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Nella prassi politica si fa grande uso (e abuso) del concetto di interesse generale,
spesso per legittimare scelte ed azioni e dare un senso razionale a certe prese di
posizioni senza dover ricorrere a troppe giustificazioni.
Il dibattito segue due linee fondamentali: l’utilità e la razionalità.
Nell’ottica dell’”utilità”, la questione viene risolta come “il massimo beneficio
per il maggior numero di persone”; nella prospettiva della “razionalità”, invece,
vengono posti limiti al criterio quantitativo, da cui deriverebbe una “dittatura della
volontà della maggioranza”, la “sintesi finale” non può essere considerata
espressione della volontà generale perché ne rimane estranea la partecipazione delle
minoranze.
Nel corso della storia, pur con termini e caratteristiche diverse, l’interesse
generale è stato oggetto di studi, analisi, diatribe ma acquisì maggior forza soprattutto
a partire dal XVI secolo, in molti casi assumendo il carattere di “ragion di Stato”.
Machiavelli, in particolare, punta ad un ampliamento dello spazio di deroga delle
norme che, sotto la pressione di una qualche emergenza, viene concesso alla politica
in nome di un interesse generale superiore. L'unica ragione evidente, però, è quella di
salvaguardare il potere del “sovrano”, senza tenere in considerazione la volontà
popolare, secondo il principio che “il fine giustifica i mezzi” 1.
Quando chi gode del privilegio di governare parla di bene comune per difendere i
propri interessi specifici, quando il concetto di interesse generale viene usato per dare
utilità e razionalità alle azioni del potere, come argomento decisivo nel processo
1
Interessante, tra i tanti esempi, la posizione del Guicciardini: «Quando io ho detto di ammazzare o
tenere prigionieri e' pisani, non ho forse parlato cristianamente, ma ho parlato secondo la ragione e
l'uso degli stati». La tradizione morale non è più vincolante e spesso si trova in contrapposizione con
le scelte politiche senza che tutto ciò abbia regole e spiegazioni precise, infatti afferma che è impossibile
«allegare ragione perché nell'uno caso si abbia a osservare la conscienza, nello altro non si abbia a
tenerne conto».
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decisionale, risulta inevitabilmente snaturato, compromesso e perde il suo valore: non
dipende più dalla volontà generale ed è funzionale a interessi particolari.
Una minoranza che fa propria l'interpretazione di ciò che è interesse generale ne
fa una questione di potere; si proclama la razionalità delle proprie azioni per
nascondere i reali interessi di un leader, di una élite, di lobby di ogni tipo, di un
partito politico, di poteri economico-finanziari, dello staff di un giudice, di gruppi di
pressione… una “ragion di Stato” camuffata dietro il tanto abusato termine di “bene
comune”.
Gli “interpreti” attuali della volontà collettiva, o almeno di ciò che viene
presentato come interesse di tutti, si rifanno alla democrazia rappresentativa e non più
ai miti o alle interpretazioni religiose del passato, ma ritengono ancora di avere il
brevetto esclusivo di interpretare il senso comune, di determinare l'interesse generale,
la cui garanzia, invece, corrisponde all’insieme sociale, alla società nel suo
complesso, consapevole e cosciente di diritti e doveri, in una sintesi della volontà di
tutti, in cui converge una pluralità di maggioranza e minoranza come salvaguardia
dello Stato di diritto.
Ci si nasconde dietro la “razionalità” di certe scelte (risuona come un eco del
“non ci sono alternative”!) per riaffermare il proprio potere decisionale e difendere
interessi politici, elettorali, economici… Così una minoranza finisce per dominare la
maggioranza e deciderne i destini; nel proporre l'uguaglianza garantita sull’interesse
generale, di fatto, si crea – diritto alla mano – sempre più disuguaglianza.
L’interesse generale non è una verità assoluta rivelata a pochi eletti, tanto meno
quando è nelle mani di chi esercita il potere, è un lungo percorso di un processo di
sintesi d’interessi collettivi al cui interno nessun interesse peculiare deve prevalere.
Anche oggi, nella democrazia rappresentativa, si continua a delegare ad
“interpreti” la comprensione della volontà popolare e ad agire di conseguenza.
È indispensabile trovare meccanismi che rendano inutile (o per lo meno
controllabile) la presenza di questi interpreti, poiché un interesse è veramente
generale solo se espressione della volontà collettiva liberamente espressa.
Troppo spesso, da ormai troppo tempo, gran parte della gente, superficiale e
indifferente, ha finito per mettere nelle mani dei politici un assegno in bianco per
determinare il suo futuro nell’illusione che venga salvaguardato il proprio interesse
personale, senza neppure chiedersi quale esso veramente sia.
