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Introduzione alla filosofia e

teoria politica Bellini e


Bonvecchio
Storia Politica
Università degli Studi dell'Insubria
38 pag.

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Introduzione alla filosofia e teoria politica

Bellini e Bonvecchio

LE IDEOLOGIE

LIBERALISMO
Il liberalismo è una dottrina economica, politica e etica, nato in Inghilterra (all’epoca della Gloriosa
Rivoluzione del 1688-89) e poi diffusasi in altri paesi europei nel XIX secolo.
Quando si affermarono altre ideologie politiche, come comunismo, socialismo, fascismo e
nazionalsocialismo, si fermò fino alla seconda metà del XX secolo. Successivamente alla fine della Seconda
Guerra Mondiale tutta l’Europa occidentale con la sconfitta del fascismo ci fu un liberalismo rinnovato. Tutte
le costituzioni degli stati occidentali nel dopoguerra furono improntate al rispetto dei valori liberali
fondamentali.
Inoltre dopo la fine del comunismo in Unione Sovietica il liberalismo rappresenta il paradigma politico di
riferimento a livello globale.
Il liberalismo si presenta come una dottrina della limitazione del potere, ma una definizione univoca è
difficile per il lungo arco storico (dal XVII al XXI secolo) e perché è influenzato dalla cultura nazionale e dal
modello sociale dove si sviluppa.
Francia e Inghilterra sono due esempi storici sell’interazione tra ideologia liberale, cultura e storia nazionale:
- In Francia il liberalismo assume un carattere radicale in relazione alle rivendicazioni e al desiderio degli
strati più colti della classe borghese di partecipare a processi decisionali, a causa di una politica autoritaria
attuata da Napoleone.
- In Inghilterra, al contrario, il liberalismo si configura dall’inizio come una dottrina attraverso cui viene
legittimata l’azione della borghesia all’interno della società.
Il modello inglese è sempre stato considerato il liberalismo classico.
Per il liberalismo classico furono determinanti l’influenza dell’economia politica con opere di: Adam Smith,
David Ricardo, Thomas Maltus, John Locke, Alexis de Toqueville, John Mill, Gaetano Mosca.
Per l’evoluzione del liberalismo nel XX e XXI secolo sono importanti autori come: Luigi Einaudi, John
Rawls, Milton Friedman.

• ECONOMIA
Inizialmente il liberalismo, in senso economico, si presenta come liberismo o dottrina del laissez-
faire, secondo cui lo Stato non deve intervenire nel regolare il libero mercato. Quindi le tariffe e le
transazioni devono essere libere da restrizioni di ordine politico e i governi non devono condizionare
la produzione e lo scambio di merci attraverso agevolazioni di qualsiasi natura.
La teoria di Adam Smith della mano invisibile del mercato esprime una concezione del benessere
economico individuale e collettivo, secondo cui gli individui agendo esclusivamente in funzione del
loro interesse personale, perseguono inconsapevolmente anche il benessere comune della società
all’interno del quale operano.
Il liberalismo si è adattato nel corso del XX secolo a un ruolo più rilevante del potere politico nei
momenti di crisi del mercato e nel considerare gli Stati come attori fondamentali per il corretto
funzionamento della libera concorrenza e per l’organizzazione della vita pubblica.

• POLITICA

In senso politico il liberalismo è una dottrina che ha tra i suoi obiettivi più importanti la difesa dei diritti
individuali e l’affermazione della dottrina di equilibrio e della Separazione dei poteri.

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Per diritti individuali si intende la rigida difesa ai:
1. diritti alla vita: nessuno può essere arbitrariamente privato della propria vita.
2. alla proprietà: nessuno può essere arbitrariamente privato dei propri beni.
3. alla libertà: ogni individuo può manifestare il proprio pensiero, la propria religione e i principi della
propria coscienza. Ciascuno è libero di agire e di condurre la propria vita come meglio crede. La
collettività e il potere costituito possono limitare l’azione individuale solo per proteggere se stessi o per
evitare o prevenire danni agli altri.

4. habeas corpus: nessun individuo può essere arbitrariamente arrestato senza il benestare dell’autorità
giudiziaria competente che dovrà sottoporlo a un processo e comunicargli chiaramente i motivi della sua
eventuale detenzione.

A questi diritti che si trovano all’interno della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948), la
Separazione dei poteri è enunciata nel XVIII secolo da Montesquieu nel suo trattato Lo spirito delle
leggi. Secondo questa dottrina il i 3 poteri fondamentali dello Stato, Legislativo, Esecutivo e
Giudiziario, devono essere rigidamente separati e non possono essere esercitati insieme dallo stesso corpo
politico o dalla stessa persona.

Il liberalismo ha come sua caratteristica che il potere non agisce mai in senso arbitrario, ma si esprime
sempre attraverso regole chiare, universalmente condivise e rispettose dei diritti fondamentali.

• ETICA
L’etica liberale ha come principi fondamentali la libertà individuale, la responsabilità e
l’autonomia decisionale e morale. Per il pensiero liberale ognuno ha il diritto di vivere secondo le
proprie convinzioni, il proprio credo religioso e la propria personale morale, senza recare danno agli
altri.
L’individuo precede ogni ordinamento politico; la società e il potere che egli costituisce deve essere
al suo servizio permettendo la realizzazione dei desideri e delle aspirazioni personali (egoismo
individualistico).

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DEMOCRAZIA
Il termine democrazia deriva dal greco, demos e kratos, cioè popolo e potere. Fu introdotto in Grecia nel V
secolo a.C. per indicare una specifica forma di governo e di organizzazione della Polis.
Dopo il XIX secolo non ha più tanto il senso di una specifica forma di governo, ma viene usata soprattutto
per indicare un ordine politico percepito come giusto e legittimo.
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi, quasi tutti gli stati tendono a dichiararsi democratici,
assume quindi un senso di tipo etico e morale.
Le principali teorie democratiche classiche provengono da Platone, Aristotele e una loro ripresa medievale
di Tommaso d’Acquino e Marsilio da Padova. La democrazia degli antichi era una forma di governo non
era una concezione di legittimazione del potere fondata esclusivamente sul concetto di popolo sovrano, ma
dipendeva da considerazioni di altro tipo, religioso o naturale.
La democrazia moderna invece si costituisce su una dottrina politica che individua nel popolo l’unico
legittimo detentore del potere e nella democrazia rappresentativa la forma di governo più adatta a tale
concezione di sovranità popolare.

▲ Democrazia rappresentativa: l’idea è che il potere deriva dal popolo a cui spetta la sovranità
politica. E’ legittimo solo quel potere che si costituisce sulla base della volontà popolare e nella
democrazia moderna il popolo esercita il potere a maggioranza in forma diretta o indiretta:
- democrazia diretta: si ha la forma referendaria, per cui le leggi e le azioni di governo possono
essere sottoposto all’insindacabile giudizio del popolo che decide a maggioranza.
- democrazia indiretta:si ha un potere costituito che rappresenta il potere costituente del popolo,
quindi i rappresentati del corpo politico sovrano legifero, governano e amministrano la giustizia.

Tutti gli Stati moderni che adottano la democrazia come forma di governo e di legittimazione del
potere combinano la democrazia rappresentativa con la democrazia diretta. Ciò permette al popolo di
esprimersi attraverso i propri rappresentanti regolarmente eletti, avendo però anche la possibilità di
interrogare direttamente la volontà popolare (referendum) su particolari materie di interesse
generale.

▲ Democrazia liberale: in tutti i paesi occidentali le democrazie sono evolute in senso liberale.
Questo connubio tra democrazia e liberalismo presuppone un sistema politico che esprime una
sintesi tra il principio della sovranità popolare e il rispetto dei diritti individuali, considerati come
inviolabili.
Si fonda su 3 fondamentali postulati:
1. Il potere appartiene al popolo il senso desacralizzato.

2. l’unica forma possibile di governo è la democrazia di tipo rappresentativo che ammette a volte, in
materia legislativa, il ricorso a forme di democrazia diretta (come il referendum).

3. Tale potere ha dei limiti espressi dai diritti individuali fondamentali, dalla dottrina della
separazione dei poteri e dalla libertà economica.

Consiste in una concezione dell’origine del potere basata sull’idea di popolo sovrano e in un ordine
di tipo costituzionale, che abbia la democrazia rappresentativa come l’unica legittima.
Esistono storicamente due diverse concezioni di popolo:
1. Quella del romantico idealista di Volk (popolo in tedesco): cioè il popolo è inteso come
condivisione di una stessa lingua, cultura e identità etnica.
2. Quella pragmatica e liberale derivata da un vincolo giuridico: cioè i membri sono tra loro uniti da
un vincolo giuridico indipendente dalla loro appartenenza etnica.
Secondo John Stuart Mill: l’individuo è considerato arbitro di se stesso in senso fisico e morale e
ha diritto alla libertà di pensiero e di opinione , la sua libertà può essere limitata solo nel caso in cui
le sue azioni nuocciano ad altri. Ciascuno ha il diritto di scegliere la propria condotta di vita e la

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propria attività lavorativa. Deve sempre garantire la libertà di associazione per perseguire i propri
scopi.

SOCIALISMO
Nell’800, con la Rivoluzione Industriale e l’affermarsi della Borghesia come classe detentrice del potere, si
iniziò ad affermare il Capitalismo. In questo contesto, il lavoratore non è più proprietario degli strumenti
con cui lavora e il prodotto dell’attività lavorativa viene alienato al possessore dei mezzi di produzione in
cambio di denaro (salario). Il lavoratore vive in pessime condizioni di vita, con salari minimi e si
svilupparono degli insediamenti urbani, intesi come veri e propri ghetti dove gli uomini-operai si trovarono
a vivere in condizioni di profondo degrado.
La società industriale di tipo capitalista aveva caratteristiche molto diverse rispetto alle speranze di
uguaglianza e di miglioramento sociale. Contro questo modello di sfruttamento imposto dal Capitalismo e in
nome di una società più umana e egualitaria, si sviluppò il Socialismo, nato in Inghilterra intorno al
1827-1830 e poi rapidamente si diffuse in Francia e nel resto d’Europa.
Lo scopo del socialismo era la riforma radicale della società che avrebbe dovuto porre al primo posto la
costruzione di una comunità in cui i membri potessero godere di pari diritti, doveri e opportunità.

♦ Socialismo utopico
è la prima corrente del socialismo sviluppatosi tra il 18esimo e 19esimo secolo in Europa. Le prime
forme del socialismo cercarono di dare voce alla protesta dei lavoratori per migliori retribuzioni e
rapporti più umani sui luoghi di lavoro.
I socialisti utopici si radunavano in piccoli gruppi di intellettuali e da questi gruppi si differenziarono
le teorie di Proudhon: ha una visione arcaica della società come comunità di
contadini e di artigiani fondata sulla famiglia, sull’indissolubilità del matrimonio
e sulla posizione subordinata della donna. Egli è considerato il padre dei
concetti di mutualismo, e federalismo e uno degli ispiratori del pensiero
anarchico. L’associazionismo mutualistico è fondato sul libero mercato dei
produttori e sorretto da un sistema bancario di credito, che avrebbe dovuto
garantire il capitale necessario a far funzionare il mercato grazie a crediti a
interesse ridotto.

♦ Socialismo scientifico o Comunismo

Per superare il socialismo utopistico Marx e Engels idearono il socialismo scientifico, che ebbe come
esito la teorizzazione del comunismo, della società senza classi e della rivoluzione come mezzo per
ottenere tali scopi.
Il fondamento di tale dottrina politica consiste in un’interpretazione materialistica della storia e della
società (materialismo storico), basata su una teoria dialettica della realtà (materialismo dialettico),
intesa come schema di interpretazione generale di ogni fenomeno storico e naturale.

Marx indicò con il termine “struttura” l’insieme delle forze produttive (macchine e mezzi produttivi,
capitali, forza-lavoro) e dei rapporti di produzione (rapporti tra le classi nel processo produttivo) di una
data società in un determinato periodo storico.
Chiamò “sovrastrutture”, invece, gli ordinamenti giuridici e politici e le forme della coscienza sociale –
la religione, la filosofia, i valori morali e culturali – che accompagnano e in qualche modo
“rispecchiano”, in ogni epoca storica, la struttura economica.
Per Marx, le sovrastrutture hanno le proprie radici nella struttura. La struttura economica, producendo la
divisione del lavoro, genera classi sociali che entrano in conflitto tra loro, per cui si genera una lotta di
classe. Dall’antico antagonismo tra liberi e schiavi, patrizi e plebei, signori e servi si arriva alla
contrapposizione tra borghesi e proletari. In quest’ultimo Marx individua il Plusvalore, cioè la modalità
principale di sfruttamento del proletariato da parte dei borghesi. Il Plusvalore è la differenza tra il valore

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della merce e il salario corrisposto alla forza lavoro, che determina concretamente il guadagno
dell’imprenditore. Ciò determina a sua volta la possibilità di costituirsi del proletariato a soggetto
rivoluzionario a causa del progressivo impoverimento a cui è sottoposto dalla logica economica
capitalistica; con questa rivoluzione proletaria si sarebbe giunti alla creazione di una società senza classi,
all’abolizione della proprietà privata, alla scomparsa dello Stato e di ogni altra forma di sfruttamento
dell’uomo sull’uomo, producendo una fine della storia in una sorta di eden privo di ogni connotato
metafisico e religioso.
Ebbe molti seguaci in tutto il modello e fu il modello politico seguito in Russia dopo la rivoluzione
bolscevica e in Cina con l’avvento del maoismo.
Fu un modello politico potente, ma con la caduta del Muro di Berlino e con l’avvento della
globalizzazione è stato quasi ovunque abbandonato o profondamente modificato, cedendo il passo nel
XXI secolo al capitalismo.

♦ Socialdemocrazia

Si origina nella seconda metà dell’800 in coincidenza dell’unificazione della Germania e con il suo
sviluppo industriale. Si ispira alla teoria marxista, di cui condivide l’analisi sociale, la critica
all’economia capitalistica e la lotta antiborghese. La socialdemocrazia sostiene la trasformazione delle
modalità produttive e il cambiamento dei rapporti sociali di produzione, tendendo a realizzare una società
ispirata ai principi del socialismo. Ciò però si scontrava con l’idea politica della classe dirigente e di
buona pare della società tedesca del tempo. Infatti in Germania, lo sviluppo dell’industria aveva reso la
classe borghese padrona dell’economia, ma non in ambito politico, dove dominava l’aristocrazia agraria ,
che fondava la propria ricchezza sul possesso di enormi latifondi e controllava le due strutture su cui si
sosteneva lo Stato: burocrazia e esercito. Ciò si scontrava con i tradizionali presupposti del Marxismo
che vedeva la società capitalista divisa nella classe degli sfruttatori (borghesia) e degli sfruttati
(proletariato), rendendo così più incerta l’evocazione alla lotta di classe.
Si sviluppa così la Socialdemocrazia che si era organizzata in un partito a cui aderiva la maggior parte del
proletariato tedesco ed era appoggiato dal Reichstag (parlamento tedesco). Il proletariato avrebbe potuto
diventare classe egemone attuando la trasformazione della Germania secondo il modello socialista e ciò
avrebbe portato al superamento della divisione in classi e della diarchia tra borghesia e aristocrazia.
- Il pensiero di Bernstein: la sua tesi è che la nozione marxiana di rivoluzione sarebbe del tutto
infondata sul piano filosofico, economico e sociologico, ma egli gli da uno scopo etico: l’emancipazione
sociale. Metteva in discussione alcuni punti fermi del Marxista (es. il Plusvalore) a cui sostituiva il
modello scientifico delle scienze naturali ritenuto fondamentale anche per ciò che riguarda la società e la
struttura.
Il partito rivoluzionario si trasformava in riformista e lo Stato veniva riconosciuto come un importante
soggetto politico, la democrazia era ritenuto la garanzia migliore di ogni reale trasformazione. Di
conseguenza la conflittualità si spostava dalle piazze al parlamento.

- Un oppositore a questo pensiero è Kautsky: seguace del marxismo ortodosso di cui accetta le tesi
fondamentali, individuando lo Stato borghese simbolo dello sfruttamento e da eliminare.
Percorse la via riformista e riteneva infatti che il successo elettorale della Socialdemocrazia, avrebbe
portato i socialisti a ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento e di conseguenza il controllo totale
dello Stato. Questo poteva avvenire senza dover necessariamente passare per la dittatura del proletariato
come prevedeva il marxismo.

