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Storia

Henri Pirenne
Storia economica e sociale del Medioevo
1936

PERCHÉ LEGGERE QUESTO LIBRO

Storia economica e sociale del Medioevo si pone come una delle opere più significative di
Henri Pirenne, tanto da configurarsi come un modello per tutta la successiva storiografia
sull’età di mezzo. Il grande storico belga mette in luce la rottura dell’equilibrio economico
dell’antichità provocato dalle conquiste arabe, la conseguente chiusura dell’economia
europea, e la rinascita commerciale a partire dall’XI secolo grazie all’intraprendenza spesso
eroica del nuovo ceto dei mercanti, dal quale nascerà la borghesia e una sorta di sistema
precapitalistico. La lettura di questo libro risulterà illuminante per chi vorrà approcciare con
uno sguardo nuovo la storia di un periodo spesso misconosciuto o equivocato. Pirenne
fornisce infatti delle chiavi di lettura, degli spunti e delle suggestioni del tutto nuove ed
innovative che consentiranno, soprattutto ai non addetti ai lavori, di rimettere in
discussione gli stereotipi convenzionali su questo periodo fondamentale della storia
europea.
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PUNTI CHIAVE

 Il mondo classico dura sino al VII-VIII secolo e termina solo quando gli Arabi si insediano
nel Mediterraneo
 Il dominio arabo nel Mediterraneo provoca la chiusura e la regressione economica
dell’Europa occidentale
 Dopo l’anno 1000 si registra tuttavia una forte ripresa della vita commerciale
 Il rilancio dei traffici promuove il rinnovamento della vita urbana
 Nello stesso periodo si afferma la circolazione dell’oro e dei titoli di credito
 Nei secoli centrali del Medioevo si diffonde il commercio marittimo a lunga distanza
 Contemporaneamente si sviluppano le Corporazioni delle arti e dei mestieri
 Nei secoli XIV e XV inizia una fase di declino, contrassegnata da catastrofi e da
turbamenti sociali
 In questi secoli si rafforzano anche il protezionismo corporativo nelle città e le politiche
mercantiliste dei principi
 L’internazionalismo medievale cede il passo alle contrapposizioni tra i diversi Stati

RIASSUNTO

Il volume, composto da una introduzione e da sette distinti capitoli, tratteggia il dipanarsi


della storia economica medievale, focalizzando l’analisi sulle cause, le logiche e le
dinamiche che originarono la ripresa del secolo XI e che attivarono la crescita e il progresso
dei secoli a seguire. L’assunto da cui prende le mosse lo storico belga è che la frattura vera
e propria tra il mondo antico e l’inizio dell’età di mezzo non sia tanto da ricondursi, sulla
scorta dell’interpretazione ortodossa, alla caduta dell’Impero romano d’Occidente, fissata
normalmente nel 476 d.C. (anno in cui Odoacre depose Romolo Augusto), ma piuttosto
all’invasione del Mediterraneo da parte degli Arabi, che si registrò nei secoli VII e VIII:
«Furono necessari il brusco ingresso in scena dell’Islam nel corso del VII secolo e la sua

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conquista delle coste orientali, meridionali e occidentali del grande lago europeo per
collocare quest’ultimo in una situazione completamente nuova, le cui conseguenze
dovevano influire su tutto il corso ulteriore della storia» (p. 34).

A fronte di questa invasione si assisterà ad una vera e propria cesura della ultramillenaria
civiltà del mondo classico, isolando di fatto l’Occidente latino e cattolico. Da quel momento
il Mare nostrum non potrà più essere configurato come il ponte naturale gettato tra i paesi,
i popoli e le culture diverse che si affacciavano sullo stesso: divenne al contrario una
barriera invalicabile.