I fatti degli ultimi mesi hanno evidenziato come tante percezioni fossero errate e
come sia necessario, e urgente, comprendere che l’interesse individuale passa
attraverso l’interesse della collettività perché tutti possano sviluppare ed esprimere il
massimo delle proprie capacità e diritti.
Dietro il concetto d’interesse generale c’è la persona e la sua dignità, c’è
l’obiettivo di realizzare condizioni di vita che permettano il pieno sviluppo di ogni
individuo e della collettività perché in una società di uomini e donne pienamente
“realizzati” tutti vivono meglio.
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La dignità, in una concezione integrale della persona, deve essere messa al
centro, come fondamento di ogni collettività; l'essere umano viene riconosciuto come
cardine e principio dello Stato e della società, nel rispetto del suo particolare valore,
unito nella garanzia dei diritti di ogni persona e gruppo.
Riassumendo2:
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Cfr. Pablo Acosta, El interés general como principio inspirador de las políticas públicas, Revista General
de Derecho Administrativo n. 41 - 2016
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diritto, di una società matura e unita dove ognuno mette a disposizione degli altri il
proprio frammento.
L’interesse generale deve essere il principio ispiratore delle politiche pubbliche
ma anche la finalità del complesso sociale e dei singoli.
È possibile in Italia avere, riscoprire, seguire un’idea di “interesse generale”? è
possibile riaffermare il valore del bene comune, dei beni comuni?
In caso contrario, dovremmo concludere che l’Italia non è più in grado di
pensare al domani perché il domani è la casa in cui si realizzeranno e troveranno
risposta le utopie, i desideri, i bisogni, le lotte di oggi.
È indispensabile pensare ad un mondo politico differente, a persone adatte, a
progetti radicalmente innovativi, a un’altra idea di paese, scartando il vecchio e
proteggendo il nuovo che, faticosamente, cresce tra le macerie di questo difficile
presente perché non può esser vero che «l'interesse di tutti debba automaticamente e
permanentemente essere ostile all'interesse particolare del cittadino»3, così come
l’interesse individuale debba “essere ostile”, debba porre ostacoli all’interesse di tutti.
Quando, ripetiamo, un potere si arroga il diritto di definire quale debba essere
l'interesse di tutti, escludendo ogni dissenso, il bene pubblico si trasforma in interesse
particolare, che non include ma esclude, cioè esprime l'interesse del più forte. Al
centro dell'attenzione, invece, ci deve sempre essere la persona con i suoi diritti,
bisogni, dignità, superando nuovi e vecchi squilibri per salvare e rinnovare quanto c'è
di costruttivo, di utile e di morale nell'interesse generale.
Il potere è legittimo nella misura in cui rispetta la dignità di ogni uomo e donna,
tutela i diritti inviolabili ad essa inerenti, promuove le condizioni per il libero
sviluppo della personalità, garantisce lo Stato di diritto nell'ambito dell'uguaglianza,
serve a realizzare il valore della giustizia.
La politica deve porsi finalità comuni a individui e gruppi che compongono il
tessuto sociale. Il bene comune si riferisce al beneficio delle persone in quanto
uomini e donne integrati in una comunità; un bene comune considerato nell’ottica
dell'integrazione della persona nella struttura sociale, dell'articolazione di leggi e
modalità per permettere il godimento di diritti individuali e il comune godimento di
quelli pubblici.
«Siamo tutti parte del tutto, l’unione di tutti è il globale. […] Non siamo
uguali, non abbiamo bisogno delle stesse cose, non siamo preparati allo
stesso modo, non abbiamo le stesse capacità, non sviluppiamo gli stessi
livelli di intelligenza e di emotività… per questo è indispensabile iniziare a
includere invece di escludere, razionalizzare invece di disperdere,
rispettare invece di disprezzare, dobbiamo recuperare la visione perduta:
"il tutto è più importante dell'individuo, e l'individuo è una parte
3
Hannah Arendt, Sulla Rivoluzione, ed. Comunità 1983
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inseparabile del tutto"»4.
Non possiamo, inoltre, limitarci a guardare solo alla propria terra, perché ci sono
intrecci indivisibili dai quali dipende il futuro del mondo; non possiamo chiuderci tra
le nostre frontiere e rifiutare tutto ciò che ne è fuori perché se è prioritario come
interesse generale “l’Italia, per gli italiani, la Francia per i francesi, gli americani per
gli USA”… non si va da nessuna parte!
I problemi sul tavolo ieri non sono scomparsi e non si possono nascondere come
polvere insignificante sotto il tappeto del nostro attuale, particolare interesse più o
meno nazionale.
