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Storia delle dottrine politiche

di Filippo Amelotti
Ampio e dettagliato riassunto del classico volume di D'addio che affronta la
politica da un punto di vista storico, analizzando il pensero degli studiosi
(filosofi, statisti...)che dalla Grecia classica in poi hanno espresso la loro critica
visione della società, delle leggi, delle varie forme di governo che si sono
succedute nei secoli. Viene data un'attenta lettura di Socrate, Platone,
Cicerone, S. Agostino, S. Tommaso, Machiavelli, Bodin, Spinoza, Hobbes,
Vico, Kant, Hegel, Toqueville, Marx, Engels e di tanti altri autori che hanno fatto
la storia delle dottrine politiche.

Università: Università degli studi di Genova


Facoltà: Scienze Politiche
Esame: Storia delle dottrine politiche
Docente: Lazzarino
Titolo del libro: Storia delle dottrine politiche
Autore del libro: M. D'Addio
Editore: ECIG
Anno pubblicazione: 2002
Filippo Amelotti Sezione Appunti

1. La civiltà greca e politica


La civiltà greca ha espresso la dimensione del politico, ne ha indicato gli ideali e valori.
Il greco avverte che ciò che lo differenzia da altre popolazioni e da altri gruppi etnici e lo fa superiore è la
dimensione politica della sua vita.
Politica corrisponde al neutro plurale dell’aggettivo politikos e significa le cose che riguardano la polis,
città, cioè comunità umana autosufficiente. Sempre da polis deriva politeia (che in italiano è costituzione)
che in greco comprende non solo il complesso delle istituzioni politiche ma anche altre istituzioni mediante
cui si realizza la vita nella polis, con riferimento al costume, alle consuetudini, alla morale, alla religione e al
sistema educativo. Politeia significa modo di essere della polis considerata come un tutto organico. La
politica è intesa come la forma più alta di educazione dell’uomo, una pedagogia. La polis deve formare
l’individuo per renderlo capace di vivere la vita politica.
La politica deve completarsi nel pensiero, nella comprensione razionale della polis. La politica implica nella
concezione greca il primato del logos che significa parola e ragione. La parola che riesce a esprimere i nostri
sentimenti e sensazioni si essenzializza quando scopre la sua intima connessione con la ragione e quindi con
il discorso e infine con l’argomentazione logica e scientifica. La parola è la manifestazione del logos in
quanto ragione. La parola fonda il rapporto essenziale tra il noi e l’io. È la parola in quanto lingua che
consente agli uomini e alla collettività di riconoscersi.
Il pensiero politico greco ha avvertito l’essenziale rapporto che sussiste tra la lingua e le prime forme di
aggregazione umana. Aristotele indica queste forme con Koinonìa, comunità, ciò che è in comune.
La caratteristica fondamentale della polis consiste nell’essere una comunità che si estende su un territorio
ristretto i cui fini potevano essere per corsi in una giornata dall’uomo.
La polis storica è il risultato di un lungo processo storico che si conclude nel VII sec: nell’età omerica la
polis è costituirà da una pluralità di villaggi che gravitano intorno alla grande casa, castello del re dei re. La
comunità omerica ha un organizzazione politica fondata sul ghenos, sul gruppo di più famiglie che vanta un
comune progenitore. Il capo del gruppo gentilizio è riconosciuto come re, indice che il ghenos è una vera e
propria entità politica. L’alleanza di più gruppi gentilizi costituisce la polis omerica. Il re dei re è sempre
assistito dal consiglio degli altri re: il suo potere ha carattere sacrale in quanto interprete dei voleri della
divinità. La religione è il vincolo originario sul quale si fonda la polis. Ogni comunità greca è nello stesso
tempo una comunità religiosa. Le leggi sono tutte di origine divina; sono i responsi, gli oracoli della divinità,
esprimono la volontà di Giove, il primo degli dei, quale si manifesta mediante i segni che sono interpretati
dai sacerdoti. La giustizia è concepita come Themis, figlia di Giove, e le norme che esprimono la regola del
giusto vengono dette Themistes, hanno un carattere sacro e sono eterne, immutabili. Solo gli individui
appartenenti al Ghenos godono di uno status politico e giuridico che si fonda sulla protezione del gruppo
gentilizio. Gli altri sono mercanti, artigiani e contadini la cui esistenza è sottomessa ai gruppi gentilizi.
Il re è assistito nel governo della polis dal consiglio, costituito dai gheronti, gli anziani, con i quali concorda
le decisioni più importanti, che debbono essere comunicati al popolo, al demos, cioè alla massa dei liberi
che non appartiene alle famiglie aristocratiche. La terza istituzione politica nella polis è l’assemblea nella
quale parlano solo i nobili. Il popolo ha il diritto di manifestare il suo consenso/dissenso.

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2. La polis omerica
La polis omerica ha una struttura aristocratico-gentilizia, è basata su un rigido patriarcalismo che esclude la
massa del popolo da ogni forma di tutela giuridica, da ogni diritto politico, tranne quello di partecipare
all’assemblea. Con la prima riforma della costituzione aristocratico-gentilizia fu estesa la garanzia delle
leggi anche a chi non apparteneva al gruppo gentilizio con la redazione delle leggi scritte. La legge cessò di
essere monopolio del ghenos e divenne atto pubblico della polis che garantiva tutti i membri della comunità.
Leggi e la giustizia furono sottratte al ghenos e divennero di esclusiva competenza della polis. I reati persero
il carattere sacrale e furono considerati sulla base delle leggi. Si afferma così il principio e il valore del
nomos cioè della legge fatta dal legislatore della polis, di contro alle themistes, le leggi dettate dagli dei. Le
nuove esigenze militari impongono la formazione di un esercito che sia costituito non solo da cavalieri
(aristocrazia) ma anche da fanti dotati di armatura provenienti da altre classi, il cui reddito consente di
acquistare armi. I diritti politici vengono riconosciuti a coloro che fanno parte dell’esercito: tale riforma da
vita al cosiddetto stato politico.
Alla fine del Vi secolo due comunità rappresentano il modello ai quali si ispireranno i legislatori ed i teorici
politici dei secoli seguenti: Sparta ed Atene. La prima rimane fedele agli ideali dell’antica costituzione
aristocratico-gentilizia fondata sul rispetto delle tradizioni patrie, sull’ideale dedicata in tutto e per tutto alla
polis; assume le caratteristiche di un ghenos: la polis comprende 2 gruppi etnici: gli spartiati e gli iloti, che
erano stati assoggettati e vengono mantenuti in stato di servitù della gleba. Lo spartiate deve essere educato
e vivere per la polis. Con una rigida disciplina si crea un guerriero capace di sacrificare la propria vita per la
polis. Nulla è concesso alla vita privata dello spartiate: non deve preoccuparsi del suo sostentamento perché
gli iloti lavorano per lui; la sua quota di proprietà gli viene assegnata dalla comunità; non può svolgere
attività artigianali o commerciali; anche se ha una famiglia deve passare la maggior parte del tempo con i
suoi commilitoni. Sino a 60 anni ha l’obbligo del servizio militare e pasti in comune.
Il potere sovrano spettava all’assemblea (apella) alla quale partecipavano tutti i cittadini che facevano parte
dell’esercito. Essa eleggeva i magistrati e prendeva le decisioni più importanti. Il comando dell’esercito era
affidato ai re ch dovevano provenire da famiglie aristocratiche mentre il governo era tenuto dal consiglio
degli anziani, la Gherusìa, eletto dall’apella tra i cittadini che avevano terminato il servizio militare con più
di 60 anni. Poiché l’assemblea si riuniva una volta al mese, la normale azione di governo era affidata a 5
efori che dovevano sorvegliare i magistrati compreso il re che potevano essere arrestati e processati su
giudizio degli efori. Queste le linee essenziali della costituzione spartana attribuite a Licurgo.

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3. Atene nell'epoca classica


Ad Atene la dinamica della vita economica è più articolata: finisce per contrapporre l’aristocrazia al popolo.
La ricchezza è concentrata nella classe aristocratica detentrice di vaste proprietà. Lo stato di guerra in cui si
trovano le città-stato l’una contro l’altra armata accentua questo fenomeno con un progressivo
indebitamento degli artigiani e contadini i cui campi finiscono per passare agli aristocratici mentre i
proprietari diventano servi.
Dai conflitti nati da questa situazione nasce la prima riforma della costituzione aristocratica di Atene: fu
promossa da Solone nella seconda metà del V secolo. Libera il popolo e vieta i prestiti in cambio della
libertà personale, stabilisce leggi e taglia i debiti pubblici e privati. C’erano 4 classi distinte per censo:
1. pentacosiomedimmi
2. i cavalieri
3. gli zeugiti
4. i teti
le classi più ricche erano rappresentate da chi possedeva un reddito di 500 misure di prodotti solidi o liquidi,
quella media da 300, poi dai contadini che avevano una coppia di buoi per lavorare la terra e infine dai
lavoratori liberi che non potevano comprarsi le armi.
Le cariche pubbliche erano attribuite alle prime due classi. Ai teti era garantita la partecipazione
all’assemblea e la possibilità di essere eletti in tribunale.
Ne “le opere e i giorni” esiodo aveva proclamato il valore centrale della giustizia, dike, quale divina potenza
tutrice che difende i diritti degli oppressi e dei deboli contro la sopraffazione, la Hybris dei potenti: la
prosperità della polis dipendeva dal rispetto della giustizia mentre la sua violazione avrebbe portato lutti e
rovine alla città come conseguenza della punizione divina.
La punizione non data tanto dalle pene previste dal legislatore che possono essere facilmente eluse da parte
dei ricchi e potenti ma le conseguenze negative cadranno sull’intera città coinvolgendo tutti con l’avvertenza
che chi più ha, ha più da perdere. Le lotte sociali rendono sempre più grave la miseria del popolo e sono la
conseguenza della violazione della giustizia e del diritto. Solone è convinto che la giustizia, eunomia,
punisce sempre chi l’ha violata. Il corso degli avvenimenti umani è regolato da una legge di compensazione
per cui a coloro che hanno avuto troppo verrà tolto il più, che sarà dato a quanti hanno avuto meno. Il
problema della giustizia si risolve per Solone nella consapevolezza che esiste una misura che fissa ciò che è
dovuto ad ogni membro della polis e che indica nel contempo i limiti di tutte le cose. La misura e il limite
sono i principi essenziali a cui deve continuamente ispirarsi l’eunomia e sui quali si basa l’organizzazione
politica della comunità. La politica si riduce alla consapevolezza di questa ideale misura. È sulla base di
questo principio che Solone limita la potenza dell’aristocrazia e dei ricchi, libera i campi dei contadini dagli
alti interessi e vieta che la libertà personale del povero possa essere soppressa dalla ricchezza. Conferisce
alle classi meno abbienti tanto potere da impedire sopraffazioni dell’aristocrazia e dispone la costituzione in
modo le la proprietà sia garantita e gli aristocratici non siano distrutti dalla hybris (lo spirito e la volonta
della sopraffazione che rompe l’equilibrio della distribuzione dei beni materiali e morali e la eunomia)

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4. Riforme di Solone
Le riforme di Solone avevano sancito garanzie per le ultime due classi, gli zeugiti e i teti, ma non avevano
intaccato la sostanza del potere dei gruppi gentilizi che volevano monopolizzare il governo della città: le
tensioni e i conflitti sociali continuarono a caratterizzare la vita politica di Atene. Il tentativo di dare una
soluzione a queste lotte fu rappresentato dalla tirannide. Il tiranno assume il significato di capo di un partito
e di una grande famiglia aristocratica che conquistava il potere a seguito di una rivolta promossa e sostenuta
dalle classi meno abbienti. La politica dei tiranni fu caratterizzata da provvedimenti per migliorare le
condizioni delle classi più umili. Pisistrato promosse una profonda trasformazione sociale all’interno della
polis. Esaurito il loro programma i tiranni scomparvero dalla scena politica greca e furono sostituiti dalle
aristocrazie.
Le riforme di Solone furono la premessa per l’istituzione della democrazia. Fu introdotta ad Atene con le
riforme di Clistene: fu spezzata dal punto di vista politico la struttura gentilizia della società ateniese
ponendo al posto del ghenos, il demos, cioè la minima ripartizione territoriale in cui venne suddiviso il
territorio. Sul demos fu organizzato l’ordinamento politico con una rigorosa applicazione dl sistema
decimale. La popolazione ateniese fu divisa in 10 tribù che costituivano una ripartizione di carattere
amministrativo, comprendenti ciascuna 10 demi. Il territorio fu diviso in 3 parti: la città, la costa e l’interno
e ciascuna parte in 10 distretti che furono attribuiti per sorteggio alle tribù. Il consiglio, Bulé fu costituito da
500 membri, 50 per ciascuna tribù, e suddiviso in 10 sezioni, ognuna delle quali costituiva a turno il
governo, per una decima parte dell’anno. L’esercito fu diviso in 10 reggimenti, una per ogni tribù.
Questo sistema garantiva la partecipazione di tutti i cittadini all’amministrazione della cosa pubblica. Tutti i
poteri furono concentrati nell’assemblea generale, Ecclesìa, cui competevano le relazione esterne, il potere
legislativo, potere giudiziario, controllo del potere esecutivo. Questo sistema viene nominato più che
democrazia, isonomia, uguaglianza dinnanzi alla legge e isigora, uguaglianza nella libertà di parola.

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5. Guerra persiana e sentimento di libertà delle poleis greche


Fu la guerra persiana che oppose le poleis al grande impero, a dare coscienza della Grecia del valore
essenziale sul quale si basa il suo mondo politico: la libertà, il sentimento della personale partecipazione alla
vita della polis. A Sparta questo sentimento porta l’individuo a identificarsi con il kosmos, a realizzarsi in
tutto e per tutto secondo le minute prescrizioni della comunità, nella consapevole accettazione di una
disciplina che lo fa libero di quella stessa libertà di cui gode la comunità. Se la libertà di Sparta è la
consapevole partecipazione alla vita della polis sino a identificarsi con essa, la libertà ad Atene, propria della
democrazia, è l possibilità che ha l’individuo di realizzare la sua vita secondo quanto ritiene più giusto ed
opportuno, è la libera espressione della propria personalità, senza che la polis intervenga come a Sparta, a
disciplinarla.

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6. Socrate: la critica alla politica


Il dibattito tra Socrate e i sofisti è la premessa di una concezione sistematica della politica, di una teoria
della politeia quale ci viene proposta nell’opera di Platone: l’indagine socratica era essenzialmente
problematica, rivolta a risolvere criticamente le apparenti o false conoscenze, le conclusioni ben
argomentate, come quella dei Sofisti che della questione esaminata offrivano una soluzione apparentemente
esauriente.
La critica socratica si concentra sull’aspetto etico-politico dell’insegnamento dei sofisti sulla nuova paideia
quale viene proposta dalla sofistica e si sofferma sui rapporti che intercorrono tra virtù in quanto essenziale
modo d’essere del cittadino e la politica in cui si esprime la parte più importante dell’insegnamento dei
sofisti. Con le sue indagini e le sue domande Socrate richiama il suo interlocutore alla costatazione che il
problema delle virtù ci rinvia a quello della conoscenza cioè ad una scienza dei beni e dei mali che consente
all’uomo di operare per conseguire i primi ed evitare i secondi. Questa conoscenza non può essere
conseguita con l’educazione proposta dai sofisti che da all’allievo una vasta informazione per i cittadini che
aspirano a governare, per potere sostenere tesi davanti all’assemblea e i consigli per convincere. Alla cultura
enciclopedica Socrate contrappone il sapere specifico del competente, che deve essere ricercato. Poichè il
fine dell’educazione è la virtù si tratta di ricercare cos’è la virtù e in che cosa consistano le singole virtù
(fortezza temperanza religiosità e giustizia).
Dobbiamo acquisire la consapevolezza di ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo. La nuova educazione
per corrispondere alle esigenze di riforma e riordinamento della polis richiama una conoscenza approfondita
in cui il cittadino riscopra il sentimento etico-religioso. La polis deve essere governata dal sapere
competente e quindi da competenti.
La politica deve essere una forma di conoscenza che si fonda su un metodo di indagine e ricerca critico-
razionale. La politica non può essere ridotta a retorica, non può disinteressarsi dei valori supremi del bene e
del male. La politica deve essere concepita come una forma di conoscenza ma come arte regale che
sovrintende non solo l’arte militare ma tutte le altre arti particolari che attengono all’amministrazione e
organizzazione della polis.

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7. Dialogo tra Protagora e Socrate


I rapporti tra l’insegnamento dei sofisti, la politica e l’ideale socratico di virtù sono riproposti in un dialogo
in cui Platone riferisce la discussione svoltasi tra Protagora e Socrate. Socrate si dichiara scettico sul fatto
che l’arte politica possa essere insegnata. Dice che i nostri migliori uomini politici non riuscirono a
trasmettere la loro virtù politica ai figli.
L’affermazione di Socrate che la virtù è conoscenza implica che il fondamento del potere, la legittimazione
del comando come dell’ordine politico risiedono nel sapere. La politica non può sottrarsi ad una indagine
razionale dei suoi fini. I sofisti nel Gorgia discutono con Socrate sull’essenza della politica. Gorgia aveva
esaltato la competenza della parola in quanto dominatrice degli affetti, delle passioni, in grado di
determinare quelle convinzioni e quell’assenso che consentono al politico di esercitare il potere. Per lui il
potere non è altro che il potere della parola. Gorgia poi tiene a precisare che la retorica ha un valore
strumentale, un’abilità come quella che si procurano gli atleti, che può essere bene o male usata, senza che si
possa attribuire la responsabilità alla stessa retorica o a chi l’ha insegnata. Ma secondo Socrate proprio in
questa affermazione si nasconde una radicale contraddizione: la retorica si distingue dalle altre discipline
che si svolgono mediante la parola perché la sue argomentazioni si riferiscono sempre al criterio del giusto e
dell’ingiusto, del buono e del cattivo, ma essa non è in grado di pervenire al sapere, alla scienza, ma solo
all’opinione, non a ciò che è ma a ciò che sembra. Quindi il retore non parla di ciò che sa ma di ciò che
crede di sapere. Non è quindi possibile far buono o cattivo uso della retorica se il retore ignora che cosa sia
il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. La retorica è l’arte dell’adulazione, la politica è l’arte rivolta allo
spirito. Anche nella politica devono distinguersi due specie minori, l’arte legislativa e la giustizia. La
retorica non è altro che un travestimento dell’arte politica.
Polo non è convinto e chiede a Socrate come possiamo esprimere un giudizio negativo sulla retorica se essa
conferisce a chi la sa usare il potere, cioè la possibilità di appagare qualsiasi nostro desiderio. Dice che è il
potere che rende veramente felici gli uomini. Socrate dice che è u’apparente felicità che nasconde la più
grande sventura che possa capitare all’uomo: vivere nel male e trascinare gli altri nel male.
Poi interviene Callicle che ripropone la distinzione tra natura e legge: il problema della politica deve essere
affrontato alla luce di questa distinzione, tra ciò che è giusto secondo natura e ciò che è giusto secondo le
leggi. Queste sono fatte dalla moltitudine costituita da pavidi, deboli, da quanti sono incapaci di compiere
grandi azioni per difendersi dai pochi, i forti, in grado di affermare la propria supremazia e di dominare i
molti. La legge condanna, dichiarando ingiuste le azioni con cui i forti si impadroniscono del potere. La
natura invece dimostra che solo i migliori, cioè i capaci, gli intraprendenti, i forti, riescono sempre a
dominare. Questa legge di natura si manifesta nei rapporti tra gli stati dove la forza è l’unica fonte e la sola
legittimazione dei diritti che rivendicano nei confronti delle altre collettività politiche. La politica sancisce la
supremazia e il dominio del più forte che per legge di natura deve comandare la massa. Socrate non approva
la riduzione della politica al potere. Egli dimostra la contradditorietà della tesi sostenuta da Callicle. Basta
rilevare che la legge umana, proprio perché fatta dalla moltitudine che è certamente di gran lunga più forte
dei pochi o dell’uno, è una legge di natura e quindi esprime principi e valori giusti. La tesi di Callicle serve a
dimostrare esattamente il contrario delle sue affermazioni.
Callicle precisa che la vera essenza della politica si esprime nella volontà di potenza e nell’etica del
superuomo: solo chi è capace di immense passioni è in grado di darsi un carattere deciso e valoroso in modo
da poter dare piena soddisfazione alle sue brame. Questa capacità di vivere al livello delle forze primigenie è
riservata solo a nature eccezionali alle quali non può essere posto il limite della morale degli uomini comuni

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che è quella dei deboli, di chi vuole nascondere la sua impotenza e cerca di rendere servili le più vigorose
nature. Socrate dice che la volontà di potenza e l’etica del superuomo procurano un bene illusorio perché
finiscono con identificare il bene con il piacere. Se seguiamo l’istinto del piacere esso si tramuta a poco a
poco in un male. Il bene rappresenta il criterio oggettivo in base al quale l’anima può evitare il male oppure
sopportando la giusta pena riscattarsi dal male. L’esistenza del bene nella sua oggettività consente all’uomo
di diventare consapevole di ciò che fa, così che sia in grado di indirizzare le sue azioni alla giustizia e alla
temperanza: solo così diventa amico del suo simile e di Dio.
Il Gorgia si conclude con una critica radicale della politica ateniese seguita nel corso della guerra del
Peloponneso.

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8. Obiettivi di Socrate. Il Critone


La missione di Socrate era di rendere i propri cittadini consapevoli della gravità e della ragione della crisi in
modo da sollecitare in essi un profondo rinnovamento morale che costituisse il vero titolo di legittimità delle
leggi e delle istituzioni della polis. Socrate era un conservatore della polis, delle sue leggi ed istituzioni in
quanto esprimevano quella convivenza umana che rendeva possibile la ricerca della verità. Le sue critiche
nei confronti del demos, della folla, della moltitudine e quindi dell’ordinamento democratico ateniese
miravano a restaurare tra i suoi concittadini la coscienza della sovranità delle leggi. Critica l’ordinamento
democratico ateniese nel senso che la legittimità delle decisioni delle assemblea come delle sentenze dei
tribunali non riposa sulla maggioranza e sul numero e sulla intrinseca razionalità delle decisioni stesse. La
tesi centrale del suo insegnamento è che la virtù è conoscenza e si commette il male per ignoranza. La
democrazia deve essere concepita come il governo della ragione. La crisi della democrazia non può essere
risolta se l’ordine politico non viene fondato sul sapere competente.
Nel Critone gli argomenti sono la sacralità delle leggi e il timore che l’individuo deve portare alle leggi. Nel
Critone deve dimostrare all’amico che il suggerimento di sottrarsi con la fuga alla condanna a morte
significa rinnegare nel momento più importante della sua vita il suo insegnamento. L’individuo deve tutto
alle leggi; le leggi lo proteggono sin dalla sua nascita, garantiscono la sua vita, il suo onore, il suo
patrimonio, la sua libertà. L’individui per il fatto stesso di vivere nella polis accetta le leggi.
Le leggi non sono impassibili e perfette. Sono ispirate al principio del continuo perfezionamento.

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9. Platone: politica e filosofia


L’insegnamento di Socrate è per tanti aspetti il presupposto del pensiero filosofico e politico di Platone che
continuò il discorso del maestro.
In Platone diventa centrale il problema del fondamento oggettivo della conoscenza cioè dei rapporti che
sussistono tra questa e la verità.
L’intimo e vitale rapporto tra politica e filosofia in Platone scaturisce dalla appassionata partecipazione al
dramma di Socrate che diventa quasi il simbolo della crisi profonda che travaglia non solo Atene ma il
mondo politico greco. La filosofia è l’impegno a cogliere al di la degli avvenimenti, delle guerre, dei
mutamenti di governo le ragioni, i motivi profondi della crisi, perché solo la filosofia riesce ad individuare
l’essenza della realtà.
Nella reciproca conversione della politica e della filosofia si fonda per Platone la politica come scienza,
come una conoscenza sistematica che riconduce ad un principio unitario i dati, gli elementi, come le attività
più importanti che si riferiscono alla comunità umana organizzata, la polis.
L’idea, con riferimento al significato etimologico della parola greca Eidon è il principio che ci consente di
vedere intellettualmente e quindi di gufarci riconoscere tutte le figure materialmente diverse l’una dalle altre
ma tutte uguali perche corrispondenti alla loro immagine ideale.

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10. La Repubblica di Platone


E’ il dialogo in cui viene dimostrata l’essenza ideale della politica. Fu composta tra i 45 e i 50 anni, quelli
della sua piena maturità, dopo la fondazione dell’accademia avvenuta nel 87.
È divisa in 10 libri e inizia con una discussione sulla giustizia in cui vengono ripresi gli argomenti del
Gorgia e del Menesseno e continua la polemica nei confronti dei sofisti.
Il problema della politica si concentra sul concetto di giustizia. Alla domanda che cos’è la giustizia?, Cefalo
e Polemarco danno definizioni che vengono dimostrate infondate da Socrate. Poi interviene Trasimaco che
dice che la giustizia è l’utile del più forte, è l’utile di chi o di coloro che governano. Dice che la giustizia non
è altro che la ragione per cui abbiamo e conserviamo il potere. Non esiste la giustizia ma tante giustizie per
quante sono le forme di governo, ognuna interessata a giudicare tutto e tutti in funzione della propria
conservazione. La giustizia si identifica con la politica cioè con gli interessi consolidati intorno al potere.
La critica socratica alla concezione della giustizia di Trasimaco si svolge sul presupposto del fondamento
scientifico della politica che deve essere considerata alla stregua della scienza medica: come il medico
persegue il suo interesse e quello dell’ammalato, il politico non può che attuare il proprio interesse e quello
dei governati: quindi il governo non può non perseguire l’utile dei suoi governati. Chi sa quello che fa non
può che fare il bene.
Il male nella politica è il risultato dell’ignoranza, cioè di non avere una conoscenza completa dei risultati
ultimi delle nostre azioni nell’ambito della polis, dell’ignoranza dei principi secondo cui la politica si
esprime in un tutto ordinato e sistematico. L’insidia peggiore nella politica è rappresentata nel fatto che si è
convinti di conoscerla sin nei minimi particolari pur non essendoci mai chiesto che cosa sia e quale sia il
fine cui tende.

La discussione sulla giustizia acquista ormai un preciso contenuto politico con riferimento alla politica
intesa come scienza, in senso cioè che il concetto di giustizia non è più ricercato nella prospettiva
dell’individuo singolo ma in quella della comunità politica, dello stato.

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11. La società per Platone


Con l’analogia tra l’individuo e lo stato Platone introduce la concezione organicistica della comunità
politica. La società si costituisce perché l’uomo non basta a se stesso e ha bisogno per la sua sopravvivenza
fisica dell’aiuto dei suoi simili, per ottenere quei beni che gli altri producono e che da solo non riuscirebbe
mai ad avere. La società si forma sul principio della divisione del lavoro e della necessaria interdipendenza
che si istituisce tra le varie attività che hanno come scopo di produrre i beni necessari alla collettività:
produzione e commercio sono fra loro connessi ed esprimono le diverse categorie sociali in corrispondenza
delle attività che vengono svolte: i contadini, gli artigiani, gli operai, i commercianti. Il principio della
specializzazione delle attività esige che accanto alla classe che ha come compito specifico quello di
procurare i beni necessari alla collettività debba esserci un’altra categoria di persone che si occupa
esclusivamente della difesa dei beni e della comunità dagli attacchi dei nemici. Questa seconda categoria è
la classe dei CUSTODI e nel suo ambito Platone distingue altre 2 categorie di persone: i custodi-guerrieri
assolvono all’esigenza della difesa della comunità; i custodi-reggitori cioè i politici che governano lo stato.
Uno dei problemi politici più importanti è sapere quali persone devono appartenere alla prima, alla seconda
e alla terza dato che l’ufficio dei custodi è massimo e quindi richiede libertà dalle altre occupazioni, arte e
cura e natura idonea a questa occupazione. Questo problema può essere risolto solo con una
riorganizzazione della polis fondata sull’eliminazione delle due istituzioni sulle quali si fonda l’ordinamento
politico sociale che non consentono di governare secondo i principi di una politica scientifica: la famiglia e
la proprietà. Queste due istituzioni si frappongono tra l’individuo e lo stato rinchiudendo l’individuo in
gruppi fra loro ostili ognuno preoccupato di ampliare la propria influenza, il proprio potere, a danno di
quello dello stato. La famiglia costringe l’individuo a svolgere un’attività contrastante con le sue vere
attitudini, unicamente per il rispetto del prestigio, delle tradizioni famigliari e per la difesa delle posizioni di
privilegio che ha conquistato. Questo ruolo politico della famiglia trova sostegno nella proprietà privata che
istituzionalizza e rende immodificabili le posizioni di potere che la famiglia è riuscita a conquistare. Quindi i
nemici della stato e dell’individuo sono la famiglia e la proprietà che sostituiscono lo stato nell’attività
politica. La proprietà privata è la causa del male più grave della società: a distinzione tra ricchi e poveri, in
lotta tra loro che ha stremato la polis e la porterà alla distruzione.
Eliminando la proprietà e la famiglia si potrà attuare un ordinamento collettivistico e comunistico che
consentirà di riconoscere la natura degli individui e collocarli in quella classe cui sono destinati dalle loro
predisposizioni. Ogni individuo avrà un’educazione comune affinché i custodi possano rendersi conto delle
loro attitudini e indirizzarli verso quelle attività cui sono destinati dalla stessa natura. L’educazione diventa
lo strumento più efficace per formare la personalità degli uomini. La politica si presenta come una paideia
cioè un’ideologia.

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12. La giustizia e le 3 funzioni dello stato secondo Platone


La giustizia si realizza allorché ciascun individuo nello stato svolge solo l’attività che corrisponde alle sue
predisposizioni naturali. L’individuo può svolgere bene un solo compito ed occorre bandire dallo stato
l’abitudine di svolgere due o più attività a volte contrastanti tra loro.
Le tre funzioni principali dello stato che si riferiscono alla produzione dei beni necessari alla vita della città,
alla sua difesa e al suo governo trovano un’analogia nell’interna struttura dell’uomo in cui coesistono
principi di azione: l’anima incupisci bile che presiede la vita biologica; quella irascibile in cui si esprime la
forza dell’individuo; l’anima razionale che deve sovrintendere l’attività dell’uomo e governare le altre due
anime. Alle tre anime dell’individuo corrispondono le tre classi della società: l’anima razionale sono i
reggitori-filosofi ai quali è demandato il governo dello stato. Ogni anima e ogni classe deve avere una forma
e disciplina cui corrisponde una determinata virtù: l’anima razionale la saggezza, quella irascibile la
fortezza, quella concupiscibile la temperanza. Quest’ultima è importante perché rende possibile i rapporti tra
governanti e governati.
La giustizia è il principio in base al quale ogni individuo compie l’attività che gli è propria, attua e
perfeziona la sua natura. La giustizia si realizza in ciascun individuo come ordine interiore che informa e
sostiene le attività del soggetto e le coordina con quelle degli altri membri della comunità. La giustizia è il
principio ideale, l’anima dello stato.
La ricerca del fondamento e del principio della giustizia e della sua funzione è compito della filosofia.
La conoscenza filosofica attiene all’intelligenza, alla facoltà che secondo la formula platonica raggiunge le
idee attraverso alle idee e finisce alle idee.
Platone perviene ad indicare il nesso indissolubile tra politica e filosofia: infatti il problema di intendere
l’unità reale della polis e l’ordinamento che vi corrisponde è connesso con il problema della conoscenza e
con la fondazione metafisica dell’intelligenza. Lo stato platonico è uno stato di ragione perché governato
dalla razionalità: la politica è attività volta a garantire il comando del razionale cui l’irrazionale deve essere
sottomesso.
Questo stato che somiglia a una persona si fonda su un ordinamento collettivistico ed è governato dai
custodi filosofi che ispirano i loro provvedimenti al modello dello stato perfetto. Prima cura dei governanti
sarà sorvegliare che il sistema educativo non incorra in deviazioni. La politica demografica deve mantenere
la popolazione costante con riferimento al numero di 5.350.
La città deve avere tanti abitanti quanti sono necessari alla difesa e alle altre attività che forniscono beni e
servizi indispensabili. Non numero inferiore perché lo stato sarebbe preda dei nemici, non superiore perché
si costituirebbe la divisione tra ricchi e poveri. Ci deve essere un severo controllo delle nascite con unioni
predeterminate dai custodi che dovranno informarsi sui criteri dell’eugenetica. I nati deformi e con difetti
devono essere abbandonati.
Abolizione della famiglia e della proprietà. A un matrimonio privato è sostituito un matrimonio di stato.
L’unione dell’uomo con la donna sin che sono in grado di procreare può essere consentita solo dai custodi.
Passata tale età le unioni sono libere.

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13. Il processo di trasformazione della polis per Platone


Anche la polis per Platone non si sottrae al processo di trasformazione e corruzione: è opera dell’uomo e
partecipa al ciclo cui sono soggette tutte le cose naturali: nascita sviluppo e morte. Il processo di decadenza
inizierà quando i custodi sbaglieranno i calcoli che presiedono alle generazioni umane delle classi: individui
appartenenti alla prima classe si troveranno nella seconda o nella terza o viceversa. Verrà intaccata
l’armonia fondamentale e comincerà a trasformarsi la classe dei custodi o la classe di governo. La polis
passerà attraverso le forme di governo che corrispondono alle fasi degenerative: dall’aristocrazia che è la
forma di governo propria della città ideale dei reggitori filosofi, alla timocrazia il governo dei forti, degli
animosi, dei guerrieri che allontanano i saggi dal potere; all’oligarchia, il governo che si fonda sulla sola
ricchezza con l’esclusione dei poveri; alla democrazia, il governo che si basa sulla maggioranza dei non
abbienti con l’esclusione dei ricchi; infine alla tirannide, la pessima tra le forme corrotte di governo.
Questo processo rappresenta la crisi razionale e l’emergere dell’irrazionale.

La forma di governo si corrompe e si trasforma quando viene assolutizzato il principio che ne costituisce il
fondamento cioè quando diventa unico oggetto dei desideri degli uomini lo scopo che essa si prefigge: la
libertà. La libertà diventa principio che legittima ogni forma di arbitrio e che a poco a poco determina una
forma di latente anarchia. La crisi della democrazia coinvolge l’intera società in quanto provocata dal
dominio che il concupiscibile esercita sulle altre due facoltà, in particolare sulla razionalità.
La repubblica si conclude con un richiamo al problema religioso: ala sopravvivenza dell’anima; al giudizio
cui tutti gli uomini saranno sottoposti dopo la morte; alla metempsicosi, alla continua reincarnazione delle
anime fin chè non riescono a purificarsi; alla scelta che ogni anima fa della sua futura vita. La libertà
dell’individuo è affermata sul piano religioso: la vita che viviamo è il risultato di una libera scelta della
nostra anima.

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14. Le forme di governo secondo Platone


La politica come scienza si compone di 2 parti:
1. una teorica che riguarda la conoscenza sistematica dell’organizzazione della polis
2. e una pratica che si riferisce all’attività di governo e che viene trattato nel dialogo Il politico
Il politico è un dialogo sull’arte di governo in cui c’è la ricerca e descrizione. Con riferimento al re filosofo
parla dell’animo del governante. L’attività di governo è definita arte regia: arte in cui acquista rilevanza la
conoscenza, è l’arte di guidare il popolo. Il re-filosofo è superiore perché ha l’arte regia e conosce il bene
della città.
La politica come arte di governo può essere paragonata all’architetture e il politico all’architetto. L’arte
regia può essere paragonata all’arte del tessitore. Nel tessere la tela della società il politico deve servirsi del
filo d’oro della giustizia al quale devono essere annodate le relazioni degli individui nella polis.
Lo scopo fondamentale dell’arte regia : stabilire i vincoli saldi tra quanti vivono nella polis, di annodare nel
tessuto sociale i forti, i saggi e temperanti componendo questi caratteri in modo che ne risulti un tutto
armonico. L’arte regia produce un ordine politico. Quando in uno stato non c’è il re filosofo perché è
difficile trovarlo, abbiamo 3 forme di governo
1. monarchia
2. aristocrazia
3. democrazia
queste forme di governo non sono perfette ma comunque buone. Se degenerano si trasformano in
1. tirannide
2. oligarchia
3. democrazia degenerata

l’elemento che distingue le forme buone di governo da quelle degenerate è la legge unita al consenso,
mentre in quelle degenerate il potere è imposto con la forza
la democrazia se degenera può sfociare in anarchia.
Platone dice che l’arte regia, purchè esercitata da un re-filosofo cioè da un uomo che sia pervenuto al grado
supremo della virtù e della sapienza, alla visione dell’idea del sommo bene, può sostituirsi alle leggi e può
assumere provvedimenti che violano le leggi stesse. L’arte regia legittima un governo senza leggi

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15. Le leggi di Platone


Le leggi è un dialogo tra alcuni personaggi greci che devono dare una costituzione alla città e discutono
sulle leggi da darle. Cosa sono le leggi per Platone? Sono il giudizio della ragione su ciò che è bene e su ciò
che è male.
Il giudizio della ragione diventa un pubblico decreto; diventa norma positiva approvata dall’organo
apposito.
La legge è espressione della ragione e se non si segue la legge si fa il male.
I governanti soggetti alla legge non dovrebbero cambiarle se non in casi eccezionali
Le leggi sono importanti affinchè le forme politiche non degenerino.
In questo dialogo si descrive anche una forma di governo mista che unisce i caratteri di 2 forme di governo:
la monarchia che tocca il massimo dell’autorità presso i persiani e la democrazia che tocca il vertice presso i
greci. Per evitare la degenerazione di queste 2 forme ci deve essere libertà e concordia + contemperamento
delle due forme di governo e dei loro 2 principi (autorità e libertà). Quindi della due costituzioni, una
dispotica (persiani) e una liberale (greci), se arrivano agli estremi degenerano, se rimangono equilibrate
nasce una buona forma di governo mista

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16. Aristotele: il pensiero politico


384-322. Era macedone.
La politica è una delle 4 discipline in cui si articola la scienza dell’uomo: le altre 3 sono la psicologia, l’etica
e la retorica. Platone le trattava tutte insieme in una prospettiva filsofico-politica, mentre lui le distingue.
L’opera di Aristotele si intitola Politica. Appartiene al terzo gruppo degli scritti aristotelici, quelli di
carattere scientifico, redatti dalla scuola istituita da lui ad Atene, il liceo.
La polis è connaturata all’uomo. L’uomo è uno zoon politicon, yun essere politico. La sua umanità si
esprime nella sua politicità. Per realizzarsi e raggiungere la felicità l’uomo deve vivere nella polis. L’uomo è
la forma della koinonia politica (la comunità politica). La prima forma di koinonia è la famiglia che continua
la specie umana. Viene poi il gruppo parentale che riconosce un progenitore comune; la tribù che comprende
più gruppi gentilizi; il villaggio che comprende più tribù; la polis che comprende più villaggi.
Nella famiglia ci sono 3 tipi di comando ed obbedienza sui quali si fonda la costituzione della polis che per
Aristotele è un sistema di comandi ed obbedienze. Sono quelli tra padre e figlio, marito e moglie, padrone e
schiavo e si distinguono secondo la gerarchia naturale delle intelligenze: il figlio l’ha in potenza, la moglie
attenuata, lo schiavo ha poche capacità intellettuali. Ci sono 3 tipi di autorità:
1. nei confronti dei figli è simile a quella del re sui sudditi,
2. nei confronti della moglie è come quella del magistrato sui cittadini
3. nei confronti dello schiavo è quella del despota.

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17. Divergenze di Aristotele con il pensiero di Platone


La giustificazione della schiavitù è data dalla gerarchia naturale delle intelligenze.
Il governo della famiglia è definito da Aristotele con il termini economia (oikos=famiglia, nomos=regola)
nel cui ambito sono precisati i criteri da seguire nell’attività volta a procacciare i beni materiali necessari. La
produzione della ricchezza è indicata con il termina crematistica. La prima trova un limite nelle necessità
della comunità, la seconda non incontra limiti.
La comunità politica per lui si caratterizza per l’affermazione relativa alla pluralità delle forme secondarie di
socialità poste dalla natura che lo stato deve mantenere in sé rispettandone l’autonomia. È in contrasto con la
tesi platonica secondo cui tra l’individuo e lo stato non deve esserci alcun diaframma ma una
immedesimazione di tipo organico.
Dice che il collettivismo proposto da Platone è irrealizzabile perché contrasta con la naturale struttura della
società politica la quale si articola in una pluralità di forme secondarie di socialità ed è costituita da individui
tutti diversi l’uno dall’altro per il diverso grado di partecipazione alla virtù. La famiglia e la proprietà sono i
due istituti fondamentali dello stato, presupposto del processo di articolazione da cui s origina la società
politica. Abolire la proprietà sarebbe abolire l’unico criterio per fissare la giusta ricompensa per il lavoro
svolto dai singoli.
La società collettivistica non riesce neanche a realizzare l’unità: uno stato del genere si scinde in due classi
contrapposte: i guerrieri che hanno la forza militare e i lavoratori che sono sottoposti ai primi.
Aristotele non è fautore di una concezione privatistica della proprietà: ritiene che la migliore proprietà sia
quella privata integrata dalla comunanza dell’uso. Una proprietà in cui venga posto in risalto il fine sociale,
che non sia considerata nell’unica prospettiva del singolo ma con riferimento anche alle esigenze della
collettività.

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18. Lo studio della politica per Aristotele


Lo studio della politica è distinto in 4 grandi parti:
1. la prima tratta della costituzione migliore, che corrisponde ai principi assoluti in sede filosofica
2. studia come realizzare tale costituzione
3. si occupa della costituzione vigente per studiare i provvedimenti che consentono di renderla stabile
4. analizza la costituzione più adatta a tutte le città per individuare i principi comuni a tutte le costituzioni
reali.

La costituzione migliore è quella in cui ogni cittadino possa meglio provvedere alla sua prosperità materiale
e alla sua felicità.
L’ordinamento politico della città deve essere informato che tra gli eguali ci deve essere compartecipazione
dei diritti e dei beni tranne il caso in cui ci sia qualcuno che emerge per virtù e capacità pratica alla cui
volontà è giusto obbedire.
Se la felicità è inscindibile dalla virtù, la potenza e il dominio non sono il fine della polis ma devono essere
dei mezzi per assicurare la difesa della polis. La guerra deve essere combattuta avendo sempre di mira la
pace.
Il comando è legittimo solo se esercitato nei confronti di quelli che la natura destina ad obbedire. Estendere
il potere al di la dei limiti fissati dalla gerarchia naturale è un atto di sopraffazione.

