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5 GENNAIO 1757: L’ATTENTATO A LUIGI XV da Robert Damiens.

Lo splendore dei supplizi: mezzi di prova e esecuzione della pena.

Si ha un Assolutismo: Affermare la sovranità del monarca; celebrare un rituale riparatorio, fornire un


esempio al popolo. Monarchia assoluta: Sovrano per diritto divino. Il Sovrano è titolare dei 3 poteri, non
conosce limiti. Società divisa per ceti: Clero, Aristocrazia, Terzo Stato. Pena dell’Antico Regime era diretta
sul corpo e vi era assenza di proporzionalità tra il reato e la sanzione.

Cesare Beccaria e Illuminismo Penale. Scrive Dei Delitti e delle Pene a Livorno il 1769.

Il Settecento è secolo di rivoluzioni, non solo politiche ma anche giuridiche. Le riforme che avvengono in
campo penale rappresentano gli strumenti per ridefinire una società migliore, più giusta. La sanzione
penale rappresenta lo strumento più evidente attraverso cui concretizzare gli ideali di giustizia che ispira la
società nata dalle Rivoluzioni e ispirata ai principi del liberalismo.

Problema: la natura della sanzione. Critica alla tradizione liberale: l’apparato penale è qualcosa di
imprescindibile, di naturale? NO! Tale apparato è si articola si di una serie di convenzioni sociali che
consentono di definire i confini della liceità e della illiceità.

Limiti dell’approccio liberale: 1) l’opzione liberale ha mirato ad umanizzare l’apparato sanzionatorio, ma


non ha messo in discussione i fondamenti. 2) Ha offerto soluzioni pratiche a problemi contingenti.

Stato di Diritto:

1. Potere del sovrano/Stato deriva dalla volontà del popolo

2. Costituzione che regola e limita tale potere

3. Suddivisione in potere legislativo, esecutivo e giudiziario (Charles-Louis de Montesquieu 1689-


1755)

4. L’ ordinamento tutela la sfera individuale con particolare riferimento alla dimensione civile (libertà
individuale, autonomia negoziale, proprietà privata) e politica (diritto di partecipare alla vita
politica: elettorato attivo e passivo).

5. Eguaglianza (formale) dei cittadini

La Pena nello Stato di Diritto: La responsabilità è necessariamente individuale; La pena incide sull’animo del
condannato; Prevalenza della detenzione e del lavoro forzato; Fiducia nella possibilità di recuperare
l’individuo.

Lo Stato di diritto ha le sue fondamenta nella ideologia liberale e L’ideologia liberale abbraccia una
visione di tipo individualistico.

Individuo: Se buon cittadino: ha il diritto di sviluppare le proprie inclinazioni e realizzare le proprie


potenzialià (es. libertà di iniziativa economica), ha il diritto di esercitare il diritto di voto, di manifestare il
proprio pensiero. Se delinquente: deve prendere coscienza del male cagionato con la propria condotta,
deve essere recuperato alla società .
CRIMINOLOGIA E SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA
La criminologia (Scuola Classica): Il crimine è una patologia che deve essere curata con strumenti clinici: la
criminologia è il sapere che offre gli strumenti più idonei a tale scopo. Lo sviluppo di un corpo di conoscenze
relativo al crimine è andato di pari passo con l’esigenza di umanizzare la sanzione e così rendere la società
più giusta. Limiti della criminologia classica: Si concentra nella descrizione del fenomeno criminale, nella
identificazione degli strumenti più utili alla sua repressione. Ha però trascurato il problema delle cause
della criminalità né si è interrogata sulle finalità delle misure impiegate per reprimerla

La sociologia della devianza: fornire una risposta ai problemi sociali generati dalla Seconda Rivoluzione
industriale. Es criminalità giovanile. Quindi si occupa di analizzare e indagare i comportamenti devianti
all'interno di una società e di rintracciarne delle cause.

EMILE DURKHEIM (1858-1917)

Dibattimento sulla crisi sociale: La destra: occorre rinvigorire le strutture tradizionali. La sinistra: occorre
seguire l’utopia (es. Charles Fourier). Durkheim: i problemi sociali vanno affrontati con metodo scientifico,
ovvero attraverso la sociologia, in modo da trovare soluzioni efficaci.

Differenze tra criminologia e sociologia della devianza e della pena: 1)L’oggetto è il medesimo: una
situazione di patologia sociale; 2)Livello di analisi è diverso: La criminologia si concentra sull’individuo
mentre la sociologia della pena e della devianza sul gruppo sociale; 3)La valutazione dell’ambiente sociale è
diversa: Per la criminologia le condizioni sono presupposte mentre la sociologia della pena e della devianza
non è vincolata al contesto che, anzi, diviene esso stesso oggetto di studio.

Per la criminologia il crimine è una patologia che deve essere curata tramite la sanzione penale. Per
Durkheim il crimine è un fatto fisiologico, un evento ASSOLUTAMENTE inevitabile. Anzi ha la funzione
positiva di attivare quei collanti che tengono assieme la società.

La pena per Durkheim non ha una valore ‘terapeutico’ e non svolge una funzione preventiva. Problema: se
il crimine non è una patologia lo scopo della pena non può essere quello di ‘curarlo’. Allora quale e la
finalità della pena?

Georg Rusche (1900-1950) - Otto Kircheimer (1905-1965)  La funzione dell’apparato repressivo è


ideologica: serve a legittimare uno specifico assetto sociale ed economico.

Anni Sessanta: Mutamenti sociali e politici. Crisi della criminologia: la carcerazione non pare assicurare la
rieducazione del reo, ma neppure le misure alternative, le ammende e gli altri strumenti previsti
dall’ordinamento penale sembrano offrire risultati migliori.
STORIOGRAFIA REVISIONISTA
STORIOGRAFIA REVISIONISTA: L’apparato sanzionatorio è dunque irrazionale. Occorre ripensare
l’evoluzione del sistema punitivo, abbandonando l’idea di uno sviluppo improntato alla umanizzazione della
pena e alla possibilità di controllare il crimine.  Gli ideali riformisti celano interessi di potere.

Michel Foucalt e Massimo Pavarini: Non si può studiare l’apparato sanzionatorio senza prendere in
considerazione il contesto politico ed economico.

Michael Ignatieff: La tradizione riformista a partire dal Settecento ha messo a punto una nozione di potere
come strumento di modificazione della personalità. Lo Stato nel momento in cui eroga una serie di servizi
mira a plasmare il cittadino e a determinarne le attitudini.

Alla base della storiografia revisionista: la Labelling theory (Teoria dell’etichettamento) della Scuola di
Chicago fa parte della sociologia della devianza. Etichettamento: La nozione di devianza deriva dal fatto
che il gruppo sociale ha posto delle regole. L’infrazione di tali regole costituisce, appunto, devianza. La
devianza dunque non è una qualità propria della condotta, ma è il frutto di un ‘etichettamento’, ovvero di
una reazione sociale. Quindi focalizza l'attenzione sul processo di costruzione del criminale non
occasionale che sarebbe favorito, in maniera involontaria e paradossale, proprio dalla reazione della
collettività e delle istituzioni.

I metodi di controllo sociale non devono essere considerati come strumenti ‘reattivi’ (Durkheim), ovvero
come un meccanismo che entra automaticamente in funzione a seguito di un evento specifico. Al contrario
si tratta di una forza attiva che è in grado di configurare l’essenza stessa della devianza.

Differenze all’interno della Sociologia della Devianza: A) Approccio tradizionale (Durkheim)  IL CRIMINE
GENERA CONTROLLO SOCIALE; B) Approccio revisionista  IL PROCESSO E’ INVERSO: il carattere deviante
di un atto deriva dal modo in cui è percepito dalla mentalità pubblica.

Critiche alla Storiografia revisionista: Troppo semplicistica: non si può ridurre il sistema penale ad una
strategia di tipo cospirativo volta a favorire gli interessi di classe.D’altra parte questa lettura ‘egemonica’
oscura il ruolo che i valori e la cultura ha nel porre limiti alle misure penali. Per i critici della storiografia
revisionista la coesione sociale si fonda non solo sul controllo degli apparati pubblici ma anche su di una
serie di valori morali condivisi. La storiografia revisionista ha utilizzato la nozione di controllo sociale in
modo inappropriato, estendendola ai contesti più vari (es scuola, sanità ecc.).

DAVID J. ROTHMAN

David J. Rothman: il rapporto tra valori morali e coesione sociale è particolarmente articolato.