La rinascita del commercio

La ingombrante presenza araba – che condusse all’isolamento, alla stagnazione e al


deperimento generalizzato dei territori che ne furono afflitti – cagionò delle pesantissime
ripercussioni soprattutto nel bacino Occidentale del Mediterraneo. Il Mar Adriatico, il Mar
Jonio e il Mar Egeo non patirono la stessa sorte, specie in virtù del fatto che le flotte
bizantine riuscirono nell’impresa di respingere gli invasori islamici. E di fatto, la civiltà –
intesa come il prosperare delle città, il fiorire delle attività imprenditoriali e lo sviluppo dei
traffici e dei commerci – non era affatto scomparsa in queste plaghe d’Oriente, a differenza
di quanto accadde invece in seno all’Impero Carolingio: «Passando dal secondo al primo, in
realtà si passava in un altro mondo. Nel mondo bizantino, l’evoluzione economica non era
stata bruscamente interrotta dall’irruzione dell’Islam» (p.46).

È proprio la presenza di Bisanzio e dei poli commerciali situati in quelle terre che stimolerà
e sosterrà lo straordinario sviluppo del commercio marittimo, necessario per far fronte al
vettovagliamento di una metropoli di circa un milione di abitanti. E nell’ambito di questo
incessante processo di ripresa, si staglia, fiera ed indomita, la figura di Venezia: sin
dall’inizio, «la città della laguna si impegna, con tutti i mezzi, con un’energia e un’attività

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sorprendenti, a promuovere quel commercio marittimo che è condizione stessa della
sua esistenza» (p. 47).

A far da contraltare agli scenari mediterranei, dalla metà del IX secolo in avanti si può
assistere ad uno spettacolo per certi aspetti comparabile per la presenza di alcune analogie
di fondo nei due mari interni dell’Europa settentrionale. Una volta cessate le incursioni
piratesche dei Normanni, nei territori prospicienti il Mare del Nord e le coste scandinave,
quello stesso popolo si trasformò in un popolo di abili mercanti. Le loro rotte commerciali
si irraggiarono praticamente ovunque: da ovest (impero Carolingio, Inghilterra, Isole
Britanniche) a est (Califfato di Baghdad, regno Bizantino) passando per la Russia, il Mare
del Nord e il Mar Baltico divennero straordinari crocevia per ogni genere di movimento
commerciale. Gli Scandinavi esportavano verso settentrione merci quali spezie, vini, seta e
oggetti di oreficeria in corrispettivo del miele, delle pellicce e degli schiavi che prendevano
la via opposta.

Ma la fioritura degli scambi marittimi, che sancirono la vera e propria rinascita del
commercio a livello continentale, non potrebbe dirsi completa se non si annoverassero le
vicende di Pisa e Genova, e in minor misura di altre città della Provenza e della Catalogna:
attratte in maniera irresistibile dalla prosperità e dal benessere che l’attività mercantile
aveva originato tanto a Venezia quanto nell’Europa settentrionale, e spinti ancor di più
dallo spirito di rivalsa e dall’odio nei confronti degli infedeli, esse riuscirono a sferrare
contro l’Islam un poderoso attacco che sfociò nella intrapresa delle Crociate e che le
condurrà, a partire dall’XI secolo, a strappare ai Saraceni il dominio del Mar Tirreno.

La rivoluzione urbana

Se si escludono le città dell’Italia meridionale e Venezia, fu proprio in concomitanza


dell’invasione islamica sulle coste del Mediterraneo occidentale che si registrerà una vera
e propria contrazione della vita urbana nei territori oggetto di conquista: «Materialmente

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le città sopravvissero, ma persero la loro popolazione di artigiani e di commercianti e con
essa tutto ciò che ancora resisteva dell’organizzazione municipale dell’Impero romano» (p.
66).

