria e Italia


- Entente Cordiale tra Francia e Inghilterra era stato rafforzato dall’accordo
Inghilterra–Russia
Dal 1907 la successione di crisi internazionali aumentava la possibilità di un conflitto
militare tra le potenze. Il declino dell’Impero ottomano dava ancor di più la sensazione di
vivere sotto una minaccia costante, ciò era ancor più evidente nella Turchia europea (a contatto
con gli stati balcanici ormai indipendenti). Nelle sei province europee (Macedonia), si faceva
sempre più difficile la convivenza tra le diverse etnie e comunità religiose (in conflitto
soprattutto islamici e cristiani), la soluzione più immediata per l’Impero decadente di Abdul
Hamid II apparve l’imposizione dell’assolutismo islamico per una salda identità culturale
dell’Impero. All’ottomanismo portato avanti fino ad allora si sostituì un panislamismo, Abdul
era un riformatore, aprì scuole e università per creare un’alternativa a quelle europee. Ma era
troppo tardi, e il tentativo ebbe conseguenze opposte a quelle sperate (conflitti religiosi si
acuirono, accelerazione della modernizzazione), ciò sfociò nella nascita di un movimento
politico moderno e occidentalizzante: il movimento dei Giovani Turchi discendente di
precedenti tentativi di opposizione come “Unione e Progresso” fondata a Damasco.
In un primo momento l’immobilismo politico e sociale sembrò prevalere anche grazie
al benestare delle potenze europee, fino a quando fu fornito un pretesto per avviare la svolta.
Questo avvenne nel 1908, quando si profilava l’ipotesi di una Macedonia amministrata da
europei, ciò portò alla protesta degli ufficiali ottomani legati ai Giovani Turchi e guidati da
Mustafà Kemal. Il Sultano di fronte al dilagare della rivoluzione e all’ammutinamento
dell’esercito mandato a sedarla, pose fine al suo regno e consegnò il potere a suo fratello,
Maometto V, dando inizio al governo dei Giovani Turchi, ansiosi di riformare l’Impero, che
però deluse le aspettative (anche perché rappresentava solo una parte della popolazione). In
realtà prese vita un movimento islamista per il ritorno all’assolutismo, questo manifesto
contrasto di indirizzi rese chiara la debolezza del potere centrale.
Nel 1909, nonostante le promesse di uguaglianza e di democratizzazione, il governo
optò per una politica di omologazione turco-ottomana, mentre nel 1908 l’Austria-Ungheria,
approfittando dell’incertezza del potere ottomano decretava l’annessione della Bosnia-
Erzegovina. Poco dopo, la crisi innescatasi fu aggravata dalla proclamazione d’indipendenza
della Bulgaria e dalla decisione della Russia di appoggiare la politica di Serbia e Bulgaria. La
crisi dell’impero ottomano minò definitivamente l’equilibrio europeo, riaccendendo
conflittualità dei nazionalismi nei Balcani.
In questo contesto prese forma anche il problema politico che ancora oggi rappresenta
una ferita per la Turchia: la questione del popolo Armeno. Il declino dell’Impero ottomano
aveva portato alla nascita di un sentimento nazionalista armeno, ma i Giovani Turchi avevano
optato per l’omologazione nazionale, perciò gli armeni vennero visti come una dissonanza da
eliminare -> 1915 deportazione degli armeni verso il deserto siriano (con l’obiettivo di
rimuovere l’elemento che con la sua diversità culturale, linguistica e religiosa ostacolava il
disegno di una nazione compatta e omogenea), un vero e proprio genocidio che la Turchia
rifiuta.
2.La polveriera mediterranea e l’instabile pace europea
Ciò che era accaduto nei Balcani era una spia dell’instabilità mediterranea. La ripresa
delle ostilità però arrivò inaspettatamente dal Marocco dove l’occupazione francese nel 1911
aveva portato Guglielmo di Germania a mandare una cannoniera al porto di Agadir. Nasce la
seconda crisi marocchina risolta a favore della Francia con un protettorato. Ciò riaccese le
speranze italiane in Libia. Infatti negli accordi italo francesi vi era scritto che a un ricoscimento

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degli interessi francesi in Marocco doveva corrispondere quello degli italiani in Libia. Ne seguì
una guerra italo-turca (1911-12), che provocò enormi conseguenze sul piano internazionale
e interno in Italia. L’opposizione della larga fetta dell’opinione pubblica vedeva nella
spedizione un rischio inutile quando c’erano problemi gravi soprattutto nel Mezzogiorno
(sovrappopolazione e disoccupazione). Ma poi, una volta intrapresa, la spedizione entusiasmò
molti, persino una parte dei socialisti critici. Da qui la scissione del Partito socialista italiano
(PSI 1912) che portò alla guida del partito gli intransigenti rivoluzionari tra cui Benito
Mussolini. A novembre fu dichiarata la sovranità italiana sulla Libia, l’occupazione però si
limitava alle zone costiere e veniva duramente ostacolata dalle popolazioni locali, allora i
generali decisero di attaccare direttamente la Porta, forzando lo Stretto dei Dardanelli. Questo
costrinse l’Impero ad accettare la Pace di Losanna nel 1912 dove si sanciva la sovranità
italiana in Libia.
• 1 guerra balcanica: Ciò riaccese la questione balcanica. La Russia appoggiava la
Serbia e la Bulgaria. iniziò un dialogo tra i diversi paesi balcanici in funzione
antiottomana che portò alla Lega Balcanica (Serbia, Bulgaria, Grecia,
Montenegro), preoccupata la Francia propose agli inglesi un piano di
stabilizzazione dell’area ma Inghilterra e Russia non erano favorevoli a intervenire
nell’area.
Nel 1912 la Bulgaria dichiarò allora guerra all’Impero trascinando con sé la Lega. La
guerra fu breve ma cruenta (sorprese i suoi stessi protagonisti e lasciò interdetti gli osservatori
europei), con la pace di Londra (1913):
- La Macedonia venne smembrata, divisa tra Serbia, Grecia e Bulgaria
- La Bulgaria otteneva anche la Tracia sul Mar Egeo
- Alla Grecia andava Creta
- Nacque il Principato di Albania (per impedire alla Serbia, contro cui si accanì
l’Austria, di avere uno sbocco sul mare)
-
Queste perdite insieme alle isole del Dodecaneso, rimaste all’Italia con il pretesto dello
scoppio di rivolte locali, rappresentavano la quasi totale rinuncia alla Turchia europea.
• 2 guerra balcanica: qualche settimana dopo disaccordo tra Serbia e Bulgaria per
la spartizione della Macedonia. La Bulgaria si trovò presto isolata contro tutti ex
alleati, ma anche contro Turchia (desiderosa di rivincita) e Romania (nella
speranza di ingrandirsi). Con la pace di Bucarest la Turchia recuperò la Tracia, la
Serbia e la Grecia si allargarono e la Romania accrebbe il suo territorio, a spese
della Bulgaria.
Nel complesso si ingrandirono quegli stati che si erano alleate negli ultimi anni con
l’Intesa (GB, FRA, RU).
3.La Grande Guerra nel Mediterraneo
1914 Sarajevo, Bosnia: l’erede al trono asburgico Francesco Ferdinando viene ucciso
insieme alla moglie da uno studente serbo. Un mese dopo l’Austria lancia un ultimatum alla
Serbia ritenuta responsabile dell’accaduto, ma in realtà sembravano essere altre le motivazioni
dietro a questa: rottura del sistema multipolare, corsa agli armamenti e aumento delle spese
militari nel bilancio, abbandono del principio politico della mediazione diplomatica, prevalere

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di un clima culturale sempre più orientato alla logica del conflitto come la risoluzione dei
problemi.
Ogni potenza era più o meno legata al destino di uno stato balcanico, per questo la
Russia dichiarò la mobilitazione generale ancor prima che fosse avvenuta l’aggressione alla
Serbia, con effetto domino tutte le potenze europee tranne Italia e Romania erano in stato di
belligeranza.
Era un nuovo tipo di guerra senza precedenti: la mobilitazione di masse, l’imponenza
delle forze in campo, la vastità dei territori teatro di battaglie, l’impiego dei materiali bellici
tecnologicamente avanzati e distruttivi. La prima fase del conflitto, sotto il profilo strategico
militare, si caratterizza come una guerra di movimento, quando i francesi sconfiggono i
tedeschi nella battaglia della Marna (1914) viene abbandonata la speranza di una guerra lampo.
L’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 dà una svolta; legata a Germania e Austria
dalla Triplice Alleanza, in realtà si schiera contro, poiché il trattato aveva un valore difensivo,
mentre i due imperi centrali agirono da attaccanti. Con il patto segreto di Londra tra Italia,
Francia, Inghilterra e Russia si stabilì che in caso di vittoria le sarebbero andati Trento, il
Trentino, il Tirolo meridionale, Trieste, l’Istria e la Dalmazia, protettorato sull’Albania (cioè
le terre irredente). Il governo Salandra, dopo un lungo e acceso confronto tra neutralisti e
intervenisti, forzando il Parlamento dichiarò guerra all’Austria.
Intanto la Bulgaria si era schierata con gli Imperi centrali, e la posizione della Russa e
Serba si andava via via aggravando.
L’area mediterranea non rimase a lungo esclusa dalla guerra nata nel continente. Le
colonie furono pesantemente coinvolte, mettendo a disposizione soldati e materie prime.
Coscrizione obbligatoria nelle colonie francesi.
A livello politico l’inclusione di tutto il Mediterraneo nel conflitto rafforzava la
prospettiva del crollo dell’Impero ottomano (alleatosi con gli imperi centrali). Già durante la
guerra le potenze dell’Intesa avevano iniziato a profilare ipotesi di spartizione, basate su
identificazioni delle zone d’influenza -> con accordo di Costantinopoli (1915) alla Russia
veniva promessa l’annessione di Istanbul e il controllo degli Stretti; ma soprattutto si rivelava
ostinato rifiuto di considerare le aspirazioni delle popolazioni locali, il che inasprì
l’opposizione all’occidente del mondo arabo (soprattutto il Medio Oriente).
4.Le ricadute del conflitto in area meridionale
L’Impero ottomano si era schierato accanto agli Imperi centrali, ma l’entrata in guerra
di Italia e Usa (1917) accanto alla Triplice Intesa rendeva sempre più probabile la caduta della
Sublime Porta.
In base agli accordi di Costantinopoli, nel 1916 furono stipulati gli accordi (segreti) di
Sykes-Picot:
- La GB si assicurava il controllo dei territori tra Iraq e Transgiordania
- Alla Francia riconosciuta l’influenza esclusiva su Siria e Libano fino ad alto Iraq
- La Palestina, disputata tra GB e FRA, fu divisa temporaneamente in una zona
influenzata dalla GB e in un’amministrazione internazionale della Terra Santa
Approfittando dell’entrata in guerra della Sublime Porta gli Inglesi stabilirono in Egitto
un loro protettorato (1914). Tale mossa segnò il crollo del sogno di uno stato arabo
indipendente, fatto credere possibile da un doppio gioco della GB. Hussein, sceriffo della
mecca e dei luoghi santi era ritenuto pericoloso perché in grado di preparare una rivolta delle
popolazioni arabe, portando, contemporaneamente a Sykes-Picot, l’alto commissario inglese
in Egitto Mac Mahon iniziò a intavolare delle trattative per una definizione della nuova carta

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politica del Medio Oriente nella quale si prevedeva la costituzione di un grande regno arabo
(gli inglesi alimentavano attese e illusioni di indipendenza), ma l’ambiguità e l’evanescenza
di questi negoziati non furono percepite dalle popolazioni arabe, tanto che nel maggio 1916 la
rivolta contro impero ottomano scoppiò, e durò fino alla sua dissoluzione.
La convergenza anglo araba indebolì la resistenza dell’Impero, a vantaggio dell’Intesa.
Nel 1917 con la Dichiarazione di Balfour (il ministro degli esteri britannico) si
favorisce la nascita di un focolare ebreo in Palestina, gli ebrei erano forti e attivi all’interno
delle comunità europee e così gli inglesi speravano di attirarsi i favori di quelle comunità che
fino ad allora guardavano con maggior simpatia gli imperi centrali. Questo venne interpretato
come l’autorizzazione per poter emigrare legalmente in Palestina. Il problema della
convivenza di due popoli di etnia e religione diversi non tardò a manifestarsi, a regolari
transazioni commerciali si alternarono atti di soprusi e violenza da parte dei nuovi arrivati, che
provocarono l’aspra resistenza degli arabi.
Nel 1917 il fallimento delle offensive militari, la durata inaspettata della guerra e la
scarsità di viveri, avevano dato luogo a prime proteste sfociate nella Rivoluzione Russa di
Ottobre e nella nascita dell’URSS Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche, con la
conseguente immediata uscita della Russia dalla guerra attraverso una pace separata (pace di
Brest-Litovsk). Quasi parallelamente, l’entrata in guerra degli Usa dava nuova linfa vitale allo
sforzo bellico dell’Intesa. Novembre 1918 conclusione della Grande guerra, a cui seguì un
complesso sistema di paci.