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19. La struttura sociale della polis per Aristotele


La struttura sociale della polis e la suddivisione in classi sociali si fonda sui compiti che devono essere
assolti dalla comunità: l’alimentazione, le arti per le merci necessarie alla vita associata, la difesa militare, la
finanza pubblica, il culto divino, la decisione sugli interessi generali e i diritti reciproci. A questi compiti
corrispondono 6 classi: agricoltori, artigiani, guerrieri, benestanti, sacerdoti e magistrati.
Deve sussistere un rapporto di proporzione tra le parti che formano la polis in modo da armonizzare gli
individui e le loro attività con il tutto e conseguire l’ordine.
Il Senso del limite delle presiedere alle attività che si svolgono nella polis: la proporzione, la misura,
l’armonia sono i principi sui quali si fonda l’ordine.
Il territorio deve essere scelto in modo da garantire alla città l’indipendenza economica e la difesa: deve
essere fertile ed avere uno sbocco al mare che faciliti i commerci. Deve essere praticabile per i suoi abitanti
e difficilmente accessibile per i nemici. La collocazione ideale della città è tra terra e mare in modo che
possa essere aiutata da tutte le parti.
Il legislatore deve preoccuparsi della sanità della stirpe tramite leggi matrimoniali che devono essere
informate ai criteri dell’eugenetica, sia per prevenire malattie o deformità, sia per esercitare un controllo
sulle nascite. La popolazione deve essere proporzionata alle esigenze della città, né troppo piccola né troppo
grande, in modo da consentire a tutti i cittadini di conoscersi e di comprendere in una visione sintetica tutta
la popolazione. La popolazione deve avere un limite: devono conoscersi reciprocamente; devono condurre
una vita politica autosufficiente.
I popoli possono essere divisi in 3 razze le cui caratteristiche sono determinate dal clima:
1. clima freddo: i popoli dei paesi del nord sono di temperamento vivace ma non molto intelligenti.
2. clima caldo: i popoli del sud (Asia e Africa), sono intelligenti e abili nelle arti ma non hanno forza morale
il che li predispone alla servitù politica
3. clima temperato: solo la stirpe greca che vive in una zona mediana compone i caratteri nordici e quelli
asiatici e ha quindi intelligenza e forza morale. Infatti ha ordinamenti politici liberi.

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20. La classificazione delle istituzioni per Aristotele


Se l’animale è mosso dagli istinti. L’uomo invece si governa tramite la ragione che gli consente di
disciplinare ed educare la sua natura. Il nesso tra comando e obbedienza è la virtù, propria dell’uomo dotato
di ragione, dell’uomo probo. Il legislatore deve far si che i cittadini diventino uomini probi. Il mezzo più
importante per formare un cittadino virtuoso è l’educazione. L’educazione dei giovani deve essere informata
alla costituzione vigente. L’istruzione dei giovani deve essere affidata allo stato perché la preparazione per il
raggiungimento di un fine comune deve essere comune a tutti quelli che si propongono quel fine.
La città ha una formazione complessa ed è composta da diversi elementi: l’elemento più importante è il
cittadini, cioè chi può partecipare al governo della polis. La virtù del cittadino consiste nel saper comandare
e nel saper obbedire.
La costituzione (politeia) ha per oggetto l’ordine delle magistrature, il modo con cui vengono assegnate,
l’attribuzione della sovranità, la determinazione del fine di ciascuna associazione: essa va tenuta distinta
dalle leggi che fissano le norme in base a cui i magistrati esercitano il loro potere.
La classificazione delle istituzioni si basa sul fatto che il governo è il potere sovrano e può essere detenuto
da uno, da pochi o da molti, che possono esercitarlo nel rispetto della comune utilità o nel proprio interesse:
nel primo caso ci sono le 3 costituzioni perfette, monarchia, aristocrazia e politica o democrazia dei liberi;
nel secondo la tirannide, l’oligarchia e la democrazia della moltitudine.
La politica è la costituzione per antonomasia: la cittadinanza è riconosciuta sono a quelli che per condizioni
sociali possono conseguire la virtù del cittadino e sono liberi. I liberi hanno tutti la stessa dignità e diritti e
tra loro vige il principio d’uguaglianza e tutti devono esercitare il potere alternandosi al governo.
All’interno di ognuna delle 6 costituzioni ci sono 3 altre sottospecie. Aristotele fa una distinzione tra
costituzione materiale e formale.
È convinto che solo in una categoria ristretta di persone altamente selezionata dal punto di vista delle
tradizioni e dell’educazione (l’accademia platonica), sia possibile esprimere quell’armonia e concordia di
intenti e quelle capacità intellettuali che sono le premesse perché il governo operi nel rispetto delle leggi.

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21. Il potere della maggioranza per Aristotele


Nella democrazia i molti non hanno alcun sentimento di rispetto e obbediscono solo se obbligati dalla paura
che impedisce loro di commettere malvagità.
Tra la politica e la democrazia ci possono essere tante composizioni intermedie a seconda delle diverse
composizioni sociali della polis. Nella città ci sono le seguenti categorie: agricoltori, operai, commercianti,
guerrieri e politici. La costituzione assume caratteristiche diverse a seconda della prevalenza di questa o
quella categoria.
I molti possono esprimere una opinione più valida e giusta dei pochi: questa è la giustificazione al principio
della maggioranza, norma fondamentale per ogni ordinamento democratico. Accetta la tetrocrazia che
Platone rifiutava: come il pubblico giudica meglio degli esperti l’opera che è stata rappresentata, così la
maggioranza dell’assemblea esprime sui provvedimenti che riguardano il governo un giudizio più affidabile
di quello dei singoli.
Sarebbe però pericoloso ammettere i molti alle magistrature più importanti che detengono la guida politica
della città: essa invece può deliberare sui normali affari pubblici e partecipare alle elezioni dei magistrati.
Così sia attua un contemperamento tra l’aristocrazia o oligarchia e la democrazia e si realizza una
costituzione che è un giusto mezzo tra gli estremi.
Il principio fondamentale cui deve ispirarsi l’ordinamento politico è la sovranità della legge, che deve essere
superiore a qualsiasi cittadino e tutti i magistrati devono essere guardiani e servi della legge. La costituzione
deve sottomettere la volontà dell’uomo a quella della legge. Il principio della sovranità della legge trova la
sua attuazione solo in una costituzione che si basi sulla classe media che è veramente libera in quanto non è
corrotta u fuorviata dagli interessi delle grandi ricchezze né condizionata dalle necessità giornaliere. È in
grado di mantenere l’equilibrio tra ricchi e poveri. Solo una forte classe media può assicurare l’equilibrio
sociale necessario per la democrazia.

Il metodo cui si serve per analizzare i diversi tipi di costituzione è confermato nel libro V della politica
dedicato allo studio delle cause delle tensioni e dei conflitti sociali che sboccano nella trasformazione
violenta delle costituzioni. Il presupposto di fondo è che l’ordine deve essere considerato come il fine ultimo
della politica in quanto scienza dei mezzi più idonei a conservare il potere. Tutti i tipi di costituzione si
equivalgono in quanto garantiscono una certa misura di ordine e stabilità politica.
Si tratta di rendersi conto delle cause che determinano la trasformazione di una costituzione per individuare
le massime per conservarla. Le tensioni, i conflitti e le trasformazioni violente appartengono alla patologia
della polis.
Stasis = sedizione, ribellione, rivolta
Metabolè = mutamento cambiamento, trasformazione della costituzione
I conflitti sociali e politici sono determinati dall’ineguaglianza e dal desiderio di attuare l’eguaglianza.
Possono essere finalizzati alla deposizione dei governanti per sostituirli con coloro che hanno promosso la
rivolta o cambiare del tutto la costituzione.
I fattori che provocano l’insorgere della rivolta sono 3:
1. morale-ideologico, le condizioni che giustificano l’insurrezione
2. lo scopo che si intende conseguire
3. le occasioni che consentono di iniziare la rivolta

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22. Aristotele - Lotta per il potere


Il governo deve porre una cura costante nella difesa dell’ordine politico, in quanto le rivoluzioni sono la
conseguenza di una serie di atti che considerati isolatamente sono deboli ma nel loro insieme
determineranno una situazione che non potrà più essere controllata.
Chi detiene una certa potenza alla fine cercherà di organizzare una rivolta per avere l’intero controllo del
potere o perché non sopporta che venga detenuto da altri.
Le aristocrazie e le oligarchie finiscono per le lotte e le divisioni interne: vengono promosse da parte dei
ricchi che non hanno parte del potere e con l’aiuto del popolo riescono ad abbattere il governo oligarchico.
Ma può accadere anche che gli esclusi organizzino una rivolta per riconquistare il potere.
Nei regimi monarchici le ingiustizie, la requisizione dei beni privati e il disprezzo con cui sono trattati i
sudditi sono la causa delle rivolte. Occorre distinguere il regno dalla monarchia: il primo si fonda sul
consenso dei sudditi, la seconda esercita un potere indipendente dal consenso.
La tirannide può essere conservata con due politiche diametralmente opposte:
1. applicare i principi e le massime di governo del potere tirannico: controllo totale sui cittadini con spie e
delatori e sorveglianza. Conviene dividere i cittadini sfruttando e alimentando il contrasto tra ricchi e poveri,
soprattutto il sentimento d’invidia delle masse nei confronti dei primi. Poi eliminare e ridurre all’impotenza
le personalità più eminenti tra i cittadini, vietare ogni forma di associazione, ridurre i redditi e il patrimonio
degli abbienti e della classe media, impegnare le energie della città nella guerra.
2. conservare la sostanza del potere imitando nella forma il governo monarchico: il tiranno deve far mostra
di perseguire la pubblica utilità soprattutto in piano finanziario; deve avere un comportamento nobile e
seguire una vita morigerata per ispirare rispetto e non paura; onorare i cittadini più eminenti ma evitare che
qualcuno diventi troppo potente; ridurre l’influenza dei personaggi più rappresentativi ma con cautela e non
in modo drastico; governare in modo che i ricchi e i poveri si convincano che possano sopravvivere solo
grazie al suo potere.

Le trasformazioni della politica e della democrazia sono provocate dalla mancata osservanza del diritto
Nelle democrazie occorre impedire che il cittadino acquisti una potenza tale da mettere in pericolo la stessa
costituzione. Sono necessarie norme che consentano all’assemblea di allontanare dalla polis coloro che
possono assumere per la loro autorità, l’iniziativa di una modifica radicale della costituzione.

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23. L’esperienza politica romana


Gli elementi costitutivi della civica romana erano:
- la gens: gruppi di famiglie che riconoscevano un progenitore comune
- i loro capi (patres familiarum)
- il rex
- il populus: l’insieme degli armati forniti dai gruppi gentilizi
la famiglia e la gens erano comunità sovrane: il pater familias aveva la signoria assoluta su tutti i suoi
soggetti, parenti e clienti e diritto di vita e morte sugli stessi.
Il rex aveva l’imperium: era comandante militare, sacerdote e giudice. Era assistito da un consiglio di
anziani e per le pratiche del culto da un consiglio di auguri e poi di pontefici che avevano il compito di
custodire e interpretare le tradizioni religiose
Il popolo era formato unicamente da guerrieri partecipava alla creazione del re mediante l’acclamazione
espressa nei comizi curiati.
La plebe, costituita da piccoli proprietari, cittadini liberi, artigiani, che non appartenevano a nessun gruppo
era esclusa dalla civica e sottoposta al dominio delle gentes. La contrapposizione tra patrizi e plebei
caratterizza la storia della costituzione del diritto romano.
La necessità di difesa e di espansione del dominio imposero la trasformazione dell’esercito gentilizio basato
sulla cavalleria in esercito oplitico fondato sulla fanteria pesante che richiedeva un reclutamento che finì per
coinvolgere anche la plebe. Il territorio cittadino fu diviso in 31 circoscrizioni (tribù) che erano la base per il
reclutamento e per il pagamento dei tributi. A tal fine il popolo era distinto in 6 classi sulla base del censo in
193 centurie che fornivano i diversi contingenti dell’esercito.
Ai comizi centuriati furono demandate le dicisioni sulla pace e sulla guerra, l’elezione dei magistrati,
l’approvazione delle leggi.
Intorno al 509 l’oligarchia gentilizia sostituì al rex una magistratura annuale, prima il magister populi, poi
due pretori e infine due consoli. L’imperium trovava dei limiti sia nella breve durata dell’incarico sia nella
collegialità in quanto uno dei due poteva bloccare le iniziative del collega.
L’esigenza della sempre più complessa organizzazione della civica portarono all’istituzione delle altre
magistrature della repubblica:
i censori (ex consoli) che avevano il compito di iscrivere i cittadini nelle liste censuarie e sottintendevano la
morale pubblica
i questori ai quali fu affidata l’amministrazione dell’erario
i pretori che sovrintendevano la giustizia
gli edili curuli competenti per la polizia urbana

Storia delle dottrine politiche Pagina 24 di 152


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24. Dittatura nell'antica Roma


Magistratura straordinaria è la dittatura, deliberata dal senato in caso di grave pericolo della civica.
Nella costituzione repubblicana si distinguevano le magistrature cum imperio (dittatori, consoli e pretori) e
quelle cum potestate che avevano dei compiti definiti dalla legge.
Dopo l’instaurazione dell’ordinamento repubblicano e l’esercito cittadino l’esclusione della plebe dai
benefici della civica non poteva più essere mantenuta a lungo.
L’aristocrazia rappresentata dal senato accolse le richieste di un primo riconoscimento della plebe nella
civica repubblicana, con l’istituzione di una nuova magistratura ed organi propri della plebe.
Furono istituiti 10 tribuni della plebe con la facoltà di esercitare lo ius auxili e lo ius intercessionis contro
giudizi penali o arresti illegali e provvedimenti arbitrari a danni dei plebei e imporre il veto agli atti pubblici

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25. Diritto e costituzione nell'antica Roma


Il diritto è l’anima della civica, è la sua ragion d’essere. È la logica giuridica che consente di organizzare la
civica. Il diritto è connesso con le norme di carattere sacrale e religioso e per molto la sua regolazione
rimase prerogativa del collegio dei pontefici. Ma si cominciò dal periodo monarchico a distinguere ciò che si
riferisce direttamente al sacro, il fas, e ciò che invece è manifestazione dell’imperium del rex.
La giurisprudenza è la fonte più importante delle norme giuridiche che riguardano la disciplina dei rapporti e
degli interessi dei singoli. Si pone così la distinzione tra privato e pubblico. Il privato trova la sua disciplina
sulla base dell’iniziativa dei singoli. Il diritto pubblico trova la sua fonte nella lex, approvata dai comizi
curiati.
La costituzione è il modo per trasformare la civica in una repubblica il cui fondamento è dato dal diritto.

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26. Tre posizioni tipiche del comando nell'antica Roma


imperium: è un potere originario nel senso che non promana dall’ordinamento giuridico-politico della res
publica ma attiene all’esistenza stessa della civitas, alla sua unità reale. È illimitato e si estende su tutto e su
tutti.
auctoritas: questa forma di comando scaturisce dalla preminenza e dal prestigio che una persona, un ordine,
un’istituzione hanno nella società, indicata con il termine autorità. L’ordinamento repubblicano riconosce un
ruolo importante per l’auctoritas del senato, per la quale le proposte di legge dovevano ricevere l’assenso del
senato
potestas (il potere): la volontà è l’energia che dà vita all’azione, distinta dalla ragione. Una volta scoperta
l’autonomia della volontà, per portare a compimento l’azione non basta volerla, si richiede che il soggetto
abbia un potere adeguato per realizzarla. Il diritto fa sussistere il potere degli associati, del singolo, dei
magistrati, del popolo. La ragion d’essere del potere sta nell’organizzazione della società attuata con il
diritto.

Storia delle dottrine politiche Pagina 27 di 152


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27. Polibio: la costituzione


Dopo la vittoria definitiva su Cartagine che la potenza romana era destinata a dare attuazione al programma
di Alessandro Magno di unificazione del mondo abitato.
Dice che la costituzione è connessa con la vita della città.
Le comunità si costituiscono per un istinto proprio di tutti gli esseri viventi che si uniscono per difendersi
dai comuni pericoli: il gruppo riconosce come guida l’essere più dotato e forte. La ragione, che distingue
l’uomo dalle bestie è nella consapevolezza dei benefici che la vita sociale procura. La comunità promuove la
formazione di sentimenti e di convinzioni comuni circa il bene e il male, il giusto e l’ingiusto. Ciò consente
agli uomini di intendere il vantaggio che loro deriva dal conseguire le norme della virtù.
La prima costituzione è la monarchia, dalla sua degenerazione deriva la tirannide. A questa subentra il
governo dei ricchi e dei potenti contro la quale insorge il popolo per instaurare la democrazia. Ma anche
questa degenera in oclocrazia (dominio della moltitudine) che determina una situazione di lotte di partiti e
fazioni alle quali pone termine la monarchia. Questo è il compimento del ciclo delle costituzioni.
Ogni costituzione ha in se stessa i principi, le cause della sua corruzione-degenerazione e della decadenza e
dissolvimento.
Nelle costituzioni rette il potere si fonda sul consenso dei governati, in quelle degenerate sulla forza e sulla
paura. Nella monarchia e nell’aristocrazia chi governa si avvale della persuasione e rispetta i limiti che gli
sono posti dai valori etico-religiosi, dalla giustizia.
Ogni costituzione si fonda su un accordo tra chi detiene il potere e la maggioranza degli associati. Quando
questo rapporto di fiducia viene meno la costituzione comincia a corrompersi. La crisi di questo patto di
governo deve essere imputata a chi detiene il potere. Il governo richiede una sana virtù civile, ma questa
virtù si consuma con il tempo e già nella seconda generazione comincia a subentrare nei governanti
l’orgoglio e il desiderio di primeggiare che suscita risentimento e odio del popolo.
Descrive il passaggio dalla democrazia all’oclocrazia: Con il passare delle generazioni si modificano i
sentimenti e le convinzioni e il popolo decade a livello della plebe, della moltitudine e si confonde con essa.
Il potere passa così dal popolo alla moltitudine, che diventa il dispotico signore dello stato.

Polibio dice che si possono studiare degli accorgimenti per rendere la costituzione più duratura possibile per
garantirne la stabilità. Occorre predisporre un limite al potere e cioè un altro potere che lo freni, che gli
impedisca di diventare assoluto e mutarsi nella forma di governo imperfetto. Per garantire la stabilità, le
costituzioni perfette devono limitarsi a controllarsi a vicenda: la migliore forma di governo deve essere
riconosciuta nella costituzione mista, che riesce a comporre in un armonico sistema i principi delle 3
costituzioni perfette: monarchia, aristocrazia e democrazia.
(Questa costituzione fu realizzata per la prima volta da Licurgo)
a Roma il principio monarchico è rappresentato dal potere dei consoli che hanno il potere esecutivo
comprendente il comando della forza militare e il governo della repubblica; il senato rappresenta il principio
aristocratico essendo formato dai capi dei gruppi gentilizi con un incarico a vita: la sua competenza si
riferisce al potere amministrativo, cioè al controllo elle entrate e delle uscite, alla politica estera, alla
soluzione delle controversie che possono nascere nell’ambito delle relazioni con altri stati. Il potere
giudiziario e legislativo sono attribuiti ai comizi, cioè al popolo che fa così valere il principio democratico.
In tal modo la costituzione romana è formata da organi che si controllano a vicenda bilanciandosi l’uno con
l’altro, realizzando quella costituzione che era nei voti di Aristotele.

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Ma anche la costituzione romana non si sarebbe potuta sottrarre al processo di decadenza che caratterizza
tutti gli stati. Le pressanti richieste della plebe per una più equa distribuzione delle terre pubbliche furono
all’origine del pessimismo dell’aristocratico Polibio.

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28. Cicerone - De re publica, De legiis, De officii


(106-43) - Gli scritti politici più importanti sono De re publica, De legiis, De officiis.
Fu il teorico della libertà repubblicana di contro agli orientamenti politici che ritenevano essere possibile
garantire l’ordine, la pace sociale, il dominio e la potenza di Roma con una radicale riforma della
costituzione.
Ritiene che la politica rappresenti il culmine dell’attività dell’uomo.
Riconosce un nesso tra teoria e pratica nel senso che l’opera dell’uomo di stato non è altro che l’attuazione
di quei principi, di quei valori che vengono professati in sede teorica: c’è quindi nella politica una riposta
filosofia che si deve riconoscere al fine di migliorare la nostra preparazione.
Rifiuta l’idea utilitaristica e pattizia della società; ritiene che ci sia una naturale predisposizione degli uomini
a vivere in società. La prima vera causa di aggregazione non è la necessità ma il bisogno, il fatto che
L’uomo a differenza degli altri animali può sopravvivere solo se viene allevato, aiutato dai suoi simili.
L’uomo non ama vivere in solitudine ma con gli altri uomini perché solo nella società può esprimere la sua
natura razionale.
L’uomo è portato per natura a conoscere la verità e a far conoscere la verità; a volere la giustizia e farla
rispettare; ad essere benevolenti e generosi. Sono questi i 3 aspetti dell’onesto.
Esistono tanti tipi di società per quanti sono i tipi di solidarietà umana: la famiglia, il gruppo parentale, le
associazioni e le aggregazioni e associazioni particolari.
Lo stato è fondato sulla società degli uomini ma nello stesso tempo se ne distingue per una specifica
autonomia: ciò che consente allo stato di partecipare alla società ma di esserne distinto è il diritto.
Il diritto promana dalla natura dell’uomo ed è connesso ai valori oggettivi che formano l’onesto. Il diritto
trova il suo più valido collegamento con la giustizia che garantisce la sua efficacia di vincolo sociale che fa
di una pluralità di uomini e cose una unità reale, il popolo, la res publica.
Il diritto diventa potere cioè l’attività che fa sussistere ogni forma di vita associata. Senza di esso né la
famiglia, né lo stato, né la nazione, né il genere umano, ne la natura né il mondo potrebbero sussistere.
Cicerone non usa il termine polis che corrisponde in latino a civitas ma si serve del termine res publica per
indicare l’organizzazione politica in quanto tale, connessa con il diritto. La parola status significa
condizione, modo d’essere dove status-republicae indica la costituzione con un significato giuridico-politico.
Lo stato per Cicerone è la cosa pubblica cioè la cosa che appartiene al popolo.
Il popolo non è qualsiasi insieme di individui ma è quella moltitudine che si è associata per una comune
utilità e mediante il vincolo del diritto. I singoli costituiscono una unità e possono diventare popolo solo
grazie al diritto.
Il diritto può rimanere come vincolo fondamentale nella società politica solamente se nello stato, per quanto
riguarda l’organizzazione politica si afferma il principio di libertà. Per Cicerone la libertà è essenzialmente
repubblicana. Si riferisce al ruolo che viene riconosciuto al popolo nella costituzione romana, al fatto che il
popolo sia titolare della summa potestas che corrisponde alla sovranità popolare degli stati contemporanei.

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29. S. Agostino - De civitate dei


354-430. La politica è valutata nella prospettiva di una concezione teorico-filosofica della storia universale
ed ha un preciso riferimento alla concezione ciceroniana della repubblica, ai rapporti tra l’impero e la chiesa
ed alle questioni più complesse poste dai quei rapporti all’etica cristiana.
Scrive l’opera in occasione della conquista e del sacco di Roma da parte dei Visigoti. Sembrava aver trovato
fondamento l’accusa rivolta ai cristiani dagli ambienti politici che erano rimasti fedeli alla religione degli
antichi dei di Roma, di aver promosso la decadenze della potenza militare dell’impero con la diffusione dei
loro ideali avversi all’etica civile romana. Voleva dimostrare l’inconsistenza di questa accusa valutando i
rapporti tra Cristianesimo e Impero.
Ci sono 2 modi di vivere, due mondi umani, due popoli, due città che risalgono alle origini della storia del
genere umano e sono il costante punto di riferimento della storia universale. Le due città sono la Civitas Dei
e la Civitas terrena: civitas indica l’unità degli intenti che ispira tutti i comportamenti di coloro che la
costituiscono, quindi la concordia e l’affinità tra i suoi componenti. La Civitas dei è composta da coloro la
cui vita è ispirata all’amor dei. La Civitas terrena è formata da coloro che ispirano le loro azioni all’amor
sui. L’amor di sé, portato sino al disprezzo di Dio generò la città terrena, l’amore di Dio, portato sino al
disprezzo di sé generò la cità celeste.

Il vincolo che unisce gli uomini delle due città è l’amore: amor sui e amor Dei. L’amore è il principio
dinamico della volontà, ciò che spinge a volere. L’amore è un’energia che tende a conseguire una serie di
beni secondo un determinato ordine. L’amore di se stesso esprime un proprio ordine che si realizza nella
città terrena. Amare se stessi significa conseguire tutti i beni terreni che possono darci piena soddisfazione,
in modo che il nostro animo non sia più turbato e rattristato. La soddisfazione è lo stato di pace con se
stesso. È il desiderio di pace che spinge l’uomo ad uscire da se stesso e stabilire rapporti sociali con gli altri.
Iul desiderio della pace è una caratteristica della natura dell’uomo. La pace è la ragion d’essere della società
umana.

Il fine della politica è di conseguire e mantenere la pace: la repubblica, l’autorità, il potere, le istituzioni, le
leggi debbono essere predisposte in vista della pace. Per avere la pace gli uomini devono avere desideri e
comportamenti che siano in essa corrispondenti. La pace si riflette nella società degli uomini, nella famiglia
e nello stato.
Ci sono 2 paci: della città celeste e della città terrena. La prima è eterna perché ha il suo fondamento in Dio,
la seconda è insidiata dalle passioni sempre mutevoli degli uomini, è incerta, provvisoria e può essere
infranta dagli odi e dalla lotte.
La pace è l’unione dell’ordine. L’ordine è la disposizione che assegna ogni cosa al suo posto. Questa
disposizione ritrova la sua fonte e legittimità in Dio, nella sua legge, la legge eterna ch corrisponde alla
ragione e alla volontà di Dio e comanda di conservare l’ordine naturale. Questa legge è costitutiva della
coscienza dell’uomo e le consente di percepire i principi primi dei comportamenti umani cioè le evidenze
morali che sono comuni a tutti gli uomini e che formano la legge naturale.

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30. Differenze tra Cicerone e Agostino


Mentre Cicerone trovava la giustizia nel diritto, Agostino dice che la vera giustizia è quella che si fonda
sulla legge eterna, che si esprime nella volontà di Dio e si attua solo nella città di Dio. Nella città terrena
esiste solo una giustizia terrena.
Lo stato deve essere definito come la cosa del popolo ma il popolo deve essere definito come l’unione degli
individui fondata sulla concorde comunione delle cose che essi amano. Lo stato e l’ordinamento politico
sono l’amore di tutti i consociati per determinate cose.
Solo l’amore può stabilire un reale rapporto di unione, di comunione dei sentimenti e di fare della
moltitudine un’unità che sia il fondamento dello stato.
Lo stato è costituito dai seguenti elementi:
1. un’associazione di individui
2. un capo che comanda
3. un patto sociale
4. una serie di convenzioni precedentemente concordate

il potere si esercita sulle creature razionali, il dominio su quelle irrazionali. Il potere rispetta i diritti dei suoi
sottoposti, il dominio asservisce in tutto e per tutto le persone ai fini di chi lo esercita.
Corrispondenza tra l’oggetto dell’amore e l’ordine della società politica: questo muta col mutare di quello.
Quanto più l’oggetto dell’amore corrisponde alla virtù tanto più l’ordine politico sarà stabile e lo stato sarà
in grado di garantire la sicurezza.
Le tradizionali virtù terrene: temperanza, prudenza, fortezza, saggezza, anche se non illuminate dalla fede,
se perseguite con costanza possono far sussistere un ordine terreno e quindi un ordinamento politico ben
costituito.
Se l’oggetto dell’amore non è consono alla virtù perché si vogliono soddisfare i desideri dettati dalla
passioni si inizia un processo di disarticolazione dell’unità degli intenti, entra in crisi la concordia tra i
consociati e le divisioni degenerano in contrapposizioni. Così il popolo non sarà più in grado di
autogovernarsi, le scelte de magistrate sono dettate dalla corruzione di quanti aspirano al potere. Diviene
necessario che il governo venga assunto su iniziativa di una persona dotata di virtù e autorità o da una
ristretta aristocrazia o da uno solo.

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31. Motivi di crisi e corruzione secondo S. Agostino


Il motivo della crisi e della corruzione è nella natura dell’uomo che è contradditoria. È questa la ragione
della tendenza al disordine di ogni società politica. L’uomo, perché ama se stesso aspira alla pace e vuole
l’ordine che corrisponde, ma le cose che desidera e i suoi fini spesso contraddicono questa aspirazione. Vuol
l’ordine e la pace ma quello che fa provoca il disordine e la guerra. L’amore dei beni temporali, come
l’amore per il sapere e per la verità scaturisce nell’uomo da un sentimento indefinito del bene assoluto cioè
Dio: l’uomo che vive per la città terrena senza alcun pensiero per la città celeste non riesce a riconoscere il
ero oggetto di questo desiderio indefinito e persegue una serie di verità e beni terreni che per essere finiti
non riescono mai a soddisfare il suo desiderio di felicità e di verità che in effetti aspira al sommo bene e alla
verità assoluta. Di qui, l’insoddisfazione e l’inquietudine che spingono l’uomo alla continua ricerca di nuovi
beni e nuove verità.
Bisogna distinguere l’amore per la gloria dall’amore della potenza e del dominio che spesso si tramuta in
libidine di dominio.

La città di Dio vive come pellegrina nel mondo ma si serve della pace terrena come di un bene che
appartiene all’ordine della creazione divina ed è impegnata a promuoverla ed a mantenerla.
Il precetto fondamentale della legge eterna è che sia conservato l’ordine naturale, vale a dire, per quanto
riguarda la città terrena che sia conseguita e conservata la pace: la guerra è il rimedio estremo con cui lo
stato assicura e difende la pace terrena contro le insidie e le violenze dei malvagi. La guerra giusta deve
essere sempre finalizzata alla pace e deve essere intrapresa solo per la difesa.

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32. S. Tommaso - Commento alla Politica di Aristotele


1226-74 Accoglie l’eredita aristotelica e la ripensa alla luce dei valori propri della tradizione cristiana.
Coglie le nuove esigenze maturate nella società del suo tempo.
Nel Commento alla Politica di Aristotele, Tommaso dice che la politica deve essere considerata come
scienza autonoma. Il campo della filosofia si estende a ciò che può essere conosciuto con la ragione e fra i
vari oggetti che la ragione conosce vi è la città che viene considerata come un tutto. La disciplina che studia
la città come un tutto è la scienza politica.
La politica non appartiene al genere delle scienze speculative che riguardano il momento della
comprensione, ma a quello delle scienze pratiche che si riferiscono all’operare. Ma la politica non può
essere concepita come scienza pratica come le arti meccaniche. Va considerata come scienza che si riferisce
all’azione degli uomini e che ha come oggetto i comandi, le disposizioni e gli ordini. È la scienza dell’agire.
La politica deve essere intesa come scienza architettonica che presiede al coordinamento di tutte le altre
discipline che riguardano le attività che si svolgono nella società. La città, cioè l’oggetto della scienza
politica alla stessa guisa delle cose fatte dagli uomini mediante le arti meccaniche, è realizzata dagli uomini
mediante la ragione.
La politica è considerata anche nella prospettiva cristiana dell’ordine come insieme di rapporti istituiti dalla
ragione dell’uomo. La società politica non corrisponde alla gerarchia fissata dalla natura ma è considerata
come l’ordine voluto dalla ragione dell’uomo per raggiungere i fini propri della sua natura. L’ordine politico
è voluto e realizzato dall’uomo mentre l’ordine naturale esiste indipendentemente dalla volontà umana.

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33. La Civitas secondo S. Tommaso


L’uomo è l’autore della comunità politica e non solo per conseguire le cose essenziali che gli sono
necessarie per sopravvivere ma anche per conseguire quei beni morali che solo la società gli può offrire e
che gli sono necessari per raggiungere la perfetta sufficienza della vita, non solo per vivere ma per vivere
bene.
Tommaso definisce l’uomo un animale sociale anziché un animale politico: la prima è la formula usata da
Seneca per sottolineare che il problema della felicità e quindi del sommo bene riguarda solo l’individuo e
non ha alcun riferimento allo stato; mentre la seconda adoperata da Aristotele significa che la perfezione
dell’uomo, la sua felicità, consiste di partecipare come libero alla vita della polis. Se l’uomo è un animale
sociale, la civitas non ha un valore solo un valore strumentale ma è fatta dall’uomo per realizzare la sua
natura. La civitas ha un fondamento nella natura dell’uomo.
Non esiste una connessione organica tra l’individuo e la società ma una connessione d’ordine fondata sulla
natura sociale dell’uomo e resa operante dalla sua ragione e dalla sua volontà. Il movimento dell’individuo
non è determinato dalla società ma al contrario il movimento della società è prodotto da quello degli
individui che la compongono. La libertà è la caratteristica essenziale dell’uomo in quanto capacità di
autodeterminazione razionale che è il vero principio delle sue azioni e comportamenti.
La civitas ha un suo specifico fine : il bene comune, a sua volta distinto dai beni particolari dei singoli.
Tommaso usa come equivalente di civitas e respublica il termine communitas per porre l’accento sul fine
della società, il bene comune che è definito l’ordine nella pace.
L’unità d’ordine e la pace possono essere conseguiti se esistono nella comunità una o più persone che
dirigono i comportamenti dei singoli verso il bene comune, altrimenti la società si disarticola in gruppi e
fazioni contrapposte, dato che i singoli hanno sempre di mira il loro bene particolare.

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34. La legge per S. Tommaso


Riconosce nella ragione una reminenza sulla volontà. L’obbligatorietà della legge scaturisce dalla sua
razionalità, non risiede nella volontà e nel comando del principe. I comandi del principe devono essere
intrinsecamente razionali cioè conformi ai principi posti dalla ragione umana: se li violassero non sarebbero
manifestazioni della volontà ma dell’arbitrio del principe. La legge è un ordinamento della ragione in vista
del bene comune, promulgata da colui cui spetta il governo della comunità. La legge ha il compito di
disciplinare il comportamento degli individui in vista del bene comune. Poiché riguarda il bene comune,
deve essere deliberata dalla comunità o dal suo legittimo rappresentante.
La legge positiva in quanto ordinamento della ragione in vista del bene comune ha come presupposto
l’ordine che regna nell’universo della creazione.
Precedono la legge umana,
- la legge eterna che si identifica con la ragione di Dio
- la legge divina manifestata agli uomini per il tramite della Rivelazione
- la legge di natura che si manifesta nella spontanea inclinazione dell’uomo ai fini razionali

Per la legge di natura l’uomo è in grado di distinguere il bene dal male. Sancisce i diritti della personalità
dell’uomo, il diritto alla conservazione della vita, alla formazione della famiglia, educazione dei figli e
vivere nella società.

La legge umana si distingue in diritto delle genti e diritto civile. Entrambe derivano dal diritto naturale ma il
primo riguarda la convivenza degli uomini in generale ed è ricavato soprattutto dal diritto naturale, mentre il
secondo comprende le disposizioni che si rendono necessarie per la vita comune nell’ambito della società
politica e dipendono da particolari esigenze dei singoli stati. La legge umana è caratterizzata dalla
mutabilità, per essere corrispondente a particolari problemi che si presentano di volta in volta nella società.
È caratterizzata anche dalla generalità in quanto deve rivolgersi a determinate categorie di persone, avendo
sempre di mira il bene comune.
La legge umana è necessaria perché gli uomini non si adeguano spontaneamente ai precetti della ragione.
Può essere facilmente distolto a causa delle passioni e dei vizi. La legge umana ha la funzione di costringere
l’uomo a seguire le norme.

Tommaso si pone il problema di indicare la forma di governo che consenta di far valere nei confronti dei
governanti precisi limiti giuridici, affinché il potere non violi la legge, non diventi oppressivo
trasformandosi in tirannide. Tiranno non è solo chi governa anteponendo il suo interesse a quello generale
ma anche chi ha conquistato il potere con la violenza. La tirannide è il trionfo della passione sulla ragione.
La rivolta nei confronti del tiranno più che un diritto è un fatto. L’oppressione diventa talmente intollerabile
che determina una reazione da parte dei sudditi. Ma questo fatto è comunque un episodio gravissimo per il
turbamento che arreca all’ordine e alla pace nella società. In base a quale principio usare la forza contro chi
detiene il potere? Questo problema può essere risolto solo se il diritto di resistenza al tiranno viene
sottoposto ad una procedura giuridico-costituzionale, se cioè viene trasformato in un legittimo intervento
degli organismi che rappresentano la società. La forma di governo che assolve questa esigenza è la
costituzione mista, fondata sull’armonico contemperamento della monarchia, dell’aristocrazia e della
democrazia che assicura l’unità di comando, la partecipazione dei migliori al governo e l’elezione dei

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governanti da parte del popolo. È la costituzione per eccellenza della quale aveva già parlato Aristotele. Il
potere è disciplinato dalle leggi della comunità. Questa disciplina cui il potere è sottoposto può essere fatta
valere nei confronti del re che si comporti da tiranno da parte degli organi che rappresentano la comunità e
in ultima istanza dal popolo.

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35. Visione politica di Dante


1265 - 1321. L’impero e la chiesa sono due costanti punti di riferimento affinchè l’uomo possa pervenire
alla sua salvezza eterna.
La crisi politica che travaglia la civiltà dipende dalla corruzione della chiesa che aspira a controllare il potere
politico. È una chiesa istituzione, una chiesa-stato che si è sovrapposta alla chiesa spirituale.
Scrive la Monarchia in cui sono individuate le ragioni che giustificano l’autonomia dell’impero nei confronti
della chiesa.
La politica è lo studio sistematico dell’attività pratica per cui tutto ciò che è politica dipende da noi. È
necessaria la collaborazione tra tutti gli uomini, il desiderio di conoscere è il vincolo che fa di tutti gli
uomini una unità. La conoscenza richiede la collaborazione di tutti. Questo fine può essere conseguito se tra
gli uomini regna la pace. La pace universale è possibile solo se gli uomini riconoscono un superiore ordine
politico che la garantisca e che ha il suo centro unitario nell’impero.
L’uomo a motivo di conoscere è portato a superare la cerchia della propria particolare società in forme
sempre più ampie di associazione con altri uomini: l’impero è il termine ultimo delle forme di società perché
corrisponde all’istituzione politica a carattere universale che realizza il principio dell’unità del genere
umano.
L’impero è la coordinazione di tutti i tipi di comunità minori, ognuna autonoma e indipendente ma
subordinata all’autorità dell’imperatore.
La legittimità della monarchia universale si basano sulla giustizia e sulla libertà.
Sogna l’avvento di un papa angelico che riporti la chiesa alla sua dimensione spirituale e la risurrezione
dell’impero.
L’imperatore, il monarca universale voluto da Dante deve essere super partes e deve solo vegliare perché
regni la pace.
Tesi dell’indipendenza della chiesa dallo stato. i due soli. Era stato interpretato politicamente l’episodio
della genesi per quanto riguarda la creazione del sole e della luna. Il sole rappresenterebbe la chiesa e la luna
l’impero. Ma Dante dice che la luna non dipende dal sole ma dall’ordine che regola il movimento degli astri,
voluto da Dio. Quindi il monarca temporale non riceve la sua autorità dal potere spirituale ma solo una
maggiore capacità ad operare a seguito della consacrazione.
È più giusto parlare di due soli.

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36. Marsilio Da Padova - Defensor Pacis


1275 – 1343 - Enuncia la grande polemica tra impero e chiesa che sarà poi ripreso dalla riforma Luterana.
Considera la pace con riferimento alla prosperità dei popoli e al benessere dei cittadini. La pace è insidiata
dalla discordia che può generarsi tra gli uomini. La causa in Italia è rappresentata dalla chiesa e dalla sua
pretesa di esercitare una giurisdizione suprema nell’ambito dell’ordine temporale.
All’imperatore spetta il compito di garantire e assicurare la pace. È proprio l’imperatore il defensor pacis
contro la pretesa ecclesiastica di dominio temporale che è la costante insidia alla pace.
Bisogna riportare i due ordini, spirituale e temporale ai propri confini.
L’unità che fa sussistere lo stato come entità reale deve essere riferita alla coordinazione di tutte le parti che
costituiscono il corpo politico a un unico fine. È il governo che realizza l’unità della società politica.
La forma migliore di governo è la monarchia elettiva che governa nel rispetto della volontà dei cittadini. Si
riferisce alla politeia come costituzione fondata sul consenso dei liberi che si alternano al potere. I principi
fondamentali di un giusto governo devono essere: l’elezione del governante da parte dei governati,
l’esercizio del potere secondo la volontà dei cittadini. Il tiranno è chi governa contro la volontà dei suoi
sudditi.
La legge è il risultato della collaborazione di un gran numero di individui che formano le norme che devono
regolare il comportamento dei singoli della società finalizzandolo all’utile della comunità. La legge è la
regola mediante cui deve essere realizzata la giustizia civile.

La legge trova la sua causa efficiente nella volontà del legislatore umano che la definisce secondo le
esigenze dello stato.
La libertà consiste nel non essere costretti a sottostare al comando altrui. Il cittadini sarà libero quando dovrà
obbedire al comando di una legge la cui approvazione ha partecipato. Il comando della legge non è
l’espressione di un’autorità che sovrasta tutto e tutti ma si riduce al comando che i cittadini rivolgono a se
stessi.
Fonda la giuridicità della legge su due presupposti: che venga obbedita dalla maggioranza dei cittadini e che
sia munita di una sanzione che obbliga all’obbedienza. La forza fa valere il comando contenuto nella norma.
La forza deriva dalla coesione di tutte le parti che costituiscono la comunità politica.
La forza si esprime come istituzione nel governo che è il principio attivo del movimento di tutto il corpo
politico. La forza, il potere, il governo sono principi e istituzioni temporali, umani che trovano la loro
giustificazione solo in questa dimensione e non in coloro che si definiscono sul piano soprannaturale della
religione.
L’organizzazione politica della città è predeterminata dalle leggi e il potere è esercitato nell’ambito delle
leggi.

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37. Religione e politica per Marsilio Da Padova


La religione deve essere considerata solo dal punto di vista dottrinale cioè come l’insegnamento di Gesù che
consente all’uomo di potere conseguire la salvezza eterna. La chiesa-istituzione non ha alcuna ragion
d’essere: viene privata di ogni potere disciplinare in quanto l’unico giudice dei meriti e delle colpe degli
uomini è Gesù.
L’insegnamento non può essere assistito dalla sanzione in quanto la fede non può essere coercita per essere
efficace deve essere spontanea e libera.
La coazione, la forza sono attribuiti alla società politica e non possono essere riconosciuti all’organizzazione
ecclesiastica.
La chiesa si riduce a un’associazione dei fedeli.

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38. Pensiero politico di Macchiavelli


1469-27 - Il suo pensiero politico è connesso all’amara e sofferta esperienza della profonda crisi politica che
investe alla fine del 400 gli stati italiani il cui sistema di alleanze grazie a Lorenzo il Magnifico aveva
garantito l’indipendenza dell’Italia dal dominio straniero.
Con la discesa di Carlo VIII si scoprì che le alleanze degli stati italiani non erano più in grado di
fronteggiare le potenze militari di Francia e Spagna.
La politica italiana era caratterizzata da una profonda crisi dell’etica civile e dalla corruzione degli ordini
politici che vanificava qualsiasi tentativo di dare stabilità e sicurezza agli stati. Il disordine della sostanziale
anarchia politica dell’Italia devono essere ricondotte alla natura dell’uomo.
L’animo umano permane identico nella storia, l’umanità dell’uomo è in trasformabile.
La situazione umana nel cui ambito si esprime la politica è caratterizzata dalla dialettica ordine-disordine,
nel senso che l’ordine è continuamente insidiato dal disordine, per il quale l’uomo sembra avere una
vocazione e nel contempo l’ordine nasce dal disordine. Il fatto che la politica sia caratterizzata dal continuo
mutamento dipendono dalla natura dell’uomo. L’uomo è strutturato in modo da aspirare costantemente a
volere tutto, mentre dispone di mezzi limitati che gli consentono di conseguire poco. Motivo per cui l’uomo
vive in uno stato di perenne incontentabilità che lo spinge a volere sempre di più e modificare le situazioni
nelle quali si trova. L’incontentabilità che caratterizza l’animo umano porta l’uomo ad oscillare tra la noia e
il dolore. La natura umana fa si che l’uomo si tormenti nel male; così l’uomo si toglie dal male e dal
tormento e ricerca il bene, ma quando è stato conseguito non soddisfa più l’uomo, anzi gli riesce del tutto
insopportabile così che si toglie dal bene per tornare nel male.

