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MOSES FINLEY LA DEMOCRAZIA DEGLI ANTICHI E DEI MODERNI

POSTFAZIONE DI CARMINE AMPOLO Finley ha sempre sottolineato legame tra l'economico e il politico nell'esperienza greca e l'istituzionalizzazione dei fenomeni della vita sociale e intellettuale. Dialogo costante fra esperienze di antichi e dei moderni riguardo l'utopia, l'educazione, la democrazia... Egli si interessa non alla teoria e al pensiero politico dei Greci in quanto tali, ma della prassi concreta della politica, dell'organizzazione e funzionamento dell'attivit politica, in particolare decisionale: chi decide? In che modo? Egli polemizza con i teorici anglosassioni dell'LITES, le cui prime teorie si sono sviluppate in Italia con Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca (teoria della classe politica secondo cui in ogni organismo politico necessaria l'esistenza e il funzionamento di una classe dirigente). Secondo lui occorre adoperare strumenti diversi a seconda delle domande che ci si pone e a seconda del tipo di societ che si prende in esame (usa sia strumenti d'analisi marxista, sia weberiani etc). Egli infatti in questo libro ha adoperato concetti introdotti dalla tradizione della democrazia occidentale da Stuart Mill ad oggi, perch il suo libro proprio rivolto a chi vive nelle democrazie parlamentari contemporanee. PREFAZIONI Nel mondo occidentale oggi sono tutti democratici, cambiamento notevole rispetto al secolo precedente ma reso possibile da: ridimensionamento dell'elemento della partecipazione popolare all'interno dell'originaria concezione greca della democrazia (governo del demos = del popolo) affermazione di teoria elitista della democrazia: la democrazia pu funzionare e sopravvivere solo nelle forme di una oligarchia di fatto di politici professionisti e burocrati; la partecipazione popolare deve esserci solo nelle elezioni GOVERNATI E GOVERNANTI La pi nota scoperta delle ricerche sull'opinione pubblica l'indifferenza e l'ignoranza della maggioranza dell'elettorato nelle democrazie occidentali, se non proprio il non esercitare il proprio diritto di voto. Tutti i pensatori politici antichi, compresi Platone e Aristotele, esaminarono le diverse forme di governo dal punto di vista normativo, in base alla capacit con cui esse potevano aiutare l'uomo a conseguire un obiettivo morale nella societ, cio la giustizia e la vita buona. Invece gli autori contemporanei (es Lipset) si astengono dal porsi obiettivi ideali, evitano concetti come quello di vita buona e insistono sui mezzi, sull'efficienza del sistema politico... Ad es. per Schumpter la definizione di democrazia (metodo ben studiato per dar vita ad un governo forte e autorevole) non implica in se stessa alcun ideale di libert e uguaglianza, n alcuna nozione di responsabilit civica o di diffusa partecipazione politica. Gli obiettivi proprio sono visti come delle minacce. 1

In comune con Platone per Lipset lascerebbe la politica agli ESPERTI: per il primo erano i filosofi ben preparati, che avendo appreso Verit, sarebbero poi guidati da essa in tutte le azioni; per il secondo sono i politici professionisti, affiancati da burocrati, periodicamente controllati con le elezioni, dal dispositivo democratico che offre al popolo la scelta tra gruppi di esperti in competizione (teoria dell'ELITES). Resta il fatto che Platone era completamente contrario al governo popolare (troppa ignoranza...) mentre Lipset lo accetta purch vi sia pi un governo (in contrapposizione alla tirannide e all'anarchia) che un popolare e la partecipazione popolare sia limitata. L'apatia politica viene trasformata in un bene e virt politiche. Se nell'antichit la maggior parte degli intellettuali erano contrari al governo popolare per diversi motivi e aveva quindi proposto diverse alternative, oggi la maggioranza pensa che la democrazia sia la miglior forma di governo possibile convenendo per che i principi tradizionalmente invocati per giustificarla non hanno applicazione pratica e anzi NON VANNO APPLICATI SE SI VUOLE