Sei sulla pagina 1di 8

Le ideologie tra XIX e XX secolo

Intervento tratto da P. Pombeni (a cura di), Introduzione alla storia contemporanea, il Mulino,
Bologna, 2001

Che cos'è un'ideologia


Il termine ideologia proviene dalla filosofia, in particolare dal gruppo di filosofi francesi sette-
ottocenteschi, gli Ideologi, che lo utilizzavano per indicare lo studio delle sensazioni e delle idee
che si producono nella coscienza umana. Gli ideologi erano di fede politica liberale, di provenienza
illuminista ed in polemica aperta sia con Robespierre e il Terrore rivoluzionario sia con Napoleone:
fu quest'ultimo ad attribuire alla parola ideologia il significato negativo di un pensiero politico
astratto e dottrinario, privo di contatto con la realtà e di valore o riflesso pratico.

Qualche decennio più tardi, la parola ideologia, sempre con connotazione negativa, è utilizzata in
contesto diverso e con altra motivazione intellettuale da Karl Marx. Il filosofo del materialismo
storico attribuisce un'importanza centrale- sul piano economico, sociale e politico- alle classi e allo
scontro in atto tra esse. La vicenda umana è fatta di lotta tra le classi, dalla quale solo una emerge
vincitrice e dominante sulle altre. Il dominio di classe, unica autentica realtà dei rapporti economici,
sociali e politici, non è esplicito ma si nasconde dietro a teorie, idee e principi finalizzati alla sua
legittimazione e alla sua giustificazione. Questo paravento teorico è chiamato da Marx ideologia Ne
consegue che secondo Marx l'ideologia:
 ha origine sociale, cioè è prodotta dalla classe dominante
 è l'insieme di dottrine false che di fatto servono solo per mascherare la sostanza della lotta di
classe

Dopo la Seconda guerra mondiale, il concetto di ideologia si è trasferito dalla filosofia alle scienze
sociali, perdendo ogni connotazione positiva o negativa e diventando uno strumento conoscitivo
neutro per analizzare in un'unica categoria analitica diversi fenomeni storici (liberalismo,
socialismo, conservatorismo) stabilendone le caratteristiche comuni
In linea di massima, tutte le definizioni del concetto di ideologia hanno queste caratteristiche
comuni
 le componenti di base di un'ideologia sono elementi teorici ed astratti, idee, principi e valori
 l'ideologia non si basa solo su uno di questi elementi, ma li racchiude sistemicamente,
facendoli interagire e coordinandoli, facendoli diventare un sistema di parti integrate con
sufficiente grado di coerenza (es: il liberalismo non si fonda solo sul valore della libertà, ma
anche sulla convinzione che l'uomo sia razionale e perfettibile, su una moderata fede nel
progresso, sulla pace e la cooperazione internazionale, etc.)
 il sistema di credenze delle ideologie contiene sia elementi descrittivi- fornisce strumenti per
interpretare la realtà economica, sociale e politica per prospettare che cosa può succedere nel
futuro- sia elementi prescrittivi – fornisce guide per l'azione politica, indica agli individui
come sia giusto comportarsi, quali sono i fini che devono essere perseguiti e con quali mezzi
 l'ideologia svolge funzione di legittimazione, ossia dà agli attori politici la possibilità di
giustificare il proprio operato.

Caratteristiche delle ideologie


Le ideologie non vengono prodotte da un'entità unica, ma nasce dalla convergenza di concetti,
valori e principi elaborati da più individui, in più tempi, in luoghi geograficamente diversi e lontani
tra loro
Sia chi crea un'ideologia sia chi la utilizza tende a reinterpretarla o la adatta alle proprie necessità
(si pensi alle innumerevoli versioni di liberalismo); spesso, sul terreno dello scontro politico, i
gruppi si dicono ispirati a una ideologia da cui anche altri gruppi prendono spunto, finendo per
discutere su chi sia l'effettivo portatore della “vera” ideologia: in questo caso la concezione della
“vera ideologia” diventa strumento di lotta politica.
Le ideologie si stendono su più piani disciplinari: derivano da elaborazioni teoriche e quindi
appartengono alla filosofia; ispirano la costruzione di istituzioni e sono quindi studiate dai giuristi;
vengono incarnate da personaggi e movimenti e quindi sono studiate dagli storici. Questa loro
“interdisciplinarità” fa sì che possano essere affrontate con strumenti e approcci diversi, ottenendo
perciò anche risultati diversi.

