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Fondamentale per la formazione dello Stato moderno è la nascita di una burocrazia pubblica che lo
Stato ha potuto remunerare con l’introduzione della tassazione consentita dallo sviluppo dell’economia
monetaria. La crescita dello Stato viene spiegata in una prospettiva evoluzionista in seguito allo
specializzarsi dei suoi diversi organi che assolvono a specifiche funzioni con la separazione della funzione
politica da quella economica e religiosa e la divisione del lavoro che nell’ambito dello Stato porta alla
separazione del legislativo dall’esecutivo. I moderni Stati nazione, vale a dire quegli Stati che
racchiudono nel proprio territorio un’unica comunità che ha in comune una stessa storia ed etnia,
emergono dai conflitti militari che determinano: la crescita dell’amministrazione statale, l’aumento delle
attività pubbliche, un maggiore intervento dello Stato in economia per far fronte ai debiti accumulati in
tempo di guerra. Le guerre hanno accresciuto il bisogno di risorse materiali e di vite umane e lo Stato
centralizzato giocando un ruolo maggiore ha avuto anche necessità di un maggiore consenso. La
necessità di una legittimazione del potere centrale ha portato ad ampliare i compiti dello Stato in
relazione all’offerta di servizi con lo sviluppo dello Stato del benessere e nell’ambito della
programmazione dello sviluppo con lo Stato programmatore. Richieste di un maggiore intervento statale
sono provenute dai diversi gruppi sociali: sia quelli più deboli che hanno utilizzato il loro peso elettorale
per migliorare la loro condizione sia da parte della borghesia.
4. Il potere.
Nel secondo dopoguerra l’approccio legalistico allo studio della scienza politica viene criticato in Europa
dagli studiosi americani, ad esempio della scuola di Chicago spostando l’attenzione verso la politica reale
e quindi la politica intesa come potere. Il potere è definibile come la capacità dell’attore A di influenzare
il comportamento dell’attore B e quindi la capacità di A di indurre B a fare qualcosa voluta da A. Secondo
la definizione di Weber la potenza è la capacità di imporre la propria volontà all’interno di una relazione
sociale anche di fronte ad un’opposizione, per potere si deve intendere la possibilità che un proprio
comando trovi obbedienza presso certe persone. Le risorse del potere sono la forza che può incutere
paura fisica negli altri, il controllo della produzione di strumenti che possono aumentare la violenza
fisica ed infine le idee che possono legittimare un dominio basato sulla forza. Queste tre risorse
individuano quindi rispettivamente un potere politico, un potere economico e un potere ideologico. Nel
secondo dopoguerra le caratteristiche del potere vengono analizzate secondo diversi filoni di studio:
secondo l’approccio elitista il potere è detenuto da una ristretta minoranza di persone, appunto da un
élite, un tema già affrontato alle origini della s.p. italiana da studiosi come Pareto e Mosca. Secondo
molte ricerche americane, in questo contesto elitario la ricchezza è un fattore che consente di cumulare
potere ideologico e politico (ad es. la ricerca Middletown dei coniugi Lynd che avevano descritto una
struttura di potere di tipo gerarchico e dominata dal denaro o la ricerca di Hunter su Regional City che si
sofferma sul dominio del business e dell’economia come principale fonte di potere da parte di un
ristretto numero di persone molto coese tra loro che detengono la ricchezza e decidono per tutti gli
altri). Il modello elitista venne criticato dalla scuola pluralista guidata da Robert Dahl che considerava il
potere politico diffuso tra più élite in seguito alla dispersione delle risorse economiche, politiche e di
prestigio tra più gruppi della popolazione, per cui le risorse politiche si erano rese autonome dalle altre e
il potere politico appare legato alla capacità dei governanti di costruire consenso da parte dei diversi
gruppi sociali. In questo contesto la natura del potere è anche relazionale nel senso che i governanti
devono tenere in considerazione le preferenze dei gruppi di interesse perché in grado di esercitare
pressioni sulle scelte politiche e degli elettori perché potrebbero togliere loro il mandato a governarli.
Molto importante per la democrazia è l’influenza del potere politico rispetto agli altri poteri vale a dire il
gioco dei poteri:
1)il potere economico esercita una pressione sul potere politico affinché il mondo degli affari possa
svilupparsi (attraverso istituzioni come proprietà, forme societarie, mercati, impresa, ecc.) e lo Stato da
un lato offre tali garanzie al potere economico, dall’altro è spesso venuto in conflitto con esso ad
esempio difendendo i diritti dei lavoratori come il diritto di scioperare ed ha resistito alle richieste
provenienti dal mondo degli affari di ‘meno Stato’ difendendo le proprie competenze
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2) il potere ideologico ha dato un notevole contributo al potere politico: gli intellettuali hanno
legittimato l’immagine del potere politico e favorito con il concetto di nazione la costruzione di una
comune identità collettiva, il senso di appartenenza e di reciproca solidarietà, a volte però hanno anche
sostenuto i nemici dello Stato.
5. Il sistema politico.
Negli anni ’50 David Easton inaugura un approccio sistemico alla s.p. analizzando il funzionamento del
sistema politico: esso si caratterizza per due elementi: l’ambiente con il quale il sistema interagisce
attraverso un flusso continuo di immissioni ed emissioni e i confini che separano il sistema
dall’ambiente. Secondo Easton il sistema politico è un sistema di interazioni attraverso i quali si realizza
l’assegnazione autoritativa di valori scarsi (sia beni materiali che immateriali) ad una data società.
L’allocazione dei valori può avvenire attraverso la consuetudine cioè in base a norme tradizionalmente
condivise, o lo scambio cioè la libera interazione tra i soggetti, o il comando politico che consente di
risolvere in modo imperativo i conflitti sull’allocazione dei valori. La principale funzione del sistema
politico è di regolare i conflitti interagendo con la società (convertendo le immissioni in emissioni cioè in
decisioni imperative), all’interno del sistema politico si identificano sottosistemi come il sotto sistema
dei partiti, dei gruppi di pressione, burocratico. Gli inputs sono le domande politiche cioè le richieste di
allocazione autoritative di valori rivolte ai decisori e derivanti da bisogni che emergono nella società. Il
sistema politico si dota di regolatori d’accesso (gatekeepers) per selezionare le domande ed evitare un
pericoloso sovraccarico. I gatekeepers (filtri) possono essere di tipo strutturale come i partiti o culturale
intendendo le procedure e le regole che selezionano le domande in ingresso al sistema. Per Almond e
Powell i generici bisogni si trasformano in domande in seguito ad un processo di articolazione da parte
di gruppi e le domande sono poi combinate assieme in un processo di aggregazione da parte dei partiti.
Insieme alle domande un altro input del sistema è il sostegno (consenso) definito come un insieme di
comportamenti che esprimono approvazione rispetto al sistema e rivolto alla comunità politica (intesa
come insieme delle persone accomunate dalla medesima identità politica), al regime (inteso come
insieme di valori, norme e autorità che presiedono alle interazioni politiche in un territorio), alle autorità
(cioè coloro che occupano ruoli nel sistema politico). Il sostegno può essere specifico, cioè derivante da
una soddisfazione nell’immediatezza della domanda o diffuso se riferito ad una legittimazione di fondo e
di lungo periodo al regime. Nella ‘scatola nera’ della politica si attua il processo di elaborazione delle
decisioni pubbliche dapprima con la formulazione delle politiche cioè con la trasformazione delle
richieste in programmi da parte degli organi politici e poi con l’implementazione delle politiche
pubbliche da parte della burocrazia. Il sistema politico produce poi emissioni (outputs, che sono le azioni
e le decisioni), gli esiti delle politiche (outcomes cioè i risultati) e le retroazioni (feedbacks da cui può
derivare il consenso). Il modello sistemico di Easton è stato criticato per non riuscire a spiegare la realtà,
pur ammettendo l’esistenza di conflitti dovuti all’allocazione autoritativa delle risorse, esso si concentra
sulla sopravvivenza del sistema e pone l’accento agli input della scatola nera più che analizzare gli
outputs.