Di fatto, in ragione del protrarsi dello stato di insicurezza e delle molteplici insidie cui le
popolazioni erano esposte, le vecchie mura delle città venivano impiegate quasi
esclusivamente in chiave difensiva, e la gran parte delle terre dell’Europa occidentale si
punteggiarono di castelli e di borghi fortificati. Retti da signori feudali, presidiati da una
guarnigione stabile di cavalieri e tenuti in efficienza dai contadini dei dintorni – i quali
venivano cooptati per le opere di costruzione e di ordinaria manutenzione – questi
insediamenti urbani non avrebbero potuto sostentarsi senza l’imprescindibile apporto del
contado circostante, non disponendo di alcuna autonoma attività economica.

È solo con la ripresa del commercio e con il fiorire dei traffici che questi conglomerati
potranno modificare profondamente il proprio volto. A partire dal X secolo i mercanti, nel
loro indefesso peregrinare da un luogo all’altro, si avvalsero delle funzioni protettive
garantite da codesti fortilizi – disseminati un po’ ovunque sul corso dei fiumi o lungo le vie
naturali che percorrevano – in cui potevano sostare o trovare riparo dagli innumerevoli
rischi (scorribande, rapine, assalti) cui erano sottoposti. In tal modo, gli insediamenti situati
in punti geografici strategici e funzionali alle rotte commerciali divennero siti di elezione,
tanto per il transito quanto per il soggiorno, di una moltitudine sempre crescente di uomini
e di merci al seguito.

Ben presto, però, la presenza divenne così importante ed ingombrante che i mercanti, non
riuscendo più a trovare spazio all’interno del borgo fortificato, furono costretti ad insediarsi
al di fuori delle mura, erigendo un nuovo borgo esterno, altrimenti detto “sobborgo”: «Così,
accanto alle città ecclesiastiche o alle fortezze feudali, nacquero agglomerati mercantili i
cui abitanti si dedicavano a un genere di vita in pieno contrasto con quello che conducevano
gli uomini della città vecchia» (p. 68).

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Questo fenomeno, però, recò con sé degli ulteriori effetti espansivi ed innescò un evidente
circolo virtuoso: l’afflusso di mercanti costituì una irresistibile dinamica attivante per gli
artigiani e per i fabbricanti, i quali cominciarono a migrare spontaneamente verso i nuovi
centri urbani, divenuti nel frattempo attraenti luoghi di mercato, in cui avrebbero avuto
maggiori opportunità di sbocco per le proprie produzioni.

Ed è proprio in questo contesto che si realizza una fondamentale cesura: i nuovi


insediamenti urbani erano popolati da ceti emergenti che, animati da un fervido dinamismo
e spinti da una irresistibile propensione all’esplorazione ed all’intrapresa, alla luce della
concreta possibilità di migliorare sensibilmente la propria condizione di vita, ambivano a
forgiare un mondo differente, in netto contrasto rispetto alle coeve società agricole: un
mondo caratterizzato da rapporti dinamici e da una effettiva mobilità sociale, che
contrastava nettamente con la fissità dei legami sclerotizzati e con le logiche ossificate in
cui solo la terra garantiva l’esistenza.

Non c’è da stupirsi, pertanto, se le opportunità di emancipazione economica e sociale


offerte dal nuovo genere di vita divennero un’attrattiva irresistibile non solo per gli
emarginati, i senza terra, o i parecchi servi desiderosi di dismettere le catene degli odiosi
obblighi feudali, bensì anche per coloro che intendevano riscattarsi ed elevarsi, facendo
aperto affidamento sui fattori di progresso e di sviluppo quali l’iniziativa, l’audacia, il rischio
e l’industriosità.

Lo sviluppo dei movimenti commerciali, della circolazione monetaria e del credito

È nella parte centrale del saggio di Pirenne che si analizzano con estrema accuratezza i
principi e le dinamiche che furono alla base della rinascita della vita commerciale dell’età
di mezzo. Una vitalità che, agli occhi dell’osservatore moderno, può apparir ancora più
sorprendente, date le difficoltà e gli impedimenti – di carattere materiale ed oggettivo –

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che all’epoca si frapponevano alla circolazione di uomini e cose. Strade dissestate,
passaggi insidiosi e malsicuri, mezzi di trasporto precari, accessibilità delle vie di
comunicazione (terrestri e fluviali) pesantemente condizionata dalle condizioni climatiche
(siccità estive e gelate invernali), sussistenza di odiosi privilegi fiscali che gravavano sui
transiti (cosiddetti “telonei”): erano tutti elementi, questi, che costituivano parte
integrante del contesto operativo in cui si dovevano muovere i mercanti.