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39. Politica come intesa da Machiavelli


La politica non è costruita sulla teoria ma diventa analisi e descrizione del comportamento politico quale
effettivamente si realizza. Diventa criterio di interpretazione della storia e questa indica in concreto come si
determinano le situazioni politiche tipiche da cui è possibile ricavare le regole cui deve informarsi l’azione
politica.
La politica consiste nello studio dei mezzi e accorgimenti mediante cui l’uomo viene sottratto al disordine,
verso cui tende naturalmente, per essere mantenuto nell’ordine.
Usa la parola Stato per indicare che la comunità politica ha una sua autonoma ragion d’essere, cioè ritrova in
se stessa la giustificazione della sua esistenza: perciò lo stato è definito come dominio che ha impero sopra
gli uomini. Stato si identifica con la forza e si realizza nel comando che esercita su coloro che sono
assoggettati al suo potere. Lo stato è concepito come forza perché è solo grazie a quest’ultimo l’uomo è
sottratto al suo egoismo, alla dispersione e al disordine generati in lui dalla sua malvagità. Solo la forza
mantiene gli uomini uniti nella società. La dinamica della politica si esprime nella lotta per la conquista e la
difesa del potere.
Distingue due tipi di stato:
il principato: è quello stato e ordine politico caratterizzato dalla unità di comando, realizzata da un solo
individuo (ma non inteso automaticamente come governo assoluto)
la repubblica: è quella forma di stato in cui assume rilievo determinante l’autorità del popolo, che gode di
un’ampia libertà in quanto può partecipare al governo della cosa pubblica.

Macchiavelli è deciso assertore della costituzione mista a modello di quella romana, fondata sulla
compartecipazione al potere politico del principe dell’aristocrazia (ottimati) e del popolo.
I principati vengono distinti in ereditari e nuovi. I principati nuovi possono essere conquistati con le armi
proprie o altrui, con la fortuna o con la virtù.

I veri problemi politici nascono con i principati nuovi perché si tratta di procedere ad una accurata analisi
che tenga conto di tutti gli elementi della situazione e delle diverse reazioni che la politica del nuovo
principe suscita nei sudditi.
Ogni atto politico con cui si modifica una precedente situazione per conquistare o mantenere il potere ne
determina una nuova nel senso che offre diverse possibilità di scelta e consente di optare per l’una o per
l’altra azione politica. L’azione politica è necessitata dalla situazione in cui si trova chi opera, e necessitante
in quanto crea una nuova situazione che ritorna sull’uomo politico, costringendolo ad agire, cioè ad
adoperare delle scelte: una volta attuate queste scelte il politico diventa prigioniero degli avvenimenti
politici che lui stesso ha determinato.
Gli stati partecipano alla stessa natura degli uomini: tendono, per conservarsi a estendere il loro dominio.

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40. Le qualità del principe di Machiavelli


Nel Principe vuole individuare le qualità che il principe deve avere per essere lodato e non disprezzato dai
sudditi dato che il principe deve far tutto al fine di evitare il loro odio.
La politica è lo studio dei mezzi con cui conquistare e conservare lo stato. Occorre chi e il principe ponga
attenzione ai vizi che gli tolgono lo stato. È meglio essre giudicato parsimonioso anziché liberale dato che la
libertà lo costringe ad attingere in misura eccessiva ai patrimoni dei sudditi determinando un sentimento di
odio per la sua rapacità. È meglio essere considerato pietoso che crudele: però bisogna prestare attenzione al
fatto che possono verificarsi situazioni in cui essere pietoso si rivela controproducente per la tranquillità e la
pace dei sudditi mentre un atto di fermezza e crudeltà evita mali di gran lunga maggiori. Meglio essere
amato che temuto ma data la natura degli uomini è più prudente fondare il potere su un salutare timore.
La prima preoccupazione del principe deve essere di evitare l’odio e il disprezzo, perché la prima passione
vince il timore che il potere incute ai sudditi e li induce a combattere il principe, la seconda spezza il vincolo
che unisce i sudditi al principe e in caso di necessità non potrà contare su di loro. Solamente la forza e
l’accortezza sono i principi fondamentali cui deve ispirarsi l’azione del principe, in quanto solo con questi
mezzi le passioni possono essere disciplinate.
Ci sono due modi di governare: il primo con le leggi e il secondo con la forza: questo proprio delle bestie,
quello proprio degli uomini. Poiché il primo a volte non è sufficiente, bisogna ricorrere se necessario al
secondo. Un principe deve saper bene usare la bestia e l’uomo, la volpe e il leone.
Il principe deve saper dissimulare, saper colorire, cioè trovare le giustificazioni convincenti della mancata
osservanza dei patti sottoscritti.
Sono affermazioni che operano una distinzione tra gli interessi politici e i principi fondamentali della morale
e sembrano implicare la riduzione della morale alla politica.
Ai fini politici non c’è bisogno che il principe sia pietoso, umano, religioso, sincero, leale, fedele:
l’importante è che sembri essere tale e che sembri essere attento osservante della religione.
In politica l’essere non corrisponde al sembrare: noi non sembriamo quello che siamo.
Due sono le sfere nel cui ambito deve essere valutata l’azione: quella privata e quella pubblica, sociale,
politica, nella quale l’azione ha una risonanza più ampia. Mentre nell’ambito della sfera del privato sussiste
l’uguaglianza tra l’essere e il sembrare, nella sfera pubblica tale corrispondenza viene meno: accade che
azioni che hanno come fine il bene dei consociati sembrano per questi ultimi perseguire fini opposti. Per
questo il principe deve sembrare umano, fedele, religioso, nel senso che deve comportarsi in modo tale da
ingenerare in chi considera i suoi atti il convincimento che questi ultimi sono ispirati a quei valori. La
società politica non può esistere senza che questi valori vengano affermati e quindi riconosciuti.

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41. La storia per Machiavelli


Macchiavelli propende per una concezione naturalistica della storia, nel senso che il corso degli avvenimenti
umani segue il ciclo naturale degli esseri viventi onde gli stati nascono, diventano potenti, decadono e poi
muoiono per rinascere e ripercorrere le stesse fasi. Questo stesso movimento ciclico quale passaggio
dall’una all’altra forma di governo, compiono le istituzioni.
La storia sovrasta gli uomini nel senso che gli uomini non riescono ad orientarla secondo i loro propositi.
L’uomo e cioè il politico può inserirsi nel corso degli avvenimenti sfruttando le occasioni favorevoli e
predisponendo gli opportuni mezzi per eliminare e ridurre al minimo i danni provocati dalle situazioni
sfavorevoli.
Per inserirsi quale forza autonoma e determinante della storia il principe deve essere dotato di virtù: la virtù
di Macchiavelli non indica la capacità dell’individuo di saper regolare i suoi comportamenti secondo le
norme della morale ma l’assoluta concentrazione di tutte le sue energie sul fine proprio della politica, la
conquista e la difesa del potere. Da tale concentrazione scaturisce la prudenza cioè la capacità di
razionalizzare i propri comportamenti per indirizzarli al conseguimento del fine.
La virtù si contrappone alla fortuna che indica l’indeterminatezza propria del corso degli avvenimenti
umani, che si sono sottratti al controllo degli uomini. La fortuna è connessa con la tendenza alla dispersione
e al disordine che è una delle caratteristiche fondamentali della natura umana. La fortuna viene paragonata a
un fiume il cui corso, non essendo regolato da opere di sistemazione degli argini distrugge le campagne e le
città che attraversa. Se in tempo utile fossero stati eseguiti i lavori idonei tanta rovina sarebbe stata evitata.
La virtù costituisce l’argine più efficace nei confronti del fiume impetuoso che scorre nella storia e che alla
fine dilaga in quei paesi che per essere sforniti di virtù rappresentano lo sfogo di questa piena. Ciò è quello
che accade all’Italia che al momento della piena si è trovata sprovvista degli argini efficaci.
La virtù può sempre contrastare la fortuna e a volte sottometterla. La politica è la possibilità dell’uomo
virtuoso di farsi artefice della storia.

Nell’analisi macchiavellica la dinamica politica scaturisce dalla contrapposizione politica-morale, politica-


religione, fortuna-virtù, necessità-libertà.
Il Principe è il codice dei tiranni, lo scritto che insegna come fondare e mantenere un governo assoluto.

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42. I Discorsi di Machiavelli


I discorsi svelano l’anima repubblicana di Macchiavelli. La preoccupazione fondamentale è di dimostrare
sulla base di quali ordini politici e mediante quale precettistica sia possibile fondare e conservare uno stato
che abbia come principio primo il suo ordine politico e la libertà del popolo. Il pessimismo che caratterizza
il principe nei confronti dell’umanità si converte in una concezione positiva in quanto i molti diventano un
soggetto attivo e sono considerati come popolo.
La cacciata di Piero de Medici, la repubblica Savonarola, quella oligarchica di Pier Soderini e il ritorno dei
Medici del 1512 dopo al sconfitta dei francesi a Pavia sono le vicende che fanno sfondo all’elaborazione
delle sue tesi. I discorsi vogliono studiare i motivi per cui il contrasto tra nobili e plebei, tra senato e popolo,
che caratterizzò la storia di Roma, invece di condurre come Firenze lo stato alla rovina, fu la causa
determinante della sua grandezza. Al popolo bisogna affidare i poteri necessari per difendere la libertà
contro i tentativi dei grandi ci instaurare un regime oligarchico. Il vivere libero è l’ideale politico supremo
che deve immedesimarsi col popolo.
Il popolo è in grado di garantire una stabilità politica superiore a quella del principato. Il popolo è meno
diffidente del principe nei confronti dei cittadini che con la loro attività politica hanno acquistato grandi
meriti nei confronti dello stato. È anche meno ingrato. La repubblica rispetto al principato offre più garanzie
di fedeltà ai patti sottoscritti.
Se il Principe studia i problemi che si pongono intorno allo stato potere, allo stato-forza, i Discorsi trattano
problemi inerenti allo stato comunità: la forza politica non è più lo strumento di cui si serve il principe per
conquistare e mantenere lo stato ma viene vista in questo caso nella sua genesi: si cerca di capire cosa sia la
forza per individuare il rapporto tra questa e lo stato-comunità, come la forza si genera nella società politica:
promana dalla virtù di cui sono capaci tutti i componenti della stessa comunità.
Il concetto di virtù nei discorsi non solo implica la capacità di saper agire con prudenza e fermezza sul piano
politico ma indica anche la capacità di saper disciplinare i propri comportamento nell’ambito della comunità
ai fini del bene dello stato. Nel Principe lo stato è formato per opera del principe che lo forma a sua
immagine e somiglianza e il popolo è soggetto puramente passivo. Nei Discorsi lo stato si genera da se
stesso, nasce e si forma nella storia.
L’organizzazione dello stato-comunità si struttura in 3 livelli tra loro connessi: costumi, leggi e ordini. Gli
ordini sono le fondamentali istituzioni politiche sul quale si basa la costituzione dello stato. Ordine si
riferisce al modo in cui viene esercitato il potere cioè al diverso grado di partecipazione del popolo e dei
nobili all’amministrazione del potere e il modo in cui venivano assegnate le cariche pubbliche.
Il popolo come anche il principe devono essere costantemente disciplinati e raffrenati dalle leggi. È il
sistema delle leggi che garantisce la libertà e soprattutto la sicurtà. Il potere del principe incontra limiti
precisi nel sistema delle leggi.
I costumi sono il vero fondamento dell’organizzazione statale in quanto è in essi che si esprime quella virtù
che consente a tutti i consociati di partecipare alla vita della collettività con consapevolezza dei fini comuni.
Il senso della comunità si radica e si esprime nella religione, nelle forze con cui si realizza il culto divino.
La religione è essenzialmente timore di Dio, quel timore che è il presupposto dell’obbedienza alla legge e al
comando dei magistrati, il fondamento della fede sia privata che pubblica. Con la religione gli uomini
passano dal piano della ferocia a quello dell’umanità civile che sola consente una vera società politica.
L’ordine politico insieme come insieme di ordini e leggi si fondano sul sentimento religioso della
collettività. L’autorità di Dio è il principio di legittimazione di tutte le leggi umane e fi tutte le altre attività

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umane. Man mano che la religione si depotezia nella società, la forza che si esprime nel potere deve crescere
e aumentare la pressione sui soggetti sino a diventare assoluta. Quando si sostituisce al timore di Dio il
timore degli uomini, i governi hanno una breve durata.
La virtù politica di cui fu capace Roma scaturisce dalla religiosità di cui fu capace il popolo romano. Essa
consente all’uomo il massimo della concentrazione, è il presupposto di ogni forma di autodisciplina e
pertanto della costanza di saper mantenere l’impegno di anteporre il bene della comunità a quello privato. La
religiosità toglie l’uomo alla sua naturale inclinazione alla dispersione, al disordine, incertezza, egoismo.
Preserva il popolo dalla corruzione che si determina allorchè non si avverte più l’importanza dei valori
etico-civili e diventano invece preminenti gli egoistici interessi dei singoli. La cura principale delle
repubbliche e dei principi consiste nel mantenere incorrotta la religione in quanto dalla sincerità, dalla
purezza, dipendono le virtù politiche del popolo, i buoni costumi, ordini, leggi.
La corruzione che caratterizza la politica italiana dipende dalla corruzione della religione, conseguenza del
comportamento scandaloso del clero e della chiesa romana, che essendosi allontanata dai valori cristiani ha
provocato un diffuso scetticismo e irreligiosità, causa di quella totale assenza di valori etico-civili della
società italiana che è il presupposto della corruzione che ha reso gli italiani servi dello straniero.

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43. Bodin 1529-96


La riforma aveva infranto il principio di unità di fede sulla quale si fondava la respublica cristiana e aveva
riconosciuto la piena legittimità delle nuove comunità cristiane, nate dopo la diffusione del messaggio
riformato. Si tentarono nuove forme di organizzazione politica mentre all’interno dell’impero germanico si
modificarono i rapporti fra i principati, i ducati, le città libere. Occorrevano nuovi principi per regolare la
nuova attività politica della Riforma. C’era l’esigenza di una concezione sistematica dello stato che ne
chiarisse i principi costitutivi che lo avrebbero distinto dagli altri enti sociali.
L’opera politica di Bodin è una sintesi del pensiero politico del 500 e riflette i problemi della vita politica
francese nel periodo delle guerre di religione. Le guerre di religione avevano suscitato il problema dell’unità
dello stato francese. Si affermava sia da parte ugonotta che cattolica il primato e la sovranità degli stati
generali contro il poter della monarchia. Primato che significava primato della religione sulla politica.
Le opere più importanti sono i Methodus ad facilem historiarum cognitionem e Les six livres de la
Republique. Rivendicano e dimostrano l’autonomia dello stato contro le confessioni religiose.

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44. Il Methodus di Bodin


E’ il punto di partenza del pensiero politico di Bodin che può essere individuato nel rapporto tra storia e
politica. La storia umana non è predeterminata dalla natura né diretta dalla volontà di Dio. Nelle sue scelte
l’uomo è libero. La libertà dell’uomo è il principio che ci consente di concepire la storia come risultato
dell’attività dell’uomo che esprime a sua volta i principi sui quali si fonda l’ordine civile e politico.
Lo stato è il risultato di un lungo processo storico che ebbe inizio in uno stadio primitivo degli uomini, la cui
vita era dominata dagli istinti, dalla paura, dai bisogni e dalla lotta per la sopravvivenza. La società di natura
fu caratterizzata da una vita umana ferina. Gli uomini riuscirono a togliersi dalla vita ferina e a stabilire una
vita umana e civile sottraendosi al dominio degli istinti per diventare esseri razionali.
L’uomo cominciò ad essere razionale solo quando riuscì a mantenere costante la sua volontà per conseguire
determinati fini. La volontà pone da se stessa dei limiti alla sua assoluta libertà e vuole i fini che le sono
indicati dalla ragione. Gli uomini solo in virtù di una lunga esperienza storica, si rendono conto che libertà
ragione e volontà coincidono nel senso che l’uomo attua la sua vera umanità quando vuole i fini che gli sono
indicati dalla ragione. La forma di disciplina della volontà è la religione: il timore di Dio consentì agli
uomini primitivi di esprimere i primi principi di una convivenza umana e di togliersi dalle condizioni della
vita ferina. Si formarono così le famiglie, i gruppi parentali, gentilizi, le tribù. La religione e le forme di
culto sono il vincolo originario delle società politiche.
Queste forme elementari di aggregazione sociale, a seguito delle lotte tra diverse tribù e gruppi gentilizi
costituirono le prime vere formazioni politiche denominate stato o repubblica la cui caratteristica
fondamentale è di esprimere la forza comune e una volontà comune. La politicità di un organismo sociale
che è il suo essere stato dipende dal fatto che si esprime innanzitutto con la forza. Ma la forza non è altro che
volontà in quanto energia che tende a realizzare il fine. Nell’ordine politico questa volontà si esprime a sua
volta nel comando delle leggi.
Allo stato, dopo Dio l’uomo deve tutto, la sua umanità, razionalità, libertà. Senza lo stato l’uomo tornerebbe
alla primitiva vita ferina.
Lo stato si forma dalla storia. Con le sue leggi, istituzioni, la forma di civiltà che esprime è la struttura
portante della storia. È il vero centro di unificazione delle attività degli uomini. Il principio che fa sussistere
lo stato è la sovranità.

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45. I sei libri della repubblica di Bodin


La trattazione organica dei problemi che attengono allo stato venne ripresa nei 6 libri della repubblica.
Per stato si intende il governo giusto che si esercita con potere sovrano su diverse famiglie e su tutto ciò che
esse hanno in comune tra loro.
Gli elementi dello stato sono: la famiglia, le cose comuni, il giusto governo, la sovranità.
La famiglia e non l’individuo è il soggetto attivo della comunità statale. L’individuo è un animale sociale
(coma anche per Aristotele): non può essere considerato dal punto di vista individuale ma organicamente
inserito nel gruppo sociale in grado di esprimersi come autonoma unità, che è la famiglia. È proprio nella
famiglia che si esprimono i tipi di comando e obbedienza sui quali si fonda il sistema di comandi e
obbedienze che caratterizza la società politica.
La prima distinzione tra i tipi di potere è tra potere pubblico e privato. Il primo si esercita dal sovrano
tramite la legge e i magistrati, il secondo viene esercitato dai capi delle famiglie. Il potere del capo famiglia
si riferisce alla moglie, ai figli, agli schiavi, ai servi.
Il potere si fonda sull’originaria autorità naturale propria di ogni uomo per cui egli non riconosce al di sopra
di sé alcun superiore se non Dio. L’uomo non riconosce altra autorità se non quella della propria ragione. Il
dominio che la ragione esercita sulle passioni è la prima forma di autorità. La prima forma di potere è quella
che l’uomo esercita nei confronti di se stesso. Il potere si esprime nell’individuo inserito organicamente in
un gruppo.
La famiglia è il gruppo sociale naturale originario in cui si esprimono le prime relazioni tra gli individui. La
famiglia precede storicamente lo stato che si costituisce solo quando si uniscono più famiglie sotto un unico
potere sovrano: in questo caso i padri di famiglia si spogliano del loro potere e diventano cittadini.
Secondo elemento dello stato è ciò che è comune alle famiglie e a quanti vivono nello stato, ed è costituito
dai beni, servizi, disposizioni senza le quali non si può realizzare un’organizzazione che possa servire a tutti.
Lo stato implica necessariamente la sfera del pubblico. Ma la sfera del pubblico per essere individuata nei
suoi esatti confini deve essere riferita alla sfera del privato. La distinzione tra pubblico e privato è richiesta
nella concezione dello stato. Bodin è critico contro la concezione comunistica e collettivistica dello stato.
Terzo elemento dello stato è la sovranità che unifica le persone e le cose e le fa sussistere in una unità reale
che si esprime nello stato. È la sovranità il vero fondamento su cui poggia tutta la struttura dello stato e da
cui dipendono i magistrati, le leggi, le ordinanze. È il legame e la sola unione che fa di famiglie, corpi
collegi, privati, un unico corpo perfetto.
Il quarto elemento è il governo giusto. Sovranità e governo giusto sono connessi tra loro perché il governo
giusto presuppone un potere sovrano e la sovranità è inscindibile dal governo giusto.

La sovranità è definita come il potere assoluto che non riconosce al di sopra di sé alcun altro potere se non
quello di dio. L’assolutezza significa che la sovranità trova in se stessa le ragioni della sua determinazione e
che non risponde a nessuna di queste ragioni tranne che a Dio. La sovranità che non riconosce sopra di sé
alcun potere se non quello di Dio non è altro che la forza che attua il comando formulato dal diritto.
Stato, potere sovrano, forza in Bodin si identificano. La forza è tale perché esprime in se stessa il principio
che la limita per cui non sconfina nella violenza, nell’arbitrio, nella licenza. Il diritto è la regola con cui la
forza deve autodisciplinarsi per determinare l’ordine che consente a una pluralità di individui di coesistere in
una armonica unità, lo stato.
Lo stato ha un’origine storica in quanto si fonda sul processo di depurazione della violenza sino a che non si

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esprima la forza a seguito delle lotte tra i gruppi gentilizi ed etnici: chi detiene la forza deve affermare il
principio di giustizia e ordine secondo i quali vengono regolati i rapporti tra vincitori e vinti. Il potere
sovrano si genera dal potere del pater familias allorchè i gruppi familiari danno vita ad una superiore
comunità che è governata da un unico potere sovrano.
Il principio che la forza debba essere assunta come energia-potere è ulteriormente precisato nella distinzione
dei tipi di potere che sono 3. sono assoluti ma i primi 2 sono giusti mentre il terzo è ingiusto e legittima la
resistenza attiva.
1. sovranità: è la forza che si manifesta tramite il diritto.
2. dominato: è il potere che ritrova nell’etica e nella religione i principi che lo limitano: si modella sul potere
sovrano dei padri nei nuclei gentilizi delle società primitive.
3. tirannia: è il potere che non esprime alcuna regola o valore che lo limiti e lo disciplini. Non si fonda sulla
forza ma si genera e si mantiene con la violenza. Tutto e tutti sono sottoposti all’arbitrio del potere.

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46. La sovranità per Bodin


La sovranità è un potere assoluto,
perpetuo: non può essere limitato nel tempo
indivisibile: consiste nell’unità dei poteri in cui si esplica
intrasferibile: perché delegarne ad altri l’esercizio significa spogliarsene imprescrittibile: attiene all’unità
dello stato e alla sua esistenza e non può essere perduta per il mancato esercizio di alcune prerogative per un
certo periodo di tempo.
I poteri della sovranità sono la potestà di fare leggi, modificarle e interpretarle.
La potestà legislativa è il nucleo della sovranità e ad essa si connettono gli altri poteri che si riferiscono alle
attività che sono determinanti per l’esistenza dello stato: dichiarazione di guerra e pace; esame dei giudizi
dei magistrati; nomina e destituzione dei più alti ufficiali dello stato; imposizione o esenzione dei tributi;
fissare il valore legale delle monete; imposizione ai sudditi del giuramento di fedeltà.
La teoria della sovranità e l’individuazione della sua vera essenza consente di dimostrare che gli Stati
Generali non possono rivendicare alcun potere autonomo nei confronti della monarchia in quanto detentrice
della stessa sovranità. Gli Stati Generali hanno il compito di informare e ragguagliare il re della situazione
del paese; hanno il diritto di essere informati e informare per quanto riguarda i provvedimenti richiesti dal
paese e di formulare proposte; sono il necessario momento istruttorio per quanto riguarda la definizione dei
provvedimenti legislativi che debbono essere presi, ma la decisione spetta a chi detiene il potere sovrano.
Il diritto divino e il diritto naturale sono la premessa fondamentale per intendere in quale modo il potere
assoluto, in quanto sovrano debba considerarsi delimitato: lo stato sovrano deve essere considerato uno stato
costituzionale nel senso che la gestione del potere politico è sottoposto ad una serie di limiti che fanno parte
della struttura dello stato. Sussistono delle leggi fondamentali che si riferiscono all’organizzazione politica
dello stato francese, definite nel corso della storia, che non possono essere modificate dal re (esempio la
legge salica).
L’altro limite è la proprietà: il re non può privare il suddito della proprietà se non nei casi previsti dalla
legge. La proprietà è un diritto assoluto sottoposto all’impero dalle leggi che si fonda sul diritto divino e
naturale. La proprietà è una forma di garanzia costituzionale della libertà civile dei cittadini. Il monarca ha
una posizione di supremazia nell’ambito pubblico ma è sottoposto alle leggi e al giudizio dei magistrati
quando le sue azioni attengono alla sfera dei diritti della proprietà privata.

Il principio della indivisibilità della sovranità non consente di accogliere la concezione dello stato misto
teorizzata da Polibio. Non ha alcuna possibilità di attuazione in quanto la sovranità non può che appartenere
o a una persona (monarchia) o ai pochi (aristocrazia) o al popolo (democrazia). Lo stato sussiste solo se
viene assicurata l’unità della decisone e del comando. Il conflitto di attuare uno stato misto determinerebbe
un conflitto inevitabile tra i diversi centri di potere che degenererebbe in guerra civile per decidere con le
armi a chi deve appartenere la sovranità.
Il principio della costituzione mista può essere attuata solo nell’attività di governo e riguarda i criteri cui
deve essere informata: si riferisce alla ratio gubernandi e non allo status civitatis.

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47. La giustizia per Bodin


La giustizia può ispirarsi a 3 criteri:
1. aritmetico: si fonda sulla mera uguaglianza numerica ed è la norma di tutte le democrazie. La costituzione
democratica finisce col misconoscere la diversità delle posizioni sociali che sono il risultato dei diversi
meriti degli individui. Con la sua politica livellatrice determina un conflitto di interessi che esplode in lotte
civili.
2. geometrico: si riferisce al concetto di proporzione al quale richiamano le aristocrazie. Questo finisce, in
una costituzione aristocratica, per sancire l’oppressione dei pochi sui molti, che vengono esclusi dagli uffici
e dagli incarichi dello stato e non ottengono riconoscimento politico dal ruolo che svolgono nella società. Ha
una gerarchia sociale molto rigida che crea tensione con le categorie che cercano di affermare i propri diritti.
3. armonico: è il contemperamento del primo e del secondo e informa la costituzione monarchica. La
costituzione monarchica assicura il massimo di stabilità allo stato, riconoscendo ad ogni individuo quanto gli
spetta per il suo status sociale e per i suoi meriti. La monarchia è la forma di governo che più si avvicina
all’ordine naturale (per il quale i prudenti, i forti e i saggi devono comandare i prudenti, gli ignoranti e gli
inetti) perché solo la monarchia può fare da arbitro tra le due forze sociali che sono rappresentate
dall’aristocrazia e dal popolo.

Il monarca deve occuparsi delle questioni che attengono all’esistenza dello stato. Non può parteggiare per
nessuno, partito o confessione religiosa perché lo stato è al di sopra di ogni confessione. Bodin come
Macchiavelli dice che la religione è il fondamento dello stato. Il monarca deve mantenere incorrotta la
religione ed evitare che l’unità di fede e culto venga spezzata dalla pluralità delle confessioni.
La superstizione non equivale ala religione. Raccomanda al monarca di evitare sia la prima che l’ateismo.
Le confessioni nate dalla riforma sono le cause delle lotte che minacciano di distruggere il regno di Francia.
Il Cattolicesimo è invece l’ispirazione religiosa che ha ispirato il processo di unificazione della Francia
intorno alla monarchia e quest’ultima deve difenderlo. L’unità religiosa può essere ricostituita dal monarca
solo tramite una sincera professione della vera religione tramandata dalla tradizione del suo regno. Con la
forza dell’esempio porterà i suoi sudditi all’unità e alla pace religiosa.

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48. Suarez 1548 – 1617


Difende l’autonomia del potere politico sia contro le concezioni libertarie degli anabattisti che contro la
concezione luterana e calvinista che aveva riportato lo stato nella manifestazione della volontà divina.
Sostiene la distinzione tra temporale e spirituale.
Il diritto di natura è il fondamento dell’autonomia dello stato e il presupposto per la costituzionalizzazione
del potere politico.
L’assolutismo fondato dal diritto divino dei re non ha riscontro nel diritto di natura. Il sovrano è
responsabile dinnanzi alla sua comunità.
La comunità è costituita e posta in essere dagli individui, ma il potere, non scaturisce dagli individui ma
dalla comunità. La sovranità si fonda sul diritto di natura.
L’essenza del potere politico risiede nel comando, nella possibilità di imporre ai consociati un determinato
comportamento. L’uomo non possiede tale potere: ogni uomo è libero e in quanto razionale, ha diritto di
autogovernarsi. Egli non può governare un suo simile. Il potere non deriva dai singoli individui che lo
delegano ai governanti ma promana dalla comunità in quanto unità reale.
Non bisogna confondere il potere del pater familias con il potere politico. Il primo è un potere di direzione
mentre il secondo si esprime nel comando.
Il potere politico inerisce la comunità concepita come unità reale e costituisce il principio dell’indipendenza
e della libertà della stessa comunità.
La comunità politica è costituita da un insieme di individui che esprime volontà comune.
La sovranità non è attribuita da Dio ai monarchia ma è concessa dalla comunità al monarca.
Il potere deve quindi essere finalizzato al bene comune e da ciò derivano delle regole di condotta precise.
Quindi la comunità ha sempre diritto di resistere con la forza al re che si comporti da tiranno.
Nel costituire la società, ogni uomo non ha trasferito alla comunità il diritto di tutela dei propri beni e della
propria vita che quindi legittima i singoli a restaurare con la forza l’ordine politico che garantisce loro la vita
e i beni.
La monarchia, l’aristocrazia e la democrazia vengono scelte dalla comunità quali costituzioni che
corrispondono meglio alle loro particolari esigenze.
La democrazia corrisponde all’essenza della comunità in quanto il potere politico per diritto di natura
appartiene alla comunità. Mentre l’aristocrazia e la monarchia trovano il loro fondamento solo nel diritto
positivo umano. La democrazia si fonda sul diritto naturale e poi su quello positivo umano.
La legittimazione della monarchia risiede nell’atto del conferimento del potere da parte della comunità. Ma
ciò non significa che tale potere debba essere considerato assoluto e che la comunità sia assoggettata al
monarca. Il potere è affidato al monarca sotto determinate condizioni che devono essere rispettate dal
sovrano e che se fossero violate legittimerebbero la resistenza attiva del popolo nei suoi confronti.
Il potere risulta così costituzionalizzato nel senso che deve agire nell’ambito di norme che hanno un valore
superiore alla volontà di chi detiene lo stesso potere politico, in quanto si fondano sul diritto di natura e
perciò attengono ai principi fondamentali della persona e della comunità politica. Il diritto di natura diventa
la fonte delle norme del diritto positivo.
La sovranità trova dei limiti non solo nel diritto naturale e nel diritto divino ma deve rispettare anche le
norme che regolano i rapporti tra le singole comunità, i diritti delle genti (diritto internazionale)
È lecita solo una guerra giusta, combattuta per difendersi o per riparare a un danno subito.
L’esito vittorioso della guerra non esprime criteri di giustizia. La ragione deve governare i rapporti tra gli

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stati.

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49. Lo Stato Leviatano di Hobbes 1588-1679


Fu testimone e partecipe delle drammatiche vicende che caratterizzano quel periodo della storia inglese: il
conflitto tra Corona e Parlamento che culminò con la condanna a morte del re, la guerra civile ecc.
Il sentimento della sua vita fu la paura, insicurezza, timore delle avversità, rappresentato dalla guerra. Il vero
problema era capire cosa provoca la guerra, che sembra connessa alla società e alle sue istituzioni.
Anche per lui la politica presuppone un riferimento al diritto o alla legge di natura con l’avvertenza che il
concetto di natura deve essere definito con il metodo delle scienze fisico-matematiche. Queste sono
pervenute a conclusioni sancite dall’unanime consenso dei dotti. Secondo questi criteri l’uomo al quale si
riferisce la politica, deve essere concepito alla stessa stregua dei corpi studiati dalla fisica, sicchè come per i
corpi fisici il movimento è la loro sostanziale determinazione, anche per l’uomo in quanto corpo il
movimento è la sua essenza. L’uomo è un corpo dotato di moto vitale che inizia con la nascita e cessa con la
morte, denominato moto volontario. Il moto volontario si genera nella tendenza di ogni uomo che si esprime
nel desiderio e nell’avversione, il primo ci sospinge verso determinate cose, la seconda ce ne allontana. Il
sentimento dell’amore si riferisce alle cose che noi desideriamo e il male a quelle che noi avversiamo. Il
desiderio e l’avversione mantengono l’uomo in continuo movimento. Mentre per Aristotele la virtù si ottiene
eliminando desiderio e avversione, per Hobbes la felicità consiste da un continuo movimento, dal passare da
un desiderio all’altro, in quanto la soddisfazione del primo è la premessa per passare al secondo. Il desiderio
dell’uomo comprende tutte le possibilità di godimento che potranno verificarsi in futuro. Le capacità
dell’uomo hanno il solo scopo di procurargli i mezzi necessari per appagare i suoi desideri: esse sono il
potere dell’uomo. Poter naturale si riferisce alle attitudini del corpo e della mente e strumentale quando
acquisito grazie al continuo esercizio delle stesse facoltà.

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50. Lo stato di natura secondo Hobbes


La vita dell’uomo e tutti i movimenti che la esprimono non è altro che potere, perché l’uomo ritrova la sua
caratterizzazione essenziale in un continuo desiderio di aver sempre maggior potere.
Gli uomini nello stato di natura, perché tutti uguali, ritengono di essere tutti in grado di raggiungere i fini
che si sono proposti. Finiscono col volere le stesse cose. L’uomo allo stato di natura ha un potere assoluto su
tutte le cose, mosso dall’istinto di autoconservazione, dalla volontà di poter avere i beni necessari alla
sopravvivenza. Questi poteri non possono che entrare in conflitto tra loro. Lo stato di natura è caratterizzato
dalla guerra di tutti contro tutti. Nello stato di natura l’individuo è libero di usare il proprio potere per fare
ciò che ritiene più opportuno per la conservazione della sua vita. La libertà è l’essenza di impedimenti
esterni al potere dell’uomo. Nello stato di natura la libertà è assoluta, mentre la legge di natura, distinta dal
diritto che si riconnette al potere, deve essere considerata come una regola scoperta dalla ragione che vieta
all’uomo di fare ciò che è contrario alla conservazione della vita. Questa è la fondamentale legge di natura.
È molto più conveniente per la conservazione della vita, ricercare un sistema di convivenza con i propri
simili che garantisca pace, stabilità, sicurezza, benessere e godimento di quei beni che consentono di
appagare i nostri desideri.
L’unico modo per stabilire la pace tra gli uomini è cedere la potestà assoluta e la libertà ad un individuo o a
un gruppo di individui con l’incarico di governare: si costituisce così un corpo artificiale, politico, che è
dotato del più assoluto dei poteri in quanto è costituito dall’unificazione dei poteri assoluti dei singoli. La
pace è il fine ultimo della politica, il bene supremo. (Questo è il contratto sociale.)
Lo stato è l’assoluto dell’uomo, il potere che sottrae alla dispersione. È la forza che costringe la natura
lupesca dell’uomo a diventare socievole mediante il timore che deve incutere agli uomini affinchè sia
mantenuta la pace.
Il potere sovrano è insindacabile e la persona del sovrano è sottratta a ogni tipo di controllo. Al sovrano
appartiene anche di valutare il pieno diritto di pace e di guerra; è l’unico giudice di ciò che viene insegnato
ai suoi sudditi; appartiene al potere sovrano l’emanazione delle leggi, per disciplinare ed evitare conflitti; e
l’amministrazione della giustizia.
L’assolutezza del potere sovrano richiede che venga considerato indivisibile. Hobbes come Bodin, ritiene
che i tipi di costituzione siano solo 3: monarchia, aristocrazia e democrazia. La costituzione mista è una
mera costituzione intellettuale senza corrispondenza con la realtà, in quanto il potere è assoluto e
indivisibile. Le forme di governo devono essere giudicate con riferimento alla loro funzionalità, in relazione
alla loro capacità di mantenere la pace. L’unità della condotta politica può essere assicurata solo dalla
monarchia che è la migliore forma di governo. La garanzia di un governo efficiente è data dalla coincidenza
dell’interessa di chi governa con quello pubblico.
La coincidenza tra interesse privato e pubblico non si verifica invece nelle assemblee: per la diversità delle
opinioni che si manifestano e per la presenza di più partiti, i problemi politici non sono trattati sul piano di
considerazioni realistiche e positive ma mediante argomentazioni che riescano a suscitare il consenso della
maggioranza e quindi a livello della retorica. Le deliberazione riflettono l’interesse della parte che le ha
sostenute e fatte valere e non della collettività. Mentre il monarca è in grado di sollecitare e di avvalersi
dell’opera di consiglieri esperti che possono valutare le singole questioni politiche con serenità. Il consiglio
svolge la stessa funzione che la memoria e la ragione esercita sull’uomo. L’unica accortezza da seguire è di
sentire i consiglieri uno alla volta e di non riunirli mai in una riunione plenaria poiché si verificherebbe lo
stesso inconveniente delle assemblee, cioè si determinerebbe nei partecipanti uno stato d’animo che

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disporrebbe al discorso retorico, proprio perché il confronto con i propri simili risveglia nell’uomo
l’interesse e le passioni.
Le grandi assemblee politiche non sono costitutivamente idonee ad esprimere una condotta politica che
corrisponda ai reali interessi della comunità.

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51. Stato di natura e leggi secondo Hobbes


I rapporti che si istituiscono tra cittadini devono essere definiti tendendo conto che nello stato di natura non
sussistono leggi che regolano l’attività degli individui. Leggi di natura sono le qualità, i modi di essere della
natura umana che predispongono gli uomini a costituire e conservare la società. Nello stato di natura non ci
sono criteri per stabilire ciò che è giusto e ingiusto dato che l’uomo ha il pieno di diritto di utilizzare i mezzi
più idonei a difendere la sua vita. Solo con la costituzione dello stato si possono individuare i criteri con cui
distinguere il male e il bene. Questi criteri sono contenuti nelle leggi positive cioè nei comandi che il potere
rivolge ai sudditi. La legge di natura si risolve nelle leggi positive.
Nello stato di natura tutti i beni sono comuni onde ciascuno possiede solo ciò di cui si è appropriato e che
riesce a conservare con la forza. La proprietà privata ritrova il suo fondamento solo nella legge positiva che
dipende dalla volontà del potere sovrano. La proprietà non può essere concepita come un diritto opposto allo
stato dato che lo stato può far valere nei confronti del suddito il diritto su tutte le cose.
Le leggi positive sono la misura della libertà dell’individuo.
Il singolo può rifiutarsi al comando del sovrano che gli imponga di attentare alla sua vita o all’integrità del
suo corpo a seguito di una giusta condanna.

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52. Posizione della religione secondo Hobbes


Non può essere riconosciuta alla religione un fondamento ed una posizione autonoma che si esprime in una
organizzazione ecclesiastica indipendente dallo stato. L’unità dello stato richiede che anche la religione e la
chiesa vengano subordinate alla volontà sovrana che ha il diritto di fissare le norme che riguardano sia la
dottrina che il culto.
La religione è ricondotta ad una predisposizione naturale al senso del timore, di angoscia avvertito
dall’uomo allorchè si trova di fronte a fenomeni naturali che non riesce a spiegare. Oppure all’ansietà che lo
turba allorchè considera l’insicurezza del suo futuro. Essendo questo il fondamento della religione, l’uomo è
continuamente soggetto a cadere nella superstizione,a scambiare le sue credenze fantastiche con la vera
religione. È solo l’uso della ragione che salva l’uomo dalle superstizioni. La ragione è il criterio con cui
dobbiamo interpretare la parola di dio.
Il potere sovrano ha il diritto di sovrintendere alle questioni ch riguardano la religione e Hobbes lo sostiene
con 2 argomentazioni:
1. la prima si fonda sulla natura del contratto sociale mediante cui viene costituita la società politica. I
singoli diventano nello stato una sola persona pubblica che deve avere un solo culto al fine di rendere a Dio
la dovuta rivelazione. La pluralità delle opinioni in tema di religione costituisce una delle cause delle
tensioni che possono distruggere lo stato.

Occorre mantenere distinte le questioni spirituali da quelle temporali, che devono essere attribuite
all’esclusivo giudizio dello stato. Stato e chiesa sono due nomi che indicano lo stesso corpo politico, la
stessa istituzione sovrana, stato costituito da uomini, chiesa costituita da cristiani, cosicchè tra l’uomo
cittadino e il cristiano non ci può essere nessuna opposizione in quanto la distinzione è formale.

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53. Spinoza 1632 – 1677


Era un filosofo olandese.
Concentrò i suoi interessi nei rapporti tra filosofia, religione e politica per individuare i principi sui quali
fondare l’ordine politico in modo da risolvere i conflitti religiosi che dividevano le società politiche.
Il suo pensiero politico è sollecitato dalla situazione politica olandese caratterizzata dai contrasti tra i
calvinisti ortodossi e quelli che aderivano all’umanesimo erasmiano.
Dice che l’insidia più pericolosa per la ragione è la superstizione: la situazione di insicurezza e paura in cui
si trova l’uomo, spiega come mai sia portato a dare sempre una spiegazione fantastica ai fenomeni naturali e
ritenere che le vicende della sua vita siano determinate da entità da venerare.
Le divisioni e i conflitti dipendono dall’influenza che i teologi e gli ecclesiasti hanno acquistato sul popolo:
animati dall’ambizione si comportano più da retori che da dottori della chiesa, preoccupati di salvaguardare
il proprio prestigio e scalzare gli avversari. Questo ha svuotato la religione cristiana del suo contenuto per
ridurla ad un insieme di pratiche. La religione è degenerata in superstizione.

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54. Trattato teologico-politico di Spinoza


Bisogna procedere ad un esame del fondamento della religione cristiana che si riferisce alle sacre scritture e
al vecchio testamento.
Il Trattato teologico-politico è il primo moderno tentativo di esegesi del testo biblico. La bibbia deve essere
considerata alla stregua di un documento storico ed interpretata con lo stesso metodo di cui ci serviamo per
gli altri documenti storici.
Ritiene come Hobbes, che non ci sia differenza tra ragione, lume naturale quale è data a tutti gli uomini e la
ragione quale risulta dalla rivelazione dei profeti.
La società politica è la condizione necessaria affinchè gli uomini possano provvedere ai bisogni materiali e a
conseguire il perfezionamento della loro natura.
Poiché la maggior parte degli uomini cerca di perseguire il proprio utile, per fondare e mantenere la società è
necessaria l’istituzione di un potere coattivo che con le leggi riesca a controllare le passioni e le cupidigie
degli uomini.
Dato che la natura umana non sopporta la costrizione assoluta, occorre studiare i modi per temperare il
potere.
La religione ha il compito di far si che gli uomini obbediscano più per devozione che per timore. La
religione interviene in ausilio delle leggi dello stato affinchè il comportamento della massa si adegui alle
prescrizioni delle leggi.
La ragione e la filosofia hanno come oggetto la verità, la conoscenza intellettuale dell’identità di Dio e
natura. La religione e la teologia hanno come oggetto la pietà e l’obbedienza che debbono essere ispirate alla
massa degli uomini.