6 La razionalità in politica.
Con l’approccio della scelta razionale si abbandona la logica del sistema e si analizzano i comportamenti
e le motivazioni individuali in politica, Joseph Schumpeter e poi altri studiosi come Downs hanno
applicato allo studio della politica teorie provenienti dall’economia. Per l’approccio economico
l’individuo è l’attore fondamentale e agisce sulla base di un interesse personale, ordina in modo
razionale le sue preferenze secondo una graduatoria allo scopo di massimizzare l’utilità. Le motivazioni
individuali sono razionali ma egoistiche e guidano sia le scelte degli elettori che degli eletti perseguendo
diversi tipi di beni. Così come i consumatori del mercato economico hanno specifiche preferenze, gli
elettori chiedono particolari decisioni nel mercato politico ai loro eletti, così come le imprese sono
indifferenti al prodotto offerto e sono interessate solo al profitto, i partiti politici puntano solo a
controllare organi di governo attraverso le elezioni. La sovranità del consumatore nel mercato
economico viene assimilata alla sovranità dell’elettore inducendo i rappresentanti a realizzare le
politiche volute dai rappresentati per poter essere rieletti, secondo l’approccio economico la funzione
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sociale viene quindi assolta incidentalmente, in seguito alla ricerca di propri vantaggi individuali e la
democrazia discende dal bisogno degli eletti di soddisfare le richieste degli elettori. In questo contesto
Buchanan, principale esponente dell’approccio della scelta pubblica, ritiene che questa tendenza degli
amministratori provochi debito pubblico e inflazione e metta a rischio la stessa democrazia, essi
puntando alla loro rielezione non si preoccupano della crescita del deficit pubblico ed inoltre tendono a
introdurre regolamentazioni delle attività economiche e sociali per poter controllare i cittadini e a
costituire rendite politiche parassitarie (ad es. con le autorizzazioni, le concessioni, ecc.). Per gli studiosi
della scelta pubblica, critici verso le teorie keynesiane e favorevoli a riforme neoliberiste, occorre ridurre
il ruolo dello Stato in economia attraverso deregolamentazioni e privatizzazioni. Inoltre per i teorici della
scelta pubblica anche il potere delle burocrazie pubbliche tende ad aumentare, infatti i dirigenti pubblici
pur di consolidare la loro situazione di potere accrescono il loro budget di spesa facendo aumentare la
spesa pubblica fino alla inevitabile crisi fiscale dello Stato.
7. Le istituzioni politiche.
L’approccio economico ha sollevato molte critiche sotto diversi aspetti:
1) perché gli elettori non posseggono sufficienti informazioni per agire razionalmente,
2) per l’estensione alla politica delle logiche del mercato in un ambito nel quale manca il denaro come
mezzo che consenta di valutare costi e benefici degli scambi,
3) se la politica agisse sulla base di richieste egoistiche sarebbe incapace di perseguire il bene comune.
Gli autori dell’approccio neo istituzionalista come March e Olsen rifiutano tale impostazione ritenendo
che lo scopo della politica è la formazione delle preferenze attraverso l’elaborazione di identità collettive
e che i processi politici sono determinati dalle istituzioni intese non come organigrammi di funzioni ma
come insieme di norme e valori che danno significati alle azioni degli individui. Alla base del
comportamento non vi sarebbe dunque l’interesse individuale, ma prevalgono obbligazioni culturali e il
rispetto delle norme sociali, cioè è l’appropriatezza del comportamento che guida l’azione umana. Per
Pizzorno l’agire secondo una mentalità calcolante presuppone la costruzione di identità collettive che
consentono di identificare gli interessi e dar significato all’azione, ciò avviene tramite l’ideologia che
comporta la condivisione di fini comuni e il formarsi di solidarietà di gruppo. Una volta costruita
un’identità collettiva i rappresentati possono chiedere ai rappresentanti il soddisfacimento delle loro
utilità. Secondo l’approccio identitario alla politica, il comportamento solidale dell’elettore di andare a
votare pur sapendo che il suo voto non sarà determinante per la vittoria del proprio candidato si spiega
con il suo volersi sentire integrato nella comunità e di appagare il proprio senso di appartenenza ad
essa. Per l’approccio neo istituzionalista anche se il potere è una componente essenziale della politica,
esistono vincoli al potere costituiti dalle istituzioni, mentre il potere senza vincoli si identifica con la
forza.
8. La scienza politica come scienza empirica.
La scienza politica viene definita scienza empirica in quanto la realtà politica viene studiata seguendo
specifiche regole e cercando di comprendere l’origine di determinati fenomeni e le uniformità tra
situazioni in cui gli stessi fenomeni compaiono in condizioni simili. Il processo di ricerca inizia con il
selezionare un argomento anche su temi molto emotivi, ma verso i quali il ricercatore deve tenere sotto
controllo le proprie preferenze e deve fornire una adeguata pubblicità del procedimento scientifico, sia
della presentazione della procedura di ricerca che dei risultati in modo da consentire alla comunità
scientifica di valutare le conclusioni della ricerca stessa. Chiarito il problema da investigare va definita
l’unità di analisi e i concetti rilevanti per la ricerca individuando per tali concetti le proprietà cioè le
caratteristiche e i referenti empirici cioè l’insieme dei fenomeni che vi sono ricompresi. Nell’analisi
empirica le variabili sono osservabili empiricamente e variano cioè casi diversi di osservazione possono
contenere in misura variabile una certa proprietà (es pag. 35). In questo modo un concetto viene
operazionalizzato cioè si determinano i valori che la variabile può assumere delimitando i confini di
variabilità empirica del concetto ed è possibile individuare all’interno di tali stati di variabilità classi
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omogenee in cui poter suddividere i casi empirici. Per operazionalizzare un concetto si può far ricorso ad
uno o più indicatori rappresentati da indici o tipologie. Per controllare le relazioni tra le variabili si
considera in che modo al variare di una certa variabile (indipendente) varia l’altra (dipendente). Per
grandi ricerche su macrofenomeni come ad esempio se all’aumentare del numero dei partiti si riduce la
durata dei governi, con il metodo comparato a causa della difficoltà di analizzare grandi quantità di dati
si riduce il controllo delle ipotesi ad un numero ristretto di casi scelti con tecniche particolari di controllo
logico.
1. Democrazie e non-democrazie.
La democrazia è potere dal popolo, del popolo e per il popolo: il potere deriva dal popolo appartiene al
popolo e deve essere usato per il popolo, quindi il potere dei governanti deriva dall’investitura popolare.
Dahl ha sottolineato che la caratteristica principale della democrazia è la capacità dei governi di
soddisfare le preferenze dei cittadini: affinché un governo possa rispondere ai cittadini dovrebbe
garantire a ciascuno 1) di formulare le proprie preferenze, 2) di presentarle ai concittadini e al governo
attraverso azioni individuali e collettive, 3) fare in modo che tali preferenze siano tenute in
considerazione dal governo senza discriminazioni sui contenuti e sull’origine. Queste tre condizioni si
realizzano se ci sono otto garanzie costituzionali: libertà di costituire ed aderire ad organizzazioni, libertà
di espressione, diritto di voto, diritto di competere per il voto ed il sostegno, eleggibilità delle cariche
politiche, pluralità di fonti di informazione, elezioni libere e corrette, istituzioni che rendano il governo
dipendente dal voto. Le elezioni hanno un ruolo centrale nelle democrazie rappresentative che non
potrebbero esistere senza elezioni periodiche che rendono i governanti responsabili verso i governati.