Questo è dovuto alla evoluzione del concetto di controllo sociale. Si possono distinguere tre diversi
correnti: 1) intorno agli anni Venti il concetto di controllo sociale era messo in relazione ai valori morali così
da evidenziare come i fattori di coesione sociale non si basassero sulla coercizione statale, ovvero su di una
imposizione proveniente dall’esterno ma sul consenso. (Herbert Mead); 2) Negli anni Sessanta la nozione di
controllo sociale è stata utilizzata in una prospettiva opposta, ovvero al fine di evidenziare il fatto che la sua
natura è quella di una coercizione occulta. (Michel Foucault); 3) A partire dagli anni Novanta, con Rothman
stesso si è affermata una corrente di pensiero secondo cui: le relazioni sociali non sono necessariamente
relazioni di dominio (si pensi alla famiglia); lo Stato, pur avendo un ruolo centrale non è l’unico agente in
grado di stabilire l’ordine sociale.

SCUOLA NEOCLASSICA
La scuola Neoclassica: il ritorno alla tradizione illuministica e liberale: i tre punti fondamentali sono

1. la limitazione della discrezionalità del giudice al momento della decisione.

2. il riconoscimento della dignità dell’individuo criminale.

3. l’enfatizzazione del valore della libera scelta.

Il pensiero garantista: 1. istituti alternativi alla carcerazione quali l’affidamento sociale, in una cornice di
aiuto e supporto alla rieducazione. 2. la risposta punitiva è del tutto legittima, là dove la rieducazione non è
possibile.

Negli Stati Uniti la corrente neoclassica, pur partendo da premesse garantiste dal momento che ha
interpretato la pena detentiva come una extrema ratio, ha finito poi per legittimare una politica penale
esattamente opposta con elevatissimi tassi di carcerazione.

Il valore della libera scelta: binomio responsabilità individuale/diritto di punire.1) La Scuola Neoclassica
enfatizza la dimensione della libertà e dei diritti. 2)La responsabilizzazione morale e giuridica e dei cittadini
fa riferimento alla sanzione. 3)Diritti degli individui, ma anche diritto della comunità a sanzionare la
condotta illecita.

Circolarità del dibattito sulla pena:

1. Modello liberale incentrato sulla responsabilità individuale

2. Criminologia (Lombroso)

3. Sociologia della devianza (Durkheim): la reazione della comunità al crimine come funzione
anticorpale

4. Teoria dell’etichettamento: la devianza è ‘costruita’ dalla comunità

5. Storiografia revisionista: la sanzione come manifestazione di un assetto di potere

6. La reazione al revisionismo e il ritorno a Durkheim (Rothman): la sanzione e i valori della


comunità

7. La teoria Neoclassica
IL PROBLEMA DEL CONTROLLO SOCIALE
Riflettere sul concetto di controllo sociale significa analizzare il modo in cui la società si organizza.

Il modello liberale si ispirava a due paradigmi filosofico-politici: quello hobbesiano e quello smithiano.

Thomas Hobbes (1588-1679): Il Leviatano 1651. Gli uomini originariamente (stato di natura) si trovano in
una condizione di conflittualità permanente: bellum omnium contra omnes. Per sfuggire a questa
condizione di insicurezza gli individui rinunciano ai propri diritti naturali e con un patto (pactum
societatis/contratto sociale) li attribuiscono a un singolo soggetto (il sovrano oppure anche un’assemblea)
che ha il compito di garantire la pace entro la società. L’ordine è assicurato dal Leviatano, ovvero lo Stato,
che reprime le deviazioni individuali attraverso le sanzioni

Adam Smith (1723-1790): La mano invisibile  L’ordine è garantito dalla mano invisibile del mercato che
assicura la razionale allocazione delle risorse e quindi la pace sociale. L’ordine sociale è spontaneo, non è
imposto dall’esterno.

Fondamento: psicologia utilitaristica

L’ordine sociale è frutto di una scelta RAZIONALE:

i soggetti compiono una determinata azione perché CONVENIENTE.

CRITICA DI DURKHEIM ALLA NOZIONE DI CONTROLLO SOCIALE PROPOSTA DALLA TRADIZIONE LIBERALE

L’ordine sociale si fonda sull’adesione del soggetto ad un sistema di valori. PROCESSO DI


INTERIORIZZAZIONE.

La coesione NON è garantita: Da un apparato repressivo (Hobbes); Da un incentivo di tipo economico


(Smith).

Per Durkheim la coesione sociale si fonda su una pedagogia sociale che porta ad inibire i comportamenti
egoistici.

L’ordine non è dunque frutto della volontà dello Stato, ma dipende da organismi sociali in grado di
autoregolarsi es. famiglia.

GEORGE HERBERT MEAD (1863-1932) (la prima Scuola di Chicago)

Tutti i problemi sociali sono problemi di controllo sociale: 1)La comunità è qualcosa che nasce e si forma
nella prassi. Il diritto e la politica incidono in maniera limitata in questo processo. 2)Il controllo sociale è
effettivo se opera a livello della cultura, del consenso e della convinzione. 3)Occorre concentrare
l’attenzione sui meccanismi sociali che operano nella vita quotidiana e che permettono la comunicazione e
l’integrazione.
Per Mead il controllo sociale Non è frutto di un’attività repressiva, di una pressione esterna alla società e
deriva dal lavorio diffuso delle opinioni comuni, degli stili di vita condivisi .

Ecologia urbana: Mead e la prima Scuola di Chicago analizzano i quartieri della città come se fossero degli
ambienti naturali, ognuno caratterizzato dalla sua specificità (es. le aree turistiche, quelle abitative ecc.): si
tratta di lavori a carattere ETNOGRAFICO (ovvero studi sul campo, basati sull’incontro con il soggetto che si
vuole studiare).

Sociologia qualitativa: alcuni esempi 1) intervista in profondità: condotte su un numero limitato di soggetti
con l’obiettivo di cogliere le idee dell’intervistato sul fenomeno d’interesse; 2) osservazione( partecipante o
non partecipante): l’osservazione diretta si distingue dall’intervista in profondità perché l’osservatore non
ha lo scopo di fare domande, ma quello di osservare; 3)gruppo di discussione: è una discussione
accuratamente pianificata con un gruppo di persone (max 12). Ha come obiettivo ottenere percezioni, idee
ed opinioni su un’area di interesse ben definite e circoscritte.

Interesse per la ‘disorganizzazione’ sociale: Mead descrivendo i codici e gli stili di comportamento ‘urbani’
presta però molta attenzione a coloro che si collocano ai margini della società, che non ne condividono i
codici di comportamento. Attenzione per la dimensione ‘patologica’ per meglio comprendere i meccanismi
di controllo sociale.

Società plurale: Per Mead la società non è qualcosa di omogeneo e unitario. Forte attenzione per i processi
di disgregazione e di frammentazione sociale.

Il controllo sociale -- ovvero lo strumento attraverso cui la società resta coesa -- si fonda su di un sistema di
valori condiviso. Mead e la prima Scuola di Chicago mettono in luce come il sistema di valori si stia
frammentando. Come si fa allora a garantire il controllo sociale e, quindi, la coesione della società?

TALCOTT PARSONS (1902-1979)

Effettua un progetto di rinnovamento sociale. OCCORRE SUPERARE GLI INTERESSI EGOISTICI DEI GRUPPI. LA
COESIONE SOCIALE SI FONDA SOLO SUL CONSENSO MORALE.

La sua soluzione al problema è la famiglia. La famiglia ha un ruolo fondamentale. Funziona da tramite tra
l’individuo e la società. L’individuo impara a vivere in un gruppo ed a condividere determinati valori e
norme attraverso la famiglia. C’è un processo di interiorizzazione.

Causa della Devianza: A) DIFETTI NELLA MODALITA’ DI INTEGRAZIONE DEL SOGGETTO  IL PROBLEMA VA
RICERCATO NELLA FAMIGLIA. B) MANCANZE PERSONALI CHE INIBISCONO IL PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE
 IL PROBLEMA VA RICERCATO NELLA EVOLUZIONE PSICHICA DELL’INDIVIDUO

VISIONE DELLA SOCIETA’ DI PARSONS (vs. Mead) NON CI SONO GRUPPI IN COMPETIZIONE: NO CONFLITTO
e VISIONE ARMONICA DELLA SOCIETA’ / IL CONFLITTO E’ SOLO TRA L’INDIVIDUO E LA SOCIETA’ ED E’
DETERMINATO DA UN DIFETTO NELLA SOCIALIZZAZIONE

PARSONS RIPORTA L’INDIVIDUO AL CENTRO DEL DIBATTITO SOCIOLOGICO!

Recupero modello liberale: Secondo Parsons occorre tornare ad analizzare l’individuo in modo da
comprendere la ragione delle sue scelte ed eventualmente comprendere le ragioni della mancata
socializzazione.  Attivare i meccanismi di controllo sociale. APPROCCIO SOCIOLOGICO: NOZIONE AMPIA
DI CONTROLLO SOCIALE. PARSONS: DISTINZIONE TRA: MECCANISMI DI SOCIALIZZAZIONE e MECCANISMI DI
CONTROLLO SOCIALE.