FAR SOPRAVVIVERE LA DEMOCRAZIA. Come si giunti a tale situazione un po' paradossale? Gli antichi usavano il termine democrazia con molta disapprovazione, poi essa scomparve fino al XVIII sec quando rimase sempre un termine dispregiativo. Sono le rivoluzioni americana e francese ad avviare il dibattito ottocentesco e a rendere tale termine cos positivo che nel 1900 si completamente svalutato. Le teorie elitiste appunto di fronte all'osservazione empirica che mostra la separazione tra governanti e governati in tutte le democrazie e al consenso unanime sul fatto che la democrazia sia la miglior forma di governo, pensano che quella separazione non sia un difetto ma una virt della democrazia. In pratica si limitano ad approvare per definizione le procedure correnti delle democrazie occidentali. In greco il termine democrazia composto da crazia che significa potere e da demos, che indicava sia l'insieme dei cittadini, sia il popolo comune (le classe inferiori). Fu Aristotele ad offrire una formulazione sociologica: per lui il numero dei governanti, ristretto in oligarchia e elevato in una democrazia, un elemento accidentale dovuto al fatto che ovunque i ricchi sono pochi e i poveri tanti, per cui si ha oligarchia quando uomini governano in ragione di loro ricchezza, democrazia quando governano i poveri. Dietro a tale tassonomia c'era distinzione normativa tra governo nell'interesse generale (miglior tipo di governo) e governo nell'interesse o a beneficio di un particolare settore della popolazione (peggior tipo di governo) per cui pericolo insito in democrazia degenerazione in governo nell'interesse dei poveri. Se ci furono altre forme democratiche prima dei Greci, esse non ebbero per nessuna incidenza sulla storia e sulle civilt posteriori: i Greci furono i primi a riflettere sulla politica ,come arte di conseguire decisioni mediante la discussione pubblica e di obbedire a tali decisioni in quanto condizione necessaria per la convivenza civile, e a osservare, descrivere, formulare dottrine politiche. La sola democrazia greca che possiamo studiare a fondo, cio quella di Atene nel V e IV sec. a. C., fu anche la pi intellettualmente prolifica. Le teorie dell'lite sostengono che tale esperienza ateniese sia irrilevante perch troppo diversa dalle democrazie elitarie contemporanee, sulla base di diversi argomenti: la moderna attivit di governo pi complessa; in realt anche Atene aveva i suoi esperti tecnici e comunque rimasto il dato fondamentale della vita politica cio che sono i politici a prendere le decisioni politiche. il demos ateniese era un lite minoritaria rispetto alla vasta popolazione di schiavi; questo sicuramente innegabile ma bisogna comunque indagare la composizione di tale demos ateniese. Esso era costituito in vasta parte da CONTADINI, ARTIGIANI E BOTTEGAI che ERANO CITTADINI AL PARI DELLE CLASSI SUPERIORI istruite, che erano membri a pieno titolo della comunit politica, questa era la vera novit. 2

Inoltre LA DEMOCRAZIA ATENIESE ERA DIRETTA, non rappresentativa, in due sensi: OGNI CITTADINO POTEVA PARTECIPARE ALL'ASSEMBLEA SOVRANA e, escludendo schiavi di propriet dello stato che facevano copie dei trattati etc, NON ESISTEVA ALCUNA FORMA DI BUROCRAZIA. L'Assemblea, che aveva la parola definitiva sulla guerra e sulla pace, sulla finanza, sulla legislazione, sulle opere pubbliche... era una riunione di massa all'aperto di tutte quelle migliaia di cittadini di et superiori ai 18 anni che in un certo giorno volevano parteciparvi (di solito pi o meno 40 volte l'anno). Le decisioni erano raggiunte mediante il semplice voto della maggioranza dei presenti e vigeva l'ISEGORIA, il diritto universale di parlare nell'Assemblea. La carica di presidente dell'Assemblea era basata su sistema di avvicendamento ed era assegnata per un solo giorno e tramite sorteggio. Se oggi la questione del grado di istruzione e di preparazione del cittadino medio fondamentale nelle democrazie, l'Assemblea ateniese composta soprattutto da semi-illetterati, ma vi erano molti esperti che potevano