Non è sufficiente che si svolgano le elezioni perché vi sia democrazia, ma esse devono essere corrette,
competitive e ricorrenti in modo che gli eletti sappiano che dovranno rendere conto del loro operato agli
elettori. Il potere costituzionale inoltre limita ogni tipo di potere compreso quello degli organi
rappresentativi sottomettendolo al diritto, così ad esempio i diritti delle minoranze sono tutelati
attraverso la costituzionalizzazione dei diritti vale a dire mettendo al riparo alcuni diritti dalle
prevaricazioni della maggioranza.
2. La prima democratizzazione.
Le democrazie si sono evolute con il riconoscimento dei diritti civili, politici e sociali, l’estensione di
questi diritti viene analizzata da Stein Rokkan con l’analisi delle soglie, da Dahl con i percorsi di
democratizzazione, da Barrington Moore con lo sviluppo storico delle democrazie.
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2.2 I percorsi di democratizzazione.
I percorsi per giungere alla democrazia per Dahl sono stati diversi e si sono attuati secondo due
dimensioni: il diritto di opposizione vale a dire una serie di garanzie costituzionali per controllare e
contestare l’operato del governo e il grado di inclusione vale a dire la proporzione di cittadini ai quali
viene garantito il diritto di opposizione cioè il grado di partecipazione consentito ai cittadini per
controllare e criticare l’azione del governo. Combinando i due fattori si ottengono quattro tipi di regimi,
che costituiscono la scatola di Dahl: egemonie chiuse (nessun diritto di opposizione per nessun
cittadino), oligarchie competitive (diritti di opposizione consentiti a gruppi ristretti), egemonie inclusive
(consentito un basso grado di partecipazione a tutti i cittadini), poliarchie (ampi diritti di opposizione
estesi a tutti). Dahl ha definito liberalizzazione la concessione di diritti di opposizione e inclusione
l’estensione di tali diritti alla maggior parte della popolazione. I percorsi verso le poliarchie, cioè verso la
democratizzazione sono stati diversi: a volte la liberalizzazione ha preceduto l’inclusione: in questo caso
si ha un passaggio graduale da un’egemonia chiusa ad un’oligarchia competitiva che poi aumentando
l’inclusività del regime si trasforma in poliarchia (come è avvenuto in Inghilterra dove prima si sono
aumentati i diritti dell’opposizione e poi è stato esteso il suffragio). Questo per Dahl è il passaggio più
salutare per la politica in quanto le regole della democrazia prima si consolidano all’interno di gruppi
ristretti e in seguito quando gruppi sociali più estesi sono ammessi alla politica è possibile socializzarli
alle pratiche già consolidatesi tra le élite. A volte poi l’inclusione precede la liberalizzazione, in questo
caso l’egemonia chiusa si trasforma in inclusiva (ad esempio con l’estensione del diritto di voto), ma si
tratta di un percorso rischioso in quanto le arti della politica potrebbero non essersi ancora consolidate
nell’ambito delle elite. A volte infine c’è un brusco passaggio da egemonie chiuse a poliarchie e questo
per Dahl raramente porta a democrazie stabili.
3 I diritti di cittadinanza.
I diritti di cittadinanza intesi come insieme dei diritti civili, politici e sociali, si completano nel XX secolo
specie in seguito alla mobilitazione di larghe fasce sociali escluse. Rehinard Bendix in polemica con i
marxisti sostiene che il processo di mobilitazione è stato innanzitutto di rivendicazione politica prima
che dovuto allo sfruttamento economico, e quindi di affermazione dell’uguaglianza a partecipare alla
comunità politica dello Stato nazione. L’estensione della cittadinanza è stata graduale fino a diffondersi
nel XIX secolo con l’affermarsi del concetto di Stato inteso come nazione che richiedeva l’affermazione di
diritti comuni per tutti gli appartenenti alla medesima comunità. Ma l’affermazione di diritti uguali
contrastava con le disuguaglianze socio economiche determinando l’ingresso delle masse operaie
nell’arena politica ed il consolidamento del diritto di cittadinanza attraverso, secondo il sociologo inglese
Marshall, i diritti civili (le libertà individuali di parola, pensiero, di proprietà, ecc.), i diritti politici (i diritti
a partecipare alla vita politica come elettore o come autorità politica), i diritti sociali (i diritti a
partecipare al benessere economico della società e a vivere secondo uno standard sociale prevalente). I
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diritti civili sono legati alle istituzioni della giustizia e si formano nel 18° secolo, i diritti politici ai
parlamenti nazionali e si formano nel 19° secolo, i diritti sociali ai servizi sociali e nascono nel 20° secolo.
I primi diritti civili ad affermarsi furono quelli legati alle libertà individuali (proprietà privata e diritto a
firmare contratti), in particolare con la rivoluzione francese si affermarono i principi dell’individualismo
ed una certa diffidenza verso le forme intermedie tra individuo e Stato considerate fonti di faziosità e di
tutela di interessi di pochi privilegiati contro il bene comune. I sindacati inizialmente vietati per un
principio di uguaglianza formale di fronte alla legge, dopo decenni di lotte vennero legalizzati come le
altre associazioni consentendo la tutela dei lavoratori salariati. Per quel che riguarda i diritti politici,
dopo la rivoluzione francese il suffragio universale venne conquistato gradatamente, Bendix individuò
cinque criteri di limitazione del suffragio: limitato ai capi di determinati gruppi in base al loro status
sociale, su base di censo cioè in base al reddito, in base all’alfabetizzazione, limitato ai soli capifamiglia,
in base a criteri di residenza in un certo territorio e per un certo tempo. A volte i diritti civili e politici,
considerati un requisito della nuova società, apparivano contrapposti a quelli sociali che venivano
ritenuti tipici delle società controllate del passato. Nel 19° secolo l’esercizio dei diritti civili e politici era
limitato dalla mancanza di opportunità economiche e sarà solo a partire dal 20° secolo con la diffusione
del benessere economico e dell’istruzione che si ha un riequilibrio tra tali diritti.
4. Lo stato sociale.
Nel XX secolo si assiste all’evoluzione del welfare state: lo Stato interviene per proteggere le fasce più
deboli della popolazione, dapprima introducendo l’estensione dell’istruzione considerata un requisito
per il godimento del diritto di cittadinanza, poi con i programmi di assicurazione sociale per coprire i
lavoratori contro i rischi di incidenti sul lavoro, malattia, disoccupazione, vecchiaia. Dopo la seconda
guerra mondiale con le politiche keynesiane si puntò a programmi di sostegno sociale per garantire uno
standard minimo di vita a tutti i lavoratori e non più solo ai più poveri e a proteggere le classi lavoratrici
dagli andamenti altalenanti del mercato attraverso politiche di sostegno della domanda e a favore della
piena occupazione. A differenza del sistema liberale il welfare state comporta il riconoscimento da parte
dello Stato di una responsabilità nei confronti degli individui e quindi la necessità dell’universalità delle
prestazioni. Per alcuni studiosi il welfare state è un prodotto collaterale dello sviluppo economico e
consente allo Stato di investire più risorse per il benessere dei cittadini, mentre per i marxisti esso è una
necessità del capitalismo per affermare una sua legittimazione e la sua riproduzione, in questo modo il
conflitto di classe si attenua e i lavoratori accettano la legittimità del capitalismo in cambio di benefici.
