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RAWLS E IL LIBERALISMO:

John Rawls è stato uno dei pensatori più importanti della filosofia politica
e morale del ventesimo secolo.
Rawls è stato un pensatore del liberalismo, ovvero quell’atteggiamento
etico-politico che si concentra su dottrine e prassi opposte all’assolutismo
fondate sul principio che il potere dello Stato debba essere limitato per
favorire la libertà d'azione del singolo individuo. Il punto centrale sul quale
si svilupperà la sua riflessione filosofico-politica sarà infatti intorno alla
volontà di armonizzare libertà individuale con la giustizia sociale.
Il liberalismo può essere essenzialmente diviso in due tipologie: da una
parte abbiamo quel liberalismo che può essere definito come “di destra”,
ovvero un liberalismo individualista e protettore dei diritti della persona e
che può anche essere definito come “filo-aristotelico”, in quanto nel II
libro della Politica Aristotele critica fortemente le idee platoniche da cui
deriva il cosiddetto “comunismo platonico”, affermando che gli uomini
preferiscono la proprietà privata e la famiglia rispetto alla comunione dei
beni e dei figli. D’altra parte abbiamo un liberalismo “di sinistra”, un
liberalismo più teoretico, normativo e progettante, basato su norme e
dottrine che potessero regolare la società in modo da favorire lo sviluppo
dell’affermazione del singolo individuo.
Tra queste due tipologie troviamo comunque dei punti in comune come: il
primato della libertà, in quanto le libertà individuali devono essere
garantite per poter parlare di uguaglianza, inoltre, all’interno di una società
la prima cosa deve essere l’uguaglianza di opportunità, la seconda un
principio a favore degli svantaggiati, poiché l’arricchimento individuale e
il miglioramento di sé sono vincolati al benessere di tutti gli altri.
Secondo Rawls il grande problema della filosofia politica è quello di
trovare un’adeguata nozione di giustizia, prioritaria rispetto a quella di
bene nella teoria morale, in quanto se avvenisse il contrario si potrebbe
correre il rischio di non riuscire più ad ottenere una definizione autonoma
e indipendente di giustizia, arrivando a una società di tipo utilitaristico, nel
quale qualsiasi azione, seppur ingiusta, è giustificata al raggiungimento del
bene.
Come già detto in precedenza l’obiettivo di Rawls è quello di armonizzare
la libertà individuale con la giustizia sociale. Con libertà individuale
intendiamo intendiamo il fatto che più individui possano affermarsi
liberamente; giustizia sociale significa invece che c’è bisogno di una
redistribuzione delle ricchezze e delle possibilità, in modo da avere
un’equità socio-economica e delle opportunità. Il più grande problema
all’interno di una società infatti è che gli individui provenienti da contesti
socio-economici avrà più difficoltà rispetto agli altri nell’affermazione di
sé; la condizione preliminare invece è l’uguaglianza nel godimento delle
libertà fondamentali da parte di tutti. Armonizzando questi due principi più
individui possibili potranno infine dedicarsi al fine ultimo, ovvero il
miglioramento e il progresso della società.
Con il suo pensiero Rawls rifiuta due degli approcci più utilizzati fino a
quel momento dalla società di ogni tempo e epoca ovvero l’approccio
particolaristico e, in particolare, quello utilitaristico.
Con approccio particolaristico intendiamo l’atteggiamento di chi rivolge la
propria cura soltanto ai propri interessi, che si traduce in un egoismo a
danno della comunità.
L’approccio utilitaristico invece prevede l’uguaglianza tra bene e utile;
l’idea principale della dottrina è infatti quella che un'azione è intesa come
buona, cioè utile, se produce il più alto grado di felicità per il maggior
numero possibile di persone, ed è quindi accettabile sacrificare alcuni
interessi individuali per una società migliore.