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55. Istinto di autoconservazione per Spinoza


Considera l’uomo come un dato della natura che ritrova nella sua potenza, nel suo istinto di
autoconservazione, nella volontà di vita, la causa di tutti i suoi comportamenti. Nello stato di natura l’essere
dell’uomo si identifica con la sua potenza. Gli uomini sono tutti uguali in quanto tutti si determinano sulla
base del puro istinto e non può esistere distinzione tra bene e male, giusto o sbagliato. Gli uomini dominati
da un solo istinto di autoconservazione, vivono in uno stato di guerra continua, in balia della sorte, senza
possibilità di garantire il proprio futuro. Questa situazione convinse gli uomini che l’unico modo per
sottrarsi a questa situazione era di associarsi per provvedere collettivamente a ciò che è necessario alla
sopravvivenza.
La differenza tra la concezione del contratto sociale di Hobbes e quello di Spinoza sta nel fatto che per
Spinoza la formazione della società civile avviene mediante la costituzione di un potere comune che deve
essere esercitato sulla base della volontà di tutti. La natura della società politica è essenzialmente
democratica in quanto gli uomini costituiscono la società in vista della utilità di ciascuno e di tutti e per
sottoporre il proprio comportamento alla guida della ragione. Se la società si fonda sulla ragione non si può
affermare che gli uomini si determinino nel loro com’portamento solo mediante la ragione: nell’uomo
permangono gli istinti e le passioni che sono i veri moventi delle azioni. Se potessero manifestarsi con piena
libertà provocherebbero la distruzione della società.

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56. Spinoza: il patto sociale


Il patto sociale attua un unione tra individui che collegialmente hanno il diritto di disporre di ciò che
appartiene alla società. Il potere sovrano non di distacca e si contrappone come in Hobbes alla totalità dei
cittadini, ma inerisce alla stessa collettività, cioè al popolo.
Occorre trovare un tipo di ordinamento politico che possa moderare gli animi e frenare sia i governanti che i
governati in modo che né questi si trasformino in ribelli, né quelli in tiranni. Le difficoltà di un ordinamento
politico a base democratica nascono dal fatto che gli uomini non regolano i propri comportamenti nella
società secondo i precetti della ragione, anzi, spesso si lasciano guidare dal proprio istinto che consiste nella
ricerca del piacere e nel sottrarsi ad ogni impegno che comporti sacrificio e fatica.
La prima esigenza dello stato è di resistere alla dispersione e disgregazione che sono generate dalle
passioni. Ribadisce il principio dell’assoluta obbedienza alla potestà sovrana perché la fedeltà dei sudditi è
la condizione indispensabile affinchè possa sussistere la società politica come garanzia di pace. L’individuo
con il patto sociale ha conferito tutto il suo potere alla collettività.

Non riconosce la legittimità della resistenza attiva nei confronti del potere tirannico. Il suddito non può
contrastare con la forza il tiranno ingiusto in quanto la sua azione avrebbe come conseguenza la fine dello
stato.
Per Spinoza utile e ragione coincidono.
Il potere dello stato sovrano è l’unificazione dei poteri dei singoli individui.
La democrazia è al forma di governo che più delle altre rappresenta l’essenza della società politica in quanto
realizza la coincidenza dell’utile di chi detiene il potere con l’utile della collettività.

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57. Spinoza: libertà come fine dello stato


Il fine dello stato è la libertà dell’individuo, l’organizzazione politica deve consentire all’uomo di vivere in
pace e sicurezza affinchè possa mediante la ragione affrancarsi dal dominio delle passioni e cooperare con i
suoi simili alla realizzazione di una sempre più compiuta vita sociale. Ogni individuo conserva il diritto di
giudicare e la libertà di pensiero che aveva allo stato di natura. È assurda la pretesa del potere politico di
imporre ai sudditi determinate convinzioni e di metter al bando questa o quella filosofia in omaggio al credo
filosofico di chi comanda. Lo stato che lo fa nega la sua ragion d’essere.

La libertà di pensiero deve essere connessa alla libertà religiosa. Se la religione è autonoma, se il sommo
bene è l’amore intellettuale di Dio.
La chiesa dipende dallo stato perché essa esiste nell’ambito della società politica e la sua azione è possibile
solo se la legge statale la riconosce. La religione è importante ai fini della salvezza del vincolo sociale,
dell’armonia e della disciplina, dato che in essa si esprimono i valori e i sentimenti che ispirano i
comportamenti della maggioranza. È la religione che ispira l’etica civile su cui si fonda l’ordine politico.
Lo stato si fonda sul’autonomia della ragione e il suo fine ultimo è la libertà di pensiero e religiosa, che è la
caratteristica indispensabile affinchè lo stato possa essere autonomo e indipendente, possa porsi come
autorità sovrana nei confronti dei singoli e delle confessioni religiose. Lo stato trova così la sua
legittimazione e non ha più bisogno di ricorrere al diritto divino per giustificare il suo potere di fronte ai
sudditi.

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58. Locke 1632 – 1704: trattati sul governo


La prima parte dei due trattati sul governo è dedicata alla confutazione di Filmer che in uno scritto aveva
riformulato la dottrina della istituzione divina del potere del re, ricollegandolo alla signoria che Adamo
aveva su tutte le cose e soprattutto sui suoi figli in quanto da lui generati. Il potere divino dei re ha un
riscontro con il potere che il padre esercita sui figli: come l’unità della famiglia si fonda sul potere del padre,
così la società politica si fonda sul potere del monarca.
La critica di Locke al pensiero di Filmer dice che è impossibile giustificare il potere sovrano sulla base del
diritto paterno di Adamo alla luce della Sacra Scrittura in quanto sono tanti e tali i fatti che caratterizzano la
storia di Israele che non si riesce a vedere come possa sussistere una continuità di potere tra Adamo e tutti
gli altri re di cui parla l’antico testamento. È impossibile trovare linee sicure per ricostruire la linea
primogenita della discendenza di Adamo alla quale possa essere riconosciuto il diritto di succedere nel
potere assoluto al progenitore.
Se non vogliamo affermare che il governo è espressione della forza e che gli uomini vivono come animali
tra i quali il potere è detenuto dal più forte dobbiamo ritrovare un fondamento umano al potere politico. Il
potere politico deve essere distinto dalle altre forme di potere. Il potere politico deve essere definito come il
diritto di far leggi con penalità, per il regolamento della proprietà, nella difesa della società politica da offese
straniere per il bene pubblico.
Il potere politico è la conseguenza della costituzione della società politica.
Lo stato di natura è la condizione prima alla quale dobbiamo riportare l’individuo per rendersi conto di ciò
che è effettivamente. Nello stato di natura l’individuo si comporta secondo le sue facoltà costitutive ed
uniformandosi alle regole che derivano dalla legge di natura la quale non può che coincidere con la ragione
dell’uomo. Lo stato di natura è caratterizzato dalla libertà di ciascuno nel rispetto della regola che ogni
individuo esprime un potere uguale a quello degli altri e che questo potere è finalizzato alla conservazione di
ciascun individuo. Libertà e uguaglianza sono i principi dello stato di natura.
Il principio di libertà e uguaglianza nello stato di natura sancisce l’obbligo per ciascuno di non violare la
sfera dell’autonomia e dell’indipendenza dell’altro e non arrecare danno ai beni che ineriscono l’individuo:
vita, salute, libertà, possesso di cose. Ogni individuo nello stato di natura può respingere l’offesa dell’altro
con la forza.
Distinzione tra forza e violenza: la forza è volta alla difesa e alla restaurazione della legge di natura che
sancisce la coesistenza dei singoli nel rispetto della libertà dell’uguaglianza. La violenza è diretta a
offendere e comprimere l’autonomia dei singoli.
Mentre per Locke lo scontro tra individui implica la difesa e la restaurazione del diritto di natura, per
Hobbes lo stato di natura è la manifestazione di un assoluta volontà di potenza degli individui, senza la
possibilità di individuare alcun criterio di giustizia. Hobbes dice che non sempre nello stato di natura vince
chi resiste a un ingiusta aggressione per cui la vittoria non può essere assunta come criterio di giustizia. Ma
Locke considera solo il caso in cui l’aggredito sia riuscito a sconfiggere il suo aggressore e ritiene che i
conflitti allo stato di natura non possono che terminare con la vittoria della forza sulla violenza.
La schiavitù, il potere che il signore esercita sul servo si fonda sulla forza giusta: nello stato di natura è
lecito uccidere l’aggressore che abbia attentato alla nostra vita oppure conservarlo in vita in cambio di
servizi che deve prestarci. Il rapporto servo-padrone appartiene alla società naturale e non può essere
considerato come presupposto del potere politico.

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59. Locke: la proprietà e il lavoro produttivo


Il diritto alla vita implica il pieno godimento dei beni acquisiti. La proprietà è l’ambito materiale nel quale si
attua la libertà e l’autonomia dell’individuo nello stato di natura: è il diritto naturale che garantisce l’attività
che l’individuo svolge per mantenersi in vita. La terra e i suoi prodotti sono di tutti gli uomini che per diritto
di natura hanno l’esclusiva proprietà di se stessi. Gli uomini sono proprietari del loro lavoro cioè delle loro
energie fisiche. In conseguenza di take diritto l’uomo fa sue tutte le cose che ha trasformato con il suo
lavoro. Solo con il lavoro le cose naturali vengono trasformate in beni atti a soddisfare i bisogni. La
proprietà diventa la misura della capacità, dell’industriosità, dell’abilità, dell’energia che l’individuo è in
grado di esprimere.

La società naturale si attua spontaneamente allorchè ciascun individuo svolge la sua attività per procacciarsi
i beni che gli sono necessari e perciò stabilisce con i suoi simili dei rapporti di collaborazione. Il lavoro
produttivo è la ragion d’essere della società di natura. La tutela della libertà, della proprietà privata e
dell’indipendenza è affidata al singolo il quale se assalito ha il diritto di respingere l’offensore infliggendogli
la pena: l’individuo diventa giudice e parte in causa il che è un inconveniente perché non può garantire la
giustizia obiettiva che è il principio fondamentale della legge di natura.

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60. Locke: scopi della società politica


Al fine di stabilire un’autorità al di sopra delle parti che possa amministrare la giustizia, i singoli si
accordano per fondare la società politica la quale ha come scopo tutelare la libertà, l’indipendenza e
l’autonomia dei singoli e le loro proprietà private. L’individuo preesiste con i suoi diritti naturali alla società
politica la quale trova la sua ragion d’essere nel consenso di coloro che l’hanno costituita. Nessun vincolo
può essere imposto all’individuo se non viene da lui accettato. L’individuo in tal modo si spoglia a favore
della società politica del suo potere esecutivo cioè del suo diritto di difendere con la forza la sua vita, libertà,
proprietà e costituisce un potere pubblico per la difesa dei suoi diritti.
Conseguenza diretta è che le deliberazioni della maggioranza vincolano la minoranza.
La costituzione che meglio corrisponde al fondamento consensuale della comunità politica è quella che si
fonda su 3 poteri:
1. legislativo: è il potere supremo che formula le leggi mediante cui deve essere regolata l’attività
dell’individuo e che devono avere di mira la conservazione della società. Ma deve prestare obbedienza ai
limiti posti dalla legge di natura che non si identifica come diceva Hobbes, con il diritto positivo dello stato
ma sussiste come sistema di principi che disciplinano l’attività legislativa. Non può emanare disposizioni
arbitrarie sulla vita e sulla proprietà dei cittadini, né può privare il cittadino di parte della sua proprietà senza
il suo consenso.
2. esecutivo: ha il compito di eseguire o fare eseguire le leggi. La libertà politica è garantita quando il
potere di fare le leggi e quello di eseguirle sono affidati a due gruppi distinti di persone: se chi fa le leggi le
fa anche eseguire ha la possibilità di sottrarsi alle leggi e di volgerle a suo vantaggio.
3. federativo: si occupa dei rapporti con le altre comunità politiche e che implica il potere di guerra e pace e
di stipulare trattati di alleanza. Il potere esecutivo e federativo non possono essere affidati a due diversi
gruppi di persone in quanto ambedue richiedono l’uso coordinato della forza politica.

L’esecutivo-federativo è subordinato al legislativo che è il potere supremo.

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61. Vico 1668 – 1744: I metodi degli studi del nostro tempo
Scrive I metodi degli studi del nostro tempo in cui la politica come scienza e arte di governo è riferita alla
prudenza, all’accortezza con la quale cerchiamo di renderci conto della particolarità degli eventi e ci
sforziamo di individuare i principi e le regole che si adattano a un determinato fatto. La prudenza e la
saggezza politica consiste nella capacità di saper valutare le situazioni in quel che hanno di peculiare onde
saper usare i mezzi adeguati ad esse. Ma le situazioni non sono altro che il risultato dell’attività umana
determinata dall’arbitrio dell’uomo e caratterizzate dall’incertezza e dal presentarsi con caratteristiche
sempre differenti ed essere sempre nuove.
La scienza della natura tende a una conoscenza unitaria che si esprime mediante un principio che ci consente
di spiegare la realtà mentre la politica cerca di conoscere le cose per individuare le possibili cause di esse e
scegliere poi la più probabile.
Va riconosciuto un valore positivo non solo al principio razionale della mente ma anche alle passioni che
dominano il campo del concreto agire umano e della politica: passioni che devono essere comprese e
indirizzate verso i fini che la mente definisce sul piano del vero. Il che è possibile colo con l’eloquenza che
sa commuovere e entusiasmare gli animi.

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62. Vico: il vero e il fatto


Il criterio sul quale fondare la ragione deve essere individuato tenendo conto della distinzione tra il vero e il
fatto della successiva reciproca conversione del vero e del fatto: si può avere una vera scienza solo dalle
cose che noi facciamo: la scienza deve preoccuparsi di trovare il modo onde le cose che intendiamo
conoscere si generano. Da questo punto di vista solo Dio ha una vera scienza della natura in quanto creatore
dell’universo. L’uomo può avere di essa solo una conoscenza limitata. La matematica e la geometria sono
scienze vere in quanto i principi sono formulati dalla mente umana.
La vera conoscenza scientifica si riferisce alla storia in quanto è fatta dagli uomini. Tutte le manifestazioni
del fare degli uomini sono collegate tra di loro e si compongono in una sistematica connessione nelle società
politiche. Intimo nesso tra storia e politica.
Afferma il primato della politica come scienza del mondo umano delle nazioni sulle scienze della natura in
quanto perviene ad una conoscenza esaustiva del suo oggetto di studio.
La politica deve considerare la reciproca conversione del vero e del fatto, resa possibile dalla mediazione
del certo che è una parte della verità, che può essere conosciuta dall’uomo nelle particolari condizioni
storiche in cui si trova.
La certificazione del vero avviene mediante l’autorità che consente al fare dell’uomo di consistere come
mondo umano e di costituire e far sussistere lo stato.

L’autorità come certificazione del vero è connessa al fare dell’uomo, come principio costitutivo della sua
umanità e personalità. L’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio: Dio è sapienza, volontà e potenza.
Anche l’uomo è sapienza, volontà e potenza ma a motivo della sua originaria corruzione queste tre facoltà
divergono tra loro nel senso che la volontà pretende di dominare la ragione. Da questa pretesa si genera la
cupidigia da cui scaturisce l’amore di se stessi. La cupidigia è eccitata dalle cose finite e corporee di cui
sentiamo la mancanza, che si compongono agli uomini tramite i sensi. I sensi che sono stati dati all’uomo
per la difesa della vita, vengono assunti come arbitri in grado di giudicare il vero delle cose. La ragione
sottomessa ai sensi non può conoscere il vero. La corruzione dell’uomo significa il dominio della volontà
che dovrebbe essere suddita alla ragione. La stoltezza dell’uomo consiste nella sapienza dei sensi che è la
causa dell’ignoranza del vero da cui scaturisce l’infelicità dell’uomo.
L’uomo è costituito da mente e corpo: la prima è spirituale, la seconda è finita e materiale.
Le tre facoltà dell’uomo, la ragione, volontà e potenza, sono connesse tra loro nel senso che in ognuna di
esse sussistono le altre. Una di esse può attuarsi solo se realizza le altre due. Le tre facoltà si esprimono nel
fare dell’uomo: come dominio, in quanto diritto di usare le cose secondo ragione; come tutela in quanto
diritto di difendere la nostra vita e di provvedervi; come libertà in quanto diritto di determinare le nostre
azioni. L’autorità è costituita dal dominio, tutela e libertà.
Il primo modo in cui si manifesta l’autorità è la forza cioè l’energia con cui l’uomo si realizza come unità
sussistente. La forza è l’inalienabile diritto dell’uomo alla vita e come dominio delle cose necessarie alla sua
vita, come tutela alla sua vita, come libertà contro ogni forma di asservimento. La forza non è un dato fisico
ma si genera nell’interiorità dell’uomo che sola può disciplinare e indirizzare il movimento del corpo.
L’uomo si distingue dagli animali e dai bruti in quanto si muove e non subisce con passività gli impulsi che
riceve dall’esterno.
Distinzione tra forza e violenza: la forza è l’energia umana con cui si fa valere la ragione, la giustizia, il
diritto; La violenza promana dal predominio della volontà sulla ragione, dalla cupidigia, dal dominio dei

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sensi sulla ragione, è negazione della ragione, della giustizia e del diritto, non fonda la società ma la
strumentalizza e la sfrutta.
La società si costituisce in quanto esprime una forma di partecipazione degli uomini alla verità alla giustizia,
all’equità.

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63. Vico: l’uomo e il ciclo della società


L’essenza della società politica si esprime nella sua genesi storica: occorre quindi analizzare il processo di
formazione della società con riferimento all’uomo primitivo che vive allo stato di nature.
L’uomo primitivo non è diverso dalle bestie: conduce una vita errabonda e ferina vivendo nella promiscuità.
Nell’uomo primitivo la ragione è sprofondata nel corpo, rinchiusa nell’istinto. Tali nature non riescono a
stabilire alcun rapporto tra loro. La genesi del movimento attivo dell’uomo che gli consente di uscire dalla
vita bestiale è connessa a due fondamentali modi di avvertire e conoscere la realtà che si fondano sulla
religione e sulla fantasia, sulla capacità che ha l’uomo di vivere una particolare esperienza e di raffigurarsi
questa stessa esperienza. La prima esperienza religiosa di uomo primitivo deve essere commisurata alla sua
immane natura. Si esprime nel terrore religioso che l’uomo prova in occasione di un fenomeno naturale, il
fulmine.
Il terrore religioso rinserra gli uomini primitivi nelle grotte e li sottrae alla loro libertà bestiale. Li induce a
cercare di interpretare le manifestazioni del cielo, i fulmini, il volo degli uccelli, per conformarsi al volere
della divinità. Il primo rapporto da cui si origina la sua umanità è quello che l’uomo stabilisce con Dio.
Al terrore religioso è connesso un altro sentimento da cui si generano tutte le regole che disciplinano il
comportamento dell’uomo: il pudore per cui l’uomo non si accoppia più con la donna davanti ai suoi simili
ma poiché teme Dio si nasconde nelle grotte trattenendo con sé la sua compagna. Si esprime così il vero
rapporto umano. L’unione dell’uomo con la donna.
Lo scopo del matrimonio è di certificare la prole: la certificazione dei rapporti tra genitori e figli è il
presupposto di ogni tipo di società.
Il timore di Dio e il pudore generano un altro sentimento in virtù del quale l’uomo si riconosce nel suo
simile e lo riconosce come uomo: la pietà verso i defunti: per questo l’uomo non abbandona il morto ma lo
seppellisce.
Il timore di Dio, il pudore e la pietà verso i defunti si manifestano nelle prime 3 istituzioni dell’umanità: la
divinazione, i matrimoni e le sepolture.
Il processo di evoluzione del gruppo familiare è promosso dall’esigenza di procurare i mezzi di sussistenza e
coltivano la terra: nasce così la prima delle arti umane: l’agricoltura a cui si dedicano quei gruppi umani che
per aver espresso una forma di culto, per contrarre nozze, per osservare il rito delle sepolture, costituiscono
le genti maggiori. A queste si contrappongono le genti minori che sono formate da gruppi umani che
continuano nella vita ferina propria dell’orda primitiva. Questi uomini invadono i campi coltivati dalle genti
maggiori che parte ne uccidono e parte ne conservano in vita a patto di coltivare la terra: il rapporto servo-
padrone esprime la genesi della società politica e si fonda sulla forza.
Con la tutela si costituisce la famiglia vera e propria che è formata dai genitori, dai figli e dai famoli, cioè
dai clienti che in cambio della protezione lavorano i campi e prestano i servizi per la famiglia e per il gruppo
gentilizio cui appartengono. Si forma il primo nucleo politico composto da individui non uniti dal vincolo di
sangue ma sono assoggettati al dominio dell’assoluto potere sovrano del pater familias. Si esprime così la
seconda forma di autorità, quella del pater familias.
Il rapporto tra genti maggiori e minori, tra nobili e clienti è la premessa per intendere il processo storico-
politico che portò alla costituzione della società politica e alla terza forma di autorità, quella che si esprime
nello stato.
Le società primitive del periodo delle cosiddette monarchie familiari sono caratterizzate da ammutinamenti
di famoli contro i nobili. Dal conflitto tra genti maggiori e minori nasce la prima forma di comunità statale: i

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gruppi gentilizi: i padri di famiglia si riunirono in ordini cioè misero in comune le loro forze e i loro averi e
nominarono un capo comune per guidarli nella lotta contro i famoli ammutinati. Si costituì la prima
comunità politica mediante l’unione di più gruppi gentilizi: terza forma di autorità, quella dello stato. Le
prime città furono costituite dai soli eroi, la classe aristocratica.

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64. Dominio e stato secondo Vico


La rivolta delle genti minori è risolta con una prima concessione da parte delle genti maggiori: il cosiddetto
dominio bonitario dei campi che è consentito alle genti minori sulla base di una concessione del gruppo
gentilizio: è questa la prima legge agraria che regola i rapporto tra aristocrazia e plebe.
L’emanazione della legge delle XII tavole è la seconda importante vittoria della plebe conto l’aristocrazia. Il
motivo ispiratore della famosa legge fu di garantita alla plebe il dominio quiritario, proprio dei nobili, la
proprietà piene. Ma la proprietà delle genti minori, alla morte del proprietario ritornavano all’originario
concedente aristocratico in quanto la plebe non aveva diritto di disporre per testamento il patrimonio. A tal
fine la plebe pretese e ottenne il diritto di contrarre a nozze solenni, partecipando agli auspici dei nobili e
conquistando la piena cittadinanza. Ottenuta la ragion privata degli auspici, cioè quanto attiene al dominio,
alla libertà , alla tutela, i plebei conseguirono la ragion pubblica cioè furono ammessi al consolato, ai
sacerdozi e al pontificato.
Venne poi concesso la parificazione della plebe alla nobiltà.
Il dominio, la tutela e la libertà sono le fasi del processo storico di formazione e svilupo delle società
politiche. Il dominio è caratteristico delle monarchie familiari, la tutela è la ragion politica delle aristocrazie,
la libertà è il risultato di un processo storico in cui la ragione eroica delle classi dominanti si venne
umanizzando sotto pressione delle richieste delle genti minori.
Punto più alto cui perviene lo stato si realizza quando si perviene ad una reale compartecipazione tra
politica, leggi e ragione quale si esplica nella filosofia e nelle discipline scientifiche. Lo stato può essere
concepito come un uomo in grande in quanto non è altro che l’originaria autorità naturale dell’uomo.
Lo stato deve essere concepito come un entità che consiste nel diritto. La prima legge universale è l’uomo,
la seconda è quella del pater famiglia, che precedono lo stato e in esso si integrano.
Lo stato di Vico è o stato-sovranità di Bodin: è l’autorità verso cui convergono tutte le altre autorità che
sussistono nell’ordine civile.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

65. Società politiche per Vico


Le società politiche nascono, crescono, maturano e decadono sino alla distruzione (sviluppo ciclico delle
costituzioni – Polibio).
La religione è il fondamento della società politica: l’uomo si toglie dal suo stato errabondo quando riconosce
un’entità superiore che lo domina e lo governa.
La ragione ritrova la sua energia nella religiosità, nella fantasia che la alimentano e che le consentono una
presa vitale sulla realtà.
La crisi dell’ordine politico si determina allorchè la libertà ha perso l’avvertenza del suo fondamento etico-
religioso, dei principi oggettivi che segnano un confine sicuro tra libertà, licenza e arbitrio ed è vista in
funzione dell’utilità dei singoli individui o delle fazioni che riescono a impadronirsi del potere. Tra la
ragione e l’ordine politico c’è un nesso vitale: come la ragione è promossa dall’ordine politico in quanto ne
costituisce la sua più vera legittimazione, perché la ragione riconosce quella verità che è a fondamento della
società politica, la ragione è coinvolta nel processo di decadenza e disarticolazione della società e ne
diventa una delle cause principali in quanto impedisce che gli individui possano comunicare tra loro il vero e
l’equo che fanno consistere la società politica.
A situazione di anarchia che si determina può avere 3 soluzioni:
1. il popolo può consentire che tutti i poteri vengano concentrati nelle mani di uno solo che con la forza delle
armi garantisca pace e sicurezza. Il monarca rende tutti uguali nei suoi confronti, difende il popolo dai
potenti e garantisce al popolo la libertà naturale.
2. quando i popoli non consentono che un monarca concentri in sé tutti i poteri, è destinato a essere
governato da altre nazioni che l’hanno sottomesso. Chi non è in grado di governare deve essere governato da
chi ne è capace.
3. crisi dell’ordine politico e della civiltà che investe la società umana che è dominata dalla cupidigia dei
beni materiali. Questo genera nella società la violenza, la ferocia, la crudeltà che scatena gli uomini gli uni
contro gli altri in lotte che hanno fine solo quando tutto viene distrutto e l’uomo viene riprtato alle
condizioni iniziali tipiche dello stato di natura.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

66. Montesquieu: Lo spirito delle leggi


La Francia di Richelieu, Luigi XIV voleva una monarchia di diritto divino
Montesquieu trova ispirazione nella polemica nei confronti della monarchia assoluta di Luigi XIV come
forma di governo che contrasta le tradizioni politiche della Francia e degli stati europei.
La libertà è il bene che ci fa godere di tutti gli altri beni.
Scrive lo spirito delle leggi. Le leggi sono analizzati con riferimento alle manifestazioni della vita sociale.
Sono 32 libri distinti in 6 parti. Le prime due trattano temi politici come le forme di governo e la monarchia
costituzionale fondata sulla divisione dei e poteri e sulla libertà politica del cittadino. La parte terza illustra i
rapporti tra la legge e il clima, l’ambiente e lo spirito generale della nazione. La quarta si riferisce alle leggi
che attengono al commercio, alla moneta alla popolazione. La quinta esamina i rapporti tra legge e religione.
La sesta studia le origini e la formazione delle leggi.
Il concetto di legge deve essere fondato sul principio che ci consente di intendere il diverso, il particolare e il
generale. Le leggi sono la manifestazione di un ordine articolato che si fonda sulla natura delle cose. Sono i
rapporti necessari derivanti dalla natura delle cose.
Le leggi positive, poste dalla ragione dell’uomo che a differenza del mondo fisico e degli animali è capace
di formulare le regole per il suo comportamento. L’uomo è sottoposto alle leggi divine e a quelle della
natura.
La società è un fatto naturale e l’uomo deve costituirla. Nello stato di natura l’uomo non ha una ragione
attiva ma solo la facoltà di ragionare: è dominato dall’istinto di conservazione, consapevole della propria
debolezza, dell’avvertenza dei bisogni, del desiderio di comunicare con i suoi simili. Dalla famiglia si
generano i gruppi sociali primari: le genti, tribù, villaggi. Il gruppo implica la coordinazione delle attività di
più individui per il perseguimento di scopi che non possono essere raggiunti dai singoli.
La formazione di gruppi sociali distinti, la necessità di provvedere ai conflitti pongono le premesse da cui
scaturiscono i 3 tipi di diritto:
1. diritto delle genti: regola i rapporti tra le diverse società
2. diritto politico: disciplina i rapporti tra governanti e governati.
3. diritto civile che regola i rapporti tra gli individui

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

67. Montesquieu: legge e ragione umana


Il diritto è formato dalle situazioni in cui vengono a trovarsi gli uomini.
L’area della politica che si riferisce allo stato è determinata dal confluire delle forze particolari nella forza
generale, dei rapporti tra le forze particolari cioè gruppi sociali minori nei quali è inserito l’individuo.
L’unione delle forze particolari richiede anche l’unione della volontà dei singoli che determina la
formazione dello stato civile, della società civile, distinta dallo stato, che è il presupposto del diritto civile,
distinto da quello politico. Questo si fonda sulle forze particolari cioè su gruppi sociali minori, il diritto
civile sulla volontà degli individui.
La legge è la ragione umana in quanto governa tutti i popoli della terra. E le leggi politiche e civili sono casi
particolari in cui questa ragione umana si applica.
Cogliere il nesso che unifica tutte le leggi rispettandone le particolarità, stabilire le relazioni fra esse e quelle
con l’ambiente, con i popoli, la storia, significa intendere lo spirito delle leggi.
Le leggi devono essere adatte al popolo per il quale sono fatte; devono essere in rapporto con la natura e con
il principio di governo costituito; devono essere in relazione col carattere fisico del paese; devono essere in
rapporto col grado di libertà che la costituzione è capace di sopportare, con la religione degli abitanti, le loro
disposizioni, la loro ricchezza, il loro numero. Finalmente esse hanno relazioni reciproche tra loro. Esse nel
loro insieme formano lo spirito delle leggi.

Nella prima parte l’analisi viene finalizzata al problema della libertà politica che è definita con riferimento
alla sfera di autonomia e indipendenza di cui può godere l’individuo. La libertà coincide con le leggi
positive nel senso che il diritto delimita la sfera di azione dell’individuo nella società. La libertà è il diritto di
fare ciò che le leggi permettono. Se un cittadino potesse fare ciò che le leggi proibiscono non sarebbe più
libero perché tutti gli altri avrebbero anch’essi lo stesso potere. Noi siamo liberi perché viviamo sotto leggi
civili.
La libertà deve essere riferita alla sfera patrimoniale che diventa la pietra angolare sulla quale si basano tutti
i rapporti della società civile. Acquistano importanza le leggi che disciplinano la sfera patrimoniale. Devono
consentire a ogni individuo di accedere alla proprietà. La proprietà appartiene alla sfera del diritto civile e
quindi non può essere regolata dal diritto politico. Nessuno può essere privato dei suoi beni sulla base della
legge politica.
La libertà implica anche la sicurezza dei cittadini, assicurati dalle leggi con cui vengono tutelati i beni
personali fondamentali: la vita, l’onore, il patrimonio.

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68. Tre tipi di governo per Montesquieu


Esistono 3 tipi di governo e quindi 3 costituzioni:
1. repubblica: si ha quando il potere sovrano appartiene al popolo e può essere aristocratico (sovranità ai
nobili) o democratico (sovranità a tutto il popolo).
2. monarchia: il potere è di uno solo, che però governa secondo leggi fondamentali che disciplinano e
delimitano il suo potere
3. dispotismo: il potere appartiene ad uno solo che governa a suo arbitrio.

La natura del potere sovrano deve essere distinta dal principio di ciascuna delle tre costituzioni. I principi
sono: la virtù: come amore della patria per il governo repubblicano democratico o come etica della
moderazione di quello aristocratico; l’onore per il governo monarchico come rifiuto di compiere alcun atto
che possa ledere la dignità, l’indipendenza; la paura per il governo dispotico.

La monarchia è la forma di governo basata sulle leggi fondamentali che riflettono una società gerarchizzata
e articolata e strutturata in una molteplicità di ordini. I poteri intermedi costituiscono la natura del governo
monarchico. Lo stato è più saldo, la costituzione più incrollabile, la persona dei governanti più sicura. La
monarchia è caratterizzata dall’esistenza dei corpi intermedi che si pongono tra i cittadini e chi detiene il
potere impedendo a quest’ultimo di raggiungere il cittadino dove il comando deve essere mediato da una
molteplicità di istituzioni che garantiscono all’individuo la libertà. Tra i poteri intermedi il più importante è
la nobiltà formata dall’aristocrazia di sangue e dall’aristocrazia minore cui apparteneva la nobiltà minore.

La politica si propone fini che possono essere conseguiti con la coordinazione di una molteplicità di
provvedimenti e azioni i cui risultati impegnano più generazioni. La vita degli stati e dei popoli deve
svolgersi in una unità.
La politica non è fatta dagli individui ma dalle istituzioni cioè dagli individui connessi agli interessi generali
e permanenti di una determinata collettività che sono in grado di esprimere le caratteristiche peculiari di un
popolo. Gli interessi dello stato possono essere garantiti solo salvaguardando i principi informatori delle
leggi fondamentali. Ma perché ciò sia possibile occorre che ci sia nello stato un deposito delle leggi che le
conservi e le faccia valere. Questa funzione non può essere assolta da un monarca perché è un individuo e
quindi una volontà mutevole che può diventare arbitraria. Deve essere assolta da un potere intermedio, la
magistratura.
Affinché il poter non esca dalla sfera che gli è propria deve essere mantenuto nei limiti da u altro potere che
gli si contrapponga.
La forma di governo che offre maggior libertà è la monarchia moderata, temperata dalle leggi fondamentali.
La sovranità deve essere distinta in 3 poteri: esecutivo, legislativo, giudiziario. Questi poteri sono tali in
quanto sono attribuiti a tre distinti ordini sociali. Possono controllarsi a vicenda contrapponendosi a chi tenti
di sopraffare l’altro.
Il dispotismo si attua quando nello stesso organo si concentra il potere di fare le leggi, eseguirle e giudicare.
Nello stato costituzionale alla monarchia viene attribuito il potere esecutivo, all’aristocrazia e al popolo
quello legislativo, all’aristocrazia di toga il giudiziario. Il potere legislativo deve essere organizzato in due
camere sul modello inglese: la prima rappresenta il popolo, la seconda l’aristocrazia.
Montesquieu sostiene la monarchia costituzionale.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

La religione è un freno per il potere politico alla sua tendenza di diventare assoluto. Il Cristianesimo ha
ispirato i principi del diritto pubblico europeo dal quale trae fondamento la monarchia costituzionale.
Un territorio ristretto favorisce la costituzione repubblicana, un territorio medio quella monarchica
costituzionale, uno vasto quello dispotico.
La costituzione politica, il sistema delle leggi positive che v corrisponde e i principi delle forme di governo
sono il risultato di un lungo processo storico.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

69. Pensiero politico di Rousseau 1712 – 1778


Ha il suo centro ispiratore negli ideali della libertà e dell’uguaglianza che devono essere fatti valere con un
rinnovamento totale della società, delle tradizioni, delle leggi, delle istituzioni. Tale rinnovamento trova
esito nella democrazia. Conclude il giusnaturalismo.
L’uomo civilizzato nella società nega i principi, i valori, l’ordine della natura.
Scrive “il discorso sulle scienze e sulle arti” in cui è esaminato il concetto di progresso e si tratta di capire se
ha reso l’uomo più civile. Dice che non ha portato alcun miglioramento.
Il progresso delle scienze e delle arti si traduce in un aumento di ricchezza che determina l’amore per gli agi,
il lusso… l’amore per la ricchezza fa perdere di vista alla società gli scopi della sua costituzione, il valore
della virtù civica, il sacrificio per il bene della comunità.
Contrappone i costumi rozzi ma naturali, spontanei, sinceri a quelli civili ma corrotti: la civiltà promossa
dalle arti e le scienze nasconde l’artificiosità dei sentimenti.
La scienza tiene a diventare uno strumento politico nelle mani dei governanti e si fa portatrice non tanto di
verità quanto di opinioni che avalla con il prestigio della sua autorità.
La diffusione dei lumi promossa dall’enciclopedia non promuove una crescita culturale ma si fonda sul
nozionismo e nasconde le difficoltà reali connesse all’acquisizione di autentica cultura.
È sostenitore della primitiva ignoranza, della semplicità e spontaneità dell’uomo primitivo. La ragione e la
scienza sono svuotate da qualsiasi contenuto etico e umano.

La contrapposizione tra l’uomo come è nella natura e la società civile quale risulta dal progresso è
approfondita nel “discorso sull’origine della ineguaglianza. Vuole individuare le cause in cui l’uomo
originariamente libero e felice perviene ad una situazione opposta. L’uomo vero e autentico era quello dello
stato di natura quando non c’erta la società civile. Nello stato di natura l’uomo è libero ed uguale, è
sollecitato dall’istinto e dai bisogni e conduce una vita semplice e tranquilla. Al contrario di Hobbes, per
Rousseau l’uomo primitivo è pacifico. La natura umana si esprime nell’amor di se stesso che è temperato da
un altro sentimento: la pietà che l’uomo avverte nei confronti dei suoi simili. La civiltà tende ad attenuare il
sentimento fondamentale dell’uomo perché la ragione dissolve la compassione. La ragione educa il
sentimento contrapposto all’amor di se stesso, l’amor proprio per cui l’uomo diventa individuo cioè si
chiude in se stesso e riporta tutto a se stesso cercando l’esaltazione di sé per primeggiare sugli altri.

La scoperta delle arti, la lavorazione della pietra, ferro, bronzo, l’agricoltura, consentono all’uomo di
formare associazioni naturali: la famiglia, la tribù, il villaggio, in cui si esprime la socialità primitiva
dell’uomo. Si pongono le prime differenze tra gli uomini connesse alle attività che si svolgono in quelle
prime società naturali. Queste disuguaglianze vengono istituzionalizzate e riconosciute con l’istituzione
della proprietà privata che è il moltiplicatore delle ineguaglianze e la loro legittimazione. La ineguaglianza
genera nella convivenza umana le passioni e la primitiva etica comunitaria si corrompe. Il contrasto tra
ricchi e poveri determina uno stato di guerra permanente di tutti contro tutti. Questa situazione indusse i
ricchi che vedevano in pericolo i loro patrimoni a proporre una nuova forma di associazione che garantisse
la pace per tutti e i beni di tutti con la costituzione di un potere supremo che imponesse a tutti il rispetto di
comuni norme di convivenza. È questa l’origine della società politica fondata su un contratto sociale
proposta dall’intelligenza dei ricchi che raggirarono i più deboli. Il progresso delle società politiche ha
rafforzato sempre più il predominio dei pochi sui molti.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti
Più la società progredisce più l’uomo diventa schiavo di essa. Il termine finale di questo processo è il
dispotismo che riproduce rovesciata, l’originaria situazione della società di natura. Tutti si trovano alla
mercè del potere dispotico.
La storia è un progresso degenerativo che svuota l’uomo della sua vera umanità.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

70. Rousseau: famiglia e stato


Il governo della famiglia deve essere distinto da quello dello stato. Il potere politico non può derivare da
quello paterno come aveva sostenuto Filmer. L’economia privata deve essere indirizzata alla famiglia e deve
informarsi ai criteri che sono propri dell’ordine familiare mentre l’economia pubblica deve essere finalizzata
allo stato.
La società può essere considerata come un corpo organico vivente simile a quello dell’uomo.
L’io comune si esprime come volontà generale che ha come scopo la vita del corpo politico e dispone in
viste della difesa e della conservazione del corpo politico. La volontà generale esprime la regola del giusto e
dell’ingiusto ed è la fonte della moralità pubblica e privata. Il bene della collettività deve essere il fine della
volontà di tutti.
Per poter esprimere la volontà generale si richiede che gli individui siano liberi, che abbiano la possibilità di
ricercare i fini della collettività in modo da poter conciliare la libertà dei singoli con l’autorità, il bene
individuale con quello della società. Ciò è possibile grazie alla legge che è il comando oggettivo in quanto
espressione della volontà generale.
Afferma il primato delle leggi come l’insieme delle regole che consentono agli uomini di essere liberi e
uguali.
Il compito di chi governa è di mantenersi fedele alle leggi perché sarà di esempio. L’arte di governo è il
saper orientare le coscienze dei cittadini affinchè il loro comportamento si adegui alle leggi. Il governo
saggio riesce a nascondere il suo potere.
La virtù civile e repubblicana si esprime nella libertà e nell’uguaglianza che è possibile quando le leggi
impediscono la formazione di disparità sociali, favorendo la redistribuzione della ricchezza tra il maggior
numero di cittadini in modo da creare una generale situazione media.
Il sistema politico sociale che propone non rifiuta la proprietà privata, che riconosce come la base
dell’edificio politico. La proprietà però incontra un limite preciso nell’etica civile, nella virtù repubblicana,
che sancisce il principio dell’uguaglianza tra i cittadini. La proprietà deve essere finalizzata ai bisogni e alla
capacità di lavoro del singolo. Il sistema tributario deve impedire l’eccessivo accumularsi della ricchezza.
L’ordine politico è finalizzato all’esclusivo tornaconto dei ricchi.
L’ordine politico delineato da Rousseau è fondato sulla piccola e media proprietà ed è riferito alle esigenze
della famiglia o al massimo del gruppo parentale caratterizzato da attività artigianali e manifatturiere e
commerciali che devono essere armonizzate con l’agricoltura considerata come l’attività economica
primaria. È critico della concentrazione della popolazione contadina nei grandi agglomerati urbani che sono
la causa della corruzione dell’etica comunitaria: occorre ridistribuire la popolazione sul territorio
riportandola al lavoro dei campi. L’economia pubblica non ha tanto come scopo la produzione di ricchezza,
compito dell’economia privata, quanto quello di amministrare la ricchezza prodotta per i fini propri della
collettività per consentire ai cittadini di conseguire la felicità.

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71. Il contratto sociale per Russeau


Pretendere di vivere nella società civile cercando di appagare le naturali aspirazioni è impossibile. L’uomo
naturale è un intero assoluto che non ha altro rapporto se non con se stesso o con il suo simile. L’uomo
civile è invece una unità frazionaria il cui valore è il rapporto con l’intero che è il corpo sociale. Il vero
problema politico è fare in modo che l’uomo non si consideri più un assoluto ma una parte di un tutto.
Scrive poi il “Contratto sociale”.
La società e le istituzioni negano la naturale libertà dell’uomo. L’uomo è nato libero e ovunque è in catene.
Il diritto del più forte è una contraddizione in termini, in quanto la forza è un fatto dal quale non può
scaturire il principio di moralità e legittimità. Poiché non può essere riconosciuto né il diritto del più forte né
ogni altro tipo di autorità fondato sulla tradizione e dato che in natura nessun uomo dispone di un potere sul
suo simile, l’unico principio di legittimità delle istituzioni è nel consenso degli individui. La libertà
dell’individuo si realizza nell’atto di volontà con cui gli individui fondano la società politica. Il contratto
sociale è la condizione indispensabile da riconoscere se vogliamo affermare la libertà dell’uomo nella
società politica. Solo quando l’unità della società politica è espressa dal contratto cui partecipano tutti gli
associati, la volontà dell’individuo e la volontà della legge si identificano. Ubbidendo alla legge l’individuo
ubbidisce a se stesso e il governo non è altro che un autogoverno dei cittadini.
Il contratto sociale impegna ciascuno ad alienare tutti i diritti di cui gode alla comunità per costruire
l’uguaglianza naturale fra tutti i contraenti. Così l’individuo si spoglia della sua personalità storica e riceve
la personalità di cittadino. L’individuo diventa parte indivisibile del tutto.
Il contratto sociale libera l’individuo dal condizionamento dell’istinto della società di natura, per farne un
essere morale che informa i suoi comportamenti alla razionalità. Le precedenti istituzioni vengono rinnovare
e prima fra tutte quella che garantisce il possesso dei beni: la proprietà privata. La proprietà tradizionale è
una usurpazione dei beni che appartengono alla collettività, resa possibile dal sistema politico fondato sulla
forza. Il possesso e il godimento dei beni è legittimo solo nei limiti del soddisfacimento dei bisogni
necessari. In virtù del contratto sociale gli individui conferiscono alla società tutti i loro possessi e la società
glieli restituisce legittimando il possesso e trasformando il godimento in proprietà privata. Questa si fonda
sulla legge della comunità che ha un diritto sovrano su tutti i beni dei componenti.