informarla prima che essa deliberasse (non vanno confuse conoscenze tecniche e intelligenza politica). Poi chi partecipava a tale assemblea conosceva personalmente un gran numero di votanti e anche alcuni oratori del dibattito, dato che la societ ateniese era ancora una societ face-to-face, dove pochi potevano sottrarsi alla familiarit con affari pubblici. Se vero che di fatto il diritto di parola era esercitato da pochi, poich era riconosciuta l'esistenza di una competenza politica e tecnica, non erano per i capi a prendere le decisioni, ma fu sempre il popolo a farlo. Solo l'Assemblea spettava la decisione e quindi IL RICONOSCIMENTO DELLA NECESSIT DI UNA GUIDA POLITICA (ES PERICLE) NON PROVOC UNA RINUNCIA AL POTERE DECISIONALE NE LA FORMAZIONE DI UNA MACCHINA DI PARTITO, DI ELIT POLITICA ISTITUZIONALIZZATA. Vi furono lite politiche ma incapaci di perpetuare se stesse, perch la leadership era diretta e personale, dipendeva da meriti pubblici e quindi era accessibile a tutti. Sulla base di tali considerazioni appaiono meno particolari alcuni strumenti istituzionali inventati: l'OSTRACISMO, mediante cui un cittadino, cui influenza era ritenuta pericolosamente eccessiva, poteva essere esiliato per un certo periodo senza per perdere ne propriet ne diritti civili. Le radici di tale strumento risalgono alla tirannide e al timore del suo ritorno, ma tale prassi sopravvisse per insicurezza di capi politici, che in mancanza di elezioni periodiche, potevano proteggersi solo allontanando avversari politici. GRAPH PARANOMON, azione pubblica con cui si poteva accusare e processare un cittadino per aver fatto in Assemblea una proposta contraria alle leggi. Essa disciplinava l'uso dell'isegoria e conferiva al popolo la possibilit di ritornare su una decisione che esso stesso aveva preso. Se l'esito di tale graph paranomon, se il verdetto del demos era positivo si annullava il voto favorevole dell'Assemblea. Se oggi si protegge la libert dei rappresentanti (e quindi anche la loro irresponsabilit) con l'immunit parlamentare, ad Atene era protetta sia la libert dell'Assemblea sia quella dei singoli cittadini che ne facevano parte, negando loro l'immunit. I greci per non formularono mai una teoria sistematica della democrazia, con l'eccezione di Protagora, secondo cui tutti gli uomini posseggono la politike techne, l'arte del giudizio politico, senza la quale non pu esservi societ civile e per questo l'isegoria poteva essere estesa a tutti i cittadini. Per tale arte non sufficiente a definire la condizione umana, caratterizzata anche dalla cooperazione, dalla philia e dalla giustizia (dike). Tale senso comunitario, tale consapevolezza del comune destino, rafforzata dalla religione di stato, dai miti e dalle tradizioni, fu l'elemento essenziale del successo pragmatico della democrazia ateniese. Ne l'Assemblea ne le giurie formate con sorteggio ne l'ostracismo avrebbero potuto impedire il caos o la tirannia, se nel corpo cittadino non vi autocontrollo capace di contenere il comportamento collettivo entro certi limiti. Per questo era cos fondamentale la paideia, la 3

formazione, lo sviluppo delle virt morali, il senso della responsabilit civica... che avveniva nelle istituzioni basilari della comunit, ossia la famiglia e anche la stessa Assemblea. Atene dunque rappresenta un esempio prezioso di come la guida politica e la partecipazione popolare riuscirono felicemente a coesistere, senza l'apatia e l'ignoranza messe in evidenza nelle democrazie attuali: per quanto semi-illeterati, proprio partecipando all'Assemblea, i cittadini elevavano il loro livello intellettuale e sviluppavano una maggiora comprensione dei problemi comuni. Per questo la concezione classica della democrazia (Mill, Tocqueville...) ha sempre insistito sull'importanza dell'educazione dell'intero popolo e sul ruolo della politica in tale ambito. Se teoria classica oggi stata smentita, questo dipende dai mutamenti istituzionali avvenuti: la trasformazione di economia, dominata da gruppi sovranazionali la nuova tecnologia, compresi