Secondo un’altra interpretazione invece lo sviluppo del welfare state è stato determinato dalla lotta
delle classi più deboli che ha portato in alcuni paesi come nel caso svedese ad un’alleanza tra
organizzazioni dei lavoratori e governi diretti da partiti di sinistra sottraendo le classi più deboli dal
ricatto del mercato. Da un’analisi comparata tra i diversi stati emerge che maggiori spese sociali ed una
più elevata fiscalità è presente nel modello scandinavo che assicurano servizi a tutti i cittadini, una più
bassa fiscalità si è avuta in Giappone e SU e nell’Eur meridionale il welfare ha tutelato in modo
differenziato le diverse categorie. E’ da notare che la crescita del welfare si è accompagnata ad
un’espansione delle burocrazie pubbliche anche per venire incontro alle richieste degli elettori.
5 Le non-democrazie.
Le non-democrazie sono i regimi presenti nella maggior parte degli stati del mondo e subiti dal maggior
numero di abitanti del globo. Gli studiosi hanno considerato diverse variabili che possono definirli come
il grado di accentramento del potere detenuto dalla coalizione dominante, i gruppi sociali che alla base li
sostengono, il livello di repressione verso le opposizioni, il grado di mobilitazione o di smobilitazione
delle masse, il livello di ideologia in essi contenuto. La tipologia di regimi non democratici più vasta è
costituita dai regimi autoritari che secondo la definizione di Linz sono caratterizzati da scarso pluralismo
politico e assenza di mobilitazione e ideologie guida e che in generale si distinguono dai regimi
democratici per l’assenza di responsabilizzazione (non ci sono elezioni competitive) e per concentrare il
potere in una ristretta oligarchia (spesso gerarchie religiose, élite economiche e monarchia formano una
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stretta alleanza) sostenuta dai militari. La base sociale dei regimi autoritari è varia: a volte sono sorti per
difendere i ceti medi dalle rivolte popolari, altre volte per sostenere le rivolte popolari ma in seguito
sono divenuti difensori degli interessi degli apparati del partito unico. I regimi totalitari riferiti
soprattutto allo stalinismo in Urss e al nazismo in Germania, si distinguono da quelli autoritari e sono
caratterizzati da assenza di pluralismo politico, presenza di forti leader, forte repressione verso le
opposizioni, alto livello di mobilitazione popolare e di trasformazione ideologica della società. I regimi
non democratici tradizionali invece sono basati sul potere di un leader che gestisce la cosa pubblica
come sua dotazione privata, non vi è in genere mobilitazione ed ideologizzazione delle masse. Di solito
precedono le prime democratizzazioni. Una particolare categoria di regimi tradizionali è costituita dal
sultanismo presente ancora oggi in Medio Oriente e dove vi può essere un vario grado di repressione del
dissenso e di appropriazione delle ricchezze del paese da parte del sultano.
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Tramontata l’ipotesi di esportare il modello di democrazia occidentale ai paesi in via di sviluppo
ripercorrendo gli stessi percorsi di sviluppo socioeconomico seguiti dai paesi sviluppati, dopo gli anni ’50
la ricerca si è orientata verso un processo di democratizzazione suddiviso in fasi: 1) transizione, 2)
instaurazione, 3) consolidamento: 1) consistono in fasi di passaggio da un regime ad un altro quando
cessano le vecchie regole e le nuove non sono ancora consolidate, allora si aprono spazi di
liberalizzazione per l’opposizione politica: si attenua la censura, si ha il rilascio dei prigionieri politici, si
riorganizzano i movimenti ed i partiti, 2) l’instaurazione porta al pieno riconoscimento dei diritti civili e
politici e all’adozione di istituzioni democratiche, si indicono le prime elezioni che eleggono il governo, 3)
è l’ultima fase e porta al radicamento delle istituzioni e delle procedure democratiche. Diversi sono gli
attori della democratizzazione, in particolare si è studiato il ruolo delle coalizioni dominanti e il
mutamento dei rapporti di forza al loro interno, ad esempio dei militari che sono spesso intervenuti in
America Latina per instaurare regimi autoritari. In seguito alcuni gruppi sociali come le elite economiche,
le gerarchie religiose, le monarchie, parti dell’esercito e più in generale la società civile hanno favorito la
transizione verso la democrazia facendo pressione con manifestazioni di massa. Infine nella fase di
consolidamento, nel momento di aggregazione delle preferenze prima delle elezioni entrano in scena i
partiti politici. Sul piano internazionale, mentre in passato alcuni paesi democratici avevano sostenuto
regimi dittatoriali, più di recente è cresciuta la solidarietà internazionale verso gli attivisti interni ai paesi
non democratici, inoltre le neo democrazie sono state sostenute da organizzazioni soprannazionali che
hanno monitorato le elezioni e il rispetto dei diritti umani e imposto sanzioni in caso di violazioni.
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2 La selettività della partecipazione.
Numerose sono le ricerche sul coinvolgimento dei cittadini nelle diverse forme di partecipazione.
Milbrath ha individuato una serie di comportamenti graduandoli in base all’impegno richiesto come
votare, cercare di convincere altri ad una certa idea politica, portare un distintivo politico, sostenere con
offerte di denaro un candidato, impegnarsi in una campagna politica, candidarsi a cariche elettive.
4 Partecipazione ed identità.
Per uno studioso come Pizzorno la partecipazione politica richiede la costruzione di sistemi di solidarietà
attraverso la creazione di identità collettive, per cui ad es. la mobilitazione della classe operaia come
soggetto collettivo richiede che ciascun operaio compia un processo di identificazione che lo porti ad
acquisire la consapevolezza di appartenere ad un gruppo. Ciò favorisce la partecipazione politica
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accentuando il senso di aggregazione portando anche gruppi dotati di scarso status ad una maggiore
capacità di organizzazione e maggior successo nella difesa dei propri diritti, inoltre la mobilitazione
contribuisce poi ad accentuare il senso di solidarietà e di appartenenza facendo sentire i singoli individui
parte di uno sforzo collettivo.
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Il capitale sociale è costituito da quel capitale di relazioni sociali, regole di reciprocità, fiducia che
facilitano la cooperazione tra gli individui per il raggiungimento di comuni benefici. La presenza di
capitale sociale facilita il buon governo e la cooperazione volontaria tra gli individui, consente di
migliorare le istituzioni e di monitorare i soggetti coinvolti sanzionandoli in caso di rottura dei rapporti
fiduciari. Ricerche hanno dimostrato che la presenza di associazioni volontarie e reti sociali favorisce la
lotta alla disoccupazione, l’istruzione, la sicurezza, inoltre favorisce lo sviluppo economico locale e quindi
le istituzioni politiche devono intervenire per incentivarlo.
7.2 Videocrazie?
La mediatizzazione della politica è costituita dalla progressiva autonomia dei mezzi di comunicazione di
massa dal controllo della politica al punto da poter trasformare le regole del gioco democratico. Le
ipotesi più pessimistiche paventano il rischio di videocrazie dove specie la televisione acquisisce un
potere che limita il pluralismo di opinioni. L’informazione politica viene inoltre ridotta a spettacolo e si
sottolineano più gli aspetti superficiali di intrattenimento e sensazionalistici che non l’informazione. I
politici stessi si affidano a pubblicitari per curare la propria immagine inducendo gli elettori a votarli per
questo aspetto più che per i programmi politici ed i contenuti. Anche se molti studi hanno dimostrato
che gli effetti dei media sui comportamenti degli elettori è minimo, in realtà nei periodi di campagna
elettorale anche basse percentuali di voti che si spostano, specie da parte di elettori poco informati e
interessati alla politica, possono portare alla vittoria dell’uno o dell’altro schieramento.