Ma questi ostacoli non fermarono il loro slancio energico e il loro spirito d’intrapresa vocato
all’esplorazione e animato dalla ricerca del profitto: dalle Fiandre ai Paesi Bassi, passando
per la Germania e l’Italia centro-settentrionale, lo spettacolo è pressoché similare. Sin dai
secoli X e XI i mercanti, per garantirsi sicurezza, si ingegnarono per crearsela: «la sicurezza
esisteva solo a prezzo della forza, e la forza era data dall’unione» (p.113).

Essi, pertanto, intraprendevano le rotte componendo delle vere e proprie carovane armate
(denominate, in base ai luoghi di origine, frairies, charités, compagnie, gilde, hanse). «I loro
membri, armati di archi e di ‘gladii’, fanno quadrato attorno ai cavalli da soma e ai carri
carichi di sacchi, di balle, di casse e di botti. In testa cammina il portainsegna (shildrake).
Un Hansgraf o un decano esercita la sua autorità sulla compagnia. Quest’ultima si compone
di ‘fratelli’, legati gli uni agli altri da un giuramento di fedeltà. Uno spirito di stretta
solidarietà anima tutto il gruppo. Le merci, secondo ogni apparenza, sono comprate e
vendute in comune e i profitti ripartiti in proporzione all’apporto percentuale dato da
ciascuno» (p.113).

Parallelamente, il costante sviluppo di questo commercio itinerante e nomade favorì e


promosse l’espansione e il consolidamento di nuovi luoghi di incontro e di scambio, capaci
di accogliere in tutta sicurezza la miriade di uomini che veniva da ogni dove per procacciarsi
buoni affari. Erano le fiere e i mercati, che ben presto divennero elementi caratterizzanti
del paesaggio economico medievale, e che raggiunsero il loro apogeo nel corso del XIII
secolo. «Potrebbero essere in un certo senso paragonate a esposizioni universali, poiché

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non escludono niente e nessuno; ogni individuo, qualunque sia la sua patria, ogni
oggetto negoziabile, qualunque sia la sua natura, ha la garanzia di esservi ben accolto» (p.
116).

La loro importanza declinò in maniera costante nel corso dei decenni successivi,
allorquando la fisionomia dell’organizzazione economica commerciale mutò
profondamente: i progressi registrati nell’ambito della sicurezza e il maggior grado di
specializzazione e di istruzione raggiunto dai mercanti, quasi più simili ora a degli
“imprenditori stabili”, determinarono l’abbandono progressivo del commercio ambulante,
a tutto favore di abitudini più stabili.

D’altro canto, è fuor di dubbio che l’effervescenza commerciale che contraddistinse il


periodo stimolò l’insorgenza e l’espansione di due fenomeni tra loro correlati: il prosperare
dei flussi commerciali, infatti, non solo restituì vigore alla circolazione monetaria e alla
mobilità del denaro, che aveva stagnato per secoli attorno ai suoi centri di emissione, ma
favorì altresì l’emergere del credito commerciale nelle sue diverse forme – da quelle
societarie della commenda all’assicurazione marittima, dal prestito ad interesse allo sconto
cambiario.