- All’interno della socialdemocrazia tedesca si affermò la linea luxemburghiana così chiamata per Rosa
Luxemburg che rifiutava ogni logica parlamentarista, credendo solo nella possibilità di una rivoluzione
del socialismo. Ciò la portò alla rottura con il partito. Il capitalismo aveva risolto i problemi di crescita
interna espandendo il mercato e solo quando questa fase imperialista si fosse conclusa allora sarebbero
scoppiate contraddizioni interne che avrebbero fatto implodere il sistema. Bisognava quindi combattere i

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nazionalismi, rinsaldare l’internazionalismo proletario e prepararsi alla rivoluzione.
Erronea però fu la tempistica perché quest’apocalisse capitalista non sarebbe avvenuto così presto. Inoltre
credeva che il popolo avrebbe dovuto utilizzare il partito per dare maggiore consistenza alle proprie
opinioni e non essere un soggetto passivo (come accadeva nella Russia sovietica) su cui la gerarchia
partitica proiettava se stessa e le proprie decisioni; il partito doveva servire a portare miglioramenti
economici e sociali, ma il suo vero e unico fine doveva essere la rivoluzione.
Luxemburg fu assassinata nel 1919.
- Sempre sulla base del Socialismo, si sviluppò il leninismo. Lenin optava per il Marxismo ortodosso e
mise al primo posto la rivoluzione proletaria, intesa come unica possibilità di risolvere le contraddizioni
della società borghese e capitalista. Vedeva nello Stato lo strumento forzato (coercitivo) che garantiva i
rapporti sociali prodotti dal capitalismo.
Il modello leninista aveva come riferimento la Russia, dove dominava l’aristocrazia, dove la rivoluzione
industriale era nella sua fase iniziale e dove c’erano ancora forme di consenso di tipo arcaico-religioso.
Quindi lo scopo della rivoluzione socialista di Lenin era quello di abbattere lo Stato e instaurare una
dittatura del proletariato. Era quindi fondamentale il centralismo del partito e così il Partito diventò la
scuola che forma le avanguardie rivoluzionarie e i capi politi che spingono il popolo verso la
realizzazione del Socialismo. Il partito:

• Si configura come un elite intellettuale e politica capace di guidare il proletariato;

• Si afferma come coscienza del popolo che rappresenta solo una grande massa di manovra in continua
espansione;

• Lenin considerava il partito come una dirigenza in grado di raggiungere lo scopo del socialismo.

La dittatura del partito avrebbe avuto il compito di difendere il nuovo stato da ogni tentativo contro-
rivoluzionario e avrebbe dovuto realizzare un nuovo modello di democrazia fondato sui consigli di base,
i soviet.
Lenin riuscì ad attuare questo programma in Russia per via della situazione creata per il caos della Prima
Guerra Mondiale e la successiva rivoluzione. Questa sarebbe dovuto essere il modello che doveva
riguardare tutti gli altri stati capitalistici. Invece una volta realizzata la rivoluzione in Russia, ma non
altrove, questa tensione andò scemando a vantaggio degli apparati del partito e dello stato, generando
una dittatura degli apparati chiamata nomenklatura.
Successivamente, con il Muro di Berlino (13 agosto 1961) schiacciò il movimento socialista tra
un’adesione al blocco sovietico (assumendo in molti casi anche il nome di partito comunista) e
l’appartenenza allo schieramento filo-occidentale che lo obbligava invece a perseguire politiche orientate
verso gli obiettivi riformisti delle socialdemocrazie.
Negli stati dell’est Europa, i partiti socialisti erano vicini al comunismo e diedero vita al Socialismo
reale: erano regimi indipendenti dall’URSS che li sosteneva economicamente, politicamente e
militarmente. In un contesto simile, l’idea socialista di eliminare lo Stato non fu nemmeno presa in
considerazione, ma aumentò la burocratizzazione dell’ordinamento politico coerente con la natura dello
stato moderno.
Questa situazione entrò in crisi con la caduta del muro di Berlino (1989) che segnò la fine della divisione
della Germania, dell’egemonia sovietica e del partito comunista di tipo leninista. I partiti socialisti
europei mondiale scomparvero o abdicarono e optarono per una socialdemocrazia riformista a in realtà
sempre più liberale e liberista. Nel XXI secolo il socialismo si è del tutto consumato.

STALINISMO E MAOISMO
Lo stalinismo fu un’ideologia della Russia post-rivoluzionaria, mirante a costituire un ordine politico
comunista. Dalla morte di Lenin (1924), lo stalinismo rappresentò il modello di organizzazione comunista
sulla base del quale si formarono tutti i partiti comunisti rivoluzionari. Lo scopo principale di Stalin fu la
realizzazione di un processo di modernizzazione della Russia, che Lenin aveva cominciato con la rivoluzione

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bolscevica improntata al superamento del socialismo tradizionale. Questa esigenza fu determinata
dall’arretratezza socio-politica ed economica di un paese agricolo, isolato dal contesto politico internazionale
e diviso da una componente proletaria e la grande massa contadina.
Il Comunismo era ciò che poteva unificare il paese, modernizzandolo e realizzando lo scopo della
rivoluzione e per questo, i progetti di Lenin della fine dello stato e della rivoluzione internazione, non erano
idonei.
Alla figura dello zar subentrò quella del partito e del suo Segretario generale che impone autorità impedendo
forme di libertà di pensiero, che veniva punita con criminalizzazione, morte o gulag.
Il fondamento della dottrina staliniana era basato sulla concezione del socialismo in un solo paese, che
vedeva come obiettivo immediato il rafforzamento delle strutture del nuovo stato per farne la base di
partenza per una futura espansione verso l’esterno. Ciò avrebbe portato la Russia ad essere una grande
potenza industriale, riconosciuta anche a livello internazionale.
Quindi Stalin capì di dover far leva sul patriottismo e sul nazionalismo e procedette a un’industrializzazione
forzata con piani di sviluppo, rafforzò l’esercito, abolì la proprietà privata (a cui si sostituì la proprietà del
partito che affidava beni alla propria burocrazia interna, la nomenklatura).
Il partito era un tutt’uno con lo stato (a diff. di Lenin) e non è più lo strumento rivoluzionario con cui
realizzare il socialismo ma la voce onnipotente dello Stato. Stalin veniva considerato il padre buono del suo
popolo, generoso ma severo con chi tradiva la sua fiducia. Fondamentale fu l’importanza della propaganda.
La morte di Stalin mise fine a questo sogno nazional-comunista e con la caduta del muro di berlino
l’ideologia comunista scomparve.

Una variante dello stalinismo è il Maoismo di Mao Tse Tung. Nel maoismo non prevale però l’idea della
necessità dell’industrializzazione forzata, ma è fondamentale la massa contadina della Cina agraria (fu
perseguita anche una politica di sviluppo industriale, ma non fu prioritaria). Inoltre non fu la classe operaia il
principale agente rivoluzionario, ma il ceto contadino.
Il maoismo si rifà all’esperienza stalinista basata sulla centralità del partito e degli apparati burocratici, a cui
affianca la democrazia diretta e il dibattito popolare sugli obiettivi della rivoluzione. Anche nel maoismo fu
fondamentale la propaganda indirizzata verso la civiltà americana e occidentale e quella sovietica, con lo
scopo di sostenere una mobilitazione popolare. Si scatenò una rivoluzione culturale e l’obiettivo era quello
di favorire, in nome della politica, un arresto del processo di burocratizzazione nell’edificazione della società
comunista. Inoltre era convinzione comune che un politico, un dirigente o un universitario avrebbero potuto
reintrodurre nella società la gerarchia e la divisione sociale, bisognava quindi tenere sotto controllo queste
figure. Per questo il maoismo diede molta importanza alla scuola e all’indottrinamento ideologico, che
divennero prioritari per la rivoluzione culturale.
Fu molto importante anche la diffusione del Libro Rosso, che ebbe il potere propagandistico di attrarre
attenzione anche sul comunismo europeo.
Dopo la fine della rivoluzione culturale e dopo la morte di Mao, a causa dell’errata considerazione delle
competenze necessarie a governare un paese popoloso come la Cina e per la depressione produttiva , ci fu
un abbandono progressivo dell’ideologia comunista. Inoltre ci fu un ridimensionamento dell’agricoltura e un
aumento degli aspetti tecnologici e produttivi che hanno portato la Cina una delle potenze più
industrializzate.

ANARCHISMO
L’anarchismo si afferma con la Rivoluzione francese e con l’egemonia della classe borghese. Infatti i temi
tipici di questa dottrina sono la libertà dell’uomo, lotta contro l’autoritarismo, rifiuto della religione,
tolleranza e centralità della società civile, che sono caratteristici anche della cultura illuministica e borghese.
La speranza era una società più libera e più giusta. Fece proprie anche alcune tematiche provenienti dal
socialismo e dal capitalismo, come il desiderio di combattere la società capitalista, lo sfruttamento della
società, ma mantenne sempre il suo imprinting borghese e individualista.
Rifiuta l’analisi dei meccanismi strutturali della riproduzione sociale, privilegiando invece il rapporto

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dell’individuo con la società e lo Stato.
L’anarchismo non fu un insieme ideologico unitario e coeso, ma frammentario e disperso.

• Anarchismo filosofico: il principale esponente è William Godwin, che fece proprio il pensiero
roussoniano della bontà e perfezione umana, si schierò contro la società inglese che giudicò liberale
solo in senso formale, ma repressiva. Per lui l’uomo deve privilegiare unicamente la ragione,
rifiutando ogni imposizione e violenza, compresa quella rivoluzionaria. Condanna la Rivoluzione
francese che considerò tirannica. Rifiuta il contrattualismo, privilegiando la società come luogo dello
sviluppo dell’individuo (caposaldo della dottrina anarchica). Quindi ogni decisione deve essere presa
dalla collettività (senza nulla togliere alla libertà individuale), credeva in un modello utopico della
società dove ciascuno avrebbe potuto soddisfare le proprie necessità personali servendosi dei beni
comuni.

• Anarchismo individualista: esponente Max Stirner, in contrapposizione all’anarchismo filosofico


(considerato una vera e propria utopia basata sulla società). Il centro della sua ideologia è
l’individuo. Egli vuole superare l’influenza del Cristianesimo, e l’unico modo per farlo è stabilire
l’identità dell’Io con se stesso e con la concretezza della realtà contingente ed empirica. Ciò avrebbe
portato alla rivolta del singolo individuo contro ogni tipo di autorità (famiglia, Stato, scuola,
religione) in nome dell’affermazione della propria individualità, indipendentemente dalla collettività
che egli ritiene oppressiva.

• Anarchismo comunista: esponenti Bakunin e Kropotkin. Centrale è il rapporto tra libertà e società.
Bakunin ritiene che l’affermazione della libertà unita a una società in cui sia possibile lo sviluppo
dell’uomo siano in contraddizione con ogni forma di Stato e con ogni tipo di religione. Allo stato e
alla religione contrappone il progresso dell’umanità attraverso stadi (come affermava Comte), il cui
termine ultimo è la scienza, che coincide con l’infinita creatività dell’uomo e con la sua libertà
sociale (come sosteneva Feuerbach). Tale esito,a livello economico deve coincidere con la
cooperazione tra lavoratori uniti e il perseguimento del bene comune (secondo la dottrina di
Proudhon).
Sulle stesse posizioni di Bakunin si trova anche Kropotkin, che vede le cause dell’autoritarismo e
della mancanza di libertà nella divisione sociale del lavoro e nell’esistenza della proprietà privata.
Egli vuole l’abolizione della proprietà privata e l’istituzione della proprietà associata dei mezzi di
produzione, controllati da lavoratori riuniti in comunità, dove si sarebbe praticato sia il lavoro
agricolo che quello industriale. Un ruolo importante in questo modello di organizzazione sociale
ebbe l’attività semi-artigianale che avrebbe trovato nella scienza il motore principale del proprio
sviluppo.
L’anticapitalismo di Bakunin e Kropotkin rifiuta la violenza marxista, collocandosi sulla scia della
tradizione socialista. Inoltre a differenza del marxismo e del Comunismo sostengono che solo
l’uomo poteva cambiare la società e non la massa operaia; ciò provocò nella II internazionale uno
scontro tra i marxisti che privilegiavano il proletariato, e gli anarchici che invece si basavano sulla
volontà individualista e la lotta contro ogni forma di autorità.

• Anarchismo sindacalista: nato nel 900 con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della
classe operaia in una società sovra-nazionale e federata dei lavoratori. Sviluppò un modello di lotta
di classe di tipo romantico e irrazionale che tendeva a perdere di vista gli obiettivi reali della lotta.
George Sorel inizialmente condivideva le idee marxista, poi contestò il marxismo giudicandolo un
mito sociale, e contestò la società borghese ponendo al primo posto la violenza come unica forza
creativa. Lo strumento principale era lo sciopero generale. Egli si basava sulle idee di Bergson,
credendo che il proletariato avrebbe dovuto assumere un carattere guerriero, costruendo il proprio
mito inteso come affermazione della lotta e dello scontro. Così l’individualismo romantico, tipico

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dell’anarchismo, sarebbe diventato l’elemento identificativo della massa che correva il rischio di
scambiare il mezzo (la lotta di classe) con il fine.

Con la Prima guerra mondiale e successivamente con i totalitarismi, le varie componenti anarchiche
scomparvero, perseguitate dal fascismo, dal nazismo e dal comunismo. Un caso emblematico fu nel 1939
con la Guerra di Spagna, in cui i comunisti sovietici eliminarono fisicamente la componente anarchica
che combatteva al loro fianco contro le truppe del generale Franco.
Dopo la Seconda guerra mondiale non ottenne più il consenso politico.

FASCISMO
Nasce in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale. Socialmente, fu la risposta violenta alla crescita del
movimento operaio da parte dei posseditori agrari prima e degli industriali poi.
Il fascismo si propose di lottare contro l’individualismo borghese e i suoi principi (libertà formale,
democrazia parlamentare, priorità della legalità), sia contro gli obiettivi principali del socialismo
(abolizione della proprietà privata e eliminazione dello Stato) in nome della totalizzazione e armonizzazione
dello Stato.
Attraverso lo Stato unitario e centralizzato, la massa avrebbe dovuto assumere un’identità precisa,
diventando Popolo, che doveva favorire l’emergere di individui perfetti, veri e eroi moderni. Nacque così il
mito del guerriero e il sogno dell’impero. Per questo progetto furono fondamentali le liturgie di massa
grazie anche alla divinizzazione del capo indiscusso, Benito Mussolini.
Questa idea si applicò anche in ambito economico: veniva esaltata la nazione che si oppone alla volontà
capitalistica del mercato, traendo da se stessa la ricchezza necessaria alla propria sopravvivenza.
Per raggiungere ciò era fondamentale la propaganda e grazie ai mezzi di comunicazione che proprio in quel
periodo si stavano sviluppando, il fascismo tentò di diventare il modello globale di vita. Mussolini e
Giovanni Gentile volevano fascistizzare ogni aspetto della vita sociale e politica in un modello teorico che
può essere riassunto con la formula mussoliniana “tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla
contro lo Stato”.
Lo scopo era militarizzare il paese e chiunque cercava di opporsi venne messo al mando come nemico della
nazione, dello stato e del partito.
Il fascismo ebbe però anche degli aspetti positivi:

• grande attenzione per il lavoro

• assistenza

• divulgazione culturale

• modello pensionistico

• costruzione di grandi enti parastatali per promuovere economia e turismo.

Al fascismo si ispirarono molti movimenti di estrema destra europei, il Franchismo in Spagna, la Guardia di
Ferro in Romania e il Salazarismo in Portogallo. Molti sparirono con la fine del fascismo dopo la Seconda
Guerra mondiale; gli unici a sopravvivere furono il Franchismo, che terminò nel 1975 con la morte di
Franco, e il Salazarismo che terminò nel 1970 con la morte di Salazar.

NAZISMO
Nasce in Germania dopo la Prima guerra mondiale, come risposta politica all’impoverimento delle masse
popolari e alla crisi istituzionale, ma che in realtà si rivelò ancora più tragica dei problemi che voleva cercare
di risolvere.
Come il fascismo, pur essendo un movimento di massa, disprezzava le masse popolari che giudicava amorfe

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e invece esaltava un’identità nazionale centrata sul concetto di Volk (popolo) inteso in senso razziale e
fondato sulla purezza di sangue. L’individuo che fa parte del Volk deve difendere la sua principale
caratteristica: l’arianesimo. Sulla base del darwinismo che sostiene le differenze naturali e biologiche delle
razze, proclamò sua superiorità della razza ariana (popolazione tedesca) sulle altre: mito della razza.
Lo scopo, oltre a nazificare la società, era penetrare in profondità in ogni coscienza individuale, assorbendola
e ricostruendola a propria immagine e somiglianza. Questa trasformazione della società e della politica ebbe
un grande successo e portò il popolo tedesco verso un’adesione totale alle tesi naziste.
Il capo supremo della nazione e del popolo era il Fuhrer:Hitler.
Molto più del fascismo, il nazismo utilizzò tecniche di ideologizzazione di massa grazie a una propaganda
ossessiva e martellante.
Si generò una reazione di odio e violenza verso la minoranza razziale, gli ebrei, portando a un crudele
antisemitismo (Martin Lutero fu l’interprete di molti pregiudizi antiebraici diffusi in Germania
precedentemente) portando a un genocidio.
Tramite i mezzi di comunicazione di massa il nazismo diffuse il proprio modello socio-culturale che portò
l’arte, cultura, filosofia, medicina, letteratura che non era coerente con gli stessi ideali del nazismo, a essere
ritenute indegne e quindi eliminate perché dannose per la nazione e per gli ariani.
Lo scopo ultimo del nazismo e di Hitler era quello di costruire prima in Germania e poi nel mondo un
Impero millenario (terzo Reich) in rado di esercitare su tutte le razze il dominio della razza ariana.
In pochi anni il nazismo riuscì a dominare la Germania spingendola verso la guerra. La ricerca dello Spazio
vitale diventò una necessità economica sostenuta dal credo razziale. La guerra per il nazismo ebbe anche un
significato mistico e metafisico: la lotta per il potere considerata ovvia e naturale coincise con un dovere, il
popolo tedesco non poteva sottrarsi all’ideologia nazista.