Le ideologie rispondono ai medesimi interrogativi (es: qual'è la natura dell'uomo? Chi è legittimato
a governare? In quale maniera si affronta la questione della proprietà privata? In quale modo
affrontare il dilemma autorità/ libertà?). Inoltre, si servono dei medesimi concetti (razionalità,
uguaglianza, felicità, potere, individuo) per fornire indicazioni e risposte alle domande precedenti
Se i problemi da risolvere e i concetti a cui attingere per risolverli sono i medesimi, quello che
cambia, da ideologia a ideologia, è evidentemente la maniera in cui risolverli.
A complicare la questione, emerge il fatto che i contesti in cui si muovono le ideologie sono astratti
e che ai concetti sopra esposti si possono attribuire molti e diversi significati.

Le ideologie non si escludono l'una con l'altra, spesso si sovrappongono.

Presentiamo l'ordine dei problemi che le ideologie si trovano a dover risolvere


a) problema del mutamento: l'ideologia affronta il rapporto tra realtà storica e azione umana;
può ritenere che le circostanze politiche, economiche e sociali vadano mantenute, oppure il
contrario, oppure che non possano essere cambiate dall'azione umana. Qualora l'ideologia
preveda un cambiamento, può pensare di ottenerlo con la forza e la violenza, oppure
gradualmente. Può partire da una visione della storia umana come decadenza oppure come
progresso
b) dalla società allo Stato: le ideologie devono rispondere alla domanda: << a chi spetta
governare?>>. In questo senso, si appoggerà alla tradizione, facendo leva sull'autorità della
storia, oppure potrà proporre le soluzioni più disparate.
c) Dallo Stato alla società: l'ideologia deve affrontare il problema del rapporto tra stato e
società, ovvero di come e quanto il primo debba intervenire sulla seconda, regolandola,
modificandola, indirizzandola. Ad un estremo, avremo perciò chi ritiene che la realtà sociale
ed economica sia comunque portatrice di valori positivi ( posizione liberale di tipo libertario
ma anche anarchica); all'altro estremo avremo chi ritiene che la realtà sociale ed economica
sia sbagliata e irrimediabilmente corrotta, e che perciò le istituzioni pubbliche debbano
intervenire pesantemente su di essa ( posizioni totalitarie). Tra queste soluzioni si collocano
un'ampia gamma di soluzioni intermedie.
d) Individuo e collettività: l'ideologia può considerare più importante privilegiare l'uno o l'altra.

Il reazionarismo

L’ideologia reazionaria, come suggerisce la parola stessa, intende reagire ad un evento o ad una
serie di eventi che vengono giudicati negativamente, per annullarne o almeno minimizzarne le
conseguenze. Per il r. ottocentesco, l’evento ‘corruttore’ è la Rivoluzione Francese.
Gli antirivoluzionari negano che gli uomini abbiano il diritto di organizzare liberamente, secondo
ragione, la propria vita associata. L’assetto politico deve essere modellato sulla base di principi che
non sono stati inventati, ma che derivano dall’ordine naturale delle cose, quindi dalla divinità che ha
creato quell’ordine: il potere politico spetta al re, ma per volontà divina. Questo potere non deve
essere sindacato né controllato da altre istituzioni.
Quale società si prospetta secondo questa ideologia? Una società dove le strutture ( famiglia,
comunità locale, Chiesa) sono considerate più importanti della singola persona; dove le strutture
hanno forma piramidale e sono gerarchiche (l’autorità è ovviamente al vertice); dove i singoli
individui si collocano in una posizione che viene assegnata dalla nascita e che tendenzialmente non
muta.
Il r. ottocentesco, appoggiandosi sull’elemento divino e religioso, crea un legame naturale con la
chiesa cattolica.
Storicamente, il r. ottocentesco perse la sua battaglia per la restaurazione dell’Ancien Regime:
persino il Congresso di Vienna restaurò solo in parte l’ordine pre-napoleonico; tuttavia, il
diciannovesimo secolo non cancellò del tutto gli elementi politici e sociali di notevole importanza,
quali monarchia, nobiltà, esercito e burocrazia. E’ su questi elementi che il r. fa forza
nell’opposizione radicale alla Rivoluzione. Pur risultando sconfitto, influenzò moltissimo i tempi, i
ritmi e la profondità del processo di modernizzazione politica.