CAPITOLO 4: TRA VANTAGGI PRIVATI E BENI PUBBLICI: CHE COSA SONO I GRUPPI E I
MOVIMENTI.
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1. Gruppi e politica: una introduzione.
Sul rapporto tra gruppi ed interesse generale si sono scontrate due concezioni diverse: secondo una
prima visione il bene comune deriva dall’interazione tra i gruppi che consentono la piena realizzazione
dell’individuo, una seconda visione giudica gli interessi particolari dei gruppi in contrasto con l’interesse
generale ed il sistema politico globale. L’analisi dei gruppi è stata centrale per anni nello studio della
politica, in primo luogo il dibattito si è concentrato sulla definizione del concetto di interesse
relativamente ai gruppi di interesse. L’interesse assume le connotazioni più variegate (interesse della
classe operaia, dei salariati, delle famiglie, dei contribuenti, dei disoccupati, degli anziani, dei
consumatori, degli inquilini, ecc.) e quindi sono state date anche diverse definizioni: per Bentley il
gruppo coincide con una parte della società che agisce in base ad un proprio interesse per cui non può
esistere un gruppo senza interesse, per Truman invece un gruppo di interesse è un qualsiasi gruppo che
presenta domande ad altri gruppi della società, per Almond e Powell un gruppo di interesse è costituito
da individui legati da interessi comuni. La funzione dei gruppi è di influenzare il potere politico
formulando domande politiche e inoltre di articolare gli interessi, queste funzioni possono essere svolte
da più tipi di gruppi: g. di i. anomici vale a dire folle disorganizzate di protesta spontanea che crescono e
rientrano velocemente, g. di i. non associativo basati su interessi comuni di razza, religione, lingua, ecc.
g. di i. istituzionale che si trovano in organizzazioni come partiti, burocrazie, forza armate, chiese, ecc. g.
di pressione associativa che rappresentano gli interessi di un gruppo in particolare come sindacati,
associazioni di industriali e di commercianti, gruppi che difendono cause specifiche come l’ambiente,
ecc.. I gruppi di pressione associativa intervengono in politica cercando di influenzare le scelte politiche,
l’azione di pressione, definita con il termine lobbying, consiste nella pressione esercitata dai delegati dei
gruppi di interesse in contatto con i parlamentari o con i membri del governo. Altre forme di pressione
oltre al lobbying sono la corruzione, campagne verso l’opinione pubblica, e soprattutto il finanziamento
delle campagne elettorali. Altra caratteristica dei gruppi è la volontarietà dell’appartenenza per cui in
definitiva un gruppo di interesse può essere definito come un gruppo organizzato e volontario che
mobilita risorse per influenzare le politiche pubbliche.
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La teoria dei gruppi è stata criticata sotto diversi aspetti: innanzitutto solo pochi gruppi hanno le risorse
necessarie per organizzarsi per cui la mobilitazione dei gruppi risulta limitata e fonte di disuguaglianze
perché solo pochi gruppi possono influenzare le scelte dei governi. Lo studioso Olson ha osservato che
l’esistenza di un interesse comune non determina automaticamente un’azione collettiva, infatti proprio
la natura collettiva del bene induce ciascuno ad attendere che siano gli altri a mobilitarsi per tutelarlo
per non pagare il costo dell’azione collettiva. Per Olson quindi le azioni collettive sono giustificate da
incentivi selettivi che premiano o puniscono singoli individui e hanno quindi una funzione di coercizione
sugli individui per indurli a partecipare all’azione collettiva. I gruppi di interesse organizzati possono
motivare i loro sostenitori con incentivi materiali (denaro, beni, ecc.) o simbolici (solidarietà, prestigio,
ecc.). I gruppi si possono inoltre distinguere tra gruppi di interesse pubblico che difendono interessi
comuni agli individui dell’intera comunità nazionale e gruppi di interesse speciale che avvantaggiano
alcuni gruppi a danno di altri. Questi ultimi si organizzano più facilmente essendo più piccoli e
disponendo di maggiori risorse e possono danneggiare l’interesse pubblico, per questo affinché la
democrazia funzioni la politica deve difendere gli interessi più deboli che hanno più difficoltà ad
organizzarsi sottraendosi alle pressioni degli interessi più forti. Un’altra critica alla teoria dei gruppi è di
ritenere equivalenti tutti gli interessi in gioco rendendo il governo incapace di resistere alle pressioni
esterne vanificando il suo obiettivo di raggiungere il bene comune rimanendo catturato da interessi
particolaristici, ciò può portare al declino economico e politico.
4 I movimenti sociali.
Negli anni ’60 emergono nuovi attori della partecipazione: I movimenti sociali. Sono reti di interazioni
informali basate su credenze condivise e solidarietà che si mobilitano su tematiche conflittuali con varie
forme di protesta. Gli individui dei movimenti sociali non fanno parte di organizzazioni specifiche ma si
tratta di reti di relazioni tra attori diversi che condividono un sistema di credenze formando nuove
solidarietà, elaborando nuove visioni del mondo e valori alternativi, per questo i movimenti sono
considerati protagonisti del mutamento sociale. Nelle società contemporanee il tradizionale conflitto
marxiano capitale lavoro viene sostituito da nuovi conflitti tra generi, tra generazioni, sulla difesa
dell’ambiente naturale, la convivenza tra diverse culture, sono alcuni dei temi sui quali si formano i
movimenti sociali e che sono fonte di nuove conflittualità. I movimenti utilizzano una forma inusuale di
comportamento politico: la protesta una forma non convenzionale di azione che cerca innanzitutto il
sostegno da parte dell’opinione pubblica auspicando una democrazia più partecipativa e sfidando le
regole della democrazia rappresentativa.
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particolare di quelli deboli che hanno trovato alleati. Circa l’effettivo potere esercitato dai gruppi appare
rilevante la loro capacità di inserire temi nell’agenda politica più che far provvedere alla loro soluzione.
7. Le opportunità politiche.
Non solo il processo di democratizzazione con il progressivo allargamento dei diritti civili, politici, sociali
ha aumentato le opportunità di partecipazione ai movimenti sociali, ma anche altri fattori come il
decentramento territoriale dei poteri che dà ai singoli movimenti maggiori possibilità di accesso nel
sistema decisionale. Così il decentramento dei poteri dello Stato alle regioni, da queste alle città, e dalle
città ai quartieri viene considerata un’apertura del sistema politico alle spinte provenienti dal basso. Un
altro fattore che contribuisce alla crescita dei movimenti sociali è l’accentuarsi della separazione dei
poteri esecutivo, legislativo e in particolare la maggiore autonomia del potere giudiziario, che consente
più punti di accesso ai movimenti, si pensi alle controversie tra istituzioni e movimenti decise dalla
magistratura. Le strategie prevalenti degli Stati verso i movimenti sono state esclusive vale a dire di
repressione dei conflitti o inclusive cioè orientate ad accogliere le nuove domande. In quei paesi dal
passato assolutista e dalla ritardata introduzione del suffragio universale hanno prevalso strategie
esclusive di divisione del movimento operaio (come in Francia e Germania ad es.) a differenza di altri
paesi che non hanno avuto tali esperienze come Gran Bretagna e paesi scandinavi che hanno adottato
strategie inclusive ed il movimento operaio è stato unito e moderato. I paesi con strategie esclusive
sarebbero inoltre più chiusi verso le nuove domande così ad es. in Italia la durezza della repressione
della contestazione studentesca degli anni ’60 contribuì a radicalizzare la protesta che sfociò nel
terrorismo, i regimi più inclusivi sono invece aperti a nuove domande. I movimenti sociali interagiscono
con vari attori della società civile venendo in contatto con alleati cioè attori politici che li sostengono e
altri attori con i quali entrano in conflitto. I movimenti possono sfruttare momenti di instabilità
elettorale o divisioni nelle elite per mobilitarsi sfruttando l’occasione propizia o se hanno alleati
all’interno delle istituzioni o del governo possono moderare le loro richieste, mentre il ricompattarsi
delle elite al potere tende a radicalizzare i movimenti.