MECCANISMI DI CONTROLLO SOCIALE SECONDO PARSONS: MECCANSIMI DI TIPO GIURIDICO-PENALE, MA


ANCHE MEDICO E PSICOLOGICO, OPERANO IN PRESENZA DI CONDOTTE DEVIANTI e FIDUCIA NELLA
CAPACITA’ DI ELIMINARE O QUANTO MENO CONTENERE TALI FENOMENI.

Critica a Parsons (teoria dell’etichettamento/storiografia revisionista): La nozione di controllo sociale di


Parsons è NEUTRALE, PRIVA DI RIFERIMENTI ALLA STORIA E ALLA POLITICA. NON E’ POSSIBILE STUDIARE IL
CRIMINE SENZA STUDIARE LO STATO E LE SUE ISTITUZIONI. LA DEVIANZA E’ UN FENOMENO SOCIALE CHE
VA MESSO IN RELAZIONE CON LA SOCIETA’ (OVVERO CON QUALI SONO GLI ASSETTI DI POTERE).

Il controllo sociale plasma l’identità individuale (Mead). Il controllo sociale si manifesta attraverso le
istituzioni sociali (Parsons). Il controllo sociale non è una caratteristica intrinseca della società, ma è
manifestazione di un potere centrale: E’ IL FRUTTO DI UNA COERCIZIONE

Il disciplinamento come il controllo sociale opera attraverso un processo di interiorizzazione, ma


presuppone un atto di coercizione. Il disciplinamento avviene con una fase esterna e una interna.

La storiografia revisionista ritiene che l’ordine sociale sia stato raggiunto NON grazie alla coercizione
(Hobbes), al mercato (Smith) o la controllo sociale (Mead e Parsons) ma grazie a istituzioni capaci di
imprimere i principi dell’ordine nell’individuo.

Tra le istituzioni disciplinari vediamo il carcere, la scuola, il lavoro ripetitivo e il manicomio. Il carcere è
icona della modernità.

Nuovi approcci: NEL PASSATO LE RICERCHE HANNO RIGUARDATO PREVALENTEMENTE SINGOLI ASPETTI
DELLA VITA CARCERARIA. IL DIBATTITO OGGI RIGUARDA Più IN GENERALE IL SENSO DELLA DETENZIONE E
LA RELAZIONE TRA CARCERE E ORGANIZZAZIONE SOCIALE .

Modello liberale: OGNI SOGGETTO E’ RAZIONALE. OGNI SOGGETTO E’ TITOLARE DI DIRITTI E DI DOVERI.
CHI COMMETTE UN DELITTO DIMOSTRA DI ESSERE PRIVO DI RAZIONALITA’. COME TALE PERDE LA
TITOLARITA’ DEI PROPRI DIRITTI.

Per il delinquente ci sono quindi due possibilità: . LA DEFINITIVA ESCLUSIONE DALLA SOCIETA’ o
L’AFFIDAMENTO AD UNA ISTITUZIONE IN GRADO DI DISCIPLINARLO, OVVERO GARANTIRE CHE IL
DELINQUENTE ACQUISTI UN LIVELLO ADEGUATO DI RAZIONALITA’ E AUTOCONTROLLO.

IL PANOPTICON COME MODELLO DI CARCERE ‘LIBERALE’ di JEREMY BENTHAM (1748-1832).

Critica al modello liberale da parte delle storiografia revisionista: I regimi dispotici si fondano sulla
coercizione. I regimi liberali si fondano sul consenso, per questo occorre addestrare gli individui ad essere
‘buoni’ cittadini.

Nel modello liberale vi è: cittadino razionale con libertà e protezione; cittadino non razionale con privazione
della realtà e rieducazione.
ALEVIS DE TOCQUEVILLE 1805-1859

Viaggia in Nord America per studiare modello penale. Perché la democrazia statunitense tratta coloro che
violano l’ordine sociale disobbedendo alla legge in maniera più dura rispetto a quanto facevano le
monarchie assolute che pure non tenevano in alcun conto le opinioni dei sudditi?

Il terribile carcere di Auburn. Pasti e lavoro obbligatorio in comune, MA IN RIGOROSO SILENZIO. Scansione
precisa del tempo. Disciplina durissima (sanzioni corporali).

Critica di Tocqueville e Beaumont: Non si può pensare di modificare la natura umana: semmai esperienza
religiosa e il carcere non è il luogo idoneo a favorire tale percorso interiore: non può produrre uomini
onesti.

Il carcere deve porsi due obbiettivi: Deve formare cittadini rispettosi delle obbligazioni sociali e deve
impedire che i cittadini diventino uomini peggiori nel corso della loro reclusione.

Le analisi di Tocqueville e Beaumont torneranno al centro del dibattito scientifico a partire dalla metà del
Novecento in relazione a due temi assolutamente decisivi: La necessità di evitare che il penitenziario sia
fonte di corruzione morale e l’impossibilità di una rieducazione.

DONALD CLEMMER (1903-1965)

PRISONIZATION: Processo attraverso cui in maniera graduale, ma spesso irreversibile, il detenuto assume i
valori e la cultura propri della comunità carceraria.  Microsocietà capace di elaborare un proprio ordine
sociale e propri valori, nei limiti del regolamento carcerario.

Il carcere non ha un reale potere, bensì dei limiti: Deterrente: per il condannato ad una pena detentiva la
carcerazione non rappresenta uno choc capace di inibire nuove imprese criminali. Correttivo: la detenzione,
in realtà, porta alla mera incapacitazione del condannato che non può danneggiare la società nel periodo in
cui è detenuto.

IL PROCESSO DI PRIGIONIZZAZIONE ALIMENTA L’ ANTISOCIALITA’ DEL DETENUTO. FATTORI CHE


ACCELERANO IL PROCESSO DI PRIGIONIZZAZIONE : Provenienza geografica (o razziale), Recidivismo , La
personalità del deviante, L’ambiente che lo circonda: le caratteristiche dei compagni di cella o della
squadra-lavoro.

Paradosso del carcere: In carcere il detenuto è privato della propria autonomia decisionale e della propria
autostima.  Eppure proprio queste sono le qualità necessarie perché il detenuto possa divenire un
soggetto responsabile e, quindi, possa essere reinserito nella società

Freni al processo di prigionizzazione secondo Clemmer: Le energie che possono inibire questo processo
provengono tutte dall’esterno del carcere. Fondamentale è il colloquio con un esperto
(psichiatra/psicologo/ sociologo) attraverso cui il detenuto ha modo di riportare in vita i propri legami
sociali e il proprio passato
BRUNO COMIER (1919-1991)

Psichiatra e criminologo afferma il carcere come ‘negativo’ della società poiché quest’ultima afferma le
libertà mentre il carcere le nega. Afferma che è addirittura peggiore del campo di concentramento.

GLESHMAN SYKES (1922-2010)

Ha una visione più moderata.

Il carcere non è un lager perché la detenzione avviene nella cornice di regole democratiche e questo
impedisce che si trasformi in una istituzione a carattere totalitario. L’amministrazione penitenziaria, però,
gode di un potere sui detenuti che non ha pari nelle società democratiche.

Fattore principale: concentrazione del potere

I sorveglianti devono: controllare i detenuti, devono stabilire i regolamenti, devono scoprire le violazioni al
regolamento e sanzionarle

SOVRAPPOSIZIONE TRA FUNZIONE LEGISLATIVA, ESECUTIVA E GIUDIZIARIA che sarebbe ritenuta


inaccettabile nel resto della società.

La rieducazione è impossibile. Secondo Sykes l’enfasi posta sulla idea di rieducazione è pura retorica. Ha
ragione Tocqueville quando dice che è un successo se il carcere non fa del detenuto un soggetto peggiore.
Se qualsiasi strategia riabilitativa è compromessa a cosa serve il carcere?

La funzione del carcere è unicamente quella di controllare il criminale.

Il fallimento della istituzione carceraria non si ha con la recidiva ma con l’evasione o la rivolta come nella
prigione di Attica (NY) nel 1971.

ERVING GOFFMAN (1922-1982)

Il manicomio come paradigma delle istituzioni totali.

Vita in comune sotto il controllo della medesima istituzione. Assenza di privacy: l’attività quotidiana avviene
di fronte ad altre persone che svolgono le medesime azioni. Scansione rigida della giornata imposta
dall’autorità che vigila sul rispetto dei tempi. Le attività sono preordinate ai fini stabiliti dall’autorità.

Le istituzioni totali sono dunque «dei luoghi di residenza e di lavoro» in cui «gruppi di persone, separati dal
resto della società, condividono la medesima situazione, trascorrendo parte della loro vita in un regime
chiuso e formalmente amministrato»

Finalità delle istituzioni totali secondo Goffman si distingue tra: le istituzioni totali sono finalizzate a
proteggere la società da coloro che costituiscono un pericolo intenzionale nei suoi confronti; Istituzioni
ideate per recludere chi rappresenta un pericolo non intenzionale per la società; Istituzioni totali destinate
alla tutela di incapaci non pericolosi; Istituzioni totali finalizzate ad un'attività strumentale; . Istituzioni che
si fondano su di un distacco volontario dal resto della società.
La caratteristica saliente delle istituzioni totali è quella di essere i luoghi della nostra società in cui si
costringono le persone a diventare diverse. Le istituzioni totali rappresentano «UN VERO E PROPRIO
ESPERIMENTO NATURALE SU CIO’ CHE PUO’ ESSERE FATTO AL SE’».

