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La principale opera di filosofia politica dello studioso tedesco Wilhelm von Humboldt,
vero e proprio classico della cultura liberale, è rimasta purtroppo sconosciuta per lungo
tempo al pubblico perché, pur composta nel 1792, venne bloccata dalla censura di
Berlino, che permise solo la pubblicazione di brevi estratti. Nella sua interezza venne
pubblicata solo nel 1851, più di quindici anni dopo la morte dell’autore. Influenzò
comunque notevolmente i pensatori liberali della generazione successiva, a partire
dall’inglese James Stuart Mill. L’obiettivo dell’autore è di stabilire quale siano gli scopi
dell’azione dell’istituzione statale, e quali limiti essa debba porre alla propria attività.
Questa ricerca, secondo Humboldt, ha un’importanza più grande di ogni altra, perché
“coglie lo scopo ultimo di tutta la politica”.
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PUNTI CHIAVE
RIASSUNTO
L’impostazione del saggio risulta subito chiara dalla frase di Mirabeu che Humboldt
appone all’inizio: “Il difficile è promulgare solo le leggi necessarie, restare sempre fedeli ai
veri principi costituzionali della società, stare in guardia dal furore del governare, la più
funesta malattia degli Stati moderni”. Per Humboldt infatti lo Stato deve intervenire il
meno possibile nel libero svolgimento e nella libera crescita della società civile, che ha in
se stessa tante energie, tanto rigoglio e tanta forza da assicurare senz’altro quello
svolgimento e quella crescita, che possono essere solo inceppati e compromessi
dall’intervento della pubblica autorità. Il protagonista della società civile è però
l’individuo. Pertanto, più la sfera d’azione dell’individuo è ampia e libera, e,
La ricerca dei limiti dell’attività dello Stato deve condurre, scrive Humboldt, alla maggiore
libertà delle forze e alla più grande molteplicità delle situazioni. Infatti, solo l’attività e la
varietà creano caratteri individuali poliedrici e ricchi di forza. La felicità dell’uomo
vigoroso e valente si fonda infatti sulla scelta di un fine, e sul suo raggiungimento con
dispendio di forza fisica e morale. La felicità alla quale un uomo è destinato non è
nient’altro che quella che gli procura la sua forza; sono queste le situazioni che sviluppano
l’intelletto e formano il carattere.
L’uomo quindi si rafforza solo quando fa da sé: «L’intelletto dell’essere umano in generale
si forma, come ogni altra sua forza, soltanto tramite la propria attività, la propria
inventiva o il proprio impiego dell’ingegno altrui. Le disposizioni dello Stato tuttavia
implicano sempre, in grado maggiore o minore, la coercizione, e anche quando non è così,
esse abituano troppo gli uomini ad aspettarsi insegnamenti esterni, una guida esterna, un
aiuto esterno più che a cercare da soli le soluzioni» (p. 58).
Per evitare tutti questi problemi, lo studioso tedesco suggerisce di affrontare anche tutti
quei grandi problemi che richiedono un’organizzazione unitaria (come la prevenzione di
grandi calamità, carestie o alluvioni) per mezzo non solo di istituzioni statali, ma anche
che nascano dalla “nazione”, cioè dalla società civile. La soluzione è dunque
l’associazionismo privato. Alle singole parti della nazione, e a essa stessa nel suo
complesso, deve quindi essere data la libertà di vincolarsi tramite contratti.
Un’associazione privata è molto diversa dallo Stato. Solo nella prima vi è una grande
libertà di aderire, di modificarla o di scioglierla, ed è probabile che all’origine tutte le
associazioni statali non siano state altro che associazioni private.
Il problema maggiore è che colui che non è d’accordo con le decisioni di un’associazione
statale non può far altro che emigrare e sfuggire così alla sua giurisdizione: un’opzione
spesso molto difficile da praticare. È meglio quindi se per ogni esigenza vengono create
delle singole associazioni, piuttosto che delle grandi associazioni generali per casi futuri e
indeterminati. Il vero scopo dello Stato, conclude Humboldt, deve quindi essere rivolto a
Sembrerebbe dunque che l’intervento dello Stato produca sempre delle conseguenze
negative nel corpo sociale. Tuttavia vi è, secondo lo studioso tedesco, un campo dove la
sua azione è indispensabile: garantire la sicurezza dei cittadini: «Se quindi sopra ho
negato alla cura dello Stato la competenza in molti ambiti, poiché la nazione può
occuparsi di queste cose altrettanto bene da sola e senza gli svantaggi legati alla cura
dello Stato, devo ora per le stesse ragioni dirigerla alla sicurezza, come unica cosa che il
singolo uomo non è in grado di conseguire con le sue forze» (p. 80).
La discordia tra gli uomini richiede infatti un potere in ultima istanza incontrastato, quale
espresso in senso stretto dal concetto di Stato. Dalla discordia derivano infatti lotte su
lotte. L’offesa esige vendetta e la vendetta è una nuova offesa. Si deve quindi giungere a
una vendetta che non permetta nessun’altra vendetta. La conservazione della sicurezza
contro nemici esterni e dissidi interni deve quindi costituire lo scopo dello Stato, ed
esaurire la sua attività.