IX LO SPAZIO VUOTO
Merita attenzione la questione dello sgretolamento dei grandi sistemi imperiali
costruitisi nell’età moderna i quali erano riusciti ad assicurare una stabilità al quadrante centro-
orientale europeo e Mediterraneo.
I Balcani e il Medio Oriente si ritrovano alla fine della 1GM prive del contesto
fondamentale in cui avevano agito per cinque secoli. Per i Balcani si dà riconoscimento della
libertà di scelta politica, per il Medio Oriente la fictio dei Mandati prolunga le forme del
dominio coloniale.
Gli spazi che vengono a disegnarsi nel primo dopoguerra sono il risultato degli interessi
e delle preoccupazioni delle potenze vincitrici. Le nazioni figlie della 1GM sono il risultato
rapido, improvvisato della guerra (mentre le nazioni romantiche del XIX secolo si sono
formate nel lungo periodo, come il risultato di grande trasformazione consapevole) con il quale
si apre un secolo breve. Nel Medio Oriente si avvia il ritorno ebraico da un esodo bimillenario.
All’opposto tra gli anni 20 e 30 prende corpo un progetto di Grande Siria in risposta ai ritagli
impossibili dei trattati di pace.
1.Gli incerti equilibri della pace
Dopo più di quattro anni di sanguinoso conflitto che aveva coinvolto 60 milioni di
uomini la metà dei quali erano morti, dispersi, feriti o invalidi, l’unico obiettivo sembrava la
costruzione di una pace duratura, ETERNA.
Nella Grande Guerra erano scomparsi 4 imperi: asburgico, tedesco, ottomano e russo,
tre dei quali fortemente multietnici. Tale sovvertimento dell’ordine internazionale rappresentò
assoluta novità della situazione postbellica.
La Conferenza di pace che si aprì a Parigi nel 1919 aveva un elenco sconfinato di
questioni da risolvere; fondamentale era imporre la pace alla Germania ritenuta responsabile,
si doveva poi discutere delle sorti della Russia comunista e della questione d’Oriente legata al
destino dell’Impero ottomano. Nel caos degli interessi divergenti il quadro di riferimento

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ideologico nuovo era stato dettato dal presidente degli Usa, Wilson (“l’epoca della conquista
e dell’espansione è finita” alludendo alla fine di un’epoca caratterizzata dalla dominazione
europea tanto politica che culturale), che aveva tracciato i principi ispiratori in 14 punti in cui
grande attenzione veniva posta sui diritti delle giovani nazioni, sull’autodeterminazione e sul
principio di nazionalità, per questo si doveva costituire un’organizzazione internazionale per
la salvaguardia della pace e dei diritti -> Società delle Nazioni.
- Nei Balcani: venivano riaffermate l’indipendenza della Romania, della Serbia
(+attribuzione di uno sbocco sul mare), del Montenegro; Dardanelli dichiarati zona
franca sotto controllo internazionale
- Wilson fu contrario alle pretese territoriali italiane su Istria e Dalmazia, garantite
dal Patto di Londra (1915), che dovevano andare alla Jugoslavia, nuovo stato che
si stava organizzando attorno alla Serbia
L’Impero coloniale tedesco non venne diviso tra le potenze vincitrici, ma posto sotto
il controllo della Società delle Nazioni in vista di una futura indipendenza.
Si inaugurava così la politica dei mandati, che sostituendo alla dominazione coloniale
diretta una sorta di gestione dei grandi stati europei in funzione di un’emancipazione. Si
applicò anche ai territori dell’ex Impero ottomano. (GB: il controllo di Iraq, Palestina, Arabia;
Francia: Siria e Libano). In realtà era un compromesso che veniva incontro alle esigenze dei
tempi nuovi senza mettere in discussione il principio coloniale. Nonostante il duro lavoro e
buoni propositi, la pace lasciava largo margine a delusioni e insoddisfazioni; nel breve l’area
balcanica e del mediterraneo orientale fu di nuovo al centro di tensioni e conflitti.
2.La fine di un Impero
Tra 1915 e 17 Francia e Inghilterra avevano intavolato accordi segreti per smembrare
l’Impero ottomano e cacciare gli ottomani dall’Europa poiché estranei alla cultura occidentale
-> nel 1920 con il Trattato di Sèvres viene concordato l’assetto dei territori ottomani:
- Come gli Imperi centrali, anche la Turchia dovette pagare ingenti riparazioni e suo
esercito fu fortemente ridimensionato
- Internazionalizzazione degli stretti
- Cessione alla Grecia della Tracia, delle isole egee e Smirne
- Cessione all’Italia di Rodi e del Dodecaneso
- Francia e GB ottenevano mandati sul Medio Oriente
- Armenia otteneva l’indipendenza
La situazione locale non ne consentiva però una tranquilla applicazione. Il generale
Mustafà Kemal guidò la reazione del movimento nazionalista turco per la creazione di uno
stato turco approvato dal Parlamento ma contro disegno delle potenze europee e acquisizioni
di Grecia e Italia. La Grecia in particolare voleva formare una Grande Grecia (sognando un
nuovo impero bizantino) riunendo tutte le aree a popolazione ellenica, e aveva lavorato per
ottenere il consenso delle grandi potenze, infatti poté occupare Smirne e territori limitrofi
(1919) -> ciò scatenò la reazione turca di Kemal, che aveva il controllo della Turchia a
eccezione degli stretti e Costantinopoli, mettendo seriamente a rischio il potere del sultano e
il disegno di spartizione. Era il preludio della nascita della nazione turca, per evitare questo ci
si sbrigò a firmare i trattati di Sèvres con il Sultano, formalmente ancora rappresentante del
potere ottomano. Ciò acuì i contrasti e il malessere interni fino a trasformarli in rivolta contro
il vecchio potere e in convivenza non pacifica di due poteri: quello del sultano e quello del
movimento di Kemal.

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Negli anni 20 era stato affidato alla Grecia il compito di tenere sotto controllo gli
eventuali tentativi insurrezionali dei nazionalisti turchi, ma con la morte improvvisa del re
Alessandro le elezioni generali videro il ritorno al trono di Costantino, detronizzato grazie agli
inglesi e francesi. Costantino rese evidenti i suoi disegni espansionistici quando nel 1921
lanciò un’offensiva ai turchi, che dopo una prima difficoltà ebbero la meglio liberando anche
Smirne -> la fine della guerra greco-turca in Grecia comportò l’abdicazione di Costantino e la
caduta delle speranze della Grande Idea. Per la Turchia e i Kemalisti invece inizio di una nuova
epoca.
Nel 1921 la Turchia di Kemal era stata riconosciuta dalla Russia, sebbene ciò attirasse i
sospetti inglesi, era una base di partenza per il riconoscimento dello stato nazionale. Ora Kemal
mirava a Costantinopoli, difesa solo dagli inglesi, dopo la conclusione degli accordi tra turchi,
francesi e italiani. Fu abolito il sultanato, all’erede di Maometto V fu concesso il titolo di
califfo (capo spirituale dei musulmani), nel 1923 fu proclamata la repubblica e Kemal
(Ataturk) divenne il primo presidente, poi fu abolito il califfato. L’impulso modernizzatore
in senso laico, le riforme culturali, politiche e di costume, fecero della Turchia un’esperienza
unica tra gli stati degli ex territori ottomani.
Trattato di Losanna (1923) fu una revisione del trattato di Sèvres alla luce della nuova
situazione creatasi, fu una vittoria a livello internazionale per la giovane Turchia (che vide le
ambizioni delle potenze europee frustrate), le vennero restituiti la parte europea dell’ex impero
ottomano (Tracia, Asia minore) e gli stretti, azzerate le riparazioni da pagare, scomparve la
separazione delle due nazionalità, curda e armena -> un milione di greci residenti in Asia
minore andò in esodo. forte connotazione asiatica della nuova repubblica turca, con nuova
capitale dello stato, Ankara.
3.L’Europa nei Balcani
Il crollo degli imperi provocò il collasso del vecchio ordine in Europa Orientale, per la
riorganizzazione geopolitica vennero presi come ispirazione i 14 punti Wilsoniani, e come
voleva Wilson venne istituita la Società delle Nazioni per vigilare sulla stesura dei trattati.
Dalla conferenza di Parigi scaturirono 5 trattati:
- Sèvres con l’Impero ottomano
- Versailles con la Germania
- Saint-Germain con l’Austria
- Neuilly con la Bulgaria
- Trianon con l’Ungheria
Essi prediligevano la creazione di stati indipendenti piuttosto che accorpamento a
nazioni già esistenti ed erano contro il dominio diretto o indiretto delle potenze europee.
Tra 800 e 900 serbi, croati, sloveni e in parte montenegrini avevano pensato a una
confederazione di stati, ma la presenza di stati forti come la Serbia aveva portato a 2 idee:
1. Grande Serbia ossia aggregazione intorno a uno stato forte
2. Federazione jugoslava ovvero nascita di federazione di stati di pari livello
Nel 1918 fu creato il Regno di serbi, croati e sloveni, ma la soluzione lasciò visibilmente
insoddisfatti croati e sloveni, la cui frustrazione crebbe quando con il trattato di Trianon
Croazia e Slovenia passarono dall’Ungheria alla Jugoslavia che aveva accorpato Serbia e
alcuni territori dell’ex impero austro ungarico. A questo punto, la speranza riposta negli ideali
wilsoniani sembrava ormai delusa. Nessuna autonomia alle minoranze o autodeterminazione,
evidente nella costituzione del Regno nel 1921 che optava per un livellamento identitario a
egemonia serba ->contrasti interni tra serbi e croati. La reazione a tale malessere fu sospendere

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la Costituzione e Parlamento e dividere la Jugoslavia in 9 province (banati) non rispettando le


identità storiche ed etniche. Al passo con i tempi la Jugoslavia aveva scelto una forma di
governo autoritaria.
In Italia la vittoria mutilata del dopoguerra aveva operato la stessa svolta autoritaria.
Oltre alle mutilazioni territoriali vi era una drammatica situazione interna con proteste (dei
contadini e operai, ma anche della borghesia), scioperi (biennio rosso 1919-21). Nel 1919 altra
tensione derivò dalla crisi dovuta alla situazione a Fiume, la città occupata dagli alleati, voleva
annettersi all’Italia sebbene fosse destinata alla Jugoslavia. Contro un presunto immobilismo
del governo italiano, D’Annunzio occupò con dei volontari la città, progettava inoltre di far
piazza pulita del governo Nitti. L’azione di D’Annunzio fu malvista dall’opinione pubblica
internazionale. Giolitti succeduto nel 1920 a Nitti alla guida del governo, riconosce nel trattato
di Tirana l’indipendenza dell’Albania (rinunciando al mandato previsto), la Jugoslavia si
distese e firmarono il trattato di Rapallo con cui l’Italia rinunciando a Dalmazia ottenne
riconoscimento della propria sovranità sull’Istria, Fiume fu riconosciuta città stato libera.
Nell’opinione pubblica nazionalista ciò era il segnale evidente della debolezza della vecchia
classe politica, nel marzo 1922 Marcia su Roma delle squadre fasciste di Benito Mussolini.
4.I primi movimenti nazionalistici nel Maghreb e in Egitto
Nel dopoguerra si assistette alla diffusione dei movimenti nazionalistici nei paesi della
sponda nord africana.
In Egitto (protettorato inglese) il movimento nazionalista Wafd di Said Zaghlul voleva
l’indipendenza e la chiese, ma la GB lo arresta non calcolando il suo seguito (il consenso
popolare) ->1919 rivolta o meglio rivoluzione generò una lunga stagione di instabilità politica
-> 1922 GB dovette dichiarare l’Egitto una Monarchia indipendente naturalmente apparente,
loro conservavano alcuni diritti militari e politici (conservarono dominio informale). Tuttavia
gli anni di regno di Faud I (fino al 36) sono conosciuti come il liberalismo egiziano, in cui la
sua politica autocratica mise al bando Wafd e altri. Dunque, nel dopoguerra in Egitto vi erano
3 attori principali: il re, l’Inghilterra e Wafd, che ne facevano un laboratorio politico unico ->
nonostante il trattato anglo-egiziano del 1936, permaneva la subalternità coloniale, Wafd
dimostrò debolezza nel corso degli anni, rallentando il processo di effettiva emancipazione
politica ed economica dell’Egitto.
La complessità e l’ambiguità politica e culturale fu una caratteristica dei movimenti
nazionalisti a sud del Mediterraneo, ispirati ai movimenti nazionali europei essi rivolgendosi
contro il dominio coloniale, esaltavano i propri caratteri arabo-islamici.
In Tunisia il movimento nazionalista Destur nacque nel 1920 da ispirazioni
indipendentiste, ma non seppe leggere le esigenze della società perciò i giovani intellettuali
fondarono il Neo-destur.
In Marocco il nazionalismo era marcatamente religioso, grande appoggio contro
spagnoli fu dato dai Cabili del Rif fino a quando andò al governo il Comitato di azione
marocchino che voleva una Costituzione e autonomia amministrativa nei confronti della
Francia. Ma negli anni 30 sotto la stessa bandiera politica si ritrovarono laici di formazione
francese e intellettuali musulmani.
In Algeria vivevano ormai 1 milione di francesi ciò aveva moderato le istanze
nazionaliste