Il carcere ha dei limiti: Non è in grado di raggiungere il fine per cui sono state costituite. In particolare, il
potere non è esercitato in modo razionale, cioè al fine di ridefinire il sé.

Perché? Modalità di esercizio del potere: Il potere è esercitato in maniera tale da preservare l’equilibrio
interno all’istituzione. Il potere riflette il compromesso in costante evoluzione tra i diversi gruppi interni
alla istituzione, in conflitto tra loro.

Conseguenza: L’identità del detenuto si trova in balìa di un potere esercitato in maniera confusa, casuale.

Mutamento di indirizzo nelle giurisprudenza USA

Fino alla metà degli anni Sessanta: hands off doctrine . Regime duro, Il detenuto è praticamente espulso
dalla società, Il detenuto in linea di massima non gode della protezione delle corti ma è soggetto alla
discrezionalità del direttore . Ma anche rivendicazioni dei detenuti. Tra il 1971 e il 1973 si sono verificate
quattro rivolte carcerarie negli USA con almeno cinquanta vittime

Mutamento di indirizzo: Corte Suprema degli Stati Uniti Cooper v. Pate (1964). Rivoluzione ‘legale’ negli
anni Sessanta. Maggiore tutela del detenuto: in particolare vige il principio dell’habeas corpus anche per il
detenuto soggetto all’autorità carceraria .

N egli anni 70 le corti hanno vagliato praticamente ogni aspetto del regime carcerario emanando una serie
di provvedimenti giurisdizionali in materia di buona condotta, disciplinare o di manifestazione della libertà
di pensiero. In alcuni casi interi regimi penitenziari sono stati dichiarati incostituzionali.

In Italia con Mario Gozzini (1920-1999) cambiamenti: l. 354/1975 Norme sull'ordinamento penitenziario e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà. Legge Gozzini (l. 663/1983) Si dà così
attuazione all’art. 27 C .

JAMES B. JACOB: la burocratizzazione delle prigioni.

Secondo lui la pressione congiunta operata dalle rivendicazioni dei detenuti e dell’interventismo delle corti
ha avuto un effetto paradossale: quello di una progressiva burocratizzazione dell’apparato carcerario.
Regime più benevolo, ma minore sicurezza anche per i detenuti. Non ci sono stati effetti concreti sulla
qualità della detenzione: prevale la funzione contenitiva
RESTANO I PROBLEMI RELATIVI ALLA CARCERAZIONE
L’erosione della individualità; ovvero la capacità di pensare ed agire in modo autonomo. La deculturazione,
ovvero la perdita di quei valori che il soggetto aveva prima dell’ingresso in carcere, danni fisici e psicologici,
isolamento, la carenza di interazione sociale, privazione degli stimoli con l’adattamento alla povertà
dell’ambiente, estraniamento, incapacità di adeguarsi alle novità dell’ambiente esterno.

Durkheim: la pena come fulcro della società. Il carcere è un luogo di sofferenze: quale è la sua
giustificazione? La funzione rieducativa è impossibile e la funzione deterrente è inefficace.

Il carcere è un relitto del passato che sopravvive per pura forza d’abitudine dal momento che non sono stati
identificate istituzioni «capaci di soddisfare meglio le nuove aspirazioni della coscienza morale.» (Durkheim,
1901)

Scrive Durkheim che il sistema penale «presso tutti i popoli civili» è in crisi a seguito «di una vera e grande
contraddizione», ovvero l’idea di «vendicare la dignità umana, offesa nella persona della vittima, violandola
nella persona del colpevole». Esempio Legge del taglione in Iran.

La contraddizione rappresentata dal carcere non può essere risolta perché la ragione profonda della
sanzione è la VENDETTA. La sanzione non poggia sulla ragione ma piuttosto su di un sentimento: LA
VENDETTA.

Tutti i popoli primitivi puniscono per punire, fanno soffrire il colpevole solo al fine di infliggere sofferenze,
senza aspettarsi alcun risultato da tale afflizione.

In genere la sanzione oltrepassa in gravità l’atto compiuto: «da ciò deriva la raffinata crudeltà che
accompagna la pena capitale»

Durkheim osserva che l’idea di vendetta è stata rimossa: si punisce per difendersi, non per vendicarsi!

Oggi si reputa che la sanzione penale sia finalizzata alla PREVENZIONE: si punisce perché il si ritiene che il
timore della pena «paralizzi le cattive volontà».

La vendetta è un atto di difesa istintivo: «ci vendichiamo soltanto di ciò che ci ha fatto male, e ciò che ci ha
fatto del male è sempre un pericolo. L’istinto della vendetta non è insomma che l’istinto di conservazione
esasperato dal pericolo».

Differenze tra età antica e moderna:


MAGGIORE ‘CONSAPEVOLEZZA’ DELLA FUNZIONE DELLA PENA: Nelle società non civilizzate: la passione
punitiva è priva di misura, può diffondersi a macchia d’olio, «la passione punitiva non si arresta se non
quando si è esaurita».

Nella società moderna invece la sanzione è invece determinata in maniera consapevole, nel senso che
conoscendo il fine che vogliamo raggiungere, siamo in grado di adottare gli strumenti migliori, più idonei a
difenderci.

Significato della pena: Livello esterno è utilitarismo, mentre Livello profondo è vendetta.
Secondo Durkheim La pena «è rimasta, almeno in parte, un atto di vendetta; si dice che non facciamo
soffrire il colpevole per farlo soffrire, ma è pur sempre vero che troviamo giusto che soffra».

Obiettivo di Durkheim: Descrivere la realtà. Definire in termini scientifici che cosa sia la pena. No
valutazione morale!

Rapporto pena/crimine: ogni società considera crimini quegli atti che violano la propria coscienza
collettiva.

Che cosa intende Durkheim per coscienza collettiva? Per coscienza collettiva si deve intendere la pressione
morale che garantisce uno standard minimo di comportamenti omogenei. Tale forza deriva da sentimenti
ed emozioni (c.d. passioni morali) «profondamente insediati nella maggior parte dei membri della società».
Senza tale forza, dunque, non sarebbe possibile la coesione sociale e l’individuo sarebbe una minaccia per
la unità del corpo sociale.

Natura ‘simbolica’ della legge La coscienza morale in quanto somma di «sentimenti ed emozioni»
soggettive rischia però di essere qualcosa di scarsamente definito. Nelle società moderne occorre un
«simbolo» che esprime e riassume le somiglianze interindividuali necessarie per garantire la stabilità del
corpo sociale. La legge svolge tale funzione simbolica.

Pertanto la legge (e le sanzioni penali) rappresenta l’indicatore dell’ORDINE MORALE che vige nella
società.

Riassumendo:

• La coscienza morale è la somma dei sentimenti e delle emozioni insediatisi nella società

• la legge ‘oggettivizza’ la coscienza morale

• La legge prevede una serie di sanzioni per i trasgressori

• Il diritto penale ha il compito di evitare che la coscienza collettiva si indebolisca

In questa prospettiva il diritto penale dà concretezza alla coscienza collettiva che pertanto non è una
categoria astratta, ma è un FATTO SOCIALE che può essere osservato e studiato in modo scientifico

La coscienza morale: Tutte le società esprimono una propria coscienza morale (nella società moderna la
coscienza è oggettivata nella legge). Tale coscienza morale se violata legittima la sanzione. “non bisogna
dire che un atto urta la coscienza comune perché è criminale, ma che è criminale perché urta la coscienza
comune. Non lo biasimiamo perché è un reato, ma è un reato perché lo biasimiamo.” (Durkheim)

Durkheim distingue tra sanzioni repressive e restitutive.

CRIMINI: atti che violano il codice morale fondamentale della societàDeterminano una forte richiesta di
punizione che non può altrimenti essere soddisfatta da forme meno pesanti di reazione sociale.

Violazioni di regole sociali che NON appartengono al codice morale fondamentale della società (diritto
privato, diritto amministrativo ecc.) danno invece luogo a sanzioni di tipo restituivo o regolatorio (NO
ESPIAZIONE)

SANZIONI REPRESSIVE: Le leggi penali, appaiono come proibizioni ‘sacre’ fondate su di un diffuso consenso.
Il reato è tale perché viola sentimenti profondamente radicati nella società.
SANZIONI RESTITUTIVE: Fanno riferimento a convenzioni sociali che come tali possono anche essere
modificate.

La violazione delle leggi penali determina sentimenti di oltraggio, di rabbia, di indignazione e legittima un
forte desiderio di vendetta. Questo desiderio di vendetta non appartiene soltanto alla vittima ma è diffuso
tra tutti i membri della comunità. Colui che invece risulta soccombente in un giudizio civile in genere non
subisce conseguenze di questo genere, non è stigmatizzato dalla società.