CATTOLICESIMO POLITICO
Nato nei primi anni dell’800 e si può considerare il frutto dell’opposizione romantica al razionalismo
dell’illuminismo e dell’esito della restaurazione dopo la scomparsa di Napoleone e dei regimi da lui imposti.
Con il romanticismo, il sentimento del soggetto e la dilatazione dell’animo presero il sopravvento sulla
ragione e sulla sua centralità nell’organizzazione sociale.
Il pensiero di Hegel che la storia fosse come la macchina logica delle grandi trasformazioni epocali, venne
sostituita da un’interpretazione del divenire storico inteso come il luogo della misteriosa realizzazione della
Divina Provvidenza, capace di muovere uomini e popoli.
Il progetto fu messo in atto inconsciamente dall’aristocrazia e dai grandi proprietari agrari per attuare, quello
che altrove veniva realizzato con l’impiego delle forze militari dai governi della Santa Alleanza e dal
Congresso di Vienna. Era un’azione di contrasto nei confronti della classe borghese che, affermatasi con la
Rivoluzione francese, aspirava all’egemonia sociale e politica. Era una lotta armata, ma anche con l’utilizzo
del pensiero e la potenza dell’ideologia. Era necessaria quindi un’ideologia che potesse esprimere in modo
semplice e raggiungibile ad ogni strato sociale, la necessità del ritorno dell’alleanza trono e altare: un
aspetto fondamentale dell’antico regime, il sovrano pretendeva dal clero obbedienza e collaborazione.
Bisognava trovare una proposta culturale e politica che trovasse consenso sia tra le classi popolari sia tra i
borghesi critici al radicalismo rivoluzionario.
Il cattolicesimo ne fu l’interprete e per la prima volta si impegnò nella politica. Fin a quel momento la chiesa
e i tutti i movimenti che a essa facevano riferimento, avevano svolto solo una funzione esterna di garanzia
rispetto a quello che avveniva nella società, evitando di farsi coinvolgere negli avvenimenti politici.
Però quando il cattolicesimo si trovò minacciato dall’aggressività razionalista di matrice illuminista, dalla
secolarizzazione, dall’egemonia esercitata dalla borghesia e dalla crisi economica causata
dall’incameramento dei beni ecclesiastici da parte degli Stati, entrò attivamente nella vita politica e sociale.
Il suo obiettivo era riprendere il ruolo avuto in passato, sopratutto in Italia e Francia, alleandosi inizialmente
con gli aristocratici e i latifondisti agrari.
2 furono i pensatori rappresentanti: Joseph de Maistre eLouis de Bonald. Entrambi si batterono per un
cattolicesimo reazionario, visto come l’unica possibilità per riaffermare la legittimità politica, l’ordine

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morale e la pace sociale che la rivoluzione francese aveva sconvolto.
L’ordine politico e istituzionale dei due pensatori si trova in una visione teologica dell’autorità: l’autorità
dipende solo da Dio e si esprime nella gerarchia religiosa per cui il tramite si manifesta nella realtà politica e
sociale. Modello fondato sul binomio trono-altare, cioè monarchia e religione.
Secondo loro il cattolicesimo doveva recuperare la funzione politica imponendosi non dall’alto, ma dal
basso, quindi era necessario l’appoggio popolare, l’unico su cui la chiesa manteneva una rilevante influenza.
I pensatori però non poterono contrastare l’ascesa della borghesia e l’impossibilità di ripristinare l’antico
regime.
Il cattolicesimo se voleva avere un ruolo doveva quindi accettare il nuovo modello culturale che si stava
diffondendo e su questo terreno nasce il Cattolicesimo liberale: il suo scopo era relazionarsi con la civilità
borghese, senza mettere in discussione le prerogative della chiesa e del suo Magistero. I punti di forza su cui
si basò furono le libertà civili e la forma di governo. Uno degli esponenti di questa corrente fu Robert de
Lamennais, che continuava a considerare centrale l’autorità del papa e della chiesa e attacca la monarchia
che accusa di ostacolare la chiesa. Per lui bisogna emancipare la chiesa dallo stato e introdurre le libertà di
associazione, di insegnamento e di pensiero. Rendendo così il cattolicesimo indipendente dagli obblighi
dello stato, avrebbe potuto essere attivo nella società.
Simile fu la posizione di Vincenzo Gioberti: vedeva un’apertura verso la classe borghese. Ritiene
fondamentale la costruzione di un asse socio-politica che unifichi la componente cattolico-conservatrice con
quella liberal-borghese, in nome della lotta contro l’autoritarismo monarchico. Ciò avrebbe messo le basi per
creare una confederazione di Stati italiani guidati dal papa, che avrebbe dato alla Chiesa il ruolo di garante di
un nuovo patto socio-politico tra autorità tradizionale e il potere moderno.
Il cattolicesimo liberale non raggiunse però il suo scopo né divenne un movimento di massa, rimanendo solo
tra gruppi ristretti di intellettuali, soprattutto a causa della progressiva importanza delle classi sociali e del
loro ruolo nella vita sociale e politica. Infatti i rapporti tra Cattolicesimo e borghesia peggiorarono con
l’avvento del positivismo e con la lotta di classe.
Il cattolicesimo fu colto impreparato inizialmente, poi cercò di raffreddare lo scontro sociale e la lotta di
classe, consapevole che bisognasse riguadagnare la fiducia delle masse. Cercò di avvicinarsi al proletariato
proponendo un’alleanza: fece iniziative di sostegno economico (banche popolari), aiuto sanitario e opera di
alfabetizzazione. Importante fu la Rerum Novarum (1891) del Papa Leone III in cui prende esplicita
posizione contro lo sfruttamento dei lavoratori, il loro diritto a una giusta retribuzione e definisce
anticristiana ogni forma di lotta di classe e di socialismo.
Lo scopo del cristianesimo era ampliare il proprio consenso ma evitò di entrare nelle discussioni sulla forma
di governo repubblicana o monarchica. Questo portò a un grande dibattito e conseguenti prese di posizione.
In Francia nel 1893, il Cattolicesimo Democratico, fu guidato da religiosi e il suo programma prevedeva il
governo popolare, le organizzazioni sindacali e il decentramento amministrativo. Importante du l’orario di
lavoro, le forme che regolavano il licenziamento e l’assunzione, le forme di cooperazioni tra lavoratori. Sulla
base di ciò nacque in Italia il movimento chiamato Democrazia Cristiana: inizialmente non fu accolto
favorevolmente, poi nel 1910 fu trasformato in un centro di azione sociale, improntato ai valori cristiani.
In Germania, già nel 1870 era stato fondato un partito di ispirazione cattolica, il Partito di Centro Tedesco,
il cui scopo era la difesa dei diritti dei tedeschi di religione cattolica, creato dal cancelliere Bismarck.

In Italia nel 1919, si costituì un vero e proprio partito cattolico, sotto la guida del sacerdote Luigi Sturzo: il
Partito Popolare. Egli rifiutava la lotta di classe, ma voleva una visione sociale e riformista più aperta
adottando anche il sistema democratico. Si schierò in difesa della piccola proprietà, dei diritti dei lavoratori,
della riforma amministrativa e degli interventi per il Mezzogiorno d’Italia.
Il partito ebbe ampia diffusione trai ceti medi e popolari, ma con la Marcia di Roma e l’ascesa del partito
Fascista, don Sturzo dovette lasciare la direzione del partito e nel 1926 il Partito venne sciolto.
Nel secondo dopoguerra si assistette a una ripresa politica del Cattolicesimo Politico, dando vita alla
Democrazia Cristiana, un partito di centro con frange di destra e di sinistra, che durò fino alla Caduta del
muro di Berlino (1989).

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Differente fu l’esperienza del Cattolicesimo Politico francese, segnata dalla figura del filosofo cattolico
Emmanuel Mounier e dalla dottrina filosofico-politico-sociale che fondò: Personalismo. Egli vedeva nella
persona un centro morale che si manifestava in una dimensione politica a sfondo solidaristico. Ciò influenzò
gli intellettuali cattolici francesi e la parte più progressista del clero, ma durò poco.

Invece in Germania il Cattolicesimo Politico dopo la seconda guerra mondiale, fu chiamato Unione
Cristiano Democratica di Germania: un partito cristiano conservatore fondato da esponenti cattolici (come
Adenauer) che permisero ai protestanti di governare. Aveva lo scopo di costruire una terza via tra il
capitalismo e il socialismo, ispirato ai valori morali e solidaristici del cristianesimo.
Dopo essere stata molte volte al governo, è tutt’ora al governo perseguendo una politica moderata volta alla
difesa dell’ecologia, dei diritti umani e del solidarismo sociale.

LE FORME SIMBOLICHE

IL MITO
“Mito” deriva da un termine greco il cui significato originario era parola, ma non intesa come semplice
elemento del linguaggio, ma simbolicamente come la parola che comprende la realtà e quindi spiega
qualcosa che è reale e immutabile. Nel corso del tempo il termine assunse una valenza leggendaria che ha
tradito il suo significato originario.
In tutte le civiltà umane esistono delle narrazioni collettivamente condivise per dare una spiegazione alla
realtà. Spesso hanno come protagonisti divinità o potenze soprannaturali.
Il mito contribuisce allo sviluppo delle facoltà logiche e razionali, mobilitando le energie emotive e
l’intuizione.
Secondo il Positivismo, per esempio, il mito rappresenta una sorta di età infantile dell’umanità e questa
concezione ha portato a una svalutazione, confinandolo esclusivamente all’ambito del fantastico.
Il mito è una visione del mondo caratterizzata dalla capacità di connettere ed equilibrare elementi tra loro
opposti, costantemente presenti nei suoi stessi schemi narrativi. Nel mito emozione e ragione non sono divise
secondi schemi razionalistici e quindi si può considerare il mito come un racconto fondante che evidenzia i
nessi reciprocamente interattivi che costituiscono il reale. Tende a spiegare la totalità del reale, le cause della
sua stessa generazione e il suo futuro.
Il mito rappresenta un costruttore immaginativo dinamico, che permette di organizzare ed esprimere una
dimensione simbolica trans-personale dove, attraverso narrazioni condivise e accettate come vere, si
manifesta una cornice mentale collettiva (brainframe). Tale cornice mentale caratterizza le modalità
attraverso cui una determinata cultura esprime la propria specifica identità, all’interno di schemi

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immaginativi di tipo personale.
Inoltre il mito si serve di un linguaggio simbolico, utilizza una strategia concettuale che si basa sul principio
della coincidenza degli opposti, per cui ogni cosa tende verso il suo contrario (Principio enantiodromico di
derivazione eraclitea)
Oltre a ricorrere a un linguaggio ricco di simboli, metafore e contenuti immaginativi ed estranei alla realtà
empirica, il mito rappresenta anche degli schemi logico-razionale come:

• i principi d’identità: un ente o un’asserzione sono sempre uguali a se stessi (A=A)

• principio di non contraddizione: un ente o un’asserzione on possono essere allo stesso tempo
qualcosa e il suo contrario

• principio del terzo escluso: dato un’asserzione positiva e una negativa dello stesso oggetto, tali
asserzioni non possono essere entrambe vere o false, quindi o sono vere o sono false.

• Principio enantiodromico di derivazione eraclitea: ogni cosa tende a virare verso il suo contrario.

• Il mito è qualsiasi racconto che ha come scopo quello di mostrare e giustificare l’origine di qualcosa
o del cosmo in generale. I miti si possono distinguere in due categorie:

1. Miti d’origine: narrano l’origine di una determinata entità come per esempio un animale, una
pianta o un’istituzione sociale.

2. Miti cosmologici: raccontano e giustificano l’esistenza della REALTA’ in generale.

Insieme costituiscono un insieme narrativo unitario, dove i primi hanno a funzione di completare la genesi
del cosmo arricchendone e modificandone l’aspetto e la struttura.

MITO POLITICO
Il mito è una delle componenti principali della politica, grazie al suo linguaggio simbolico e in base alle
diverse epoche storiche ha assunto precise caratteristiche e funzioni.

• Per esempio, la fondazione e la giustificazione dell’autorità sovrana: terreno comune dei miti
fondativi della regalità in cui compare sempre la figura simbolica del re o dell’imperatore e che
riassume l’immagine dell’uomo perfetto e realizzato, creato da un’entità divina posto nel migliore
dei mondi possibili. Così il mito proietta l’autorità imperiale o la regalità su un piano sacrale
unificato e in questo modo si è potuto ritenere inviolabile la figura del sovrano, perché la sua
uccisione equivale alla violazione di un ordine patriarcale simile al parricidio.
Al re era attribuita la possibilità di guarire alcune malattie o compiere azioni quasi miracolose su
modello di Artù e nascono le mitologie del ritorno del Sovrano come salvatore dei sudditi o del
Sovrano ch si sovrappone a Cristo per salvare il mondo.

• Un altro grande mito è quello del popolo sovrano: è un mito che può essere visto in forma giuridica
come contratto o patto stabilito da individui liberi e consenzienti (popolo) o in forma storica e
culturale (nazione) come comunità unita dalla stessa lingua e dalle stesse tradizioni.
La storia occidentale ha poi oscillato tra questi due estremi con degli esiti inquietanti (come
ideologia nazista e fascista dove la nazione, intesa come razza, assume una dimensione totalizzante).

In entrambi i casi il mito del popolo/nazione è un mito d’origine:


- nel primo caso, il patto simbolico è stabilito in un tempo mitico prima della nascita della società e
dell’ordine politico, e vincola ogni individui legandolo ai suoi simili, sulla base di un riconoscimento
di reciproci diritti e doveri.

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- nel secondo caso, invece si ipotizza che esista da sempre il popolo/nazione le cui origini mitiche si
perdono nella notte dei tempi .

Il mito in senso politico ha quindi la funzione di riconoscere il potere, rappresentandone l’aspetto legato
all’esercizio dell’autorità.
Un esempio importante per la civiltà occidentale è il mito di Roma e si può quindi affermare che il mito
definisce la politica e la cultura di ogni civiltà sia perché ha la funzione di legittimare il potere, sia perché
costituisce un collante identitario, da cui nessun sistema politico è in grado di prescindere.

L’UTOPIA
Il termine deriva dal greco e significa non luogo. Nell’uso comune viene coniata dal filosofo e politico
Thomas More (1478-1535)ha il significato di progetto o idea impossibile da realizzare.
Può essere definita come un racconto che esprime un modello ideale (politico e/o sociale) con lo scopo di
modificare il reale (utopia positiva), di prevenire una sua possibile involuzione (distopia o utopia negativa)
o di presentare un insieme di possibili alternative alla realtà stessa.
A differenza del mito:

• l’utopia è una narrazione il cui autore è conosciuto.

• l’utopia ha lo scopo di riformare, rivoluzionare o modificare il reale; il mito ha scopo di determinare


le basi morali, spirituali e cognitive della società sia dal punto di vista emotivo che razionale.

• l’utopia si colloca sempre in qualche luogo o tempo (seppur immaginari).

L’utopia può essere classificata in 4 tipi:

1. Eutopia: progetto positivo che può realizzarsi. Es. modello di fabbrica realizzato da Adriano Olivetti
nel secondo dopoguerra nella città di Ivrea.

2. Utopia: progetto positivo ma irrealizzabile e concepito come puro gioco intellettuale. Es. l’opera
Utopia di Thomas More in cui racconta di un’isola immaginaria in cui si cerca di risolvere tutte le
contraddizioni culturali, economiche, politiche, sociali e religiose dell’Inghilterra del XVI secolo.
Un altro esempio importante è La città del sole di Tommaso Campanella, parla di una città
immaginaria in cui descrive la perfezione del sistema di fortificazione di cui è dotata e che la rende
inespugnabile. Per l’autore è un vero e proprio programma politico da realizzare in futuro e la
concepisce come un modello per il miglioramento della società umana.

3. Distopia: progetto negativo ma attuabile, dove vengono presentate situazioni sociali, politiche e
umane inquietanti, negative e non auspicabili. Es. 1984 di George Orwell in cui viene descritto un
mondo dove ci sono regime totalitari che governano attraverso il controllo, la sorveglianza e la
propaganda politica.

4. Antiutopia: progetto negativo, assurdo e impossibile. Es. Limbo di Bernard Wolfe dove si ipotizza
una società impazzita e malata in cui è comune la prassi dell’amputazione degli arti e la sostituzione
con protesi computerizzate per evitare che si possano compiere atti violenti.