Di fatto, la rinascita del commercio, riscoprendo la produttività del capitale mobiliare, fece
sorgere dei problemi ai quali si cercò di dare risposte soddisfacenti attraverso il ripristino
di un adeguato livello qualitativo e quantitativo della moneta circolante, soprattutto
argentea, così come la creazione di nuove monete: il grosso veneziano fece da battistrada
alla fine del XII secolo. Anche il conio dell’oro servì a risanare una situazione divenuta ormai
ingestibile per la estrema frammentazione monetaria e per il proliferare delle usurpazioni
e degli abusi perpetrati da re e principi, i quali, arrogandosi la loro prerogativa sovrana sulla
moneta, tendevano costantemente ad alterarne il valore e ad imporne arbitrariamente dei
corsi fittizi. Oltre a queste soluzioni dirette vennero inventati dei rimedi mediati ed

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alquanto raffinati come i nuovi strumenti di credito, di cui i mercanti italiani furono
insuperati maestri.

I cambiamenti nel Trecento e nel Quattrocento

L’inizio del ‘300 può essere considerato la fine del periodo di espansione dell’economia
medievale. Fino ad allora i progressi erano stati continui in tutti i campi. La prova di questo
arresto della crescita economica si coglie innanzitutto nel fatto che il commercio
internazionale cessa di espandere la sua sfera di influenza. Per supererà i suoi attuali confini
geografici bisognerà aspettare l’epoca delle grandi scoperte geografiche di fine ‘400. Anche
la decadenza delle fiere della Champagne si può far risalire ai primi anni del XIV secolo,
mentre in Italia la maggior parte delle banche che hanno a lungo dominato il commercio
precipitano in clamorosi fallimenti. La colonizzazione tedesca verso est si ferma alle
frontiere della Lituania e della Lettonia. Più in generale la popolazione europea cessa di
crescere, e questa stasi costituisce il sintomo più significativo dello stato di una società
ormai stabilizzata che ha raggiunto il suo massimo limite.

Responsabili di queste battute d’arresto sono in gran parte le catastrofi che si verificano in
quest’epoca. La carestia che prostrò l’Europa intera dal 1315 al 1317 causò probabilmente
disastri superiori a tutte quelle che l’avevano preceduta, per non parlare della terribile
peste nera che si abbatté, trent’anni dopo, su un mondo appena rimessosi da quella prima
calamità. A questi disastri della natura se ne aggiunsero altri dovuti alla politica: l’Italia è
straziata da guerre civili per tutto il secolo; la Germania è in preda all’anarchia politica
permanente; la Guerra dei Cent’anni conduce alla rovina la Francia e l’Inghilterra; una serie
di jacquerie e rivolte contadine antifeudali infiammano le Fiandre dal 1323 al 1328, la
Francia nel 1357 e l’Inghilterra nel 1381.

Nelle città acquista forza il protezionismo corporativo. Tutti i gruppi industriali concordano
nella volontà di rafforzare il più possibile il proprio monopolio e di schiacciare ogni

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possibilità di concorrenza. Il consumatore è ormai completamente sacrificato al
produttore. Anche i principi, per quanto la concezione di un’economia nazionale sia ancora
estranei ai governi, si ispirano all’esempio delle città nel tentativo di proteggere i loro
sudditi dalla concorrenza estera. Inizia così la politica mercantilista, un’evoluzione che a
lungo andare, rompendo con l’internazionalismo medievale, pervaderà gli Stati moderni,
contrapponendo gli uni agli altri di un particolarismo altrettanto esclusivo di quello
espresso per secoli dalle città.

CITAZIONI RILEVANTI

La natura contagiosa del commercio


«Era impossibile che l’Europa continentale non avvertisse ben presto la pressione dei due
grandi movimenti commerciali che si manifestavano nella sua periferia, uno nel
Mediterraneo occidentale e nell’Adriatico, l’altro nel Baltico e nel Mare del Nord.
Rispondendo alla sete di avventure e al fascino del guadagno insiti nell’indole umana,
l’attività commerciale è per sua stessa natura contagiosa» (p.54).