Si possono fare tanti esempi.
Che tipo d’interesse generale è servirsi del Covid-19 come occasione, come
scusa, per lavarsi le mani di fronte a emergenze divenute tragiche normalità?
Del resto, di fronte al dramma dei morti “italiani”, cosa possono importare le
nuove tragedie del Mediterraneo? anzi, è necessario contenere gli sbarchi per
salvaguardare i nostri concittadini!
Ma c’è contraddizione tra proteggere “chi è nella sua terra” e “salvare vite in
mare”? un’azione non esclude affatto l’altra!
Le misure di controllo sull’epidemia vengono strumentalizzate per giustificare la
violazione dei più elementari principi umanitari e degli ordinamenti del diritto
internazionale.
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Pablo Acosta, El interés general como principio inspirador de las políticas públicas, Revista General de
Derecho Administrativo n. 41 - 2016
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L’interesse generale supera ampiamente i confini di uno Stato, diviene sempre
più transnazionale.
In tempi di globalizzazione non ci si può sottrarre all’obbligo di salvaguardare
tutti, indistintamente… viviamo su un’unica Terra anche se, come cantava De André,
il pianto e il riso donati all’umanità non sono stati equamente divisi.
Inoltre, troppe scelte politiche si dimostrano oggi tragicamente sbagliate.
Quanto denaro speso in ciò che non serve alla vita… «perché spendete denaro
per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia?» (Isaia 55,2).
Cosa ce ne facciamo ora di un esercito che non ha armi contro questo “nemico”?
a cosa servono ora droni, aerei e navi da guerra per combattere contro un avversario
che sfugge ad ogni avvistamento?
L’industria delle armi è un baluardo in Italia… contro cosa? Da chi l’Italia deve
difendersi (perché solo questa guerra è permessa dalla nostra Costituzione!!!)?
Non sarebbe più sicuro per gli italiani un letto in più in terapia intensiva che un
aereo militare?
Quanti ospedali, medici, strutture, mascherine, strumenti, guanti, ecc… ecc… si
potevano avere con gli oltre 100 milioni di un F35, con i 40 mila euro sprecati per
una sola ora di volo?
Ripetiamo: quante mascherine, guanti, tute protettive, tamponi, strumenti di
terapia intensiva, ricercatori e scienziati, personale sanitario… potevano esserci per
salvare un numero enorme di persone con i soldi gettati in strumenti di morte che non
“saziano” la vita, strumenti ai quali auguriamo il destino di arrugginire in un hangar,
nella darsena dimenticata di un porto risparmiandoci almeno i costi smisurati per il
loro più breve utilizzo?
Non vale sempre, allora, “prima gli italiani” perché agli italiani ammalati – e
morti – servivano ora ben altre scelte politiche ed economiche!
Nessuno si sente colpevole di aver deriso le tante (anche se ancora troppo poche)
voci che “gridano nel deserto” per il pericolo (un pericolo per gli italiani!)
rappresentato dai tagli alla sanità, alla ricerca, ad una scuola pubblica di “eccellenza”
per formare cittadini preparati, capaci di prendere decisioni, informati, consapevoli?
Una coscienza civile non è solo una forma di educazione ma un diritto-dovere
per creare società sane – in tutti i sensi -.
Certo ad un certo tipo di potere servono “sudditi” non protagonisti! e quando
questo tempo ha dimostrato come sarebbe stato necessario avere una popolazione
preparata e cosciente, non sempre si sono avute le risposte che ci si aspettava.
Essere cittadino è molto più di un documento d’identità o l’appartenenza ad una
collettività, ad avere una “patria”. Ogni essere umano fa parte di gruppi, dalla
famiglia a realtà sempre più complesse, ma oggi le nostre società appaiono fragili,
con legami interpersonali meno stretti, con una condivisione più debole… la “scossa”
che stiamo vivendo può aiutarci a re-imparare a vivere in convivenza costruttiva, a
dare un nuovo volto alle nostre democrazie, a ricompattare habitus democratici, nella
consapevolezza di non essere solo soggetti di diritti ma anche di doveri.
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La somma delle libertà e degli interessi individuali, che si vuol spacciare per
interesse generale, non crea una democrazia, lo fa, invece, la coesione sociale per
realizzare progetti e aspirazioni d’interesse comune; una democrazia si costruisce
attraverso la partecipazione cosciente e responsabile di ognuno e di tutti.