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LE NARRAZIONI IBRIDE/MITOPIA
Dopo la rivoluzione scientifica nata dopo il contributo di Galilei e Newton, si mostra progressivamente
l’emergere di un nuovo brainframe individuale e collettivo che altera la dualità tipica dell’alternanza tra mito
e utopia, rivoluzionando contenuti, messaggi, schemi di rappresentazione del reale.
Questo viene definito narrazione ibrida o mitopia, che emerge con chiarezza con l’introduzione della stampa
di Gutemberg: mito e utopia si intrecciano e formano una nuova unità narrativa ibrida.
Essa rappresenta un nuovo modello di concepire la realtà nell’epoca tecnologica.
Per spiegare meglio il significato che le narrazioni ibride hanno nel determinare l’immaginario collettivo, ci
si può riferire al cyborg e al suo significato simbolico: il termine deriva cybernetic organism (organismo
cibernetico) e rappresenta una qualsiasi forma di vita, composta da parti naturali e artificiali, frutto di una
manipolazione tecnologia.
Si costituisce a livello culturale e immaginativo un paradigma concettuale fondato su due elementi:

1. la spiegazione dell’origine di qualsiasi oggetto o fenomeno è attribuita a processi naturali, non


divini.

2. L’origine empirica di un fenomeno autorizza performance e interventi manipolativi che


interferiscono con la causalità e casualità dei processi empirici, privi di un piano preordinato.

In ogni narrazione ibrida, che assimila la metodologia scientifica, viene eliminato ogni ricorso possibile al
divino e al soprannaturale, che renderebbe il fenomeno o l’oggetto immodificabile e immateriale. Ogni
manipolazione della realtà, all’interno di un mondo considerato sacro, perché immagine del divino,
rappresenta una violazione illegittima di un ordine cosmico fissato da potenze che superano l’uomo e lo
sovrastano.
LO STATO/NAZIONE
Un esempio di narrazione ibrida in ambito politico riguarda la Nazione in senso moderno, come detentrice
del potere e della sovranità, e lo Stato come forma giuridica, politica e istituzionale.
La nazione nell’età moderna è intesa in due modi:

1. Popolo/nazione: Volk, in quanto unità linguistica, culturale ed etica, fondata sull’idea di un comune
destino storico. I singoli individui appartengono ad esso indipendentemente dalle scelte personali.

2. Nazione/cittadinanza: in quanto accettazione individuale di un patto giuridico vincolante.

Lo stato è stato introdotto nel lessico politico da Machiavelli con il significato che attualmente possiede. E’
stato interpretato in senso contrattualistico da Hobbes e Lock, in modo organicistico da Hegel, con un
significato giuridico-formale da Kelsen.
Lo stato-nazione risulta quindi essere la combinazione di due elementi: la nazione come luogo di fondazione
mitico-identitaria del corpo sociale, e lo Stato come modello politico che vi corrisponde. Lo stato-nazione
costituisce una moderna narrazione ibrida tanto come proiezione istituzionale della nazione, quanto come
forma di potere creatore dell’identità nazionale. Quindi lo stato-nazione è una narrazione sempre
condizionata da un mito delle origini che gli conferisce una specifica identità. Lo stato invece è la forma
giurida-istituzionale che interpreta tale identità, da cui poi a sua volta è condizionato.
La nazione, che in relazione alla propria identità (momento mitico), chiede allo stato di corrispondervi in
quanto progetto (momento utopico);l o stato, che in quanto espressione di un potere dotato di una specifica
rappresentazione di se stesso e della nazione (momento mitico), tenta di forgiare il popolo che è assoggettato,
secondo i propri ideali (momento utopico).

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L’AZIONE DEL POTERE

L’IMMAGINARIO POLITICO
L’immaginario è un insieme di elementi eterogenei prodotti dall’immaginazione, tra loro correlati e uniti da
meccanismi non semplicemente riconducibili né alla casualità né a schemi logico-razionali.
Inoltre esso è un prodotto collettivo e condiviso la cui posizione è sempre sospesa tra reale e virtuale.
L’immaginario comprende:

1. La produzione di immagini, intese come riproduzione visiva di oggetti reali

2. Contenuti psichici autonomi cui non corrispondono necessariamente oggetti o dati empirici
osservabili

3. Le forme archetipiche o schemi universali oggettivabili attraverso cui vengono creati miti, utopie.

L’immaginazione è un’attività mimetica, cioè la semplice capacità di produrre copie di elementi sensibili,
forgiando oggetti che non esistono nella dimensione dell’esperienza sensibile, ma che sono soggetti a una
nuova interpretazione del reale.
L’immaginario quindi influenza la struttura mentale (forma mentis) di ciascun individuo, ma determina anche
in senso collettivo, l’esistenza di ogni cultura e l’efficacia di ogni formula politica attraverso le narrazioni e
simboli.
l’immaginario è il frutto dell’interazione tra ambiente e dimensione psicofisica dell’essere umano che
comprende anche la sua esperienza percettiva primaria.
L’immaginario collettivo quindi si forma in base a un’interazione tra ambiente e diade corpo-mente.
L’immaginario politico consiste nel’insieme di narrazioni di carattere simbolico e/o ideologico sulla base
delle quali si legittima socialmente l’ordine costituito e l’esercizio del potere da parte della classe politica

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che lo detiene. Il suo linguaggio si fonda sull’uso dei simboli, distinti dai segni. Il termine simbolo deriva dal
greco e significa non separabile dal significante, e individua un’area semantica di riferimento non definibile
univocamente e l’interpretazione dipende da fattori soggettivi, culturali, religiosi e sociali. Invece il segno è
arbitrario e convenzionale (per esempio i numeri che possono essere indicati indifferentemente da segni
diversi, ma con significato uguale).
SIMBOLISMO DELLA LUCE
IMMAGINARIO E SIMBOLISMO POLITICO DELLA CIVILTA’ OCCIDENTALE MODERNA E
POST-MODERNA
LUCE E TENEBRE sono le due polarità simboliche dell’immaginario occidentale in senso generale e
politico, la loro costituzione affonda nel passato preistorico, prima della nascita della scrittura.
Infatti è celebre in Occidente il caso di Platone, che nella Repubblica associa l’idea del bene al sole, alla
luce, così come la conoscenza del bene illumina la natura stessa di ciò che esiste. Invece il male, inteso come
caos, tenebre, impedisce di scorgere la verità e condanna all’ignoranza.
Degli esempi sono: Lucifero, i Titani, Jaldabaoth, che attratti verso il caos e le tenebre, sono condannati a
un’esistenza oscura, lontano dalla bellezza e dal bene.
(Jaldabaoth= È l'equivalente dei diavolo cattolico, nel senso che è il capo degli spiriti inferi; con la
sostanziale differenza che non è il corruttore della creazione ma il suo artefice, causa cioè solo il mondo
materiale e non già quello spirituale).
Nella modernità, lo stesso nome Illuminismo nelle varie lingue europee ha sempre un significato che
rimanda al potere rischiarante della luce. Quindi la luce cessa di avere un significato metafisico,
soprannaturale, magico ma tende a simboleggiare i lumi dell’intelletto che hanno il compito di rischiarare il
mondo dalle tenebre dell’ignoranza.
Kant diceva che l’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità.
Questa nuova mentalità ha incontrato e incontra molte resistenze che hanno permesso alle religioni di
continuare a esistere, però ha determinato nel corso dei secoli l’avanzare della scienza e dei processi di
industrializzazione, producendo la colonizzazione tecnologica del pianeta.
Tra il XX e XXI secolo si produce un reincantesimo, che si fonda non più sulla natura, ma sull’ibrido tra
natura e artificiale.
Dal punto di vista politico, tale immaginario si traduce nel XX secolo con la piena maturazione della civiltà
moderna e post-moderna, in un’immagine del leader politico che si ispira simbolicamente al mito del
salvatore e della luce tipico di tutti i sistemi gnostici. Per esempio Hitler si presenta alla Germania come il
salvatore del popolo tedesco.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale e la vittoria delle democrazie liberali sull’ideologia nazifascista
prima e comunista dopo, il simbolismo della luce è stato reinterpretato in virtù di un rinnovato progressivo
tecnologico e scientifico. La civiltà tecnologica si organizza lungo due assi fondamentali:

• Quello materiale, corporeo e pesante che raccoglie l’eredità del positivismo, privilegiando le
conoscenze scientifiche;

• Quello virtuale, leggero e incorporeo che si sviluppa lungo una dimensione immaginativa che
condiziona le scelte e i comportamenti individuali e collettivi. Questo unifica l’immaginario
collettivo planetario intorno a uno schema gnostico.
Per esempio, nel conflitto culturale che oppone Occidente all’Islam, entrambi costituiscono l’altro
come l’oscuro e demoniaco nemico da sconfiggere. Il presidente degli Stati Uniti, Bush nel 2002,
definì i paesi come Iran,Iraq e corea del Nord: asse del male, che si arma per minacciare la pace nel
mondo; mentre nel mondo islamico si è diffusa l’immagine degli Stati Uniti come Grande satana.

Il potere politico riprende le strategie di corruzione de consenso tipiche dei regimi totalitari, all’interno di
una concezione generale che si afferma come soft power, basato sull’uso dei mezzi di comunicazione di
massa che preparano i cittadini alla competizione elettorale.

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Carl Schmitt elabora lo schema amico-nemico: secondo cui il potere evoca strategicamente una paura oscura
che non può essere mai verificato direttamente da nessuno, ma che influenza l’immaginario collettivo.

IL COMPORTAMENTO POLITICO
Il comportamento politico è l’atteggiamento che un individuo o un gruppo hanno in relazione al sistema
politico di riferimento, al potere e ai loro processi di legittimazione.
Storicamente si può considerare il comportamento politico come il modo attraverso cui gli individui e i
gruppi umani interagiscono con l’ordinamento politico-istituzionale dove vivono.
E’ un fenomeno connesso con l’esistenza del genere umano: da sempre, la stessa sopravvivenza della specie
umana non sarebbe possibile se gli uomini non si associassero tra loro. Questa necessità determina delle
gerarchie tra gli individui.
Il criterio per qualificare un atteggiamento dipende in ultima istanza dalla divisione tra la sfera pubblica e
quella privata, per cui solo ciò che ricade o ha conseguenze dirette in riferimento alla dimensione pubblica
può essere interpretato in senso politico.
Un esempio è l’adozione di una dieta vegetariana per motivi di ordine etico: tale comportamento finchè
rimane confinato all’interno della sfera privata non ha un valore di ordine politico, ma può acquisirlo quando
l’individuo o il gruppo agisce con il fine di diffondere questa pratica a livello sociale per creare una forza
politica per modificare l’ordinamento giuridico.

Il comportamento politico è determinato da 3 elementi fondamentali:

1. Le condizioni materiali di esistenza

2. L’immaginario politico di riferimento

3. Il sapere e le opzioni di ordine ideologico e valoriale

Questi fattori contribuiscono a orientare le scelte politiche degli individui, delle classi sociali e dei gruppi di
pressione nei sistemi politici. Sono tre aspetti basilari dell’esistenza umana che condizionano il
comportamento dei principali attori politici.
Nel corso della storia della filosofia e della teoria politica per un certo periodo di tempo ha prevalso
un’interpretazione di stampo marxiano del comportamento politico, per cui tutti i fenomeni storici e culturali
venivano interpretati in relazione alle condizioni materiali di esistenza, intese in funzione del sistema
economico di produzione e di scambio. Secondo questa interpretazione, le logiche di tipo economico erano
considerate come le cause ultime di ogni comportamento politico, in quanto si riteneva che da esse
derivassero non solo l’ideologia e l’immaginario più comunemente diffusi, ma la spinta fondamentale per
ogni atto umano dotato di senso.
Questa impostazione, ancora dominante negli anni ’70 in Italia, è stata progressivamente abbandonata dalla
maggior parte degli studiosi a vantaggio di un’interpretazione dei fenomeni politici, in cui gli elementi di
carattere ideologico, simbolico e immaginativo assumono un ruolo altrettanto determinante (al pari delle
condizioni materiali) nell’orientare il comportamento umano.

• Per capire l’importanza di questi 3 elementi si può usare l’esempio del sistema dei vasi comunicanti:
come accade all’interno di questo sistema fisico, dove il livello di liquido in ciascun vaso non
dipende dal singolo contenitore in cui il liquido è introdotto, ma rimane sempre identico in ognuno,
così il cambiamento che si verifica in uno degli elementi considerati (ideologico, simbolico o
economico) ricade sugli altri, senza che ce ne sia uno necessariamente dominante o preminente.

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• Per esempio la fine dell’URSS non sono state le dinamiche economiche a cambiare per prime, ma
elementi di carattere ideologico e simbolico spinsero una parte sempre maggiore di cittadini a
mettere in discussione il modello economico sovietico e l’ideologia comunista, in modo da spingere
il sistema a implodere.

• Un altro esempio viene spiegato dal sociologo tedesco Max Weber: i convincimenti religiosi dei
calvinisti, basati sul culto del lavoro e sull’idea che il successo negli affari e nella professione
fossero il segno di benevolenza divina e della predestinazione alla salvezza, favorì lo sviluppo della
civiltà industriale e del capitalismo, portando a una nuova organizzazione del lavoro e dell’esistenza.

Come mostrano questi esempi è quindi necessario interpretare i comportamenti e i fenomeni politici che
sono connessi secondo una logica circolare.

Sistemi politici, Istituzioni, gruppi e individui


Il comportamento politico è sempre condizionato dall’intersezione tra individui, gruppi organizzati, sistemi
politici e istituzionali.
Tradizionalmente tutte le civiltà indoeuropee da cui discende la civiltà occidentale, si sono basate su una
relazione gerarchica tra i propri membri di tipo piramidale, fondata su una rigida separazione in classi.
Questo modello implica sempre l’esistenza del binomio protezione-obbedienza sviluppato su un asse
verticale. (fig. pag. 81)
La ricchezza e il potere (condizioni materiali) sono direttamente proporzionali all’altezza della collocazione
all’interno della piramide. Tale ordine sociale fissa individualmente e collettivamente il tipo di
comportamento politico attuabile in funzione di una precisa relazione gerarchica che ne determina anche il
grado di libertà.
La cultura moderna cambia tale ordine piramidale grazie alla diffusione progressiva del rispetto dei diritti
individuali, maggiore redistribuzione delle ricchezze, ordinamento politico di tipo liberaldemocratico, dando
vita a un ordine fondato su una struttura di tipo ovoidale¸ consentendo una maggiore fluidità sia in senso
ascendente sia discendente. (fig. pag. 83).
I comportamenti politici si orientano sempre sulla base del binomio obbedienza-protezione , però sono anche
condizionati dal fatto che la popolazione governata gode di ambi margini di libertà individuale.
In ultimo, con la rivoluzione tecnologica prodotta dello sviluppo dell’informatica a livello globale, sta
cambiando ogni ordine politico-sociale e in particolare la forma ovoidale, trasformando l’intero pianeta sulla
base di una struttura gerarchica modellata su una morfologia reticolare di tipo aristocratico. (fig. pag. 84).
Ora, nel corso della seconda metà del XX secolo, esistono due fondamentali strutture reticolari: egualitarie
e aristocratiche. Quelle egualitarie sono caratterizzate da connessioni equamente distribuite tra i punti che
compongono una rete; quelle aristocratiche sono determinate dal fatto che la maggior parte delle connessioni
esistenti vengono monopolizzate da pochi elementi chiamati hub (centro o fulcro). Il modello per eccellenza
del sistema aristocratico è Internet e il World Wide Web.
I comportamenti politici ne risentono molto della rivoluzione tecnologica in atto: ogni individuo, gruppo,
istituzione, partito, sistema politico orientano i loro atti sulla base di tali legami reticolari che determinano un
insieme di relazioni economiche, politiche, simboliche, ideologiche e culturali assai complesse. Quindi
secondo questo modello, ogni individuo, gruppo, istituzione, partito, sistema politico può essere un hub, il
cui comportamento è condizionato dalla numerosità di connessioni che lo inscrivono nella propria rete di
riferimento, collocata a sua volta nell’ordine reticolare globale.

L’ORGANIZZAZIONE POLITICA
L’organizzazione politica è la modalità attraverso cui ogni sistema politico gestisce e struttura al proprio
interno i suoi 3 elementi fondativi:

1. Forza: individua ogni forma di costrizione o violenza che un individuo, gruppo o sistema politico,
esercita su almeno un altro individuo, gruppo o sistema politico.
In un qualsiasi sistema politico la Forza organizza le parti che lo compongono secondo precise

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relazione di natura coercitiva, dove i diversi elementi che ne costituiscono la struttura sono connessi
tra loro dalla possibilità di esercitare o subire una forma di costrizione.
- Un esempio è il famoso apologo di Agrippa, console romano che convinse i plebei che si erano
ritirati per protesta sul Monte Sacro o Aventino (incerto) a tornare a Roma. Il tema dell’apologo
consiste nel paragonare l’organizzazione politica della città a un organismo la cui forza, necessaria
per difendersi dai nemici, dipende dall’armonia delle singole parti che lo compongono.
- Per esempio lo Stato moderno tende a costituirsi attraverso il monopolio della forza sul territorio
dove esso esiste, per cui nessuno se non lo stato,m può esercitare una qualche forma di coercizione
nei confronti della popolazione.