Humboldt precisa che l’intervento protettivo dello Stato è giustificato solo in caso di
lesione di un diritto, non nel caso in cui qualcuno arrechi legittimamente un semplice
danno a un’altra persona. La lesione del diritto vi è infatti in generale solo là dove a
qualcuno venga tolta, senza il suo consenso oppure contro la sua volontà, una parte della
sua proprietà o della sua libertà personale. Non devono invece essere limitate o punite,
secondo l’autore, le azioni oltraggiose nei confronti della religione o dei costumi. Colui
che esprime opinioni o compie azioni che danneggiano la coscienza e la moralità
dell’altro, per quanto possa agire in modo immorale, non lede in verità alcun diritto. Chi si
sente danneggiato può infatti allontanarsi da lui, oppure, nel caso non sia possibile, deve
sopportare l’inevitabile disagio del rapporto tra caratteri diversi, e non dimenticare che
forse anche l’altro si sente importunato.
Al contrario, quanto più è inattivo lo Stato, tanto più esiguo è il numero delle violazioni.
Se fosse possibile calcolare esattamente i mali che provocano le istituzioni di polizia e
quelle che esse prevengono, osserva Humboldt, il numero dei primi sarebbe sempre
maggiore. Per tutte queste ragioni egli ritiene che l’azione dello Stato, essendo sempre
legata a limitazioni della libertà, va considerata un “male necessario”.
La miglior costituzione politica è dunque quella «che abbia la minor influenza particolare
e positiva possibile sul carattere dei cittadini e non susciti in loro nient’altro che il
massimo rispetto per il diritto altrui, insieme all’amore più entusiastico per la propria
libertà» (p. 181). Come discriminare le situazioni nelle quali lo Stato dovrebbe intervenire
da quelle, molo più numerose, in cui non dovrebbe? Secondo Humboldt il diritto naturale
delinea chiaramente la linea di confine. Esso infatti disapprova tutte le azioni in cui
qualcuno si ingerisce in modo doloso nella sfera dell’altro; oltre a queste azioni lo Stato
dovrebbe vietare in via preventiva anche quelle azioni che hanno ragionevoli probabilità
di provocare un danno di questo tipo. Ogni limitazione della libertà personale ulteriore
oppure attuata da un’altra prospettiva, scrive lo studioso tedesco, si pone al di là dei limiti
dell’attività dello Stato.
Humboldt elogia quindi il Cristianesimo per la sua opera civilizzatrice sul piano morale, in
quanto fornì «il vero fondamento di tutte le virtù umane», anche se «il fraintendimento di
quella religione introdusse un cieco e intollerante proselitismo fanatico» (p. 93). In ogni
caso lo Stato non dovrebbe ingerirsi nelle questioni religiose, perché così facendo
Può sembrare allora singolare l’elogio che Humboldt fa della guerra, che considera una
delle manifestazioni più utili per la formazione del genere umano, perché nell’affrontare i
pericoli si tempra il carattere, il coraggio e l’energia degli individui, anche a prezzo di duri
sacrifici o della vita. Queste parole dello studioso tedesco non vanno però considerate
un’espressione di spirito militaristico. Egli valorizza solo l’aspetto eroico e individuale
della guerra, ma è contrario agli eserciti permanenti nei quali il soldato è solo un piccolo
ingranaggio in una grande macchina, e dove la sua attività si riduce una semplice
professione di routine. Lo Stato non deve promuovere la guerra, ma non deve neanche
impedire che lo spirito guerriero pervada la nazione, e formi cittadini pronti a lottare per
la loro patria. La guerra del resto sarà sempre presente nelle vicende umane, perché gli
uomini sono sempre uomini e non perdono mai le loro passioni.
Per quanto riguarda le fonti d’entrata dello Stato, egli ritiene che tutte e tre le fonti
possibili (rendite provenienti dalle proprietà pubbliche, imposte dirette e imposte dirette)
presentino qualche svantaggio. In ogni caso lo Stato al quale sono conferiti così stretti
limiti all’attività non ha bisogno di grandi entrate.
Humboldt sin interroga infine su quali siano le migliori strategie di liberalizzazione della
società. Occorre sempre favorire, in ogni modo, la maturazione del sentimento di libertà
negli uomini. Lo Stato dovrebbe quindi mantenere le attuali limitazioni della libertà solo
fino a quando gli uomini, tramite segni inequivocabili, dessero a vedere che le reputano
catene repressive, che sentono la loro pressione e quindi sono ora maturi per la libertà; a
questo punto dovrebbe eliminarle immediatamente. Niente infatti favorisce la maturità
del sentimento di libertà quanto l’esercizio della libertà stessa. Si liberi quindi l’uomo
CITAZIONI RILEVANTI
La regola aurea
«Lo Stato si astenga da ogni cura per il benessere positivo dei cittadini e non vada un
passo oltre il rispetto a ciò che è necessario per la loro sicurezza reciproca e per quella dai
nemici esterni; per nessun altro scopo finale limiti la loro libertà» (p. 74).
NOTA BIBLIOGRAFICA
Wilhelm von Humboldt, “Saggio sui limiti dell’attività dello Stato”, in: Scritti giuridici e
politici, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, a cura di Marina Lalatta Costerbosa, p. 41-
200.
Titolo originale: Ideen zu einem Versuch die Grenzen der Wirksamkeit des Staats zu
bestimmen.
Idee sulla costituzione dello Stato alla luce della nuova Carta Costituzionale francese
(1791), p. 31
Per il progetto di una nuova costituzione per gli ebrei (1809), p. 201