Tra la fine del XIX e l’inizio del XX, prendendo atto dell’ineluttabilità dei cambiamenti che
intervenivano nella realtà storica, i r. assume caratteristiche nuove e diverse. Avversa come sempre
la Rivoluzione Francese, e rimane legato con convinzione ai valori del cattolicesimo: pertanto
rimane critico e ostacola ideologie quali il liberalismo, la democrazia e il socialismo; tuttavia, deve
necessariamente fare i conti con una società di massa, nella quale si è allargata la partecipazione
politica. Lo strumento che l’ideologia reazionaria sceglie per ampliare la portata del proprio appello
e raggiungere i nuovi soggetti politici è la nazione. I nuovi reazionari puntano su sentimenti di
appartenenza alla comunità nazionale e di contrapposizione rispetto alle altre comunità nazionali.
In alcuni paesi, soprattutto in Francia e Germania, i sentimenti di appartenenza nazionale o razziale
vengono rafforzati dalla promozione dell’antisemitismo, che promuove l’avversione nei confronti di
quelli che si ritiene della nazione non facciano parte.

La profonda trasformazione dell’impianto ideologico reazionario indotta dall’accettazione della


dimensione politica di massa e dall’acquisizione dei valori nazionalistici diviene particolarmente
visibile in Italia e Germania con il fascismo e il nazismo, pur nella diversità dei due casi: entrambi
conservano l’avversione nei confronti del liberalismo, della democrazia, dell’uguaglianza e
continuano a ritenere che la società debba essere ordinata e gerarchica e gli individui subordinati
alla collettività (si contrappongono insomma ai principi del 1789). Il processo di modernizzazione
ha però trasformato in maniera tale il contesto politico da rendere impossibile il ritorno all’Ancien
Regime e quindi irrilevante qualsiasi riferimento ad esso. Nazismo e fascismo abbandonano dunque
il principio monarchico e soprattutto la teoria del diritto divino, scegliendo di affidare il potere
politico ad un unico individuo ( Duce o Fuehrer) scelto per l’abilità personale e per la capacità di
rappresentare la volontà nazionale, mantenendo con essa un contatto ai limiti del mistico.
Nazismo e fascismo rinunciano a qualsiasi riferimento trascendente, recidendo così le radici che il r.
aveva nel cattolicesimo: sono ideologie atee, che puntano alla creazione di riti propri in sostituzione
alle religioni tradizionali. Negandone l’origine divina, nazismo e fascismo lasciano l’assetto sociale
in balia del potere politico, attribuendo ad esso il diritto di inglobare l’intera società al proprio
interno e di guidarla e trasformarla secondo la propria volontà.

Il conservatorismo
Tra i filoni ideologici è probabilmente il più complesso e differenziato, anche perché, a differenza
del reazionarismo, ha avuto punti di riferimento – v. Ancien Regime o Rivoluzione francese- molto
meno stabili nel corso dell’evoluzione storica.
Il conservatore affronta con diffidenza il razionalismo rivoluzionario, perché ritiene che l’uomo non
abbia il potere di ricostruire a proprio piacimento la realtà sociale, economica e politica che lo
circonda. Diversamente dal reazionario però non ha in mente un mondo completamente immobile,
sempre uguale a sé medesimo. Inoltre, è disposto a entrare in rapporto dialettico con quanti
chiedono la trasformazione anche radicale dell’esistente ( i progressisti) e a cedere ad alcune loro
richieste, purché le riforme non indeboliscano troppo i principi fondamentali cui il conservatore si
ispira. L’idea di tradizione è anche qui, come per il reazionarismo, fondamentale; tuttavia non si
rifiuta il mutamento, se non altro per rallentarlo o limitarne i “ danni”.
I valori fondamentali del conservatorismo sono:
- l’antiegualitarismo: le differenze tra gli uomini non sono eliminabili e chi sta in alto deve guidare
chi sta in basso
- il rispetto delle gerarchie
- il riferimento alla trascendenza in se stessa e nella sua istituzione rappresentativa, la Chiesa.
L’ottica di riferimento del conservatore è prima la comunità che si allarga poi alla dimensione
nazionale; anche la proprietà privata, che va comunque garantita, non può danneggiare l’esistenza
della collettività: alla proprietà sono collegate delle responsabilità.
Il conservatorismo inglese e continentale
In Inghilterra, l’ideologia conservatrice tende a difendere un modello tradizionale di costituzione
mista, nel quale coesistevano un potere monarchico( re), aristocratico ( Camera dei Lords) e
democratico ( Camera dei Comuni), che si sviluppa in maniera graduale, senza fratture traumatiche,
fina dal tardo Seicento. La situazione sul continente europeo, attraversato dalla rivoluzione, non
permette invece ai conservatori di far riferimento a tradizioni consolidate. Non solo: le cesure della
tradizione – si veda ad esempio l’unificazione tedesca- sono spesso prodotte proprio dall’ideologia
conservatrice.