22.IL NUOVO CONFLITTO ANNUNCIATO


1.La svolta. Dagli anni Venti agli anni Trenta

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Gli anni tra la 1GM e la 2GM una sorta di guerra civile europea con una condizione di
instabilità permanente, inquietudini sociali, stagnazione economica, conflittualità politiche,
crisi dei rapporti internazionali a causa delle questioni irrisolte dai Trattati.
Francia e Inghilterra (vs ideali Wilsoniani) avevano imposto condizioni pesantissime
alla Germania, che si trovava nell’impossibilità di colmare i debiti. Gli Stati Uniti erano passati
da stato debitore a creditore. La rivoluzione bolscevica poi faceva dilagare la paura
dell’esportazione del comunismo proprio ora che le democrazie europee mostravano segni di
crisi. Drammatica crisi tedesca per i debiti, crollo economia americana nel 1929 (Grande
depressione) che aprì stagnazione anche in Europa, inquietudini e rivolte nelle colonie: tutto
ciò rischiava di minare la pace.
Per mantenere la pace fu indispensabile mitigare la rivalità franco-tedesca attraverso la
sistemazione delle frontiere; nel 1925 fu stipulato Accordo di Locarno che impegnò gli stati a
non violare le frontiere occidentali tedesche, corredato da trattati di mutua assistenza
Francia/Polonia e Francia/Cecoslovacchia in caso di aggressione tedesca.
1926 Germania ammessa alla Società delle Nazioni (segno di riabilitazione sul piano
internazionale)
Nei Balcani si forma la Piccola Intesa (Cecoslovacchia, Romania, Jugoslavia, Italia di
Mussolini) per contrastare spirito di “revisione” dell’Ungheria, insoddisfatta dai Trattati di
pace. L’Italia aveva un patto con Romania e Albania, ma appoggiò il revisionismo ungherese
che si era diretto in Jugoslavia.
Nel mondo coloniale nei dominions britannici si temeva che un’altra guerra li avrebbe
obbligati a combattere e ne chiesero l’esclusione formale -> nascita di Commonwealth (1931)
federazione su base volontaria di stati autonomi uniti nella sovranità simbolica della corona
d’Inghilterra, con il riconoscimento di della completa indipendenza formale dei domini.
Gli Usa continuavano a manifestare il proprio interesse per il mantenimento della pace
nel continente, infatti, nel 1928 Kellog segretario di Stato degli Usa e Briand ministro degli
esteri francese mettono al bando la guerra come strumento di politica internazionale.
Gli anni 20 furono coronati dallo spiritò di pace, ma intorno al 1930 il clima politico
cambiò repentinamente annunciando la crisi definitiva dell’equilibrio raggiunto così
faticosamente.
2.Fascismi in area mediterranea
All’alba degli anni 30 la diffusione dei regimi autoritari (a causa della crisi della
democrazia liberale) in Europa e nel mondo mediterraneo era tale da essere la norma.
In Jugoslavia, stato plurinazionale di recente formazione, il fenomeno era in parte
dovuto al fatto che una maggioranza etnica dominante opprimeva le minoranze soggette.
Dittatura della monarchia di re Alessandro I, poi del primo ministro Stojadinovic dal 1935 al
39.
Grecia esigenza di curare le ferite in nome di uno straordinario passato. Ritorno di
Venizelos che aprì la strada a Metaxas il quale una volta primo ministro instaurò un regime
autoritario senza Parlamento.
Italia fascismo come portavoce di protagonismo politico della piccola e media
borghesia. All’inizio non esprimeva alcuna ideologia, “nacque da un bisogno di azione e fu
azione”. In politica estera si fece garante dello spirito di Locarno. Contemporaneamente però,
riprese un interesse di espansione coloniale nel Mediterraneo che lo allontanò da Francia e
Inghilterra e avvicinò alla Germania di Hitler desiderosa di rivincita. Il riorientamento della
politica estera dell’Italia si fa palese nel 1934 con la firma dei protocolli di Roma con Austria
e Ungheria con rapporto preferenziale.

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Nel 1923 in Bulgaria e Spagna si ebbe la svolta autoritaria. Nel primo caso la dittatura
militare sorse a causa del malcontento generato dal trattato di Neuilly ed ebbe come
conseguenza l’allontanamento dalla politica degli altri stati balcanici. In Spagna, data la sua
neutralità negli anni di conflitto, la dittatura di Primo de Rivera (1923-30) aveva radici nella
debolezza della monarchia costituzionale, nelle rivolte contro la madrepatria delle colonie e
nelle aspirazioni autonomiste delle regioni. Dalla Catalogna partì il tentativo di governatore
militare de Rivera con il consenso del re di istituire un direttorio militare sospendendo la
Costituzione, il tutto favorito dalla Chiesa cattolica.
1926 Portogallo rivolta del generale Gomes da Costa che sciolse il parlamento e revocò
la Costituzione, dando vita al governo con primo ministro Antonio de Oliveira Salazar, che
nel 1933 assunse il pieno potere.
Negli stessi anni in Turchia anche il governo di Kemal prese una piega autoritaria.
La Romania dittatura di re Carol II
3.La guerra civile in Spagna
Il 1936 avviò una svolta decisiva delle relazioni politiche internazionali.
L’Italia ruppe gli equilibri aggredendo l’Etiopia (riconosciuta indipendente nel 1923)
nel 1935, e nel 1936 la conquistò proclamandosi come l’Impero Italiano. Il gesto fu
condannato dalla Soc. delle Nazioni e Francia e Inghilterra si schierarono a favore di sanzioni
ma in modo cauto, per non far avvicinare Italia alla Germania. L’opinione pubblica italiana
era però persuasa dalla propaganda fascista contro le nazioni ricche che ostacolavano legittime
aspirazioni internazionali italiane. Diventava così inevitabile un ravvicinamento alla Germania
nazista.
Quanto questa nuova intesa rendesse instabile l’equilibrio internazionale fu evidente
quando nel 1939 scoppiò la Guerra civile in Spagna. Alla morte di de Rivera, dalle elezioni
risultarono vincitori il partito repubblicano e socialista nel 1931 e il re scappò. Fu proclamata
la Repubblica e avviate delle riforme per combattere l’arretratezza economica e sociale: quella
agraria per colpire la proprietà aristocratica e della Chiesa. Nel 1933 vinsero le destre e iniziò
il biennio nero dove venne distrutto l’ordine democratico. Le forze democratiche si riunirono
nel Fronte popolare contro l’evidente pericolo della dittatura militare e vinsero le elezioni nel
1936 ma fu subito evidente la spaccatura interna. Il generale Francisco Franco (protagonista
della repressione delle Asturie dove vennero uccisi 3000 scioperanti) preparò l’insurrezione
delle truppe di stanza in Marocco, già nel settembre 36 il generalissimo occupava il nord ovest,
scoppiò la guerra civile. Il suo esercito di Franco si rifaceva alle ideologie fasciste e naziste, e
riceveva aiuti da Italia e Germania. Per fermare questi aiuti e non indispettire Mussolini e
Hitler le potenze europee decisero di non intervenire. Questa linea era la politica antinazista
dell’appeasement, secondo la quale minimizzare avrebbe evitato le estreme conseguenze. Ma
ciò fece mancare ai repubblicani l’appoggio a parte quello dell’Urss e dei volontari. La
Resistenza della Repubblica durò moltissimo e terminò solo nel 1939, nei festeggiamenti della
vittoria di Franco la parata fu iniziata dalle camicie nere.
L’Italia, durante il fallimento della politica dell’appeasement, aveva firmato nel 1939 il
Patto d’acciaio con la Germania, dove si impegnavano a intervenire in aiuto dell’altro in caso
di conflitto.
4. La spina nel fianco: la questione ebraica in Palestina
Negli anni 20, il delicato compito affidato alla GB dalla Soc delle Nazioni di garantire
in Palestina condizioni politiche, amministrative ed economiche tali da assicurare la
costituzione di un focolare ebraico, lo sviluppo di istituzioni di autogoverno e la salvaguardia
dei diritti civili e religiosi di tutti gli abitanti della Palestina. Il compito si rivelò ancor più

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difficile a causa della grande immigrazione ebrea che generava problemi di coabitazione con
gli arabi. Essa raddoppiò in sette anni, e gli ebrei si dotarono di organizzazioni come l’Agenzia
ebraica per la Palestina che divennero sempre più simili a un governo. Ma era un paese ancora
a maggioranza araba, le operazioni di guerriglia erano all’ordine del giorno. Nel 1929 dopo il
massacro della comunità ebraica di Hebron, il governo britannico si mise al lavoro,
pubblicando un Libro bianco per il blocco dell’emigrazione ebrea, che però fu ritirato poco
dopo a causa del malcontento nelle comunità ebree europee.
Nel 1933 con la presa di potere di Hitler, ci fu una violenta ondata antisemita in
Germania e poi in Polonia, Romania e in tutti quegli stati con un’alta percentuale di comunità
ebraiche -> l’immigrazione ebrea aumentò tantissimo anche perché alcune nazioni avevano
chiuso le loro frontiere. Tra arabi e ebrei la lotta armata assunse caratteri di terrorismo.
Sul piano politico si arrivò alla conclusione che fosse inevitabile una spartizione
territoriale e la creazione di due stati distinti con una zona sotto il mandato britannico
comprendente Gerusalemme, gli arabi rifiutarono, volevano un unico grande stato palestinese
alleato degli inglesi con tutela degli ebrei, ai quali però fosse vietata l’immigrazione.
Negli anni 30 il sentimento panarabo si andava mescolando con aspirazioni
anticolonialiste e con l’antisionismo, poiché c’era la tendenza a radicalizzare la fede
musulmana, il panislamismo si sforzava di recuperare la via dell’Islam originario.
Questo movimento politico trovò la sua massima espressione in Egitto con la Società
dei Fratelli Musulmani nel 1928, che proponeva un modello di società opposto a quello
occidentale (basato sull’assenza dei partiti, la conservazione del califfato, la prevalenza della
sharia (legge canonica fissata dal corano)) anche se il clima culturale nel paese non consentiva
un ritorno al passato -> il movimento nazionalista laico, il Wafd di Zaghlul, aveva un solido
seguito. La dottrina dei fratelli musulmani anche al di fuori dell’Egitto era avversata
dall’islamismo moderato, ma col tempo la Fratellanza nata in Egitto trovò terreno fertile nel
Maghreb, nella Penisola araba, in India e Indonesia. Panarabismo fu l’estremo opposto del
nazionalismo nato in Europa.