Il contratto sociale fa di una moltitudine di individui una unità, un corpo politico, lo stato. L’unione degli
associati forma il popolo. Gli associati sono cittadini in quanto partecipi dell’autorità sovrana o sudditi in
quanto sottoposti alle leggi dello stato.
Il sovrano è il corpo politico nella sua unità e la sovranità appartiene all’attività di questo corpo. La
sovranità è inalienabile e indivisibile, è la volontà generale in atto che , in quanto principio dell’unità del
corpo politico, non può essere concessa e delegata dal popolo ad alcun individuo.
Se il contratto sociale fonda lo stato, le leggi lo fanno agire. La legislazione deve essere informata ai due
principi dell’uguaglianza e la libertà. Lo stato è un ente morale che deve trasformare l’uomo da essere
naturale a essere morale. Lo stato deve liberare l’uomo dagli impulsi della sua natura che tendono a farne un
assoluto cioè un essere che riporta tutta la realtà che lo circonda a se stesso.
Distingue 4 tipi di leggi:
1. le politiche che definiscono i rapporti tra corpo politico e stato
2. le leggi civili che trattano i rapporti tra i singoli e tra i singoli e lo stato
3. le leggi penali che fissano le sanzioni per chi disubbidisce alle leggi

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Filippo Amelotti Sezione Appunti
4. le leggi scritte nel cuore, nell’animo di ognuno cioè i costumi, le usanze e l’opinione pubblica che
formano la vera costituzione dello stato.

Il governo è il corpo intermedio posto tra i sudditi e lo stato, incaricato dell’esecuzione delle leggi e il
mantenimento della libertà politica e civile. Le forme di governo sono 3: monarchia, aristocrazia e
democrazia. Rousseau è critico della monarchia, riconosce gli aspetti positivi dell’aristocrazia elettiva e
giudica pessimo il governo fondato sull’aristocrazia ereditaria.

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72. La forma di governo ideale secondo Russeau


La migliore forma di governo è la democrazia pura nella quale il popolo riunito in un’assemblea formula le
leggi, le fa eseguire e le interpreta. Ma questa democrazia non è mai esistita né potrà esistere. Ci vorrebbe un
popolo di dei e non di uomini.
I principi fondamentali della democrazia reale. Occorre distinguere l’attività legislativa da quella esecutiva:
la prima si riferisce al bene pubblico, la seconda agli interessi e ai beni particolari. L’attività legislativa è
l’espressione della sovranità e della volontà generale. Deve essere esercitata dall’intero corpo politico cioè
dal popolo riunito nell’assemblea dei cittadini. Rousseau sostiene la democrazia diretta. La legge deve
essere approvata dalla totalità dei cittadini che non possono essere rappresentati perché la volontà generale è
intrasferibile. l’attività esecutiva è affidata al governo che è istituito con una legge che gli conferisce i poteri
necessari per svolgere la sua attività. Rifiuta la concezione giusnaturalistica che riteneva il sussistere tra il
popolo e il governo un contratto che determina i rispettivi obblighi e diritti e conferiva un autonoma
posizione al governo. I membri dell’esecutivo sono nominati dall’assemblea dei cittadini e devono essere
considerati dei commissari, degli incaricati, dei funzionari del popolo. Il governo non ha autonomia nei
confronti dell’assemblea. Afferma il primato del legislativo sull’esecutivo.
In una costituzione democratica la volontà generale ha come oggetto il bene comune. I partiti devono essere
banditi dall’ordinamento democratico.
La legge è una dichiarazione della volontà generale.
La maggioranza esprime una decisione e quindi una volontà che si identifica con la volontà generale e
quindi con il bene comune. La minoranza non ha alcuna posizione autonoma da rivendicare e la sua
opinione è un errore che deve essere riconosciuto come tale dalla stessa minoranza.

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73. Pensiero politico di Hume 1711 – 1776


È illuminista.
Dobbiamo interessarci solo di ciò che rientra nel campo della nostra esperienza empirica fondata sulle nostre
sensazioni e non bisogna lasciarsi ingannare dall’illimitata libertà che faratetrizza il nostro pensiero.
Bisogna stabilire un nesso tra esperienza sensibile e intelletto e analizzare i principi su cui si fonda la
conoscenza. Le idee sono il riflesso delle nostre sensazioni.
L’intelletto è la facoltà dell’uomo di descrivere i risultati della sua esperienza in quanto la nostra conoscenza
è fondata sul materiale fornitoci dalle sensazioni. I nostri giudizi sono il risultato di atti e avvenimenti che
accadono.
Il compito della filosofia è definire l’ambito dell’intelletto per non esprimere giudizi che non trovino
riscontro nell’esperienza. Nell’uomo oltre alla facoltà razionale esiste l’immaginazione che può comporre a
suo piacere tutte le idee che si trasformano sulla base delle sensazioni per creare enti che non hanno
riscontro nella realtà.

La politica deve essere ricondotta nell’ambito delle considerazioni che si basano sull’esperienza empirica
dei fatti sociali. Non è fondata su principi eterni e immutabili. Questa ragione, il principio di giustizia e i
diritti che ne derivano non hanno valore intrinseco: la loro giustificazione ha un puro valore strumentale, si
riduce a una ideologia in quanto servono a giustificare determinate posizioni politiche. Il rapporto tra storia e
politica: la prima ci fa scoprire i principi costanti della natura umana mostrandoci gli uomini in tutte le
circostanze e fornendoci materiale da cui sia possibile ricavare le osservazioni e informarci sulle sorgenti
dell’azione e del comportamento umano. C’è una natura umana che permane identica nella storia il che ci
consente di confrontare fra le diverse e esperienze politiche per individuare gli avvenimenti e i fati ricorrenti
cioè le uniformità sociali che sono i presupposti per poter individuare i principi su cui si fondano le società
politiche e le regole che tendono a seguire. La storia è un gabinetto di sperimentazione così lo studioso della
politica può fissare i principi della sua scienza.
La giustizia è il principio sul quale si organizza la società politica. È giusto ciò che è socialmente utile.
L’idea dell’utile è anche il principio della morale individuale e civile in quanto è connessa alla capacità di
autocontrollo, di disciplina degli stimoli e desideri. La conservazione di una parte dei beni disponibili alla
loro stabile destinazione, alla produzione dei beni futuri è il fatto su cui si fonda la proprietà privata che non
si legittima su un originario diritto di natura ma sull’utilità individuale e sociale.
Le relazioni tra gli uomini finalizzate alla loro reciproca collaborazione sono possibili solo se vengono
fissate le regole che garantiscono la proprietà privata.
La giustizia ha come scopo la tutela della proprietà privata dato che senza di essa la società permarrebbe
nello stato di miseria e indigenza che caratterizza le società primitive. Il secondo scopo è garantire le
promesse e gli accordi senza la cui osservanza non è possibile di nuovo alcuna forma di collaborazione
sociale in vista dell’incremento dei beni necessari agli individui.
Dice che è irrealizzabile l’idea di una società egualitaria e comunistica: anche se si rendessero eguali le
proprietà e si livellassero le condizioni sociali, i gradi diversi di arte, attività e sollecitudine spiegati dagli
uomini tornerebbero immediatamente a rompere tale uguaglianza.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

74. Hume: opinione e potere


La società politica si forma in un lungo periodo storico nel corso del quale gli uomini acquisiscono una serie
di principi, istituzioni, leggi che sono il frutto di esperienze individuali e collettive. Al razionalismo
illuministico Hume contrappone l’esperienza delle generazioni. La società politica non si fonda sul
contratto. L’uomo primitivo incolto e con una lingua appena articolata, dominato dagli istinti non era in
grado di stipulare convenzioni e contratti sociali. Le guerre e le lotte delle fazioni caratterizzano la vita delle
società politiche, che non furono costituite mediante accordi. L’imposizione, il dominio di una minoranza
guidata da un capo fondano la società politica imponendo comuni regole di comportamento alla
maggioranza. L’origine della società politica deve essere collegata a alcuni fatti: la conquista, l’usurpazione,
l’autorità del comandante militare. La società politica si costituisce mediante la forza.
Il governo è formato da una ristretta categoria di persone che esprime comando che vengono eseguiti dalla
maggioranza. La forza in questo caso non spiega il rapporto comando-obbedienza perché i molti sono più
forti dei pochi. La sottomissione della maggioranza alla minoranza si fonda sull’opinione cioè sulla
convinzione della opportunità di ubbidire ai poteri costituiti.
Ci sono 4 tipi di opinione:
di interesse: si intende il senso di vantaggio generale che deriva dal governo insieme con la persuasione che
il governo stabilito è vantaggioso
di diritto
di diritto alla proprietà
di diritto al potere.

L’opinione di diritto al potere, di diritto alla proprietà insieme al diritto d’interesse sono il fondamento
dell’autorità che i pochi esercitano sui molti.
Il governo, la costituzione, il sistema delle leggi di diritto positivo sono il risultato delle esperienze di molte
generazioni. Le innovazioni radicali sono pericolose perché spezzano la continuità delle generazioni che è la
vera struttura portante di ogni ordinamento politico.

Una volta affermata l’esigenza della continuità della tradizione e l’importanza di conservare ciò che
garantisce tale continuità si tratta di individuare la dinamica della società, di ciò che promuove il suo
sviluppo. La dinamica della società è ricondotta allo sviluppo della razionalità. La ragione inizia a
manifestarsi con le prime forme di attività empirica che sottraggono l’uomo dal dominio delle passioni,
l’immaginazione e la superstizione: l’invenzione delle arti e i primi tentativi di un pensiero scientifico
diffondono i lumi della ragione. Il progresso delle scienze e delle arti è la premessa al diffondersi della
civiltà e per la trasformazione dei governi da assoluti e dispotici a costituzionali e liberali. Le facoltà
razionali sono connesse agli stati psicologici per cui l’uomo può sentirsi e dichiararsi felice: la felicità
richiede che nell’uomo si compongano armonicamente l’azione, il piacere e l’indolenza. Le arti impegnano
l’uomo nell’azione. Dalle arti l’uomo può ricavare i beni il cui uso gli procura piacere. Il lavoro fa nascere
l’esigenza del riposo.
Il progresso promosso dall’attività economica diventa fautore di libertà politica.

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75. Adam Smith 1723 – 1790: La ricchezza delle nazioni


Pone il problema dei rapporti tra l’attività economica, l’organizzazione produttiva e la società politica.
L’attività economica per potersi realizzare deve porre in essere un insieme sistematico di rapporti tra gli
individui. È indispensabile tenere presente il nesso economia-società.
Fa la distinzione tra società naturale e società artificiale per le quali usa i termini: società civile e società
politica. La prima scaturisce dall’attività economica e corrisponde ai rapporti e alle istituzioni che si
riferiscono all’organizzazione del lavoro produttivo; la seconda comprende i rapporti e le istituzioni che
sono posti in essere dagli uomini per difendere l’ordine e per garantire la giustizia.
La ricchezza di una nazione deriva dal lavoro della collettività.
Il primo dato dell’economia è il lavoro che è l’attività in cui si esplica la natura dell’uomo in quanto egli si
determina all’azione sotto lo stimolo dei bisogni. La ragione dell’uomo si manifesta in occasione del lavoro
nel senso che la razionalità si forma a poco a poco a seguito dei tentativi che l’uomo fa per rendere sempre
più produttivo il suo lavoro. Con il lavoro si manifesta la personalità dell’uomo. Il lavoro è l’espressione
degli impulsi fondamentali che caratterizzano la natura umana: l’egoismo, la simpatia, il sentimento di
libertà, desiderio di proprietà, propensione allo scambio. L’attività economica corrisponde alla natura
dell’uomo.
Il lavoro è la causa delle relazioni che si istituiscono tra gli individui.
Il principio dell’organizzazione e del perfezionamento dell’attività lavorativa è quello della divisione del
lavoro per il quale ogni individuo svolge solo l’attività nella quale dimostra maggiore destrezza. In tal modo
non solo diminuiscono in costi in termini di fatica ma aumenta anche la produzione. Il principio della
divisione del lavoro è la conseguenza della tendenza naturale allo scambio. La divisione del lavoro consente
di aumentare la quantità di lavoro di uno stesso numero di persone.
Il principio della divisione del lavoro ha una coerente applicazione purchè gli individui possano scambiare i
prodotti del lavoro per ottenere quegli altri beni di cui hanno bisogno. Lo scambio è possibile mediante
l’istituzione del mercato.

L’organizzazione produttiva di cui Smith studia le leggi si fonda sulla manifattura e industria. Le categorie
economiche con le quali possiamo individuare le leggi che governano il sistema produttivo sono date da 3
fattori di produzione: il lavoro, il capitale e la terra.
Il capitale è formato dai beni che sono sottratti al consumo e che sono destinati alla produzione di altri beni.
È distinto in capitale variabile e capitale fisso: il primo è quello impiegato nelle operazioni commerciali per
l’acquisto di merci che vengono poi vendute. Il secondo viene immobilizzato nel miglioramento della terra,
acquisto di macchinari e strumenti. La funzione del capitale è di predisporre i mezzi necessari alla
produzione e di organizzare la produzione.

La produzione annuale è ripartita tra i 3 fattori mediante le rispettive remunerazioni: il salario per il lavoro,
il profitto per il capitale e la rendita per la terra. I tre fattori di produzione indicano anche i tre grandi ordini
naturali su cui si fonda la società, cioè le tre classi: i lavoratori, i proprietari di capitali, i proprietari di terra.
Lo status sociale di un individuo è definito sulla base del ruolo svolto nell’organizzazione produttiva del
lavoro.
Il prezzo è la traduzione in termini monetari del valore della merce. Il prezzo indica la quantità di lavoro
necessaria per produrre una determinata merce.

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Il sistema economico è governato dalla legge della sua produzione

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76. Società civile per Hume


La società naturale o civile non si fonda sul contratto sociale ma è il risultato spontaneo e necessario
dell’organizzazione del lavoro produttivo e corrisponde al tipo di divisione del lavoro che riesce ad attuare.
La formazione e conservazione del capitale è la condizione indispensabile perché possa avviarsi il processo
di sviluppo economico.
3 tappe fondamentali del processo di formazione della società naturale che corrispondono ai 3 tipi di attività
economica organizzata per procurarsi i beni necessari alla vita del gruppo: la caccia, la pastorizia e
l’agricoltura che esprimono i primi 3 tipi di società naturali, quella dei pastori, gli agricoltori e dei
cacciatori. È solo con l’agricoltura che si costituisce un capitale consistente e può avviarsi il processo di
accumulazione mentre il processo della divisione del lavoro trova una prima organica applicazione. La
società naturale nasce dal lavoro della terra. I rapporti che si istituiscono tra gli individui nella società
naturale sono regolati secondo forme di subordinazione naturali, determinate dalle esigenze della
organizzazione del lavoro produttivo.
Le forme di subordinazione sono 4:
1. la prima si riferisce alla superiorità delle qualità personali che pone un individuo su un piano di
preminenza rispetto ai suoi simili
2. la seconda scaturisce dalla superiorità dell’età
3. deriva dal possesso stabile della ricchezza e proprietà
4. discendere da una famiglia che per generazioni ha occupato una posizione preminente in società.

L’autorità è la fonte legittima di comandi che vengono obbediti grazie al rapporto di subordinazione che si
istituisce tra i destinatari e l’autorità. La società naturale rispetto a quella artificiale esprime da se stessa in
modo spontaneo le preminenze che regolano il comportamento degli individui. Il potere invece si rifonda
sull’organizzazione burocratica della società artificiale e trova la sua legittimazione in una delle 3 forme di
autorità.
La causa delle circostanze che determinano le forme di superiorità risiede in primis nella proprietà. La
proprietà è la pietra angolare della società naturale e quindi di quella artificiale.

Storia delle dottrine politiche Pagina 89 di 152


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77. Società política per Hume


La società politica non ha nessun rapporto diretto con la società naturale. La società artificiale è la
sovrastruttura della società naturale, che corrisponde alla organizzazione produttiva del lavoro.
La distinzione tra società naturale e artificiale si fonda sul fatto che la prima corrisponde al lavoro produttivo
cioè all’atticità che è in grado di produrre le forze produttive mentre la seconda è costituita da
quell’organizzazione e da quei servizi che con la loro attività non sono in grado di produrre i beni necessari
alla loro conservazione e innovamento. Le istituzioni e organizzazioni della società politica possono essere
attuate solo quando la società naturale fornisce una quantità di beni eccedenti quelli necessari.
Lo stato è l’insieme dei servizi e degli uffici che deve garantire la pace e l’ordine della società naturale. Ha
una funzione strumentale e non può rivendicare una posizione autonoma nei confronti della società civile. I
fini dello stato sono determinati dalle esigenze della società naturale: la difesa per mezzo della forza
militare, l’amministrazione della giustizia, l’istruzione pubblica, i lavori di utilità pubblica.
L’apparato burocratico – organizzativo devono essere finanziati dalla collettività mediante le imposte.
La funzione preminente dello stato è l’amministrazione della giustizia.
Il principio cui deve ispirarsi l’ordinamento politico dello stato deve sancire l’indipendenza, l’autonomia del
potere giudiziario dall’esecutivo. Solo a questa condizione viene garantita la libertà del cittadino.

Ogni individuo deve essere riconosciuto libero di esplicare la sua attività al fine di migliorare la sua
condizione purchè non arrechi danno agli altri. La giustizia è il principio secondo cui l’attività dei singoli
coesistono e si armonizzano tra loro per attuare i propri fini nella società.
La società è un vero sistema in cui le attività dei singoli individui tendono a collegarsi spontaneamente tra
loro realizzando uno stato di equilibrio che corrisponde alla migliore utilizzazione delle risorse, alla
maggiore produzione di ricchezza e alla sua migliore e più giusta distribuzione.
Smith parla di una mano invisibile che guida l’individuo a realizzare il comportamento economico volto al
conseguimento del suo interesse privato.
Sulla base del principio della libera concorrenza devono essere abolite tutte le leggi che impediscono o
limitano le attività del lavoro produttivo.
Smith sostiene la liberalizzazione del commercio internazionale in quanto la ricchezza di uno stato dipende
anche da quella degli altri.

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78. Hamilton, Madisone e Jay: Il Federalista


In occasione del dibattito che si svolse per le elezioni delle assemblee che avrebbero dovuto approvare o no
il testo costituzionale, comparvero su alcuni giornali di New York 85 articoli in difesa della federazione che
furono raccolti da uno degli autori, Hamilton (gli altri due sono Madison e Jay) in volume del 1788 con il
titolo il Federalista. Lo stato federale è presentato come un progetto che consente di costruire una grande
democrazia repubblicana.
Il federalista svolge una esposizione compiuta del nuovo sistema federale sulla base di una critica delle
considerazioni degli avversari dell’Unione. Può essere divisa in 4 parti:
1. illustra la necessità dell’unione come garanzia della prosperità politica; della difesa di interventi delle
potenze straniere; stabilità degli ordinamenti dei singoli stati; difesa dell’incremento del commercio;
istituzione di un adeguato sistema tributario.
2. tratta dell’improrogabile esigenza di stabilire un governo nazionale per garantire la difesa comune; per
realizzare un potere generale di tassazione e reperire i mezzi necessari per conseguire i fini comuni.
3. sono esaminati i principi sul quale si fonda il nuovo ordinamento costituzionale e i poteri conferiti
all’unione; i limiti imposti ai singoli stati
4. c’è un’analisi dell’organizzazione e dei reciproci rapporti tra i tre poteri sui quali si struttura la
costituzione federale: legislativo distinto in camera dei rappresentanti e senato, l’esecutivo cioè il presidente
USA, il giudiziario cioè la corte suprema.

Il campo della politica è l’individuazione degli interessi permanenti della comunità e lo studio dei mezzi più
idonei a garantirli.
Gli interessi permanenti ella comunità devono essere mantenuti e distinti da quelli temporanei per i quali si
richiedono provvedimenti singoli che non hanno alcun rapporto tra di loro e che rientrano nell’ambito della
buona amministrazione. Per i primi invece occorre fissare e mantenere una precisa condotta politica per il
conseguimento di un unico fine.

Il sistema federale e la sua costituzione hanno come fine ultimo il governo della ragione che deve essere
garantito contro all’insorgere e al prevaricare delle passioni e degli interessi di parte che possono attenuare o
anche travolgere il buon senso del popolo che potrebbe reclamare provvedimenti contrari ai suoi interessi e a
quelli della comunità.
La democrazia repubblicana espressa nella costituzione federale deve essere concepita in modo da realizzare
un regime politico che non solo si basi sui fondamentali principi di libertà ma che ripartisca e riequilibri i
poteri in modo che nessuno di essi possa varcare i limiti costituzionali.
Riconoscono che il potere più forte è i legislativo, interprete tramite la camera dei rappresentanti delle
istanze e richieste delle masse popolari. Gli organi deliberati devono essere costituiti da un numero ristretto
di membri qualificati. Tanto più grande sarà l’assemblea, tanto maggiore sarà l’ascendente della passione
sulla ragione.
La politica deve essere unita a uno studio attento della natura umana e del ruolo che le passioni hanno nel
comportamento degli uomini. Non bisogna illudersi che il regime repubblicano solleciti un tale impegno
etico-civile da parte del popolo da spegnere qualsiasi spirito di parte o da far tacere la voce degli interessi
particolari impedendo il formarsi di fazioni: è la libertà che favorisce la diversità degli interessi e delle

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opinioni e non si può certo eliminare la libertà per impedire il sorgere delle fazioni cioè un gruppo di
cittadini che siano spinti da un comune impulso di passioni e interessi in contrasto con i diritti di altri
cittadini o della comunità.

Non si tratta più di considerare la democrazia come un regime politico in cui acquista un valore
preponderante il principio dell’uguaglianza, della partecipazione diretta dei cittadini al legislativo, del
controllo esercitato dagli stessi sul governo. Una democrazia, un governo repubblicano presuppongono uno
stato con un territorio molto limitato. La nuova democrazia americana che opera su un vasto territorio deve
essere fondata su una sistematica articolazione dei diversi centri di potere che consentono l’attuazione del
principio della sovranità popolare. Sia il governo nazionale-federale che quello dei singoli stati come le
amministrazioni locali debbono fondarsi sull’elezione popolare. Dal presidente degli Stati Uniti sino al
sindaco sel più sperduto villaggio, tutti devono ricevere il loro potere dalla volontà dei loro cittadini. La
democrazia ha il suo vero fondamento nello spirito di autonomia, di indipendenza, di libera iniziativa che si
attua nel sistema delle ampie autonomie locali.
L’ordinamento federale consente di formare un governo nazionale stabile e forte e di limitarlo e controllarlo
mediante il governo dei singoli stati che a loro volta sono sindacati dalle rispettive amministrazioni locali.

Il Federalista sottolinea l’importanza dell’esecutivo ai fini dell’unità e stabilità dell’Unione. I poteri del
presidente sono amplissimi ma devono essere esercitati nell’ambito della costituzione e delle leggi. Il
legislativo mantiene sotto un continuo controllo l’esecutivo. Il legislativo tende ad estendere la sua influenza
e a concentrare in sé la sostanza degli altri 2 poteri: ecco perché il legislativo deve essere contenuto e frenato
dall’indipendenza e dall’autonomia dell’esecutivo e del giudiziario.
Una delle preoccupazione degli autori del federalista è di evitare lo strapotere dell’assemblea legislativa. La
volontà popolare in quanto sovrana trova nel legislativo la sua diretta espressione: essa quindi tende a farne
il centro di tutte le decisioni e in tal modo il principio della divisione e distinzione dei poteri è svuotato di
contenuto. Occorre contenere la tendenza della democrazia a radicalizzarsi per rendere il sistema
costituzionale stabile. A tal fine il legislativo è strutturato in due diverse assemblee con caratteristiche
diverse: la Camera dei rappresentanti e il Senato. L’una rappresenta il popolo americano nella sua unità,
l’altro i singoli stati su un piano di parità. I loro membri sono scelti con procedure elettorali diverse. Grazie
al bicameralismo il legislativo si mantiene nei limiti prefissati dalla costituzione assicurando il corretto
funzionamento del sistema.
Un altro impedimento a che il legislativo invada a sfera degli altri due poteri sono le norme che prevedono
una particolare procedura per la modifica della costituzione: si sancisce così il principio che l’attività
legislativa deve svolgersi nell’ambito dei limiti fissati dalla costituzione: il ricorso alla Corte Suprema cui è
affidato il giudizio di costituzionalità delle leggi rende operante questa essenziale tutela.

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79. Pensiero politico di Burke 1729-97


È lo scrittore politico di maggior rilievo della storia inglese del 700
Il parlamento inglese deve prendere atto che le colonie, pur ritrovando nella tradizione giuridico-politica
inglese i principi ispiratori dei propri ordinamento sono ormai delle società politiche autonome. Gli
americani non possono più essere considerati sudditi della corona britannica. Le colonie non sono più un
paese assoggettato alla madrepatria. Sono pervenute a un livello tale di organizzazione statale e sociale,
sorrette da una propria tradizione sia sul piano culturale che politico che devono essere considerate comunità
politiche autonome. L’Inghilterra non deve assumere un ruolo imperialistico ma deve svolgere verso le
colonie una funzione di guida, orientamento e coordinamento. Burke propone la trasformazione dell’impero
in un Commonwealth.
Il diritto di conquista non giustifica il dominio tirannico, pretendendo di imporre ai popoli dell’India le leggi
e gli usi inglesi in nome di una pretesa superiore civiltà.

I conflitti politici devono essere considerati in una prospettiva storico-politica in grado di intendere i rapporti
sussistenti tra i veri attori della situazione politica da comprenderne la interna dinamica e il suo esito finale.
La prevalenza che la corona fa valere nei confronti del parlamento porta ad una commistione di due attività
che nel sistema costituzionale devono rimanere distinte: l’attività politica e quella amministrativa. La
politica e l’amministrazione non possono rifluire l’una nell’altra in occasione della formulazione del
programma di governo e della formulazione della maggioranza che tale programma sostiene. L’intervento
della corona nella politica inglese e la tutela che esercitava sul parlamento aveva avuto come conseguenza la
riduzione dei problemi politici a semplici problemi amministrativi: si era così perduto il senso dell’insieme,
della visione unitaria.
La distinzione tra politica e amministrazione si fonda sul fatto che la prima deve individuare i fini della
collettività e i mezzi adeguati per conseguirli mentre la seconda s riferisce alla realizzazione dei fni indicati
mediante i mezzi decisi in sede politica. La politica seguita dalla corona si fondava su un empirismo che non
riusciva a concepire una visione sistematica degli interessi in gioco. La politica inglese può essere
paragonata ad un mosaico le cui tessere sono tutte sconnesse.
I partiti non devono più essere considerati alla stregua delle fazioni, che perseguono fini in contrasto con il
bene della collettività, ma come associazioni di individui che hanno una comune concezione politica e che
sulla base di questa concezione propongono una serie di provvedimenti tra loro coordinati al fine di
realizzare i principi che derivano dalle loro convinzioni.
Grazie al dibattito di idee sollecitato dai partiti, si esprimono nel parlamento degli orientamenti politici ce
devono trovare riscontro negli elettori che esprimono a loro volta un proprio orientamento politico.
L’opinione pubblica è insieme ai partiti una componente essenziale del sistema costituzionale britannico che
fa del parlamento un vero organo rappresentativo dell’intera nazione.

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80. Burke: Riflessioni sulla rivoluzione francese


Nelle “riflessioni sulla rivoluzione francese” manifesta il timore che il nuovo governo francese avrebbe
svolto una politica in contrasto con gli interessi inglesi e questo avrebbe finito per provocare un conflitto.
Parla dell’ingenua affermazione di chi ritiene che la rivoluzione francese sia la ripetizione dopo un secolo
della gloriosa rivoluzione inglese del 1689. per Burke sono due avvenimenti diversi: la rivoluzione inglse
voleva difendere l’antico sistema costituzionale assicurando il trono d’inghilterra alla discendenza
protestante. Il parlamento inglese si sentiva inserito in una tradizione e vincolato a una serie di norme non
scritte che delimitavano e regolavano il potere sovrano. Essi non intesero ricostituire ex novo la costituzione
inglese ma solo conservarla e migliorarla. La rivoluzione francese è ispirata ad un principio opposto: la
società deve essere ricostituita ex novo mediante la ragione: la tradizione in quanto fondata sul timore,
sull’errore, deve essere cancellata. La rivoluzione accoglie il presupposto che sussista una equivalenza tra
realtà e ragione e che la politica si realizza sul piano della ragione. Si pensava che l’ordine politico fondato
sulla ragione corrisponde alle vere esigenze dell’uomo.
La rivoluzione è la conclusione dell’affermazione illuministica dell’assoluto primato della ragione quale
unica misura cui debbono essere riportate istituzioni, leggi, costumi tradizioni.
Burke dice che la politica non può fondarsi su questo tipo di ragione. La politica è una scienza sperimentale
e come tale non si può insegnare a priori. La politica deve riferirsi a un tipo di ragione che si sia plasmata
sull’esperienza che si genera dalla stessa esperienza. La realtà politica è complessa e non può essere
compresa con i criteri dell’intelletto analitico.
L’esperienza della vita di un solo individuo non basta. Occorre l’esperienza di più individui e più
generazioni quale si acquisisce tramite le istituzioni, le leggi, i costumi, le tradizioni, che contengono in sé la
vera ragione politica.
La ragione su cui si basa la politica si identifica con la storia.
La ragione deve sì considerare gli stati, le istituzioni, le leggi, i costumi nella prospettiva storica quali
risultati di una attività ininterrotta, ciascuno avente la sua fisionomia e caratteristica.

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81. Burke: istituzioni, mutamento e fondamento del potere


Le istituzioni della società proprio perché sono il risultato di una lunga esperienza storica, hanno una loro
precisa ragion d’essere: contengono in sé ed attuano la ragione nella storia. Il presente in cui viviamo è
connesso al passato. Il presente sussiste solo in quanto è continuamente sorretto e alimentato dal passato. Il
passato non è morto ma vive nel presente in quanto testimonia la personalità del popolo, fonda la sua
identità, fa del popolo, della società, dello stato, una unità reale e vivente. La società politica sussiste in
quanto mantiene sempre viva la continuità tra passato e presente: solo a questa condizione essa può essere
aperta al futuro e orientare le sue esigenza nella prospettiva del nuovo. Le società che rifiutano il passato si
tolgono dalla storia: credono di rinnovarsi.
La costituzione deve essere concepita come l’espressione dell’esperienza politica di un popolo quel si è
attuata nella storia. Non può essere formulata secondo puri principi di ragione in quanto si ridurrebbe a una
mera astrazione senza possibilità di essere operante, in grado di garantire diritti e libertà ai cittadini. La
costituzione deve essere invece fondata su una tradizione storica, su principi, ideali, valori che sussistono nel
presente.

Uno stato privo di ogni possibilità di mutamento non ha neanche modo di conservarsi.
La tradizione deve essere considerata alla luce della dialettica conservazione-innovazione per cui conservare
significa innovare e innovare significa conservare. Perché al società sussista nella sua unità reale bisogna
conservare ciò che fonda la società nella sua individuale fisionomia storica, ciò che fa sussistere la società
nella sua unità reale cioè come stato, mentre bisogna mutare tutto ciò che sulla base dell’esperienza ha dato
risultati negativi. Bisogna combinare con un sapiente dosaggio il vecchio e il nuovo.

La nuova classe politica crede che sia possibile governare il paese con leggi che dovrebbero essere obbedite
per la loro razionalità. Ma il rapporto tra chi comanda e chi obbedisce non si fonda sulla mera ragione. Il
potere si fonda sulla forza che trova la sua disciplina in ideali, valori, principi che appartengono alla sfera
dei nostri più nobili sentimenti. Essi si esprimono nella società con forme efficaci solo se si basano sulla
tradizione.
Il poter che si basa sulla nuda ragione finisce con l’identificarsi con la verità della ragione sicura di se stessa
e pretende di agire in nome di questa verità che non ammette errori e reclama una totale adesione ai suoi
precetti ponendo le premesse per un nuovo assolutismo.
Il potere si manifesta prima come dominio della ricchezza : la nuova classe politica di tipo oligarchico che
ha distrutto gli ideali e i valori che delimitavano il potere e ne temperavano l’uso può perseguire i suoi
interessi solo con l’uso della forza. Ma essendo stata vanificata la forza politica che si fonda sull’opinione
convalidata da una lunga tradizione, rimane solo quella militare. L’armata francese è una forza autonoma
sulla quale il governo esercita un controllo nominale. L’esercito è l’unico padrone della Francia e quando
troverà un generale che sulla base dei suoi successi riscuoterà la fiducia dell’intera armata, quel generale
sarà il padrone della Francia.

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82. Kant 1724 – 1804 - Metafisica dei costumi


Intende indicare i principi e valori ai quali informare l’opera di riforma delle monarchie tedesche fondate su
un ordinamento aristocratico-feudale.
Lo scritto è la “metafisica dei costumi”
La filosofia indica le premesse e i principi per conoscere la politica cioè di concepire i comportamenti degli
individui.
La politica è intrinsecamente connessa alla ragione.
La conoscenza si fonda sull’esperienza empirica ma le sensazioni sono un materiale grezzo che viene
plasmato e ordinato dalla ragione.
Ci sono forme a priori dell’intuizione sensibile, concetti e idee dell’intelletto e della ragione che non si
possono ricavare dall’esperienza empirica ma sono connesse con il processo mediante cui si realizza la
conoscenza e sono le uniche condizioni che rendono intellegibile l’esperienza. Queste forme a priori
dell’intuizione sensibile non ci consentono di conoscere ciò che è al di fuori dell’esperienza: essi hanno un
valore trascendentale e non trascendente, che si riferisce ad una realtà metafisica. Gli oggetti della
conoscenza sono i prodotti della nostra facoltà razionale. È la ragione che crea gli oggetti nella loro
dimensione fenomenica.
La filosofia ha il compito di precisare poteri e limiti della ragione.
La conoscenza scientifica fondata sui giudizi sintetici a priori è possibile a patto che la ragione non registri
passivamente i dati che riceve dall’esperienza empirica.
la ragione si toglie dal determinismo della natura ed è costitutivamente libera: l’atto del conoscere è libertà.
La libertà in quanto fenomeno teorico della ragione deve trovare un riscontro sul piano politico come diritto
di discussione e critica riconosciuto a tutti.

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83. Kant: La legge morale e il diritto


Deve considerarsi pratico tutto ciò che è possibile per mezzo della libertà. Questa deve essere intesa come
l’assoluta possibilità di determinarsi indipendentemente da qualsiasi movente di carattere empirico,
sensibile, materiale.
La libertà si riferisce alla volontà che deve essere distinta dai desideri e dall’arbitrio. La volontà ha per
oggetto un’azione avente valore oggettivo. In essa forma e contenuto si identificano. L’oggetto della volontà
è la legge morale avente valore oggettivo e universale. La razionalità è il presupposto di ogni decisione della
volontà libera, cioè che si determina indipendentemente dal condizionamento degli impulsi, desideri,
interessi.
La legge morale conferisce all’individuo la personalità cioè lo rende autonomo e indipendente dal
meccanismo della natura.
La caratteristica della legge morale è la sua purezza dato che nella sua determinazione non può intervenire
alcun elemento che appartenga al mondo della sensibilità. La legge morale non può essere assunta in vista
del perseguimento di alcun interesse e quindi non deve avere alcun rapporto con i nostri impulsi, desideri,
sentimenti. L’unico sentimento che corrisponde alla legge morale è quello del dovere che ci innalza al di
sopra di tutto il mondo sensibile e ci libera dal meccanismo della natura.

La legge morale è il fondamento dell’agire pratico, ciò che lo rende intellegibile come un tutto coerente e
sistematico e funge da premessa delle considerazioni che attengono al comportamento dell’individuo volto a
conseguire la felicità. Distingue il bene morale dalla felicità e il primo deve avere l’assoluto primato sulla
seconda. La felicità è il godimento durevole delle vere gioie della vita.
Quello che dobbiamo fare per conseguire la felicità ci viene indicato solo dalla personale esperienza e non
può essere determinato a priori.
I precetti di prudenza che sono finalizzati al conseguimento della felicità sono ricavati dall’esperienza ed
hanno un valore di regola generale ma non di principi universali e quindi consentono eccezioni.
I precetti si riferiscono al comportamento degli individui volti al conseguimento della felicità, ai costumi
intesi come maniera e modo di vivere. La metafisica dei costumi è quella disciplina che, sulla base dei
principi della legge morale studia i rapporti che intercorrono tra la morale e il diritto in quanto regola le
azioni esterne degli individui. La distinzione tra la morale e il diritto si fionda sul principio che la prima si
riferisce alla determinazione interiore mentre il secondo riguarda la disciplina dell’azione esterna. Nella
legge sussistono due elementi: il primo è l’obbligo in quanto si presenta come dovere, il secondo è l’impulso
che determina l’individuo a compiere il dovere. Quando l’impulso si identifica con il dovere ci troviamo di
fronte alla legge morale, quando scaturisce da un principio diverso dal dovere abbiamo una legge giuridica.
Alla morale e il diritto corrispondono la volontà e il libero arbitrio. La volontà è la determinazione che si
riferisce al principio che regola l’azione, mentre l’arbitrio alla possibilità di attuare l’azione. La volontà è
libera in quanto si adegua al principio secondo cui deve determinarsi. La volontà dinnanzi alla legge morale
non ha possibilità di scelta: deve seguire la legge morale. L’arbitrio invece può essere detto libero in quanto
si riferisce alla possibilità di compiere o non compiere l’azione ad opera delle vere e proprie scelte.
L’arbitrio è la facoltà che corrisponde alla legislazione esterna, al diritto, e deve essere considerato libero.
Il diritto si riferisce alle azioni esterne degli individui e tra gli stessi individui e consente la coesistenza di
più individui. Il diritto è l’insieme delle condizioni per mezzo delle quali l’arbitrio di uno può accordarsi con
l’arbitrio di un altro secondo una legge universale di libertà.

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Il principio di libertà consente di individuare l’altro elemento fondamentale del diritto, cioè la coazione che
si presenta come l’uso della forza, della costrizione, per impedire la libertà esterna che non si accordi con la
legge universale di libertà. Il diritto stretto cioè quello che si riferisce alle azioni esterne si fonda sulla
possibilità di costrizione esterna che possa coesistere con la libertà di ognuno secondo leggi generali.
la grande divisione del diritto è quella tra diritto naturale (che riposa su principi a priori) e diritto positivo
(che promana dalla volontà del legislatore). Il diritto naturale è uno solo, la libertà dalla quale deriva
l’uguaglianza (io posso essere costretto a fare solo ciò che a mia volta posso costringere l’altro a fare).

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84. Kant: La società politica


La società politica è l’unione degli individui mediante le leggi giuridiche che trova nel contratto sociale il
principio grazie al quale è possibile comprendere i rapporti che si istituiscono tra gli stessi individui
nell’ambito della società. Il contratto sociale deve essere concepito come l’ipotesi che dobbiamo formulare
per comprendere l’organizzazione politica conformemente al concetto di diritto. Solo l’ipotesi del contratto
sociale permette di garantire la libertà e l’uguaglianza degli individui in quanto al comune volontà giuridica
sulla quale si fonda la società e la coercizione generalizzata che fa capo allo stato scaturiscono dal consenso
degli stessi individui che compongono la società. Con il contratto sociale tutti nel popolo depongono la
propria naturale libertà esterna per riprenderla di nuovo subito come membri di un corpo comune.
La collettività politica può essere considerata come: stato civile che è dato dal rapporto degli individui
riunito nel popolo; stato che è il tutto in rapporto con ogni suo membro; cosa pubblica in virtù dell’interesse
che lega tutti gli individui a vivere nello stato giuridico.
Il diritto pubblico si distingue nel diritto dei popoli, nel diritto dello stato e nel diritto politico dei popoli o
diritto cosmopolitico.
Lo stato è la riunione di un certo numero di uomini sotto leggi giuridiche.
Come Montesquieu dice che la volontà generale si articola in 3 poteri: il potere sovrano che risiede nel
legislativo; il potere esecutivo nel governo; il potere giudiziario nel corpo dei giudici.
Il potere legislativo promana dalla volontà collettiva del popolo dato che solo in questo caso vengono
garantite la libertà, l’uguaglianza, l’indipendenza dei singoli che concorrono con il loro consenso alla
formazione della legge. La partecipazione degli individui al potere legislativo avviene tramite un organo
rappresentativo alle cui elezioni sono ammessi solo i cittadini attivi cioè che non si trovano sottoposti a chi
può influire sulle loro scelte politiche.
Le forme di governo per Kant sono tre: autocrazia, aristocrazia e democrazia. La forma più semplice è la
prima, la più complessa è l’ultima in quanto implica la volontà di tutti per formare un popolo, la volontà del
popolo per dar vita a una repubblica e la volontà collettiva per attribuire il potere sovrano a un determinato
corpo politico.

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85. Kant: Lo stato


Lo stato ha il fine di garantire la libertà, l’uguaglianza, l’indipendenza degli individui che lo costituiscono.
Lo stato non può arrogarsi il compito di rendere felici i sudditi. La felicità deve essere ricercata e conseguita
da ciascun individuo.
Il principio di libertà significa che i cittadini devono essere considerati capaci di vivere la propria vita in
modo autonomo e in grado di dare un proprio contributo al governo della società.
Bisogna riconoscere ad ogni cittadino l’uso pubblico della propria ragione cioè la possibilità di far conoscere
le proprie idee, le proprie considerazioni critiche nei confronti dei provvedimenti del governo mediante la
stampa. Non può essere ammesso invece l’uso privato della ragione cioè la facoltà di critica del funzionario
nei confronti degli atti pubblici che devono essere eseguiti per il conseguimento di fini di interesse generale.
Questa distinzione tra uso pubblico e privato della ragione deve essere applicato anche in materia religiosa.
La costituzione della chiesa non può essere considerata immutabile, essa deve adeguarsi alle esigenze di una
ragione veramente illuminata.
Lo stato non ha alcun potere sulla dottrina e sul culto della chiesa, può solo richiedere che i doveri derivanti
dall’appartenenza alla chiesa non contrastino con le leggi. Lo stato deve garantire la piena libertà religiosa.

Lo stato oltre alla libertà del singolo deve garantire l’uguaglianza: tutti sono sottoposti al comando delle
leggi, tutti sono sudditi dello stato e nessuno può imporre niente agli altri se non tramite le leggi.
Tutti i cittadini hanno il diritto di conseguire la posizione sociale che corrisponde alla propria capacità, al
proprio lavoro, senza che quella venga riservata ad alcune categorie sociali.
L’aristocrazia non può più vantare alcun esclusivo diritto agli incarichi più importanti dello stato. Deve
invece concorrere con altre classi sociali, in particolare la borghesia, per quanto riguarda gli uffici e le
attività pubbliche. In vista di questo fine occorre predisporre una politica di radicale riforma della grande
proprietà feudale ed ecclesiastica che sancisce privilegi politici dell’aristocrazia e dell’ordine ecclesiastico.
Questi provvedimenti sono legittimi in quanto o stato, espressione della volontà generale è la fonte del
diritto di proprietà privata dei singoli cittadini. Allo stato appartiene tutto il territorio sul quale esercita la sua
sovranità. Tale relazione non deve essere concepita come se avessimo un governo dispotico, ma come
premessa indispensabile perché i singoli possano avere un dominio esclusivo di una parte limitata del
territorio dello stato.