2. Potere: è una qualsiasi relazione tra uomini, gruppi o sistemi politici che abbia una natura
asimmetrica e gerarchica. Queste relazioni possono a loro volta essere gestite da apparati giuridici
formalizzati con lo scopo di creare un ordinamento oggettivo.
Il potere deve essere interpretato come un modo per regolare i rapporti di forza secondo schemi
ordinati. Fin dalle epoche più antiche, il potere tende a essere concepito sulla base della sua
possibilità di tradurre i rapporti di forza vigenti in termini giuridici:
- Famoso è la trattazione ciceroniana della Repubblica (res publica) come sistema politico che
appartiene al popolo romano, in quanto comunità di uomini liberi che si riconosce in un medesimo
ordine giuridico fondato, oltre che sulla comunanza di interessi anche sulla giustizia e
sull’osservanza delle stesse leggi.
- anche nel caso dell’impero bizantino, nonostante la forza dell’imperatore fosse creatrice della
legge stessa e superiore a essa, il potere era comunque definito come forza sottoposta al diritto.
Infatti imperatore era qualificato come legge vivente.
- i sistemi politici moderni, come lo stato, tendono a trasformare il potere nel governo impersonale
delle leggi, interpretate all’interno delle relazioni di comando e obbedienza che lega tra loro
individui, gruppi e organi di ordinamenti, secondo precise relazioni gerarchiche.

3. Autorità: indica le modalità attraverso cui un ordinamento politico e chi lo costituisce legittimano la
propria esistenza e le relazioni di potere che vi hanno luogo. Più dettagliatamente, consiste ella
giustificazione del sistema politico in se stesso e nella legittimazione delle relazioni di comando e di
obbedienza che vi si instaurano.
Per esempio lo stato viene spesso giustificato in funzione dell’ordine che esso realizza; invece
l’impero in epoca medievale, legittimava la sua stessa esistenza fondandola sulla necessità di una
guida di tutti i cristiani.

I SISTEMI POLITICI:UN’ANALISI STORICO-TIPOLOGICA

LA CITTA’
La città come forma politica appare in Grecia intorno all’VIII secolo a.C. Per la cultura e la civilizzazione
greca antica, la polis rappresentò un modello politico di riferimento e può essere considerata una delle prime
esperienze fondanti dell’identità e delle categorie politiche della civiltà occidentale.
Per alcuni storici, le città sono il frutto dell’invasione dorica della Grecia, già abitata dagli achei, che
abbattendo i regimi monarchici a vantaggio di un modello oligarchico, fondarono le poleis come nuove
forme di aggregazione politica. Per altri storici, che non credono all’invasione dorica della Grecia, la polis
sorse dal passaggio della monarchia all’oligarchia all’interno della società achea, dove al dominio del re si
sostituì quello dell’aristocrazia militare, mentre il termine Dori fu un nuovo nome degli achei sopo la loro
espansione territoriale.
La polis ha caratterizzato, oltre la politica greca, anche quella romana, fenicia e di tutti i popoli che abitarono
l’area mediterranea fino alla conquista romana.
Dopo l’anno Mille, in particolare in Italia, ci fu l’affermazione di un autonomo orizzonte politico comunale,

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che portò alla nascita delle signorie e delle piccole repubbliche, dopo l’espansione territoriale della città
stessa.
Le poleis conservarono in Grecia la loro indipendenza fino all’espansione di Filippo II di Macedonia
(382-336 a.C.) e del figlio Alessandro Magno (356-323 a.C.); nel resto del Mediterraneo fino all’espansione
romana del III e II secolo a.C., che dopo le guerre puniche coinvolse anche le città di origine fenicia. Dopo
questi eventi il modello politico fondato sulle città ebbe un rapido declino a vantaggio di sistemi politici
come Regni, Repubbliche e Imperi. La rinascita si ebbe nel medioevo intorno al XI secolo, in particolare in
Italia centro settentrionale, che vide l’affermazione di città autonome e importanti (Genova, Pisa, Firenze,
Venezia, Milano). Celebre è la lotta che i comuni della Lega Lombarda fecero contro l’Imperatore
Barbarossa che si concluse con la loro vittoria.
Verso la fine del Medioevo le città italiane formarono complessi politici più ampi, riducendo la
frammentazione comunale. Da allora la città come unità politica autonoma scomparve, e prese il suo posto
una nuova entità politica dominante: lo stato-nazione.

Definizione e analisi tipologica


La città si qualifica come un sistema politico originario i cui tratti essenziali derivano da una percezione
reale di ordine simbolico, narrativo o/e sacrale condivisa dalla comunità che la abita. Infatti un esempio di
ciò è il caso greco e romano: la città forma un insieme coeso in cui si sovrappongono politica e religione,
attraverso miti fondativi e alla diffusione di pratiche culturali.
Per esempio nell’antica Roma il Collegio Sacerdotale presieduto dal Pontefice Massimo esercitava il
controllo pubblico e privato del culto, ma aveva anche compiti giuridici connessi con la tutela della
tradizione. Mentre nella polis greca, l’Areopago di Atene ha un’origine mitica sacrale (vi fu giudicato il dio
Ares per aver ucciso il figlio di Poseidone), ma ha anche una funzione giuridica, perché si giudicavano i
diritti di sangue.
Inoltre storicamente, possiamo distinguere nell’organizzazione del sistema di governo della città alcuni
modelli dominanti:

■ Modello democratico ateniese


Nel 508 a.C. Clistene fondò la democrazia ateniese, abbandonando il modello oligarchico-
timocratico basato sul censo e voluto da Solone. Questo nuovo sistema si basava sulla democrazia
diretta e fornì successivamente le basi culturali per lo sviluppo della civiltà moderna e post-
moderna.
La democrazia ateniese si basava su una nuova unità politica e amministrativa: il demos. Il territorio
fu diviso in 100 diversi demi, organizzati in 10 tribù, composte da 3 classi sociali (aristocrazia,
piccoli contadini e piccoli artigiani) in modo che ci fosse equilibrio all’interno di ogni demo.
Da ogni tribù, attraverso il sorteggio, venivano scelti 50 rappresentanti che componevano il
Consiglio dei Cinquecento (Boulè) che avevano funzioni amministrative e di governo.
Per l’attività giudiziaria c’era l’Elite composta da 6000 cittadini scelti annualmente per sorteggio, cui
si affiancava l’Areopago, ovvero il consiglio degli anziani (150 ex-arconti) che giudicavano i reati di
omicidio.
L’Ecclesìa era l’assemblea popolare a cui potevano partecipare tutti i cittadini maschi adulti (>18
anni) e liberi, dove si prendevano a maggioranza le decisione più rilevanti per il destino e la vita
pubblica della città:
- avevano funzioni legislative e giudiziarie
- potevano nominare gli arconti (che avevano funzioni organizzative legate alle feste religiose e
presiedevano l’attività dei tribunali)
- potevano nominare gli strateghi (comandanti militari)
- avevano competenze di politica estera
- approvavano leggi e decreti proposti dalla Boulè.
- potevano votare a maggioranza l’Ostracismo, ovvero un istituto giuridico che permetteva di
esiliare per 10 anni chiunque fosse sospettato di rappresentare un pericolo per la democrazia.

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■ L’oligarchia spartana
A Sparta gli abitanti erano suddivisi in 3 classi sociali:

• Spartiati: classe dominante dalla nascita e godevano di pieno diritto alla cittadinanza, si dedicava
solo alla guerra e alle attività connesse. Già da piccoli venivano separati dalle famiglie ed educati da
un prefetto della gioventù, fino all’età di 19 anni, quando diventavano combattenti. A 30 anni
potevano partecipare all’assemblea dei cittadini e acquisiva il diritto di vivere in abitazioni private
con moglie. Ognuno di loro aveva il diritto ad un appezzamento di terra che poteva essere ereditato
solo dal primogenito maschio. Inoltre tutti erano tenuti a consumare quotidianamente i pasti in
comune (sissizi).

• Perieci: erano gli abitanti delle altre comunità cittadine sottomesse a Sparta, erano obbligai a
combattere a fianco degli Spartiati e dovevano accettare le loro decisioni amministrative.

• Iloti: erano i discendenti delle popolazioni autoctone che gli Spartani di stirpe dorica avevano
asservito, erano privi di diritti ed erano obbligati a coltivare le terre degli spartiati.

Al vertice della città c’erano:

• 2 Re

• L’apella: assemblea generale degli spartiati. Aveva la funzione di eleggere i magistrati, decidere
la successione al trono, inviare ambascerie e dare la cittadinanza in casi del tutto eccezionali.

• Gherusìa: consiglio degli anziani a cui appartenevano i 2 Re + 28 membri di età maggiore di 60


anni, eletti a vita dall’assemblea degli eguali. Giudicava i delitti di sangue e il tradimento,
imponeva multe, dichiarava l’infamia e condannava a morte o all’esilio.

• L’eforato: 5 efori venivano eletti dal popolo degli Spartiati, avevano il potere di proporre leggi,
presiedere l’apella e la gherusia attraverso l’eforo eponimo. In origine avevano il cpmpito di
vigilare sulla vita pubblica e sul comportamento dei cittadini; successivamente divenne l’organo
più importante di Sparta perché il potere si estese alle relazioni esterne, alle ambascerie, alla
stipulazione di trattati, dichiarazioni di guerra.

Roma: il Regnum e la libera Res publica


Il regnum è l’età più arcaica dell’ordinamento politico di Roma, caratterizzato dalla forma di monarchia non
ereditaria del Rex. Dalla fondazione del mitico Romolo nel 753 a.C. ci furono 7 re di Roma (Romolo, Numa
Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbio) che si
succedettero fino alla trasformazione del Regnum in libera Res Publica.
Il rex romano era capo religioso, politico, militare, eletto a vita dal senato e dal popolo e interprete della
volontà divina. Alcune caratteristiche:

1. La carica del rex era monocratica (=costituito da una sola persona)

2. Il rex non doveva necessariamente appartenere alla città, poteva essere anche uno straniero. Le
procedure seguivano questo schema:

a. Apertura dell’interregnum

b. Convocazione dei comitia (assemblea dei cittadini idonei a prenderne parte)

c. Elezione del rex e l’approvazione del senato

d. Consultazione degli dei

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e. Conferimento dei comizi della facoltà di esercitare il comando

3. Il potere del rex riguardava la direzione della vita pubblica. I suoi limiti venivano posti solo dagli
altri organi che compongono l’ordinamento politico e giuridico della città.

Alla figura del rex era associato il Senatus, composto da 300 membri scelti dai patrizi. I patrizi si
distinguevano dalla classe plebea (la moltitudo), in quanto detentori di un nome gentilizio che simboleggiava
la loro discendenza da un unico progenitore.
Il Senato era legato all’esercizio:
- dell’interregnum: consisteva nella costituzione di un collegio di 10 senatori, uno dei quali si occupava a
rotazione di 5 giorni di governare la città temporaneamente, in mancanza del rex.
- dell’auctoritas: approvava le deliberazioni dei comitia.
- il senato aveva il compito di fornire pareri su ogni materia che il rex riteneva di dover portare alla loro
attenzione (consultum).

I Comitia curiata erano le assemblee dei cittadini maschi adulti in grado di portare le armi. Avevano la
funzione di eleggere il rex, votare proposte ad essi sottoposte e deliberare sulla pena capitale. Importanti
anche dal punto di vista bellico: da ogni curia venivano prelevati 100 uomini che costituivano la fanteria
formata da 3000 uomini.

Nel 509 a.C. ebbe fine il Regnum con la cacciata di Tarquinio il Superbo, che trasformò Roma in libera Res
Publica. Al rex si sostituì il Senato, formato da 300 membri che appartenevano a entrambe le classi (patrizi,
chiamati patres, e plebei, chiamati conscripti). Il senato dirigeva la res publica attraverso lo strumento del
consultum: era un parere rilasciato al magistrato che lo richiedeva, formalmente non vincolante, ma non
disatteso mai. Normalmente le cariche consolari e delle magistrature erano annuali.
Al senato si aggiungevano i magistrati ordinari:

1. Consules (consoli): in numero di 2, erano attribuite a loro le competenze che non venivano esercitate
esplicitamente dagli altri magistrati e indirizzavano la politica della res publica attraverso l’iniziativa
legislativa e la richiesta di consigli al senato (senatus consulta).

2. Quaestores (questori): avevano compiti civili e spettava loro la sorveglianza dei tesori e archivio di
Roma, aiutavano i consoli nelle loro funzioni militari. E poi aveva funzioni legate alla sorveglianza
delle coste e all’allestimento della flotta.

3. Censores (censori): in numero di 2 ed eletti ogni 5 anni, si occupavano del censimento della
popolazioni in base al quale si stabiliva il patrimonio dei cittadini e di conseguenza il loro peso
all’itero dell’assemblea. Avevano funzioni controllo dei costumi dei cittadini e del regolamento delle
entrate e uscite pubbliche.

4. Praetor (pretore): aveva poteri militari e sovraintendeva all’amministrazione della giustizia.

5. Aediles curules (edili curuli): in numero di 2, esercitavano funzioni di polizia e organizzavano feste
pubbliche.

6. Dictator: poteva essere nominato dal senato e dai consoli solo per massimo 6 mesi, temporaneamente,
aveva la funzione straordinaria di permettere alla Repubblica di superari i momenti di crisi. Aveva la
pienezza dei poteri militari e civili imponendosi su tutti gli altri magistrati subordinati.

7. Tribuni plebis (tribuni della plebe): erano 10, esercitavano l’auxilium dei plebei, quindi attraverso il
vero potevano impedire qualsiasi atto di governo o dei pubblici poteri.

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8. Sacerdoti : si dividevano in Pontefices (definivano il calendario pubblico e coordinavano l’attività dei
sacerdoti sottoposti a loro) e Augures (si occupavano dell’interpretazione della volontà degli dei,
auguria e auspicia).

9. Comitia (assemblee popolari): si dividevano in


COMITIA CURIATA: autorizzavano i magistrati all’esercizio dell’imperium militare, dichiarazioni
di guerra, elezione dei magistrati più importanti (consoli, pretori, censori), deliberazione della pena
capitale (non si eseguiva lasciando al condannato la possibilità d’esilio).
COMITIA TRIBUTA: spettavano tutte le altre deliberazione
COMITIA CENTURIATA:spettavano le deliberazioni di carattere legislativo.

IL REGNO
Il regno è un sistema fondato su una singola persona che assorbe nella propria funzione una serie di poteri, in
relazione ai quali si possono avere monarchie feudali, assolute, costituzionali o parlamentari .
Il Sovrano, nella tradizione medievale, era simbolo del legame che univa la terra con il cielo: il re con gli dei
o con Dio. Questo ha reso il sovrano un individuo dotato di speciali attribuzioni che si estendevano dal
comando militare alla funzione sacerdotale,
In tempi arcaici il vecchio sovrano veniva sacrificato in favore del giovane in modo da assumere la pienezza
del potere e la rappresentanza divina. Nel corso dei secoli il sacrificio venne sostituito con la frase rituale: Il
re è morto, viva il re.

• Monarchia feudale: nasce come istituto militare in cui il re è un capo militare che tende ad
assumere anche funzioni politiche. E’ tipica dei primi regni romano-gemanici ed è limitata dai poteri
di un qualche tipo di senato (inteso come assemblea generale dei liberi). Il monarca di tipo feudale
ha un potere ridotto sia del senato (quando c’è), sia dell’aristocrazia e dei suoi capi. In questi regni
domina l’idea di Personalità della legge: mancando un sistema giuridico unitario in senso territoriale,
a ciascun individuo viene permesso di osservare le leggi e costumi della propria natio o stirpe di
appartenenza.
Questo tipo di regno fu praticato soprattutto durante l’alto medioevo e si basava sulla costruzione di
una società fondata sul possesso della terra e su profonde distinzioni di classe. Ciò finì con l’avvento
delle monarchie assoluto che diventarono i regimi più diffusi in tutta Europa dal XVI al XVIII
secolo, a eccezione dell’Inghilterra che non volle accettarla.

• Monarchia assoluta: è un regime politico in cui il sovrano non è soggetto alle leggi positive, il suo
potere non è limitato da nessuna assemblea o parlamento, né dal potere giudiziario e non subisce
condizionamenti da parte di altri poteri ecclesiastici o laici. Le monarchie assolute tendono a
organizzare i regni secondo caratteri tipici dello Stato moderno che possiede la Sovranità come
potere non subordinato ad altri poteri. Inoltre la Sovranità è assoluta, perpetua, indivisibile,
inalienabile e imperscrittibile: ovvero non è limitata dalle leggi, non coincide con le persone che la
esercitano perché appartiene perpetuamente al sistema politico che la esprime, non può essere ceduta
ad altri, non si estingue per un suo mancato esercizio.
La corona ha funzione legislativa, esecutiva e giudiziaria e vengono esercitate dal re, ma non da lui
stesso possedute.