X.IL TEMPO DELLE ROTTURE


Tra il 1939 e il 1945 bisogna guardare al Mediterraneo non solo come al teatro in cui
avviene uno scontro le cui radici sono tutte in Europa, ma soprattutto bisogna guardare agli
sviluppi di movimenti di differenziazione anticoloniale che la guerra accelera
significativamente. In questi anni si ritrova un tentativo di costruzione nello spazio coloniale
(Algeria, Tunisia, Egitto) di una convivenza nel nome di una comune identità mediterranea,
troppo complessa però.
La seconda guerra mondiale brucia questi processi, l’antifascismo poté avvicinare solo
parzialmente e provvisoriamente gli uomini che la questione coloniale divide. l’indebolimento
di Francia e Inghilterra nel dopoguerra infragilisce l’ipotesi di utilizzare il Mediterraneo come
terra di sperimentazione, facendo della Nazione paradigma principale con il quale l’Europa
aveva esportato il suo vocabolario politico nello spazio mediterraneo, ritagliando la mappa dei
suoi territori, diventa ora il termine di riferimento della lotta anticoloniale. Nei nuovi equilibri
del dopoguerra si producono altre rotture non riconducibili all’asse nord-sud, bensì a quello
Est e Ovest, la “cortina di ferro” estende i segni della Guerra Fredda in tutto lo spazio
mediterraneo. Comunismo e anticomunismo. La fine del sistema sovietico nel 1989 non può
essere assunta come un semplice ritorno alle dinamiche proprie dello spazio euromediterraneo.
23.Il nuovo ordine mediterraneo
1.La Seconda guerra mondiale in area mediterranea

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Nel settembre 1939 le truppe tedesche varcano il confine della Polonia, Francia e
Inghilterra le dichiarano guerra ponendo fine all’acquiescenza. La firma nel 1937 di un
gentleman agreement tra Germania, Italia e Inghilterra al fine di garantire lo status quo
mediterraneo non evitò la guerra. Il conflitto presentava 3 caratteri nuovi:
- Guerra di movimento con campi di battaglia in tutto il mondo
- Guerra ideologica con due sistemi politici contrapposti inconciliabili
(liberaldemocrazia e comunismo vs nazifascismo)
- Coinvolse anche i civili e aveva come obiettivo l’annientamento del nemico.
rimase un conflitto europeo fino al 1941, quando gli Stati Uniti entrarono in guerra dopo
essere stati attaccati a Pearl Harbor dai giapponesi. Coinvolse tutto il mediterraneo non solo
nel senso di partecipazione al combattimento ma anche come cruento terreno di battaglia.
Quando l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania nel 1940 lo scacchiere
mediterraneo assunse un ruolo più rilevante. Fino a quel momento Hitler aveva mosso le sue
carte nel teatro europeo puntando su una guerra lampo, ma dopo i primi successi si era fermato
presso la linea Maginot con i Francesi in posizione difensiva, metafora dell’attesa delle grandi
potenze in una risoluzione diplomatica. Solo il 10 maggio 1940 i tedeschi aggirarono la linea
invadendo Belgio e Olanda per poi entrare a Parigi ->armistizio che divise la Francia in due
parti: la parte settentrionale e atlantica sotto il controllo tedesco, la parte meridionale con
capitale Vichy affidata al comando filonazista di Petain. Charles De Gaulles esortò i francesi
a lottare contro il nazismo, e la base della resistenza sarebbero stati i territori dell’Africa
francese non ancora passati a Petain (tipo l’Algeria). Mussolini, temendo che il crollo della
Francia non avrebbe fatto guadagnare nulla all’Italia, si convinse a entrare combattendo una
guerra parallela nei Balcani e nel bacino mediterraneo. Ciò significava un confronto diretto
con la GB, uno degli obiettivi italiani era infatti conquistare l’Egitto muovendo dalla Libia,
ma gli inglesi gli inflissero una dura sconfitta costringendo i tedeschi a inviare rinforzi
nell’aprile del 41, inutilmente, poiché gli inglesi occuparono Addis Abeba. Nell’ottobre del 42
lanciarono una controffensiva.
Parallelamente, Mussolini invase la Grecia ma quest’ultima grazie all’appoggio inglese
conquistò un terzo dell’Albania. Anche qui arrivarono i tedeschi a dar man forte visto che in
Jugoslavia si era insediato Pietro II amico dell’URSS (vs precedente regime filofascista che
avrebbe dovuto aiutare gli italiani), così per punirla i tedeschi mossero dalla Bulgaria al Mar
Egeo, bombardando la Jugoslavia e annientandola, dopodichè prese la Grecia.
Tale esperienza aveva mostrato l’incapacità italiana di portare avanti una guerra
parallela senza l’aiuto dei tedeschi, a livello strategico aveva portato a un nuovo ordine
nell’area balcanica: in Grecia amministrazione tedesca e italiana, in Jugoslavia fuga del re, in
Serbia governo militare tedesco, Croazia divenuta anonima governo filonazista come
Romania, Bulgaria, Slovacchia che aderirono al Patto Tripartito di Germania Italia e
Giappone. Solo la Turchia era neutrale.
2.La guerra totale
Il patto tripartito aveva riacceso la dimensione ideologica del conflitto tra nazismo e
comunismo. Hitler decise di attaccare l’Urss con l’aiuto italiano alla fine del giugno 1941, ma
il ritardo divenne fatale. Nel frattempo gli Usa entrarono in guerra, facendo fede alla Carta
Atlantica stipulata con l’Inghilterra contro la tirannia nazista. Agli inizi del 1941 tutta l’Europa
a eccezione della GB era sotto controllo diretto o indiretto di Hitler, ma ciò voleva dire
combattere su troppi fronti. L’Africa mediterranea divenne la base logistica delle forze
combattenti impegnate a riprendere l’Europa Hitleriana, fu qui che a novembre del 1942 le

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truppe americane sbarcarono, fu qui che ebbe luogo la vittoria inglese a El Alamein.
Preoccupati dallo sbarco in Marocco degli Usa, i tedeschi occuparono la Francia “libera”
prendendo il porto di Tolone, nel frattempo l’esercito italo-tedesco si era ritirato in Libia ma
aveva occupato la Tunisia, all’opposto Marocco e Algeria erano degli Usa. Nel 1943 il
controllo Alleato poteva infine dirsi completo.
Dal 1943 le Conferenze interalleate iniziarono a discutere sull’assetto postbellico
dell’Europa:
- Conferenza di Casablanca: per porre fine alla guerra gli Usa volevano sbarcare
nella Francia del nord per fronteggiare i nazisti, i russi volevano rafforzati i confini
orientali e gli inglesi volevano logorare il nemico in più punti anche per prevenire
i Russi dall’invadere i Balcani.
Allora prese piede l’ipotesi di uno sbarco in Italia che avvenne in Sicilia nel 1943 per
mettere d’accordo tutti (lentezza nel risalire a nord). Nel frattempo ci fu la caduta di Mussolini
sostituito da re Vittorio Emanuele II e Pietro Badoglio che firmarono un armistizio con gli
alleati, dando ai tedeschi il pretesto per occupare zone dell’Italia centro-settentrionale. L’Italia
era divisa in due, gli Alleati a Sud (anche il re era scappato a Brindisi) e i Tedeschi a Nord,
con Mussolini che aveva fondato la Repubblica di Salò, governo vassallo della Germania. I
combattimenti coinvolgevano a pieno la vita delle persone, e in questo clima iniziò ad
organizzarsi la Resistenza delle popolazioni civili, come in Francia, Grecia, Polonia e
Jugoslavia. Essa faceva della popolazione un soggetto attivo della guerra che lottava anche per
l’affermazione di nuove istituzioni politiche e sociali.
Il 28 novembre 1943 alla conferenza di Teheran venne decisa l’apertura del secondo
fronte, ovvero lo sbarco in Normandia che avvenne il 6 giugno 1944 con più di mezzo milione
di uomini. Alla liberazione di Parigi nell’agosto dello stesso anno si accompagnò l’avanzata
sovietica in Europa orientale e nei Balcani. La resa dei tedeschi in Italia in seguito alla
liberazione di Milano (25 aprile 1945) condusse alla resa generale.
3.I problemi del dopoguerra
Conferenza di Potsdam evidenza che i 2 vincitori non erano europei: Usa e URSS e
questo comportava la contrapposizione diretta di due visioni del mondo radicalmente diverse-
> comunista e democratico capitalista. I rapporti deteriorarono fino a quando nel 1948 si arrivò
alla Guerra Fredda, ideologica e fatta di minacce con lo spettro della bomba atomica. In
Europa assistiamo a Spagna e Portogallo (neutrali nel conflitto) alle prese con gli autoritarismi
di Franco e Salazar, l’Italia uscita dal referendum del 2 giugno 1946 come Repubblica, la
Francia con la IV Repubblica instabile a causa delle lotte partitiche che si schierano con gli
Stati Uniti.
La Penisola Balcanica invece entrava nell’area d’influenza sovietica (partito unico e
sistemi economici fortemente collettivizzati).
Nel 1947 Dottrina Truman il presidente dichiara il sostegno ai popoli liberi che
resistono ai tentativi di coercizione da parte di minoranze o pressioni esterne. Conseguenza
immediata fu pressione per evoluzione in senso occidentale di Grecia e Turchia, in Italia e
Francia governi spinti a tagliare i ponti con i partiti comunisti del proprio paese. Sul piano
economico la dottrina economica si concretizzò nel Piano Marshall (prestiti e contributi a
fondo perduto) rivolto inizialmente anche ai Balcani e Europa orientale, poi scoraggiati
dall’URSS a usufruire degli aiuti.
1949 nasce il Patto Atlantico che comprendeva anche la Nato a cui rispose il Comecon
(dal 1955 Patto di Varsavia) delle zone a influenza sovietica.

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Il Mediterraneo rischiava di diventare l’epicentro o uno dei luoghi nodali del confronto
militare e politico. La guerra aveva comunque messo in guardia sugli effetti devastanti, per
questo già nel 1945 i rappresentanti di 50 stati firmarono la Carta delle Nazioni Unite per
salvaguardare la pace, migliorare la tutela super partes dei diritti umani-> nasce l’ONU .
Contemporaneamente si assisteva alla dissoluzione dei grandi Imperi coloniali che
produsse dei nuovi stati indipendenti, che alla ricerca del loro equilibrio passarono sotto la
sfera d’influenza delle due superpotenze.
4.Il Mediterraneo nella Guerra Fredda e l’emergere del Medio Oriente
Mediterraneo zona di tensioni e forti conflitti anche durante la Guerra Fredda
Nei Balcani la Jugoslavia di Tito era una spina nel fianco dell’URSS che con la sua
autorità congelò le diversità etnico-religiose da sempre causa di conflitti. La nuova Repubblica
socialista federativa jugoslava si ribellò ben presto rompendo nel 48 con Mosca e ricorrendo
a una propria via socialista, aprendosi al commercio con l’occidente, entrando a far parte dei
non allineati.
1955 Conferenza di Bandung Tito promuove insieme a Egitto di Nasser e India di
Nehru una politica di equidistanza dai blocchi, i quali penalizzavano i paesi usciti dalla
colonizzazione.
Elementi di destabilizzazione nel Mediterraneo furono portati dal conflitto arabo-
israeliano. In Medio Oriente era sorta la Lega Araba fondata in Egitto per coordinare tra di
loro la politica estera. Il suo primo successo fu l’indipendenza di Siria e Libano ma la questione
arabo-israeliana era una sfida. Con le persecuzioni naziste i profughi verso la Palestina erano
aumentati esponenzialmente, le dimensioni dell’Olocausto (6 milioni di vittime) e il senso di
colpa degli europei portò le potenze a accettare tale flusso di immigrazione. Dato
l’inasprimento dei tafferugli e la nascita di un’organizzazione armata ebrea, la GB (che aveva
il mandato) chiede una soluzione all’ONU, che decide per una spartizione territoriale:
- Stato arabo
- Stato ebreo
- Gerusalemme città libera sotto il controllo internazionale
Ma il problema delle minoranze non era stato adeguatamente valutato, e il malcontento
si espresse nella forma del terrorismo.
Maggio 1948 prima guerra arabo-israeliana quando il leader ebraico Ben Gurion
proclama la nascita dello stato d’Israele. A questo punto gli stati arabi confinanti entrarono in
guerra con i Palestinesi che furono però sconfitti.
Nel 1949 Israele occupava un territorio più vasto di quello deciso dall’Onu e
Gerusalemme era divisa in Est araba e Ovest israeliana. L’Egitto aveva annesso la Striscia di
Gaza e la Giordania aveva incorporato i territori Cisgiordani. Lo stato arabo di Palestina in
realtà non esisteva, con milioni di profughi palestinesi che ripararono in Giordania, dove i
campi profughi ponevano problemi di ordine sociale.
A fine 49 Ben Gurion si oppone al ritorno dei profughi e approva la Legge del ritorno,
ogni ebreo era ben accetto.