L’approccio utilitaristico è una costante di varie epoche storiche e culture:
all’interno della letteratura greca lo ritroviamo nella tragedia greca di
Sofocle “il Filottete”: all’interno della tragedia infatti il personaggio di
Ulisse non è più il classico eroe omerico, perfetto rappresentate del “kalos
kai agathos”, bensì è presentato come un antieroe meschino, che non si fa
scrupoli ad utilizzare il suo ingegno e la sua astuzia per perpetrare un
inganno e manipolare Neottolemo. I due eroi greci infatti erano stati inviati
dagli achei nell’isola in cui era stato abbandonato Filottete per recuperare
il suo arco, unico modo per gli achei per vincere la guerra di Troia, e
vediamo quindi i due diversi modelli di etica messi in contrapposizione: da
una parte Neottolemo il quale rappresenta i valori degli eroi omerici basati
sull’onore, dall’altra Ulisse il quale agisce secondo quello che è il suo
utile, e quello che è l’utile per la comunità e che non si fa scrupoli ad
utilizzare qualsiasi mezzo per il raggiungimento di questo scopo; egli
infatti rappresenta i valori della sofistica ovvero l’utilizzo delle parole per
perpetrare un inganno, in quanto è giustificabile agire male per il
raggiungimento del bene.
Nella letteratura italiana invece lo vediamo ne “il Principe” di Machiavelli,
nel quale vengono esposte le caratteristiche dei principati e i metodi per
conquistarli e mantenerli. Tra i principi da seguire quello fondamentale è
quello dell’utilitarismo; infatti il principe non deve agire secondo principi
di giustizia universali e sempre validi, bensì agisce secondo quanto è
necessario per mantenere il potere, poiché conseguentemente il
presupposto dell'azione politica deve essere sempre quello di conservare il
potere, ed è quindi autorizzato ad utilizzare qualsiasi mezzo per
raggiungere il suo utile (il mantenimento del potere).
In letteratura inglese lo vediamo con la figura di Jeremy Bentham,
fondatore della dottrina filosofica dell’utilitarismo tra il diciottesimo e il
diciannovesimo secolo, e in particolare l’approccio pedagogico adottato
nelle scuole, il quale era basato sul nozionismo e la ripetizione a memoria
di concetti, nozioni e fatti, e che vedeva negli studenti soltanto dei
recipienti vuoti da riempire con il maggior numero di informazioni
possibile, aspetto che verrà poi fortemente criticato da Charles Dickens
all’interno delle sue opere, come ad esempio in “Tempi duri”.
All’approccio utilitaristico Rawls si oppone con forza all’interno del
trattato “Una teoria della giustizia” del 1971, nel quale egli parte dal
concetto di posizione originaria per individuare dei principi fondamentali
di giustizia che siano equi. Per fare ciò propone un esperimento:
immaginare un gruppo di individui, privati di qualsiasi conoscenza circa il
proprio ruolo nella società, i propri talenti, il proprio livello intellettuale e
culturale, le proprie caratteristiche psicologiche e i propri valori, i quali
però conoscono come funziona la società e quali sistemi economici
esistono. Se questi individui, in tali condizioni, dovessero scegliere
secondo quali principi di fondo deve essere gestita la società in cui vivono,
essi sarebbero costretti a scegliere due determinati principi di giustizia.
1: ogni persona ha un uguale diritto alla più estesa libertà fondamentale,
compatibilmente con una simile libertà per gli altri.
Ciò vuol dire che le libertà fondamentali devono essere godute in egual
misura da tutti, senza alcuna gradualità (o ci sono o non ci sono), e in tutte
le loro forme (libertà politica, di parola, di pensiero, di proprietà privata, di
stampa, di espressione).
2: le ineguaglianze economiche e sociali sono ammissibili soltanto se sono
per il beneficio dei meno avvantaggiati.
Questo è un principio compensativo, ovvero le ineguaglianze in termini
relativi tra i membri della società sono giustificate se comportano un
beneficio, in termini assoluti, anche per i meno avvantaggiati.
Secondo Rawls rispettando questi due principi nessuno nella società
avrebbe né troppo né troppo poco.
A “una teoria della giustizia” furono rivolte numerose critiche tra cui:
l’impossibilità di concepire gli individui come astrattamente sradicati dai
loro valori, dalle loro tradizioni e dall'appartenenza a una comunità e la
mancanza di attenzione verso istituzioni come la famiglia e verso forme di
ingiustizia e discriminazione estranee all'ambito delle costrizioni della
legge.