Nelle società primitive (c.d. meccaniche): maggiore coesione sociale  vendetta, prevalgono le norme
sanzionatorie.

Nella società moderna, altamente differenziata (c.d. società organica) prevalgono le norme
restitutorieoccultamento della vendetta

Il fine della sanzione: L’emersione delle istituzioni penali non è legata ad una qualche razionalità
strumentale, come volevano gli illuministi, ma rappresenta una modalità di manifestazione di emozioni
profonde.

Il crimine:

-- attiva le passioni morali condivise.

-- le passioni morali condivise si manifestano concretamente.

-- nel momento in cui si manifestano, le passioni morali condivise si rafforzano

Risultato: Il manifestarsi del sentimento comune concentrato nei rituali punitivi rafforza il sentimento di
solidarietà su cui si fonda la coscienza collettiva.

A fronte della violazione «occorre che la legge violata dimostri che, nonostante le apparenze, è sempre la
stessa, che non ha perduto vigore e autorità a dispetto dell’atto che l’ha negata.

In altri termini occorre che essa si riaffermi di fronte all’offesa e reagisca in modo da manifestare un’energia
proporzionale all’ aggressione subita. La pena è soltanto questa significativa manifestazione».

la sanzione penale è intimamente connessa con la nozione di vendetta, ma quale è il suo fine?

Nelle Regole del metodo sociologico Durkheim scrive che la violazione delle regole morali fondamentali
costituisce un momento necessario per la definizione da parte di ogni società del proprio ordine morale.

In questo senso «la pena non serve – o serve secondariamente, a correggere il colpevole o a intimidire i
suoi possibili imitatori: da questo duplice punto di vista la sua funzione è giustamente dubbia, e in ogni caso
mediocre».

«La sua vera funzione è di mantenere intatta la coesione sociale, conservando alla coscienza comune
tutta la sua vitalità»

Senza una simile reazione verrebbe meno la coscienza morale collettiva e quindi si disintegrerebbe la
società.

Secondo la tradizione illuminista e liberale il diritto penale moderno si basa sul calcolo utilitaristico, la
razionalità e le procedure amministrative.
Non c’è alcun riferimento alla dimensione emotiva.

Secondo Durkheim invece la sanzione penale ha solo lo scopo di consolidare la coscienza morale,
sanzionando l’offesa ricevute.

La sanzione penale può servire a controllare il crimine? No, la minaccia di conseguenze sfavorevole, agli
occhi del delinquente, si configura solo come un rischio professionale.

Secondo Durkheim, invece, la propensione al crimine è troppo forte per essere contenuta dalla paura della
sanzione.

La paura opera solo ad un livello esterno, superficiale: determina al più una legalità esteriore.

Problema: la legalità puramente esterna può costituire un fattore di instabilità! la punizione senza
fondamento morale è avvertita come ingiusta, non migliora le persone e rischia anzi di suscitare
sentimenti ostili.

Ricapitolando: per Durkheim la pena….Non ha valore deterrente. Non ha un valore esemplare. Non serve a
controllare il crimine

Per Durkheim la pena serve invece a …comunicare un messaggio morale, manifestare la forza dei
sentimenti e dei valori su cui si regge la società , rassicurare le coscienze dei consociati e in questo modo
rinvigorire la coscienza morale, preservare il sistema sociale.

Problema:
MUTAMENTO DELLA COSCIENZA COLLETTIVA
La religione, in precedenza, aveva la funzione di assicurare una forte conformità tra i consociati.

«In seguito, a poco a poco, le funzioni politiche, economiche, scientifiche si sono rese indipendenti dalla
funzione religiosa, costituendosi a parte e assumendo un carattere temporale sempre più accentuato. Dio –
per così dire – che in principio era presente a tutte le relazioni umane, si ritira progressivamente da esse;
abbandona il mondo agli uomini e alle loro controversie»

CRISI DELLA RELIGIONE

«Se dunque esiste una verità che la storia ha reso indubbia, questa è proprio l’estensione sempre minore
della porzione di vita sociale che la religione ricopre. In origine essa si estendeva a tutto: tutto ciò che era
sociale era religioso, i due termini erano sinonimi.

Il risultato è la frammentazione della coscienza morale collettiva.

INDIVIDUALISMO

• la divisione del lavoro e la specializzazione


• il moltiplicarsi delle ideologie,

• l’industrializzazione e il capitalismo

Durkheim osserva che: Mentre «le altre credenze e le altre pratiche assumono un carattere sempre meno
religioso, l'individuo diventa oggetto di una specie di religione».

1.«Questa ‘religione dell’individuo’ «non è possibile se non in virtù del crollo delle altre, e di conseguenza
non può produrre gli effetti che producevano le svariate credenze estinte. Non vi è compensazione.»

2. «Inoltre, anche se è comune in quanto condivisa dalla comunità, essa è tuttavia individuale dal punto di
vista del suo oggetto»

Questo processo ha importanti ricadute anche sul piano penale

Durkheim distingue tra:

Criminalità religiosa: ricomprende tutti quegli atti che ledono beni materiali o morali che appartengono alla
comunità

Criminalità umana: Ricomprende tutti gli atti compiuti contro gli individui, ad es. furti, violenze, omicidi

Nelle società meno ‘civili’ sono sanzionati essenzialmente i crimini che colpiscono la collettività. Quando
l’organizzazione sociale progredisce i crimini contro gli individui acquisiscono sempre più maggiore
rilevanza.

Quindi «la pena è conseguenza del crimine ed esprime la maniera in cui ha impressionato la coscienza
pubblica»

Le sanzioni differiscono: Nelle società inferiori (prevalenza criminalità religiosa): sono molto crudeli
perché la criminalità viola beni e sentimenti collettivi. La loro natura è necessariamente religiosa.

Nella società moderna secolarizzata: il crimine comporta una domanda pubblica di punizione, ma la
reazione di riferisce ad una condotta che ha leso la sfera soggettiva. Manca qualsiasi riferimento alla
divinità.

Durkheim distingue tra criminalità religiosa e criminalità umana basandosi sull’idea che l’organizzazione
sociale e la coscienza collettiva siano fattori storicamente determinati, cioè soggetti al mutamento.

Non cambia però la natura della pena. LA FORMA DELLA PENA DUNQUE SI MODIFICA NEL TEMPO, MA LA
PENA IN QUANTO TALE RESTA SEMPRE: UNA ESPRESSIONE DI SENTIMENTI COLLETTIVI e UNO STRUMENTO
PER RAFFORZARE TALI SENTIMENTI.

Ma c’è un altro fattore di continuità con il passato: la ‘sacralità’ della morale. Nelle società primitive o
‘inferiori’ il campo della morale ha una valenza religiosa. Nelle società moderne secolarizzate che pure non
dipendono dalla dimensione religiosa «il campo della morale è come circondato da una misteriosa barriera
che ne tiene lontani i profanatori allo stesso tempo che il campo religioso è sottratto all’accedere del
profano, E’ un settore sacro.”

Questo senso di trascendenza è il modo in cui l’autorità della società e delle convenzioni sociali è percepita
dagli individui. Pur essendo creato dagli uomini e non da Dio questo sentimento è molto forte nella società.
Ricapitolando: 1) Nelle società moderne come in quelle primitive è indispensabile mantenere viva la
coscienza collettiva altrimenti l’organizzazione sociale viene meno. 2)Per mantenere viva la coscienza
collettiva occorre sanzionare ogni atto che violi la coscienza collettiva. 3)Questa sanzione comporta
necessariamente inflizione di dolore fisico e morale.

Conclusioni: Durkheim in trappola

Da un lato è consapevole del fatto che il sistema penale «presso tutti i popoli civili» è in crisi a seguito «di
una vera e grande contraddizione», ovvero l’idea di «vendicare la dignità umana, offesa nella persona
della vittima, violandola nella persona del colpevole». Dall’altro vuole mostrare scientificamente quali
azioni risultano più idonee a promuovere il funzionamento ottimale dell’organizzazione sociale. In questo
senso legittima l’inflizione di dolore fisico per difendere e consolidare la coscienza collettiva su cui si basa
la società.

Durkheim negli ultimi scritti prova a superare la contraddizione. La pena svolge una funzione comunicativa:
il dolore inflitto non è fine a sé stesso, non è una crudeltà gratuita, ma è il segno che la coscienza collettiva
è ancora collettiva! Durkheim insiste sul fatto che le sanzioni si stanno progressivamente attenuando come
dimostra il passaggio dalla pena corporale a quella detentiva. Durkheim sottolinea il ruolo della sensibilità
dei consociati, dalla loro capacità di provare ‘simpatia’:

1. nelle società più insensibili la punizione esige segni particolarmente forti ed evidenti come
la pena corporale.