Il liberalismo

L’elemento centrale della filosofia politica liberale è l’individualismo, ovvero la tutela


dell’autonomia del singolo e la sua valorizzazione davanti alle pretese dei “ gruppi” sociali, quali
essi siano. All’interno del percorso storico che ha determinato la nascita e l’affermazione dei valori
dell’individuo ha avuto un’importanza particolare la frattura nella coscienza europea che venne
determinata dalla riforma protestante. Il sorgere di diverse interpretazioni della religione cristiana
ha posto per la prima volta il problema della tolleranza delle opinioni differenti e del diritto che
ciascuna persona ha di scegliere nella completa libertà a quale opinione far riferimento.
Nel corso del Settecento, l'illuminismo, sviluppando idee e principi già emersi nei secoli precedenti,
ha contribuito almeno in alcuni suoi filoni a trovare per questo problema una soluzione
individualistica, attribuendo la massima importanza alla razionalità del singolo,alla sua autonomia
di giudizio e azione.
La libertà dell'individuo secondo il liberalismo deve essere gelosamente difesa prima di tutto dalle
possibili intrusioni del potere pubblico. L'attività dello Stato delineato dal costituzionalismo liberale
è limitata e regolata in maniera da non violare l'autonomia del cittadino. Quali sono le strategie o gli
strumenti per giungere a questa “inviolabilità”?
 la suddivisione del potere statale fra più di un'istituzione
 la subordinazione di ogni atto pubblico alla legge
 l'esplicita statuizione dei diritti di libertà dei cittadini ( libertà di parola, di stampa, si
associazione, inviolabilità della proprietà privata etc.)
Normalmente però, i liberali ritengono che lo Stato, per quanto limitato, debba tuttavia esistere.

Uno degli ambiti fondamentali all'interno dei quali, secondo il liberalismo, la libertà deve essere
tutelata è quello dell'attività economica.
Né la proprietà privata né la discrezionalità del proprietario possono essere contestate nel panorama
ideologico liberale. Sul mercato, si tende a lasciare al singolo larga autonomia: comprare, vendere,
assumere o licenziare, o farsi assumere, contrattare prezzo o salario sono decisioni che spettano al
singolo. La libertà economica non viene difesa solo perchè deriva dal più generale patrimonio dei
valori liberali, ma anche in virtù della convinzione che essa rappresenti lo strumento più efficace
per promuovere il benessere dell'intera collettività.

L'affermazione dei valori liberali storicamente ha seguito due percorsi differenti nei paesi
anglosassoni e sul continente europeo.
Sul continente europeo i principi del liberalismo non sono emersi con il risultato di una lunga
tradizione storica e politica: proposti sul piano dottrinario e filosofico, sotto l'etichetta generale di
“diritti dell'uomo”, si sono contrapposti alla realtà storica dell' ancien regime
la rivoluzione francese costituisce almeno in parte il primo tentativo di compiere l'affermazione del
liberalismo, ma con la violenza a differenza del modello inglese: i liberali sul continente si sono
imbattuti in un potere pubblico- costituito da corporazioni, chiese, comunità locali- così forte che la
soluzione per abbatterlo era la sua distruzione.
Sul continente, lo Stato rappresentò il garante della libertà individuale e il suo difensore ( Hegel)