Kant aderisce agli ideali di rinnovamento culturale e politico della rivoluzione francese. Nonostante tutti gli
errori e dolori che sono connessi con avvenimenti del genere, la rivoluzione ha suscitato nei popoli
entusiasmo e fiducia nella possibilità del progresso dell’umanità. Ma il principio sul quale si fonda la
rivoluzione, il diritto di resistenza attiva al governo non può essere accolto in uno stato di diritto. Il popolo
non può ergersi a giudice del suo sovrano né può usare forza contro di lui in quanto automaticamente
distruggerebbe l’autorità sovrana e riporta la società civile alla società di natura e si annulla come popolo
cioè come entità fondata sul diritto.
Le riforme possono essere promosse solo dal sovrano. Può essere ammessa una sola forma di resistenza,
quella che può esercitarsi nei confronti del potere esecutivo e non contro quello legislativo

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86. Kant: La rivoluzione


La rivoluzione in quanto trasformazione violenta dell’ordine politico pone il problema di intendere la
funzione che hanno le lotte politiche, i conflitti, le guerre, nel processo di formazione della società e quindi
nell’affermazione del principio del diritto.
La natura ha dotato l’uomo di ragione e volontà affinchè egli possa perfezionarsi continuamente. Il fine della
natura è che l’uomo si elevi tanto da rendersi degno della vita e della felicità. Questo fine può essere
conseguito dall’uomo solo stabilendo e mantenendo rapporti con gli altri uomini, condizione necessaria per
lo sviluppo delle sue attitudini. Queste sono promosse da due tendenze:
la socievolezza: il desiderio che ha l’uomo di unirsi con il suo simile per esprimere la sua personalità, che si
forma grazie alla partecipazione di quanto viene fatto.
La insocievolezza: la tendenza a esaltare se stesso sugli altri, a concentrare su di sé i benefici della vita
sociale.

L’uomo è costretto dalla natura a entrare in società con i suoi simili sotto la spinta dei bisogni più elementari
e urgenti, per una esigenza di difesa e tutela della vita e nello stesso tempo è proprio la società che sviluppa
nell’uomo l’inclinazione all’antagonismo col favorire della passioni, desideri, sentimenti che
contrappongono gli uomini tra loro. Se non ci fossero le contrapposizioni tra gli uomini non sarebbero state
possibili le conquiste della ragione e dell’ingegno umani.
Il progresso si realizza con un meccanismo per cui l’uomo è tenuto a freno dai suoi stessi impulsi, passioni
che creano le situazioni che costringono l’uomo a fondare la società civile.

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87. Hegel 1779 – 1831: rapporto religione e politica


Primi interessi si riferiscono ai problemi dei rapporti tra religione e ordine politico.
Scrive “religione popolare e cristianesimo”, “la vita di Gesù”, “la positività della religione cristiana”.
Considera il Cristianesimo come religione positiva cioè come formula di fede e regole di vita che il credente
accetta in quanto dettate dall’autorità della chiesa. Al Cristianesimo come religione positiva contrappone un
Cristianesimo che si esprime sul piano della pura morale quale può essere individuata e riconosciuta dalla
coscienza e dalla ragione dell’uomo. La tendenza a considerare la religione, i costumi, il popolo, la società,
lo stato come una totalità ha il suo centro unificatore nella religione.
La religione è il modo d’essere originario dello stato nel quale si fonda ciò che caratterizza e distingue la
comunità, ciò che fa l’unità vivente che è il popolo. La religione contiene in sé tutti i modi d’essere del
popolo i quali si realizzeranno nella storia. La religione è il destino del popolo.
La storia del popolo ebraico è l’esplicazione della sua religiosità che fa tutt’uno con i suoi costumi e
tradizioni che è la ragion d’essere della comunità. Dio è venerato come il dio di Israele che istituisce con il
popolo un rapporto unico per mezzo del quale lo stesso popolo riconosce la sua identità. Israele in tal modo
si isola da tutti gli altri popoli e il mondo che lo circonda è visto come qualcosa di estraneo e ostile. Dio è
considerato come l’assoluto da cui dipende tutto. Le vicende politiche di israele sono connesse al suo
rapporto con Dio. La perdita dell’indipendenze e la sua virtù politica dipendono dal fatto che Israele si è
allontanato da Dio con la conseguenza giusta della sua colpa. Il popolo di Israele è soggetto in tutto alla
legge del signore. Tale rapporto produce una totale separazione tra Dio e il popolo e tra il popolo di Israele e
tutti gli altri popoli. Il messaggio di Gesù deve essere visto come il momento in cui la scissione e la statica
contrapposizione tra infinito, Dio e finito, popolo, viene superata. Sono così poste le premesse per il
superamento della distinzione kantiana tra religione e ragione, morale e diritto, per intendere la religione
come esperienza vitale in cui si pone il rapporto dialettico tra infinito e finito. La religione è il modo
d’essere originario su cui si fonda l’identità della comunità. La religione fa di una molteplicità di individui e
cose una unità vivente, il popolo.

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88. Hegel: La costituzione della Germania


Lo scontro con le armate francesi aveva dimostrato l’inconsistenza politica dell’impero, l’inefficienza della
sua struttura confederale, incapace di esprimere una vera forza politica.
La confederazione germanica è lontana dall’essere un vero stato. La sua costituzione, istituzioni, tradizioni
non corrispondono alla vita della comunità germanica. La struttura confederale nasconde una scissione tra
l’organizzazione giuridico costituzionale e le autentiche esigenze della collettività tedesca che non riesce ad
attuare quell’unità reale che si esprime nello stato. L’impero è uno stato solo nel pensiero e non nella realtà.
L’attività dello stato si realizza solo nelle forme proprie del diritto privato, dato che i singoli stati godono di
un particolare status di indipendenza e autonomia garantito dalla costituzione dell’impero. Lo stato
germanico è un’associazione di comunità sovrane ciascuna rivendicante la propria autonomia e
indipendenza.
L’essenza dello stato consiste nell’unione di una moltitudine di persone per la comune difesa di tutto ciò che
è sua proprietà.
L’impero tedesco non è riuscito a organizzare una forza militare efficiente anche perché non aveva il potere
di procurarsi i mezzi finanziari necessari per un esercito moderno,. Il sistema dei contingenti ha bloccato
tutti i tentativi volti a realizzare una politica unitaria in grado di provvedere alla difesa dell’indipendenza e
dell’integrità territoriale.
La confederazione germanica è un’associazione in cui i singoli stati costituiscono ciascuno una parte a sé
senza alcun organico collegamento o vincolo con l’Intero. Si può paragonare la confederazione tedesca a un
mucchio di pietre rotonde che non appena riceve un colpo si disfa e le pietre rotolano. Lo stato invece deve
essere un muro le cui pietre si incastrano le une con le altre.
Hegel contrappone la politica al diritto. Critica la riduzione giusnaturalistico-illuministica dell’essenza dello
stato al diritto, che ha disarticolato lo stato per ridurlo a un mero aggregato di parti che coesistono l’una
accanto all’altra senza integrarsi in un organismo unitario.
Occorre che in Germania venga finalmente fondato lo stato moderno come è successo in Francia, Inghilterra
e Spagna. Il Principe appare a Hegel come la grande opera politica in cui è stata concepita l’idea di stato
come forza, come potenza che salva un popolo, una nazione, dalla disgregazione che si genera dal
particolarismo, garantendogli l’unità e l’indipendenza.

Esamina l’impotenza dell’impero e la sua incapacità di attirare una valida politica di difesa dell’unità della
nazione germanica. Rileva l’inesistenza di un vincolo che unisca le singole parti della confederazione
germanica allo stato considerato come Intero. l’Intero non è la somma delle parti che lo costituiscono ma è
ciò che risulta dalla loro reale unità e quindi ciò che fa sussistere le parti nella loro specifica funzione, che le
armonizza in modo che la loro attività pervenga a un risultato unitario. Il compito della filosofia è indicare
come deve essere pensato l’intero per comprendere la sua articolazione in una molteplicità di parti che si
organizzano in un tutto sistematico. L’intero quando si riferisce alla politica si esprime come eticità, come la
totalità dei principi, dei valori sui quali si fonda il comportamento degli individui nella comunità. Lo stato è
un organismo compiuto, una unità-totalità che ha nell’etica il suo vero centro unificatore.
La realtà dell’individuo come vivente unità di particolare e universale può essere compresa con il concetto
di eticità: questa si identifica con il popolo. L’individuo considerato come Io è una vuota attrazione così
come sono del tutto attratti i diritti naturali che costituirebbero la sua vera essenza. L’individuo invece esiste
nel popolo cioè in una totalità etica. Il popolo è una individualità e come tale esprime il suo proprio

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carattere, una propria personalità che costituiscono il vero fondamento del sistema politico cioè del fatto che
tutti gli ordinamenti positivi, le leggi, le istituzioni sono le une alle altre collegate in modo da realizzare gli
scopi che sono propri dell’Intero cioè dello stato.

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89. Hegel: La politica


La dialettica è il procedimento logico che coglie l’essenza del divenire, del movimento reale per cui l’intero
si articola e si determina in tutti i suoi aspetti mediante un processo di scissione. Essa si fonda sulla
convinzione che il movimento scaturisce dalla contrapposizione di due termini che si negano a vicenda e
tramite questa negazione si ricostituisce una superiore unità che li comprende entrambi. I tre momenti del
processo: affermazione; negazione dell’affermazione; negazione della negazione che ripropone la prima
affermazione arricchita delle determinazioni necessarie per ricostituire l’unità dei due termini. In virtù di
questo processo la virtù si esprime nella reale e quindi vivente unità di tutte le sue determinazioni.
Il movimento, il divenire si attua nella storia: di qui la connessione tra storia filosofia e politica. Lo stato è il
risultato di un lungo processo storico nel corso del quale si sono formati i suoi elementi costitutivi. Lo stato
costituzionale è connesso con la cultura e la civiltà occidentale fondate sulla tradizione greco-romana e su
quella cristiana medievale e moderna.
La politica deve essere concepita come attività ma non può essere ricondotta al diritto o alla morale perché è
la sintesi dialettica di diritto e morale, appartiene quindi all’eticità che diventa consapevole di sé mediante la
società e lo stato. se la politica è attività pratica essa deve essere riferita al principio stesso dell’attività cioè
la volontà. La politica è un indagine del sistema delle determinazioni della volontà. L’essenza della volontà
è la libertà. La libertà diventa il valore centrale al quale deve informarsi l’organizzazione della società e
dello stato. La libertà e l’essenza dell’uomo e quindi l’uomo è l’idea vivente della libertà.
Il diritto è la forma di autodeterminazione della volontà che si manifesta dall’esterno. Esso è anche la forma
con cui si esprime la libertà, e il sistema del diritto è la garanzia di libertà dell’individuo in quanto definisce
gli specifici contenuti della stessa libertà. In virtù del diritto il soggetto sussiste come persona cioè soggetto
titolare dei diritti e manifesta la sua volontà nelle 3 fondamentali sfere giuridiche la cui disciplina forma il
sistema del diritto:
La proprietà: che è il riconoscimento della volontà singola, della persona particolare
Il contratto: che è la negazione di questa particolarità mediante il riconoscimento dell’altro come persona e
dell’unica volontà che unifica quella dei contraenti
L’illecito è la negazione del contratto nella forma dell’illecito semplice e della frode, e del diritto mediante il
delitto.

Con questa negazione si manifesta il male e la volontà esteriore dell’individuo viene ricondotta alla sua
interiorità, alla volontà soggettiva cioè alla volontà morale.
La moralità è la sfera propria delle azioni che vengono indirizzate al conseguimento del bene. Ma la
moralità è anche la consapevolezza dell’assoluta libertà della propria interiorità cioè della capacità che ha il
soggetto di giudicare ciò che è bene e ciò che è male.
L’eticità esprime la sfera del dovere che contiene in sé le due precedenti sfere: quella del diritto e quella
della moralità.

Storia delle dottrine politiche Pagina 105 di 152


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90. Hegel: Il concetto di società civile


Hegel rifiuta la concezione giusnaturalistica e contrattualistica della società e dello stato che fondano
l’organizzazione politica sul consenso dell’individuo. L’individuo invece nasce in un gruppo le cui funzioni
e le cui interne relazioni sono definite dall’etica, la famiglia nella quale è inserito. Con lo scioglimento etico
della famiglia che avviene con la maggiore età dei figli o con la morte dei genitori, l’individuo acquista la
sua piena autonomia che si esplica nell’ambito della seconda forma dell’eticità, la società civile.
La società civile non è costituita dall’unione di più famiglie ma dai singoli individui. Essa risulta dal
coordinamento degli interessi particolari dei singoli.
La società civile si fonda sul sistema dei bisogni, sull’organizzazione per soddisfare tali bisogni e
comprende tutte le istituzioni volte a tutelare l’interesse dei singoli, soprattutto l’amministrazione della
giustizia e la polizia.
Il concetto di società civile diventa nell’analisi di Hegel la sfera caratterizzata dall’attività economica volta
al soddisfacimento dei bisogni degli individui. L’uomo è in grado di moltiplicare all’infinito i suoi bisogni,
di scomporli, di particolarizzarli e di renderli sempre più astratti. Questa è la premessa su cui si fonda il
principio della divisione del lavoro che ha come risultato una sempre maggiore semplificazione dell’attività
lavorativa che consente la sostituzione del lavoro umano con la macchina.
Il sistema dei bisogni converte l’interesse dei singoli nell’interesse generale. Chi lavora per sé lavora per gli
altri nel senso che concorre con il suo lavoro alla formazione del patrimonio generale, alla ricchezza della
nazione. Questo non significa che tutti abbiano diritto ad una uguale porzione del patrimonio generale in
quanto gli individui hanno posizioni e attitudini diverse che costituiscono la vera causa dell’ineguaglianza
dei patrimoni.
Le principali attività economiche raggruppano gli individui in masse distinte. Si formano in tal modo gli
stati o ceti sociali che sono 3:
1. i proprietari di terra e gli agricoltori: o stato sostanziale
2. lo stato dell’industria: artigiani, commercianti
3. stato generale: costituito dalle persone che si dedicano agli interessi generali dello stato sociale.

Ogni individuo ha un ruolo sociale e ciascuno stato sociale esprime una propria forma di eticità cioè una
serie di convinzioni, principi e ideali che lo caratterizzano.
Gli stati sociali sono la vera struttura portante della società civile.
Alla società civile appartiene non solo la dichiarazione del diritto privato in quanto legge ma anche
l’applicazione della stessa legge cioè l’amministrazione della giustizia che deve garantire all’individuo
libertà civile e interessi. Occorre riconoscere alla società civile anche un potere di vigilanza e tutela per
armonizzare i diversi interessi dei produttori e dei consumatori.
L’organizzazione della società civile trova il suo compimento nella corporazione cui fanno capo i ceti
sociali. La corporazione rappresenta il momento etico della società civile. Essa interpreta e fa valere i valori,
le superiori regole che disciplinano l’agire pratico degli individui volti al soddisfacimento dei propri bisogni
ed a procurarsi la ricchezza armonizzandolo con quello degli altri.
La società civile ha la funzione di portare gli istinti, i bisogni, i sentimenti degli individui dal livello della
rozza immediatezza naturale a quello della razionalità, conferendo così alle esigenze degli individui la forma
della universalità. Si esprime in tal modo nella sfera della società civile la civiltà che è intesa da Hegel come
la liberazione e il lavoro della superiore liberazione che nel soggetto è il duro lavoro contro la mera

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soggettività del comportamento, contro l’immediatezza del desiderio, così contro la vanità soggettiva del
sentimento.

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91. Hegel: Lo stato è la realtà dell’idea etica


Il concetto di stato è connesso con quello di razionalità. È la consapevolezza del rapporto che lega tra di loro
tutte le determinazioni, tutte le sfere.
Rifiuta la concezione contrattualistica ed individualistica dello stato.
La polemica di Hegel nasce dalla considerazione degli avvenimenti politici della Rivoluzione francese:
l’esigenza di affermare la libertà dell’individuo e di ricostituire ex novo l’intera struttura dello stato aveva
trovato la sua paradossale conclusione nel Terrore come negazione proprio della libertà e come
affermazione della tirannia più spietata.
Lo stato non può prescindere dalla libera attività degli individui in quanto solo essi realizzano la sintesi della
particolarità del singolo e dell’universalità rappresentata dallo stato.
La costituzione politica si fonda sulla distinzione dei poteri articolata in:
potere legislativo: ha il compito di articolare e stabilire l’universale
potere governativo: riporta le sfere particolari e i casi singoli sotto l’universale
potere sovrano: unifica i due precedenti poteri. La sovranità è incarnata e rappresentata dal monarca che
garantisce in virtù della successione al trono la continuità dello stato.

differenza tra distinzione e divisione dei poteri: la prima implica la sussistenza di un armonico rapporto tra i
poteri in quanto si riconoscono come derivanti da un unico principio, l’unità e la sovranità dello stato
rappresentata dal monarca; la seconda sottolinea la reciproca limitazione che tende a degenerare nella
contrapposizione dei poteri e che termina con la supremazia del legislativo o dell’esecutivo per instaurare un
potere assoluto.
Il monarca ha il potere di nominare i membri del governo e le alte cariche dello stato.

L’esecuzione delle decisioni del monarca fa capo al potere governativo che è costituito dalla pubblica
amministrazione nel cui ambito è compresa anche l’amministrazione della giustizia. Il compito della
pubblica amministrazione è di far valere l’interesse generale dello stato.
Il potere governativo ha il compito di fungere da tramite tra la società civile e lo stato e di garantire il
perseguimento dell’interesse generale nel rispetto dell’interesse dei singoli.
Il potere legislativo è costituito dal monarca a cui appartiene la decisione suprema; dal potere governativo;
dalle assemblee degli stati alle quali appartiene l’iniziativa delle proposte di legge.
La legge deve essere espressione della volontà degli organi fondamentali dello stato.
Non può essere ammessa la partecipazione dell’individuo singolo al governo dello stato.
La rappresentanza politica non deve essere fondata sul rapporto diretto tra popolo e rappresentanti ma deve
essere mediata dal sistema degli stati sociali cioè delle corporazioni.
Il sistema elettorale che si informa ai principi liberali e democratici non garantisce che la rappresentanza sia
costituita da elementi competenti dei problemi che debbono affrontare e risolvere, mentre la rappresentanza
organica quale viene selezionata dai ceti e dalle corporazioni risulta composta da persone che hanno avuto
una lunga pratica degli affari pubblici. La rappresentanza organica esprime una classe politica o di governo
che è perfettamente in grado di far valere l’ideale della razionalità dello stato, unica vera garanzia di libertà.
L’assemblea legislativa che deve essere divisa in due camere per garantire un ponderato esame dei
provvedimenti è una deputazione dei ceti,. Delle corporazioni, delle comunità minori che scelgono nel loro
seno i rappresentanti alla stessa assemblea.

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Pur riconoscendo all’aristocrazia una posizione di rilievo ritiene che la costituzione politica debba fondarsi
sulla classe media che deve essere considerata la vera struttura portante della società civile e dello stato. la
formazione dello stato moderno coincide con la nascita e l’affermazione della classe media nel cui ambito
ha una posizione di rilievo la classe dei funzionari dello stato.

Le relazioni tra gli stati sono regolate dal diritto internazionale che è costituito dalle norme fissate dagli
accordi o patti tra gli stati e debbono essere rispettati.
La guerra è necessariamente connessa con la formazione e la vita degli stati. Ma non significa che la guerra
cancelli il diritto internazionale, poiché essa ci combatte tra stati.

Nella storia universale Hegel distingue 4 periodi:


1. orientale: lo stato è una totalità etica naturale senza alcuna interna articolazione, animata dalla religione
nella quale confluiscono il costume, la morale, il diritto, la politica. La religione permane tutte le
manifestazioni della vita. L’individuo non ha possibilità di esistenza autonoma. La sua vita è determinata
dalla nascita cioè dalla situazione sociale originaria. Le classi sociali sono caste. La caratteristica dello stato
orientale è l’immobilità del suo ordine politico-sociale.
2. greco: nel mondo greco compare il principio della individualità libera, che si esprime nell’ideale del
sapere, della bellezza, dell’eticità serena e del contemperamento di questi ideali. La libertà è intesa come
piene partecipazione alla vita dello stato ma ancora in un organica connessione con l’etica, con l’Intero.
3. romano: è il mondo del diritto cioè della separazione tra privato e pubblico. dove il principio
dell’individualità trova la sua realizzazione. Si crea una separazione tra l’individuo e l’universale cioè lo
stato.
4. germanico-cristiano: l’individuo scopre il valore infinito della sua interiorità che si conosce come tale e
che pertanto si adegua all’universale cioè al vero. Le tappe di questo processo storico che caratterizza il
mondo occidentale e che trova la sua conclusione nella formazione dello stato costituzionale devono essere
individuate nella riforma protestante e nella rivoluzione francese.

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92. Owen 1771 – 1858: teorico dei problemi sociali


La rivoluzione industriale pose una serie di problemi che furono il punto di riferimento del dibattito teorico-
politico sui rapporti tra sistema produttivo e organizzazione politica, tra società e stato, alla luce del ruolo
essenziale del lavoro. Si affermava che l’economia era la chiave di lettura dei fenomeni sociali e politici.
La ricchezza di cui disponeva l’Inghilterra era aumentata in gran misura.
Gli alti salari erano stati ridotti dall’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità. Il sistema industriale
induceva i proprietari delle fabbriche a ridurre i costi del lavoro, impiegando donne, ragazzi e bambini e
imponendo loro duri orari di lavoro.
Si pose in Francia, Inghilterra, Belgio, Germania la questione sociale come problema delle misere
condizioni di vita della classe lavoratrice e dei motivi per cui il sistema di produzione industriale generava
tale miseria e non riusciva a rendere partecipe la massa dei lavoratori della nuova ricchezza prodotta.
Owen, Saint Simon e Proudhon furono i primi teorici dei problemi sociali scaturiti dal sistema di produzione
industriale e dalla rivoluzione industriale. Espressero un comune orientamento culturale che assumeva una
propria autonoma posizione nei confronti delle altre dottrine politiche e fu indicata con il termine
socialismo. Si sosteneva che i mezzi di produzioni dovessero appartenere alle associazioni dei lavoratori.
Owen dice che la nuova organizzazione economica se ha dimostrato la capacità di produrre ricchezza ha
anche determinato una serie di mali che sembrano superare di gran lunga i vantaggi che ha arrecato. I mali si
riferiscono alla condizione di degradazione e miseria nella quale si trova la classe lavoratrice cha
rappresenta la maggioranza della popolazione. La produzione è informata al principio della libera
concorrenza che spinge le aziende, al fine di ridurre i costi, al ridurre e comprimere i salari.
Il principio della libera concorrenza sollecita una produzione incontrollata che non tiene conto delle capacità
di assorbimento da parte dei mercati e la capacità di acquisto delle classi lavoratrici. Il risultato è la
produzione di una quantità di beni che risulta di gran lunga superiore alle possibilità di acquisto della
grandissima maggioranza dei consumatori con la conseguente saturazione dei mercati e sovrapproduzione.
Molte fabbriche sono costrette a chiudere creando disoccupazione.
Il vero problema economico è di equilibrare la produzione con il consumo. Occorre assicurare alle classi
lavoratrici un reddito che consenta loro di acquistare i beni prodotti.

La soluzione a questo problema è una nuova concezione della società in vista di una riforma dei rapporti
sociali che consenta di sostituire al principio della libera concorrenza il principio della cooperazione in base
al quale le energie intellettuali e lavorative degli uomini vengono coordinate a fini e risultati che si
riferiscono a tutti e non ai singoli in lotta tra loro. Questo risultato può essere conseguito trasformando il
carattere degli uomini formato dal principio della competizione, rendendolo conforme al principio della
cooperazione.
Il primo mezzo è il sistema educativo: deve essere riformato secondo la pedagogia della cooperazione, che
sottragga i bambini e i giovani a quegli ambienti che sollecitano l’egoismo. Si deve insegnare che la felicità
del singolo non può essere scissa da quella della comunità.
La riforma del sistema educativo deve essere completata dalla riforma del sistema sociale in quanto sistema
produttivo. Si deve seguire il metodo della gradualità: le riforme devono essere sperimentate in singole
fabbriche secondo i criteri e il modello da lui proposto per dare dimostrazione dei risultati positivi che
inducano le altre fabbriche ad adottarlo. È una riforma graduale che deve essere promossa dalle forze
produttrici, capitalisti, imprenditori, proprietari terrieri, banche, lavoratori senza l’intervento dello stato.

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La nuova società deve costituirsi a partire dalla fabbrica, deve essere considerata una vera comunità che
serva a realizzare il bene comune e che faccia sì che l’uomo realizzi se stesso.

Ci vuole una redistribuzione delle forze di lavoro sul territorio mediante la costituzione di aziende. Ciascuna
di esse dovrà avere una popolazione che oscilla tra le 1200 e le 2000 unità e che sarà ospitata in un villaggio
costruito secondo una planimetria rettangolare nel cui centro c’è una grande piazza nella quale saranno
costruiti tutti gli edifici e servizi comuni: scuole, cucine, chiese…
Le fabbriche saranno sistemate vicino al villaggio in modo che i suoi abitanti possano raggiungerle a piedi.
Ci vuole una compenetrazione tra attività intellettuale e manuale.
Deve consentire a tutti di esprimere le proprie capacità e attitudini.
Le uniche distinzioni giuste e naturali sono quelle che si riferiscono all’età che legittimano i poteri di
direzione dell’azienda-comunità e che consentono di rinnovare il comitato dirigente.
L’azienda-comunità è più valida dell’impresa capitalista, fondata sul principio della libera concorrenza.

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93. Saint-Simon 1760 – 1825: riformismo illuministico


Continua le istanze più vive del riformismo illuministico nella prospettiva del primato delle scienze positive.
La società deve essere considerata come un tutto, come un vero e proprio sistema che si articola e si
organizza in base a un processo evolutivo che trae la sua origine dall’attività economica e dalla sua
corrispondente organizzazione.
L’idea centrale si riferisce al primato del metodo scientifico fondato sulle scienze esatte, la matematica e la
geometria ed applicato alla conoscenza sperimentale. La nuova concezione della società, l’unica in grado di
risolvere le crisi politiche ricorrenti della Francia e dell’Europa deve essere vera e propria concezione
scientifico-positiva della società. Positivo è tutto ciò che conosciamo sulla base dell’osservazione
sperimentale. La conoscenza scientifico-positiva si contrappone a quella metafisica e formale giuridica,
ambedue meramente teoriche, astratte e quindi negative. Le scienze positive, l’astronomia, fisica, chimica,
fisiologia forniscono conoscenze sicure la cui dimostrazione può essere controllata da tutti e che ci
consentono di prevedere una serie di fenomeni. Sono il risultato del metodo empirico-sperimentale.
La politica deve essere concepita come la scienza positiva della società, fondata sulla nuova filosofia
positiva che si contrappone alla vecchia metafisica e all’astratto formalismo legale.
C’è l’esigenza di dare un impulso al lavoro scientifico finalizzato a integrare fra di loro le singole scienze
positive grazie alla cooperazione degli scienziati a livello internazionale. Realizzazione di una nuova
enciclopedia ispirata ai principi della filosofia positiva.
Nel 1814 in occasione del Congresso di Vienna proponeva il riconoscimento della costituzione parlamentare
sul modello inglese per l’ordinamento politico interno a ciascun stato e la formazione di un parlamento
generale europeo per risolvere controversie per eventuali conflitti che potessero insorgere tra i singoli stati.
Occorreva istituire un organismo e un potere sovranazionale autonomo e indipendente rispetto alle nazioni
che avrebbero conservato ciascuna la propria indipendenza. Voleva dar vita a una federazione europea.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

94. Saint Simon: analisi della rivoluzione francese


Dopo il 1814 si voleva individuare le origini, le cause e i veri scopi della Rivoluzione francese: le lotti tra
partiti e i conflitti politici erano la prosecuzione della rivoluzione.
Bisognava ricostruire il cammino della civiltà mediante lo studio del passato per individuare le forze la cui
influenza è divenuta preponderante. Si voleva capire come si è arrivati all’attuazione di un determinato
ordine sociale.
L’Europa moderna si fonda nel medioevo. Il sistema teologico-feudale si forma con la forza militare tenuta
dall’aristocrazia e sul potere spirituale tenuto dalla chiesa. Il sistema teologico feudale riuscì a unificare dal
punto di vista spirituale e civile tutti i popoli europei e garantendo a ciascuna nazione la propria autonomia e
indipendenza.
Nel primo medioevo acquista posizione determinante la forza militare.

Lo scopo della rivoluzione era di esprimere e attuare un nuovo sistema sociale che corrispondesse alle
esigenze determinate al processo di sviluppo storico della società francese e fondasse la società
sull’industria e sugli industriali: il sistema teologico-feudale esaurito avrebbe dovuto essere sostituito dal
sistema scientifico-industriale. Con la Rivoluzione e dopo il problema della nuova organizzazione è che le
forze spirituali e temporali della società sono passate in altre mani. La vera forza temporale risiede ora negli
industriali e la forza spirituale negli scienziati. Queste due classi sono le sole a esercitare una reale
permanente influenza sull’opinione e sulla condotta del popolo. La rivoluzione non riuscì a instaurare un
nuovo sistema perché la classe degli industriali affidò il compito della riforma ai rappresentanti della
borghesia ….

La caratteristica della scienza moderna è data dall’applicazione delle scoperte scientifiche alla produzione.
Ciò è stato possibile perché si è formata una categoria di scienziati, gli ingegneri. L’industria realizza così
un’organizzazione fondata sulla razionalità scientifica che deve essere estesa all’intera società. Si determina
in tal modo una modificazione sostanziale della cultura e orientamenti politici che prima erano ispirati a una
filosofia critica e rivoluzionaria e ora sono l’espressione di una filosofia inventrice e organizzativa.
La vera rivoluzione dalla quale scaturisce la società contemporanea è quella industriale operata dalla nuova
organizzazione dell’attività produttrice, resa possibile dall’applicazione delle scoperte scientifiche e dal
continuo perfezionamento tecnologico della produzione. L’ordine politico-sociale tende a modellarsi sulla
nuova organizzazione industriale.
La società non deve essere più concepita come un’unione volontaria di individui che si associano mediante
il contratto sociale ma come un vero e proprio corpo sociale cioè come un insieme organico di membra e di
parti. Ciascuna realizzando la sua specifica funzione si coordina con le altre e concorre a realizzare la
società la quale come tutto costituisce il presupposto essenziale dell’esistenza delle singole parti.
La società partecipa di un processo evolutivo che riguarda l’intera umanità. Arrestare questo processo è
assurdo perché significherebbe capovolgere il sistema delle leggi che governano la natura che sono
finalizzate all’evoluzione della specie.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

95. Saint Simon: processi di cambiamento dopo Napoleone


Anche la classe politica subisce un processo di trasformazione. Dopo la fine del periodo napoleonico
sussistono ormai solo 2 classi: la borghesia e gli industriali: la prima ha il monopolio degli incarichi
pubblici, dell’apparato dello stato. la seconda esprime le nuove forze, energie, capacità produttrici. La nuova
classe politica dovrà essere costituita dai capi naturali degli industriali cioè coloro che hanno un rapporto
organico con il mondo del lavoro e dalla produzione, persone che partecipano direttamente con la loro
attività intellettuale al sistema produttivo.
Nell’”organizzatore” formula un ipotesi: ammettiamo che la Francia perda 3mila persone tra i più qualificati
delle categorie industriali, i migliori scienziati. La nazione subirebbe un danno gravissimo e irrimediabile e
cadrebbe in uno stato di inferiorità nei confronti delle altre nazioni.
Se invece perdesse d’un tratto l’attuale classe dirigente (la famiglia reale, i dignitari, ministri, sottosegretari,
consiglieri e altre gerarchie ecclesiastiche) in tutto 30mila persone questa perdita recherebbe ai francesi solo
un dolore di carattere sentimentale non risultandone alcun danno politico per lo stato.
La nuova classe dirigente è la rappresentanza naturale della nuova organizzazione della produzione
economica e delle categorie sociali che la promuovono. La realizzano e la dirigono. Essa si forma man mano
che si sviluppa il sistema industriale ed è il risultato di una selezione basata sul sapere positivo e sui meriti
che possono essere riconosciuti a coloro che partecipano al processo produttivo.
Con la nuova classe dirigente muta anche il vecchio rapporto comando-obbedienza sul quale si basava
l’ordine politico-sociale. Il comando si basava sulla preminenza garantita dalla forza militare alla quale
corrispondeva un atteggiamento passivo di obbligo di obbedire. Nel nuovo sistema industriale il rapporto
comando-obbedienza è razionalizzato e opera nella sfera delle scienze positive che possono essere acquisite
da tutti. Il comando perde il suo carattere impositivo e ne assume uno diverso, di direzione.
L’essenza del nuovo potere industriale non è più la coazione e l’oppressione, il dominio, ma la direzione che
indica i comportamenti, le operazioni più idonee per conseguire gli scopi che si propone la nuova società
industriale. La trasformazione del comando in indirizzo elimina il rapporto dominatori-dominati e lo
sostituisce con quello di collaborazione al processo produttivo.
La nuova società industriale è una società di collaboratori.
La sovranità è il potere di scegliere la direzione lungo la quale deve operare la società. Non po’ essere più
attribuita a una determinata categoria di persone ma viene fatta valere dal corpo sociale stesso, tutti gli
industriali in quanto organizzati sul principio della collaborazione indicano e realizzano questo indirizzo
generale. È una vera e propria auto amministrazione da parte dell’intera società.
Saint-simon contrappone al concetto di libertà borghese giuridico-formale quello della scienza della libertà
che ha come scopo il massimo grado di libertà sociale che corrisponde alla piena esplicazione delle capacità
personali di ciascuno.

Propone una riforma della costituzione che consenta alla nuova classe industriale di assumere la direzione
dell’intera attività produttiva verso la quale debbono convergere tutte le energie della nazione francese. Il
principio della tripartizione dei poteri deve essere riformulato alla luce delle tre facoltà che presiedono
all’operare umano: immaginare, cioè concepire il fine; valutare con la ragione ciò che abbiamo immaginato;
realizzare ciò che è stato approvato dalla ragione. Su questa tripartizione deve essere riorganizzato il
supremo potere sociale in modo che uno abbia il compito di elaborare i progetti, un altro di esaminarli, il
terzo di metterli in opera.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti
Il Parlamento deve essere strutturato in 3 camere: dell’invenzione, dell’esame e dell’esecuzione. La prima
ha il compito di formulare i progetti riguardanti le opere pubbliche, la seconda esamina i progetti elaborati,
la terza esegue i progetti approvati.

Ne “il nuovo cristianesimo indica i principi su cui si sarebbe basata la religione cristiana per corrispondere
alla nuova mentalità scientifica. Il primo comandamento si riferisce all’impegno di ogni cristiano di trattare i
suoi simili come fratelli. Questo rapporto di religiosità cristiana è il fondamento della nuova morale positiva.
I cristiani devono organizzare la società in modo che possa essere la più vantaggiosa per il maggior numero.
Le chiese cristiane devono essere riformate nel senso di riconoscere come fondamentale motivo ispiratore il
comune sforzo di tutti i cristiani per garantire il maggior benessere e felicità al maggior numero di individui.
La vecchia dottrina cristiana esaltava la povertà. La nuova dottrina deve abbandonare questa posizione
negativa e riscoprire e riproporre il valore positivo della vita terrena, della felicità di cui essa può essere
apportatrice. Tutta la società deve lavorare per il miglioramento dell’esistenza morale e fisica della classe
più povera. La società deve organizzarsi nel modo più adatto a farle raggiungere questo grande scopo.
Il compito della religione è sottrarre gli individui dal condizionamento e dalla esclusiva cura dei propri
interessi che hanno generato il sentimento di egoismo.

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96. Constant 1767 – 1830: contributi liberali alla carta


costituzionale
Constant 1767 – 1830: contributi liberali alla carta costituzionale

Fine dell’impero napoleonico. Si vuole restaurare l’antico regime. Ritorna Luigi XVIII che concede una
carta costituzionale: il monarca, capo dell’esecutivo, nomina il governo. Il potere legislativo era diviso in
due camere: quella dei deputati e quella dei pari. Il potere giudiziario ai giudici. Si formarono alcuni partiti:
gli ultrarealisti formati da aristocratici emigrati, che lottarono per la restaurazione degli antichi privilegi
nobiliari; gli indipendenti tra cui Costant che cercarono di dare un contenuto più liberale alla carta: i
dottrinari che volevano una monarchia costituzionale.
Con Filippo d’Orleans, dopo i cento giorni ecc.. la costituzione fu riformata in senso liberale: la camera ebbe
diritto di iniziativa legislativa, si abolì l’ereditarietà della camera dei pari, si riformò la legge elettorale con
la riduzione del censo e il corpo elettorale fu allargato alla classe media.
Costant fu uno scrittore della restaurazione e si impegnò per dare un contenuto liberale alla carta
costituzionale del 1814.
Voleva trovare il principio su cui fondare un ordinamento politico in grado di cogliere le esigenze di
rinnovamento espresse dalla rivoluzione e di garantire i cittadini da qualsiasi forma di oppressione. Si
dovevano comprendere i motivi per cui la rivoluzione era passata attraverso l’esperienza del terrore e si era
conclusa con un ordinamento gerarchico militare.
Ritiene che nel corso di questi avvenimenti si era espresso un sentimento di individualità e libertà che è il
presupposto sul quale deve essere organizzata la società e lo stato.
Vuole difendere l’individualità in tutte le sue manifestazioni.

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97. Constant: I principi di politica applicabili a tutti i governi


Il problema politico centrale è quello della libertà e dei principi politici che consentono di poterla realizzare
mediante istituzioni e ordinamenti che siano veramente corrispondenti a questo scopo. La libertà è connessa
al valore che ha nella civiltà moderna l’individualità, il sentimento dell’originarietà e dell’autonomia
dell’individuo come centro da cui scaturisce tutto il movimento di progresso civile e culturale che
caratterizza la società moderna. Tale sentimento è connesso a un’esperienza religiosa che scopre
l’interiorità, la coscienza come momento centrale di un’emozione che avverte la presenza dell’infinito, di
Dio.
Quanto più l’elevazione spirituale, il comando, l’indipendenza sono un bisogno per noi, tanto più è
necessario rifugiarsi nella fede di Dio. Il sentimento religioso è connesso con le passioni nobili, delicate,
profonde.
Nella libertà religiosa e nella corrispondente libertà di coscienza è radicata la libertà di pensiero la quale si
esprime mediante la libertà di parola e di stampa che sono le libertà politiche fondamentali. L’intero sistema
costituzionale delle garanzie di libertà dell’individuo riposa sulla libertà di stampa. Solamente l’opinione
pubblica esercita un vero controllo sul potere del governo, sull’attività legislativa dei parlamenti e sul valore
delle leggi e rappresenta la reale garanzia della libertà degli individui.
Le libertà dell’individuo sono il limite del potere politico.
Bisogna riconsiderare il concetto di sovranità che costituisce il fondamento dell’organizzazione politica.
Richiama a tal proposito alla concezione rousseoniana della volontà generale. Il concetto di volontà generale
deve essere accolto allorchè con esso si intende che il potere di un numero ristretto di persone deve essere
sancito al consenso di tutti i cittadini. La volontà è la fonte di legittimità del potere politico.
Legittimare mediante la volontà generale un’autorità limitata trova conferma nella proposta di religione
civile che deve essere accolta da ognuno, pena l’esclusione dalla comunità. Un credo religioso stabilito dalla
comunità politica è la condizione ineliminabile perché il singolo possa entrare a far parte della comunità che
ha il potere di disciplinare i comportamenti degli associati per renderli conformi ai principi etico-religiosi. In
tal modo l’individuo è subordinato in tutto e per tutto al governo e sottoposto a un controllo continuo delle
sue azioni.
La libertà dei tempi antichi era tutto quello che assicurava ai cittadini la parte più grande nella
partecipazione all’esercizio del potere sociale. La libertà nei tempi moderni è tutto quello che garantisce
l’indipendenza dei cittadini nei confronti del potere.
Il principio della libertà individuale deve regolare anche l’attività economico-produttiva per garantire la
libertà industriale.
La proprietà privata è l’istituzione fondamentale dell’intero sistema economico che consente di organizzare
e di incrementare la produzione e nel contempo indica il criterio per la giusta remunerazione dell’attività
svolta. Anche la proprietà deve essere libera cioè non deve essere sottoposta a vincoli che ne limitano la
circolazione. La proprietà quando è libera tende naturalmente a diversi fra molti titolari, rinnovando
lentamente ma continuamente la categoria dei proprietari.
Lo stato ha dei compiti ben definiti: la difesa dai nemici esterni, il mantenimento dell’ordine pubblico,
l’amministrazione della giustizia, l’intervento nelle grandi opere di interesse pubblico.

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98. Constant: Dello spirito di conquista e dell’usurpazione


Giudica il nuovo ordinamento politico instaurato da Napoleone in Francia. L’impero francese si fonda sulla
sua forza militare, su un esercito che per coscrizione obbligatoria è fondato da tutte le classi sociali. L’ordine
politico francese è la proiezione dell’ordine militare. La politica dell’impero ha trasformato la guerra
rivoluzionaria di liberazione dei popoli in una guerra di conquista, per la quale i popoli sono poi sottomessi a
un potere burocratico-militare che spegna in essi ogni spirito di indipendenza, autonomia e libertà. Il fine
dell’impero è la guerra e la conquista e ha proposto i sentimenti e le passioni della società antica cercando
così di snaturare la moderna società europea caratterizzata dall’attività industriale.
La politica di guerra e conquista ha una conseguenza negativa sull’intera massa della nazione: le
giustificazioni del governo per i provvedimenti militari sono artificiose e pretestuose. Le affermazioni
politiche, i programmi, i principi politici diventano mere forme per giustificare la politica di aggressione.
Tale prassi di governo corrompe la morale pubblica.
L’impero fondato sulla forza militare e la guerra non è altro che usurpazione, una nuova forma di governano
diversa dalla monarchia e dal dispotismo. L’usurpazione si identifica con l’usurpatore cioè con colui che
senza appoggio di un voto nazionale si impadronisce del potere o che oltrepassa i limiti che gli sono stati
prescritti. Mentre il dispotismo elimina tutte le libertà politiche, l’usurpazione le afferma e le sostiene in
modo del tutto formale e strumentale, perché le servono per giustificare il rovesciamento del regime.
L’usurpatore svuota di contenuto le libertà politiche e le istituzioni che dovrebbero temperare il suo potere e
li riduce a strumenti per imporre la formazione di uno spirito pubblico mediante una tecnica volta a sancire
il consenso della nazione. In tal modo il potere si assolutizza e diventa arbitrio. Allorchè viene limitata la
manifestazione del pensiero, tutte le altre facoltà umane sono private di energia e non sono più in grado di
promuovere il progresso culturale e sociale.
L’usurpazione ha in se stessa la ragione della propria autodistruzione: nel tentativo di uniformare tutto e tutti
al proprio criterio di governo, essa è costretta a una continua guerra di dominio che prima o poi sarà la causa
della sua fine.