15
8 Pluralismo e neocorporativismo.
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Per Weber i partiti sono associazioni fondate su una adesione libera che attribuiscono ai propri capi una
posizione di potenza all’interno di un gruppo sociale e ai propri militanti vantaggi personali o possibilità
di perseguire propri fini. Il partito è quindi un’associazione orientata ad influenzare il potere. Mentre i
ceti attengono all’ordinamento sociale e le classi all’ordinamento economico, i partiti per Weber sono
legati alla sfera della potenza sociale. Weber intende la potenza come la possibilità di imporre il proprio
volere ad altri soggetti anche contro la loro resistenza. In particolare nelle democrazie occidentali i
partiti mirano all’occupazione delle cariche elettive, da cui la definizione di Antony Downs secondo cui i
partiti sono compagini di persone che mirano ad ottenere il controllo del governo a seguito di regolari
elezioni.
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organismo permanente che non concentra le proprie attività come il partito di sezione in riunioni
periodiche, ma è una comunità attiva ogni giorno nelle fabbriche dove gli operai lavorano. Il partito nelle
moderne democrazie svolge una funzione di integrazione sociale e di costruzione dell’identità per i
propri aderenti. I partiti socialisti esercitano un’influenza nei vari aspetti della vita quotidiana attraverso
un reticolo di associazioni vicine al partito che organizzano la vita dell’iscritto e non solo il suo
orientamento elettorale offrendo solidarietà, mutuo appoggio e un’identità riconosciuta dai compagni e
dal resto della società. Alla base del processo di identificazione vi è l’ideologia che salda la convinzione di
condividere fini comuni e rafforza il potere dei leader che conoscono la dottrina e sono in grado di
applicarla
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la contrapposizione tra partiti di destra e di sinistra, con la destra favorevole ad un minor intervento
dello Stato e minore tassazione e la sinistra favorevole ad un maggior intervento dello Stato nei servizi
sociali. Le classi dirigenti che reagirono alle rivendicazioni dei partiti operai con la repressione come in
Italia, Austria, Francia, Spagna provocarono la radicalizzazione della contrapposizione politica in quanto
le riforme anche graduali apparivano poco realizzabili, mentre dove le elite furono più aperte come in
Gran Bretagna e paesi scandinavi si ebbe la formazione di partiti laburisti moderati.
19
All’inizio del 20° secolo Michels descrive alcune degenerazioni dei partiti di massa analizzando in
particolare il partito socialista. Tali partiti al momento della loro comparsa dichiarano di voler cambiare
le cose, ma poi ciò non accade, questo avviene per una legge ferrea che porta alla trasformazione dei
partiti da strutture democratiche aperte verso la base in oligarchie dove comanda un ristretto numero di
dirigenti: Michels afferma che l’organizzazione del partito è la madre del potere degli eletti sugli elettori.
Guidare un’organizzazione complessa richiede competenze specifiche che vengono inevitabilmente
concentrate in una oligarchia, se in origine i diritti alle cariche elettive e al voto sono accessibili a tutti, la
specializzazione tecnica comporta il delegare poteri ai capi che all’inizio sono organi esecutivi della
massa ma poi divengono indipendenti da essa. L’oligarchia nasce da un bisogno di efficienza
dell’organizzazione che diviene sempre più burocratizzata ed ha necessità di competenze specialistiche.
Inoltre chi occupa cariche di rilievo tende ad imborghesirsi allontanandosi dai lavoratori, gli eletti si
trasformano in funzionari di partito retribuiti e sollevati ad un rango sociale più elevato. Il parlamentare
comincia ad interpretare il suo ruolo in funzione dei vantaggi personali che ne possono derivare, ne
segue spesso una mutazione dei fini del partito che divengono sempre più moderati ed orientati alla
sopravvivenza del partito più che a modificare l’ambiente circostante. La legge ferrea delle oligarchie è
stata criticata da diversi punti di vista. Per Panebianco i dirigenti se è vero che possono controllare i
militanti, questi ultimi dispongono però di risorse specifiche, inoltre le ideologie politiche alla base
rappresentate dai partiti non sono manipolabili. Tuttavia ricerche hanno dimostrato che il potere dei
rappresentanti è cresciuto rispetto ai rappresentati, inoltre vi è stata nelle democrazie occidentali una
diminuzione del numero degli iscritti e le decisioni rilevanti per la vita del partito vengono prese in
maniera poco trasparente dalla dirigenza del partito.
20
8 Partiti mediali?
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9.3 Numero di partiti e polarizzazione ideologica
Per Sartori più che dal numero dei partiti il sistema partitico è influenzato dalla polarizzazione ideologica
cioè la collocazione degli elettori lungo l’asse destra-sinistra. Sartori distingue tre tipi di sistemi
monopartitici: partito singolo (un solo partito legale), partito egemonico (quando anche altri partiti sono
legali ma satelliti di un unico partito principale con cui non possono competere per il potere), partito
predominante (quando gli altri partiti possono competere e andrebbero al governo in caso di vittoria
elettorale, ma nei fatti non riescono a vincere mai). Il sistema bipartitico si ha quando 1) due partiti sono
effettivamente in grado di competere ed almeno uno ottiene la maggioranza e può governare da solo, 2)
è realizzabile l’alternanza. Il sistema multipartitico prevede 1)il multi partitismo o pluralismo moderato
che si ha quando ci sono meno di 5 partiti che contano, la struttura di governo è bipolare ed è costituita
da governi di coalizione, 2)il pluralismo polarizzato con più di 5 partiti, compresi partiti antisistema che
cambierebbero cioè non il governo ma la forma di governo non condividendo i valori dell’ordine politico
in cui operano, presenza di due opposizioni che non potrebbero allearsi tra loro, il centro è occupato,
cioè il sistema è basato sul centro, ci sono due poli a destra e sinistra per cui il sistema è
ideologicamente polarizzato, i partiti di destra e di sinistra si allontanano dal centro e restano sulle loro
posizioni in quanto temono di perdere elettorato alle ali estreme se si spostassero al centro senza
guadagnare elettorato moderato, emergono opposizioni irresponsabili perché sono consapevoli che non
verranno chiamate al governo, anche il partito di centro avrà scarsa responsabilità non potendo essere
escluso dal governo, un altro sistema multipartitico Sartori lo ha poi definito come multipartitismo
segmentato con più di 5 partiti e bassa polarizzazione ideologica.