Al termine liberalismo si è affiancato spesso il termine democrazia; quest'ultimo ha però assunto


storicamente due significati diversi : il primo è quello di “ larga partecipazione del popolo al
governo dello Stato”, solitamente non diretta, ma attraverso rappresentanti eletti; il secondo è quello
di “tendenza a creare tra i cittadini la maggiore eguaglianza possibile”.
Il liberalismo si lega dalla nascita al primo di questi due significati. Inoltre, il liberalismo
ottocentesco non intende concedere a tutti i cittadini il potere di intervenire nella gestione della cosa
pubblica. Solo chi da garanzie di saper bene usare il potere può esercitarlo e i criteri utilizzati per
decidere chi possa effettivamente bene usare il potere sono essenzialmente due: la proprietà ( censo)
e l'istruzione.

Accanto a questo liberalismo, nel XIX secolo si forma una corrente sempre liberale ma di matrice
molto più democratica: il radicalismo.
Difendendo i diritti dell'individuo al pari del liberalismo, il radicalismo si è opposto alla
permanenza di istituzioni non rappresentative ( es: monarchia) e all'allargamento della
partecipazione del popolo, con il suffragio allargato, la moralizzazione delle procedure elettorali, la
riduzione della durata dei parlamenti, la retribuzione dei deputati.
Con il trascorrere dei decenni, anche le forme più moderate di liberalismo hanno sostanzialmente
accettato l'affermarsi di procedure e istituzioni politiche sempre più democratiche: il liberalismo del
Novecento può essere con buona approssimazione ribattezzato liberal- democrazia.

Con molta cautela e le dovute eccezioni, il XIX secolo può essere considerato il secolo del
liberalismo in Europa, che vide l'affermazione del costituzionalismo liberale e del liberalismo
economico ( liberismo).
Già alla fine del secolo però l'ideologia liberale cominciò a dare segni di cedimento. Sul piano
filosofico politico , l'individualismo entrò in grave crisi. A questa crisi inoltre si collegava
l'emergere, sul piano politico e sulle sensibilità collettive, di due fenomeni lontani dall'universo
ideologico liberale: una concezione organicistica – e quindi antindividualistica- della nazione, e la
questione sociale. Il primo dei due fenomeni, sostenuto anche da profondi cambiamenti nella
struttura economica e produttiva, condusse negli anni '80 dell'Ottocento all'abbandono del liberismo
e del libero commercio.

L'insorgere della questione sociale portò mutazioni significative nel patrimonio ideologico liberale.
Fino ad allora la libertà difesa dal liberalismo era stata soprattutto “negativa”: un individuo non
poteva essere ostacolato nelle sue attività a condizione che fossero lecite. L'assenza di ostacoli
creati dallo stato non implicava però necessariamente che l'individuo fosse in grado di fare ciò che
voleva, poiché potevano esister altri impedimenti: la povertà, l'ignoranza, la malattia, la vecchiaia.
I problemi posti dalla questione sociale condussero, negli ultimi decenni dell'Ottocento,
all'elaborazione di un nuovo concetto di libertà, una libertà “positiva”. Non era sufficiente che
l'individuo non fosse ostacolato, era necessario che gli fossero anche forniti gli strumenti minimi
perchè fosse in grado di vivere come desiderava: soprattutto salute fisica, istruzione e un livello
minimo di benessere materiale. Su questa base, e senza rinunciare alle radici individualistiche,
nacque un filone di “ liberalismo sociale” che vedeva nello Stato il fornitore dei servizi essenziali
che rendessero “positiva” la libertà.

Gli anni compresi tra i due conflitti mondiali sono stati anni di grave crisi per il costituzionalismo
liberale, sconfitto e negato da regimi autoritari e totalitari. Il 1945 bha riportato istituzioni di
matrice liberaldemocratica in tutto il mondo occidentale e la crisi del comunismo avvenuta alla fine
degli anni Ottanta del Novecento sembra aver sancito il successo di questo modello di governo.
In Occidente, il periodo successivo alla seconda guerra mondiale ha anche visto la crescita
dell'intervento statale nell'economia, per garantire il benessere dei cittadini. L'occidente post bellico
ha accettato le istituzioni liberal democratiche ma ha almeno in parte respinto i dettami economici
liberali.