2. In quelle più evolute questo non è davvero necessario.

In definitiva però: Durkheim non risolve la contraddizione rappresentata dal carcere: come è possibile
tutelare la morale senza ricorrere a mezzi che la morale riprova?

Durkheim non è cioè in grado di indicare strumenti punitivi capaci di «non indebolire da un lato quei
sentimenti che vogliamo rafforzare dall’altro»

A Durkheim si rimprovera di aver descritto la società come una istituzione moralmente omogenea, fondata
sulla solidarietà.

VS. Durkheim: visione conflittualistica

il fondamento della società non è la solidarietà. La società è piuttosto il prodotto di lotte tra gruppi sociali.

Durkheim era consapevole della portata dei conflitti sociali. Per questo insisteva sul ruolo delle
organizzazioni corporative, della educazione pubblica e, negli ultimi scritti, anche della religione per
contenere le spinte disgregatrici provenienti Dall’individualismo fondato sulla competizione e dalle lotte
ideologiche e politiche.
Il solidarismo di Durkheim sarà ripreso in termini molto più formalistici da TALCOTT PARSONS

Ci sono anche due interpreti principali di Durkheim: Helbert Mead e Harold Garfinkel.

RITO DI DEGRADAZIONE DI STATUS: qualsiasi attività comunicativa che è rivolta a trasformare


l’identità sociale di un individuo in un’altra di rango più basso.

Le cerimonie di degradazione riguardano la natura del soggetto: in altri termini non hanno ad oggetto ciò
che il soggetto deve fare, ma ciò che è il soggetto è.

Natura del rito di degradazione: Questi rituali sono il prodotto dell’indignazione morale e, in quanto tali,
sono meccanismi presenti in qualsiasi società (in conformità a quanto scrive Durkheim) a meno che la
società non sia «in uno stato di totale anomia» Tipico esempio di rito di degradazione: la sanzione penale

La pena Per Durkheim riflette la coscienza collettiva di una determinata società. Per Garfinkel manifesta
standards di preferenza «socialmente validi ed istituzionalmente raccomandati». Tali standards di
preferenza sono dei criteri che consentono un’adeguata comprensione da parte dell’attore del perché egli
ha tenuto una determinata condotta.

La sanzione penale in quanto rituale di degradazione: Consiste nella denuncia pubblica attraverso cui «noi
pubblicamente proferiamo la maledizione: ‘Chiamo tutti gli uomini a testimoniare che egli non è quello che
appare ma è un essere diverso e di una specie inferiore per la sua stessa essenza’»

Riti di degradazione: valore della denuncia pubblica.

Effetti: La cerimonia determina la DISTRUZIONE RITUALE della identità della persona.

 Non c’è un cambiamento di identità: es. Pierino prima era buono poi è divenuto cattivo

 C’è una sostituzione di identità : es. mi rendo conto che Pierino era cattivo fin dall’inizio

Il denunciato è visto dai suoi accusatori come qualcuno che ha sempre preteso di essere ciò che non era: la
loro denuncia smaschera finalmente una persona che ha sempre nascosto la vera natura. La persona
denunciata «diventa letteralmente una persona diversa e nuova agli occhi di coloro che la condannano».

Analogia Durkheim-Garfinkel: Per il Durkheim la pena ha l’effetto di risvegliare le coscienze sane e di


ricompattare i vincoli sociali. Per Garfinkel la cerimonia di degradazione ha lo scopo di unire la società,
di affermare i valori su cui si fonda.

Le procedure di queste cerimonie di degradazione variano a seconda dell’organizzazione sociale.

 Nelle società antiche era la persona offesa oppure il gruppo famigliare a provvedere direttamente
al cerimoniale. (es. VENDETTA)

 Oggi la stessa funzione è svolta dalle corti, là dove le corti rappresentano l’opinione pubblica,
hanno la funzione di manifestare l’indignazione sociale nel suo complesso, sono gli interpreti di
quella che è la coscienza collettiva.
Procedimento penale = rito di degradazione si articola su due fasi a corrispondono due linguaggi .

a) quella processuale, aperta al pubblico e altamente mediatizzata. In quest’ambito i sentimenti


del pubblico sono particolarmente importanti e il linguaggio impiegato è ricco di richiami
all’etica e alla morale ricompatta la comunità richiamando i valori su cui si fonda.
b) Quella dell’esecuzione della pena che invece è affidata a burocrazie specializzate ed ha
scarsa visibilità. Ha essenzialmente natura amministrativa e tende a neutralizzare ogni
sentimento. Il linguaggio adottato è di tipo parascientifico e manageriale ed è
essenzialmente rivolto ad utenti interni, essendo finalizzato ad affermare il controllo del
personale sui nuovi giunti.

Finalità: Questo alternarsi:

-- di una dimensione altamente emotiva, piena di drammatizzazione

-- e, invece, di una altamente tecnica e neutrale

per Garfinkel consente la perdita di status e di conseguenza permette di sottoporre il condannato alla
violenza del carcere

Ricapitolando: Il processo penale, visto come un rituale degradazione, è capace di attenuare le tensioni
che Durkheim aveva evidenziato tra i mezzi usati per punire e le finalità della punizione. Il risultato è
una disumanizzazione del colpevole, che come tale può essere imprigionato

Garfinkel, però, mette in luce la debolezza delle tesi di Durkheim.

per Durkheim la pena è il riflesso della reazione della coscienza collettiva all’offesa. Per Garfinkel non c’è
tale automatismo, la situazione è molto più complessa.

Per Garfinkel infatti il successo del rituale di degradazione non può che basarsi sulla correlazione tra:

a. Natura dell’offesa

b. Valori cui si richiama l’accusa

c. Valori riconosciuti dalla comunità.

Problema: Le procedure giudiziali per Garfinkel non sono rituali minutamente definiti dal risultato
altamente prevedibile, ma sono interazioni strategiche dall’esito aperto.

Per Garfinkel la degradazione funziona se sussiste una condizione : occorre che il denunciante sia in grado
di presentare la condotta del denunciato come anomala in quanto viola i principi basilari della vita sociale.

Il denunciante, infatti, deve attivare la coscienza della comunità: senza tale attivazione il reo non è
percepito tale e pertanto non è possibile alcuna degradazione

Secondo Garfinkel Il denunciante deve trasformarsi da persona singola in “soggetto collettivo”, assumendo
cioè la prospettiva del gruppo (reidentificazione). Nel fare questo il soggetto deve astrarre l’evento dal suo
contesto, ma anche dai propri interessi: deve impedire che la denuncia appaia influenzata da fattori
personali, perché altrimenti perderebbe la veste di voce collettiva per assumere quella di portatore di
interessi propri.

In quest’ottica il denunciato non è meramente passivo, ma a sua volta può invocare la coscienza collettiva,
mettendo da parte i suoi interessi particolari e facendo appello agli interessi generali di membro della
comunità.

In definitiva Il meccanismo della mobilitazione della coscienza collettiva non è lineare. Il denunciato ha le
stesse risorse morali e cognitive del denunciante. La denuncia può avere un esito imprevisto NON riuscendo
a rinforzare la coscienza morale.

Greshman Sykes e David Matza seguono la scia di Garfinkel.

Lo studio riguarda come i supposti devianti sono in grado di attivare ‘tecniche di neutralizzazione’ per
mezzo delle quali i loro comportamenti possono essere interpretati e presentati alla comunità come
giuridicamente e moralmente leciti.

La tecnica di neutralizzazione si fonda su risorse morali e cognitive es CLEPTOMANIA

la condotta criminale si inscrive nella categoria dei reati compulsivi, di quei reati che si ritengono commessi
sotto la pressione di un’irresistibile spinta inconscia.  in questo modo la condotta è resa più accettabile

Gli studi compiuti negli Stati Uniti negli anni Cinquanta hanno segnalato che i cleptomani tendono ad essere
membri delle classi medie, mentre i taccheggiatori delle classi più povere.

Problema : se la cleptomani è un disturbo psicologico non si comprende proprio perché debba essere
circoscritto ad un determinato gruppo sociale, culturalmente caratterizzato. La spiegazione offerta è che le
persone di cultura più elevata sono consapevoli di questa patologia e la utilizzano per rendere più
accettabile il loro comportamento .

Nel caso delle tecniche di neutralizzazione, dunque…Il supposto deviante si richiama alla morale
dominante, non rivendica una diversità morale: dichiara semmai la propria adesione ai valori del senso
comune.  Nel momento in cui attiva una tecnica di neutralizzazione egli sostiene di non aver commesso
un crimine. Anzi, tenuto conto delle specifiche circostanze, il suo comportamento appare del tutto
legittimo.

Mead e Durkheim
• Mead condivide con Durkheim l’idea che sanzione=vendetta

• L’ostilità verso il crimine presuppone, e al tempo stesso contribuisce al rafforzamento della


solidarietà sociale.
• Le sanzioni non servono solo a neutralizzare i membri «ribelli del gruppo», ma anche «a stimolare
nei membri della società osservanti della legge le inibizioni che rendono loro impossibile la
ribellione».