i mass media, col loro potere di creare e rafforzare valori e con la posizione di passivit intellettuale che generano la conversione della politica in professione, quindi il maggiore legame con il denaro, l'importanza di realizzare obiettivi non importa come per mantenere il consenso, la presenza al governo di persone provenienti da settori ristretti della popolazione, l'incredibile sviluppo della burocrazia, diventata ormai una organizzazione autonoma che crea problemi per i quali era stata in origine creata Sulla base di queste novit il confronto con la democrazia ateniese non avrebbe molto senso: esso ha senso per quanto riguarda l'apatia e l'ignoranza politica, il fatto che oggi sono solo i politici a prendere le decisioni, mentre il voto popolare ha potere di veto a fatto compiuto. La teoria elitista pensa che tale situazione non possa essere cambiata perch vuole preservare tale sistema democratico, invece di pensarlo come un fine da ricercare. La questione : nella situazione odierna tale sistema necessario e auspicabile o vanno inventate forme di partecipazione popolare almeno ateniesi nello spirito? LA DEMOCRAZIA, IL CONSENSO E L'INTERESSE NAZIONALE Sembra che la distensione politica e il consenso siano diventati il supremo interesse nazionale nelle democrazie occidentali attuali, ma il consenso di per s non un bene, come evidente nel caso della soluzione finale della Germania: forse sempre legato all'apatia politica? Alcuni politologi contemporanei sostengono che gli obiettivi morali esulano dall'orizzonte della politica, che la prassi politica sia di solito amorale, come dimostrerebbero le scienze sociali/umane. In realt la psicologia, sociologia etc hanno si ampliato le nostre conoscenze sulla variet e sui limite delle alternative, sulla complessit di reazioni individuali e di gruppo a situazioni e idee, ma questi risultati non implicano necessariamente che la politica non vada trattata sul piano morale. Considerando le guerre combattute da Atene, quella del Peloponneso fu causata dall'imperialismo ateniese, ma quali interessi favorivano la creazione e il mantenimento dell'impero? Furono interessi nazionali o parziali, proprio di poche persone? mentre l'esercito era composto da opliti, milizia cittadina di fanti corazzati che combattevano in formazioni compatte e si equipaggiavano a proprie spese, quindi erano ricchi, la marina permanente era composta soprattutto dalla parte pi povera della popolazione. Tali classi pi povere dunque beneficiavano direttamente della tendenza imperialista di Atene, ne ricavavano una fonte di sostentamento pi o meno simile al guadagno di un artigiano, mentre meno evidenti erano i profitti che maturavano i pi ricchi. possibilit di intraprendere costose e imponenti opere pubbliche facendone sostenere l'onere su tutti i cittadini e non solo sui ricchi (erano proprio loro a versare contributi obbligatori a differenze di pi poveri) possibilit di retribuire la maggior parte delle cariche pubbliche, cosa non attestata in altre citt greche 4

Senza l'impero ateniese non vi sarebbe stato neanche il sistema democratico del V sec, caratterizzato proprio dal ruolo fondamentale del demos, che per buona parte faceva parte della marina ateniese e quindi permise proprio ad essa di diventare una potenza imperiale. Pertanto dietro all'imperialismo ateniese non vi era la ragion di stato (che dice allo statista ci che deve fare per preservare la salute e la forza dello stato) e quindi il presunto rapporto politica-etica diventerebbe pi problematico. In realt il sistema morale che ammette la schiavit non incrinato dalla soggezione imperiale di altri stati: la libert dei Greci non andava oltre i limiti stretti della comunit e infatti gli Ateniesi esportarono anche la democrazia negli stati soggetti per ottenere l'appoggio delle classi inferiori. Per determinare se un'azione ha servito o meno l'interesse nazionale, bisogna partire dal luogo comune che tutte le societ democratiche che conosciamo sono sempre state composte da pluralit di gruppi