Socialismo e comunismo

Prendiamo il grande slogan della Rivoluzione Francese “ libertà, fraternità, uguaglianza”: se il


liberalismo si fa promotore essenzialmente della prima, la tradizione socialista ( e comunista) di
fonda sulle altre due1.
La cifra fondamentale del socialismo è antindividualistica: massima priorità viene attribuita alla
costruzione e al benessere del corpo sociale. Questo dovrà essere omogeno al proprio interno
( uguaglianza) ; non vi potranno essere differenze rilevanti nella qauntità di potere politico,
economico e sociale attribuita a ciascuna persona, e sarà anche solidale ( fraternità).
Sul piano politico, quetsi principi portano a caldeggiare una compiuta democrazia: tutti i cittadini
devono poter partecipare al potere pubblico. Sul piano economico conducono a sostenere la
scomparsa completa o quasi della proprietà privata, a favore di forme di gestione collettive di
possesso e gestione economica.

Il socialismo “utopista” Vengono definiti “utopisti” gli esperimenti di inizio Ottocento attuati ad
esempio dal francese Fourier e dall'inglese Owen. Pur nella loro diversità, questi pensatori hanno in
comune il desiderio di realizzare i principi del socialismo non attraverso la rivoluzione violenta, ma
attraverso una ricostruzione morale e psicologica della società. Tra gli strumenti utilizzati per
realizzare quest'opera vi è la creazione di piccole comunità socialiste, ad esempio e a prefigurazione
di ciò che avrebbe potuto essere la società futura. Quetsi esperimenti di comunità fallirono tutti.

Il socialismo “ scientifico”. Si chiama così il socialismo teorizzato dai filosofi Karl Marx e
Friedrich Engels.Secondo Marx, l'elemento determinante del divenire storico è lo scontro tra classi;
questa lotta non solo è invitabile, ma anche predeterminata nei suoi esiti: la classe dominante in un
dato momento storico è destinata ad essere soppiantata dal gruppo sociale subordinato. Gli anni in
cui Marx scrive e vive sono considerati l'epoca del sistema produttivo capitalistico, fondato sulla
proprietà privata dei mezzi di produzione e sullo sfruttamento della manodopera e del dominio di
classe della borghesia. In un futuro più o meno prossimo questa situazione è destinata alla crisi, che
condurrà al rovesciamento della borghesia e alla costruzione di un nuovo assetto economico, sociale
e politico dominato dalla classe che dalla borghesia veniva oppressa: il proletariato. La dittatura del
proletariato sarà diversa, poiché per la prima volta a dominare non sarà una ristretta minoranza ma
una larga maggioranza. La dittatura sarà però transitoria: lascerà il posto ad una società senza
classi, priva di proprietà privata, di sfruttamento, di diseguaglianze. Rispetto alle altre teorie
socialiste, quella marxiana ha una forte componente deterministica: l'avvento della dittatura del
proletariato non è un'eventualità ma una certezza.

Il socialismo nella storia


I partiti socialisti vengono fondati alla fine dell'Ottocento; il più grande e influente è quello
tedesco, fondato nel 1875.
Il patrimonio ideologico a cui questi partiti fanno riferimento è per lo più quello marxiano; tuttavia

1
Ricordo che da un punto di vista intellettuale, la tradizione trova radici – seppur distanti- in Platone, nell'utopia di
Thomas More, nella filosofia umanista di Rousseau. Il 1789 crea comunque l'ambiente ideologico adatto al suo
pieno dispiegamento nel XIX e soprattutto nel XX secolo.
hanno influenza anche altri filoni del socialismo: quelli umanitari, laburisti ( Inghilterra),
positivistici, democratico- radicali. La crescita di questi partiti si lega anche all'aumento di interesse
ai problemi sociali che contraddistingue quest'epoca; si rafforza inoltre il principio che le risorse del
potere pubblico possano essere utilizzate al fine di rimediare ai casi più clamorosi di malessere delle
classi subordinate.
Lo Stato dai i socialisti dunque è visto come uno strumento per modificare la realtà economica e
per ottenere una più solida tutela dei meno abbienti e un maggior tasso di uguaglianza all'interno
della società.
La fine dell'Ottocento è contraddistinta dallo sviluppo dell'imperialismo e del trionfo dei valori
nazionalistici. Rispetto a questi fenomeni, il socialismo ha un atteggiamento di netta
contrapposizione: il proletariato è una “ classe orizzontale”, la solidarietà lega i proletari di tutto il
mondo, non esistono relazioni di solidarietà verticale. Il movimento socialista conosce il fenomeno
delle Internazionali, riunioni mondiali che danno vita ad organizzazioni mondiali.