Paradosso: per Mead il criminale (come già per Durkheim) non è un pericolo per la società in quanto
attiva un forte senso di solidarietà richiamando l’attenzione dei cittadini normalmente assorbita dagli
interessi individuali.

Funzioni della giustizia  Attraverso la giustizia penale:

-- i cittadini sperimentano la sensazione dell’esistenza della COSCIENZA COMUNE,

-- provano un sentimento di rispetto per quei valori che consentono loro di identificarsi in una
comunità, escludendo coloro che violano i suoi principi fondamentali.

Questo spiega anche eventuali asimmetrie tra il reato e la sanzione: quando la comunità reagisce
contro la lesione di un diritto apparentemente secondario, in via di principio sta difendendo «l’intero
corpo di diritti analoghi che un vasto complesso di costumi sociali tende a preservare».

Per Mead non è l’offesa del sentimento morale a legittimare la sanzione.

L’aggressione di un membro della comunità genera ostilità negli altri membri.

Il rilassamento dei freni inibitori alimenta le energie punitive.

Reato  Istinto  Energie punitive

La “giusta indignazione” dei consociati, in realtà, è un modo per dare sfogo a quell’ostilità che
normalmente è inibita dalle prescrizioni su cui si fonda la società

Con la sanzione si verifica un temporaneo rilassamento delle inibizioni all’uso della violenza. Tale
evento è espressione:

-- da una parte un incondizionato amore verso il gruppo

-- un altrettanto incondizionato odio verso il criminale.

L’apparato punitivo in sostanza si fonda sulla solidarietà emotiva provocata dal fatto di reato

Scrive Mead: Se è vero che la coesione sociale si manifesta come ostilità del gruppo rivolta alla
eliminazione del nemico, «il prezzo da pagare per questa solidarietà di sentimento è grande e a volte
disastroso»
Effetti disfunzionali:

1. L’ostilità verso il deviante non ci consente di affrontare razionalmente il problema delle cause del
crimine: l’ostilità verso il reo suscita sentimenti retributivi, repressivi e di esclusione che si sono
rivelati del tutto incapaci: di sradicare il crimine, di ricondurre il delinquente nell’alveo delle normali
relazioni sociali.

2. Promuove un atteggiamento acritico verso la legge e gli interessi sociali che essa tutela. Questo può
determinare una compressione della autocoscienza individuale che si dissolve nel gruppo.

3. Proietta le energie della società contro dei ‘capri espiatori’ per favorire la ricomposizione della
società. Fondare il rispetto della legge su di un atteggiamento difensivo, su di una equiparazione del
criminale a nemico irrigidisce la società e impedisce di riflettere sui valori su cui si fonda la società.

Quindi: NO: assecondare il fondamento passionale della pena, basando la vita della comunità sulla
sanzione e SI: fare leva sulle altre istituzioni sociali (es. scuola, famiglia)

NB quanto detto in precedenza: il controllo sociale per Mead Non è frutto di un’attività repressiva, di
una pressione esterna alla società e deriva dal lavorio diffuso delle opinioni comuni, degli stili di vita
condivisi .

Per Mead l’ordine non si fonda sulla imposizione forzata di un determinato insieme di regole, ma
dipende dal controllo sociale operato da una pluralità di istituzioni cioè: «dalla misura nella quale
l’individuo assume gli atteggiamenti di quelli del gruppo che sono coinvolti con lui nella sua attività
sociale».

In definitiva Mead considera l’emozione punitiva: Non come manifestazione di un comportamento


doveroso, bensì una forma di aggressività diffusa e non inibita.

In quest’ottica occorre mutare il paradigma, prendendo atto del fallimento delle pratiche penali

Qual è l’alternativa? Occorre guardare ai modelli offerti dalla giustizia civile, cioè a schemi di
comportamento in cui prevale un approccio costruttivo e rieducativo:

-- I processi civili non rappresentano rituali di degradazione

-- Nei processi civili le parti si riconoscono come membri dello stesso gruppo indipendentemente
dall’esito del processo.

SFIDUCIA NELLA FUNZIONE REPRESSIVA e FIDUCIA NELLA FUNZIONE DI RICOMPOSIZIONE (giustizia


riparativa?)

Mead concorda con Durkheim sul fatto che: il sistema punitivo moderno si fonda su di un’antinomia: Da
una parte c’è la convinzione che la condanna sia il prodotto della giustizia. Dall’altra c’è la consapevolezza
che la punizione di un criminale non comporta per la società un beneficio capace di compensare il danno
sociale che può derivare al reo e alla sua famiglia dall’incarcerazione incarcerazione.
Mead prova a risolvere questa antinomia adottando un approccio ‘solidaristico’. Secondo Mead il
controllo del crimine fondato sull’apparato penale non è adeguato. Occorre un controllo fondato sulla
comprensione delle condizioni sociali e psicologiche. La comprensione è la parola chiave, negata dalle
procedure penali che invece risvegliano sentimenti di ostilità sia nella comunità sia nell’offensore
stesso.

Secondo Mead le corti:

1. NON dovrebbero giudicare sulla base di paradigmi fissi (le leggi) se un membro della società deve o
meno essere considerato un reietto e come tale espulso.

2. Le corti dovrebbero avere il compito di “individuare e comprendere le cause del fallimento sociale
ed individuale, di correggere se possibile le situazioni deficitarie e reinserire l’individuo colpevole”.

Mead è contrario ad una corte che materializzi il sentimento collettivo di ostilità verso il reo. È favorevole
ad una corte penale capace di ricomporre una situazione sociale compromessa.

NO ad un sistema punitivo «che ci vede tutti uniti contro il criminale».  solidarietà negativa

Si ad un sistema punitivo incentrato sull’idea di sviluppo della personalità individuale  solidarietà positiva

Questa solidarietà ‘ positiva’ dovrebbe essere in grado di trasformare la persona e non eliminarla, fare in
modo che questa sia reinserita nel contesto sociale.

Solo così, osserva Mead, è possibile affrontare «la sfida che la continua esistenza della guerra nella società
umana ha lanciato all’intelligenza degli uomini».

Mead auspica un sistema fondato sulla riabilitazione e sulla riparazione anticipando così istanze che
saranno proprie, ad esempio, dei paesi nordeuropei in cui trionferà il Welfare State. Istanze che però non
riusciranno a proporre una alternativa di fondo al carcere.

L’evolversi della sensibilità e l’emergere dello Stato: Pieter Spierenburg


ogni società occidentale moderna vive il conflitto tra una percepita necessità di punire e la penosità di tale
pratica

Si tratta di una affermazione sostenuta da un’attenta analisi della evoluzione della pena in Europa tra il
1600 e il 1800.

Spierenburg analizza quella che definisce come ‘storia mentale della repressione penale’, intendendo come
tale l’evoluzione della nozione di ciò che costituisce un comportamento indesiderabile e delle modalità per
affrontarlo.

PASSAGGIO STORICO: L’AVVENTO DEL CARCERE


Il carcere a partire dalla fine del ‘700 diventa lo strumento sanzionatorio privilegiato

In quanto tale rappresenta una nuova strategia istituzionale rivolta ad una graduale compressione
dell’aperta manifestazione della violenza e della sofferenza fisica.

Secondo Spierenburg l’evoluzione delle pene riflette l’evoluzione della sensibilità culturale

Spierenburg si rifà alle tesi di Norbert Elias. Elias analizza il passaggio dalla società quella che trasforma la
società cavalleresca (Medioevo) alla società assolutistico-curiale (età Moderna): dalla violenza alla
raffinatezza

Il processo di civilizzazione nasce con l’emergere di un potere centrale che monopolizza l’uso della violenza
in una determinata società e impone le sue regole sui soggetti ad essa appartenenti. Il rispetto verso i
superiori sociali genera il raffinamento dei costumi e sviluppa la ‘simpatia’ verso gli altri. In che senso?

Nel mondo feudale i cavalieri abbandonano la violenza via via che riconoscono l’autorità del signore
feudale.

Con il graduale passaggio della struttura feudale a quella di corte (a partire per lo meno dal ‘400), la
violenza è definitivamente monopolizzata dalle autorità centrali: si riducono pertanto i livelli di aggressività
presenti nelle ordinarie relazioni sociali e aumenta la sicurezza.

La corte svolge una funzione importante: rappresenta il luogo che consente alla classe dirigente, la nobiltà
di origine cavalleresca, di identificarsi tangibilmente in una scala di valori, di sviluppare una propria capacità
di adattamento e di autocontrollo, di reprimere l’aggressività.

In questo contesto i cortigiani sono spinti a gareggiare fra loro per ottenere le grazie del sovrano,
allineandosi ad una serie di valori e di codici di comportamento.

Secondo Elias c’è una stretta connessione tra la formazione dello stato moderno titolare del monopolio
pubblico della violenza fisica e dell'apparato fiscale. lo sviluppo del controllo e della repressione delle
emozioni .