24.IL MEDITERRANEO TRA RIVOLUZIONI E STABILIZZAZIONE


1.La decolonizzazione nel Mediterraneo: il Maghreb
Si doveva riconoscere uno status alle colonie.
Nel 1945 la Carta delle Nazioni Unite ammise l’esistenza dei non self governing-non
autonomi (mandato sotto la supervisione delle Nazioni Unite) → Gb estese dominion a tutte
le colonie, Francia estese cittadinanza a tutti gli abitanti.

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In Tunisia i nazionalisti rifiutarono una cosovranità franco-tunisina(1952), i francesi


tentarono la repressione e gli europei residenti si organizzarono in gruppi terroristici (Mano
Rossa), nel 1954 il governo francese concesse l’autonomia, che portò all’indipendenza nel 56.
Fu proclamata la Repubblica di Burghiba, destituendo il bey, e si procedette con una politica
modernizzatrice espropriando le terre agli stranieri (1964), la politica estera fu moderata
garantendo una relativa tranquillità.
In Marocco fu il sultano Maometto V, dopo aver aderito al mov. Nazionalista Istiqlal
che chiese nel 1952 l’indipendenza del paese, e i francesi ne chiesero l’esilio. Ciò acuì la
resistenza marocchina e nel 1956 il Marocco divenne indipendente retto da Maometto V
→continuità politica garantita dalla monarchia senza lo sviluppo di una democrazia
parlamentare e dell’islamismo militante.
La vicenda degli scontri per l’indipendenza Algerina fu paragonata per certi versi alla
guerra in Vietnam. La violenza era spiegabile dallo status del paese, vera e propria colonia di
popolamento francese come se fosse un territorio metropolitano, vi erano i pieds noir, francesi
nati lì, e questo rendeva i francesi poco inclini a concedere una qualsiasi forma di autonomia.
Il Manifesto del popolo algerino ai tempi della guerra aveva posto le basi per un movimento
indipendentista e nel 1954 scoppiò una rivoluzione capitanata da Ben Sella del FLN Fronte di
Liberazione Nazionale. La Francia reagì con violenza così come il FLN, alla fine si affermò
un’ala militare che avrebbe condotto la rivoluzione. Nel 1958 i generali Salan e Massu
appoggiati dai coloni francesi stabilirono ad Algeri un Comitato di Salute pubblica, che portò
alla crisi della IV Repubblica francese accusata di condotta incerta. L’opinione pubblica
internazionale guardava con favore l’indipendenza algerina e De Gaulle se ne convinse,
scaturendo la rabbia dell’OAS gli oltranzisti francesi. Con gli accordi di Evian nel 1962 venne
riconosciuta l’indipendenza e 800.000 coloni tornarono in Francia. Gli algerini affrontarono
l’instabilità politica della guerra che aveva decimato la popolazione, che si rispecchiò nel colpo
di stato militare del Consiglio rivoluzionario che destituì Ben Sella e impostò un inedito
socialismo islamizzato che portò l’Algeria nell’orbita filo sovietica.
La lotta per l’indipendenza libica avvenne con un certo ritardo nel 1964. Il sovrano con
cui ottenne l’indipendenza la mantenne in un immobilismo feudale, solo con il colpo di stato
di Muammar Gheddafi (Giovani Ufficiali) attuò un processo di modernizzazione. Egli era
affascinato dagli ideali del panarabismo, aveva l’idea di una repubblica delle masse senza
mediazione tra cittadini e potere di ispirazione islamica. In politica estera si mosse in direzione
di una terza via nel sistema bipolare.
2.La rivoluzione egiziana e la svolta del 1956
Il Medio Oriente durante la Cold War rappresentò uno dei campi di sperimentazione del
terzomondismo la possibilità cioè per un paese uscito dal colonialismo di collocarsi in uno
spazio al di fuori del sistema bipolare.
L’Egitto di Nasser fu determinante per questa presa di posizione. Nel 1952 Nasser, uno
dei due comandanti degli Ufficiali Liberi, rovesciò il re e con lui emarginò i politici del Wafd
e la Fratellanza Musulmana che avevano dominato l’Egitto negli ultimi decenni. Una volta
eletto come presidente nel 1956 impresse nella Costituzione la lotta all’imperialismo, la fine
dei privilegi, l’intenzione di costruire un paese laico pur mantenendo l’arabicità e il carattere
islamico. L’Egitto non aderì al Patto di Baghdad con carattere antisovietico del 55 (promosso
da Usa e Gb a cui aderirono Turchia, Iraq, Iran e Pakistan) e ciò significò lo spostamento del
paese del mediterraneo su un asse diverso dal bipolarismo. Insieme a Tito e a Nehru (India)
entrò a far parte dei “non allineati”. Per promuovere la modernizzazione si diede avvio ai
lavori della diga di Assuan, che avrebbe portato energia elettrica e acqua. Vennero chiesti dei

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prestiti a Usa e Gb che rifiutarono, così Nasser si rivolse all’Urss che accettò e nazionalizzò il
Canale di Suez. Per la prima volta una colonia riacquistava l’indipendenza economica. Il
presidente era visto dalla Francia come sostenitore della rivolta algerina e dalla GB come causa
del fallimento di Baghdad → intervento armato con Israele che voleva occupare i pozzi
petroliferi del Sinai e applicare il principio della guerra preventiva agli arabi. Usa e Urss
desiderose di sostituirsi alle potenze europee spinsero le Nazioni Unite a condannare
l’intervento e a ritirare le truppe per trovare un compromesso e lasciare l’amministrazione del
Canale all’Egitto. Le due potenze coloniali dovettero rinunciare a causa delle due nuove
superpotenze nucleari.
Nel 1957 in Giordania una maggioranza nasseriana aveva vinto le elezioni costringendo
gli inglesi a intervenire pro il vecchio governo, lo stesso accadde in Libano e in Iraq, la Siria
propose una fusione con l’Egitto e nel 1958 venne creata la RAU Repubblica Araba Unita
(di ispirazione panaraba) che in realtà era un’assimilazione della Siria all’Egitto. Dopo 3 anni
un colpo di stato restituiva l’indipendenza alla Siria che ora gravitava intorno all’Urss.
Negli anni 60 gli ex stati coloniali provarono a sperimentare forme di organizzazione
politica diverse, e le critiche sul perdurare di forme di dominio economico occidentale portò
all’avvicinamento dei “non allineati” a Urss e Cina.
Alla fine del decennio la terza guerra arabo-palestinese fece sì che Nasser nel 67
chiudesse il golfo di Aqaba al traffico marittimo israeliano per ridiscutere
l’internazionalizzazione dello stesso, un mese dopo l’aviazione israeliana distrusse quasi tutte
le forze aeree egiziane e poi assalì vittoriosamente tutti i fronti nemici. La “guerra dei sei
giorni” fu per Israele una vittoria schiacciante, quadruplicò il suo territorio. Tale vittoria portò
alla crisi del nasserismo e al ridimensionamento del ruolo egiziano. Gli Usa divennero
decisamente filoisraeliani, mentre l’Urss se ne disinteressò dando agli arabi solo un blando
appoggio.
3.Il Mediterraneo nella formazione della nuova Europa
Per superare le divisioni e trovare un nuovo equilibrio nel 1949 nacque il Consiglio
d’Europa per discutere delle questioni d’interesse comune. Il vero ostacolo fu la gelosa difesa
della sovranità nazionale dei singoli stati.
1951 CECA Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, caro ai padri dell’idea
europea (Schuman, Monnet, De Gasperi, Adenauer) che poneva i 2 settori sotto la gestione
collettiva facendo cadere uno degli storici motivi di conflittualità tra Ger e Fra.
1957 CEE Comunità Economica Europea per l’abbassamento dei dazi doganali tra i 6
paesi della ceca e libera circolazione merci che poi si estese anche al commercio con gli Usa i
quali vivevano benessere economico. Ma la CEE non poteva disciplinare i rapporti con i paesi
coloniali o di nuova indipendenza su cui emergeva la consapevolezza della Comunità di avere
interessi comuni localizzati nell’area.
Tra il 1957 e 1972 diversi accordi commerciali per ancorare i paesi mediterranei alla
sfera d’influenza occidentale. La Francia fu quella che cercò maggiormente di regolarizzare
gli scambi nella zona del Maghreb, insomma le relazioni economiche non assumevano la
forma di cooperazione ma rispondevano alle singole relazioni tra nazioni.
4.Il Mediterraneo europeo negli anni 60
In seguito alla crisi algerina, De Gaulle era tornato al potere con la nascita della V
Repubblica nel 1958, e mirava a donare nuova grandezza alla Francia → veto d’ingresso alla
GB nella CEE nel 63 e 67 e uscita dalla NATO nel 67. De Gaulle si concentrò sull’immagine
di paese forte in Europa con un asse franco-tedesco piuttosto che sulla politica mediterranea.

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L’Italia era prostrata dalla guerra, il nuovo partito della Democrazia Cristiana aveva
aperto l’età del centrismo. Gli anni della ricostruzione come in Francia furono vissuti per lo
più dal punto di vista interno, affrontando la questione agraria e quella meridionale (divario
nord-sud). L’unico interesse esterno fu Trieste che nel 54 generò una pericolosa tensione con
la Jugoslavia, che non riconosceva la zona d’influenza italiana nell’area. Diplomaticamente
venne riconosciuta all’Italia il diritto sulla zona di Trieste rinunciando alla zona B in favore
della rivale. Il miracolo economico poggiava anche su una congiuntura economica favorevole,
tanto che pure il Paese ne beneficiò nonostante le condizioni di partenza fortemente arretrate.
Notevole importanza la ebbe anche l’intervento statale nel favorire i poli siderurgici e nella
ricerca di fonti d’energia a prezzi vantaggiosi → Enrico Mattei presidente dell’Eni tentò di
aggirare i cartelli imposti da Usa e GB contrattando direttamente con i produttori di petrolio e
metano Iran e Algeria.
Comunque il Mediterraneo europeo non era omogeneo, diversa era la condizione dei
paesi del blocco sovietico o con dittature di destra.
- Jugoslavia, Albania, Bulgaria, Macedonia dalla morte di Stalin avvio del processo di
destalinizzazione con allontanamento dal potere centrale e tentativi di autonoma
elaborazione del comunismo.
- Dittatura di Spagna, Portogallo e dal 67 della Grecia → gli Usa preoccupati da
un’eventuale vittoria della sinistra di Papandreu appoggiarono la presa di potere
dei colonnelli, i quali attuarono una feroce repressione simile a una dittatura
fascista.
Ciò tocco profondamente l’opinione pubblica che si mobilitò (premessa del 68)

25.APOGEO E CRISI DEI BLOCCHI


1.Il Medio Oriente epicentro di una nuova crisi
All’inizio degli anni Settanta numerosi fattori misero in crisi il sistema bipolare.
- Motivi ideologici: negli Usa la scomparsa di Kennedy, la guerra in Vietnam aveva
disincantato le persone rispetto all’american way of life; la Cina come modello
alternativo di comunismo; titubanze sul rapporto tra Urss e paesi satelliti.
- Crisi economica che dopo la lunga fase di crescita attraversò prima gli Usa poi
tutto l’occidente: 1971 Nixon annuncia fine sistemi cambi fissi di Bretton Woods,
gli americani scoprono di essere deboli.
- Guerra del Kippur (1973) in Medio Oriente. Dopo la guerra dei sei giorni i
Palestinesi si spostavano a migliaia verso Libano e Giordania, gli Ebrei d’Israele
invece erano raddoppiati, favoriti dalla politica d’insediamento nei territori arabi
di Cisgiordania. 1969 i gruppi di resistenza armata confluiscono nell’OLP
Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Risoluzione delle Nazioni Unite
del 67 sul ritiro israeliano dai territori occupati per una pace duratura con il
rispetto di ogni stato della regione. Accettata sia dai Paesi Arabi (grazie anche a
Sadat nuovo presidente egiziano che nonostante il risentimento per la sconfitta
inflitta da Israele avviava una politica di compromesso diplomatico con il Paese e
Usa, allontanandosi dalla questione palestinese) che da Israele ma viene rifiutata
dall’OLP. Nel 1970 re Hussein di Giordania preoccupato per ritorsioni israeliane
costrinse i profughi palestinesi a spostarsi in Libano dopo un massacro. 1973