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• Monarchia costituzionale: segna il passaggio dall’assolutismo a forme liberali di gestione della cosa
pubblica e del potere. Il sovrano regna ma accetta che il proprio potere sia limitato da una
costituzione, Il sovrano continua ad avere potere esecutivo, il potere legislativo è condiviso con il
parlamento, ha funzioni di rappresentanza e di nomina dei giudici. La costituzione limita i suoi poteri
in relazione ai diritti individuali e afferma il principio dell’habeas corpus secondo cui un cittadino
non può essere detenuto se non per ordine di un tribunale.
In particolare in Inghilterra, nel 1689 con il Bill of Rights si anticipò di un secolo ciò che accadde
nell’Europa continentale dopo la rivoluzione francese. Questa dichiarazione riguardava i diritti
fondamentali dell’uomo e si aggiungeva alla Magna Charta Libertatum del 1215 di epoca medievale,
che già esprimeva il principio secondo cui il re non poteva imporre tasse a suo piacimento..
Nel corso del XIX secolo i regni retti da monarchie costituzionali rappresentarono dei sistemi politici
che tendevano ad adeguarsi alle richieste della borghesia e al nuovo modello da essa adottato,
fondato sui valori tipici dell’individualismo politico.
Successivamente i regni e le monarchie che li reggevano si trasformarono, nella maggioranza, in
Repubbliche o Monarchie parlamentari.

• Monarchia parlamentare: è un ordinamento politico tipico di un regno in cui i poteri (legislativo,


esecutivo e giudiziario) non appartengono esclusivamente alla corona, ma vengono esercitati
autonomamente dal parlamento, dal governo e dalle corti di giustizia secondo il principio moderno
della separazione dei poteri.
La corona ha il ruolo simbolico di rappresentare l’unità della nazione, pur considerandola
formalmente la fonte di tutti i poteri. Infatti si può prendere il Regno Unito come esempio: il
Sovrano rappresenta il potere esecutivo, legislativo, giudiziario ed è anche capo della chiesa
anglicana e delle forze armate, può sciogliere e convocare il parlamento e nominare i ministri. Però
le leggi non possono essere abrogate o promulgate senza il consenso della camera dei comuni, che
ha competenze esclusive sulle leggi finanziarie e controlla il potere esecutivo che dipende dalla
maggioranza parlamentare.

L’IMPERO
l’impero è una forma di potere che va al di sopra di ogni gruppo etnico e/o politico. Ha origini in Oriente e la sua
principale fonte di legittimazione è che concepisce se stesso come la copia terrena di un potere superiore: il potere
celeste e divino. L’autorità ha quindi una concezione sacra, chiunque osa opporsi all’imperatore contrasta la volontà di
dio. L’imperatore era considerato Il figlio del cielo. Infatti per esempio l’imperatore cinese Wu viveva in un palazzo che
era una gigantesca rappresentazione del cosmo di cui l’Imperatore era il centro.
L’imperatore coniugava insieme potere politico e autorità sacerdotale. Nel caso della figura dell’Imam della dottrina
gnostico-sciita, era un’autorità politica e spirituale.
Nella tradizione buddista, l’imperatore veniva concepito come un Siddarta (colui che ha realizzato lo scopo
dell’esistenza) e plasma la propria figura sull’esempio di Buddha. La carica di imperatore nella storia dell’Occidente
non fu ereditaria, ma elettiva.
Anche la civiltà romana aveva una concezione universalistica dell’Impero, dove l’imperatore aveva oltre che potere
politico e militare, era anche Pontefice Massimo, capo del collegio sacerdotale.
I cristiani accettavano l’autorità dell’impero, ma non accettarono mai di adorare l’Impero come un dio. Fino all’editto
dell’Imperatore Costantino che concesse piena libertà di culto ai cristiani, permettendo al cristianesimo di affermarsi
progressivamente come la principale religione dell’Impero. Ciò cambiò il senso della figura imperiale che non perse il
suo carattere sacrale, ma non fu più equiparate a una divinità.
Quando cadde l’Impero romano d’Occidente, sopravvisse all’interno della civiltà bizantina la concezione dell’impero
come manifestazione di dio sulla terra, dove l’imperatore era il coreggente insieme a cristo stesso. Infatti il trono
dell’imperatore bizantino aveva due posti, uno per Cristo e l’imperatore veniva onorato come fosse un dio vivente.
Diverso fu l’atteggiamento in Occidente: dopo le invasioni barbariche e i numerosi regni sorti dopo la caduta
dell’Impero romano, Carlo Magno fondò un sistema imperiale secondo la concezione della Respublica Christiana.
L’imperatore era considerato solo il rappresentante sulla terra di Cristo Pantocratore, Signore del Mondo, che si faceva
chiamare vescovo dei vescovi. Alla fine dei tempi, egli avrebbe dovuto restituire il potere a Cristo stesso.
Ci poi un progressivo indebolimento della figura imperiale e il rafforzamento dei Signori locali. A questo si aggiunse
anche la presenza nella Respublica Christina della Grande Chiesa e della sua gerarchia centrata sulla figura del
pontefice che oltre al potere religioso aveva, in parte anche quello temporale. Ciò determinò il costituirsi dell’impero

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medievale su una diarchia tra il papa e l’imperatore, tra potere spirituale (sacerdotium) e potere temporale (imperium).
Iniziò così la famosa lotta per le investiture, cioè una contesa tra papato e impero, riguardante la prerogativa di
nominare vescovi e abati e l’attribuzione di benefici feudali.
Dopo un iniziale periodo di sottomissione del papa all’imperatore, nel X secolo iniziò un totale distacco dall’influenza
imperiale. Gregorio VII con il suo Dictatus papae del 1075 sancì che il potere papale dovesse essere eletto senza
ingerenze imperiali, di nominare e deporre i vescovi, di ordinare i sacerdoti, portare le insigne imperiali e di non essere
giudicato da nessuno, di deporre gli Imperatori e di scomunicare chiunque non fosse in comunione con il Papato.
Nel 1122 il conflitto ebbe fine con il concordato di Worms in cui si riaffermava l’indipendenza dell’elezione del papa,
la possibilità dell’imperatore di influire sulla nomina di vescovi e abati in Germania, ma non in Italia e in Borgogna. La
pace raggiunta fu continuamente messa in discussione perché la chiesa voleva riaffermare la sua supremazia.
Circa mezzo secolo dopo, nel 1302 Papa Bonifacio VIII emanò la bolla Unam Sanctam in cui affermò la supremazia
della Chiesa su tutti i regni e i regnanti della terra. In risposta l’imperatore Federico Barbarossa rinominò l’Impero con
l’appellativo Sacro Romano impero, attribuendo all’imperatore il titolo di Maestà.
Nel 1356 con la Bolla detta d’Oro vennero determinati i sette prìncipi cui sarebbe spettato, per diritto ereditario,
l’elezione del sacro romano imperatore. Il collegio era composto da 14 laici e 3 ecclesiastici che venivano considerati
Consiglieri imperiali.
Quindi dal XIII secolo finisce la concezione medioevale dell’Impero, e inizia la convinzione di matrice aristotelica
secondo cui il mondo è una società perfetta, come la chiesa.
Il francescano Guglielmo da Ockham sosteneva che autorità imperiale non deve essere conferita dal Papa, ma da dio
stesso attraverso il potere elettivo degli uomini e il contrasto tra papa e imperatore è una controversia terrena.
Solo con Carlo V nel 1500 si ebbe il tentativo di ripristinare l’autorità e il prestigio imperiale, e nessun imperatore
aveva mai avuto tanta autorità come lui e fu il sovrano sui cui domini non tramontava mai il sole. Carlo V governava il
mondo e aspirava a illuminarlo con la luce della sua saggezza ed era considerato l’instauratore di una nuova società
aurea.
In realtà durò poco perché non fu in grado d consolidare il suo immenso impero e con la sua morte, in Occidente, il
titolo imperiale apparve sempre più come un appellativo onorifico: fu solo un nome privo di reale autorità.
Il sacro romano impero cessò definitivamente di esistere nel 1806 con la rinuncia di Francesco II d’Asburgo alle
prerogative imperiali.
Pochi anni dopo la caduta di Costantinopoli, Ivan III assunse per la prima volta il titolo imperiale di Zar di tutte le
Russie. Sposò la figlia dell’erede al trono bizantino, sentendosi legittimato come erede dell’Imperatore bizantino. Così
nel 1510 nacque il mito della Russia imperiale come detentrice del potere sul mondo (dopo Roma e Bisanzio). Si
aspirava a un potere che allarghi i suoi spazi d’intervento e questa idea non fu più sorretta da alcuna contaminazione di
tipo religioso, ma ebbe come suo ambito l’idea di territorialità.
Dalle ceneri dei vecchi Imperi sorse l’impero francese voluto da Napoleone Bonaparte, terminato con la battaglia di
Waterloo (1815) e il secondo impero francese voluto da Napoleone III e finito a Sedan (1870).
Di più lunga durata furono l’impero austro-ungarico e l’impero inglese.
Con la fine della Prima guerra mondiale (1918) l’impero austro-ungarico, tedesco, russo, ottomano si dissolsero.
L’impero inglese durò fino al 1950.

Definizione e Analisi Tipologica


L’impero è un sistema politico fondato sull’esercizio del potere politico, militare e religioso da parte di un
Imperatore, Capo o da una classe politica coesa e organizzata (Senato) su un insieme di territori popolati da
nazioni e popoli eterogenei per lingua, cultura e religione.
Ci sono 2 forme principali di Imperi:

• Impero Orientale: si caratterizza per un totale accentramento del potere nelle mani dell’Imperatore
che acquisisce i caratteri di un monarca assoluto la cui figura viene associata a quella di un dio. Es.
il Faraone egiziano considerato un dio.

• Impero Occidentale: il caso in cui il potere dell’Imperatore è limitato da atri soggetti o gruppi
organizzati, per esempio il senato nell’antica Roma, il papato o il potere dei feudatari in epoca
medievale.
Il modello di riferimento è la tradizione romana: in particolare L’impero romano all’epoca
dell’instaurazione del principato da parte di Giulio cesare.

• Modello romano
Il sistema politico romano all’epoca del principato di Augusto, che trasformò la Repubblica

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oligarchica in un Impero, è alla base di ogni modello della tradizione politica occidentale ed è
centrato sui concetti di AUCTORITAS e di POTESTAS.
L’auctoritas è una forza ordinatrice che ha lo scopo di potenziare e coordinare i singoli poteri
dell’Impero. Si sovrappone ai 2 elementi principali su cui si fondava la repubblica oligarchica:
Senato e Tribunato della plebe.
All’imperatore vengono attribuiti 2 poteri:
1. Potestà tribunizia: coordina il senato, le magistrature e il tribunato della plebe, così da eliminare
l’antico dualismo tra patrizi e plebei.
2. Potere proconsolare superiore e illimitato: controllo dell’esercito, coordinamento tra i governatori
delle province e gli organi centrali di Roma.

Quindi l’imperatore è un princeps che non ha un potere autonomo e illimitato, ma coordina ogni altro potere.
Dal punto di vista religioso ha la carica di Pontefice Massimo, diventando il capo del collegio sacerdotale
romano.
Con la presa del potere di Diocleziano nel 284 d.C. si trasformò in un Impero di tipo orientale secondo forme
accentratrici caratterizzanti la monarchia assoluta.

• Modello medievale
l’Impero medievale fu fondato da Carlo Magno nell’800 d.C. e ha come sua fonte principale di
legittimazione la religione cristiana e si identifica con la Respublica Christiana. C’è un forte
richiamo ideologico e simbolico al modello romano, ma se ne discosta anche molto:

• è soggetto a una diarchia tra papa e imperatore

• insiste su una struttura sociale fondata su una divisione in classi: clero, aristocrazia e popolo.

• Il potere dell’imperatore dipende dalla forza del proprio esercito ed è limitato dal potere dei signori
feudali e dai liberi comuni che ne popolano il territorio.

Il potere imperiale esercita un dominio di natura prevalentemente etica, e lascia pieni poteri alle entità
politiche locali: regni, comuni e feudi.
Terminò con la morte di Federico II.

• Modello moderno

La civiltà moderna si costituisce politicamente sul sistema Stato-Nazione che rappresenta l’antitesi del
modello imperiale. Questo sistema nuovo ha conosciuto un’espansione coloniale così ampia che lo ha
configurato come un sistema di potere imperiale o paraimperiale.
2 casi che rappresentano quanto di più simili a un Impero durante la modernità:
- L’impero britannico: realizza un sistema paraimperiale fondato su una monarchia parlamentare che estende
il proprio dominio a popoli e nazioni eterogenei sul piano culturale e linguistico, ma per esempio in America
e Australia si scontra con popolazioni nomadi e arcaiche, e tende a imporre il modello etnico inglese.
- L’impero americano: è un unione federale di stati con un ordinamento repubblicano e presidenziale che
estende la propria egemonia a una parte consistente del globo attraverso sistemi di alleanze che riconoscono
alla sua stessa cultura, lingua e forma politica un ruolo preminente, conferendo al Presidente degli Stati Uniti
un’Autorità morale, etica e politica che ricorda per molti aspetti il modello romano.
In ogni caso, l’emergere dello Stato-nazione e delle sue logiche etniche e linguistiche in seno alla modernità
non ha mai veramente permesso la trasformazione dei sistemi federali, confederali o coloniali in veri e propri
imperi.

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LO STATO
Il termine Stato è stato introdotto nel lessico politico da Machiavelli con il significato che ancora possiede.
Lo stato è un fenomeno politico moderno che compare sulla scena storica nel XV secolo quando in Europa
entrarono in crisi il papato e l’impero e in seguito a questa crisi di formarono i primi grandi stati, dapprima
raffigurati come regni a base dinastica: Francia, Inghilterra e Spagna.
Lo Stato moderno è definibile come l’esercizio della sovranità su un determinato territorio e sulla
popolazione, fondato un sistema di potere indipendente, preminente su ogni altro, gerarchicamente ordinato
e riconoscibile.
Passerin D’Entrèves sostiene che lo Stato è composto da 3 elementi che lo qualificano come tale:

1. FORZA: consiste nella capacità ed efficacia del comando e rappresenta un’entità politica in grado di
imporre la propria volontà a ogni individuo che vi è assoggettato.

2. POTERE: rappresenta l’esercizio della forza secondo procedure e norme qualificate in senso
giuridico.

3. AUTORITA’: è l’esercizio di un potere legittimo, qualificato come tale in funzione di una narrazione
simbolica fondativa dotata di senso, che giustifica l’esistenza delle leggi e del controllo giudiziario
che ne consegue.

C’è un altro elemento fondamentale che rende uno Stato tale:

4. SOVRANITA’: èl’indipendenza dello Stato da ogni altro sistema politico e come assoluta
preminenza su ogni altra persona fisica e giuridica che appartenga al suo territorio.
E’un concetto giuridico che si è affermato con la pace di Westfalia nel 1648, che ha condizionato le
sorti dell’Europa e che è alla base dell’ordine mondiale scaturito dall’età moderna.
Però dopo la divisione del pianeta in due blocchi, Stati Uniti e Unione Sovietica, ha perso la propria
condizione. Dopo la fine del comunismo il fenomeno non si è attenuato, lo Sato vede ridurre la
propria sovranità a vantaggio di organismi politici e di istanze economiche e politiche globali.
Le sue caratteristiche più importanti sono: indivisibilità (non tollera la separazione dei poteri) e
unicità (esercitato da una sola persona).

LA SOCIETA’ CIVILE
In origine il termine appare come una variazione lessicale della parola Stato.

• Hobbes, Locke e Kant: utilizzano società civile per indicare l’uscita dell’umanità dallo stato di
natura, allo scopo di associarsi ai propri simili istituendo un ordine politico coincidente con lo Stato.

• Rouseau: il termine società civile ha un significato diverso dalla parola Stato (inteso come società
politica), cioè è legato a un processo di civilizzazione non ancora segnato dall’emergere di

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associazioni politiche e che tende a un conflitto permanente tra individui non ancora uniti da un patto
sociale.

• Hegel: sostiene che la società civile è un elemento intermedi tra la famiglia e lo Stato, e costituisce
lo spazio simbolico degli scambi economici, della libertà individuale regolata dal diritto e dalla
repressione poliziesca dell’illecito.

• Marx: sostanziale distinzione tra società civile e Stato, qualificando la prima come società borghese
dove dominano incontrastate le leggi economiche derivante dai rapporti di produzione e di scambio
tra gli uomini.