La presenza di uno Stato assoluto determina l’imposizione di modelli di comportamento. Elias osserva che
si determina un processo di interiorizzazione di tali modelli di comportamento  graduale mutamento
dell'equilibrio tra eterocostrizione e autocostrizione individuale.

Dall’eterocostrizione all’autocostrizione: L’autocostrizione individuale opera indipendentemente dalla


presenza di organi repressivi esterni e si sostituisce alla eterocostrizione attivandosi in maniera automatica
e onnipervasiva.

Secondo Elias, si è realizzato un processo di condizionamento sociale che ha fatto sì che determinate
condotte fossero avvertite come giuste in sé.

In altri termini, i membri della comunità hanno perso la coscienza del fatto che tali regole in realtà hanno
un valore puramente convenzionale.

La diffusione dei modelli  I costumi delle élites aristocratiche si sono poi diffusi anche presso la borghesia
tra 700 e 800, divenuta sempre più importante con lo sviluppo di una economia di mercato.
Questa cultura comune, questa mutua comprensione tra individui diversi è stato il terreno su cui si è
sviluppato l’Illuminismo prima e l’utilitarismo poi.

In definitiva la natura del processo di civilizzazione…Si tratta di un processo psichico che modifica la
personalità degli individui, favorendo lo sviluppo dell’autocontrollo, l’interiorizzazione delle restrizioni e la
inibizione dei sentimenti. In altri termini il processo di civilizzazione è il processo attraverso cui gli esseri
umani cessano di essere schiavi delle loro emozioni e diventano capaci di interagire positivamente con i
propri simili.

Spierenburg riprende Elias nel momento in cui Ritiene che vi sia un legame diretto tra trasformazione delle
modalità punitive e sviluppo delle istituzioni politiche e sociali: la trasformazione dello Stato costituisce il
fattore che spiega il mutamento delle pene  Spierenburg utilizza l’analisi di Elias applicandola alla
dimensione penale.

Per Durkheim il potere politico non ha alcun ruolo nella determinazione dei reati da punire e delle pene da
adottare. La pena dipende unicamente dalla reazione della coscienza collettiva ad un determinato atto.

Il compito dell’autorità politica, infatti, è solo quella di far rispettare le credenze, le tradizioni, le pratiche
collettive, difendendo la coscienza comune contro i nemici interni ed esterni.

La prospettiva di Spierenburg è differente: occorre guardare alla evoluzione delle istituzioni politiche. In
quest’ottica la violenza della punizione pubblica era la risposta di uno Stato malfermo, personalistico e
militare, che cerca così di stabilizzare la sua autorità.

Grazie a questa strategia punitiva si affermano Stati a livello nazionale che, in quanto relativamente pacifici
sul piano interno, possono prevedere sanzioni:

1. meno violente

2. che non richiedono alcun tipo di pubblicità.

L’autorità pubblica, in questo processo, perde ogni carattere personalistico e tende ad assumere una forma
burocratica.

Spierenburg ed Elias

Comando del sovrano  Prima fase: sanzione pubblica violenta: eterocostrizione  Seconda fase:
sanzione non pubblica ‘mite’: autocostrizione

La ricostruzione storica di Spierenburg. Il fenomeno delle pene pubbliche è antico, ma nell’Alto Medio Evo
solo i servi erano soggetti a questo tipo di giustizia penale.

Gli uomini liberi tendevano a risolvere in maniera privata le loro dispute, attraverso la violenza o più spesso
la restituzione o la compensazione.

• L’emergere dei principati trasformò gli uomini liberi in sudditi del principe, soggetti alla sua autorità
e al suo sistema giudiziario: si tratta di un processo particolarmente visibile nelle città.

• A partire dal XII secolo e fino al XVI (Basso Medioevo) la violenza pubblica prese gradualmente il
posto di quella privata e la responsabilità per la vendetta contro il reo venne sempre più sottratta
alle vittime o ai loro parenti e rivendicata dallo Stato.
secondo Spierenburg in questa fase (Basso Medioevo) la pubblicità della pena è connessa all’affermazione
della giustizia penale, ovvero di una burocrazia altamente specializzata, componente essenziale delle
istituzioni pubbliche

D’altra parte l’affermazione giustizia penale pubblica d’altra parte ha conseguenze poco rilevanti sulle
tipologie di pene applicate. Perché?

Spierenburg osserva che non dobbiamo lasciarci impressionare dall’elevato tasso di violenza connesso
all’attività giurisdizionale. La società ancora nella prima età moderna (‘500-‘600) si caratterizzava per la
diffusione delle armi e per un basso livello di sicurezza personale là dove erano ancora vivaci le trace
dell’ethos guerriero e cavalleresco.

In questo contesto non c’era alcuna remora ad infliggere i maggiori patimenti ai condannati.

In questa fase storica il principe (o comunque il potere pubblico) era riuscito a conseguire il monopolio
della violenza e a subordinare alla sua autorità i sudditi, ma il suo potere restava spesso malfermo. Le
esecuzioni allora avevano la funzione di celebrare il potere dello Stato, di affermare la sua supremazia.
Scrive Spierenburg: «le autorità avevano il monopolio della violenza e lo dimostravano utilizzandola
effettivamente»

Solo con la stabilizzazione del potere pubblico, a partire dal Settecento, si ha una effettiva pacificazione
della società.

Questo processo istituzionale consentì il raffinamento dei costumi e l’emergere di una nuova sensibilità
(dalla eterocostrizione alla autocostrizione) LIMITATAMENTE alle classi più elevate.

Le élites diventano orgogliose della loro sensibilità umanitaristica e cominciano a disprezzare gli
appartenenti alle classi inferiori per la loro mancanza di civiltà.

Il supplizio è visto come un retaggio di un passato rozzo e violento.

L’umanitarismo rappresentò un potente strumento di autoidentificazione sociale. Nel momento in cui si


diffonde il senso di ripugnanza di fronte allo spettacolo della violenza, tra i ceti dominanti, la visibilità della
sofferenza diminuisce.

Tra il 1754 e il 1798 una mezza dozzina di stati europei rinunciarono all’uso della tortura:

secondo Spierenburg questo non fu tanto merito dell’Illuminismo, che di fatto si limitava a richiamare
istanze già presenti, quanto piuttosto della nuova sensibilità che rifiutava ogni brutalità per il condannato,
in quanto essere umano.

La diffusione di una mentalità. Questa mentalità, inizialmente diffusa solo nelle classi alte, si propagò al
resto della società, tanto che nel corso dell’800 gran parte degli Stati europei decise di abolire le esecuzioni
pubbliche (la Francia, tardivamente, lo farà solo nel 1939).

Per altro questo processo culturale non determinò l’abolizione della violenza pubblica, ma solo la rimozione
di ogni sua spettacolarizzazione. Tale violenza, infatti, permane nella società come una minaccia latente
diretta ai possibili violatori
Scrive Elias «questa violenza immagazzinata dietro le quinte della vita quotidiana promana una pressione
costante e uniforme sulla vita del singolo, della quale egli non si avvede perché vi è abituato, perché fin
dall’infanzia il suo comportamento e la sua conformazione pulsionale sono stati plasmati in armonia con
questa struttura della società»

Questo approccio consente di riformulare l’antinomia che caratterizzava la teoria durkheimiana:

per Durkheim la contraddizione nasceva dal conflitto tra

1)la ripugnanza nei confronti del delitto compiuto dal colpevole

2) la ripugnanza nei confronti dei mezzi impiegati per sanzionare il colpevole.

secondo Spierenburg tale antinomia si fonda invece sul fatto che la soppressione della violenza è il frutto
della costruzione di uno Stato capace di una violenza tanto potente da scoraggiare la violenza privata non
autorizzata.

L’antinomia nasce dal fatto che la soppressione della violenza, dunque, non è reale: si tratta piuttosto di
una sua rimozione, di un suo nascondimento, rispetto alla scena pubblica.

La violenza non sparisce ma diviene monopolio legittimo di settori altamente specializzati delle istituzioni
in grado di gestire tale violenza in modo professionale e impersonale.

Questo spiegherebbe anche l’affermazione del carcere come modalità punitiva…Nell’età premoderna il
carcere aveva una funzione cautelare, riservata a coloro che erano in attesa di processo. Aveva una
funzione afflittiva solo in relazioni a reati minori.

I motivi della ‘fortuna’ del carcere: Per Durkheim il successo del carcere è dovuto a circostanze casuali: il
mutamento della la coscienza collettiva ha portato ad una mitigazione delle pene ed il carcere ha assunto
una funzione di primo piano.

Per Spierenburg carcere cela la violenza allo sguardo pubblico. Allo stesso tempo però questo processo di
nascondimento è funzionale alla disumanizzazione del delinquente: il carcere è percepito come violento e
incivile e chi vi è recluso non può che avere i medesimi attributi, le stesse qualità.

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