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giorno della festività ebraica del Kippur, l’esercito egiziano congiunto a quello
siriano lanciò un attacco a Israele, messo in difficoltà nel Sinai e nel Golan. Dopo
poche settimane però si arrivò a firmare un accordo e gli israeliani rioccuparono
le zone. Questa volta i paesi arabi che nel 1960 avevano creato l’OPEC (paesi
esportatori di petrolio) per creare uno strumento di pressione economica e
diplomatica. Bloccarono quindi le esportazioni petrolifere → questione
petrolifera che generò difficoltà alle potenze occidentali.
2.L’Europa mediterranea ripensa sé stessa
L’Europa era vulnerabile di fronte a tale decisione dell’OPEC, e fino alla seconda
crisi petrolifera del 79 sperimentò una costante crescita dell’inflazione.
Ciò portò l’Europa a immaginare una politica di maggiore autonomia rispetto a
quella americana anche grazie all’adesione alla CEE di Irlanda, Danimarca e Inghilterra.
Fine delle dittature:
Nel 1974 il regime greco voleva distrarre l’opinione pubblica dai problemi interni
con un’operazione che avrebbe dovuto portare all’annessione di Cipro. In realtà si arrivò
all’occupazione turca del nord dell’isola che portò alla crisi della dittatura greca e alla
costituzione del governo civile di Karamanlis (uscita Grecia dalla NATO).
In seguito alla Rivoluzione dei garofani del 74, il governo socialista di Soares (76)
si assume il compito di guidare il Portogallo nella fase di transizione verso una dimensione
europea.
In Spagna il re Juan Carlos garantì il passaggio a una moderna democrazia alla morte
di Franco (1975). Nel 1977 si tennero le prime elezioni libere che videro vittorioso il
moderato Gonzales.
Spagna e Portogallo fecero domanda di adesione alla CEE nel 1977, segno dei tempi
maturi per l’integrazione europea, proponendo al tempo stesso nuove sfide a causa
dell’eterogeneità dei paesi, ma proprio questo carattere mediterraneo riconquistato permise
all’Europa di ripensare al proprio ruolo negli equilibri internazionali.
3.Il dialogo euroarabo: un tentativo di confronto mediterraneo ante litteram
Fino alla crisi petrolifera del 1973 la cooperazione tra Europa e sponda sud si era limitata
ad accordi bilaterali. La crisi favorì l’apertura di un dialogo politico euroarabo spinto dalla
Francia di Pompidou che nel 73 s’incontrò con il leader tunisino Burghiba. Nella prima fase
del dialogo fu evidente la voglia araba di garantirsi l’appoggio europeo in merito alla questione
israeliana, gli europei avevano invece interessi economici, specialmente riguardo a prezzi
ragionevoli sul petrolio. Comunque c’era la volontà di tenere presente il dialogo politico.
La risoluzione del conflitto israelo-palestinese appariva di primaria importanza per
l’area. Nel 1974 si pose la questione del riconoscimento dell’OLP come soggetto politico,
tema spinoso perché sarebbe andato contro gli Usa che appoggiavano Israele. L’Europa che
voleva affermarsi come autonoma rispetto agli Usa trovò comunque un compromesso:
acconsentire che l’OLP partecipare ai negoziati euroarabi, giustificata dal fatto che era un
confronto tra due gruppi e non stati.
Il dialogo euroarabo toccò il suo apice tra il 1975 e il 1981. 1975 riunione a Il Cairo
definisce i principi delle relazioni privilegiate di buon vicinato e alla condivisione dell’eredità
culturale. Tale cooperazione mirava a ridurre il gap tecnologico e allo sviluppo di Maghreb e
Mashrek senza però specificare i modi. Seguirono altri incontri su infrastrutture, sviluppo
agricolo, dialogo sul piano economico e commerciale e quello politico (OLP). Il percorso non
fu sempre agevole, ad esempio la CEE stipulò accordi anche con Israele, mettendo sull’attenti

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gli arabi. Il dialogo finì negli anni 80 a causa della frammentazione politica nel mondo arabo.
Tuttavia con il processo d’integrazione europea venne presa una posizione più solida con
l’adozione del regolamento tariffario dei prodotti provenienti dai territori occupati dagli ebrei,
avvicinando l’Europa ai palestinesi. Era chiaro che la sicurezza nel Mediterraneo diventava
una nuova preoccupazione e che l’Europa stava diventando sempre più autonoma.
4.Il 1979:una nuova svolta nella storia mediterranea
1978/79 rivoluzione iraniana: l’ayatollah Khomeini esiliato a Parigi polarizzava
l’opposizione allo scià spingendo per la caduta del governo corrotto e miscredente. Lo scià
cercava l’aiuto americano, ma Carter rifiutò, costringendolo alla fuga → prima rivoluzione
islamica. Con il 98% dei voti nacque la Repubblica islamica di Khomeini, improntata sul
radicalismo islamico assoluto e posizione antioccidentale. Veniva introdotto il concetto di
guerra santa (jihad).
Altro elemento chiave fu nel 1979 l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Urss con
la scusa di appoggiare il governo filosovietico, si scatenò una guerriglia filoislamica.
Gli Usa avevano compiuto una mossa politica importante per gli equilibri mediterranei:
l’avvicinamento tra Egitto e Israele (Camp David 1978): Israele restituiva il Sinai all’Egitto e
autonomia a Gaza e Cisgiordania, l’Egitto riconosceva lo stato d’Israele. L’Egitto di Sadat
adottò una politica filoamericana ma fu espulso dalla Lega Araba e dalla Conferenza islamica
pro difesa palestinese.
1979 Saddam Hussein prende il potere in Iraq instaurando un regime dittatoriale che
ridiscuteva gli equilibri della regione, visibile dalla guerra di 8 anni vs Iran per il controllo dei
pozzi petroliferi del paese e in ultimo, per sovvertire il potere Khomeinista. Il laico Saddam
combattè i fondamentalisti islamici aiutato dagli Usa di Reagan che volevano un riassetto degli
equilibri.
La crisi delle relazioni mediterranee scosse anche il “tranquillo” Maghreb:
- Algeria: alla morte del presidente pessimo andamento dell’economia e il crollo dei
prezzi del petrolio costrinse il governo a ridurre il welfare scaturendo una crisi
sociale che nel 1988 assunse i caratteri di una guerra civile. Il FLN tentò
d’introdurre una costituzione modernizzatrice ma la nascita del FIS Fronte
Islamico di Salvezza catalizzò il malcontento in senso islamista terroristico.
- Alcuni stati sembravano aver raggiunto una stabilità come il Marocco (continuità
potere islamico) o la Tunisia e il Libano (potere repubblicano autoritario).
- Dalla svolta del 1979 la riscoperta dell’islamismo sembra attraversare il mondo
arabo-islamico, inteso come opposto ai modelli importati dall’occidente. Esso è un
fenomeno delle società moderne, che parte dalle megalopoli e arriva solo più tardi
nelle campagne.

XI.UN MEDITERRANEO POST-MODERNO


l’evento più significativo della storia del mediterraneo dell’ultimo quarto di secolo è la
nascita dell’Unione Europea, pensata nel cuore dell’Europa carolingia.
Nel 1989 il “secolo breve” finisce inaspettatamente non potendo mutare il corso delle
relazioni tra l’Europa in costruzione e il Mediterraneo →riunificazione tedesca, allargamento
della comunità a est per arginare le derive del crollo sovietico, stabilizzare i parametri monetari
e di bilancio con una moneta unica. Torna a muoversi dopo il congelamento l’Europa centrale
e orientale e si apre la faglia dei Balcani. Il Mediterraneo con la tragedia dell’ex-Jugoslavia
diventa teatro del primo conflitto dell’età globale divenendo laboratorio dell’equilibrio avente

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come egemone una sola potenza. È un Mediterraneo post-moderno in cui i tempi si


sovrappongono e antichi materiali (contrasti, fedi religiose, etnie) assumono un senso nuovo e
viceversa: le grandi migrazioni che attraversano di nuovo il Mare Interno dagli anni 90 ai
giorni nostri, il nuovo antagonismo tra Cristianesimo e Islam. Assistiamo a uno scontro di
civiltà che divide nuovamente il Mediterraneo, un conflitto di fedi anche. All’opposto prende
forma la cultura della mediterraneità questa volta contemporanea non post-moderna.
26. Il CROLLO DEI BLOCCHI E LE NUOVE EGEMONIE NEL
MEDITERRANEO
1.Verso la crisi del sistema bipolare
Entrambi i blocchi negli anni 80 vissero crisi economiche e tensioni sociali fino a
determinarne, nel caso dell’Urss, il crollo.
La nuova presidenza americana di Ronald Reagan diede un indirizzo decisivo liberista
(neoliberista) per superare la crisi economica apertasi nel 79, e attuò tagli alla spesa pubblica
sociale. Tale indirizzo fu ripreso da Margaret Thatcher che ridimensionò lo stato sociale del
welfare state (tutela ceti più deboli). I socialismi mediterranei in Portogallo, Spagna e Grecia
erano convinti della non applicabilità del modello. Il modello sociale europeo avente come
baluardo la Francia di Mitterand rimase anch’esso estraneo a tali ricette liberiste.
Gorbaciov a partire dal 1985 attuò dei rinnovamenti nel gruppo dirigente e nel settore
produttivo per accelerare la trasformazione del sistema; nei paesi satelliti accelerava la spinta
per il distacco dall’Urss, fino a quando tra il 1988-89 si assistè al passaggio alla vita
democratica.
Nel 1989 cade il muro di Berlino anticipando il crollo dell’Urss nel 91 lasciando il passo
alla CSI Comunità Stati Indipendenti.
Gli Stati Uniti perdevano dunque il loro nemico storico, e la presidenza Bush evidenziò
la difficoltà per il paese di trovare una chiave convincente per i problemi internazionali in
un’ottica non più bipolare.
Esempio fu il caso dell’Iraq di Hussein che dopo anni di lotte con l’Iran invase il Kuwait
ricco di pozzi petroliferi, l’Onu impose sanzioni pesantissime a livello energetico per metterlo
in ginocchio. Gli Usa voltarono la faccia all’Iraq desiderosi di ampliare la loro influenza e
spinsero l’Onu a dare un ultimatum che prevedeva l’impiego della forza armata in Iraq in caso
non si fosse ritirato. → scoppia la prima guerra del golfo con contingenti europei e arabi
insieme sostenuti dagli Usa. Hussein venne sconfitto, ma il conflitto venne seguito in prima
persona dall’opinione pubblica che sull’onda dell’emozione iniziò una protesta pacifica. Sul
piano politico gli Usa sembravano l’unico ago della bilancia, rendendo coeso il blocco arabo
vs Iraq e evitando che Israele rispondesse agli attacchi missilistici iracheni. Il Kuwait fu
liberato ma Hussein rimase al potere, sostenuto da molta della popolazione araba i cui capi
avevano posizioni filo occidentali.
2.Alla ricerca di un’identità europea
Il trattato di Maastricht del 1992 costituiva il mercato unico europeo con l’obiettivo
della moneta unica nel 1999. La Comunità Europea formava la cosiddetta Europa dei 12 con
5 paesi della riviera, cosa che portò un cambio nella strategia e negli ideali di fondo perché
all’asse francotedesco si affiancava quello dei paesi mediterranei, portatori di nuove esigenze,
con economie più deboli, che rendevano l’Europa a due velocità. Il problema del mediterraneo
era al centro dell’attenzione della comunità per la prima volta.
Ma all’inizio degli anni 90 la dissoluzione del blocco sovietico riportò in auge le tensioni
e i dissidi propri dei paesi dell’Europa orientale, la cui mappa venne ridisegnata da alcuni
avvenimenti, in primis la dissoluzione della Jugoslavia in cui già alla morte di Tito nel 1980