• Gramsci:considera lo Sato e società civile come momenti complementari e sovrastrutturali del


dominio di classe; la società civile è intesa come luogo dell’elaborazione ideologica, identitaria e
culturale mirante alla costruzione del consenso in favore della classe dominante e dello status quo, lo
Stato come la forma giuridico-politica di tale dominio.

In termini più generali si può definire la società civile come l’insieme di quei rapporti tra individui, gruppi e
classi, che si svolgono tanto sul piano virtuale e reale, quanto sul piano del possibile e dell’attuale, al di fuori
delle istituzioni dello stato o ogni sistema politico.
Per comprendere meglio la società si possono individuare 3 modelli:

1. Piramidale: la società è divisa in classi e l’appartenenza a esse è legata alla nascita e alla funzione
svolta. Il vertice della piramide è occupata dai sacerdoti (oratores) e guerrieri (bellatores) e la base
da coloro che lavorano (laboratores).

2. Lineare: la società è divisa in 2 classi e l’appartenenza a esse è individuale e dipende dalla


ricchezza:
- borghesi, detentori di ricchezza economica
- proletari, detentori di capacità di lavoro e prole.

3. Reticolare: la società è organizzata secondo uno schema reticolare di tipo aristocratico, dove la
posizione di ciascuno è determinata dalle connessioni che possiede sia individualmente che in
funzione della propria appartenenza al gruppo. Fondamentale è la natura delle connessioni
(economiche, mediatiche, culturali..) e il loro numero e forza. IL modello è rappresentato dal web.

LA CONFEDERAZIONE
Le confederazioni come forme di aggregazione politica hanno un’antica tradizione, la più antica e importante
è la Confederazione (o Lega) peloponnesiaca, risalente al VI secolo a.C. capeggiata da Sparta e formata
dalle città del Peloponneso per contrastare i Persiani e combattere le tirannidi.
Essa divenne sempre più fragile e fu sconfitta dalla Confederazione achea, che a sua volta si scontrò con la
lega etolica. In Grecia ci furono anche altre confederazioni: quella dei Lici o quella di Atene, alcune furono
brevi, altri più lunghe e alcune per combattere un nemico immediato, altre un nemico storico.

Con il dominio romano sul Mediterraneo, le confederazioni furono inglobate all’interno del sistema di potere
creato da Roma, che stringeva con i singoli regni e città un patto di amicizia e di reciproco aiuto (foedus).
Questo patto poteva essere:
- foedus aequum: in cui gli obblighi erano reciproci
- foedus iniquum: era Roma che stabiliva gli obblighi di obbedienza cui erano tenuti i confederati.
I confederati erano liberi di amministrarsi come meglio credevano, contribuivano alle finanze romane..

Con la caduta dell’impero romano il concetto di confederazione si cancellò e venne ripreso nel Medioevo

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quando sorsero realtà territoriali insofferenti dei restrittivi legami feudali. Importanti furono:
Lega Lombarda: fu costituita dai Comuni delle città di Milano, Lodi, Ferrara, Parma e Piacenza con lo
scopo di impedire all’imperatore Federico I Barbarossa di ridurre all’obbedienza i comuni dell’Italia
Settentrionale. Ciò fu ottenuto con la battaglia di Legnano del 1176 in cui Federico I venne sconfitto e i
Comuni ebbero la piena giurisdizione sui loro territori.
Lega Anseatica: univa le città dell’Europa settentrionale che si affacciavano su baltico, con lo scopo di
garantire la reciproca assistenza e ottenere da Re e Imperatori privilegi commerciali e marittimi. Fu di lunga
durata, si concluse verso la metà del XVII secolo.

Nel XIX secolo si riprese l’idea di Confederazione, concepita come unione di Stati Sovrani che, mantenendo
la propria indipendenza, potevano delegare alcune prerogative sovrane ad uno Stato che ne assumeva la
leadership. Nel 1806 sorse la Confederazione del Reno, composta da Stati dell’area germanica e aveva
un’impronta filo-francese e comportava un’alleanza militare e strategica per sostenere la politica
espansionistica di Napoleone in funzione anti-inglese.
Con la crisi, la confederazione del Reno si sciolse e il Secondo Trattata di Parigi (1814) dichiarò che gli Stati
Tedeschi erano indipendenti e sciolti da vincoli federativi.
Poco dopo, per rispondere a un bisogno di coesione a fronte di un possibile nemico comune, nel 1815, venne
costituita a Vienna la Confederazione Germanica, presieduta dall’Austria e si proponeva di difendere la
sovranità dei singoli stati dalla pressione giacobina e liberal-borghese. Si sciolse con la guerra austro-
prussiana del 1866 cedendo il posto alla Confederazione della Germania del Nord, voluta dalla Prussia e
dal cancelliere Bismarck. Questa era strutturata come uno stato sovrano, governata da un Presidente (re di
Prussia) che aveva la pienezza dei diritti. era un vero e proprio stato unitario e nazionale. Successivamente si
trasformò nel Reich tedesco, mantenendo la propria struttura interna e rinominando il Presidente, Imperatore
del Reich.
Ciò dimostra come la perdita parziale della sovranità dei singoli membri di cui si compone, può facimente
generare lotte per la supremazia che portano a un implosione e frammentazione che trasforma la
confederazione in una unione federativa.

Il termine significa è un patto o alleanza stretta da Stati sovrani che, senza abdicare alla loro sovranità,
intendono conferire ad organi comuni specifiche competenze di politica interna o esterna.
Questa abdicazione è la risposta a situazioni di particolare gravità per sfuggire a una sicura sconfitta e a uno
stato di anarchia. Rappresenta anche il tentativo di razionalizzare le risorse materiali e spirituali a scopo di
espansione territoriale e economica.
La confederazione è dotata di organi centrali comuni che convivono con una indipendenza degli stati
membri.
Il fondamento politico su cui si ergono le confederazioni è rappresentato dalla subordinazione degli organi
confederali agli interessi dei singoli Stati tra loro associati.

Unione Europea
Il caso dell’Unione Europea è interessante per comprendere il difficile equilibrio tra spinte unitarie e
tendenze alla frammentazione che contraddistinguono specificamente i sistemi confederali.
L’Unione è un aggregato di Stati-nazione che per un verso riconoscono alcune fondamentali istituzioni
comuni, ma per un altro ne disattendono spesso le decisioni, riservandosi il diritto di difendere i propri
interessi nazionali. L’Unione infatti è priva di una politica estera comune: nonostante prevede la figura di un
Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, spesso i singoli stati-nazione che la
compongono promuovono la loro politica estera autonoma. Inoltre l’Unione non ha un vero e proprio
esercito, ma affida la propria difesa all’azione dei singoli stati membri.
Le principali istituzione che la compongono sono:

1. Parlamento europeo: è l’organo legislativo dell’Unione, viene eletto a suff. Univ. Da tutti i
cittadini, secondo quote assegnate a ciascuno Stato direttamente proporzionali alla sua popolazione.

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Determina la legislazione dell’UE insieme al consiglio dell’UE, decide sugli accordi internazionali e
sulle proposte di allargamento, si occupa del programma della Commissione e ne sollecita
l’iniziativa in ambito legislativo.

2. Consiglio europeo: composto da Capi di stato e di governo dell’Unione, dal Presidente della
Commissione Europea e dal’Alto rappresentate per gli affari esteri e la politica di sicurezza.
Definisce l’indirizzo politico generale dell’Unione, non ha potere legislativo, gestisce qustioni non
risolvibili a livello inferiore, adotta una politica esterna comune, nomina ed elegge i candidati della
Banca centrale europea e della commissione.

3. Consiglio dell’Unione Europa: non ha membri permanente, ogni Stato invia di volta in volta i
ministri competenti. Ha il compito di negoziare e adottare le leggi dell’UE insieme al Parlamento
europeo, coordinare le politiche dell’Unione, elaborare politica estera e di sicurezza, sigla accordi
internazionali e approva il bilancio dell’Unione insieme al Parlamento.

4. Commissione europea: è l’organo del potere esecutivo dell’Unione, attua le decisioni del
Parlamento e del consiglio dell’UE. Presenta al Parlamento e al Consiglio le proposte di legge,
gestisce le politiche comuni e i finanziamenti, garantisce il rispetto della legislazione e rappresenta
l’UE a livello internazionale negoziando gli accordi.
E’ comporta da un numero di commissari pari agli Stati membri: il presidente viene scelto dal
Consiglio ma deve ottenere la maggioranza di voti in Parlamento, tutti gli altri commissari vengono
scelti dal presidente su indicazione dei singoli stati e approvati dal Parlamento e consiglio.

5. Corte di giustizia dell’Unione Europea: interpreta la normativa dell’UE e giudica controversie tra
i governi degli Stati membri e le istituzioni dell’Unione. E’ divisa in Tribunale e Corte di giustizia
con diverse competenze. I giudici e avvocati che ne fanno parte vengono nominati dai governi degli
stati membri con mandato di 6 anni.

6. Banca centrale europea: gestisce la moneta comune alla maggior parte degli stati dell’Unione,
l’Euro. E’ composta dal Presidente e vicepresidente che presiedono il comitato esecutivo, i cui
membri sono nominati dal Consiglio europeo

7. Corte dei conti europea: ha funzioni di controllo sulla gestione uso dei fondi a disposizione
dell’Unione. I membri sono nominati per 6 anni dal Consiglio dell’UE e essi scelgono tra di loro il
Presidente.

UNIONE FEDERALE
I sistemi federali sono un fenomeno tipico dell’età moderna, attraverso cui si è tentato di superare lo Stato-
nazione. Nel corso del XVIII e XIX secolo si costituirono i primi sistemi federali:

• Gli Stati Uniti nel 1787, dopo la guerra di indipendenza vs la Gran Bretagna, si dotarono di una
costituzione federale.

• Successivamente anche la Confederazione Helvetica assunse un assetto federale, nata in


funzione antiasburgica e anti feudale, come Patto Eterno Confederale, stipulato nel 1291
originariamente come patto di reciproco aiuto e assistenza soprattutto militare. Nel 1848 si dotò
di una nuova Costituzione Confederale che fonda una vera e propria Unione Federale.

• Nel corso del XIX secolo sorsero altre strutture politiche federali, come quella canadese, che
unisce tra loro in un'unica entità politica l’area francofona e anglofona.

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• Dopo la seconda guerra mondiale molti altri stati come la Germania, Belgio e Spagna si dotarono
di un assetto federale.

L’unione federale è un sistema che si fonda su un vasto insieme di entità politiche sovrane che si coordinano
tra loro al fine di creare un’entità a esse sovraordinata, dotata di una minima quantità di competenze da
garantire l’unità politica della federazione e la sua stessa sovranità.
All’unione federale vengono attribuite: il monopolio delle competenze riguardanti la politica estera, la
difesa, gestione della politica economica e della moneta.
Ogni cittadino e ogni parte del territorio sono soggetti a 2 distinti ordini sovrani: Stato o Unione Federale nel
suo insieme. Ciò da luogo a 3 possibili esiti:

1. Federalismo duale: si fonda su una divisione tra Stato (o sistema feudale) e Stati membri (o entità
federative). Ciò accade quando gli Stati membri (o entità federative) accettano una limitazione della
propria sovranità su una serie di materie, così che l’Unione federale e i suoi membri possiedono
poteri propri e tra loro indipendenti di natura legislativa e esecutiva.

2. Federalismo cooperativo: si basa su un sistema che tende a superare la separazione delle


competenze tra Unione federale e i suoi membri. Lo scopo è bilanciare il potere e di solito viene
introdotta una maggiore partecipazione delle entità federate alle decisione di ordine generale.

3. Federalismo organico: rappresenta una forma impropria di federalismo. C’è una centralizzazione
dei poteri che lascia poca autonomia all’entità federale.

Rispetto allo stato-nazione, che tende all’omogeneità culturale e linguistica e persegue una centralizzazione
delle proprie funzioni e competenze, il sistema federale permette maggior rispetto delle diversità.
E’ necessario osservare che spesso l’affermarsi del federalismo è il frutto di un processo politico determinato
dalla necessità di evitare una secessione di una parte all’interno di un’entità politica unitaria oppure come esito
di un processo aggregativo passante per uno stadio confederale non più replicabile a seguito di eventi
politicamente traumatici.

Modello americano
l’esempio di Unione federale di Stati è rappresentato dagli Stati Uniti che hanno scelto questo sistema dalla
loro fondazione. Questa federazione ha oscillato sempre tra un federalismo duale e cooperativo, in base alle
circostanze e alle scelte politiche operate dalla Classe dirigente (establishment).
Gli Stati Uniti sono una repubblica federale di tipo presidenziale, le cui principale istituzioni sono:

1. Congresso: è composto da una Camera e un Senato, ha funzione legislativa secondo la forma del
bicameralismo, per cui ogni legge prima di essere promulgata deve essere approvata sia dalla Camera che
dal Senato. I membri della Camera sono eletti nei singoli Stati dell’Unione in modo proporzionale alla
popolazione; quelli del Senato in ragione di due per ciascuno Stato indipendentemente dalla numerosità
dei suoi abitanti.

2. Governo Federale: composto da Presidente, Vicepresidente e Gabinetto di Governo formato da 15


membri nominati dal Presidente e approvato dal Senato a maggioranza semplice. Il presidente è a capo
dell’esecutivo e insieme al Vicepresidente viene eletto secondo il sistema dei Grandi Elettori, per cui a
ogni Stato viene assegnato un numero di elettori pari alla somma dei senatori e deputati da esso inviati al
Congresso. Tali elettori, votati direttamente dal popolo, eleggeranno il Presidente e vicepresidente.
Ciascun candidato alla presidenza presenta una lista di Grandi Elettori a lui fedeli, che poi viene votata
dalla popolazione secondo sistema maggioritaria, e la lista che vince in ogni stato ottiene i Grandi Elettori
che ha a disposizione.

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3. Corte Suprema: è l’organo giudiziario composto da 9 giudici nominati a vita dal Presidente e confermati
dal Senato. Giudica su questione di competenza del Governo federale, sulle controversie tra Stati e è
interprete ultimo della Costituzione.

4. Stati: i singoli stati sono entità politiche su cui si fonda l’intera Unione e esercitano competenze su ciò che
avviene al loro interno in particolare per quanto riguarda la sanità pubblica, istruzione, trasporti, controllo
industria..

ORGANIZZAZIONE E PRATICHE DI GOVERNO

FORME DI GOVERNO

• Le forme di governo risalgono a Erodoto tra il 480 a.C. che le distingueva in 3 tipi fondamentali:
governo di uno, di pochi, di tutti.

• Platone riprese questa classificazione nella Repubblica dove considerava l’aristocrazia l’unico ordine
politico giusto e individuava altre 4 forme di governo possibili:

• Timocrazia

• Oligarchia

• Democrazia

• Tirannide

Successivamente nel Politico distingue queste forme tra: Monarchia (governo regio), Aristocrazia (governo
di pochi) e Democrazia (governo di molti). Quando essi degenerano, per il mancato rispetto delle leggi,
danno luogo alla Tirannide, all’Oligarchia e a una forma corrotta di Democrazia in cui la moltitudine
comanda in modo arbitrario attraverso la violenza.

• Aristotele sostiene invece che esistono soltanto 2 di queste tipologie: la democrazia come governo
dei liberi e l’oligarchia come governo dei ricchi. Questa classificazione è stata mantenuta fino all’età
moderna.
Poi però con l’emergere dello Stato, i maggiori pensatori furono obbligati a riconsiderare le forme di
governo.

• Hobbes (1588-1679) sostiene che l’uomo allo stato di natura vive in una condizione di egoismo che
conduce all’eterna lotta con i propri simili e individua nello Stato, inteso come persona artificiale
chiamata Leviatano, il soggetto politico cui ciascun individuo trasferisce il proprio diritto di
autogovernarsi. Il Leviatano acquisisce così la sovranità e chi incarna tale persona artificiale ne
ottiene il potere sovrano. E quindi quando questo potere sovrano appartiene a un singolo uomo si ha
la monarchia. A un’assemblea ristretta di uomini aristocrazia. A un assemblea generale di uomini
democrazia.
Mentre tirannide, oligarchia e anarchia per H. sono solo nomi peggiorativi dati da colori che non
condividono il governo monarchico, aristocratico o democratico.

• Montesquieu (1689-1755) divide i governi in:

• Repubblicano (forma mista in cui coesistono elementi tipici della democrazia e dell’aristocrazia)

• Monarchico

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• Dispotico

Ricordiamo M. anche per la tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario).

La forma di governo è l’interazione tra il potere legislativo e esecutivo o il modo in cui tali poteri vengono
esercitati congiuntamente (come accade nelle monarchie assolute).

1.Il governo misto


E’ una forma di governo che unisce al suo interno elementi tipici della monarchia, dell’aristocrazia e della
democrazia. L’esempio di riferimento è Sparta e in particolare:

- Polibio (200 a.C.): sostiene che il potere dei consoli sia espressione del principio monarchico; quello del
senato come manifestazione di un fondamento aristocratico; quello del popolo come un presupposto di tipo
democratico.
- Cicerone (100 a.C.): allo stesso modo sostiene che il governo misto sia il migliore, perché armonico e
temperato.