Distingue poi la monarchia dall’usurpazione: la prima è fondata su una lunga tradizione che limita e tempera
il suo potere e consente di ritenere che esso sia legittimato dal consenso tacito del popolo che ne rende
possibile la continuità la quale si realizza nell’ereditarietà della carica. Si riferiva alla monarchia
costituzionale inglese.
Dice che i diritti fondamentali dell’individuo sono del tutto indipendenti nei confronti dell’autorità politica:
essi sono libertà personale, giudizio per giuria, libertà religiosa, libertà d’industria, inviolabilità della
proprietà, libertà di stampa. La costituzione deve proibire ogni atto che attenti a questi diritti.
La società non è un’entità superiore distinta dai singoli ai quali essa conferisce la personalità di cittadino. La
sovranità popolare, la volontà generale e la legge non esprimono un’autorità illimitata. Sussiste invece una
sfera di diritti e interessi degli individui che è intangibile da parte del potere ed è un limite invalicabile per
ogni governo.
Per realizzare questo principio di libertà bisogna strutturare la costituzione sulla distinzione e divisione dei
poteri che devono essere suddivisi in modo che ognuno svolga le funzioni specifiche e che non si intralcino
e non entrino in conflitto tra loro. Occorre distinguere il potere del monarca costituzionale da quello
esecutivo proprio del governo costituito da ministri. Il primo non è un potere attivo come quello del governo
ma è un potere neutro, che ha il compito di armonizzare gli altri poteri e impedire che si verifichino

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Filippo Amelotti Sezione Appunti
situazioni di contrasto tra essi.
Dice che devono distinguersi nella costituzione del 1814 5 poteri: il potere reale, in quanto potere neutro; il
potere esecutivo rappresentato dal governo; il potere rappresentativo durevole espresso dalla camera dei
pari; il potere rappresentativo dell’opinione espresso da un’assemblea elettiva, la Camera dei deputati; il
potere giudiziario. Il potere reale è limitato perchè la legge deve essere approvata dalle due camere. Il
monarca può intervenire nel processo legislativo mediante la sanzione. Può destituire il governo e può
sciogliere la camera.
Il difetto delle precedenti costituzioni stava nell’aver ignorato l’esistenza e la funzione di un potere neutro e
confuso tale forza equilibratrice con il legislativo e l’esecutivo. Nel primo caso si è affermata l’onnipotenza
della legge, nel secondo il dispotismo.
La libertà non ha vere garanzie quando il diritto elettorale viene esteso alle categorie sociali che non godono
di una indipendenza economica.
L’ordinamento politico amministrativo dello stato deve essere informato ai principi del decentramento e di
un’ampia autonomia locale che stabilisca tra i singoli e il potere centrale due sfere, quella del comune e
quella che raggruppa più comuni nell’ambito del circondario. Occorre distinguere 3 livelli d’interessi: del
comune, del circondario e quelli generali che debbono essere curati dal governo. Il decentramento e le
autonomie limitano l’influenza e il potere che il governo centrale esercita sull’intero territorio.

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99. Toqueville 1805 – 1859: liberalismo e democrazia degli USA


Il problema politico della società post-rivoluzione francese è nell’armonico rapporto tra libertà e
uguaglianza. Il liberalismo non deve contrapporsi alla democrazia. Si interessa quindi per gli USA, il primo
stato democratico moderno nel quale si esprimono le due esigenze della libertà dell’uguaglianza.
La democratizzazione è il fine cui tende il processo storico e deve essere vista come il movimento sociale
che caratterizza la storia moderna, che ha dissolto l’ordinamento aristocratico-feudale, ha abbattuto le
monarchie.
Qualsiasi tentativo di ostacolare l’instaurazione della democrazia è destinato al fallimento.
I governi europei rifiutano la democrazia e cercano di tenerla lontana. Bisogna individuare le condizioni di
attuazione dell’ordinamento democratico, illustrare i valori positivi di cui si fa portatore.

La nuova scienza politica di Toqueville ha come scopo quello di intendere le trasformazioni in atto nella
società europea.
Scrive “la democrazia in America” e “l’antico regime e la rivoluzione”
L’analisi di Toqueville vuole individuare i principi ispiratori dell’etica civile, gli ideali e i valori che
orientano i comportamenti degli individui e delle classi. Le idee, le dottrine politiche, solo quando sono
animate da sentimenti e passioni si tramutano in azione politica diventando leggi ed istituzioni.
Gli ideali politici nella società moderna sono due: la libertà e l’uguaglianza. Toqueville afferma il primato
della libertà quale aspirazione che fonda il sentimento originario della nostra individualità. A principio di
libertà, al sentimento della personalità corrisponde il modello della società aristocratica mentre al principio
dell’uguaglianza corrisponde quello della società democratica che ha trovato la sua prima realizzazione in
America.

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100. Toqueville: il modello di democrazia è quello americano


Le prime colonie che si insediarono in America erano costituite da gruppi di dissidenti religiosi che avevano
lasciato la madre patria per poter professare il proprio credo in libertà. Nell’esperienza politica e civile delle
colonie ebbero importanza la religione e la libertà civile e politica. La religione sa che la sua forza è nel
cuore degli uomini e non ha un atteggiamento ostile nei confronti della libertà politica perché vede nella
libertà civile un nobile esercizio delle facoltà umane e nella libertà politica un campo affidato dal creatore
all’intelligenza. La libertà vede nella religione la compagna delle sue lotte e trionfi, la fonte divina dei suoi
diritti: considera la religione come la salvaguardia dei costumi e i costumi come la garanzia delle leggi.
Il sentimento di libertà scaturisce da quello religioso e da questo viene alimentato.
Insediate in un così vasto territorio le nuove comunità manifestano la tendenza all’espansione in cui tutte le
categorie sociali sono impegnate in un comune sforzo di collaborazione che favorisce lo spirito di
solidarietà. Si forma così una società che promuove un pareggiamento di classe sul piano dei costumi,
dell’etica e anche sul piano economico. Per questo non si è costituita un’aristocrazia come in Europa, in
grado di monopolizzare il potere politico. Nelle colonie c’è una forte mobilità sociale che opera un
pareggiamento delle posizioni sociali. La legislazione cerca infatti di scoraggiare la concentrazione della
ricchezza nelle famiglie, tende verso il ceto medio. Si realizza l’uguaglianza sia sul piano economico e
sociale che su quello intellettuale e morale.
Dice che ci sono 2 modi per far si che gli uomini uguali sul piano sociale lo siano anche su quello politico:
dare gli stessi diritti politici a tutti o non darli a nessuno.
L’America ha il merito di aver rifiutato il potere assoluto e compreso che solo con la collaborazione e
l’unione di tutti si sarebbe potuta difendere dalle aggressioni del potere e di aver scelto quindi l’uguaglianza
nella libertà.

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101. Toqueville: pregi e difetti della democrazia


La sovranità popolare implica la rinuncia a restringere il suffragio al ceto medio borghese per conferirlo a
tutti i cittadini.
Nella democrazia ci sono pregi e difetti. Il desiderio dell’uguaglianza trova continue sollecitazioni ma mezzi
limitati per essere appagato che genera in certi popoli un sentimento di invidia nei confronti dei ceti posti in
una situazione sociale superiore che orienta le scelte politiche verso un livellamento sacrificando le capacità
e i meriti dei migliori: si cerca di soddisfare le richieste dettate dal risentimento.
Il suffragio universale non garantisce i provvedimenti più idonei per gli interessi generali della collettività.
La scarsa efficienza, l’irrisolutezza, l’instabilità amministrativa e legislativa sono i lati negativi del governo
democratico: esso si basa sull’opinione pubblica, mutevole perché esposta alle influenze delle passioni. La
democrazia mentre si preoccupa di tutelare gli interessi che hanno importanza per l’opinione pubblica
rischia di tralasciare gli interessi permanenti della collettività.
La democrazia in quanto fondata sull’opinione pubblica favorisce un generale orientamento verso l’agire
pratico e verso un sapere e una ragione che si basano sul buon senso atto a individuare le soluzioni dei
problemi.
Ma i vantaggi che essa arreca alla società sono superiori. Gli effetti si producono dopo una o due
generazioni. Lo spirito civico, indispensabile per il funzionamento delle istituzioni, è inseparabile
dall’esercizio dei diritti politici. La democrazia diffonde tra i cittadini l’idea dei diritti cui si ispirano i
rapporti e i comportamenti dei singoli nei confronti dei poteri pubblici. Ne consegue il rispetto per la legge
che diventa una forza morale superiore a quella che può essere promossa da un’aristocrazia.
La democrazia poi promuove e sollecita una intensa attività sociale: è un movimento che si diffonde in tutte
le parti della società promuovendo il progresso reale di tutti i cittadini e il soddisfacimento degli interessi
delle diverse classi sociali.
La democrazia proprio perché ha di mira il benessere della maggioranza, comprende elementi di tutte le
classi sociali e svolge la funzione di contemperare gli interessi.

La maggioranza sul quale si fonda il governo democratico e in base al quale si approvano le leggi pone il
vero problema della democrazia, cioè dei rapporti tra la maggioranza e la minoranza.
La democrazia che si fonda sulla sovranità del popolo e il suffragio universale non è la forma di governo che
offre un’automatica garanzia di libertà. In determinate situazioni consente alla maggioranza di esercitare un
potere assoluto che misconosce le esigenze e i diritti della minoranza. Nella federazione americana la
maggioranza finisce per detenere tutti i poteri: elegge il legislativo e l’esecutivo, forma le giurie, elegge i
giudici, organizza la forza pubblica, abolendo quella divisione-distinzione dei poteri che il costituente aveva
posto a garanzia della libertà dei cittadini.
La maggioranza ha un suo processo di formazione che si manifesta in occasione delle elezioni. È il risultato
di processi di omogeneizzazione della società nel quale intervengono i maniera ridotta le idee politiche che
dovrebbero costituire invece il vero principio di coesione degli individui che concorrono a formare la
maggioranza.
La maggioranza tende ad esercitare una costante pressione di carattere ideologico sui propri avversari in
modo da indurli ad assumere un comportamento conforme ai propri principi. La maggioranza si rende
interprete dei principi e dei valori che fondano l’identità del corpo sociale; cerca di plasmare l’opinione
pubblica a sua immagine e somiglianza e sollecita tutti all’accettazione dei suoi principi. Il risultato è il

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conformismo, obbedienza meccanica fondata su convinzioni che si accettano perché ci sono state trasmesse
dall’ambiente sociale in cui viviamo. La libertà non è più coscienza critica ma si riduce all’esercizio di una
serie di diritti che garantiscono la nostra tranquillità e il nostro benessere.

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102. Toqueville: il sistema federale americano


Si sofferma a esaminare in quale modo il sistema costituzionale americano riesce a contenere la tendenza
della maggioranza a rendere assoluto il suo potere e a garantire i diritti delle minoranze. Tale fine è
conseguito dalla struttura federale dello stato americano rafforzato da un sistema di grandi autonomie locali:
impedisce al potere di concentrarsi dalla periferia negli organi del governo nazionale e quindi nell’esecutivo.
Il potere viene suddiviso in diversi centri minori ognuno dei quali ha una sfera di autonomia. Si riduce così
il potere dell’amministrazione centrale e controllata dall’esecutivo e quindi si limita l’influenza che può
esercitare la maggioranza.
Il primato del diritto sul potere si afferma nella suprema corte federale che ha il giudizio di costituzionalità
delle leggi che abbiano violato i principi e le norme sancite dalla costituzione. Quindi la maggioranza trova
nella stessa costituzione un limite che non le consente di servirsi delle leggi per misconoscere o violare i
diritti delle minoranze.

Si sofferma sui pericoli e rischi dell’industrialismo come processo di trasformazione della società tendente a
formare una classe unica, quella degli industriali che realizza l’uguaglianza delle condizioni sociali. C’è un
economicizzazione della vita sociale e politica che svuota quest’ultima dei valori etico-politici,
marginalizzando le istanze di libertà, autonomia, indipendenza.
Il processo di industrializzazione tende a trasformare il contenuto etico del sentimento dell’uguaglianza e a
sostituirvi valori meramente empirici, il desiderio di beni materiali che consentano di godere di uno stato di
benessere. L’industrialismo porta con sé l’utilitarismo e il desiderio del benessere che tende a diventare una
vera e propria etica ispiratrice di tutte le attività sociali.

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103. Toqueville: materialismo insito nelle società democratiche


industrializzate
Il desiderio del benessere quando diventa ragione di vita tende a condizionare le attività degli stessi
individui e a esercitare un’influenza sul movimento intellettuale, costumi, religione, politica. Acquista
rilievo la tendenza a concentrare tutto l’interesse e l’impegno intellettuale sulle questioni pratiche che
possono avere un diretto impiego nell’industria onde incrementare la produzione. L’attività intellettuale non
è più interessato alla conoscenza teorica fine a se stessa ma è sollecitato dalla soluzione di problemi connessi
al sistema produttivo: si assiste alla prevalenza delle scienze applicate a scapito di quelle teoriche.
La conoscenza scientifica a livello teorico per Toqueville è la vera energia dalla quale promana l’intera
attività sociale volta al progresso e al perfezionamento della società e se mancasse la sua influenza si
assisterebbe a un lento processo involutivo della società che non sarebbe più in grado di rinnovarsi
diventando statica, impegnata unicamente al perfezionamento delle tecniche senza possibilità di reali
innovazioni scientifiche.
Tale tendenza è rafforzata dalla predisposizione delle società democratiche industrializzate alla ricerca dei
beni materiali il che induce le persone a considerare solo ciò che ha un riscontro immediato nella realtà
empirica e un risultato immediato. I beni morali si riducono ai godimenti propri del benessere e ciò che ha
un valore e un significato culturale e teorico non riscuote più interesse.
La democrazia promuovendo l’etica del benessere favorisce un’etica materialistica che spegne gli autentici
sentimenti di libertà e individualità e porre le premesse di quel conformismo democratico che sancisce il
dispotismo della maggioranza.
Il materialismo induce l’individuo a interessarsi solo della sua sfera privata dissolvendo i vincoli sociali che
costituiscono il presupposto per cui i singoli si sentono compartecipi degli interessi della società.
Al sentimento del valore assoluto corrisponde l’individualismo che assume significato negativo e deve
essere distinto dall’individualità (sentimento dell’indipendenza e della nostra libertà). L’individualismo
spinge ogni singolo cittadino ad appartarsi dalla massa dei suoi simili e tenersi in disparte con la sua
famiglia. Isola gli uomini, li pone, proprio perché uguali, l’uno accanto all’altro senza alcun legame che li
unisca. Crea il presupposto per l’affermarsi di un potere dispotico che vede nell’isolamento degli uomini la
garanzia più certa della propria durata.
Infatti gli individui non hanno una reale comunicazione tra loro, non c’è un confronto di idee ed opinioni e
quindi accettano le idee e le opinioni sancite dall’autorità del gruppo o dalle masse. L’isolamento degli
individui ha come conseguenza il dominio ideologico delle masse. L’isolamento priva l’individuo della sua
individualità cioè della sua energia, lo rende debole e quindi si omologa alle masse e quindi alla
maggioranza.

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104. Toqueville: nuovo despotismo


Il processo di formazione di un unico potere che copre con la sua influenza tutta la società è sostenuto anche
dal costante processo di industrializzazione che caratterizza la società contemporanea. La diffusione
dell’industria richiede una rete di comunicazioni, collegamenti, organizzazione dei mercati e commerci che
presuppone un’organizzazione amministrativa estesa su tutto il territorio. Lo stato si da una complessa
struttura burocratico-amministrativa con cui può dirigere e controllare gli affari più importanti della nazione:
il potere si serve del centralismo amministrativo come di un efficace strumento per consolidarsi ed estendere
sempre più al sua influenza. Dotato di questa struttura lo stato diventa non solo garante dei risparmio dei
ricchi tramite prestiti pubblici, e di quelli dei poveri per mezzo delle casse di risparmio ma il grande
finanziario e banchiere al quale fanno capo tutte le attività industriali.
Lo stato per sopperire ai suoi bisogni che scaturiscono dalla complessa organizzazione diventa esso stesso
industriale, produttore e consumatore. Mano a mano che l’industria si sviluppa, che la classe industriale si
ampia, che la proprietà industriale aumenta lo stato aumenta i suoi poteri. Tra lo sviluppo industriale e la
potenza dello stato vi è un rapporto di simbiosi, si alimentano a vicenda. È il sistema industriale che fornisce
allo stato il più efficace strumento di governo.
Da questo nuovo tipo di stato scaturisce il nuovo dispotismo. Diverso da quello dell’antico regime. Lo stato
mira alla felicità dei cittadini, provvedendo alla sicurezza, bisogni, organizzare i loro svaghi e dirigere le
loro industrie. Il risultato di questa continua presenza dello stato è che giorno per giorno esso rende sempre
meno utile e più raro l’impiego del libero arbitrio. I cittadini sono svuotati della loro individualità, si spegne
il sentimento di responsabilità e le masse si adeguano passivamente alla politica del governo.
Il nuovo dispotismo consiste nel servirsi delle condizioni create dallo sviluppo industriale per dar vita ad un
organizzazione burocratico-amministrativa che accompagna gli individui dalla culla sino alla morte e finisce
per plasmarli secondo i propri intendimenti.

La vera efficace salvaguardia nei confronti degli effetti perniciosi dell’etica del benessere, del materialismo
e dell’edonismo è la religione che esprime i valori essenziali sui quali si fonda la convivenza sociale e dai
quali scaturisce la vera energia innovatrice dell’individuo, il sentimento della sua individualità e libertà. La
religione sottrae l’individuo alla contingenza degli interessi immediati e li riporta al significato e il valore
della loro vita.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

105. Rosmini 1797 – 1855: pensiero politico


Scrive: filosofia della politica, naturale costituzione della società civile, filosofia del diritto, comunismo e
socialismo.
Esamina nei suoi scritti i problemi centrali della società del suo tempo, come l’ordinamento politico-
costituzionale, il modello di sviluppo economico, le tensioni e i conflitti sociali.

Il fine della società politica è l’appagamento degli individui che la formano e la realizzazione del bene di
ogni individuo e non quello morale che è universale. Tutta l’attività che si svolge nella società scaturisce
dagli animi e dai desideri degli uomini.
Le cose materiali non sono altro che mezzi con cui acquietare i desideri dell’anima.
Le società politiche sono caratterizzate da un continuo movimento nel senso che oscillano tra un limite
inferiore e uno superiore. Raggiunto il primo la società si disarticola e non sussiste più come entità reale ma
si suddivide negli aggregati sociali che la formano; il secondo è il livello della loro intrinseca perfezione che
non riesce mai a conseguire. Nelle società possono esserci due elementi, uno di progresso e uno di regresso.
Per intendere i motivi per cui le società progrediscono e regrediscono ricorre ai concetti di sostanza e
accidente nel senso cioè che nella società c’è ciò che attiene alla sua esistenza, alla sua vita cioè la sostanza,
e ciò che invece si riferisce al suo perfezionamento cioè l’accidente. Le due regole fondamentali della
politica quindi sono:
1. conservare e fortificare ciò che costituisce l’esistenza o la sostanza della società
2. non ricercare perfezionamenti a scapito di ciò che è sostanziale. Non bisogna commettere l’errore di
scambiare il sostanziale con l’accidentale.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

106. Società secondo Rosmin


La società è costituita dalle relazioni degli individui con le cose e dai vincoli che si stabiliscono tra quelli. Il
sentimento sul quale si fonda il vincolo sociale è la benevolenza che predispone gli individui alla
cooperazione per conseguire fini comuni.
La sfera del politico è delimitata dalle 3 altre forme di società che preesistono alla società politica: la società
teocratica (dell’uomo con dio), quella del genere umano e la società familiare.
L’individuo non può essere risolto nella società in quanto si esprime come persona che ha in se stessa i suoi
principi costitutivi.
I diritti della persona preesistono alla società perché il diritto scaturisce dall’uomo in quanto persona. Il
diritto è la persona sussistente e il compito del legislatore è di regolare le modalità del diritto.
Come nell’uomo si distinguono il corpo e l’anima, nella società si distingue la società visibile o materiale e
quella invisibile o spirituale. Alla prima corrispondono vincoli esterni e visibili, alla seconda vincoli interni
e invisibili.
La società esterna deve essere una rappresentazione della società interna.
Le reali trasformazioni della società avvengono in quella invisibile che esprimono la volontà comune volta a
perseguire il fine della società. Quando tale volontà non esiste più la società politica si riduce a un ordine
formale senza intima forza di coesione e si inizia il processo di disgregazione che si riflette nella società
materiale.

L’attività, l’energia che fa degli individui e delle cose una reale unità, la società, è espressa dall’intelligenza.
La società è espressa dall’intelligenza in quanto fornita dal lume della ragione.
Per esserci una società occorrono vincoli intellettuali e morali, coscienza di un fine comune e dei mezzi con
cui conseguirlo e ciò si rende possibile solo con la ragione.
La razionalità si esprime nella società materiale nel senso che questa le fornisce i mezzi, soprattutto il
linguaggio e crea le condizioni per esprimersi e crescere su se stessa.
La quantità di intelligenza di cui fa uso la società è prodotta da due tipi di razionalità: la ragione pratica delle
masse e la ragione speculativa degli individui, tra le quali deve esserci un rapporto tale che le faccia
convergere sul fine della società.
Particolare importanza ha la ragion pratica delle masse dalla quale dipende la stabilità e il progresso della
società. Varia a seconda dell’attività economica prevalente nella società.
Il movimento della società si origina nella ragione e da questa passa alla società materiale.
La società esercita una influenza sulla razionalità determinandone il tipo e l’orientamento, privandola di
autonomia, indipendenza, libertà. Si inizia in tal caso un processo di attenuazione della razionalità in termini
di intelligenza, che è all’origine dei processi di trasformazione involutiva della società, della sua interna
disgregazione e decadenza.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

107. Rosmini: fini della società


La riduzione della razionalità a strumento della società materiale è la conseguenza della politica basata sulla
convinzione che il progresso della società sia promosso e alimentato dall’attività economica finalizzata alla
produzione dei beni materiale con cui soddisfare i bisogni degli associati.
L’appagamento è il fine della società.
Nella ragione ci sono 2 facoltà: quella del pensiero e quella dell’astrazione. : la prima coglie gli enti reali e
l’ordine nel quelle debbono disporsi; la seconda separa dall’ente reale una parte, ne astrae una caratteristica,
la mette in relazione con quella degli altri enti reali, formula idee e le mette in rapporto tra di loro.
La crescita improvvisa e la diffusione dei bisogni artificiali tende a orientare l’attività degli individui verso
la soddisfazione dei desideri. Per ritrovare i mezzi necessari al loro soddisfacimento, le energie intellettuali
sono concentrate nella facoltà di astrazione che acquista una decisa prevalenza sulla facoltà di pensiero e
finisce per sostituirsi del tutto ad essa. Con il declino della facoltà del pensiero, la facoltà di astrazione
diventa un mero strumento dei bisogni, continuamente alimentate dalle sole pulsioni vitali.
Nella società si origina un processo di disarticolazione dei vincoli sociali e di contrapposizione delle parti
sociali caratterizzate da tensioni e conflitti, mentre iniziano a diffondersi comportamenti che violano le
norme fondamentali della convivenza sociale. La forza complessiva della società diminuisce e si rende
difficile far valere una volontà politica unitaria. Nell’individuo si determina una scontentezza che cresce su
se stessa e alimenta un sentimento d’ira che finisce col dominare il suo carattere. Si verifica così il paradosso
delle società consumistiche: aumenta la quantità di beni materiali a disposizione, migliorano le condizioni
sociali ma cresce l’insoddisfazione.
Si genera nella società uno stato di tensione che aumenta i conflitti tra classi e all’interno delle stesse, anche
perché l’accelerazione del processo di sviluppo economico tende a concentrare la ricchezza nelle classi più
abbienti e sospinge nel contempo verso il degrado civile e sociale diverse categorie lavoratrici sottoposte a
un intenso sforzo lavorativo.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

108. Rosmini: Critica all’economicismo


Critica l’economicismo cioè la concezione che fa scaturire il movimento della società, il suo progresso, dal
sistema di produzione economico industriale e caratterizza il suo pensiero politico. Il suo liberalismo non
afferma la centralità dell’utile e dell’economico ma si riferisce al primato della persona.
Dice che l’economicismo ispira gli orientamenti politici prevalenti dell’800, in particolare quelli socialisti e
si esprime come la possibilità di disporre mediante le macchine e la corrispondente organizzazione
industriale di un’energia inesauribile e di un’entità tale da consentire una produzione in grado di sopperire a
tutti i bisogni, liberando l’uomo dal condizionamento della miseria e della scarsità dei beni: l’uomo sarebbe
messo in condizione di realizzare la sua umanità. Questa convinzione presuppone la riduzione del male al
male sociale e la deti rousseauviana che si debba rifondare la società in modo che corrisponda alla vera
umanità dell’uomo: è questa l’origine di quell’orientamento politico che affida ai mezzi politici a
disposizione dei governi la soluzione di tutti i problemi sociali, denominato Perfettismo.
La politica delle società contemporanee è tendenzialmente perfettista perché si ispira a un umanitarismo
astratto che misconosce il reale problema del male e non si pone il problema dei limiti inerenti alle cose e
alle attività dell’uomo per cui vi sono beni la cui esistenza sarebbe impossibile senza l’esistenza di alcuni
mali. La politica deve assumere invece un atteggiamento critico nei confronti del perfettismo: deve tener
presente che l’esistenza di un bene impedisce talora di necessità quella di un altro bene maggiore; come pure
che l’esistenza di un bene ha connessa l’esistenza di alcuni mali e viceversa. Quindi la politica deve evitare
beni che portano con sé mali che sono superiori ai primi ma deve cercare di ottenere il maggiore effetto
buono ultimo.
La critica all’economicismo non è una condanna del sistema di produzione industriale che è uno strumento
di progresso della società. È solo uno strumento, senza farne una soluzione di tutti i problemi della società:
la somma dei mali in questo caso sarebbe maggiore dei beni che apporta.
Il sistema economico non ha in sé il principio di autoregolamentazione. Non accoglie la tesi del liberalismo
di ispirazione utilitaristica di Hume e Smith che la dinamica del sistema economico, libero da condizioni e
limitazioni, pervenga autonomamente all’equilibrio.
Ritiene che il governo debba seguire un’attenta politica di sviluppo economico intesa a creare i presupposti
perché esso si svolga con ritmi proporzionati alle possibilità e capacità della comunità. Bisogna promuovere
una forma di educazione civile e sociale rivolta alle classi meno abbienti affinchè si diffonda la cognizione
dei propri interessi. I bisogni artificiali debbono essere proposti in una determinata misura che non
pregiudica il benessere delle famiglie e dello stato.
Lo sviluppo economico industriale deve essere informato alla politica dei redditi e commisurata alle reali
risorse e alla capacità produttiva della società. I bisogni possono cresce con la stessa progressione con la
quale cresce il reddito destinato a soddisfarli, ovvero meno ma non mai di più. Questa politica economica è
consona al movimento naturale della società e consente agli individui di conseguire l’appagamento che si
basa sulla facoltà di pensiero e non di astrazione. L’appagamento, una volta conseguito può ampliarsi ma
con riferimento a una serie di beni determinati che costituiscono l’oggetti di naturali desideri e stimolo a
incrementare l’attività.

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Filippo Amelotti Sezione Appunti

109. Rosmini: L’organizzazione politica dello stato


La sua concezione della politica e della società si esprime in un preciso ordinamento costituzionale dello
stato che riconsidera le vicende del costituzionalismo europeo a partire dalla Rivoluzione francese.
La questione fondamentale per quanto riguarda l’organizzazione politica dello stato si riferisce
all’individuazione dei principi, delle norme e degli organi costituzionali che eliminino ogni possibilità di
affermazione del nuovo dispotismo manifestatosi nel corso della rivoluzione francese. Si lottò contro il
dispotismo della monarchia dell’antico regime e si ritenne di averlo abbattuto ma non si sospettò neppure
che potesse manifestarsi un altro dispotismo.
La società civile presuppone altre 3 forme di società: la teocratica, la società dell’uomo con Dio; la
familiare; quella del genere umano. Esse sono distinte e non sono riconducibili e risolvibili nella società
civile. Questa è caratterizzata da un potere supremo e universale finalizzato a regolare le modalità dei diritti
di tutti gli associati. La formazione di questo potere è il risultato di un lungo processo storico nel corso del
quale si è venuto affermando l’elemento civile promosso dagli individui e dal popolo di contro all’elemento
signorile rappresentato dalle famiglie aristocratiche. La caratteristica dell’elemento signorile si esprime
nell’assoluto primato degli interessi familiari ai quali sono subordinati le attività e le esigenze della società,
mentre l’elemento sociale o civile dà vita ad una organizzazione pubblica avente una propria autonomia che
tutela il principio individuale. La dialettica tra la signoria e il sociale-civile, tra il dominio aristocratico
feudale e il popolo caratterizza il processo di formazione dello stato moderno che si conclude con la
rivoluzione francese.
Dopo l’esperienza rivoluzionaria si manifesta il principio costitutivo della società civile per regolare le
modalità di diritti degli associati. Acquista così rilievo il concetto di diritto e la distinzione tra il diritto e la
sua modalità.
Il diritto è connesso al concetto di persona, soggetto dotato di un principio attivo, intelligente, supremo e
incomunicabile. Essenziale nella persona è la libertà. Il diritto è insito nell’attività della persona. Non
scaturisce dalla volontà sovrana dello stato, non ha un fondamento politico, né si basa sull’utilità, la forza o
il contratto sociale: è l’attività della persona allorchè rivolta ad altre persone per uno scopo considerato
lecito dalla morale.
La proprietà deriva dal dominio che la persona ha sopra ciò che con essa è legato.
Due conseguenze derivano dai rapporti persona-diritto-libertà giuridica-proprietà:
1. la prima si riferisce alla quantità di potere che il governo può esercitare sugli associati. Il potere politico
non può essere considerato una quantità fissa perché tende a diminuire man mano che gli individui
acquistano un maggiore controllo della loro sfera personale.
2. il potere della società non può estendersi ai diritti che fanno capo alla persona ma solo alla modalità degli
stessi, per regolare l’esercizio dei diritti.

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110. Requisiti della società politica secondo Rosmini


Sulla modalità si fonda la costituzione dello stato nel senso che il legislativo non può disporre dei diritti
degli individui ma deve disciplinare la tutela, la garanzia per consentire il miglior uso degli stessi.
I due requisiti essenziali della società politica, l’universalità e la supremazia, debbono essere ristretti entro
l’ambito della modalità dei diritti. Se lo stato interviene sui diritti il suo potere diventa assoluto e la sua
universalità e supremazia finiscono per legittimare il dispotismo della società, la più spietata tirannide. Il
diritto è il principio costitutivo dell’organizzazione politica dello stato onde garantire la libera espressione
della persona contro ogni forma di dispotismo.
Lo stato costituzionale rappresentativo fondato sulla divisione dei poteri deve fondarsi sui diritti della
persona.
A garanzia delle norme costituzionali Rosmini prevede sul modello della costituzione americana una
suprema corte di giustizia, il tribunale politico, con il compito di vegliare sull’esecuzione della costituzione,
garantire i diritti sociali e difendere i poteri costituiti.
L’attività legislativa e di governo si basa sulle risorse economiche della società che vengono destinate alle se
necessarie per l’organizzazione politico-amministrativa.
Una corretta amministrazione della cosa pubblica è garantita quando le imposte sono votate da coloro che
debbono pagarle. Perciò la rappresentanza politica si articola nelle due camere dei maggiori e dei minori
proprietari, distinte con riferimento ai redditi. L’elettorato attivo è limitato ai cittadini che hanno un reddito
soggetto a imposta.
Il carico fiscale deve essere prelevato sulla base delle imposte dirette con esclusione dei redditi più bassi di
sussistenza, riducendo al minimo le imposte indirette che gravando sui consumi colpiscono i redditi delle
classi lavoratrici.
Il suffragio universale favorisce la formazione e la lotta delle fazioni e la corruzione elettorale;
deresponsabilizza gli elettori il cui voto perde di valore, non avendo più un peso politico e un rapporto
diretto con gli eletti di fatto sconosciuti alla massa degli elettori; non garantisce la tutela degli interessi delle
classi lavoratrici; esprime una rappresentanza che cerca di realizzare una politica economica e fiscale
finalizzata ad una redistribuzione della ricchezza mediante un socialismo di stato che finisce per accrescere
la spesa pubblica e conseguentemente, per deprimere la produzione economica con danno delle categorie
sociali meno protette. Il risultato è un dispotismo della maggioranza sulla minoranza e nel peggiore dei casi
il contrario.

La soluzione della questione sociale cioè il progresso civile e politico delle classi lavoratrici deve essere
promossa dal governo nel senso che deve operare in modo che l’intera società realizzi le premesse di quel
progresso. Compito del governo è eliminare gli impedimenti e le preclusioni alla promozione sociale delle
classi meno abbienti.
Lo stato deve fondare la sua attività di governo sull’opinione pubblica prevalente. L’opinione pubblica si
deve formare mediante il dibattito e il confronto delle singole opinioni quale si rende possibile tramite la
libertà di parola, di stampa, di associazione, di riunione.

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111. Mazzini e il mazzinianesimo 1805 – 1872


L’idea di nazione non può essere scissa dalla democrazia repubblicana e dal riconoscimento del ruolo
insostituibile del popolo nel nuovo stato nazionale. Il popolo è una realtà etico-religiosa nel senso che la
volontà divina quale vero fondamento legittimante della legge si manifesta tramite il popolo che ne è il vero
interprete.
Propone una religiosità laica, non mediata dalle istituzioni ecclesiastiche come fondamento dell’etica civile
repubblicana e come essenziale premessa di ogni impegno politico. Di qui il primato del dovere che
consente ai diritti degli individui di farsi valere nel rispetto degli altri e della società e che pone i limiti delle
libertà civili e politiche. Il nuovo stato nazionale non potrà essere che democratico repubblicano e la
questione sociale trova la vera soluzione nel suo ambito.
Critica la risoluzione della politica nel sociale e sottolinea che solo nell’ambito politico e delle istituzioni
che vi corrispondono è possibile garantire la libertà. A patto però che si dia soluzione alla questione sociale.
Il politico e il sociale sono inscindibili, due ambiti che si completano a vicenda.

Il mazzinianesimo sottolinea la socialità dell’individuo cioè il suo necessario compimento nell’ambito delle
specifiche articolazioni della società umana: la famiglia, il comune, il popolo-nazione, l’umanità, senza che
quest’ultima assorba in sé l’ambito proprio dell’individualità. A tal fine occorre riscoprire il fondamento
etico della nostra vita, il principio che connette la nostra individualità alla famiglia, alla nazione,
all’umanità. In tal modo l’individuo acquista consapevolezza del principio e dei valori sui quali si fonda
l’intimo nesso fra pensiero e azione per cui la dottrina politica non rimane un mero fatto intellettuale, ma
diventa realtà politica.
Il passaggio dal pensiero all’azione è operato dall’etica, dai valori spirituali, dalla convinzione ferma, dalla
fede.
L’azione non deve essere scissa da una condizione sistematica della società e dello stato, da una dottrina
politica che corrisponda alle esigenze e ai valoro della società contemporanea. Il compito dell’intelletto è
quello di interpretare le profonde esigenze di vita che si esprimono nel popolo. La ragione non deve
assumere un atteggiamento aristocratico, distaccato dal popolo, ma riconoscere nel popolo la fonte della sua
ispirazione.
Dio e l’umanità sono i supremi valori etico-spirituali che caratterizzano la nuova età sociale che subentra a
quella individuale esauritasi con la Rivoluzione francese.
Riprende da Saint-Simon la distinzione tra età critica, dell’individualismo, ed età organica, del sociale
organizzato e l’idea che la Rivoluzione francese è l’episodio finale di un’età di transizione della società
monarchico-aristocratica caratterizzata da ordini chiusi, alla società dei popoli, delle nazioni, che si
riconoscono membri solidali dell’umanità.
La formula propria dell’età critica è rappresentata dai diritti dell’individuo, dal loro riconoscimento come
principi assoluti sui quali organizzare l’ordinamento della società: sono serviti grazie alla Rivoluzione a
liberare i popoli dal dispotismo politico del re e dei principi e dal dispotismo spirituale delle chiese e del
clero.
La teoria dei diritti dell’individui, proprio perché afferma il primato del singolo, non è in grado di
corrispondere alle nuove esigenze di solidarietà dei popoli europei, non serve a fondare la nuova società che
non si deve organizzare sulla base della competizione dei singoli ma sulla collaborazione. Questa potrà
essere realizzata solo se sarà ispirata al nuovo principio dell’umanità. L’umanità ha un valore etico-religioso

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Filippo Amelotti Sezione Appunti
in quanto ha il compito di rivelare la volontà di Dio. Il progresso fa parte del disegno divino che si attua
tramite l’umanità.
Le chiese, adempiuta la loro missione storica di proclamare l’uguaglianza e la fratellanza sulla base del
rapporto Dio-uomo hanno esaurito la loro funzione. La nuova epoca è caratterizzata dall’avvento della
religione Dio-umanità in cui si esprime l’io collettivo cioè l’uomo nella totalità dei sentimenti e delle
relazioni che lo integrano e lo completano con gli altri uomini. La politica acquista una coscienza etico-
religiosa che la rende autonoma nei confronti delle religioni tradizionali senza sostituirsi a quelle per quella
parte di verità che esse rappresentano.

Storia delle dottrine politiche Pagina 134 di 152


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112. Mazzini: La solidarietà tra i popoli è il fondamento del nuovo


ordine internazionale
Mazzini: La solidarietà tra i popoli è il fondamento del nuovo ordine internazionale

La necessaria mediazione tra individuo e umanità è rappresentata dal popolo, in quanto portatore di un
ideale, un principio che lo fa sussistere come una vivente unità collettiva: i popoli sono gli individui
dell’umanità e ognuno di essi ha una missione da compiere. Il popolo è la coscienza di una grande idea da
tradursi in fatti. Il popolo che attua questa unità etico-spirituale si esprime come nazione con una sua
peculiare caratteristica che la distingue dalle altre nazioni.
La nazione rappresenta l’unità di una moltitudine di individui come unità di principi, di intenti, di diritto in
quanto quella moltitudine è diretta da principi comuni, governata da leggi uguali. Solamente a queste
condizioni la moltitudine è nazione, entità politica caratterizzata dall’indipendenza, altrimenti è gente, etnia.
La nazione oltre a sussistere come reale unità politica deve avere un fondamento etico spirituale, che
conferisca ai principi, all’intento, al diritto una stabilità e continuità.
L’unità si attua solo quando i principi costitutivi della nazione sono acquisiti spontaneamente in piena libertà
e non imposti.
La legge non può essere interpretata da una casta sacerdotale o da una chiesa né dalla monarchia.
L’interpretazione è affidata al popolo, alla nazione.
La nazione esiste in quanto attuata con una partecipazione totale del popolo. È questa la premessa alla sua
teoria dell’iniziativa rivoluzionaria dei popoli che abbia come fine la loro indipendenza ed unità politica per
le quali impegnino tutte le loro energie e capacità affinchè possano esistere come grande soggetto collettivo.
Senza questa iniziativa mancherà una vera partecipazione popolare al processo di unificazione e
indipendenza con il risultato di dare vita ad uno stato che con nuove forme finisce per nascondere il vecchio
potere autoritario vanificando le esigenze di una democrazia. La rivoluzione deve essere popolare e
nazionale. La rivoluzione quando è tale cioè quando è innovazione che corrisponde alle profonde esigenze
di verità e umanità degli individui e dei popoli è sempre suscitata e promossa dalle idee che esprimono un
principio sulla cui base è possibile riordinare la società in vista della libertà, uguaglianza e fratellanza degli
individui, popoli, nazioni.

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113. Mazzini: il comune e lo stato


L’intimo nesso intercorrente tra nazione e popolo è la premessa della democrazia repubblicana come l’unica
forma di governo che consente di attuare i principi costitutivi della nazione. La monarchia e l’aristocrazia
sono un principio di autorità estraneo al popolo, che fonda la propria legittimazione e superiorità in una
tradizione storica definitivamente esaurita: la monarchia finisce per strumentalizzare lo stato per propri fini
di potere cercando di annullare o limitare la partecipazione del popolo all’amministrazione della cosa
pubblica. Nella democrazia repubblicana invece gli individui sono liberi, indipendenti ed uguali perché non
ci sono più ordini o situazioni privilegiate che impediscono la partecipazione al governo della società. Esso
si fonda sulla rappresentanza nazionale eletta a suffragio universale.
Mazzini accoglie l’ordinamento costituzionale fondato sulle libertà politiche e civili di parola, coscienza,
stampa, associazione; sulla tripartizione dei poteri; sul principio elettivo delle cariche più importanti dello
stato.
Nella democrazia repubblicana si realizza una continuità di intenti e attività tra popolo e governo che
diventa una proiezione della volontà popolare. C’è una intesa sui fini e mezzi tra popolo e governo. Il
principio del dovere con la spontanea adesione dei cittadini alla legge morale, eguaglia governo e governati,
sottopone il comando e l’obbedienza ad un’unica suprema norma, fonda tutti i diritti sulla coscienza del
dovere. Morale e politica si compongono in una vera armonia.
La repubblica è per lui uno stato unitario in quanto è espressione dell’unità politica che promana dall’unità
della nazione e del popolo.
Rifiuta il centralismo amministrativo come uno dei più efficaci strumenti di dispotismo ministeriale che
ripropone nella sostanza i vecchi metodi del governo autoritario. Tra l’individuo e la nazione sussiste il
comune: solo questo e la nazione sono i due elementi naturali di un popolo, tutti gli altri enti e istituzioni
sono artificiali, posti in essere dalla società per rendere più agevoli le relazioni tra la nazione e il comune.
Il rapporto tra nazione e comune fondato sull’autonomia comunale è costitutivo dello stato repubblicano che
si struttura di conseguenza su un ampio decentramento amministrativo articolato su larghe autonomie locali,
che consenta il libero svolgimento di tutte le forze sociali.
Al comune riconosce un’ampia sfera territoriale che consente ad esso di reperire mediante tributi le risorse
finanziarie atte a garantire la sua autonomia di potere svolgere una politica di integrazione tra città e
campagna. Tra il comune e lo stato riconosce una sfera amministrativa intermedia, la regione.
Lo stato italiano deve essere organizzato su 12 regioni comprendente ciascuna circa 100 comuni con almeno
20.000 abitanti. Il territorio comunale è suddiviso in distretti e tutti gli organi del governo locale sono
elettivi. Allo stato spetta la formulazione del fine della comunità nazionale; ai comuni compete la pratica
applicazione di tale fine.

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114. Mazzini e la questione sociale


All’interno della nazione si risolvono le distinzioni delle classi. La questione sociale non può essere
disgiunta da quella della unità e dell’indipendenza nazionale dei popoli. Egli sottolinea il nesso tra la
questione sociale e politica. L’una non può essere separata dall’altra. Non c’è questione politica che non
abbia posto l’esigenza di adeguati mutamenti sociali così come non c’è riforma sociale che non implichi
idonee garanzie di libertà e politica civile.
Riconduce il socialismo e il comunismo alla categoria dell’utile e quindi della felicita individuale.
L’attuazione della formula comunista, a ciascuno secondo i suoi bisogni , implica una predeterminazione del
sistema dei bisogni sulla base di un rigido controllo burocratico e governativo, sì che in ogni individuo la
sua libertà, responsabilità, merito individuale, l’incessante aspirazione che lo sprona a nuovi metodi di
progresso e di vita svaniscono interamente.