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Le ultime indecisioni e misure contraddittorie creano non poche perplessità e
preoccupazioni circa la gestione politica, economica, sociale del dopo-virus…
suonano inquietanti campanelli d’allarme da non sottovalutare, da monitorare con
attenzione per evitare ogni minaccia di deriva democratica, per salvaguardare libertà
e diritti acquisiti in seguito a lotte e sofferenze ma mai definitivamente garantiti, da
riconquistare giorno per giorno, sempre ma soprattutto ora.
Abbiamo sacrificato (e poteva essere indispensabile!) “libertà” per
“sicurezza”… ma “dopo” cosa succederà?
Invocheremo qualche “uomo forte”, rimasto nell’immaginario collettivo da cui
emerge in momenti in cui, invece, è richiesta una maggiore presenza di tutti?
Saremo capaci di rivendicare la nostra intera libertà?
Sarà possibile addirittura ampliarla se questo tempo ci avrà fatto riscoprire le
responsabilità che tutti abbiamo, la necessità di intervenire, di prendere posizione, di
fare una chiara scelta di campo, di sentirsi soggetti attivi del mondo in cui viviamo.
Il “dopo” può vederci migliori (come hanno dimostrato in questi mesi tantissime
persone) ma anche peggiori, più chiusi ed egoisti, più integralisti e indifferenti a
quanto avviene intorno a noi.
O chiudiamo definitivamente il cerchio in cui ci siamo difesi (e non da oggi) o ci
apriamo ad orizzonti veramente nuovi.
O continuiamo a costruire “muri” nell’illusione di proteggerci, ignorando il
consiglio di Italo Calvino: «se alzi un muro, pensa a cosa lasci fuori» o
iniziamo/continuiamo a costruire ponti per annullare rivalità, sfidare ogni confine e
frontiera, aprirci al confronto, arricchirci di ogni “altro”.
La politica deve essere capace di coagulare la società, di far emergere quanto
unisce ed è comune a tutti, ben al di là del comune pericolo per la vita e la salute, in
un processo di continua crescita verso il “generale”.
I fenomeni che da anni sconvolgono le coordinate mondiali sono emergenze da
affrontare non distanziandosi ma cercando la massima coesione.
Crisi economiche, migrazioni, terrorismo, problemi del lavoro, povertà anche
sull’uscio di casa nostra, disuguaglianza estrema, sfruttamento dissennato
dell’ambiente, distruzione dell’habitat naturale e degli ecosistemi… hanno creato
profonde cicatrici, rotture nel tessuto del sistema affermatosi negli anni e a tutto ciò
non sono possibili risposte parziali, “nazionali”, perché hanno origine e presentano
dinamiche globali. Gli esempi sono infiniti.
Quale futuro?
Il pensiero moderno, da tempo, aggiunge al concetto classico di interesse
generale la responsabilità verso le future generazioni e verso il futuro della Terra,
scoprendo un'«etica della distanza» (Hans Jonas) che s'aggiunge all’”etica della
vicinanza e della contemporaneità”.
Non dimentichiamo che «la differenza tra un politico ed uno statista sta nel fatto
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che un politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime
generazioni» ( Alcide De Gasperi), una differenza che deriva dal contrasto fra
lungimiranza e mediocrità, dall’inclinazione degli uni per l’interesse generale e degli
altri per gli interessi particolari, così come le antitesi vecchio-nuovo, parole-fatti,
passato-futuro, divisione-unità, apertura-rifiuto, populismo-democrazia.
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dipendono da noi, così come noi dipendiamo dagli altri.
Cornelius Castoriadis «fa una distinzione tra l'oikos, cioè la sfera privata, e
l'e cclesia, il foro dei problemi pubblici. In mezzo è l'a gorà, dove pubblico e privato si
misurano e s'incontrano. Stiamo perdendo l'agorà, perché si è indebolita l'ecclesia.
Cioè la nostra ecclesia, lo stato nazione, esercita un potere sempre più limitato»6, e
questo dovrebbe essere un programma/progetto per tutti: riprendersi l’agorà da
protagonisti.
Gramsci disse: «il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a
comparire», è oggi più che mai il momento di transizione tra un ordine fallito – o per
lo meno in profonda decadenza – incapace di rispondere alle sfide attuali di un nuovo
sistema di cui non si riesce ancora ad intravedere bene il modello di sviluppo, gli
obiettivi e le coordinate che devono guidarlo.
Sta a noi, alla nostra coscienza e lotta, tener viva la speranza e impedire che si
avveri quanto temeva Gramsci: «e in questo chiaroscuro nascono i mostri».
Renato Piccini
Paola Ginesi
aprile 2020
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Oreste Pivetta, Ci serve un’etica della distanza, L'Unità - 30 Gennaio 2000
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