religiosi, etnici,economici..., che possono divergere nettamente soprattutto sugli obiettivi e quindi le decisioni diventano difficili da prendere. La struttura dei gruppi d'interesse della societ politica greca (dell'insieme dei cittadini) era piuttosto semplice perch non esistevano classi sociali, ne partiti politici etc, e la maggiore differenza era tra i ricchi e i poveri. Quasi tutti questi gruppi appoggiavano la politica imperialista ateniese (esercito, marina...) per diversi motivi e scopi e parteciparono attivamente tanto alla discussione quanto alla decisione finale relativa alla guerra contro Sparta e quindi la guerra del Peloponneso pu essere considerata di interesse nazionale Il problema il concetto stesso di interesse nazionale perch vi un aporia tra l'individuarlo/definirlo e l'attuarlo praticamente, nonostante tutti i capi politici affermino di agire costantemente in base ad esso. Alcuni politologi oggi sostengono che il processo decisionale si trasformato in una serie di compromessi tra interessi particolari e che questo proprio il procedimento di un governo democratico. Per anzitutto il concetto di compromesso non funziona molto perch la storia mostra sempre gruppi di interesse che hanno riportato una vittoria su altri gruppi e perch implica l'idea di un consenso su problemi generali (es positivit di continue innovazioni tecnologiche...), consenso che per non produce nulla a livello operativo. Oggi sembra esserci un consenso ideologico relativamente alle dichiarazioni di fede democratica ma bisognerebbe valutare quanto tale soddisfazione simbolica superi la frustrazione, legata all'apatia politica e al senso di impotenza nei confronti dei gruppi di interessi al governo: i costi del consenso sono pagati da coloro che ne sono esclusi. Insomma l'espressione interessi nazionali solo portatrice di confusione perch a parte qualche rara eccezione gli interessi particolari di particolari gruppi di interesse sono i soli termini cui l'analisi pu far riferimento L'apatia, invece di essere una sana condizione necessaria all'istituzione democratica, rappresenta un'astensione di fronte alla disparit con cui i diversi gruppi di interesse possono accedere al potere decisionale. per i teorici dell'lite tale apatia invece fa da contrappeso ai movimenti estremisti composti da emarginati sociali, falliti, incolti che sono il reale pericolo della democrazia. Tuttavia bisognerebbe prima chiarire che un movimento definito estremista non in base alla misura del cambiamento che intende apportare ma per il fatto di aver deciso che ai suoi fini le procedure democratiche sono inefficaci. Essi esistevano gi nell'antichit ma erano limitati alle classi superiori mentre sono stati fondamentali per le democrazie occidentali. Paradosso di teoria elitista= impedisce a vasti strati della popolazione di partecipare effettivamente al processo decisionale perch le loro esigenze potrebbero peccare di estremismo e come prova di tale teoria adduce proprio la loro mancanza di misura. Si deve quindi ammettere la possibilit che ogni particolare gruppo di interesse abbandoni le procedure democratiche se convinto di non essere in grado di conseguire democraticamente gli obiettivi che si prefisso, come accadde ad Atene col il colpo di stato oligarchico 5

SOCRATE E DOPO Ogni stato cerca di tutelare se stesso dalla distruzione, contro cause sia interne sia esterne e se ammette la libert d'espressione diventa consapevole che la propria tutela interna complicata proprio dall'esistenza di quella libert. Se nelle monarchie non vi questo problema perch li l'obbedienza all'autorit superiore la virt primaria, in tutti gli stati dove la comunit prende le decisioni emerge il dilemma su chi si deve occupare dell'equilibrio tra libert e sicurezza. Nella Grecia classica, nell'Atene del V sec: furono escogitati proprio l'ostracismo e il graphe paranomon per affrontare tale problema la libert era intesa non come possesso di diritti inalienabili ma come dominio della legge e partecipazione al processo decisionale il sistema giudiziario