La comparsa degli ‘uomini nuovi’


«La differenza essenziale che contrappone i mercanti e gli artigiani delle città nascenti alla
società agricola in seno alla quale fanno la loro comparsa sta nel fatto che il loro genere di
vita non è più determinato dal loro legame con la terra. In tal senso essi costituiscono, nel
pieno significato della parola, una classe di sradicati. L’attività commerciale e l’attività
industriale, che fino ad allora erano state soltanto occupazioni accessorie o intermittenti di
addetti feudali, la cui esistenza era assicurata dai latifondisti che li avevano alle proprie
dipendenze, diventano ora professioni indipendenti. Coloro che le esercitano sono
incontestabilmente ‘uomini nuovi’» (p. 70).

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Ritorno all’oro
«Si può dunque ritenere che, con l’avvento del grosso, si apra una nuova fase nella storia
monetaria. Non c’è rottura con il sistema carolingio, ma un semplice sforzo di adattarlo ai
bisogni del commercio, e il successivo ritorno alla moneta aurea è un’ulteriore prova della
necessità di fornire al commercio uno strumento di scambio in grado di far fronte alle sue
crescenti esigenze» (p. 131)

L’AUTORE

Henri Pirenne, storico belga nato a Veviers nel 1862, può sicuramente essere annoverato
tra i più brillanti ed acuti studiosi del Medioevo di sempre. Formatosi culturalmente
all'università di Liegi, completò in seguito la sua formazione in Francia ed in Germania
(Parigi, Berlino e Lipsia). Nel 1885 divenne Professore incaricato all'università di Liegi e solo
un anno più tardi fu nominato ordinario di storia del Medioevo e di storia del Belgio presso
l’Università di Gand. Distintosi quale una delle più autorevoli voci contro l’occupazione
tedesca nel Belgio nel corso del Primo conflitto mondiale, nel 1916 venne arrestato dai
tedeschi e tenuto in prigionia per due anni. Si spense a Uccle nel 1935. La sua ricerca fu
senz’altro caratterizzata da un curiosità eclettica, ancorché al centro dei suoi studi fu
innanzitutto il tema dell'origine e dello sviluppo delle formazioni urbane (Les anciennes
démocraties des Pays-Bas, 1910; Les villes du Moyen-âge, 1927 [Le città del Medioevo]). La
sua fama è legata soprattutto a due opere specifiche: la monumentale Histoire de Belgique
(7 voll., 1899-1932), in cui Pirenne ha ricostruito il lento e progressivo processo evolutivo

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che ha condotto alla formazione della nazione belga, e il geniale Mahomet et
Charlemagne [Maometto e Carlomagno] (post., 1937).

NOTA BIBLIOGRAFICA

Henri Pirenne, Storia economica e sociale del Medioevo, Newton Compton, Roma, 2012, p.
229, introduzione di Ludovico Gatto, traduzione di Maurizio Grasso.

Titolo originale: Histoire économique et sociale du moyen âge

INDICE DEL LIBRO

La storia economica e sociale di Pirenne, di Ludovico Gatto


Introduzione

I. La rinascita del commercio


1. Il Mediterraneo
2. Il Mare del Nord e il Mar Baltico
3. La rinascita del commercio

II. Le città
1. Rinascita della vita urbana
2. I mercanti e la borghesia
3. istituzioni e diritti urbani

III. La terra e le classi rurali


1. L’organizzazione feudale e la servitù

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2. Trasformazione dell’agricoltura a partire dal XII secolo

IV. Il movimento commerciale fino alla fine del XIII secolo


1. La circolazione
2. Le fiere
3. La moneta
4. Il credito e il commercio di denaro

V. Importazioni ed esportazioni sino alla fine del XII secolo


1. Gli oggetti e le direzioni del grande commercio
2. Il carattere capitalistico del grande commercio

VI. L’economia urbana e la regolamentazione dell’industria


1. Le città come centri economici. L’approvigionamento urbano
2. L’industria urbana

VII. Le trasformazioni del XIV e XV secolo


1. Catastrofi e disordini sociali
2. Protezionismo, capitalismo e mercantilismo

Bibliografia generale
Indice dei nomi.

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