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mandato o delega, nella concezione giuridica, sta ad indicare un preciso mandato che affida al
mandante un compito in base alla delega conferitagli dagli elettori che poi possono ritirarla. Nello stato
moderno il mandato imperativo è stato superato in nome della r. indipendente, cioè mentre nell’antico
regime il rappresentante era delegato dai vari corpi sociali, la r. moderna è in nome della popolazione
nella sua globalità, cioè rappresenta il corpo elettorale. Ne consegue che i rappresentanti non seguono
più istruzioni scritte ma interpretano la loro funzione seguendo gli interessi generali della nazione. La
costituzione francese del 1791 attribuisce ai rappresentanti il potere di rappresentare l’intera nazione e
di decidere a suo nome senza vincolo di mandato, concetto ripreso dalla costituzione italiana all’art. 67,
2) una concezione sociologica della r. la assimila alla rappresentatività cioè alla somiglianza, alla base di
questa concezione vi è il fatto che ciascuno si sente rappresentato da chi proviene da una stessa
estrazione sociale, per cui i diversi gruppi sarebbero rappresentati o sotto rappresentati a seconda che la
distribuzione sociale della classe politica rispecchi o meno la composizione della società. La teoria del
parlamento specchio della società è stata ritenuta insufficiente al fine di realizzare la democrazia in
quanto seppure fosse realizzata non è detto che recepirebbe le richieste provenienti dalla società, 3) la
r. come responsabilità indica una concezione politica secondo cui i rappresentanti devono essere
responsabili verso i rappresentati per cui i governi rispondono verso i rappresentati del loro operato e si
devono comportare con efficienza e competenza. La r. politica investe i rappresentanti dell’autorità di
governare in nome e nell’interesse dei cittadini verso i quali si assumono una responsabilità politica.
4 Le forme di governo.
La teoria della divisione dei poteri assegna al parlamento la funzione legislativa e al governo l’esecutiva,
in realtà il governo condivide la funzione legislativa con il parlamento. La divisione dei poteri tra
parlamento e governo varia nelle diverse forme di governo. Nei governi parlamentari il potere esecutivo
è diviso tra capo dello stato e capo del governo, il parlamento elegge il capo dello stato che nomina il
governo, ma questo deve ricevere la fiducia del parlamento. Nei sistemi bipartitici il capo dello stato
assegna il compito di formare il governo al segretario del partito che vince le elezioni, nei sistemi multi
partitici il capo dello stato deve avviare spesso consultazioni tra i leader di partito per poter assegnare il
compito di formare il governo per questo i governi sono più instabili, le crisi di governo più lunghe e i
governi durano in carica di meno. La funzione legislativa assegnata al parlamento negli ultimi anni si è
indebolita a vantaggio del rafforzamento dell’esecutivo con l’emanazione di regolamenti, e il ricorso ai
decreti legge e alla legislazione delegata. Ai parlamenti restano importanti funzioni di controllo del
governo con le presentazioni di mozioni, interpellanze, interrogazioni, l’esame della legge di bilancio, il
voto di fiducia e di sfiducia. Nel sistema presidenziale il presidente è capo dello stato e del governo,
eletto dai cittadini ha una posizione di superiorità sui ministri che nomina e revoca, il presidente non
può sciogliere le camere e queste non possono sfiduciare il presidente se non per attentato alla
costituzione. Il parlamento può ritardare l’iter dei disegni di legge di iniziativa presidenziale se non li
condivide ed il presidente può porre il veto ai progetti di legge di iniziativa parlamentare per la cui
approvazione occorrerà una maggioranza qualificata di due terzi. Nelle forme di governo
semipresidenziali il presidente eletto dai cittadini non è titolare esclusivo del potere esecutivo che
condivide con il primo ministro a sua volta nominato dal presidente. Il presidente può sciogliere le
camere, ma il parlamento non può sostituire il presidente, ma può metterlo in stato d’accusa. Per Linz
nei sistemi parlamentari il parlamento è l’unica istituzione legittimata in quanto il governo viene
legittimato dalla fiducia del parlamento che deve mantenere per tutta la legislatura, nei sistemi
presidenziali il presidente ha poteri notevoli: il potere esecutivo ed è capo dello Stato, viene eletto dal
popolo e non dipende dal voto di fiducia del parlamento. Il presidente ed il parlamento eletti godono
entrambi di una propria legittimità, il sistema è quindi di doppia legittimità democratica, è inoltre un
sistema rigido in quanto presidente e parlamento permangono in carica per un periodo di tempo
prestabilito ed indipendente. Vantaggi del sistema presidenziale sono ritenuti la maggiore stabilità e
responsabilità verso gli elettori e la riconoscibilità di meriti e demeriti del governo. Circa la stabilità il
governo non può essere rovesciato prima della fine del mandato e non deve cercare sostegno in
parlamento. Tuttavia la doppia legittimità può creare problemi di governabilità se il presidente non ha la
maggioranza in parlamento. Circa la responsabilità in realtà i candidati presidenti sono spesso meno
conosciuti dagli elettori e la clausola di non rieleggibilità li rende irresponsabili verso gli elettori in
quanto non potrà da loro essere punito per i suoi insuccessi né premiato per i suoi successi. In
conclusione il presidenzialismo comporta sia accentramento del potere ma anche separazione del
potere in quanto è legittimato anche il parlamento e paradossalmente questo può limitare i poteri del
presidente, recenti ricerche hanno dimostrato che i sistemi parlamentari offrono maggiori garanzie per
la democrazia.
6. Il governo di partito.
La relazione tra partiti e politiche del governo è cruciale nella democrazia rappresentativa in quanto se i
partiti promettessero certe politiche agli elettori ma poi formassero governi che realizzassero altro
vanificherebbero il diritto di voto degli elettori. Perché vi sia governo di partito (party government) per
Robert Katz è necessario 1)che tutte le decisioni di governo siano prese da persone scelte nel corso delle
elezioni, 2)che le politiche siano decise dal partito o dalla coalizione di governo: tra partiti e governi ci
possono essere vari gradi di autonomia, in particolare i governi acquisiscono autonomia dai partiti nelle
situazioni di emergenza o su problematiche tecniche, in generale ricerche condotte nelle principali
democrazie occidentali mostrano una certa coerenza tra programmi elettorali dei partiti e programmi di
governo, 3)che le cariche principali di governo siano affidate a personalità selezionate all’interno dei
partiti, su questo ricerche evidenziano un rafforzamento dei politici nelle istituzioni rispetto ai politici
con cariche nei partiti e spesso la leadership dei partiti proviene dalle istituzioni piuttosto che dalla base
del partito. I partiti hanno un ruolo importante nella selezione dei governanti, tuttavia anche se partiti
coesi sono in grado di esercitare un certo controllo sui propri rappresentanti, a volte essi sono solo
formalmente nominati dai partiti ma espressione di gruppi di interesse.
7. Competizione e coalizioni.
Le coalizioni di governo si formano quando nessun partito ottiene la maggioranza assoluta dei seggi, la
scienza politica soprattutto americana ha analizzato la coalizione minima vincente, cioè l’aspettativa
basata sulla teoria dei giochi che porta ad allearsi il numero minimo di partecipanti necessari senza
accrescere inutilmente il numero di coloro che si ‘divideranno’ i vantaggi. In realtà studi empirici hanno
dimostrato che spesso le coalizioni sono sovradimensionate specie nelle democrazie dove la
frammentazione partitica è maggiore, mentre il principio della coalizione minima vincente tende a
funzionare nelle situazioni a bassa frammentazione partitica. I partiti che entrano a far parte delle
coalizioni possono impegnarsi a perseguire diversi obiettivi 1) vote seeking, cioè ricerca di voti, 2) office
seeking cioè ricerca di cariche pubbliche, 3) policy seeking cioè tentare di realizzare determinate
politiche. Il far parte di coalizioni non garantisce la possibilità di realizzare determinate politiche ed a
volte i partiti preferiscono uscire dalle coalizioni se temono che certe politiche possano far perdere
elettorato o preferiscono appoggiare il governo dall’esterno.
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8. Governo e congiuntura economica.