non era autonomo e professionale ma gestito da dicasteri, organi sempre popolari composti da cittadini estratti a sorte, che formulavano anche le sentenze. Ad es. Socrate nel 399 fu giudicato direttamente dall'Assemblea, composta da 501 cittadini che necessariamente lo conoscevano ma questo non era un problema perch si pretendeva da loro senso di responsabilit civile e onest. Fu durante le guerre che il problema divenne pi forte, soprattutto nel periodo della guerra del Peloponneso, approvata esplicitamente da tutti gli strati della popolazione. Infatti per alcune generazioni gli uomini furono perseguitati e condannati non per aperti atti di empiet (es la bestemmia era considerata come un reato grave perch offesa pubblica, alla comunit) ma semplicemente per le loro idee e le loro affermazioni. Si tratto di un attacco ad un ben preciso settore dell'intellighenzia, che metteva in discussione e sfidava convinzioni tradizionali profondamente radicate della religione, dell'etica e della politica, in un momento di crisi dovuto alla guerra contro Sparta. Alcuni tra questi individui furono: Anassagora, accusato di empiet perch negava la divinit del sole Alcibiade, che stava guidando una spedizione in Sicilia, accusato di empiet, quando alcuni estremisti mutilarono le sacre erme della citt e ci fu un colpo di stato oligarchico Socrate, accusato di non credere nelle divinit in cui crede la citt, di aver introdotto nuovi dei e di corrompere i giovani (il suo nome era associato dall'opinione pubblica ad alcuni intellettuali dei Trenta Tiranni, che governarono Atene dopo la vittoria di Sparta e che furono cacciati dai democratici con una guerra civile). Egli fu condannato perch assimilato ai sofisti e a tutti quei personaggi che abbattevano le tradizioni in nome della razionalit e insegnando questo ai giovani avevano causato una serie di problemi ad Atene. Ma come mai gli attentati alla libert d'espressione degli intellettuali sferrati dalla generazione della guerra del Peloponneso furono limitati ad Atene, che era la capitale culturale della Grecia? Se molti hanno insistito a lungo sulla responsabilit del demos, che aveva approvato la legge sull'empiet e poi votato la condanna, bisogna per ricordare che l'iniziativa fu presa soprattutto dalle lite intellettuale e politica di Atene, timorose che fosse messo in crisi il sistema democratico basato sull'imperialismo. I timori riguardavano la fibra religiosa e morale della comunit, messa in pericolo dalla corruzione dei giovani, soprattutto di quelli appartenenti all'lite. Se si fonda la propria autodifesa sull'apatia dell'opinione pubblica e sull'uomo politico come eroe in realt si diminuisce la libert stessa. L'unica soluzione per garantire la libert l'educazione delle masse, con il rischio per di processi per empiet...

CENSURA NELL'ANTICHIT CLASSICA Il termine censore rinvia a diversi significati: il funzionario romano che si occupava del censimento della popolazione un funzionario che ispeziona libri, giornali etc e censura corrispondenza privata il criticone, il cacciatore di errori Per lo storico ed il sociologo la definizione di censura deve tener conto dell'influenza esercitata dai gruppi di pressioni confessionali sui mezzi di comunicazione di massa o del potere del tab, senza il ricorso alla forza pubblica. Infatti non solo esiste nella societ anche l'autocensura ma essa necessaria per la convivenza sociale e si acquisisce durante l'intera esistenza sin dall'infanzia. Ogni organismo sociale si considera legittimo e si assume il diritto di difendersi sia all'esterno sia all'interno, quindi cerca di eliminare o almeno indebolire l'opposizione. Come ad Atene esisteva l'ostracismo e l'esilio, cos a Roma in epoca imperiale la maggior forma di censura fu la morte. Le societ antiche per affrontavano problemi qualitativamente diversi dai nostri, dal momento che anzitutto on esisteva la stampa. La maggiore particolarit che nessuno si propose o cerc di reperire e distruggere tutte le copie esistenti di un'opera condannata perch non solo