I filoni del socialismo Uno dei filoni del pensiero socialista che si diffondono tra XIX e XX secolo,
è teorizzato da Eduard Bernstein e prende il nome di revisionismo; sostiene la necessità di
rinunciare ad una strategia di contrapposizione rigida e frontale con le istituzioni politiche, sociali e
economiche dell'epoca. Bisogna invece lavorare all'interno di esse, migliorando per gradi la
situazione della classe operaia e sostituendo per gradi alla proprietà privata quella collettiva. Per
contro, un filone che si può definire 'integralista', intende conservare una posizione di radicale
opposizione rispetto all'assetto socioeconomico fondato sulla proprietà privata.
Una corrente ulteriore riteneva che si dovesse giungere al socialismo reale attraverso un atto
rivoluzionario, da compiere o sul piano economico-sociale attraverso il sindacato o sul piano
politico attraverso il partito. Questo ultimo filone si sviluppa in paesi economicamente e
politicamente più arretrati, perciò meno disponibili al riformismo, soprattutto durante i primi anni
del XX secolo.
Il socialismo mondiale ha una svolta considerevole dopo l'avvento del comunismo in Russia dal
1917. Alla base di questa rivoluzione si poneva la rielaborazione del pensiero di Marx attuata da
Lenin. Il leninismo rifiuta sia il riformismo sia la prospettiva integralista, ritenendo che per l'una o
per l'alta via il socialismo sarebbe stato a poco a poco riassorbito dai regimi borghesi. L'unica via
praticabile per ottenere la società senza classi sarebbe stata la rivoluzione, sotto la guida del Partito
comunista: un partito di pochi membri, compatto, ideologizzato e rigidamente disciplinato. Una
volta preso il potere, i comunisti non avrebbero utilizzato strumenti istituzionali della “democrazia
borghese” - parlamenti, elezioni, partiti- ma avrebbe incentrato una forma di democrazia diretta
incentrata sul soviet, assemblee di operai che si riuniscono nei luoghi di lavoro. Il soviet non
avrebbe però reso superfluo il partito, che avrebbe comunque mantenuto una vigilanza sul potere e
avrebbe controllato la società in maniera capillare.
La dittatura del proletariato si deve compiere per Lenin non attraverso un affidamento diretto ma
tramite un partito. Su questa base ideologica il comunismo leninista finisce per dare vita ad un
apparato totalitario simile a quelli nazista e fascista.
Durante il periodo tra le due guerre, il comunismo sovietico diventa modello per i partiti comunisti
europei; tuttavia non soppianta mai in Europa il più diffuso socialismo: la rivoluzione russa non
viene esportata in Occidente.
Dopo la Seconda guerra mondiale, la Russia vincitrice ha gioco nel crearsi un vasto polo
geopolitico, che comprende alcuni paesi sottosviluppati che emergono dalla decolonizzazione ( vedi
la Cina di Mao Zedong) . I partiti comunisti europei sopravvivono all'interno delle istituzioni
liberaldemocratiche- sono messi in discussione pesantemente però dal crollo del regime sovietico
negli anni '80 del XX secolo. Dopo il 1945, il socialismo rinuncia a sostenere forme di democrazia
diverse da quella parlamentare e ha accettato in generale che l'economia sia gestita con sistemi
capitalistici. In questo contesto, ha promosso un'idea di Stato che interviene nella vita economica e
sociale per creare una rete di protezione per le fasce più deboli della popolazione: ha contribuito
così alla nascita dello stato sociale.

Potrebbero piacerti anche