Studi hanno rilevato l’esistenza di vincoli socio economici che pongono limiti all’azione dei governi, per
cui le politiche pubbliche sono influenzate più dal grado di sviluppo economico che dal colore dei
governi. Di recente le politiche economiche dei governi nazionali hanno trovato limiti nella
globalizzazione. La competizione sul mercato mondiale induce i paesi ad aumentare la capacità di
attrazione degli investimenti riducendo la spesa sociale per detassare i profitti, deregolamentando il
mercato del lavoro aumentando la flessibilità del lavoro, le scelte dei governi nazionali sono vincolate da
istituzioni come l’UE che decide su questioni di politica economica e sociale. Nonostante la crescente
interdipendenza economica altre ricerche indicano che persistono notevoli differenze che dipendono
dall’ideologia dei partiti di governo: i governi di sinistra cercano di aumentare la produttività del lavoro e
del capitale con interventi nel settore pubblico, i governi conservatori puntano ad aumentare gli
investimenti privati. Nonostante una convergenza nei programmi socioeconomici dei partiti, l’ideologia
del partito al governo influenza ancora oggi le sue strategie specie in tema di politiche redistributive e di
intervento dello Stato in economia.
1.4 Le reti.
Tra questi attori si stabiliscono varie interazioni: negli SU si parla di triangolo di ferro per indicare il
legame tra rappresentanti degli interessi che aiutano i burocrati con informazioni e consulenze private,
burocrazie pubbliche che favoriscono i collegi elettorali dei parlamentari membri delle commissioni, e
parlamentari che offrono ai gruppi di interesse contributi pubblici in cambio di voti. Nel processo
decisionale intervengono oltre che gli attori pubblici istituzionali, attori privati come giornalisti, giudici,
movimenti sociali in una configurazione variabile in base al tema specifico, si è parlato a questo
proposito di reticoli. La configurazione di attori pubblici e privati rappresenta una comunità (policy
communities) di soggetti che condividono idee e soluzioni per specifici problemi.
2 Il processo decisionale.
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La teoria del flusso decisionale top down della p.a. secondo cioè una struttura gerarchica dall’alto verso
il basso viene criticata se si considera la discrezionalità dei livelli più bassi dell’amministrazione e gli
effetti del decentramento politico che assegnano la gestione delle politiche a diversi livelli di governo
non tra loro gerarchici, inoltre l’approccio top down non funziona perché nella realtà intervengono vari
processi di adattamento: i conflitti emergono in un momento successivo alla fase di decisione, alcune
decisioni vengono prese in momenti successivi quando tutti i fattori sono disponibili, perché decisioni
chiave vengono lasciate agli esperti o perché talune decisioni dovranno comportare mediazioni con
gruppi potenti. Queste osservazioni hanno messo in discussione il principio gerarchico ed è stato
sviluppato un approccio bottom up che analizza la realizzazione di politiche pubbliche a partire dal basso
della gerarchia piuttosto che dal vertice. Oggi la p.a. si presenta come una serie di apparati semi
autonomi e più snelli, a partire dagli anni ’80 sono state create unità autonome come le agenzie che si
differenziano dalla tradizionale struttura gerarchica dei ministeri.
5. Politiche e territorio.
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avere forme di opposizione dei governi locali alle politiche del governo centrale molto più forti rispetto a
paesi ritenuti non accentratori.
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7.3 Attori politici transnazionali.
Oltre alle OGI si sono sviluppate anche org. non governative transnazionali (ONG) indipendenti dai
governi che agiscono in più paesi che si rifanno anche a problematiche sociali come i diritti umani,
l’ecologia (ad es. Greenpeace, Amnesty international, ecc.). Soprattutto le org. int. attive sui problemi
economici sono state criticate per il loro approccio liberista che privilegia le politiche di riequilibrio dei
bilanci statali con conseguenti tagli alle spese sociali, per l’impatto ambientale di alcuni progetti
finanziati dagli org. int. In altri casi si sono costruite alleanze tra org. Di movimenti sociali ed istituzioni
governative internazionali per discutere su temi come i diritti umani, l’uguaglianza tra i sessi, l’ambiente
e lo sviluppo.
8. Europa ed europeizzazione.
Il processo di europeizzazione consiste nella costruzione delle istituzioni europee che determina
conseguenze nelle politiche interne ai vari stati e sottolinea la crescente interazione tra relazioni
internazionali e politica interna. Nel ’52 la C.E.C.A. riunì 6 paesi (B, F, I, G, Luss, P.B.) per coordinare le
attività economiche, nel ’57 si formò poi la C.E.E. per facilitare gli scambi commerciali, nel ’73 si unirono
Irlanda, Danimarca, GB e dopo Grecia, Spagna e Portogallo. Oggi l’UE fondata nel ’92 si compone di 15(?
vedere su internet) Stati (si sono aggiunti Austria, Finlandia e Svezia) e si fonda su tre pilastri 1) politiche
comuni in agricoltura, trasporti, politiche monetarie, 2) politica estera e sicurezza, 3) giustizia e affari
interni. Organo esecutivo è la commissione europea composta da due commissari per ciascun paese
maggiore e uno per gli altri, il parlamento europeo è l’unica istituzione rappresentativa, eletto dai
cittadini europei dal ’79 ha poteri di controllo su bilancio e commissione e condivide la funzione
legislativa con gli altri organi, il consiglio europeo è composto da capi di stato e dal presidente della
commissione è affiancato dal consiglio dei ministri costituito da un ministro per ogni stato membro
competente per singola materia e partecipa alla funzione legislativa, alla corte di giustizia spetta la
risoluzione dei conflitti di attribuzione delle competenze tra unione e singoli stati e tra i vari organi
dell’ue, la b.c.e. istituita nel ’97 ha assunto funzioni ricoperte in passato dalle singole banche centrali. Il
trattato di Maastricht del ’92 ha ampliato le competenze comunitarie pur affermando il principio di
sussidiarietà, vale a dire l’ue interviene solo su materie nelle quali i singoli stati non possono agire in
modo soddisfacente. Dopo le politiche di integrazione negativa volte a liberalizzare i movimenti di merci
e cittadini e dopo le politiche economiche di rigore per riequilibrare i conti pubblici, iniziano ad attuarsi
politiche di integrazione positiva a favore delle aree depresse e per garantire una maggiore coesione
sociale. Per alcuni studiosi l’evoluzione dell’ue è verso un organismo inter governativo basato su accordi
tra gli stati membri per ottenere vantaggi di natura economica, altri hanno sottolineato il ruolo
sopranazionale delle istituzioni al di sopra degli interessi dei singoli stati portando avanti interessi
europei. Alcuni ritengono che l’evoluzione non porterà al declino degli stati nazione ma ad un’Europa a
geometria variabile cioè con diversi sottoinsiemi di stati membri che agiscono autonomamente per
risolvere problemi comuni e produrre beni pubblici. L’ue sconta attualmente un deficit di democrazia
per diversi motivi. L’organo più democratico è il parlamento eletto dai cittadini, ma alle elezioni vi è un
basso tasso di partecipazione in molti stati, ha competenze limitate anche se di recente ha acquisito il
diritto di votare la fiducia alla commissione, inoltre il consiglio è composto da capi di stato dei singoli
paesi eletti dai cittadini, ma non su specifici mandati che riguardano politiche europee. Il problema del
deficit democratico dell’ue è anche collegato alla costruzione d una cittadinanza europea cioè al
riconoscimento dei diritti civili, politici, sociali dei cittadini europei. Il trattato di Maastricht ha sancito il
diritto di circolare e soggiornare liberamente nell’ue ed il diritto di voto alle elezioni comunali ed
europee per i cittadini di uno stato membro residenti in un altro stato membro, poi nel 2000 la carta dei
diritti di Nizza ha sancito la difesa del diritto di dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e
giustizia per realizzare un’integrazione attraverso i diritti dopo l’integrazione economica, una strada
ancora agli inizi che deve innanzitutto prevedere la costruzione di un’identità collettiva europea.
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