era impossibile ma era anche inutile: spesso c'era sottomissione volontaria, non si faceva caso a tali discorsi se non erano ostentati nei luoghi pubblici e sia i libri sia i pamphlet non svolsero alcun ruolo importante nell'influenzare o modellare l'opinione pubblica, neanche le cerchie elitarie. Insomma per l'antichit non bisogna sottolineare troppo il ruolo della parola scritta, oggi cos importante invece, perch la societ allora era fondata sulla comunicazione orale. Questo risulta molto evidente gi ad Atene, dove l'unico filosofo condannato fu Socrate, che non scrisse mai nulla e che sarebbe dovuto andare in esilio: persecutori miravano ad allontanare fisicamente un uomo dal suo pubblico e cos si poteva eliminare il pericolo che rappresenta senza ucciderlo. L'esilio era infatti usato frequentemente sia nel caso di singoli oppositori sia nel caso interi gruppi ed era una forma di censura perch impediva la comunicazione orale nella proprio comunit (oggi noi non parleremmo proprio di censura perch il nostro concetto strettamente legato alla parola scritta). A Roma i pamphlet divennero molto numerosi verso la fine della repubblica, ma incorrevano solo in contro-pamphlet, mentre la censura fu pi evidente nel confronto con la cultura greca: molti, tra cui Catone, insistevano sul danno provocato dai retori e sofisti giunti dalla Grecia a Roma sui giovani patrizi e sulla loro educazione e quindi sulla necessit di espellerli e chiudere le loro scuole (es nel 92 a. C i censori chiusero le scuole della retorica latina). Con Augusto la diffamazione divenne un reato contro maiestas, quindi reato di tradimento e punito conformemente soprattutto se rivolta all'imperatore o uno dei suoi pi stretti collaboratori. Non furono considerati colpevoli invece quegli scrittori che diffamavano gli imperatori deceduti, anzi era un modo incoraggiato da alcuni imperatori per accrescere la propria fama grazie all'implicito contrasto con i predecessori, tutti peggiori. Ci sono poi altri aspetti da considerare nella censura d'lite romana: fino al tardo impero la definizione di luoghi sbagliati dove ostentare certe idee fu assai ristretta perch l'autorit si accontentava di espellere filosofi, profeti e astrologi solo dalla citt di Roma o al massimo dall'Italia gli stranieri furono prevalenti tra gli espulsi soprattutto durante il periodo repubblicano. Esiste un altro ambito, oltre quello politico, in cui il pubblico a cui proibire idee pericolose era molto pi vasto, ossia quello della religione. Anzitutto il politeismo, rispetto al monoteismo non caratterizzato dall'esclusivismo, dalle ortodossie e dalle eresie ed invece piuttosto tollerante per sua natura. In generale fino all'avvento del cristianesimo sia presso i Greci sia presso i Romani nessun individuo rischiava di essere punito per la sua religione, a meno di non essere accusato di 7

uno specifico atto di empiet come la deliberata mutilazione di un'immagine sacra o la derisione dei riti religiosi. Tali atti infatti rientrano nella categoria del tab (come mostra l'ampio consenso popolare incontrato dalle persecuzioni e punizione) e la giustificazione per l'accusa di empiet era la minaccia alla sicurezza della comunit o l'offesa al sentimento pubblico, ma di quali minacce ed offese si trattavano era stabilito di detentori dei poteri. Alcuni esempi che a Roma invece videro coinvolti interi gruppi religiosi: il culto di Bacco, che si diffuse rapidamente nella penisola italica tra vari strati sociali e fu condannato dai senatori, come furono condannati migliaia dei suoi seguaci. Ma in tal caso il vero punto chiave era la presenza di una attivit di massa, sempre pi crescente in una direzione non sancita, che avrebbe potuto mettere in crisi tutta la societ e la politica romana. le persecuzioni dei cristiani, che, prima di Decio e Diocleziano, avvenivano in diversi luoghi su iniziativa giudea o pagana, quasi sempre per popolare, mentre in seguito l'iniziativa venne presa proprio dagli imperatori.

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