A queste critiche e ad altre Rawls risponde con il trattato del 1993
“liberalismo politico”, nel quale spiega il metodo più efficace per avere
una società stabile, ovvero attraverso il consenso per intersezione, a causa
del pluralismo ragionevole della società. I singoli individui di una
comunità infatti non posseggono le stesse posizioni morali, religiose o
filosofiche sulle quali si fonda il proprio sistema di valori. Per questo
motivo sarà difficile trovarsi d’accordo con i due principi fondamentali
illustrati precedentemente, e che quindi bisogna trovare una forma di
accordo su alcuni principi che possano essere accettabili anche da chi
professa convinzioni diverse.
Vorrei adesso fare un excursus per analizzare la crisi del liberalismo e
dello stato liberale in Italia nel primo dopoguerra.
Questa crisi comincia subito dopo la fine della prima guerra mondiale, dal
punto di vista morale a causa della cosiddetta “vittoria mutilata”, che causò
grande sconforto e malcontento negli italiani, dal punto di vista socio-
economico a causa di una grande crisi che colpì l’Italia una volta finita la
guerra. Ci fu infatti una riduzione del mercato interno, provocata dal
ristagno economico e la caduta generale del tenore di vita, in
contemporanea con la crisi delle banche, che durante la guerra avevano
concesso consistenti prestiti che non avevano recuperato, quindi non erano
in grado di concederne altri; inoltre le industrie cominciarono a licenziare
gli operai e la disoccupazione aumentò. A causa di questi avvenimenti il
governo cadde, e si formò un ministero liberale presieduto da Francesco
Saverio Nitti. La fragilità di questo nuovo governo però si vide già nel
1919, nel quale, alle elezioni, i liberali non ottennero la maggioranza
assoluta, come era accaduto in passato fino a quel momento, questo a
vantaggio dei socialisti e dei cattolici; in seguito Nitti si ritirò e il re
richiamò al governo Giovanni Giolitti. Quando tornò alla guida del
governo Giolitti tuttavia ci troviamo nel biennio rosso (1919-1920), anni
caratterizzati da scioperi e violente agitazioni da parte degli operai i quali
arrivarono ad occupare ed autogestire le fabbriche, questi infatti
chiedevano il rinnovo del contratto salariale al fine di adeguare gli stipendi
al costo della vita. Di fronte al rifiuto da parte degli industriali, i sindacati
di sinistra indicono uno sciopero bianco che porterà all’occupazione delle
fabbriche. Giolitti cercò un compromesso tra le due parti, non volendo
infatti reprimere con violenza gli scioperi per evitare il pericolo di una
guerra civile, compromesso che però lasciò tutti scontenti: gli industriali si
videro costretti ad accettare il controllo operaio sulle fabbriche e si
sentirono poco garantiti dal governo e gli operai dovettero abbandonare la
lotta ritenendo di avere perso l’opportunità di conquistare maggiore potere
politico.
In questo clima di crisi, tensione e violente agitazioni Benito Mussolini
fonda nel 1919, a Milano, i fasci di combattimento, un movimento di ex
soldati e interventisti inizialmente con idea socialiste (radical-
rivoluzionarie e repubblicaneggianti), ma che ben presto virò verso il
nazionalismo. L’obbiettivo divenne infatti quello di combattere con tutte le
armi possibili il bolscevismo e la minaccia del comunismo, per il
raggiungimento di questo scopo furono istituite delle squadre armate le
cosiddette “camicie nere”, le quali si allearono con i proprietari della
borghesia agraria della Bassa Padania e con gli industriali per combattere i
socialisti. La borghesia industriale infatti si sentiva più sicura servendosi
delle squadre fasciste per combattere i movimenti operai rispetto che
riponendo fiducia nel governo Giolitti. Tuttavia il fascismo non sarà
soltanto uno strumento al servizio della borghesia contro la classe operaia,
ma al contrario, sfruttando il malcontento e la fragilità del governo, il
movimento dei fasci di combattimento si trasformò nel 1921 nel Partito
Nazionale Fascista, il quale si alleò con i liberali di Giolitti per le elezioni
di quell’anno, ma che ben presto riuscì a soppiantare il vecchio partito,
ormai esaurito, e Mussolini, visto come l’unico politico in grado di opporsi
con fermezza ai sempre più intensi movimenti operai, infine sarà incaricato
da re Vittorio Emanuele III nel 1922, dopo la marcia su Roma, di creare il
nuovo governo, dando così inizio alla stagione del fascismo, che sarebbe
durata da lì a più di vent’anni.

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