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erano emersi contrasti tra le 6 repubbliche che la componevano, diversissime per condizioni
economiche, etniche e religiose. Vi erano popolazioni di fede cattolica (Slovenia e Croazia),
musulmana (Bosnia) e ortodossa (Serbia e Montenegro). Dal punto di vista politico vi era la
Serbia più legata alla Jugoslavia e con una posizione egemonica, strutture amministrative e
militari e Slovenia e Croazia regioni tradizionaliste che però mettevano in discussione il
comunismo. Le ultime due avevano poi un’economia avanzata, industrializzata e con turismo
vs Serbia e Montenegro prettamente agricole. Nel giugno 1991 le due dichiararono la
secessione dalla Repubblica Federativa Jugoslava seguite dalla Macedonia. In Croazia vi era
una minoranza serba, così tra le 2 scoppiò una violenta guerra con massacri e bombardamenti.
Alla fine la CE riconobbe insieme alla comunità internazionale i 2 stati, sperando in un accordo
di pace, invece il conflitto si allargò alla Bosnia-Erzegovina, repubblica federata multietnica
anch’essa riconosciuta. La componente serba aveva osteggiato questa soluzione ed era
sostenuta all’esterno da Milosevic leader socialista della Serbia. La situazione precipitò nel
1992 in Bosnia-Erzegovina, specialmente a Sarajevo dove avvenne una vera e propria pulizia
etnica da parte dei serbi vs i musulmani, cattolici e ortodossi. Le sanzioni Onu (che comunque
non vietarono la fornitura di armi) né una zona d’interdizione spensero il conflitto che tra il 93
e il 95 impressionò enormemente l’opinione pubblica europea. L’ex-Jugoslavia era distrutta,
compresa la popolazione, ma il governo serbo puntava ad uno stato serbo-bosniaco.
Nel settembre 1995 grazie alla mediazione diplomatica di Bill Clinton venne creato uno
stato bosniaco per il 51%amministrato ai croato musulmani, la restante parte ai serbo-bosniaci.
Emergeva la debolezza dell’Europa e la necessità di una politica estera europea.
3.Le nuove fasi del conflitto arabo-israeliano
Negli anni 80 in Israele si susseguirono governi di destra che coltivavano il sogno di
una “grande Israele” con i territori palestinesi, continuarono le occupazioni indiscriminate di
terre caldeggiate dai fondamentalisti ebraici come i Likud, nazionalisti e intolleranti ai
palestinesi. Era un ritorno al sionismo delle origini che si manifestò anche in politica estera
quando il ministro degli esteri di Sharon portò in primo piano la questione della sicurezza
facilitato dagli attentati dell’OLP.
1982 quinta guerra arabo-israeliana senza un vero coinvolgimento degli altri paesi
arabi. L’operazione “pace in Galilea” significò un attacco preventivo vs Libano per evitare
attacchi dell’OLP, nello specifico prevedeva una zona di sicurezza nel Libano del Sud
liberandola dai campi profughi di palestinesi. Si tradusse in un lungo massacro perpetrato dalle
milizie cristiane libanesi appoggiate dagli israeliani. Si rese necessaria la mediazione degli Usa
di Reagan, tuttavia la pace non risolse i problemi, poiché Israele mantenne fino al 2000 il
controllo di una fascia di sicurezza in Libano. Nella parte araba invece si rafforzarono la
guerriglia e la resistenza, nacquero gli Hizballah vs occupazione israeliana in Libano e in
Palestina una minoranza metteva in dubbio la linea possibilista e quasi diplomatica di Arafat.
1987 prima Intifada delle pietre dove specialmente i giovani palestinesi nati nei campi
profughi senza futuro diedero vita ad una rivolta per far presente alla comunità internazionale
che un processo di pace non era più rinviabile.
Nel 1988 ad Algeri il Consiglio nazionale palestinese riconobbe Israele. La prima guerra
del Golfo consolidò l’idea che la questione era di primaria importanza.
1993 Bill Clinton mediò i colloqui di Oslo→reciproco riconoscimento Israele/OLP e
pace tra Israele e Giordania.
Ci furono reazioni dei fondamentalisti ebraici che sembrarono minare tutto ma nel 95
con la mediazione di Clinton e Mubarak fissando il ritiro israeliano dai territori occupati dal
67. L’escalation toccò l’apice nel 1995 quando il premier israeliano Rabin (che firmò, insieme

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al leader dell'OLP, gli accordi di Oslo e aveva una visione di pace con i palestinesi) fu
assassinato da un estremista ebreo. Tramonto della più autentica stagione di dialogo. Stagioni
di attentati reciprochi, il nuovo leader Netanyahu volle il congelamento del dialogo con
l’autorità palestinese.
1998 seconda intifada palestinese più politica che giustificò in Israele il ritorno di
Sharon.
4.Il sistema maghrebino: uno e unico
Alla fine degli anni 80 i 5 stati maghrebini conclusero di dover rafforzare i legami
regionali. Algeria, Marocco, Tunisia, Libia e Mauritania davano vita all’UMA Unione del
Maghreb arabo allo scopo di rendere la regione una zona di pace e sicurezza. Ideali ambiziosi
se consideriamo che all’omogeneità della cultura musulmana e arabo-berbera si
contrapponevano diversi regimi, contenziosi di frontiera e scelte economiche. La Mauritania
aveva rapporti privilegiati con la Francia, il Marocco faceva attenzione al rapporto con gli Usa
mantenendo le relazioni con la Francia e la Tunisia si ritagliò un buon margine di manovra
anche con l’URSS. L’Algeria tra i non allineati criticava l’Occidente ma ne criticava
l’atteggiamento imperialista, la Libia di Gheddafi coltivava il sogno panarabo con un
antiamericanismo (1986 Usa bombardano Libia e 1992 embargo Onu).
L’UMA fu la risposta all’omogeneizzazione delle politiche economiche in seguito alla
fine della guerra fredda, poiché il Maghreb era tendenzialmente estraneo allo stato di guerra
endemico altrove. Ma c’erano dei problemi nella realizzazione:
- Irrequietezza interna ad alcuni stati in particolare l’Algeria dove il FIS movimento
fondamentalista islamico aveva vinto alle elezioni del 91, bloccando la
democratizzazione e mantenendo il paese in una guerra civile con un forte
terrorismo. Questo fino al 1999 quando la vittoria di Bouteflika portò una certa
stabilità.
- Contese frontaliere: Algeria e Marocco per il possesso del Sahara occidentale
A causa del problema dei “fratelli nemici” la premessa per la sicurezza generale fu la
pacificazione interna a ogni paese posta nell’Art.15 del trattato.
- La collocazione internazionale dei paesi membri.
Comunque l’UMA ha sottolineato l’importanza delle relazioni Sud-Sud e la conferma
viene dal campo economico, in quanto l’integrazione ha favorito molto gli scambi intra-
maghrebini. L’UMA è altresì importante per impostare gli scambi Sud-Nord.

27.IL MEDITERRANEO NELL’ERA GLOBALE


1.I rapporti Nord-Sud e le scelte dell’Occidente
Recrudescenza dei fenomeni nazionalistici in Europa con dissoluzione sistema bipolare
e non sempre gli organismi sovranazionali riuscivano a fronteggiare i particolarismi locali,
altra faccia del mondo contemporaneo caratterizzato dalla globalizzazione economica. il
processo di globalizzazione attuale tocca l’economia, la politica, la struttura delle società con
un potere sovranazionale e quello regionale che man mano emergono sempre più a discapito
dell’entità statale. Sono emerse figure produttive non inquadrate nello schema classico del
lavoro dipendente legate a forme di produzione immateriale, c’è stata una rivoluzione dei
mezzi d’informazione e delle tecnologie ci comunicazione → rivoluzione economica dove
servizi e intermediazione finanziaria sono i leader.
Ciò ha creato profonde disparità all’interno dei singoli stati ma ha anche ampliato il
divario Nord-Sud.

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Alcuni paesi hanno avuto un decollo economico come la Cina. Perché?


- Nelle zone povere del mondo sembra ricorrente uno Stato debole, instabilità
politica o regimi autoritari
- L’Occidente sosteneva i PVS sulla base dell’idea dell’esportazione della democrazia
- Enorme incremento demografico dei paesi poveri.
2.Un nuovo inizio: il partenariato euromediterraneo
Ultima parte del XX secolo ridiscussione rapporti Europa e Mediterraneo.
Anni 90 Europa intravede possibilità di attuare una politica autonoma. Il mancato
riconoscimento del ruolo chiave dell’UE nella Conferenza di Madrid voluta dagli Usa fecero
allontanare l’Ue dal suo modello, anche per la distanza geografica dai problemi tipo
immigrazione maghrebina e terrorismo.
1992 nuova politica mediterranea per migliorare il benessere dei paesi terzi e
promuovere la crescita per allentare le tensioni socio-economiche dell’area. Innovazione fu la
cooperazione finanziaria orizzontale con interventi regionali e ambientali. Ma ciò favorì gli
investimenti a breve termine e l’Ue non fu in grado di svincolare gli aiuti alle relazioni
preesistenti tra i vari stati Nord-Sud.
1995 Conferenza di Barcellona → nascita partenariato euromediterraneo.
Parteciparono i ministri dei 15 stati membri e di 12 paesi terzi. Dialogo tra le due sponde per
uno spazio di pace e stabilità e spazio economico euromediterraneo condiviso. La
realizzazione doveva avvenire su 3 livelli:
1. Politica e sicurezza
2. Sviluppo sociale durevole e equilibrato →zona di libero scambio nel Mediterraneo
entro il 2010
3. Stimolare l’attenzione alle variabili culturali e sviluppare le risorse umane e società
civile attiva.
tale partenariato riprendeva l’idea di un rapporto paritario tra le due sponde,
superando la nozione di cooperazione e quella di aiuto. A livello commerciale questa
uguaglianza si rifletteva sulle relazioni commerciali che avrebbe alimentato la ricchezza
dei paesi vs aiuti allo sviluppo. La liberalizzazione avrebbe favorito la democratizzazione.
Ovviamente vi furono critiche a questa strategia soprattutto da parte degli arabi, che
vedevano il classico vizio eurocentrico soprattutto in ambito economico.
Lo stesso anno anche la NATO (nata in funzione antisovietica) lanciò un partenariato
per avviare un dialogo con le 6 nazioni del Mediterraneo (Egitto, Marocco, Tunisia, Israele,
Giordania, Mauritania a cui nel 2000 si aggiunse l’Algeria) al solo scopo di promuovere
pace e stabilità regionale. Non possedeva quell’aspirazione all’approccio globale, culturale
di dialogo su cui poggiava Barcellona.
3.Le nuove guerre
Alla fine degli anni 90 si assiste a una recrudescenza dei conflitti il cui tratto comune
è l’assenza di una sovranità statale: ex-jugoslavia, Palestina e in misura diversa l’Algeria.
Altro elemento è la privatizzazione della violenza da parte di bande militari che provocava
una frammentazione del conflitto. Infine, l’etnicizzazione del conflitto in maniera
strumentale.
1996 ex-jugoslavia permanente instabilità a causa dei confini disegnati a Dayton:
Kosovo popolato all’80% da albanesi vs governo serbo. Quando Milosevic fu rieletto
inasprì le reazioni alle richieste indipendentiste kosovare. Dopo scontri, morti tra i civili,