Anche nella politica moderna il governo misto è tenuto in considerazione, come per esempio la monarchia
inglese e la repubblica di Venezia.
Machiavelli (1469-1527): sostiene che la forma mista è quella che garantisce maggiore stabilità.
Norberto Bobbio (1909-2004): sostiene che non si deve confondere il governo misto con la dottrina della
separazione dei poteri. Il primo ha come obiettivo quello di distribuire il potere tra le varie componenti della
popolazione ed è pensato per società in cui è riconoscibile una divisone verticale in classi secondo uno
schema piramidale: i molti (la base), i pochi (coloro che stanno in mezzo) e l’uno (il vertice).
Nel secondo l’accento si sposta invece sulla separazione dei poteri nei diversi organi, senza che sia
necessaria una loro distribuzione tra le varie classi sociali.
In realtà il governo misto mira a realizzare uno equilibrio delle forze sociali, menre la separazione dei poteri
ha il solo scopo di evitare il monopolio dell’esecutivo, del legislativo e del giudiziario da parte di un solo
organo politico, gruppo o sola persona.
Carl Schmitt (1888-1985): sostiene che nello Stato di diritto borghese i 3 principi dei governi puri secondo la
tradizione classica si sono mescolati.
Gaetano Mosca (1858-1941): elogia i molteplici pregi di questa forma di governo considerandola come
un’idea comune ai più grandi pensatori politici che garantisce la stabilità degli ordinamenti.

La dittatura nell’antica repubblica romana


L’antica repubblica romana prevedeva l’istituto della dittatura, essa consisteva nella nomina di uno dei due
consoli in accordo con l’altro e il senato, di uno speciale magistrato con poteri straordinari chiamato
(dictator) vedi cap.3

Le forme di governo dei regimi liberaldemocratici


Le diverse forme di governo negli ordinamenti liberaldemocratici, sulla base dei 2 prototipi originari, quello
britannico (cabinet government) e quello statunitense (presidential government), si possono classificare
secondo 4 tipologie diverse:

1. Governo Parlamentare: il governo si forma in Parlamento e ha il potere di sciogliere le camere e di


chiedere lo scoglimento al capo dello Stato. Questa forma di governo poggia su un’organizzazione
del consenso popolare determinata dall’esistenza dei partiti da cui si formano le maggioranze
parlamentari che sostengono l’esecutivo. Così in tutti i modelli dove prevale un bipartitismo
(repubblica parlamentare) o dove un solo partito ottiene la maggioranza assoluta dei seggi
parlamentari (monarchia parlamentare), i governi appaiono dotati di stabilità e di una notevole
autonomia che ne caratterizza l’azione.
Il governo è quasi sempre controllato esclusivamente dal partito di maggioranza al cui leader viene

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affidato dal monarca il ruolo di Primo Ministro e il compito di formare il governo e sceglierne i
membri.

2. Governo Semipresidenziale: prevede l’elezione popolare del Presidente della Repubblica con
specifiche competenze e prerogative legate all’esercizio del potere esecutivo. Al presidente si
affianca il Primo Ministro che ha il compito di coordinare l’azione di governo sulla base di una
maggioranza parlamentare.
Il modello per eccellenza è la V Repubblica francese del 1958.
In questo sistema l’esecutivo non ha bisogno di un voto di fiducia del Parlamento. Il presidente
nomina il Primo Ministro e gli altri ministri e può scegliere il principale organo legislativo
(Assemblea Nazionale) e indire elezioni. In Francia il Parlamento è diviso in 2 camere: Assemblea
Nazionale e Senato. La prima prevale sulla seconda.
Maurice Duverger (1917-20049: sintetizza caratteristiche del governo semiparlamentare con uno
schema:
1. Il Presidente della Repubblica viene eletto direttamente dai cittadini
2. Il Presidente ha ampi poteri
3. Il Primo Ministro e gli altri membri del governo bilanciano la fora politica e il dominio
sull’esecutivo del presidente e a loro volta dipendono da un rapporto fiduciario con il Parlamento.
Questo modello da luogo a un esecutivo duale perché questo potere è condiviso dal Presidente e dal
Primo Ministro: il Presidente non dipende dal Parlamento ma non può governare direttamente; Il
Primo Ministro e il suo gabinetto sono nominati dal Presidente, ma responsabili davanti al
parlamento con cui sono legati da un rapporto fiduciario.

3. Governo Presidenziale: si costituisce sulla base di un organo esecutivo il cui titolare è un solo
individuo (monocratico) che congiunge in se le funzioni tipiche del presidente e primo ministro, cui
si aggiunge un rapporto fiduciario con il potere legislativo (Parlamento).
Il parlamento non può sfiduciare il presidente e il presidente non può sciogliere le camere: i due
poteri sono così nettamente divisi.
Il prototipo di tale sistema è il governo presidenziale degli stati uniti d’America. tale modello è
soggetto al principio del check and balance (verifiche e bilanciamenti) per cui tutti i poteri
(esecutivo, legislativo, giudiziario) sono indotti a coordinarsi e controllarsi vicendevolmente.

4. Governo Direttoriale: è la forma di governo praticata dalla Confederazione elvetica. Consiste in un


governo federale detto Consiglio federale non sfiduciabile dall’assemblea che lo elegge e composto
da 7 membri eletti dal parlamento (Assemblea federale). Quest’organo ha le stesse funzioni del capo
dello stato e capo del Governo. Il presidente del consiglio federale è assoggettato a un sistema di
rotazione periodica.
Questa forma di governo si spiega per le differenze etnico-linguistiche e religiose della popolazione
svizzera,e nasce l’esigenza di armonizzare le differenze dei cantoni che compongono la
confederazione.

IL CONSENSO
la parola deriva dal latino consensus cioè concordare, essere d'accordo. Nel pensiero politico, equivale
all'affermazione di una condivisione che si traduce nell'appoggio volontaristico a una determinata concezione
del mondo, a una linea politica o a un determinato governo. Il consenso è sempre stato considerato come la
prova della verità ottenuta con la discussione, il dialogo e inglobando anche coloro che possono dissentire. Il
consenso ha la funzione di porsi come il fondamento di un retto governo e di un retto agire miranti al bene
comune. Ovviamente di tratta di tutto ciò che non divide ma unisce.
Con il bonum faciendum et malum vitandum (bisogna fare il bene ed evitare il male) ha determinato il
collegamento del consenso con la volontà divina.
Nell'antichità si è cercato di quantificare il consenso. La forma che si è diffusa è stata la maggioranza di
coloro che sono chiamati ad esprimersi. Nel antica Grecia, come racconta lo storico Tucidide, l'approvazione
da parte della maggioranza ha assunto il carattere di consenso.

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Il consenso pone sempre il problema del dissenso e della relativa oppressione delle minoranze.
Il principio di maggioranza + 1 fu accettato a Roma, senza preoccuparsi dei diritti della minoranza.
Il Prefetto del Pretorio Eneo Domizio Ulpiano sosteneva che la decisione della maggioranza aveva un valore
universale. Questa ambigua duplicità di maggioranza e la totalità, espressa nella frase la voce del popolo
coincide con la voce di Dio (vox populi, vox dei), caratterizza l'intera storia della chiesa. La chiesa,
recuperando il diritto romano, privilegiò la maggioranza aritmetica come espressione del consenso,
attribuendoli un carattere morale.
Fu teorizzato che non poteva dipendere dal numero, ma anche dal contenuto e dalla saggezza delle
deliberazioni, affermando che la maggioranza doveva essere la più saggia.
Anche la Riforma protestante adotto questo sistema ma non riguardo alla fede.
In epoca giusnaturalistica si sosteneva che il contratto non poteva basarsi su un consenso ottenuto a
maggioranza, ma doveva essere unanime.
Hobbes → il consenso ottenuto dalla maggioranza non è dipendente dal diritto naturale, ma da quello
positivo, riteneva che il modello maggioritario aveva un valore empirico.
Rousseau → il contratto che sta alla base della società deve essere unanime, ogni altra scelta deve avvenire
secondo un meccanismo maggioritario che svela la volontà generale intesa come ciò che promuove il bene
collettivo e che si manifesta attraverso la volontà della maggioranza.
Dopo la Rivoluzione Francese il consenso assume come proprio fondamento il principio maggioritario.
Durante la Rivoluzione Americana un autorevole giurista-filosofo Calhoun prese posizione contro lo schema
maggioritario affermando che la maggioranza numerica non aveva nessuna diritto. Esso contrapponeva la
concurrent majority ossia l'accordo tra tutti i gruppi portatori di interesse all'interno della nazione e dotati di
diritto di veto.
Tocquevvile → paura che all'interno di un regime democratico si potesse creare una dittatura della
maggioranza con l'assenso dell'opinione pubblica e la conseguente interdizione del dissenso.
Tali riflessioni stimolano il pensiero liberal-democratico ad adoperarsi per la difesa dei diritti dei
dissenzienti, considerati come un soggetto politico che esercita una funzione di controllo e di stimolo nei
confronti di chi detiene il consenso.
Incoraggiando una politica fondata su coalizioni sempre più ampie all'interno dei dissenzienti possono
ottenere un loro spazio di espressione e di proposta.
La tendenza attuale si basa sulla concezione che le decisioni politiche debbano essere il frutto di un consenso
che tenga conto delle obiezioni di coloro che dissentono.
Nell'età contemporanea i regimi politici hanno cercato di ottenere un generale consenso per le politiche
attuate. Per esempio con gli apparati propagandistici.
Il consenso secondo la metodologia liberale moderna → la metodologia liberale moderna
per l'acquisizione del consenso si sostanzia nei seguenti punti:
• il diretto e attivo coinvolgimento nel processo decisionale di tutti coloro a cui è rivolto
• lo sforzo di tutti i partecipanti al processo decisionale per prevenire a una decisione corretta, non
preconcetta, non ideologica e non necessariamente negatrice delle opinioni dei dissenzienti
• la convenzione che un vero processo atto a costruire il consenso debba garantire la giusta
informazione e la parità delle opzioni decisionali
• la ricerca di posizioni comuni basate sulla pratica dell'inclusione piuttosto che su quella
dell'esclusione
• utilizzare il meno possibile la tecnica della maggioranza, ritenuta divisoria e non aggregativa, ma
alla fine si deve decidere in maggioranza.
Il consenso individua delle credenze diffuse che si dispongono su tre livelli di interpretazione del reale
l'ideologia (astratta e tradizionale), l'immaginario collettivo (simbolico, utopico e mitopoietico) e l'esistenza
empirica (fattuale). Tali livelli interagiscono tra di loro sovrapponendosi costantemente e individuando delle
forme narrative che ne contengono le modalità di espressione.
L'Immaginario e l'orizzonte fattuale degli eventi intervengono su due diversi livelli:
▲ le regole che possiedono e organizzano il funzionamento del sistema (rules of the games)

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▲ acquisizione dell'adesione a determinati fini particolari e fissati di volta in volta, tra cui la
legittimazione elettorale che si basa sulla lotta per l'acquisizione da parte dei partiti e leader politici
del consenso sui programmi e valori da parte degli elettori.
Nei processi di costruzione del consenso è l'uso deliberato delle tecniche di manipolazione al di là delle
apparenze, stanno mettendo in discussione l'essenza della democrazia.
Grazie alla diffusione della rete, tende a diventare una pericolosa costante da cui la liberaldemocrazia deve
porre delle limitazioni per evitare di trasformarsi in una tirannia della rete.
Questo problema sta emergendo all'interno di una civiltà occidentale globalizzata e interconnessa sta
producendo gravi effetti distortovi legati al buon funzionamento del sistema liberaldemocratico.
IL POTERE ORGANIZZATO
Introduzione → il potere è connotato all'esistenza umana. È necessario focalizzare l'attenzione sulla natura
del potere in senso politico che può essere definito come una forma specifica di relazione tra gli uomini. Il
potere esiste come possibilità do produzione di forme di esistenza collettiva ordinate, è ineliminabile poiché
garantisce la sussistenza dell'orizzonte politico necessario alla sopravvivenza della specie umana e di un
soggetto autocosciente.
L'uomo è un animale intelligente, privo di orizzonte politico e di un sapere tecnico adeguato alla propria
condizione. Questo associarsi e sviluppare delle tecniche atte alla sopravvivenza implica l'instaurarsi di
rapporti asimmetrici tra gli individui, che si posizionano all'interno di una catena di comando, distribuite
secondo precise gerarchie.
Il potere politico non necessita dei valori politico-sociali come la giustizia e la comunanza di interessi
(necessitano dei valori p-s). es. per legittimare la schiavitù non è necessario una giustizia e comunanza di
interessi perché può essere determinata da una forza di tipo materiale.
All'interno della forma statuale moderna, grazie all'esistenza di istituzioni e organizzazioni di varia natura,
alla presenza di mass media, attraverso il potere politico che esercita il proprio controllo, si realizza quel
comun denominatore che permette di riconoscersi all'interno di un'identità comune. Tale identità diventa il
senso di appartenenza a un insieme di valori, tradizionali, lingue ecc. che conferiscono a ogni popolo e/o
ogni nazione la propria unicità.
Esisteva un Europa cristiana perché l'Imperatore romano Costantino decise nel 313 d. C., con l'Editto di
Milano di porre termine alle persecuzioni dei seguaci di Cristo e perché i suoi successori proclamarono il
cristianesimo religione ufficiale dell'Impero Romano, proibendo l'arianesimo e i culti pagani. Possiamo
affermare che i valori diffusi all'interno di ogni comunità si basano anche su relazioni di potere che
rappresentano le condizioni necessarie di ogni identità possibile permettendo l'esistenza dei popoli come
realtà storiche e forme simboliche.
La legittimazione del potere → Il potere necessita di una legittimazione che deve avere un carattere
narrativo che può essere di ordine mitico,utopico e ideologico. Se il potere è coessenziale alla natura umana,
la sua stabilità in quanto forma no. Il potere presuppone sempre un certo consenso diffuso e un'adesione a un
sistema di valori, che permette di regolare i rapporti tra individui (senso orizzontale) e rendere legittima
l'asimmetria che si determina tra governanti e governati (senso verticale). Ogni potere deve adottare una
dimensione autoritativa, ovverosia un mito o una forma narrativa che possa fondarlo, permettendo la sua
stabilità. Tale mito o narrazione sta alla base del sistema dei valori a carattere identitario.
Nel primo capito sono state descritte le varie ideologie e narrazioni, qui invece i regimi politici ovvero le
forme di potere che discendo dalle ideologie, su un sistema politico fondato su principi, valori e regole che
determinano le forme di governo.
Il regime liberal democratico → è un assetto politico fondato sull'ideologia liberaldemocratica che prevede
un organizzazione istituzionale pluralistica, ha lo scopo di favorire il dialogo, il dibattito pubblico, la
competizione non violenta tra i gruppi sociali, una creazione di una classe politica eterogenea e mutevole.
Tali regimi si basano sulla sovranità popolare, il potere appartiene al popolo che lo esercita attraverso i propri
rappresentanti. Hanno delle caratteristiche:
• si vota periodicamente a suffragio universale maschile e femminile
• vige la libertà di espressione, di opinione e di pensiero
• vige il diritto alla proprietà privata
• esiste la libertà di associazione che determina l'esistenza di partiti, movimenti, organizzazioni
sindacali
• esiste il pluralismo delle fonti informative

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• esiste la separazione dei poteri
• esistono delle istituzioni che garantiscono che l'attribuzione del potere esecutivo e del potere
legislativo sia coerente con i voti espressi dal popolo o dall'organismo da cui dipende
• può previsto l'esercizio della democrazia diretta attraverso il ricorso alla pratica referendaria
I regimi autoritari → Contrasta nettamente il regime liberal-democratico, non avendo ne separazione di
poteri, ne pluralismo e neanche libertà come quella di espressione o elezioni. Sono condizionati
dall’esercizio del potere con i limiti non definiti, dove l’esecutivo e il legislativo tendono ad essere una cosa
sola fino a confondersi.
1. esercito, burocrazia e $$$ controllati dal potere politico in maniera impositiva;
2. no libere elezioni;
3. impronta collettivistica a cui tutti devono per forza aderire, portando un nazionalismo esasperato;
4. repressione di ogni manifestazione;
5. Leader indiscutibili;
6. scarsa attenzione ai diritti umani di base. Un esempio negli anni possono essere il regime fascista o i
vari regimi comunisti.
Regime totalitario → Si esasperano le caratteristiche di ogni autoritarismo attuando sorveglianze e controlli
totalizzanti, costrittivi.
1. un unico partito di massa con leader infallibile;
2. il partito o il leader sono quasi al di sopra della legge;
3. ideologia forte e assoluta, vera, indiscutibile e incontestabile;
4. Controllo forzato sulla popolazione anche dal punto di vista mentale (non solo), quindi ideologico;
5. individuazione continua di capri espiatori;
6. Assenza di limiti ai poteri del leader. Hitler e Stalin sono due esempi chiari.

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