La questione sociale deve essere risolta nell’ambito della democrazia repubblicana con il sistema delle
libertà e dei diritti che essi garantiscono. Tale fine può essere garantito mediante l’associazione che consente
agli individui di aumentare le loro capacità ed energie in modo da conseguire il miglioramento delle loro
condizioni materiali e il loro progresso intellettuale e morale. L’associazione rende possibile l’unione del
capitale e del lavoro nelle stesse mani.
Al sistema produttivo fondato sul capitale, sulle capacità, sul lavoro, cioè sul monopolio dei mezzi di
produzione da parte dei capitalisti, bisogna sostituire il nuovo sistema in cui il produttore è anche
proprietario dei capitali per una giusta ripartizione delle ricchezze prodotte. La nuova organizzazione
produttiva deve garantire la formazione di un capitale comune la cui destinazione deve essere sottratta alle
libere decisioni dei singoli. Ne risulta un sistema produttivo che fondandosi sulle libere scelte dei singoli
mantiene i principi della libera concorrenza e della mobilità del lavoro.
Critica l’economia programmata, centralizzata e diretta allo stato, unico proprietario dei mezzi di
produzione. La conseguenza è l’eliminazione dello spirito di iniziativa e ogni incentivo al miglioramento
delle condizioni delle classi lavoratrici.
La proprietà privata deve essere considerata come la necessaria garanzia dell’attività svolta dall’individuo.
La proprietà è il segno della sua produttività. Non bisogna abolire la proprietà perché è di pochi ma bisogna
aprire la via perché i molti possano acquistarla.

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115. Proudhon 1809-1865: Che cosa è la proprietà o ricerche sul


principio del diritto e del governo
Scrive “che cosa è la proprietà o ricerche sul principio del diritto e del governo”
Dice che le rivoluzione del 89 e del 30 hanno riproposto sotto altra forma i principi stessi contro i quali si
era combattuto.
Possiamo parlare di rivoluzione solo quando le nostre idee cambiano completamente mentre quando nelle
nostre idee c’è solo un’estensione o una modifica dobbiamo ritenere che si tratti di progresso. Nell’89 e nel
30 ci fu progresso ma non rivoluzione: si posero le premesse di un ordinamento, si espressero esigenze, che
sono il presupposto di una reale trasformazione.
Non c’è differenza tra la vecchia sovranità della monarchia dell’antico regime e la nuova sovranità del
popolo affermata con le nuove costituzioni liberali e democratiche.
L’autorità dell’uomo sull’uomo è giusta solo in quanto sia l’espressione dell’autorità della legge che deve
essere giustizia e verità. La volontà privata non conta nulla nel governo che si limita a scoprire ciò che è
vero e giusto per farne legge, dall’altra a sorvegliare l’adempimento di tale legge.

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116. Phoudon: La proprietà


La proprietà non può essere in alcun modo giustificata: non può essere accolta come diritto naturale dato che
pone una distinzione netta tra chi ha e chi non ha, contraria al diritto assoluto di uguaglianza. Né può essere
legittimata come diritto fondato sull’occupazione o sul lavoro. Il diritto di occupazione che risale
all’originario stato di natura in cui tutto era comune deve essere riconosciuto eguale in tutti gli individui. Il
diritto di occupazione indica il vero contenuto della proprietà che è l’usufrutto. Chi detiene la cosa è
responsabile della cosa che gli è stata affidata e tenuto ad usarla conformemente all’utilità generale in vista
della conservazione e dell’incremento della cosa e non può dividere l’usufrutto in modo che un terzo svolga
il lavoro mentre egli ne raccoglie i frutti. È invece posto sotto la sorveglianza della società, soggetto alla
condizione del lavoro e alla legge dell’uguaglianza.
La proprietà non può avere come oggetto la terra che essendo indispensabile alla conservazione dell’uomo è
un bene comune e non suscettibile di approvazione.
Per altri beni mobili, il rapporto che si istituisce tra gli uomini e le cose mediante il lavoro consente
solamente di riconoscere il diritto di chi lavora alla proprietà di ciò che produce ma non a quella dei mezzi
di produzione. Il diritto al prodotto è esclusivo, il diritto allo strumento è comune.
Il capitalista si appropria della maggior parte della ricchezza prodotta da un’organizzazione e si limita a
retribuire il lavoratore con un salario che lo fa vivere mentre lavora senza garanzia per una sussistenza
futura.
Mentre il proprietario si avvale del lavoro del contadino o dell’operaio per avere un profitto e nello stesso
tempo per conservare ed accrescere il capitale per continuare a produrre, il lavoratore è costretto a vivere
alla giornata ed è escluso dai benefici della ricchezza che si deve al suo lavoro. Il principio che la proprietà
si fonda sul lavoro porta all’affermazione della uguale partecipazione dei lavoratori alla ricchezza prodotta,
ad una forma di proprietà sociale o collettiva del capitale, dei mezzi di produzione, fondata sull’eguaglianza
delle retribuzioni e delle prestazioni.
La proprietà privata non può essere giustificata. La proprietà è un furto perché costituita dalla ricchezza
sociale che non è stata distribuita e che è stat invece attribuita al titolare del diritto di proprietà.

Una volta abolita la proprietà si tratta di sapere quale tipo di società potrà garantire uguaglianza e libertà.
La società proposta dai teorici del socialismo e del comunismo, diventata proprietaria dei mezzi di
produzione, attua un ordinamento che ricostituisce i rapporti di dominio e sfruttamento insiti nella proprietà
privata, per cui l’individuo finisce per diventare un mero strumento della società senza possibilità di libertà e
indipendenza.
Occorre invece dar vita ad una libera associazione il cui scopo è di mantenere l’uguaglianza nei mezzi di
produzione e l’equivalenza negli scambi. Si elimina in tal modo il governo dell’uomo sull’uomo e si instaura
l’ordine nell’anarchia intesa come assenza di sovranità e signoria.

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117. Phoudon: Il sistema delle contraddizioni economiche


Le contraddizioni caratteristiche del sistema di produzione fondate sulla proprietà privata sono la necessaria
premessa per l’instaurazione dell’associazione nella quale i lavoratori sono liberati dalle forme di
asservimento e di dominio connessi alla proprietà.
Il lavoro esprime l’umanità dell’uomo nel senso che è l’energia mediante cui l’uomo crea il suo mondo
umano, nei suoi valori, principi ed istituzioni. Il lavoro è la più alta manifestazione della vita, intelligenza,
libertà. L’uomo è lavoratore cioè creatore e poeta.
Le contraddizioni dell’organizzazione economica devono essere ricondotte alla contraddizione che
caratterizza la natura dell’uomo e che la religione ha espresso nel dogma del peccato originale. Questa
contraddizione è il presupposto dell’individualità, della personalità e libertà che sono i principi costitutivi
del nuovo ordine sociale: le contraddizioni economiche sono le forme storiche proprie dell’economia
capitalistico-industriale e come tali destinate ad essere risolte. Se così fosse l’individuo sarebbe risolto nella
società, perdendo la sua personalità e libertà.
La prima contraddizione si manifesta nel modo in cui si perviene alla determinazione del valore dei beni
prodotti: tale valore scaturisce dal rapporto tra il valore d’uso, determinato dall’utilità del bene e del valore
di scambio, determinato dalla permutabilità dello stesso bene con altri beni. Quanto più aumentano i beni e
quindi le utilità, tanto più diminuisce il loro valore di scambio e quindi i loro prezzi con grave danno dei
produttori. Quando invece i beni si riducono o vengono limitati aumenta il lor valore di scambio con danno
ai consumatori.
Un’altra contraddizione è nel principio della divisione del lavoro: grazie a tale principio gli uomini
perfezionano e rendono più produttivo il loro lavoro aumentando in notevole misura i beni a loro
disposizione. Ma quanto più l’attività dei produttori è ridotta a poche semplici operazioni tanto più l’operaio
vede ridotte le sue capacità intellettuali. Sulla base della divisione del lavoro la società si articola in diverse
categorie e classi sociali che finiscono poi per istituzionalizzare le distinzioni sociali.
Le macchine hanno aumentato le capacità produttive del sistema economico, abbassando i costi di
produzione e consentono di mettere a disposizione della società una grande quantità di beni. La macchina
libera l’uomo dalla fatica ma crea disoccupazione, riduce i salari crea eccessiva produzione.
La libera concorrenza è necessaria per determinare il valore dei beni ma deve applicarsi anche al lavoro e ai
salari. Solo per mezzo di essa, quanti partecipano al processo produttivo diventano pienamente responsabili
dell’attività che svolgono e si impegnano a conseguire il miglior risultato. Se si abolisse la concorrenza e si
garantissero a tutti lavoro e salario gli effetti sarebbero negativi: ci sarebbe la caduta della tensione
lavorativa, riduzione della produttività che ridurrebbe il valore reale dei salari.
La libera concorrenza pone l’esigenza della sua disciplina che è rappresentata dal monopolio che regoli i
prezzi e la produzione. Ma il monopolio finisce per moltiplicare le contraddizioni.
L’organizzazione politica ha il compito di intervenire nelle attività che non possono essere assunte dal
singolo ed assolve alle esigenze di carattere pubblico. Ciò significa far partecipare tutti e quindi la
maggioranza dei non abbienti ad una serie di benefici ai quali non potrebbero accedere con i loro scarsi
redditi. Lo stato ha come fine il riequilibrio delle condizioni sociali, la garanzia della sicurezza e della difesa
dei deboli nei confronti dei potenti mediante leggi e provvedimenti che aiutino e sostengano le classi
lavoratrici. Ma nello stesso tempo il potere si trova legato agli interessi del capitale e della proprietà perché
istituito dal sistema economico e coinvolto nelle lotte tra i lavoratori e quanti detengono i mezzi di
produzione.

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Le riforme politiche hanno una scarsa incidenza sui problemi sociali che sono connessi alle contraddizioni
del sistema economico. Occorre una riforma del modo di produzione che sia promossa dalla classe
lavoratrice, il proletariato.
È in polemica nei confronti dei sistemi socialisti e collettivisti proposti da Owen, Saint-Simon e Marx
perché in queste concezioni i lavoratori rivestono una funzione passiva e si trovano soggetti ad un apparato
statale che finirà per riproporre le vecchie contraddizioni. Occorre che i lavoratori diventino i veri soggetti
attivi di questa opera di trasformazione della società e del sistema produttivo per poterlo dirigere e
amministrare in autonomia e indipendenza. Solo in queste condizioni potrà darsi attuazione ad un ordine
sociale in cui sia valido il principio che il lavoro costituisca la misura che consente di rendere proporzionali
tra loro i valori dei prodotti sì che la distribuzione della ricchezza possa avvenire sulla base della mutualità
realizzando l’uguaglianza e la libertà tra i consociati.

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118. Phoudon: L’organizzazione politica


L’organizzazione politica è dissolta in quella economica nel senso che le istituzioni fondamentali del
tradizionale ordine politico sono sostituite da quelle proprie dell’attività economica. Punto fondamentale del
nuovo rodine è l’autogestione delle forze produttive che si realizza mediante una serie di compagnie e
associazioni operaie, ognuna delle quali si forma in vista di una determinata attività che richiede la
cooperazione di più persone cioè la formazione di una forza collettiva che consenta di conseguire un
determinato risultato economico. Nell’ambito di ogni associazione ogni lavoratore svolge e dirige l’attività
che egli stesso ha scelto in piena parità con i suoi compagni di lavoro ed è proprietario pro quota di tutti i
beni strumentali. In tal modo capitale e lavoro si identificano.
Per le attività economiche che richiedono concentrazione di mezzi e lavoratori ed appartengono ad uno
stesso settore industriale suggerisce l’associazione, che si riferisce a mezzi e personale limitati. Per le attività
che richiedono grosse concentrazioni di mezzi e di lavoratori provenienti da diversi settori propone la
formula della compagnia operaia sul modello delle grandi società anonime le cui azioni sono possedute solo
da coloro che lavorano in quella determinata industria.
L’autogestione dell’attività economica da parte delle forze produttive potrà essere realizzata solo se si
provvedere alla liberalizzazione del credito mettendo a disposizione delle associazioni e compagnie operaie i
mezzi finanziari necessari mediante l’istituzione di una banca del popolo nella quale devono confluire le
banche locali e private per la concessione del credito gratuito cioè ad interessi bassi fissati in base ai costi di
gestione dell’attività creditizia. Le richieste di finanziamenti individuali sono deliberate dalle compagnie
operaie e dalle società agricole e industriali. L’attività dei singoli è riconosciuta e incoraggiata mentre ha la
possibilità di accordarsi con quella organizzata in associazioni e compagnie.
I rapporti che intercorrono tra i singoli, le associazioni, le compagnie, le società agricole e industriali, sono
fondate su una serie di contratti mediante i quali ogni contraente regola le norme che debbono disciplinare
l’attività e gli interessi comuni. Il contratto diventa così l’atto fondamentale su cui si fonda la nuova
organizzazione delle forze produttive in base al quale si realizza l’autogoverno delle stesse. Mentre per
Rousseau il contratto costituisce l’unità delle volontà dei singoli, esprime la volontà generale e fonda il
corpo politico dal quale l’uomo ritrae la sua nuova personalità di cittadino che si risolve nella comunità che
rappresenta il tutto dell’uomo; il contratto cui si riferisce Proudhon è l’incontro e l’accordo di 2 o più
individui che in piena libertà, ritenendo che le reciproche prestazioni si equivalgano, regolano nel modo più
conveniente i loro rapporti. L’essenza del contratto è il reciproco scambio di beni e servizi tra individui
ognuno dei quali conserva la sua indipendenza. Mediante la serie di contratti gli individui realizzano
pienamente quella sovranità di cui vengono riconosciuti titolari. La legge è fissata dai singoli individui
mediante un contratto che impegna solo i contraenti. La società è formata da una rete di contratti con cui i
singoli, i gruppi sociali, gli enti territoriali, si collegano tra loro regolando i propri interessi. La società è
caratterizzata dall’insopprimibile tendenza all’auto-organizzazione e all’autogoverno: si articola in una
pluralità di gruppi e centri sociali ognuno dei quali tende a far valere la propria autonomia.

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119. Phoudon: organizzazione delle forze produttive


Lo stato deve scomparire e deve essere sostituito dall’organizzazione delle forze produttive. Lo stato è
l’organizzazione materiale della potenza sociale, è la forza collettiva che si ritorce contro coloro che la
generano. Lo stato si giustifica solo quando la società genera in se stessa una serie di conflitti, di lotte che
devono essere controllati e repressi da una forza superiore che è o stato. ma quando la società esprime una
propria autonoma organizzazione che risolve sul piano del contratto le tensioni e i conflitti, lo stato non ha
alcuna ragion d’essere.
L’organizzazione amministrativa dello stato deve essere riformata, consentendo ai comuni, ai cantoni, ai
dipartimenti di regolare le questioni afferenti ai loro interessi territoriali in modo da eliminare ogni forma di
centralizzazione che è il più efficace strumento di dominio in mano del potere politico. L’amministrazione
della giustizia non è più una funzione dello stato e l’organizzazione delle giurisdizioni e dei tribunali è
sostituita da commissioni di arbitri e di esperti.
La scuola viene riformata corrispondentemente alle esigenze del nuovo regime industriale. L’istruzione
primaria non può essere scissa dall’apprendistato, da un insegnamento che è strettamente connesso con un
arte o un mestiere sì che i docenti sono nominati dalle corporazioni. La scuola deve essere considerata il
legame tra le corporazioni industriali e le famiglie.
Sono aboliti i ministeri dei lavori pubblici, dell’agricoltura e del commercio e delle finanze. Sono sostituiti
dalle amministrazioni dipartimentali e regionali che dispongono i lavoro necessari e la corrispondente
normativa con una conoscenza diretta delle situazioni e delle questioni.
La formula dell’auto-organizzazione e autogestione delle forze produttive porta all’estinzione dello stato
perché le sue funzioni sono assunte dalla nuova organizzazione economica.
Lo stato non può più sussistere come una potenza che si serve del popolo per guerre di conquista che sono
combattute in nome della difesa degli interessi della comunità contro i nemici ma che sono sempre
finalizzate alla conquista e al dominio. Questo processi di trasformazione dell’organizzazione statale deve
estendersi a tutte le altre società e promuovere un nuovo ordinamento internazionale fondato sulle esigenze
delle organizzazioni delle forze produttive.

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120. Phoudon: la federazione


La federazione è il termine ultimo del processo di spontanea organizzazione ed integrazione dei gruppi e dei
centri sociali minori in forme più articolate e collaborazione, sancite da una serie di contratti che culminano
in quello federativo.
La stabile riunione di più persone genera di per se stessa una forza collettiva che è il potere sociale che dà
consistenza unitaria al gruppo sociale.
Più famiglie quando si stabiliscono su un determinato territorio e svolgono attività che si coordinano e
integrano tra loro dando vita a relazioni comuni e rapporti di solidarietà formano un gruppo naturale che
presto si trasforma in città e organismo politico affermando la propria unità e indipendenza.
Il comune-città ha la pienezza dei poteri sovrani, provvede all’ordine interno e alla difesa esterna,
amministra la giustizia, ha una sua scuola, impone i tributi.
La città è l’organismo sociale in cui si integrano i gruppi sociali minori per costituire un’entità politica che
compiuta in se stessa.
Quando la città ha raggiunto il suo punto di massima espansione si formano altri gruppi sociali che formano
altre città.
Lo stato che ha la sua ragion d’essere nella centralizzazione deve essere sostituito in una organizzazione
federale costituita dalle città che hanno comuni interessi che la fanno sussistere mediante una serie di
accordi che si riassumono tutti nel contratto di associazione federativa.
Nel 1864 un gruppo di operai pubblicava il Manifesto dei 60 per presentare i candidati alle elezioni politiche
di quell’anno: per la prima volta i lavoratori votavano per i propri rappresentanti operai senza delegare tale
funzione ai politici. Il manifesto testimonia la presa di coscienza della classe operaia di voler diventare
soggetto attivo e autonomo di un’azione politico-sociale volta a instaurare un nuovo ordine economico-
sociale nel quale fossero riconosciuti i diritti dei lavoratori.
In quell’occasione Proudhon scrisse l’ultima opera: Della capacità politica delle classi operaie. Rileva la
distinzione tra una capacità legale e una capacità reale. La prima è conferita dalla legge a tutti con il
suffragio universale, la seconda si riferisce alla capacità che una categoria di persone possiede e che può far
valere. Diceva che le classi operaie avevano acquistato coscienza di se stesse. La classe operaia era appena
nata alla vita politica e non era ancora in grado di affermare la propria preponderanza, di far valere la sua
volontà di trasformazione della società. Una vera riforma della società era possibile solo con un alleanza tra
la media borghesia, che avrebbe fornito le capacità direzionali e imprenditoriali e il proletariato.

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121. Marx 1818 - 1883, Engels 1820 – 1895


Scrissero: “l’ideologia tedesca” e “il manifesto del partito comunista”.
Critica Hegel. L’attività che il singolo svolge nella società civile non determina più uno status sociale. La
distinzione hegeliana tra società civile e stato si fonda sulla separazione tra il primo e il secondo che implica
per Marx la contraddizione tra la società civile e lo stato in quanto le attuali classi sociali sono espressione
della separazione come legge generale della società: l’uomo è separato dal suo essere generale cioè dalla sua
vera e concreta umanità. Si determina così una vera e propria scissione che investe la personalità sociale di
ciascun associato, dalla quale scaturisce l’individualismo che caratterizza la società borghese in cui tutte le
attività e le conseguenti relazioni sono finalizzate alla sfera privata del singolo. La contraddizione può essere
superata con un nuovo ordinamento della società che elimini la situazione di atomismo in cui versa
restituendo all’individuo la sua verità oggettiva, consentendogli cioè di esprimere la sua compiuta umanità sì
che ogni individuo possa, mediante l’attività che esplica, diventare autentico rappresentante di tutti gli altri.
La contraddizione tra società civile e stato viene risolta in quanto la società assolve da sé a tutti i compiti
della politica: ciò è possibile con una riforma elettorale fondata sul suffragio universale attivo e passivo che
deve essere finalizzata ad operare la trasformazione dei vecchi ordinamenti. Solo con il suffragi universale
la società civile perviene ad una reale esistenza politica e si sostituisce allo stato. Si ha così la vera
attuazione della democrazia nella quale la costituzione, la legge, lo stato sono un’autodeterminazione del
popolo.

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122. Marx: scritti e pensiero


Marx scrive poi: “critica al diritto pubblico di Hegel”, la questione ebraica”, “critica della filosofia del
diritto di Hegel”, “manoscritti economico-filosofici”.
Se la religione è il risultato dell’alienazione dell’uomo, questi deve liberarsi dell’illusione religiosa per
riappropriarsi della sua vera umanità. Perciò la religione deve essere considerata come l’oppio del popolo.
La filosofia deve porsi come fine quello di muovere le masse. Deve porsi come obiettivo una riforma
radicale che consegua una radicale emancipazione umana. La condizione perché una classe possa
promuovere una lotta di emancipazione è che essa si renda interprete delle esigenze di libertà dell’intera
società. Perché una classe possa svolgere questo ruolo e coinvolgere nella sua azione politica tutte le altre
sfere della società occorre che tutti i difetti della società vengano concentrati in un’altra classe. È proprio ciò
che si è verificato con la Rivoluzione francese in cui l’aristocrazia rappresentò il ceto del dominio e delle
oppressioni del popolo e la borghesia la classe che promuoveva la liberazione.
Il proletariato, la classe costituitasi in seguito al processo di industrializzazione e al disgregarsi del ceto
medio accoglie su di sé tutte le oppressioni, le ingiustizie e le miserie della società. Il proletariato vive la
negazione dell’umanità dell’uomo ed esprime perciò l’esigenza di un recupero dell’uomo. Solo il
proletariato è in grado di realizzare la rivoluzione completa che realizza l’emancipazione della società e
sostituendosi al Cristo storico, attua sulla terra il riscatto e la salvezza dell’uomo e quindi del genere umano.

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123. Engels: scritti e pensiero


Engels scrive “lineamenti di una critica della economia politica”, la situazione dell’Inghilterra”, “la
situazione della classe operaia in Inghilterra”.
Dice che la conseguenza più rilevante della nuova organizzazione economica capitalistico-industriale è la
formazione di una nuova classe, il proletariato, costituita dagli operai delle grande industrie che
rappresentano la nuova forza sociale alla quale spetta il compito di una radicale trasformazione dell’ordine
sociale che risolva le contraddizioni dell’organizzazione produttiva capitalistica.
È la rivoluzione industriale che ha svuotato di ogni contenuto lo stato e la sua organizzazione politica: la
funzione della scienza economica è quella di riportare nell’ambito della categoria economica tutti i problemi
della politica che erano risolti mediante l’attività e la volontà dello stato.
L’avvento della società socialista dipende dalla presa di coscienza del proprio ruolo da parte della nuova
classe sociale, il proletariato. Deve esprimere una serie di iniziative che danno inizio alla lotta sociale per
ottenere il riconoscimento di condizioni umane di lavoro e anche riforme radicali in vista di quella
democrazia sociale che è la premessa per l’instaurazione del comunismo. Le ricorrenti crisi commerciali
provocate dalla sovrapproduzione, la concentrazione del capitale in poche mani e la proletarizzazione della
media e piccola borghesia rendono inevitabile una soluzione rivoluzionaria della questione sociale, quasi
sicuramente in occasione delle crisi del 1848 e 52.

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124. Pensiero di Engels e Marx


Il salario, il profitto del capitale, la rendita fondiaria sono considerate con riferimento alle condizioni nelle
quali si trovano i lavoratori. Le leggi economiche non sono categorie assolute ma relative alla forma di
produzione capitalistica fondata sulla proprietà privata: esse sanciscono il dominio del capitale sul lavoro.
L’effetto della libera concorrenza che finalizza la produzione alla ricerca del profitto determina crisi di
sovrapproduzione con conseguente chiusura di industrie, licenziamenti, disoccupazione e caduta dei salari a
livelli di mera sussistenza. La misura del salario è data dalla quantità di beni necessari per far vivere il
lavoratore e per mantenere i suoi figli, cioè per consentirgli di riprodursi come forza di lavoro. Dato che le
classi lavoratrici rappresentano la maggioranza della società, il termine dell’economia politica è l’infelicità
della società.
La ricchezza e la stessa organizzazione economica sono il risultato dell’alienazione del lavoratore cioè del
trasferimento della sua energia, della sua attività nei beni e nelle merci prodotte. La produzione è
caratterizzata da un processo di oggettivazione dell’energia del lavoratore. L’uomo si aliena nelle cose che
egli stesso produce cioè conferisce ad esse una esistenza esterna che nell’ambito dell’economia e della
società acquista una propria indipendenza che si contrappone all’uomo che le ha poste in essere. Questo
processo appare in tutta chiarezza nell’economia fondata sulla proprietà privata che è caratterizzata dal
lavoro alienato. Il lavoro non è più espressione della libera energia creatrice dell’uomo in cui si attua la sua
personalità ma è imposizione, costrizione, fatica, mortificazione del corpo e dell’anima.
La negazione dell’economia capitalistica deve essere risolta nel comunismo che si instaura allorchè il
lavoratore potrà riappropriarsi del suo lavoro, potrà ricostituire l’unità e l’identità della sua umanità, liberarsi
dalla costrizione del capitale e della proprietà privata.
Ne “i manoscritti” Marx descrive 3 forme di comunismo:
1. il comunismo rozzo che si fonda su una mera soppressione della proprietà privata come principio sul
quale fondare una comunità politica
2. il comunismo politico, democratico e dispotico che pur avendo abolito lo stato in quanto espressione della
proprietà privata non riesce a risolvere l’alienazione umana
3. il comunismo proposto da marx in quanto soppressione della proprietà privata quale autoalienazione
dell’uomo e che attua la reale appropriazione dell’umana essenza da parte dell’uomo e per l’uomo.

La politica tradizionale è l’espressione di una organizzazione caratterizzata dalla coercizione che si fonda
sulla base dei rapporti di subordinazione propri del lavoro ed è destinata a finire con l’instaurazione del
comunismo.

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125. Marx - Engels: Ideologia tedesca


La materiale attività produttiva dell’uomo è la sua caratteristica essenziale: l’uomo a differenza dell’animale
è capace di produrre utensili, strumenti per rendere sempre più produttivo il suo lavoro. L’uomo non solo
produce cose, beni, ma anche idee, religione, morale, diritto, istituzioni, cultura, che sembrano frutto della
sua autonoma attività di pensiero ma che in effetti non sono altro che il riflesso della situazione materiale
nella quale egli vive. C’è un rapporto intimo tra teoria e prassi e quindi un nesso tra le vissute materiali
condizioni materiali dell’individuo e il suo pensiero che si genera da tali condizioni ma che non si rende
conto di tale dipendenza. È questo il fondamento ideologico del pensiero: la filosofia è un’ideologia cioè
un’interpretazione della realtà storica nella quale è concretamente inserita senza rendersi conto di tale
dipendenza.
L’ideologia è una falsa coscienza cioè una coscienza meramente astratta, formale, che serve a legittimare la
condizione e lo status sociale di chi la formula e quindi a nascondere la realtà.

La libera concorrenza determina crisi di sovrapproduzione, caduta dei salari, concentrazione di capitali,
monopoli, distruzione di ricchezza e miseria delle categorie lavoratrici. Si verifica una separazione-
contrapposizione tra capitale e lavoro. Questo contrasto crea 2 conseguenze: la prima si riferisce al fatto
della separazione della forze produttive dagli individui che le fanno sussistere con la loro attività, la loro
trasformazione in potere estraneo, oggettivo, che si contrappone agli stessi individui; la formazione del
proletariato che comprende la grande maggioranza degli individui che è indotto a modificare i rapporti di
produzione e quindi anche quelli sociali e politici. Il proletariato è la vera classe rivoluzionaria. Il risultato
della rivoluzione è l’instaurazione della nuova società comunista. Il comunismo si afferma come
appropriazione da parte del proletariato di quelle stesse forze produttrici rendendo così l’individuo parte
delle stesse, in grado di poter partecipare alla produzione e al controllo delle stesse forze produttrici.
Solo in questa società si attua la piena e vera libertà dell’individuo che può realizzarsi come uomo totale
cioè può esprimere tutte le potenzialità della sua natura umana. Solo nella società comunista si elimina il
principio della divisione del lavoro.
Anche lo stato viene abolito cioè sostituito dalla libera organizzazione sociale, dall’associazione dei liberi
lavoratori alla quale compete di ordinare razionalmente l’intera produzione. Questa non si fonderà più sulla
vecchia divisione del lavoro ma su un organizzazione del lavoro in cui sia consentita la possibilità di variare
le attività lavorative per promuovere e arricchire le attitudini e le capacità di ciascuno affinchè il lavoro
consenta un’espressione completa della personalità di ciascuno e ne consegua una vera giustificazione.

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126. Marx: Il capitale


Il capitale è il complesso di beni destinati alla produzione: per beni devono intendersi l’organizzazione delle
energie lavoratrici e degli strumenti di lavoro destinati alla produzione di merci. Questa organizzazione
acquista rilievo a motivo dell’introduzione delle macchine: capitale significa fabbrica, industrie, operai,
capitalista.
Il capitale esiste per la disponibilità da parte del capitalista di mezzi finanziari che consentono di organizzare
la fabbrica e che sono il frutto di una intensa attività mercantile e commerciale. Il capitale deve produrre per
riprodursi cioè per ricostituire quelle parti che si sono consumate ed esaurite durante il processo lavorativo.
Nell’economia capitalistica il lavoro è una merce che viene venduta dall’operaio ed acquistata dal
capitalista. Il salario dell’operaio, corrispettivo del lavoro venduto corrisponde al tempo di lavoro necessario
a produrre beni necessari alla sussistenza e a riprodursi come forza di lavoro. Ma l’operaio lavora per un
periodo di tempo che è superiore a quello richiesto per la produzione dei beni che gli sono necessari.
Abbiamo così un pluslavoro e quindi un plusvalore di cui si appropria il capitalista e che costituisce il
fondamento del processo di accumulazione capitalistica e dell’incremento della ricchezza. Il capitale è
formato dal plusvalore accumulato cioè dal pluslavoro cioè dal lavoro non pagato.
La contrapposizione tra capitale e lavoro, basata sul fatto che il capitale per vivere e crescere deve sfruttare
il lavoro, manifesta la radicale contraddizione dello stesso processo di produzione capitalistica. Questa,
caratterizzata dalla produzione di plusvalore, è dominata dalla logica del profitto che spinge il capitalismo, a
motivo della libera concorrenza, all’incremento e all’espansione delle forze produttive mediante un
perfezionamento delle macchine e delle tecniche produttive, una riduzione dei costi di produzione e una
aumento della produttività del lavoro. Ne risulta una aumento della produzione cui però non corrisponde un
adeguato aumento in termini reali, dei salari, dato che il capitalista è costretto per la logica del profitto ad
aumentare la produttività e l’intensità del lavoro per ridurre i costi e quindi a diminuire la quota parte di beni
spettante all’operaio rispetto a quelli prodotti. I salari sono contenuti in limiti inadeguati alle possibilità di
consumo, offerte dalla maggior quantità di beni prodotti, dall’esercito di riserva costituito dai lavoratori
disoccupati che premono sul mercato del lavoro in cerca di occupazione che con la loro offerta tendono a
ridurre il prezzo del lavoro. Così l’aumento della produzione non è consumato determinando una crisi di
sovrapproduzione con conseguente riduzione dei profitti, riduzione dei salari, aumento della disoccupazione.

Per superare la crisi e iniziare un nuovo sistema economico il capitalismo deve perfezionare le tecniche di
produzione, aumentare il capitale costante costituito dagli impianti e diminuire il capitale variabile destinato
ai salari, concentrare la produzione in grandi imprese mediante la costituzione di società anonime e la
formazione di monopoli e trust internazionali, conquistare nuovi mercati. Ogni nuovo ciclo economico (10
anni) dà nuovo impulso alle forze produttive e nel contempo propone come forma di distribuzione della
ricchezza prodotta, il principio della proprietà privata che spinge i salari dei lavoratori al limite della mera
sussistenza: da una parte una ricchezza sociale sempre più grande, dall’altra un pauperismo sempre più
diffuso tra la classe lavoratrice. Si determina così una situazione in cui matura la catastrofe del sistema
capitalistico che rende possibile la presa del potere da parte della classe operaia.

La reale soluzione del conflitto società civile-stato richiede per marx la costituzione di un nuovo potere
centralizzato, indispensabile per una società moderna industrialmente sviluppata e necessario per realizzare
il passaggio dalla società capitalistica a quella comunista.

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127. Stuart Mill 1806 – 1873


La morale, il diritto e l’economia pongono in risalto il nesso sussistente tra l’individuo, gli individui e la
società. Il fine della vita dell’individuo, la felicità, intesa come stato di soddisfazione può essere conseguito
solo con un ordinamento sociale che elimini gli ostacoli materiali e culturali al conseguimento di essa.
Ritiene che la società riuscirà ad attenuare i mali che impediscono all’individuo di conseguire la felicità: ad
esempio la povertà, la malattia, l’insicurezza sociale possono essere combattuti dalla saggezza della
collettività.
Il principio della giustizia reclama la progressiva eliminazione delle ineguaglianze politiche e sociali non più
giustificate dal progresso della società e che non consentono a numerose categorie sociali di conseguire la
felicità. Il processo di evoluzione della società deve essere indirizzato verso il progresso morale e civile
della società stessa.
Lo sviluppo economico si trasforma in un progresso morale e civile allorchè si attua il mutamento di status
del lavoratore salariato e del lavoratore proprietario, mediante leggi che consentono al lavoratore di
partecipare in proprio alla produzione e alla direzione delle imprese mediante società cooperative e altre
forme di produzione associata che sono il punto di arrivo di un graduale processo di trasformazione
dell’organizzazione economica fondata sulla proprietà del prodotto del proprio lavoro. Mill è teorico di un
ordinamento sociale in cui la distribuzione della ricchezza e i diversi ruoli sociali si fondano sul merito. Le
categorie sociali devono scomparire per essere sostituite da una classe media molto estesa e la maggioranza
dei lavoratori si deve togliere dalla condizione di salariati per assumere quella di produttori-proprietari.
Si rende conto dei rischi della concezione economicistica della società che fa della produzione economica e
dell’incremento di ricchezza l’unico fine dell’uomo. Si finirebbe col proporre l’ideale di vita
dell’antagonismo. Il nuovo ordine sociale deve invece creare le condizioni affinchè le menti degli uomini
non siano assillate dalla gara per le ricchezze e si possa perfezionare l’arte della vita: il benessere della
società non può essere scisso dalle virtù platoniche della giustizia e il dominio di sé, la temperanza, che
ispirano la condotta dell’individuo e lo impegnano a collaborare con gli altri senza distinguere il suo bene da
quello della collettività.
La libera concorrenza è la causa di tutti i mali della società, sovrapproduzione, bassi salari, miseria generale;
ma la sua eliminazione ne determinerebbe maggiori: provocherebbe la scomparsa di ogni incentivo
all’innovazione delle tecniche di produzione e nell’organizzazione. Bisogna mantenere la libera concorrenza
soprattutto quando l’attività economica si baserà sul principio associativo. Un’assmblea deciderà di
modificare le tecniche e i relativi piani di produzione solo se è costretta dalla concorrenza delle altre
imprese.
Le formule del governo di se stessi e il potere del popolo su stesso si sono rivelate astratte. In democrazia il
potere è espressione della maggioranza ma il sistema democratico col far derivare tutti i poteri, esecutivo,
legislativo e giudiziario dalla volontà del popolo, li unifica e li concentra nella maggioranza che si afferma
nelle elezioni, conferendole un potere senza limiti. Una volta impadronitasi del potere la maggioranza tende
a conservarlo e quindi deve impedire alla minoranza di diventare maggioranza. Da qui scaturisce il
dispotismo delle maggioranze, che non is esercita solo per il tramite dei magistrati o dei pubblici funzionari,
ma si cerca di legittimare come pubblica opinione che ha un potere superiore a quello delle istituzioni di
governo in quanto tende a formare la coscienza degli individui predeterminandone il comportamento.
Le società contemporanee tendono a estendere sempre più il loro potere sull’individuo. Richiama la
concezione della nuova religione dell’umanità che si sostituisce alle religioni tradizionali e che esercita un

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Filippo Amelotti Sezione Appunti
dominio spirituale sulle coscienze degli individui.
La società ha il diritto di usare la forza e costringere l’individuo a un determinato comportamento solo nel
caso in cui lo stesso arrechi danno agli altri. Solo l’individuo è il giudice sovrano dei mezzi più adatti per il
conseguimento della propria felicità. C’è una sfera intangibile da parte della società e del governo nella
quale l’individuo esprime con piena legittimità la sua libertà: si riferisce all’interiorità, alla coscienza
dell’individuo che è il fulcro della libertà, dalla quale derivano la libertà di pensiero, di opinione e di
sentimenti. Inseparabile da queste libertà è quella che ci consente di rendere pubbliche le nostre opinioni.
Altrettanto importante è la libertà delle tendene cioè la libertà di indirizzare la propria attività e di svolgerla
secondo quanto ritiene più adatto alle sue inclinazioni e aspirazioni. La libertà di agire conformemente alle
nostre tendenze e di far conoscere le nostre opinioni sono il presupposto della libertà di associazione. Sono
queste libertà che segnano il limite del potere che la società può esercitare sugli individui.

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Indice
1. La civiltà greca e politica 1
2. La polis omerica 2
3. Atene nell'epoca classica 3
4. Riforme di Solone 4
5. Guerra persiana e sentimento di libertà delle poleis greche 5
6. Socrate: la critica alla politica 6
7. Dialogo tra Protagora e Socrate 7
8. Obiettivi di Socrate. Il Critone 9
9. Platone: politica e filosofia 10
10. La Repubblica di Platone 11
11. La società per Platone 12
12. La giustizia e le 3 funzioni dello stato secondo Platone 13
13. Il processo di trasformazione della polis per Platone 14
14. Le forme di governo secondo Platone 15
15. Le leggi di Platone 16
16. Aristotele: il pensiero politico 17
17. Divergenze di Aristotele con il pensiero di Platone 18
18. Lo studio della politica per Aristotele 19
19. La struttura sociale della polis per Aristotele 20
20. La classificazione delle istituzioni per Aristotele 21
21. Il potere della maggioranza per Aristotele 22
22. Aristotele - Lotta per il potere 23
23. L’esperienza politica romana 24
24. Dittatura nell'antica Roma 25
25. Diritto e costituzione nell'antica Roma 26
26. Tre posizioni tipiche del comando nell'antica Roma 27
27. Polibio: la costituzione 28
28. Cicerone - De re publica, De legiis, De officii 30
29. S. Agostino - De civitate dei 31
30. Differenze tra Cicerone e Agostino 32
31. Motivi di crisi e corruzione secondo S. Agostino 33
32. S. Tommaso - Commento alla Politica di Aristotele 34
33. La Civitas secondo S. Tommaso 35
34. La legge per S. Tommaso 36
35. Visione politica di Dante 38
36. Marsilio Da Padova - Defensor Pacis 39
37. Religione e politica per Marsilio Da Padova 40
38. Pensiero politico di Macchiavelli 41
39. Politica come intesa da Machiavelli 42
40. Le qualità del principe di Machiavelli 43
41. La storia per Machiavelli 44
42. I Discorsi di Machiavelli 45
43. Bodin 1529-96 47
44. Il Methodus di Bodin 48
45. I sei libri della repubblica di Bodin 49
46. La sovranità per Bodin 51
47. La giustizia per Bodin 52
48. Suarez 1548 – 1617 53
49. Lo Stato Leviatano di Hobbes 1588-1679 55
50. Lo stato di natura secondo Hobbes 56
51. Stato di natura e leggi secondo Hobbes 58
52. Posizione della religione secondo Hobbes 59
53. Spinoza 1632 – 1677 60
54. Trattato teologico-politico di Spinoza 61
55. Istinto di autoconservazione per Spinoza 62
56. Spinoza: il patto sociale 63
57. Spinoza: libertà come fine dello stato 64
58. Locke 1632 – 1704: trattati sul governo 65
59. Locke: la proprietà e il lavoro produttivo 66
60. Locke: scopi della società politica 67
61. Vico 1668 – 1744: I metodi degli studi del nostro tempo 68
62. Vico: il vero e il fatto 69
63. Vico: l’uomo e il ciclo della società 71
64. Dominio e stato secondo Vico 73
65. Società politiche per Vico 74
66. Montesquieu: Lo spirito delle leggi 75
67. Montesquieu: legge e ragione umana 76
68. Tre tipi di governo per Montesquieu 77
69. Pensiero politico di Rousseau 1712 – 1778 79
70. Rousseau: famiglia e stato 81
71. Il contratto sociale per Russeau 82
72. La forma di governo ideale secondo Russeau 84
73. Pensiero politico di Hume 1711 – 1776 85
74. Hume: opinione e potere 86
75. Adam Smith 1723 – 1790: La ricchezza delle nazioni 87
76. Società civile per Hume 89
77. Società política per Hume 90
78. Hamilton, Madisone e Jay: Il Federalista 91
79. Pensiero politico di Burke 1729-97 93
80. Burke: Riflessioni sulla rivoluzione francese 94
81. Burke: istituzioni, mutamento e fondamento del potere 95
82. Kant 1724 – 1804 - Metafisica dei costumi 96
83. Kant: La legge morale e il diritto 97
84. Kant: La società politica 99
85. Kant: Lo stato 100
86. Kant: La rivoluzione 101
87. Hegel 1779 – 1831: rapporto religione e politica 102
88. Hegel: La costituzione della Germania 103
89. Hegel: La politica 105
90. Hegel: Il concetto di società civile 106
91. Hegel: Lo stato è la realtà dell’idea etica 108
92. Owen 1771 – 1858: teorico dei problemi sociali 110
93. Saint-Simon 1760 – 1825: riformismo illuministico 112
94. Saint Simon: analisi della rivoluzione francese 113
95. Saint Simon: processi di cambiamento dopo Napoleone 114
96. Constant 1767 – 1830: contributi liberali alla carta costituzionale 116
97. Constant: I principi di politica applicabili a tutti i governi 117
98. Constant: Dello spirito di conquista e dell’usurpazione 118
99. Toqueville 1805 – 1859: liberalismo e democrazia degli USA 120
100. Toqueville: il modello di democrazia è quello americano 121
101. Toqueville: pregi e difetti della democrazia 122
102. Toqueville: il sistema federale americano 124
103. Toqueville: materialismo insito nelle società democratiche industrializzate 125
104. Toqueville: nuovo despotismo 126
105. Rosmini 1797 – 1855: pensiero politico 127
106. Società secondo Rosmin 128
107. Rosmini: fini della società 129
108. Rosmini: Critica all’economicismo 130
109. Rosmini: L’organizzazione politica dello stato 131
110. Requisiti della società politica secondo Rosmini 132
111. Mazzini e il mazzinianesimo 1805 – 1872 133
112. Mazzini: La solidarietà tra i popoli è il fondamento del nuovo ordine internazionale 135
113. Mazzini: il comune e lo stato 136
114. Mazzini e la questione sociale 137
115. Proudhon 1809-1865: Che cosa è la proprietà o ricerche sul principio del diritto e 138
116. Phoudon: La proprietà 139
117. Phoudon: Il sistema delle contraddizioni economiche 140
118. Phoudon: L’organizzazione politica 142
119. Phoudon: organizzazione delle forze produttive 143
120. Phoudon: la federazione 144
121. Marx 1818 - 1883, Engels 1820 – 1895 145
122. Marx: scritti e pensiero 146
123. Engels: scritti e pensiero 147
124. Pensiero di Engels e Marx 148
125. Marx - Engels: Ideologia tedesca 149
126. Marx: Il capitale 150
127. Stuart Mill 1806 – 1873 151

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