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embargo su investimenti esteri nel paese, l’OSCE nel 98 manda degli osservatori a vigilare
sul processo di pace, ma vari avvenimenti tra cui il rifiuto serbo alla presenza di militari
della NATO in Kosovo portarono la Nato a bombardare Serbia e Kosovo. Il coinvolgimento
diretto della NATO in qualità di forza militare combattente e il ruolo defilato dell’ONU
trovavano giustificazione nell’opinione pubblica nonostante il fatto che mancasse una
procedura standardizzata di legittimazione degli interventi internazionali. La guerra
terminò solo nel 2000 con la caduta di Milosevic, il Kosovo passò sotto l’amministrazione
dell’ONU. Il conflitto aveva generato ondate di profughi, come in Macedonia dove nel 99
si riversarono 140.000 albanesi che alimentarono lo scontento della zona occidentale che
doveva già fare i conti con la minoranza albanese desiderosa di far parte della Grande
Albania. Gli scontri finirono nel 2000 con l’arrivo della NATO.
L’Albania stessa aveva aperto le porte a centinaia di migliaia di profughi nel bel
mezzo di una violenta crisi finanziaria 1997 con conseguente rivolta. La dura repressione
aveva spinto molti profughi ad andare in Italia. La Grecia temendo un’ondata di profughi
si schierò vs intervento Nato.
La ferocia delle guerre dell’ex-jugoslavia portarono nel 1996 all’insediamento di un
Tribunale internazionale per i crimini di guerra all’Aja.
Questione arabo-palestinese: Barak si era mostrato interessato a dei colloqui
informali per la pace che portarono a Camp David dove, con la mediazione di Clinton,
Barak si dichiarò disponibile a concessioni pur non riconoscendo la Palestina. Come però
Arafat fece notare rimaneva irrisolto il problema dei profughi palestinesi→ fallimento
accordi e ascesa di Ariel Sharon esponente di destra. I Palestinesi ripresero le proteste →
Intifada al Aqsà che aveva ora un forte carattere politico simile a lotta armata, dietro cui
c’era il cambiamento politico (OLP sempre più corrotta di Arafat, la popolazione di
avvicina a Hamas nuova organizzazione politica intransigente islamista). La politica
discutibile di Sharon, ad esempio i muri che isolavano le città arabe tra loro, portò ad
attentati reciproci aggravando la situazione sempre più. La morte di Arafat e la decisione
di Sharon di sgomberare le colonie illegittime sulla straiscia di Gaza aprirono uno spiraglio,
subito chiuso dal nuovo premier Olmert che metteva in primo piano la sicurezza d’Israele.
4.La Turchia moderna
Nata dagli sforzi di Kemal. Ponte tra Europa e Medio Oriente che necessita di
narrazione specifica. Nella seconda guerra mondiale era rimasta neutrale dichiarando
guerra alla Germania solo nel 1945.
Durante la Guerra fredda assunse una posizione filo-occidentale, entrò nella NATO
e nel Patto di Baghdad, fu in grado di sviluppare una politica internazionale protetta. La
politica estera è caratterizzata dal nazionalismo turco, fortificatosi sempre di più, e dalla
rivalità con la Grecia. La questione più spinosa è stata quella di Cipro, stato autonomo a
minoranza turca. Nel 74 il tentativo di annessione della Grecia le diede la scusa per formare
una piccola Repubblica turca nel Nord dell’isola, riconosciuta solo dalla Turchia. I rapporti
tra le due si distesero solo nel 1999 quando la Grecia le inviò aiuti in seguito al terremoto.
Il nazionalismo turco cambiò allora indirizzo politico con l’arresto di Ocalan, capo
della resistenza curda. Partiva il tentativo di assimilazione e turchizzazione del Kurdistan
spartito nella 1GM tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. La lotta contro i curdi aveva visto azioni
simili a quelle di Hussein in Iraq ma gli alleati non diedero sanzioni. In epoca più recente
l’attenzione si è concentrata all’interno del proprio paese, per permettere l’ingresso nell’Ue.
I negoziati si sono aperti nel 2005, e ciò ha riaperto diversi temi:

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- Ritorno all’islamizzazione della politica turca. Dopo Kemal erano state riaperte le
scuole coraniche. Nel 1997 i militari, custodi della laicità fanno finire l’avventura
di Erbakan leader del fronte islamico, ma nel 2002 gli islamici del partito “giustizia
e sviluppo”, più moderati, vanno al potere.
- Instabilità finanziaria del paese
- Politicamente la Turchia non è ancora democratica

28.LA COSTRUZIONE DEL NUOVO MEDITERRANEO


1.L’11 settembre e il Mediterraneo
2001 attacco terroristico da parte di Al Qaeda, organizzazione guidata dallo sceicco
saudita Osama Bin Laden fu considerato fin da subito uno spartiacque epocale. Aerei dirottati
in Usa sulle torri del World Trade Centre e il Pentagono diffusero in Occidente l’idea
d’insicurezza.
L’episodio non fu improvviso e immotivato. Le contraddizioni dell’unica superpotenza
dopo la Guerra Fredda aveva mantenuto un’agitazione in Medio Oriente, ad esempio la pace
tra israeliani e palestinesi era stata incoraggiata timidamente fino al fallimento di Camp David.
Nei paesi islamici, anche dopo la guerra di Saddam Hussein, vi era la percezione degli Usa
come male estremo egoista. L’azione di Bin Laden era quindi l’esportazione del terrorismo
islamico fondamentalista degli anni 90.
George w. Bush figlio di Bush della guerra del Golfo sviluppò una politica di risposta
aggressiva con il consenso dell’opinione pubblica americana; egli richiamò l’art.5 della NATO
→attacco armato contro un alleato è attacco vs tutti → era la prima volta che si ricorreva
a questa clausola. Sull’onda emotiva i paesi europei alleati, i paesi arabi moderati (Arabia
Saudita), Cina, Russia, Giappone e Pakistan appoggiarono la missione in Afghanistan che
aveva accolto Al Qaeda. Fu una sorta di crociata, scontro di civiltà tra occidente e Islam.
Quest’azione aiutava a legittimare una nuova guerra contro l’Iraq di Saddam Hussein accusato
di avere armi di distruzione di massa e alleato di Bin Laden (accuse false). La seconda guerra
del Golfo significava un allargamento del fronte di guerra in Medio Oriente in funzione della
politica d’influenza Usa ambigua e poco chiara. Per questo l’Occidente, con la defezione di
Francia e Germania e la protesta dell’opinione pubblica, mostrò delle perplessità.
I Paesi Arabi si erano convinti dell’infondatezza delle accuse a Saddam e di essere
vittime di mire per lo sfruttamento delle risorse petrolifere. Al Qaeda era stata condannata
dagli islamisti moderati, ma dopo questi avvenimenti si diffuse a macchia di leopardo
diventando incontrollabile→ attacchi terroristici Madrid e Londra 2004-2005. Per fortuna
l’opinione pubblica europea smorzò i toni dello scontro tra culture→ Zapatero in Spagna a
patto di rapida uscita da missioni.
L’opposizione araba a Usa e GB rimaneva forte anche visti gli scandali delle missioni:
uccisioni sommarie, stupri che rafforzavano la convinzione della necessità di una jihad.
L’esecuzione di Saddam e la soluzione della missione in Afghanistan non misero fine a questo
clima, anzi, lasciarono vuoti di potere.
2.Il Mediterraneo europeo
gli allargamenti dell’Ue a inizi 2000 ebbero un forte impatto sulla mappa geopolitica
del Mediterraneo e del Caucaso. Gli allargamenti degli anni 80 erano stati dettati dall’esigenza
di marcare il ritorno per quei paesi alla democrazia, quelli dopo la fine del blocco sovietico
invece avevano come obiettivo l’unificazione europea fino a farla coincidere con il continente.

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Per questo le frontiere europee sono oggi considerati luoghi di passaggio che devono essere
sempre aperti, ma ciò implica che non devo considerare il mio vicino come un nemico.
Nel 2005 molti paesi ex sovietici entrarono a far parte dell’Unione, come anche Cipro e
Malta. Nel 2007 si passava all’Europa a 27 con Bulgaria e Romania.
Per aderire all’Ue un paese deve soddisfare i criteri di Copenaghen, adeguandosi
economicamente, politicamente e culturalmente. Quindi il problema attuale della politica di
allargamento è rappresentato dal Mediterraneo, inteso come i Balcani e i Paesi Terzi.
L’adesione dei Balcani e della Turchia pone però problemi di natura culturale. La Turchia è
un paese complesso e l’adeguamento ai criteri europei richiederà tempo, inoltre in Europa non
tutti sono d’accordo all’ingresso, sia per il caso cipriota e curdo, sia per l’instabilità delle
istituzioni. In 50 anni i militari sono intervenuti almeno 3 volte come difensori della laicità
turca.
La regione balcanica è per ragioni storiche un naturale alleato dell’Europa, e si mira alla
sua pacificazione accogliendola in Europa, incentivandola ad attivare politiche di riforma. Ci
sono anche dei problemi naturalmente, come la lotta alla criminalità organizzata e il
contenimento dei flussi migratori. Tuttavia l’esclusione dall’Europa significherebbe un
pericoloso buco nero nella cooperazione di tutta l’area mediterranea.
Evoluzione dei paesi mediterranei già da tempo comunitari: l’unione monetaria del 1999
fu molto importante poiché, sebbene alcuni paesi come l’Italia ne pagarono le conseguenze,
mostrò una comunione d’interessi tra paesi continentali e rivieraschi, interpretando il problema
del mediterraneo in chiave comunitaria. Questo avviene oggi a 2 livelli: interno cioè il
Mediterraneo europeo e esterno cioè i rapporti con i paesi Terzi. La politica unitaria europea
è infatti andata nella direzione di pacificazione delle conflittualità. Alcuni ironicamente
dicono che l’Ue è così interessata ai suoi vicini solo perché appunto sono dietro l’angolo.
3.Verso il 2010:una valutazione del dialogo euromediterraneo
3 conferenze euromediterranee tra il 1995 e il 2001 per definire i processi del
Partenariato ma non ci sono stati risultati apprezzabili.
Nel 2002 quinta conferenza a Valencia ha come uno dei focus la sicurezza, e si risentì
della tensione dell’area mediterranea minata dalla lotta al terrorismo con gli Usa.
2003 anno di presidenza di Grecia e Italia (rivieraschi) sesta conferenza a
Napoli→importanti risultati: Assemblea parlamentare euromediterranea e Fondazione
Euromediterranea per il dialogo interculturale.
Nuova fase di stallo: crescente diffidenza tra le due sponde per inconciliabilità sul tema
del terrorismo. Molti vedono un’eurocentricità del progetto, scettici nei confronti
dell’assistenza e credono che i media portano a sognare l’Occidente.
La sicurezza ha primaria importanza e ha ruolo primario negli interessi europei per il
Mediterraneo, ma è anche il terreno dove sono più visibili le rivendicazioni terroristiche.
Questo pregiudica il dialogo politico. 2005 vertice a Barcellona più di un capo di stato arabo
non aderì perché si doveva parlare di sicurezza, poiché c’era divergenza nella definizione di
terrorismo. Per i paesi arabi si doveva distinguere tra terroristi e partigiani, coloro che per
liberare la nazione dall’occupante compiono stragi e si avvalgono solo strumentalmente del
terrorismo→ non accettata dagli europei a cui richiamava l’idea dei partigiani.
Il più antico dei problemi legati alla sicurezza è il conflitto arabo-israeliano. Dopo la
seconda Intifada Siria e Libano boicottarono la Conferenza Euromediterranea di Marsiglia
come protesta ai bombardamenti israeliani in Libano del sud→saltò adozione di una strategia
comune per il Mediterraneo. Nella Dichiarazione di Siviglia del 2002 viene chiarita a parole
la posizione europea: fine occupazione israeliana e creazione stato palestinese sovrano libero.

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Nel 2003 l’azione di UE, Usa, Russia e Nazioni Unite diedero vita al progetto di pace Road
map articolato in 3 fasi con accanto una task force con aiuti europei per accompagnare la
Palestina nella transizione democratica.
Ma tali progetti fallirono.
2004 viene creata la PEV Politica Europea di Vicinato: pace e stabilità attraverso
intesa e cooperazione. Rapporto privilegiato con coinvolgimento reciproco nella difesa,
realizzazione e promozione di valori comuni. Elemento chiave sono gli accordi bilaterali.
2006 ottava conferenza euromediterranea provava a rilanciare il dialogo.
2007 UPM Unione per il Mediterraneo progetto per rilanciare il dialogo voluto da
Sarkozy nel momento di particolare difficoltà con il Maghreb. Critiche di opportunismo
riguardo alla posizione francese, ma anche ottimismo per l’alto numero di adesioni cioè 43
paesi europei e non più la Libia di Gheddafi come osservatore.
L’UPM è stato poi un tentativo di rilancio in vista di uno degli obiettivi di Barcellona,
entro il 2010 si sarebbe dovuto realizzare il primo obiettivo del Partenariato: zona di libero
scambio nel mediterraneo.
Fine 2008 gli stessi elementi che avevano arrestato il processo di Barcellona a fine anni
90 si ripresentano: conflitto arabo-israeliano con attacco di Israele a Gaza spinse Mubarak
(presidente insieme a Sarkozy dell’Unione) a chiedere la sospensione degli incontri
dell’Unione per il Mediterraneo.

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